RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
12 MAGGIO 2021
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
È saggio mantenere un segreto,
ma è stupido credere che altri lo facciano.
(Samuel Johnson)
In: MARCO TAISA, Aforismi sulla stupidità umana, Barbera editore, 2010 pag. 87
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SOMMARIO
CIA e servizi segreti? Zitti, è un segreto!
Rapimenti CIA in Italia, una rete occulta?
Anche i supereroi si piegano al politicamente corretto
Le donne che dicono no al Ddl Zan
La burocrazia in Italia è tra le peggiori al mondo
Lo sfratto
Israele sprofonda nella Terza Intifada
Quali sono le vere ragioni dietro la Nuova Guerra Fredda?
Nella poesia di Broch la forma è sostanza
FRANCESCO MUSOTTO: PERSONAGGIO TRA STORIA E METASTORIA
Ecco i 5 Stati Ue “complici” della Cia
L’ex capo centro della CIA Robert Gorelick in Italia al master di Intelligence
Nell’America della paranoia security 16 agenzie di spionaggio
I servizi segreti russi sventano un attentato al presidente Lukašenko
Mutuo a tasso variabile? Cosa accadrà (presto)
Tutti i numeri del “salvataggio” della Grecia
“Connessioni” di Francesca Sifola
FALÒ DEL RISPARMIO: CHIUSURA DEI CONTI CORRENTI
SALE LA FEBBRE DELLE SPAC (VIDEO)
FALÒ DEL RISPARMIO: CHIUSURA DEI CONTI CORRENTI
Offese a Mattarella, perquisito e indagato il professor Gervasoni, editorialista de “Il Giornale”
LA COSTITUZIONE STABILISCE LA PREMINENZA DELLA VOLONTÀ DEGLI ITALIANI
SBAI: “SPARANO AI NOSTRI PESCATORI E NOI FACCIAMO ENTRARE MIGRANTI”
Antilingua
L’Europa terreno di manovra della strategia Usa-Nato
Le rivolte contadine in Europa Occidentale tra il XIV e il XV secolo (prima parte)
IN EVIDENZA
CIA e servizi segreti? Zitti, è un segreto!
Il vero complotto è insistere a dire che non esistano complotti
“Vertice tra 007 italiani e CIA a Roma in vista della visita di Mattarella: Non s’è parlato di Russiagate”, intitolava ieri l’Huffingtonpost. Ma anche noi non ci siamo scostati più di tanto e abbiamo pubblicato un articolo del tutto simile, del resto nel ribattere le agenzie di stampa di spazio per interpretazioni e approfondimenti ce n’è ben poco. Per fortuna esiste ancora lo spazio ‘opinioni’ dove si può provare ad andare un po’ al di là della visione ‘acqua e sapone’ di un mondo in cui i servizi segreti di una nazione dominante si incontrano con quelli di una controllata per semplicemente suggerire come meglio condurre una visita di Stato. Dico ‘ancora’ perché anche lo spazio opinioni tende sempre più a ridursi nel giornalismo moderno per lasciare campo magari al ben più remunerativo in termini di visualizzazioni ‘infotainment’ (informazione / intrattenimento). Per certi versi tutto ciò è anche un bene considerando che la maggior parte delle opinioni sui giornali è comunque illeggibile e che si trova di ben più profondo e ardito sulle pagine dei vari blogger che, tra l’altro, sui social scrivono anche meglio e gratis. Ad ogni modo, proviamo ad approfittare di questi spazi editoriali ancora disponibili per provare a raccontare una storia un po’ meno edulcorata su quelli che sono stati i veri rapporti tra servizi segreti americani e italiani dai tempi della guerra ad oggi.
Storia (parziale) dei rapporti proibiti tra servizi segreti americani e italiani
Escludendo i contatti precedenti, che erano tra Stati al tempi tra loro del pari sovrani, le relazioni più ‘intime’ tra servizi statunitensi e italiani iniziarono durante la seconda guerra mondiale quando i primi non si chiamavano ancora CIA (Central Intelligence Agency) ma OSS (Office of Strategic Services) e i nostri non Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica (dal 2007), né SISMI o SISDE (operativi dal 1977 al 2007), o SID (dal ’65 al ’77) o SIFAR (dal ’49 al ’65) ma addirittura SIM, cioè quello stesso ‘Servizio di Informazione Militare’ operativo durante tutto il periodo fascista.
Durante la guerra, se da una parte personaggi come Peter Tompkins, infiltrati da Anzio cercavano a Roma i contatti con i partigiani di Pietro Nenni, dall’altra quello che poi diventò il guru della CIA e capo del dipartimento italiano dei servizi segreti americani, James Jesus Angleton, cercava contatti con la mafia prima italo-americana negli Stati Uniti (Lucky Luciano il nome più noto) poi con quella in Sicilia. Motivazione ufficiale – favorire lo sbarco in Sicilia. In realtà per sbarcare non servono le mafie, la storia lo insegna, e anche gli anni successivi alla ‘liberazione’ chiarirono i veri motivi dell’interesse dell’intelligence riguardo i nostri ‘mammasantissima’. La prima cosa che fecero di fatto gli americani, una volta in Sicilia, fu liberare i capi mafia dal carcere di Favignana. Non solo, alcuni boss vennero posti direttamente in posti chiave nelle istituzioni, come ad esempio Calogero Vizzini, imposto come Sindaco di Villalba dall’Allied Military Government for Occupied Territories.
Seconda cosa che fece il dipartimento americano in Italia comandato da Angleton, a quel tempo ancora OSS, fu quella di portare in salvo Junio Valerio Borghese della X.ma MAS (il capo del famoso corpo militare indipendente della Repubblica di Salò) e prendere contatti con ex componenti del SIM fascista.
Da una parte quindi vi erano uomini come Tompkins che scrissero sulle loro memorie di essersi arruolati perchè credevano veramente nella democrazia mentre “il Re e Badoglio con i loro dipendenti del SIM invece, volevano mantenere una forma di governo simile a quello che avevano favorito e lasciato fiorire per vent’anni: lo stato fascista di Mussolini, ma senza Mussolini e i suoi fedeli ministri. In questo furono sostenuti da Churchill con l’apparente motivazione di un utile anticomunismo”. Dall’altra invece vi erano gli Angleton, falchi anche in tempo di pace. Quando infatti l’OSS si trasformò in CIA (1947), gli agenti come Tompkins tornarono alla vita civile, quelli come Angelton si addentrarono via via in un mondo di intrighi sempre più complesso ed infiltrazioni sempre più ardite fino a quello che, si è scoperto solo molto più tardi, sarebbe stata l’operazione GLADIO.
Operazione GLADIO
Quella che da noi è conosciuta come ‘Operazione Gladio’ è in realtà solo un piccolo tassello di puzzle enormemente più grande che faceva (forse dovremmo dire ‘fa’?) parte di quelle che gli americani chiamano operazioni segrete di tipo ‘stay-behind’ (stare dietro), praticamente un insieme di progetti per creare quinte colonne nei paesi controllati (o da controllare) che al tempo veniva giustificato con l’esigenza di contrastare eventuali attacchi da parte delle forze del Patto di Varsavia. La tecnica era quella della creazione di strutture paramilitari segrete, guerra psicologica e uso della tecnica della false flag. La cosa interessante è che gli americani, ai circa 600 membri italiani (almeno quelli dichiarati e poi scoperti) fornirono documenti, supporto e, sopratutto un vero e proprio arsenale. La cosa increbile è pensare, che quando poi tutto questo venne alla luce, grazie anche alle dichiarazioni del fu Presidente Cossiga, in ben pochi vollero anche solo ipotizzare ufficialmente una qualche relazione tra il famoso ‘periodo della tensione’ con tutte le stragi che comportò, con il fatto che vi fossero stati nel nostro Paese per così tanti anni agenti appartenenti a strutture paramilitari assolutamente al di fuori di ogni controllo democratico e armati fino ai denti con a disposizione anche tutto l’espolivo necessario alle stragi.
I peggiori ai posti migliori
Perchè andare a liberare i capi mafia, i più aggressivi componenti delle forze fasciste, rimettere al loro posto nel SIFAR (i nuovi servizi segreti di allora) gli stessi agenti dei servizi segreti di Mussolini? Perchè creare un gruppo paramilitare selezionato in base alle capacità ideologiche o di aggressività e mettergli in mano la possibilità di avere armi letali? Semplice – per controllare un Paese bisogna mettere i peggiori nei posti migliori. Lo schema ‘meritocrazia inversa’ venne applicato in tutti i settori. I migliori, un esempio a caso Pio La Torre che oltre a combattere la mafia aveva raccolto oltre un milione di firme contro la base americana di Comiso con i suoi oltre cento missili Cruise, vennero ammazzati. I giornalisti più audaci, Fava, Impastato o Spampinato, solo per citarne alcuni, non ricevettero certo scorte ma pallottole. Le infiltrazioni nell’estrema destra da una parte, le BR dall’altra, con i servizi segreti italiani di fatto una emanazione di quelli americani, la gestione delle basi, la presenza in tutti, ripeto tutti, gli aspetti della vita italiana, il controllo dei principali bottoni decisionali, dell’informazione, persiono della cultura, hanno permesso che in tutti questi anni non riuscissimo neppure a renderci conto di quello che ci stava succedendo. Passiamo però per un attimo a rifare una lista di tutte le situazioni in cui, per quanto borghesi, ben nutriti e rassicurati dal sistema, un minimo di domande sul perchè dopo tanti anni ancora non si abbiano risposte a certi ‘misteri’ italiani sarebbe oramai ora di inziare a porsele.
Lista dei casi misteriosi e irrisolti della Storia italiana del dopoguerra (strategia della tensione)
- 1 maggio 1947 – Strage di Portella della Ginestra – 14 morti – sparatoria sulla folla, responsabile Salvatore Giuliano ma il movente risulta insufficiente senza la presenza di mandanti che, si sospetta, potrebbero essere state forze (ci siamo capiti) interessate a spaventare le crescenti forze comuniste in Sicilia.
- 12 dicembre 1969 – Strage di Piazza Fontana – bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, 17 morti e 88 feriti. Processi su processi coperti, non si sa perchè, dal ‘segreto di Stato’, alla fine tutti assolti. Si pensa che la pista più probabile fosse quella di esecutori materiali di estrema destra o anarchici ma il movente? L’unico movente logico rimane quello della ‘strategia della tensione’.
- 22 luglio 1970 – Strage di Gioia Tauro – treno deraglia su binari sabotati da una bomba, 6 morti e circa sessanta feriti.
- 31 maggio 1972 – Strage di Petano – una pattuglia dei carabinieri viene chiamata per controllare una Fiat 500 sospetta. E’ una trappola esplosiva, 3 agenti muoiono, uno gravemente ferito.
- 28 maggio 1974 – Strage della Loggia – durante una manifestazione proprio contro le stragi a Brescia, una bomba nascosta in un cestino uccide 8 persone e ne ferisce un centinaio.
- 4 agosto 1974 – Strage del treno Italicus – una bomba su di una delle carrozze del treno uccide 12 persone e ne ferisce più di cento.
- 2 agosto 1980 – Strage di Bologna – 85 morti e circa duecento feriti per la bomba esplosa nella sala di aspetto della stazione.
- 23 dicembre 1984 – Strage del Rapido 904 – bomba sul treno, 17 morti e più di duecento feriti.
Destabilizzare per stabilizzare
In tutti questi casi venne accertata una chiara attività di interferenza dei servizi segreti italiani atta a far perdere documentazioni, inquinare prove, confondere le idee. Dichiarazioni compromettenti inoltre, come quelle del terrorista neofascista Vincenzo Vinciguerra hanno fatto riferimento alla Gladio e documenti hackerati e pubblicati su Wikileaks, parlano di chiare interferenze come quelle dei cablogrammi del periodo Kissinger in cui gli americani si sarebbero lamentati dei tentativi di repressione dei progetti dell’estrema destra neofascista italiana da parte della magistratura italiana, accusata di volere una ‘svolta a sinistra’. Al tempo stesso, se pure meno documentate, le infiltrazioni anche a sinistra sarebbero state abbastanza scontate per quanto riguarda i contatti tra BR e servizi segreti. A tutto questo dovremmo ancora aggiungere l’operazione Blue Moon che, secondo dati desecretati dall’amministrazione Clinton e testimoni dell’epoca, sarebbe stato un piano attivo negli anni ’70, atto a facilitare la diffusione di sostanze supefacenti tra i giovani grazie a personaggi come Ronald Stark. Creare insicurezza e debolezza per meglio controllare. Destabilizzare i cittadini, per stabilizzare il potere sui cittadini.
Ustica, Cermis, Moby Prince, caso Moro, Mattei
A tutto questo dobbiamo lasciare fuori dal computo i casi Mattei, Moro, Ustica, Cermis e Moby Prince. Ognuno di questi meriterebbe un trattato. Lasciamo all’intuito del lettore capire o meno se è il caso o no di porsi delle domande quando un radar militare che controlla sempre tutto, proprio in concomitanza degli unici eventi importanti sia possibile che sia spendo o guardi da un’altra parte, se sia normale che un caccia militare che per regola potrebbe scendere sotto i 1500 metri solo con autorizzazione, e mai sotto i 600, potesse volare a 150 metri di altezza e giocare a passare sotto i cavi di una ferrovia, se i piloti sia normale che siano stati giudicati in America invece che in Italia, se gli accordi su cui sta scritto cosa possa o non possa fare un militare di una base statunitense in Italia sia un dato segreto che non può essere noto neppure alla magistratura, se è normale che un politico venga rapito in pieno centro con tanto di scorta da un gruppo di scacciagatti proprio dopo aver parlato di ‘compromesso storico’, o un dirigente possa morire in misterioso incidente aereo subito dopo aver dichiarato guerra alle grandi compagnie petrolifere internazionali. Valutate voi se è possibile che tutte le volte che c’è il sospetto che possa essere coinvolto, direttamente, indirettamente, o anche solo per errore, qualcuno che non farebbe mai comodo si sapesse fosse coinvolto, guardacaso arrivino depistaggi di tutti i tipi.
Cossiga nel documentario di Carlo Lucarelli intitolato ‘OSS, CIA, Gladio – i rapporti segreti tra America e Italia’ al minuto 1:34:43 riferisce di come gli fu facile riuscire a mettere a tacere quei pentiti italo-americani che lo accusavano di aver lasciato uccidere Moro:
“O voi ve la smettete oppure io faccio un’interpellanza per chiedere quanto c’è entrata la CIA attraverso la mafia per tener buoni i proprietari le cui terre venivano espropriate per fare la base missilistica di Comiso. Sarà un caso ma dopo io non ebbi più attacchi da parte dei pentiti”.
Conclusioni
In conclusione bisogna riconoscere che il sistema ha realizzato il suo capolavoro per potersi autoreferenziare. Guardate: oggi non rappresentiamo più una terra di confine – la ‘Cortina di Ferro’ si è spostata molto più a Est con l’espansione della NATO, il Partito Comunista e quello Socialista sono stati massacrati esternamente ed internamente, tutto ciò che è rimasto sono minoranze ancora legate all’ideologia ortodossa oppure, peggio ancora, trasformate in salse rosa, globaliste, liberiste e assolutamente innocue, mentre il grosso, attraverso il PD, è semplicemente andato a sostituire di fatto la vecchia DC. I vari Pio La Torre che combattevano per Comiso, sono stati sostituiti dalle Greta o Carola, i Peppino Impastato che combattevano contro gli strati profondi della mafia sostituiti con i Saviano che ‘combattono’ gli strati invece superficiali e comodi a tutti, i nostri giovani scendono in piazza non per la libertà, la sovranità e contro le basi ma, al contrario, proprio per il mondialismo. La meritocrazia è sempre più inversa e il sistema non corre certo rischi di essere soverchiato dalle elite intellettuali (dato che non esistono).
Non esiste, ripeto, non esiste un partito politico, una corrente, un personaggio pubblico che ponga nel proprio programma l’uscita dalla NATO o, per lo meno, la restituzione delle basi americane o chieda anche solo che gentilmente si portino via le testate nucleari. Il sistema è in perfetta sicurezza e l’unica cosa che potrebbe contrastarlo, l’informazione, si trova nelle condizioni descritte in premessa, cioè, non solo non rappresenta un pericolo ma è perfettamente sotto controllo e partecipa al consolidamento. Quando la CIA viene in missione ufficiale a parlare con quella che di fatto è una sua costola, i servizi italiani, quello di cui ci preoccupiamo è se abbiano o no parlato di Russiagate, quello il nostro ‘vero’ problema. Sapere se ci sono i troll su tweetter, no conoscere la verità sulle stragi. Un loop perfetto, preciso e circolare. Bisogna riconoscerlo. Perchè la genialità nel male è pur sempre genialità.
FONTE: https://it.sputniknews.com/opinioni/201910108168685-cia-e-servizi-segreti-zitti-e-un-segreto/
Rapimenti CIA in Italia, una rete occulta?
di Amy Goodman – 19/07/2006 RILETTURA
L’indagine dei magistrati italiani sui rapimenti della CIA si estende ad uno scandalo spionistico interno e a una campagna di disinformazione condotta dai servizi segreti. Le forze dell’ordine italiane hanno trovato prove che suggeriscono come il Sismi avrebbe reclutato alcuni giornalisti e ne avrebbe intercettato illegalmente altri. Amy Goodman ne parla con Stephen Grey (The Guardian, The New York Times, The Sunday Times)
Due ufficiali dei servizi segreti italiani sono stati arrestati con l’accusa di aver aiutato tre anni fa alcuni agenti della CIA a rapire un religioso musulmano di Milano. Gli investigatori italiani stanno ora allargando le loro indagini al possibile coinvolgimento di agenti dei servizi italiani in attività illegali di spionaggio interno e in una campagna di “propaganda nera” finalizzata alla disinformazione.
Ci occupiamo adesso dell’Italia, dove due alti funzionari dei servizi segreti sono stati arrestati con l’accusa di aver aiutato tre anni fa alcuni agenti della CIA a rapire un religioso musulmano di Milano.
Mauro Mancini, numero due dei servizi segreti militari italiani, è stato arrestato. Il suo predecessore, Gustavo Pignero, è agli arresti domiciliari. Gli arresti per la prima volta fanno riferimento al coinvolgimento di ufficiali dei servizi italiani nel rapimento di Hassan Osama Nasr, conosciuto anche come Abu Omar. Nasr fu catturato mentre si dirigeva a piedi dalla propria casa ad una moschea locale. Venne poi portato in una base italo-americana e infine trasportato in Egitto, in aereo. Qui Nasr sostiene di essere stato picchiato e sottoposto a scariche elettriche ai genitali. Non gli è mai stato contestato alcun crimine e non è mai comparso davanti ad una corte di giustizia. Nel frattempo, i pubblici ministeri italiani sostengono di aver ottenuto altri mandati per tre agenti della CIA ed un impiegato della locale base aerea statunitense. I nuovi mandati fanno salire a 26 il numero di americani accusati per la vicenda dallo scorso anno.
Alcuni nuovi sviluppi del caso stanno inducendo gli investigatori ad allargare le indagini all’eventuale coinvolgimento di agenti italiani in attività di spionaggio interno. La polizia ha scoperto quello che sembrerebbe un enorme archivio segreto sulla sorveglianza di giornalisti, giudici e uomini d’affari in Italia. Le forze dell’ordine hanno anche trovato prove che suggerirebbero che i servizi segreti italiani – SISMI – avrebbero reclutato alcuni giornalisti italiani e ne avrebbero intercettato illegalmente altri per seguire l’indagine sul rapimento di Nasr.
• Stephen Grey è un reporter free lance che ha seguito questa storia da vicino. Ci ha raggiunti in linea da Londra, dove è recentemente tornato dopo essere stato a Milano.
AMY GOODMAN: Ci ha appena raggiunto Stephen Grey, giornalista britannico [The Guardian, The New York Times, The Sunday Times, NdT] che si è occupato della vicenda. Ci ha raggiunti da Londra, dove è da poco tornato dopo essere stato a Milano. Benvenuto a Democracy Now!, Stephen Grey.
STEPHEN GREY: Ciao Amy.
AMY GOODMAN: Grazie di essere qui con noi. Potresti spiegarci questa storia?
STEPHEN GREY: Beh, l’abbiamo seguita per un po’. Lo scorso anno ci sono stati i primi mandati nei confronti dei supposti agenti CIA, accusati di aver organizzato questo rapimento. Abu Omar è scomparso il 17 febbraio del 2003. È un religioso islamico che è stato accusato di terrorismo. Era già indagato dalla polizia. Poi, semplicemente, è sparito. La polizia non ne ha saputo più nulla, se si esclude un rapporto fasullo inviato dalla CIA in cui si diceva che probabilmente si era trasferito nei Balcani, circa un anno fa, quando in effetti Omar telefonò a casa alla moglie e ad alcuni amici a Milano. Omar ha riferito cosa gli è accaduto. La polizia italiana stava ascoltando quella telefonata, e ha in seguito scoperto che egli era stato effettivamente catturato per strada da quelli che ha descritto come persone che parlavano inglese e italiano. In seguito fu trasferito su un aereo dalla base aerea di Aviano, attraverso la Germania, in Egitto, dove ha sostenuto di essere stato interrogato e torturato.
Questo sembrerebbe essere un tipico esempio delle “rendition”, il programma della CIA finalizzato al trasferimento di persone in paesi terzi. La particolarità di questo caso è l’essersi verificato, evidentemente senza alcuna copertura legale, in un paese che è un grande alleato degli Stati Uniti. Ciò sembrerebbe infrangere tutte le regole. All’inizio gli investigatori si sono concentrati sugli americani. Sono riusciti ad identificarli da intercettazioni sui telefoni utilizzati nei pressi del luogo del rapimento. Ne hanno seguito le tracce e hanno riconosciuto alcune delle persone coinvolte come agenti della CIA. Questo è quello che credevano. E hanno emesso i mandati di arresto.
Tuttavia, rimaneva ancora un interrogativo: la CIA aveva davvero portato a termine questa operazione, o questa presunta operazione, senza il coinvolgimento di qualche agente dei servizi italiani? Sembra che siano state trovate delle prove, o almeno così dicono i pubblici ministeri, che collegano direttamente il SISMI all’intera questione. Tutto ciò appare naturalmente molto grave, dal momento che anche se gli americani avevano ottenuto l’approvazione dai servizi italiani, questo non significa che non si sia trattato di un crimine, dato che nessun ufficiale in Italia ha il diritto di organizzare (quello che si è rivelato essere) un rapimento.
AMY GOODMAN: E hanno preso questi due alti ufficiali dei servizi segreti italiani grazie alle intercettazioni sui cellulari?
STEPHEN GREY: Dalle loro telefonate. Sì, sembra che tutto si riduca di nuovo alle intercettazioni. Hanno seguito le tracce di un telefono che è stato usato vicino alla scena del rapimento, e questo ha portato ad un ufficiale delle forze dell’ordine locali, un ufficiale dei Carabinieri. E lui ha detto, beh – lo ha ammesso. È stata la prima persona, tra quelle che si trovavano effettivamente sul posto, a fornire una testimonianza ufficiale. Ha dichiarato: “Sì, lo stavo facendo per conto della CIA”. Ha aggiunto di aver avuto l’approvazione dei servizi italiani.
Poi però, seguendo questa pista e individuati alcuni sospetti, ai livelli più alti del SISMI gli inquirenti hanno cominciato a intercettare le telefonate. Si è iniziato a far luce sull’intera vicenda. Di fatto, un agente ha fornito una dichiarazione al pubblico ministero nella quale negava ogni coinvolgimento in un rapimento illegale. La prima cosa che tale agente ha fatto dopo essere uscito da l’interrogatorio con il pubblico ministero è stata chiamare quest’altro ufficiale – ricordiamo che erano sotto intercettazione – raccontandogli come, in effetti, si fossero presi gioco del pubblico ministero. E, ancora, che la CIA aveva davvero chiesto loro di partecipare al sequestro illegale di questa persona, e che in effetti si trattava di un illecito. Ha detto poi che realmente loro si erano rifiutati di prendervi parte, ma aveva ammesso di aver saputo in anticipo di questo rapimento, e anche essere a conoscenza che stava per essere commesso un crimine, quello a cui in realtà corrisponde questo trasferimento – si tratta in effetti di un’infrazione estremamente grave, soprattutto per un alto ufficiale delle forze dell’ordine come questo agente dei servizi segreti.
AMY GOODMAN: Può parlarci delle prove relative a ciò che gli agenti della CIA, che adesso dovrebbero essere 26 – o comunque tutte le persone coinvolte, anche quelle della base militare americana –, stavano facendo, di come stavano tenendo sotto controllo Abu Omar, lo sceicco?
STEPHEN GREY: Sì. Allora, ovviamente le persone coinvolte sono molte, i 25 presunti agenti della CIA e un altro ufficiale militare nella base di Aviano. Sembra che essi costituissero, almeno secondo il pubblico ministero, la squadra che mise sotto stretta sorveglianza Abu Omar per alcune settimane prima dell’evento. Hanno anche trovato una foto di Abu Omar scattata nel corso della sorveglianza della CIA, in uno dei computer di uno dei presunti agenti – nella stazione principale di Milano. E poi c’era un’altra squadra che ha effettuato materialmente il rapimento. Lo hanno fermato per strada, lo hanno portato alla base di Aviano, e da lì un altro lo ha seguito fino in Egitto.
Bene, non sappiamo perchè, ma il pubblico ministero italiano sostiene che quest’ultimo abbia addirittura preso parte o assistito all’interrogatorio di Abu Omar. Ciò ovviamente deve essere provato. Ma quello che è certo è che ci sono prove evidenti del fatto che questi cittadini americani – non conosciamo molti dei loro veri nomi – erano presenti e, diciamo, usavano i loro cellulari, risiedevano in camere d’albergo, noleggiavano macchine. Tutti questi frammenti di prove sono stati accuratamente raccolti dagli investigatori proprio per determinare con esattezza le modalità del loro coinvolgimento in questo rapimento.
AMY GOODMAN: Ora, i pubblici ministeri italiani hanno dato un nome a questi agenti della CIA e vorrebbero che fossero estradati in Italia, vero?
STEPHEN GREY: Esatto. Hanno inoltrato la richiesta per la loro estradizione in Italia. In ogni caso, li sottoporranno a processo, anche se non otterranno l’estradizione. Ritengo che fino a quando è stato in carica, il governo di Silvio Berlusconi abbia fatto di tutto per bloccare le richieste di estradizione. Non ci sono state ancora richieste di estradizione. I pubblici ministeri ci proveranno di nuovo, dal momento il governo in Italia è cambiato. Ma anche se tali richieste venissero rifiutate, secondo il sistema italiano, si potrebbe comunque processare queste persone in contumacia. Per cui, in un modo o nell’altro, sembra proprio il processo contro questi cittadini americani possa svolgersi in un’aula di tribunale italiana.
AMY GOODMAN: Puoi parlarci di come gli investigatori sono entrati in un appartamento, o un ufficio, che è risultato poi essere un importante sede dei servizi italiani, e di come hanno scoperto in generale tutta quest’operazione di sorveglianza dei servizi segreti?
STEPHEN GREY: Stavano ascoltando questi importanti ufficiali dei servizi italiani che discutevano tra loro – stavano parlando con un ufficiale che sembrava li stesse aiutando nelle loro indagini. In realtà non stavano facendo altro che monitorare le indagini che il pubblico ministero di Milano conduceva contro di loro. E stavano ottenendo anche importanti informazioni. Queste sembra che provenissero da giornalisti – in effetti reclutati dai servizi italiani, o almeno così si sostiene – inviati presso il pubblico ministero per, diciamo così, realizzare un’intervista fasulla allo scopo di scoprire a quali conclusioni era arrivata la magistratura e come stava proseguendo l’indagine.
L’operazione aveva come sede centrale un appartamento di 11 stanze, in pratica un attico, situato nel centro di Roma. Un mercoledì di due settimane fa hanno fatto irruzione nel posto per scoprire cosa ci fosse davvero. E non solo hanno trovato prove di quest’operazione di monitoraggio dell’indagine di Milano, ma anche svariati scatoloni di documenti che, secondo gli inquirenti, contenevano informazioni su magistrati, pubblici ministeri, politici e altri giornalisti. Sembra si sia scoperta un’intera rete di sorveglianza. Tutto deve essere ancora provato, ma questo è ciò che si sta esaminando al momento.
AMY GOODMAN: E quindi ci sono anche nomi di giornalisti in questa vicenda? Giornalisti sui quali hanno indagato? Giornalisti che a quanto pare figuravano nel libro paga degli agenti segreti? Si trattava di giornalisti di destra del quotidiano Libero?
STEPHEN GREY: Si sostiene che ci sia un giornale di destra nell’ambito del quale sono stati reclutati alcuni giornalisti. Questi servivano per disseminare – e disseminavano – articoli nel loro giornale. Erano usati anche per cercare informazioni. Inoltre monitoravano il lavoro di altri giornalisti magari non troppo solidali, li sottoponevano a intercettazioni e li pedinavano. Questo è ciò che sostengono, e ciò su cui si sta investigando in questo momento. Sembra una sorta di – i giornali italiani ne parlano così – centro di “propaganda nera”, di disinformazione. La questione ha provocato un grosso scandalo in Italia, molto più dell’inchiesta stessa sui trasferimenti.
AMY GOODMAN: Gli investigatori hanno anche trovato quelle che sostengono essere bozze di articoli, tra le quali una che suggeriva una campagna di diffamazione nei confronti del premier Romano Prodi, che sarebbero stati poi pubblicati su Libero. È così?
STEPHEN GREY: Esatto. Si accusava Romano Prodi di complicità con la CIA nel programma di trasferimenti. Quest’articolo è stato scritto dopo che Prodi è diventato primo ministro. Se questo fosse vero, significherebbe un atto molto grave nei confronti del primo ministro, dal momento che si supponeva che invece questa gente [i servizi segreti, NdT] stesse lavorando, com’è nella loro funzione, per questo nuovo primo ministro.
AMY GOODMAN: E tutto questo coinvolgerebbe l’ex primo ministro, Silvio Berlusconi?
STEPHEN GREY: Beh, non ancora, ma l’indagine sta scalando i vertici dei servizi segreti italiani. Questi sono stati vicini a Berlusconi. Queste persone, quelle arrestate, sono i primi sostituti dei vertici dei servizi segreti italiani, e bisogna ancora capire se sosterranno – sono ancora sotto interrogatorio – di aver eseguito ordini superiori. Quindi, la pista porta sempre più in alto. Non sappiamo ancora se Berlusconi risulterà coinvolto.
AMY GOODMAN: E, per concludere, cosa dire delle reazioni in Italia a queste notizie, alla denuncia dei livelli più alti dei servizi segreti e al coinvolgimento dell’Italia in quello che gli Stati Uniti chiamano trasferimento straordinario dello sceicco?
STEPHEN GREY: Beh, lo scandalo ha fatto scalpore, ma ovviamente il dibattito è in corso. Alcune persone pensano che sia sbagliato svelare le attività dei propri servizi segreti. L’Italia resta un alleato importante degli Stati Uniti; tuttavia, molti pensano che anche se gli Stati Uniti sono un alleato, in questo caso si sono verificati comunque atti illegali, e il rapimento è un atto illegale. Se si rapisce qualcuno e lo si spedisce in Egitto, ci si deve comunque presentare davanti ad una corte e far approvare l’estradizione, non semplicemente sequestrare senza mandato.
AMY GOODMAN: E la denuncia sulla sorveglianza – in un paese come l’Italia, in cui ogni anno più di 100.000 linee telefoniche vengono messe sotto controllo? E il coinvolgimento di giornalisti?
STEPHEN GREY: Senz’ombra di dubbio, anche questo è fonte di scandalo. La gente aspetta di conoscere tutti i dettagli. L’inchiesta sta andando avanti. I documenti sono sotto esame. Ma, sicuramente, per la maggior parte delle persone si tratta di sviluppi preoccupanti. In Italia, come sapete, stanno succedendo tante cose. Quindi, aspettiamo di vedere cosa uscirà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane.
AMY GOODMAN: Bene, grazie mille a Stephen Grey per essere stato con noi.
Correlati:
“L’Europa collusa con gli Usa per i voli CIA”
Sulle tracce della tortura
Fonte: Democracy Now!
Traduzione a cura di Giusy Muzzopappa per Nuovi Mondi Media
Amy Goodman è ideatrice e conduttrice del programma radiofonico Usa ‘Democracy Now!‘.
Bill Clinton l’ha definita “ostile, battagliera, persino sgarbata”. Newt Gingrich, Repubblicano statunitense ed ex Presidente dalla Camera Usa, ha detto che era per via di “persone come lei” che aveva messo in guardia sua madre dal parlare con i giornalisti. L’esercito indonesiano l’ha bandita, definendola una “minaccia per la sicurezza nazionale”.
Michael Moore ha scritto di lei: “Si alza tutte le mattine, tutti i giorni dell’anno (molto prima di tutti noi!) per essere l’unica voce quotidiana della verità alla radio negli Stati Uniti d’America. Com’è triste anche solo scrivere queste parole! Una nazione di 300 milioni di persone, con tutte le garanzie scritte che assicurano una stampa libera, e nessuno che faccia il lavoro che Amy Goodman fa in maniera così semplice, così profonda. Questo libro mette nero su bianco tutte le bugie che ci vengono dette dalla mattina alla sera. È un tesoro nazionale, e se non riuscite a captare le sue frequenze radiofoniche, potete ora prendere questo libro, scuotere la testa increduli e disgustati mentre lo leggete, e quindi metterlo via per poter andare a scatenare un putiferio!”
Amy Goodman è autrice, con David Goodman, di ‘Scacco al potere – Come resistere al potere e ai media che lo amano‘.
Video-intervista ad Amy Goodman.
FONTE: https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=4434
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
Anche i supereroi si piegano al politicamente corretto
di Nathan Greppi – 11/05/2021
Fonte: Centro Machiavelli
Da quando i classici supereroi della DC Comics hanno cominciato a passare di moda, a discapito della rivale Marvel che al contrario è diventata sempre più forte soprattutto grazie ai suoi film e all’acquisizione da parte del gruppo Disney, lo storico editore ha cercato un modo per riconquistare il pubblico, e in particolare i giovani. Tra le varie soluzioni adottate dall’azienda spiccano in particolare certi rifacimenti politicamente corretti del più classico dei supereroi, Superman: nel 2016 pubblicarono una nuova serie in cui il celebre supereroe era cinese, dove tuttavia ci furono comunque polemiche perché il nome del suo alter ego, Kenji, suonava più giapponese che cinese. Mentre nel marzo 2021 è stato annunciato che la DC sta lavorando a un nuovo film con protagonista un Superman nero.
Questi esempi sono solo gli ultimi di una lunga lista di stravolgimenti in chiave politicamente corretta dei supereroi Marvel e DC, avvenuti negli ultimi anni. Già nel 2015 l’Uomo Ragno era diventato un ragazzo di colore, Miles Morales, e la nuova versione è stata al centro del film animato del 2018 Spider-Man – Un nuovo universo. E se in questo caso almeno gli va riconosciuto il merito di aver dato fama a un’artista italiana, la disegnatrice marchigiana Sara Pichelli, in altri invece non si salva niente e nessuno: nel 2019 la Marvel ha annunciato che nei prossimi film il dio del tuono Thor sarebbe stato interpretato da una donna (si pensava a Natalie Portman, che nei film precedenti era la ragazza del Thor “tradizionale”), dopo che già dal 2000 i fumetti avevano creato una versione femminile del celebre eroe tratto dalla mitologia vichinga. Mentre nel marzo di quest’anno è stato annunciato un nuovo fumetto in cui Capitan America sarà gay.
Questo nuovo modo di fare si era già riflesso anche nei film e nelle serie tv tratte dai fumetti: al termine della saga iniziata nel 2008 con Iron Man, si era deciso che Capitan Marvel sarebbe stata l’eroina più potente di tutti e che avrebbe segnato in modo decisivo l’esito dello scontro finale col malvagio Thanos. Non a caso, durante lo scontro in Avengers: Endgame del 2019, si riunivano intorno a lei tutti i personaggi femminili della saga, per creare un chiaro effetto simbolico per le femministe. Tuttavia, anche in quel caso i radical chic hanno trovato delle scuse per criticare il film, ad esempio accusando di “body shaming” le scene comiche in cui si scherza su Thor divenuto grasso (persino un quotidiano “autorevole” come il “Guardian” lo ha attaccato per questo, e l’autore del pezzo li accusò addirittura di avergli “spezzato il cuore”).
Il problema è che in alcuni casi si arriva anche a cancellare personaggi storici perché ritenuti razzisti secondo i parametri di oggi: per il film Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli, tuttora in lavorazione e la cui uscita è prevista per il 1 settembre 2021, si è deciso di rimuovere il cattivo dei fumetti Fu Manchu in quanto sarebbe associato a stereotipi verso gli asiatici che venivano accettati negli anni ’70 ma oggi non più. Per fare un confronto con il fumetto italiano, è come se la Bonelli ripudiasse il personaggio della Tigre Nera, tra i maggiori antagonisti di Tex Willer: un principe malese che, dopo essere stato spodestato dai colonialisti inglesi, fondò varie organizzazioni criminali per combattere i bianchi in America. Fortunatamente da noi la cultura è meno soggetta a certi fenomeni di cancellazione, tanto che il disegnatore Claudio Villa, copertinista di “Tex” e creatore della Tigre Nera, in un’intervista alla rivista “Fumettologica” del maggio 2020 spiegò che proprio il principe malese è uno dei personaggi della serie a cui è più legato.
Uno dei problemi nella comprensione di questo fenomeno sta nel fatto che non è del tutto chiaro se la Marvel e la DC alimentino questa ondata di politicamente corretto o se cerchino piuttosto di adattarsi a qualcosa che era già in atto a prescindere dalle loro decisioni (della serie: è nato prima l’uovo o la gallina?). Il fumettista italiano Leo Ortolani, autore della serie “Ratman”, in un incontro dell’aprile 2014 all’Università degli Studi di Milano spiegò che i Fantastici Quattro, un tempo tra i personaggi più seguiti della Marvel, hanno smesso di avere successo nel momento in cui è venuta a mancare l’istituzione della famiglia come veniva intesa fino a pochi decenni fa.
Ancor meno chiaro è quando l’inclusione di minoranze è dettata da agende politiche e quando da logiche puramente commerciali: nelle serie tv sui Power Rangers, ad esempio, ci sono sempre stati eroi di colore o donne; tuttavia, la prima serie è iniziata nel 1993, quando la fissa per l’inclusione delle minoranze non era diffusa come oggi, e quindi non è chiaro se era dovuto a scelte politicamente corrette o di altro tipo. Stesso discorso vale per il modo in cui viene trattata l’omosessualità: mettendo da parte i supereroi, nel corso dei decenni hanno fatto discutere i comportamenti di celebri personaggi di serie per bambini come Bugs Bunny, che pur essendo fidanzato con la femmina Lola Bunny viene visto sin dagli anni ’50 baciare maschi, spesso nemici che vuole provocare. Difficile dire se si trattasse di un personaggio bisessuale o se fossero solo scherzi goliardici per far ridere.
Pertanto, la diffusione di imposizioni politicamente corrette non va sottovalutato, ma al tempo stesso non va neanche affrontato in maniera superficiale, formulando giudizi affrettati. Occorre studiare questi argomenti in modo scientifico, cercando di comprendere le opere del passato laddove i fautori della cancel culture pensano solo a giudicarle con gli occhi del presente.
FONTE: https://www.ariannaeditrice.it/articoli/anche-i-supereroi-si-piegano-al-politicamente-corretto
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Le donne che dicono no al Ddl Zan
Il ddl Zan non piace neanche a femministe e lesbiche. Arcilesbica e RadFem spiegano le ragioni per cui questo testo così com’è danneggerà proprio le donne.
Non è una legge per aumentare le tutele di persone omosessuali, lesbiche e transessuali, ma serve a introdurre l’identità di genere. Questa è la critica al ddl Zan che proviene da Marina Terragni, giornalista, scrittrice e femminista di lungo corso. Lei le lotte per i diritti LGBT+ le faceva nei primi anni ’80 per la legge 164/82, quando il movimento era ancora agli albori. Adesso è del tutto contraria all’approvazione della cosiddetta legge sull’omotransfobia.
“Noi diciamo che se il mondo LGBT+ vuole una legge a tutela delle persone omosessuali, lesbiche e transessuali, noi non abbiamo niente di niente da dire, va benissimo”, spiega a Sputnik Italia.
Ma il “Ddl Zan danneggia soprattutto le donne e le bambine e i bambini” e non è “buono neanche per le persone omosessuali e transessuali”, precisa.
“La misoginia che hanno messo come foglia di fico e contentino – prosegue – è un errore gravissimo che viola l’autedeterminazione delle donne. Noi non siamo una minoranza tra le minoranze da tutelare. Questo – osserva – è un errore inaccettabile”
La sua voce, che rappresenta il gruppo delle femministe radicali RadFem, non è l’unica che si alza dalla galassia dei movimenti di donne contro il testo proposto dal deputato del PD, che di fatto divide il centrosinistra e spacca il movimento LGBT+.
Sputnik Italia ha voluto sentire l’opinione di Mariarita Galantino per Arcilesbica, storica associazione per i diritti civili molto critica nei confronti del decreto.
“Noi vogliamo prima emendare e poi approvare il ddl Zan, perché se viene approvato così com’è ci sono dei concetti per noi ambigui, primo fra tutti quello dell’identità di genere”, spiega la Galantino.
La questione dell’identità di genere
L’articolo 1 del ddl Zan definisce l’identità di genere come l’”identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”.
“Non si può inserire un percepito dentro una legge penale. Perché io così non ho certezza del reato e sono totalmente soggetta all’arbitrio dei giudici”, avverte Terragni.
L’impalpabilità del concetto di identità di genere crea un problema con la certezza del reato, con la definizione stessa di cosa è e cosa non è reato che non è più definito con chiarezza e tassatività dalla legge, come richiede la costituzione, spiega Terragni, ma lasciato all’interpretazione del giudice, all’arbitrato.
Il Self Id
Marina Terragni, infine, fa notare che “ovunque sia stata introdotta l’identità di genere si è poi arrivati al Self Id, cioè all’autocertificazione del genere, che ha un impatto sociale pesante soprattutto per le donne, le bambine e i bambini”.
Un esempio che ci offre Terragni è quello del Regno Unito, dove alla fine il Self Id è stato respinto ma negli anni in cui si è discusso, i bloccanti ormonali per la transizione di genere di bambine e bambini sono stati somministrati con troppa facilità.
La questione riguarda anche le donne, come racconta in maniera dettagliata Mariarita Galantino.
“Laddove questo concetto si è affermato, come in Canada, alcuni centri antiviolenza sono stati vandalizzati o si sono ritrovati a rischio chiusura, perché destinati alle sole donne e considerati non abbastanza inclusivi. Sussidi e diritti delle donne vengono erosi da maschi che, per sfuggire alla definizione di genere corrispondente al corpo, si dichiarano trans anche se non hanno completato la transizione, ma mantengono i loro privilegi”.
Identità di genere come misoginia
Per Mariarita Galantino l’identità di genere “cancella l’identità della donna” ed “è utilizzata in maniera misogina per minacciare i diritti delle donne, così come l’utero in affitto che cancella del tutto la figura della madre”.
“Per il femminismo – spiega – le donne non avranno mai libertà finché il sistema di casta chiamato genere non verrà definitivamente smantellato. Le donne sono oppresse non perché si sentono donne, noi veniamo sepolte vive perché nasciamo donne, veniamo picchiate, stuprate e uccise per il nostro sesso”.
Nel ddl Zan, che è stato calendarizzato in Senato, Arcilesbica chiede “che si parli esplicitamente di sesso, orientamento sessuale e transessualità, non di identità di genere e che si specifichi il divieto di utero in affitto”.
FONTE: https://it.sputniknews.com/intervista/2021051110534113-le-donne-che-dicono-no-al-ddl-zan/
BELPAESE DA SALVARE
La burocrazia in Italia è tra le peggiori al mondo
La riforma della Pa di Brunetta sarà al centro del Pnrr presentato alle Camere
La parola chiave dei Recovery Plan di tutti i Paesi europei è riforme. Un punto su cui l’Europa ha insistito dal primo momento. Quelle previste dal Piano nazionale ripresa e resilienza appena approvato da Camera e Senato riguardano Pubblica amministrazione, giustizia, transizione ecologica, digitalizzazione, scuola, semplificazioni della burocrazia, concorrenza e fisco. Draghi ha parlato di una piano che deciderà non solo chi siamo, ma anche chi saremo e quale Paese lasceremo ai nostri figli. Bene, ma tra tutte queste riforme una su tutte sarà fondamentale non solo per il sistema Paese, bensì per la realizzazione di tutto il Pnrr.
La riforma della Pubblica amministrazione, infatti, è lo scheletro che dovrà sostenere e ponderare l’enorme quantità di soldi – il premier ha parlato di 248 miliardi – provenienti dall’Europa. Ecco perché Bruxelles l’ha posta come riforma obbligatoria. Ma l’Italia parte come una delle più sfavorite. La nostra Pubblica amministrazione, infatti, è una delle peggiori tra i Paesi Ocse, siamo 33esimi su 36 Paesi. Nel grafico sopra, infatti, abbiamo estratto solo i valori dei principali Paesi. Ma andiamo con ordine e vediamo meglio da dove partiamo e i cambiamenti in atto.
La burocrazia in Italia rispetto agli altri Paesi
Come anticipato i numeri italiani sono pessimi. Nel grafico possiamo vedere le valutazioni sulla qualità della burocrazia nella comparazione internazionale, ricavati dal Quality of Government Index dell’Università di Göteborg. Ma di che cosa si tratta? Stiamo parlando di un indicatore composto da tre pilastri: il livello di corruzione, le caratteristiche della legislazione unitamente all’osservanza della legge e la qualità della burocrazia in senso stretto. Un indice, quindi, che non tiene conto solo delle singole procedure burocratiche, ma valuta anche i loro effetti sui comportamenti e sulle performance sia dei cittadini che dei legislatori.
Bene, l’Italia, su 36 Paesi Ocse, è terzultima in classifica. Nel grafico sopra, infatti, abbiamo estrapolato solo i valori dei Paesi più indicativi, ma da tener conto che l’Italia è passata dalla 20esima posizione del 2000 – comunque sotto la media – agli ultimi posti della classifica. Meglio di noi tutta Europa e, soprattuto, i Paesi del Nord Europa che occupano tutti e tre i gradini del podio. Germania, (13esima su 36) Regno Unito e Belgio hanno un punteggio superiore allo 0,8, mentre Francia, (20esima su 36) Portogallo e Spagna allo 0,7. L’Italia, sui tre parametri sopra elencati, ha un punteggio di 0,597.
Il costo della burocrazia sull’economia italiana
Certamente tutto questo questo ha a che fare con i ritardi del nostro Paese sull’innovazione tecnologica e sul capitale umano della PA, con inevitabili ricadute negative sulle performance della burocrazie. Ma non si può non parlare delle ripercussioni economiche causate da una tale inefficienza. Basti pensare che, secondo un’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio, se l’Italia avesse la stessa qualità amministrativa della Germania, tra il 2009 e il 2018 la crescita cumulata sarebbe stata del 6,2% invece che del 2,3%. Il Prodotto interno lordo, inoltre, sarebbe più elevato di 70 miliardi di euro. Numeri che fanno riflettere dopo le ultime previsioni del Mef sul Pil e sul debito italiano dei prossimi anni.
La riforma della Pubblica amministrazione di Brunetta
Insomma, la cattiva burocrazia frena la produttività delle imprese e ne ostacola la crescita. Ecco perchè tra le riforme che da subito si è discusso con l’arrivo di Draghi troviamo proprio quella della Pubblica amministrazione. Il ministro Brunetta sta lavorando ai punti che costituiranno la riforma che potrà contare su 1,67 miliardi e che potremmo così sintetizzare: prima di tutto un focus sui concorsi e le assunzioni, con la creazione di una piattaforma unica e un Hr Management Toolkit; poi un snellimento generale della macchina, con l’obiettivo finale di eliminare i vincoli burocratici e rendere più efficace l’azione amministrativa; a seguire la creazione di percorsi seri e strutturali di qualificazione e riqualificazione del personale; in ultimo, ma non meno importante, la digitalizzazione quale strumento trasversale per meglio realizzare queste riforme. Quest’ultimo punto, è da precisare, non rientra nei 1,67 miliardi perché gode di una voce a parte che ammonta a 50,07 miliardi.
I dati sono aggiornati al: 2019
Fonte: Ocse, Mef, Confcommercio
FONTE: https://www.truenumbers.it/pubblica-amministrazione-burocrazia-riforma/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Lo sfratto
di Nicola Guerra – 11/05/2021
Fonte: Nicola Guerra
Israele sprofonda nella Terza Intifada
Quali sono le vere ragioni dietro la Nuova Guerra Fredda?
William I. Robinson, ROAR 6 maggio 2021
Gli Stati Uniti lanciano una nuova guerra fredda contro Russia e Cina nel tentativo di distogliere l’attenzione dall’aggravarsi della crisi del capitalismo globale.
L’annuncio del 15 aprile da parte del presidente Biden che questa amministrazione avrebbe espulso 10 diplomatici del Cremlino e imposto nuove sanzioni per la presunta interferenza russa nelle elezioni statunitensi del 2020, a cui la Russia rispose subito, arrivava pochi giorni dopo che il Pentagono condusse esercitazioni militari nel Mar Cinese Meridionale. Queste azioni non erano che l’ultima escalation di atteggiamenti aggressivi mentre Washington intensifica la sua “Nuova Guerra Fredda” contro Russia e Cina, spingendo pericolosamente il mondo verso la conflagrazione politica e militare internazionale. La maggior parte degli osservatori attribuisce tale guerra istigata dagli Stati Uniti a rivalità e competizione per l’egemonia e il controllo economico internazionale. Questi fattori sono importanti, ma c’è un quadro più ampio e trascurato di ciò che detta tale processo: la crisi del capitalismo globale. Questa crisi è economica o strutturale. Una stagnazione cronica nell’economia globale. Ma è anche politica: crisi di legittimità statale ed egemonia capitalista. Il sistema va verso quella che chiamiamo “crisi generale del governo capitalista” mentre miliardi di persone nel mondo affrontano l’incertezza per la sopravvivenza e mettono in discussione un sistema che non vedono più legittimo. Negli Stati Uniti, i gruppi al potere devono canalizzare la paura per la scarsa sopravvivenza lungi dal sistema verso comunità di capri espiatori, come immigrati o asiatici accusati della pandemia, e nemici esterni come Cina e Russia. Allo stesso tempo, le crescenti tensioni internazionali legittimano l’espansione dei bilanci militari e di sicurezza e aprono nuove opportunità di profitto con guerra, conflitti politici e repressione di fronte alla stagnazione dell’economia civile. Nel mondo è decollata una “primavera popolare”. Dal Cile al Libano, dall’Iraq all’India, dalla Francia agli Stati Uniti, da Haiti alla Nigeria e dal Sud Africa alla Colombia, sono proliferate ondate di scioperi e proteste di massa e, in molti casi, sembrano acquisire carattere radicale anticapitalista. I gruppi al potere non possono che essere spaventati dal brontolio dal basso. Se incontrastata, la Nuova Guerra Fredda diventerà pietra angolare nell’arsenale dei governanti statunitensi e delle élite transnazionali per mantenere il potere mentre la crisi si aggrava.
La crisi del capitalismo globale
Economicamente, il capitalismo globale affronta ciò che è noto nel linguaggio tecnico come “eccesso di accumulo”: situazione in cui l’economia ha prodotto, o può produrre, grandi quantità di ricchezza ma il mercato non può assorbirla per la crescente disuguaglianza. Il capitalismo per sua natura produrrà ricchezza abbondante ma la polarizzerà generando sempre più disuguaglianza sociale se non compensata da politiche redistributive. Il livello di polarizzazione sociale globale e disuguaglianza ora sperimentato è senza precedenti. Nel 2018, l’uno per cento più ricco dell’umanità controllava più della metà della ricchezza mondiale, mentre l’80 per cento più povero doveva accontentarsi solo del cinque per cento. Tali disuguaglianze finiscono per minare la stabilità del sistema man mano che cresce il divario tra ciò che è, o potrebbe essere, prodotto e ciò che il mercato può assorbire. L’estrema concentrazione della ricchezza del pianeta nelle mani di pochi e l’accelerato impoverimento ed espropriazione della maggioranza fanno sì che la classe capitalista transnazionale, o CCT, abbia difficoltà crescenti nel trovare sbocchi produttivi per scaricare enormi quantità di surplus accumulato. Più le disuguaglianze globali si espandono, più ristretto diventa il mercato mondiale e più il sistema affronta una crisi strutturale di eccesso di accumulo. Se lasciata incontrollata, l’espansione della polarizzazione sociale si traduce in crisi, stagnazione, recessioni, depressioni, sconvolgimenti sociali e guerra, proprio quello che si vive in questo momento. Contrariamente ai resoconti mainstream, la pandemia di coronavirus non ha causato la crisi del capitalismo globale, perché questa c’era già. Alla vigilia della pandemia, la crescita nei Paesi dell’UE si era già ridotta a zero, gran parte dell’America Latina e dell’Africa subsahariana era in recessione, i tassi di crescita in Asia erano in calo e il Nord America affrontava un rallentamento. I dati erano chiari. Il contagio non fu altro che la scintilla che accese un’economia globale che non si è mai ripresa dal crollo finanziario del 2008 e da allora era sull’orlo di una nuova crisi. Anche se c’era una ripresa momentanea mentre il mondo emerge lentamente dalla pandemia, il capitalismo globale rimarrà impantanato in tale crisi strutturale di eccesso di accumulo. Negli anni che portavano alla pandemia ci fu il costante aumento della capacità sottoutilizzata e rallentamento della produzione industriale nel mondo. Il surplus di capitale accumulato senza un posto dove andare si espandeva rapidamente. Le società transnazionali registrarono profitti record negli anni 2010, mentre gli investimenti aziendali diminuivano. La liquidità totale detenuta nelle riserve delle 2000 più grandi società non finanziarie del mondo è aumentata da 6,6 trilioni di dollari nel 2010 a 14,2 nel 2020, considerevolmente più delle riserve di valuta estera dei governi centrali del mondo, a causa della stagnazione dell’economia globale. La speculazione finanziaria selvaggia e il crescente debito delle società governative e dei consumatori guidarono la crescita nei primi due decenni del 21° secolo, ma queste sono soluzioni temporanee e insostenibili nella stagnazione a lungo termine.
L’economia di guerra globale
Come ho mostrato nel mio libro del 2020 The Global Police State, l’economia globale è sempre più dipendente da sviluppo e dispiegamento di sistemi di guerra, controllo sociale e repressione semplicemente come mezzo per realizzare profitti e continuare ad accumulare capitale davanti la stagnazione cronica e la saturazione dei mercati globali. Questo è noto come “accumulazione militarizzata” e si riferisce a una situazione in cui l’economia di guerra globale si basa sul perpetuo processo di guerra organizzato dallo Stato, da controllo sociale e repressione, guidate ora dalle nuove tecnologie digitali, per sostenere il processo di accumulazione del capitale. Gli eventi dell’11 settembre 2001 segnarono l’inizio di un’era di guerra globale permanente in cui logistica, guerra, intelligence, repressione, sorveglianza e persino personale militare sono sempre più dominio privatizzato del capitale transnazionale. Il budget del Pentagono aumentò del 91% in termini reali tra 1998 e 2011, mentre nel mondo le spese totali per i bilanci militari aumentarono del 50% dal 2006 al 2015, da 1,4 trilioni a più di 2 trilioni, sebbene questa cifra non tenesse conto delle centinaia di miliardi di dollari spesi in intelligence, operazioni di emergenza, polizia, guerre fasulle contro gli immigrati, terrorismo e droga e “sicurezza nazionale”. Durante questo periodo, i profitti del complesso militare-industriale quadruplicarono. Ma concentrarsi solo sui bilanci militari ci fornisce solo una parte del quadro dell’economia di guerra globale. Le varie guerre, conflitti e campagne di controllo sociale e repressione nel mondo implicano la fusione dell’accumulazione privata con la militarizzazione statale. In questo rapporto, lo stato facilita l’espansione delle opportunità di accumulo di capitale privato attraverso la militarizzazione, ad esempio facilitando la vendita globale di armi da parte di società di sicurezza industriale-militare, i cui importi hanno raggiunto livelli senza precedenti. Le vendite globali di armi da parte dei primi 100 produttori di armi e società di servizi militari sono aumentate del 38% tra 2002 e 2016. Nel 2018, le società militari private a scopo di lucro impiegavano circa 15 milioni di persone nel mondo, mentre altre 20 milioni lavoravano nella sicurezza privata. L’attività di sicurezza privata (polizia) è uno dei settori economici in più rapida crescita in molti Paesi ed è arrivata a sminuire la sicurezza pubblica nel mondo. L’importo speso per la sicurezza privata nel 2003, l’anno dell’invasione dell’Iraq, fu del 73 per cento superiore a quello speso per la sfera pubblica e il numero di persone impiegate in forze private è tre volte superiore le forze dell’ordine ufficiali. In metà dei Paesi del mondo, gli agenti di sicurezza privata sono più degli agenti di polizia. Questi soldati e poliziotti aziendali furono schierati per proteggere la proprietà aziendale, fornire sicurezza personale ai dirigenti del CCT e famiglie, raccogliere dati, condurre operazioni di polizia, paramilitari, controinsurrezione e sorveglianza, eseguire il controllo di massa e la repressione dei manifestanti, eseguire detenzioni private e interrogatori, gestire prigioni e partecipare alla guerra totale.
Nel 2018, il presidente Trump annunciò con molto clamore la creazione di un sesto servizio militare, la “forza spaziale”. I media corporativi debitamente seguirono la linea ufficiale che tale forza fosse necessaria per affrontare le crescenti minacce agli Stati Uniti. Ciò che fu meno riportato è che un piccolo gruppo di ex-funzionari governativi con profondi legami con l’industria aerospaziale si era imposto dietro le quinte per la sua creazione come modo per promuovere la spesa militare per satelliti e altri sistemi spaziali. A febbraio, la Federation of American Scientists riferì che il lobbismo del complesso militare-industriale è responsabile della decisione del governo degli Stati Uniti di investire almeno 100 miliardi per rinforzare le scorte nucleari. L’amministrazione Biden annunciò ad aprile con grande successo che avrebbe ritirato le truppe statunitensi dall’Afghanistan. Mentre le truppe in quel Paese sono 2500, che impallidiscono rispetto agli oltre 18000 mercenari che il governo degli Stati Uniti assunse per eseguirne gli ordini nel Paese, inclusi almeno 5000 soldati corporativi, che rimarranno. Le cosiddette guerre a droga e terrorismo, guerre non dichiarate contro gli immigrati, rifugiati e bande, e più in generale i giovani poveri dalla pelle scura e della classe operaia, la costruzione di muri di confine, centri di detenzione per immigrati, complessi prigione-industriali, sistemi della sorveglianza di massa e diffusione della sicurezza privata e delle compagnie mercenarie, divennero le principali fonti di profitto e diventeranno più importanti per il sistema man mano che la stagnazione sarà la nuova normalità. In sintesi, lo stato di polizia globale è un grande affare nel momento in cui le altre opportunità di profitto aziendale transnazionale sono limitate. Ma se il profitto aziendale, e non una minaccia esterna, è la ragione per espandere lo Stato degli Stati Uniti e la macchina da guerra corporativa e lo stato di polizia globale, ciò va ancora giustificato all’opinione pubblica. La narrativa ufficiale della propaganda di Stato sulla “Nuova Guerra Fredda” serve a tale scopo.
Evocare nemici esteri
C’è un’altra dinamica all’opera nella spiegazione della Nuova Guerra Fredda: la crisi della legittimità statale e dell’egemonia capitalista. Le tensioni internazionali derivano dall’acuta contraddizione politica nel capitalismo globale in cui la globalizzazione economica ha luogo in un sistema di autorità politica basato sullo Stato-nazione. Per dirla in termini tecnici, c’è una contraddizione tra funzione dell’accumulazione e funzione di legittimità degli Stati. Cioè, gli Stati affrontano una contraddizione tra la necessità di promuovere l’accumulazione transnazionale di capitale nei loro territori nazionali e la necessità di raggiungere la legittimità politica e stabilizzare l’ordine sociale interno. Per attrarre investimenti aziendali e finanziari transnazionali sul territorio nazionale è necessario fornire al capitale tutti gli incentivi associati al neoliberismo, come pressione al ribasso dei salari, dissoluzione dei sindacati, deregolamentazione, tasse basse o nulle, privatizzazione, sussidi agli investimenti, austerità fiscale e così via. Il risultato è la crescente disuguaglianza, impoverimento e insicurezza per le classi lavoratrici e popolari; precisamente le condizioni che gettano gli Stati in crisi di legittimità, destabilizzano i sistemi politici nazionali e mettono a repentaglio il controllo delle élite. Gli attriti internazionali aumentano mentre gli stati, negli sforzi per mantenere la legittimità, cercano di sublimare le tensioni sociali e politiche e di impedire che l’ordine sociale si fratturi. Negli Stati Uniti, tale sublimazione comportava l’incanalamento dei disordini sociali verso comunità di capri espiatori come gli immigrati, in questo è cruciale il razzismo, componente centrale della strategia politica del governo Trump, o verso un nemico estero come Cina o Russia, cosa diventata chiaramente pietra angolare della strategia del governo Biden. Mentre le classi dominanti cinese e russa devono anche affrontare le ricadute economiche e politiche della crisi globale, le loro economie nazionali dipendono meno dall’accumulazione militarizzata e i loro meccanismi di legittimazione riposano altrove che non dal conflitto con gli Stati Uniti. È Washington che evoca la Nuova Guerra Fredda, basata non su alcuna minaccia politica o militare da Cina e Russia, tanto meno dalla concorrenza economica, poiché le multinazionali negli Stati Uniti e in Cina sono profondamente intrecciate, ma sull’imperativo di gestire e sublimare la crisi.
La spinta dello Stato capitalista a esternalizzare le ricadute politiche della crisi aumenta il pericolo che le tensioni internazionali conducano alla guerra. Storicamente le guerre trassero fuori dalla crisi il sistema capitalista mentre distolgono l’attenzione dalle tensioni politiche e dai problemi di legittimità. Il cosiddetto “dividendo della pace” che avrebbe portato alla smilitarizzazione quando la Guerra Fredda originale terminò col crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, svanì all’improvviso cogli eventi del settembre 2001, che legittimarono la falsa “Guerra al terrorismo” come nuovo pretesto per la militarizzazione e il nazionalismo reazionario. I presidenti degli Stati Uniti raggiungono storicamente i più alti indici di gradimento quando lanciano guerre. George W. Bush ebbe il massimo storico del 90% nel 2001 quando la sua amministrazione si preparava a invadere l’Afghanistan, e suo padre George HW Bush ebbe l’89% nel 1991, proprio quando gli Stati Uniti dichiararono la fine della loro ( prima) invasione dell’Iraq e la “liberazione del Quwayt”.
La battaglia per il mondo post-pandemia
Attualmente si assiste aa una radicale ristrutturazione e trasformazione del capitalismo globale basata su una digitalizzazione molto più avanzata dell’economia e società globali. Questo processo è guidato dalle cosiddette tecnologie della quarta rivoluzione industriale, tra cui intelligenza artificiale e apprendimento automatico, Big Data, veicoli terrestri, aerei e marittimi guidati autonomamente, quantum e cloud computing, banda larga 5G, bio- e nanotecnologia e Internet of Things, o IoT. La crisi non è solo economica e politica, ma anche esistenziale a causa delle minacce di collasso ecologico e guerra nucleare, a cui bisogna aggiungere il pericolo di future pandemie che potrebbero coinvolgere microbi molto più letali dei coronavirus. I blocchi della pandemia servivano come accelerazione per la digitalizzazione consentendo ai gruppi dominanti di intensificare la ristrutturazione del tempo e dello spazio e di esercitare maggiore controllo sulla classe lavoratrice globale. Il sistema ora spinge all’espansione attraverso militarizzazione, guerre e conflitti, un nuovo ciclo di espropriazione violenta ed ulteriori saccheggi dello Stato. Le classi dominanti usano anche l’emergenza sanitaria per legittimare un controllo più stretto sulle popolazioni irrequiete. Le mutevoli condizioni sociali ed economiche provocate dalla pandemia e sue conseguenze accelerano il processo. Queste condizioni aiutavano un nuovo blocco di capitale transnazionale, guidato dalle gigantesche società tecnologiche, intrecciate con finanza, farmaceutica e complesso militare-industriale, accumulando un potere sempre maggiore e a consolidare il controllo dall’alto dell’economia mondiale. Man mano che la ristrutturazione procede, aumenta la concentrazione del capitale nel mondo, peggiora la disuguaglianza sociale e si aggravano le tensioni internazionali e i pericoli di conflagrazione militare.
Nel 2018, solo diciassette conglomerati finanziari globali gestivano 41,1 trilioni di dollari, più della metà del PIL del pianeta. Quell’anno, per ribadire, l’uno per cento più ricco dell’umanità guidato da 36mila milionari e 2400 miliardari controllava più della metà della ricchezza mondiale, mentre l’80 per cento più povero, quasi sei miliardi di persone, doveva accontentarsi solo del cinque per cento di tale ricchezza. Il risultato era la devastazione per la maggioranza povera dell’umanità. Nel mondo, il 50% di tutte le persone vive con meno di 2,50 dollari al giorno e l’80% con meno di 10 dollari al giorno. Una persona su tre sul soffre di qualche forma di malnutrizione, quasi un miliardo va a letto affamato ogni notte e altri due miliardi soffrono di insicurezza alimentare. I rifugiati da guerra, cambiamenti climatici, repressione politica e collasso economico sono centinaia di milioni. La Nuova Guerra Fredda rendera ancora più misera questa massa di umanità. Le crisi capitaliste sono tempi di intense lotte sociali e di classe. Ci fu una rapida polarizzazione politica nella società globale dal 2008 tra un’estrema destra ribelle e una sinistra ribelle. La crisi in corso ha provocato rivolte popolari. Lavoratori, agricoltori e poveri si sono dedicati a scioperi e proteste nel mondo. Dal Sudan al Cile, dalla Francia alla Thailandia, dal Sud Africa agli Stati Uniti, una “primavera popolare” scoppia ovunque. Ma la crisi anima anche forze di estrema destra e neofasciste che sono aumentate in molti Paesi e che hanno cercato di capitalizzare politicamente la calamità sanitaria e le sue conseguenze. Movimenti neofascisti e regimi autoritari e dittatoriali hanno proliferato nel mondo col crollo della democrazia. Tali disuguaglianze selvagge sono esplosive. Alimentano la protesta di massa degli oppressi e guidano i gruppi al potere a dispiegare uno Stato di polizia globale sempre più onnipresente per contenere la ribellione delle classi popolari e lavoratrici globali. Il capitalismo globale emerge dalla pandemia entrando in una nuova fase pericolosa. Le contraddizioni di questo sistema in crisi hanno raggiunto il punto di rottura, mettendo il mondo in una situazione pericolosa che rasenta la guerra civile globale. La posta in gioco non potrebbe essere più alta. La battaglia per il mondo post-pandemia è in corso. Parte di essa è smascherare la Nuova Guerra Fredda come stratagemma dei gruppi dominanti per distogliere l’attenzione dall’aggravarsi della crisi del capitalismo globale.
William I. Robinson è professore illustre di sociologia, studi globali e studi latinoamericani presso l’Università della California a Santa Barbara. Il suo libro, Guerra civile globale: repressione e ribellione nel mondo post-pandemico, sarà pubblicato da PM Press all’inizio del prossimo anno.
FONTE: http://aurorasito.altervista.org/?p=17043
CULTURA
Nella poesia di Broch la forma è sostanza
5 Maggio 2021 – 08:09
Per la prima volta in italiano la raccolta delle liriche del grande scrittore austriaco
Sulla lapide, bassa, ai piedi di un albero, nell’arcano cimitero di Killingworth, Connecticut, dove la foresta, letteralmente, inghiotte le tombe, c’è scritto Poet and Philosopher. Rivelazione medianica: Hermann Broch, morto a New Haven alla fine di maggio, settant’anni fa, nel 1951, si credeva filosofo, era poeta, eppure, in vita, non ha pubblicato un verso; è forse il romanziere decisivo del secolo scorso.
Nato a Vienna nel 1886, da facoltosa famiglia ebraica di imprenditori tessili, fu arrestato, nel 1938, dai Nazisti. Riuscì, grazie a un gruppo di influenti amici tra cui James Joyce, Thornton Wilder ed Edwin Muir a rifugiarsi prima in Inghilterra, poi negli Stati uniti, dove, per qualche mese, fu ospite a casa di Albert Einstein. Era bello, alto, complicato, donnaiolo.
Nel 1950, l’anno prima della morte, fu candidato dal Pen Club austriaco al Nobel per la letteratura. Il premio andò, invece, molti anni dopo, nel 1981, a Elias Canetti, l’amico, che di Broch invidiava tutto il dissennato talento, l’aristocratica leggerezza, il corpo, infine, atlantico, travolgente. Ne fece il cuore del suo romanzo più bello, Il gioco degli occhi, che è il luogo privilegiato per leggere uno scrittore, Broch, altrimenti irraggiungibile. Canetti speculava, da un’astrale distrazione, di bontà «Nelle mie conversazioni con Broch venne a galla un problema… esisteva un uomo buono?» , mentre l’altro, radioso, si lasciava ghermire dagli occhi di Anna, scultrice, scultorea figlia di Gustav Mahler. «Anna non badava a me, i suoi occhi si erano immersi negli occhi di Broch e quelli di lui negli occhi di lei». È un incontro tra bestie rare, rapaci: gli occhi di Anna «mirano solo a sbranare», il corpo di Broch era quello di «un uccello grande e bellissimo… ricordava di un tempo in cui poteva ancora volare».
Broch si era convertito al cattolicesimo nel 1909, per sposare Franziska von Rothermann, da cui divorzia, nel 1923. Diversi anni dopo si unirà ad Annemarie Meier Graefe, più giovane di vent’anni: fu un matrimonio aperto. Nel 1927 si era liberato dell’azienda di famiglia per diventare, diceva, uno spirituale: studiò filosofia, scrisse I sonnambuli (1931; 32), ciclo di romanzi che gli diede fama di autore abissale dall’anno scorso sono riediti da Adelphi, nella traduzione di Ada Vigliani.
Broch esordì come scrittore, già compiuto, esatto, a 45 anni; era un degno erede di Hugo von Hofmannsthal a cui dedicò uno studio importante , ammirava Joyce. Hitler, per così dire, lo forzò al capolavoro. L’ordalia nazista «una concentrazione costante, intensissima sull’esperienza della morte» , l’arresto, la fine di un mondo, «lo scrivere… come un atto del tutto privato», portarono Broch a concepire La morte di Virgilio, romanzo-poema d’incessante grandezza. Il monologo di Virgilio, in punto di morte, deciso a bruciare l’Eneide, scandito in quattro atti «Acqua», «Fuoco», «Terra», «Etere» riassume e incenerisce la sapienza occidentale, è il punto estremo del romanzo come genere letterario, al di là del quale è balbettio bianco, delirante resa, silenzio. «Canto funebre, requiem ci invita quasi con tenerezza a violare le porte del terrore, e a discendere, con la nostra memoria amante per guida, giù al punto in cui la felicità, o sapienza del circolo, è perfetta», scrisse di quel romanzo docile e inaccessibile Maurice Blanchot. Più lapidaria Hannah Arendt: La morte di Virgilio le pareva «la più grande opera poetica del tempo».
Eccolo, senza fisime, il punto: Hermann Broch ha teorizzato il romanzo come luogo ultimo della conoscenza («la scienza non è in grado di fornire totalità, deve anzi lasciare tale compito all’arte e quindi al romanzo»), ma è stato, di continuo, poeta. Così, la pubblicazione delle poesie di Broch, con il titolo La verità solo nella forma (De Piante, pagg. 180, euro 14; a cura di Vito Punzi), è un evento fondamentale per la critica, un vanto per l’editore, un vento assoluto per il lettore, che scoprirà «un mondo poetico visionario, interrogante, aspro e ondoso» (così Giuseppe Conte, nell’introduzione), cioè un poeta arcano, vertiginoso, che procede per violenze verbali, come fanno i rari. Le poesie attraversano la vita intera di Broch: dal 1913 alla morte; spesso sbocciano versi epigrafici («Poiché il vero è rigoroso, non fidarti dell’allegria»), da gettare nell’argento del giorno, perché ci sorprendano, a morsi, nel sonno.
Uomo carnale, invitto, Broch sapeva eclissarsi nell’astratto; alcuni versi questi sono tratti da L’introvabile sembrano rivelare l’attitudine dell’artista: «davanti alla bellezza hai sempre depredato te stesso». Lo scrittore, degno alla regola, va «a tentoni verso l’inafferrabile»: tenta, usando le mani come occhi, l’oscurità. Anche quando filosofeggia, Broch scrive senza sostegni, senza ritegno, nell’eremo blu di un grido. In una dedica all’amico Albert Einstein, «colui che regge il nostro mondo», sfotteva il suo capolavoro: «è troppo assurdo questo libro». Sulla prima edizione italiana della Morte di Virgilio, stampata da Feltrinelli sessant’anni fa la traduzione è di Aurelio Ciacchi, ed è ora di rivederla campeggia la faccia da aquila di Broch; ti fissa con rassegnata inquietudine. «Lo sguardo cerca l’inimitabile/ le ombre argentee degli alberi e/ il canto che piove», scrive in una poesia.
È svanito in un cupo pudore: degno di stare al fianco di Thomas Mann e di James Joyce e di Marcel Proust, ha preferito alienarsi da ogni canone. Il suo sorriso sembrava una grotta.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/nella-poesia-broch-forma-sostanza-1944162.html
FRANCESCO MUSOTTO: PERSONAGGIO TRA STORIA E METASTORIA
Uno studio vasto, dettagliato e perfettamente documentato, ma di lettura agevole con il suo stile raffinato e scorrevole: la biografia di un personaggio inserito nel suo contesto storico, il primo sessantennio del secolo scorso. Un excursus biografico – che si fa grande storia esso stesso per la sua fusione con gli sconvolgenti avvenimenti di uno dei periodi più cruciali della vicenda umana e nel contempo metastoria per i suoi riferimenti assoluti di spirito immutabile di verità e di onestà – quello che l’eminente scrittore e saggista professor Franco Cangelosi ha voluto proporci con il suo ultimo volume “L’Onorevole Francesco Musotto di Pollina” (Foggia, Editore Centro Grafico, 2021, pagine 260).
La biografia di una personalità politica, ma anche di una individualità che si abbandona a momenti poetici altamente lirici e di bonaria quotidianità familiare, le fantasie narrative di cui al sottotitolo del volume, testimone sia del Ventennio fascista che dei tragici anni del dopoguerra e di quelli ardui della Repubblica, da lui vissuti con partecipazione e intelligenza, con abilità ma anche con dirittura. Cangelosi ha saputo leggere con acutezza e grande maestria espositiva l’ampia documentazione, riuscendo a collocarla nella storia, la grande storia, e non nella semplice cronaca biografica; talché, allargando il discorso storico-politico, ha offerto un contributo importante, anzi indispensabile alla storia e alla comprensione dall’interno della politica italiana, in special modo sul versante della politica siciliana e meridionalistica in generale, in epoca fascista prima e in quella repubblicana poi.
Viene presentata a tutto tondo la vita di un personaggio coraggioso e interessante, ex magistrato, già deputato del Regno d’Italia, poi Alto Commissario per la Sicilia e infine deputato nel Parlamento della Repubblica fino alla sua morte avvenuta nell’agosto 1961, militante socialista ma di alte vedute liberali. La sua biografia diventa quasi un pretesto ricco di suggestioni: non solo il profilo biografico di un personaggio politico, scrutato pure nella sua umanità più profonda, densa di affetti misti a dolore, ma un articolato contributo alla rappresentazione a più livelli di un’epoca inquieta.
Alla suggestività dell’accattivante paesaggio madonita rappresentato in copertina – la sonnacchiosa, amata Pollina di Francesco Musotto – di grande effetto visivo, fa riscontro un rigore metodologico di prim’ordine che offre lo spunto a un lavoro di ampio respiro e a considerazioni che vanno ben oltre le vicende personali e politiche del personaggio. Assai penetranti sono gli approfondimenti, tutti documentati, sul suo comportamento e ancor più sulle sue idee, che si ponevano in consonanza con i tempi, le due guerre mondiali e oltre: il nostro Francesco Musotto è figlio e partecipe della sua epoca con le sue illusioni e le sue speranze, soprattutto di risveglio della sua terra, e la sua dignità. Di certo una mente poliedrica, sempre entro il quadro di una forte tensione morale verso obiettivi ben precisi, nella radicata convinzione di fare il proprio dovere in funzione delle esigenze nazionali e nel contempo della sua Sicilia, senza scadere in suggestioni indipendentistiche e separatiste.
La considerazione conclusiva che può trarsi dalla lettura di un libro molto appassionato, di ricerca e di avvincente narrazione, è che si tratta di un personaggio di spessore, che ha mostrato un impegno straordinario nella sua attività a favore del Paese, un servitore dello Stato in cui saldamente credeva. La descrizione di questo personaggio si deve alla ricostruzione magistrale, intelligente e umana, perspicace e assai ricca del professor Cangelosi. Ha saputo fondere con sapienza elementi di leggerezza narrativa e ingredienti fattuali dei percorsi storici in tutta la loro severità e irrevocabilità: qui sta l’assoluta originalità del lavoro, ciò che consente una piacevole lettura in modo esemplare.
FONTE: http://opinione.it/cultura/2021/05/10/francesco-giannubilo_francesco-musotto-personaggio-storia-metastoria-franco-cangelosi-centro-grafico-editore/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Ecco i 5 Stati Ue “complici” della Cia
A che punto sono le indagini nei Peaesi dove i Servizi Usa hanno operato in segreto
La direzione generale per le politiche interne della Ue ha realizzato un corposo studio sulle cosiddette “extraordinary redition” avvenute in Europe in “complicità” (così nel testo) con la Cia americana.
La Cia in Europa
Si tratta di operazioni che i servizi segreti americani hanno svolto sul territorio di Stati europei negli anni scorsi. Lo studio si sofferma solo su 5 stati del Continente: Italia, Lituania, Polonia, Romania e Gran Bretagna perché in questi 5 casi esistono evidenze documentali, sia di tipo giudiziario che politico (cioè indagini parlamentari) del coinvolgimento dei rispettivi governi nelle operazioni della Cia. Nella cartina sono indicati quali tipi di indagine sono state portate avanti e da quale organo dello Stato.
Per quanto riguarda l’Italia il caso al quale si riferisce lo studio è quello del 2005 quando la Cia in Europa organizzò una “extraordinary redition”, cioè un rapimento, ai danni di Abu Omar. Questo caso è ancora pendente presso la Corte internazionale dei diritti dell’uomo (ECtHR, come indicato nella cartina). Dopo la scoperta di questo rapimento, effettuato a Milano, anche organi dello Stato, come il Sismi, vennero messi sotto accusa da un’indagine parlamentare così come anche in tutti gli altri Paesi ma, in tutti i Paesi, i governi in carica all’epoca dei fatti, vennero ritenuti innocenti.
Le “extraordinary redition”
In Italia, però, come mostra la cartina, venne avviata anche un’indagine penale da parte della procura di Milano che ha portato, nel 2009, a condannare 22 ufficiali della Cia, un ufficiale dell’esercito americano e due agenti segreti italiani, questi ultimi a tre anni di carcere per ostacolo alle indagini. Le indagini a carico di 5 ufficiali dei servizi segreti (Nicolò Pollari e Marco Mancini compresi) sono state bloccate dal segreto di Stato.
Ma la vicenda, dopo 10 anni, non è ancora conclusa perché il milione di euro che è stato riconosciuto ad Abu Omar come risarcimento e i 500mila euro che sono stati riconosciuti alla moglie, Nabila Ghali, non sono mai stati versati.
I dati si riferiscono al: 2015
Fonte: Direzione politiche interne Ue
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FONTE: https://www.truenumbers.it/cia-in-europa/
L’ex capo centro della CIA Robert Gorelick in Italia al master di Intelligence
“L’uccisione di Soleimani è stato un errore. In Medio Oriente gli alleati non si comprano ma si affittano. Il Covid-19 richiede una collaborazione internazionale tra le intelligence”. Queste e altre riflessioni Robert Gorelick, già Capocentro della Central Intelligence Agency (CIA) in Italia, ha sviluppato durante la sua lezione al Master di Intelligence, diretto da Mario Caligiuri.
Gorelick ha iniziato la sua lezione trattando la figura dell’analista, che deve avere un atteggiamento aperto verso la raccolta delle informazioni. Infatti, negli anni passati c’era una separazione netta fra ufficiale operativo, che reclutava la fonte, e l’analista, che elaborava le informazioni. Ora, invece questi “muri” non sono più esistenti. “La fonte – ha proseguito – deve avere le caratteristiche della qualità e dell’attendibilità e quelle raccolte direttamente sul terreno hanno un maggiore valore“.
Gorelick è stato anche responsabile della controproliferazione della CIA a Langley. In questo ruolo ha cercato di integrare il lavoro degli operativi con quello degli analisti, mettendo in atto una serie di innovazioni operative. Tra le iniziative assunte, aveva nominato come vicedirettore per la prima volta un analista e soppresso la direzione degli analisti, inserendoli all’interno delle varie sezioni operative. In tale quadro è maturata l’istituzione del Targeting Officers. Questa impostazione è stata poi adottata anche dalle altre sezioni della CIA.
“Ma che cosa fa un Targeting Officer? Aiuta sia l’ufficiale sul terreno per individuare l’obiettivo da raggiungere e sia l’ufficiale operativo, ad esempio all’interno di un’Ambasciata. Tale schema è cambiato soprattutto dopo l’11 settembre, quando gli Stati hanno posto come priorità il contrasto al terrorismo e al narcotraffico. In questo nuovo scenario la copertura tradizionale degli agenti per avere accesso alle fonti non era più sufficiente e quindi si sono adottate altre modalità operative.
Gorelick ha poi approfondito la raccolta delle informazioni che proviene da fonte umana (Humint) che viene integrata dagli analisti, i quali possiedono una conoscenza approfondita degli obiettivi da raggiungere. Ha poi proseguito confrontando la Humint con la Sigint, cioè la raccolta delle informazioni mediante l’intercettazione e l’analisi dei segnali delle telecomunicazioni. Tale modalità di raccolta dei dati è cresciuta dopo l’11 Settembre non solo come fonte di intelligence, ma anche come appoggio alle attività della Humint. Infatti, le diverse modalità di intelligence si rafforzano a vicenda e appunto per questo occorrono analisti che integrino i vari tipi di fonte.
Gorelick ha poi proseguito parlando di contestualizzazione e l’ha identificata come uno degli aspetti più importanti, in quanto i vari settori dell’intelligence non possono restare isolati, ma integrarsi tra loro. “L’intelligence – ha detto – è fondamentale per conoscere i piani e le intenzioni dell’avversario, ma non può fornire tutte le informazioni perché il suo compito è quello di rubare segreti e non di svelare misteri”.
“Un bravo analista – per l’ex agente – deve esaminare la realtà senza pregiudizi. L’intelligence deve trovare le notizie inattese, ma oggi gli Stati richiedono quasi sempre informazioni che possano confermare le proprie posizioni politiche. Questa impostazione mette in difficoltà il ruolo dell’intelligence che invece è quello di offrire notizie obiettive, rimanendo dietro le quinte”.
Ha poi affrontato il tema del reclutamento, dove gli psicologi hanno un ruolo fondamentale, poiché un ufficiale delle operazioni o un analista, debbono possedere mentalità e capacità specifiche, soprattutto per svolgere un lavoro in clandestinità”.
“Altra componente fondamentale nell’attività dell’analista – ha ribadito – è rappresentata dalla capacità di saper formulare le domande alla quale la fonte potrà effettivamente rispondere per ricostruire quanto accade”.
Gorelick ha proseguito illustrando alcuni esempi di intelligence economica dei vari Stati, evidenziando che la Francia si trova all’avanguardia, l’Italia in difficoltà e gli USA non possono utilizzare l’intelligence per sostenere le attività delle imprese.
Gorelick ha però precisato che “l’analista economico svolge un lavoro molto simile a quello dell’analista politico e dell’analista dell’intelligence. Oggi il ruolo dell’intelligence sta cambiando molto, soprattutto con l’avvento delle tecnologie, come ad esempio il 5G. Il lavoro di intelligence è diventato molto importante perché richiede creatività, immaginazione e fantasia. Per cui tale compito non può essere affidato esclusivamente ai militari, che hanno altre qualità. Al contrario il ruolo del poliziotto è molto simile a quello dell’operatore di intelligence, in quanto interviene per cercare di reprimere un evento immediato.
Ritornando sul discorso del reclutamento, ha evidenziato che “in Italia, l’intelligence, ed in particolar modo l’AISE, sta reclutando persone con diverse competenze: esperti di relazioni internazionali, di lingue, di terrorismo, di finanza, in quanto c’è necessità di competenze diverse e più specializzate rispetto al passato”.
Ha poi ribadito che “per gli operatori di intelligence in Italia è molto difficile il lavoro sotto copertura, ma tale possibilità è stata consentita con la legge 124/2007 che ha previsto le garanzie funzionali. Ci sono dei corpi specializzati come la Guardia di Finanza che hanno attitudini più spiccate nella gestione dell’intelligence mentre non tutti quelli chiamati a queste funzioni da altre amministrazioni hanno queste competenze”.
Gorelick ha poi affrontato il ruolo del controspionaggio, che è molto importante e che nel mondo finanziario viene svolto dagli analisti. “L’attività di spionaggio all’estero – ha ricordato – è sempre illegale e comporta conseguenze per chi lo svolge: ad esempio un diplomatico può essere espulso mentre gli altri operatori vengono arrestati o uccisi”.
L’intelligence – ha ribadito – si pone i problemi del futuro. Infatti, ha ricordato la sua esperienza con Al Gore, il Vicepresidente degli Stati Uniti d’America sotto la presidenza Clinton, che era molto attento alle conseguenze che l’ambiente e il clima avrebbe potuto comportare per l’ordine mondiale”.
Per Gorelick “la vicenda del COVID-19 sta dimostrando quanto sia importante la cooperazione tra i vari Paesi, soprattutto a livello di intelligence. In Italia ad esempio non era prevedibile e si è operato in ritardo, ma lo stesso vale per tutti gli altri Stati”. Inoltre, ha ricordato il ruolo dei Servizi, che collaborano per contrastare il terrorismo e il narcotraffico.
“Negli USA – ha ribadito – la riforma dell’intelligence del 2004 è stata effettuata da chi in gran parte non aveva competenza sufficienti sull’argomento. Non esistono differenze sostanziali tra gli analisti italiani e gli analisti americani, però negli Stati Uniti ci sono molte più risorse economiche, tecnologiche e umane. In Italia l’analisi è importante, ma i risultati ottenuti non vengono di regola condivisi, a differenza degli USA dove le 18 agenzie preposte cooperano non solo tra di loro ma con tutta la società. Non a caso, un Capo di divisione della CIA ha relazioni politiche al massimo livello istituzionale”.
Per quanto riguarda i rapporti tra gli Stati, i paesi occidentali collaborano con gli USA, ma spesso gli interessi necessariamente divergono. “Oggi le operazioni di intelligence – ha evidenziato – sono molto differenti rispetto al passato, perché le tecnologie hanno modificato quasi tutto. Per esempio, per pedinare una persona prima c’era bisogno di almeno 18 operatori mentre adesso molto probabilmente l’intercettazione può avvenire soltanto tramite le tecnologie”.
Gorelick ha poi detto che “l’autorità e la credibilità dell’intelligence dipende dal prestigio di chi la guida e di come interpreta la funzione. Questo vale sopratutto negli USA, dove il Direttore Nazionale dell’Intelligence coordina le 18 agenzie. Però quando si opera all’estero tutti gli operatori dell’intelligence fanno riferimento al capo centro della CIA di quel paese“.
Ha quindi toccato il tema caldo della disinformazione che è imperante nelle fonti aperte, per cui il ruolo dell’analista diventa determinante, perché è colui che analizza le informazioni della Rete”. Gorelick ha poi risposto alle domande degli studenti. Sull’omicidio di Qassem Soleimani: “L’uccisione di un ufficiale di uno Stato, che sta svolgendo il suo mestiere, è sempre una cosa sbagliata”.
Sulle attività di intelligence in Medio Oriente: “In Medio Oriente gli alleati non si comprano ma si affittano, perché in quel contesto è difficile individuare fonti sempre affidabili, perché gli interessi cambiano rapidamente. Basti pensare che nel 1979 durante la guerra in Afghanistan, gli Stati Uniti sostenevano in funzione antisovietica i talebani, che dopo il 2001 si sono trasformati nel nemico principale“.
Sulla collaborazione istituzionale nell’intelligence: “Anche in America come in Italia, la collaborazione tra intelligence e magistratura è complicata. Dopo l’11 settembre si sono creati tra le varie istituzioni americane dei centri di coordinamento e di collaborazione per condividere le informazioni sul terrorismo, così come in Italia è nato il Comitato Analisi Strategica Antiterrorismo (C.A.S.A.).
Sulla controproliferazione nucleare: “Richiede competenze molto specifiche perché bisogna capire cosa realmente succede. Trattandosi di Stati, è più semplice tenere sotto controllo la controproliferazione che il terrorismo. Diventano quindi importanti le informazioni dei politici perché conoscono i vari programmi, ma sono rilevanti anche le informazioni degli scienziati che lavorano sul campo”;
Sull’eccesso delle informazioni: “È un grande problema per tutti i Servizi, di meno per quelli americani per via delle grandi risorse utilizzate che consentono di individuare spesso quelle rilevanti. In tale attività, si chiede l’aiuto dell’esercito che dispone di numerosi analisti e sofisticate tecnologie“.
Sul rapporto tra intelligence e mondo accademico: “E’ assai stretto. Molti operatori studiano e frequentano le conferenze accademiche, come per esempio quelle della Georgetown University. Inoltre, i professori universitari possono essere autorizzati a partecipare alle riunioni riservate dell’intelligence quando si affrontano temi specifici, sui quali c’è necessità di particolari competenze. Pertanto, esiste una collaborazione molto stretta tra l’intelligence e il mondo accademico, come con il settore privato”.
FONTE: http://www.cn24tv.it/news/205583/l-ex-capo-centro-della-cia-robert-gorelick-in-italia-al-master-di-intelligence.html
Nell’America della paranoia security 16 agenzie di spionaggio
‘Intelligence’, parola che indica ormai universalmente lo spionaggio, è una delle tante rapine linguistiche anglosassoni a danno del nostro mondo latino. L’italianissima parola ‘intelligenza’, che ha indicato per secoli, non solo le capacità mentali, ma le prime strutture organizzate di spionaggio, dalla Firenze dei Medici alle Repubbliche marinare di Genova e Venezia, minuscole grandi potenze.
Intelligenze per intendere il comprendere assieme al conoscere, dalla ‘Intelligo’ latina.
La ‘Intelligence’ come spionaggio, non sempre si mostra adeguatamente intelligente. Ma andiamo a spiare le spie
La comunità dell’intelligence statunitense è tra le più complesse e frazionate del mondo. Secondo gli elenchi ufficiali, vi fanno parte a pieno titolo ben sedici agenzie. Nel 2017, il budget Usa all’intero sistema di intelligence degli Stati Uniti sarà, secondo le richieste già ufficializzate, di 53 miliardi di dollari. Cifre da brivido.
17,7 miliardi sono per l’intelligence militare, bilancio difesa che dal prossimo anno ingrasserà dei 54 miliardi in più promessi da Trump.
Tra i settori che beneficeranno di nuovi investimenti, settori ritenuti strategici quindi, il controterrorismo, la sicurezza delle reti informative umane e tecnologiche, e la contro-proliferazione ABC, nucleare, batteriologica e chimica. Insomma, le armi di distruzione di massa.
Ecco l’elenco delle 16 agenzie di spionaggio, con le loro principali caratteristiche che distinguono le sedici agenzie d’intelligence del Paese.
Da notare subito, che ogni corpo armato o legato alla sicurezza nazionale ha una sua agenzia di spionaggio.
Noi modifichiamo l’ordine dell’elenco per proporvi in testa le tre strutture chiave dell’intelligence Usa, le più simili al nostro meccanismo di sicurezza nazionale e alla struttura spionistica più consueta: spionaggio, controspiogaggio e coordinamento tra i due.
Negli Stati Uniti, Cia, Fbi e Intelligence Community. In Italia, Aise, Aisi e Dis.
SPIONAGGIO, CONTROSPIONAGGIO, COORDINAMENTO
1) Central Intelligence Agency
La CIA (Central Intelligence Agency) produce dati e analisi per il governo raccogliendo informazioni ed elaborandone altre provenienti da altre agenzie per favorire il processo decisionale dell’Amministrazione. Il suo direttore (dal 23 gennaio 2017 è Mike Pompeo, nominato dal presidente Donald Trump) è il responsabile di tutta la rete di ‘human intelligence’.
La CIA è composta da direttorati: Analisi, Operazioni, Scienza e Tecnologia, Supporto, Innovazione Informatica, Centro Missioni all’estero (comprese quelle sotto copertura coordinate dal National Clandestine Service).
Dei 53 miliardi di budget destinati nel 2017 all’intera rete delle agenzie di intelligence statunitensi, 15 sono destinati alla CIA.
2) Federal Bureau of Investigation
L’FBI (Federal Bureau of Investigation) è l’agenzia primaria di controspionaggio. Come la CIA, è una struttura sia di intelligence che di tutela e applicazione della legge. Detta in altra maniera, un po’ spie, un po’ sbirri. Una caratteristica quasi esclusiva della comunità d’intelligence americana. In gran parte dei Paesi d’Europa, Italia tra questi, i servizi di intelligence non sono uffici di polizia giudiziaria, ma strutture di raccolta dati e analisi.
3) Director of National Intelligence
DNI. Negli Stati Uniti, la struttura di collegamento tra le varie agenzie di intelligence nazionali – un organismo sostanzialmente burocratico con minor peso nei Paesi europei – risponde direttamente al presidente e all’ufficio di coordinamento tra tutti i Direttori delle agenzie, la ‘Intelligence Community’ che, con Obama, aveva a capo il generale James R. Clapper. Trump vorrebbe cancella il DNI. Una idea che ha il sostegno scontato di tutti gli ‘operativi’, conflittualità trasversale nel mondo.
LA FRAMMENTAZIONE CON DIVERSE RILEVANZE
4) Air Force Intelligence
La US Air Force Intelligence si occupa di sorveglianza, analisi-elaborazione dei dati su tutto ciò che vola, aerei e mezzi spaziali e cyberspazio. I dettagli li prendiamo da LookOut: 50.000 unità, sia civili che militari, operative all’occorrenza in uno dei 63 Paesi in cui gli USA dispongono di una delle loro 763 basi militari all’estero.
Ripetiamo: 763 basi aeree Usa nel mondo dove prestano servizio circa 255mila persone. L’Air Force Intelligence serve soprattutto per controllare le reti di comunicazione, le aree di produzione di energie convenzionali e rinnovabili e le principali riserve idriche del pianeta.
5) Office of Naval Intelligence
L’Office of Naval Intelligence, il servizio interno della Marina, si occupa di informazioni geopolitiche, strategiche e militari. Ha un servizio tecnico e informatico di notevole rilievo. Anche i Marines dispongono di una struttura di intelligence autonoma denominata ‘Marine Corps Intelligence Activity‘. Si tratta di un servizio altamente operativo che fornisce supporto diretto alle missioni militari.
6) Coast Guard Intelligence
La Coast Guard Intelligence è responsabile della sicurezza delle popolazioni che risiedono nelle zone costiere e della protezione delle infrastrutture pubbliche lungo le coste.
7) Defense Intelligence Agency
La Defense Intelligence Agency, la Dia, risponde al ministero della Difesa e ha il compito di dare informazioni ai vertici militari. 16.500 elementi, tra civili e militari, operativi in tutto il mondo. La struttura è la maggior produttrice di dati riservati raccolti all’estero. Il suo direttore presiede il Military Intelligence Board, che coordina tutta la raccolta d’informazioni nel solo settore militare.
8) Army Intelligence
INSCOM (United States Army Intelligence e Security Command) opera con propri dipartimenti all’interno dell’esercito e dell’NSA, la National Security Agency. Raccoglie e fornisce informazioni di intelligence destinate ai comandi militari che coordinano operazioni sul campo (anche nel caso di operazioni congiunte con altri eserciti ONU e NATO), effettua operazioni di SIGINT (SIGnals INTelligence, spionaggio di segnali elettromagnetici) e di guerra cibernetica.
9) Department of Energy
La struttura d’intelligence del Dipartimento dell’Energia opera con 30 uffici autonomi su tutto il territorio degli Stati Uniti e si occupa di raccogliere informazioni su infrastrutture energetiche, tecnologie, dati finanziari sul sistema energetico nazionale e su quello dei suoi alleati o avversari.
10) Department of Homeland Security
Il Department of Homeland Security ha il compito di contrastare le minacce alla popolazione e alle infrastrutture del Paese. Il suo direttore risponde direttamente al presidente e al capo della CIA.
11) Bureau of Intelligence and Research
La rete di intelligence del Dipartimento di Stato, il loro ministero Esteri, è il Bureau of Intelligence and Research. Raccoglie dati soprattutto da fonti aperte, da reti confidenziali, dai report dei diplomatici, dal mondo accademico e da quello giornalistico. Si occupa di previsione strategica e di programmazione della sicurezza nazionale.
12) Office for Intelligence and Analysis
Dal 2004 il Dipartimento del Tesoro opera con una struttura di intelligence interna, l’Office for Intelligence and Analysis. Questa struttura si occupa di intelligence finanziaria, analisi delle operazioni di riciclaggio nell’economia terroristica, prevenzione di possibili minacce alla stabilità della moneta e agli investimenti interni ed esteri del Paese.
13) National Security Intelligence Office
La Drug Enforcement Administration, la DEA, dispone di una rete informativa specifica, il National Security Intelligence Office. Obiettivo della struttura è fornire informazioni per il contrastato dei traffici di droga all’interno del territorio nazionale e quelli che arrivano da Paesi esteri.
14) National Security Agency
L’NSA (National Security Agency/Central Security Service) si occupa dei sistemi informativi e delle reti informatiche, proteggendo quelli nazionali e cercando di penetrare quelli dei Paesi esteri. Con la Cia, è la più importante agenzia di spionaggio.
15) National Reconnaissance Office
L’NRO (National Reconnaissance Office) raccoglie e analizza i dati provenienti dalle rilevazioni satellitari. Segnala movimenti di truppe, infrastrutture militari attive o in costruzione, emergenze ambientali. Utilizza in gran parte personale della CIA e del Dipartimento di Stato.
16) National Geospatial-Intelligence Agency
La NGA, National Geospatial-Intelligence Agency, è struttura di supporto di intelligence sia per le missioni militari, rispondendo al Dipartimento della Difesa, sia all’Intelligence Community per cui si occupa di GEOINT (Geospatial Intelligence), vale a dire monitoraggio, raccolta e analisi di immagini e informazioni geospaziali. L’NGA fornisce anche assistenza per far fronte a calamità naturali o catastrofi provocate dall’uomo, o per per la pianificazione e la messa in sicurezza di grandi eventi come le Olimpiadi del 1996 ad Atlanta.
FONTE: https://www.remocontro.it/2017/03/03/nellamerica-della-paranoia-security-16-agenzie-spionaggio/
I servizi segreti russi sventano un attentato al presidente Lukašenko
L’FSB ha arrestato due persone che stavano preparando un colpo di stato militare in Bielorussia e l’uccisione del presidente Aleksandr Lukašenko.
Il Servizio di Sicurezza Federale della Federazione Russa, insieme al Comitato per la Sicurezza dello Stato della Repubblica di Bielorussia, a seguito di un’operazione speciale, ha soppresso le attività illegali di Jurij Zenkovič, che ha la doppia cittadinanza degli Stati Uniti e della Repubblica della Bielorussia, e di Aleksandr Feduta, un cittadino della Repubblica di Bielorussia, i quali pianificavano di effettuare un colpo di stato militare in Bielorussia secondo lo scenario elaborato sulla base delle “rivoluzioni colorate” con il coinvolgimento dei nazionalisti locali e ucraini, nonché l’eliminazione fisica del presidente Aleksandr Lukašenko. Il colpo di stato era stato pianificato per essere realizzato a Minsk il 9 maggio prossimo in occasione della parata per il Giorno della Vittoria.
Secondo l’FSB, Zenkovič è arrivato a Mosca dopo consultazioni avvenute negli Stati Uniti e in Polonia nel tentativo di incontrare i rappresentanti delle Forze armate bielorusse per convincerli a partecipare a un colpo di stato militare che coinvolgesse anche i nazionalisti locali e ucraini. In seguito ad accurate indagini e dopo aver documentato gli incontri, i terroristi sono stati arrestati dai servizi segreti russi e consegnati ai loro colleghi bielorussi.
Luca D’Agostini
FONTE: http_www.madrerussia.com/?url=http%3A%2F%2Fwww.madrerussia.com%2Fi-servizi-segreti-russi-sventano-un-attentato-al-presidente-lukasenko%2F
ECONOMIA
Mutuo a tasso variabile? Cosa accadrà (presto)
12 Maggio 2021 – 07:35
Secondo gli esperti, la crescita degli indici Irs, lenta ma costante, potrebbe portare ad una nuova corsa alle forme di finanziamento a tasso variabile
Con i tassi di interesse in lieve ma costante rialzo, pare arrivato il momento di agire per chi, ancora indeciso, è alla ricerca di un mutuo vantaggioso.
Abi ha infatti comunicato che il tasso medio sulle nuove operazioni è salito fino all’1.37% (a fronte dell’1.27% di gennaio e dell’1.30% di febbraio). Nel suo ultimo bollettino mensile, l’Associazione bancaria italiana ha altresì riferito che nel IV trimestre 2020 la percentuale di acquisti di abitazioni finanziati tramite mutuo ipotecario è passata dal 71,5% al 73,8%, mentre è lievemente diminuito il rapporto fra l’entità del prestito e il valore dell’immobile (76,7%).
I mutui in Italia
Restano in netta maggioranza (90%) i mutui a tasso fisso, anche se gli esperti non escludono una nuova impennata della tipologia a tasso variabile alla conclusione della stagione estiva. Nel IV trimestre 2020, per acquistare un immobile di 220mila euro con mutuo a 140mila euro in 20 anni a tasso variabile, lo Spread si attestava allo 0,8%, decisamente più alto (0,4%) dello Spread medio per una compravendita con le medesime caratteristiche ma a tasso fisso. Già dal I trimestre 2021, tuttavia, la situazione è cambiata, con la crescita degli indici Irs (quelli utilizzati dagli istituti di credito per definire le offerte di mutuo a tasso fisso). Tale aumento è stato fino ad ora arginato dalle banche sia sfruttando gli approvvigionamenti di liquidità a costi più contenuti dei mesi scorsi che approfittando del fatto che, causa pandemia e crisi economica, non si sono incrementate le richieste di accensione di nuovi mutui. È pertanto probabile, secondo gli esperti, che dal prossimo autunno possa ripartire la corsa ai tassi a mutuo variabile.
Le offerte
Muituisupermarket.it dà un quadro delle offerte al momento più vantaggiose. Unicredit, per un mutuo a tasso fisso di 200mila euro destinato all’acquisto di una prima casa, propone una rata mensile di 884,54 euro (Taeg 0,71%). Per le stesse condizioni, invece, Crédit Agricole presenta una rata mensile da 901 euro (Taeg 0,94 %), Intesa Sanpaolo da 906 euro con Taeg all’1,03%, Banco Bpm da 910 euro con Taeg all’1,07%, Bper da 915 euro (Taeg 1,12%), Bnl da 919 euro (Taeg all’1,18%), Mps da 1059 euro con Taeg al 2,83%.
Gli incentivi
Per aiutare i giovani “a mettere su famiglia”, Mario Draghi ha annunciato inoltre l’istituzione di un mutuo al 100% destinato all’acquisto di una prima casa per contribuenti al di sotto dei 35 anni di età. Un’agevolazione che non prevede il versamento di un anticipo, con lo Stato a fare da garante al prestito. Nell’attesa che il provvedimento venga istituito in modo definitivo, al momento resta attivo il Fondo mutui prima casa di Consap (istituito 6 anni fa), che può contare su un fondo residuo di 206,9 milioni di euro su una base di partenza di 600 milioni. Anche in questo caso i destinatari sono gli under 35 con lavoro atipico o coppie composte da almeno un contribuente al di sotto dei 35 anni di età. A questo si affianca al momento il Decreto crescita (istituito 2 anni fa), che mette a disposizione delle giovani coppie un fondo di 100 milioni di euro per l’acquisto o la ristrutturazione di un immobile destinato a prima abitazione: un mutuo al 50% con tetto massimo di 250mila euro.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/economia/mutuo-tasso-variabile-cosa-accadr-prossimo-autunno-1945704.html
Tutti i numeri del “salvataggio” della Grecia
La Troika lascia il Paese dopo 8 anni di austerità. L’uscita dalla crisi è lontana: disoccupati al 20%
La Grecia è ufficialmente uscita da 8 anni di protettorato economico della troika, che l’ha salvata dalla bancarotta certa che avrebbe anche messo in serissimo rischio la sopravvivenza dell’euro. Ma a che prezzo?
Il salvataggio della Grecia
Vediamo alcuni grafici per capire che cosa è successo dal 2009, anno in cui il Paese guidato da Alexis Tsipras è finito sotto il controllo economico della troika, ad oggi. In alto, il primo grafico mostra l’andamento del Prodotto Interno Lordo dal 2009 al 2017 dei Paesi che hanno adottato l’euro (tra i quali la Grecia, ovviamente) e della Grecia. Come si vede la supposta “crescita” greca c’è stata certamente, ma l’economia, rispetto al resto del Continente, ha perso terreno. Il salvataggio della Grecia, cioè, sembra debba dispiegare ancora i propri effetti.
La disoccupazione in Grecia
Nel grafico qui sotto, invece, sono mostrati i dati riguardanti la disoccupazione. Nel 2010 la differenza tra i Paesi dell’eurozona era di soli 2,2 punti percentuali.
Nonostante la fine dell’austerità, la situazione sociale greca non sembra particolarmente rosea: il tasso di disoccupazione a marzo del 2018 era infatti pari al 20,1% rispetto a una media dell’8,6% dei Paesi che hanno adottato l’euro.
Le persone a rischio povertà
Un altro indicatore importante per giudicare se il salvataggio della Grecia sia reale è quello che riguarda le persone a rischio povertà. Il grafico sotto mette a confronto sempre i Paesi dell’eurozona e la Grecia in base agli ultimi dati ufficiali disponibili.
Nel 2010 la differenza con i Paesi dell’eurozona non era affatto abissale: 22% i secondi e 27,7% il Paese di Tsipras. Oggi il 35,6% dei greci è a rischio povertà o esclusione sociale rispetto al 23,1% dei Paesi dell’eurozona.
I debiti incagliati
Infine, è utile considerare anche un dato puramente finanziario: i debiti di difficile recupero da parte delle banche. Ecco i dati
I Non Performing Loans (debiti di difficile recupero) a dicembre del 2017 in pancia alle banche greche erano pari al 45% di tutti i prestiti concessi rispetto, ad esempio, all’11% dell’Italia. Segno che se la troika ha abbandonato la Grecia permettendole, tra le altre cose, di accedere nuovamente ai mercati finanziari emettendo titoli di Stato per finanziare il debito, la crisi, la Grecia, non l’ha ancora affatto abbandonata. Tantopiù che ora il Paese deve restituire i circa 300 miliardi di euro ricevuti per evitare il crack.
La cosa piuttosto impressionante è anche un’altra: se il debito pubblico della Grecia è pari a circa il 178,6 (dicembre 2017), nessuno sa effettivamente di quanto aumenterà o diminuirà. Sì, perché le previsioni di Bce e Fondo Monetario Internazionale su questo punto divergono sensibilmente, come Truenumbers ha scritto in questo articolo.
I dati si riferiscono al: 2009-2018
Fonte: Bce, Fmi, ufficio statistico greco
FONTE: https://www.truenumbers.it/salvataggio-della-grecia-2/
EVENTO CULTURALE
“Connessioni” di Francesca Sifola
L’autrice Francesca Sifola
Nata tra i libri e tra le parole, da sempre cerca nel linguaggio quel potere di emozionare nella ricerca della realtà, intesa come svelamento di quella libertà che solo il linguaggio intellettualmente onesto sa dare. I suoi romanzi sono creature figli di questa convinzione e spaziano dal romanzo di formazione, al romanzo intimista a quello fantascientifico e al giallo psicologico. In essi confluiscono tutte le sue esperienze di vita, dagli studi umanistici, alle performances teatrali e radiofoniche, al suo modo di vivere che non lascia adito a fraintendimenti: Francesca Sifola è per la parola che sa emozionare e trascinare dentro sé stessa i pensieri più reconditi dell’essere umano.
Connessioni
L’amore, si sa, non segue percorsi prestabiliti e scontati. È talvolta bizzarro, folle, non dà tregua e la protagonista di questa storia non ha mai rinunciato a vivere e ad amare seguendo sentimenti totalizzanti. Dopo un lungo periodo di sguardi, sospensioni e incertezze si fa avanti un uomo che, mettendo da parte le sue paure riesce, abbandonandosi, a immergersi in una storia ricca di pathos e sensualità.
Ma il romanzo di Francesca è, soprattutto, lo svelamento di un percorso interiore di forte intensità emozionale che attraversa la vita unendo fili misteriosi, intessuti di casualità che lasciano pensare ad un deciso abbraccio del Destino.
Puoi acquistare Connessioni di Francesca Sifola qui:
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nelle principali librerie di città,
sui portali digitali, fra i quali:
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https://www.kobo.com/ebook/connessioni
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
FALÒ DEL RISPARMIO: CHIUSURA DEI CONTI CORRENTI
In tanti si chiedono se governo e banche riusciranno a bruciare entro il 2021 gran parte del risparmio degli italiani. Soprattutto evitando che questi ultimi occultino somme in contanti, o individuino beni di rifugio poco o nulla tassati. Come anticipato in precedenti articoli, un primo colpo verrà assestato dal primo luglio 2021, e con il limite al prelievo contante a mille euro. Ogni spesa mensile eccedentaria dovrà vedere l’uso di moneta elettronica. Ma per colpire i 4.545 miliardi di depositi bancari (come da calcolo Fabi, Federazione autonoma bancari italiani) oltre ad un prevedibile prelievo retroattivo ferragostano, le banche stanno introducendo i nuovi costi: ovvero un canone mensile di tenuta conto superiore ai quattro euro e, soprattutto, una sorta di tassa intorno al 4 per cento annuo sulle somme depositate sui conti (serve per pagare alla Bce il costo dei depositi).
Verrebbero così colpiti i conti correnti bancari su cui giacciono somme superiori ai cento mila euro ed inferiori al milione di euro. Avverrebbe così la tanto auspicata (dai poteri bancari Ue) falcidie del risparmiatore medio benestante: di coloro che godono di depositi sotto il milione di euro ma superiori ai centomila. Per chi possiede più di un milione di euro, ovvero i grandi risparmiatori, la banca prevedrà spese minime e massima sicurezza nei cosiddetti “conti di deposito”, che vengono garantiti ai grandi clienti, a differenza degli altri a cui la banca concede la sola apertura del conto corrente. Quest’ultima tipologia contrattuale prevedrà costi altissimi, mentre per i “conti di deposito” sarà garantita una remunerazione del capitale fino all’1,3 per cento lordo annuo. Esatto opposto per chi possiede valori immobiliari catastalmente superiori al milione di euro, prevedibilmente verrà punito con una super patrimoniale aggiuntiva di Imu, Tasi ed imposta sui redditi.
E gli italiani con risparmi bancari inferiori a centomila euro potranno dormire sonni tranquilli? Il compito di colpire il piccolo risparmio è stato affidato dalla Bce solo alle banche. Fineco è stata la prima a chiudere i conti correnti ai risparmiatori che non investono in prodotti (titoli, derivati, obbligazioni) ed ora potrebbero operare in tal senso anche Unicredit ed a ruota gli altri istituti. A metà aprile Fineco ha inviato una lettera ai propri clienti, comunicando la “proposta di modifica unilaterale del contratto”. Ovvero, a partire dal prossimo 18 maggio, la banca avrà il diritto di rescindere il rapporto di conto corrente con la clientela che usa la banca come un salvadanaio. Sono tre i motivi che addurranno le banche per chiudere i conti correnti sotto i cento mila euro: giacenza media di liquidità per un controvalore non superiore a centomila euro, assenza di qualsiasi forma d finanziamento (mai chiesto prestiti) e, per finire, il cliente non ha mai fatto investimenti in prodotti di risparmio gestito o speculativo.
L’Amministratore delegato di Fineco, Alessandro Foti, ha spiegato che in altri Paesi europei le banche possono applicare interessi negativi sulle giacenze di conto corrente, mentre in Italia s’incontrano difficolta e, soprattutto, tanta pubblicistica anti-bancaria. E Foti giustifica questa misura perché ci sarebbero clienti che sfruttano i conti a tasso zero per fare arbitraggi sui titoli di Stato, guadagnando a spese della banca: finanziando poi l’acquisto di “titoli pronto termine” a tassi negativi, quindi guadagnando nuovamente nel depositare la liquidità sul conto a tasso zero. Dei 4.545 miliardi di euro depositati nelle banche italiane, ben 1.745 miliardi sarebbero arenati sui conti correnti italiani (200 miliardi di euro in più rispetto a febbraio 2020): sono un costo per le banche ed un freno agli investimenti.
Ma questa nuova ventata di botte al risparmiatore è dovuta principalmente ai tassi negativi imposti dalla Bce, che rendono costosa la liquidità depositata nelle banche a mo’ di salvadanaio. Si tratta di risparmi immobilizzati e non travasati nell’economia reale, ovvero risparmi che il cittadino non metterebbe a rischio d’impresa. Per la banca i conti correnti diventano così un costo. E siccome la Bce ha imposto i tassi negativi (Euribor negativo) le banche hanno iniziato a chiudere i conti di chi non usa i depositi per fare investimenti o, spesso, non si fa consigliare dall’istituto verso forme pensionistiche e speculative. Secondo i professionisti dell’intermediazione mobiliare, i clienti con liquidità superiore al milione di euro sarebbero relativamente pochi. Ecco che le nuove iniziative mirerebbero a colpire soprattutto quella clientela con depositi sotto il milione di euro e sopra i centomila. Per chi è sotto i centomila scatterà la chiusura del conto. Così è giunto il momento che l’italiano con depositi medio-alti si desti, e per cercare come evitare eventuali erosioni o falò del risparmio. Le difficoltà saranno parecchie, aumenteranno nei prossimi mesi. Soprattutto sono allo studio manovre per rendere difficoltoso l’accantonamento privato di contante. Il risparmio, per dirla come un vertice dello Stato, “è un valore sociale collettivo”, i soldi della formica alimenteranno tante cicale.
FONTE: http://www.opinione.it/economia/2021/05/12/ruggiero-capone_fal%C3%B2-risparmio-chiusura-conti-correnti-governo-banche-fabi-bce-imu-tasi/
SALE LA FEBBRE DELLE SPAC (VIDEO)
Tante offerte a Piazza Affari e le Spac (Special Purpose Acquisition Companies) si riaffacciano sul mercato milanese, un modello di business partito nel 2019.
VIDEO QUI: https://youtu.be/4YdOZLl7rZA
FONTE: http://opinione.it/economia/2021/05/11/enea-franza_notizie-di-mercati-piazza-affari-offerte-spac/
GIUSTIZIA E NORME
Offese a Mattarella, perquisito e indagato il professor Gervasoni, editorialista de “Il Giornale”
E’ Marco Angelo Gervasoni, editorialista del quotidiano Il Giornale e del Messaggero, già collaboratore del Corriere della Sera, professore ordinario di Storia contemporanea all’Università degli studi del Molise, studi alla Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, uno degli 11 indagati e perquisiti dal Raggruppamento Operativo Speciale dell’Arma nell’operazione coordinata dalla Procura di Roma nell’ambito dell’indagine per minacce a offese al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Il nome di Gervasoni lascia stupefatti fra l’elenco di coloro che hanno subìto il blitz deciso dai magistrati romani.
Il docente ha un curriculum importante e denso. E il fatto che sia stato tirato in mezzo dalla Procura di Roma in una vicenda del genere ha il sapore amaro di un violento e inaudito attacco alla libertà di parola e di pensiero, garantito dall’articolo 21 della Costituzione italiana. Se non è un regime, gli assomiglia molto.
“Giù le mani da Gervasoni che è un ottimo professore ed eccellente editorialista con l’unico vizio di non essere di sinistra“, reagisce, su Twitter, il direttore di Libero Vittorio Feltri.
“L’ironia,la signorilità e l’intelligenza di Sergio Mattarella eviteranno qualsiasi contesa mediatico-giudiziaria col mite e anticonformista Marco Gervasoni“, assicura, sempre su Twitter, il deputato di Forza Italia, Gianfranco Rotondi, ex-democristiano come lo era l’ex-democristiano – ma di sinistra – Sergio Mattarella prima di indossare i panni – stretti – di uomo sopra le parti.
Storico e saggista, già direttore scientifico della Fondazione Craxi, Gervasoni era finito nei mesi scorsi nella bufera mediatica per un tweet ironico sulla vicepresidente della Regione Emilia Romagna Elly Schlein che gli costò anche un rinvio alla Commissione etica da parte del Senato accademico dell’ateneo.
“Ma che è, n’omo?“, commentò Gervasoni la copertina de “L’Espresso” dedicata alla Schlein nel settembre 2020.
Il professore reagì sostenendo che il suo era un “esperimento sociale“: “Si possono fare commenti sul fisico della Meloni, di Salvini, Trump e Berlusconi. Mentre non è consentito farlo su esponenti di sinistra. Lo abbiamo visto molte volte. Ho pensato quindi di fare questo piccolo esperimento dopo aver visto l’interessante copertina de ‘L’Espresso’, che giocava sull’immagine mascolina di Schlein, la quale è stata più volte definita gender fluid“, disse il docente all’epoca dei fatti.
In precedenza, nel settembre 2019, un altro tweet aveva provocato l’interruzione del rapporto con la Luiss, dove insegnava – a contratto – Storia comparata dei sistemi politici: “Ha ragione Giorgia Meloni, la nave va affondata. Quindi Sea Watch bum bum, a meno che non si trovi un mezzo meno rumoroso” la frase ‘incriminata’. E subito censurata dai sedicenti buonisti.
FONTE: https://www.secoloditalia.it/2021/05/offese-a-mattarella-perquisito-e-indagato-il-professor-gervasoni-editorialista-de-il-giornale/
LA COSTITUZIONE STABILISCE LA PREMINENZA DELLA VOLONTÀ DEGLI ITALIANI
Si pensa comunemente che in nessun articolo della nostra Costituzione ci sia scritto che il Governo debba essere di eletti, si dice anche che non lo sia mai stato né che alcun costituzionalista lo ha mai detto. Si ritiene anche che da un punto di vista letterale e formale quello che sta capitando in Italia oggi sia perfettamente legittimo. Ma così non è. Spiego perché. È cioè proprio quello che è scritto nella Costituzione ad essere il ganglio essenziale della questione. Su cui si marcia, e approfitta.
La Costituzione è totalmente incentrata sul popolo italiano, sulla volontà del popolo italiano. Il Governo è il braccio esecutivo del Parlamento. Il Parlamento è votato dagli italiani, il governo è fatto – deve – essere fatto da rappresentanti eletti dagli italiani.
Gli italiani, infatti, non votano i governi, votano i propri rappresentanti al Parlamento. Conseguentemente al Governo devono andare solo soggetti – rappresentanti – che siano stati eletti dagli italiani al Parlamento. Il presidente della Repubblica altro non è che il ratificatore, l’omologatore, il certificatore delle decisioni prese e dei governi degli eletti dagli italiani. Non fa, cioè, i governi come vuole lui. Il Presidente è un notaio certificatore, non altro. Rimane a tutela e garanzia della attuazione della Costituzione.
Tutta la Costituzione è incentrata sulla volontà popolare. È cioè impossibile che, sul più bello, cioè sulla scelta di chi faccia parte dei governi, ci si affidi ad altri che non sia il popolo italiano. Ciò in quanto i governi applicano, eseguono operativamente quanto votato nel e dal Parlamento. I governi non sono un “affare” del presidente o dei partiti: i governi sono degli italiani, la longa manus esecutiva della volontà manifesta, votata, degli italiani. È scritto dappertutto, in ogni riga della Costituzione: decide il popolo italiano. Tramite il Parlamento – votato – e governi (di soggetti rappresentanti eletti).
I costituenti non erano pazzi, sono stati coerentissimi nel dettare le regole. Soprattutto l’unica e fondamentale, più importante regola: decidono, tutto, gli italiani. Sarebbe ed è impossibile diversamente. Sarebbe come inserire un elemento alieno in un quadro razionale e coerente.
In genere si replica chiedendo dove sia scritto che la Costituzione dice che i governi devono essere eletti dal popolo? “Non lo dice mai”. Il popolo elegge il Parlamento, è poi questo che dà la fiducia al Governo ed eventualmente gliela toglie. Se poi a questa si unisce una legge proporzionale, e per di più con liste bloccate, quella sì incostituzionale e la Corte costituzionale su questo è stata a dir poco ambigua, la instabilità e il trasferimento del potere di scelta da questo ad altri organi è sicuro. Si dice in genere questo non per negare che ci vogliano elezioni, ma perché se non si risolvono questi problemi le cose non cambieranno. Dicendo così, in realtà, si guarda il dito non vedendo la luna.
Mettiamola al contrario, capovolgiamo il ragionamento, così forse si capisce più facilmente. Se tutto nella Costituzione è demandato al popolo, perché sul più bello, per la cosa più importante, cioè per quanto riguarda il governo vale a dire l’organo che esegue ciò che è deciso dal Parlamento, i costituenti avrebbero dovuto scrivere che esso rimane avulso dall’intero contesto, alieno e lontano dalla decisione e volontà popolare, ed in mano a uno solo, cioè al presidente della Repubblica che, neanche lui, è eletto direttamente dal popolo italiano? Non è evidente il controsenso, e la totale mancanza di logica?
Cosa si sarebbe voluto trovare di più nella nostra Costituzione? Il fatto che i governi debbano necessariamente essere fatti da soli, eletti provenienti dal Parlamento, è scritto in ogni riga della Costituzione. È impregnato dappertutto il principio secondo cui decidono gli italiani in tutto e per tutto. Va da sé, è logico e consequenziale, che i governi siano fatti di eletti. Altrimenti a chi rispondono? Come sono legittimati? Non confonda la consuetudine prolungata e sbagliata con l’essenza della Costituzione, e di quello che c’è scritto.
A chi risponde un Governo non eletto? Chi lo ha legittimato? A chi risponde il Governo Draghi (ma anche i governi Letta, Renzi, Gentiloni 1 e 2, Conte 2)? Chi li ha legittimati? Nessuno, è la risposta. Non rispondono a nessuno perché nessuno li ha eletti. Sono governi illegittimi. Ed incostituzionali.
Certo, se non si vuole capire la ratio che fonda la nostra Costituzione, è un’altra storia. Ma è chiarissima sia la violazione attuale e risalente nel tempo, che la prepotenza della usurpazione del voto e dei governi eletti contro gli italiani. Tra l’altro, è tanto più importante che i governi siano rigorosamente fatti di legittimi eletti che, senza, non è possibile nessuna riforma. Come è chiaro anche oggi. Perché manca di legittimazione democratica all’origine. Non si costruisce sulla sabbia. Si costruisce solo ed unicamente grazie a regolari basi, democratiche, legittime: solide, resistenti, corrette. Secondo Costituzione, appunto.
FONTE: http://opinione.it/politica/2021/05/11/francesca-romana-fantetti_costituzione-preminenza-volont%C3%A0-italiani-presidente-repubblica-popolo/
IMMIGRAZIONI
SBAI: “SPARANO AI NOSTRI PESCATORI E NOI FACCIAMO ENTRARE MIGRANTI”
Una nuova ondata di migranti che rappresenta “l’ennesima dimostrazione del fallimento delle Politiche europee e italiane”. È questo il commento di Souad Sbai, ex parlamentare Pdl, che nota come sia necessario dire basta all’ipocrisia, perché “sappiamo tutti che gli immigrati, ad un certo punto, verranno messi su strada, aggiungendosi agli altri già finiti in mano alla malavita organizzata”.
Andando al nocciolo della questione, per Sbai “l’Italia non ha mezzi e strutture per integrarli in modo sicuro ed efficace. E come se non bastasse, come sempre è sbarcato un esercito di giovani uomini che andranno a rimpinguare le fila della criminalità. Così come le continue partenze da Libia e Tunisia contribuiscono ad arricchire terroristi, scafisti e jihadisti”.
Che fare? Cominciare ad affrontare seriamente il problema “con i Paesi di partenza dei barconi. In Tunisia, ad esempio, non c’è la guerra. Ma questo non è mai un ragionamento preso in considerazione dalle anime belle di una certa sinistra. Ai nostri pescatori sparano – termina – e noi facciamo entrare migranti. Qual è la linea del ministro dell’Interno e di quello della Difesa?”.
FONTE: http://opinione.it/politica/2021/05/11/redazione_ondata-migranti-souad-sbai-ex-parlamentare-pdl-ipocrisia-criminalit%C3%A0-libia-tunisia-barconi-migranti/
LA LINGUA SALVATA
Antilingua
Parole d’autore
an-ti-lìn-gua
SIGNIFICATO Nel senso usato da Calvino, nell’articolo “La nuova questione della lingua” (1965): linguaggio burocratico, caratterizzato da forme complesse, astratte e stereotipate; per estensione linguaggio irrigidito a causa di scelte ideologiche o conformistiche, che limita la comunicazione invece di facilitarla. Nel senso usato dal linguista Halliday, nell’articolo “Anti-Languages” (1976): gergo minoritario, espressione di una controcultura
ETIMOLOGIA derivato di ‘lingua’, dal latino lingua, con l’aggiunta del prefisso anti- nell’accezione di ‘contro’, dal greco antí.
Questo neologismo semplice, ma efficace, è di solito ricondotto all’inventiva calviniana, anche se non sono da escludere usi precedenti. In particolare nasce per descrivere il linguaggio tipico della burocrazia, che per Calvino è perseguitato da un “terrore semantico”: aborre cioè ogni parola dotata di un significato concreto e famigliare, per creare una cortina fumogena di vocaboli astratti. Perciò, ad esempio, “prendere un fiasco di vino” si traduce in “effettuare l’asportazione di un prodotto vinicolo”.
Così la lingua perde la sua funzione di base – comunicare – per assumerne altre, anzitutto sottolineare il ruolo di chi parla. È una deriva che può riguardare tutti i linguaggi settoriali, come quello aziendale che è spesso full di parole cool ma poco smart. Inoltre l’antilingua può essere usata per circuire l’ascoltatore, come il famoso latinorum di don Abbondio.
In campo letterario poi può essere una lingua che si compiace di se stessa, ritraendosi inorridita di fronte all’impoeticità del quotidiano. Scrivere una parola come ‘caffè’ creerebbe scompensi cardiaci in tutte le muse dell’Olimpo: meglio, se proprio non si può evitare il concetto, “la nettarea bevanda, ove abbronzato / fuma et arde il legume a te d’Aleppo / giunto, e da Moca, che di mille navi / popolata mai sempre insuperbisce” (Il giorno, Parini).
C’è però anche un’altra, più oscura piega dell’antilingua, o ‘lingua di legno’ come ai francesi piace chiamarla. Si tratta del linguaggio ideologico, che imbriglia le parole per controllare i pensieri. Calvino non tratta quest’accezione, ma la sua antilingua ha un evidente legame di parentela con la ‘neolingua’ del romanzo 1984 di Orwell (1949).
È vero che la neolingua non mira a complicare ma a semplificare il linguaggio, eliminando tutti i sinonimi e le eccezioni grammaticali. Ciò è studiato dal governo allo scopo di instupidire i parlanti, rendendo impossibile ogni forma di pensiero divergente.
Il meccanismo di fondo però è lo stesso individuato da Calvino. La lingua cioè è ingabbiata in una struttura innaturale, cosicché non esprime più la realtà vissuta dai parlanti ma crea una realtà parallela: astratta, impersonale e spesso contraria al buon senso.
Nel discorso pubblico si riconducono a questa accezione – nonostante le intenzioni di buona convivenza da cui nasce – anche certi esiti del politically correct. La tabuizzazione di alcuni concetti, o il modo in cui sono avvolti in astrazioni, possono rendere più complessa la comunicazione. Emblematica l’iniziativa della Words Matter Task Force dell’università del Michigan, che ha stilato una lista di parole da eliminarsi in quanto potenzialmente offensive: ‘picnic’ sarebbe uno di questi vocaboli.
L’antilingua però può avere anche un significato opposto, tanto che potremmo definirla una parola enantiosemica. Nell’uso del linguista Halliday infatti l’anti-language non è espressione dei centri di potere o delle ideologie dominanti, bensì delle culture minoritarie che si sviluppano in opposizione alle norme e ai valori codificati.
L’esempio per eccellenza sono i gerghi criminali, come il pelting speech dell’Inghilterra elisabettiana o i linguaggi delle reti mafiose; ma gli scopi possono essere anche più innocenti. Il verlan, per esempio, è uno slang diffuso tra i giovani delle banlieues parigine, che giocosamente inverte le sillabe del francese divertendosi alle spalle dei non iniziati.
Nell’antilingua insomma ritroviamo l’ambiguità propria del linguaggio, che ha tutte le potenzialità del metallo fuso e perciò può farsi sbarra o grimaldello, a seconda delle scelte di chi lo forgia.
Parola pubblicata il 03 Maggio 2021
FONTE: https://unaparolaalgiorno.it/significato/antilingua
PANORAMA INTERNAZIONALE
L’Europa terreno di manovra della strategia Usa-Nato
di Manlio Dinucci – 11/05/2021
Fonte: Il Manifesto
La mobilità terrestre delle persone nell’Unione europea è stata paralizzata nel 2020 dai lockdown, principalmente in seguito al blocco del turismo. Lo stesso è avvenuto nella mobilità aerea: secondo uno studio del Parlamento Europeo (marzo 2021), essa ha subìto una perdita netta di 56 miliardi di euro e di 191.000 posti di lavoro diretti, più oltre un milione nell’indotto. La ripresa, nel 2021, si annuncia molto problematica. Solo un settore, in controtendenza, ha fortemente accresciuto la propria mobilità: quello militare.
In questo momento, in Europa, circa 28.000 militari stanno passando con carrarmati e aerei da un paese all’altro: sono impegnati nella Defender-Europe 21 (Difensore dell’Europa 2021), la grande esercitazione non della Nato ma dell’Esercito Usa in Europa, cui partecipano 25 alleati e partner europei. L’Italia vi partecipa non solo con le proprie forze armate, ma quale paese ospite.
Sta per iniziare, contemporaneamente, l’esercitazione Nato Steadfast Defender (Difensore Risoluto), che mobilita oltre 9.000 militari statunitensi ed europei, compresi quelli italiani. Essa costituisce il primo test su larga scala dei due nuovi comandi Nato: il Comando della Forza Congiunta, con quartier generale a Norfolk negli Usa, e il Comando dell’Appoggio Congiunto con quartier generale a Ulm in Germania.
«Missione» del Comando di Norvolk è «proteggere le rotte atlantiche tra Nord America ed Europa», che secondo la Nato sarebbero minacciate dai sottomarini russi; quella del Comando di Ulm è «assicurare la mobilità delle truppe attraverso le frontiere europee per permettere un rapido rafforzamento dell’Alleanza sul fronte orientale», che secondo la Nato sarebbe minacciato dalle forze russe.
Per questa seconda «missione» svolge un ruolo importante l’Unione Europea, alla quale lo US Army Europe ha richiesto l’istituzione di «un’Area Schengen militare». Il Piano d’azione sulla mobilità militare, presentato dalla Commissione europea nel 2018, prevede di modificare «le infrastrutture (ponti, ferrovie e strade) non adatte al peso o alle dimensioni dei mezzi militari». Ad esempio, se un ponte non può reggere il peso di una colonna di carrarmati da 70 tonnellate, deve essere rafforzato o ricostruito.
Dopo aver destinato a tale scopo un primo stanziamento di circa 2 miliardi di euro, in denaro pubblico sottratto alle spese sociali, i ministri Ue della Difesa (per l’Italia Lorenzo Guerini) hanno deciso l’8 maggio di far partecipare gli Stati uniti, il Canada e la Norvegia al piano Ue della mobilità militare. Il segretario generale della Nato Stoltenberg, presente alla riunione, ha sottolineato che «questi alleati non appartenenti all’Unione europea svolgono un ruolo essenziale nella difesa dell’Europa». In tal modo la Nato (a cui appartengono 21 dei 27 paesi della Ue), dopo aver incaricato la Ue di realizzare e pagare la ristrutturazione delle infrastrutture europee a fini militari, prende di fatto in mano la gestione dell’«Area Schengen militare».
In una Europa trasformata in piazza d’armi, l’adeguamento delle infrastrutture alla mobilità delle forze Usa-Nato viene testata in prove di guerra, che prevedono «lo spiegamento di forze terrestri e navali dal Nord America alla regione del Mar Nero», e servono, secondo le parole di Stoltenberg, a «dimostrare che la Nato ha la capacità e volontà di proteggere tutti gli alleati da qualsiasi minaccia».
Quale sia la «minaccia» lo dichiarano anche i ministri degli esteri del G7 (Stati uniti, Canada, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia e Giappone), riunitisi il 5 maggio a Londra. I sette ministri (per l’Italia Luigi Di Maio), capovolgendo i fatti, accusano la Russia di «comportamento irresponsabile e destabilizzante, annessione illegale della Crimea, ammassamento di forze militari ai confini con l’Ucraina, uso di armi chimiche per avvelenare gli oppositori, maligne attività per minare i sistemi democratici di altri paesi, minaccia all’ordine internazionale basato sulle regole».
Il fatto che il G7 formuli tali accuse con le stesse parole usate dal Pentagono e ripetute dalla Nato, conferma l’esistenza di una stessa matrice nella strategia della tensione che spinge l’Europa in una situazione sempre più pericolosa.
STORIA
Le rivolte contadine in Europa Occidentale tra il XIV e il XV secolo (prima parte)
Ho dedicato un precedente articolo su questo blog all’epopea mistico-rivoluzionaria di Thomas Müntzer, a sua volta solamente un episodio – benché il più significativo dal punto di vista storico e politico – della Bauernkrieg che infuriò in Germania nel primo quarto del XVI secolo. Quella tedesca rappresentò un unicum per durata e dimensioni, visto che interessò vaste regioni del Paese, ma l’esplodere di rivolte contadine costituisce un evento tutt’altro che eccezionale nell’Europa che esce lentamente dal medioevo per affacciarsi all’età moderna.
Simili fiammate si registrano soprattutto nel ‘300 e nel ‘500: l’ultima grande sollevazione – quella guidata dal giovane servo della gleba Matija Gubec – divampò nella Slavia asburgica nei primi anni Settanta del XVI secolo. Ribellioni scoppiarono anche successivamente nei territori dell’Europa dell’est (chi non ricorda la sfida di Pugačëv alla grande Caterina?) causa il perdurare di condizioni di arretratezza economico-sociale, ma merita focalizzare la nostra attenzione sulla porzione occidentale del continente, senz’altro la più sviluppata e dinamica dal punto di vista produttivo.
Il periodo che va dal Tre al Cinquecento è quello in cui prendono forma e si irrobustiscono gli Stati nazionali e il feudalesimo entra definitivamente in crisi. Frequenti insurrezioni contadine costellano un’epoca di cambiamento, attirando l’attenzione di storici come il francese Froissart e di osservatori del calibro di Lutero, che in genere condannano senza appello i moti: solo ai ceti egemoni e a quelli emergenti è consentito “rompere” l’ordine sociale. Ma chi erano, come vivevano e cosa si prefiggevano questi agricoltori-servi capaci di sollevare il capo all’improvviso gettando nel caos interi regni?
Sulla scia di Karl Marx, che paragona provocatoriamente la condizione degli operai suoi contemporanei a quella dei servi della gleba, dimostrando che la prima è di gran lunga più infelice, Massimo Fini – pensatore di cui ho profonda stima – dipinge un quadro quasi idilliaco della vita nelle campagne medievali: le corvée dovute ai feudatari sarebbero state in genere lievi e i contadini avrebbero goduto di vitto decente e tempo libero. I nobili, da parte loro, si sarebbero guadagnati il “mantenimento” difendendo con le armi i produttori dalle minacce esterne. Un equo scambio? Paiono pensarla in fondo così quegli storici ad avviso dei quali le ribellioni servili sarebbero scoppiate di norma nei periodi di relativa abbondanza, non in quelli di carestia: chi ha la “pancia piena” può permettersi di filosofare e avanzare rivendicazioni.
La tesi – espressa proprio in un documentario su Thomas Müntzer che ho visto di recente – si scontra con alcuni dati acquisiti e difficilmente confutabili. Assistiamo all’inizio del ‘300 a un netto calo delle temperature medie in Europa: cronisti dell’epoca attestano che nei mesi invernali il Tamigi si copriva di uno spesso strato di ghiaccio. Questa “piccola glaciazione” dura alcuni secoli: nei quadri fiamminghi del ‘400 e ‘500 strade e tetti appaiono regolarmente imbiancati e i pittori imparano a raffigurare la neve che cade dal cielo. A loro volta le estati erano più corte delle attuali e piuttosto tiepide, gli autunni piovosi: freddo e avversità atmosferiche non favoriscono buoni raccolti, specialmente se gli attrezzi disponibili sono rudimentali e l’organizzazione del lavoro latita.
Alla piaga del clima ostile si aggiunge quella della guerra, endemica al pari delle pestilenze: quella c.d. dei cent’anni insanguina il territorio francese per ben più di un secolo (dalla metà del ‘300 al terzo quarto del ‘400) e il Cinquecento è segnato dalla lotta continua fra le grandi potenze continentali. Durante le tregue (più o meno lunghe) gli eserciti non fanno ritorno a inesistenti caserme: essendo composti in gran parte da mercenari e avventurieri si scindono in bande di predoni che scorrono le campagne razziando villaggi e cittadine senza che vi sia contrasto da parte dei feudatari.
I padroni non fanno il loro dovere, in compenso approfittano dei propri (pretesi) diritti: nei cahiers de doléances abbondano le descrizioni di ingiustizie e soperchierie patite dai “vermi della terra” e l’accorata denuncia contenuta nei XIII Articoli dei contadini tedeschi ci lascia intravedere un mondo in cui il forte abusava senza ritegno dei deboli. Il feudo è ormai un relitto del passato e il signore, smarrita la sua funzione sociale, vive da parassita alle spalle di sudditi angariati e vilipesi – ritroviamo anche agricoltori ricchi, ma sono un’eccezione.
L’esistenza dei poveracci è grama: ci si alza all’alba per andare nei campi, poi – dopo una giornata di fatica – si fa ritorno al calar del sole a miserabili capanne dove manca tutto, salvo sporcizia, malattie e promiscuità. La carne è assente dalle tavole, la speranza di vita breve, l’igiene sconosciuta: imbattendoci in uno di quegli omuncoli lerci, sdentati e analfabeti, spesso rachitici, proveremmo un senso di ribrezzo analogo a quello manifestato dai cronisti dell’epoca, tutti espressione di ceti elevati. L’unico svago sono le sagre in cui si gioca, ci si ubriaca e – come racconta la storica Barbara Tuchman nell’opera “Uno specchio lontano” – ci si diverte ad ammazzare a testate gatti crocifissi a palizzate in una grottesca scimmiottatura del martirio cristiano.
(La seconda ed ultima parte verrà pubblicata sabato 15 maggio)
FONTE: https://www.puntocriticoblog.it/2555/le-rivolte-contadine-in-europa-occidentale-tra-il-xiv-e-il-xv-secolo-prima-parte/
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