RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 1 AGOSTO 2022
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Io non porto rancore, lo custodisco
DIEGO DE SILVA, Superficie, Einaudi, 2018, pag. 60
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SOMMARIO
La distinzione fra banche e industriali e l’offerta di lavoro.
PREPARIAMOCI AL SANGUE!!!
Bussola
FRANCIA, IL GREEN PASS ESCE DALLA PORTA E RIENTRA DALLA FINESTRA
Telefonate moleste: stop dal 27 luglio
Coppie di potere e propaganda politica.
I FONDI PROMUOVONO DELOITTE
Jus sòla
Che costa sta succedendo tra Serbia e Kosovo
La Cina aumenta gli aiuti alla Siria di Assad, allarmando i funzionari della difesa israeliana
I messaggi dell’esercito cinese “Preparati per la guerra!”
MOSCA DEVE CHIEDERE CONTO A ISRAELE DELL’OMICIDIO DEI MILITARI RUSSI IN SIRIA
LAVROV: LA MESSA IN SCENA COME METODO DELLA POLITICA OCCIDENTALE
NANCY PELOSI IN VISITA A TAIWAN? USA PRONTI AD AUMENTARE LE FORZE NELLA REGIONE
Prove di Democrazia Rappresentativa
Schmitt e la guerra
Cosa sono capaci di inventarsi pur di non perdere il potere
Imposta patrimoniale per finanziare la riduzione del CO2. La via verde al comunismo pauperista
ONU e Forum di Davos dietro la “guerra agli agricoltori” globale
“IL PAREGGIO DI BILANCIO IN COSTITUZIONE”
Il pareggio di bilancio in Costituzione
I SETTORI PIU’ IN CRESCITA NELL’ULTIMO MESE
CAPITALIZZAZIONE DEGLI INTERESSI: ANATOCISMO BANCARIO
Ma mi faccia il piacere
Pecora
GRATTERI: “IL PARLAMENTO È GESTITO DA DIECI PERSONE E DRAGHI È SOLTANTO UN ESPERTO DI FINANZA”
Fratelli d’Italia, i consigli di Giulio Tremonti a Giorgia Meloni
MELONI LA ASPEN E CHATHAM HOUSE
Sì, la partita è truccata
Rossa, l’è rossa! La pastasciutta antifascista
L’affondo di Veneziani: “Alla sinistra resta solo un’egemonia subculturale da Ztl snob e presuntuosa”
Marcello Veneziani: «Vi spiego perché la sinistra è una cupola»
USA: IN ARRIVO PURE LE MOSCHE NEUROCOMANDATE
I 5 minuti in cui Mearsheimer descrive la traiettoria aggressiva degli Stati Uniti dalla loro nascita ad oggi
La storia segreta dei diplomatici e delle armi invisibili
L’IGIENE NEL SETTECENTO IN EUROPA
EDITORIALE
La distinzione fra banche e industriali e l’offerta di lavoro.
Manlio Lo Presti 1 08 2022
IN EVIDENZA
PREPARIAMOCI AL SANGUE!!!
Una bilancia commerciale europea passiva da mesi, abbinata all’aumento dei tassi di interesse ed al fenomeno inflattivo in corso, qualora i governi europei continuino con le stesse “folli” politiche di austerità, potrebbe veramente condurci ai drammatici disordini sociali che mai vorremmo vedere.
di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Veniamo subito al punto, il transatlantico rappresentato della UE così com’è strutturato, non può navigare in presenza di una bilancia commerciale dell’Unione, stabilmente con segno negativo.
La folle e dogmatica struttura dell’Eurozona che prevede il seguire pedissequamente le regole dei trattati, quali il fiscal compact ed il pareggio di bilancio, non consente a livello matematico e contabile, ai popoli ed agli stati che la compongono, di avere vita al di fuori di una politica economica strettamente mercantilista.
Con la Banca Centrale Europea indipendente dai governi dei paesi membri, alla quale per regolamento non è consentito finanziare direttamente i deficit dei governi stessi, i flussi di soldi – per finanziare una sperata crescita nella migliore delle ipotesi o per mantenere un minimo di equità sociale per non giungere al peggio – possono arrivare soltanto dal conseguimento di surplus commerciali con i paesi fuori dall’eurozona.
Questo assunto lo si può comprendere, in modo semplice ed efficace, studiando la contabilità dei bilanci settoriali che compongono un sistema economico – cosa che la Modern Monetary Theory spiega alla perfezione.
Per chi volesse approfondire consiglio questo breve articolo (“I bilanci settoriali”), che vi aggiungo anche nelle note in fondo all’articolo. [1]
Stiamo parlando di macroeconomia e per capirne i concetti è necessario comprendere profondamente due aspetti essenziali:
– Come è costituito un sistema economico;
– Che cos’è e come funziona la moneta;
Una volta compresi questi due punti, tutto il resto non è altro che una conseguenza naturale.
La moneta sappiamo bene che è un monopolio dello Stato e che per essere ritirata tramite la tassazione, occorre che prima lo Stato stesso (settore governativo), l’abbia immessa nel settore privato attraverso la spesa pubblica. Non c’è logica nel comune concetto, profuso dal main-stream, nel quale si tenta di far credere che uno Stato monopolista della moneta, debba prima procurarsi la moneta stessa per finanziare la sua spesa. Un soggetto, primo ed unico emettitore di un qualcosa, non può richiedere quel qualcosa indietro se prima non l’abbia lui stesso fornita. Spero che su questo concetto non debba esserci più nessun dubbio, anche se molti ancora, sfidando le leggi della fisica, vengono indotti a credere il contrario.
L’altro aspetto, che però dovete aver ben chiaro per capire l’analisi del mio articolo, è il funzionamento dei bilanci settoriali.
In breve, parlando del funzionamento di un sistema economico: per ogni singola nazione si può delineare un perimetro virtuale. Tutto quello che rimane all’esterno rappresenta il resto del mondo, mentre all’interno del perimetro troviamo tutti i soggetti economici che costituiscono quella nazione: i cittadini, le aziende, le banche, il Governo e la Banca Centrale.
Questi soggetti vanno a costituire due settori distinti:
– il settore governativo (o pubblico), composto dal Governo e dalla Banca Centrale
– il settore privato: composto da famiglie (cittadini), imprese e banche
L’interfaccia con le altre nazioni invece va a costituire ilsettore estero.
I tre sottosistemi (pubblico, privato ed estero) interagiscono tra loro attraverso flussi di ricchezza. Ogni settore ha pertanto entrate ed uscite che possono essere schematizzate come nell’esempio della figura postata qua sotto:
La cosa che dovete avere ben chiara, è che la somma algebrica di tutti i flussi finanziari che caratterizzano i tre settori equivale sempre a zero.
Compreso questo possiamo andare avanti con le tesi dell’articolo.
In Europa, quindi (a causa della sua struttura ampiamente esposta), non ci può essere crescita e quindi accumulo di mezzi finanziari netti, eccetto che questi non provengano dal settore estero.
Ovvero, la UE per crescere ha necessità che qualcuno fuori dal continente vada in deficit per consentirne il suo surplus. Questo è un concetto strettamente contabile, sul quale credo nessuno possa obbiettare. Il surplus commerciale, ovvero esportare di più di quello che importiamo, è la caratteristica richiesta ad uno Stato, per attuare appunto quella politica così detta “mercantilista”.
Certo, qualcuno potrebbe obbiettare che la crescita possa avvenire anche attraverso il credito bancario. In linea di principio l’osservazione è giusta, ma come sapete, la moneta credito trattasi di debito ed in quanto tale prevede a scadenza la sua totale restituzione, quindi nel lungo periodo non cambia la quantità netta di mezzi finanziari all’interno del settore privato. Oltre al fatto, come ben sappiamo, la concessione del credito da parte delle banche segue il ciclo dell’economia ed in caso di crisi economiche come ad esempio quella attuale, gli istituti di credito chiudono i loro rubinetti e quindi non sono in grado di sostenere l’economia a livello finanziario.
Se mi avete seguito fin qua nel ragionamento, potrete anche facilmente constatare la “pura follia” di questo tipo di politica, la quale si scontra chiaramente con l’impossibilità logica, matematica e contabile, di poter essere attuata contemporaneamente da tutti i paesi del mondo.
Insomma, tanto per essere più chiari, non possiamo fare in modo che tutto il mondo sia caratterizzato da esportatori se prima non troviamo qualcuno disposto ad importare, da qualche altro pianeta o galassia dell’universo.
Quindi eccoci qua, abbiamo una Unione Europea, che si rifiuta categoricamente di porre in essere quelle politiche fiscali che mirano alla piena occupazione ed alla crescita di un benessere diffuso. Abbiamo una Banca Centrale completamente indipendente dai governi – i quali, come sappiamo, sono gli unici preposti, attraverso le politiche fiscali a perseguire tali obbiettivi – oltre al fatto di garantire i debiti pubblici a fasi alterne. E’ infatti palese che la BCE, in fatto di garanzia del debito, operi su preciso indirizzo dell’élite, solo ed esclusivamente quando ricorrono le esigenze di salvare la moneta euro (QE e scudo anti-spread) e non per salvare il lavoro, le famiglie e le imprese. [2]
A questo dobbiamo aggiungere il rialzo dei tassi messo in atto dalle banche del blocco occidentale, che porterà a breve aziende e famiglie a vedersi aumentare le rate dei propri finanziamenti e gli stati membri a dover pagare più interessi sul debito pubblico, soldi che sempre in virtù del rispetto dei famosi parametri, verranno presi dalle tasche degli italiani.
Infine, ma non ultimo, il fenomeno inflattivo in corso che di fatto sta colpendo in modo preciso e “scientifico” le classi a più basso reddito che dopo 30 anni di euro, sono la maggioranza del paese. Non dimentichiamoci che già da uno studio di Bankitalia redatto agli inizi del 2021 (quindi prima del fenomeno inflattivo in corso), venne fuori che 6 famiglie su dieci nel nostro paese, non arrivavano a fine mese. [3]
Guardate nel grafico qua sotto, cosa ci diceva già nel 2015 la CIA World Factbook riguardo alle percentuali di popolazione che vive sotto la soglia della povertà nei paesi europei. E stiamo parlando di uno studio che proviene dalla CIA, ovvero da personaggi che, opinione comune, non sono qualificati come dei santi missionari.
Ho usato il termine “scientifico” nel descrivere la caratteristica del fenomeno del caro-prezzi che sta colpendo il mondo occidentale e l’Europa in particolare nei settori strategici dell’energia ed a più alta diffusione inflattiva come quello alimentare, proprio perché dietro al fenomeno stesso si nasconde sempre la voluta e delinquenziale mancanza delle necessarie politiche fiscale dei governi.
Come spesso ricordato, sono i governi stessi (in quanto emettitori della moneta e quindi, primi a spendere), a determinare i livello dei prezzi. Di conseguenza, deve essere chiaro a tutti, che la sanguinosa speculazione in atto da parte di chi gestisce, in regime pressoché di monopolio certi settori, è messa in atto solo perché i governi stessi acconsentono loro di farlo.
Qualsiasi governo attraverso la politica fiscale e con il sostegno della Banca Centrale, è perfettamente in grado di sostenere i redditi più bassi, sia attraverso sussidi che riportando i prezzi ad un livello desiderato, in modo che il sistema economico possa essere florido e non far sì che si infili in una recessione senza fine.
Ma questo sappiamo bene che in Europa non avverrà mai….. e men che meno in Italia, dove la nostra classe dirigente, completamente inginocchiata a Mario Draghi, risponde in toto ai poteri profondi del nostro paese, i quali non hanno la minima intenzione di rinunciare a questo sistema predatorio messo in atto ai danni della gente, ormai attivo e ben oliato da tre decadi. Un sistema predatorio che vede nell’euro e le sue regole, l’arma di distruzione per eccellenza.
Mai la nostra élite accetterà di uscire dalla moneta unica se non costretta da forze esterne potenti ed estremamente convincenti.
Allora, non ci rimane che attendere il sangue, solo quello forse e purtroppo, potrà fare in modo che la gente comprenda quanto sia grave a livello economico e sociale la situazione nel nostro paese.
NOTE
[1] I bilanci settoriali – COMPRENDERE IL MONDO (comprendereilmondomoderno.com)
[3] Famiglie ridotte alla fame: 6 su 10 non arrivano a fine mese – Il Paragone
FONTE: https://megasalexandros.it/prepariamoci-al-sangue/
Bussola
di Paolo Bartolini – 29 07 2022
Provo a mettere a fuoco – se proprio dobbiamo essere realisti senza rinunciare al seme dell’utopia – come pensare l’azione politica in Italia dall’ottobre 2022. Le elezioni, con grande probabilità, daranno vincente il centro-destra. Rischi di una manomissione della Costituzione ce ne sono, come anche di un aggravarsi delle condizioni di vita degli ultimi e penultimi. Sull’essenziale (guerra e posizioni filo-NATO, culto dei mercati capitalistici, gestione autoritaria delle emergenze, sostanziale indifferenza per i cambiamenti climatici, politiche contro i lavoratori, privatizzazioni selvagge) centro-sinistra e centro-destra concordano, quindi non c’è altro da dire o da fare. Nel nostro Paese serve un terzo polo esplicitamente antiliberista, capace di far fronte alle crisi sistemiche che ci precipiteranno in anni alquanto difficili. Chiunque abbia a cuore le sorti dei ceti medi e popolari, e sappia lasciare da parte narcisismi ed esitazioni, ha davanti a sé questi compiti (dentro e soprattutto fuori dal Parlamento):
– Creare reti di solidarietà diffuse, per affrontare i danni generati dalla guerra in Ucraina e dalle sanzioni boomerang “contro la Russia”. Il mutuo aiuto dovrà assumere una rinnovata centralità se vogliamo tenere botta ed evitare la moltiplicazione dei capri espiatori utile solo a stornare l’attenzione e a canalizzare la rabbia sui poveri cristi.
– Sostenere le lotte ecologiche e per il lavoro dignitoso ovunque si sviluppino, creando sempre più cooperazione tra lavoratori e giovani ambientalisti.
– Sostenere le piccole e medie imprese a rischio (tante) purché rispettino i diritti dei lavoratori e quelli ambientali.
– Contribuire a rafforzare e rilanciare il movimento pacifista in Italia.
– Sostenere tutte le lotte per la difesa dei beni comuni.
– Produrre una cultura della sostenibilità e della critica costruttiva: senza una rivoluzione culturale mancheremo il bersaglio.
– Tessere e ritessere rapporti tra soggetti diversi colpiti dalla sindemia Covid-19 e dalla gestione governativa del fenomeno. Favorire il dialogo tra di loro, superando le demonizzazioni incrociate. Senza una convergenza sul netto rifiuto di strumenti come il green pass, perderemo l’occasione di compattare una resistenza trasversale al capitalismo dell’emergenza e ai suoi dispositivi finalizzati a lasciare intoccati i problemi strutturali della sanità e a generare polarizzazioni distruttive tra cittadine/i.
– Promuovere e supportare tutte le forme efficaci di economia alternativa e solidale sui territori.
– Diffondere informazioni e fonti credibili per limitare lo strapotere tossico dei mass media; lavorare per decontaminare l’immaginario contemporaneo.
– Fare pressione sui partiti, con tutti i mezzi consentiti, per definire un salario minimo decente, un reddito di base garantito e occupazione di qualità (con riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario), nonché per investire massicciamente sulla sanità pubblica e sulla medicina territoriale.
Gli astenuti, laddove siano tali per scelta e non per qualunquismo e disinteresse, vanno recuperati alla democrazia. Non è però possibile farlo creando in due mesi un nuovo partito. Va bene anche questo per dare un minimo di rappresentanza politica, ma la fiducia si costruisce nel tempo, agendo insieme, lottando, crescendo in umanità. Vedo anni oscuri all’orizzonte. Solo una concomitante trasformazione personale e sociale potrà liberarci dalle catene dell’angoscia, della fretta, del senso di sconfitta.
Credo che ci aspettino tempi di resistenza nei quali alleati e avversari non saranno immediatamente riconoscibili secondo le vecchie coordinate della politica ottocentesca e novecentesca. Navigheremo a vista, ecco perché ho provato a darmi una bussola. Se ha senso oggi pensare a intellettuali organici, ecco voglio sentirmi organico a questo scenario non dogmatico di costruzione di un’alternativa al tecno-capitalismo. Ognuno porti quello che può e che sa. Avremo bisogno di tutte e tutti.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/23538-paolo-bartolini-bussola.html
FRANCIA, IL GREEN PASS ESCE DALLA PORTA E RIENTRA DALLA FINESTRA
Nei palazzi del Potere il topolino partorisce la montagna
Mentre il 20 luglio 2022 tutti gli occhi erano puntati sulla giornata lavorativa di Mario Draghi a palazzo Madama, in un altro palazzo si consumava un’insidiosa operazione di depistaggio “biopandemico” (1).
Al palais du Luxembourg, sede del Senato francese, si è approvata nella notte del 20 luglio 2022, con 236 voti favorevoli e 27 contrari, una modifica al « Progetto di legge per il mantenimento provvisorio di un dispositivo di veglia e di sicurezza sanitaria in materia di lotta contro la covid-19 » (2) che, tradotto in soldoni, significa nuove restrizioni covid all’orizzonte. Nella sua versione iniziale del 4 luglio 2022, sottoposta al vaglio dell’Assemblée nationale dal Governo, il progetto di legge sull’aggiornamento delle misure covid-19 era curiosamente piuttosto succinto (3). Conteneva solo due articoli, anche se esplicitamente vessatori delle libertà personali : l’art. 1 prevedeva una nuova proroga al 31 marzo 2023 dello Stato di emergenza sanitaria; l’art. 2 concedeva al Primo ministro, nel periodo 1 agosto 2022 – 31 marzo 2023, in caso di recrudescenza epidemica, la facoltà di imporre a mezzo decreto l’uso del green pass per l’ingresso in territorio francese o tra le sue diverse dislocazioni geografiche (i.e. Francia continentale, Corsica e territori/domini d’oltremare).
Ad un esame attento dei fatti, risulta altamente probabile che queste due caratteristiche, concisione ed esplicita contrazione delle libertà, non erano frutto del caso, ma rientravano in un gioco di ruoli diviso in tre atti, di cui il primo andato in scena a Matignon, sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il secondo atto si compie nella notte tra il 12 e il 13 luglio 2022 quando, in uno slancio eroico, l’Assemblée nationale, ossia Camera dei deputati francese, sembra aver annichilito la barbarie pandemica cassando l’odioso art. 2.
I principali organi di reinformazione, controinformazione e informazione al minimo sindacale, scegliete voi la formula che più vi aggrada, si appropriano della notizia e titolano solennemente che il Governo francese ha subito uno smacco (4).
Ne siamo certi? Verosimilmente ottenebrate dall’entusiasmo, queste testate giornalistiche sembrano essersi dimenticate di analizzare il testo emendato, dal quale avrebbero ricavato che l’art. 2 è stato, sì, soppresso, ma non senza l’aggiunta di un nuovo articolo, il 3, qui di seguito tradotto :
Comma 1 : Entro tre mesi a partire dalla promulgazione della presente legge, il Governo presenti al Parlamento una valutazione del quadro giuridico di risposta alle minacce, crisi o catastrofi sanitarie al fine di definire, ove necessario, un quadro duraturo, anche in riferimento al trattamento di dati a carattere personale. Comma 2 : Questo rapporto espone esaustivamente le misure prese dal Governo al fine di lottare contro la diffusione dell’epidemia di covid-19 a partire dal 1 gennaio 2020. Esso analizza il loro impatto, in termini di efficacità o di costi, sulla propagazione dell’epidemia, sul sistema sanitario, sullo stato di salute della popolazione, sull’adesione della popolazione alla vaccinazione contro la covid-19, così come sull’economia e le finanze pubbliche. Comma 3 : Questo rapporto può fare l’oggetto di un dibattito in commissione permanente o in seduta pubblica, entro un termine di 30 giorni a partire dal suo deposito (5)
Come si evince dall’art. 3, è fatta richiesta al Governo di presentare al Parlamento, entro tre mesi dalla promulgazione della legge in questione, un rapporto inteso a ricostruire l’insieme delle misure di contrasto alla diffusione del SARS-CoV-2 prese dall’Esecutivo a partire dal gennaio 2020, per valutarne l’efficacia e l’eventuale codificazione in vista di future crisi o catastrofi sanitarie.
In poche parole, la Camera dei deputati affossa il green pass base ed il super green pass creando però, nel contempo, il contesto dal quale potrebbe scaturire la messa a regime (« un quadro duraturo ») delle misure prese dal Governo, tra le quali si attesta anche il famigerato green pass. Il Governo non avrebbe potuto sperare in un iter legislativo migliore!
Nondimeno, è con il terzo atto che il cerchio molto probabilmente si chiude.
Esso si svolge al palais du Luxembourg.
Diversamente dall’Italia, il bicameralismo in Francia non è perfetto, per cui al Senato è demandato il compito di partecipare al processo legislativo senza però che il suo operato sia in ultima istanza vincolante per il Governo.
In ogni caso, il suo ruolo travalica il mero aspetto consultivo ed i suoi lavori influiscono sulla stesura finale delle leggi, come sembra che avverrà in questo caso. Uscito dalla porta dopo il passaggio alla Camera, il green pass rientra dalla finestra, seppur in una versione edulcorata, grazie allo zelo dei senatori e, in particolare, di uno di loro, sul quale torneremo a breve. In effetti, il testo approvato il 20 luglio in Senato prevede il ristabilimento dell’art. 2 in una versione molto più estesa rispetto a quella approdata il 4 luglio 2022 all’Assemblée nationale (6)
Apparentemente, si tratta di un blando e ragionevole reintegro, perché invece di condizionare l’ingresso in territorio francese alla presentazione di un test PCR covid-19 negativo, di un certificato di avvenuta vaccinazione covid-19 o di un certificato di guarigione dalla covid-19, in caso di recrudescenza epidemica si richiederebbe il solo test PCR negativo per l’ingresso (7).
Questo perché, come rileva il rapporto della Commissione leggi del Senato, « siccome certe varianti presentano un’elusione rispetto all’immunità indotta dai vaccini, si tratta del documento più affidabile dal punto di vista sanitario » (8)
Solo una mente oramai assuefatta al concetto di rischio zero e ai crimini contro le libertà fondamentali dell’Uomo, perpetrate con maggiore solerzia dal 2020 in poi, potrebbe ritenere accettabili queste disposizioni e la retorica di cui è intriso il rapporto della Commissione leggi, tendente a dipingere l’apparizione di infinite varianti di virus come un fenomeno rilevante (9).
Ma l’impegno del Senato a restituire al Governo un testo più succulente di quanto non lo fosse originariamente non si è limitato all’art. 2.
Con l’art. 1A, interamente di nuova fattura, fa capolino il sogno distopico delle oligarchie finanziarie relativo ad una società di stampo biopandemico.
L’Assemblée nationale ha solo prospettato la possibilità di un «quadro duraturo» in termini di legislazione pandemica? Perché perdere tempo !
I senatori del palais Bourbon hanno così loro stessi passato il Rubicone e, tramite l’introduzione di quest’art. 1A, hanno proposto una modifica sostanziale al Code de la santé publique che
determina materialmente l’applicazione del Diritto di sanità pubblica (10)
Attualmente, gli art. L3131-12 a L3131-20 del detto Code (11) compongono l’ossatura del dispositivo giuridico nato il 23 marzo 2020 (12), meglio noto come « État d’urgence sanitaire ». Grimaldello dell’élite mondialista atto a disgregare il tessuto sociale delle nazioni, esso ha introdotto e resa sistematica la misura restrittiva corrispondente alla quarantena/isolamento, così come il tracciamento d’infezioni virali.
Sì, perché prima del 24 marzo 2020, nonostante l’insorgenza della Spagnola nel 1918-1920 e una serie di epidemie localizzate tra XX e XXI secolo, la legislazione francese non contemplava misure specifiche in materia di lotta epidemica e limitava fortemente il trattamento dei dati sanitari a carattere personale.
Di conseguenza, a causa dell’inedito e corposo insieme di restrizioni alle libertà di prima generazione che portava con sé, l’« État d’urgence sanitaire » è stato implementato fino ad oggi sulla base di almeno due presupposti.
Solo la presenza di una catastrofe sanitaria capace di mettere in pericolo la salute della popolazione autorizza la dichiarazione di uno Stato di emergenza sanitaria (1° presupposto) che, in ogni caso, necessita del vaglio parlamentare per protrarsi oltre un mese, così come del parere di un Comitato tecnico scientifico nominato ad hoc (2° presupposto) (13)
Bene, l’art. 1A partorito dalla Commissione leggi del Senato il 19 luglio scorso, approvato il giorno dopo dal Senato, fa piazza pulita di quei presupposti eliminando « État d’urgence sanitaire » e rendendo la misura della quarantena/isolamento e della diagnostica virologica a mezzo di tampone una prassi.
Difatti, all’« État d’urgence sanitaire » si sostituirebbe nel Code il dispositivo giuridico
Misure di messa in quarantena, di collocamento e mantenimento in isolamento (14)
attivabile con decreto emanato dal Governo in collaborazione con il Consiglio di Stato, il cui parere non è vincolante per il Governo
durante tutta la durata della minaccia sanitaria (15)
In questa nuova configurazione, basta una minaccia sanitaria, la cui rilevanza è stabilita dalla Haute Autorité de Santé, per imporre quarantene ed isolamenti individuali a soggetti contaminati o di rientro da zone all’estero con circolazione del virus (16), senza che il Parlamento sia mai chiamato ad esprimersi sulla liceità o meno delle misure adottate.
Il cittadino francese si troverebbe così in preda all’arbitrio di un Governo legittimato a prendere decisioni in materia sanitaria, altamente lesive delle libertà fondamentali, sulla base del parere scientifico espresso da un’agenzia sanitaria ufficiale (i.e. Haute Autorité de Santé), la cui indipendenza rispetto al potere politico e a Big Pharma è stata seriamente messa in discussione (17).
Tra l’altro, è notizia del 22 luglio 2022 che la Haute Autorité de Santé, sollecitata dal Ministero della Sanità sull’opportunità di reintegrare il personale sanitario sospeso dall’autunno scorso perché non ‘vaccinato’, si è decisamente espressa contro questa possibilità (18), ad indicare quale sarà l’atmosfera in questa nuova normalità!
A fronte delle sostanziose interpolazioni previste dall’art. 1A, suscettibili, nel caso venissero confermate dall’Assemblée nationale, di rendere permanenti molte delle misure distopiche e liberticide instaurate in virtù dello Stato di emergenza sanitario, non stupisce che il Senato abbia seriamente ridimensionato la portata (anch’essa liberticida) dell’art. 3 proposto dall’Assemblée nationale, come mostra la traduzione del detto articolo:
Entro tre mesi a partire dalla promulgazione della presente legge, il Governo presenti al Parlamento una valutazione del quadro giuridico in vigore, compreso quello relativo al trattamento di dati a carattere personale, al fine di valutare e, se del caso, ridefinire i mezzi a disposizione delle pubbliche autorità per lottare contro le pandemie senza aver ricorso ad un regime d’eccezione
Conscio probabilmente della possibilità che il lettore dell’art. 3 votato alla Camera dei deputati potesse ravvisare l’intenzione reale del legislatore di imprimere alle misure dell’era pandemica covid-19 un carattere duraturo («un quadro duraturo»), il Senato ha creduto bene di sviare l’attenzione puntando sull’impegno istituzionale a cancellare « un regime d’eccezione ».
Del resto, il progetto di legge sfoggia significativamente la seguente denominazione :
«Progetto di legge mettente fine ai regimi d’eccezione creati per lottare contro l’epidemia legata alla covid-19».
Tuttavia, quest’operazione altamente ingannevole non oblitera il fatto che delle aberrazioni e storture nate in quel « regime d’eccezione » si faccia tesoro nella parte restante del progetto di legge rendendole in larga parte permanenti.
Pertanto, che differenza fa che il biopandemismo prosperi in un “regime d’eccezione” o nella normalità?
Oltretutto, è opportuno rilevare che l’art. 1 votato dal Senato il 20 luglio scorso non esclude fino al 31 gennaio 2023 che, in caso di recrudescenza epidemica, si possa esigere di nuovo un green pass base sia all’interno della Francia che alle sue frontiere. In effetti, il progetto di art.1 recita che:
in deroga all’articolo L-1110-4 del code de la santé publique, ai soli fini della lotta contro la propagazione dell’epidemia da covid-19 e per la durata strettamente necessaria per questo obbiettivo o, al più tardi, fino al 31 gennaio 2023, dei dati a carattere personale concernenti la salute relativa alle persone colpite da questo virus e alle persone con le quali hanno avuto contatti possono essere trattati e scambiati, se del caso senza il consenso delle persone interessate, nel quadro di un sistema d’informazioni creato a mezzo di decreto in Consiglio di Stato et messo in opera dal Ministro con delega alla Salute
La realtà è che, molto probabilmente, gli uomini che al momento incarnano le Istituzioni francesi, compresi i membri del Consiglio di Stato che hanno avvallato tutto quanto fatto dal Governo nel periodo 2020-2022, collaborano con le oligarchie finanziarie affinché la società francese (in realtà il globo intero) integri il seguente concetto : le epidemie incombono a ripetizione e sono la normalità, ma le autorità pubbliche dispongono degli strumenti conoscitivi e tecnologici per farvi fronte, per cui la popolazione si deve attenere rigorosamente alle indicazioni governative, fondamentali per preservare la (nuda) vita.
Chi non vi si attiene, è contro la (nuda) vita e merita una messa al bando della Società!
Come in un ritorno alla barbarie nazista, il mantra corrisponde al superamento del « vecchio principio individualistico del ‘diritto al proprio corpo’ e ad abbracciare invece il ‘dovere di essere sani’ » (19)
In definitiva, quali elementi sostengono l’ipotesi di una stretta collaborazione tra interessi privati e classe politica francese nella messa a regime di una società di stampo biopandemico?
Innanzitutto, le misteriose frequentazioni del relatore del progetto di legge al Senato, il senatore Philippe Bas, risultano alquanto problematiche.
Un’attenta analisi del rapporto della Commissione leggi del Senato, artefice della dilatazione del progetto di legge in questione, evidenzia come gran parte del contenuto di quel rapporto sia stato elaborato dalla Commissione su iniziativa di Philippe Bas, membro di quella Commissione (20).
In un video del 2006, Philippe Bas è ripreso mentre arriva e mentre riparte in pompa magna, scortato dalle Forze dell’ordine, da una castello del sud della Francia dove Daniel Vial, all’epoca il principale lobbista in Francia delle case farmaceutiche, ha organizzato un convegno intitolato :
« Le Università d’estate di Farmaceutiche » (21)
Al convegno partecipano niente di meno che i CEO di Pfizer e GSK, alcuni ex ministri della Salute francesi e varie altre personalità del mondo imprenditoriale e politico, tra cui lo stesso Philippe Bas, in qualità di Ministro con delega alle Pari opportunità ed alla Previdenza sociale. Interrogato da un giornalista di Canal+ all’esterno del castello, visto che il convegno è blindatissimo, sulla natura della sua presenza ad un evento privato piuttosto discutibile, Philippe Bas ignora completamente il giornalista sia all’arrivo che alla partenza.
Un tale atteggiamento e la presenza stessa di Philippe Bas in quel castello gettano forti sospetti sull’attuale ruolo di Philippe Bas nella concezione di un progetto di legge che innegabilmente asseconda gli interessi delle case farmaceutiche e della finanza in generale. Pertanto, viene da chiedersi se Philippe Bas operi nell’interesse della cittadinanza francese o a vantaggio del mondo finanziario. La stessa domanda merita di essere formulata a proposito del Parlamento francese.
Sollecitato da un Governo, notoriamente sensibile agli interessi della Finanza, ad esprimersi su un testo di legge in partenza scarno ed improntato all’oltranzismo pandemico, il Parlamento si appresta a restituirlo al mittente dopo averne acuito l’impronta biopandemica.
La cosa più sorprendente, tuttavia, sono le modalità attraverso le quali si è giunti a quel risultato, ottenuto a mezzo di soppressioni temporanee e aggiunte di elementi del tutto innovativi che, de facto, rendono perenne l’impostazione governativa iniziale, come se Governo, Camera dei deputati e Senato si fossero adoperati per raggiungere surrettiziamente un medesimo obiettivo, in una solo apparente separazione dei poteri.
È vero che il « Progetto di legge mettente fine ai regimi d’eccezione creati per lottare contro l’epidemia legata alla covid-19 » ancora non è divenuto legge e sembrerebbe escludere sia il super green pass che nuovi confinamenti generalizzati fino al 31 gennaio 2023.
Ciò nonostante, vi sono tutti i presupposti perché il 26 luglio 2022, data in cui il progetto di legge tornerà alla Camera dei deputati per l’adozione finale, l’Assemblée nationale consegni la cittadinanza francese ai poteri forti della Finanza, con sommo gaudio di Emmanuel Macron.
Lo suggerisce il comunicato diramato dalla Commissione paritaria mista riunitasi il 21 luglio 2022 per elaborare un testo di compromesso tra Camera e Senato [22].
Secondo tale comunicato, i sette deputati e i sette senatori membri della detta Commissione, si sarebbero messi d’accordo per un testo di legge includente sostanzialmente i seguenti punti:
• « l’abrogazione completa di dispositivi eccezionali di lotta contro la coid-19 quali il regime dello Stato di emergenza sanitaria e il regime di gestione della crisi sanitaria. Non sarà quindi più possibile per il Governo di riattivare pass sanitario o vaccinale, o ancora di confinare la popolazione »
• « l’instaurazione di un meccanismo di protezione sanitaria, se una nuova variante molto pericolosa compare. Un test potrebbe quindi essere esatto per l’accesso al territorio »
• « l’istituzione di una procedura che permette il reintegro del personale non vaccinato a contatto con le persone fragili non appena che la Haute Autorité de Santé, che il Parlamento potrà sollecitare, avrà constatato che l’obbligo vaccinale non sarà più giustificato dal punto di vista medico »
Al di là delle indicazioni fornite da questi punti su quale sarà l’orientamento dell’Assemblée nationale il 26 luglio, quel che è certo, è che chi ha ritenuto l’apparente soppressione dell’art. 2 ad opera dell’Assemblée nationale come una vittoria ha preso una bella cantonata, perché perlomeno lo strumento del green pass base resta purtroppo un’opzione possibile, così come resta aperta la possibilità di finire in quarantena/isolamento a livello individuale.
Di Tomaso Pascucci per ComeDonChisciotte.org
Tomaso Pascucci, storico – Université de Franche-Comté
NOTE
(1) = Su questo concetto, vedi : Luca Marini e Francesco Benozzo (a cura di), Biopandemismo, Lucca, Edizioni La Vela, 2022.
(2) = La traduzione in italiano di questo passo in francese nell’originale, così come tutti gli altri, compete allo scrivente.
(3) = https://www.assemblee-nationale.fr/dyn/16/textes/l16b0009_projet-loi.
(4) = https://www.francesoir.fr/politique-france/loi-covid-assemblee-nationale-adopte-le-texte-sans-passe ; https://www.byoblu.com/2022/07/13/la-francia-boccia-il-green-pass-una-sconfitta-per-macron/ ; Claudio Antonelli, La Francia dice no al green pass. In Italia invece è solo « sospeso », La Verità, 14 luglio 2022.
(5) = https://www.assemblee-nationale.fr/dyn/16/textes/l16t0001_texte-adopte-seance.
(6) = https://www.assemblee-nationale.fr/dyn/16/textes/l16b0156_projet-loi.
(7) = http://www.senat.fr/leg/tas21-136.html.
(8) = http://www.senat.fr/lessentiel/pjl21-779.pdf, p. 8.
(9)= Vedi, a titolo d’esempio : « Se la dimensione della settima ondata resta ancora limitata, in particolare circa le sue ripercussioni sull’occupazione ospedaliera, essa resta preoccupante per due ragioni principali […] ». Ibid., p. 2.
(10)= https://fr.wikipedia.org/wiki/Code_de_la_sant%C3%A9_publique.
(11) = Vedi : https://www.legifrance.gouv.fr/codes/id/LEGITEXT000006072665/.
(12) = Ossia con la legge no 2020-290.
(13) = Vedi : Code de la santé publique, art. L3131-12 e L3131-13.
(14) = Art. 1 A, punto 7 (http://www.senat.fr/leg/tas21-136.html).
(15) = Ibid., punto 14 e 17.
(16) = Vi è da notare che l’art. 1 A, punto 34, intende innovare anche per quanto riguarda l’entità delle sanzioni alle quali sarebbero passibili i contravventori delle misure di quarantena ed isolamento. Da sanzioni di quarta classe, così come attualmente definite dall’art. L3136-1 del Code, si passerebbe infatti a sanzioni di quinta classe, quando la quinta classe rappresenta la classe più salata.
(17) = Laurent Mucchielli, La Doxa du Covid. Peur, santé, corruption et démocratie, t. 1, Bastia, Éditions Éoliennes, 2022, pp. 41 e 94.
(19)= Robert Jay Lifton, I medici nazisti. Storia degli scienziati che divennero i torturatori di Hitler, Milano, Rizzoli, 1988, p. 53.
(20)= L’espressione « per adozione d’un emendamento…del relatore [Philippe Bas] », compare molto spesso nel documento (per es., http://www.senat.fr/lessentiel/pjl21-779.pdf, p. 5).
(21)= https://www.youtube.com/watch?v=BAmy7G_VAqA.
(22) = http://www.senat.fr/presse/cp20220721a.html
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Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org
FONTE: https://comedonchisciotte.org/francia-il-green-pass-esce-dalla-porta-e-rientra-dalla-finestra/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Telefonate moleste: stop dal 27 luglio
Chiunque, almeno una volta, ha ricevuto una telefonata nella quale vengono fatte offerte o promozioni pubblicitarie. Si tratta del c.d. telemarketing.
Questo tipo di attività sono molto aumentate negli ultimi tempi, causando naturalmente un certo scontento tra gli utenti.
Nella maggior parte dei casi, le telefonate si risolvono in conversazioni con un operatore che talvolta si rivela insistente. Questo soprattutto perché la maggior parte dei call center offre retribuzioni basate sul numero di contratti che l’operatore riesce ad ottenere. Questo spesso rende le telefonate particolarmente fastidiose per chi le riceve. Altre volte, invece, si attiva un disco che espone formule informative senza che vi sia alcun dialogo con un essere umano. Ma si tratta solo di una parte del fenomeno, quella che potremmo definire meno problematica.
La questione diventa infatti assai più spinosa quando dall’altra parte del telefono ci sono persone malintenzionate. Spesso, infatti, ricevere una telefonata da un numero sconosciuto può implicare il rischio di cadere vittima di un una truffa, ad esempio pronunciando determinate parole chiave che portano l’utente ad abbonarsi involontariamente e inconsapevolmente ad un servizio. Questo rende il telemarketing non solo un fastidio, ma anche un pericolo concreto, la cui soluzione non può esaurirsi nel semplice blocco dei contatti sconosciuti.
Fortunatamente, è in arrivo un’importante novità che potrebbe mettere un freno a queste pratiche commerciali o, quantomeno, fornire all’utente un’opportunità per tutelarsi maggiormente.
Sommario |
1. Telemarketing e registro delle opposizioni: di cosa si tratta?
Con il termine telemarketing ci si riferisce all’insieme delle attività di marketing effettuate tramite lo strumento telefonico. La tipologia più nota di telemarketing è quella c.d. di outbound, consistente cioè in una serie programmata e reiterata di comunicazioni telefoniche provenienti da un call center e dirette a un pubblico specifico di soggetti al fine di convincere il pubblico a sottoscrivere contratti o ad acquistare prodotti e servizi.
Come anticipato in introduzione, questo tipo di attività sono da sempre percepite con una certa riluttanza da parte delle persone, questo sia per l’elemento del fastidio derivante dalla ricezione di telefonate indesiderate da parte di sconosciuti spesso insistenti, sia per la possibilità di incorrere in truffe, ritrovandosi inconsapevolmente abbonati a un servizio.
Per far fronte a questo tipo di situazioni, con il DPR n. 178/2010, è stato istituito il Registro pubblico delle opposizioni (RPO), un servizio pensato per offrire agli utenti la possibilità di tutelarsi opponendosi – e quindi rifiutando – che il proprio numero di telefono venga usato per fini di marketing. Con l’art. 1, comma 54, della L. n. 124/2017 regolamentata dal DPR n. 149/2018, poi, il Registro è stato esteso anche alla posta cartacea.
Il funzionamento del RPO può essere visto come una sorta di lista nera: tutti i numeri e gli indirizzi inseriti non possono essere utilizzati dagli operatori e dai loro call center per finalità commerciali. In altri termini, se un numero è registrato nel Registro, un’azienda non potrà usarlo per proporre prodotti o promozioni o servizi. Laddove venisse utilizzato lo stesso, questo integrerebbe una violazione del diritto di opposizione ex art. 21 del Regolamento UE n. 2016/679 (GDPR), con la conseguente applicazione delle sanzioni di cui all’art. 83 della stessa normativa.
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2. Cosa cambia dal 27 luglio
Con L. n. 5/2018, l’applicazione del Registro pubblico delle opposizioni è stato esteso a tutti i numeri privati, compresi quindi quelli mobili, e si potrà iscrivere al RPO qualsiasi numero, anche se non presente in un elenco pubblico. Il regolamento attuativo è stato poi pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 74 del 29 marzo 2022, il DPR n. 26/2022, il quale definisce il funzionamento delRegistro nella versione estesa secondo quanto previsto dalla citata L n. 5/2018.
Il nuovo servizio mira ad arginare il fenomeno del telemarketing aggressivo al di fuori dei numeri di telefonia fissa, sanando una lacuna presente da anni. Infatti, ormai le telefonate insistenti si sono spostate prevalentemente sui telefoni cellulari. Ponendo un freno drastico a queste attività, si cerca non solo di garantire ai cittadini una maggiore tranquillità e riservatezza, ma anche agli operatori che lavorano nel rispetto delle regole di poter continuare a farlo. Inoltre, le procedure di accertamento delle violazioni dovrebbero essere state snellite, in modo tale da incentivare l’adeguamento alla nuova disciplina anche da parte di quei soggetti che finora hanno agito in violazione delle norme.
Oltre alla possibilità di iscrivere gratuitamente nel registro tutti i numeri di cellulare, le nuove disposizioni prevedono anche l’inclusione di default di tutti i numeri fissi che non risultano iscritti nell’elenco telefonico pubblico. L’iscrizione nel registro cancella automaticamente tutti i consensi dati in precedenza, e a partire da quindici giorni dall’iscrizione al registro, le telefonate a fini commerciali a quell’utenza sono considerate illegali.
Come previsto dal DPR attuativo, l’entrata in vigore delle nuove regole è stata fissata entro i successivi 120 giorni dallo stesso, ovvero entro e non oltre il 27 luglio 2022, data a decorrere dalla quale il nuovo servizio sarà definitivamente a disposizione dei cittadini.
Per quanto riguarda le iscrizioni, le modalità possibili sono molteplici, e tutte le indicazioni necessarie sono reperibili sul sito del RPO. Iscrivere il proprio numero al Registro è completamente gratuito e lo si può fare compilando l’apposito modulo sul sito stesso, via mail, al telefono, via fax o inviando una lettera raccomandata.
3. Conclusioni: cosa accade con sms e chat?
Le nuove regole relative al Registro delle opposizioni sono un intervento atteso da tempo. Infatti, ormai da anni la grande maggioranza della popolazione utilizza i telefoni cellulari, talvolta anche senza avere una linea fissa nella propria abitazione, ma nonostante questo erano ancora esclusi dalle tutele fornite dal Registro. Inoltre, come già precisato, negli ultimi tempi sono aumentate le telefonate provenienti dai call center, e nonostante i tentativi di arginarli bloccando i numeri, sembra che ogni volta riescano a contattare gli utenti in un modo o nell’altro.
Ebbene, proprio in riferimento ai modi di contattare emerge una lacuna importante, ossia la pubblicità via chat e sms. Questi strumenti di comunicazione non sembrano infatti coperti dalle nuove regole, ma lo saranno, eventualmente, solo con una nuova norma ad hoc.
Il rischio, quindi, è quello di ritrovarsi di fronte a un dejà vu: come negli anni il telemarketing selvaggio si è spostato in larga misura dai telefoni fissi a quelli mobili, adesso potrebbe esserci un ulteriore spostamento dalle telefonate sul cellulare ai messaggi tramite sms o chat.
In sostanza, gli sviluppi successivi all’entrata in vigore delle nuove regole prevista per il 27 luglio permetteranno di capire quanto sia stato risolutivo questo intervento. Ciò che è certo, è che molti cittadini aspettavano questo momento ed è assai probabile che le iscrizioni al RPO saranno fin da subito numerosissime.
FONTE: https://www.altalex.com/documents/news/2022/07/25/telefonate-moleste-stop-27-luglio
BELPAESE DA SALVARE
I FONDI PROMUOVONO DELOITTE
Il patrimonio italiano in vendita
Nel 2012, durante il governo di Mario Monti, s’era per la prima volta parlato di riservare all’Italia un “trattamento alla greca” (una durissima procedura fallimentare) qualora gli italiani si fossero ribellati alle riforme che introducevano rigorosissime normative europee nell’artigianato e nel commercio, nonché se si fossero rifiutati di pagare debiti, multe e sanzioni europee in svariati settori e per importi da favola. Ci dicevano che il Paese era al collasso, che solo una stretta mortale della cinghia avrebbe salvato il nostro futuro. Così, circa dieci anni fa, c’era già chi discettava su cosa ci avrebbero tolto in caso di fallimento, soprattutto se alla procedura oltre ai beni demaniali sarebbe stata acclusa quota parte di patrimonio dei privati: per questi ultimi sarebbe stato previsto un parziale salvataggio attraverso una sorta d’ipoteca europea sul mattone di proprietà dei cittadini.
Quest’ultima procedura recentemente resa rapidissima in caso di contenziosi internazionali tra soggetti italiani (pubblici o privati) e creditori internazionali (Stati, banche, multinazionali, società d’affari a vario titolo). Non dimentichiamo che, sotto pandemia, nei contratti stipulati con le multinazionali farmaceutiche e con le strutture finanziarie europee sono stati messi in garanzia i beni artistico-museali italiani. Ovvero il patrimonio italiano bollato dall’Unesco come il più importante del pianeta. Sorge il dubbio che i contraenti non ricordino (o lo conoscano nel dettaglio) il precedente storico nell’Ottocento, tra il sistema tedesco guglielmino e la Turchia al crepuscolo del suo impero: quando vennero azzerati dei debiti con le banche tedesche attraverso il trasferimento nel centro di Berlino di quasi tutti i siti archeologici dell’Asia minore, e così nasceva il Pergamonmuseum.
Un plauso al banchiere Rothschild, consulente del re di Germania e altrettanto ai due validi consulenti archeologi e commercianti d’arte Heinrich Schliemann e Carl Humann. Il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti, per visitare l’Ellade necessita fare un “grand tour” berlinese. Se a distanza di qualche millennio è difficile stabilire se le “Porte scee” fossero davvero d’oro, è invece innegabile che il vero tesoro stia oggi in pancia al sistema statale e finanziario tedesco, e con buona pace di miti ed eroi morti nel tentativo di conquistare la più ricca città del mondo classico. Ma l’ingordigia d’arte e il potere sulla bellezza sono mali antichi, nella cultura romantica ai pochi fortunati bastava un viaggio (un “grand tour”) tra Italia e Grecia con faticosa propaggine tra Asia Minore, Armenia, Siria ed Egitto.
Oggi, in forza della tecnologia novecentesca di trasferimento integrale dei grandi complessi architettonici, è anche possibile portare il Colosseo oltre Oceano, oppure decidere di blindarlo come proprietà di società estera che operi in Italia. Non sappiamo, se con dolo o ingenuità, la classe dirigente italiana avrebbe operato come certi debosciati consiglieri degli ultimi Pascià: oggi il patrimonio artistico italiano è davvero a rischio, è nelle attenzioni pratiche d’importanti gruppi internazionali. Soprattutto non sembra le imminenti urne ci possano donare un Mustafa Kemal Atatürk in salsa italiana: col suo arrivo dalla Turchia non potette sortire più nemmeno un chiodo arrugginito.
Ad accendere i riflettori dei pagamenti internazionali in opere d’arte italiane ha provveduto Deloitte, stima su impulso dei quattro maggiori fondi d’investimento mondiali che, a breve, dovrebbero cartolarizzare i beni più belli dello Stivale. Deloitte ha stimato il valore del Colosseo in ottantotto (88) miliardi di dollari. È la seconda volta che il valore del Colosseo e il suo indotto vengono stimati: la prima volta a fine anni Cinquanta, su richiesta di Jean Paul Getty senior, e da lì nasceva la famosa battuta di Totò sulla vendita della Fontana di Trevi. Ovviamente l’Italia di allora respinse al mittente la proposta d’acquisto presentata dal ricco magnate del petrolio e socio con la Getty Oil Company della Corona britannica (diramazioni di quella Standard Oil che non molla la presa sull’Italia). Il Colosseo fa parte di quella musealità romana che occupa circa cinquantamila dipendenti a tempo pieno: lo straniero prevede robotizzazione del lavoro e piano d’efficientamento e licenziamenti, solo un piccolo dettaglio della questione.
Ma la stima, prima che in Italia, era ricapitata in Grecia circa quindici anni fa: ricapitata perché la prima stima dei beni culturali venne fatta in Grecia dai tedeschi verso metà Ottocento. Di fatto, lo Stato italiano è oggi nelle condizioni di pagare i debiti all’Europa e alle varie multinazionali alienando monumenti, porti aeroporti, linee aeree e ferroviarie. Società tedesche, francesi e cinesi si sarebbero già affacciate, ma a pagare di più sarebbero fondi finanziari statunitensi, amici di coloro che si riuniscono a Davos. Secondo gli ultimi dati del bilancio del “Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato”, il patrimonio italiano ha un valore di almeno mille miliardi di euro, suddivisi in attività finanziarie e non. L’Italia possiede percentualmente il più vasto patrimonio culturale mondiale: circa cinquemila musei, seimila aree archeologiche, 85mila chiese soggette a tutela e 40mila dimore storiche censite e altrettante in abbandono o non ancora censite.
L’Italia possiede anche coste, riserve e paesaggi naturali: ovvero beni con enorme indotto turistico. Nell’occhio del dio Moloch della finanza ci sono soprattutto cinquantotto siti naturali, dalle Isole Eolie alle Dolomiti, dall’Etna all’intero Sud turistico, dalla Costiera Amalfitana a Portovenere, dalle Cinque Terre al Salento. Deloitte ha lavorato benissimo, la sua stima è la più dettagliata in uso ai gruppi d’investimento: è stata redatta analizzando i dati dell’Unesco, che riguardano mille siti tra culturali, ambientali e misti.
Deloitte ha anche analizzato e giudicato negativamente le competenze in materia di patrimonio culturale suddivise in Italia tra Stato e Regioni: operazione di parte, tesa a mettere sul banco degli imputati la valorizzazione italiana dei beni e i contenziosi tra Stato ed enti locali. Dopo aver studiato il report, i gruppi d’affari hanno manifestato interesse su circa tremila musei italiani: ovviamente mura comprese di opere. L’Italia si confermerebbe, secondo Deloitte, punto di riferimento per chiunque si occupati d’arte, e questo porrebbe lo Stivale al vertice dell’interesse degli investitori. In troppi si chiederanno cosa possano fare i cittadini. A quanto pare nulla, solo dimostrarsi spettatori d’una spoliazione che la politica ci spaccerà come salvifica, come azzeratrice dei nostri debiti.
FONTE: https://www.opinione.it/economia/2022/07/30/ruggiero-capone_deloitte-monti-italia-grecia-patrimonio-culturale/
Jus sòla
1 08 2022
(Giuseppe Di Maio) – Alika era un poveraccio male in arnese con la stampella. Filippo aveva e ha problemi psichici, economici, ma soprattutto sociali. Quando gli faranno la perizia psichiatrica il risultato non sarà solo una delle malattie del DSM, ma la stupidità. Si arrampica sugli specchi: ha insultato la mia fidanzata, perché quel poco di coscienza che si ritrova ora gli fa temere per sé. Gli inquirenti hanno escluso il movente del razzismo. Oh bella! E se Alika non fosse stato nero, povero, dal folklore lievemente invadente, era possibile che un ipotetico altro malcapitato, sarebbe stato ucciso? Certo che no. Sono gli ingredienti che Alika assommava che hanno scatenato la furia di Filippo.
La disuguaglianza di classe dell’ambulante nella coscienza di F. Giuseppe Ferlazzo ha affievolito i suoi diritti civili, ha diminuito la tensione morale e il rispetto dovuti, ha cancellato il tabù della violenza su un essere umano. Nella sua mente il nigeriano è stato equiparato a uno schiavo che si permette di chiamare “bella” la donna del padrone. Ebbene, questo è esattamente ciò che succede nel razzismo e nel mobbing: vale a dire la totale sottrazione dei diritti fondamentali di un individuo, di modo che non possa più costituire un elemento di competizione sociale.
Ma ciò che mi ha dato più fastidio in tutta la vicenda, è la pletora della cancel culture buonista che si è levata subito dopo a reti unificate. Noi Italiani non siamo razzisti, ed è razzista e fascista chi non condanna esplicitamente l’accaduto, ha cantato il coro. Poi resta da spiegare come mai, tanta gente che ha persino filmato il fattaccio (dimostrando di avere ben capito che si stava commettendo un delitto), è stata incapace di intromettersi e interrompere l’aggressione. La raccapricciante neutralità dei passanti attesta che siamo un popolo ormai privato di gran parte dei tradizionali strumenti morali, e della capacità politica di reagire a un’ingiustizia. Siamo un popolo che non interviene, e che sfoga sui social il proprio rancore.
Il pensiero dominante e conservatore vuole che il Mediterraneo sia un’autostrada, ma a naso e “a pancia” troppa gente teme per se stessa, per la propria casa, per il proprio lavoro. Le furie antirazziste relegano però gli Alika nelle periferie e nel degrado di quartieri che già stentavano a sopravvivere. Non se li portano sotto casa, non finanziano di persona il loro inserimento sociale. Anzi, più abbassano il muro delle frontiere nazionali, più alzano quello della proprietà privata e dei diritti acquisiti a discapito di un popolo destinato a dover condurre la sua lotta di classe non con loro, ma con i miserabili della terra. Le furie conservatrici pretendono diritti politici per i figli di Alika, ma mai investirebbero un solo centesimo per consentire loro di insidiare anche i propri benefici. Insomma, siamo il solito carcere falso e retrivo.
Un pullman passa per i quartieri residenziali di Bruxelles, sale un nero nel suo abito tradizionale: bonjour monsieur, dice l’autista. Bonjour à vous monsieur, risponde il congolese.
FONTE: https://infosannio.com/2022/08/01/jus-sola/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Che costa sta succedendo tra Serbia e Kosovo
Altissima tensione tra Serbia e Kosovo. Nella città kosovara di Kosovska Mitrovica, situata nel nord del Paese, lungo il confine serbo, sono risuonate sirene e campane di chiese e monasteri, a conferma di una possibile escalation.
La scintilla che ha risvegliato antiche e mai sopite tensioni locali è da rintracciare nelle nuove misure amministrative varate da Pristina. A partire dal primo agosto, infatti, il governo del Kosovo aveva deciso di avviare la reimmatricolazione dei veicoli e di non riconoscere la registrazione dei documenti rilasciati dalla Serbia. La polizia kosovara avrebbe in sostanza avviato un’operazione per iniziare a vietare l’ingresso ai cittadini con documenti di identità rilasciati da Belgrado. Sono subito esplose proteste e manifestazioni. I cittadini di origine serba si sono radunati nel cuore di Mitrovica e non solo.
Secondo l’agenzia russa Tass, che cita il quotidiano Vecherne Novosti, le forze speciali del Kosovo sono state spostate da Prisitina a nord e a Metohija, dove sono erano in corso le rimostranze dei citati cittadini serbi. In precedenza, era stato riferito che la popolazione serba del Kosovo aveva protestato sulle principali autostrade della regione costruendo barricate. Diverse dozzine di persone hanno bloccato la strada principale fra Pristina e Raska.
Il monito di Belgrado, l’allerta della Kfor
Sul campo ci sono tutti gli ingredienti per far esplodere un conflitto. Anche perché Belgrado ha rinforzato i dispositivi militari lungo le frontiere da quello che non considera uno Stato indipendente, il Kosovo appunto.
In allerta l’Alleanza atlantica. La Nato si è infatti detta pronta a intervenire nel nord del Kosovo con la sua missione Kosovo Force (KFOR) – di cui fa parte anche l’Italia – qualora la sua stabilità sia “a rischio”. Sottolineando di essere in contatto sia con la parte kosovara sia con quella serba, la Kfor ha lanciato un appello al dialogo, ma ha anche affermato di esser pronta ad adottare “qualsiasi misura si renderà necessaria per mantenere la stabilità”.
In serata le autorità kosovare hanno chiuso due valichi di confine con la Serbia, e questo a causa dei blocchi stradali messi in atto da dimostranti kosovari di etnia serba. I media internazionali hanno riferito che il presidente serbo Aleksandr Vucic, in un discorso televisivo, ha mostrato una cartina del Kosovo coperto dalla bandiera serba e ha avvertito che se i serbi saranno minacciati, la Serbia ne uscirà vittoriosa. “La Serbia non è mai stata in una situazione così complessa e difficile”, ha dichiarato Vucic in un discorso alla nazione.
L’origine delle tensioni
Dopo una notte a dir poco movimentata, il governo di Pristina ha adottato una misura volta a ridurre la tensione nel Nord del Paese, un’area, tra l’altro, a maggioranza serba. È stata rinviata di un mese, al primo giorno di settembre, la procedura che impone il divieto a targhe e documenti di circolazione serbi. Le autorità del Kosovo hanno chesto ai cittadini di rimuovere le barricate e di ripristinare la viabilità nel Nord del Paese. Vucic ha detto di aspettarsi una riduzione dell’escalation, e affermato che è estremamente importante che il dialogo continui e che si risolvano le questioni pacificamente.
Ma qual è la radice delle tensioni? Come detto, si tratta di una pratica burocratica, all’apparenza innocua: le targhe delle auto. Per capire meglio la questione bisogna fare un passo indietro. In seguito alla dichiarazione d’indipendenza del Kosovo dalla Serbia, avvenuta 14 anni fa, quasi 50mila serbi che vivono nel nord del Paese hanno continuato ad utilizzare documenti e targhe rilasciate da Belgrado. Nelle ultime ore il governo kosovaro era pronto a introdurre nuove misure per obbligare tutti i cittadini, anche i serbi del Kosovo, ad avere targhe e carte d’identità omologate. Da qui i putiferi raccontati. Adesso la situazione sembra essersi normalizzata ma la pace, da queste parti, è molto fragile.
FONTE: https://it.insideover.com/politica/che-costa-sta-succedendo-tra-serbia-e-kosovo.html
La Cina aumenta gli aiuti alla Siria di Assad, allarmando i funzionari della difesa israeliana
Dopo essere stata recentemente accusata da Washington di aiutare la Russia durante l’offensiva in Ucraina, la Cina ha annunciato nuovi aiuti alla Siria di Assad, che ha fatto scattare campanelli d’allarme in Israele.
La Siria riceverà “apparecchiature avanzate per le comunicazioni” dal governo cinese, come annunciato e confermato durante una precedente cerimonia all’ambasciata di luglio a Damasco. L’ annuncio ufficiale descriveva gli aiuti come volti a “migliorare le infrastrutture della rete locale, soprattutto in quelle aree duramente colpite dalla crisi siriana dal 2011”. Ciò avviene dopo che la Cina è stata a lungo in trattative con il governo siriano sugli sforzi generali di ricostruzione postbellica e sulle opportunità di investimento.
I funzionari israeliani temono che, dopo anni di resoconti sulla silenziosa consulenza militare cinese e sul supporto tecnico fornito ad Assad e all’esercito siriano, Pechino sia pronta a far crescere potenziali aiuti militari. Secondo fonti israeliane citate in Breaking Defense , “questa potrebbe essere solo la punta dell’iceberg dell’assistenza cinese allo sforzo della Siria di ricostruire le sue forze armate”.
Israele ha cercato a lungo nel corso della guerra in Siria, durata oltre un decennio, di degradare gravemente le capacità militari della Repubblica araba siriana – vedendola come una minaccia a lungo termine per la sicurezza israeliana – dato che anche Damasco è uno stretto alleato di Teheran.
Secondo più dal recente rapporto Breaking Defense :
“Abbiamo indicazioni che esperti cinesi abbiano visitato negli ultimi mesi alcune installazioni militari siriane che sono state gravemente danneggiate durante la guerra civile”, ha affermato una fonte. ” Riteniamo che molte [strutture] dell’esercito siriano saranno ricostruite dai cinesi , che hanno la capacità di portare migliaia di lavoratori per completare i lavori nel più breve tempo possibile”.
Queste fonti anonime della difesa israeliana sono state sostenute nella loro valutazione dall’ex capo del Mossad :
“Qualsiasi tipo di relazione tra una potenza mondiale come la Cina e un paese che è uno dei nemici di Israele è preoccupante”, ha affermato Danny Yatom, ex capo dell’agenzia di intelligence israeliana del Mossad. ” I cinesi senza dubbio realizzeranno grandi programmi in Siria e Israele dovrebbe assicurarsi che questo fatto non limiti la sua libertà d’azione in Siria . Israele non correrà alcun rischio di colpire per errore i cinesi che lavoreranno in Siria come parte dei lavori di ricostruzione”.
La Cina non si è mai unita all’Occidente nel chiedere un cambio di regime in Siria. Ma al contrario, Pechino ha sottolineato la “lotta al terrorismo” in linea con la prospettiva generale siriano-russa-iraniana sulla lotta ai jihadisti stranieri.
Il governo cinese è in particolare preoccupato per i combattenti stranieri musulmani cinesi che sono entrati nel conflitto a fianco dei gruppi collegati ad Al-Qaeda. Ad esempio, si ritiene che attualmente operino a Idlib membri dell’East Turkestan Islamic Movement (ETIM) – un gruppo separatista musulmano uiguro contro cui la Cina ha combattuto sia in patria che all’estero. Il Partito islamico del Turkestan è noto per aver unito le forze con i movimenti jihadisti globali negli ultimi anni, in particolare in Siria durante la lotta per rovesciare Assad.
I messaggi dell’esercito cinese “Preparati per la guerra!”
Messaggio sui social media, portavoce di stato afferma che PLA ha “diritto” di intercettare l’aereo di Pelosi
Aggiornamento (1408ET) : il portavoce in lingua inglese del governo cinese Global Times è diventato particolarmente rumoroso e bellicoso in risposta al potenziale viaggio di Nancy Pelosi nell’isola autogovernata di Taiwan :
“Preparati per la guerra!” leggi un messaggio pubblicato dall’80° gruppo dell’Esercito popolare di liberazione cinese (PLA) sulla visita degli Stati Uniti a Taiwan, come riportato venerdì 29 luglio. Secondo quanto riferito, il messaggio di guerra dell’esercito cinese sulla potenziale visita degli Stati Uniti a Taiwan ha generato oltre 300.000 pollici in soli 12 ore, creando “il morale alto tra i soldati cinesi” secondo Global Times.
Sotto: secondo quanto riferito, il messaggio in questione è apparso su un canale PLA venerdì sulla popolare app di social media cinese Weibo:
GT ricorda inoltre al suo pubblico che, possibilmente in corrispondenza di una visita della Pelosi a Taiwan (supponendo che vada fino in fondo), il paese celebrerà il 95° anniversario dell’esercito dell’Esercito popolare di liberazione cinese (PLA)…
L’80th Group Army ha pubblicato un commento in cui si afferma: “dobbiamo tenere a mente la responsabilità fondamentale di prepararci alla guerra e caricare il viaggio di un forte esercito”. Il commento ha ricevuto 8.000 pollici in su.
…In vista del 95° anniversario della fondazione dell’EPL il 1° agosto, Xi, anche segretario generale del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (PCC) e presidente della Commissione militare centrale, ha sottolineato la necessità di un’ulteriore attuazione del strategia di rafforzamento delle forze armate mediante la formazione di personale competente nella nuova era, ha riferito venerdì l’agenzia di stampa Xinhua.
Allo stesso tempo, il famoso esperto di GT ed ex editore della pubblicazione, Hu Xijin, ha affermato che l’esercito cinese “ha il diritto” di bloccare l’aereo di Pelosi e qualsiasi scorta di caccia statunitensi dallo spazio aereo di Taiwan (che la Cina rivendica come proprio).
Questo dopo che nei giorni scorsi ha riferito che Pechino considera “tutte le opzioni, comprese quelle militari” sul tavolo:
Se i caccia statunitensi scortano l’aereo di Pelosi a Taiwan, è un’invasione. Il PLA ha il diritto di scacciare con la forza l’aereo di Pelosi e gli aerei da combattimento statunitensi, incluso sparare colpi di avvertimento e fare movimenti tattici di ostruzione. Se inefficace, allora abbattili. https://t.co/V7LhrXgXoM
— Hu Xijin 胡锡进 (@HuXijin_GT) 29 luglio 2022
Le dichiarazioni scioviniste della Cina che echeggiano dai media e dai commentatori affiliati al governo hanno ricevuto una notevole attenzione negli ultimi tempi dagli osservatori americani mentre l’Occidente specula sul tipo di risposta che Pechino sta preparando nello scenario in cui Pelosi atterra effettivamente a Taipei, che potrebbe essere a pochi giorni di distanza.
Ma c’è la sensazione generale che se la Cina risponderà in modo aggressivo – al di là di qualcosa come le solite esercitazioni di guerra (le esercitazioni rapide si stanno svolgendo ora nel Mar Cinese Meridionale) – ci sia poco che Washington possa fare al riguardo, dato che comporterebbe simultaneamente “affrontare “superpotenze su due fronti principali , considerando la spirale della situazione in Ucraina.
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Aggiornamento (10:22 ET) : Con la presidente della Camera Nancy Pelosi in partenza per un tour dell’Asia venerdì – per includere Giappone, Corea del Sud, Malesia e Singapore – Josh Rogin del Washington Post afferma che “si prevede che uno scalo a Taiwan avvenga” durante il “parte iniziale” del viaggio.
Pelosi potrebbe presentarsi a Taipei non appena domenica, lunedì o martedì? Nel frattempo, i media statali cinesi sono stati impegnati a minacciare che “opzioni militari” sono sul tavolo in risposta.
E per uno degli ultimi post del Global Times in lingua inglese, gestito dallo stato…
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Come ha scritto Dave DeCamp di AntiWar.com : la presidente della Camera Nancy Pelosi (D-CA) sta guidando una delegazione del Congresso in Asia che partirà venerdì , ma non è ancora chiaro se farà tappa a Taiwan.
Fonti hanno detto a NBC News che la delegazione si fermerà in Giappone, Corea del Sud, Malesia e Singapore. Taiwan è elencata nell’itinerario come “provvisoria”.
Finora, Pelosi ei suoi consiglieri hanno rifiutato di confermare che ha in programma di visitare Taiwan. Ma mercoledì, il rappresentante Michael McCaul (R-TX) ha detto che Pelosi lo ha invitato a unirsi a lei a Taiwan , segnalando che ha ancora intenzione di andarci nonostante il rischio di innescare una grave crisi attraverso lo Stretto di Taiwan.
McCaul ha declinato l’invito e non è chiaro chi farà parte della delegazione di Pelosi. Ha anche invitato i rappresentanti Gregory Meeks (D-NY) e Mark Takano (D-CA), ma non hanno commentato il viaggio.
Pechino ha lanciato forti avvertimenti sui piani di Pelosi di visitare Taiwan, ma il potenziale viaggio ha ottenuto un forte sostegno bipartisan da parte dei legislatori del Congresso poiché sia i repubblicani che i democratici la esortano ad andare.
I funzionari dell’amministrazione Biden hanno affermato che la Cina considererà il viaggio una provocazione intenzionale, ma sostengono che è una sua decisione se visitare o meno l’isola.
Durante una sessione di domande e risposte dopo la telefonata Biden-Xi di giovedì, un alto funzionario dell’amministrazione ha ribadito: “Vorrei notare che, sai, nessun viaggio è stato annunciato. E come abbiamo detto in precedenza, è una sua decisione “.
Gli analisti militari cinesi hanno avvertito che Pelosi in visita a Taiwan potrebbe innescare un conflitto tra Stati Uniti e Cina. Pelosi sarà il primo relatore interno a fare il viaggio dopo Newt Gingrich nel 1997, ma gli analisti avvertono che la risposta della Cina potrebbe essere più forte dal momento che il suo esercito è molto più forte oggi.
Nel frattempo, esperti e media statali cinesi avvertono che “tutte le opzioni, comprese quelle militari” sono attualmente sul tavolo.
FONTE: https://www.zerohedge.com/geopolitical/pelosi-leading-delegation-asia-taiwan-stop-not-clear
MOSCA DEVE CHIEDERE CONTO A ISRAELE DELL’OMICIDIO DEI MILITARI RUSSI IN SIRIA
È ora di aprire gli occhi sull’ omicidio dell’equipaggio dell’Ilyushin Il-20 organizzato da Israele
di Lyuba Lulko
pravda.ru
Israele minaccia la Russia con misure politiche
Il primo ministro israeliano Yair Lapid ha dato istruzioni al governo di preparare una serie di misure politiche contro la Russia in caso di chiusura dell’ufficio di rappresentanza dell’Agenzia Ebraica nella Federazione Russa.
L’ex ambasciatore israeliano a Mosca Zvi Magen ha dichiarato alla testata Israel Hayom (1) che le autorità israeliane stanno valutando una serie di opzioni per fare pressione sulla parte russa, compresa la decisione di unirsi alle sanzioni occidentali contro la Russia:
Israele può cambiare la sua posizione di fatto neutrale rispetto alla guerra in Ucraina.
Secondo Israel Hayom, una delegazione israeliana è in attesa di un visto per la Russia per discutere della situazione. I diplomatici della delegazione si rendono conto che si tratta di una crisi politica, la cui copertura legale è solo una scusa.
La chiusura degli uffici dell’Agenzia Ebraica sarà un evento grave e influenzerà l’interazione con Mosca, ha dichiarato Lapid dopo un incontro con il governo.
Dmitry Maryasis, capo del Dipartimento per lo studio di Israele e delle comunità ebraiche presso l’Istituto di studi orientali dell’Accademia delle scienze russa, ha dichiarato a Pravda.Ru che l’Agenzia ebraica (Sohnut) è una parte importante della società civile israeliana. Questa organizzazione è storicamente significativa per Israele.
A novembre si terranno le elezioni lampo in Israele e Lapid non può semplicemente liquidare il problema che ha toni così scandalosi. L’esperto preferisce non vedere uno sfondo politico al caso. Secondo l’esperto, ci sono questioni tecniche e legali che verrebbero presto risolte a favore di entrambe le parti.
“Oggi Israele e la Russia, nonostante tutte le difficoltà, hanno un rapporto positivo. Spero che la questione si riduca a una questione tecnica di routine. Sohnut eliminerà tutte le richieste del Ministero della Giustizia e il suo lavoro in Russia continuerà”, ha dichiarato Dmitry Mariasis.
Le relazioni Russia-Israele si deteriorano dopo l’arrivo di Lapid
La causa che chiede la liquidazione dell’Agenzia ebraica Sohnut, che fornisce assistenza per il rimpatrio in Israele, è stata presentata dal Dipartimento del Ministero della Giustizia di Mosca. Si tratta di una situazione senza precedenti al mondo.
Le relazioni tra Russia e Israele hanno subito una brusca escalation dopo che il Primo Ministro Lapid ha parlato di crimini di guerra della Federazione Russa in Ucraina.
“I filmati e le testimonianze provenienti dall’Ucraina sono spaventosi. Le truppe russe hanno commesso crimini di guerra contro la popolazione civile indifesa. Condanno fermamente questi crimini di guerra”, ha detto Lapid mentre era ancora ministro degli Esteri. (2)
Secondo News12, l’ambasciatore russo in Israele, Anatoly Viktorov, ha affermato (3) in conversazioni dietro le quinte che l’arrivo di Lapid come primo ministro avrebbe “creato difficoltà” nelle relazioni tra Russia e Israele. È da notare che Naftali Bennett ha ceduto i poteri a Lapid all’inizio di luglio a seguito della crisi di governo.
La fuga di cervelli non è un motivo per chiudere l’Agenzia ebraica
Alcune fonti sostengono che le autorità russe sono preoccupate per il lavoro mirato dell’Agenzia Ebraica che stimola la partenza di validi specialisti e scienziati dalla Russia.
Indubbiamente, la “fuga di cervelli” non è mai positiva, ma non è solo Israele il luogo in cui si trasferiscono gli specialisti russi. Possono trasferirsi anche in altri Paesi, quindi la repressione non è una via d’uscita.
Una ragione più oggettiva per l’espulsione dell’Agenzia Ebraica è infatti di natura politica.
“Speriamo che Israele scelga un approccio più imparziale ed equilibrato all’operazione speciale in Ucraina. Ciò sarà in linea con la natura amichevole e profondamente radicata delle relazioni russo-israeliane che abbiamo costruito insieme per oltre 30 anni”, ha dichiarato l’ambasciatore Viktorov a srugim.co.il.
Israele è in debito con la Russia per l’uccisione delle spie russe
Per quanto riguarda le “opzioni politiche” di ritorsione, Mosca ha anche quelle.
La Russia può danneggiare la libertà d’azione di Israele in Siria. La Russia può anche fornire protezione all’Iran fornendo sistemi S-400 alla Repubblica islamica. In passato, l’accordo era quasi concluso, ma a causa della richiesta di Israele, la Russia se ne è tirata fuori nel 2019.
Israele non si è mai scusato per aver abbattuto l’aereo da ricognizione russo Ilyushin Il-20 nei cieli della Siria nel 2018 (4). I piloti israeliani hanno poi ucciso un equipaggio di 15 persone.
Mosca non si è vendicata allora, ma ora è tutto diverso. Quando Lapid e il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden hanno firmato una dichiarazione congiunta di condanna delle azioni della Federazione Russa in Ucraina, è arrivato il momento per la Russia di ricordare a Israele l’omicidio dei militari russi.
Note:
(1) https://www.israelhayom.co.il/news/geopolitics/article/12434213
(2) https://news.walla.co.il/item/3499038
(3) https://www.srugim.co.il/692866
(4) https://english.pravda.ru/world/141609-russia_israel/
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Articolo originale di Lyuba Lulko: https://english.pravda.ru/world/153258-russia_israel_jewish_agency/
Titolo originale: It is time for Russia to call Israel on the murder of the Il-20 crew in Syria
FONTE: https://comedonchisciotte.org/mosca-deve-chiedere-conto-a-israele-dellomicidio-dei-militari-russi-in-siria/
LAVROV: LA MESSA IN SCENA COME METODO DELLA POLITICA OCCIDENTALE
Articolo di S.V. Lavrov, Ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa, per il Centro internazionale d’Informazione “Izvestia”.
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iz.ru
Oggi, le Forze armate russe e le milizie della DNR (Repubblica Popolare del Donbass) e della LNR (Repubblica Popolare di Lugansk) stanno risolutamente svolgendo i propri compiti nel quadro dell’operazione militare speciale, cercando di porre fine alla palese discriminazione e al genocidio dei russi e di eliminare le minacce dirette alla sicurezza della Federazione Russa create, nel corso degli anni, dagli Stati Uniti e dai loro satelliti sul territorio ucraino. Poiché stanno perdendo sul campo di battaglia, il regime ucraino e i suoi patroni occidentali non esitano a inscenare “bagni di sangue” per demonizzare il nostro Paese presso l’opinione pubblica internazionale. Ci sono già stati Bucha, Mariupol, Kramatorsk e Kremenchuk. Il Ministero della Difesa russo, fatti alla mano, avverte ogni volta che si sta preparando la messa in scena di nuovi incidenti.
Le scene provocatorie messe in atto dall’Occidente e dai suoi tirapiedi hanno una firma riconoscibile. Scene, peraltro, che non sono iniziate in Ucraina, ma molto prima.
1999, provincia serba del Kosovo e Metochia, villaggio di Racak. Una squadra di ispettori dell’OSCE arriva sul luogo del ritrovamento di diverse decine di cadaveri in abiti civili. Il capo della missione dichiara immediatamente, senza alcuna indagine, che si tratta di un atto di genocidio, benché non rientri nei poteri di un funzionario internazionale trarre tali conclusioni. La NATO lancia immediatamente un’aggressione armata contro la Jugoslavia, distruggendo deliberatamente un centro televisivo, ponti, treni passeggeri e altre strutture civili. In seguito, si scopre che i cadaveri non erano di civili, ma di membri di una banda dell’Esercito di liberazione del Kosovo travestiti con abiti civili. Tuttavia, la messa in scena aveva già funzionato come pretesto per il primo uso illegale della forza contro uno Stato membro dell’OSCE dalla firma dell’Atto finale di Helsinki nel 1975. È significativo che il capo della missione OSCE, la cui dichiarazione è servita da “innesco” per gli attentati, fosse P. Walker, un cittadino statunitense. Il risultato principale dell’aggressione è stata la separazione forzata del Kosovo dalla Serbia e l’insediamento della più grande base militare americana nei Balcani, Bondsteel.
2003 – la famigerata esibizione del Segretario Powell al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con una provetta di polvere bianca presentata al mondo come spore di antrace presumibilmente prodotte in Iraq. L’imbroglio ha funzionato ancora una volta: gli anglosassoni e compagnia hanno bombardato l’Iraq, che ancora oggi non è riuscito a ripristinare pienamente la propria statualità. La bufala è stata rapidamente smascherata: tutti hanno ammesso che in Iraq non c’erano armi biologiche o altre armi di distruzione di massa. In seguito, uno dei promotori dell’aggressione, il primo ministro britannico Tony Blair, ha riconosciuto la falsificazione, dicendo qualcosa del tipo: beh, è stato un errore, capita a tutti di sbagliare. Lo stesso Powell si giustificò in seguito dicendo di essere stato “incastrato dai servizi segreti”. In un modo o nell’altro, l’ennesima provocazione messa in scena è servita come pretesto per attuare piani di distruzione di un Paese sovrano.
2011, Libia. Qui la trama del dramma è stata particolare. Non ci sono state vere e proprie bugie, come in Kosovo e in Iraq, ma la NATO ha interpretato in maniera palesemente fuorviata la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La risoluzione aveva imposto una zona di interdizione al volo sulla Libia per bloccare gli aerei da combattimento di Gheddafi che sono rimasti a terra. Tuttavia, le forze della NATO hanno semplicemente iniziato a bombardare le unità dell’esercito libico che combattevano i terroristi. Gheddafi è stato assassinato brutalmente, della Libia non è rimasto nulla – si sta ancora cercando di rimetterne insieme i pezzi e a guidare questo processo è stato scelto di nuovo un rappresentante degli Stati Uniti, nominato personalmente dal Segretario Generale delle Nazioni Unite senza alcuna consultazione con il Consiglio di Sicurezza. Nell’ambito di questo processo, i colleghi occidentali hanno più volte messo in scena accordi elettorali inter-libici, che si sono conclusi con un nulla di fatto. La Libia rimane un territorio ostaggio di gruppi armati illegali. La maggior parte di loro opera a stretto contatto con l’Occidente.
2014, febbraio, Ucraina. L’Occidente, rappresentato dai Ministri di Germania, Francia e Polonia, ha di fatto costretto il Presidente Yanukovych a firmare un accordo con l’opposizione per porre fine allo scontro e risolvere pacificamente la crisi interna ucraina, istituendo un governo provvisorio di unità nazionale e tenendo elezioni anticipate entro pochi mesi. Tuttavia, anche in questo caso si è trattato di una messinscena: al mattino l’opposizione ha inscenato un colpo di stato, con slogan russofobi e razzisti, e i garanti occidentali dell’accordo non hanno nemmeno cercato di farli ragionare. Per giunta, hanno immediatamente iniziato a incoraggiare i golpisti nella loro politica antirussa, scatenando una guerra contro la loro stessa popolazione e bombardando le città del Donbass solo perché si rifiutavano di riconoscere il colpo di Stato anticostituzionale. Per questo, gli abitanti del Donbass sono stati dichiarati “terroristi”, sempre con l’incoraggiamento dell’Occidente.
Va notato che anche l’omicidio dei manifestanti di Maidan, che l’Occidente ha attribuito alle forze di sicurezza fedeli a Viktor Yanukovych e ai servizi speciali russi, era una messinscena, come è presto emerso. In realtà, la provocazione è stata inscenata dai radicali dell’opposizione che collaboravano strettamente con i servizi di sicurezza occidentali. I fatti sono stati presto svelati, ma ormai lo spettacolo era andato in scena.
Quando la guerra nel Donbass è stata fermata e grazie agli sforzi di Russia, Germania e Francia nel febbraio 2015 sono stati firmati gli accordi di Minsk tra Kiev, Donetsk e Lugansk, Berlino e Parigi hanno assunto un ruolo attivo, proclamandosene orgogliosamente garanti. E nonostante questo, per i successivi sette anni, non hanno mosso un dito per costringere Kiev – come esplicitamente richiesto dagli accordi di Minsk, approvati all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU – ad avviare un dialogo diretto con i rappresentanti del Donbass al fine di concordare status speciale, amnistia, ripristino dei legami economici e svolgimento delle elezioni. I leader occidentali sono rimasti in silenzio anche quando Kiev – sia con Poroshenko, sia con Zelensky – ha preso provvedimenti in esplicito contrasto con gli accordi di Minsk. Inoltre, i tedeschi e i francesi hanno dichiarato che il dialogo diretto tra Kiev e DNR e LNR era impossibile, addossando la responsabilità alla Russia, nonostante questa non sia neanche menzionata nei documenti di Minsk e in tutti questi anni sia stata sostanzialmente l’unica a insistere sulla loro attuazione.
Se qualcuno aveva dei dubbi sul fatto che Minsk fosse un’altra messa in scena, questi sono stati fugati da Poroshenko, che il 17 giugno 2022 ha dichiarato: “Gli accordi di Minsk non significavano nulla per noi, non avevamo alcuna intenzione di attuarli…il nostro compito era quello di allontanare la minaccia…di guadagnare del tempo per ripristinare la crescita economica e costruire la potenza delle Forze Armate Ucraine. L’obiettivo è stato raggiunto. Gli accordi di Minsk hanno esaurito il loro compito. Il prezzo di questa messa in scena lo sta ancora pagando il popolo ucraino, che per anni è stato costretto dall’Occidente a rassegnarsi a vivere sotto l’oppressione di un regime neonazista e russofobo. E quando O. Scholz ora chiede di costringere la Russia ad accettare un accordo sulle garanzie di integrità territoriale e sovranità dell’Ucraina, sta facendo uno sforzo vano. Un accordo di questo tipo c’era: gli accordi di Minsk, uccisi solo da Berlino e Parigi facendo da scudo a Kiev, che si è apertamente rifiutata di applicarli. Così la messa in scena è finita, finita la commedia.
Tra l’altro, Zelensky è un degno successore di Poroshenko, davanti al quale era pronto a inginocchiarsi teatralmente in un comizio elettorale all’inizio del 2019 per porre fine alla guerra.
Nel dicembre dello stesso anno, egli stesso ha avuto la possibilità di attuare gli accordi di Minsk: a Parigi si è tenuto il “vertice di Normandia”, dove, in una dichiarazione adottata al massimo livello, si è impegnato a risolvere le questioni relative allo status speciale del Donbass. Naturalmente non ha fatto nulla e Berlino e Parigi lo hanno coperto ancora una volta. Un altro documento tanto pubblicizzato si è rivelato essere nient’altro che una messa in scena ucraino-occidentale – esattamente in linea con la logica di Poroshenko – per guadagnare tempo e rifornire di armi il regime di Kiev.
E poi la Siria. Dopo l’attuazione dell’accordo del 2013 per la distruzione delle armi chimiche siriane, ratificato dall’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW), che grazie a questo accordo ha vinto il Premio Nobel per la pace, nel 2017 e nel 2018 si sono verificate provocazioni plateali con la messa in scena dell’uso di armi chimiche a Khan Sheikhoun e nel sobborgo di Damasco di Douma. Sono stati diffusi video in cui compaiono persone, chiamate “Caschi Bianchi” (che si sono proclamate un’organizzazione umanitaria, ma non si sono mai presentate nel territorio controllato dal governo siriano) che aiutano i presunti residenti avvelenati, senza indossare indumenti protettivi o utilizzare accessori di protezione. Tutti i tentativi di convincere il Segretariato tecnico dell’OPCW a svolgere il proprio lavoro in buona fede e a garantire un processo di indagine trasparente sugli incidenti, come richiesto dalla Convenzione sulle armi chimiche (CAC), sono stati infruttuosi. Ciò non sorprende: il Segretariato Tecnico è stato a lungo “privatizzato” dai Paesi occidentali, i cui rappresentanti vi occupano posti chiave. Proprio loro hanno collaborato a orchestrare le suddette bufale, che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno utilizzato come pretesto per lanciare attacchi missilistici e dinamitardi sulla Siria, un giorno prima che una squadra di ispettori dell’OPCW, su nostra insistenza, arrivasse sul posto per indagare sugli incidenti, dopo la strenua resistenza opposta dall’Occidente all’invio degli ispettori.
La capacità dell’Occidente e del subdolo Segretariato tecnico dell’OPCW di organizzare messe in scene è stata evidente anche negli avvelenamenti di Skripal e Navalny. In entrambi i casi, le numerose richieste inviate ufficialmente da parte russa all’Aia, a Londra, a Berlino, a Parigi e a Stoccolma rimangono senza risposta, sebbene siano formulate nel pieno rispetto dei requisiti della CAC e debbano essere esaudite.
Allo stesso modo, occorre rispondere alle domande sulle attività segrete che il Pentagono (attraverso la sua Threat Reduction Agency) ha svolto in Ucraina. “Le scoperte fatte dalle forze dell’Operazione Militare Speciale nei laboratori militari-biologici nei territori liberati del Donbass e nelle aree adiacenti indicano chiaramente violazioni dirette della Convenzione sulle armi biologiche e tossiche (BWC). I documenti sono stati presentati da noi a Washington e al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. È stata avviata una procedura di chiarimento della BWC. A dispetto dei fatti, l’amministrazione statunitense sta cercando di giustificarsi sostenendo che tutte le ricerche biologiche svolte in Ucraina erano esclusivamente pacifiche e di natura civile. Ma non ci sono prove.
Su scala più ampia, le attività militari-biologiche del Pentagono in tutto il mondo, soprattutto nello spazio post-sovietico, richiedono la massima attenzione alla luce delle prove sempre più evidenti di esperimenti criminali, spacciati per pacifici, con gli agenti patogeni più pericolosi, al fine di creare armi biologiche.
La messa in scena di “crimini” commessi dalle milizie del Donbass e dai partecipanti all’Operazione militare Speciale russa sono già stati menzionati in precedenza. Il costo di queste accuse è illustrato da un semplice fatto: dopo aver mostrato al mondo la “tragedia di Bucha” all’inizio dell’aprile 2022 (si sospetta che gli anglosassoni abbiano avuto un ruolo nella “regia della scena”), l’Occidente e Kiev non rispondono ancora a domande elementari: se siano stati definiti i nomi delle vittime e quali siano i risultati degli esami autoptici. Come nei casi Skripal e Navalny sopra descritti – la “prima” pubblicitaria dello spettacolo messo in scena dai media occidentali è andata in onda e ora – “è impossibile riprendere le fila della storia”, smentire non serve a nulla.
Questo è il senso dell’algoritmo della politica occidentale: inventare una falsa informazione, gonfiarla fino a farla diventare una catastrofe universale nel giro di due o tre giorni, bloccando l’accesso della popolazione a informazioni e valutazioni alternative, e quando i fatti si fanno strada, vengono semplicemente ignorati, al massimo citati nelle ultime pagine delle notizie a caratteri piccoli. È importante capire che non si tratta di innocui giochi di guerra mediatici, perché tali rappresentazioni sono direttamente utilizzate come pretesto per azioni piuttosto concrete: punire i Paesi “accusati” con sanzioni, compiere barbare aggressioni contro di loro con molte centinaia di migliaia di vittime civili, come nel caso dell’Iraq e della Libia, tra gli altri. O – come nel caso dell’Ucraina – per usarla come materiale sacrificabile nella guerra dell’Occidente contro la Russia. Inoltre, gli istruttori NATO e i puntatori dei sistemi lanciarazzi multipli sembrano già dirigere le azioni delle Forze Armate Ucraine e delle Forze di Sicurezza Nazionale direttamente “sul campo”. Spero che tra gli europei ci siano politici responsabili e consapevoli delle conseguenze di questa situazione. In questo contesto è interessante che nessuno nella NATO e nella UE abbia stigmatizzato le parole inopinatamente pronunciate dal capo di stato maggiore dell’aeronautica tedesca Gerharz, che ha dichiarato necessario prepararsi all’uso di armi nucleari e ha aggiunto: “Putin, non cerchi di competere con noi”. Il silenzio dell’Europa suggerisce che essa ignora con compiacimento il ruolo della Germania nella propria storia.
Se guardiamo agli eventi odierni attraverso la lente della storia, l’intera crisi ucraina si presenta come un “grande gioco” basato sulla sceneggiatura promossa un tempo da Zbigniew Brzezinski. I discorsi sulle buone relazioni e sulla disponibilità dell’Occidente a tenere conto dei diritti e degli interessi dei russi che la dissoluzione dell’URSS ha colto nell’Ucraina indipendente e in altri Paesi post-sovietici, si sono rivelati solo una finzione. Già all’inizio degli anni 2000, Washington e l’Unione Europea hanno iniziato a chiedere apertamente a Kiev di decidere con chi stare: con l’Occidente o con la Russia?
Dal 2014. L’Occidente è inequivocabilmente al comando del regime russofobico che ha portato al potere con un colpo di Stato. Anche la presenza di Zelenski sul palcoscenico di un forum internazionale ancora più importante fa parte di una messa in scena. Fa discorsi patetici e poi, quando improvvisamente propone qualcosa di sensato, viene bacchettato, come è successo dopo il round di Istanbul dei colloqui russo-ucraini: a fine marzo sembrava esserci un po’ di luce nel dialogo, ma Kiev è stata costretta a fare un passo indietro, sfruttando tra l’altro l’episodio apertamente orchestrato di Bucha. Washington, Londra e Bruxelles hanno iniziato a chiedere a Kiev di non iniziare i negoziati con la Russia fino a quando l’Ucraina non avesse raggiunto la piena supremazia militare (particolarmente decisa è stata l’azione dell’ex primo ministro britannico B. Johnson, insieme a molti altri politici occidentali ancora in carica ma che hanno già dimostrato simile livello di inadeguatezza).
La dichiarazione del capo della politica estera della UE, J. Borrell, secondo cui il conflitto dovrebbe terminare con “una vittoria dell’Ucraina sul campo di battaglia”, suggerisce che anche uno strumento come la diplomazia sta perdendo il suo significato nella “rappresentazione scenica” della UE.
Più in generale, è interessante osservare come l’Europa, “costruita” da Washington sul fronte anti-russo, soffra più di altri di sanzioni insensate, svuoti i propri arsenali fornendo armi a Kiev (senza pretendere di sapere chi poi le controlla e dove finiscono), liberando il proprio mercato per i successivi acquisti di prodotti militari-industriali statunitensi e del costoso GNL americano al posto del conveniente gas russo. Queste tendenze, unite alla fusione pratica della UE con la NATO, fanno sì che i discorsi fatti finora sulla “autonomia strategica” della UE non siano altro che una rappresentazione. La politica estera dell’”Occidente collettivo” è un “teatro per un attore solo” che per giunta porta alla ricerca costante di nuovi teatri di guerra.
Parte della strategia geopolitica contro la Russia consiste nel concedere all’Ucraina e alla Moldavia (che sembrano anch’esse destinate a un destino poco invidiabile) lo status di Paese candidato perpetuo alla UE. Nel frattempo, viene pubblicizzata la “comunità politica europea” avviata dal presidente francese Macron, in cui non ci saranno particolari benefici finanziari ed economici, ma si chiederà la piena solidarietà con la UE nelle sue azioni antirusse. Non si tratta più di un principio di “o l’uno o l’altro”, ma di “chi non è con noi è contro di noi”. Lo stesso Macron ha spiegato di che tipo di “comunità” si tratta: la UE inviterà tutti i Paesi europei – “dall’Islanda all’Ucraina” – a farne parte, ma non la Russia. Devo dire subito che noi non ne abbiamo bisogno, ma la dichiarazione stessa è rivelatrice, svela l’essenza di questa nuova impresa conflittuale e divisiva.
L’Ucraina, la Moldavia e altri Paesi, che oggi vengono corteggiati dalla UE, sono destinati a fare da comparse nei giochi dell’Occidente. Gli Stati Uniti, in quanto principali produttori di questi spettacoli, scelgono la musica e la trama, sulla base delle quali viene scritta una sceneggiatura anti-russa in Europa. Gli attori sono pronti; hanno competenze acquisite in ” “Studio Kvartal 95″; saranno in grado di dare voce a testi pieni di pathos non peggiori della già dimenticata Greta Tunberg, e, se necessario, suonare strumenti musicali. Gli attori sono bravi: ricordiamo quanto Zelenski abbia interpretato in modo convincente il democratico in “Servo del popolo”, combattente contro la corruzione, contro la discriminazione dei russi e in generale “per ogni bene”. Ricordatelo e confrontatelo con il modo in cui si è trasformato istantaneamente in presidente, letteralmente secondo il metodo Stanislavskij: divieto della lingua russa, dell’istruzione, dei media, della cultura. “Se vi sentite russi, per il bene dei vostri figli e nipoti, andate a vivere in Russia”. Un buon consiglio. Ha definito gli abitanti del Donbass non persone, ma “esemplari”. E a proposito del battaglione nazista Azov ha detto: “Sono quello che sono. Ne abbiamo molti così”. Persino la CNN si è vergognata di lasciare questa frase nell’intervista.
Ci si chiede quale sarà l’epilogo di tutte queste storie. In realtà, la messa in scena del sangue e del dolore umano è tutt’altro che divertente, ma è la manifestazione di una cinica politica di creazione di una nuova realtà in cui si cerca di sostituire tutti i principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale in generale con un “ordine” basato sulle proprie “regole”, nel tentativo di perpetuare un inafferrabile predominio negli affari mondiali.
Le conseguenze più devastanti per le relazioni internazionali contemporanee sono state le partite giocate in seno all’OSCE dall’Occidente all’indomani della fine della Guerra Fredda, di cui si è considerato vincitore. Rompendo rapidamente le promesse fatte all’URSS e alla leadership russa di non espandere la NATO verso est, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno comunque dichiarato il proprio impegno a costruire uno spazio comune di sicurezza e cooperazione nell’area euro-atlantica e, insieme a tutti i membri dell’OSCE, hanno firmato solennemente ai massimi livelli, nel 1999 e di nuovo nel 2010, l’impegno politico a garantire una sicurezza uguale e indivisibile, nell’ambito della quale nessuno tenti di rafforzare la propria sicurezza a scapito degli altri e nessuna organizzazione rivendichi un ruolo dominante in Europa. Ben presto è risultato chiaro che i membri della NATO non stavano mantenendo la parola data, poiché avevano puntato al dominio dell’Alleanza Nord Atlantica. Anche in quell’occasione, abbiamo proseguito i nostri sforzi diplomatici offrendo di sancire lo stesso principio di sicurezza uguale e indivisibile in un trattato giuridicamente vincolante. L’abbiamo proposto molte volte, l’ultima nel dicembre 2021. La risposta è stata un rifiuto categorico. Hanno detto senza mezzi termini: non ci saranno garanzie legali al di fuori della NATO. In altre parole, il sostegno occidentale ai documenti politici adottati ai vertici dell’OSCE si è rivelato una finzione a buon mercato. E ora la NATO, guidata dagli Stati Uniti, si è spinta oltre, chiedendo la soggezione non solo dell’area euro-atlantica, ma anche dell’intera regione Asia-Pacifico. L’amministrazione della NATO non fa mistero del principale destinatario delle sue minacce e la leadership cinese ha già dato una valutazione di principio di tali ambizioni neocoloniali. Pechino le ha messe a confronto con il già citato principio dell’indivisibilità della sicurezza, sostenendo la sua applicazione su scala globale per impedire a chiunque nel mondo di avanzare pretese sulla propria esclusività. Questo approccio coincide pienamente con la posizione della Russia. Lo difenderemo con coerenza insieme ai nostri alleati, ai partner strategici e a molte altre persone che la pensano come noi.
L’Occidente collettivo dovrebbe tornare sulla terra dal mondo delle illusioni. La messa in scena, per quanto continui, non funzionerà. È tempo di giocare pulito, non secondo le regole dei bari, ma sulla base del diritto internazionale. Quanto prima tutti si renderanno conto che non ci sono alternative ai processi storici oggettivi di formazione di un mondo multipolare sulla base del rispetto del principio dell’uguaglianza sovrana degli Stati, fondamentale per la Carta delle Nazioni Unite e per l’intero ordine mondiale, tanto meglio sarà.
Se i membri dell’alleanza occidentale non sanno vivere secondo questo principio e non sono pronti a costruire un’architettura veramente universale di sicurezza e cooperazione paritarie, allora che lascino in pace gli altri, che smettano di costringere nel loro campo con minacce e ricatti chi vuole fare di testa propria, che riconoscano nei fatti il diritto alla libertà di scelta di Paesi indipendenti che rispettano sé stessi. Questa è la democrazia – nella vita reale e non nella finzione di un palcoscenico politico disonesto.
Fonte: https://iz.ru/1366164/sergei-lavrov/ob-instcenirovkakh-kak-metode-politiki-zapada
18.07.2022
Scelto da Massimo A. Cascone per ComeDonChisciotte.org. Traduzione Ambasciata della Federazione Russa in Italia
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FONTE: https://comedonchisciotte.org/lavrov-la-messa-in-scena-come-metodo-della-politica-occidentale/
NANCY PELOSI IN VISITA A TAIWAN? USA PRONTI AD AUMENTARE LE FORZE NELLA REGIONE
27 luglio 2022, il Pentagono si dichiara pronto ad aumentare le forze nell’area di Taiwan nel caso in cui la Presidente della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi decidesse di recarsi nell’isola.
I funzionari hanno dichiarato all’Associated Press che se Pelosi dovesse recarsi a Taiwan – un’eventualità ancora incerta – l’esercito aumenterebbe il movimento di forze e mezzi nella regione indo-pacifica.
Un viaggio della Pelosi sarebbe un evento eccezionale, è infatti dal 1997 che una carica così alta degli Stati Uniti, in linea di successione presidenziale seconda solo al vicepresidente, non visita il Paese.
Nulla è stato ancora deciso, ma si sussurra qualcosa e l’Amministrazione Biden mette le mani avanti.
Il generale statunitense Mark Milley, presidente degli Stati Maggiori Riuniti, ha detto mercoledì che la discussione su qualsiasi viaggio specifico è prematura.
Il presidente cinese si dichiara comunque pronto ad intervenire.
Se gli Stati Uniti si spingono oltre e sfidano la linea di fondo della Cina si faranno carico di tutte le conseguenze che ne deriveranno
Ha detto il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, durante una conferenza stampa.
Oggi 28 Luglio alle ore 8:33, secondo fonte Reuters, è iniziata la quinta telefonata tra Joe Biden e Xi Jinping, durata oltre due ore, proprio mentre crescevano le tensioni per il viaggio della presidente: l’ordine del giorno riguarderebbe soprattutto la situazione Russia-Ucraina.
Il presidente cinese mette in guardia l’americano dal “giocare col fuoco” ma Washington, nonostante si dichiari per la “politica di una sola Cina” e riconoscendo Pechino, non Taipei, sa che la legge americana prevede il suo intervento in aiuto di Taiwan, nel caso venisse valutato necessario. Ha inoltre dichiarato attraverso il portavoce della Casa Bianca John Kirby
Si tratta di mantenere aperte le linee di comunicazione con il presidente della Cina, una delle relazioni bilaterali più importanti che abbiamo, non solo in quella regione, ma in tutto il mondo, perché tocca così tante cose.
Ma questo viaggio, è davvero necessario?
L’ultima volta che i due si son parlati era marzo scorso, e Biden aveva avvertito delle “conseguenze” se Pechino avesse dato supporto materiale alla guerra russa.
Intanto Kirby si preoccupa di informare la Pelosi per assicurarsi che abbia “tutto il contesto” di cui ha bisogno per prendere decisioni sul suo viaggio.
Tutti cercano di riparare ad un danno che è solo potenziale, ma la tensione cresce quando i potenti la fanno crescere.
Bonnie Glaser, esperta di Cina presso il German Marshall Fund degli Stati Uniti sostiene che i presidenti Joe Biden e Xi Jinping debbano concentrarsi sulla de-escalation […] per ridurre il rischio di incidenti.
La Cina ha dato pochi indizi sulle reazioni specifiche che potrebbe adottare se Pelosi, da sempre critica nei confronti della Cina, in particolare sulle questioni relative ai diritti umani, si recasse a Taiwan.
FONTI
https://www.reuters.com/world/biden-looks-tamp-down-taiwan-tension-during-china-xi-call-2022-07-28/
Verdiana Siddi
28/07/2022
FONTE: https://comedonchisciotte.org/nancy-pelosi-in-visita-a-taiwan-usa-pronti-ad-aumentare-le-forze-nella-regione/
CULTURA
Prove di Democrazia Rappresentativa
Incontro 29 luglio – Registrazione audio – I.S.P.G.
Qui il link all’Audio completo dell’incontro: https://drive.google.com/file/d/1IujtM9FxVhSM4ApCAAa2uZC7VvFuzNH9/view?usp=sharing
FONTE: https://www.istitutostudipolitici.it/2022/07/26/prove-di-democrazia-rappresentativa-incontro-29-luglio-ore-1830/
Schmitt e la guerra
di Maurizio Lazzarato 29 06 2022
Pubblichiamo l’intervento di Maurizio Lazzarato al convegno «Teologia politica 2022?», svoltosi all’Università Sapienza di Roma alla fine di giugno. Come negli altri articoli su Machina, l’autore approfondisce questioni decisive per analizzare il rapporto tra guerra e capitalismo, soffermandosi in particolare sul pensiero di Carl Schmitt. I temi qui affrontati sono ulteriormente sviluppati e articolati nel libro Guerra o rivoluzione. Perché la pace non è un’alternativa, di imminente pubblicazione nella collana Input di DeriveApprodi.
* * * *
Non c’era bisogno di essere Lenin per capire che la globalizzazione, i monopoli, gli oligopoli e l’egemonia del capitale finanziario ci avrebbero portato, ancora una volta, all’alternativa tra guerra o rivoluzione, socialismo o barbarie (la guerra è certa, mentre la rivoluzione, date le condizioni dei movimenti politici contemporanei, è altamente improbabile). La stessa situazione si era verificata un secolo fa. Sebbene in modo diverso, il collasso del capitale finanziario contemporaneo, salvato dall’intervento degli Stati, la frammentazione e la balcanizzazione della sua globalizzazione, l’ulteriore concentrazione del potere economico e politico per affrontare le difficoltà della finanza e del mercato globale, hanno prodotto dei risultati analoghi. La guerra rappresenta una «catastrofe» in termini tecnici, ossia un «cambiamento di stato». Non possiamo prevedere cosa accadrà, ma sicuramente il vecchio mondo, quello che abbiamo conosciuto negli ultimi cinquant’anni, sta crollando. In realtà, stava crollando già da diverso tempo.
La guerra in Ucraina affonda le sue radici e le sue ragioni in questi processi e non nell’autocrazia o nella follia di qualche individuo.
Tutto sarà deciso tra grandi macchine statali continentali, diversamente da quanto è accaduto durante la Prima guerra mondiale, in cui la rivoluzione, grazie all’iniziativa dei bolscevichi, irrompeva come attore determinante nel cambiamento dell’ordine mondiale, sconvolgendo i piani degli imperialismi in guerra per spartirsi il mondo. Per i rivoluzionari della prima metà del Ventesimo secolo, il capitalismo era inconcepibile senza guerre tra Stati e senza guerre civili contro il proletariato, senza guerre di conquista. Questo grande realismo politico aveva permesso loro, a differenza dello sgomento e smarrimento del nostro tempo, di non essere sorpresi e impreparati allo scoppio della Grande guerra.
Schmitt può ancora fornirci degli strumenti utili per decifrare il presente, ma non sono, a mio avviso, quelli teologico-politici. Vorrei dunque metterli alla prova nel cercare di comprendere l’attualità più immediata, la guerra o meglio le guerre: guerra di conquista, guerra civile, guerra di liberazione nazionale, guerra coloniale, guerra tra Stati. In particolare, ciò che mi interessa di Schmitt e mi sembra ancora attuale è il principio strategico come strumento per interpretare e leggere le azioni umane e gli eventi storici. Preferisco quindi privilegiare il Carl Schmitt che legge i rapporti di potere sfuggendo alla trappola democratico-liberale, piuttosto che la codificazione che opera di questi stessi rapporti nel teologico-politico, che è sempre il punto di vista dello Stato, dell’ordine e dei vincitori, con i quali si accasa volentieri, anche se nazisti. Si potrebbe anche interpretare il teologico-politico diversamente, cioè come rivoluzione, perché è la Rivoluzione sovietica, dopo e più di quella francese, che mostra che il reale è lotta, conflitto, guerra; è la rivoluzione che rivela «chi» è il sovrano, è la rivoluzione il vero «miracolo», l’eccezione che eccede la forma-Stato e non, come in Schmitt, uno degli strumenti della sua conservazione. Ma allora preferisco affidarmi direttamente al pensiero rivoluzionario. Il problema di Schmitt è infatti frenare, impedire che l’evento irrompa, che faccia secessione, che rompa con la forma-Stato, che era il grande progetto della rivoluzione comunista.
A cavallo tra Diciannovesimo e Ventesimo secolo, la rivoluzione esprime la sua egemonia politica e culturale; farà dire al giurista tedesco «Noi viviamo… sous l’oeil des Russes». Schmitt è costretto alla radicalità concettuale dall’intensità politica della rottura rivoluzionaria che cerca di neutralizzare, restandone comunque affascinato: viviamo «sotto lo sguardo del fratello più radicale che ci costringe a portare fino alla fine la conclusione pratica».
Il grande merito di Schmitt è di darci un’immagine della macchina bicefala Stato-capitale (svilupperò tale concetto più avanti) assolutamente non pacificata, affermando che il problema della guerra non è superato dall’economia, che anzi lo esaspera rendendo la guerra, guerra totale. La polemica con il liberalismo (qui Benjamin Constant) porta precisamente al fatto che «la guerra e la conquista violenta non sarebbero più i mezzi per procurarsi il comfort e i piaceri della vita», l’«impulso selvaggio» all’appropriazione sarebbe stato sostituito dal «calcolo civilizzato». Questo punto di vista mi sembra fondamentale, perché la «pacificazione» della macchina Stato-capitale è l’operazione che le teorie critiche, anche marxiste, hanno messo in opera da cinquant’anni a questa parte, assumendo paradossalmente un punto di vista molto vicino al liberalismo: dove c’è l’economia non c’è la guerra. Se negli anni Sessanta e Settanta la guerra è ancora presente, anche se marginalmente, nelle teorie che sono state elaborate, nei lunghi anni della controrivoluzione la guerra è praticamente scomparsa. Nei testi di Rancière e Badiou, che hanno occupato lo spazio della teoria politica critica degli ultimi vent’anni, così come nel femminismo e nell’ecologia, la guerra e le guerre non sono espressamente tematizzate, se non in maniera congiunturale.
La funzione che lo Stato moderno aveva assunto con successo, controllare il conflitto interno (sedare la guerra civile) e delimitare il conflitto esterno, cioè la guerra tra Stati, salta con l’avvento dell’accumulazione capitalista che introduce un’instabilità permanente, perché la crisi, la successione continua di distruzione/creazione, è la sua natura. Ma ciò che toglie ogni possibilità di stabilizzazione, se non temporanea, non è tanto l’economia, quanto la lotta di classe e, soprattutto, la rivoluzione. L’identificazione di Stato e di politico, possibile perché il primo deteneva il monopolio del secondo, non è più praticabile. «Sorgono nuovi soggetti, non più statali, come classi e razze in lotta, ispirate da nuovi raggruppamenti amico-nemico» che politicizzano altri ambiti sociali, primo tra tutti il capitalismo, l’economia, l’imperialismo. Schmitt individua qui i soggetti che si faranno carico delle rivoluzioni del Ventesimo secolo, la classe operaia e i popoli oppressi, privilegiando a giusto titolo questi ultimi. Schmitt evita di farsi imprigionare dal punto di vista eurocentrico, che sarà la caratteristica di molti marxisti europei.
La politicizzazione dell’economia, iniziata nel Diciannovesimo secolo, si compie nel Ventesimo con la rivoluzione, in cui «il conflitto di classe dapprima motivato solo in senso economico, divenne lotta di classe tra gruppi nemici». È Lenin, secondo Schmitt, che ha spostato il «centro di gravità della guerra sulla politica, cioè sulla distinzione tra amico e nemico». La congiunzione del partigiano di Lenin con Hegel produrrà un «nuovo concetto concreto di nemico, il nemico di classe».
Prendere, dividere, produrre
La prima parte del mio intervento è stata scritta sotto gli auspici del trittico schmittiano «prendere, dividere, produrre». Il ciclo economico comincia con le guerre di conquista e di assoggettamento e finisce con le guerre tra Stati (o con la rivoluzione). Questo è sicuramente vero per il neoliberalismo, ma era vero anche per il liberalismo classico. Il primo doveva superare le contraddizioni del secondo, che hanno condotto alle catastrofi della prima metà del Ventesimo secolo, invece sta pedissequamente seguendo le tracce del suo predecessore, anche nel suscitare diverse modalità di guerra civile interna e di guerra tra imperialismi.
Nel capitalismo, la produzione – sia essa materiale o immateriale, affettiva o desiderante, cognitiva o neuronale – presuppone sempre la produzione extra-economica, extra-affettiva, extra-cognitiva delle classi sociali. Prima di produrre delle merci, è necessario prendere, appropriarsi, espropriare con la forza della violenza e dello Stato, terre, popolazioni, corpi, mezzi di produzione, risorse e dividere ciò che è stato preso. Storicamente, il capitalismo è nato da una triplice conquista: la conquista della terra e dei contadini in Europa, la conquista delle donne (la caccia alle streghe è il segno dell’espropriazione del loro sapere), la conquista delle «terre libere» del Nuovo Mondo, con la sottomissione degli indigeni trasformati in colonizzati e degli africani ridotti in schiavi. Senza queste guerre di conquista dei corpi, che dividono i vincitori e i vinti in proprietari e non proprietari, non può essere avviata alcuna produzione.
In realtà, prendere, dividere e produrre è anche il punto di vista del marxismo rivoluzionario. La rivoluzione, in Marx, ha come condizione «l’espropriazione degli espropriatori», come riconosce Schmitt stesso, cioè il rovesciamento della guerra di conquista e di sottomissione attraverso cui sono state costituite le classi.
L’attuale impotenza politica è la diretta conseguenza dell’esclusione delle guerre dalla teoria politica, che a sua volta è il risultato di un’altra esclusione, quella delle lotte di classe. Ciò accomuna tutti i diversi concetti di «produzione» che dagli anni Sessanta hanno arricchito, ampliato, contestato e cercato di superare la teoria marxista: l’economia libidica (Lyotard), l’economia degli affetti (Klossowki), il discorso del capitalista (Lacan), la produzione desiderante (Deleuze e Guattari), la biopolitica (Foucault). Quest’ultima è esemplare, perché è stata elaborata proprio per sostituire la guerra civile come modello politico. Tutte queste teorie sembrano compiere un passo avanti teorico (poiché il capitalismo funziona anche con i desideri e gli affetti, e proprio i desideri e gli affetti contribuiscono fortemente alla costituzione di rotture rivoluzionarie), mentre politicamente fanno due passi indietro, in quanto hanno contribuito a pacificare il capitalismo, separandolo dalle guerre e dalle lotte di classe.
Le divisioni tra proprietari e non proprietari, il dominio dell’uomo sulla donna, del bianco sul non bianco, non sono il risultato della produzione, ma ciò che essa presuppone. La conquista dei corpi si articola a livello di mercato mondiale e, cosa che Schmitt coglie a differenza dell’eurocentrismo di queste teorie, si produce e si stabilizza in modo differenziale tra Nord e Sud grazie alla conquista dell’America. Nel Nord, il consolidamento del potere dei vincitori mobiliterà il diritto, il salario, il welfare e tutti gli strumenti che le teorie degli anni Sessanta e Settanta hanno elaborato (affetti, desiderio, godimento ecc.) per integrare il corpo e l’anima dei vinti. Al Sud invece, all’istituzionalizzazione del lavoro, all’integrazione attraverso il welfare, all’azione attraverso gli affetti, si predilige la violenza coloniale, la governamentalità attraverso il razzismo e la guerra civile permanente. Questa violenza differenziale tra centro e periferia costituisce la seconda condizione politica che le teorie della produzione, materiale o immateriale, biopolitica o cognitiva, sembrano ignorare perché centrate sull’Europa.
La terza condizione è il «non detto» di queste teorie: le soggettività possono essere mobilitate, le norme di potere interiorizzate, gli affetti implicati efficacemente nell’economia e nella politica, solamente quando la lotta in cui sono coinvolte ha prodotto la separazione tra vincitori e vinti. La governamentalità, che continua con altri mezzi la guerra di conquista, potrà agire sulla soggettività solo dopo che questa sarà stata vinta. Nessuna norma economica, sessuale o razziale può affermarsi in una situazione caratterizzata da un alto livello di lotta di classe (come, ad esempio, in America Latina o nell’Italia degli anni Settanta). È necessario procedere a una normalizzazione preventiva sia politica che soggettiva con un’intensità dell’uso della violenza e della guerra civile che varia a seconda dei rapporti di forza. Solo a queste condizioni le norme e gli affetti trovano la possibilità di agire sugli individui, plasmandoli, costruendoli, assoggettandoli. La norma produttiva, come la norma giuridica, non sono applicabili al «caos», suppongono «una strutturazione normale dei rapporti di vita», dice Schmitt. Questa normalità non è un presupposto esterno che si può ignorare; al contrario, concerne direttamente la sua efficacia immanente.
Queste tre condizioni – vale a dire la divisione binaria in dominanti e dominati, l’articolazione di tali divisioni a livello di mercato mondiale, la normalizzazione attraverso la forza che precede la normalizzazione tramite le norme e gli affetti – si riscontrano all’inizio di ogni ciclo di accumulazione. Il neoliberalismo non sfugge a queste genealogie del capitalismo: guerre civili in America Latina, dove si impianta il suo primo laboratorio, e lotte di classe al Nord, da cui il movimento operaio uscirà sconfitto. Nei due casi, quello che ne risultò fu una soggettività proletaria vinta, costretta a obbedire e disponibile alle sollecitazioni della governamentalità, obbligata ad adattarsi all’innovazione tecnologica, alle nuove forme di produzione, al nuovo mercato del lavoro, alle nuove norme del consumo.
L’estrema semplificazione introdotta dal «discorso del capitalista» di Lacan può essere utile per illustrare la rimozione del concetto di guerra e delle lotte di classe, nonché l’ingenuità con cui viene messo in scena un capitalismo pacificato, consentendoci anche di leggere il ciclo economico da un punto di vista particolare, quello del consumo e del capitale finanziario. Nel mondo descritto dal discorso del capitalista «tutto è possibile», nulla è vietato. L’offerta illimitata di merci sembra produrre un consumo il cui godimento è senza «legge», senza padre, senza il senso di colpa che nei precedenti periodi di sviluppo capitalistico riduceva il lavoro a «sacrificio» e il consumo a frugalità, incitando piuttosto al risparmio. I consumatori, liberati da questi limiti «protestanti», si sarebbero sostituiti ai lavoratori al centro dell’accumulazione. Quel «tutto è possibile» sembra corrispondere all’immagine di un capitale che non conosce limiti e rappresentare la nuova ideologia e la nuova antropologia del soggetto produttivo (performante, intraprendente, spinto continuamente, come il capitale di cui è la maschera – «capitale umano» appunto –, a superare i suoi limiti, che sono solo ostacoli con cui misurarsi per spostarli sempre più in là, all’infinito).
Ma il «discorso del capitalista» sembra non sapere che il godimento non si compra con il salario ma con il credito: vivere a credito è la parola d’ordine del potere. Se si oltrepassano i limiti eurocentrici che condizionano questo «discorso», si può facilmente scoprire che il consumo/godimento è stato immediatamente affiancato, ovunque nel pianeta, dalla coppia sacrificio/distruzione imposta dalle politiche finanziarie del debito. Inizialmente in Africa, in seguito in America Latina e nel Sud-Est asiatico, il credito/debito ha funzionato come un’arma di distruzione di massa, mettendo in ginocchio interi paesi e imponendo, a partire dagli anni Ottanta, l’austerità a tutto il pianeta, prima di approdare in Europa. Nel Nord, nei paesi ricchi, il «discorso del capitalista» è di breve durata, gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, la «belle époque» che si ripete. La congiuntura si inverte rapidamente: le crisi finanziarie si susseguono fino a culminare nel crack finanziario del 2008. Anche in America, origine della crisi, e in Europa, il credito lascia il posto al debito, che costringe i più poveri (chiedetelo ai greci) a sacrificarsi perché colpevoli di essere avidi del consumo e del godimento a cui sono stati spinti.
Dopo la crisi finanziaria, un’enorme creazione monetaria mantiene in vita artificialmente un sistema che, invece di ripartire, si logora. Gli Stati che hanno salvato la macchina del profitto/potere si devono confrontare con enormi squilibri interni tra le classi ed esterni con altri gli Stati. La concorrenza diventa conflitto armato. La guerra, che ha dato inizio al ciclo, lo sta ora concludendo, ma con una violenza moltiplicata dalla produzione e dalla produttività sviluppate lungo la fase di espansione del ciclo stesso.
L’economia desiderante si è trasformata in economia di guerra, il discorso del capitalista si è convertito in un discorso guerrafondaio, l’«intelletto generale» si sta rapidamente militarizzando, la sfera mediatica ha messo l’elmetto (in studio e nei giornali), senza che nessuna delle nuove teorie della produzione sia in grado di rendere conto di questa involuzione, perché le guerre e il loro rapporto con il capitalismo non fanno parte di questi modelli pacificati.
La globalizzazione e il nomos della terra che non c’è
La formazione delle classi tramite la guerra civile è la prima causa della guerra. La seconda è da cercare nell’imperialismo. Il capitale non è un modo di produzione autonomo, ci suggerisce Rosa Luxemburg: è «la prima forma economica incapace di sussistere sola, con il solo aiuto del suo ambiente […] il capitalismo vive delle formazioni e delle strutture non capitaliste, vive più precisamente della rovina di queste strutture». Il capitalismo è quindi indissociabile dalla globalizzazione, cioè dall’imperialismo.
Questa seconda parte è stata scritta sotto il segno de Il nomos della terra e della Teoria del partigiano. Nel primo Schmitt traccia il senso e il significato della prima globalizzazione, dell’imperialismo e dell’ordine mondiale imposto dall’Europa. Nel secondo libro rende conto di come le rivoluzioni del Ventesimo secolo mettano fine a questo nomos globale, cioè a quattro secoli di colonialismo, creando un’instabilità dell’ordine mondiale, che è ancora la causa principale dell’attuale guerra in Ucraina. Le rivoluzioni asiatiche e le loro strategie contro l’imperialismo sono state, senza alcun dubbio, l’evento più importante del Ventesimo secolo, Schmitt lo coglie perfettamente. Dico, en passant, che il teologico-politico è un punto di vista europeo-cristiano poco consono a interpretare queste rivoluzioni che hanno sconvolto l’ordine mondiale.
La divisione dello spazio politico mondiale è contemporanea della costituzione del mercato mondiale, cominciata con la conquista dell’America. Il Nuovo Mondo è sia un fornitore di beni gratuiti, condizione per lo sviluppo del capitalismo industriale, sia la premessa per l’ordine giuridico e politico europeo. Sono infatti «la comparsa di spazi liberi immensi e la conquista territoriale», integrati nelle strategie degli Stati europei, che hanno reso «possibile un nuovo diritto internazionale europeo a struttura interstatale». La macchina mondiale del potere, assolutamente organica alla macchina mondiale della produzione, scava un dentro dove si dispiegano gli Stati europei, la loro costituzione, la loro legge, la loro divisione dei poteri, e un fuori molto più vasto chiamato Nuovo Mondo, dove regna l’anomia, la violenza, l’arbitrio, il razzismo, il sessismo, il genocidio di massa. Questo ordine mondiale comincia a incrinarsi con la Rivoluzione francese e definitivamente con la Rivoluzione sovietica, vedendo a suo capo differenti potenze economico-politiche, l’ultima delle quali sono gli Stati Uniti, che si dovranno drammaticamente confrontare con il problema dell’impossibilità di stabilire un’egemonia, come era avvenuto per secoli.
Dopo la caduta del muro gli americani erano convinti che, avendo vinto la battaglia di «civiltà» del Ventesimo secolo tramite l’economia di mercato e la democrazia, non restasse che capitalizzare la vittoria imponendo il «neoliberalismo» in tutto il mondo. Gli occidentali, concentrati prima sullo scontro Est/Ovest e poi sulla guerra al terrorismo, non hanno compreso che le guerre anticoloniali, in meno di un secolo, avevano profondamente cambiato gli equilibri di potere tra Nord e Sud. La cosa era invece evidente per dei conservatori come Spengler e Schmitt già negli anni Venti del secolo scorso. Il primo, immediatamente dopo la Grande guerra, si esprime con una lucidità che vale la pena di citare: «Non è la Germania ma l’Occidente ad aver perso la guerra mondiale allorché gli è venuto meno il rispetto dei popoli di colore». A vincere è stata la Rivoluzione d’ottobre, che ha gettato via la «maschera “bianca”», per diventare «di nuovo una grande potenza asiatica, “mongolica”», animata da «odio infuocato contro l’Europa». Gli appelli dei sovietici alla sollevazione dei «popoli oppressi» dal colonialismo e alla rivolta dell’«intera popolazione di colore della terra», mirano a costituire «una resistenza comune» e una «lotta contro l’umanità bianca».
Pur avendo abbandonato il progetto comunista o socialista, le rivoluzioni anticoloniali, prima fra tutte la guerra di liberazione nazionale della Cina, sono all’origine della distribuzione contemporanea del potere politico e dello spostamento di centri del capitalismo dal Nord al Sud e all’Est del mondo. La riconfigurazione dell’ordine mondiale non ha avuto luogo principalmente al Nord ma nel Sud del mondo, come ora appare sempre più evidente. Gli Stati Uniti avrebbero dovuto capirlo, loro che avevano condotto un’aspra guerra militare, politica ed economica contro il Sud (all’epoca «Terzo mondo») dopo la Seconda guerra mondiale.
Per Giovanni Arrighi, il cuore dell’antagonismo della seconda metà del Novecento «non è altro che la lotta di potere durante la quale il governo americano cercò di contenere, con l’uso della forza, il doppio fronte della sfida che rappresentavano il comunismo e il nazionalismo nel Terzo mondo». Arrighi dimostra che la controrivoluzione monetaria, iniziata con la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro (1971), costituisce una risposta diretta alla più importante guerra anticoloniale dopo la Seconda guerra mondiale, quella che ha dato l’indicazione della mobilitazione generale contro l’imperialismo a tutti i paesi del Sud. «Dobbiamo fare come Dien Ben Phu», proclamava Fanon dall’Algeria ancora sotto l’occupazione francese. Mentre i marxisti europei collegavano la riorganizzazione capitalista esclusivamente alle lotte capitale-lavoro e alla concorrenza tra i capitalisti, Arrighi afferma che le politiche americane a cavallo degli anni Sessanta e Settanta miravano «a strappare ai vincoli monetari la lotta per il dominio che gli Usa conducevano nel Terzo mondo».
Carl Schmitt vede perfettamente l’enorme energia e potenza politica sviluppate dalle guerre anticoloniali che sono riuscite a trasformare, grazie ai comunisti, la «piccola guerra» di Clausewitz in guerra rivoluzionaria, in «guerra partigiana», mentre il suo ammiratore, Mario Tronti, non sembra leggere con la stessa lucidità queste rivoluzioni che definirà, con una certa condiscendenza, «contadine». «L’irregolarità della lotta di classe» organizzata dalla lotta partigiana, articolata alle forme più classiche del combattimento condotto dall’Armata Rossa, «mette in discussione l’intera costruzione dell’ordinamento politico e sociale. […] L’alleanza della filosofia col partigiano, compiuta da Lenin, libererà delle forze nuove ed esplosive» e provocherà «nientemeno che il crollo del vecchio mondo eurocentrico, che Napoleone aveva sperato di salvare e il Congresso di Vienna di restaurare». La guerra partigiana farà crollare anche gli imperi coloniali.
Schmitt segue lo sviluppo della guerra partigiana nella Rivoluzione cinese dove raggiungerà il suo apogeo. «Ma il partigiano del bolscevismo russo è poca cosa – voglio dire nella sua realtà concreta – paragonato al partigiano cinese». La rivoluzione segue l’evoluzione della guerra da limitata a industriale e totale e ha la capacità di batterla nella sua nuova forma: «La guerra limitata» (che è ancora la guerra di Clausewitz), paragonata alla guerra imperialista e alla guerra partigiana scatenata dall’ostilità della rivoluzione, «non è molto di più che un duello tra uomini d’onore».
Ryamond Aron ha espresso lo stesso pregiudizio eurocentrico di Tronti, quando scriveva a Schmitt «che il problema del partigiano era il problema dei popoli poveri» e senza industria, gravati dai ritardi tecnologici e organizzativi, potremmo aggiungere noi. Schmitt, invece, prende molto sul serio la «piccola guerra» dei rivoluzionari e vede tutta la novità strategica che contiene, confrontandola con la configurazione spaziale dei teatri di guerra in mare («spazio liscio») e sulla terra («spazio striato»). «Il combattimento dei partigiani crea un nuovo campo d’azione, uno spazio con una struttura complessa perché il partigiano non si batte su un campo di battaglia aperto […] Al contrario forza il nemico a insabbiarsi in uno spazio nuovo”.
Il partigiano deterritorializza la guerra regolare, rendendo la terra liscia come lo spazio marittimo. Questa capacità di imporre un «nuovo spazio» al nemico, di sparigliare il suo territorio non fissando nessun fronte, creandolo continuamente dove si materializza la guerriglia, è una grande invenzione strategica che conoscerà un grande successo anche quando non ci sono i comunisti a gestirla.
La guerra partigiana è ancora la guerra che, malgrado la loro tecnologia, i loro eserciti, le enormi spese militari, gli enormi investimenti in scienza e tecnologia del Pentagono, gli americani non riescono a vincere. Le guerre iniziate contro il Sud subito dopo il crollo del muro le hanno perse tutte.
Il rifiuto delle sanzioni contro la Russia da parte della maggioranza dei paesi del Sud e il rifiuto di sottomettersi alla volontà egemonica degli Usa hanno le loro radici nella storia delle guerre anticoloniali del Ventesimo secolo, ma anche nell’attualità dell’imperialismo americano e del suo neo-colonialismo monetario e finanziario. Diversamente dalla maggior parte dei paesi del globo, gli Stati Uniti producono meno di quello che consumano, hanno un tenore di vita che non è giustificato dalla loro capacità produttiva, vivono cioè al di sopra dei loro mezzi, con la bilancia dei pagamenti costantemente in passivo. Sono il paese più indebitato del mondo. Le politiche del credito/debito sono state imposte perché erano le sole capaci di garantire che il loro reddito medio fosse sei volte superiore a quello di un cinese, senza che ciò corrispondesse alla realtà produttiva dei due paesi. È l’imposizione del dollaro come moneta internazionale degli scambi che permette alla Fed di finanziare l’«Americain way of life», cioè il più grande spreco nella storia dell’umanità, trovando acquirenti di un debito che continua a crescere.
Sia il dollaro che il debito non sono perciò garantiti dalla capacità produttiva, ma dalla supremazia militare. Il primato del dollaro fonda il primato degli Stati Uniti, e la forza del dollaro è garantita dal primato militare. Qui non si tratta nemmeno più di keynesismo militare, ma di semplice sopruso armato sul resto del mondo. Più cadono bombe, più si trucidano popolazioni, più si costruiscono armi, più il valore del dollaro resta alto o sale, e più possono emettere dollari in grande quantità e attirare capitali che sottraggono ai paesi poveri e in via di sviluppo. Le carneficine interne sono la legittimazione di questa logica assassina.
La guerra e l’armamento sono un elemento vitale per gli Stati Uniti non solo per l’egemonia mondiale ma anche per conservare standard di consumo e di produzione. È per questo che il loro imperialismo è molto più pericoloso di quello della Cina e della Russia, che non dispongono ancora dei dispositivi di predazione mondiale degli americani. Quando qualche paese del Sud, produttore di materie prime, decide di scambiarle con una moneta diversa dal dollaro, gli Stati Uniti intervengono immediatamente (vedi la fine di Saddam Hussein e di Gheddafi).
La cosa straordinaria dei governi e dell’amministrazione americana è che, nonostante questa «tassa» imposta al mondo intero, sono riusciti – creando delle enormi differenze di reddito e di patrimonio – a scatenare una guerra civile interna. Il che li rende doppiamente pericolosi. In realtà gli Stati Uniti sono ancora più pericolosi, perché le politiche del credito/debito utilizzate per sopperire al loro declino, sono all’origine della crisi finanziaria che è stata l’anticamera della guerra.
I paesi del Sud hanno tutte le ragioni del mondo per non appoggiare la coalizione anglo-americana in Ucraina, è ciò che dovrebbe fare anche l’Europa, se avesse un minimo di forza politica, perché si sta suicidando per la seconda volta.
Stato e capitale
La terza causa della guerra è da cercarsi nell’integrarsi dello Stato e del capitale in una macchina in cui produzione e distruzione tendono a identificarsi. La successione di eventi che ci ha portato alla guerra in Ucraina si era già prodotta, in maniera simile, nella grande globalizzazione precedente, determinando le condizioni della guerra e delle rivoluzioni. La finanziarizzazione che crea squilibri mostruosi tra le classi ma anche tra gli Stati, la mondializzazione che si sgretola, la guerra tra gli imperialismi che esplode, devono spingere a porci la domanda: perché il capitale non può diventare mercato mondiale compiuto e conduce invece con stupefacente regolarità alla guerra tra Stati? Com’è possibile che dopo tanto parlare di crisi dello Stato, di superamento delle frontiere, di reti mondiali economiche, finanziarie e commerciali, ci si trovi di fronte a una guerra tra imperialismi condotta da grandi Stati continentali, ma pur sempre e comunque da Stati?
Il problema di fondo mi sembra questo: non è possibile parlare di «ritorno dello Stato» perché non è possibile opporre il capitale e lo Stato, separare la potenza immanente del primo dal potere trascendente del secondo, dividere la forza deterritorializzante del capitale da quella territorializzante dello Stato, perché insieme costituiscono una macchina, che però non può mai diventare Impero o una sola macchina da guerra. Rosa Luxemburg lo aveva anche scritto un secolo fa: il capitale, «avendo la tendenza a diventare una forma mondiale, si spezza contro la propria incapacità a essere questa forma mondiale della produzione». Il capitale non può globalizzarsi senza lo Stato e quest’ultimo ha bisogno del capitale per vivere nella globalizzazione. Senza capitale la sua sovranità è vuota, senza salari e reddito, senza impiego e welfare la sua legittimità è debole, la sua forza interna ed esterna dipende dalla produzione. Senza lo Stato il capitale non può far fronte alla sua estensione produttiva, che deve coinvolgere l’intera società e l’intero mondo.
L’integrazione tra capitale e Stato si attua gradualmente senza mai fondersi in un tutto organico, con un’accelerazione a partire dalla Prima guerra mondiale. Dalle nozze dello Stato e del capitale celebrate tra il 1914 e il 1918, dopo un fidanzamento durato qualche secolo, nasce una macchina da guerra che riorganizza sia lo Stato che il capitale. Lo Stato vede modificarsi la sovranità, l’indipendenza, l’autonomia che aveva detenuto fino alla Rivoluzione francese. Lo Stato non più «stare», non può più frenare i movimenti che minano l’ordine, è impossibilitato a essere una forza katechontica, ma deve diventare esso stesso attore del cambiamento che deve anticipare e produrre, mentre il capitale non è più la potenza immanente e autonoma descritta da Marx. Non è più vero che «nel segreto laboratorio della produzione sta scritto: No admittance except on business», perché lo Stato ci entra di prepotenza per cercare di sedare la lotta di classe che il capitalismo ha suscitato ma non riesce a contenere.
Negli anni Trenta Schmitt definisce questo Stato come totale o economico perché «dispone di un esteso diritto del lavoro, d’una fissazione dei prezzi e d’un arbitraggio dei poteri pubblici in caso di conflitto sui salari attraverso il quale esercita un’influenza determinante sui salari; assicura delle sovvenzioni gigantesche ai diversi settori dell’economia; è uno Stato del benessere e della previdenza, uno Stato fiscale e che spende». Tutti i settori della società sono implicati in questo processo: già nel 1928, dice Schmitt, il 53% del reddito nazionale è controllato dai poteri pubblici. Lo Stato interviene in una materia che era precedentemente definita non politica e la produzione si politicizza perché luogo privilegiato della lotta di classe.
Questa perdita relativa di autonomia di entrambi è largamente compensata dall’acquisizione, tramite il loro integrarsi, di una forza di produzione/distruzione inaudita, che contiene tutte le catastrofi a venire.
Non c’è mai stata «fobia dello Stato», contrariamente a ciò che afferma Foucault, né da parte degli ordoliberali, né da parte dei neoliberali. La sola fobia che insieme hanno avuto è quella della «rivolta delle masse», che con la lotta strappano allo Stato conquiste di ogni tipo, obbligandolo al compromesso, riducendolo a un «mercato del bestiame» (diceva un ordoliberale) e a perdere parte della sua sovranità. Il progetto di Schmitt, così come degli ordoliberali negli anni Trenta («Economia libera, Stato forte» diceva Rüstow nel 1932, facendo eco a un testo precedente di Schmitt, Stato forte, economia sana) e dei neoliberali contemporanei, non è mai stato quello di uno Stato debole bensì di uno Stato forte, capace di neutralizzare tutte le «domande» operaie e proletarie che lo assalgono e di investire invece tutta la sua forza e le sue funzioni nello sviluppo della macchina Stato-capitale.
Il già citato Rüstow, uno dei fondatori negli anni Trenta del neoliberalismo, annuncia a suo modo il progetto di una macchina Stato-capitale capace di integrare le loro differenze: «uno Stato forte nell’interesse di una politica economica liberale e una politica economica liberale nell’interesse di uno Stato forte – perché le due esigenze si condizionano mutualmente». L’integrazione di Stato e capitale è spinta al suo limite quando gli ordoliberali domandano di scrivere i principi che regolano la produzione del profitto nella costituzione (cosa fatta in Europa durante l’ultima crisi del debito).
Questa integrazione senza identificazione produce un «capitalismo politico» in cui la burocrazia amministrativa, militare e politica non si distingue in niente dai capitalisti: insieme costituiscono la soggettivazione della macchina economico-politica. Burocrati e capitalisti occupano funzioni diverse all’interno della stessa macchina politico-economica-militare, costituendone il punto di vista soggettivo che instaura e regola il rapporto tra guerra di conquista e produzione, tra violenza della colonizzazione e ordinamento democratico, organizzazione scientifica del lavoro (astratto) e saccheggio della nature umana e non umana.
La guerra in Ucraina ci mostra una realtà che struttura da sempre la globalizzazione: Stato, guerra e capitale sono strettamente intrecciati, ma in macchine da guerra diverse che si oppongono strategicamente. Il capitalismo si è imposto su tutto il pianeta, ma il rapporto economia/politica non è uguale in ogni nazione. Anche gli obiettivi e i mezzi che si danno per raggiungerli non sono gli stessi. Abbiamo quindi a che fare con una molteplicità di centri di potere politico-economico che con l’acutizzarsi delle crisi e delle catastrofi ecologiche, sanitarie ed economiche scatenate dalle politiche neoliberali, si battono come un secolo fa per appropriarsi di mercati, risorse materiali e umane, per imporre le proprie regole e la propria moneta.
Insomma, abbiamo ancora a cha fare con gli imperialismi, anche se si tratta di grandi spazi, di Stati continentali, che si stanno scontrando con le armi, con l’economia, con la comunicazione, con la logistica, con la cultura, dunque con la guerra «totale». Ma totale era già il conflitto del 1914-18, anzi è ancora esso che costituisce la matrice di ciò che sta succedendo.
Un’ultima cosa non meno importante: l’industria bellica e il militarismo sono degli elementi costitutivi del capitalismo. Stato, capitale, militarismo costituiscono un circolo virtuoso: il militarismo favorisce lo sviluppo del capitale e dello Stato da sempre, e questi ultimi, a loro volta, finanziano lo sviluppo del militarismo. Dopo la Prima guerra mondiale, l’industria bellica costituisce un investimento imprescindibile per l’accumulazione. Ha la stessa funzione di stimolo degli investimenti produttivi (keynesismo di guerra) e assorbe l’aumento della produzione in modo che non vada al «consumo». In ciò l’industria bellica è un regolatore del ciclo economico, ma soprattutto del «ciclo politico». L’economia di guerra in cui siamo entrati aumenterà ancora la parte della ricchezza prodotta che andrà all’armamento e ridurrà ulteriormente il consumo. Al Sud non si tratterà soltanto di una contrazione del potere di acquisto, ma di carestie, esplosione del debito per molti di questi paesi, default per altri, miseria per tutti, irrigidimento delle gerarchie (sessuali, razziali, di classe), chiusura di ogni spazio politico.
Lenin diceva, forse saggiamente, «cercare di impedire la guerra in ogni modo», ma se arriva, «rovesciare» i signori della morte. Se non ci si riesce, si rimane comunque schiacciati dalla distruzione generale operata dalla guerra.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/filosofia/23539-maurizio-lazzarato-schmitt-e-la-guerra.html
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Cosa sono capaci di inventarsi pur di non perdere il potere
Questo tweet di Enrico Letta è insieme segno di stupidità, di malafede ma anche di disperazione e panico ottenebrante: che il segretario del partito in persona si esponga a avallare una bufala così palesemente attaccata con lo sputo, rivela che questi si attaccano non solo a qualunque bassezza, ma ad ogni inverisimiglianza pur di delegittimare, l’avversario e non arrivare al voto
Infatti la fabbricazione di Letta e la Stampa è stata immediatamente smentita dal superpoliziotto se sottosegretario Gabrielli. Mai una smentita delle istituzioni è arrivata più rapida e completa
I russi dietro la caduta di Draghi? Gabrielli smentisce la clamorosa bufala
La Stampa “smaschera” i legami tra la Lega di Salvini e Vladimir Putin. Ma arriva la smentita istituzionale
L’amico Miguel Martinnez richiama l’attenzione sulla più accorta campagna elettorale di Repubblica/Gedi/Agnelli.
Consiste nel gonfiare la Meloni come un pallone e poi quando è diventata enorme, dire che per salvare l’Italia da lei va bene qualunque compromesso di chiunque con chiunque.
Titoli di oggi:
La Gioventù di Meloni ai ritrovi neonazisti con ultras e pregiudicati
Formica: “Mi preoccupa la svolta autoritaria della destra, il loro modello è Orban”
“Mazzette da 40mila euro” per Procaccini, l’uomo di fiducia di Giorgia Meloni
Quando Giorgia Meloni sfilava col “barone nero” condannato per apologia di fascismo e odio razziale
Questi sono pronti ad arrivare alla guerra civile piuttosto ….
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/cosa-sono-capaci-di-inventarsi-pur-di-non-perdere-il-potere/
ECONOMIA
Imposta patrimoniale per finanziare la riduzione del CO2. La via verde al comunismo pauperista
Luglio 29, 2022 posted by Guido da Landriano
Il cerchio dell’estremismo si chiude. La vicepresidente del Bundestag tedesco, l’equivalente della Camera italiana, Katrin Göring-Eckardt , esponente dei Verdi, si è espressa a favore di una imposta patrimoniale “Termporanea” sul valore dei beni e per una interruzione del cosiddetto “Freno dell’indebitamento” in vista dell’attuale crisi . “Abbiamo una situazione di emergenza, non per una, ma per diverse crisi”, ha detto il politico dei Verdi al portale di notizie t-online riportato poi da Welt. “Ecco perché dobbiamo parlare anche di freno all’indebitamento. Data la situazione, non è sostenibile”, ha detto, riferendosi al divieto di debito sancito dalla Legge fondamentale.
Goering-Eckardt è stata piuttosto chiara: i ricchi se la stanno cavando troppo bene in questa crisi, soprattutto perché, cattivoni, continuano a emettere CO2. Pertanto, in futuro, coloro che causano una quantità particolarmente elevata di CO2 dannosa per il clima dovrebbero essere tassati più pesantemente. Ad esempio chi ha un grande appartamento, due auto o viaggia spesso in aereo dovrebbe pagare per la ricchezza di cui gode. “Sarebbe anche concepibile un prelievo temporaneo sul patrimonio. Abbiamo bisogno di un nuovo contratto per la giustizia sociale”, che dovrebbe essere fusa con la giustizia climatica. Giustizia per tutti, ma senza rispetto del diritto di proprietà….
La Germania dovrà adeguarsi a molti più risparmi , ha avvertito, secondo t-online. “Le aziende devono verificare se possono abbassare il riscaldamento e l’aria condizionata negli uffici e nelle officine. Lo stesso vale per edifici pubblici, piscine o altri divertimenti”, ha affermato Göring-Eckardt. Le necessarie restrizioni dovute alla guerra di aggressione russa contro l’Ucraina sono solo l’inizio. “La crisi climatica richiederà molte più restrizioni da parte nostra”.
Quindi finalmente si rivela il vero scopo di tutto questo ecologismo: quello di imporre una società praticamente veterocomunista, povera, in cui nessuno può avere perché se no “Consuma troppa CO2”. Non parliamo di limitare i super ricchi di Davos, quelli con jet privato, ma di riportare tutta la società al livello della vecchia Germania Est. Una follia comunista che in governi hanno seguito con eccessiva superficialità, ma che i cittadini, se lasciati liberi di votare, puniranno duramente.
FONTE: https://scenarieconomici.it/imposta-patrimoniale-per-finanziare-la-riduzione-del-co2-la-via-verde-al-comunismo-pauperista/
ONU e Forum di Davos dietro la “guerra agli agricoltori” globale
Scritto da Alex Neuman tramite The Epoch Times ,
Il crescente attacco normativo ai produttori agricoli dall’Olanda e dagli Stati Uniti allo Sri Lanka e oltre è strettamente legato agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e ai partner delle Nazioni Unite al World Economic Forum (WEF), hanno detto numerosi esperti a The Tempi d’epoca.
I membri di alto livello del Partito Comunista Cinese (PCC) all’interno del sistema delle Nazioni Unite hanno contribuito a creare gli SDG e stanno attualmente aiutando a guidare l’attuazione del piano globale da parte dell’organizzazione, come ha precedentemente documentato The Epoch Times.
Se non vengono controllate, hanno affermato diversi esperti, le politiche di sostenibilità sostenute dalle Nazioni Unite sull’agricoltura e la produzione alimentare porterebbero a devastazione economica, carenza di beni fondamentali, carestia diffusa e una drammatica perdita delle libertà individuali.
Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum (WEF), è visto all’apertura dell’Agenda di Davos del WEF a Cologny, in Svizzera, il 17 gennaio 2022. (FABRICE COFFRINI/AFP tramite Getty Images)
Già milioni di persone in tutto il mondo stanno affrontando una pericolosa carenza di cibo e funzionari di tutto il mondo affermano che è destinata a peggiorare con il passare dell’anno.
C’è un’agenda dietro a tutto, hanno detto gli esperti a The Epoch Times.
Anche la proprietà privata della terra è nel mirino, poiché la produzione alimentare globale e l’economia mondiale si stanno trasformando per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità globale, mostrano i documenti delle Nazioni Unite recensiti da The Epoch Times.
Come spiegato dall’ONU sul suo sito web SDG , gli obiettivi adottati nel 2015 “si basano su decenni di lavoro dei Paesi e dell’ONU”
Uno dei primi incontri che hanno definito l’agenda della “sostenibilità” è stata la Conferenza delle Nazioni Unite sugli insediamenti umani nota come Habitat I, che ha adottato la Dichiarazione di Vancouver .
L’accordo affermava che “la terra non può essere trattata come un bene ordinario controllato da individui” e che la proprietà privata della terra è “uno strumento principale di accumulazione e concentrazione della ricchezza, quindi contribuisce all’ingiustizia sociale”.
“Il controllo pubblico dell’uso del suolo è quindi indispensabile”, affermava la dichiarazione delle Nazioni Unite, preludio all’ormai famigerata “previsione” del World Economic Forum secondo cui entro il 2030 “non possiedi nulla”.
Da allora numerose agenzie e funzionari delle Nazioni Unite hanno delineato la loro visione di “sostenibilità”, comprese le richieste di restrizioni drastiche su energia, consumo di carne, viaggi, spazio vitale e prosperità materiale.
Gli esperti intervistati da The Epoch Times affermano che alcuni dei leader aziendali più ricchi e potenti del mondo stanno lavorando con i comunisti in Cina e altrove nel tentativo di centralizzare il controllo sulla produzione alimentare e schiacciare agricoltori e allevatori indipendenti.
Secondo i critici delle politiche, tuttavia, l’obiettivo non è affatto quello di preservare l’ambiente o combattere il cambiamento climatico. Invece, gli esperti avvertono che la narrativa della “sostenibilità” e le altre giustificazioni sono uno strumento per ottenere il controllo su cibo, agricoltura e persone.
“L’obiettivo finale di questi sforzi è ridurre la sovranità sia sulle singole nazioni che sulle persone”, ha affermato Craig Rucker, presidente del Comitato per un domani costruttivo (CFACT), un’organizzazione di politica pubblica specializzata in questioni ambientali e di sviluppo.
“L’intento di coloro che spingono questo programma non è quello di salvare il pianeta, come sostengono, ma di aumentare il controllo sulle persone”, ha detto a The Epoch Times, aggiungendo che l’obiettivo è centralizzare il potere a livello nazionale e persino internazionale.
Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite: Agenda 2030
Gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, spesso indicati come Agenda 2030, sono stati adottati nel 2015 dall’organizzazione e dai suoi Stati membri come guida per “trasformare il nostro mondo”. Acclamato come un “piano generale per l’umanità” e una “dichiarazione di interdipendenza” globale da alti funzionari delle Nazioni Unite, i 17 obiettivi includono 169 obiettivi che coinvolgono ogni aspetto dell’economia e della vita.
“Tutti i paesi e tutte le parti interessate, agendo in partenariato collaborativo, attueranno questo piano”, dichiara il preambolo del documento, sottolineando ripetutamente che “nessuno sarà lasciato indietro”.
Tra gli altri elementi, il piano delle Nazioni Unite prevede la ridistribuzione della ricchezza nazionale e internazionale nell’obiettivo 10, nonché “cambiamenti fondamentali nel modo in cui le nostre società producono e consumano beni e servizi”.
L’uso del governo per trasformare tutta l’attività economica è una parte fondamentale degli SDG, con l’obiettivo 12 che richiede “modelli di consumo e produzione sostenibili”.
Tra gli obiettivi specifici delineati nel Goal 12 vi sono diversi direttamente collegati alle politiche agricole che minano la produzione alimentare. Questi includono “gestione sostenibile e uso efficiente delle risorse naturali”.
Forse ancora più importante, il documento richiede “una gestione ecologicamente corretta delle sostanze chimiche e di tutti i rifiuti durante tutto il loro ciclo di vita, in conformità con i quadri internazionali concordati”.
Di conseguenza, le persone e in particolare gli agricoltori devono “ridurre significativamente il loro rilascio nell’aria, nell’acqua e nel suolo al fine di ridurre al minimo i loro impatti negativi sulla salute umana e sull’ambiente”.
Altri SDG che sono direttamente legati a quella che i critici hanno chiamato la “guerra agli agricoltori” includono l’obiettivo 14, che affronta “l’inquinamento marino di ogni tipo, in particolare da attività a terra, incluso … l’inquinamento da nutrienti”. L’ONU descrive regolarmente l’agricoltura e la produzione alimentare come una minaccia per l’oceano.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), guidata dall’ex vice ministro dell’agricoltura e degli affari rurali del PCC Qu Dongyu, sta aiutando a guidare la carica.
Nel suo rapporto del 2014 ” Costruire una visione comune per un’alimentazione e un’agricoltura sostenibili: principi e approcci “, l’agenzia delle Nazioni Unite chiede restrizioni drastiche sull’uso di fertilizzanti, pesticidi, emissioni e acqua nel settore agricolo.
Come esempio di come l’agricoltura debba essere riformata per essere considerata sostenibile dalle Nazioni Unite, il rapporto della FAO afferma che “l’uso eccessivo di fertilizzanti azotati è una delle principali cause dell’inquinamento idrico e delle emissioni di gas serra”.
La Fao con sede a Roma non ha risposto a una richiesta di commento.
Un altro dei 17 SDG con un impatto diretto sull’agricoltura e la produzione alimentare è l’Obiettivo 2, con i suoi appelli all’”agricoltura sostenibile” e alla “produzione alimentare sostenibile”.
L’obiettivo 6, nel frattempo, chiede una “gestione sostenibile dell’acqua”, che include vari obiettivi che coinvolgono l’uso e il deflusso dell’acqua agricola.
Poiché i leader delle Nazioni Unite vedono l’agricoltura e la produzione alimentare come fattori chiave di ciò che chiamano cambiamento climatico provocato dall’uomo, anche l’obiettivo 13 è importante. Chiede ai governi di “integrare le misure sui cambiamenti climatici nelle politiche, nelle strategie e nella pianificazione nazionali”.
L’obiettivo 15, che si occupa dell’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, ha anche molteplici obiettivi che riguardano l’agricoltura e la produzione alimentare.
In tutto il mondo, i governi nazionali e regionali stanno collaborando con le agenzie delle Nazioni Unite per implementare questi obiettivi di sostenibilità nell’agricoltura e in altri settori.
Ad esempio, in risposta agli accordi delle Nazioni Unite sulla biodiversità, l’Unione Europea ha varato vari programmi sulla biodiversità sostenuti dalle Nazioni Unite come Natura 2000 e la Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030, che sono stati citati dal governo olandese e altri nelle loro politiche agricole.
L’ONU si vanta anche pubblicamente del proprio ruolo nell’imporre gli SDG in Sri Lanka e in altre nazioni che soffrono per la carenza di cibo e le calamità economiche legate agli stessi programmi globali di sostenibilità.
In tutto il mondo, quasi tutti i governi nazionali affermano di incorporare gli SDG nelle proprie leggi e regolamenti.
‘Partenariato’ del Forum Economico Mondiale
Accanto alle Nazioni Unite ci sono vari “stakeholder” critici per l’attuazione di politiche di sviluppo sostenibile attraverso “partenariati pubblico-privato”.
Al centro di questo sforzo c’è il WEF, che dal 2020 ha promosso una trasformazione totale della società nota come il “Grande Reset”. Nel 2019, il WEF ha firmato una “partenariato strategico” con le Nazioni Unite per far avanzare l’Agenda 2030 all’interno della comunità imprenditoriale globale.
L’accordo ufficiale ha definito “aree di cooperazione per approfondire l’impegno istituzionale e accelerare congiuntamente l’attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”.
Molti dei funzionari chiave dietro Agenda 2030, inclusi i massimi leader delle Nazioni Unite come l’attuale Segretario generale António Guterres, un socialista autoproclamato, lavorano anche con il WEF da decenni.
Nel frattempo, il WEF è stato esplicito con i suoi obiettivi. Ha recentemente lanciato una “Food Action Alliance” (FAA) che riconosce sul suo sito web che Agenda 2030 “informa l’ambizione della FAA di fornire una piattaforma duratura e a lungo termine per un’azione multi-stakeholder sui sistemi alimentari per soddisfare gli SDGs”.
Insieme al “Vertice sui sistemi alimentari” delle Nazioni Unite nel settembre 2021, la FAA del WEF ha pubblicato un rapporto che delinea la propria ” agenda di leadership per la collaborazione multi-stakeholder per trasformare i sistemi alimentari “.
Tra gli altri elementi, il documento riassume le intuizioni della FAA sul “sostenere le partnership trasformative del sistema alimentare e la sua proposta di valore oltre il Vertice dei sistemi alimentari delle Nazioni Unite 2021 verso il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite”.
L’interesse pubblico del WEF per la trasformazione dell’agricoltura e dell’approvvigionamento alimentare risale almeno a un decennio fa.
In collaborazione con varie aziende, il WEF ha pubblicato un rapporto del 2010 che delinea una “nuova visione per l’agricoltura” che includeva una “tabella di marcia per le parti interessate”. Sono coinvolte molte delle più grandi aziende alimentari del mondo che dominano il mercato e possiedono innumerevoli marchi famosi.
Il sito web del WEF è ricco di informazioni che pretendono di giustificare una trasformazione totale dell’approvvigionamento alimentare da parte degli “stakeholder”.
“Dato che i sistemi alimentari globali diventano sempre più interconnessi, sarà necessario un coordinamento efficace tra un insieme diversificato di parti interessate”, afferma il WEF sulla sua piattaforma ” Intelligenza strategica “, citando spesso la FAO come fonte.
“Il potenziale per creare nuovi approcci sistemici ai sistemi alimentari che includono una vasta gamma di parti interessate offre opportunità per aiutare a nutrire in modo sostenibile il mondo nel futuro”.
I frequenti riferimenti dell’organizzazione agli “stakeholder” si riferiscono a governi, aziende e cosiddette organizzazioni non governative che sono spesso finanziate dalle stesse società e governi. Stanno tutti lavorando insieme sulla questione.
Ad esempio, il WEF si vanta di aver coinvolto giganti aziendali come Coca-Cola e Unilever nella promozione di un “futuro più sostenibile”.
Anche la Rockefeller Foundation, che ha recentemente pubblicato un rapporto su come “Reset the Table” e “Transform the US Food System”, è un attore chiave.
I “Food Innovation Hub” del WEF in tutto il mondo sono destinati a essere una parte importante di questa trasformazione globale.
Parlando al Forum economico mondiale sulla “trasformazione dei sistemi alimentari e dell’uso del suolo” alla Davos Agenda Week dell’anno scorso, il primo ministro olandese Mark Rutte ha annunciato che i Paesi Bassi ospiteranno il “Segretariato di coordinamento globale degli hub economici mondiali per l’innovazione alimentare”.
Il segretariato, ha affermato, “collegherà tutti gli altri Food Innovation Hub” per facilitare la creazione “delle partnership di cui abbiamo bisogno”.
Né il WEF né la Fondazione Rockefeller hanno risposto alle richieste di commento sul loro ruolo nell’Agenda 2030 e sulle politiche agricole perseguite nel mondo.
Altre organizzazioni ed entità coinvolte nella spinta includono potenti fondazioni esenti da tasse come la Gates Foundation, i governi regionali in stile UE che proliferano in tutto il mondo e vari gruppi finanziati da loro.
Spremere gli agricoltori e l’approvvigionamento alimentare
In tutto il mondo, le politiche governative allineate agli SDG delle Nazioni Unite stanno schiacciando gli agricoltori, in particolare i produttori indipendenti più piccoli, incapaci di assorbire i costi aggiuntivi di una maggiore regolamentazione e controllo.
Celebrando le idee di sostenibilità delle Nazioni Unite, il presidente dello Sri Lanka recentemente estromesso Gotabaya Rajapaksa ha annunciato al vertice delle Nazioni Unite sul clima della COP26 nel 2021 che il suo governo stava vietando i fertilizzanti chimici e i pesticidi.
Leggi di più qui…
https://www.zerohedge.com/geopolitical/un-world-economic-forum-behind-global-war-farmers-experts
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/onu-e-forum-di-davos-dietro-la-guerra-agli-agricoltori-globale/
“IL PAREGGIO DI BILANCIO IN COSTITUZIONE”
COME TUTTA LA POLITICA SI È UNITA PER INGABBIARE IL PAESE
L’unanimità in democrazia è preoccupante, soprattutto quando la si ottiene su leggi o provvedimenti che vanno contro l’interesse del popolo. Questo è quello che è avvenuto 10 anni fa quando è iniziato il percorso politico che ci ha portato ad inserire il “pareggio di bilancio” nella nostra Costituzione.
di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
L’ennesima campagna elettorale è già iniziata e tutta la classe politica del nostro paese è già pronta a fare quello che riesce loro fare meglio, ovvero ingannare il popolo italiano attraverso promesse, che mai e poi mai, manterranno una volta seduti sulle comode poltrone del parlamento.
La partita è molto semplice a livello tattico, da una parte appunto i politici e dall’altra il popolo che dovrà decidere a chi credere per poi omaggiare, attraverso il voto, quel poco (per non dire niente) di democrazia che ancora resta nel nostro paese.
Se la scelta nelle ultime tornate elettorali è sempre stata caratterizzata dal principio del “si va per esclusione”, ovvero si è sempre arrivati a scegliere colui che apparentemente, ancora non avesse tradito; tale principio non potrà certo essere applicato nel segreto delle urne il prossimo 25 Settembre, stante il fatto concreto che ad oggi non esiste un politico, un partito o un movimento che non abbia tradito o si sia adeguato alla deliberata distruzione economico-sociale ed istituzionale del nostro paese, ormai in atto da tre decadi.
Potremmo farvi mille e più esempi in riferimento ai tanti tradimenti oppure all’essersi adeguati in stile “Ponzio Pilato” e lo faremo, proprio per facilitare il popolo italiano in quello che è il suo slalom tra i paletti delle false promesse che si vedranno fare durante la campagna elettorale in corso.
Ma intanto oggi vorrei parlarvi, della storia di quello che è stato il percorso che ha portato alla scellerata introduzione del pareggio di bilancio nel nostro testo costituzionale. Un percorso che ha visto ottenere – su un provvedimento che come vedremo lega mani e piedi ai governi nelle loro determinazioni di politica economica – l’unanimità tipica di una dittatura, da parte di tutta la nostra classe politica.
Se proprio vogliamo partire dalla notte dei tempi – tanto per far capire come già allora le radici dei poteri profondi che oggi ci comandano, fossero già attive – già Einaudi, futuro presidente della Repubblica, tentò di inserire il pareggio di bilancio in costituzione durante l’Assemblea Costituente.
Il tentativo andò a vuoto, evidentemente l’integrità morale e lo spirito patriotico di padri costituenti come Piero Calamandrei era così forte e solido – rispetto al degrado odierno – che seppe imporsi contro le fratellanze deviate, che già allora non disdegnavano disegni predatori nei confronti del popolo italiano.
Da lì siamo arrivati al 2011, quando approfittando della grande recessione e della ormai nota crisi del debito europeo, le fratellanze di casa nostra sono tornate alla carica per fare quello che non era riuscito loro in sede di Assemblea Costituente.
Come ben ricordiamo, l’Italia stava a sua volta attraversando una grave crisi economica e finanziaria. In seguito alle pressanti richieste da parte delle istituzioni europee ed internazionali (Raccomandazione del Consiglio n. 2011/C 215/02 del luglio 2011, Lettera Trichet-Draghi del 5 agosto 2011), il Governo Berlusconi IV, fu costretto a varare misure più restrittive sulla finanza pubblica.
Per questo motivo l’8 settembre 2011 il Consiglio dei Ministri varò, su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti, un disegno di legge costituzionale che prevedeva di introdurre il principio del pareggio di bilancio nella Carta Costituzionale. La Commissione Affari Costituzionali e la Commissione Bilancio della Camera dei deputati iniziarono ad esaminare il disegno di legge costituzionale il 5 ottobre 2011 e licenziarono il testo il 10 novembre.
Il 12 novembre 2011 il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi rassegnò le dimissioni. Il giorno seguente (13 novembre 2011) il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nominò Presidente del Consiglio Mario Monti.
In coerenza con i nuovi indirizzi del Governo, il Parlamento scelse di esaminare più velocemente il disegno di legge costituzionale sul pareggio di bilancio, tanto più che i suoi contenuti furono generalizzati, mediante l’adozione del Fiscal compact, per tutti gli Stati membri dell’UE che scelsero di aderirvi, all’inizio del 2012.
La norma venne infatti approvata in soli sei mesi, un periodo di tempo alquanto breve, se si considera che una legge costituzionale necessita di quattro letture parlamentari e di una pausa di tre mesi tra la seconda e la terza. In tutte e quattro le letture parlamentari il disegno di legge venne approvato a larghissima maggioranza, ricevendo il voto favorevole sia della maggioranza che dell’opposizione. Dato che i voti favorevoli al disegno di legge superarono i due terzi dei membri di entrambi i rami del Parlamento, non fu necessario ricorrere ad un eventuale referendum confermativo.
L’originario articolo 81 della Costituzione che recitava così:
“Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese. Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”.
fu sostituito con la seguente dicitura:
“Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale”.
In seguito all’approvazione della legge costituzionale 1/2012, si era resa necessaria una legge di attuazione che trasformasse in legge le disposizioni attuative contemplate nel nuovo articolo 81 della Costituzione. Per questo motivo, il 27 novembre 2012 l’onorevole Giancarlo Giorgetti (Lega Nord) presentò un apposito disegno di legge.
L’iter di approvazione fu alquanto veloce (la proposta divenne legge in meno di un mese) e, come per la legge costituzionale, in entrambe le letture parlamentari il testo fu approvato a larghissima maggioranza.
In attuazione del Fiscal compact e altre normative, si impone il rispetto degli obiettivi fissati dall’Unione Europea per:
- rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo;
- tasso di crescita della spesa pubblica;
- saldo del conto consolidato di bilancio annuale, uguale in valore all’”obiettivo a medio termine” UE.
Pertanto, la programmazione di bilancio e finanziaria deve essere coerente col rapporto debito/PIL. Il Governo e il Parlamento non potranno stabilire gli obiettivi del saldo di bilancio più gravosi di quelli definiti in sede europea.
La legge vieta il ricorso all’indebitamento per realizzare operazioni relative alle partite finanziarie (art. 4, comma 4). L’indebitamento è permesso a regioni ed enti locali soltanto per investimenti pluriennali soggetti ad ammortamento (art. 10), comunicandoli a Regione e Presidenza del Consiglio. Regioni e enti locali sono obbligati al pareggio gestionale, in fase di previsione e in fase di rendiconto, sia per competenza che per cassa, fra entrate e spese correnti, e fra entrate e spese totali (art. 9). Regioni e enti locali concorrono col loro eventuale avanzo a pagare il debito pubblico, attraverso il Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato (art. 12). È istituito l’Ufficio parlamentare di bilancio, organismo indipendente per l’analisi e la verifica degli andamenti di finanza pubblica e per la valutazione dell’osservanza delle regole di bilancio (artt. 16-19). La Corte dei Conti ha il controllo del pareggio di bilancio delle amministrazioni pubbliche (art. 20).
L’iter di approvazione della legge fu alquanto veloce. Di seguito i vari passaggi:
- 27 novembre 2012 – Il disegno di legge è presentato alla Camera dall’on. Giancarlo Giorgetti;
- 12 dicembre 2012 – La Camera approva il disegno di legge con 442 sì, 3 no e 6 astenuti.
- 20 dicembre 2012 – Il Senato approva il disegno di legge con 222 sì e 4 no.
- 24 dicembre 2012 – Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano firma la legge.
Come avete visto, di fronte ad una modifica costituzionale, la quale richiede come sappiamo maggioranze qualificate e soprattutto di fronte ad una provvedimento che avrebbe “ipotecato” a vita il destino delle famiglie e delle imprese italiane; la politica tutta, si è unità totalmente per procedere, il più speditamente possibile, per rendere effettiva tale misura.
Come tutti noi sappiamo, il pareggio di bilancio obbliga lo Stato a far fronte ai propri impegni, esclusivamente attraverso l’unica possibilità di entrata che si trova ad avere applicando questo principio contabile, ovvero le tasse.
Il seguire questo folle principio, toglie ai governi la possibilità di ricorrere all’occorrenza, ai deficit finanziati direttamente tramite la creazione di moneta dal nulla, da parte della Banca Centrale. E di conseguenza li rende impossibilitati ad operare in modo anticiclico nelle loro scelte di politica economica, come scienza economica comanda.
Dobbiamo ricordare, che di fronte ad una crisi economica, solo lo Stato monopolista della moneta è l’unico soggetto partecipante al sistema economico, che possa agire in controtendenza immettendo potere di acquisto nel sistema economico stesso. Non lo possono fare i cittadini e le imprese, essendo appunto afflitti da crisi di liquidità e non lo fa nemmeno – per ragioni di puro interesse – il settore bancario attraverso il credito, proprio perché non ritiene opportuno affrontare il rischio di un mancato rimborso dei prestiti, eventualmente concessi.
Quindi, non venite a dirmi che non ci sia stato nessun politico che abbia compreso quanto fosse scellerata la scelta di introdurre il pareggio di bilancio in Costituzione. Stiamo parlando di economisti come Giulio Tremonti ed esecutori tecnici come Mario Monti. Per non parlare dell’imput arrivato direttamente da Mario Draghi allora a capo della BCE. Stiamo parlando di Giancarlo Giorgetti, da sempre protettore delle lobbies imprenditoriali del nord ed affine al nostro premier attuale dimissionario.
Al voto favorevole si aggiunse anche la passionaria romana Giorgia Meloni, regina dell’oppo-finzione, il cui patriottismo da sempre sbandierato, non va oltre i confini del raccordo anulare; oggi leader di Fratelli d’Italia e membro dell’Aspen Institute.
Ecco le tabelle indicanti il voto in entrambe le camere del parlamento:
Credo non ci sia altro da dire, solo restare in attesa di vedere se qualche partito o politico abbia la dignità di inserire nel suo programma economico, la cancellazione di quello che è stato un vero e proprio atto criminale contro il proprio popolo – perpetrato dall’intera classe politica italiana – quale appunto rappresenta l’attuazione del pareggio di bilancio inserito in Costituzione.
di Megas Alexandros
FONTE: https://megasalexandros.it/il-pareggio-di-bilancio-in-costituzione-come-tutta-la-politica-si-e-unita-per-ingabbiare-il-paese/
Il pareggio di bilancio in Costituzione
Vincoli di bilancio e Unione Europea
L’obbligo di introdurre negli ordinamenti nazionali regole, costituzionali o legislative, volte ad assicurare il rispetto dei valori di riferimento relativi al disavanzo e al debito fissati a livello europeo non discende dalle disposizioni dei Trattati in materia di Unione economica e monetaria, ma da impegni previsti da strumenti di diversa natura introdotti nel quadro della nuova governance economica europea.
In primo luogo, con il Patto europlus, accordo non giuridicamente vincolante adottato dai Capi di Stato e di governo dell’area euro nel marzo del 2011, gli Stati dell’area euro e alcuni altri Stati membri dell’UE hanno assunto l’ulteriore obbligo di recepire nelle Costituzioni o nella legislazione nazionale le regole del Patto di stabilita’ e crescita.
Agli Stati membri è stata rimessa la facoltà di scegliere lo specifico strumento giuridico nazionale cui ricorrere, purché di natura vincolante e l’esatta forma della regola da applicare a livello sia nazionale che subnazionale.
In seguito, la direttiva 2011/85/UE concernente i requisiti per i quadri di bilancio nazionali, entrata in vigore nel novembre 2011, ha fissato regole minime perché sia garantita l’osservanza da parte degli Stati membri dell’obbligo, derivante dal Trattato, di evitare disavanzi pubblici eccessivi.
In particolare, la direttiva ha stabilito l’introduzione di:
- regole di bilancio numeriche specifiche per Paese, che contribuiscono a far sì che la conduzione della politica di bilancio degli Stati membri sia coerente con i loro rispettivi obblighi, espresse sotto forma di un indicatore sintetico dei risultati di bilancio, come il disavanzo pubblico, il fabbisogno, il debito o uno dei relativi componenti principali;
- dispositivi di monitoraggio e analisi indipendente intesi a rafforzare la trasparenza degli elementi del processo di bilancio;
- meccanismi e regole che disciplinano le relazioni in materia di bilancio tra le autorità dei sottosettori dell’amministrazione pubblica.
La materia disciplinata dalla direttiva costituisce peraltro oggetto di ulteriore intervento legislativo dell’UE prospettato dalla proposta di regolamento recante disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei progetti di bilancio e per assicurare la correzione dei disavanzi eccessivi degli Stati membri nell’eurozona (COM(2011)821, parte del cosiddetto two pack), attualmente all’esame del Parlamento europeo e del Consiglio.
In particolare, l’art. 4 prevede che gli Stati membri dispongano di regole di bilancio numeriche sul saldo di bilancio che, applicate ai processi di bilancio nazionali, conseguono l’obiettivo di bilancio a medio termine.
Tali regole interessano l’insieme delle pubbliche amministrazioni e sono vincolanti, preferibilmente di natura costituzionale.
Infine, il Trattato sulla stabilita’, il coordinamento e la governance nella Unione economica e monetaria cosiddetto Fiscal compact, concordato al di fuori della cornice giudica dei Trattati, all’articolo 3, ha impegnato le Parti contraenti ad applicare e ad introdurre, entro un anno dall’entrata in vigore del Trattato, con norme vincolanti e a carattere permanente, preferibilmente di tipo costituzionale, o di altro tipo purché ne garantiscano l’osservanza nella procedura di bilancio nazionale, le seguenti regole, in aggiunta a e senza pregiudizio per gli obblighi derivanti dal diritto dell’UE:
- il bilancio dello Stato dovrà essere in pareggio o in attivo;
- tale regola si considera rispettata se il disavanzo strutturale dello Stato è pari all’obiettivo a medio termine specifico per Paese, con un deficit che non eccede lo 0,5% del PIL;
- gli Stati contraenti potranno temporaneamente deviare dall’obiettivo a medio termine o dal percorso di aggiustamento solo nel caso di circostanze eccezionali, ovvero eventi inusuali che sfuggono al controllo dello Stato interessato e che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione, oppure in periodi di grave recessione, a patto che tale disavanzo non infici la sostenibilità di bilancio a medio termine;
- qualora il rapporto debito pubblico/Pil risulti significativamente al di sotto della soglia del 60%, e qualora i rischi per la sostenibilità a medio termine delle finanze pubbliche siano bassi, il valore di riferimento del deficit può essere superiore allo 0,5%, ma in ogni caso non può eccedere il limite dell’1% del PIL;
- nel caso di deviazioni significative dal valore di riferimento o dal percorso di aggiustamento verso di esso, le parti contraenti dovranno attivare un meccanismo di correzione automatica, che includa l’obbligo per la parte contraente interessata di attuare le misure per correggere la deviazione entro un determinato termine temporale.
In coerenza con l’evoluzione della governance economica europea e analogamente a quanto previsto in altri ordinamenti europei, anche il Parlamento italiano, oltre a ridisegnare la propria disciplina contabile ordinaria – attraverso la legge n.196 del 2009 e le successive modificazioni apportate dalla legge n.39 del 2011 – ha quindi provveduto a introdurre nella Carta costituzionale il principio del pareggio di bilancio e della sostenibilità del debito delle pubbliche amministrazioni.
La riforma costituzionale
Il disegno di legge costituzionale recante l’introduzione di tale principio nella Carta costituzionale è stato definitivamente approvato il 18 aprile 2012, ed è ora divenuto la legge costituzionale n.1/2012, pubblicata nella G.U. del 23 aprile 2012. Il testo scaturisce dall’unificazione di sei proposte di iniziativa parlamentare e un disegno di legge governativo, il cui esame è iniziato presso la Camera dei deputati (A.C. 4205 e abbinate). Avendo raggiunto il quorum dei due terzi dei componenti nella seconda votazione, sia alla Camera, sia al Senato, la modifica costituzionale, che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2014, non è stata sottoposta a referendum popolare.
Quanto al contenuto, la citata legge costituzionale, novellando gli articoli 81, 97, 117 e 119 Cost., introduce il principio dell’equilibrio tra entrate e spese del bilancio, cd. “pareggio di bilancio”, correlandolo a un vincolo di sostenibilità del debito di tutte le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle suddette regole in materia economico-finanziaria derivanti dall’ordinamento europeo.
In particolare, il principio del pareggio è contenuto nel novellato articolo 81, il quale stabilisce, al primo comma, che lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle diverse fasi – avverse o favorevoli – del ciclo economico.
Ai sensi del secondo comma dell’articolo 81, alla regola generale dell’equilibrio di bilancio è possibile derogare, facendo ricorso all’indebitamento, solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e al verificarsi di eventi eccezionali, che ai sensi dell’articolo 5 della legge costituzionale possono consistere in gravi recessioni economiche; crisi finanziarie e gravi calamità naturali.
Per circoscrivere e rendere effettivamente straordinario il ricorso all’indebitamento connesso a eventi eccezionali, il secondo comma dell’articolo 81 prevede che esso sia autorizzato con deliberazioni conformi delle due Camere sulla base di una procedura aggravata, che prevede un voto a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti.
A corredo del principio del pareggio di bilancio, il nuovo terzo comma dell’articolo 81 prevede che ogni legge – ivi inclusa la legge di bilancio, che in virtù della riforma acquista un carattere sostanziale – che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.
Il quarto comma dell’articolo 81 conferma il principio dell’annualità del bilancio e del rendiconto consuntivo, che devono essere presentati dal Governo e approvati dalle Camere. Il quinto comma conferma invece la possibilità dell’esercizio provvisorio per un periodo non superiore complessivamente a quattro mesi.
Ai sensi del nuovo sesto comma dell’articolo 81, la definizione del contenuto della legge di bilancio, delle norme fondamentali e dei criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono demandati a una apposita legge “rinforzata” da approvare a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.
Tale legge di attuazione del principio del pareggio di bilancio è stata approvata al termine della legislatura (legge 24 dicembre 2012, n. 243, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 15 gennaio 2013), in conformità al dettato della legge costituzionale che ne prevedeva l’approvazione entro il 28 febbraio 2013.
Con apposita novella all’articolo 97 della Costituzione, l’obbligo di assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, in coerenza l’ordinamento dell’Unione Europea, viene esteso a tutte le pubbliche amministrazioni.
Per quanto concerne la disciplina di bilancio degli enti territoriali, la legge costituzionale apporta talune modifiche l‘articolo 119 della Costituzione, al fine di specificare che l’autonomia finanziaria degli enti territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni), è assicurata nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci; è inoltre costituzionalizzato il principio del concorso di tali enti all’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.
Con una modifica al sesto comma dell’articolo 119 viene altresì precisato che il ricorso all’indebitamento – che la vigente disciplina costituzionale consente esclusivamente per finanziare spese d’investimento – è subordinato alla contestuale definizione di piani di ammortamento e alla condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio.
La legge costituzionale novella, inoltre, l’articolo 117 della Costituzione, inserendo la materia della armonizzazione dei bilanci pubblici nel novero delle materie sulle quali lo Stato ha una competenza legislativa esclusiva.
Infine, ulteriori disposizioni del testo della legge costituzionale dettano i principi cui dovrà attenersi la suddetta legge di attuazione del principio del pareggio di bilancio, oggetto di approvazione a maggioranza qualificata di cui al nuovo sesto comma dell’articolo 81 della Costituzione, la quale dovrà disciplinare, tra l’altro, l’istituzione presso le Camere, nel rispetto della relativa autonomia costituzionale, di un organismo indipendente al quale dovranno essere attribuiti compiti di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e di valutazione dell’osservanza delle regole di bilancio.
La legge costituzionale dispone, da ultimo, che le Camere esercitino, secondo modalità stabilite dai rispettivi regolamenti, la funzione di controllo sulla finanza pubblica, con particolare riferimento all’equilibrio tra entrate e spese nonché alla qualità e all’efficacia della spesa delle pubbliche amministrazioni.
Le nuove disposizioni costituzionali troveranno applicazione a decorrere dall’esercizio finanziario relativo all’anno 2014.
Dossier pubblicati
- Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione – Legge 24 dicembre 2012, n. 243 – Schede di lettura (17/01/2013)
- Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale – A.C. 4620 e abb. – Raccolta di dottrina (07/10/2011)
- Legge 31 dicembre 2009, n. 196 – Legge di contabilità e finanza pubblica – Schede di lettura (18/11/2011)
FONTE: https://leg16.camera.it/465?area=1&tema=496&Il+pareggio+di+bilancio+in+Costituzione
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
I SETTORI PIU’ IN CRESCITA NELL’ULTIMO MESE
Capital.com
FONTE: https://twitter.com/capitalcom/status/1531698363229523968?t=D3xwiERyPljFvCSeCNdvxg&s=03
GIUSTIZIA E NORME
CAPITALIZZAZIONE DEGLI INTERESSI: ANATOCISMO BANCARIO
Antonella Fiorillo 29 07 2022
L’anatocismo bancario è quel fenomeno che si realizza quando si ha la produzione di interessi su interessi già maturati sul capitale iniziale e non pagati. In forza di questo fenomeno il debitore è tenuto a pagare: il capitale iniziale, gli interessi scaduti e gli interessi calcolati sugli interessi scaduti. Il fenomeno dell’anatocismo è visto con un certo sfavore dall’ordinamento in quanto comporta un aumento del debito del debitore.
La disciplina dell’anatocismo si rinviene nell’art. 120 del T.U bancario e nell’ 1283 c.c. in cui si stabilisce il divieto di pagamento di tali interessi per tutelare il debitore il quale se dovesse pagare tali interessi subirebbe un aumento del suo debito. La norma ha carattere eccezionale ed infatti è applicabile ai soli debiti di valuta e non a quelli di valore. Inoltre, è sempre l’art.1283 c.c. (norma imperativa) che ammette l’anatocismo in tre ipotesi:
1) se sussiste una convenzione tra le parti successiva alla scadenza degli interessi e con riferimento a interessi dovuti per almeno sei mesi;
2) se esistono usi normativi che espressamente li prevedono. Nel caso di anatocismo bancario gli interessi derivano da usi negoziali (clausole di capitalizzazione) le quali contrastando con una norma imperativa vengono ritenute nulle per violazione dell’art. 1418, co. 1, c.c.;
3) se vi è una domanda giudiziale successiva alla scadenza degli interessi e che si riferisce agli interessi dovuti per almeno sei mesi.
Dunque stante i presupposti che devono sussistere affinché sia configurabile l’anatocismo il problema si è rinvenuto in riferimento all’operatività del meccanismo di legittimazione automatica delle clausole anatocistiche previsto dalle delibere CICR 2000. La Cassazione, con sentenza del 2020, ha stabilito che tale meccanismo non può operare salvo che non sussista un’apposita pattuizione; ciò vuol dire sostanzialmente che se la banca dovesse richiedere il pagamento di interessi anatocistici, il debitore può esperire azione di ripetizione dell’indebito oggettiva (art.2033) entro 10 anni decorrenti dalla conclusione dell’affare. Inoltre, il debitore, per ottenere la restituzione di quanto versato, può anche procedere con una mediazione civile (che è condizione di procedibilità della domanda giudiziale) in quanto i costi di un procedimento di mediazione sono minori di quelli che si sarebbe tenuti a sopportare se si introducesse un giudizio ordinario.
Sorge un problema in relazione al dies a quo del termine di prescrizione per esperire l’azione di ripetizione. Ed infatti: se vi sono contratti di conto corrente bancario il termine decorre dal giorno della chiusura del conto se vi è un’annotazione indebita sul conto di una clausola anatocistica nulla; se invece il correntista fa un versamento indebito si deve tener conto della natura e della funzione del versamento perché se esso costituisce un pagamento il termine per esperire l’azione di ripetizione decorre dal momento in cui i versamenti sono effettuati, se essi invece sono effettuati per ripristinare la provvista dell’apertura di credito la prescrizione dell’azione decorre dalla chiusura del conto.
Per quel che concerne la posizione della banca bisogna fare delle precisazioni, perché se essa ritiene che il contratto stipulato con il debitore sia un’apertura di credito e sia prescritto il termine per esperire l’azione di ripetizione la Cass. Sent. 28.02.2020 n. 5610 ha stabilito che la banca non deve provare il decorso del termine di prescrizione ma deve solo eccepire il decorso del tempo e far valere la prescrizione dall’annotazione delle singole rimesse.
Il debitore, inoltre, in virtù del principio di vicinanza della prova per ottenere la restituzione degli interessi pagati illegittimamente deve provare l’esistenza del suo credito esibendo gli estratti conto.
Ed è proprio in materia anatocistica che la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi con l’ordinanza 4321/2022 la quale ha ad oggetto la capitalizzazione degli interessi trimestrali dovuti dal cliente alla banca nel caso della stipulazione di un contratto di conto corrente bancario prima del 2000. Il principio di diritto affermato è stato quello secondo il quale <<…la previsione, nel contratto di conto corrente stipulato nella vigenza della delibera CICR 9 febbraio 2000, di un tasso di interesse creditorio annuo nominale coincidente con quello effettivo non dà ragione della capitalizzazione infrannuale dell’interesse creditore, che è richiesta dall’art. 3 della delibera, e non soddisfa, inoltre, la condizione posta dall’art. 6 della delibera stessa, secondo cui, nei casi in cui è prevista una tale capitalizzazione infrannuale, deve essere indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione…>>.
Ciò vuol dire, in sostanza, che è nulla la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente alla banca in quanto tale clausola integra una prassi illecita di anatocismo espressamente vietato dall’ art. 1283 c.c.
FONTE: http://www.salvisjuribus.it/capitalizzazione-degli-interessi-anatocismo-bancario/
IMMIGRAZIONI
LA LINGUA SALVATA
Pecora
Parole bestiali
pè-co-ra
SIGNIFICATO Mammifero del genere ‘Ovis’, che comprende sette specie di cui la più nota è la pecora domestica
ETIMOLOGIA dal latino pecora, forma neutra plurale di pecus, bestiame, reinterpretato come femminile singolare e perciò passato a indicare l’animale singolo.
«Ma che ci fa una persona come te in mezzo a tutte queste pecore?»
Sono con noi fin dai tempi più remoti e, approfittando della loro trasognata docilità, le abbiamo trascinate nelle imprese più pazzesche. Quando venne lanciata la prima mongolfiera a bordo c’erano un’anatra, un gallo e una pecora, ribattezzata Montauciel (sale-in-cielo). E quando si fecero i primi, fantascientifici tentativi di clonare un essere partendo da una cellula adulta la scelta cadde ancora su una pecora, la mitica Dolly.
Sono animali così fondamentali che, a quanto sembra, neppure androidi e alieni possono vivere senza di loro. Ma gli androidi sognano pecore elettriche? si domandava infatti Philip Dick nel titolo del romanzo da cui è tratto Blade runner. E il Piccolo principe, piombato dal cielo in pieno deserto, chiede anzitutto: “Disegnami una pecora!”
Non stupisce perciò che la nostra lingua vanti diverse eredità pecorine. Siccome in passato essere ricchi significava possedere delle pecore, pecus ha generato sia “pecunia” che “peculio”, da cui anche l’aggettivo “peculiare” (proprio di qualcuno, come un metaforico patrimonio). Quando poi “aggreghiamo”, “segreghiamo” o “disgreghiamo” qualcosa, etimologicamente lo stiamo includendo o escludendo dal gregge. E, com’è noto, chi si distingue in negativo dal proprio gruppo è una “pecora nera”.
A tal proposito lo psicologo Tajfel ha osservato che tutti i gruppi giudicano più severamente i propri membri rispetto agli esterni: una capra può essere nera quanto le pare senza destare scandalo, ma una pecora perbene deve essere bianca, o metterà in questione l’identità stessa del gregge. Questo è, in termini sociologici, l’“effetto pecora nera”.
Va detto che essere “fuori dal gregge” ha i suoi lati positivi, tanto che “egregio” nasce proprio da ex gregis. Per la nostra cultura in particolare è importante che l’individuo si affermi nella sua unicità, distinguendosi dalla massa; perciò le pecore costituiscono spesso un modello negativo, emblema di un conformismo amorfo e un po’ vigliacco.
Al contrario nella tradizione ebraica, per la quale il valore essenziale è la fedeltà a Dio e alla comunità, le pecore hanno di solito significati positivi: mansuetudine, fiducia, appartenenza. Infatti nei Vangeli Cristo è sia l’Agnello di Dio sia il buon pastore che rincorre le pecorelle smarrite.
Meno noto è il fatto che la parola cinese “mei”, bellezza, si compone di due pittogrammi: una persona e una pecora. Ora, qualunque cosa pensiamo delle pecore, è difficile che siano la prima associazione che ci viene in mente quando pensiamo alla bellezza. Ma a quanto pare per i cinesi la vera bellezza coincide con un animo gentile e pacifico.
Del resto anche per noi le pecore, con la loro apparenza di nuvolette, evocano un senso di pace, e forse per questo è diffusa l’idea che contarle serva a conciliare il sonno. L’origine della credenza sta in un racconto del Novellino, in cui un cantastorie è costretto a veglie interminabili per alleviare l’insonnia di Ezzelino da Romano. Così, per ritagliarsi un po’ di riposo, una notte comincia a raccontare la storia di un pastore che traghetta sul fiume le proprie pecore: la prima, la seconda, la terza… A quel punto il cantastorie tace e, quando Ezzelino lo rimbrotta, spiega: “Sire, ora dobbiamo aspettare che passino tutte le pecore!”
D’altra parte una ricerca di Oxford ha dimostrato che chi conta le pecore si addormenta in media dieci minuti dopo rispetto a chi non lo fa. Lo stratagemma quindi sarebbe non solo inutile, ma controproducente. Vai a fidarti delle pecore…
Parola pubblicata il 01 Agosto 2022
FONTE: https://unaparolaalgiorno.it/significato/pecora
POLITICA
GRATTERI: “IL PARLAMENTO È GESTITO DA DIECI PERSONE E DRAGHI È SOLTANTO UN ESPERTO DI FINANZA”
Escono le anticipazioni della puntata registrata del Maurizio Costanzo show che andrà in onda stasera 25 maggio. Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri riserva parole pesantissime per Draghi ed il suo governo. Affermando senza mezzi termini che il nostro parlamento è esautorato – poiché gestito da massimo otto dieci persone – di fatto prefigurando reati costituzionali gravi in atto nel nostro Paese
di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
La storia sembra ripetersi e tutto pare riportarci a quei terribili eventi degli anni 90′, da cui nacque quel potere profondo, che poi ha condotto, negli anni il nostro paese, alla attuale devastazione economica ed istituzionale.
Le similitudini con quei giorni sono a dir poco sconcertanti.
Di come la scelta di pochi giorni fa del magistrato Melillo all’antimafia a discapito del più titolato sul campo procuratore Gratteri, si accoppiasse con l’allora inspiegabile bocciatura del compianto giudice Falcone in favore di Antonino Meli – ve ne avevo già parlato in un mio recente articolo (Melillo All’antimafia, come quando Antonino Meli fu preferito a Giovanni Falcone).
Era il settembre del 1991 quando Falcone fu ospite di una agitatissima puntata del Maurizio Costanzo show per parlare di mafia, e sfido chiunque a non ritornare con la memoria e con il cuore a quel topico momento, dopo aver guardato il video qua sotto, della puntata registrata ieri al teatro Parioli, dove Costanzo ha ospitato il procuratore paladino della lotta alla mafia, Nicola Gratteri.
(Cliccate sull’immagine per vedere il video)
Falcone poi finì di vivere, nel modo in cui tutti noi sappiamo, insieme alla moglie ed alla scorta, il 23 Maggio 1992 – a Giugno dello stesso anno, Draghi salì sul Britannia per ricevere precisi ordini su come ed a chi sarebbe poi stato svenduto il nostro paese – ed a luglio i poteri deviati dello Stato insieme alla mafia, completarono l’opera di togliere ogni disturbo al manovratore, facendo saltare in aria anche il giudice Borsellino e con lui le speranze di poter continuare a vivere in uno Stato di diritto.
Da lì in poi, complice tangentopoli che fece fuori buona parte della nostra classe politica di allora, ebbe inizio la seconda Repubblica, ovvero i 30 anni che verranno consegnati alla storia come tra i peggiori, mai vissuti dal nostro popolo.
Ma torniamo all’oggi ed analizziamo le parole di Gratteri, pregando per lui, affinché possa portare a termine il lavoro iniziato da Falcone per poter invertire il corsa della storia del nostro paese.
Il procuratore della Repubblica di Catanzaro non le manda a dire e ne ha per tutti a poche settimane dalla notizia che la ‘ndrangheta sta progettando di ucciderlo mediante un attentato esplosivo. Dalla lotta alle cosche mafiose al rapporto tra la magistratura e la politica.
“Draghi è un esperto di finanza. Punto. Quando parliamo di sicurezza o di riforma della giustizia, non ci siamo proprio”
“C’è un’aria di restaurazione – dice il magistrato – C’è un’aria di liberi tutti. È un momento brutto per il contrasto alle mafie, alla criminalità organizzata e alla criminalitàcomune. È un momento in cui la magistratura è molto debole. Sono stati fatti degli errori e la magistratura non ha avuto il coraggio di autoriformarsi. Quindi in questo momento c’è una sorta quasi di vendetta della politica nei confronti della magistratura dopo 30 anni”
“Oggi – aggiunge – si stanno facendo modifiche normative in Parlamento, ma soprattutto nel governo e poi il Parlamento ratifica. Il Parlamento è gestito da 8-10 persone, non di più. Gli altri votano quello che dicono quelle 8-10 persone. In questo momento c’è un governo dove, dal mio modestissimo punto di vista, Draghi è un esperto di finanza. Punto”. Chiaro il riferimento di Gratteri alle iniziative che il governo, in questi mesi, sta portando avanti sui temi della sicurezza e della riforma della giustizia. “Non ci siamo proprio”
Basterebbero i virgolettati per far scoppiare l’opinione pubblica. Sempre che nel nostro paese sia rimasta un minimo di coscienza civile.
Insomma, Gratteri ci conferma in modo inequivocabile, il grido d’allarme che molti di noi (ComeDonChisciotte in primis), urlano da anni:
non siamo più un paese che possa dirsi democratico
Affermare che otto dieci persone al massimo gestiscono il parlamento, significa che una tribù si è impossessata della nostra struttura costituzionale e chiamarlo colpo di stato non ci qualifica come dei traditori diffamatori, ma bensì come dei realisti patrioti.
Del resto che il nostro paese abbia assunto lo status di colonia, lo dimostra tutta l’escalation di perdite di sovranità (quella monetaria in primis), che abbiamo dovuto ingoiare in questi anni.
La politica non è altro che un insieme di tribù legate tra loro dal principio dell’appartenenza trasversale e con lo stesso “sistema” abbiamo visto viene gestito anche il terzo potere dello stato, quello giurisdizionale.
La vendetta della politica sulla magistratura, a cui fa riferimento Gratteri, dobbiamo avere il coraggio di circoscriverla e specificarla: è la vendetta del potere politico contro quella parte di magistratura che non si è asservita.
Perché come abbiamo visto chiaramente attraverso il “Sistema Palamara”, politica ed una parte della magistratura, andavano e vanno tutt’ora a braccetto insieme.
Certi poteri continuano ancora indisturbati a nominare giudici e procuratori e a comprare processi, con una tale sfrontatezza come se non ci fosse un domani.
Ho una curiosità ed una domanda da fare a Matteo Renzi, visto che è in vena di confessioni grosse, almeno quando gli fa comodo.
Gratteri, se vi ricordate, fu proposto da Renzi ma poi bocciato da Napolitano, come ministro della giustizia.
Come mai nel suo libro il Senatore di Rignano non ha confessato il motivo con il quale il “comunista preferito da Kissinger”, non volle Gratteri su quella poltrona?
di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
FONTE: https://megasalexandros.it/gratteri-il-parlamento-e-gestito-da-dieci-persone-e-draghi-e-soltanto-un-esperto-di-finanza/
Fratelli d’Italia, i consigli di Giulio Tremonti a Giorgia Meloni
Da “Appunti per un programma conservatore” a cura di Fratelli d’Italia: “Indipendenza è sovranità – Un’Europa confederale per la sfida della deglobalizzazione con il contributo di Giulio Tremonti
Oggi non è la fine del mondo, ma certo è la fine di un mondo. La fine di quel “mondo globale” che per tre decenni si è sviluppato ruotando sull’asse ideologico del mercato. Il mercato, matrice di un nuovo tipo d’uomo, un uomo che non ha più un passato perché ha solo il futuro. Il mercato dominante nel disegno di una nuova architettura politica: il mercato sopra e gli Stati sotto, l’economia sopra e la politica sotto: nazioni senza ricchezza, ricchezza senza nazioni.
Tre decenni unici, perché mai nella storia un cambiamento così intenso è stato in un tempo così breve. Nel 1989, con il muro di Berlino cade la semisecolare opposizione tra comunismo e democrazia; nel 1994, con il “Trattato WTO”, si ha l’ingresso del mercato nella nuova geopolitica del mondo grazie alla quale la Cina conoscerà una fase storica di forte crescita; nel 2008, con la prima crisi globale emerge nella parte più ricca del mondo il lato oscuro della globalizzazione: la follia della produzione in Asia e dei consumi in Occidente. Con in mezzo gli oceani da inquinare trasportando milioni di container. Invece di introdurre regole per un mercato equo oltre che libero, come proposto dal Governo italiano di centrodestra nel 2009, ci si è dati alla ricerca della “stabilità finanziaria”. Con la conseguenza che di financial stability se ne è vista davvero poca e la crisi interna alla globalizzazione non è stata superata, ma solo rinviata creando moneta dal nulla (“helicopter money”, “whatever it takes”, regulated quantitative easing”). È così che oggi, come mai è stato nella storia, la massa della “ricchezza” finanziaria è tre volte quella reale. Ed è anche in questo – non solo nella guerra – il rischio grave di una catastrofe globale.
LE 5 PIAGHE DELLA GLOBALIZZAZIONE (5 FINORA) E LE CURE PER GUARIRNE
C’è nella Bibbia un mito che ci aiuta a capire la crisi del tempo presente: il mito della Torre di Babele. L’umanità sfida la divinità, erigendo verso il cielo una torre sempre più alta. La divinità reagisce, privando l’umanità della lingua unica. È stato lo stesso con la pandemia: la diffusione globale del virus ha infatti hackerato il software della globalizzazione, ne ha spezzato la dominante ideologica costituita dal pensiero unico. È così che gli effetti della pandemia non sono stati o sono solo quelli sanitari, ma effetti più vasti e più generali. Ed è così che oggi vediamo apparire le “piaghe” portate dalla modernità globale e queste oggi ci si presentano in sequenza: una sull’altra, una dopo l’altra:
a) l’inquinamento, spinto dalla globalizzazione fino ad un livello enormemente più alto di quello prodotto dalla vecchia civiltà industriale. In parallelo e conseguente viene una grande parte delle attuali alterazioni climatiche. Tutto questo, tra l’altro, è l’habitat ideale per nuovi virus.
b) lo svuotamento della democrazia, sversata nella “Repubblica internazionale del denaro”, questa il regno dei “crematisti”, i credenti nella metafisica potenza del denaro. Oggi in realtà vediamo lo sgretolarsi della montagna incantata, con il denaro che, per la via dell’inflazione, diviene esso stesso causa dei problemi economici e sociali che invece doveva risolvere;
c) globalizzazione e “rete” (“web”) dovevano insieme essere l’origine di uno stesso fenomeno. L’idea che il vecchio “cogito ergo sum” potesse essere sostituito da un nuovo “digito ergo sum”, questo oggi sviluppato fino alla creazione, nel “metaverso” di un mondo nuovo artificiale e spettrale, alternativo rispetto a quello reale. E così con il trionfo sugli Stati dei giganti della rete!
d) il crollo demografico, a partire dalla conversione del sesso umano, dalla responsabilità al piacere. Di riflesso, la mutazione della famiglia tradizionale in una “horizontal family”. E l’apparizione, nell’individualismo terminale, di tanti eliogabali con l’ipad;
e) da ultimo i conflitti e le guerre. La storia, la storia che doveva essere terminata sta infatti tornando, con il carico degli interessi arretrati ed accompagnata dalla geografia, in un “mundus furiosus” non poi troppo diverso da quello che c’era prima. L’ironia della cronaca è oggi nel fatto che le elites globali, proprio le elites che sono state protagoniste di quest’ultima parte della storia, proprio queste oggi cercano di capitalizzare la loro esperienza restando sulla scena con il ruolo di guaritori, animando, con i loro “Piani”, un nuovo benevolo leviatano digitale, ambientale, sociale, così cercando di interessare l’umanità in quello che loro chiamano “build back better the world”. Serve all’opposto – come qui oggi – la semina di idee e valori diversi, idee e valori all’apparenza vecchissimi e tuttavia proprio per questo attualissimi! La tattica senza strategia è l’agonia che prelude all’insuccesso. All’opposto, la strategia senza tattica è la via più breve per il successo Il Cancelliere Metternich usava dire: “L’Italia è solo un’espressione geografica”. Non può essere così, non è ancora così, ma certo l’Italia non può a lungo restare come risulta oggi: privata con il “Britannia” di una quota strategica della sua industria è poi divenuta, dopo la “chiamata dello straniero” del 2011 contro l’ultimo governo di centrodestra, un Paese a sovranità limitata.
Ma non può essere così. Ciò che oggi dobbiamo e possiamo fare è infatti credere nella funzione che la storia ha assegnato ed assegna all’Italia, in Europa e nel mondo.
LA CONFEDERAZIONE TRA STATI EUROPEI
Come è stato in evoluzione per gli Stati Uniti d’America, l’idea di un’Europa federale non è necessariamente alternativa, ma deve in ogni caso essere successiva rispetto all’idea originaria ed attuale di un’Europa strutturata come confederazione tra Stati. Come è stato nel 1957 con il Trattato di Roma e poi ed a lungo dopo. Ma purtroppo si è oggi arrivati alla confusione tra la forza degli ideali morali europei e la debolezza degli attuali strumenti politici dell’UE. Chi ancora oggi contesta l’idea confederale ignora in realtà il fatto che l’Ucraina è oggi il simbolo dell’idea patria! Ed è per questo che in Europa oggi ancora non si possono ignorare gli Stati, ma piuttosto è necessario unirli in una logica funzionale, a partire dalla difesa. E’ in vista ed al servizio di tutto questo che oggi può e deve essere centrale il ruolo dell’Italia, come lo è stato per anni con i governi di centrodestra.
LA POLITICA CHE SERVE ALL’ITALIA
Serve all’Italia una politica capace di intendere la “cifra” drammatica del cambiamento che è in atto. Deve in specie essere chiaro che, se anche la guerra finisce, con questa certo non finisce la crisi della globalizzazione, una crisi non avvertita dalle nostre elites, intente a gettare monetine nella fontana di Trevi. Quando la storia compie una delle sue grandi svolte, quasi sempre ci troviamo davanti l’imprevedibile, l’irrazionale, l’oscuro, il violento e non sempre il bene. Già altre volte, del resto, il mondo è stato governato anche dai demoni. È così che sta prendendo forma un “Mundus Furiosus”, in cui non si può neppure pensare ad una semplice “reverse engineering” della globalizzazione. Le migliaia di filiere e catene produttive e commerciali che per decenni sono state stese tra continenti ed oceani, questi un tempo pacificati dal mercato, devono oggi essere ristrutturate, ridirezionate, accorciate, ma in un mondo che ormai non è più pacificato come era al principio. Un mondo che anzi è destinato ad alterarsi proprio per effetto del “reshoring” degli impianti industriali, con la conseguente necessaria e non facile ridefinizione delle industrie, dei commerci, dei prezzi, delle materie prime e dei prodotti.
CHE FARE?
Per cominciare è vitale conservare le due nostre ricchezze principali: la nostra manifattura, la seconda d’Europa (l’agricoltura è la prima) ed il nostro risparmio (il più grande d’Europa). Per conservare la manifattura è strategico detassare tutte le attività di rimpatrio dall’estero e di reinstallazione in Italia dei nostri impianti. Sempre per la produzione: moratoria legislativa, vitale in un sistema che conta, vanto del governo, quasi 1000 “Decreti attuativi” fatti in un anno (tre al giorno, domeniche incluse)! Una forte deregulation può essere strategica anche per attrarre in Italia investimenti da fuori. Forse è da riprendere il nostro “tutto è libero, tranne ciò che è vietato”. Per l’agricoltura: più terreni coltivati, nuovi invasi, digitale. Per il risparmio ricordare che, se abbiamo un grande debito pubblico, abbiamo però anche un grande risparmio privato, così che avvicinandosi una crisi la soluzione non è in una patrimoniale “europea”, ma nella possibile spontanea combinazione tra queste due grandezze, garantita e non imposta dallo Stato. Questo è primum vivere, a livello di sistema. Devono poi certo vivere anche le persone e le famiglie e per questo lo Stato dovrebbe cominciare a rinunciare a sfruttare l’inflazione come sua fonte di entrata fiscale, restituendo il maltolto. E naturalmente tanto altro, come è risultato ieri ed oggi e come risulterà nei prossimi mesi. Infine, un’idea per una azione piccola, ma non marginale: in un mondo in cui cresceranno i bisogni, il nostro “5×1000” (2005) va elevato al “10×1000”.
FONTE: https://www.startmag.it/mondo/fratelli-ditalia-i-consigli-di-giulio-tremonti-a-giorgia-meloni/
MELONI LA ASPEN E CHATHAM HOUSE
Federico Dezzani 30 07 2022
FONTE: https://t.me/federicodezzaniblog/1550
Sì, la partita è truccata
30 07 2022
(Andrea Zhok) – Circola, anche tra persone di cui ho stima, l’idea che la strategia da adottare in queste elezioni sia quella del non-voto.
Una delle argomentazioni più elaborate che ho trovato a proposito sostiene che quando raggiungeremo una massa critica di astensionismo il “potere istituzionale” sarà costretto a venire a patti e ad accettare le richieste del popolo, richieste che riapriranno i giochi ed elimineranno l’attuale forma di partita truccata.
Confesso di avere considerevoli difficoltà nel seguire questo ragionamento.
Banalmente constato che in diversi paesi occidentali si è già arrivati ad affluenze sotto il 50%, e che ciò ha prodotto come massimo risultato qualche articolo pensoso sui quotidiani all’indomani delle elezioni; stop.
Constato inoltre che la dinamica per cui il “potere istituzionale” va a Canossa e chiede al popolo cosa vuole per tornare a votare è schietta fantapolitica, e lo è per mille motivi, a partire dal fatto che nessuno nel “popolo” avrebbe legittimazione a fare richieste a nome di tutti (mancherebbe di legittimazione democratica). Senza un’organizzazione democratica dell’opposizione a monte chi avrebbe titolo a sollevare quali proposte?
Detto questo, che si sia chiamati a giocare una partita truccata è fuor di dubbio.
La partita è truccata a monte in molteplici modi, dall’atteggiamento dei media alle regole di accesso ai finanziamenti per le forze politiche, fino alla scandalosa scelta della data delle elezioni e delle regole per parteciparvi.
Infatti magari non tutti sanno che tra le tre date tecnicamente possibili dopo lo scioglimento delle camere è stata scelta la più vicina (25 settembre), cioè casualmente quella che faceva cadere la raccolta firme a cavallo di Ferragosto. E magari non tutti sanno che sono state fatte nel corso della legislature modifiche normative per cui sono esentati dalla raccolta firme per poter accedere alle elezioni tutte le forze maggiori già presenti in parlamento (questo valeva già con legge precedente), + sono esentate anche le forze che hanno costituito un gruppo in almeno una camera prima del 31 dicembre 2021 (LeU, Italia Viva, Coraggio Italia) + è esentata Noi con l’Italia (Maurizio Lupi), perché ha contribuito all’attribuzione di seggi per i propri alleati in una coalizione avendo più dell’1% (anche se meno del 3%), + è esentata +Europa, perché si è presentata con il proprio contrassegno alle ultime elezioni politiche e ha ottenuto un seggio nella circoscrizione estera Europa, dove ha superato lo sbarramento, e dove non vale lo sbarramento nazionale.
Insomma, curiosamente, questa normativa è stata ritagliata in modo da lasciare il compito di cercare firme a ferragosto per potersi presentare alle elezioni a tutte e sole le forze “antisistema”, mentre esime da questo compito tutte le forze simpatetiche con il sistema, tutti quelli che hanno applaudito prima alla geniale strategia pandemica di Speranza e poi all’ancora più geniale strategia geopolitica verso la Russia.
Dunque, sì, la partita è truccata, non c’è dubbio.
Ciò che resta da capire è se la popolazione italiana deciderà che, dopo tutto, va bene così, che il sistema ha funzionato, che ci si può fidare di lasciarlo al comando senza opposizione, barricati in parlamento, ad imperversare sotto chiave per altri cinque anni.
Se sarà così vorrà dire che alla fin fine avranno avuto ragione i vari Letta, Brunetta, Pregliasco e Draghi: dopo tutto della democrazia gli italiani non sanno che farsene.
Una volta che siano di nuovo “pienamente legittimati dalle urne” per un altro cinquennio, quest’allegra compagnia potrà di nuovo occupare militarmente ogni ganglio del paese, dall’ISS ai giornali, dalle partecipate ai Talk Show.
Il sollievo per la caduta di Draghi sarà durato lo spazio di un mattino: si passerà dal governo Draghi al governo dell’agenda Draghi.
E di tutto quanto accade “nel sistema” non ci sarà modo neppure di sapere che accade. Già, perché a questo innanzitutto serve un’opposizione: a rendere consapevole il paese di cosa accade, a denunciarlo, a chiederne conto al governo.
E poi, certo, sperabilmente, a creare il germe per forme di governo differenti, con agende differenti.
Visto il tasso di abbandono della logica democratica in corso è chiaro che a moltissimi italiani non pone nessun problema avere rappresentanze parlamentari senza opposizione.
Alcuni pensano semplicemente che chi non è prono allo status quo non debba avere voce (e lo hanno mostrato ampiamente negli ultimi anni).
Altri – tra cui molti compagni di strada – pensano di potersi ritirare dalla sporcizia della politica ricreando forme di vita locale alternativa.
Questa seconda opzione ha il mio totale rispetto, perché ricreare forme di vita comunitaria alternative è la più fondamentale ed autentica forma della politica; tuttavia chi alimenta questo scenario dimentica la facilità con cui il potere centrale, con un paio di leggi ben assestate, possa sciogliere e demolire qualunque cosa sia stata costruita con tanta fatica sui territori (dalle scuole parentali alle comunità di scambio agricolo, ecc.).
Senza rappresentanza istituzionale l’unica strada in cui il dissenso finisce per essere incanalato è la stessa percorsa negli “anni di piombo”, e per chi non lo avesse ancora capito è una strada catastroficamente perdente.
Dunque, mi permetto in conclusione di fare un appello a chiunque semplicemente ritenga giusto che in un parlamento siano presenti voci dissenzienti, voci che chiedono più democrazia, conformemente al dettato costituzionale.
Chiunque abbia a cuore le sorti democratiche del paese cerchi di dare un contributo a questa fase cruciale della raccolta firme, fase preliminare, resa artificialmente complicatissima, e che semplicemente consente di partecipare alle elezioni.
(E chi invece pensa sia giusto bloccare preventivamente la possibilità di partecipare alle elezioni, forse dovrebbe farsi domande sul proprio modo di intendere la democrazia.)
FONTE: https://infosannio.com/2022/07/30/si-la-partita-e-truccata/
Rossa, l’è rossa! La pastasciutta antifascista
di Roberto PECCHIOLI
Siamo nel 2022, in mezzo alla tempesta perfetta, declino economico, degrado civile, inverno demografico, inflazione galoppante, crisi energetica, pericolo di guerra, epidemia, emergenza sanitaria, passaporto vaccinale, precariato lavorativo e sociale, sette milioni di poveri assoluti, invasione migratoria. Quisquilie, bazzecole, pinzillacchere, direbbe il principe di Bisanzio, Antonio De Curtis in arte Totò. Il vero problema, la tragedia nazionale è il fascismo. Fortunatamente, c’è chi vigila, chi ha capito e mette in guardia gli immemori abitanti dello Stivale contro il nemico risorgente, l’eterno rigurgito, il fantasma dell’Uomo Nero.
In Toscana hanno preso le contromisure, la resistenza ha organizzato gli avamposti. Le casematte dell’antifascismo immenso e rosso sono presidiate non da truppe scelte o novelli partigiani, ma da cuochi, camerieri e buongustai. La Casa del Popolo di Pontassieve ha acceso la scintilla del riscatto popolare. Il fuoco si propagherà per l’intera penisola, isole comprese: è nata la “pastasciutta antifascista”. Dovunque, armati di pignatte, conserva di pomodoro, pasta di semola, carne e salsiccia, rosmarino, prezzemolo, cipolla tritata, parmigiano grattugiato, sale e pepe quanto basta, incedono le avanguardie dell’antifascismo del Terzo Millennio. Su compagni, su fratelli, su corriamo in fitta schiera… alla pastasciutta antifascista.
Proprio così: il fascismo si combatte innanzitutto a tavola. A Pontassieve lo sanno e hanno organizzato la pastasciutta antifascista. Non che l’idea sia originalissima: da anni, dalle parti nostre, analoga iniziativa è organizzata da una delle sigle della nostalgia comunista in una festa campestre. Dicono che il sugo è ottimo e i partecipanti tornano a casa satolli e felici, rafforzati nell’incrollabile fede antifascista, pronti a diffondere la saporita ricetta. Ma si sa, senza telecamere, è come se un evento non esistesse, così la vera pastasciutta antifascista è “made in Pontassieve”, paesone in cui risiedeva nientemeno che Matteo Renzi.
La TV ha meritoriamente ripreso l’evento e intervistato i guerrieri dei maccheroni al ragù. Un po’ sostenuta una delle cuoche, che tendeva a magnificare la qualità del cibo piuttosto che il suo alto significato politico. Dopo il pranzetto militante, tra i vari commenti, il migliore e il più lapidario– toscanaccio umorismo involontario- è venuto da un signore distinto: “Rossa, l’è rossa!”. Tutto a posto, la garanzia dell’antifascismo di matrice (post?) comunista è sempre quella, il colore rosso, trasferito dalle bandiere al sugo. Antifascismo alla pummarola. Rossa e al dente è la pastasciutta, tornano a casa sazi e contenti i post partigiani di Pontassieve. Chissà che non abbiano stappato qualche bottiglia di vermouth Rosso Antico.
Eppure, non la si può prendere sul ridere. E’ ridicolo ma grave che a 77 anni dalla fine sanguinosa del regime, l’antifascismo in assenza di fascismo continui ad appassionare qualcuno; eppure il capostipite, Carlo Marx, li aveva avvertiti: la storia nasce in forma di tragedia e finisce in forma di farsa. Solo farsesco può essere l’antifascismo alla pastasciutta. Signora mia, non ci sono più le mezze stagioni e neppure gli antifascisti di una volta.
Un’ ultima considerazione semiseria. Così come le tramontate feste dell’Unità furono l’ultima occasione di mantenere vive alcune tradizioni popolari italiane, i compagni toscani sono gli ultimi gramsciani. Il pensatore sardo difendeva l’anima nazionale e popolare: non c’è nulla di più nostro, di italiano e identitario della pastasciutta. L’internazionale futura società a cui aspiravano è diventata globalismo capitalista, pensiero unico consumista, omologazione anche gastronomica, dagli hamburger ai popcorn sino agli insetti, cibo del futuro prossimo, ma loro no, impavidi, indomiti. Grazie, compagni, di avere difeso, diffuso e rilanciato la nostra amata pastasciutta, dalle Alpi alla Sicilia il piatto più
identitario che c’è. Nostri e tradizionali anche gli ingredienti, dal grano- rigorosamente duro- ai pomodori, alle carni che ogni città cucina a suo modo nel regale ragù italiano, cibo di nobili e contadini, degli antifascisti e di tutti gli altri.
Non ci avevate pensato, dite la verità, orfani della falce e del martello. Siete diventati – via pastasciutta- identitari e un po’ sovranisti. Meglio così, buon pro vi faccia e ci faccia il ragù, la pastasciutta che, vivaddio, rossa l’è rossa. Siamo ancora in Italia, evviva, e non sia mai che il prossimo anno attacchino con couscous, involtini primavera, fish and chips antifascisti, in ossequio all’internazionalismo trasmutato in globalismo. Bandita soltanto l’insalata russa.
Evviva le Case del Popolo tosco emiliane, ultimo baluardo nazionalpopolare, luoghi conviviali in cui si balla, si vive, ci si incontra e ci si aggrega, si parla liberamente di donne e motori, di calcio e politica, di vita vissuta e problemi concreti. Una grande intuizione che il vecchio PCI seppe ereditare proprio dal fascismo, con i suoi circoli ricreativi e l’Opera dopolavoro, luoghi di aggregazione, amicizia, comunità.
Altri tempi, più concreti, sostituiti dalla pastasciutta antifascista. Ma non c’è granché da ridere. Il Giornale Unico- di proprietà di fieri bolscevichi come De Benedetti, gli eredi Agnelli, i principi Caracciolo e altri proletari – sono già alla chiamata alle armi e stanno raschiando il fondo del barile, impegnando la fantasia dei fascistologi di mestiere per impedire il possibile governo di centro destra prossimo venturo, Dio non voglia con a capo la signorina Meloni. Uno scenario da incubo, il fascismo che avanza: ci vorrà più di una pastasciutta, non basteranno tutte le conserve di pomodoro, tutti gli spaghetti e rigatoni del Belpaese per far contro il nemico una barriera e scacciare l’orrenda prospettiva.
Paragonato al paradiso dell’Italia felix 2022, converrete che hanno ragione loro. L’antifascismo militante ha accettato la privatizzazione del mondo- adesso anche dell’acqua- lo sfascio della sanità, il massacro dei lavoratori, la precarizzazione di una generazione, la logica del profitto nella sanità, la riduzione della scuola a parcheggio pre disoccupazione e fabbrica di ignoranti presuntuosi (in cattedra e sui banchi), il passaporto vaccinale, il lavoro in affitto e tanto altro. Ha santificato i banchieri centrali al governo e digerito i nazisti ucraini, ma il fascismo no, quello è troppo.
Il troppo stroppia. Il problema è quello degli occhi e delle lenti con cui si guarda il mondo. C’è ancora una minoranza non trascurabile che alla parola fascismo ha riflessi simili alle rane di Galvani. Nulla di male: ogni idea è lecita, purché abbia una definizione sensata. Per costoro – aizzati da intellettuali, agitatori e mestatori- è fascismo qualsiasi cosa non gli aggradi. La parola è omnibus, non definisce più da tempo un movimento politico o un’idea- neppure nelle residue, crepuscolari varianti neofasciste- ma descrive e si fa sinonimo del male in quanto tale.
E’ una sorta di abracadabra che permette l’incantesimo, un pensiero magico cui serve un nemico per rassicurarsi e mantenersi in vita; fascismo è qualsiasi cosa- idea, persona, fatto, situazione- che non corrisponde all’idea di realtà che si sono fatti. Scrisse Augusto Del Noce, filosofo dimenticato in quanto estraneo alle consorterie “sinistre”, che l’idealismo si sarebbe dovuto chiamare “ideismo”, in quanto innalzava l’idea e non la realtà. L’antifascismo irrazionale- al di là della sua ampia componente strumentale – non è diverso. Inventa un’idea e la scambia per realtà.
E’ il contrario della saggezza di Forrest Gump: stupido è chi lo stupido fa. Se ci pensassero, avrebbero i brividi: fascista è chi il fascista fa. Tutto ciò che abbiamo vissuto e sofferto negli ultimi anni è un’espettorazione di fascismo oligarchico in camicia bianca, cravatta e grisaglia che dovrebbe atterrire i consumatori di pastasciutta antifà. Meglio scacciare i cattivi pensieri e cantare Bella Ciao tra un rigatone e un bicchiere di rosso. L’accusa è toccata a molti: Berlusconi era il Cavaliere Nero, poi fu la volta di Matteo Salvini- che iniziò nei comunisti padani – e prima di loro a chiunque si fosse messo di traverso al PCI. I meno giovani ricorderanno il “fanfascismo” della DC di Fanfani. Figuriamoci se poteva sfuggire Nostra Signora della Garbatella, atlantista, filoamericana, conservatrice (di che cosa, poi?) cautamente europeista, sovranista ma solo un po’.
Argomenti inutili: la qualifica di fascista è assegnata dal sinedrio progressista. Oltre un secolo fa, Marcel Duchamp rivoluzionò il concetto di arte presentando a un’esposizione un orinatoio. Poco dopo avrebbe pronunciato la sentenza: “A partire da adesso, chiunque può essere artista; e qualsiasi cosa, un’opera d’arte. “Vale lo stesso per certe parole. Tutto può essere antifascista o fascista a seconda dell’umore e dei principi di chi parla. Parole al vento per gli antifascisti alla pastasciutta. Essi sanno che fascista è chiunque si opponga ai fedeli alla linea. Pazienza se la linea non è più quella, se non è una retta ma uno slalom sinuoso in cui ciò che una volta era giusto e vero è convertito nel suo contrario.
Vale il concetto enunciato da Giancarlo Pajetta, che antifascista lo fu davvero, pagando il conto: tra la verità e la rivoluzione, scelgo la rivoluzione. I suoi tardi epigoni hanno preferito la menzogna e barattato la rivoluzione comunista con quella liberale, liberista e libertaria. Le hanno dato un nuovo nome, progressismo, e gli applausi risuonano sino a Pontassieve. Per fortuna della loro tranquillità, non si sono accorti del contrordine e soprattutto della differenza. Meglio non svegliarli: potrebbero volerla fare davvero, la rivoluzione. Quel giorno si accorgerebbero di essere gli ascari dei veri conservatori, dei veri nemici del popolo, i “democratici”, i progressisti, i voltagabbana, tutti quelli che campano di rendita all’ombra di un antifascismo parolaio, senza rischi
e dal nemico immaginario. Tiratori da Luna Park che sparano all’orso disegnato sul fondale.
Resta, purtroppo, il fatto politico di un gesto impolitico. Non ci si vergogna di vivere nel trapassato e mentire spudoratamente agli ultimi fedelissimi; di esumare cadaveri e portare l’antifascismo – che fu cosa seria quando agiva contro un nemico vivo e potente – in processione (o in cucina, nella circostanza) come le confraternite esibiscono il Cristo una volta l’anno, alla festa patronale.
Passata la festa, gabbato lo santo. Il fascista di turno tornerà nel museo, a Giorgia Meloni (improbabile fascistella devota alla Nato accolta come gli ex comunisti nei circoli riservati del potere liberalcapitalista) succederà un altro avversario, un Uomo Nero inesistente come quello minacciato dalle mamme ai bambini disobbedienti. Per ora c’è la pastasciutta. Rossa, l’è rossa.
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/70238-2/
L’affondo di Veneziani: “Alla sinistra resta solo un’egemonia subculturale da Ztl snob e presuntuosa”
Veneziani, lezione magistrale: “La sinistra si è nascosta dietro la ‘dragocrazia’
Cosa rimane di questo lascito a sinistra? Nulla – scrive Veneziani-. “Oggi, il retropensiero della sinistra non è un pensiero, non c’è una cultura politica alle spalle: gli intellettuali non contano nulla, spesso le menti migliori sono in dissenso sui temi cavalcati dai dem: dalle misure restrittive sulla pandemia all’interventismo militare filo Nato, dall’insistenza ossessiva sui cavalli di battaglia del politically correct alla perdita di ogni visione sociale”. Dunque, cultura no, temi sociali nemmeno: “Spariti i grandi temi che facevano della sinistra la forza politica più vicina ai ceti proletari e operai (…); cancellata ogni residua critica al sistema capitalistico e al modello occidentale, cosa è rimasto oggi del suo asse culturale?”.
Veneziani, la subcultura della sinistra, dal politically correct agli asterischi
E’ presto detto: “La difesa a oltranza dell’Unione Europea, il filo atlantismo e la subalternità assoluta alla Nato e ai dem american; la difesa delle oligarchie e degli assetti di potere vigenti; la subalternità della politica alla tecnofinanza”. Signori, è la “dragocrazia”. “Si rifugiano dietro il volto «neutrale» del Commissario straordinario”. Sul piano dei diritti le battaglie della sinistra sono ridotte al catechismo del politically correct. La battaglia “epocale” riguarda la disfida su “presidenta o presidente”, su “sindaca o sindaco”, per intenderci. Una battaglia finita pure male, con la norma sulla parità di genere bocciata dal Senato. Insomma, tutte battaglie che non hanno incidenza né presa “nella vita reale delle persone. Ha solo una ricaduta ideologica e feticistica funzionale ai movimenti femministi e lgbtq+”.
“Antifascismo puerile e ignorante”
Come stiamo notando, l’altro caposaldo di questa preudo-cultura è l’antifascismo da operetta; “esagitato e puerile”. Una “caricatura criminale del fascismo”. Un “antifascismo al ketch up, ignorante e sanguinolento”, scrive Veneziani con il suo linguaggio fiorito. Con il quale recita il de profundis: “È nata l’egemonia subculturale della sinistra condita da un radicalismo da ztl, snob e presuntuoso”.
Le nuove icone della sinistra: da Cacciari ai Ferragnez
E corrosivo ma realistico conclude: “Resta il potere sulla cultura al posto del potere della cultura. Le nuove icone della sinistra nn sono più i Cacciari, gli Asor Rosa, ma Fedez e Ferragni. E tutti i vip che si accodano alla demonizzazione della destra. Ieri Giorgia, l’altro ieri Mannoia, prima Elodie., prima ancora Vanessa Incontrada.
FONTE: https://www.secoloditalia.it/2022/07/laffondo-di-veneziani-alla-sinistra-resta-solo-unegemonia-subculturale-da-ztl-snob-e-presuntuosa/
Marcello Veneziani: «Vi spiego perché la sinistra è una cupola»
Veneziani: «Ecco il metodo della sinistra»
Il giornalista e polemista Panfilo Gentile circa mezzo secolo fa anticipò con lucidità l’involuzione del sistema democratico e la trasformazione dei partiti in circuiti chiusi e autoreferenziali di stampo mafioso. Se avesse visto quanto sta accadendo oggi – con l’ esproprio del voto fino al disprezzo per la volontà popolare – si sarebbe ancora più convinto delle sue analisi. Per Veneziani la sinistra è ua «cupola» perché «si serve delle camorre mediatico-giudiziarie e intellettuali per imporre i suoi codici ideologici per far saltare i verdetti elettorali, per forzare il sentire comune e il senso della realtà, per cancellare e togliere di mezzo chi la pensa in modo differente. E si accorda con altri poteri tecnocratici e finanziari, per garantirsi sostegni e accessi in cambio di servitù e cedimenti: Mafia & Capitale. Metodi incruenti, ma di stampo mafioso -specifica nell’articolo – e tramite forme paradossali: perché calpesta la democrazia e si definisce democratica, viola le leggi, perfino la Costituzione – sulla tutela della famiglia, sulla difesa dei confini, sul rispetto del popolo sovrano – ma nel nome della legalità e della Costituzione».
«La violenza del lessico della sinistra»
Il termine «Cupola» è forte, indubbiamente, ma Veneziani spiega che il lessico politico disinvolto e fuori misura non è un’invenzione sua, tutt’altro. E’ la sinistra che lo usa come una clava. Per cui l’unico metodo per fronteggare « in modo adeguato la violenza ideologica e propagandistica della sinistra» è rispondere col suo stesso lessico. Del resto, basta leggere come vengono definiti i sovranisti, chi ha a cuore la difesa dei confini, della famiglia, della religione: «È trattato alla stregua di nipotino di Hitler, di nazista, di razzista. Accuse criminali, ma da parte di chi le rivolge, a vanvera, stabilendo un nesso infame e automatico tra amor patrio e xenofobia, difesa della civiltà e razzismo, amore della famiglia e omofobia», scrive Veneziani sulla Verità. E non dovremmo neanche difenderci di fronte a questi attacchi?, si chiede lo scrittore. E fa l’esempio dell’ «uso mascalzone dell’antifascismo che serve per isolare e interdire il nemico e poi nel nome della democrazia in pericolo per l’incombente minaccia della Bestia Nera, sono consentite le alleanze più ibride, senza limiti…». Sì, per tutto questo è giusto usare l’espressione «la sinistra è ua cupola», Veneziani è convinto: «è giusto alzare il tiro e accusare la sinistra tornata ancora una volta al governo senza passare dalle urne, di essere un’associazione di stampo mafioso, di pensare e agire come una cupola, di calpestare la gente e gli avversari con l’arroganza e la presunzione di essere dalla parte del Giusto da ricordare i più fanatici regimi comunisti… Dal Soviet alla Cupola». Applausi.
FONTE: https://www.secoloditalia.it/2019/09/marcello-veneziani-vi-spiego-perche-la-sinistra-e-una-cupola/
SCIENZE TECNOLOGIE
USA: IN ARRIVO PURE LE MOSCHE NEUROCOMANDATE
Dal team di neuroingegneri della Rice University di Houston (1) diretti dal prof. Jacob Robinson, un altro passo nella ricerca per il controllo neuronale a distanza.
L’articolo in questione è stato pubblicato sulla rivista Nature Materials (2) ed i risultati mostrano come a seguito di modificazioni genetiche per includere un canale ionico unico nei neuroni delle mosche, attivabile col calore, ed iniettando negli insetti nanoparticelle che rispondano ad un campo magnetico, sia possibile attivare artificialmente i neuroni.
Alle mosche, geneticamente modificate, è stato iniettato del materiale magnetico; sono state poi messe in un luogo chiuso assieme ad un elettromagnete che, una volta attivato, ha riscaldato le nanoparticelle, che – a loro volta – hanno attivato i neuroni.
In meno di mezzo secondo la mosca ha aperto le ali.
Robinson ci vede del buono. È fiducioso che questa capacità di attivare con precisione le cellule, dopo i test sulla mosca, sarà utile nello studio del cervello umano, nello sviluppo della tecnologia di comunicazione cerebrale e nel trattamento dei disturbi correlati al cervello. Il team è concentrato sullo sviluppo di una tecnologia che aiuterà a ripristinare la vista nelle persone anche se i loro occhi non funzionano. Mira a raggiungere questo obiettivo stimolando parti del cervello associate a una visione per dare un senso della vista in assenza di occhi funzionali. Vero anche questo, anche se i test sono finanziati dalla DARPA (ossia la Defense Advanced Research Projects Agency, agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, ndr) e i primi dispositivi di “telepatia elettronica” difficilmente non saranno appannaggio dei soldati. […]
Riuscire a controllare il comportamento di questi insetti potrebbe produrre un’arma formidabile, potenzialmente anche biologica. (3)
E cos’è il “Brain Project” (4) ? Lo spiegava Giulietto Chiesa nel 2013:
Quello che appare evidente, fin da subito, è che si tratta di un progetto pazzescamente realizzabile. [… Ultima avvertenza, speciale per i più ottimisti: stiamo parlando non di un futuro remoto. Il Brain ci dice che, tra dieci anni, più o meno, questo futuro sarà presente.
NOTE
(1) https://news.rice.edu/news/2022/wireless-activation-targeted-brain-circuits-less-one-second
(2) https://www.nature.com/articles/s41563-022-01281-7
(3) https://www.futuroprossimo.it/2022/07/cervello-mosca/
(4) https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/07/cose-brain-project-di-obama/678965/
Verdiana Siddi
28/07/2022
FONTE: https://comedonchisciotte.org/usa-in-arrivo-pure-le-mosche-neurocomandate/
STORIA
I 5 minuti in cui Mearsheimer descrive la traiettoria aggressiva degli Stati Uniti dalla loro nascita ad oggi
di Roberto Buffagni 5 05 2022
VIDEO QUI: https://youtu.be/9qNDDYu9I3A
Il dono della sintesi. In cinque minuti e ventitrè secondi il professor John Mearsheimer descrive la traiettoria strategica degli Stati Uniti dalla loro nascita ad oggi. Gli Stati Uniti come lo stato più potente e aggressivo della storia moderna, che diviene l’egemone dell’emisfero occidentale e categoricamente non tollera MAI l’esistenza di altri peer-competitors e anzi li spazza via uno dopo l’altro.
La Cina è l’obiettivo principale perché solo la Cina dispone dei requisiti di potenza (demografia, economia, potenziale militare in fieri) necessari per divenire l’egemone regionale nell’ Asia, come egemone dell’emisfero occidentale sono gli Stati Uniti d’America.
Già oggi la Cina dispone di una potenza latente (economica) superiore alla potenza latente americana; per di più, la Cina è in grado di produrre tutti i beni tipici delle quattro rivoluzioni industriali, mentre la manifattura americana, in larga misura delocalizzata, non lo è. Quindi, una alleanza tra la Cina e la Russia, con il vastissimo bacino siberiano ricco di materie prime e un arsenale nucleare modernissimo, suona la campana a morto per l’egemonia mondiale statunitense.
Le opzioni strategiche, per gli Stati Uniti, erano due: la prima, trovare un modus vivendi con la Russia, progressivamente avvicinarsela staccandola dalla Cina della quale è avversario naturale (4500 km di frontiere in comune), e allentare la propria egemonia sull’Europa: la Russia, comunque, non dispone dei fondamentali di potenza sufficienti a egemonizzare l’Europa, e non ne disporrà mai finché non riuscirà a invertire la dinamica demografica, sviluppare l’economia a ritmi cinesi, creare FFAA convenzionali abbastanza numerose e qualitativamente adeguate per un progetto espansionistico, imprese tutte che richiedono almeno vent’anni di sforzi coronati da successo.
La seconda, affrontare insieme Russia e Cina, iniziando dalla Russia, l’anello più debole. Logorare la Russia con una guerra interminabile in Ucraina, nella quale si riversino truppe polacche, rumene, baltiche; accendendo focolai di ostilità in tutti i luoghi sensibili per la Russia, Balcani, Medio Oriente, Artico; fomentando separatismi interni alla Federazione russa; ostacolando l’economia Russia con sanzioni durissime che pesano anzitutto sui paesi europei. Al contempo, contenere la Cina nella sua zona d’influenza immediata, dove è improbabile che l’avversario tenti un’espansione perché le sue FFAA non sono ancora in grado di competere con la potenza aeronavale statunitense. Frammentata la Russia, impadronirsi indirettamente delle risorse siberiane russe, creare un blocco occidentale atlantico che giunga fino a Vladivostok, e un blocco occidentale pacifico composto da Australia, Giappone, Corea del Sud che stringa la Cina in un accerchiamento su due fronti. Di qui, potrebbe iniziare il rollback della Cina, e gli Stati Uniti potrebbero riconfermare ed estendere la loro egemonia mondiale.
Gli Stati uniti hanno scelto questa seconda “Grand Strategy”. Non si tratta di una strategia prudente, per usare un understatement. I rischi che essa fallisca ed esponga l’intero blocco occidentale, anzitutto l’Europa, a contraccolpi terribili, persino annichilenti, sono manifesti.
Ma come dice Mearsheimer, gli Stati Uniti sono lo Stato più potente e aggressivo della storia moderna. Oggi, la loro supremazia è in forse, e non sono disposti a rinunciarvi, costi quel che costi: specialmente agli altri. A noi italiani, a noi europei, per esempio.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/22962-roberto-buffagni-i-5-minuti-in-cui-mearsheimer-descrive-la-traiettoria-aggressiva-degli-stati-uniti-dalla-loro-nascita-ad-oggi.html
La storia segreta dei diplomatici e delle armi invisibili
Il presunto uso di “un’arma sonora” contro i funzionari dell’ambasciata americana a Cuba richiama un mistero medico della Guerra Fredda.
In questo mese, il Dipartimento di Stato ha rivelato che i diplomatici americani con sede a Cuba hanno sofferto di possibili danni all’udito. Da allora, l’isteria sulle “armi soniche” è esplosa e ora è aumentato anche il numero di diplomatici che si dice stiano subendo effetti sulla salute, che possono includere danni al cervello. “Riteniamo le autorità cubane responsabili di scoprire chi sta compiendo questi attacchi alla salute”, ha affermato il segretario di Stato Rex Tillerson. Il dispositivo, o la possibile arma, che è stato utilizzato per causare questi effetti apparentemente non ha emesso alcun suono. Eppure non ci sono prove credibili che un tale dispositivo non udibile possa causare il danno descritto. Si scopre che questa non è la prima volta che il governo degli Stati Uniti sospetta che un paese straniero abbia preso di mira i suoi diplomatici con un’arma segreta e invisibile.
* * *
Nel 1965, gli operatori sanitari iniziarono a presentarsi all’ambasciata americana a Mosca, prelevando sangue dai dipendenti all’interno. Ai diplomatici americani è stato detto che i medici stavano cercando una possibile esposizione a un nuovo tipo di virus, cosa non inaspettata in un Paese noto per i suoi inverni gelidi.
Era tutta una bugia. Il Moscow Viral Study, come veniva chiamato, era la storia di copertina dell’indagine top secret del governo americano sugli effetti delle radiazioni a microonde sugli esseri umani. I sovietici, si scoprì, stavano bombardando l’ambasciata di Mosca con microonde a basso livello. Il “Segnale di Mosca”, come i funzionari di Washington chiamavano la radiazione, era troppo basso per arrecare danni evidenti alle persone nell’edificio. Con cinque microwatt per centimetro quadrato, il segnale era ben al di sotto della soglia necessaria per riscaldare le cose, come fa un forno a microonde. Eppure era anche cento volte più potente degli standard di massima esposizione dei sovietici, che erano molto più severi di quelli degli Stati Uniti. Questo era motivo di allarme.
La comunità dell’intelligence era preoccupata che i sovietici sapessero qualcosa sulle radiazioni non ionizzanti che gli Stati Uniti non conoscevano. Con la ricerca sugli effetti delle radiazioni di basso livello ancora agli albori, una delle prime teorie avanzate dalla CIA fu che i sovietici stessero cercando di influenzare il comportamento o lo stato mentale dei diplomatici americani, o addirittura di controllarne la mente. Gli Stati Uniti volevano capire cosa stesse succedendo senza far sapere ai sovietici che sapevano dell’irradiazione, e quindi i diplomatici che lavoravano nell’ambasciata – ed erano quotidianamente esposti alle radiazioni – furono tenuti all’oscuro. Il Dipartimento di Stato era responsabile dell’analisi dei cambiamenti biologici associati alle microonde e la Defense Advanced Research Projects, una divisione del Pentagono, è stata incaricata di esaminare i possibili effetti comportamentali delle microonde.
Nell’ottobre 1965, Richard Cesaro, il funzionario della DARPA responsabile del progetto, indirizzò un promemoria segreto al direttore dell’agenzia, Charles Herzfeld, spiegando la giustificazione di questo nuovo sforzo di ricerca. La Casa Bianca aveva incaricato il Dipartimento di Stato, la CIA e il Pentagono di indagare in segreto sull’assalto a microonde. Il Dipartimento di Stato era a capo del programma, nome in codice TUMS, e la responsabilità della DARPA, ha spiegato Cesaro, era “di avviare una parte selettiva del programma complessivo riguardante una delle potenziali minacce, quella degli effetti delle radiazioni sull’uomo”.
Nasce così il DARPA Program Plan 562, meglio conosciuto con il suo nome in codice, Project Pandora, un’esplorazione degli effetti comportamentali delle microonde e uno degli episodi più bizzarri nella storia della scienza della Guerra Fredda.
Con il passare del tempo, le preoccupazioni del governo sul controllo mentale indotto dalle microonde potrebbero suonare come qualcosa nato dal peggior tipo di paranoia della Guerra Fredda – il genere di cose facilmente parodiate come una cospirazione con il cappello di carta stagnola – ma ambientato nel paesaggio di negli anni ’60, sembrava una preoccupazione plausibile. La scoperta del segnale di Mosca è avvenuta in mezzo a una raffica di rapporti di ricerca americani e sovietici sui possibili effetti biologici delle radiazioni a microonde di basso livello. Rapporti aneddotici di stanchezza e confusione hanno alimentato teorie secondo cui le microonde potrebbero essere utilizzate come arma per modificare il comportamento o persino per controllare la mente
Una teoria che i funzionari hanno avanzato era che l’Unione Sovietica potesse usare le microonde per influenzare il comportamento dei lavoratori dell’ambasciata, forse per indurre gli impiegati a commettere errori sui messaggi crittografati, consentendo ai crittografi sovietici di decifrare codici americani. In effetti, le traduzioni della ricerca in lingua russa sponsorizzate dalla DARPA all’epoca indicavano che gli effetti neurologici delle microonde affascinavano i sovietici, cosa che i funzionari americani consideravano come possibile prova che il segnale di Mosca fosse una sorta di arma.
Il ruolo della DARPA in Pandora ha immediatamente suscitato preoccupazioni tra i pochi scienziati del Pentagono che sono stati autorizzati a rivedere il programma. Bruno Augenstein, un fisico di origine tedesca che lavorava per il Dipartimento della Difesa, ha inviato un promemoria top secret ad Harold Brown e Gene Fubini, due dei massimi funzionari tecnologici del Pentagono, per far loro sapere che la DARPA stava valutando proposte esaminando gli effetti neurologici di microonde. Nella sua nota, Augenstein alludeva alla “storia sgradevole passata di esperimenti di questo tipo in questo paese, che ha reso un certo numero di persone piuttosto diffidente nei confronti di ulteriori esperimenti in questo campo”, probabilmente un riferimento ai famigerati esperimenti di controllo mentale MKULTRA della CIA iniziati nel gli anni ’50, in cui i funzionari dell’agenzia testarono gli effetti dell’LSD come possibile agente di controllo mentale sugli esseri umani.
Se il programma DARPA doveva evitare gli errori dei precedenti scandali nella sperimentazione umana, Cesaro è stata una scelta infausta per guidare Pandora. Esperto di propulsione, non aveva alcuna apparente esperienza nelle scienze biologiche, ma gli piaceva gestire un progetto top secret che riceveva l’attenzione di alto livello dalla Casa Bianca e dalla CIA. Abbracciò l’incarico con un entusiasmo che avrebbe potuto essere ammirevole, se non fosse stato così morboso. Ben presto divenne chiaro che l’interesse principale di Cesaro era andare avanti con vere armi a microonde, piuttosto che comprendere la biologia sottostante.
Per vedere se il segnale di Mosca ha davvero influenzato il comportamento umano, la DARPA ha iniziato testando le radiazioni a microonde sulle scimmie.
Poiché Pandora era top secret, la ricerca primaria doveva essere condotta nei laboratori governativi piuttosto che nelle università. L’aviazione è stata incaricata di fornire le apparecchiature elettromagnetiche necessarie per generare le microonde e il Walter Reed Army Institute of Research era responsabile della selezione delle scimmie e dell’esecuzione degli esperimenti. I test iniziali sono stati progettati per vedere come i primati svolgessero compiti legati al lavoro quando esposti a radiazioni corrispondenti al segnale di Mosca, che veniva trasmesso ogni giorno agli uomini e alle donne all’interno dell’ambasciata americana a Mosca.
Il protocollo di test prevedeva l’addestramento delle scimmie a premere determinate leve in risposta ai segnali. Se le scimmie avessero premuto correttamente la leva, avrebbero ricevuto una ricompensa in cibo, “proprio come i dipendenti dell’ambasciata potrebbero essere ricompensati con un martini secco alla fine della giornata”, ha scritto l’editorialista Jack Anderson. I ricercatori misurerebbero quindi se le scimmie si comportassero peggio quando sottoposte al segnale di Mosca, rispetto a quando non c’erano radiazioni.
Nel dicembre 1965 Cesaro era già entusiasta dei risultati. Il normale processo per accettare qualsiasi nuovo fenomeno scientifico significativo avrebbe comportato la presentazione dei risultati per la revisione tra pari, la pubblicazione su una rivista rispettata e, infine, la replica da parte di un gruppo indipendente. Pandora, invece, operava nel mondo della scienza classificata, dove i risultati venivano veicolati non dai ricercatori che conducevano gli esperimenti ma dal dirigente preposto, in questo caso Cesaro.
Nel dicembre 1966 Cesaro riferì che la prima scimmia coinvolta nei test aveva dimostrato “due rallentamenti e arresti ripetitivi e completi” a causa dell’esposizione al segnale di Mosca. “Non c’è dubbio che la penetrazione del sistema nervoso centrale sia stata raggiunta, direttamente o indirettamente, in quella parte del cervello interessata dai cambiamenti nelle funzioni di lavoro e dagli effetti osservati”, ha scritto Cesaro.
I risultati delle radiazioni sono stati così convincenti per lui che ha raccomandato al Pentagono di iniziare immediatamente a indagare su “potenziali applicazioni di armi”. Ha avviato una nuova fase di Pandora destinata a passare alla sperimentazione umana, portando il programma DARPA pericolosamente vicino allo stesso lavoro di cui aveva messo in guardia Augenstein, lo scienziato del Pentagono. Cesaro voleva anche rendere Pandora ancora più riservata di quanto non fosse in precedenza. “La natura estremamente sensibile dei risultati ottenuti fino ad oggi, e il loro impatto sulla sicurezza nazionale, ha portato a stabilire una categoria di accesso speciale per tutti i risultati e le analisi dei dati, sotto il nome in codice Bizarre”, ha scritto. Bizzarro, a quanto pare, era un nome appropriato per il progetto, perché a questo punto il numero di scimmie coinvolte nei test era pari a uno.
Inizialmente, il comitato di revisione scientifica di Pandora sembrava assecondare l’entusiasta proposta di Cesaro di passare direttamente alla sperimentazione umana. Il comitato ha persino suggerito di reclutare soggetti umani da Fort Detrick, nel Maryland, sede del programma di ricerca biologica dell’esercito (i coscritti assegnati a Fort Detrick sono stati per decenni una fonte continua di soggetti umani per la ricerca del Dipartimento della Difesa; i soggetti sono stati esposti a qualsiasi cosa, da febbre gialla agli allucinogeni). In pochi minuti da una riunione del 12 maggio 1969 per discutere di test sull’uomo, il comitato scientifico di Pandora ha discusso i piani per andare avanti con otto soggetti umani. I soggetti umani sarebbero stati esposti al segnale di Mosca e quindi sottoposti a una batteria completa di test medici e psicologici.
Il comitato era consapevole del potenziale conflitto di interessi implicato nella sperimentazione umana classificata; l’idea del consenso informato diventa confusa quando i soggetti non sono nemmeno consapevoli del vero scopo del test. Per affrontare questo problema problematico, il comitato ha raccomandato di avere personale medico a disposizione per assicurare il “benessere medico” dei soggetti. Tuttavia, anche a quel personale medico non sarebbe stato detto il motivo del test e sarebbe stata invece fornita una storia di copertura. Dal punto di vista umano, almeno, il comitato ha raccomandato di “fornire protezione gonadica” ai soggetti maschi del test.
Fortunatamente per le aspiranti reclute e le loro gonadi, i test umani non furono mai perseguiti.
Fortunatamente per le aspiranti reclute e le loro gonadi, i test umani non furono mai perseguiti.
Le opinioni del comitato su Pandora iniziarono rapidamente a cambiare mentre esaminavano i dati effettivi, che alla fine includevano più primati e test aggiuntivi. I verbali del comitato scientifico, declassificati e pubblicati anni dopo, dimostrano crescenti dubbi sul protocollo di test, in particolare la mancanza di controlli utilizzati per testare le scimmie. Tra le preoccupazioni c’era che non fosse mai stata stabilita una solida base di riferimento per confrontare come le prestazioni delle scimmie sarebbero degradate dopo l’esposizione alle radiazioni, hanno osservato i membri. In altre parole, non è mai stato stabilito quanto bene le scimmie svolgessero i compiti durante un periodo di prova quando non erano esposte a attacchi periodici di radiazioni.
Sebbene Pandora non sia mai passato ai test sugli esseri umani, ha esaminato gli effetti dell’esposizione professionale alle radiazioni sugli esseri umani. Un protocollo sperimentale, chiamato Big Boy, ha esaminato i marinai della USS Saratoga, confrontando coloro che lavoravano sopra coperta, ed erano esposti alle radiazioni del radar, con quelli che lavoravano sottocoperta (ai marinai non veniva detto che facevano parte di un essere umano studio sulle radiazioni; è stata utilizzata una storia di copertura non specificata). La conclusione è stata che non c’erano effetti psicologici o fisici come risultato dell’esposizione a radiazioni a microonde di basso livello.
Nel 1968, Joseph Sharp, il ricercatore capo di Pandora presso Walter Reed, lasciò il programma. Il maggiore James McIlwain, un medico che era stato arruolato nell’esercito, fu scelto per sostituirlo. Ci volle quasi un anno prima che McIlwain fosse autorizzato a partecipare al Progetto Pandora, ma una volta che ciò accadde, iniziò a lavorare su una revisione rigorosa dei dati, esaminando attentamente le stampe del computer che dettagliavano il comportamento di ogni animale. Entro un anno, McIlwain completò l’analisi statistica e ciò che scoprì non era incoraggiante per le prospettive delle armi a microonde per il controllo mentale. La domanda fondamentale, ha ricordato in un’intervista anni dopo, era se fosse più probabile che l’animale smettesse di funzionare quando le radiazioni erano accese rispetto a quando erano spente. “La risposta era no”, ha detto. Il comitato di revisione scientifica di Pandora ha convenuto, concludendo, “Se c’è un effetto del segnale utilizzato fino ad oggi sul comportamento e/o sulle funzioni biologiche, è troppo sottile o insignificante per essere evidente”. In altre parole, le microonde non possono essere utilizzate per il controllo mentale.
Nel 1969, Stephen Lukasik, allora vicedirettore della DARPA, nutriva seri dubbi su Cesaro, che considerava un bugiardo seriale. L’impresario dei programmi neri della DARPA si è comportato come se non riferisse a nessuno, alludendo agli ordini delle agenzie di intelligence di alto livello ma rifiutandosi di fornire qualsiasi informazione specifica. “Era dappertutto, ammantato di speciali programmi di accesso”, ha detto Lukasik, riferendosi a programmi di sicurezza nazionale altamente classificati.
Pandora, il progetto di controllo mentale, era particolarmente preoccupante. A quel punto, la ricerca andava avanti da quasi cinque anni e milioni di dollari erano stati spesi per la costruzione di un nuovo laboratorio a microonde. Lukasik ha chiesto a Sam Koslov, un ex funzionario della DARPA, di rivedere il file Pandora e di fargli sapere cosa ne pensava. Koslov era un esperto di progetti di intelligence ed era meno probabile che fosse nevicato da affermazioni di segretezza e preoccupazioni esagerate sul potenziale delle armi esotiche sovietiche. Koslov, allora alla Rand Corporation, esaminò i materiali e discusse i risultati con McIlwain, presso Walter Reed, e riferì a Lukasik nel novembre 1969.
Come altri membri del comitato di revisione, Koslov ha criticato gli esperimenti originali per non avere quasi nessuna linea di base e ha notato che la procedura sperimentale è cambiata nel tempo. Inoltre, se la domanda era se un raggio di microonde modulato, come il segnale di Mosca, stesse causando effetti deleteri, perché non è mai stato misurato rispetto a un’onda continua? chiese. Eliminare semplicemente le scimmie con il segnale di Mosca era un approccio del tutto sbagliato, se l’obiettivo era capire se gli effetti erano associati a un segnale specifico. “Si dovrebbe iniziare con un esame di varie forme d’onda di base e quindi le combinazioni che risultano in possibili intermodulazioni e demodulazioni da parte del tessuto biologico”, ha scritto Koslov.
Koslov ha anche giustamente messo in dubbio se l’intero programma dovesse davvero essere segreto.
Si potrebbe eseguire molto meglio un programma più aperto che esamina gli effetti sulla salute delle microonde in generale e poi avere un programma segreto che esamina la tecnologia o le armi, se fosse giustificato, ha affermato. “In breve, sono costretto a concludere che i dati non presentano alcuna prova di un cambiamento comportamentale dovuto alla presenza del segnale speciale entro i limiti di qualsiasi ragionevole criterio scientifico”, ha scritto Koslov a Lukasik.
Nel 1969, la DARPA terminò il suo sostegno a Pandora e il lavoro rimanente fu trasferito a Walter Reed. Un paio di anni dopo, Lukasik licenziò Cesaro per “disonestà generale”.
Entro la fine degli anni ’60, la comunità dell’intelligence concluse che i sovietici stavano usando le radiazioni pulsate per attivare cimici d’ascolto nascosti nei muri dell’ambasciata e non per controllare le menti dei diplomatici.
Entro la fine degli anni ’60, la comunità dell’intelligence concluse che i sovietici stavano usando le radiazioni pulsate per attivare cimici d’ascolto nascosti nei muri dell’ambasciata e non per controllare le menti dei diplomatici.
Tuttavia, le preoccupazioni per il segnale di Mosca persistevano anche dopo la fine dei test scientifici, sebbene il controllo mentale fosse generalmente escluso. Un medico del Dipartimento di Stato incaricato degli esami del sangue, Cecil Jacobson, ha affermato che c’erano stati alcuni cambiamenti cromosomici, ma nessuna delle revisioni scientifiche del suo lavoro sembrava sostenere il suo punto di vista. Jacobson raggiunse l’infamia negli anni successivi, non per il Moscow Signal, ma per frode legata al suo lavoro di fertilità. Tra gli altri misfatti, è stato mandato in prigione per aver messo incinta forse dozzine di pazienti ignari con il proprio sperma, piuttosto che quello di donatori anonimi selezionati come si aspettavano.
Richard Cesaro non ha mai raggiunto quel livello di notorietà personale, ma ha affermato, anche dopo il suo ritiro, che il Moscow Signal è rimasto una questione aperta. “La considero ancora una minaccia importante, seria e instabile per la sicurezza degli Stati Uniti”, ha detto, quando è stato intervistato a riguardo quasi due decenni dopo. “Se fai davvero la svolta, hai qualcosa di meglio di qualsiasi bomba mai costruita, perché quando finalmente arrivi in fondo stai parlando di controllare la mente delle persone”.
Forse, ma Pandora ha risuonato per anni poiché la segretezza che circonda il progetto ha generato paranoia pubblica e sfiducia nei confronti della ricerca del governo sulla sicurezza delle radiazioni. Il progetto Pandora è stato spesso citato come prova che il governo sapeva di più sugli effetti sulla salute delle radiazioni elettromagnetiche di quanto non lasciasse intendere. Il governo ha finalmente informato il personale dell’ambasciata negli anni ’70 sulle radiazioni a microonde, provocando, non a caso, una serie di azioni legali.
Alla fine, il governo ha scoperto che il metodo migliore per affrontare l’incessante segnale di Mosca era costruire uno schermo di alluminio per proteggere l’edificio dalle microonde. “La lezione appresa”, disse in seguito Koslov a un giornalista, “è trattare la tua gente come se avesse una certa intelligenza”.
Questo articolo è un adattamento del libro di Sharon Weinberger, The Imagineers of War : The Untold Story of DARPA, the Pentagon Agency that Changed the World .
FONTE: https://foreignpolicy.com/2017/08/25/the-secret-history-of-diplomats-and-invisible-weapons-russia-cuba/
L’IGIENE NEL SETTECENTO IN EUROPA
Di Michele Carbone 31 07 2022
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