NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 9 SETTEMBRE 2019
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Ottimo sistema di difesa: non farti eguale all’offensore.
MARCO AURELIO, Ricordi, Rizzoli, 1993, pag. 83
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Precisazioni
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EDITORIALE
IL NUOVO 8 SETTEMBRE 1943
Manlio Lo Presti – 6 settembre 2019
La crisi di governo, velocemente ricomposta, ricorda il passaggio tragico degli italiani dal fronte dell’Asse a quello Angloamericano.
I personaggi che passarono armi e bagagli dall’altra parte furono salvati e addirittura nominati ai vertici dello Stato postbellico!
Molto si sta dicendo da tutti i fronti su questa oscura vicenda e quindi non aggiungo quanto è in corso di discussione.
Voglio evidenziare quanto la somiglianza dell’8 settembre 1943 con le vicende attuali riguardanti la misteriosa caduta del governo “Conte 1” sia imbarazzante.
Conte il traghettatore, come fece Badoglio che spostò l’Italia da uno schieramento all’altro angloamericano nonostante egli fosse il 10 giugno 1940 il responsabile militare tecnico della GUERRA ITALIANA. La prima conseguenza di questa giravolta fu lo sterminio o la deportazione in Germania di migliaia di soldati che si trovavano a fianco delle truppe tedesche: DECINE DI MIGLIAIA DI VITTIME DEL CINISMO E DELLA SFACCIATAGGINE, sostenuta da TUTTE le forze in guerra in quel momento.
Ripeto: TUTTE!!!
La convergenza planetaria soverchiante (come disse Badoglio) contro Salvini ha raggiunto il suo scopo. Questo ribaltone – traghettamento dimostra una volta per tutte che il nostro martoriato Paese è sotto AMMINISTRAZIONE CONTROLLATA dal 1944 e non ha alcuna autonomia decisionale in materia di:
- a) gestione delle risorse economiche – Ministero del c.d. welfare;
- b) gestione della politica esterna – Ministero degli esteri;
- c) gestione della sicurezza interna – Ministero degli Interni;
- d) gestione della difesa dei confini nazionali e della identità culturale del popolo italiano – Ministero della difesa.
Molti fanno finta di non sapere che
la nomina dei titolari dei quattro dicasteri WELFARE, ESTERI, INTERNI e DIFESA
è di diretta pertinenza degli USA dal 1945,
Gli USA indicano direttamente ed esecutivamente
i nomi o esprimono il loro gradimento
prima del loro insediamento
Adesso seguiranno:
1) liste di proscrizione,
2) macchina del fango contro Salvini,
3) eliminazione capillare degli avversari,
4) riabilitazione appena fatta dell’ex sindaco di Riace,
5) la nomina di un PD per i fatti di Bibbiano,
6) gravissimo ed eversivo insabbiamento del guano schifoso dei magistrati del CSM che stava sfiorando il Quirinale (ecco perché tanta fretta dell’avatar del Colle a chiudere),
7) oltre 300 nomine ricche di soldi,
8) ripresa degli sbarchi e guadagni per 12 miliardi (cosa ne pensa la comunità ebraica che però ha chiesto la protezione di oltre 300 agenti del Mossad alle sue sinagoghe: UN SILENZIO IMBARAZZANTE che dimostra l’ingenua ipotesi di credere alla efficacia di accordi occulti con gruppi paramilitari islamici in italia)
9) riattivazione delle politiche QUADRISEX
LA STORIA RITORNA.
ECCOME SE RITORNA!!!!
Ne riparleremo!
IN EVIDENZA
L’8 settembre che torna
Marcello Veneziani, La Verità 8 settembre 2019
Italiani, oggi è la nostra vera festa nazionale. Viviamo un ciclico, perenne otto settembre. Anche se non c’è la guerra, anche se non c’è il fascismo, la sindrome del voltafaccia, del tradimento versipelle e della cessione di sovranità si ripete a ogni giro di boa, a un livello sempre più basso, e sempre più infame, inventandosi ogni volta un fascismo che non c’è più, un tiranno da rovesciare e un’inesistente guerra alle porte da sventare.
Lo spirito dell’8 settembre è ancora vivo e operante. Non a caso, l’8 settembre è pure il dodicesimo anniversario del Vaffa day di Beppe Grillo. Un movimento nato o consacrato l’8 settembre contro tutti i poteri e i potentati; e con quella parola chiave non poteva che concludere la sua parabola ingloriosa negli stessi giorni di settembre, nel modo a cui stiamo assistendo, asservito all’eurocrazia e alla cupola della sinistra, tramite un pregiato maggiordomo, il prof. avv. Giuseppe Conte e il suo Badoglio bis.
L’8 settembre è la sintesi della nostra storia e del carattere proprio delle nostre classi dirigenti, sovrastanti e dominanti, ben riassunto in un verbo inventato dagli angloamericani, il verbo badogliare (to badogliate) dal famoso Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, capo provvisorio del governo italiano.
Per gli storici Renzo De Felice ed Ernesto Galli della Loggia l’8 settembre segnò la morte della patria; a me pare invece che si sciolse il nesso tra gli italiani e lo Stato, tra il Paese e le istituzioni e ciascuno fu lasciato in balia degli eventi e di se stesso. Fu sicuramente il giorno in cui gli italiani avvertirono lo spaesamento e lasciarono l’Italia all’ufficio oggetti smarriti.
Sul piano storico l’8 settembre è una data fittizia, o quantomeno convenzionale. Il nuovo governo italiano voleva che la data dell’Armistizio fosse resa nota più tardi; gli americani invece desideravano anticiparla perché avevano urgenza di dare psicologicamente un supporto allo sbarco dei loro soldati a Salerno. L’8 settembre è una data simbolica e teatrale, perché è la rappresentazione pubblica e drammaturgica di un fatto già avvenuto e che avrebbe preso corpo solo successivamente. L’evento cruciale risale, in realtà, all’armistizio di Cassibile del 3 settembre; e l’armistizio lungo fu sancito a Malta il 29 settembre col passaggio di fronte dalla parte degli Alleati angloamericani. Infine ci fu la dichiarazione di guerra dell’Italia post fascista alla Germania, il 13 ottobre, più di un mese dopo rispetto all’Armistizio.
Cosa resta negli italiani dell’8 settembre del ’43? Nella memoria poco o niente, nel carattere tanto o tutto. Resta lo spaesamento, nel senso etimologico di perdita del Paese. Resta la desolazione, anche nel senso di perdita del suolo. Resta la fine dello Stato, alibi sontuoso per il sisalvichipuò dell’egoismo e del familismo amorale. Resta la religione di Kazzimiei; badiamo ai fatti nostri che qui non si capisce niente e il potere cambia, si rovescia da un giorno all’altro. Dell’8 settembre resta poi il disprezzo per le classi dirigenti, la voglia di scappare dalla storia o di defilarsi, la via del tradimento e della resa pur di non caricarsi di responsabilità e la sub-filosofia italiana del tirare a campare. Restano i rancori tra le fazioni, anche se si è dimenticata la ragione storica e ideale che
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https://www.marcelloveneziani.com/articoli/l8-settembre-che-torna/
8 settembre 1943: IL GIORNO DELLA VERGOGNA
AUGUSTO SINAGRA 7 09 2019
L’8 settembre è la ricorrenza del cosiddetto “armistizio” del 1943.
Non voglio né rivangare e né rivendicare. Purtroppo, la storia decide e quel che è accaduto non può esser revocato.
Solo qualche precisazione: non fu un armistizio che, per esser tale, è un atto internazionale negoziato. Fu una volgare e vile resa incondizionata unilaterale voluta dal re fellone e vile per mano dei suoi non meno felloni e vili generali e cortigiani.
Certo, non avremmo potuto vincere la guerra ma il potenziale bellico italiano ancora esistente era tale da infliggere al nemico perdite gravissime, e questo avrebbe consentito di negoziare un vero armistizio.
Al contrario, si giunse addirittura a consegnare agli inglesi a Malta la nostra Flotta militare quasi integra e pronta al combattimento. Non senza motivo la MOVM Carlo Fecia di Cossato, Capitano di Vascello, si tolse la vita, per la vergogna, lasciando una struggente lettera di addio alla mamma.
La resa incondizionata fu firmata a Cassibile il 3 settembre 1943 e la notizia fu resa pubblica l’8 settembre per volontà degli americani che così posero fine al tradizionale e schizofrenico doppiogiochismo “badogliano” (“La guerra continua a fianco dell’alleato germanico”!).
Lo schifo fu che il re vile e poi fuggiasco, il 5 settembre 1943 riceveva nella sua casa, già profanata con l’indegno arresto di Benito Mussolini (nonostante le proteste della grande e buona Regina Elena del Montenegro), l’Ambasciatore germanico a Roma confermandogli la fedeltà italiana all’alleanza!
Non è tutto: soltanto il 13 ottobre 1943 il governo badogliano si decise (e solo per imposizione degli americani che si preoccupavano – loro! – della sorte dei nostri militari allo sbando in tutta Europa) all’atto formale di dichiarazione di guerra alla Germania senza la quale i nostri militari, ai sensi delle vigenti Convenzioni internazionali, non erano considerati combattenti legittimi ma ribelli e come tali passibili di fucilazione immediata. E la fucilazione dei circa 115 Ufficiali italiani alla Casetta rossa di Cefalonia (che fu la “rappresaglia” tedesca, al netto delle balle che ancora si raccontano speculando sui nostri poveri militari morti) fu la conseguenza di quanto ora detto.
Il Generale Dwight D. Eisenhower scrisse nelle sue memorie di guerra che l’Italia aveva perso la guerra con disonore, salvato in parte dal sacrificio dei legittimi Combattenti della RSI (come tali riconosciuti con sentenza del Tribunale Supremo Militare di Roma del 1956).
Il Comandante della Decima Flottiglia Mas, poi Divisione Decima (i “segni” della storia: decima era la “Legio Fidelis” di Giulio Cesare che con lui passò il Rubicone), Junio Valerio Borghese ebbe ad annotare sul grande libro della storia che le guerre si perdono o si vincono, ma l’importante è come si perde e come si vince; e se si perde all’esito della battaglia, la sconfitta produce le sue conseguenze anche per decenni, ma se si perde all’esito del tradimento e della viltà questo condanna il Popolo per ben più lungo tempo al vituperio della storia.
A chi sollecitava riconoscimenti ai collaborazionisti italiani in guerra, civili o militari, l’Ammiragliato inglese rispose che “Non è uso di questo Ammiragliato onorare i traditori”.
La situazione presente ci fa capire oggi le conseguenze ancora presenti della viltà e del tradimento: l’Italia non più sovrana ma colonia.
Non è un caso che sul territorio nazionale italiano vi siano circa 115 Basi militari USA e NATO (che è come dire USA).
“Leninisticamente” mi interrogo: “Che fare?”.
Cacciamoli e riprendiamoci la nostra sovranità. Costi quello che costi. Meglio morire liberi che vivere schiavi.
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Sovragestione buia: Epstein sacrificato in nome della Rosa
Scritto il 08/9/19
La Rosa, l’entità, ma se vogliamo chiamarla diversamente, la sovragestione, conosce la psicologia di massa, sa come produrre casi giudiziari per celebrarsi, potenziarsi, aggiornarsi, difendersi, ed anche questa volta è riuscita nei suoi intenti. Ha volutamente abbandonato il miliardario Epstein al suo destino, favorendo il suo arresto, eliminando le sue protezioni politiche e altolocate, distogliendo l’attenzione dal vero mercato pedofilo, strutturato su base nazionale e internazionale, e infine ammonendo i suoi epigoni ricattabili, in questo caso solo di una parte politica. Due piccioni con una fava, anzi, tre piccioni, se ci mettiamo anche parte dell’opinione pubblica, che poi diventerà succube di questo marketing dell’orrore giustizialista, e sarà ovviamente incanalata politicamente verso chi saprà sfruttare la giusta propaganda del momento. Il potere pedofilo usa i social per veicolarsi giustiziere. Mentre il grande traffico criminale di bambini, il traffico di organi, di “snuff movie”, le reti statali e private che gestiscono il mercato della pedofilia si espandono a dismisura, qualcuno dall’alto ha capito come salvare l’albero secolare, sacrificando un piccolo ramoscello, con l’ausilio dei media.
Dare in pasto al popolino in astinenza da rogo un singolo caso di un presunto colpevole, talvolta innocente, come fu in piccolo per il caso di Kevin Spacey, oppure, di un vero colpevole, in modo da fare distrazione di massa. La cosa importante è spostare i bersagli e l’attenzione in modo da non far percepire l’elefante in salotto, continuando ad aggiornare questo secolare sistema criminale, con il suo annesso mercato, mentre si fa credere alla massa dei sudditi che si combatte strenuamente il problema, che sia in corso addirittura una rivoluzione dei “buoni”, che interverrà la giustizia divina e sanerà tutto. E’ lo stesso semplice e basico meccanismo che avviene quando si fanno le guerre ai vertici delle mafie, che a loro volta fanno le loro guerre interne per il controllo del narcotraffico, facendo credere che si stia operando per il bene della comunità, quando invece si sacrifica il superfluo (morto un Papa…). Alcuni reparti dei servizi segreti, attigui soprattutto a una certa ala conservatrice americana, trasversale partiticamente, quelli che appunto gestiscono storicamente il narcotraffico, i colpi di Stato, il mercato di minori e la pedofilia, si sono inventati il vendicatore Q, fantomatico vendicatore degli oppressi che, curiosamente, colpisce solo una certa parte politica e determinati ambienti, salvandone altri.
Il potere pedofilo usa i social per veicolarsi giustiziere, e la gente ci crede; una parte della controinformazione si affida a questo nuovo Zorro digitale 2.0, un po’ come nel film “V x Vendetta”, credendo di essere riscattata dall’oppressione dell’élite; invece, questo rappresenta il punto massimo della manipolazione che si presenta al grande pubblico con la maschera dei buoni. Epstein, il miliardario pedofilo arrestato e ucciso in carcere dallo stesso sistema di cui in piccolo faceva parte, come monito e ricatto a tutti gli altri attori coinvolti riguardo a cosa potrebbe succedere se qualcuno si esponesse malamente o rischiasse di svuotare il sacco per crisi di coscienza od opportunità, rientra in questo gioco. Sacrificato per evitare che altri parlino, ucciso perché non si sappia cosa c’è oltre al suo specifico caso giudiziario, per evitare che si vada oltre e si comprenda la vera natura sacrificale ed infernale della nostra realtà. Nessuna giustizia è stata fatta
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https://www.libreidee.org/2019/09/sovragestione-buia-epstein-sacrificato-in-nome-della-rosa/
È NATO IL GOVERNO SERVO
Arturo Diaconale – 05 settembre 2019
Tra le pieghe di un’informazione edulcorata a beneficio del Conte-bis si scopre che la cancelliera Angela Merkel ha mal digerito l’annuncio della nomina a ministro degli Esteri di Luigi Di Maio, rinunciando a porre il proprio veto solo dopo aver avuto la rassicurazione che, come capitava con il precedente titolare della Farnesina, Enzo Moavero Milanesi, a svolgere il ruolo di vero titolare della politica estera italiana sarebbe stato direttamente il Presidente del Consiglio.
Non si sa se questa indiscrezione che ha fatto capolino tra le pieghe dei giornali sia vera. Assolutamente certo, invece, è che la presidente designata della Banca centrale europea Christine Lagarde, nel corso del suo intervento di presentazione alla Commissione Problemi Economici e Monetari del Parlamento Ue, ha espresso il proprio placet per il nuovo ministro dell’Economia e Finanze, l’europarlamentare Roberto Gualtieri del Pd. E lo ha fatto prima ancora che Giuseppe Conte salisse al Quirinale per sciogliere la riserva e presentare al Presidente della Repubblica la lista dei ministri.
Questo significa che il Governo Conte-bis è nato con il beneplacito delle massime autorità europee o che queste ultime hanno interferito direttamente sulla formazione del nuovo Esecutivo italiano? L’interrogativo è di lana caprina. Perché basta guardare l’andamento dello spread per avere la conferma certa e definitiva che il Governo nato dall’alleanza
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Ecco chi tira i fili del governo giallorosso
Andrea Indini – 5 settembre 2019
Un esecutivo europeista. È stato questo il mantra che, negli ultimi concitati giorni, ha accompagnato la formazione del Conte bis. La provata fede nell’Unione europea non solo era uno dei requisiti imposti dal Quirinale al premier incaricato ma era anche una delle indicazioni che i notabili di Bruxelles hanno fatto arrivare al Nazareno.
Durante la trattativa tra il Movimento 5 Stelle e il Partito democratico, il nuovo governo ha ricevuto una serie di endorsement che ci aiutano a capire molto bene in quali mani siamo finiti. L’obiettivo di progressisti ed europeisti era evitare a tutti i costi il voto e, quindi, sbarrare la strada a un esecutivo di centrodestra a trazione leghista. Già con i pentastellati alleati, Matteo Salvini si era dimostrato troppo sovranista. Figurarsi cosa sarebbe successo se si fosse trovato a non dover più mediare con Conte e Tria. E così è partito l’assalto al leader leghista.
“Il ritorno dell’Italia a un ruolo da protagonista spiana il campo affinché la nuova legislatura delle istituzioni Ue sia pienamente europeista e segnata dall’unità rispetto al pericolo sovranista”, ha esultato il presidente del Parlamento europeo, il piddino David Sassoli. “Chi voleva distruggere l’Unione si è trovato emarginato – ha continuato – di questo ne sono consapevoli le Cancellerie, le istituzioni Ue e anche da Washington ho avvertito interesse alla stabilità italiana e alla ripresa di una sua attitudine costruttiva in Europa”. Ma chi c’è dietro a questo matrimonio benedetto addirittura da Donald Trump con un tweet? Chi tira davvero le fila di questa operazione che ribalterà pesantemente la linea politica assunta dal nostro Paese nell’ultimo anno? E, soprattutto, perché la scelta del nuovo governo ha interessato tanti leader stranieri?
Nei giorni scorsi, quando la trattativa sembrava dover fallire, era addirittura intervenuta Angela Merkel in persona con una telefonata al Nazareno (probabilmente a Paolo Gentiloni) per intimargli di “fare il governo con i Cinque Stelle ad ogni costo per fermare i sovranisti”. Come la cancelliera tedesca deve pensarla anche il presidente francese Emmanuel Macron che, sebbene non si sia mai schierato pubblicamente a favore o contro il Conte bis, al G7 avrebbe fatto rientrare il tweet di Trump in una trattativa molto più estesa. È difficile stabilire la veridicità di questa ricostruzione. Sta di fatto che, in un momento di forti tensioni internazionali, anche gli Stati Uniti hanno bisogno di un’Europa più compatta. E sicuramente l’intesa sottoscritta dal precedente governo con la Cina non deve mai essere andata giù a Washington.
Tra i supporter dei giallorossi, che ieri hanno subito incassato buone parole dall’agenzia di rating Standard & Poor’s, possiamo anche annotare acerrimi nemici di Salvini. Due in testa: il commissario europeo agli Affari economici Pierre Moscovici e il collega al Bilancio Günther Oettinger. In più di un’occasione hanno chiesto per l’Italia “un governo più europeista” per cancellare qualsiasi velleità sovranista dei leghisti. La poltrona che tra tutte più gli premeva era quella di via XX Settembre. E come un anno fa Sergio Mattarella aveva avuto voce in capitolo nella scelta di Giovanni Tria, a questo giro ha fatto
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http://blog.ilgiornale.it/indini/2019/09/05/ecco-chi-tira-i-fili-del-governo-giallorosso/
Renzi, Grillo e Draghi: piano massonico per far fuori Salvini
Scritto il 11/8/19
Quella di Matteo Salvini è una mossa disperata, ma l’unica possibile: il leader della Lega ha capito che sarebbe stato stritolato entro fine anno. «E’ stato isolato dai 5 Stelle, che hanno votato in modo nazista Ursula von der Leyen, candidata del potere Ue, ed è spaventato dall’inchiesta sul Russiagate: un imprenditore italiano in Russia lo ha tradito, raccontando che gli incontri a Mosca erano stati più d’uno». Ancora una volta Gianfranco Carpeoro, massone, già a capo del “rito scozzese” italiano e con salde relazioni tra i piani alti della massoneria progressista europea, offre clamorose rivelazioni sulla crisi italiana. La scorsa estate aveva svelato la manovra francese, condotta con la collaborazione di Napolitano e Berlusconi per sbarrare l’accesso a Marcello Foa alla presidenza della Rai: denuncia che di fatto ha “smontato” il complotto, aiutando Foa. Ora, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro afferma: «L’unica possibilità per Salvini è che riesca a mobilitare gli italiani, riempiendo le piazze per reclamare le elezioni. E’ una corsa contro il tempo: se non ce la fa, è finito. Ha contro Berlusconi, che rappresenta poteri forti. E ha contro Grillo, che salì sul Britannia e deve riconoscenza a quell’establishment». Salvini ha contro anche Renzi, a cui quegli stessi ambienti (supermassonici reazionari, in contatto con Berlusconi e Grillo) hanno fatto una promessa: «Gli daranno una chance per tornare in campo, se riuscirà a evitare le elezioni».
E Zingaretti? «E’ un altro agnello sacrificale, come Salvini».
Carpeoro non ha particolare simpatia per il leader della Lega: «Non ha visione politica e vive solo di emergenze, così come Di Maio e lo stesso Renzi, il cui consenso esplose solo con gli 80 euro».
Una qualità di Salvini? «L’intuito: ha compreso che la trappola attorno a lui era scattata: politica, mediatica, giudiziaria. E ha agito con una tempestività che ha spiazzato tutti: contavano di “friggerlo” lentamente, per farlo cadere entro la fine dell’anno». Perché il super-potere non si fida di Salvini? «Forse perché il suo consenso è stato così rapido, e perché l’uomo è capace di colpi di testa come quello che ha appena fatto. E forse, anche, perché non ha ancora trovato un “burattinaio” che lo gestisca».
L’eminenza grigia leghista Giancarlo Giorgetti? «Ha grande esperienza, ma è leale con Salvini». Secondo Carpeoro, la partita è apertissima. Tenendo conto che Mattarella è notoriamente contrario alle elezioni anticipate, l’espediente decisivo per evitarle è quello architettato da Di Maio: «Il taglio dei parlamentari richiederebbe un iter di almeno 8 mesi, quindi comporterebbe la costituzione di un governo “istituzionale”». Attenzione: «Il candidato naturale è Giuseppe Conte, che ha anche dimostrato di avere gli attributi». Se invece lo spread dovesse precipitare, potrebbe emergere un governo più “tecnico”, fatalmente affidato a Mario Draghi: «A quel punto il governo durerebbe ben più di 8 mesi, dopodiché Draghi finirebbe al Quirinale: prima premier e poi presidente, come l’altro banchiere centrale Carlo Azeglio Ciampi».
Il tema di fondo?
Infliggere all’Italia il massimo rigore previsto dalla cupola massonica reazionaria che ha in mano l’Ue. Minaccia formidabile: l’incubo dell’esercizio provvisorio e l’Iva al 25%. C’è puzza di finti “salvatori della patria” in arrivo: lo stesso Renzi (reduce dal Bilderberg) potrebbe appoggiare un governo Conte-bis insieme a Grillo, mentre per aggregare nell’operazione anche Berlusconi servirebbe Draghi.
E se invece Salvini riuscisse a farsi appoggiare dal Cavaliere nella corsa verso le elezioni? «Sarebbe uguale, perché Berlusconi in cambio rinsalderebbe l’alleanza con la Lega allo scopo di “sterilizzare” Salvini, come chiede il potere oligarchico Ue». Unica via d’uscita: «Se vuole salvarsi, il leader della Lega deve battere tutti sul tempo – come ha
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BELPAESE DA SALVARE
“Parlateci di Bibbiano”: striscione della Lega in Regione Lazio, il Pd lascia l’aula
u.cataluddi@agenziadire.com
I consiglieri della Lega al Consiglio regionale del Lazio hanno preso parola e di tutta risposta quelli di centrosinistra hanno abbandonato l’Aula
ROMA – Protesta dei consiglieri leghisti alla Pisana durante il Consiglio straordinario sulla Sanità. A seguito dell’intervento del presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, Laura Corrotti, Daniele Giannini e Orlando Tripodi hanno esposto uno striscione con scritto ‘Parlateci di Bibbiano’, con la ‘P’ e la ‘D’, iniziali del Partito democratico, in rilievo.
Lo striscione è stato prontamente rimosso dai commessi. Veementi le proteste dei consiglieri di centrosinistra, in particolare di Gianluca Quadrana, che ha abbandonato l’Aula.
Quando i consiglieri della Lega al Consiglio regionale del Lazio hanno preso parola
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Papa Francesco, pressioni sulla segreteria Pd per Giuseppe Conte premier: bomba di Luigi Bisignani
8 Settembre 2019
Secondo Luigi Bisignani, Giuseppe Conte “verrà messo a dura prova dalle scadenze legate all’introduzione dell’eutanasia, argomento incandescente per il Vaticano, anche perché Bergoglio e Parolin si aspettano molto da lui dopo che si sono esposti per la sua riconferma non solo col Quirinale, ma soprattutto con la segreteria del Pd“. Parole pesantissime, quelle dell’uomo che sussurrava ai potenti. Parole messe nero su bianco in un intervento su Il Tempo in cui si dà conto delle pressioni del Vaticano e di Papa Francesco su Pd e Sergio Mattarella affinché Conte venisse riconfermato alla presidenza del Consiglio.
Leggi anche: Luigi Bisignani: ecco tutti gli uomini del Gattopardo Conte
Bisignani rivela poi che “il rapporto (di Conte, ndr) con Papa Francesco, che detesta a prescindere tutti i politici, si è sviluppato solo recentemente”, mentre quello con il cardinale Parolin “è invece antico”. Dunque, l’uomo che sussurrava ai potenti si interroga: “Porterà un giorno tutto questo fermento del mondo cattolico alla nascita del nuovo partito
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CONFLITTI GEOPOLITICI
CRISI POLITICA E GUERRE SORDIDE, A CURA DI GIUSEPPE MASALA E PIERO VISANI
CRISI ISTITUZIONALE, di Giuseppe Masala
Proviamo a dirla in un altro modo. Lo faccio perché qui ci sono dei finti tonti che fanno finta di non capire. Questa è una crisi che può essere vista e analizzata su innumerevoli piani diversi. E se uno fa un’analisi complessiva (cosa impossibile su Facebook) ciò che se ne trae è che siamo di fronte ad una crisi istituzionale di gravità inaudita che mina alla base la nostra democrazia.
Allora, se nel 1956 tutti i deputati e i senatori del PCI – con Togliatti e Terracini in testa – avessero dichiarato la loro appartenenza al Partito Nazionale Fascista e fossero andati a sedersi a fianco di Almirante cantando “faccetta nera” avrebbero fatto una cosa legittima. La Costituzione dice che non c’è vincolo di mandato e ognuno può cambiare idea quando gli pare. Benissimo. Capite però che ci sarebbe stato un grave problema politico se ciò fosse avvenuto? Capite che sarebbe stata negata con la frode la rappresentanza a milioni di persone che votarono comunista?
Ecco, allo stesso modo oggi, si sta tentando di portare 11 milioni di voti dati contro il PD, contro l’Establishment, contro l’austerità per vederli utilizzati per mettere Cottarelli o chi per lui al Ministero del Tesoro e per puntellare il PD al potere? E’ tutto perfettamente legittimo. Tutto. Ma c’è un problema politico enorme. E questo genere di problemi poi nell’elettorato avranno uno sbocco. Non oso immaginare manco quale.
Peraltro, tutta questa cosa enorme si innesta in un contesto democratico già devastato: la scorsa legislatura un parlamento illegittimo costituzionalmente ha eletto un presidente della repubblica che oggi fa buono e cattivo tempo e che ha già fatto dire a tutti i giornalisti quirinalisti che “vigilerà sulla nomina dei Ministri dell’Economia, degli Esteri, degli Interni e della Difesa”. E di grazia che votiamo a fare? Affinché la maggioranza parlamentare scelga il Ministro della Marina Mercantile perché al resto ci pensa il Quirinale? E la costituzione? Carta straccia?
E a questo poi aggiungiamo lo scempio del CSM. Giudici corrotti che s’incontrano
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CULTURA
RICHARD POWERS: “IL SUSSURRO DEL MONDO”
Giuseppe Talarico – 26 agosto 2019
Da sempre la riflessione intorno al rapporto tra la civiltà umana e la natura affascina ed incanta la mente degli uomini. Un grande libro, intitolato “Il sussurro del mondo”, di cui è autore lo scrittore Richard Powers, pubblicato in Italia dalla casa editrice la Nave di Teseo, vincitore questo anno del prestigioso premio Pulitzer, racconta il destino e la vita di nove personaggi, che si oppongono alla deforestazione e rifiutano un modello di sviluppo che conduce alla distruzione dell’ecosistema ambientale. Nella prima scena compare l’antenato di Nicholas Hoel che pianta, nella sua proprietà, una vasta azienda agricola, un albero ai primi del Novecento, che sarà testimone del periodo della depressione economica del 29, della Seconda guerra mondiale, dell’inizio del secolo americano nella seconda parte del XX secolo.
Nicholas, divenuto un pittore, raffigurerà quel albero nei suoi dipinti, chiedendosi perché in autunno le sue foglie secche suscitino nostalgia, in inverno i rami carichi di neve provochino la malinconia, e durante la Primavera, quando si schiudono i fiori sui suoi rami, l’attesa del bel tempo sia capace di nutrire la fede umana nella forza primigenia della bellezza. Mimi Ma, figlia di un ingegnere di origine cinese, riceve dal padre degli anelli, che la inducono a chiedersi come avviene l’ascesa ed il declino di una persona su questa terra. Sul primo anello è intagliato un albero che raffigura il Loto, l’albero situato ai confini del passato che nessuno è in grado di superare una seconda volta. Il secondo anello porta l’immagine del pino, che simboleggia il tempo presente, mentre nel terzo anello, invece, è racchiusa la forma dell’albero del Fusag, che evoca il futuro della vita.
Adam Appich, che diventerà un docente universitario di psicologia, fin da piccolo comprende che l’albero è simbolicamente capace di indicare il passaggio dalla terra al cielo, dall’immanenza alla trascendenza. Adam non capisce le persone, pensa che dicono cose per nascondere quanto pensano realmente ed è convinto che corrono dietro a sciocchezze, mentre le foreste sono abbattute per soddisfare la brama umana. Leggendo il libro di cui è autore Rubin M. Rabinowski intitolato “La scimmia che è in noi”, Adam matura la convinzione che gli essere umani sono indotti a ripetere vecchi comportamenti sia per pregiudizi ancestrali sia per i residui ineliminabili legati al processo di evoluzione della specie umana. Gli esseri umani, ripetendo gli stessi errori, seguono sempre le
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Il verismo irrazionale di Luigi Capuana
“Un uomo perfetto è colui che può conservarsi selvaggio in mezzo alla civiltà”
di Giulia Ciarapica – 8 Settembre 2019
Pensate un po’ meno e sentite un po’ più”. Lo diceva, l’ha scritto e ne era convinto. “Sentire”, dare spazio al “sentimento”, annusare quello che ci circonda, riempirsi gli occhi di realtà ma tendere al meraviglioso, cercare il surreale, spingersi fino al metafisico.
Tutto sommato forse quel “sentite un po’ più”, magari in chiave lievemente sarcastica, avrebbe potuto essere indirizzato a quei critici – compreso Benedetto Croce – che lo considerarono un gradino più in basso rispetto ai colleghi veristi. Stiamo parlando di Luigi Capuana, del quale proprio quest’anno ricorrono i 180 anni dalla nascita in quel di Mineo. Scrittore fra i più illustri di fine Ottocento, etichettato come il teorico più saliente del Verismo, e tuttavia ignorato, quasi dimenticato per molto tempo; posto accanto a Verga, come suo pari per ideologia letteraria e produzione artistica, ma nonostante tutto considerato meno importante. Perché?
Uno dei motivi principali fu che Capuana, assieme a romanzi come “Giacinta”, “Il Marchese di Roccaverdina” e “Profumo”, scrisse anche molte fiabe e racconti per giovanissimi, che tra l’altro gli conferirono ampia fama tra il grande pubblico. Il fatto che si fosse occupato largamente di questo genere di narrativa lo allontanava dall’idea di partenza, a discapito del suo valore di scrittore verista. In secondo luogo, Capuana viene guardato come uno scrittore favolista e occultista, a sottolineare il fatto che, fin dall’età di sedici anni e a più riprese per tutta la vita, si interessò in modo morboso al paranormale e allo spiritismo, riversando questa grande passione sulla sua produzione letteraria.
Ecco il punto centrale della questione: come può trovare una conciliazione la parte
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https://www.ilfoglio.it/cultura/2019/09/08/news/il-verismo-irrazionale-di-luigi-capuana-272283/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Guerrevisioni. Cyber war: prossimamente su/da questi schermi
Pubblicato il 5 Settembre 2019 di Gioacchino Toni
In precedenza, nell’ambito della serie “Guerrevisioni”, ci si è soffermati su come, per essere resa accettabile in età contemporanea, la guerra sia costantemente negata: espulsa dai media, spettacolarizzata, mascherata da intervento umanitario o di polizia, l’importante è che non se ne mostrino i cadaveri, così da non turbare l’anestetico televisivo somministrato in prima serata. Eppure, al di là delle sofisticate tecniche mimetiche adottate, la guerra contemporanea, invisibile e fantasmagorica al tempo stesso, è davvero pervasiva, tanto da estendersi alla cybersfera.
Alla guerra cibernetica Aldo Giannuli e Alessandro Curioni hanno dedicato Cyber war. La guerra prossima ventura (Mimesis 2019), libro che si apre contestualizzando tale tipo di conflitto contemporaneo. Dopo i due conflitti mondiali novecenteschi, l’ordinamento basato sullo Stato moderno, così come era stato disegnato dalla Pace di Westfalia, ha dovuto fare i conti con la nascita di organismi a “sovranità condivisa” (Onu, Fondo Monetario, Banca Mondiale ecc.). Sul deteriorarsi dell’ordinamento westfalico di fronte all’assorbimento di potere (soprattutto economico) da parte di organismi sovranazionali hanno certamente inciso la fine dell’equilibrio bipolare e l’avvio del fenomeno della globalizzazione. Non si tratta però, sottolinea Giannuli, né della fine dello Stato nazione, né dell’esaurirsi della sovranità: agli stati nazionali è certamente stata sottratta una fetta di potere decisionale, ma la sovranità non è affatto venuta meno, ha soltanto subito una diversa distribuzione tra sfera nazionale e sfera sovranazionale. Se a livello nazionale la residua quota di sovranità si ammanta ancora, formalmente, delle tradizionali procedure democratiche, a livello sovranazionale è saltata anche la mediazione formale, visto che le decisioni vengono assunte da apparati tecnocratici.
Se nell’ordinamento westfalico, ricorda Giannuli, l’ambito spaziale di uno Stato, entro il quale questo esercita il suo ordinamento giuridico, si riferiva al suolo e al mare, ora le cose si fanno notevolmente più complesse. Se vi sono problematiche giurisdizionali relative alla gestione del sottosuolo, delle piattaforme e delle isole artificiali, dello spazio aereo – soprattutto extra atmosferico, ove viaggiano i satelliti –, figurarsi a livello di cybersfera, «cioè dei flussi di informazioni che, per loro natura, non hanno possibili confini. Intercettare le comunicazioni telefoniche o elettroniche di uno Stato costituisce una violazione della sua sovranità? Si pensi alla base di Echelon dei cinque paesi di lingua inglese oppure alla recente polemica sul colosso cinese di Huawei. Interferire nelle elezioni di un paese attraverso i social media è un attentato alla sovranità di quel paese? O, peggio ancora, compiere attacchi informatici sulle reti strategiche di un paese (centrali elettriche, telefoniche, ferroviarie, aeree ecc.) costituisce un atto di guerra?» (p. 13).
Anche rispetto al concetto di popolo, sostiene l’autore, le cose si sono fatte oggi decisamente più complesse. «La libertà di movimento dei capitali ha determinato la mobilità dei grandi capitali “senza bandiera” […] che vanno alla ricerca dell’“offerta fiscale più conveniente”. In queste condizioni il popolo diventa qualcosa di molto diverso dal passato, perché cede parte dei suoi lavoratori più qualificati e dei contribuenti più importanti, per acquisire masse di “nuovi metechi” che non hanno diritti politici e, ovviamente, questo determina un rapporto fra Stato e popolo ben diverso dal passato» (p. 14). Inoltre, «la globalizzazione ha minato la sovranità nazionale soprattutto nell’ambito fiscale e finanziario, ma ha prodotto nuove spinte che rafforzano la tendenza a costruire sistemi nazionali di interessi contrapposti agli altri sistemi nazionali e, nello stesso tempo, ha moltiplicato le ragioni del conflitto culturale producendo impennate identitarie assai nette» (p. 16).
Come vedremo successivamente a proposito degli scenari di cyber war, lo stesso concetto di potenza, che storicamente ha sempre avuto a che fare con la forza militare, dopo la Seconda guerra mondiale si è decisamente articolato. «Ne è derivato un sistema complesso con gerarchie di potere differenziate e instabili: gli Usa hanno sicuramente le maggiori forze armate del mondo, controllano la moneta di riferimento mondiale, sono ai massimi livelli tecnologici mondiali e controllano la parte maggiore del sistema satellitare, quindi le comunicazioni mondiali, ma il loro progetto di impero monopolare è fallito per il suo enorme debito aggregato, per le guerriglie mediorientali, per la pressione esercitata dalle crescenti spese militari degli altri. Così può accadere che scatenino una guerra commerciale, ma
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L’ex capo dei servizi segreti tedeschi: “C’è la Merkel dietro Carola. È un piano contro l’Italia”
domenica 28 luglio 13:13 – di Laura Ferrari
«Clamorosa notizia sulla Sea Watch di Carola Rackete. L’ex capo dei servizi segreti tedeschi, Hans-Georg Maassen sostiene che l’operazione della Sea Watch conclusasi con lo speronamento della motovedetta della Guardia di Finanza, sia stata una iniziativa pianificata e messa in piedi dalla tv pubblica tedesca Ard, quindi di fatto dal governo Merkel. Obiettivo: forzare l’apertura dei porti italiani e causare un incidente che facesse ripartire la propaganda immigrazionista. Fratelli d’Italia chiede chiarezza su queste sorprendenti dichiarazioni. Come primo passo chiederemo la convocazione di Maassen al Parlamento europeo perché possa raccontare la sua versione dei fatti». Così Giorgia Meloni, sui Social, postando l’articolo del quotidiano britannico The Guardian, che ha ricostruito la vicenda.
Massen ha condiviso su Twitter, un articolo del blog di controinformazione Journalistenwatch, critico con le politiche della Merkel, che sostiene come l’operazione Sea-Watch 3, in realtà sia stata finanziata dalla tv di Stato tedesca, per screditare il governo italiano e forzare la mano a Salvini. L’articolo era accompagnato dal commento: “Se questo articolo fosse vero, vorrebbe dire che la tv di Stato tedesca è censurata come ai tempi della Germania comunista dell’Est”.
Successivamente, l’ex capo dei servizi segreti ha cancellato il tweet. A precisa domanda, ha risposto che il suo account è gestito personalmente da lui e che il profilo non è gli è stato hackerato. Insomma, un messaggio agli utenti del web. Chi vuol capire capisca. Secondo Maassen, che ovviamente ha ancora buone fonti all’interno della struttura di intelligence, la vicenda della Sea Watch e di Carola Rackete è stata una sceneggiata messa in piedi dalla tv pubblica Ard: quindi dal governo Merkel.
Hans-Georg Maassen è stato rimosso un anno fa dalla guida dei «servizi
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Fake news, quello che ci insegna la storia di Ronchey
Nicola Porro – 6 settembre 2019
Fake news, si legge in Treccani Cultura-Enciclopedia on line, è “una locuzione inglese (lett. notizie false), entrata in uso nel primo decennio del XXI secolo per designare un’informazione in parte o del tutto non corrispondente al vero, divulgata intenzionalmente o meno attraverso il web, i media o le tecnologie digitali di comunicazione, e caratterizzata da un’apparente plausibilità, quest’ultima alimentata da un sistema distorto di aspettative dell’opinione pubblica e da un’amplificazione dei pregiudizi che ne sono alla base, ciò che ne agevola la condivisione e la diffusione pur in assenza di una verifica delle fonti”.
Alle fake news è stato dedicato ampio spazio nella seconda edizione del Festival della Politica (Santa Margherita Ligure 20/21/22 agosto) organizzato dall’Associazione Culturale Isaiah Berlin e dedicato, quest’anno, al tema “Democrazia e Comunicazione”. Ne hanno parlato, tra gli altri, la sociologa del diritto Simona Andrini, lo storico delle dottrine politiche Enzo A. Baldini, il saggista Corrado Ocone. Non poteva mancare, ovviamente, il riferimento alla bufala di Donald Trump su Barack Obama “nato in Kenya”, un caso limite di disinformazione programmata (in questo caso per presentare Obama come “straniero” indegno di ricoprire la carica più alta degli S.U.).
Indubbiamente, le fake news — sulle quali, peraltro, Eugenio Di Rienzo ha scritto un illuminante articolo su Il Giornale, La storia è piena di fake news ma sono tutte da studiare, 8 agosto u.s.— sono i veleni dell’informazione in una società aperta ma, a ben riflettere, la disintossicazione non è difficile anche in virtù della loro evidenza e facile confutabilità. Mi sembra assai più insidiosa, invece, la ricostruzione degli eventi (passati e presenti) che col metodo “forbici/copia e incolla”, incide, a tempo indeterminato, sulle credenze collettive e, combinando omissioni ben calibrate e qualche congettura presentata come fatto certo, foggia un senso comune e interpretazioni storiche e sociali al riparo da dubbi e confutazioni. Ne costituisce un esempio l’Addio ad Alberto Ronchey un giornalista indipendente, apparso su La Repubblica dell’8 marzo 2010 a firma di Ettore Boffano.
A mio avviso, si tratta di uno scritto che dovrebbe essere letto e meditato in tutte le scuole di giornalismo, come case study di violazione dell’etica professionale che impone agli operatori della carta stampata di raccontare, prima di tutto i fatti, seguiti semmai (ma non è indispensabile) da un commento (anche di parte). Boffano ricostruisce la carriera di Ronchey, prestigioso editoralista (dal Corriere d’Informazione a La Stampa di cui fu direttore, dal Corriere della Sera a La Repubblica) e per qualche tempo ministro dei Beni Culturali, ma sul suo “lungo passaggio al Corriere della Sera che lascia nel 1981, in piena bufera P2″– un rapporto tormentato su cui ci sarebbe da scrivere un lungo saggio — non solo è telegrafico ma fa il gioco delle tre carte (per non dire altro). L’articolo, infatti, termina con una testimonianza che è tutto un peana a Piero Ottone e alla (presunta) “bontà dei cavalieri antichi”. Piero Ottone lo ricorda così: “La sua cifra più autentica era lo scrupolo di non sbagliare mai, di non imporre mai al lettore un
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DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI
Patto Turchia-Ue a rischio: allarme migranti in Europa
Sull’Europa potrebbe abbattersi in tempi brevi una nuova, incontrollata, ondata di flussi migratori. Ma non dalla Libia: l’attenzione degli analisti è rivolto alla Turchia, al Mar Egeo, alla Siria
Angelo Scarano – Dom, 08/09/2019
Gli allarmi si moltiplicano: sull’Europa potrebbe abbattersi in tempi brevi una nuova, incontrollata, ondata di flussi migratori.
Ma non dalla Libia: l’attenzione degli analisti è rivolto alla Turchia, al Mar Egeo, alla Siria. Ad essere a rischio è infatti la tenuta dell’accordo tra Ankara e l’Unione europea del 2016 dopo che l’anno prima la Germania aveva accolto oltre un milione di profughi. La Turchia nei giorni scorsi ha ripetutamente minacciato di far saltare l’intesa riaprendo le frontiere ai profughi e ora si fa concreto il rischio che gli accordi naufraghino definitivamente. A creare preoccupazione è il combinato disposto tra la situazione esplosiva nei centri d’accoglienza sulle isole greche e la pressione dei profughi siriani sulla Turchia. “Solo quest’anno in Grecia sono arrivati 26 mila migranti, quasi cinque volte il numero di quelli giunti in Italia”, scrive il settimanale tedesco Spiegel, secondo il quale nelle scorse settimane la situazione è drasticamente peggiorata: in agosto 8000 persone sono approdate sulle isole greche, un numero in linea con le cifre del 2016, quando la crisi era al suo apice.
A Lesbo, in certi giorni sono giunte contemporaneamente 13 barche, mentre i centri d’accoglienza messi in piedi dal governo di Atene sono sul punto di scoppiare: nell’hotspot di Lesbo, afferma la testata amburghese, ultimamente
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http://www.ilgiornale.it/news/mondo/patto-turchia-ue-rischio-allarme-migranti-europa-1750220.html
Immigrazione e ong, il piano di Pd e M5s: linea soft, riprendono gli sbarchi?
Un reportage de Il Giornale sulla polizia slovena svela che forse il vento è cambiato sul tema degli sbarchi. Gli agenti di Capodistria – si legge – pattugliano il confine che sovrasta Trieste, da dove entrano i migranti che arrivano dalla Bosnia, assieme ai poliziotti italiani. L’operazione, voluta da Salvini, ha avuto un stop.
Giovedì, all’ultimo momento, l’agente italiano di turno non si è presentato davanti ai cronisti del Giornale. Ufficialmente era indisposto, ma non è stato neppure sostituito. In quelle ore il governo giallorosso veniva svelato.
Il Viminale, durante la gestione Salvini, grazie alla diminuzione dell’80% degli arrivi e all’ abbattimento delle tariffe per le cooperative che vivono e talvolta lucrano sui migranti, aveva abbattuto massicciamente la spesa. Dai 2,205 miliardi del periodo agosto 2017-luglio 2018 si è passati ai 501,4 milioni di euro degli ultimi dodici mesi. Soprattutto il Pd e la sinistra estrema
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Microcredito e migrazioni di massa: la finanziarizzazione della disperazione
Ilaria Bifarini – 24 Maggio 2019
È una domanda che tutti, almeno una volta, ci siamo posti: chi finanzia i costosi viaggi della morte che spingono migliaia di disperati su imbarcazioni di fortuna, tra mille peripezie e l’incognita dell’approdo?
Molti giornalisti si sono impegnati nella ricostruzione dei calvari degli emigranti per arrivare al porto di partenza, delle condizioni schiavistiche cui sono sottoposti dalla criminalità locale. Ma rimane irrisolto il tassello iniziale di queste tragiche diaspore, ossia la disponibilità di somme di denaro ragguardevoli, esorbitanti se rapportate al tenore di vita locale, per intraprendere il viaggio. Le inchieste in merito sono limitate e le nostre domande cadono nel vuoto.
Nel cercare di comprendere questo enigmatico fenomeno ci viene in aiuto uno studio condotto dalla sociologa Maryann Bylander in Cambogia tra il 2008 il 2010. Analizzando la frequenza e le modalità di emigrazione della popolazione si scopre una correlazione diretta tra espansione del microcredito e aumento dei flussi migratori verso l’estero. Stesso nesso si riscontra in un altro Stato del Terzo Mondo, il Bangladesh, paese di origine di circa un decimo dei migranti che ogni anno arrivano in Italia (oltre 10 mila nel solo 2017).
E’ qui che, grazie all’appoggio di illustri sostenitori come i Clinton e Bill Gates e con il sostegno della stessa Banca mondiale, venne creata nei primi anni ’80 la Grameen Bank, istituto finanziario che concedeva denaro alle persone più indigenti, impossibilitate ad avere accesso al credito, con il fine “filantropico” di offrirgli un futuro migliore.
I prestiti concessi si tramutarono in un incentivo all’emigrazione per la
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ECONOMIA
L’ECONOMIA CIRCOLARE di BEPPE GRILLO – è promossa dai miliardari di Davos
Maurizio Blondet 8 Settembre 2019 160 commenti
Le buone notizie dell’economia circolare si susseguono ormai con una rapidità, che il vostro vecchio cronista, rallentato dagli acciacchi, fatica a starci dietro. Appena Saviano esorta il nuovo governo: “E’ ora di legalizzare la cocaina”, il sindacalista CGIL preme per legalizzare l’eutanasia e il suicidio assistito (“Fate presto”), dalla Svezia Il professore Magnus Söderlund alla fiera di Stoccolma sul cibo del futuro #GastroSummit ha tenuto un seminario dove spiega come diventare cannibali e mangiare carne umana sia una reale alternativa per salvare l’ambiente. “Nei paesi scandinavi sono sempre avanti nel futuro”.
https://www.maurizioblondet.it/leconomia-circolare-secondo-beppe-grillo/
Testo e foto, l’ho tratto dal twitterologo “Make Italy Italian Again” (@miia_2018), che molto più sveglio e svelto, non si fa sfuggire le buone notizie del nuovo mondo – quello che è stato annunciato dal profeta Beppe Grillo nel suo ispirato – o farneticante – video d’appoggio al governo PD-Grillini:
VIDEO QUI: https://youtu.be/Bs_pvHY3F-o
“C’è da progettare il mondo! Abbassare il consumo di energia! 40 tonnellate a testa di materie prime, abbassare a 20! 40 ore settimanali, passare a 20! Voglio dell’euforia! Voglio che vi sediate a un tavolo a parlare di queste cose…!”
L’Elevato sta parlando dell’utopia chiamata “Economia circolare” . Di cui è notoriamente un ossesso. Il PD, per fare il governo coi grillini, lo ha accontentato: “Indirizzare l’intero sistema produttivo verso un’economia circolare”, ha scritto il programma PD-5S.
@miia_2018 – i cui twitter copierò senza scrupoli – mi ha fatto scoprire che il concetto di “Economia Circolare” non è una privata (ancorché contagiosa) insania ossessivo-delirante dell’ex comico, ma un progetto ideologico completo ed elaborato in tutti i particolari dai suoi esponenti nei paesi scandinavi
Ci presenta la sua profetessa, la bella Ida Auken:
https://twitter.com/i/status/1169737325724807169
“Perché dovreste possedere un cellulare quando potere noleggiarlo? Perché non noleggiare il frigorifero, la lavatrice, la lavapiatti? Perché non aderire a un modello di business nel quale solo l’azienda [produttrice] possiede i beni, e voi li noleggiate? Userà meno materie prime…”.
E’ questo, come vedete, esattamente il mondo in cui Beppe Grillo ci spinge ad entrare con euforia per portare il consumo da 40 tonnellate di materie prime a 20, inquinare meno e lavorare meno.
“ Niente più auto, elettrodomestici e case di proprietà, bisogna affittarli e condividerli. La donna è un ex ministro danese, già ospite a Davos, la signora propaganda economia circolare = abolizione proprietà privata”, commenta @miia_2018.
E risale alla fonte dell’utopia – “non possedere nulla/affittare tutto”: la promuove – potete immaginarlo? – il World Economic Forum di Davos, quello dove si riuniscono “oltre 1.000 aziende leader nel mondo per dare forma a un futuro migliore” proponendo il modello di sviluppo industriale nuovo di economia circolare di cui il Grillo è
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https://www.maurizioblondet.it/leconomia-circolare-secondo-beppe-grillo/
Il problema è la povertà, non la disuguaglianza
Dove intervenire. Nella trattativa con il M5s, il Pd chiede una “svolta delle ricette economiche e sociali in chiave redistributiva”. Ma è l’impoverimento che, a differenza della disuguaglianza, è più che raddoppiato con la crisi economica
Con le trattative per la formazione del nuovo governo tra Pd e M5s, i giornali si interrogano per trovargli un aggettivo calzante. Per ora lo si definisce “governo giallo-rosso”, ma il riferimento al calcio sembra troppo diretto. Lo si potrebbe chiamare “governo contro la disuguaglianza”, a sentire le parole di chi sta trattando per formarlo. In particolare, è nei punti programmatici del Partito Democratico che troviamo le frasi più convinte sul contrasto alla disuguaglianza. Uno tra i punti votati dalla direzione del partito per intavolare la trattativa con i 5 Stelle richiede infatti una “svolta delle ricette economiche e sociali in chiave redistributiva”. Il segretario Zingaretti ha rincarato la dose durante le comunicazioni al Quirinale dopo le consultazioni del suo partito, dicendosi preoccupato per la crescita “di molti indici di disuguaglianza sociale”.
È un punto interessante su cui interrogarsi, dopo anni in cui il tema della disuguaglianza è cresciuto nel dibattito tra economisti e non. Anche i non addetti ai lavori conoscono i lavori di Thomas Piketty, stimato più fuori dall’accademia che all’interno, e la “curva dell’elefante” di Branko Milanovic. Allo stesso tempo sono sempre più numerose le dichiarazioni politiche da sinistra come “l’Italia ha un alto tasso di disuguaglianza” o “la disuguaglianza è uno dei principali problemi del nostro tempo” (entrambe frasi pronunciate da Zingaretti). Se è vero che questo fenomeno produce effetti molto negativi sulle società che ne soffrono – in termini di coesione sociale, equità ma anche opportunità di crescita economica per tutti – in Italia la situazione sembra differente da quella dipinta da Zingaretti.
La disuguaglianza di reddito è aumentata?
Quando si parla di redistribuzione, la prima disuguaglianza da contrastare che viene in mente è quella di reddito. Badate bene: non è l’unica. Con un fenomeno tanto complesso, le sfaccettature sono numerose: disuguaglianza di genere, intergenerazionale, regionale, etnica. Però concentriamoci sul reddito, quella di più immediata comprensione e sulla quale è disponibile la maggior mole di statistiche. Parliamo quindi della forbice tra quanto guadagnano i ricchi e quanto i poveri.
La globalizzazione ha portato nella seconda metà del secolo scorso un aumento di questa forbice in molti dei paesi occidentali, in particolare quelli più legati all’economia di mercato. Soprattutto negli Stati Uniti, dove alla fine degli anni ’70 il 10 per cento più ricco della popolazione guadagnava poco più di un terzo del reddito totale, mentre nel 2010 aveva raggiunto il 45% (4,5 volte la sua stazza). Aumenti minori, ma della stessa unità di grandezza, sono avvenuti negli altri paesi anglosassoni, con l’eccezione parziale dell’Australia.
La disuguaglianza in Italia oggi è a livelli simili a quelli di 15 anni fa
e non è in corso un allarme-divario sociale come sembra pensare
il segretario del Pd. A questo proposito, appare anche curioso sostenere
la necessità di una svolta sociale senza riferimenti alla crescita
E l’Italia? Secondo i dati del World Inequality Database, la disuguaglianza è cresciuta in modo forte e repentino tra il 1980 e il 2000, quando l’indice di Gini – che misura quanto la distribuzione del reddito tra i decili della popolazione si discosta dalla massima uguaglianza possibile – è aumentato del 20 per cento, molto più che in Stati Uniti e Regno Unito. Da allora tuttavia lo scenario è cambiato: la disuguaglianza in Italia è prima diminuita e poi ri-aumentata, ma meno che in passato. Il Gini è salito di poco meno il 4 per cento, continuando a oscillare tra lo 0,31 e 0,33 (il suo massimo è 1, il minimo 0), mentre la crescita negli Stati Uniti ha raggiunto il +6 per cento e in Svezia il +15. Il rallentamento italiano del ritmo di crescita delle ineguaglianze si osserva anche nella dinamica delle quote di reddito: rispetto al livello del 1980, il reddito detenuto dall’1 per cento più ricco della popolazione è aumentato enormemente
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La sinistra sfora il deficit? Tutti zitti
Nicola Porro, Il Giornale 7 settembre 2019
Pensavamo, ingenuamente, che il livello del nostro deficit pubblico fosse una questione tecnica. Queste ultime ore ci hanno fatto capire come sia soltanto politica. Alcuni economisti di stampo keynesiano ritengono che in un momento di crisi (ma quando non lo siamo?) sia conveniente spendere più di quanto si ha in cassa, infischiandosene dei debiti che si contraggono. Altri più rigorosi, e sentendo il peso del debito accumulato dal passato, ritengono invece che oggi la spesa pubblica produca benefici immediati risibili, e invece costi sociali in prospettiva enormi. In mezzo i pragmatici, che ci sembrano i più ragionevoli. Se deficit si deve fare, almeno si faccia per ridurre le imposte e non per congegnare nuovi piani di spesa pubblica. Secondo il principio intuitivo per il quale un euro restituito ai contribuenti ha più valore di un euro prestato ai burocrati.
Ma, appunto, si tratta di questioni tecniche. Mai come in queste ore, dicevamo
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https://www.nicolaporro.it/la-sinistra-sfora-il-deficit-tutti-zitti/
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Le strutture del finanzcapitalismo
6 SETTEMBRE 2019 – GIUSEPPE GAGLIANO
Giuseppe Gagliano continua la sua indagine su “Finanzcapitalismo” di Luciano Gallino, presentando oggi le strutture base della “civiltà mondo” a fondamento finanziario.
Come funziona il finanzcapitalismo e quali sono le sue strutture? Il braccio operativo del finanzcapitalismo è il sistema finanziario di cui si è dotato, formato da alcune componenti strutturali: le prime sono le grandi banche, intese come grandi società che operano in almeno una dozzina di settori di attività differenti e in ciascuno di questi controllano numerose società. Siamo quindi dinnanzi a immense reti societarie nelle quali si intrecciano inestricabilmente sia le funzioni che i titoli di proprietà. Questa componente “bancocentrica” del sistema finanziario, per quanto complessa, è composta da entità visibili ed opera in larga misura alla luce.
Una seconda componente del sistema finanziario chiamata finanza ombra risulta, al contrario della prima, praticamente invisibile alle autorità, quindi di fatto non regolabile. Le sue dimensioni, in termini di attivi, superano di molte volte gli attivi delle società finanziarie che di essa tengono i fili, sebbene sia arduo stabilire quale sia alla fine il totale degli attivi o dei passivi che sono in capo a ciascuna di esse. Una terza componente del sistema finanziario che sta a cavallo tra il sistema bancocentrico e la finanza ombra è costituita dagli investitori istituzionali (fondi pensione, fondi comune di investimento, compagnie di assicurazione, fondi comuni speculativi, detti hedge founds ovvero “fondi copertura”). Gli investitori istituzionali sono una delle maggiori potenze economiche del nostro tempo, gestiscono un capitale enorme e influenzano le sorti delle grandi corporation e dei bilanci statali.
La principale ragione per cui è corretto affermare che gli investitori finanziari si muovono a cavallo tra le altre due componenti del sistema finanziario è che tutte queste componenti sono collegate da scambi quotidiani di denaro e capitale che avvengono attraverso molteplici canali. In forza di queste tre componenti, fortemente interdipendenti, la mega-macchina del finanzcapitalismo è giunta ad asservire ai propri scopi di estrazione del valore ogni aspetto come ogni angolo del mondo contemporaneo. La politica ha finito con l’identificare i propri fini con quelli dell’economia finanziaria, adoperandosi con ogni mezzo per favorirne l’ascesa, abdicando così al proprio compito storico di migliorare la convivenza umana, governando l’aspetto economico e non viceversa.
In questo modo il finanzcapitalismo è stato elevato a sistema politico dominante a livello planetario, unificando tutte le civiltà preesistenti e svuotando di sostanza il processo democratico. Un’intera civiltà è stata asservita alla finanza dalla politica: nel corso del 2010, ad esempio, l’Unione Europea ha rischiato più volte un crack a causa dell’attacco che i gruppi di operatori della finanza ombra avevano sferrato al debito pubblico dei suoi stati e alla sua moneta. Basterà qui ripercorrere sommariamente i momenti salienti della crisi economica in atto, per comprendere l’enorme responsabilità che ha avuto la mancata regolazione del finanzcapitalismo: il debito pubblico e i deficit di bilancio erano cresciuti di parecchi punti percentuali a causa dei costi sopportati dagli stati per far fronte alla crisi del sistema finanziario, con rilevanti effetti depressivi sull’economia reale, iniziata nel 2007. Si può
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https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/il-finanzcapitalismo-secondo-luciano-gallino-2/
LA LINGUA SALVATA
SIGNMercato caratteristico dell’Oriente e dell’Africa settentrionale; negozio che vende grande varietà di merci, specie a poco prezzo
dal persiano bāzār ‘mercato’.
Gli amici che questa estate sono stati in Marocco o in Uzbekistan hanno visitato con pregustato stupore i mercati locali, e a distanza di seimilacinquecento chilometri si sono scattati foto molto simili fra i mucchi conici di polveri di spezie colorate e di frutta secca. Quelli che sono stati a Marrakech però ti raccontano del suq, quelli che sono stati a Samarcanda ti raccontano del bazar. Dove sta la differenza?
Forse il bazar è più spesso un mercato chiuso, mentre più di frequente il suq si sviluppa per delle vie, ma la differenza più gustosa non riguarda il luogo-mercato in sé, quanto la sfumatura con cui usiamo questi nomi. Il termine bazar è entrato nella nostra lingua da un sacco di tempo: le prime attestazioni sono addirittura della prima metà del Trecento. Per lunghi secoli è stato il nome d’elezione per i mercati orientali e nordafricani, ed è un fatto suggestivo: ‘bazar’ è un termine persiano,
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https://unaparolaalgiorno.it/significato/B/bazar
PANORAMA INTERNAZIONALE
IL PAPA NON È INFALLIBILE MA CONTESTABILE
Arturo Diaconale – 06 settembre 2019
A Papa Francesco non piacciono gli americani. Non solo quelli della destra cattolica Usa che lo attaccano e vorrebbero che si dimettesse seguendo l’esempio del proprio predecessore. Ma gli americani in genere. Quelli che non solo hanno inventato il consumismo ed esportato il capitalismo in tutti gli angoli del mondo, ma hanno fissato, con la dottrina Monroe, che a comandare nelle due Americhe debbono essere solo loro.
Tutto questo dimostra che Papa Francesco è un peronista di sinistra? Probabilmente sì. Ma la questione che si pone non è che il vicario di Cristo sia un convinto sostenitore di una teologia della liberazione in salsa peronista, ma che abbia come unico obiettivo quello di convertire l’intera Chiesa alla sua ideologia, disinteressandosi completamente delle conseguenze pratiche e concrete che la sua scelta produce sulle società del mondo occidentale.
Un laico può anche infischiarsene se la Chiesa diventa peronista di sinistra e per farlo scatena al proprio interno una sorta di crociata contro chi non accetta una conversione così radicale. Il mondo cristiano è sempre stato segnato da feroci guerre intestine. E se un Papa ed una parte delle gerarchie ecclesiastiche decidono di lanciare interdetti, scomuniche e quant’altro contro i presunti eretici, sono fatti loro. Ma un laico non può non rilevare come le guerre fratricide tra i cattolici abbiano
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Amazzonia, gli incendiari gridano al fuoco
di Manlio Dinucci
Ieri alleati, oggi nemici: i Paesi che hanno investito in Brasile, spronando l’industria a sfruttarne le ricchezze in modo sfrenato, ora denunciano i disastri di siffatto modello economico.
RETE VOLTAIRE | ROMA (ITALIA) | 3 SETTEMBRE 2019
FRANÇAIS PORTUGUÊS ENGLISH ROMÂNĂ ESPAÑOL TÜRKÇE NEDERLANDS
A capo della lobby “ruralista”, ossia delle industrie dell’agro-business, Tereza Cristina Corrêa da Costa Dias ha svolto un ruolo importante nell’elezione del presidente Jair Bolsonaro, che l’ha nominata ministro dell’Agricoltura.
Di fronte al dilagare degli incendi in Amazzonia, il vertice del G7 ha cambiato la sua agenda per «affrontare l’emergenza».
I Sette Grandi – Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Giappone, Canada e Stati uniti – hanno assunto, insieme all’Unione europea, il ruolo di vigili del fuoco planetari. Il presidente Macron, in veste di capo pompiere, ha lanciato l’allarme «la nostra casa è in fiamme». Il presidente Donald Trump ha promesso il massimo impegno statunitense nell’opera di spegnimento degli incendi. I riflettori mediatici si concentrano sugli incendi in Brasile, lasciando in ombra tutto il resto.
Anzitutto il fatto che ad essere distrutta non è solo la foresta amazzonica (per i due terzi brasiliana), ridottasi nel 2010-2015 di quasi 10 mila km2 l’anno, ma anche la foresta tropicale dell’Africa equatoriale e quella nell’Asia sud-orientale.
Le foreste tropicali hanno perso, in media ogni anno, una superficie equivalente a quella complessiva di Piemonte, Lombardia e Veneto. Pur differendo le condizioni da zona a zona, la causa fondamentale è la stessa: lo sfruttamento intensivo e distruttivo delle risorse naturali per ottenere il massimo profitto.
In Amazzonia si abbattono gli alberi per ricavarne legname pregiato
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https://www.voltairenet.org/article207515.html
Globalizzazione e stati nazionali
Giuseppe Germinario – 2 ottobre 2016 RILETTURA
PROLOGO
Questo intervento si prefigge di approfondire due tematiche: di tracciare approssimativamente le basi teoriche ed evidenziare i limiti di analisi e la sterilità dell’azione politica derivata da una di una di esse, la globalizzazione; di evidenziare, al contrario, la persistente vitalità di quello strumento e luogo di azione politica che è lo Stato e più in generale di sottolineare, forse sarebbe più corretto dire tentare di sottolineare alcune delle potenzialità offerte dalla teoria del conflitto tra agenti strategici; una chiave di lettura che consente analisi più complesse ed efficaci dei contesti e potrebbe offrire strumenti idonei a comprendere nei vari ambiti le dinamiche e le logiche di conflitto tra centri strategici e a individuare alcuni dei luoghi e delle modalità di formazione di nuovi agenti
LA GLOBALIZZAZIONE
Il tema della globalizzazione (G) comincia ad affiorare dagli ambienti accademici negli anni ’80. I progressi tecnologici, una vera e propria rivoluzione, sono i fattori scatenanti questa rappresentazione; l’implosione del sistema sovietico, il conseguente crollo del sistema bipolare e la permanenza degli Stati Uniti come unica virtuale superpotenza regolatrice ne sanciscono la primazia nel dibattito e confronto politico e nella analisi teorica. Poggia quindi su un contesto politico inedito per le dimensioni dello scenario e la profondità del processo, anche se, inteso più limitativamente come internazionalizzazione, è una situazione che in realtà si verifica ciclicamente nella storia.
Il processo di G implica una azione significativa sulle dimensioni del tempo e dello spazio. Il tempo di azione necessario all’azione tende ad azzerarsi; lo spazio operativo e di influenza degli attori tende invece ad estendersi all’intero pianeta. La detenzione e la capacità politica di sviluppo e utilizzo degli strumenti tecnologici moderni sono la condizione propedeutica indispensabile ad una azione efficace nelle due dimensioni.
Il processo di G consiste in un decisivo incremento delle correlazioni, delle interrelazioni, degli scambi, dei flussi di dati, prestazioni e merci su scala planetaria e tendenzialmente, almeno nelle interpretazioni primigenie senza la limitazione di particolari zone di influenza. Le decisioni politiche strategiche tendono quindi ad avere una valenza planetaria e il multilateralismo rappresenta la modalità di azione ideale a garantire la definitiva affermazione di tale processo. Il processo di G riguarda quindi l’ambito culturale, il sistema informativo e di trasmissioni dati, l’ambito economico, la ricerca scientifica e l’applicazione tecnologica e in maniera più controversa le rappresentazioni ideologiche e l’azione politica
La rappresentazione del processo di G offre due scenari guida principali con numerose varianti e gradazioni al loro interno:
Quello di impronta liberale-liberista. Un sistema reticolare i cui punti sono in grado di connettersi potenzialmente con tutti gli altri attraverso gli snodi senza particolari gerarchie o percorsi obbligati da terzi, specie politici. Il funzionamento ottimale del sistema prevede la presenza debole del sistema politico e dei suoi decisori, limitata per lo più alla regolamentazione esterna dell’insieme; i luoghi e gli strumenti operativi sono gli istituti sovranazionali sotto la supervisione e regolamentazione dei quali i singoli attori, in particolare gli stati, possono interagire tra loro; il criterio operativo diviene appunto il multilateralismo, il quale prevede la possibilità di relazione tra gli stati non strutturati in blocchi, sfere di influenza e alleanze predefinite ma all’interno di strutture e nel rispetto delle linee guida dettate dalle istituzioni internazionali. Parte integrante dello schema liberale, con alterne fortune, attualmente però in declino è la sua variabile progressista, ancora ostinatamente radicata nella sinistra con le seguenti linee guida: il rapporto tra attività politica ed attività economica è efficace e proficuo solo se le dimensioni delle istituzioni politiche corrispondono a quelle del mercato o siano almeno tali da poterne influenzare o regolamentare le dinamiche; attualmente la divaricazione tra il mercato globale e le istituzioni politiche troppo limitate territorialmente impedirebbero il controllo e l’indirizzo dei circuiti economici nonché la formazione di una società civile corrispondente alle dimensioni del mercato in grado di costruire formazioni politiche adeguate. Si assisterebbe quindi al primato assoluto dell’economico sul politico, al meglio ad una sorta di convivenza parallela tra i due ambiti. L’obbiettivo, in realtà l’aspirazione, diventerebbe quindi la “governance” e possibilmente l’istituzione del governo mondiale. Tra gli ispiratori più in auge di tale concezione, ma con un ascendente in declino, troviamo Habermas il quale in particolare individua nella storia una chiara tendenza alla giuridificazione dei rapporti umani e politici tra i paesi a scapito dell’uso diretto della violenza; la detta giuridificazione trae alimento dal riconoscimento di legittimità fondato attraverso la formazione di un “mondo vitale” comune imperniato su un linguaggio, un patrimonio culturale e valori comprensibili e condivisi tendenzialmente da tutti; l’insieme dell’attività degli uomini, con la significativa eccezione di quella economica, categoricamente separata dall’autore, è impregnata da questa prassi discorsiva. In realtà Habermas si rende conto del carattere utopico e larvatamente totalitario, nella fase conclusiva,
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http://italiaeilmondo.com/2016/10/02/globalizzazione-e-stati-nazionali/
Il gioco di Washington in Iran
di Thierry Meyssan
Ora è l’Iran, più che la Siria, il cuore dello scontro Est-Ovest. Ogni giorno il pubblico assiste incredulo ai quotidiani voltafaccia di Washington, in una pantomima che, a torto, sembra un’escalation che porterà i due Paesi a farsi guerra. Non è così. Per fortuna, questi due Grandi stanno dimostrando da 75 anni ragionevolezza, capaci ogni volta di tirarsi indietro prima di arrivare a distruggersi vicendevolmente.
RETE VOLTAIRE | DAMASCO (SIRIA) | 25 GIUGNO 2019
Apparentemente la tensione tra Washington e Teheran continua a salire. Come sua abitudine, il presidente Donald Trump fa il bello e il cattivo tempo. Il 21 giugno è arrivato persino a ordinare di bombardare l’Iran, salvo poi ravvisarsi pochi minuti prima che gli obiettivi fossero colpiti. Questo comportamento, che spesso ha avuto successo in Occidente, non può però influenzare la psicologia persiana [1]. Ma l’obiettivo è davvero impressionare l’Iran?
Per capire l’atteggiamento dei nordamericani non bisogna soltanto partire dalla loro politica mediorientale, bisogna anche considerare la loro politica su scala mondiale [2]. Più che la minaccia di un conflitto, attorno all’Iran ruota l’equilibrio Est-Ovest.
Dalla seconda guerra mondiale la prima preoccupazione degli Stati Uniti è la rivalità, un tempo, con l’Unione Sovietica, ora con la Russia. Sin dalla prima conferenza di Ginevra a margine del conflitto siriano (giugno 2012), Mosca si propone quale garante della pace nella regione, a fianco e su un piano di parità con Washington. Questo riequilibrio delle relazioni internazionali fu concepito sotto l’egida dell’ex segretario generale dell’ONU, Kofi Annan. L’accordo firmato a Ginevra – presenti gli altri Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, nonché la Turchia per la NATO, Iraq, Kuwait e Qatar per la Lega Araba, assenti però tutti i protagonisti siriani – non è durato più di una settimana. Il fallimento ha indotto Kofi Annan a ritirarsi dalla scena e ha portato i membri della NATO a entrare in guerra contro la Siria.
Il progetto, riesaminato il 24 giugno 2019 dai consiglieri per la Sicurezza Nazionale di Stati Uniti, Israele e Russia, è suscettibile di mettere fine alla strategia distruttiva Rumsfeld/Cebrowski [3]. Ovviamente, John Bolton ha fatto resistenza; Meir Ben-Shabbat ha fiutato l’aria che tira; Patrushev ha fatto dell’ironia, paragonando i vantaggi portati agli USA
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POLITICA
“Per il bene del Paese”? Ma basta scemenze! E ipocrisie…
Cristiano Puglisi – 4 settembre 2019
“Per il bene del Paese”. Non c’è frase utilizzata maggiormente a sproposito di questa, nel dibattito politico nazionale. Anche quest’ultimo Governo, il “Conte bis“, nasce perché tanti parlamentari hanno pensato soprattutto al “bene del Paese”. A dircelo sono loro stessi, deputati e senatori, quando intervistati sull’argomento. Lo stesso era accaduto con il Governo Monti, con il Governo Letta e con l’esecutivo giallo-verde recentemente fallito.
Tutti agiscono per il “bene del Paese”, insomma. Soprattutto quando c’è da sostenere un esecutivo posticcio.
Ma, in realtà, ogni volta che un politicante pronuncia quelle poche parole, la verità si suicida. O, meglio, viene uccisa. Perché è ridicolo far finta di ignorare che ci sono intere schiere di parlamentari che, in misura sempre maggiore di legislatura in legislatura, vengono catapultati sugli scranni della Camera e del Senato letteralmente dal nulla. Da qualche decina di voti su una piattaforma online, per fare un esempio concreto. Gente che, dall’oggi al domani e senza un’adeguata preparazione politico-culturale, si trova seduta su una comoda poltrona parlamentare in pelle rossa.
Così accade che, quegli stessi signori, una volta percepita e assaporata la lauta retribuzione, quando cade un Governo, si trovino posti di fronte al tragico dilemma: tornare a fare il disoccupato o a guadagnare, quando va
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http://blog.ilgiornale.it/puglisi/2019/09/04/per-il-bene-del-paese-ma-basta-scemenze-e-ipocrisie/
“Salvini va fermato”, c’è il Bilderberg dietro Conte
Tutto viene deciso il 30 maggio 2019, quando Matteo Renzi viene ospitato alla riunione segreta del gruppo Bilderberg: Salvini deve essere isolato
A cura di
–
7 settembre 2019
Col passare dei giorni e il susseguirsi degli eventi, il quadro si va delineando in modo più chiaro. Tutto viene deciso il 30 maggio 2019, quando Matteo Renzi viene ospitato alla riunione segreta del gruppo Bilderberg: Salvini deve essere isolato, il suo inarrestabile consenso popolare è diventato un pericolo, va fermato prima che sia troppo tardi. Il M5S non riesce più ad arginarlo. Vanno fermati Salvini e gli italiani. L’Europa franco-tedesca non può permettersi un’Italia che torni a competere economicamente, è già stato stabilito nel 1989, con i patti di Maastricht e gli accordi fra Mitterand e Kohl. L’Italia, mai più, deve tornare a crescere. Come intervenire?
Dall’interno, attraverso lo stesso M5S. Già a febbraio, durante il G7 a Davos, Conte era stato allertato e aveva chiesto aiuto alla Merkel. Ma nulla da fare, i sondaggi continuano ad essere a favore di Salvini e il M5S perde. Il M5S avvia quindi una politica di opposizione interna
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http://www.lunico.eu/salvini-va-fermato-m5s-al-soldo-del-piano-bilderberg/
5 Governi tecnici, la Lega chiede il voto
Conte dovrà presto fare i conti non solo e non tanto nelle aule di Camera e, soprattutto, Senato, ma anche con la composizione delle commissioni parlamentari, le cui presidenze sono fondamentali per l’attuazione del programma di governo e lo svolgimento regolare dei lavori
8 settembre 2019 di Fabrizio Santori*
(*articolo tratto da fabriziosantori.com)
Purtroppo, sta per nascere il governo “giallo-rosso”, il cosiddetto Conte2 e non vi nego la sensazione di disgusto per l’ennesima giravolta della politica italiana che darà vita a un Governo cucito su misura dall’Europa, fondato sul legame più becero che una classe dirigente può avere, quello alla poltrona. Un imbarazzo che caratterizza anche molti della base sia del Movimento 5 stelle, ma Vi assicuro dello stesso PD, dal momento che per anni e anni le due forze politiche si sono sparati fango senza indugi. Con l’inciucio Pd-5 Stelle l’ultimo brandello di credibilità della politica italiana se ne è andato per sempre. Prima bastava una stretta di mano che valeva più di una firma. I nostri nonni per un ideale erano pronti a tutto, perché consapevoli che l’esempio fosse la prima virtù. Altre storie, altra Italia. Non mi voglio però troppo soffermare sul loro “poltronismo” però una cosa va detta, si sta per chiudere questa pantomima dalle grandi motivazioni politiche istituzionali: le poltrone e la paura di andare al voto! E allora la domanda che sorge spontanea: la Costituzione Italiana tutela la volontà popolare? Il presidente della Repubblica, garante di tutto questo, dovrebbe fare la cosa più semplice del mondo in una democrazia: elezioni subito!
Ad inizio legislatura avevamo di fatto una situazione di ingovernabilità: da una parte il centrodestra con una maggioranza relativa dei parlamentari, dunque insufficiente, dall’altra il 5 Stelle, partito più votato dagli italiani. Impensabile per chiunque in buona fede sarebbe stato immaginare che il Capo dello Stato avrebbe rimandato il popolo alle urne dopo neanche qualche settimana. Cottarelli e qualche altro tecnico erano infatti già pronti e scaldavano i motori per fare un Monti-bis e trovare qualche maggioranza che li avrebbe sostenuti (e prima o poi, come avvenuto in questo caso con PD e 5 Stelle, l’avrebbero trovata). A quel punto Di Maio e Salvini si convincono che per evitare il disastro dei governi tecnici, unica via era quella di dar vita a un nuovo Governo, quello gialloverde. Anche perché riandare al voto in quel momento non avrebbe affatto garantito che dall’esito si sarebbe usciti con una maggioranza solida.
E’ stata una mossa coraggiosa quella di Salvini e determinante, sia per le buone cose che quel Governo ha fatto, sia perché ha messo nelle condizioni la Lega e Salvini di dimostrare il proprio valore, difendere provvedimenti apprezzati dalla popolazione e confermare alle Europee una crescita di oltre 20 punti percentuali. Oggi, chi parla di
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http://www.lunico.eu/5-governi-tecnici-la-lega-chiede-voto/
DODICI DOMANDE AD ALBERTO BAGNAI
di Leonardo Mazzei – 7 settembre 2019
Ancora a proposito della narrazione leghista sulla crisi
Al di là delle divergenze politiche chi scrive ha sempre avuto grande stima di Alberto Bagnai, ma la sua ricostruzione delle vicende che hanno portato alla fine del governo giallo-verde non fa certo onore alla sua intelligenza.
Capisco la scelta salviniana di intorbidire le acque — la propaganda ha le sue esigenze —, tuttavia da uno come Bagnai ci si aspetterebbe qualcosa di meglio del semplice accodamento ad una narrazione che fa acqua da tutte le parti. Una narrazione che include ovviamente alcune verità, occultandone però altre non meno importanti. Il tutto al solo patetico scopo di salvare la faccia a colui che l’ha persa.
Su tutto ciò ho già avuto modo di scrivere nei giorni scorsi, ma tornarci sopra non è inutile. Ed il testo di Bagnai ci dà l’occasione di andare al succo di diverse questioni, ponendo al senatore della Lega dodici precise domande.
PRIMA DOMANDA
Già il titolo del suo articolo, “Cronaca di una crisi annunciata“, vorrebbe dar l’idea che in fondo tutto era già scritto, che dunque — mossa di Salvini o meno — si sarebbe comunque arrivati in breve ad un governo M5s-Pd. Ecco allora la prima banalissima domanda: se così stavano le cose, perché agevolare quell’operazione aprendo la crisi con motivazioni ridicole (tipo, il “partito del sì” contro quello “del no”) che non spiegavano nulla agli italiani?
SECONDA DOMANDA
Naturalmente, Bagnai ha tutto il diritto di pensare che invece la crisi sia stata aperta con motivazioni chiare, precise e ben illustrate. Resta il fatto che se alla maggioranza delle persone così non è parso, un motivo ci sarà. Tuttavia la seconda domanda è un’altra: se ormai la situazione tra Lega ed M5s era già prima assolutamente incomponibile, che senso ha avuto la successiva riapertura ad un governo giallo-verde bis?
TERZA DOMANDA
Sulle prime due questioni il Nostro non dice nulla, mica si può criticare (neanche di striscio) l’ex ministro dell’Interno! Ma torneremo alla fase immediatamente precedente all’apertura della crisi più avanti. Adesso voglio invece seguire, passo dopo passo, gli argomenti dell’articolo in questione.
Bagnai inizia ricordando il lungo periodo (88 giorni) che portò alla nascita del governo giallo-verde nella primavera 2018. Curiosamente, ma non troppo, egli se la prende con Mattarella per non aver allora incaricato Salvini come leader della coalizione di destra (includente in posizione di spicco quel sovranista convinto che corrisponde al nome di Silvio Berlusconi), mentre glissa invece sul ben più grave veto posto nei confronti di Paolo Savona.
La cosa è rivelatrice assai. Mentre la critica a Mattarella sull’incarico a Salvini è infondata — il presidente della Repubblica è tenuto ad incaricare non il leader della coalizione di maggioranza relativa, ma colui che può ragionevolmente ottenere la maggioranza assoluta in parlamento — la mancata critica al diktat presidenziale del 27 maggio 2018 la dice davvero lunga.
Come se la cava sul punto il presidente della VI Commissione del Senato? Egli ci dice soltanto che venne:
«recepita la raccomandazione del Presidente della Repubblica di avere un Ministro dell’economia che non desse “un messaggio di allarme per gli operatori economici e finanziari”».
Tutto lì? Non è un po’ pochino? Non si ricorda Bagnai che a quel diktat (diktat, non raccomandazione), peraltro palesemente concordato con Bruxelles e Berlino, il leader dei Cinque Stelle rispose con la (più che motivata) richiesta di impeachment, mentre Salvini preferiva tacere? Questa è allora la terza domanda: perché la Lega non raccolse la sfida a Mattarella, accettando invece che quest’ultimo infiltrasse il governo con Tria e Moavero?
QUARTA DOMANDA
Subito dopo Bagnai ci parla dei problemi posti da quella che definisce “ibridazione tecno-politica“, degli strabordanti poteri del Ministero dell’economia, del ruolo che in esso hanno, specie nelle trattative con l’Ue, tecnici sostanzialmente inamovibili. Su tutto ciò non possiamo che essere totalmente d’accordo. Anzi, nel nostro piccolo fummo i primi a parlare, denunciandone il ruolo e la pericolosità, della Quinta Colonna mattarelliana capeggiata da Tria. Tuttavia, in quattordici mesi di governo la Lega e Salvini hanno alzato la voce sui migranti, la sicurezza, la legittima difesa, gli inceneritori, il Tav, il Tap, la famiglia, per avere più soldi al nord, per Israele e contro l’Iran. Come mai — quarta domanda — il problema Tria non è mai stato posto apertamente? Non sarà che ciò sia dipeso dalle contraddizioni interne della Lega?
QUINTA DOMANDA
Ad un certo punto della sua ricostruzione il Nostro ci dice che:
«I toni sono degenerati rapidamente con l’inizio della campagna elettorale per le elezioni europee».
Già, sono degenerati, ma a causa di chi? Chiaro che il suo riferimento, come
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REALISMO POLITICO E POPULISMO
DI TEODORO KLITSCHE DE LA GRANGE
Se c’è una corrente di pensiero che pare rinvigorita dal crescente successo populista è quella del realismo politico. A iniziare dall’affermazione programmatica di Trump America first per arrivare a quella di Salvini prima gli italiani, per continuare col fatto che i populisti parlano così con riguardo agli interessi della comunità, mentre le èlite globaliste prestano ossequio ai valori dell’umanità, in primo luogo i diritti umani; i primi prendono in esame individualità, fatti, misure concreti, possibili ed esistenti; i secondi guardano a valori, identità astratte e, al limite, costruzioni utopiche. Nel vero senso della parola “utopia” perché né alcuno ha mai visto come possa funzionare un potere politico (?) globale, cioè esercitato sull’umanità, né che forma possa assumere (federazione? impero? democrazia? tecnocrazia?).
Nel pensiero politico, in particolare quello moderno da Machiavelli in poi, il realismo ha contrapposto alle “immaginazioni” la realtà dell’analisi dei fatti valutati in base agli interessi e soprattutto ad una antropologia negativa, consistente nel non considerare gli uomini come buoni e razionali (né disposti a diventarlo), ma inclini spesso al male e alla irrazionalità.
Se per un non-realista il problema principale è di come costruire uno Stato conforme a certi valori e idee, per un realista è quello di farlo di guisa che possa esistere e durare a lungo, vincendo le avversità della fortuna. È la capacità di conseguire tale risultato il criterio per giudicare se lo Stato è “ben costituito”. Di converso anche se si fonda sui valori più condivisi, ma non riesce a sopravvivere, tenuto conto che altri governi di altri popoli pensano e cercano il potere e non la bontà delle istituzioni, tanto buonismo non sarà servito a nulla, perché non tradotto (né traducibile) in sintesi politiche durature.
Il che non significa che uno Stato debba (e possa) essere privo di valori (ogni comunità politica ha un proprio ethos), ma solo che prima di quelli viene la necessità dell’esistenza collettiva. L’unità politica è un essere
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http://italiaeilmondo.com/2019/09/07/realismo-politico-e-populismo-di-teodoro-klitsche-de-la-grange/
Messora: i golpisti tremano, se il popolo assedia quei palazzi
Scritto il 09/9/19
C’era un tempo in cui dentro a quei palazzi lavoravo anche io. Mi avevano chiesto di curare la comunicazione di un MoVimento che prometteva di restituire la sovranità ai cittadini, facendoli entrare nelle istituzioni. Avevo accettato, perché ci credevo e perché volevo guardarci dentro, a quella scatoletta di tonno. Ero a Montecitorio anche quel 20 aprile 2013, seduto a una scrivania con le finestre aperte, quando il Partito Democratico si rifiutò di votare Rodotà come nuovo presidente della Repubblica, e senza la minima vergogna fece rieleggere per un secondo mandato Giorgio Napolitano. Quel Movimento 5 Stelle, il “mio” Movimento, disse senza mezzi termini che si trattava di un golpe. Sul blog di Grillo uscì un post. Diceva: «Ci sono momenti decisivi nella storia di una nazione. Oggi, 20 aprile 2013, è uno di quelli. È in atto un colpo di Stato. Il M5S da solo non può però cambiare il paese. È necessaria una mobilitazione popolare. Io sto andando a Roma in camper, sarò davanti a Montecitorio stasera. Rimarrò per tutto il tempo necessario. Dobbiamo essere milioni. Non lasciatemi solo o con quattro gatti. Di più non posso fare. Qui o si fa la democrazia o si muore come paese».
Grillo non venne mai, sconsigliato sulla strada per Roma da una telefonata della Digos, che temeva morti e feriti. Ma nonostante la manifestazione fosse stata annullata, molti cittadini – non tanti, forse qualche migliaio – iniziarono ad affluire lo stesso tutti intorno a Montecitorio. Dovete sapere che quella piazza sembra grande, ma non lo è poi così tanto, e soprattutto è circondata da palazzi che si affacciano su strette viuzze, quelle che percorrono i parlamentari, ma anche i ministri e i funzionari, quando entrano ed escono dai loro uffici. Ero alla mia scrivania, dicevo, quando dalle finestre aperte iniziò a percepirsi qualcosa che non era il consueto brusio del traffico e del vociare dei passanti. Era qualcosa di diverso, di inaspettato. Come un rombo sordo, un boato latente, il lamento di un gigante distante, o l’eco della rabbia di eserciti lontani che avanzavano inesorabili. Un’occhiata fuori dalle strette finestrelle del palazzo dei gruppi parlamentari e fu immediatamente chiaro di cosa si trattasse: un fiume di persone che, viste tutte insieme, perdevano i tratti distintivi dell’individualità e acquisivano quelli di un nuovo organismo forte, inarrestabile e minaccioso, una unica e indistinta unità che stava riempiendo ogni piazza ed ogni strada, e confluiva intorno alla Camera e a Palazzo Chigi, circondandoli da ogni lato. E più persone arrivavano, e più sembravano un letto di lava che si spostava lento ma che prendeva ineluttabilmente il controllo di ogni cosa.
Lo ricordo ancora, quel suono … l’urlo di un mostro ferito, cento stadi che
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https://www.libreidee.org/2019/09/messora-i-golpisti-tremano-se-il-popolo-assedia-quei-palazzi/
Da Wall Street a Palazzo Chigi
Alessandro Gilioli – 4 settembre 2019
Se vogliamo provare a capirci qualcosa dell’attuale fase politica italiana ma non solo, potremmo utilmente leggere o rileggere il documento uscito il 19 agosto dalla Business Roundtable, l’associazione che riunisce i 181 capi delle principali corporation quotate americane, insomma i padroni di wall Street, la crème del famoso uno per cento.
Del documento si è un po’ parlato anche qui da noi, per quanto sia stato pubblicato quando eravamo già nel pieno della nostra crisi politica – il Papeete, Renzi, le capriole multiple etc.
Per capirci, dopo 35 anni di capitalismo selvaggio i padroni dell’economia ci hanno fatto sapere che compito delle aziende è «dare beneficio a tutte le parti interessate: clienti, dipendenti, fornitori, comunità e azionisti».
“Gli azionisti” citati tra gli altri e pure per ultimi, il che è un rovesciamento completo rispetto al mantra che tutti i dirigenti e gli amministratori delegati ci hanno recitato per decenni: noi dobbiamo fare solo l’interesse dei nostri azionisti, ci pagano per questo, al resto semmai pensi la politica ma meno ci pensa meglio è, basta lacci e laccioli,
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http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2019/09/04/da-wall-street-a-palazzo-chigi/
Carpeoro: Salvini cala? Entro 90 giorni si torna a votare
Scritto il 09/9/19
«Il Conte-bis durerà appena tre mesi: entro 90 giorni lo scenario-elezioni diventerà probabile al 99%». Lo afferma Gianfranco Carpeoro, attento osservatore dei retroscena italiani. L’indizio: l’erosione del consenso di Salvini, ora che non è più sovraesposto, sui media, come ministro dell’interno impegnato nello stop agli sbarchi dei migranti. Il ragionamento: non appena i sondaggi confermeranno il trend – sfavorevole alla Lega, e con piccoli segnali di ripresa per la concorrenza – Pd e 5 Stelle romperanno il patto per tornare alle urne. Se questo accadrà «a fine anno, o al più tardi a gennaio», sullo sfondo sarà presente un convitato di pietra, Mario Draghi, che a novembre si sarà disimpegnato dalla guida della Bce. Già nei mesi scorsi, Carpeoro aveva segnalato l’esistenza di un piano-Draghi: forti pressioni sul super-banchiere, da parte delle superlogge più reazionarie, per spingerlo verso Palazzo Chigi. Ipotesi che secondo alcune fonti Draghi non gradirebbe, mirando il realtà al Quirinale, dopo Mattarella (e un uomo accorto come Draghi sa benissimo che la guida del governo potrebbe renderlo impopolare, fino a precludergli il Colle). Per contro, con le elezioni antcipate Zingaretti si libererebbe di Renzi.
Più che le trame della sovragestione internazionale – dice Carpeoro, in streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – potrebbero pesare molto, nella partita italiana, gli interessi di bottega dei partiti in lizza. «Nessuno di questi, nemmeno la Lega, ha una visione strategica della situazione: nessuno dice come vorrebbe l’Italia tra dieci anni, e il peggio è che a non chiederglielo sono proprio gli italiani, in primis, che si accontentano di aspetti superficiali e irrilevanti». Esempio: «Può spostare voti il solo fatto che Di Maio si faccia fotografare mano nella mano con la fidanzata». Idem, ieri, le “barricate” di Salvini contro gli sbarchi: «E’ semplicemente da coglioni – dice Carpeoro, letteralmente – pensare che un problema come l’immigrazione si possa
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SCIENZE TECNOLOGIE
Nicola Porro e il riscaldamento climatico: “Ecco il libro che smonta tutte le balle”
8 Settembre 2019
Nella sua rubrica su Il Giornale Nicola Porro tesse le lodi di un libro che fa a pezzi tutte le teorie ambientaliste e le leggende metropolitane. E’ scritto dal prof. Ernesto Pedrocchi, professore emerito di Termodinamica Applicata e di Energetica al Politecnico di Milano.
Da diversi anni il professore milanese studia il problema dei cambiamenti climatici e ha recentemente pubblicato un volumetto sul tema: Il Clima Globale Cambia. Quanta Colpa ha l’Uomo? (2019, Esculapio Editore, pp. 122, €18). La risposta è: poco o nulla.
Porro nota che Pedrocchi era uno degli otto scienziati promotori
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STORIA
Justin Trudeau ha bisogno di una lezione di storia
di Michael Jabara Carley
Mentre, dopo tre quarti di secolo, il governo polacco chiede alla Germania i danni di guerra, la stampa internazionale sottolinea la responsabilità sovietica nella Seconda guerra mondiale. Questo significa dimenticare che per sei anni l’URSS tentò invano di formare un’alleanza contro il nazismo. Significa anche dimenticare che nel 1938 l’alleanza di Gran Bretagna, Francia e Polonia con la Germania nazista e l’Italia fascista smembrò, con gli accordi di Monaco, la Cecoslovacchia a favore di Germania e Polonia. In realtà l’accordo tedesco-sovietico del 1939 che spartì la Polonia fu conseguenza dell’antisovietismo europeo.
RETE VOLTAIRE | MONTRÉAL (CANADA) | 6 SETTEMBRE 2019
Il 23 agosto, l’ufficio del Primo Ministro canadese ha rilasciato una dichiarazione per ricordare il cosiddetto “giorno del nastro nero” [Black Ribbon Day], una festività fasulla, istituita nel 2008-2009 dal Parlamento Europeo per commemorare le vittime del “totalitarismo” fascista e comunista e la firma, nel 1939, del Patto di Non Aggressione Molotov-Ribbentrop. Vari gruppi politici di centrodestra all’interno del Parlamento Europeo, insieme all’Assemblea Parlamentare della NATO (cioè gli Stati Uniti) avevano avviato o appoggiato l’idea. Nel 2009, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, riunita in Lituania, aveva anche approvato una risoluzione “che equiparava i ruoli dell’URSS e della Germania nazista nel dare inizio alla Seconda Guerra Mondiale.”
La dichiarazione del Primo Ministro Justin Trudeau è sulla stessa linea. Eccone un estratto: “Il Black Ribbon Day ricorda il cupo anniversario del Patto Molotov-Ribbentrop. Firmato tra l’Unione Sovietica e la Germania nazista nel 1939 per dividere l’Europa Centrale e Orientale, questo famigerato patto aveva posto le basi per le spaventose atrocità che questi regimi avrebbero commesso. Nella sua scia, hanno spogliato le nazioni della loro autonomia, hanno costretto le famiglie a fuggire dalle loro case e hanno fatto a pezzi intere comunità, comprese le comunità ebraiche, rom, ed altre. I regimi sovietico e nazista hanno causato indicibili sofferenze alle popolazioni di tutta Europa, con milioni di persone assassinate senza alcun motivo e private dei loro diritti, libertà e dignità.”
Come affermazione che pretende di riassumere le origini e lo svolgimento della Seconda Guerra Mondiale, questa è una parodia degli eventi reali degli anni ’30 e del periodo di guerra. È una “storia falsa” motivata politicamente; in realtà è tutta una trama di bugie.
Cominciamo dall’inizio. Alla fine di gennaio del 1933 il presidente Paul von Hindenburg aveva nominato Adolf Hitler Cancelliere tedesco. In pochi mesi, il governo di Hitler aveva messo fuorilegge i partiti comunisti e socialisti tedeschi e aveva dato inizio all’instaurazione di uno stato nazista a partito unico. Fino ad allora, il governo sovietico aveva mantenuto relazioni tollerabili o comunque corrette con la Germania di Weimar, nata con il trattato di Rapallo del 1922. Il nuovo governo nazista aveva però abbandonato la linea politica [del precedente governo] e aveva lanciato una campagna propagandistica contro l’Unione Sovietica e contro i suoi diplomatici, i suoi operatori commerciali e contro i rappresentanti delle sue imprese che operavano in Germania. A volte, gli uffici commerciali sovietici venivano messi a soqquadro e il personale maltrattato dai teppisti nazisti.
A Mosca era suonato il campanello d’allarme. I diplomatici sovietici e, in particolare, il Commissario per gli Affari Esteri, Maksim M. Litvinov, avevano letto il Mein Kampf di Hitler, il suo progetto per il dominio tedesco dell’Europa, pubblicato a metà degli anni ’20. Il libro era diventato un bestseller in Germania e non poteva mancare sulla mensola del caminetto o sul tavolo del soggiorno di qualsiasi casa tedesca. Per chi non lo sapesse, il Mein Kampf definiva gli Ebrei e gli Slavi come Untermenschen, sub-umani, buoni solo per la schiavitù o la morte. Gli Ebrei non sarebbero stati gli unici obiettivi del genocidio nazista. I territori sovietici verso est, fino agli Urali, dovevano diventare tedeschi. Anche la Francia veniva citata come un nemico abituale che doveva essere eliminato.
“Che cosa ne pensate del libro di Hitler?” Litvinov chiedeva spesso ai diplomatici tedeschi a Mosca. Oh, rispondevano, non fateci caso. Hitler non ha veramente intenzione di fare quello che ha scritto. Litvinov, in risposta a simili affermazioni, sorrideva educatamente, ma non credeva ad una parola di quello che sentiva dire dai suoi interlocutori tedeschi.
Nel dicembre 1933, il governo sovietico aveva ufficialmente istituito una nuova politica di sicurezza collettiva e di mutua assistenza contro la Germania nazista. Che cosa significava esattamente questa nuova politica? L’idea sovietica era di ripristinare l’Entente antitedesca della Prima Guerra Mondiale, composta da Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e, sì, persino dall’Italia fascista. Sebbene non pubblicamente dichiarato, questa era una politica di contenimento e di preparazione alla guerra contro la Germania nazista, se il contenimento fosse fallito.
Nell’ottobre 1933 Litvinov si era recato a Washington per mettere a punto i termini del riconoscimento diplomatico americano dell’URSS. Aveva discusso con il nuovo presidente degli Stati Uniti, Franklin D. Roosevelt, sulla sicurezza collettiva contro il Giappone imperiale e la Germania nazista. Iosif Stalin, il capo di Litvinov a Mosca, aveva dato la sua approvazione
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