RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 11 MAGGIO 2022
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
ESTETICA
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SOMMARIO
La questione Ucraina
La fabbrica della “russofobia” in Occidente
Nave russa Admiral Makarov colpita nel Mar Nero: è una bufala ucraina
Presentato il «Great Reset» in un servizio del Tg: «Non possederai niente e sarai felice»
Utenze domestiche scontate per i giovani italiani
Stop al canone RAI in bolletta! Cosa cambia dal 2023?
Decreto Energia 2022 diventa ufficiale! Il decreto è stato inserito nella Gazzetta Ufficiale
Meluzzi, un fiume in piena contro Draghi e virus: «Chi c’è dietro al commesso di banca?»
Geopolitics is back: no endgame!
La cancellazione del nemico
John Bellamy Foster – La guerra per procura degli Stati Uniti in Ucraina
Ecco tutte le armi della Nato all’Ucraina
Guerra Ucraina, Travaglio: «Da noi cittadini non sanno niente. Tutto incostituzionale»
Escobar: lo zar russo della geoeconomia presenta il nuovo sistema finanziario globale
Gli italiani arrancano su bollette e benzina e l’Eni chiude con un + 300%
Immigrati illegali nel Regno Unito riceveranno la prima notifica di trasferimento in Ruanda questa settimana
È POSSIBILE FERMARE L’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA? TUTTO QUELLO CHE NON TI DICE LA SINISTRA
Retropensiero
La fredda primavera del lavoro
Michael Brenner, “American dissent on Ukraine is dying in darkness”, ovvero “tempi da canaglia”
La Cina elude le sanzioni contro la Russia: dove sono le “conseguenze”?
La roulette russa
Ecco perché nessuno vuole parlare della Svezia
“Auto Elettriche: la Commissione Europea ha Mentito spudoratamente a 450 milioni di Europei”
HITLER VOLEVA LA GUERRA? VERITÀ E MENZOGNE SULLE ORIGINI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
EDITORIALE
La questione Ucraina
Manlio Lo Presti – 11 maggio 2022
- La NATO riorganizza alcune frange dell’esercito ucraino, totalmente demolito con il colpo di Stato degli usa nel 2014. Con le divisioni Azov, poi inquadrate in esercito regolare, iniziano una serie di scorribande con genocidi, incendi e distruzione nei territori delle aree russofone e filorusse, ma soprattutto ai confini della Russia! Tutto questo per provocare una reazione russa che non si fa attendere. La Russia apre una serie di operazioni militari di ripulimento con una efficienza inaspettata. La Nato corre ai ripari e, per scongiurare il cedimento delle divisioni Azov e Blackwater, ordina agli USA di inviare centinaia di miliardi all’Ucraina e perfino a più riprese. Ma se viene strombazzato in tutte le parti del globo che l’esercito russo cade a pezzi ed è al collasso con oltre 25.000 morti e dozzine di generali uccisi, perché continuare ad inviare aiuti di tale rilevanza? Molte “narrazioni” sono contraddittorie, incomplete ma, soprattutto, sono lanciate a raffica per non dare il tempo di capirci qualcosa. Il modello e i metodi sono quelli usati nella narrazione del biennio virus.
- La Nato intende estendere la sua influenza in Europa scatenando una propaganda che alimenta la paura, o anche l’opportunismo, delle nazioni europee che non hanno aderito al patto atlantico a farlo subito altrimenti saranno invase dall’orso russo trinariciuto. La Russia poteva benissimo farlo prima e senza il loro permesso, grazie alla potenza militare quasi illimitata di cui dispone, ma non lo ha fatto. Perché? Nessuno se lo chiede e viene perseguitato se intende farlo dalla macchina del fango atlantica, web, giornalistica, ecc.
- La Nato organizza gli armamenti e istruisce l’esercito ucraino appena ricostruito perché quello precedente era stato raso al suolo nel 2014 quando c’erano gli “amerregani” a fare macelleria. Da notare l’assordante silenzio da parte dei progressisti buonisti. Nessuno di costoro ha detto una parola di critica su tv, web, giornali. Mi riferisco ad un elenco indicativo, ma non esaustivo di opinionisti italiani famosi, fra i quali: Boldrini, Rampini, Saviano, Anpi, Pesciolini, treccine, non-una-di-meno, la scrittrice pacifista Murgia, Severgnini, Damilano, Fazio, Riotta, Lerner (che avrebbe dovuto dire qualcosa sulle divisioni mercenarie israeliane che massacrano nei territori filorussi), Mentana e altri con i quali mi scuso per averli omessi- ma siete tanti, proprio tanti!
- La Nato coordina divisioni mercenarie polacche, della Blackwater, forze mercenarie israeliane, della Azov ecc.
- La Nato “esorta” i Paesi aderenti all’alleanza atlantica a fornire armi in gran quantità. Gli aderenti fiutano l’affare (compresa la ex-italia) e inviano forniture di armamenti obsoleti, fondi di magazzino… ma non in grandissime quantità. Non-si-sa-mai…
- La Nato si muove su mandato dei 15/20 colossi mondiali che la finanziano per martellare popoli, paesi, filiere commerciali, lingue, identità, aree geografiche non appena diventano un ostacolo ai loro piani commerciali. Perché sempre di soldi, materie prime, risorse da depredare si parla.
- La Nato, dopo i calci ricevuti da quella carogna di Trump-che-va-
sterminato per aver osato tagliare i finanziamenti all’Alleanza atlantica e all’OMS e stava per arrestare Fauci, agisce da tempo anche contro e malgrado gli USA flagellati da una guerra civile interna da oltre venti anni. È un aspetto che viene scientificamente e metodicamente occultato da tutti i media. - La Nato è diventata una SPECTRE che mira unicamente e ossessivamente alla sua espansione, sempre dietro serrato mandato dei ridetti colossi commerciali, industriali e finanziari. L’espansione va perseguita nella totale indifferenza dei danni umani, economici, ambientali, (ma se fatto da loro gli ambientalisti tacciono!) sociali , storici, culturali, costi quel che costi
- La Nato è il Behemoth preconizzato dal generalissimo di terra di nave e di aria Dwight Eisenhower che, in occasione del suo discorso di addio del 1961, avvertì tutti sugli immensi pericoli derivanti dalle incestuose interazioni del COMPLESSO MILITARE INDUSTRIALE. Non fu volutamente ascoltato dagli USA che costituirono la Nato che si sta muovendo anche contro i loro interessi!
- La Nato sta provocando il collasso economico dell’Europa allo scopo di spaventare le nazioni inducendole ad aderire al patto Atlantico. A costoro va bene il vecchio continente intimidito e in difficoltà economiche. Su questo tema sorgono dubbi sull’esistenza di un “gioco delle parti” per il quale si comprende Russia?
- La Nato è la VARIABILE INDIPENDENTE BELLICA che deve essere ridimensionata al più presto. Russia, Cina, India, Pakistan e altri lo sanno benissimo e hanno intrapreso una strategia di contenimento rallentando, avvolgendo, diradando la autistica fretta della attuale amministrazione democratica guerrafondaia che spera di avere il successo militare da rivendere ad un paese immerso nel maelstrom prossimo dei DERIVATI, della disoccupazione, dalle espulsioni di massa provocare dalla dilagante opzione robotica e del collasso economico che li sta distruggendo, provocato dalla ferocia speculativa delle finanziarie, dei fondi pensione, delle masse monetarie create dal nulla dai CHICAGO BOYS.
IN EVIDENZA
La fabbrica della “russofobia” in Occidente
di Sergio Cararo
Il nostro paese e l’Occidente sono in preda ad una evidente sindrome di russofobia. Potrebbe apparire tale ma non è una novità. Non lo è sicuramente per le leadership e le società europee e, di conseguenza, neanche per quelle statunitensi.
Colpisce il fatto che la Russia possa essere zarista o socialista, capitalista o nazionalista, ma alla fine in Europa scatta comunque il demone russofobico. Da dove nasce questo pregiudizio che troppo spesso è diventato contrapposizione frontale o guerra?
Prima di arrivare all’isteria a cui stiamo assistendo in queste settimane c’è una lunga storia da conoscere, ragione per cui prendetevi il tempo necessario per conoscerla.
Le radici della russofobia in Europa
C’è un interessante libro di Guy Mettan edito dalla Teti “Russofobia. Mille anni di diffidenza”, che aiuta a capire molte cose.
Per molti aspetti la russofobia ha qualcosa in comune con l’antiebraismo ossia un antico “documento” – ritenuti quasi unanimemente dei falsi storici – che ne dimostrerebbe la intrinseca natura aggressiva e dominatrice. Nel caso delle comunità ebraiche sarebbe il “Protocollo dei Savi di Sion” (tra l’altro si dice elaborato proprio nella Russia zarista). Nel caso della Russia sarebbe addirittura il “Testamento di Pietro il Grande”, fatto arrivare in Europa, e poi pubblicato e utilizzato in Francia durante l’invasione napoleonica della Russia.
Il documento fu consegnato ai francesi da un generale polacco, tal Sokolnicki, già nel 1797, ma fu pubblicato più tardi in appendice al libello “Des progrès de la Puissance russe” di Charles Louis-Lesur, nel quale si asseriva che sin dal XVIII secolo i regnanti russi puntavano ad impadronirsi di Germania, Francia e persino della Spagna dei Borboni.
Delle pubblicazioni successive all’epoca napoleonica, curate da Dominique Georges-Frederic de Pradt, tornarono alla carica indicando l’Impero zarista come una potenza asiatica e dispotica dalla natura libido dominandi con l’ambizione intrinseca di “espandersi verso occidente con la violenza e con l’inganno”.
Contestualmente, un altro autore francese, Saint-Marc Girardin affermava che se la Russia zarista fosse riuscita a sottomettere tutti i popoli slavi, si sarebbe servita di loro per dominare l’Europa, la sua cultura e la sua anima.
Inutile dire che queste pubblicazioni aumentarono la loro fortuna e la loro influenza alla vigilia della “Guerra di Crimea” nel 1856, quando Gran Bretagna, Francia e Italia si schierarono al fianco della Turchia contro la Russia… e l’Italia mandò i bersaglieri.
Ma se la russofobia è stata un arma di combattimento nell’Ottocento nello scontro tra gli imperi in espansione (soprattutto quello britannico e quello zarista), il sentimento russofobo e slavofobo in Europa ha radici ancora più antiche ed ha origine in Germania.
L’espansionismo a est dei Cavalieri Teutoni nel Medioevo, partiva dal presupposto che i popoli slavi erano dei “sotto popoli” da colonizzare e schiavizzare. La loro crociata espansionista fu fermata nel 1242 da Aleksander Nevski, quello che è diventato l’eroe nazionale russo.
Questa logica di annientamento di questo unter meschen slavo, guiderà le spietate azioni della Wermacht tedesca in tutta l’Europa orientale durante la Seconda Guerra Mondiale. Gli slavi erano popoli da schiavizzare, le minoranze ebraiche tra essi erano da annientare. Questo spiega la ferocia dell’occupazione nazista all’est e l’altissimo numero di vittime civili in quei paesi – e in Urss in particolare – durante il secondo conflitto mondiale.
Occorre ammettere che le eredità nefaste di questa slavofobia tedesca sono riemerse quasi naturalmente durante la disgregazione e la guerra in Jugoslavia, sulle quali le responsabilità della Germania sin dalla fase iniziale sono state enormi. Prima con il riconoscimento destabilizzante della secessione di Croazia e Slovenia nel 1991, poi con la “volenterosa partecipazione” alla propaganda di guerra e ai bombardamenti Nato contro la Federazione Jugoslava e Belgrado nel 1999.
Ma la russofobia e la slavofobia, anche in tempi lontani, non era prerogativa solo della nobiltà e delle èlites tedesche. Alla fine del XVI Secolo, lo studioso britannico Philip Sydeny già scriveva contro “I moscoviti nati-schiavi che godono nel vivere sotto la tirannia e ad opprimere le altre nazioni”.
Russofobia: un’arma dell’Impero Britannico nel Grande Gioco in Asia centrale
Infatti se dovessimo definire il cuore pulsante della moderna russofobia occidentale, dovremmo inevitabilmente spostarci dalla Germania alla Gran Bretagna, in particolare nell’Ottocento.
In molti hanno sentito parlare del “Grande Gioco” ossia lo scontro durato l’intero XIX Secolo in Asia centrale tra due imperi in espansione: quello britannico che dall’India andava verso nord e quello zarista che, al contrario, si espandeva verso sud.
Sulla descrizione di questo scontro secolare tra i due imperi ci sono le interessantissime pagine dell’autore de “Il Grande Gioco”, lo storico inglese Peter Hopkirk. Ben 29 pagine del libro descrivono l’emergere e la violenza della russofobia nelle èlites dell’Impero Britannico impegnato in uno scontro a tutto campo dal Caucaso fino all’Hinduskush, dall’Iran all’Afghanistan contro l’Impero Zarista. In un secolo però l’unico scontro militare diretto fu quello in Crimea nel 1856. Negli altri casi il Grande Gioco si è combattuto con spedizioni geografiche e spionistiche, corruzione e alleanze di khan ed emiri locali, guerre per procura. Insomma una “guerra ibrida” ante litteram nella quale i sospetti e l’alimentazione di sospetti, la creazione e la rottura repentina di alleanze, le attività di spionaggio sono state decisive.
Ma è evidente come un conflitto durato un secolo ed in cui molto spesso la “doppiezza” era all’ordine del giorno per conquistare posizioni, ha alimentato in occidente l’idea che della Russia non ci si può fidare, che mente e inganna per natura. E la Gran Bretagna, o meglio, l’Impero Britannico, pur ricorrendo ampiamente alla medesima “doppiezza”, ha fatto di tutto per influenzare il resto dell’Europa, ma anche gli Stati Uniti, con questo pregiudizio russofobico, funzionale però e soprattutto allo scontro geopolitico.
Anche Marx, nonostante la sua lungimiranza e ampiezza di vedute, in qualche modo sembra condividere questa visione in alcuni suoi scritti.
Per Marx l’autocrazia russa era una metamorfosi della Moscovia, formatasi “alla scuola terribile e abbietta della schiavitù mongolica”; la sua espansione era sorretta da una volontà di potenza illimitata, sino alla conquista del mondo. La modernizzazione dispotica realizzata da Pietro il Grande non ne aveva cambiato la natura, anzi era servita a fornirle la forza materiale per svolgere il suo ruolo di guardiana della reazione”. E sia Marx che Engels si diranno contrari alle istanze nazionaliste dei popoli slavi del sud in quanto strumentalizzati dall’impero zarista con le sue mire di dominio sull’Europa e per la pretesa antistorica e assurda – scrive Engels – “di soggiogare l’occidente civilizzato all’oriente barbaro, la città alla campagna, il commercio, l’industria, l’intelligenza all’agricoltura primitiva dei servi slavi” (“Rivoluzione e controrivoluzione in Germania).
Solo più tardi Marx individuerà nell’arretrato e autocratico impero zarista l’anello debole dell’assetto capitalistico mondiale. La Russia non è più il bastione della controrivoluzione ma è il paese della rivoluzione possibile, e non una rivoluzione borghese, impossibile per la sua composizione sociale, ma una rivoluzione socialista o comunista, che facendo leva sul radicamento delle comunità contadine avrebbe potuto abbreviare i tempi storici, saltare la fase capitalistica innescando una rivoluzione su scala europea e mondiale.
A realizzare concretamente tale progetto saranno Lenin e i Bolscevichi, ma il socialismo possibile sperimentato per la prima volta in Russia, nonostante i generosi tentativi rivoluzionari in Germania, Austria, Ungheria, non riuscì a penetrare nell’Europa occidentale.
Dunque, e paradossalmente, è stato il marxismo l’elaborazione nata in Occidente che più di altre ha influenzato concretamente la storia e la società russa. Ma era un elaborazione antagonista agli interessi borghesi dominanti in Occidente, ragione per cui non è mai stata riconosciuta come strumento di “modernizzazione” dell’arretrato impero russo. Al contrario, quando con il crollo dell’Impero Zarista, la Russia è diventata uno stato socialista – l’Unione Sovietica – nelle borghesie in Occidente si scatenò la “Grande Paura”.
Dalla russofobia all’antisovietismo
Nelle borghesie occidentali su questa paura sono arrivate a convergere tutte le paure più profonde e materiali. Un impero che crollando diventa invece un progetto di trasformazione sociale radicale apertamente dichiarato – con l’Internazionale comunista – ha decretato la più totale isteria. L’idea che qualcuno puntasse ad espropriare le ricchezze ai ricchi e a socializzarle ai proletari, ha terrorizzato i sogni della borghesia europea per decenni.
Non a caso, tutte le potenze occidentali che fino a due anni prima si erano massacrate reciprocamente nelle trincee della Prima Guerra Mondiale, invieranno i propri contingenti militari a cercare di schiacciare la neonata Unione Sovietica. Una sorta di crociata ideologica e politica contro la minaccia russo/sovietica che però – e fortunatamente – uscì con le ossa rotte.
Un ruolo consistente alla diffusione della russofobia tra le popolazioni dell’Europa dell’Est è sempre stato svolto dalla Polonia, sia nelle sue leadership aristocratiche che in quelle più moderne come il governo militare di Pilsudski fin dal 1904. Il suo obiettivo era la sollevazione delle popolazioni “non russe” (ucraini, tatari, caucasici) contro la Russia, prima zarista poi socialista. La stessa operazione che vediamo oggi in Ucraina ma stavolta contro una Russia capitalista e nazionalista.
Il sentimento russofobico pre-esistente, dopo la Rivoluzione d’Ottobre nel 1917, venne dunque coniugato in Occidente e nell’Europa dell’Est sia con la paura dei comunisti che con l’antiebraismo storico (molti dirigenti bolscevichi erano infatti ebrei).
Il nazismo in Germania e le complicità di cui ha potuto disporre da parte dei “liberali” in Europa, hanno attinto a piene mani da tale assioma e costruito su questo una guerra totale, che sarà concepita nell’Europa dell’Est – diversamente dall’Europa dell’Ovest – appunto, come annientamento di sotto popoli slavi per di più “dominati da comunisti e da ebrei”.
L’altissimo numero di vittime civili nell’Urss e all’est e la composizione delle vittime dei campi di concentramento nazisti ci confermano questa visione e questa realtà.
L’alleanza tra le potenze occidentali (Usa e Gran Bretagna) con l’Urss, in funzione antinazista, termina poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. La russofobia-antisovietica era stata messa congiunturalmente da parte ma solo per riemergere con forza alla prima occasione.
Russofobia e anticomunismo nella Guerra Fredda
Con la Russia diventata Unione Sovietica, la russofobia viene così declinata in anticomunismo, e da pregiudizio diventa scontro ideologico, politico e militare totale definito come “Guerra Fredda”.
Questo conflitto, così come nel Grande Gioco, in quarantacinque anni non è mai arrivato allo scontro frontale. Si è combattuto con guerre locali per procura, colpi di stato, spionaggio, campagne mediatiche ed ideologiche, corsa agli armamenti e deterrenza nucleare, organizzazione di alleanze militari (Nato e Patto di Varsavia, Seato in Asia etc.).
Nel 1991 la Guerra Fredda viene dichiarata conclusa. La bandiera dell’Unione Sovietica viene ammainata dal Cremlino, il Muro di Berlino è crollato, la Germania riunificata, i paesi dell’Europa dell’Est sottratti ai vincoli del Patto di Varsavia. Gli Stati Uniti e l’occidente sono vittoriosi e si ritrovano la ex Unione Sovietica (e il resto del mondo) completamente a disposizione della propria egemonia neoliberista.
Mettono un loro presidente-pagliaccio al comando della Russia (Boris Eltsin), cominciano il saccheggio sistematico delle immense risorse della ex Urss, sostengono il “democratico” bombardamento del Parlamento a Mosca nel 1993 da parte di Eltsin, liberalizzano e privatizzano tutto.
Il risultato sarà una catastrofe sociale per la popolazione russa e dei paesi ad essa legati, una diminuzione della popolazione (in tempo di pace) a causa di miseria e peggioramento delle condizioni di salute, una democratizzazione formale funzionale solo al rispetto dei diktat di Usa e potenze europee, allargamento della Nato verso i confini della Russia attraverso l’ingresso di tutti i paesi dell’Europa dell’Est, ma anche tentativi di fare altrettanto con qualche paese ex sovietico come la Georgia e poi l’Ucraina.
Ma nella Russia del dopo Guerra Fredda ormai semi-occidentalizzata, almeno sul piano del sistema economico liberista, in Russia cresce anche un blocco sociale di potere che arraffa le ricchezze del paese che può arraffare e commercia amabilmente con le borghesie occidentali (i famosi oligarchi). I “prenditori” in Russia e in Occidente si riconoscono tra loro come simili ma mai come uguali.
Non c’è mai stato un posto a tavola per la Russia in Occidente
Dopo gli attentati alle Torri Gemelle del 2001, Putin si mette a disposizione dell’alleanza internazionale contro il terrorismo messa in piedi dagli Usa. Dà via libera e dà anche una mano all’invasione dell’Afghanistan nel 2001. Questo idillio vede nel 2002 il neopresidente russo Vladimir Putin chiedere addirittura di entrare nella Nato, ma l’amministrazione Usa (Clinton) gli sbarra le porte. Insomma, il pregiudizio anti-russo sembra ancora ben presente nelle leadership occidentali.
La slavofobia/russofobia di ritorno vista all’opera con la guerra della Nato contro la Serbia nel 1999, da un lato coincide con il varo della nuova dottrina strategica aggressiva della Nato (giugno 1999), dall’altro vede i paesi dell’Europa dell’Est dover entrare prima nella Nato e solo dopo nell’Unione Europea, ossia le leadership politiche dei paesi slavi cooptati nelle magnifiche sorti dell’Occidente dovranno avere caratteristiche ben precise e non dovranno in alcun caso allontanarsi dai vincoli imposti dall’Occidente sul piano politico, economico, militare…e ideologico. Insomma gli slavi restano dei sotto popoli che vanno tenuti con la briglia stretta.
Per la Russia sembra non esserci mai stato un vero posto apparecchiato in questo senso alla tavola dell’occidente. L’unica chance è quella di mettere a disposizione le immense materie prime di cui dispone e dare una mano alle operazioni finanziarie più sporche dei capitali occidentali. Inoltre, approfittando della stoltezza dell’ultimo dirigente sovietico – Gorbaciov – gli impegni informali a non allargare la Nato verso i confini della Russia non vengono rispettati.
Quando nel discorso alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel febbraio 2007 (cinque anni dopo aver chiesto l’ingresso della Nato) Vladimir Putin reclama o un posto a tavola o la fine dell’appeasament, tutto l’armamentario ideologico, politico e militare russofobico ha ricominciato a scaldare i motori. La prima guerra in Cecenia del 1995 (sotto Eltsin) era passata quasi inosservata. La seconda,iniziata nel 2000 (sotto Putin) aveva invece già visto crescere l’attenzione mediatica e le stigmatizzazioni politiche in Occidente.
Il conflitto in Georgia nel 2008 (scatenato dal dittatorello filo-Usa della Georgia Shakasvili e non dalla Russia, ndr) metterà in seria difficoltà la Nato, divisa tra gli Stati Uniti che vorrebbero intervenire militarmente e gli europei che rispondono picche.
Poi ci sarà il colpo di stato anti-russo nel 2014 in Ucraina, la secessione delle Repubbliche russofone del Donbass, l’annessione della Crimea, la strage nazista e antirussa di Odessa. La Russia viene espulsa dal G8 dove era stata ammessa nel 1997, cominciano le sanzioni occidentali e l’armamentario ideologico russofobico – sopito ma mai effettivamente rimosso – riemerge con forza. L’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio è stata solo l’occasione per riportarlo pienamente alla luce.
I guerrafondai occidentali sentono che le loro motivazioni geopolitiche sono strumentali e non convincono le opinioni pubbliche, ragione per cui stanno praticando una crociata ideologica contro il “dispotismo asiatico” che spesso rasenta il ridicolo, mischiando arbitrariamente elementi di verità con elementi di falsità e frullando tutto nella propaganda di guerra.
“Semi-democrazie” occidentali versus “dispotismo asiatico”?
Il resto è storia di oggi, di quello che vediamo nei Tg e nei talk show o leggiamo sui giornali. Una russofobia sdoganata, pervasiva, volgare ogni oltre decenza, a conferma che la Russia può essere zarista, socialista o capitalista ma non sarà mai ammessa alla tavola dell’Occidente. Stupido chi aveva pensato il contrario.
Ma adesso l’Occidente scopre che tanti paesi nel resto del mondo hanno verificato che alla tavola dell’Occidente si mangia male ed hanno deciso di “cambiare ristorante”.
Vengono stigmatizzati come autocratici, dispotici etc etc, con la perdurante pretesa di insegnare e imporre a tutti gli altri una civilizzazione occidentale con un passato “glorioso”, ma con un presente di profonda crisi che ormai fa parlare di “semi-democrazie” o democrature” in Occidente evidente a tutti.
Se non si vuole arrivare alla guerra totale occorre cominciare a pensare già da adesso ad almeno due tavolate separate, e magari senza rompersi più i coglioni a vicenda. Oggi le possibilità di crescita economica del sistema capitalista sono solo a discapito di qualcun altro.
Tra uguali si può mangiare alla stessa tavola, tra simili ci si combatte. Il dramma che stiamo vivendo sta qui.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/politica/23000-sergio-cararo-la-fabbrica-della-russofobia-in-occidente.html
Nave russa Admiral Makarov colpita nel Mar Nero: è una bufala ucraina
Lo scorso 6 maggio si era diffusa la notizia che la fregata russa fosse stata colpita da un missile antinave ucraino: il video con il fumo sulla nave però era falso
10 Maggio 2022
La notizia della nave russa Admiral Makarov colpita nel Mar Nero è una bufala ucraina. Lo scorso venerdì, 6 maggio, si era diffusa la notizia che la fregata russa Admiral Makarov era stata colpita e danneggiata seriamente da un missile antinave sganciato da Kiev mentre navigava vicino all’Isola dei Serpenti. A suffragare la notizia, la propaganda ucraina aveva diffuso il video di una nave in fiamme in mare aperto. Ma come ha confermato l’esperto navale H.I. Sutton, la notizia e il video che la accompagnava erano dei falsi: l’analista ha diffuso immagini satellitari di più di 13 navi della flotta russa in navigazione nell’area del Mar Nero settentrionale. Tra queste, ha identificato con certezza la fregata Makarov, smentendo così quella che si è rivelata una bufala. *
Presentato il «Great Reset» in un servizio del Tg: «Non possederai niente e sarai felice» [VIDEO]
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Utenze domestiche scontate per i giovani italiani
Una mossa del governo che sta guadagnando diversi consensi, soprattutto negli ultimi mesi, è stata l’introduzione della Carta Giovani Nazionale.
Col fine di promuovere la cultura e supportare i giovani ad attraversare la crisi economica causata dalla pandemia grazie a Carta Giovani Nazionali i giovani italiani possono accedere a una serie di sconti e agevolazioni.
Carta Giovani Nazionale (CGN) è la carta virtuale e gratuita promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale.
La Carta fa parte del circuito European Youth Association Card (EYCA) che unisce tutte le carte giovani dei Paesi Europei e può essere richiesta dai ragazzi di età compresa tra i 18 e i 35 anni e residenti in Italia.
Come anticipato, il servizio (a cui si può accedere tramite l’app IO) da accesso ad agevolazioni e sconti, non solo su beni e servizi, quali librerie, cinema, biglietti per treni e aerei ma anche esperienze ed opportunità, quali eventi e certificazioni e master ad un costo agevolato.
Tra queste, troviamo anche offerte esclusive per le utenze di casa, caratterizzate da tariffe ridotte e convenienti rispetto a quelle proposte al momento dai vari fornitori, attivabili da chiunque.
Per aver accesso a tali offerte , bisogna richiedere prima di tutto la carta giovani nazionale tramite l’app IO (previa registrazione). Una volta ottenuta, si potrà subito accedere alle varie offerte disponibili, tra cui quelle relative alle utenze domestiche luce e gas con fornitori quali Enel Energia e Plenitude.
Per approfondire l’argomento, vi rimandiamo all’articolo realizzato dagli esperti di Prontobolletta dove potrete trovare tutte le offerte luce e gas con carta giovani nazionale e confrontarle tra loro.
Dati i rincari degli ultimi mesi su gas e luce causati dallo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, tali offerte rappresentano un aiuto concreto per tutti quei ragazzi, siano essi giovani coppie, studenti fuori sede o giovani lavoratori, che devono fare i conti anche con stipendi, tra i più bassi d’europa, affitti sempre più cari e, in generale, la crescente inflazione.
Alessia De Angelis
Redattrice Prontobolletta
FONTE: https://www.prontobolletta.it/news/
Stop al canone RAI in bolletta! Cosa cambia dal 2023?
Lucia Ferrero, una redattrice per il blog di energia-luce.it.
Sommario: Dal 2023 il canone RAI non sarà più presente all’interno della bolletta dellla luce, l’imposta rimane, ma il sistema con cui questo verrà pagato viene modificato. Quali sono le opzioni al vaglio?
Le opzioni prese in considerazione sono diverse e si cerca anche di guardare ai sistemi degli stati esteri e la scelta per il prossimo anno per il Canone Rai potrebbe risiedere in una di queste 3:
- Abolizione del canone RAI
- Pagamento su modulo 730
- Imposta aggiuntiva su automobile
Quali sono le ipotesi al vaglio?
Al momento le 3 principali ipotesi al vaglio del governo sono
- Abolizione del Canone RAI
- Introduzione sul modulo 730
- Pagamento stile-Israele: ovvero come imposta aggiuntiva su beni immobili
Abolizione canone RAI
L’ abolizione del Canone RAI è da tanto tempo richiesta da diverse forze politiche e potrebbe seguire il modello seguito già da Svezia, Spagna, Norvegia, Olanda e Finlandia.
Ovviamente però non sarebbe un netto risparmio per i contribuenti, il pagamento della somma per la RAI sarebbe comunque presente, ma sarebbe aggiunto alla fisccalità generale. In questa casistica i fondi da stanziare sarebbero arbitrariamente scelti dal Governo nella legge di bilancio.
Modulo 730
L’opzione più accreditata sarebbe quella dell’introduzione del canone RAI nel modulo 730 per la dichiarazione dei redditi. Uno svantaggio di questa opzione sarebbe quella di esporre il canone RAI ad uno strumento con un maggior tasso di evasione. Questo è ad esempio il metodo utilizzato dal 2005 in Francia (che risulta anche maggiore di quello italiano di più del 50%).
Imposta sui beni di proprietà
L’ultima opzione sarebbe quella di legare il canone RAI alle imposte sugli immobili come automobili o proprietà immobiliari come il modello Israeliano che addebita la tassa sulla TV di stato insieme al bollo dell’automobile. Questa opzione, seppur possibile, pare essere la meno probabile vista la già alta pressione fiscale sugli immobili nel sistema fiscale italiano.
Da quando cambierà il pagamento del canone RAI
La decisione potrebbe arrivare con la prossima legge di Bilancio a fine anno, difficile ipotizzare un annuncio precedente a quella data. Di conseguenza questa modifica riguarderebbe solo il pagamento per il prossimo anno, nel 2023.
In che caso bisogna pagare il Canone 2023
Il Canone RAI è un’imposta per il finanziamento della televisione di stato e che viene calcolata sulla detenzione di apparecchi atti o adattabili alla ricezione di radioaudizioni televisive.
Il pagamento solitamente ammonta a 90 euro ed è obbligatorio per tutti coloro che possono godere nella propria dimora del servizio televisivo attraverso una televisivo.
Da notare come il prezzo del Canone Rai sia al di sotto di molti altri paesi europei, come Francia (133€) o Germania (215,76€) o ancora Svizzera che ha il canone più alto d’Europa a 360,65€.
Il pagamento è automatico nella bolletta della luce al momento e può essere richiesta la restituzione di tale cifra nel caso in cui non si dispone di dispositivi televisivi, ma solo in seconda istanza.
Aggiornato su 25 Apr, 2022
FONTE: https://energia-luce.it/news/stop-canone-rai-bolletta-2023/
Decreto Energia 2022 diventa ufficiale! Il decreto è stato inserito nella Gazzetta Ufficiale
Lucia Ferrero, una redattrice per il blog di energia-luce.it.
Il decreto Energia diventa finalmente Legge con l’inserimento di questo all’interno della Gazzetta Ufficiale del Parlamento!
In questo articolo andremo ad analizzare tutti gli elementi di questa nuova legge e cosa, dopo le discussioni in parlamento è diventato ufficiale e cosa invece non è riuscito a superare lo scoglio parlamentare!
Il Decreto Energia emanato dal Governo del 01.03.2022 è stato convertito in legge la scorsa settimana, il 27 aprile scorso è stato inserito nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, documento dove vengono inserite tutte le nuove leggi.
Alla pubblicazione della gazzetta seguono 15 giorni in cui la legge non acquisisce ancora efficacia, periodo nominato vacatio legis. Va ricordato però che essendo nato come Decreto Legge, gli effetti sono attivi sin dal giorno di emissione del Decreto stesso, quello che tarda sono invece le modifiche implementate dal Parlamento del testo della legge.
Il decreto era stato emanato per “mettere una pezza” alla crisi energetica che si sta ancora oggi verificando, scaturita dal conflitto in terra ucraina. Il testo prevede infatti misure volte ad aumentare l’efficienza energetica e la conversione energetica per le fonti di approvvigionamento.
Oltre a ciò il decreto voleva anche offrire misure di contenimento del prezzo attuale di gas ed energia elettrica per poter ridurre il costo dell’energia per le famiglie italiane
Andiamo quindi a vedere quali sono le misure che sono presenti all’interno del Decreto Energia nel momento di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
Contenimento prezzo delle bollette
Il principale obiettivo del decreto e della Legge ora è proprio quello di abbassare i costi per le famiglie italiane dei costi dell’energia in bolletta.
Come ormai è noto ai più, i prezzi di gas (e di conseguenza anche i prezzi della luce) sono aumentati a dismisura con lo scoppio della guerra in Ucraina.
In particolare ecco le principali misure implementate all’interno della legge di conversione del Decreto Energia 2022:
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Azzeramento Oneri Generali sulle bollette
Tutti gli oneri generali di sistemi sono stati annullati, sia per gli impianti con potenza inferiore a 16,5 kW, sia per quelli con potenza superiore, anche connesse ad alta o media tensione. Questo permette di ridurre la bolletta negli oneri accessioni, non legati al consumo stesso della materia energia.
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Riduzione IVA su Gas e Luce
L’IVA è stata momentaneamente abbassata per tutti i consumatori di gas metano, sia per i clienti domestici che per quelli industriali e avrà validità per tutto il secondo semestre del 2022.
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Rafforzamento del Bonus Sociale Elettrico e Gas
Il Bonus Sociale per le famiglie in difficoltà nel pagare le bollette energetiche può tirare un sospiro di sollievo. Il Bonus viene prorogato anche per il 2° trimestre del 2022 aiutando economicamente le famiglie svantaggiate e i clienti in difficili condizioni di salute con una somma direttamente al beneficiario.
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Credito di Imposte per tutte le imprese a forte consumo di Gas
Per tutte le imprese che necessitano di un alto consumo di gas e energia per la produzione o il continuo della propria attività potrà spettare un contributo straordinario sotto forma di credito d’imposta. Tale contributo del 15% varrà solo per l’intero 2022 e a tale spesa sono escluse tutte le spese di riscaldamento/mantenimento delle strutture dell’azienda: solo il gas utilizzato per l’effettiva attività aziendale potrà essere preso in considerazione.
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Autotrasporto
Infine è stato riconosciuto per tutte le aziende di trasporto su strada un ennesimo credito d’imposta del 15% per tutto il 2022. Tutto ciò però con un limite di spesa di poco inferiore ai 30 milioni di euro.
Cessione del credito
In aggiunta a tutte le misure volte a limitare il costo delle bollette gas e luce, il Decreto prevede anche l’introduzione di un’ulteriore cessione del credito per i bonus previsti. Si parla sia del bonus 110% per la ristrutturazione e efficientamento edilizio sia per tutti quelli legati all’emergenza COVID.
Questi bonus prevedono sconti in fattura per determinate prestazioni.
Gli istituti finanziari, che si facevano carico della cessione del credito. Questa pratica poteva essere fatta fino ad un massimo di 3 volte, mentre con la nuova legge gli istituti finanziari saranno liberi di attuare una cessione ulteriore, senza l’obbligo di darla ad altri istituti finanziari, come era per le precedenti.
Fonte: https://energia-luce.it/news/decreto-energia-gazzetta-ufficiale-2022/
BELPAESE DA SALVARE
Meluzzi, un fiume in piena contro Draghi e virus: «Chi c’è dietro al commesso di banca?»
Nella vita «conta chi muove il denaro». Parola di Alessandro Meluzzi. Lo psichiatra nella sua analisi prende di mira Mario Draghi e coloro che a suo dire, hanno deciso di creare «un falso virus». Intervenuto ai microfoni di Radio Radio, il saggista esordisce dicendo che «non dobbiamo stupirci che comandi Draghi, che tra l’altro è un commesso di banca. Ma dobbiamo capire che comandano quelli che già dopo la rivoluzione inglese vennero riuniti dai Rothschild per spiegare che con la fine del commercio dei diamanti degli olandesi», scrive Libero Quotidiano.
Insomma, secondo Meluzzi «il nuovo meccanismo sarebbe stato quello dell’emissione del denaro» e chi non capisce questo, «non capisce nulla». Motivo per cui la democrazia non esiste: «Non contano i voti ma conta chi conta i voti. Purtroppo la gente non studia la storia del potere, parla di cose che non esistono. Non conta chi vota, il potere è il denaro».
Da qui la frecciata sul Covid: «Se il potere del denaro ha deciso che in un laboratorio si deve fare un falso virus per raggiungere alcuni obiettivi, è chiaro che questo potere è irresistibile. Conta chi muove il denaro». D’altronde le sue posizioni sul tema non sono nuove. Qualche tempo fa Meluzzi aveva accusato il presidente del Consiglio di aver mentito sul virus, «causando una strage»: chi ha il green pass diffonde il contagio». Quanto basta, aveva aggiunto, «per essere indagato in un Paese serio. E arrestato. Ripetiamo: ha falsamente asserito che chi è provvisto di green pass non diffonde il virus. Favorendo così un comportamento a rischio. Epidemia colposa. Grazie agli utili idioti», conclude Libero Quotidiano.
CONFLITTI GEOPOLITICI
Geopolitics is back: no endgame!
di Piotr
Finalmente cadono le maschere dei “valori” e riprende il proscenio la cruda realtà degli “interessi”, motore autosufficiente della geopolitica e di tutte le sue guerre (e chi muore per gli ideali R. I. P.).
Il quadro ora è chiaro e anche un cieco lo può vedere.
Il 26 aprile scorso gli USA hanno chiamato a rapporto nella base militare di Ramstein (che è in Germania ma è territorio statunitense) 40 Paesi alleati in tutto il mondo per ordinargli di aiutare l’Ucraina in quella che prevedono sarà una “lunga guerra” (ci saranno consultazioni mensili). Il segretario alla Difesa, Austin, ha detto papale papale che se i Russi vincono nel Donbass «l’ordine internazionale finisce». E ha avvertito che «la posta in gioco va oltre l’Ucraina e persino oltre l’Europa» (“the stakes extend beyond Ukraine – and even beyond Europe”).
Traduzione in Italiano corrente: «Se l’Ucraina non vince militarmente, non riusciremo a indebolire la Russia, e men che meno a balcanizzarla, e quindi poi non riusciremo a sconfiggere la Cina». E l’Europa risponde da Bruxelles: «Vogliamo che l’Ucraina vinca questa guerra» (Ursula von der Leyen al Parlamento Europeo). Perché altrimenti salta la tabella di marcia statunitense.
Una tabella di marcia che preoccupa una “bibbia” statunitense di politica estera, Foreign Affairs, che esprime le sue preoccupazioni addirittura per bocca di Pechino: «[Il governo cinese] vede ora Washington come voler deliberatamente inasprire la guerra per perpetuarla, e così indebolire sia la Russia che la Cina» (“[The Chinese government] now sees Washington as deliberately escalating the war in order to perpetuate it, thereby weakening both Russia and China»”)[1].
Dunque anche per gli USA, la NATO e le altre organizzazioni “difensive” occidentali (che non hanno mai combattuto una sola guerra per difendersi) e, per quel che contano, per le loro parodie politiche come la UE, parlare di negoziati, e ancor più di pace, è un crimine, come lo è in Ucraina. Per la precisione, in Ucraina è un crimine perché così vogliono gli USA: mamma comanda e picciotto Zelensky ubbidisce, facendo massacrare migliaia di giovani ucraini, semplice carne da cannone da spendere a maggior gloria dei planetari interessi statunitensi. Se Kiev non si fosse prestata a fare il burattino guerriero della Nato, la guerra non sarebbe mai scoppiata e oggi l’Ucraina sarebbe pacificamente corteggiata sia dalla UE sia dalla Russia e chissà da quanti altri Paesi (oggi invece è imbottita di debiti di guerra e deve stare attenta perché gli USA non li hanno mai condonati, nemmeno alla Gran Bretagna: eh, quando ci sono di mezzo gli ideali …).
Ma è proprio questa pacifica convergenza di interessi tra Est e Ovest che gli USA non potevano tollerare e quindi hanno deciso che avrebbero fatto la guerra alla Russia fino all’ultimo ucraino (e se per questo anche fino all’ultimo europeo).
Una guerra che deve essere la più lunga possibile. È una questione di geopolitica planetaria, non di Donbass e nemmeno di Ucraina.
Una prospettiva che ha allarmato persino l’altra “bibbia” statunitense di politica estera, cioè la rivista Foreign Policy di proprietà del Washington Post (e quindi vicina ad ambienti del Pentagono), in un articolo dal titolo molto significativo “Biden’s Dangerous New Ukraine Endgame: No Endgame” [2].
Due sono le cose che, pur nella sua ostilità a Putin, sconcertano il pluripremiato commentatore, Michael Hirsh. La prima è che non vengono prese sul serio le minacce nucleari di Mosca dimenticandosi che Putin già l’anno scorso aveva scritto in un saggio che un’Ucraina non neutrale (o “fuori dal controllo della Russia” nelle parole di Hirsh) era «paragonabile nelle sue conseguenze all’uso di armi di distruzione di massa contro di noi». La seconda è il ragionamento circolare ormai adottato dall’Occidente: “Se Putin fa il matto perché pensa che vogliamo distruggere la Russia, invece di calmarlo facciamogli vedere che vogliamo distruggerla veramente”.
Certo, Putin «è considerato un attore sufficientemente razionale da non contemplare mai il lancio di missili balistici nucleari intercontinentali verso gli Stati Uniti», ma io penso, o spero, che tutti si siano resi conto che la TV di stato russa presentando nei giorni scorsi due armi nuove di zecca, il missile subacqueo nucleare “Poseidon” e il missile balistico nucleare “Sarmat”, illustrava come teatro di guerra non gli Stati Uniti, ma l’Europa.
E io prenderei sul serio l’impossibilità che questa guerra venga persa (che nell’epoca nucleare non equivale all’impossibilità di non vincerla) da una nazione che per sconfiggere le truppe napoleoniche ha bruciato la propria capitale e per sconfiggere il più potente esercito europeo sacrificò la vita di 27 milioni di concittadini fino a issare la bandiera rossa sul Reichstag.
La prendo molto sul serio e sono estremamente preoccupato.
E sono soprattutto preoccupato perché sono convinto che nell’ottica di personaggi neo-liberal-con come Victoria Fuck-the-EU Nuland, un’Europa devastata dalla guerra, fosse anche nucleare, e da ricostruire può essere vista come un’occasione di business globale senza precedenti, un’occasione per macellare i capitali eccedenti (non c’è niente di meglio che macellare persone per macellare capitali eccedenti, specie in assenza di un gold-standard). Insomma, un’occasione per rilanciare i processi di accumulazione.
Ma noi Europei che ne pensiamo? Ci va bene una guerra in Europa lunga dai 3 ai 10 anni? Che ne pensa Parigi? Che ne pensa Berlino? Lascio perdere Roma, in mano a personaggi miopi, servili e opportunisti come Mario Draghi (che si voleva tra i Grandi e si è ritrovato tra i minimi, ma non in senso evangelico) e SciaboLetta (Marco Travaglio lo chiama BaioLetta, ma io preferisco l’altro nomignolo perché moralmente mi ricorda Vittorio Emanuele III).
E che ne pensa Londra? Lo vediamo subito.
Il giorno dopo il sermone di Austin a Ramstein, la ministra degli Esteri britannica, Liz Truss, ribadiva in modo ancor più spudorato questi concetti alla City Mansion House:
– Le nostre forze militari sono in Ucraina da molto prima dell’invasione.
– Stiamo fornendo armi all’Ucraina da molto prima dell’invasione.
– La guerra in Ucraina è la nostra guerra («The war in Ukraine is our war» (sic!)).
– La sicurezza euro-atlantica e quella indo-pacfica sono indissolubili, dobbiamo contrastare sia la Russia che la Cina. Abbiamo bisogno di una “Global NATO”.
La Truss ha così concluso: «Your Excellencies, ladies and gentlemen, geopolitics is back!».
Finalmente parole chiare!
In questo caso è stato il “Guardian” a impaurirsi e a implorare di rimettere Liz Truss nella sua gabbia (“Can nobody push Liz Truss back into her cage?”)[3]. Ma noi apprezziamo la sua franchezza.
Excursus.
Quando c’è stata la Brexit tutti si sono scatenati nell’analisi economica. Gli eurofili prevedevano sciagure industriali, commerciali e monetarie negli UK, gli eurofobi salutavano invece la “vittoria di popolo”. Io e il mio amico Pierluigi Fagan invece ci sedemmo in un bar davanti a un prosecco e ci guardammo negli occhi scuotendo la testa: “Possibile che nessuno, ma proprio nessuno, capisca che è una mossa geopolitica?”.
Noi non siamo fanatici della geopolitica, ma pensiamo che sia assurdo parlare di politica, storia o economia senza aver davanti una carta geografica. Pierluigi non è marxista, ma un esperto di Complessità. Io invece sono marxista. Ma se si legge Marx senza carta geografica davanti si finisce al più a fare giochini col “concetto” di valore (scordandosi che Marx stesso protestò: «Sono tutte “chiacchiere”. Prima di tutto, io non parto da “concetti”, quindi neppure dal “concetto di valore”» (Glosse a Wagner).
Leggere il Capitale, specialmente il II e il III volume, senza avere in mente un mappamondo, senza sapere ad esempio come erano fatti l’impero britannico e i suoi flussi finanziari e di merci, non ha senso. Anche sezioni che sembrano così “logico-concettuali” come quella sulla caduta tendenziale del saggio di profitto hanno bisogno della Geografia (che serve a spiegare perché la caduta è, per l’appunto, tendenziale e non assoluta).
Com’è, come non è, la Brexit è votata nel 2017, nel 2020 si conclude l’uscita burocratica, nel 2022 scoppia la guerra tra la Russia e la Nato. E l’altro giorno la signora Truss indottrinava il colto pubblico e l’inclita guarnigione sull’ordine dell’universo mondo dalla sua piccola isola che galleggia sui mari del nord.
Geopolitics is back!
E così anche il Vaticano ora pensa in termini (gesuiticamente prudenti) geopolitici. Ecco cosa ha dichiarato papa Francesco mentre annunciava che non sarebbe andato a Kiev ma che voleva incontrare Putin: « “[L’escalation militare forse è dovuta] all’abbaiare della Nato alle porte della Russia” che ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare il conflitto: “Un’ira che non so dire se sia stata provocata – aggiunge -, ma facilitata forse sì”» [4].
Non “facilitata”, caro Francesco, voluta, voluta a tutti i costi. Lo hanno ammesso loro!
Nel prossimo post cercherò di ampliare il quadro, perché mentre ci concentriamo sull’Ucraina c’è più di mezzo mondo in fibrillazione. E il fallout radioattivo economico, finanziario, e per conseguenza sociale, tra non molto si abbatterà su tutto il mondo sebbene in modo diseguale, con prezzi dell’energia alle stelle e conseguenti fallimenti, con problemi di approvvigionamento di cibo, di materie prime essenziali [5]. La fine della “natura a buon mercato”, per usare un’espressione di Jason Moore [6], che era già alle porte ora diventa un prodotto finito della fisica, della chimica e del caos sistemico intrecciati. Intanto l’Ucraina inizia a pagare i suoi debiti militari in grano, cosa che rischia problemi alimentari [7].
Noi, in Europa, oltre alla guerra avremo un autunno non caldo ma arroventato su ogni altro fronte.
E mentre la guerra continua in Europa si profila la Generalessa Estate. Il Pakistan e l’India stanno andando arrosto [8]. Ma i Paesi civili, liberal-progressisti, risvegliati e politicamente corretti ritornano con cipiglio marziale al carbone mentre la Cina cerca con fatica di mantenere i propri impegni sui cambiamenti climatici [9].
Io personalmente detesto la geopolitica, perché geopolitica significa guerre, e io odio le guerre. Tutte, anche quelle di cui riconosco le motivazioni. Ma per disinnescare la geopolitica e le sue guerre occorrono tavoli negoziali e occorre il disarmo, un disarmo radicale.
Se invece si esulta perché la Russia è caduta nella trappola ucraina e così possiamo incastrarla in una guerra infinita, non abbiamo scampo.
Speriamo che nei flutti sempre più tempestosi del caos sistemico la Cina, storicamente una delle nazioni meno aggressive del mondo, tenga la barra a dritta.
[1] https://www.foreignaffairs.com/articles/china/2022-05-02/chinas-ukraine-conundrum
[2] https://foreignpolicy.com/2022/04/29/russia-ukraine-war-biden-endgame/ .
I columnist di Foreign Policy, Foreign Affairs e del Guardian per colpa delle loro preoccupazioni in Italia sarebbero già messi nelle liste di proscrizione di qualche stolido valletto imperiale.
[5] https://www.electricrate.com/data-center/electricity-prices-by-country/ e
https://time.com/6172270/ukraine-food-price-crisis-climate-change/
[6] https://jasonwmoore.com/wp-content/uploads/2017/08/Moore-The-end-of-cheap-nature-2014.pdf
[7] https://interfax.com/newsroom/top-stories/78637/
[8] https://www.scientificamerican.com/article/astonishing-heat-grips-india-and-pakistan/
[9] https://www.agi.it/economia/news/2022-03-02/aumento-prezzi-carbone-guerra-ucraina-15845800/
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/cina-crescita-gia-calo-da-difendere-34173
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/geopolitica/22993-piotr-geopolitics-is-back-no-endgame.html
CULTURA
La cancellazione del nemico
di Giancarlo Ghigi
Le campagne russofobe non hanno nulla a che fare con l’anticolonialismo. Perché nessuno potrà rimuovere il passato delle storie intrecciate di Russia e Ucraina senza smarrire sé stesso. E scoprirsi vinto
Autocrate maligno!
Te, il tuo trono disprezzo,[…]
Sulla fronte tua si legge
della condanna del popolo il sigillo.
Tu, orrore del mondo, della natura
vergogna, d’esser Dio in terra è l’accusa.
Libertà – Aleksandr Seergevič Puškin,1817
«Zio Vasya» sembra quasi uno scemo di guerra seduto lì a terra, così. Pare intontito davanti a quel piccolo fuoco improvvisato tra gli scheletri di metallo arrugginiti. Il suo sguardo si è perso, è stato rapito dalle piccole fiamme che avvolgono le bruciature nerastre che appannano il fondo d’una caffettiera di rame. Indossa un vecchio colbacco con la stella rossa, ha come arma solo un vecchio e pesante fucile di cinquant’anni fa. Zio Vasya assedia con gli altri miliziani della Repubblica Popolare di Doneck le rinomate officine dell’Azovstal che sono ancora occupate dagli ultimi soldati e paramilitari di Kiev, laggiù, tra le rovine dei sobborghi di Mariupol. Chiede al corrispondente occidentale che gli passa accanto se vuole bere della vodka con lui, ma il giornalista resta interdetto, sa che gli alcolici sono severamente proibiti nelle zone di combattimento. «Zio Vasya può bere», gli confermano gli altri. Quell’anziano di Kostantinovka infatti ha saputo solo ieri che suo figlio, il figlio che non vede da sette anni, è lì dentro, sta con quelli di Azov, sta proprio con i nemici che lui e gli altri stanno assediando ai cancelli della fabbrica. Così quel padre non ci capisce più niente. Sta da solo, seduto su una cassa di munizioni, fissa inebetito il fondo bruciato d’una caffettiera, niente sarà mai più come prima.
Qui da noi, lì da loro, i secoli brevi d’una guerra durano settimane. Affaccendati nelle nostre cose quotidiane, immersi in questo dramma lontano che pur ci attraversa, talvolta rialziamo lo sguardo distratto e scopriamo che il cartellone pubblicitario delle Nike stanotte è stato soppiantato da un cartello che invita a cancellare il nemico. Rimane lo sbigottimento, poi tiriamo dritto verso il lavoro, i gesti soliti, il solito zaino con il solito thermos per la tisana. Ma cosa è successo in questi pochi giorni? Non lì, qui, anzi: cosa è successo ovunque?
Nella fantascienza distopica di 1984 di George Orwell il cambio di schieramento della nazione si capiva da un sottotesto di telegiornale. Una voce metallica informava i prolet che da quel giorno sarebbe stato un altro il nemico contro cui scatenare l’odio quotidiano, anzi, che era sempre stato quello il nemico. Antonio Gramsci aveva sintetizzato questa cosa con lo stile asciutto che gli era solito: «Lo Stato quando vuole iniziare un’azione poco popolare, crea preventivamente l’opinione pubblica adeguata». Poco da aggiungere. I sondaggi di questi ultimi due mesi ci raccontano di un’Italia popolare contraria alla fornitura di armi all’Ucraina e di uno Stato che invece in tutte le sue propaggini democratiche si esprime in modo praticamente unanime a favore. I telegiornali colmano il resto. Gramsci aggiungeva che affinché l’opinione pubblica venga irregimentata si rende necessario che «una sola forza modelli la opinione e quindi la volontà politica nazionale, disponendo i discorsi in un pulviscolo individuale e disorganico». A quest’ultima funzione social-dispersiva rispondono i moderni talk show. L’intero mondo dell’infotainment pare costruito proprio per disperdere i fatti in un pulviscolo disorganico di opinioni senza alcun radicamento con la realtà.
Tornando a noi, eccoci alzare lo sguardo un pomeriggio di fine aprile e stupirci che al posto della Nike ora ci sia un cartellone pubblicitario 70×100 che – con lessico incerto – ci spiega che «la cultura russa» va cancellata. Abituati al rispetto d’ogni cultura da settant’anni di retorica democratica e internazionalismo-soft di stampo europeista abbiamo qualcosa di più che un momento di disorientamento. Seguiamo il QR code dei manifesti e approdiamo a un sito internet molto stiloso che promuove questa campagna di comunicazione. Vi troviamo un’intera collezione di futuristici manifesti calcati – ironia della sorte – proprio sullo stile dell’avanguardia russa che invitano i lettori alla ristampa in prima persona e all’affissione clandestina. Questi i testi:
«NON C’È CULTURA RUSSA SENZA CARRI ARMATI RUSSI. È ora di cancellare entrambi». «NON C’È LA RUSSIA, SOLO LA STESSA MALEDETTA MOSCOVIA». «I loro libri, l’arte, la musica, il balletto, l’intera loro ‘cultura’ sono solo un mezzo per raggiungere un fine. Smetti di affascinare la loro cultura [sic]: ogni Dostoevskij è seguito da una pioggia di missili». «Sposta, invece, la tua attenzione sulla cultura ucraina!». «Non collaborare con nessuna istituzione di questo stato terrorista, anche se rivendica la sua opposizione al ‘regime di Putin’. E per finire il più inquietante di tutti gli slogan: «Cultura -> Identità -> Nazione -> Stato -> Aggressione […] I russi dovrebbero vergognarsi di appartenere a quella nazione […] È tempo di tagliar via l’ancora della loro ‘grandezza’».
Un annichilimento culturale del nemico che non sottace l’ambizione di negarne la cultura per intaccarne l’identità, giungendo così a incrinare la tenuta statuale stessa del nemico. Dichiarazioni che non possono non ricordarci quale sia il limite posto nel nostro paese alla libera espressione delle opinioni allo scopo di evitare conflitti etnici e nazionali, pogrom. Ma non è tanto questo il punto. Uno degli articoli di riferimento di questo portale per l’annichilimento culturale russo si apre con l’immagine di un ritratto del giovane Puškin depositato a fianco di un cassonetto. Ecco che se Dostoevsky diviene un missile, se Solženicyn è solo un volgare kapò di Gulag, quell’aristocratico poeta non può che ricordarci l’arma atomica dell’orso russo. Nulla, nemmeno il dissidente più radicale sfugge alla delirante cancellazione del nemico. Ogni Marx o Einstein divengono in questa iperbole alibi all’imperialismo nazista, ogni Beethoven è solo una Leni Riefenstahl di regime. Ogni Chomsky o Luther King, ogni Lou Reed o Lady Gaga ab origine sono solo delle semplici foglie di fico al complesso militare industriale statunitense, artefici in seconda linea del suo imperialismo. Iperboli appunto.
È naturalmente pura russofobia, nella sua forma più distillata, non diversa da ogni altra forma di discriminazione su base etnico-nazionale o razziale. Una forma di suprematismo per negazione che arriva a teorizzare una volgare «cancellazione di entrambe» cultura e impero. Un rogo dei libri. Una provocazione? Difficile dirlo. Nemmeno Frantz Fanon nelle pagine più infiammate del suo «dannati della terra» arrivò a immaginare una cancellazione del nemico, nemmeno i sopravvissuti allo sterminio teorizzarono la cancellazione della cultura del popolo tedesco. Anzi. In ogni percorso di liberazione dal giogo coloniale la cultura del nemico appare componente imprescindibile dell’emancipazione nel suo superamento, appare innervata di contraddizioni lungo le cui dorsali si trovano tanto i problemi quanto le soluzioni. Come scrive lo stesso Fanon: «Tutti gli elementi d’una soluzione ai grandi problemi dell’umanità sono, in momenti diversi, esistiti nel pensiero dell’Europa».
No, questa sorta di ostracismo culturale non ha radici nelle lotte anticoloniali, le ha piuttosto – e chiaramente – nell’oscurantismo, nella mentalità totalitaria, nel fascismo. La «cancel-culture» nazionalista appare per quello che tragicamente è: una reazione palesemente speculare alla logica distruttiva a cui teoricamente si oppone, mera reazione passivo-aggressiva alla sopraffazione. È insomma una parte del problema, non della soluzione.
Si potrebbe così pensare che quelli di cancelrussia.info siano semplicemente dei fanatici. Persone che hanno confuso Putin con Puškin e che gettano per semplificazione entrambi oltre allo steccato, oltre la cortina di ferro. Ma poi si scopre che i supporter e i designer del sito sono studi grafici di spessore (3Z Studio), la comunità degli artisti del Museum of Contemporary Art (Moca), i co-curatori del padiglione ucraino della Biennale di Venezia del progetto naked room, e infine lo stesso Pavlo Makov, artista di spicco del padiglione Ucraina. Un mondo della cultura Ucraina che nega ogni dignità alla cultura del Nemico e ne invoca la cancellazione.
Come se quel popolo poi sparisse, come se le famiglie miste non esistessero, come se non ci fosse, come ormai tutti sappiamo, anche un problema aperto con il «nemico interno» in quel paese. Ed è qui che la questione si fa più complessa e meritevole di una riflessione. Non si può infatti, leggendo questi proclami, questo invito alla rimozione, soprassedere sulla presenza in Ucraina di una questione nazionale, di una cospicua minoranza russofona (spesso composta dalla classe operaia del sud est del paese) che ha trovato nelle ultime elezioni (2019) espressione di voto nella Piattaforma di Opposizione – Vita. Per capire quanto sia ampio questo solco, profonda questa frattura da guerra civile, credo sia sufficiente guardare alla mappa di quei risultati elettorali. In quella mappa si ravvede quanto sia forte la sovrapposizione tra la componente russofona ucraina e il sostegno nelle elezioni politiche a questo partito che ne è di fatto divenuto la rappresentanza parlamentare nonostante il 12% dell’elettorato complessivo (la Crimea e il Donbass) non abbia partecipato al voto data la secessione/annessione russa. Piattaforma di Opposizione – Vita è un partito ampiamente maggioritario negli oblast dell’est e appare elettoralmente speculare al blocco oltranzista-occidentale Patria dell’ex premier ucraina Julija Tymošenko.
Forse è bene a questo punto anche ricordare che il maggiore esponente della Piattaforma di Opposizione, il deputato-oligarca Viktor Medvedčuk, è stato recentemente arrestato ed esposto in manette alla gogna mediatica dallo stesso Zelensky perchè indicato dai servizi segreti statunitensi come papabile presidente fantoccio che i russi avrebbero installato in caso di fuga del governo legittimo. Ma è la stessa agibilità politica delle opposizioni in questi ultimi anni a essere dapprima messa in discussione e oggi a risultare del tutto sospesa. In Ucraina vige dal 24 febbraio infatti una forma di «democrazia di guerra» che rispecchia non tanto e non solo le conseguenze dell’occupazione militare quanto le fratture socioculturali del paese. Le attività di 11 partiti di opposizione sono state «bloccate» sine-die dalla presidenza del consiglio, e questo provvedimento va solo a completare la chiusura (avvenuta nel 2021) di 3 tra i principali canali televisivi del paese (che contavano complessivamente 1.500 dipendenti), fatto quest’ultimo che provocò una dura reprimenda all’Ucraina dall’ordine europeo dei giornalisti. Il 19 marzo infine, e sempre per decreto presidenziale, tutte le emittenti nazionali risultano accorpate in un’unica rete informativa posta sotto controllo governativo. Tutto sembra riecheggiare quel monito e avvertimento di Gramsci sul consolidarsi di «una sola forza [che] modelli la opinione», questi sono oggettivamente i caratteri di una legge marziale che migra pericolosamente nel golpe bianco. Come sappiamo la negazione di questa frattura da guerra civile interna viene inoltre pericolosamente strumentalizzata dai blocchi imperiali contrapposti sul suolo d’Ucraina, ed è giusto questo l’alibi manipolato ad arte dall’imperialismo russo per giustificare (anche nel proprio paese) l’invasione dell’Ucraina.
È grande perciò la responsabilità di chi oggi – proprio dal mondo della cultura – invita alla rimozione della cultura del nemico, ivi compresa quella del nemico oppositore esterno e del nemico «collaborazionista» interno. È grave che costoro siano – agli occhi del mondo – la voce pubblica, i rappresentanti culturali di un popolo oppresso da un’occupazione militare imperialista, e che lo siano proprio in un’esposizione internazionale che per sua natura e vocazione lavora alla costruzione di ponti tra le culture e non al sabotaggio revanchista d’ogni dialogo. È grave e intollerabile questo invito al cassonetto per Puškin, versione edulcorata d’un rogo dei libri.
Resta, lontanissimo, sulle macerie fumanti di un’acciaieria dal passato glorioso «Zio Vasya». È la maschera d’un uomo che attende di sapere se vincerà contro suo figlio (perdendo così ogni speranza) o se perderà ugualmente la speranza vedendo quel suo figlio smarrito vincere la sua sfida. Attende confuso sulla porta dell’Azovstal come qualcuno che aspetti una parte di sé fuggire dal suo stesso assedio. Quello sguardo smarrito ha forse capito per primo che in nessun luogo, mai, quella rimozione è possibile. Intorno a lui storia, tradizioni, culture e lingue frammentano già verso un futuro che sarà inevitabilmente sradicato. Nessuno potrà troncare un passato intrecciato senza perdersi, nessuno potrà strappare l’unico abito per vivere altrove. E così, checchè ne pensino i funerei cantori di impossibili vittorie, questa guerra non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. E anche alla fine dell’ultima c’erano solo dei vinti.
*Ghigi, laureato in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Padova, è libero professionista nel settore della comunicazione e attivista nella tutela dei beni comuni. Ha collaborato con Pearson, Il Mulino, Inchiesta, Stati Generali, Il granello di Sabbia
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/politica/22999-giancarlo-ghigi-la-cancellazione-del-nemico.html
John Bellamy Foster – La guerra per procura degli Stati Uniti in Ucraina
22/04/22
Una relazione importante tenuta da John Bellamy Foster, professore di sociologia all’Università dell’Oregon e direttore della storica rivista americana Monthly Review, fa chiarezza su un aspetto finora poco esplorato della guerra per procura che si sta svolgendo in Ucraina, quello relativo al rischio nucleare. Questo aspetto della guerra in corso si inquadra nella ‘strategia della controforza’ e del ‘First Strike’ pericolosamente esplorata dagli Usa fin dagli anni ’60 e poi abbandonata, anche grazie a movimenti pacifisti di massa. Ripescata dopo il crollo dell’Urss e la fine della guerra fredda nell’ambito della strategia del grande impero americano, oggi si sta giocando una partita del cui possibile finale – il grande inverno nucleare e l’omnicidio – bisognerebbe essere tutti consapevoli. Come dice Foster, ‘c’è molto da capire, in poco tempo.’ (preziosa segnalazione di Vladimiro Giacché)
John Bellamy Foster, 9 Aprile 2022
Quello che segue è il testo di una presentazione di John Bellamy Foster all’Advisory Board del Tricontinental Institute for Social Research del 31 marzo 2022
Grazie per avermi invitato a fare questa presentazione. Parlando della guerra in Ucraina, la cosa essenziale da riconoscere in primo luogo è che questa è una guerra per procura. A questo proposito, nientemeno che Leon Panetta, che è stato direttore della CIA e poi segretario alla difesa sotto l’amministrazione Obama, ha recentemente riconosciuto che la guerra in Ucraina è una “guerra per procura” degli Stati Uniti, sebbene la cosa venga raramente ammessa. Per essere espliciti, gli Stati Uniti (appoggiati dall’intera NATO) sono impegnati da lungo tempo in una guerra per procura contro la Russia, con l’Ucraina come campo di battaglia. Secondo questa visione il ruolo degli Stati Uniti, come ha insistito Panetta, è quello di fornire sempre più armi e sempre più velocemente, con l’Ucraina che combatte, sostenuta da mercenari stranieri.
Allora come è nata questa guerra per procura? Per capirlo dobbiamo guardare alla grande strategia imperiale degli Stati Uniti risalendo al 1991, quando l’Unione Sovietica si sciolse, o addirittura agli anni ’80. In questa grande strategia imperiale ci sono due fronti, uno è l’espansione e il posizionamento geopolitico, incluso l’allargamento della NATO, l’altro è la spinta degli Stati Uniti per il primato nucleare. Un terzo fronte riguarda l’economia, ma non sarà qui considerato.
Il primo fronte: l’espansione geopolitica
Il primo fronte è enunciato nelle “Linee guida per la politica di difesa degli Stati Uniti” di Paul Wolfowitz del febbraio 1992, pochi mesi dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica. La grande strategia imperiale adottata all’epoca e da allora perseguita aveva a che fare con l’avanzata geopolitica degli Stati Uniti nel terreno dell’ex Unione Sovietica e di quella che era stata la sfera di influenza sovietica. L’idea era quella di impedire alla Russia di riemergere come grande potenza. Questo processo di espansione geopolitica USA/NATO è iniziato immediatamente, ed è visibile in tutte le guerre USA/NATO in Asia, Africa ed Europa che hanno avuto luogo negli ultimi tre decenni. Particolarmente importante a questo riguardo è stata la guerra della NATO in Jugoslavia negli anni ’90. Già mentre era in corso lo smembramento della Jugoslavia, gli Stati Uniti hanno iniziato il processo di ampliamento della NATO, spostandola sempre più a est per comprendere tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia e parti dell’ex URSS. Bill Clinton nella sua campagna elettorale del 1996 fece dell’allargamento della NATO una parte della sua piattaforma. Washington ha iniziato a implementare questo piano nel 1997, per poi giungere infine ad ammettere nella NATO 15 paesi, raddoppiandone le dimensioni e creando un’Alleanza Atlantica contro la Russia composta di 30 nazioni, anche dando alla NATO un ruolo interventista più globale, come in Jugoslavia, Siria e Libia.
Ma l’obiettivo era l’Ucraina. Zbigniew Brzezinski, che è stato il più importante stratega di tutto questo disegno ed era stato consigliere per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter, ha affermato nella sua Grande Scacchiera del 1997 che, in particolare in Occidente, l’Ucraina era il “perno geopolitico” e che se fosse stata inserita nella NATO sotto il controllo occidentale, questo avrebbe indebolito così tanto la Russia da bloccarla totalmente, se non provocarne lo smembramento. Questo è stato l’obiettivo da sempre e i pianificatori strategici statunitensi, insieme con i funzionari di Washington e gli alleati della NATO, hanno ripetutamente affermato di voler portare l’Ucraina dentro la NATO. La NATO ha ufficializzato questo obiettivo nel 2008. Solo pochi mesi fa, nel novembre 2021 nella nuova Carta strategica tra l’amministrazione Biden a Washington e il governo Zelensky a Kiev, si è convenuto che l’obiettivo immediato fosse portare l’Ucraina nella NATO. Del resto questa era la politica della NATO ormai da molto tempo. Gli Stati Uniti negli ultimi mesi del 2021 e all’inizio del 2022 si stavano muovendo molto velocemente per militarizzare l’Ucraina e realizzare il loro obiettivo come un fatto compiuto.
L’idea, articolata da Brzezinski e altri, era che una volta che l’Ucraina fosse stata assicurata dentro la NATO, la Russia sarebbe finita. La vicinanza di Mosca con un’Ucraina trentunesima nazione dell’alleanza avrebbe consentito alla NATO un confine di 1200 miglia con la Russia, lo stesso percorso attraverso il quale gli eserciti di Hitler avevano invaso l’Unione Sovietica, ma in questo caso la Russia si sarebbe trovata di fronte alla più grande alleanza nucleare del mondo. Ciò avrebbe cambiato l’intera mappa geopolitica, dando all’Occidente il controllo dell’Eurasia a ovest della Cina.
Il modo in cui questo progetto è stato effettivamente sviluppato è importante. La guerra per procura è iniziata nel 2014, quando in Ucraina ha avuto luogo il colpo di stato di Maidan, ideato dagli Stati Uniti, che ha rimosso il presidente democraticamente eletto e messo al potere in gran parte gli ultranazionalisti. Il risultato immediato è stato però che l’Ucraina ha iniziato a dividersi. La Crimea era stata uno stato indipendente e autonomo dal 1991 al 1995. Nel 1995 l’Ucraina ha strappato illegalmente la Costituzione della Crimea e l’ha annessa contro la sua volontà. Il popolo della Crimea non si considerava parte dell’Ucraina ed era in gran parte di lingua russa, con profondi legami culturali con la Russia. Quando si verificò il colpo di stato con il controllo degli ultranazionalisti ucraini, la popolazione della Crimea si è voluta separare. La Russia ha dato loro l’opportunità, con un referendum, di scegliere se rimanere in Ucraina o unirsi alla Russia e hanno scelto la Russia. Tuttavia, nell’Ucraina orientale la popolazione principalmente russa è stata sottoposta a repressione da parte delle forze ultranazionaliste e neonaziste di Kiev. La russofobia e l’estrema repressione delle popolazioni di lingua russa nell’est sono iniziate con il famigerato caso delle quaranta persone fatte saltare in aria in un edificio pubblico dai neonazisti associati al battaglione Azov. In origine c’erano un certo numero di repubbliche separatiste. Due sono sopravvissute nella regione del Donbass, con popolazione prevalente di lingua russa: le repubbliche di Luhansk e Donetsk.
In questo modo in Ucraina è nata una guerra civile tra Kiev a ovest e Donbass a est. Ma è stata anche una guerra per procura con gli Stati Uniti/NATO a sostegno di Kiev e la Russia a sostegno del Donbass. La guerra civile è iniziata subito dopo il colpo di stato, quando la lingua russa è stata praticamente bandita, tanto che le persone potevano essere multate per aver parlato russo in un negozio. È stato un attacco alla lingua e alla cultura russa e una violenta repressione delle popolazioni della parte orientale dell’Ucraina.
Inizialmente, nella guerra civile ci sono state circa 14.000 vittime nella parte orientale del paese, con qualcosa come 2,5 milioni di profughi che si sono rifugiati in Russia. Gli accordi di Minsk del 2014 e del 2015 hanno portato a un cessate il fuoco, mediato da Francia e Germania e sostenuto dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Secondo questi accordi le Repubbliche di Luhansk e Donetsk ricevevano uno status autonomo all’interno dell’Ucraina. Ma Kiev ha continuato sempre a infrangere gli accordi di Minsk, continuando ad attaccare le repubbliche separatiste del Donbass, anche se su scala ridotta, e gli Stati Uniti hanno continuato a fornire addestramento militare e armi.
Tra il 1991 e il 2021 Washington ha fornito un’enorme sostegno militare a Kiev. Dal 1991 al 2014 l’aiuto militare diretto a Kiev dagli Stati Uniti è stato di 3,8 miliardi di dollari. Dal 2014 al 2021 è stato di 2,4 miliardi di dollari, in aumento, e infine è salito alle stelle una volta che Joe Biden è entrato in carica a Washington. Gli Stati Uniti stavano militarizzando l’Ucraina molto velocemente. Il Regno Unito e il Canada hanno addestrato circa 50.000 soldati ucraini, senza contare quelli addestrati dagli Stati Uniti. La CIA in realtà ha addestrato il battaglione Azov e i paramilitari di destra. Tutto questo aveva come obiettivo la Russia.
I russi erano particolarmente preoccupati per l’aspetto nucleare, dal momento che la NATO è un’alleanza nucleare, e se l’Ucraina fosse entrata nella NATO e i missili fossero stati collocati in Ucraina, avrebbe potuto verificarsi un attacco nucleare prima che il Cremlino avesse il tempo di rispondere. In Polonia e Romania ci sono già strutture di difesa anti-missili balistici, cruciali come armi di contrasto in un primo attacco della NATO. Inoltre, è importante capire che i sistemi di difesa missilistica Aegis collocati lì sono anche in grado di lanciare missili nucleari offensivi. Tutto ciò ha influito sull’ingresso della Russia nella guerra civile ucraina. Nel febbraio 2022 Kiev stava preparando un’importante offensiva, con 130.000 soldati ai confini del Donbass a est e sud, con il continuo supporto USA/NATO. Questo superava le linee rosse chiaramente articolate di Mosca. In risposta, la Russia ha prima dichiarato che gli accordi di Minsk erano falliti e che le repubbliche del Donbass dovevano essere considerate stati indipendenti e autonomi. È poi intervenuta nella guerra civile ucraina al fianco del Donbass, in linea con quella che considerava la propria difesa nazionale.
Il risultato è una guerra per procura tra Stati Uniti/NATO e Russia combattuta in Ucraina, sviluppatasi a seguito di una guerra civile nella stessa Ucraina, iniziata con un colpo di stato progettato dagli Stati Uniti. Ma a differenza di altre guerre per procura tra stati capitalisti, questa si sta verificando ai confini di una delle grandi potenze nucleari ed è provocata dalla prolungata strategia del grande impero di Washington, volta a catturare l’Ucraina per conto della NATO al fine di distruggere la Russia come grande potenza e stabilire, come affermava Brzezinski, la supremazia degli Stati Uniti sull’intero globo. Ovviamente, questa particolare guerra per procura comporta gravissimi pericoli, a un livello mai visto dalla crisi dei missili cubani. In seguito all’offensiva russa, la Francia ha dichiarato che la NATO era una potenza nucleare e subito dopo, il 27 febbraio, i russi hanno messo in massima allerta le loro forze nucleari.
Un’altra cosa da capire sulla guerra per procura è che i russi hanno cercato con notevole successo di evitare vittime civili. Le popolazioni di Russia e Ucraina sono strettamente interconnesse e Mosca ha tentato di contenere le vittime civili. I dati delle forze armate statunitensi ed europee indicano che le vittime civili sono notevolmente più basse rispetto allo standard delle guerre statunitensi. Un’indicazione di ciò è che le vittime militari delle truppe russe sono maggiori delle vittime civili degli ucraini, che è l’opposto di come funziona la guerra degli Stati Uniti. Se si guarda a come gli Stati Uniti combattono una guerra, ad esempio in Iraq, si nota che attaccano gli impianti elettrici e idrici e l’intera infrastruttura civile, con la motivazione che ciò creerà dissenso nella popolazione e una rivolta contro il governo. Ma prendere di mira le infrastrutture civili aumenta naturalmente le vittime civili, come in Iraq, dove le vittime civili dell’invasione statunitense sono state nell’ordine di centinaia di migliaia. La Russia, al contrario, non ha cercato di distruggere le infrastrutture civili, cosa che per loro sarebbe stato facile. Anche nel bel mezzo della guerra, stanno ancora vendendo gas naturale a Kiev, rispettando i loro contratti, e non hanno distrutto Internet in Ucraina.
La Russia è intervenuta principalmente con l’obiettivo di liberare il Donbass, gran parte del quale era occupato dalle forze di Kiev. Una priorità era ottenere il controllo di Mariupol, il porto principale, per rendere praticabile il Donbass. Mariupol è stata occupata dal battaglione neonazista Azov. Il battaglione Azov ora controlla meno del 20% della città. Si stanno nascondendo nei vecchi bunker sovietici in una parte della città. La milizia popolare di Donetsk e i russi controllano il resto. Ci sono circa 100.000 forze paramilitari in Ucraina. La maggior parte dei paramilitari all’interno delle forze ucraine, che costituivano la maggior parte delle 130.000 truppe che circondavano il Donbass, sono state ora tagliate fuori dall’esercito russo. Oltre a prendere il controllo del Donbass insieme alle milizie popolari, Mosca cerca di costringere l’Ucraina a smilitarizzarsi e ad accettare uno status neutrale, rimanendo fuori dalla NATO.
Se si osserva la situazione dal punto di vista degli accordi di pace – e il Global Times ne ha riportato un buon resoconto il 31 marzo – si può vedere su cosa si svolge la guerra. Kiev ha provvisoriamente accettato la neutralità, che dovrà essere controllata da alcuni garanti occidentali, come il Canada. Ma il punto critico dei negoziati è ciò che Kiev chiama “sovranità”. Riguardo il Donbass e la guerra civile, l’Ucraina insiste sul fatto che il Donbass fa parte del territorio sovrano, indipendentemente dai desideri della popolazione nelle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk. La gente nelle repubbliche del Donbass e i russi non possono accettare questo. In effetti, le milizie popolari e i russi stanno ancora lavorando per liberare parti del Donbass occupate da queste forze paramilitari. È questo il principale punto critico dei negoziati, che risale alla realtà della guerra civile in Ucraina. Il ruolo degli Stati Uniti in questo è stato quello di fungere da disturbo nei negoziati.
Il secondo fronte: la spinta al primato nucleare
Qui è necessario passare al secondo obiettivo della ‘Strategia Imperiale’ degli Stati Uniti. Finora ho discusso la grande strategia imperiale in termini di geopolitica, di espansione nel territorio dell’ex Unione Sovietica e della sfera di influenza sovietica, che è stata articolata nel modo più efficace da Brzezinski. Ma c’è un altro fronte della grande strategia imperiale statunitense che deve essere discusso in questo contesto, ed è la spinta verso un nuovo primato nucleare. Se si legge il Grande Scacchiere di Brzezinski, il suo libro sulla strategia geopolitica degli Stati Uniti, non si troverà una sola parola sulle armi nucleari. Il termine nucleare non compare affatto nel suo libro, mi pare. Eppure questo è ovviamente un punto cruciale della strategia generale degli Stati Uniti rispetto alla Russia. Nel 1979, sotto Jimmy Carter, quando Brzezinski era il suo consigliere per la sicurezza nazionale, fu deciso di andare oltre la Mutual Assured Destruction (MAD) e per gli Stati Uniti di perseguire una ‘strategia di controforza’ del primato nucleare. Ciò comportava il posizionamento di missili nucleari in Europa. Nella sua ‘A Letter to America’, che appare in Protest and Survive pubblicato dalla Monthly Review Press nel 1981, lo storico marxista e attivista anti-nucleare E.P. Thompson cita Brzezinski, il quale ammette che la strategia degli Stati Uniti si era spostata su una ‘guerra di controforza’.
Per spiegarlo, è necessario tornare un po’ indietro. Negli anni ’60 l’Unione Sovietica aveva raggiunto la parità nucleare con gli Stati Uniti. C’è stato un grande dibattito all’interno del Pentagono e dell’establishment della sicurezza su questo, perché la parità nucleare significava MAD. Significava ‘Mutua Distruzione Assicurata’. E qualunque nazione, non importava quale, avesse attaccato l’altra, entrambe sarebbero state completamente distrutte. Robert McNamara, il segretario alla difesa di John F. Kennedy, iniziò a promuovere la nozione di controforza per aggirare la MAD. Essenzialmente, ci sono due tipi di attacchi nucleari. Uno è la ‘guerra di controvalore’ (forza equivalente da entrambe le parti, ndt) che prende di mira le città, la popolazione e l’economia dell’avversario. Questo è ciò su cui si basa la MAD. L’altro tipo di attacco è una ‘guerra di controforza’ mirata a distruggere le forze nucleari nemiche prima che possano essere lanciate. E, naturalmente, una strategia di controforza è la stessa cosa di una strategia di ‘First Strike’ (colpire per primi, ndt). Gli Stati Uniti sotto McNamara iniziarono a esplorare la controforza. McNamara poi decise che un simile approccio era folle e decise di utilizzare la MAD come politica di deterrenza degli Stati Uniti. Questa situazione è andata avnti per la maggior parte degli anni ’60 e ’70. Ma nel 1979, nell’amministrazione Carter, quando Brzezinski era il consigliere per la sicurezza nazionale, decisero di attuare una strategia di controforza. Gli Stati Uniti a quel tempo decisero di localizzare i missili Pershing II e i missili da crociera con armi nucleari in Europa. Ciò ha portato alla nascita del movimento europeo per il disarmo nucleare, il grande movimento europeo per la pace.
Washington inizialmente ha messo i missili nucleari intermedi Pershing II, così come i missili da crociera, in Europa. Questo è diventato un grosso problema per il movimento per la pace sia in Europa che negli Stati Uniti. I pericoli di una guerra nucleare erano enormemente aumentati. L’amministrazione Reagan promosse pesantemente la strategia della controforza e aggiunse la sua ‘Iniziativa di Difesa Strategica’ ispirata alla fantascienza (meglio conosciuta con il soprannome di Star Wars), che prevedeva un sistema in grado di abbattere contemporaneamente tutti i missili nemici. Questa era in gran parte una fantasia. Alla fine, la corsa agli armamenti nucleari in questo periodo è stata interrotta di movimenti di massa per la pace in Europa su entrambi i lati del muro di Berlino e dal movimento per il congelamento nucleare negli Stati Uniti, nonché dell’ascesa di Gorbaciov in Unione Sovietica. Ma dopo lo scioglimento dell’URSS, Washington ha deciso di portare avanti la strategia della controforza e la sua spinta verso il primato nucleare.
Nel corso dei successivi tre decenni, Washington ha continuato a sviluppare armi e strategie di controforza, potenziando le capacità statunitensi in tal senso, al punto che nel 2006 è stato dichiarato che gli Stati Uniti erano vicini al primato nucleare, come spiegato all’epoca in Foreign Affairs, pubblicato dal Council on Foreign Relations, il principale centro della grande strategia statunitense. L’articolo su Foreign Affairs dichiarava che la Cina non aveva un deterrente nucleare contro un primo attacco degli Stati Uniti, visti i miglioramenti nella tecnologia di puntamento e rilevamento degli Stati Uniti, e che nemmeno i russi potevano più contare sulla sopravvivenza del loro deterrente nucleare. Washington stava premendo per raggiungere il primato nucleare completo. Tutto questo è andato di pari passo con l’allargamento della NATO in Europa, perché parte della strategia della controforza consisteva nell’avvicinare sempre più le armi della controforza alla Russia per ridurre il tempo di risposta da parte di Mosca.
La Russia era l’obiettivo principale della strategia. Mentre la Cina era chiaramente destinata a essere l’obiettivo successivo. Poi Trump ha deciso di perseguire la distensione con la Russia e concentrarsi sulla Cina. Ciò ha scombussolato le cose per un po’, destabilizzando la grande strategia USA/NATO, poiché l’allargamento della NATO era una parte essenziale della strategia del primato nucleare. Una volta che l’amministrazione Biden è entrata in carica, si è cercato di recuperare il tempo perduto stringendo il cappio dell’Ucraina intorno alla Russia.
In tutto questo i russi – ormai uno stato capitalista che sta riguadagnando uno status di grande potenza – non si sono fatti ingannare. Lo hanno visto arrivare. Nel 2007 Vladimir Putin dichiarò che il mondo unipolare era impossibile, che gli Stati Uniti non sarebbero stati in grado di raggiungere il primato nucleare. Sia la Russia che la Cina hanno iniziato a sviluppare armi che avrebbero aggirato la strategia degli Stati Uniti della controforza,. L’idea di un primo attacco è che l’attaccante – e solo gli Stati Uniti hanno qualcosa di simile a questa capacità – colpisce i missili terrestri, sia in silos temprati che mobili, e tracciando i sottomarini è in grado di eliminare anche quelli. Il ruolo dei sistemi missilistici antibalistici è quindi quello di eliminare qualsiasi attacco di rappresaglia rimasto. Naturalmente l’altra parte, ovvero Russia e Cina che sono anch’esse tra le grandi potenze nucleari, sanno tutto questo, quindi fanno tutto il possibile per proteggere la loro capacità di deterrenza nucleare o di attacco di rappresaglia. Negli ultimi anni Russia e Cina hanno sviluppato missili ipersonici. Questi missili si muovono straordinariamente veloci, al di sopra di Mach 5 e allo stesso tempo sono manovrabili, quindi non possono essere fermati da sistemi missilistici antibalistici, indebolendo la capacità di controforza degli Stati Uniti. Gli stessi Stati Uniti non hanno ancora sviluppato tecnologie missilistiche ipersoniche di questo tipo. Questo tipo di arma è ciò che la Cina chiama “colpire l’assassino”, il che significa che può essere utilizzata da una potenza inferiore per contrastare un avversario con un potere militare schiacciante. Ciò aumenta quindi il deterrente fondamentale di Russia e Cina, proteggendo le loro capacità di ritorsione in caso di primo attacco contro di loro. È uno dei principali fattori che sta contrastando le capacità di primo attacco degli Stati Uniti.
Un altro aspetto in questo braccio di ferro nucleare è il predominio USA/NATO nei satelliti. È in gran parte per questo che la precisione nel colpire il bersaglio del Pentagono ora è così accurata da poter concepire la possibilità di distruggere i silos missilistici temprati con testate più piccole, a causa dell’assoluta precisione del loro puntamento, e prendere di mira anche i sottomarini. Tutto questo ha a che fare con i sistemi satellitari. E’ opinione diffusa che questo dia agli Stati Uniti la capacità di distruggere silos missilistici rinforzati o almeno centri di comando e controllo con armi che non sono nucleari, o con testate nucleari più piccole, a causa della maggiore precisione. Gli eserciti russo e cinese si sono quindi concentrati molto sulle armi anti-satellite per eliminare questo vantaggio.
Inverno nucleare e Omnicidio
Tutto ciò può suonare già abbastanza brutto, ma è necessario dire qualcosa sull’inverno nucleare. L’esercito americano, e immagino che sia vero anche per l’esercito russo, a leggere i loro documenti declassificati, risulta che si siano completamente allontanati dalla scienza sulla guerra nucleare. Nel documento declassificato sugli armamenti nucleari e la guerra nucleare non si fa alcuna menzione delle tempeste di fuoco nella guerra nucleare. Ma in un attacco nucleare le tempeste di fuoco sono in realtà ciò che provoca il maggior numero di morti. Le tempeste di fuoco in un attacco termonucleare possono diffondersi su una città per 150 miglia quadrate. Le istituzioni militari, che sono tutte concentrate sul combattere e prevalere in una guerra nucleare, nelle loro analisi e anche nei calcoli della MAD non tengono conto delle tempeste di fuoco. Ma c’è anche un’altra ragione per questo, poiché le tempeste di fuoco sono ciò che genera l’inverno nucleare.
Nel 1983, quando le armi di contrasto venivano piazzate in Europa, scienziati atmosferici sovietici e americani, lavorando insieme, crearono i primi modelli di inverno nucleare. Un certo numero di scienziati chiave, sia nell’Unione Sovietica che negli Stati Uniti, sono stati coinvolti nella ricerca sui cambiamenti climatici, che è essenzialmente l’inverso dell’inverno nucleare, anche se non così brusco. Questi scienziati hanno scoperto che in una guerra nucleare con tempeste di fuoco in 100 città, l’effetto sarebbe stato un calo della temperatura media globale di una misura che Carl Sagan all’epoca disse arrivare fino a “diverse decine di gradi” Celsius. Successivamente hanno fatto marcia indietro con ulteriori studi e hanno affermato che il calo sarebbe arrivato fino a venti gradi Celsius. Possiamo immaginare cosa significhi. Le tempeste di fuoco porterebbero la fuliggine e il fumo nella stratosfera, bloccando fino al 70% dell’energia solare che raggiunge la terra, il che significherebbe la fine di tutti i raccolti sulla Terra. Ciò distruggerebbe quasi tutta la vita vegetativa, così che gli effetti nucleari diretti nell’emisfero settentrionale sarebbero accompagnati dalla morte di quasi tutti anche nell’emisfero meridionale. Solo poche persone sul pianeta potrebbero sopravvivere.
Gli studi sull’inverno nucleare sono stati criticati dai militari e dall’establishment negli Stati Uniti, in quanto esagerati. Ma nel 21° secolo, a partire dal 2007, gli studi sull’inverno nucleare sono stati ampliati, replicati e convalidati numerose volte. Hanno dimostrato che anche in una guerra tra India e Pakistan, utilizzando bombe atomiche a livello di Hiroshima, il risultato sarebbe un inverno nucleare non così rigido, ma capace di ridurre l’energia solare che raggiunge il pianeta in misura tale da uccidere miliardi di persone. Al contrario, in una guerra termonucleare globale, come hanno dimostrato i nuovi studi, l’inverno nucleare potrebbe essere anche peggiore di quanto avevano determinato gli studi originali negli anni ’80. E questa è la scienza, accettata nelle principali pubblicazioni scientifiche sottoposte a revisione paritaria e i cui risultati sono stati ripetutamente convalidati. È molto chiaro in termini scientifici che se ci sarà uno scontro termonucleare globale, questo ucciderà l’intera popolazione della terra, con forse alcuni resti della specie umana che potranno sopravvivere da qualche parte nell’emisfero meridionale. Il risultato sarà un omnicidio planetario.
All’inizio McNamara pensava che la controforza fosse una buona idea, perché era vista come una strategia No-Cities. Gli Stati Uniti avrebbero potuto semplicemente distruggere le armi nucleari dell’altra parte e lasciare intatte le città. Ma questa idea è rapidamente sfumata, e nessuno ci crede più, perché la maggior parte dei centri di comando e controllo si trovano dentro o vicino alle città. Non c’è modo che questi possano essere tutti distrutti in un primo attacco senza attaccare le città. Inoltre per quanto riguarda le maggiori potenze nucleari, non c’è modo che il deterrente nucleare dell’altra parte possa essere completamente distrutto, e anche una parte relativamente piccola degli arsenali nucleari delle grandi potenze può distruggere tutte le grandi città dell’altra parte. Pensare diversamente significa perseguire una fantasia pericolosa che aumenta le possibilità di una guerra termonucleare globale capace di distruggere l’umanità. Ciò significa che i maggiori analisti nucleari, ora profondamente impegnati nelle teorie della controforza, stanno promuovendo la follia totale. I pianificatori della guerra nucleare fingono di poter prevalere in una guerra nucleare. Eppure, ora sappiamo che la MAD, la distruzione reciproca assicurata, come era originariamente immaginata, è meno estrema di ciò che oggi comporta una guerra termonucleare globale. La distruzione reciproca assicurata significava che entrambe le parti sarebbero state distrutte, a centinaia di milioni. Ma l’inverno nucleare significa che praticamente l’intera popolazione del pianeta viene eliminata.
La strategia di controforza, la spinta verso la capacità di primo attacco o primato nucleare, significa che la corsa agli armamenti nucleari continua ad aumentare, nella speranza di eludere la MAD, mentre in realtà minaccia l’estinzione umana. Anche se il numero delle armi nucleari è limitato, la cosiddetta “modernizzazione” dell’arsenale nucleare, in particolare da parte degli Stati Uniti, è progettata per rendere pensabile una controforza e quindi un primo attacco. Ecco perché Washington si è ritirata dai trattati nucleari come il Trattato ABM e il Trattato sui missili nucleari a raggio intermedio, visti come un blocco alle armi di controforza che interferiva con la spinta del Pentagono verso il primato nucleare. Washington ha abbandonato tutti quei trattati, mentre è stata disposta ad accettare un limite al numero totale di armi nucleari, perché il gioco veniva giocato in un modo diverso. La strategia degli Stati Uniti è ora focalizzata sulla controforza, non sul controvalore.
C’è molto da comprendere, in poco tempo. Ma penso che sia importante conoscere i due fronti della grande strategia imperiale USA/NATO per capire perché il Cremlino si considera minacciato, e perché ha agito come ha fatto, e perché questa guerra per procura è così pericolosa per tutto il mondo. Quello che dovremmo tenere a mente in questo momento è che tutte queste manovre per la supremazia mondiale assoluta ci hanno portato sull’orlo di una guerra termonucleare globale e di un omnicidio globale. L’unica risposta è creare un movimento di massa mondiale per la pace, l’ecologia e il socialismo.
FONTE: https://vocidallestero.blogspot.com/2022/04/john-belamy-foster-la-guerra-per.html
Ecco tutte le armi della Nato all’Ucraina
Prosegue l’incessante flusso di armi dall’occidente all’esercito ucraino. Nelle scorse ore, la Camera Usa ha approvato un ulteriore pacchetto di aiuti militari e umanitari da 40 miliardi di dollari, a cui si aggiungono altri 13,6 miliardi di dollari già a bilancio. Il totale – circa 53 miliardi di dollari in due mesi – va oltre ciò che il presidente Biden aveva richiesto e rappresenta il più grande pacchetto di aiuti esteri stanziato dal Congresso a un Paese straniero in almeno due decenni, secondo quanto riferisce il New York Times. “Il tempo è essenziale e non possiamo permetterci di aspettare”, ha affermato la speaker della Camera Nancy Pelosi, commentando il pacchetto che dà a Kiev, fra i vari aiuti, 6 miliardi di dollari in armi, addestramento e altra assistenza militare.
Nella pacchetto varato dal Congresso Usa, anche 3,9 miliardi di dollari a sostegno delle operazioni del comando europeo, compreso il supporto dell’intelligence. I numeri dicono che da quando l’amministrazione Biden s’è insediata, Washington ha stanziato a Kiev la bellezza di 4,5mila miliardi dollari in assistenza militare e umanitaria. Gli importi stanziati finora – la nuova richiesta di Biden di 33 miliardi di dollari combinata con i 14 miliardi già spesi – superano già l’importo medio annuo speso dagli Stati Uniti per la guerra in Afghanistan (46 miliardi di dollari).
Ecco tutte le armi inviati dagli Usa e dalla Nato a Kiev
Il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha stilato la lista completa dell’equipaggiamento militare inviato all’esercito ucraino: oltre 1.400 sistemi antiaerei Stinger; 5.500 sistemi anti-carro Javelin; 14.000 sistemi anti-carro; 700 sistemi aerei tattici Switchblade; 90 obici da 155 mm e oltre 200.000 munizioni di artiglieria da 155 mm; 72 veicoli tattici per il traino di obici da 155 mm; 16 elicotteri MI-17; centinaia di veicoli corazzati multiuso a ruote ad alta mobilità; 200 mezzi corazzati per il trasporto di personale M113; 7.000 armi leggere; più di 50.000.000 di munizioni; 75.000 set di giubbotti antiproiettile ed elmetti; 121 Sistemi aerei senza pilota tattici Phoenix Ghost; sistemi a guida laser; sistemi aerei senza pilota Puma; 17 sistemi radar controfuoco; due radar di sorveglianza aerea; munizioni antiuomo M18A1 Claymore; esplosivi C-4 e attrezzature da demolizione per l’eliminazione degli ostacoli; sistemi di comunicazione tattica sicura; dispositivi per la visione notturna, sistemi di immagini termiche, ottiche e laser; servizi di immagini satellitari; equipaggiamento protettivo per l’eliminazione degli ordigni esplosivi; dispositivi di protezione chimica, biologica, radiologica, nucleare; forniture mediche e kit di pronto soccorso; apparecchiature elettroniche di disturbo; attrezzature da campo e pezzi di ricambio.
Aiuti e armi da tutta l’Alleanza atlantica
Com’è noto, l’assistenza militare per contrastare l’invasione russa non proviene solamente dagli Stati Uniti ma anche dagli alleati della Nato, in particolare dai Paesi dell’Europa centrale e orientale particolarmente ostili, anche storicamente, alla Federazione russa, come la Polonia. Una corsa agli armamenti che sta dando parecchio filo da torcere alle truppe russe, in quelle che è diventata, a tutti gli effetti, una guerra per procura fra l’Alleanza Atlantica e Mosca.
Come riportato da La Repubblica, la Polonia ha destinato all’Ucraina ben 230 carri armati sovietici T-72M, insieme ai 12 tank dello stesso tipo dalla Repubblica Ceca e ai 50 Leopard 1 dalla Germania. Sul fronte dei veicoli blindati, all’esercito di Zelensky sono arrivati 290 M113 (da Usa, Danimarca, Olanda e Portogallo); 101 BMP1 da Polonia e Repubblica Ceca; 75 Scorpion/Spartan dalla Gran Bretagna; 70 Marder in arrivo dalla Germania; 40 Mastiff da Londra; 25 Piranha dalla Danimarca; 20 Bushmaster dall’Australia; 20 Vamtac dalla Spagna. Oltre a decine di cannoni, mortai e semoventi da 155 mm e 122 mm, gli alleati della Nato hanno destinato 2000 Stinger alle truppe di Kiev; 300 Piorun dalla Polonia; 10 Stormer dalla Gran Bretagna; 100 Mistral dalla Norvegia; 20 Startreak dalla Gran Bretagna; 2 batterie S-300 a lungo raggio dalla Slovacchia. In azione anche 7000 missili antitank NLAW, 200 Milan da Francia e Italia. Sono inoltre 35 le contro-batterie radar e 50 droni armati Bayraktar dalla Turchia giunti sul suolo ucraino.
I produttori di armi festeggiano
Mentre gran parte della popolazione occidentale dovrà fare i conti con l’aumento dei costi dell’energia e altre gravi ripercussioni economiche provocate dalla guerra in Ucraina, c’è una piccola fetta di persone che trarrà enormi benefici economici da questa corsa a sostenere Kiev: i produttori di armi. Lo scorso 13 aprile, i massimi funzionari della difesa degli Stati Uniti si sono incontrati con gli amministratori delegati degli otto maggiori appaltatori della difesa per discutere della capacità dell’industria di soddisfare il fabbisogno di armi dell’Ucraina nel caso la guerra “prosegua per anni”. Il vice segretario alla Difesa Kathleen Hicks ha sottolineato che sono state discusse “le proposte del settore per accelerare la produzione dei sistemi esistenti e sviluppare nuove capacità fondamentali per l’assistenza alla sicurezza dell’Ucraina”.
Come nota il giornalista Glenn Greenwald, trasferendo così tanto equipaggiamento militare in Ucraina, gli Stati Uniti hanno esaurito le proprie scorte, rendendo necessari nuovi acquisti di massa da parte del governo. Non è necessario essere un teorico della cospirazione, osserva il giornalista Premio Pulitzer, per meravigliarsi della grande fortuna di questa industria, che ha perso il mercato primario delle armi appena otto mesi fa quando la guerra degli Stati Uniti in Afghanistan si è conclusa. A beneficiarne sono soprattutto industrie come Raytheon, il principale produttore di Javelin insieme a Lockheed. Una curiosità: chi sedeva nel board di Raytheon fino a poco tempo fa? Lloyd Austin, l’attuale Segretario alla difesa dell’amministrazione Biden.
FONTE: https://it.insideover.com/guerra/ecco-tutte-le-armi-della-nato-allucraina.html
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Guerra Ucraina, Travaglio: «Da noi cittadini non sanno niente. Tutto incostituzionale» [VIDEO]
Il direttore de Il Fatto Quotidiano Marco Travaglio a Otto e mezzo su La 7 ha commentato la posizione italiana nella guerra tra Russia e Ucraina. «Quando una classe dirigente come quella italiana non sa cosa fare, deve interpellare il suo faro, che è la Costituzione. E la nostra Costituzione ci vieta di partecipare a guerre per risolvere controversie internazionali. Che altro è diventata questa guerra, se non il tentativo di risolvere una controversia internazionale con le armi?”. «Se gli inglesi, gli americani e i russi lo vogliono fare, perché così hanno sempre fatto, lo facciano. Noi no, perché non possiamo farlo. E quindi dobbiamo tirarci indietro. Basta inviare armi».
Travaglio: «Liste delle armi secretate»
Travaglio ha inoltre sottolineato il ruolo marginale del nostro Paese in Europa: «L’Italia va a ritirare la lista delle armi che Zelensky passa agli americani, i quali, aggiungendone qualcuna, passano a loro volta la lista ai Paesi membri della Nato e fornisce quel poco o quel tanto che ha. Non sappiamo che cosa, perché le liste sono naturalmente secretate. Il Parlamento non esiste, non c’è un dibattito nel luogo sacro della democrazia. Non c’è mai una presa di posizione dell’Italia nei confronti di quelli che chiamiamo alleati, ma che in realtà sono i nostri padroni. In un’alleanza si può stare in posizione eretta – continua – ed è il modo che hanno i tedeschi, i francesi, i Paesi che contano. Loro si distinguono se gli americani o gli inglesi delirano, come quando Boris Johnson dichiara sostanzialmente guerra alla Russia o come quando il segretario di Stato americano, Antony Blinken, spiega che le nostre armi servono a piegare la Russia e non a difendere il popolo ucraino, ormai usato come carne da macello in una guerra per procura tra due super-potenze e i loro vassalli».
Ucraina, Travaglio: «Tutto completamente incostituzionale»
Il direttore del Fatto ha poi concluso: «Da Draghi non c’è mai la minima presa di posizione o di distanza. Non c’è un dibattito parlamentare. I cittadini italiani non sanno niente: sentono parlare di guerra nucleare, sentono dire che stiamo mandando armi per piegare la Russia, ma nessuno ci ha informati del perché e di cosa stiamo facendo. È una situazione assolutamente eversiva ed è tutto completamente incostituzionale. È tutto deciso nelle segrete stanze. Perché, ad esempio, abbiamo partecipato a quell’adunata di guerra a Ramstein, che era un messaggio mafioso contro la missione di pace del segretario generale dell’Onu e – chiosa – un pizzino mafioso a Olaf Scholz, che aveva osato prendere le distanze dall’invio di armi pesanti per scopi offensivi e non difensivi? Noi invece andiamo lì, non diciamo niente, torniamo e nessuno dice niente. Il Parlamento è chiuso a doppia mandata e si occupa non so di quali minuzie. Questa è la situazione nella quale ci troviamo. Io credo che non dobbiamo essere preoccupati, ma angosciati di avere un governo di questo genere».
FONTE: https://www.lapekoranera.it/2022/04/28/guerra-ucraina-travaglio-da-noi-cittadini-non-sanno-niente-tutto-incostituzionale-video/
ECONOMIA
Escobar: lo zar russo della geoeconomia presenta il nuovo sistema finanziario globale
Scritto da Pepe Escobar tramite The Cradle,
Il nuovo sistema monetario mondiale, sostenuto da una valuta digitale, sarà sostenuto da un paniere di nuove valute estere e risorse naturali. E libererà il Sud del mondo sia dal debito occidentale che dall’austerità indotta dal FMI.
Sergey Glazyev è un uomo che vive proprio nell’occhio del nostro attuale uragano geopolitico e geoeconomico. Uno degli economisti più influenti al mondo, membro dell’Accademia delle scienze russa ed ex consigliere del Cremlino dal 2012 al 2019, negli ultimi tre anni ha guidato il portafoglio super strategico di Mosca come ministro incaricato dell’integrazione e Macroeconomia dell’Unione economica dell’Eurasia (EAEU).
La recente produzione intellettuale di Glazyev è stata a dir poco trasformativa, esemplificata dal suo saggio Sanzioni e sovranità e da un’ampia discussione sul nuovo paradigma geoeconomico emergente in un’intervista a una rivista economica russa .
In un altro dei suoi recenti saggi , Glazyev commenta come “sono cresciuto a Zaporozhye, vicino al quale sono in corso pesanti combattimenti per distruggere i nazisti ucraini, che non sono mai esistiti nella mia piccola Patria. Ho studiato in una scuola ucraina e conosco bene la letteratura e la lingua ucraina, che da un punto di vista scientifico è un dialetto russo. Non ho notato nulla di russofobo nella cultura ucraina. Nei 17 anni della mia vita a Zaporozhye, non ho mai incontrato un solo Banderista.
Glazyev è stato gentile a prendersi del tempo dal suo fitto programma per fornire risposte dettagliate a una prima serie di domande in quella che ci aspettiamo diventi una conversazione in corso, incentrata soprattutto sul Sud del mondo. Questa è la sua prima intervista con una pubblicazione straniera dall’inizio dell’Operazione Z. Mille grazie ad Alexey Subottin per la traduzione russo-inglese.
The Cradle: Sei in prima linea in uno sviluppo geoeconomico rivoluzionario: la progettazione di un nuovo sistema monetario/finanziario attraverso un’associazione tra EAEU e Cina, bypassando il dollaro USA, con una bozza che sarà presto conclusa. Potresti forse anticipare alcune delle caratteristiche di questo sistema – che non è certo un Bretton Woods III – ma sembra essere una chiara alternativa al consenso di Washington e molto vicino alle necessità del Sud del mondo?
Glazyev: In un attacco di isteria russofoba, l’élite dominante degli Stati Uniti ha giocato il suo ultimo “asso nella manica” nella guerra ibrida contro la Russia. L’aver “congelato” le riserve valutarie russe nei conti di deposito delle banche centrali occidentali, i regolatori finanziari di Stati Uniti, UE e Regno Unito ha minato lo status del dollaro, dell’euro e della sterlina come valute di riserva globali. Questo passo ha fortemente accelerato il continuo smantellamento dell’ordine economico mondiale basato sul dollaro.
Oltre un decennio fa, i miei colleghi dell’Astana Economic Forum ed io abbiamo proposto di passare a un nuovo sistema economico globale basato su una nuova valuta commerciale sintetica basata su un indice delle valute dei paesi partecipanti. Successivamente, abbiamo proposto di espandere il paniere valutario sottostante aggiungendo una ventina di materie prime negoziate in borsa. Un’unità monetaria basata su un paniere così esteso è stata modellata matematicamente e ha dimostrato un elevato grado di resilienza e stabilità.
Più o meno nello stesso periodo, abbiamo proposto di creare un’ampia coalizione internazionale di resistenza nella guerra ibrida per il dominio globale che l’élite finanziaria e di potere degli Stati Uniti ha scatenato sui paesi che sono rimasti fuori dal suo controllo. Il mio libro The Last World War: the USA to Move and Lose , pubblicato nel 2016, ha spiegato scientificamente la natura di questa guerra in arrivo e ne ha sostenuto l’inevitabilità, una conclusione basata su leggi oggettive dello sviluppo economico a lungo termine. Basandosi sulle stesse leggi oggettive, il libro sosteneva l’inevitabilità della sconfitta del vecchio potere dominante.
Attualmente, gli Stati Uniti stanno lottando per mantenere il loro dominio, ma proprio come in precedenza la Gran Bretagna, che ha provocato due guerre mondiali ma non è stata in grado di mantenere il suo impero e la sua posizione centrale nel mondo a causa dell’obsolescenza del suo sistema economico coloniale, è destinata a fallire. Il sistema economico coloniale britannico basato sul lavoro schiavo è stato superato dai sistemi economici strutturalmente più efficienti degli Stati Uniti e dell’URSS. Sia gli Stati Uniti che l’URSS erano più efficienti nella gestione del capitale umano in sistemi integrati verticalmente, che dividevano il mondo nelle loro zone di influenza. Dopo la disintegrazione dell’URSS è iniziata una transizione verso un nuovo ordine economico mondiale. Questa transizione sta ora raggiungendo la sua conclusione con l’imminente disintegrazione del sistema economico globale basato sul dollaro, che ha fornito le basi del dominio globale degli Stati Uniti.
Il nuovo sistema economico convergente emerso nella RPC (Repubblica Popolare Cinese) e in India è la prossima inevitabile fase di sviluppo, combinando i vantaggi sia della pianificazione strategica centralizzata e dell’economia di mercato, sia del controllo statale dell’infrastruttura monetaria e fisica e imprenditoria. Il nuovo sistema economico ha unito vari strati delle loro società attorno all’obiettivo di aumentare il benessere comune in un modo sostanzialmente più forte delle alternative anglosassoni ed europee. Questo è il motivo principale per cui Washington non sarà in grado di vincere la guerra ibrida globale che ha iniziato. Questo è anche il motivo principale per cui l’attuale sistema finanziario globale incentrato sul dollaro sarà sostituito da uno nuovo, basato sul consenso dei paesi che aderiscono al nuovo ordine economico mondiale.
Nella prima fase della transizione, questi paesi ricorrono all’utilizzo delle loro valute nazionali e ai meccanismi di compensazione, supportati da swap bilaterali di valuta. A questo punto, la formazione dei prezzi è ancora principalmente guidata dai prezzi in varie borse, denominati in dollari. Questa fase è quasi finita: dopo che le riserve russe in dollari, euro, sterlina e yen sono state “congelate”, è improbabile che un paese sovrano continui ad accumulare riserve in queste valute. La loro sostituzione immediata sono le valute nazionali e l’oro.
La seconda fase della transizione coinvolgerà nuovi meccanismi di tariffazione che non fanno riferimento al dollaro. La formazione dei prezzi nelle valute nazionali comporta sostanziali spese generali, tuttavia, sarà ancora più interessante rispetto alla determinazione dei prezzi in valute “non ancorate” e traditrici come dollari, sterline, euro e yen. L’unico candidato valutario globale rimasto, lo yuan, non prenderà il loro posto a causa della sua inconvertibilità e del limitato accesso esterno ai mercati dei capitali cinesi. L’uso dell’oro come riferimento del prezzo è vincolato dall’inconveniente del suo utilizzo per i pagamenti.
La terza e ultima fase della transizione del nuovo ordine economico riguarderà la creazione di una nuova valuta di pagamento digitale fondata attraverso un accordo internazionale basato sui principi di trasparenza, equità, buona volontà ed efficienza. Mi aspetto che il modello di tale unità monetaria che abbiamo sviluppato svolga il suo ruolo in questa fase. Una valuta come questa può essere emessa da un pool di riserve valutarie dei paesi BRICS, a cui tutti i paesi interessati potranno aderire. Il peso di ciascuna valuta nel paniere potrebbe essere proporzionale al PIL di ciascun paese (basato sulla parità del potere d’acquisto, ad esempio), alla sua quota nel commercio internazionale, nonché alle dimensioni della popolazione e del territorio dei paesi partecipanti.
Inoltre, il paniere potrebbe contenere un indice dei prezzi delle principali materie prime negoziate in borsa: oro e altri metalli preziosi, metalli industriali chiave, idrocarburi, cereali, zucchero, nonché acqua e altre risorse naturali. Per fornire sostegno e rendere la valuta più resiliente, a tempo debito possono essere create rilevanti riserve di risorse internazionali. Questa nuova valuta verrebbe utilizzata esclusivamente per pagamenti transfrontalieri ed emessa nei paesi partecipanti sulla base di una formula predefinita. I paesi partecipanti userebbero invece le loro valute nazionali per la creazione di credito, al fine di finanziare gli investimenti nazionali e l’industria, nonché per le riserve di ricchezza sovrana. I flussi transfrontalieri in conto capitale rimarrebbero disciplinati dalle normative valutarie nazionali.
The Cradle: Michael Hudson chiede specificamente che se questo nuovo sistema consente alle nazioni del Sud del mondo di sospendere il debito in dollari e si basa sulla capacità di pagare (in valuta estera), questi prestiti possono essere legati a materie prime o, per la Cina, una partecipazione tangibile nell’infrastruttura di capitale finanziata da crediti esteri non in dollari?
Glazyev: La transizione verso il nuovo ordine economico mondiale sarà probabilmente accompagnata dal sistematico rifiuto di onorare gli obblighi in dollari, euro, sterline e yen. A questo proposito, non sarà diverso dall’esempio dato dai paesi emittenti queste valute che hanno ritenuto opportuno rubare riserve valutarie di Iraq, Iran, Venezuela, Afghanistan e Russia per un importo di trilioni di dollari. Dal momento che gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, l’UE e il Giappone si sono rifiutati di onorare i loro obblighi e hanno confiscato la ricchezza di altre nazioni che era detenuta nelle loro valute, perché altri paesi dovrebbero essere obbligati a ripagarli e a pagare i loro prestiti?
In ogni caso, la partecipazione al nuovo sistema economico non sarà vincolata dagli obblighi del vecchio. I paesi del Sud del mondo possono partecipare a pieno titolo al nuovo sistema indipendentemente dai loro debiti accumulati in dollari, euro, sterline e yen. Anche se dovessero inadempiere ai loro obblighi in quelle valute, ciò non avrebbe alcun effetto sul loro rating creditizio nel nuovo sistema finanziario. Allo stesso modo, la nazionalizzazione dell’industria estrattiva non provocherebbe interruzioni. Inoltre, se questi paesi riservassero una parte delle loro risorse naturali per il sostegno del nuovo sistema economico, il loro rispettivo peso nel paniere valutario della nuova unità monetaria aumenterebbe di conseguenza, fornendo a quella nazione maggiori riserve valutarie e capacità di credito. Inoltre,
The Cradle: In uno dei tuoi ultimi saggi, The Economics of the Russian Victory , chiedi “una formazione accelerata di un nuovo paradigma tecnologico e la formazione di istituzioni di un nuovo ordine economico mondiale”. Tra le raccomandazioni, si propone in particolare la creazione di “un sistema di pagamento e regolamento nelle valute nazionali degli Stati membri dell’EAEU” e lo sviluppo e l’attuazione di “un sistema indipendente di regolamenti internazionali nell’EAEU, SCO e BRICS, che potrebbe eliminare la dipendenza critica della Sistema SWIFT controllato dagli USA”. È possibile prevedere una spinta congiunta concertata da parte dell’EAEU e della Cina per “vendere” il nuovo sistema ai membri SCO, altri membri BRICS, membri dell’ASEAN e nazioni dell’Asia occidentale, Africa e America Latina? E ciò si tradurrà in una geoeconomia bipolare: l’Occidente contro il resto?
Glazyev: In effetti, questa è la direzione in cui siamo diretti. Purtroppo, le autorità monetarie russe fanno ancora parte del paradigma di Washington e rispettano le regole del sistema basato sul dollaro, anche dopo che le riserve valutarie russe sono state catturate dall’Occidente. D’altra parte, le recenti sanzioni hanno spinto a un’estesa ricerca interiore tra il resto dei paesi senza blocco del dollaro. Gli “agenti di influenza” occidentali controllano ancora le banche centrali della maggior parte dei paesi, costringendole ad applicare le politiche suicide prescritte dal FMI. Tuttavia, tali politiche a questo punto sono così ovviamente contrarie agli interessi nazionali di questi paesi non occidentali che le loro autorità stanno giustamente crescendo preoccupate per la sicurezza finanziaria.
Evidenzia correttamente i ruoli potenzialmente centrali di Cina e Russia nella genesi del nuovo ordine economico mondiale. Sfortunatamente, l’attuale leadership della CBR (Banca Centrale di Russia) rimane intrappolata all’interno del cul-de-sac intellettuale del paradigma di Washington e non è in grado di diventare un partner fondatore nella creazione di un nuovo quadro economico e finanziario globale. Allo stesso tempo, la CBR doveva già affrontare la realtà e creare un sistema nazionale per la messaggistica interbancaria che non dipendesse da SWIFT, e lo ha aperto anche alle banche estere. Le linee di scambio di valute incrociate sono già state istituite con le principali nazioni partecipanti. La maggior parte delle transazioni tra gli Stati membri dell’EAEU sono già denominate in valute nazionali e la quota delle loro valute nel commercio interno sta crescendo rapidamente.
Una transizione simile sta avvenendo nel commercio con Cina, Iran e Turchia. L’India ha indicato di essere pronta a passare anche ai pagamenti in valute nazionali. Viene fatto un grande sforzo nello sviluppo di meccanismi di compensazione per i pagamenti in valuta nazionale. Parallelamente, è in corso uno sforzo per sviluppare un sistema di pagamento digitale non bancario, che sarebbe collegato all’oro e ad altre materie prime scambiate in borsa: le “stablecoin”.
Le recenti sanzioni statunitensi ed europee imposte ai canali bancari hanno causato un rapido aumento di questi sforzi. Il gruppo di paesi che lavora al nuovo sistema finanziario deve solo annunciare il completamento del quadro e la disponibilità della nuova valuta commerciale e da lì il processo di formazione del nuovo ordine finanziario mondiale accelererà ulteriormente. Il modo migliore per realizzarlo sarebbe annunciarlo alle riunioni regolari SCO o BRICS. Ci stiamo lavorando.
The Cradle: questa è stata una questione assolutamente chiave nelle discussioni di analisti indipendenti in tutto l’occidente. La Banca centrale russa stava consigliando ai produttori d’oro russi di vendere il loro oro sul mercato di Londra per ottenere un prezzo più alto di quello che avrebbero pagato il governo russo o la Banca centrale? Non c’era alcuna previsione che l’imminente alternativa al dollaro USA dovesse basarsi in gran parte sull’oro? Come definiresti quello che è successo? Quanti danni pratici ha inflitto questo all’economia russa a breve ea medio termine?
Glazyev: La politica monetaria della CBR, attuata in linea con le raccomandazioni del FMI, è stata devastante per l’economia russa. I disastri combinati del “congelamento” di circa 400 miliardi di dollari di riserve valutarie e di oltre un trilione di dollari sottratti all’economia dagli oligarchi nelle destinazioni offshore occidentali, sono avvenuti sullo sfondo di politiche altrettanto disastrose della CBR, che includevano tassi reali eccessivamente alti combinati con un flottante gestito del tasso di cambio. Stimiamo che ciò abbia causato un sottoinvestimento di circa 20 trilioni di rubli e una sottoproduzione di circa 50 trilioni di rubli in beni.
Seguendo le raccomandazioni di Washington, la CBR ha smesso di acquistare oro negli ultimi due anni, costringendo di fatto i minatori d’oro nazionali ad esportare pieni volumi di produzione, che hanno aggiunto fino a 500 tonnellate di oro. In questi giorni l’errore e il danno che ha causato sono molto evidenti. Attualmente, la CBR ha ripreso gli acquisti di oro e, si spera, continuerà con solide politiche nell’interesse dell’economia nazionale invece di “mirare l’inflazione” a beneficio degli speculatori internazionali, come era avvenuto nell’ultimo decennio.
The Cradle: La Fed e la BCE non sono state consultate sul congelamento delle riserve estere russe. Si dice a New York e Francoforte che si sarebbero opposti se gli fosse stato chiesto. Ti aspettavi personalmente il congelamento? E la leadership russa se lo aspettava?
Glazyev: Il mio libro “L’ultima guerra mondiale” che ho già menzionato, pubblicato nel lontano 2015, sosteneva che la probabilità che ciò accada alla fine è molto alta. In questa guerra ibrida, la guerra economica e la guerra informativa/cognitiva sono i principali teatri di conflitto. Su entrambi questi fronti, gli Stati Uniti e i paesi della NATO hanno una schiacciante superiorità e non avevo alcun dubbio che ne avrebbero tratto pieno vantaggio a tempo debito.
Ho discusso a lungo per la sostituzione di dollari, euro, sterline e yen nelle nostre riserve valutarie con l’oro, prodotto in abbondanza in Russia. Sfortunatamente, gli agenti di influenza occidentali che occupano ruoli chiave nelle banche centrali della maggior parte dei paesi, così come le agenzie di rating e le pubblicazioni chiave, sono riusciti a mettere a tacere le mie idee. Per fare un esempio, non ho dubbi sul fatto che alti funzionari della Fed e della BCE siano stati coinvolti nello sviluppo di sanzioni finanziarie anti-russe. Queste sanzioni sono state costantemente intensificate e vengono applicate quasi istantaneamente, nonostante le ben note difficoltà con il processo decisionale burocratico nell’UE.
La Culla: Elvira Nabiullina è stata riconfermata alla guida della Banca Centrale Russa. Cosa faresti diversamente rispetto alle sue azioni precedenti? Qual è il principale principio guida implicato nei tuoi diversi approcci?
Glazyev: La differenza tra i nostri approcci è molto semplice. Le sue politiche sono un’implementazione ortodossa delle raccomandazioni del FMI e dei dogmi del paradigma di Washington, mentre le mie raccomandazioni si basano sul metodo scientifico e sull’evidenza empirica accumulata negli ultimi cento anni nei principali paesi.
La culla: il partenariato strategico Russia-Cina sembra essere sempre più corazzato, come ribadiscono costantemente gli stessi presidenti Putin e Xi. Ma ci sono voci contrarie non solo in Occidente, ma anche in alcuni circoli politici russi. In questo momento storico estremamente delicato, quanto è affidabile la Cina come alleato per tutte le stagioni della Russia?
Glazyev: Il fondamento del partenariato strategico russo-cinese è il buon senso, gli interessi comuni e l’esperienza di cooperazione di centinaia di anni. L’élite dirigente statunitense ha avviato una guerra ibrida globale volta a difendere la propria posizione egemonica nel mondo, prendendo di mira la Cina come principale concorrente economico e la Russia come principale forza di contrappeso. Inizialmente, gli sforzi geopolitici statunitensi miravano a creare un conflitto tra Russia e Cina. Gli agenti dell’influenza occidentale stavano amplificando le idee xenofobe nei nostri media e bloccando qualsiasi tentativo di transizione verso i pagamenti nelle valute nazionali. Da parte cinese, agenti dell’influenza occidentale stavano spingendo il governo ad allinearsi con le richieste degli interessi statunitensi.
Tuttavia, gli interessi sovrani di Russia e Cina hanno logicamente portato alla loro crescente partnership strategica e cooperazione, al fine di affrontare le minacce comuni provenienti da Washington. La guerra tariffaria degli Stati Uniti con la Cina e la guerra delle sanzioni finanziarie con la Russia hanno convalidato queste preoccupazioni e hanno dimostrato il pericolo chiaro e presente che i nostri due paesi stanno affrontando. Interessi comuni di sopravvivenza e resistenza stanno unendo Cina e Russia, ei nostri due paesi sono economicamente in gran parte simbionti. Si integrano e aumentano i vantaggi competitivi reciproci. Questi interessi comuni persisteranno nel lungo periodo.
Il governo cinese e il popolo cinese ricordano molto bene il ruolo dell’Unione Sovietica nella liberazione del proprio Paese dall’occupazione giapponese e nell’industrializzazione della Cina nel dopoguerra. I nostri due paesi hanno una solida base storica per un partenariato strategico e siamo destinati a collaborare strettamente nei nostri interessi comuni. Mi auguro che il partenariato strategico di Russia e RPC, rafforzato dall’accoppiamento della One Belt One Road con l’Unione economica eurasiatica, diventi la base del progetto del Presidente Vladimir Putin del Greater Eurasian Partnership e il nucleo del nuovo ordine economico mondiale.
FONTE: https://www.zerohedge.com/geopolitical/escobar-russian-geoeconomics-tzar-introduces-new-global-financial-system
Gli italiani arrancano su bollette e benzina e l’Eni chiude con un + 300%
«I fatti sono facili facili da mettere sul piatto: l’Eni chiude il primo trimestre con un più 300% rispetto all’anno precedente mentre gli italiani arrancano su bollette e benzina. Ora qualcuno potrebbe contestare la sovrapposizione delle due notizie ma questo è un esercizio arbitrario: c’è chi lo considera demagogico e populista, e chi invece fa notare che Eni è una partecipata di Stato quindi il governo una certa risposta ce la deve dare.A meno che non preferisca andare avanti con le dichiarazioni tipo quelle di Draghi («Preferite la pace o i condizionatori») o quelle di Cingolani che ha parlato di colossali truffe e aumenti ingiustificati». Lo scrive Gianluigi Paragone su Il Tempo.
«l’Eni fa parte del patrimonio italiano? Sì, allora che aiuti famiglie e piccole imprese. – afferma ancora il senatore ex grillino – Altrimenti rischiamo di fare come l’avvocato interpretato da Gigi Proietti che distingueva tra quando il danno finiva solo a danno del cliente e quando il successo era comune. Gli italiani insomma non possono pagare sempre tutti i conti della crisi, prima quella finanziaria poi quella sanitaria e ora quella legata alla guerra in Ucraina».
Sul balletto del gas russo Paragone sottolinea: «Pare ormai assodato che Eni apra – forse lo ha già fatto – un secondo conto presso GazpromBank per la famosa transazione in rubli che chiede Putin al fine di perfezionare l’acquisto del gas russo». Noi de La Pekora Nera ne avevamo già parlato qualche giorno fa, ricordando la poca affidabilità del ministro Di Maio.
FONTE: https://www.lapekoranera.it/2022/04/30/gli-italiani-arrancano-su-bollette-e-benzina-e-leni-chiude-con-un-300/
IMMIGRAZIONI
Immigrati illegali nel Regno Unito riceveranno la prima notifica di trasferimento in Ruanda questa settimana
Scritto da Lily Zhou tramite The Epoch Times,
Il governo del Regno Unito inizierà a informare alcuni immigrati illegali questa settimana della sua intenzione di trasferirli in Ruanda , ha confermato martedì il Ministero dell’Interno.
Il 14 aprile 2022 il ministro dell’Interno britannico Priti Patel e il ministro ruandese per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Vincent Biruta, hanno firmato una “prima al mondo” partenariato per la migrazione e lo sviluppo economico nella capitale della nazione dell’Africa orientale, Kigali. (Flora Thompson /PAPÀ)
I beneficiari saranno avvertiti che potrebbero non essere ammessi al sistema di asilo del Regno Unito perché avevano “viaggiato attraverso paesi sicuri dove avrebbero potuto e dovuto chiedere asilo”, ha affermato il Ministero dell’Interno.
Ha anche affermato che il governo ha il potere di trattenere le persone in attesa della loro rimozione dal Regno Unito.
Ai sensi del nuovo Nationality and Borders Act del Regno Unito, coloro che arrivano illegalmente nel Regno Unito e che avrebbero potuto chiedere asilo in un altro paese sicuro, compresi quelli che hanno attraversato la Manica su piccole imbarcazioni, possono essere considerati “inammissibili” al sistema di asilo del Regno Unito.
I primi voli che spediscono immigrati illegali in Ruanda nell’ambito del nuovo accordo di partenariato per la migrazione e lo sviluppo economico del governo britannico con la nazione dell’Africa orientale dovrebbero decollare nei prossimi mesi, ha affermato il dipartimento, aggiungendo che gli avvocati di alcune delle persone colpite probabilmente presenteranno reclami per fermare la loro rimozione.
In base all’accordo da 120 milioni di sterline (148 milioni di dollari), alcune delle persone che entrano illegalmente nel Regno Unito, comprese quelle che hanno attraversato la Manica su piccole imbarcazioni, devono essere “trasferite in Ruanda per reinsediarsi e ricostruirsi una vita”.
Le domande di asilo presentate da queste persone saranno trattate in Ruanda e ai richiedenti prescelti verrà concesso asilo o lo status di rifugiato nel paese.
Alcuni richiedenti respinti potranno rimanere se si ritiene che abbiano altre esigenze di protezione umanitaria. Ad altri verrà offerta l’opportunità di richiedere altri visti in conformità con le leggi sull’immigrazione ruandese.
Coloro che non sono riconosciuti come rifugiati né hanno ottenuto il permesso di rimanere per altri motivi possono essere espulsi in un paese in cui hanno il diritto di risiedere.
L’accordo richiede inoltre al governo ruandese di adottare “tutte le misure ragionevoli” per “rendere una persona ricollocata disponibile per il rimpatrio nel Regno Unito qualora il Regno Unito fosse legalmente obbligato a facilitare il rimpatrio di quella persona”.
Una foto di un file non datata che mostra un gruppo di persone ritenute immigrati illegali viene portata a Dover, nel Kent, in Inghilterra. (Gareth Fuller/Media PA)
Il ministro dell’Interno Priti Patel ha dichiarato:
“Il sistema di asilo della Gran Bretagna è rotto mentre i criminali sfruttano e contrabbandano persone nel nostro paese a costi enormi per i contribuenti britannici. La partnership migratoria leader a livello mondiale con il Ruanda significa che coloro che effettuano viaggi pericolosi, non necessari e illegali nel Regno Unito possono essere trasferiti in Ruanda per prendere in considerazione le loro richieste di asilo e ricostruire le loro vite lì, aiutando a rompere il modello di business dei trafficanti di esseri umani e prevenire perdita della vita.”
Patel ha affermato che l’avviso di intenti è “solo la prima fase del processo e sappiamo che ci vorrà del tempo poiché alcuni cercheranno di frustrare il processo e ritardare le rimozioni”.
Il ministro dell’Interno ha promesso che “non sarebbe stata dissuasa dall’agire per realizzare i cambiamenti per i quali il popolo britannico ha votato per riprendere il controllo del nostro denaro, delle nostre leggi e dei nostri confini”.
Il Ministero dell’Interno ha affermato che effettuerà una valutazione del rischio caso per caso nel determinare l’idoneità di qualcuno al trasferimento e terrà conto di eventuali vulnerabilità, tra cui disabilità, orientamento sessuale e stato di riassegnazione di genere.
La guida ( pdf ) pubblicata lunedì sera dal Ministero dell’Interno che illustra le principali questioni che un decisore dovrebbe considerare dopo l’emissione di un avviso di intenti, mentre ci sono “alcune prove di discriminazione e intolleranza nei confronti delle persone in base al loro orientamento sessuale e genere identità o espressione”, non è “un rischio sistemico” o equivale a “persecuzione o danno grave”, osservando che la situazione “potrebbe essere diversa per le persone trans”.
Ha anche osservato che è “improbabile” che un immigrato ricollocato corra un rischio reale da “alcune restrizioni alla libertà di parola e/o alla libertà di associazione” in Ruanda.
Secondo la guida, un individuo che teme maltrattamenti in Ruanda a causa delle “loro associazioni o opinioni ‘politiche'” dovrà dimostrare “come e perché probabilmente attirerebbe l’attenzione negativa delle autorità ruandesi” per evitare di essere trasferito nel paese.
I minori di 18 anni non accompagnati che arrivano nel Regno Unito non saranno presi in considerazione per il trasferimento in Ruanda.
Chiunque venga preso in considerazione riceverà un avviso di intenti, con il Ministero dell’Interno che darà la priorità a coloro che arriveranno nel Regno Unito dopo il 9 maggio.
Il Regno Unito sta pagando i costi di elaborazione per ogni persona inviata in Ruanda, inclusi assistenti sociali, accesso a consulenza legale, traduttori, alloggio, cibo, assistenza sanitaria e fino a cinque anni di formazione per favorire l’integrazione.
Venerdì, gli attivisti hanno accusato Patel di politiche “razziste” e “disumane” e l’hanno invitata a revocare l’accordo con il Ruanda durante un discorso che stava tenendo a una cena del Partito conservatore.
Almeno 7.739 persone sono arrivate nel Regno Unito dopo aver attraversato la Manica quest’anno, secondo un’analisi dell’agenzia di stampa della PA sui dati del governo.
Si tratta di oltre tre volte l’importo che era arrivato nello stesso periodo del 2021 (2.439).
FONTE: https://www.zerohedge.com/geopolitical/illegal-immigrants-uk-receive-1st-rwanda-relocation-notification-week
È POSSIBILE FERMARE L’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA? TUTTO QUELLO CHE NON TI DICE LA SINISTRA
Si sente spesso affermare che non vi è alcun rimedio all’immigrazione clandestina, che essa è un fenomeno naturale e del tutto spontaneo e che nessun tipo di politica – sia essa di destra o di sinistra – sarebbe in grado di portare ad una soluzione duratura. Queste sono solo mezze verità.
In realtà, contrariamente a quanto si possa pensare oggi, vi sono diverse “manovre” che potrebbero contrastare, nonché limitare l’immigrazione clandestina. «La ricetta è semplice, ha dichiarato Francesca Totolo, esperta d’immigrazione e geopolitica, «ma fino ad ora è mancata solo la volontà politica».
Gli immigrati non sono profughi
Innanzitutto, è necessario comprendere che, come ha ricordato poco tempo fa l’ONU, la maggioranza dei migranti che approdano sistematicamente sulle nostre coste (circa il 90%) sono di tipo economico, i quali «partono per cercare fortuna e mandare soldi ai parenti».
«Se chiedete [ai migranti]», ha scritto molto coraggiosamente il blogger Alessio Mannino, autore dell’inchiesta Mare Monstrum, «vi diranno che sono partiti dall’Africa, dall’Asia, dall’Est Europa per migliorare le proprie condizioni di vita. Materiali, si capisce. Vogliono diventare come noi, con i comfort di un’esistenza garantita da paghe crescenti e diritti da abitanti del global village».
Dunque, non stiamo parlando di profughi, ossia di persone costrette ad abbandonare la propria terra a causa di guerre, persecuzioni o catastrofi naturali (come spesso vuol far credere la sinistra), ma di veri e propri immigrati economici, che, in quanto tali, hanno il dovere di sottostare alle leggi italiane concernenti le condizioni dello straniero, le quali impongono all’immigrato non europeo che vuole entrare in Italia di possedere un passaporto valido e un visto d’ingresso regolarmente rilasciato dalle autorità diplomatiche o consolari (vedi: D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 4, commi 1 e 2).
Scrive esplicitamente il sito del Ministero dell’Interno: «Il cittadino straniero [non europeo] può entrare in Italia se è in grado di documentare il motivo e le condizioni del soggiorno, oltre alla disponibilità di mezzi sia per mantenersi durante il soggiorno, sia per rientrare nel paese di provenienza […]. Non è ammesso in Italia chi non soddisfa questi requisiti, o è considerato una minaccia per la sicurezza nazionale o di uno dei paesi con cui l’Italia ha siglato accordi per la libera circolazione delle persone tra le frontiere interne».
La permanenza in Italia, tuttavia, è consentita solamente in seguito alla concessione di un permesso di soggiorno con indicati i motivi d’ingresso, i quali devono essere uguali a quelli del visto. Tale permesso, che viene rilasciato dalla questura, ha di norma la stessa durata prevista dal visto d’ingresso, la quale varia a seconda dei motivi per i quali lo straniero è entrato in Italia.
Limitare le richieste d’asilo
Una volta compresa la differenza fra profughi e immigrati economici, occorre instaurare controlli più severi e articolati nell’ambito delle richieste di asilo. Un’inchiesta de Il Giornale ha rivelato infatti che i richiedenti asilo, al fine di farsi accettare come “profughi” dalle commissioni che giudicano i migranti, «s’inventano storie di sofferenze e persecuzioni che non hanno mai subito», ingannando così le autorità italiane ed europee.
«La maggior parte delle storie sono inventate, costruite», ha dichiarato un’interprete che lavora a stretto contatto coi migranti e che preferisce non rivelare la propria identità. «Mi capita spesso di sentir raccontare la stessa identica storia da diversi immigrati».
Tale fenomeno – spesso ignorato dalla sinistra e dalle organizzazioni umanitarie – è stato confermato anche dalla ricercatrice ed esperta di questioni africane Anna Bono, che, in un importante intervento a La Bussola Quotidiana, ha rivelato che migliaia di migranti «hanno raggiunto l’Europa illegalmente e per non essere respinti hanno mentito, sostenendo di essere profughi in fuga da guerre e persecuzioni».
Investire sui rimpatri
Pertanto – cosa più importante – è necessario investire molto più tempo, denaro e risorse sui rimpatri, i quali, fino ad oggi, sono stati invece un vero e proprio flop.
Ogni anno, è stato documentato che «500mila migranti irregolari che si trovano nell’Unione Europea ricevono l’ordine di lasciare il suolo UE e di tornare nel proprio paese d’origine». Ma di essi, solamente il 19% «è effettivamente ritornato nel proprio paese al di fuori dell’Europa». In sostanza, meno di uno su cinque viene rimpatriato!
E l’Italia, assieme alla Grecia, è uno di quei paesi che sta riscontrando «maggiori difficoltà nel rimpatrio degli irregolari». La Corte dei Conti Europea (CCE), in un recente dossier, ha non a caso parlato di gravi «inefficienze nella cooperazione con i paesi non-UE per il rimpatrio dei migranti», come la «mancanza di accordi di riammissione», la «durata della procedura di asilo» e l’assenza di collegamenti «tra le procedure di asilo e il rimpatrio», che ostacola «il coordinamento e la condivisione delle informazioni». Ma, secondo il dossier, un’altra grande «debolezza» è costituita «dalla mancanza di sinergie all’interno dell’UE stessa».
Accordi coi paesi d’origine
Per far fronte a queste «inefficienze» e rendere funzionante e più dinamica la macchina dei rimpatri, occorre tuttavia stipulare nuovi accordi stabili e duraturi coi governi dei paesi d’origine dei migranti (come l’Africa), adottando – quando è possibile – il metodo dei «respingimenti assistiti dei barconi», molto in voga in Australia.
Inoltre – per tagliare la testa al toro – vi è la necessità di istituire vere e proprie campagne informative in tutti i paesi d’origine, al fine di dissuadere le persone dai propositi migratori e consapevolizzarle sul fatto che rimanere in patria è la cosa più giusta da fare, sia per loro che per noi. Parallelamente, occorre dare un importante e significativo contributo allo sviluppo delle economie locali, soprattutto a quelle africane, la cui sorte – ha spiegato lo storico francese Dominique Venner – è strettamente «legata a quella dell’Europa».
Creazione di hotspot
Ma non è tutto. Sempre rimanendo nell’ottica del contrasto extra-nazionale dell’immigrazione clandestina, occorre cominciare ad investire nella creazione dei cosiddetti hotspot, ossia strutture allestite per identificare, registrare, fotosegnalare e raccogliere le impronte digitali dei migranti nei paesi di transito (come la Libia).
Tali strutture, gestite da un personale altamente qualificato (come gli agenti della polizia di frontiera, insieme ad esperti locali e di Europol, Eurojust, Frontex), hanno inoltre il compito di trattenere i migranti in attesa del rimpatrio o di un eventuale trasferimento in un paese europeo, se giudicati “veri” profughi.
ONG
Questa strategia, adottata di recente dal governo australiano, è senza dubbio in antitesi alle attività pro-immigrazioniste e anti-identitarie delle ONG (Organizzazioni non governative), le quali – come è risaputo – «causano un aumento delle partenze dei barconi», determinando una netta crescita dell’immigrazione clandestina in Italia e in Europa.
Ecco perché le ONG – italiane e straniere – impegnate sul nostro territorio nazionale e nelle nostre acque devono essere subito messe al bando e le loro attività di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina immediatamente fermate.
È inoltre curioso il fatto che, a fine agosto di quest’anno, ventuno ONG, in collaborazione con l’Associazione degli Studi Giuridici per l’Immigrazione, abbiano puntato il dito contro l’UE, «evocando il dovere di soccorrere» i migranti. Esse, stando ai documenti, desiderano «interrompere i finanziamenti a Frontex, l’Agenzia Europea della Guardia di Frontiera e Costiera, e dirottare le risorse in un programma di ricerca e salvataggio [dei migranti] nel mar Mediterraneo»: un progetto che, se preso sul serio, porterebbe sulle nostre coste altre migliaia di irregolari in pochissimi anni, minacciando seriamente la nostra identità.
Cosa stiamo aspettando?
Per concludere, non resta che domandarci: per quale motivo il governo non ha la volontà politica di contrastare questa immigrazione clandestina, che, solo da inizio anno a fine estate, ha causato oltre mille vittime, fra morti e dispersi? Perché rimanere passivi dinanzi a tutto questo? Non è forse l’articolo 52 della Costituzione italiana a riconoscere che: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino»? Cosa stiamo aspettando? Multum….viva vox facit!
Di Javier André Ziosi
FONTE: https://www.ardire.org/2021/10/13/e-possibile-fermare-limmigrazione-clandestina-tutto-quello-che-non-ti-dice-la-sinistra/
LA LINGUA SALVATA
Retropensiero
re-tro-pen-siè-ro
SIGNIFICATO Pensiero nascosto, che non si vuole esprimere; scopo recondito, secondo fine
ETIMOLOGIA composto di retro- e pensiero, è calco del francese arrière-pensée.
«Credo non si sia fatto vedere per non disturbare, o forse perché non ti voleva incontrare — non so quali siano i retropensieri che lo tengono lontano.»
È una parola spesso usata con un certo compiacimento, ed è semplice capire perché: parlare di retropensiero, cioè di pensieri nascosti e fini non dichiarati, ammanta il discorso d’intelligenza, di un’intelligenza che indovina l’occulto — adombrando perfino una certa qual lettura del pensiero.
Ha uno smalto che si fa notare. Ricalcando il francese arrière-pensée, ci presenta un dietro le quinte, un retrobottega in cui accadono cose diverse o inattese rispetto a quello che si vede sul palco o al bancone. Conosciamo soltanto azioni e manifestazioni del pensiero: ciò che sta dietro, l’intenzione, resta la parte sommersa dell’iceberg. Per questo il ventaglio dei suoi significati è così articolato: il retropensiero può essere il semplice sottinteso, il pensiero che meramente non è stato esplicitato. Ma può anche essere quello che non è stato esplicitato per qualche motivo strutturato, che non abbiamo osato manifestare, o che magari dà forma a scopi reconditi, a secondi fini.
Quindi possiamo parlare del retropensiero che porta a chiedere un ulteriore controllo, di quello che trattiene dal fare un’osservazione critica, del retropensiero che sorregge una dichiarazione politica, del retropensiero che annusiamo sotto un comportamento bizzarro dell’amico, del retropensiero che non sospettavamo fosse nella mente della persona che all’improvviso avanza richieste drammatiche, o che tradisce.
È una parola che ha proprio in questa versatilità e incisività di rappresentazione il suo punto di forza: se ragioniamo dei disegni che stanno dietro a un atto, abbiamo già abbandonato l’osservazione del pensiero per analizzare un piano; se parliamo di fini, intenzioni, scopi che occultamente muovono qualcuno, cerchiamo di mettere a fuoco una direzione, un obiettivo, non un pensiero. Se invece parliamo di mero pensiero (senza retro-) — del pensiero che sorregge la dichiarazione, del pensiero annusato sotto al comportamento — allora non riusciamo a cogliere in purezza una porzione di pensiero reticente: magari ci tiriamo dentro anche posizioni generali, artificiose, artate. Ecco: proprio qui sta il punto determinante.
Nel concetto di ‘retropensiero’ c’è una certa aspettativa di autenticità. È còlto così com’è (o si crede che sia) in una sorta di accesso documentaristico a una fase precedente a quella in cui il pensiero è pronto per mostrarsi. Quasi di sorpresa. Come quando si sbircia nel laboratorio di pasticceria e vediamo il pasticcere con le dita nel naso — ma in un atto mentale che vuole essere un po’ più elevato. Tirando in ballo il retropensiero, dietro gli effetti sbirciamo le articolazioni magmatiche e riservate di cause mentali, nella spontaneità del loro assetto.
Parola pubblicata il 07 Maggio 2022
FONTE: https://unaparolaalgiorno.it/significato/retropensiero
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
La fredda primavera del lavoro
di coniarerivolta
L’aprile che abbiamo vissuto non è di certo quello che sognavamo ad inizio anno, tra una guerra che non mostra segnali di arresto, una pandemia che ancora produce morte, e le bollette di gas e luce che continuano a galoppare. In questo quadro, tutt’altro che sereno, una notizia sembra riportare una ventata d’aria fresca per il mondo del lavoro: l’ISTAT ha appena calcolato che nel 2022 i salari nominali cresceranno dello 0.8% rispetto allo scorso anno. Per quanto sia una crescita flebile, verrebbe da tirare una boccata d’ossigeno, in quanto questo dato sembrerebbe indicare che i lavoratori, nonostante tutto, stiano preservando i propri standard di vita.
Purtroppo, non è così. Infatti, la crescita media delle buste paga non sarà sufficiente a compensare la crescita dei prezzi. A riprova di ciò, la stessa ISTAT stima per il 2022 un aumento del costo della vita (la temutissima inflazione) del circa il 6%: tradotto, se i salari nominali crescono di un non nulla, i prezzi dei beni e dei servizi comprati dai lavoratori crescono sensibilmente, sei volte tanto, con una conseguente perdita di potere d’acquisto di circa il 5%.
Si tratta di numeri puri e semplici che certificano il peggioramento delle condizioni materiali dei lavoratori, che, per l’effetto combinato di un aumento dei prezzi e dei salari pressoché stagnanti, vedono ridotta, in maniera significativa, la loro capacità di spesa e quindi il proprio livello di benessere. E c’è di peggio. I salari reali – ossia rapportati all’andamento dei prezzi – potrebbero ridursi ancora di più del 5% se la guerra dovesse prolungarsi fino alla fine dell’anno, poiché il prolungamento del conflitto proietterebbe l’inflazione in tutta Europa sopra la doppia cifra.
Nonostante questa chiara evidenza, le trombe del padronato non smettono di squillare. Ci ha pensato il presidente di Confindustia, Carlo Bonomi, a suonare la carica, definendo gli imprenditori italiani degli “eroi civili” che stanno facendo di tutto per contenere l’inflazione.
Il pensiero di Bonomi è riassumibile come segue. L’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime iniziato nel 2021 è figlio innanzitutto del rallentamento della produzione causato dalle misure di contenimento della pandemia, a fronte del rapido recupero della domanda globale dell’anno passato. Questi rincari sono stati in seguito esacerbati dalle recenti vicende belliche e geopolitiche, che hanno interessato due economie relativamente piccole su scala globale, ma molto importanti nell’approvvigionamento di materie prime strategiche (gas, grano, risorse minerarie), mettendo di fatto le imprese di fronte ad una scelta: da un lato, aumentare i prezzi di vendita (e quindi soffiare sul fuoco dell’inflazione) per preservare i propri utili; dall’altro, ridurre i propri margini di profitto per evitare che l’aumento dei costi dei materiali e dell’energia si traduca in incrementi dei prezzi dei beni e servizi finali, mettendo a repentaglio le proprie quote di mercato. Non è dato sapere quale sia la strada che effettivamente sia stata percorsa (secondo Bonomi, la seconda delle due): sta di fatto che nessuna delle due contempla (e chi l’avrebbe mai detto…) uno spazio per l’aumento dei salari dei lavoratori.
In altri termini, secondo Confindustria le imprese italiane, evitando che i salari crescano, starebbero facendo il possibile per contenere l’inflazione, ed in questo modo dando manforte alla ripresa dell’intera economia italiana. È vero tutto il contrario. Non solo Bonomi utilizza l’inflazione come una clava contro il lavoro, agitandola come uno spauracchio per erodere potere d’acquisto e quote di reddito ai lavoratori, ma questo approccio ha anche il piccolo difetto di comprimere ulteriormente i consumi e la domanda interna, finendo per essere deleterio anche per le prospettive di crescita. È la stessa Confindustria, del resto, ad essere in prima linea nella battaglia per evitare i rinnovi dei contratti collettivi, i quali implicherebbero aumenti salariali (lo stesso Bonomi ha definito ‘un ricatto’ la proposta del ministro Orlando di subordinare sussidi di Stato alle imprese a dei fantomatici aumenti salariali).
Pandemia e guerra, due piaghe di enorme rilevanza, non colpiscono tutti allo stesso modo. Nello specifico contesto del mercato del lavoro italiano, caratterizzato da rapporti di forza già fortemente squilibrati, un continuo processo di precarizzazione e la conseguente frenata delle retribuzioni reali, gli accadimenti degli ultimi anni stanno rappresentando una ghiotta occasione per spostare ulteriormente l’ago della bilancia dalla parte delle imprese.
Difenderci dal carovita è possibile, a patto che le retribuzioni crescano almeno in linea con i prezzi, e ai padroni sia impedito di scaricare questi aumenti salariali su ulteriori aumenti dei prezzi. Solo in questo modo si contrasta l’inflazione e si difende il potere d’acquisto dei lavoratori. Ciò comporterebbe, ancor più inevitabilmente in un contesto di crescita dei costi delle materie prime, una riduzione dei margini di profitto. Ecco spiegato perché Bonomi continua a ripetere che l’aumento del costo del lavoro metterebbe “in grave difficoltà” le imprese. È attraverso queste lenti che dobbiamo leggere le parole dei rappresentati del mondo confindustriale, sempre al fronte quando si tratta di evitare che i profitti vengano erosi.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/22996-coniarerivolta-la-fredda-primavera-del-lavoro.html
PANORAMA INTERNAZIONALE
Michael Brenner, “American dissent on Ukraine is dying in darkness”, ovvero “tempi da canaglia”
di Alessandro Visalli
Nel blog “Scheerpost”, un sito collettivo da tenere d’occhio, è riportata un’intervista[1] di Robert Scheer[2] all’anziano professor Michael J. Brenner[3], illustre professore emerito di Affari internazionali presso la Università di Pittsbourgh, e prima della John Hopkins e Direttore del Programma Studi Globali e Relazioni Internazionali dell’Università del Texas, poi insegnante a Stanford, al Mit, ad Harvard.
L’ottantenne professore avvia la conversazione raccontando un’esperienza personale: come usa a molti da anni diffondeva analisi politiche sulla situazione mondiale ad una selezionata mailing list di corrispondenti. Avendo condiviso analisi sulla crisi ucraina non corrispondenti alla linea ufficiale ha ricevuto un tale violento tenore di risposte da essere costretto a concluderne che la società americana “non è in grado di condurre un onesto, logico, ragionevolmente informato discorso sulla questione”. In altre parole, non esiste su questi temi una reale sfera pubblica, sostituita da fantasia, falsificazioni, fabbricazioni di informazioni, faziosità e aggressione. Il crollo dell’infrastruttura della democrazia liberale arriva al punto che uscire dalla linea, anche parlando con corrispondenti storici legati da vincoli di rispetto e amicizia, comporta immediati attacchi personali.
Questo lo vediamo benissimo anche in Italia, sono “tempi da canaglia”, come ebbe a dire Lillian Helman[4] durante il McCartismo.
Bisogna notare che quel che Brenner ha fatto, nel suo post incriminato, non è niente altro di quel che ogni buon accademico dovrebbe fare normalmente: porre domande. Ovvero, come dice il conduttore, “quel che ha fatto tutta la vita”.
L’accademico conferma infatti di aver mandato i commenti ad una lista di circa 5.000 persone che erano in contatto da un decennio, ed erano tutti addetti al settore. Ma in questo caso persone che sono normalmente sobrie ed equilibrate, vecchie conoscenze, mediamente impegnate e ben informate sulle questioni di politica estera, si sono abbandonate ad attacchi al patriottismo dello scrivente; alcuni hanno alluso a che l’ex funzionario del Dipartimento della Difesa si sia fatto pagare da Putin; altri che sia semplicemente pazzo. Quel che ha sbalordito, inoltre, Brenner è che persone di grande competenza specifica hanno “comprato” ogni aspetto della “storia immaginaria” propagata dall’amministrazione Usa, e quindi accettata ed interamente inghiottita dai media e dalla classe politico-intellettuale. Accettata ed inghiottita anche da molti accademici e dall’intera galassia dei think thank di Washington.
Una questione di “patriottismo”, evidentemente.
La conclusione che ne trae il nostro è che ormai le parole cadono nel vuoto; quel che si registra è la totale cancellazione della sfera pubblica[5] e l’affermazione in sua vece di un discorso cristallizzato, uniforme, e insensato. Ovvero “privo di qualsiasi logica interiore”. Nel quale il nesso tra premesse ed obiettivi e conseguenze è reso oscuro e inarticolato. Si tratta di quel che chiama un “nichilismo politico ed intellettuale”. Per la prima volta nella sua vita di insider di successo Brenner ha dunque “sentito di non far parte di questo mondo”.
Concordo con lui[6].
Questo è senz’altro il primo punto. La nozione di ‘patria’, totalmente aderente al ristretto grumo di interessi e cognizioni espresso dal sistema politico-sociale dominante, e dai suoi ambienti di riferimento, è diversa da quella che un ex insider, altamente professionalizzato, ma da tempo ‘fuori dai giochi’ (l’autore ha circa ottanta anni) considera evidentemente, anche se implicitamente, essere la propria. La responsabilità di Brenner è verso l’America, come si vede nella conversazione, ma dove questa è piuttosto l’insieme del suo popolo e destino che non il ristretto, immediato, miope, istinto predatorio di ristretti circoli bi-partizan dominanti.
Il secondo punto viene evocato subito da Scheer, ed è una traccia che più di uno individua[7]: mentre nella Guerra Fredda tutte e due le parti erano disposte a negoziare, e le controparti erano “molto serie”, anche quando si chiamavano Mao Zedong, improvvisamente in questo caso Putin è stato messo fuori del genere umano, nella “categoria Hitler”. C’è un salto generazionale qui, una caduta di competenza diffusa nell’ambiente decisionale, probabilmente una radicale differenza nelle esperienze formative.
La critica di Brenner, che della Guerra Fredda è stato uno dei protagonisti (comunque coinvolto), è che in ogni analisi si deve partire da alcuni fondamentali:
- che natura ha il regime russo,
- quali obiettivi ha,
- che preoccupazioni in politica estera e per la sicurezza nazionale.
Partendo dalla prima questione per il nostro il regime russo non è una dittatura, Putin non è un dittatore, non è onnipotente ma è espressione del paese e della sua leadership collettiva. Il governo russo ha processi decisionali complessi. Aggiungo che sono di tipo democratico-elettorale (si è usato talvolta il termine ‘democratura’ per indicare il carattere non ‘standard’ nei canoni occidentali del sistema russo).
Inoltre, “Putin stesso è un pensatore straordinariamente sofisticato”[8].
“Non conosco, infatti, nessun leader nazionale che abbia esposto nei dettagli, con precisione e raffinatezza la sua visione del mondo, il posto della Russia in esso, il carattere delle relazioni interstatali, con il candore e l’acutezza che ha. Non è una questione se credi che quella rappresentazione che offre sia del tutto corretta, o la conclusione che ne trae, per quanto riguarda la politica. Ma avete a che fare con una persona e un regime che per aspetti vitali è l’antitesi di quello che è caricaturato e quasi universalmente accettato, non solo nell’amministrazione Biden ma nella comunità della politica estera e nella classe politica, e in generale”.
Ma questo modo di distorcere i fatti in effetti solleva domande basilari. Non sulla Russia, che è quel che è, ma sugli Usa. La domanda che fa Brenner nella parte di gran lunga più interessante dell’intervista è: “di cosa abbiamo paura? Perché gli americani si sentono così minacciati, così ansiosi?” Abbastanza evidentemente la minaccia è piuttosto dalla Cina, solo che con questa azione di “incoraggiamento” sta formando con la Russia ed altri un blocco che insieme è “formidabile”. Ma anche quella cinese è una sfida alla supremazia ed egemonia americana, non direttamente al paese, la Cina non è espansionista, come dirà dopo.
Se questo è vero, la vera domanda diventa: “cosa c’è di così convincente nel mantenimento e nella difesa di una concezione della provvidenziale nascita degli Stati Uniti d’America nel mondo, che costringe a vedere persone come Putin [che non la riconoscono] come diaboliche”? Ovvero a paragonarle a Stalin e Hitler e ridicolmente accusarle di genocidio? È qui interessante l’uso appropriato della parola “diaboliche”, perché la domanda ha uno sfondo teologico e non politologico. Brenner tocca un punto molto noto dell’autorappresentazione storica della élite angloamericana (ovvero della minoranza relativa Wasp, che detiene saldamente l’egemonia negli Usa almeno da ‘600), come popolo di destino, incaricato da Dio di portare la cittadella celeste sulla terra. Chi si oppone a Dio è sempre un diavolo.
Dunque la fonte della inquietudine, e l’esatta nozione di ‘patriottismo’ all’opera, è dentro, non è fuori nel mondo. Gli americani non sono inquieti (ovviamente le élite Wasp e i loro cooptati) per qualcosa che riguarda veramente la Russia, o la stessa Cina, ma per qualcosa che riguarda il favore del cielo, per così dire. Il problema è che vedere il mondo in questo modo, decisamente premoderno, porta a “grossolane distorsioni” e condurrà al disastro.
Ciò anche perché questa volta non si sta andando a spianare un paese piccolo, una potenza marginale o al massimo media, come l’Afghanistan, l’Iraq o il vecchio Vietnam. Ma si sta facendo quel che durante l’intera Guerra fredda la saggezza di entrambe le parti evitò. Confrontarsi con un’enorme potenza nucleare (su questo specifico terreno anche più forte degli Usa). Quel che è accaduto è un passaggio generazionale tra coloro che, come Brenner, erano nati negli anni ’40 o prima, ed avevano visto una poliarchia di potere come contesto di crescita, e coloro che sono nati negli anni ’80 o ’90 oggi al posto di comando nelle amministrazioni chiave, che sono cresciuti nella “fase unipolare”. I secondi hanno dimenticato il rischio della guerra nucleare, anche accidentale, con il pilota automatico. Inoltre, hanno perso lo stesso concetto di negoziare con un nemico che non puoi semplicemente annientare, al tempo negoziarono con Mao, e lo fece Nixon. Oggi con un nemico molto meno radicale, ideologicamente vicino, sembra impossibile.
Oggi la componente neoconservatore, falchi estremi, che aveva definito al tempo dei due Bush lo schema della “Global Security”[9], è passata, dice Scheer, nel Partito Democratico. Si sta quindi manifestando quella che Brenner chiama direttamente una “psicopatologia collettiva”. Ovvero, questo è molto interessante, “ciò che si ottiene in una società nichilista in cui tutti i tipi di punti di riferimento standard e convenzionali cessano di servire come marcatori e linee guida su come si comportano gli individui”. Una società che cancella la storia vive in un presente scheletrico e svuotato, che si dimentica totalmente anche dell’esistenza stessa delle armi nucleari. Mentre prima, nel periodo di formazione ed azione pubblica dei due dialoganti, “ogni leader nazionale e ogni governo nazionale che aveva la custodia di armi nucleari era giunto alla conclusione e aveva assorbito la verità fondamentale che non svolgevano alcuna funzione utilitaristica”, ora non è più così. Ora questa consapevolezza resta solo al Pentagono, che lo studiano, devono professionalmente studiare anche la storia della Guerra Fredda e delle armi. In sostanza si è in un ‘territorio’ nel quale non si è mai stati. Uno in cui si potrebbero usare le armi nucleari, anche per errore, perché nessuno sembra davvero preoccuparsene.
Considerando questa considerazione di sfondo, ed causa di questo orientamento antropologico e teologico, oltre alla distruzione della consapevolezza storica si è affermata una narrativa completamente distorta.
Per Brenner, che ricordo essere uno studioso esperto e più che referenziato, ex consulente del Foreign Service Institute, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e Westinghouse, i punti da rivedere nella narrazione sono:
- La crisi che porta alla invasione russa ha poco a che fare con l’Ucraina. Mentre ha a che fare con la Russia e con la politica estera americana, volta da almeno un decennio solo a renderla debole e incapace di affermarsi negli affari europei. L’obiettivo di questa politica è uno: “vogliamo che la Russia sia emarginata, neutralizzata come potenza in Europa”. Quel che risulta frustrante è che Putin è riuscito a ricostruire una Russia stabile che ha un suo proprio senso dell’interesse nazionale e che ha una visione del mondo diversa da quella Usa.
- Putin e la Russia non sono interessati all’espansione.
- L’Ucraina è per loro decisiva, non solo per ragioni storiche e culturali, ma perché sullo sfondo della storia russa è intollerabile che aderisca alla Nato e diventi organicamente un paese nemico. Per dare forse un’idea, aggiungo, potrebbe essere come se il Texas aderisse ad una potenza ostile e nemica.
- Putin nel continuum degli atteggiamenti dei ceti decisionali russi, da falco a colomba, è sempre stato più vicino alle seconde. Quasi tutte le forze più potenti ritengono, ben più di Putin, che la Russia è stata sfruttata dall’Occidente e che la politica accomodante e di adesione o di riconoscimento come attore legittimo (più volte tentata da Putin) sia illusoria. Se cambierà il governo russo sarà solo in peggio.
- Ci sono prove convincenti che quando Biden è salito al potere “ha preso la decisione di creare una crisi sul Donbass per provocare la reazione militare russa ed usarla come base per consolidare l’Occidente, unificandolo”. Costringendo in particolare l’Europa a schiacciarsi sulla strategia americana.
- Un obiettivo atteso era destabilizzare la Russia, causando la caduta di Putin, ma questa ipotesi non è plausibile. Solo persone come Blinken, Sullivan e Nuland possono crederci.
- Per ottenerlo hanno iniziato per otto anni a rafforzare l’esercito ucraino, con armamenti e consulenti, probabilmente forze speciali sul campo (Usa, britanniche e francesi).
- L’assalto al Donbass è stato pianificato, con una decisione finale assunta a novembre ed una data di attacco in massa fissata a febbraio dagli Usa. A febbraio, seconda settimana, Biden disse che se l’invasione russa fosse stata limitata allora ci sarebbe stata discussione entro la Nato per la risposta, oltre le sanzioni, ma se fosse stata massiccia (come è stata), allora tutti sarebbero stati d’accordo di “uccidere il Nord Stream II”[10] e prendere misure senza precedenti verso la Banca centrale russa.
- I russi hanno capito tutto il piano di gioco e che sarebbe accaduto presto.
- quando il 18 febbraio l’Ucraina ha intensificato di 30 volte i bombardamenti sul Donbass, poi ancora di più il 21, i russi hanno agito prima dell’offensiva generale perché militarmente era l’unica cosa da fare ormai.
Tutta questa cronologia è l’esatto opposto della “storia di fantasia” che pervade il discorso pubblico.
Questo significa difendere Putin? L’ex consulente americano ammette di trovare molto difficile difendere, o giustificare, qualsiasi grande azione militare che possa portare a simili conseguenze sanguinose. Salvo che per autodifesa.
Ma, qui una delle frasi probabilmente più sconvolgenti dell’intervista: “ma sai, è lì che siamo”.
“se ci fosse stato l’assalto ucraino pianificato sul Donbass, Putin e la Russia sarebbero stati in guai reali, se si fossero limitati a rifornire le milizie del Donbass. Perché dato il modo in cui avevamo armato e addestrato gli ucraini, non potevano davvero sopportarli. Quindi quella sarebbe stata la fine. La subordinazione della popolazione russa e la soppressione della lingua russa, che sono tutti passi che il governo ucraino ha portato avanti e ha nel lavoro”.
Chi si sta realmente difendendo è la Russia, non l’Ucraina.
Chiunque dicesse una cosa del genere sarebbe immediatamente accusato di essere “putiniano”, pazzo, e, ovviamente, di non essere un “patriota”, dunque di essere un traditore al soldo del nemico. Cosa che, in effetti, è stato detto dell’ottantenne professore di Relazioni Internazionali ex di Harvard, del Mit, della John Hopkins, Università del Texas, e del ex consulente della Difesa.
Quel che succede, in effetti, è che gli Usa possono ben essere nazionalisti (ma non si sentono tali, perché non si sentono una nazione, ma un popolo in missione di Dio), ma nessun altro è autorizzato ad esserlo. Sono solo gli Stati Uniti ad essere i depositari dei valori di Libertà e Giustizia. Non riconoscono più nessuna aspirazione agli altri. Ma nel farlo hanno compiuto il miracolo di unire Russia e Cina che sono da sempre in frizione reciproca.
Quel che accade quindi è niente di meno che “il sistema mondiale viene trasformato dalla formazione di questo nuovo blocco sino-russo, che incorpora sempre altri paesi, tra cui l’Iran”. In pratica le sanzioni, fuori del mondo strettamente Occidentale, sono state sostenute solo da due nazioni: Giappone e Corea del Sud. Semplicemente tutta l’Asia, l’Africa, l’America Latina, non le stanno osservando. Qualcuno agisce lentamente, per timore delle ritorsioni americane, ma non le seguono.
Ne consegue che l’intera Grande Strategia americana sta fallendo, sia nel separare Russia e Cina, sia nel disgregare la Russia. Fallisce perché fondata su una mancata comprensione della situazione e premesse sbagliate. Tutto, sostiene Brenner, era in effetti fondato su una “arroganza assolutamente senza precedenti”, peculiarmente americana, ovvero sulla “fede che siamo nati in una condizione di virtù originale, e siamo nati con una sorta di missione provvidenziale per condurre il mondo a una condizione migliore e più illuminata”. La “singolare nazione eccezionale”, che ha la libertà di giudicare tutti gli altri.
Questa idea ha anche condotto a cose buone, ma ora è diventata “così pervertita” ed incoraggia e giustifica gli Stati Uniti a sentirsi il giudice di ultima istanza, unto da Dio, per decidere cosa è legittimo e cosa non lo è. Quindi quali interessi nazionali, autodefiniti da altri governi, si possono accettare e quali no. Tutto questo “è assurdo nella sua arroganza” e sfida la logica. Noi americani, abbiamo dimenticato, sostiene, sia la moderazione basata su una “umiltà politico-ideologica” sia qualunque base di realismo. In sostanza, e qui si arriva ad un altro punto molto profondo dell’analisi, “viviamo in un mondo di fantasia, una fantasia che chiaramente serve alcuni bisogni psicologici vitali del paese americano, e specialmente delle sue élite politiche”.
In sostanza le élite politiche, la cui legittimazione strettamente democratica è sempre più incerta (in un paese nel quale pochi votano, le elezioni si risolvono per manciate di voti e sempre contestati aspramente) fondano la propria legittimità su un’autoattribuita “responsabilità custodiale per il benessere del paese e della sua gente”. Questo ruolo dei “custodi” (come al tempo scriveva anche Robert Dahl) viene però alla fine tradito, per le conseguenze che si stanno prefigurando. La legittimazione custodiale non è, infatti, ex ante, derivante dalla formazione legittima del consenso, ma ex post, per le conseguenze desiderabili.
Tra le conseguenze c’è l’effetto che il vecchio establishment repubblicano neoconservatore, diventato democratico (una cosa che, probabilmente, è accaduta durante la presidenza Trump, quando settori di insider sono transitati) ha involontariamente provocato. Designando contemporaneamente come nemici la Cina e la Russia li hanno saldati. Un paese enorme, sottopopolato, con immani risorse energetiche e minerali, con un paese sovrappopolato, ricchissimo ed industriale, scarso di tali risorse. Per effetto gli Usa, dice Scheer potrebbero avviarsi alla decadenza come la vecchia Roma.
In un altro podcast[11] del medesimo sito Ellen Brown aggiunge un angolo del motivo per il quale potrebbe crollare: l’attacco del paese con più risorse minerarie del mondo al petrodollaro, seguito da Cina, India. Turchia e Arabia Saudita (oltre a Iran, Venezuela ed altri), può avere ripercussioni globali per decenni e portare alla fine del predominio del dollaro. Cosa che potrebbe rapidamente portare ad una crisi di fiducia verso una moneta che ha alle spalle un paese iperindebitato, che ha debiti con l’estero per 30 trilioni di dollari e paga interessi enormi. Per dare un’idea, per rallentare l’inflazione che è in parte un effetto del disordine commerciale giù preesistente alla guerra ed in parte della tempesta energetica, in altra parte della espansione monetaria senza limiti degli ultimi quindici anni, la Fed sta aumentando i tassi. Ma facendolo salgono gli interessi. E alcune proiezioni dicono che gli interessi sul debito (che le spese di guerra incrementano) finirà per assorbire la metà delle risorse fiscali americane. Un modo antico per reagire sono i bottini di guerra, che è quel che è stato fatto alle riserve russe (e iraniane, venezuelane, etc.). Tutti finiranno per scappare dalla nave.
D’altra parte, più l’America si presenta al mondo come l’unico paese illuminato, civile, democratico, patria della libertà, e presenta tutti coloro che non lo accettano come nemici della civiltà, più gran parte del mondo li considereranno una sorta di Impero romano impazzito. Questo mentre, ricorda Brenner, piuttosto la Cina non è mai stata interessata nella sua storia a conquistare altre società e governare altri popoli. “Non sono mai stati nel business della conquista”.
La questione non è che la Cina potrebbe mandare i suoi soldati a passeggiare a Washington, la minaccia che sentono gli Stati Uniti è di altro genere, e più esistenziale: l’abilità economica del sistema cinese, qualunque cosa sia, risale ad un modello diverso. Questo è molto minaccioso “perché -attenzione- mette in discussione la nostra auto-definizione come naturale punto culminante del progresso e dello sviluppo umano”. La sfida è quindi politica, di filosofia sociale, economica e solo da ultimo e secondariamente, militare.
Per tutto questo, semplicemente, non c’è posto nella concezione americana di ciò che è reale e naturale. Questo guida l’ansia e paranoia per la Cina, per questo non ci sono alternative a distruggerla. Non c’è dialogo possibile.
Non è possibile fare ciò che dovrebbe essere giusto:
“si sviluppa un dialogo con i cinesi che richiederà anni, che sarà continuo, in cui si cerca di elaborare i termini di una relazione, su un mondo che sarà diverso da quello in cui ci troviamo ora, ma che certamente soddisferà i nostri interessi e preoccupazioni di base così come quelli della Cina. Concordare le regole della strada, ritagliarsi anche aree di convergenza. Sai, un dialogo di civiltà”.
Un dialogo di civiltà che la Cina chiede insistentemente e che un importante diplomatico altamente ostracizzato da oltre 10 anni, Chas Freeman[12] (che era giovane quando Nixon visitò Pechino e lo accompagnò), tenta inutilmente di suggerire. Lui ormai, semplicemente non esiste. E si tratta di una persona che Brenner definisce: incredibilmente intelligente, acuto, sofisticato, superiore per molti ordini di grandezza ai pagliacci che ora stanno facendo la politica cinese. O un illustre politologo conservatore realista come John Mearsheimer in questo recente intervento “How is it look when looking at Us story”[13].
La sinistra previsione finale è che giungeremo ad una crisi del genere della Crisi dei Missili a Cuba, probabilmente a Taiwan, a seguito di una guerra convenzionale che perderemo.
Crisi alla quale, per la qualità del personale (i “pagliacci”) che guidano l’amministrazione Usa, ma non solo[14], dimentica di tutto e di ogni prudenza, “spero che sopravviviamo”.
Note
[1] – Michael J. Brenner, “American dissent on Ukraine is dying in darkness”, Scheerpost, 15 aprile 2022.
[2] – Robert Scheer è un giornalista esperto, autore della famosa intervista a Carter uscita su Play Boy e poi di altre con Richard Nixon, Ronald Reagan, Bill Clinton per il Los Angeles Times. Dal 1964 al 1969 è stato corrispondente dal Vietnam, mentre dal 1976 al 1993 è stato corrispondente per il Los Angeles Times su temi di politica internazionale. E’ co-conduttore del programma radiofonico “Left Right and Center” su KCRW. Scheer Intelligence è un podcast di KCRW. Autore di otto libri.
[3] – Michael J. Brenner, professore emerito di Affari Internazionali presso l’Università di Pittsburgh e Fellow del Center for Transatlantic Relations presso SAIS/Johns Hopkins. È stato Direttore del Programma di Relazioni Internazionali e Studi Globali presso l’Università del Texas. E’ autore di numerosi libri e oltre 80 articoli e pubblicazioni. I suoi lavori più recenti sono: “Promozione della Democrazia e Islam”; “Paura e terrore in Medio Oriente”; “Verso un’Europa più indipendente”; “Personalità pubbliche narcisistiche e i nostri tempi”. I suoi scritti includono libri con la Cambridge University Press (“Nuclear Power and Non-Proliferation”), il Center for International Affairs dell’Università di Harvard (“The Politics of International Monetary Reform”) e la Brookings Institution (“Reconcilable Differences, US-France Relations In The New Era”). I suoi interessi di ricerca riguardano la politica estera americana, la teoria delle relazioni internazionali, l’economia politica internazionale e la sicurezza nazionale. Brenner ha precedentemente lavorato presso il Foreign Service Institute, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e Westinghouse.
[4] – Lilliam Hellman, “Scoundrel time”, New York Times Book, 1972
[5] – Ovvero l’infrastruttura fondamentale della democrazia liberale, che in assenza di un’area di discussione in linea di principio libera dal dominio e soggetta alla costrizione dell’argomento migliore, è del tutto svuotata e coincidente con un’oligarchia con una ritualità periodica. Cfr. Jurgen Habermas, “Storia e critica dell’opinione pubblica”, Laterza 1971 (ed.or. 1962).
[6] – Per un mondo del quale si può far parte invito piuttosto ad ascoltare questo postcast “The Chris Hedges report with dr. Cornel West”.
[7] – Ad esempio, Jurgen Habermas, “Guerra ed oltraggio”, Süddeutsche Zeitung, 29 aprile 2022.
[8] – Per averne una verifica si può leggere in italiano, Vladimir Putin, “Di fronte alla storia. Obiettivi e strategie della Russia”, PGreco, 2022.
[9] – Ovvero garantire “il libero e regolare accesso alle fonti energetiche, anzitutto il petrolio, all’approvvigionamento delle materie prime, della libertà e sicurezza dei traffici marittimi ed aerei, della stabilità dei mercati mondiali, in particolare di quello finanziario”. Si veda Danilo Zolo, “Cosmopolis. La prospettiva del governo mondiale”, Tempofertile, 2 maggio 2022.
[10] – L’uccisione del “Nord Stream II”, obiettivo di lungo periodo dell’amministrazione Usa, rende l’Europa dipendente dall’intermediazione dei paesi di passaggio del gas russo e riduce la sua flessibilità energetica.
[11] – Robert Scheer intervista Ellen Brown sulla crisi dell’economia mondiale. Si può leggere anche “Chi ha ucciso il cervo? Della guerra tra moneta e merci”, Tempofertile, 25 aprile 2022.
[12] – Vicesegretario alla Difesa per gli affari di sicurezza internazionale dal 1993 al 1994 ed ex ambasciatore degli Stati Uniti in Arabia Saudita durante le operazioni Desert Shield e Desert Storm. Freeman è noto in ambito diplomatico per essere stato vice segretario di Stato per gli affari africani durante la storica mediazione statunitense per l’indipendenza della Namibia dal Sud Africa e del ritiro delle truppe cubane dall’Angola. Ha inoltre lavorato come Vice Capo Missione e Incaricato d’Affari nelle ambasciate americane sia a Bangkok (1984-1986) che a Pechino (1981-1984). Dal 1979 al 1981 è stato Direttore per gli Affari Cinesi presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ed è stato il principale interprete americano durante la storica visita del presidente Richard Nixon in Cina nel 1972. Autore di Chas Freeman, “Arts of Power: statecraft and diplomacy”, United States Institute of Peace Press, 1997
[13] – John Mearsheimer, “How is it look when looking at Us story”, 29 aprile 2022.
[14] – Il 27 aprile il Ministro degli Esteri britannico, Liz Truss (a proposito delle donne che non fanno la guerra), alla City Mansion House ha ribadito che:
– Il Regno Unito ha inviato armi e addestrato le truppe ucraine molto prima che la guerra iniziasse.
– Questo è il momento del coraggio, non della cautela. E dobbiamo garantire che, insieme all’Ucraina, i Balcani occidentali e paesi come la Moldavia e la Georgia abbiano la resistenza e le capacità per mantenere la loro sovranità e libertà.
– La politica della porta aperta della Nato è sacrosanta. Se la Finlandia e la Svezia scelgono di unirsi in risposta all’aggressione russa, dobbiamo integrarle il prima possibile.
– la guerra in Ucraina è “is our war”.
– la sicurezza euro-atlantica e quella indo-pacfica sono indissolubili, bisogna contrastare sia la Russia che la Cina e c’è bisogno di una “Global NATO”.
– “Your Excellencies, ladies and gentlemen, geopolitics is back!”. Il suo discorso qui.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/geopolitica/22992-alessandro-visalli-michael-brenner-american-dissent-on-ukraine-is-dying-in-darkness-ovvero-tempi-da-canaglia.html
La Cina elude le sanzioni contro la Russia: dove sono le “conseguenze”?
La roulette russa
di Fabio Falchi – 28/04/2022
Fonte: Fabio Falchi
“Non accettiamo i ricatti dei russi” ha affermato von der Leyen, che evidentemente, come la stragrande dei politici europei (Draghi incluso), non si è ancora resa conto che la Russia è in guerra non solo contro l’Ucraina ma contro la Nato che oltre a consegnare armi di ogni genere all’esercito ucraino che sta combattendo contro l’esercito russo, collabora con lo stato maggiore ucraino, dato che l’apparato militare di Kiev è ormai “integrato” nel sistema di comando, controllo e comunicazioni della Nato.
In gioco quindi per Mosca non c’è soltanto la sicurezza del Donbass ma quella della Russia stessa, tanto più che il ministro della Difesa americano ha dichiarato che lo scopo della Nato è mettere la Russia nelle condizioni di non potere più rappresentare una minaccia per qualsiasi Stato. In altri termini è quello di infliggere una sconfitta alla Russia tale che non possa più muovere guerra a nessun Paese. E questo sarebbe possibile, ovviamente, solo se la Russia non esistesse più o non fosse più uno Stato in grado difendere la propria indipendenza e sovranità.
La guerra, anche mediatica ed economica, che l’Occidente a guida angloamericana di fatto sta combattendo contro la Russia quindi ha scopi ben diversi dalla necessità di garantire l’indipendenza e la sovranità dell’Ucraina, e conferma invece la “percezione della realtà” che hanno i russi (si badi, non solo quella di Putin), vale a dire che la Russia adesso è impegnata in una lotta per la vita o per la morte. Perciò Putin, sapendo di contare sul sostegno del popolo russo, che non ha certo dimenticato la Seconda guerra mondiale, al riguardo è stato chiarassimo: la Russia è disposta ad andare fino in fondo, costi quel che costi.
Non è dunque Putin ad essere prigioniero della propria propaganda come sostengono i media occidentali, ma sono i politici e i media occidentali che rischiano di essere prigionieri della propria propaganda. Manca cioè in Occidente la percezione del pericolo reale che si sta correndo e non si può ritenere che limitarsi ad affermare che si devono muovere mari e monti per aiutare la resistenza ucraina sia una strategia politica razionale, sempre che non si pensi che l’Ucraina possa resistere “da qui all’eternità”.
L’Ucraina e gli angloamericani vogliono cioè “vincere” la guerra contro la Russia. Ma che significa “sconfiggere la Russia”? I successi tattici degli ucraini possono anche essere notevoli ma non possono cambiare i reali rapporti di forza sotto il profilo strategico. O si può forse davvero credere che l’esercito ucraino riconquisti l’intero Donbass e pure la Crimea, e che quindi i russi si arrendano agli ucraini e accettino di subire una sconfitta disastrosa?
La Nato può prolungare questa guerra, ma non all’infinito, e più passa il tempo e peggio diventa la situazione non solo per l’Ucraina ma per l’intera Europa. Trattare del resto, non significa affatto arrendersi. E le condizioni per trattare ci sono, senza che vi sia bisogno di sacrificare “sull’altare” del realismo geopolitico l’indipendenza e la sovranità dell’Ucraina. Casomai, indipendentemente da quelle che possono essere le colpe della Russia, si tratta di non difendere il “narcisismo identitario” degli ucraini e di non condividere l’immagine fasulla della realtà diffusa dai media occidentali e dalla Nato ovvero dagli angloamericani che sembrano disposti a combattere contro la Russia fino all’ultimo ucraino e anche fino all’ultimo europeo.
Washington e Londra stanno cioè giocando alla roulette russa anche con le nostre vite, perché ciò che preme davvero agli angloamericani – che di fatto hanno il controllo del regime ucraino, dato che ormai quest’ultimo dipende militarmente ed economicamente dagli aiuti occidentali – è non certo cercare una soluzione diplomatica di questo conflitto, bensì cercare di “dissanguare” la Russia, anche a costo di rischiare una guerra nucleare, perché, se non lo si fosse ancora capito, è questo il rischio che si sta correndo. D’altronde, anche la geopolitica ha le sue leggi e solo il realismo geopolitico può evitare che la sua meccanica sia irreversibile.
Ecco perché nessuno vuole parlare della Svezia
di Johan Anderberg – Istituto Brownstone
La storia della Svezia diventa sempre di più il punto oscuro di tutta la vicenda del Covid. Una storia semplice: in Svezia sono state prese poche restrizioni, enormemente meno che in altri paesi europei. Ciononostante, l’epidemia di Covid ha colpito la Svezia molto meno pesantemente dei paesi “chiusuristi.” Certo, uno si può avvitare su vari e ragionamenti per intorbidare le acque (ma la Norvegia…), ma i numeri sono quelli.
Questo articolo di Johan Andeberg è particolarmente interessante perché va a esaminare il meccanismo psicologico e narrativo di come la gente è stata spaventata fino a credere che l’epidemia fosse enormemente più grave di quanto non lo fosse realmente. Basta un dato: nel 2020, gli americani avevano sopravvalutato la mortalità da virus di un fattore di oltre 200 volte. Altri paesi non avevano fatto molto meglio. L’Italia non era stata esaminata, ma vi posso dire a livello informale che avevo fatto un sondaggio simile con i miei studenti – tutti ragazzi bene avanti negli studi universitari – e avevano sopravvalutato la letalità del Covid di almeno un fattore 20.
Come mai? Andeberg se ne viene con una frase lapidaria che spiega tutto: “Per la maggior parte della gente, le cifre non significavano nulla.”
Ed è proprio così, purtroppo. Per la maggior parte dei cittadini, è difficile ragionare in termini quantitativi. È difficile fare comparazioni fra cifre diverse, anche concetti semplici come le percentuali non sono chiare a tutti. Per cui, la narrativa vince sul ragionamento. Questa è una cosa che i politici hanno scoperto da un pezzo e ci marciano sopra alla grande. Per cui, succedono le cose che succedono.
(Prof. Ugo Bardi)
* * * *
Quando, l’estate scorsa, i risultati della prima ondata di Covid hanno cominciato ad essere conteggiati dai media, c’erano diversi modi di misurare la devastazione. Un modo di guardare alla pandemia era concentrarsi su quante persone erano morte – più di mezzo milione in tutto il mondo alla fine di giugno. Un altro era cercare di valutare i complicati impatti delle varie misure prese per combattere il virus. Quando molte funzioni della società sono state congelate, molta gente si è trovata in difficoltà – specialmente i più vulnerabili.
Per coloro che preferivano la prima prospettiva, c’erano molti dati a cui appoggiarsi. Registrazioni meticolose del numero di morti venivano tenute nella maggior parte dei paesi, specialmente quelli ricchi, e presentate in grafici eleganti su vari siti: il sito della Johns Hopkins University, Worldometer, Our World in Data.
Era molto più difficile misurare le conseguenze delle chiusure. Sono apparsi qua e là come aneddoti e cifre sparse. Forse il dato più eclatante veniva dagli Stati Uniti: alla fine dell’anno accademico, un totale di 55,1 milioni di studenti erano stati colpiti dalla chiusura delle scuole.
Ma, ancora, il bilancio delle morti era più interessante. All’inizio dell’estate, il New York Times aveva pubblicato una prima pagina completamente priva di immagini. Invece, conteneva una lunga lista di decessi: un migliaio di nomi, seguiti dalla loro età, dalla località e da una descrizione molto breve. “Alan Lund, 81 anni, Washington, direttore d’orchestra con ‘l’orecchio più incredibile’”; “Harvey Bayard, 88 anni, New York, è cresciuto proprio di fronte al vecchio Yankee Stadium”. E così via.
Il redattore nazionale del New York Times aveva notato che il numero di morti negli Stati Uniti stava per superare i 100.000 e quindi voleva creare qualcosa di memorabile – qualcosa che si potesse guardare indietro tra 100 anni per capire cosa stava succedendo nella società americana. La prima pagina ricordava l’aspetto di un giornale durante una guerra sanguinosa. Portava alla mente il modo in cui le stazioni televisive americane avevano riportato i nomi dei soldati caduti alla fine di ogni giorno durante la guerra del Vietnam.
L’idea si diffuse rapidamente in tutto il mondo. Qualche settimana dopo, in Svezia, la prima pagina del Dagens Nyheter era coperta da 49 fotografie a colori sotto le parole: “Un giorno, 118 vite”. Quelle 118 persone erano morte il 15 aprile. Era il più alto numero di morti giornalieri registrato in tutta la primavera. Da allora, cominciò a diminuire costantemente.
Quando l’epidemiologo Johan Giesecke lesse il giornale, lo lasciò un po’ perplesso. In un qualsiasi giorno normale, 275 persone muoiono in Svezia, pensò. Aveva passato gran parte della sua vita a studiare proprio questo: dove, quando e come muoiono le persone. Il modo in cui il mondo pensava attualmente alla morte era, per lui, completamente alieno. Quando aveva partecipato ad una conferenza online a Johannesburg, un partecipante aveva fatto notare che, solo in quell’anno, più di 2 milioni di persone erano morte di fame nel mondo. Durante lo stesso periodo, Covid-19 aveva fatto tra 200.000 e 300.000 vittime.
Giesecke si sentiva come se il mondo stesse attraversando un disastro globale auto-inflitto. Se le cose fossero state semplicemente lasciate al loro corso, tutto sarebbe già finito. Invece, milioni di bambini sono stati privati della loro istruzione. In alcuni paesi, non avevano nemmeno il permesso di andare nei parchi giochi. Dalla Spagna arrivavano storie di genitori che si intrufolavano nei garage con i loro figli per farli correre.
Decine di migliaia di interventi chirurgici sono stati rimandati dai servizi sanitari. Gli screening per tutto, dal cancro al collo dell’utero alla prostata, sono stati messi in pausa. Questo non stava accadendo solo in altri paesi. Anche la Svezia aveva visto la sua giusta quota di decisioni particolari. La polizia svedese non aveva testato i conducenti per l’ubriachezza per mesi, per paura del virus. Quell’anno, non sembrava così grave se qualcuno veniva ucciso da un guidatore ubriaco.
Stava diventando ovvio che i media, i politici e il pubblico avevano difficoltà a valutare i rischi del nuovo virus. Per la maggior parte delle persone, le cifre non significavano nulla. Ma hanno visto i servizi sanitari venire sopraffatti in diversi paesi. Hanno sentito le testimonianze di infermieri e medici.
Qua e là nel mondo – in Germania, Regno Unito, Ecuador – la gente era scesa in strada per protestare contro le regole, le leggi e i decreti che limitavano le loro vite. Da altri paesi giungevano notizie che le persone stavano iniziando a trasgredire le restrizioni. Ma la forza della resistenza rimaneva più debole di quanto Giesecke si aspettasse. Non c’era stata nessuna rivoluzione francese, nessun contraccolpo globale.
Una spiegazione per la passività dei cittadini potrebbe essere stata la copertura della mortalità del virus nei media; sembrava che fossero stati influenzati da un’immagine non contestualizzata di quanto fosse seria la pandemia di Covid-19. Durante la primavera e l’estate, la società di consulenza globale Kekst CNC aveva chiesto alla gente di cinque grandi democrazie – Regno Unito, Germania, Francia, Stati Uniti e Giappone – ogni genere di cose relative al virus e alla società. Il sesto paese del sondaggio era la Svezia. La Svezia era molto più piccola degli altri paesi, ma è stata inclusa a causa del percorso unico che stava facendo attraverso la pandemia.
Le domande riguardavano tutto, dalle opinioni delle persone sulle azioni intraprese dalle autorità, allo stato del mercato del lavoro, e se pensavano che i loro governi stessero fornendo sufficiente supporto al commercio e all’industria. Il dodicesimo e ultimo argomento del sondaggio conteneva due domande: “Quante persone nel tuo paese hanno avuto il coronavirus? Quante persone nel tuo paese sono morte?”. Nello stesso momento in cui arrivavano cifre sempre più affidabili riguardo all’effettiva mortalità del Covid-19, c’era ora uno studio sul numero dei morti percepiti dai cittadini.
Negli Stati Uniti, l’ipotesi media a metà luglio era che fosse morto il 9% della popolazione. Se questo fosse stato vero, avrebbe corrisposto a quasi 30 milioni di americani morti. Il numero di morti è stato quindi sovrastimato del 22.500% – o 225 volte tanto. Nel Regno Unito, così come in Francia e in Svezia, il numero di morti è stato centuplicato. L’ipotesi svedese del 6% avrebbe corrisposto a 600.000 morti nel paese. A quel punto, il bilancio ufficiale delle vittime era più di 5.000 e si avvicinava a 6.000.
Riportare l’ipotesi media è stato forse un po’ travisato, poiché alcune persone hanno risposto con numeri molto alti. Nel Regno Unito, la risposta più comune era che era morto circa l’1% della popolazione – in altre parole, molto meno della media del 7%. Ma era comunque una cifra che sovrastimava il numero di morti di più di dieci volte. A questo punto, 44.000 britannici erano stati registrati come morti da Covid- o circa lo 0,07% della popolazione.
La suddivisione dei numeri mostrava ulteriormente che più di un terzo degli inglesi rispondeva con una cifra superiore al 5% della popolazione. Questo sarebbe stato come se l’intera popolazione del Galles fosse morta. Avrebbe significato molte volte più britannici morti di Covid-19 che durante l’intera Seconda Guerra Mondiale – vittime civili e militari incluse.
La retorica di guerra brandita dai leader del mondo aveva avuto un impatto. I cittadini credevano davvero di stare vivendo una guerra. Poi, dopo due anni di pandemia, la guerra finì. Non c’erano più giornalisti stranieri alle conferenze stampa dell’Agenzia Svedese per la Salute Pubblica. Nessun americano, britannico, tedesco o danese chiese perché le scuole rimanessero aperte o perché il paese non fosse stato chiuso.
In gran parte, questo perché il resto del mondo aveva tranquillamente iniziato a convivere con il nuovo virus. La maggior parte dei politici del mondo aveva perso le speranze sia sulle chiusure che sulla chiusura delle scuole. Eppure, considerando tutti gli articoli e i segmenti televisivi che erano stati prodotti sull’atteggiamento stupidamente libertario della Svezia nei confronti della pandemia, considerando il modo in cui alcune fonti di dati erano state citate quotidianamente dai media mondiali, questa improvvisa mancanza di interesse era strana.
Per chiunque fosse ancora interessato, i risultati erano impossibili da negare. Alla fine del 2021, 56 paesi avevano registrato più morti pro capite per Covid-19 della Svezia. Per quanto riguarda le restrizioni in cui il resto del mondo aveva riposto tanta fiducia – chiusura delle scuole, serrate, maschere per il viso, test di massa – la Svezia era andata più o meno nella direzione opposta. Eppure i suoi risultati non erano sensibilmente diversi da quelli degli altri paesi. Cominciava a diventare sempre più chiaro che le misure politiche che erano state messe in campo contro il virus avevano un valore limitato. Ma nessuno ne parlava.
Da un punto di vista umano, era facile capire perché così tanti erano riluttanti ad affrontare i numeri della Svezia. Perché l’inevitabile conclusione doveva essere che a milioni di persone era stata negata la libertà e milioni di bambini avevano avuto la loro educazione interrotta, tutto per niente.
Chi vorrebbe essere stato complice di questa follia?
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/22867-johan-anderberg-ecco-perche-nessuno-vuole-parlare-della-svezia.html
SCIENZE TECNOLOGIE
“Auto Elettriche: la Commissione Europea ha Mentito spudoratamente a 450 milioni di Europei”
Conoscenza al confine, 26 04 2022
IASTEC (International Association of Sustainable Drivetrain and Vehicle Technology Research) è un’organizzazione di scienziati, insegnanti e ingegneri europei coinvolti nella “transizione” che le tecnologie di trasporto terrestre devono subire per conformarsi alla transizione energetica decisa dall’Unione Europea.
In altre parole, la voce più importante interessata da questa “transizione” è il trasporto automobilistico. La corsa a capofitto verso l’ignoto si è accelerata negli ultimi anni dopo il “diesel-gate” e l’apparizione di una serie di regole che restringono l’uso di veicoli a benzina o diesel che non rispettano le nuove norme sulle emissioni di gas serra. Questi standard emessi dai funzionari della Commissione europea non hanno altro scopo, tra l’altro poco velato, che promuovere i veicoli elettrici.
Esaminando le linee guida della Commissione, infatti, è diventato chiaro che i calcoli presentati dalla Commissione per sostenere il caso dei veicoli elettrici sono sbagliati. Questo è stato dimostrato in una lettera alla Commissione europea da IASTEC, co-firmata da un gruppo di 12 accademici, presieduti dal dottor Thomas Koch del Karlsruhe Institute of Technology.
È un po’ complicato da capire, ma la Commissione ha sovrastimato di un fattore 3 la riduzione delle emissioni di CO2 da parte delle auto “completamente elettriche”, senza tener conto delle energie intermittenti come l’energia solare ed eolica nel calcolo fatto da questi eminenti professori.
La Commissione ha deliberatamente non incluso nelle sue affermazioni il fatto che molti carburanti liquidi al carbonio contengono fino al 40% di carburante “verde”, etanolo o oli vegetali. Né la Commissione ha tenuto conto dei miglioramenti tecnici dei motori a combustione interna per funzionare correttamente con combustibili come il G40 o l’R33, che in teoria producono meno CO2 di origine fossile, poiché una parte – fino al 40%, della CO2 emessa – si dice sia “rinnovabile”.
Le decisioni prese dalla Commissione, che tutti i paesi europei devono rispettare recependole nella loro legislazione nazionale, sono quindi sbagliate. Ovviamente, poiché queste decisioni mirano a proteggere il clima, devono essere applicate alla lettera.
Siamo quindi di fronte a un’accozzaglia di bugie…
I tempi saranno duri per molti europei quando scopriranno che la loro vecchia auto “diesel” sarà tassata a tal punto da doverla cambiare, ma non avranno abbastanza denaro per permettersi un’auto completamente elettrica.
Il prezzo di questi veicoli (BEV nella lettera aperta inviata alla Commissione) aumenterà inesorabilmente data la già prevista scarsità di cobalto e litio. L’industria automobilistica tradizionale scomparirà per un’alternativa sconosciuta. Ecco a cosa è arrivata l’Unione Europea…
Qui puoi scaricare il Documento Originale Ufficiale spedito da 12 accademici in relazione alla Truffa perpetrata dall’Unione Europea, in formato PDF: https://iastec.org/wp-content/
Fonte originale: iastec.org
Rivisto da Conoscenzealconfine.it
Fonte: https://toba60.com/auto-
Riferimento:
FONTE: https://www.conoscenzealconfine.it/auto-elettriche-la-commissione-europea-ha-mentito-spudoratamente-a-450-milioni-di-europei/
STORIA
HITLER VOLEVA LA GUERRA? VERITÀ E MENZOGNE SULLE ORIGINI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
Chi ha provocato la Seconda guerra mondiale? Questa domanda se la poneva lo storico Romolo Gobbi nel lontano 1995. E in un suo libro importante, ma debitamente ignorato dai mass-media di allora e di oggi, rispondeva: «Dunque, la guerra scoppiò per una serie di errori e non per la malvagità di Hitler». Poi chiamò in causa il celebre storico inglese A. J. P. Taylor, che, fin dal 1961, aveva rotto il ghiaccio, facendo con parecchio anticipo un revisionismo radicale e spostando le responsabilità dalla Germania alla Francia e all’Inghilterra, prima, e a USA e URSS, poi.
Cosa “revisionava” in concreto Taylor? Semplicemente faceva vedere quanto strumentali e di comodo fossero le attribuzioni a Hitler di tutte le responsabilità per lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Ricordava che le vere istigatrici furono in realtà le “democrazie” occidentali; sottolineava che, a guerra vinta in Polonia e sul fronte occidentale, Hitler offrì svariate volte una pace equilibrata agli Alleati, addirittura garantendo la conservazione dei loro imperi coloniali, ma che questi rifiutarono, dando quindi corso alla carneficina degli anni seguenti. Taylor scrisse che «certo, la fuga nell’irrazionalità è più facile. La colpa della guerra si può attribuire al nichilismo di Hitler anziché alle deficienze e agli errori degli statisti europei…».
Le prove che Hitler nel 1939 non voleva la guerra sono sempre state conosciute. Solo che, a parte pochi studiosi “eroici”, nessuno le hai mai considerate. Come numerose sono le prove che a volerla furono i franco-inglesi.
La divulgazione di massa, sotto la spinta di interessi di bottega, ha imposto un altro dogma, utile a garantire la coscienza pulita a chi invece aveva lungamente tramato: tutta la colpa al Terzo Reich e al pazzo fanatico di Berlino, questo l’ordine di scuderia: e al diavolo i documenti. Tanto a scrivere la storia sono sempre i vincitori e a difendere Hitler non ci penserà certo nessuno.
Senza volerlo, ci pensò invece Taylor, storico perfettamente democratico, che non aveva una sua tesi preconcetta da dimostrare per forza, non doveva difendere nessuno, non andava in cerca di scuse per accusare a vanvera questo o quello. Scriveva solo pagine di storia. E raggiunse le sue conclusioni soltanto attingendo dalla documentazione esistente. Senza forzature. E affermò che «Hitler era lungi dal preparare una grande guerra» a Occidente. E che – incredibile – non la voleva neppure contro la Polonia: «La distruzione della Polonia non faceva parte del suo progetto originario; al contrario, egli aveva desiderato risolvere la questione di Danzica in modo tale che i rapporti tra Germania e Polonia restassero buoni».
Solo dopo la garanzia della Gran Bretagna alla Polonia, dell’estate 1939, concepita appositamente come provocazione, Hitler si irrigidì e si decise a distruggere la Polonia. Essa era uno Stato semi-fascista e accesamente antisemita, ricordiamolo, che in quanto a persecuzione degli Ebrei non aveva proprio nulla da imparare dalla Germania nazista, ma di cui gli Alleati si presero improvvisamente a cuore la causa, dopo aver lasciato a Hitler la Cecoslovacchia, che, al contrario, era uno dei pochi Stati europei dell’epoca a regime parlamentare e liberal-democratico. L’ipocrisia degli Alleati, di presentarsi come i difensori della “democrazia”, a questo punto appare in tutto il suo volto grottesco.
Una delle prove che la Germania non voleva una guerra allargata, ma al massimo gestire un conflitto locale, sta nel fatto che, dopo la campagna a Est del ’39, l’esercito tedesco rimase privo di riserve, e pressoché completamente scoperto a Ovest. Avesse voluto un regolamento dei conti con gli Alleati, Hitler in quel momento avrebbe mobilitato ben altrimenti la sua macchina da guerra. Queste le considerazioni di Taylor, prontamente occultate dai padroni del pensiero.
Gobbi, nel suo libro, rinforzava il tutto asserendo che Hitler verso il suo nemico fu artefice di un gesto di cavalleria più unico che raro nella Storia mondiale. Aveva a portata di mano la più facile e schiacciante delle vittorie, ma si astenne dal coglierla per esclusivi motivi politici, cioè per non umiliare il Regno Unito e ben predisporlo alla pace. Quando, nel giugno del ’40, arrestò i Panzer davanti a Dunkerque, dove centinaia di migliaia di inglesi in fuga si ammassavano per reimbarcarsi, si può dire col senno di poi che Hitler commise il suo più grande errore militare, ma lo commise per troppa generosità e per motivi di conciliazione politica: «Dunque, l’aver lasciato fuggire i soldati inglesi da Dunkerque», scriveva Gobbi, «non era un errore, ma una mossa per facilitare le trattative di pace…Ma da parte dell’Inghilterra giunse dopo un’ora un “no!” reciso».
È del resto noto che Churchill proibì alla radio inglese la diffusione dei vari messaggi di pace che Hitler lanciò uno dopo l’altro nel ‘40, per evitare che si formasse un’opinione pubblica favorevole alla pace.
Ma Gobbi, nel suo esplosivo libretto, affermò anche molte altre cose. Ad esempio, che l’Europa del Nuovo Ordine Europeo non era affatto un inferno, ma un progetto politico seguito dalle masse: «Nella mitologia antifascista tutti questi paesi risultavano oppressi dal “tallone d’acciaio” del nazi-fascismo, ma la realtà sconvolgente è che in tutta l’Europa vi era un consenso diffuso al fascismo, compresa la libera Svizzera».
Frasi pesanti. Ma Gobbi andava oltre. Ricordò che la guerra nel Pacifico e nel Sud-Est asiatico venne subdolamente provocata da Roosevelt e dal suo entourage in lunghi mesi di studiata provocazione del Giappone: l’embargo al Sol Levante cui furono costrette le Indie Olandesi e i possedimenti inglesi mise in ginocchio il Giappone, lo esasperò, spingendolo a gesti disperati per sopravvivere. Proprio quello che si voleva a Londra, ma soprattutto a Washington, dove si cercava da un pezzo qualcosa che rimuovesse lo sgradito isolazionismo americano: «Anche in questo caso dunque la scelta della guerra venne fatta non da chi è tradizionalmente considerato l’aggressore e cioè il Giappone, ma da chi lo costrinse deliberatamente a farla».
L’attacco di Pearl Harbor, in cui morirono migliaia di marinai americani, fu la bella notizia che Roosevelt e i suoi amici armatori e industriali aspettavano. Inoltre, Gobbi ricordava che la storiografia del dopoguerra – ad esempio R. E. Sherwood, sin dal ’49 – non aveva mancato di far notare che Roosevelt era circondato «dalla “cricca nefasta” dei suoi stretti collaboratori composta dal giudice Felix Frankfurter, Samuel Rosenman e David K. Niles, tutti e tre ebrei».
Comunque sia, l’America ebbe la sua guerra e «finalmente il ristagno dell’economia che il New Deal non era riuscito a eliminare venne completamente superato».
Gobbi – che, ricordiamo, è uno storico di sinistra – nel suo libro lamentava che il suo testo fosse stato rifiutato con imbarazzo da numerose case editrici, e che alla fine dovette accontentarsi di farlo pubblicare dalla piccola ma prestigiosa editrice Muzzio di Padova. C’è da capirlo. Questioni come queste, “revisionismi” come questo, sono intollerabili per chi gestisce l’opinione pubblica e dirige il conformismo a senso unico. E non tutti hanno il coraggio di perseguire la verità, specie se sgradita.
Oggi apriamo un altro piccolo libro, Le origini della seconda guerra mondiale di Richard Overy, e vi troviamo pari pari le medesime affermazioni di Gobbi. A mezza bocca, con qualche reticenza opportunistica, ma insomma la verità esce fuori: «La causa della Seconda guerra mondiale non fu semplicemente Hitler: la guerra fu provocata dall’interazione tra fattori specifici», che in soldoni riguardano il declino economico del capitalismo delle “democrazie” occidentali e il loro urgente bisogno di uscirne attraverso una guerra di proporzioni mondiali.
Overy, di cui è uscito anche Sull’orlo del precipizio. 1939. I dieci giorni che trascinarono il mondo in guerra, non è neppure lui un bieco fascista alla ricerca di notorietà. È uno storico “democratico” più onesto di tanti altri e meno disposto di loro ad occultare le evidenze documentali. Emilio Gentile, su Il Sole 24 Ore, recensendo i due libri di Overy, ha ammesso a sua volta, a proposito del Führer, che «non è tuttavia provato che egli volesse deliberatamente scatenare, proprio in quel momento, una guerra europea o addirittura mondiale». E allora? Non era il pazzo che voleva dominare il mondo?
Il gioco delle “grandi democrazie” viene scoperto in tutta la sua doppiezza e improntitudine da Overy, quando ricorda che Gran Bretagna e America – imperi mondiali – accusavano paradossalmente la Germania – piccola nazione centro-europea del tutto priva di colonie e possedimenti – di volersi appunto impadronire niente meno che del mondo, secondo una retorica falsificatoria che ancora oggi, come tutti sanno, ha un larghissimo corso. Le classi dirigenti anglosassoni temevano una crescita della Germania e del Giappone e, nel suo piccolo, anche dell’Italia. Non perdonarono a quei paesi di fare una politica libera. Dovevano fare una politica inglese. La classe dirigente “democratica”, di fronte alla crisi economica, preferì fare la guerra piuttosto che ridistribuire il potere mondiale con i nuovi arrivati: «Questa classe dirigente si arrogò il ruolo di giudicare gli interessi nazionali; anziché affrontare la realtà del declino, che era stato la prima causa della crisi, essa scelse una strategia di deterrenza e contenimento, e infine la guerra stessa». Viene allora da chiedersi: in tutto questo la Germania, l’Italia e il Giappone – nazioni emergenti che semmai avevano problemi di crescita e certo non di declino economico – che c’entravano?
Oltre a questo, per concludere un argomento tanto vasto nel breve spazio di un articolo, non possiamo non ricordare il recente libro del russo Constantine Pleshakov, Il silenzio di Stalin, in cui si dimostra che l’attacco di Hitler all’Unione Sovietica del 22 luglio ’41 non fu per nulla il frutto della bramosia hitleriana di conquista, ma una necessità vitale: Stalin aveva intenzione di attaccare di lì a poco, approfittando che la Germania era ancora impegnata contro l’Inghilterra. Stava per questo ammassando truppe alla frontiera e venne anticipato solo di un soffio: di qui il famoso shock emotivo che paralizzò di paura il dittatore georgiano per diversi mesi.
Neanche la tanto sbandierata “aggressione” tedesca alla Russia comunista, dato che fu provocata dal comportamento sovietico, sarebbe quindi da ascrivere a Hitler. Il quale pertanto, stando ai risultati di tutti questi storici, non fu colpevole di aver scatenato una guerra mondiale (Overy ricorda tra l’altro che la dichiarazione di guerra la fecero la Francia e l’Inghilterra alla Germania, e non il contrario) e, anche nel caso della guerra a Oriente, come già facevano i Romani al tempo della loro repubblica, il dittatore tedesco si limitò a veder giusto, anticipando il nemico di un minuto, non facendo insomma nulla di diverso da una delle tante, millenarie “guerre preventive” di cui sono piene le pagine di Storia.
Di Luca L. Rimbotti (da: Il Fondo)
FONTE: https://www.ardire.org/2021/09/23/hitler-voleva-la-guerra-verita-e-menzogne-sulla-seconda-guerra-mondiale/
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