RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 13 FEBBRAIO 2023
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Le più pericolose menzogne sono verità moderatamente deformate
Georg Ch. Lichtenberg, Libretto di consolazione, Rizzoli, 1981, Pag. 140
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SOMMARIO
LA DISCESA ITALICA NEGLI INFERI E LA RIPRESA DELLE RIVOLTE ANARCHICHE
Turchia e Siria: usare il sisma per spingere il regime-change
Ucraina, si tratta per la resa?
Scoppia la bomba: il sabotaggio Nord Stream preparato prima della guerra
Scoop di un premio Pulitzer: sono stati gli USA ad aver fatto saltare coi sub Nord Stream
Arte : hypnos e la cicatrice dell’anima
“Diversità è un altro modo per dire conformismo”. Contro il Festival di Sanremo può salvarci soltanto Morrissey
SANREMO TRA FINE DELLA STORIA E GAY PRIDE ISTITUZIONALE
Bloomberg: Biden vuole dare un limite temporale alla guerra ucraina
Terremoto: la falsa solidarietà mantiene le sanzioni per la Siria
L’ombra degli Stati Uniti dietro al sabotaggio di Nord Stream
L’allerta dell’esercito Usa: Pechino ha più missili Icbm di Washington
Lo scrittore e il bambino lettore
“La Russia è la mia patria”. Rilke tra Mosca e Kiev
L’UE riflette su come censurare i punti di vista russi
Censura, sorveglianza di massa e insetti: il World Economic Forum contro il mondo libero
Scricchiolii climatici e rifiuto del cibo artificiale
Non solo Ucraina: le macellerie che l’Occidente volutamente ignora
Il crollo delle vendite al dettaglio in Italia: la povertà che avanza visualizzata
Movimento politico svizzero ha raccolto firme per un referendum per proteggere il denaro contante
La Famiglia Rotschild si ricompra la banca di famiglia e la toglie dal mercato azionario
COSTITUZIONI SENZA COSTITUZIONALISMO. LA TEOCRAZIA COSTITUZIONALE
Assolto dopo 10 anni tappezza la città di manifesti: «Tutti devono sapere»
Il caso Hunter Biden/Igor Kolomoïsky
La fabbrica delle vittorie elettorali
IL TERRORE DELLA SCIMMIETTA GORDO
Bennett: quando Usa e GB hanno fatto saltare l’accordo Mosca-Kiev
EDITORIALE
LA DISCESA ITALICA NEGLI INFERI E LA RIPRESA DELLE RIVOLTE ANARCHICHE
di Manlio Lo Presti (scrittore esperto di sistemi finanziari) La foto d’apertura mostra la nuova sede unitaria nel quartiere dell’Esquilino
La foto d’apertura mostra la nuova sede unitaria nel quartiere dell’Esquilino dell’Intelligence italiana, Fonte: https://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/sede-unitaria-intelligence.html
E “casualmente” riappare alle cronache la pista anarchica con la questione del “caso Cospito”. A sua difesa ossessiva si sono coalizzate le forze di opposizione, che cercano di ingigantirne il peso per tentare di far cadere il governo. Hanno cominciato ad infiammare la piazza. Hanno arruolato i soliti “esperti” da impiegare a tamburo battente nelle 30/40 rubriche televisive, rete, carta stampata. Insomma, abbiamo il solito rumoroso armamentario mediatico esploso ad orologeria in Nordafrica e in Medio oriente, e che molto ricorda le dinamiche delle rivoluzioni arancioni e/o colorate.
Esistono segnali internazionali positivi quali il ribasso dello spread ed il rialzo della borsa valori del 20%, ma è ignorato dagli oppositori neokatanghesi. Il governo attuale dispone di un ampio sostegno, ma una parte di questo fronte probabilmente sta facendo il doppio gioco sotto la pressione dei soliti inglesi, francesi, Usa, tedeschi e, soprattutto, i vertici dell’Unione europea. Una serie di governi “tecnici” appoggiati da un parlamento inerme, ricattato, squalificato, emarginato ha fatto il resto.
Non c’è stata la volontà politica di difendere gli interessi nazionali con un progetto a medio e lungo termine. Gli altri Paesi, che hanno realizzato forti tutele nazionali a protezione delle proprie economie, non sono stati bersagliati da contestazioni di piazza né dalla Unione europea. Aggiungiamo che il livello culturale dei parlamentari italici è in caduta libera da oltre vent’anni. Il lessico degli studenti italiani di dieci anni fa era di seimila parole. Oggi raggiunge a malapena i seicento lemmi. Questo dice tutto!
Nessuno ha voluto evitare il crollo di partecipazione politica dei cittadini causato da un vertiginoso cambio di regole elettorali in corso. Cinque leggi elettorali progettate per ridurre quasi a zero il peso del voto popolare. Sarebbe stato onesto individuare un quorum minimo sotto il quale le votazioni non sono valide. Una legge simile indurrebbe i partiti a curare rapporti virtuosi con i cittadini e le istituzioni locali. Perché i referendum hanno questo limite e non le elezioni politiche? Sappiamo bene la risposta.
A questa discesa agli inferi si è accompagnata una progressiva deindustrializzazione del Paese. I governi “progressisti” hanno deliberato la vendita di aziende a prezzi stracciati di settori chiave per l’indipendenza nazionale. Molti politologi individuano questi settori nella produzione nazionale di acciaio, nella tutela del patrimonio enogastronomico, nelle telecomunicazioni (ex Alitalia e Telecom, letteralmente e scientificamente distrutte), nel settore sanitario pubblico metodicamente distrutto con la diminuzione di posti letto pubblici e con la chiusura deliberata di oltre centosessanta enti ospedalieri.
In tema di tutela e promozione culturale dei beni artistici, non si è mai interrotto un inquietante passaggio carsico e silenzioso di beni culturali caduti nelle mani di fondazioni costituite in territorio italiano e basate sul modello inglese. Un passaggio che mai sarebbe accaduto in presenza di uno Stato vigile e capace di gestire e tutelare i propri beni artistici e culturali. Per coloro che fanno finta di non capire, faccio riferimento a famosi “Fondi” e fondazioni sostenute da ingente capitale privato, soprattutto inglese. Non mi è sembrato che nessuno dei governi, dagli anni Sessanta ad oggi, abbia effettuato controlli seri ed incisivi sui movimenti di soldi utilizzati per queste acquisizioni e sulla loro effettiva provenienza. Non è pertanto accettabile una gestione del nostro immenso patrimonio con il sistema della sussidiarietà, come argomentato da vari esponenti politici.
Non abbiamo un articolato sistema di tutela del risparmio nazionale che è caduto nelle mani di poche banche formatesi da una serie disordinata e frettolosa di fusioni e di incorporazioni di natura meramente politica, e non rispondenti a criteri di economicità, abbattimento dei costi e per la realizzazione di nuove progettualità aziendali di medio e di lungo periodo. Istituzioni finanziarie che quasi totalmente sono finite in mano degli anglofrancogermanicosvizzeroUSA. Il totale degli interessi pagati alle banche mondiali ha raggiunto il totale del debito pubblico, dopo l’obbligatorietà a contrarre debito presso banche estere e non più con la banca nazionale (con il divorzio Banca d’Italia-Ministero del Tesoro operato da Beniamino Andreatta il 12 febbraio 1981 con lettera inviata al governatore Carlo Azeglio Ciampi). Da ricordare che il presidente della Repubblica era il kompagno Sandro Pertini.
Cosa hanno fatto le Istituzioni che avevano il compito di difendere l’autonomia del sistema bancario e finanziario italiano dai diktat dei pretoriani dell’UE? Parliamo della Consob (Commissione Nazionale di Borsa), l’Ivass (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni), la Banca d’Italia, la Guardia di Finanza, la Corte dei Conti, i sette/otto Servizi segreti italici, le Commissioni parlamentari di vigilanza, ecc.?
L’Italia è il bersaglio di una ennesima “rivoluzione colorata: non facciamo finta di non saperlo.
FONTE: https://www.lapekoranera.it/2023/02/09/la-discesa-italica-negli-inferi-e-la-ripresa-delle-rivolte-anarchiche/
IN EVIDENZA
Turchia e Siria: usare il sisma per spingere il regime-change
Tempo di lettura: 2 minuti
Nessun aiuto ad Assad, queste le dichiarazioni del Segretario di Stato Usa Tony Blinken, che ha spiegato come gli aiuti Usa per il popolo siriano, bombardato del sisma più devastante degli ultimi anni, passeranno dai canali usati finora.
Aiuti solo ad Al Quaeda
Ciò vuol dire che nessun aiuto americano arriverà alla popolazione che ricade sotto il controllo di Damasco, ma solo alla zona di Idlib, controllata dagli epigoni di al Qaeda.
Una dichiarazione che suona come un diktat per l’Occidente a non deviare dalla linea dura tenuta finora, che vede la Siria, ovvero la zona succitata, restare sotto la stretta delle sanzioni internazionali.
Nessun aiuto occidentale, dunque, giungerà ad Aleppo, dove il sisma si è abbattuto su edifici già provati da più di un decennio di guerra (le foto dei palazzi di Aleppo al tempo della guerra danno l’idea di cosa può essere accaduto quando gli stessi palazzi sono stati investiti dal sisma).
Così alla morsa delle sanzioni, varate all’inizio del conflitto (2011), si aggiunge quella del sisma, che quindi è usato per fare ulteriori pressioni sulla popolazione civile, per aumentarne la sofferenza all’indicibile così da renderlo più malleabile alle sirene del regime-change.
In un conflitto ibrido come quello siriano, durante il quale Washington e alleati hanno tentato invano di rovesciare Assad, non si butta niente, come per il maiale: è stata usata la pandemia, durante la quale le sanzioni non sono state rimosse, ora si usa il terremoto. Nulla di nuovo sotto il sole.
Orrori “indicibili” e lentezza dei soccorsi
Qualcosa di simile si sta registrando per la Turchia. Erdogan è malvisto dalle Cancellerie occidentali, sia per le sue esitazioni a far entrare Svezia e Finlandia nella Nato, sia, soprattutto, perché continua a relazionarsi con il paria Putin e a proporsi come mediatore di un conflitto che si qualcuno vuol far durare all’infinito.
Da qui la possibilità di sfruttare il sisma per erodere il potere di Erdogan, che a giugno prossimo è chiamato a confrontarsi con le urne per restare al potere. Citiamo a titolo di esempio un titolo della BBC: “Erdogan visita l’area del terremoto mentre la rabbia cresce per la scarsa velocità dei soccorsi”.
Ad oggi la spinta a usare la tragedia a fini politici è circoscritta, ma la pressione potrebbe aumentare, con incremento esponenziale se aumenta il numero delle vittime.
I morti, al momento in cui scriviamo, sono già 11mila e potrebbero aumentare di molto perché, come si legge in un comunicato dei caschi bianchi, un’asserita organizzazione umanitaria, “Il numero dovrebbe aumentare in modo significativo perché, a più di 50 ore dal terremoto, centinaia di famiglie sono ancora sotto le macerie”.
Comunicato pubblicato in un articolo di Haaretz nel quale si paventa che il numero delle vittime potrebbe diventare “indicibile”. È ovvio che dar vita a regime-change in Siria e Turchia, o in uno solo dei due Paesi, porterebbe con sé altri orrori, causati dall’ulteriore violenza e dalla destabilizzazione di cui sono forieri tali moti.
La tragedia imprevedibile, già insostenibile, potrebbe provocarne altre, non solo prevedibili, ma addirittura auspicate. Il mondo gira così.
FONTE: https://piccolenote.ilgiornale.it/mondo/turchia-e-siria-usare-il-sisma-per-spingere-il-regime-change
Ucraina, si tratta per la resa?
E’ come stare dietro il sipario a guardare come cambiano le scene da un atto all’altro: ancora due settimane fa rullavano i tamburi di guerra per qualche decina di carri armarti da mandare in Ucraina, come se questo potesse essere la svolta decisiva della guerra, subito dopo si è capito che questi carri sarebbero arrivati il di del poi e in maniera subitanea ci troviamo sbalzati in uno scenario del tutto inatteso: prima la Rand Corporation dice che agli Usa non conviene più una lunga lotta con la Russia perché ciò li distrae dal vero obiettivo che è la Cina, cosa che peraltro era ovvia da anni, Poi Trump – che è stato letteralmente massacrato dal russiagate, ordito dalla guerrafondaia Clinton, dice a sorpresa che “mi fido più di Putin che di quei farabutti dei servizi segreti” e infine arriva l’Fmi a segnalare che le sanzioni contro la Russia sono fallite e assevera una crescita del Pil russo dello 0,3 per cento al posto del – 2,3 per cento preconizzato in precedenza. Insomma si prende atto che l ‘isolamento della Russia è fallito e che Mosca non ha bisogno né del dollaro né dell’amicizia degli Usa, per commerciare e prosperare, cosa che sta costituendo un segnale a livello mondiale terribile per l’America che credeva invece in una facile vittoria. Contemporaneamente è esploso il garage gate, lo scandalo dei documenti di stato che Biden custodiva in varie residenze e che comprendevano anche capitoli dedicati sull’Ucraina, Lo stesso mainstream che per due anni e passa ha “silenziato” qualsiasi cosa riguardasse il computer segreto di Hunter Biden, ora improvvisamente attacca l’inquilino della Casa Bianca su una questione palesemente pretestuosa.
Questa novità si potrebbe interpretare in chiave esclusivamente interna dal momento che Biden rappresenta ormai una sconfitta sicura e tentano in qualche modo di liberarsene il prima possibile, ma in realtà tutto questo fa parte del modo astutamente rozzo con cui l’occidente o meglio le elite di comando americano e i suoi valletti stanno in qualche modo contrattando la resa. La necessità di concentrarsi sulla Cina, avvalorata con la grottesca vicenda ad orologeria del pallone spia che incredibilmente viene in qualche modo accreditata nonostante la sua totale risibilità , è chiaramente lo scenario in cui si svolge il dramma ed è di fatto un’offerta a Putin perché renda possibile uno sganciamento occidentale dalla trappola ucraina senza che ciò apaia come una disastrosa sconfitta . E come dire al Cremlino: ci siamo sbagliati ad attaccare la Russia, perché il nostro incurabile imperialismo doveva essere diretto contro Pechino. Ma il fatto è che tutti hanno visto un’altra cosa e cioè che la Russia è stata attaccata perché si pensava fosse economicamente debole e che avrebbe ceduto consentendo così di accerchiare completamente la Cina. Invece la scommessa è stata persa in maniera catastrofica . Proprio grazie alla stupidità della governance reale degli Usa il mondo unipolare è passato dalla fase di progetto a quello di realtà, dalla quale non si può più tornare indietro ed è francamente penoso e patetico il tentativo della Ue di far credere di avere dall’oggi al domani, un qualche progetto alternativo alla via della seta che tuttavia si dovrebbe realizzare con quattro spiccioli. Siamo davvero alle comiche finali, ai ritocchi in stucco quando ormai sono le fondamenta che stanno marcendo.
In realtà tutto questo si andava preparando da tempo mentre l’informazione di servizio cantava ogni giorno un Peana alla immancabile vittoria dell’Ucraina: già a novembre dello scorso ammo si cominciava a dire che il complesso militare-industriale statunitense non poteva sostenere il ritmo e la portata delle forniture militari a Kiev. Il che era paradossale visto che per mesi si era tentato di far credere alla gente che fosse la Russia a non avere più armi Sono seguiti diversi avvertimenti sulle sempre più esigue scorte di munizioni negli Stati Uniti, mentre lo scorso gennaio iil segretario della Marina degli Stati Uniti, Carlos del Toro, ha dichiarato che gli Usa potrebbero presto trovarsi a dover scegliere se soddisfare i propri bisogni minimi di sicurezza nazionale o quelli dell’Ucraina. Paradossalmente, ma anche significativamente la richiesta di pace da parte dell’occidente arriva attraverso la dichiarata volontà di fare la guerra altrove. Questa è la psicopatologia americana dalla quale siamo trascinati verso il disastro e tuttavia non sarà possibile evitare di esporre paradossalmente* la bandiera bianca. Non sappiamo come andranno avanti le cose: ma come avevo supposto qualche giorno fa Zelensky a Sanremo potrebbe essere il cerino acceso fra le dita dei più stupidi e dei più servi. I quali infatti adesso stanno facendo marcia indietro.
- la bandiera bianca come simbolo di resa, nacque durante l’espansione cinese promossa dalla dinastia Han e dunque in un periodo che va dal 200 AC al 220 dopo cristo. Fu proprio nel corso di questa dinastia che fu impostata e in parte realizzata l’idea della via della seta.
FONTE: https://ilsimplicissimus2.com/2023/02/06/ucraina-si-tratta-per-la-resa/
Scoppia la bomba: il sabotaggio Nord Stream preparato prima della guerra
E’ incredibile la desolazione intellettuale del Paese che si esprime attraverso le auguste presenze a Sanremo , la stessa desolazione che ha spinto tutto il mainstream a cercare disperatamente di attribuire alla Russia la distruzione dei Nord Stream per togliere la trave dall’occhio di Washington che tuttavia è ormai una foresta pluviale, riuscendo contemporaneamente a dire che Mosca sarebbe stata travolta dalla impossibilità di vendere prodotti energetici all’Europa ma che aveva volontariamente distrutto la principale via di esportazione di gas. Sciocchezze che stanno alla pari con la fola americana del cosiddetto pallone spia cinese che o non sono riusciti ad intercettare in un’intera settimana, oppure hanno lasciato che spiasse indisturbato per lo stesso periodo di tempo.
Questa introduzione sul degrado intellettuale dell’occidentale che ogni Paese esprime come può e come sa , serve da quadro per dare conto della bomba atomica sganciata da Seymour Hersh, uno dei giornalisti più famosi d’America che ha divulgato storie come il massacro di My Lai e lo scandalo di Abu Ghraib e vincitore di un Pulitzer proprio sulla vicenda del sabotaggio Nord stream. Dopo molte settimane di ricerche e di conversazioni con gli uomini dei servizi ja concluso che gli Stati Uniti hanno fatto saltare in aria il gasdotto russo-tedesco come parte di un’operazione segreta con il pretesto di l’esercitazione NATO BALTOPS 22 . Ilk primo articolo lo scrisse il 22 agosto dell’anno scorso e adesso ha man mano completato il quadro, Che che ci fossero gli Usa dietro questa operazione terroristica c’era da aspettarselo e personalmente non ho mai avito dubbi visto che la Russia non è autolesionista e gli americani sono dei banditi, ma nell’articolo di Hersh, c’è assai di più ovvero che il piano di sabotaggio era stato messo a punto tra Casa Bianca, Cia e Pentagono già nel dicembre del 2021, ossia mesi prima che cominciasse l’operazione russa nel Dombass. Una task force speciale formata sotto l’egida del consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan. discusse il particolari dell’azione:: la Marina propose di utilizzare un sottomarino appena commissionato per attaccare direttamente l’oleodotto. l’Aeronautica pensò al lancio di bombe con micce ritardate che potevano essere attivate a distanza,, mentre la Cia su mandato di Biden mise l’accento sul fatto che l’azione non avrebbe assolutamente lasciare tracce che avrebbero potuto per permettere di risalire agli autori del sabotaggio.
Il 7 febbraio 2022, meno di tre settimane prima dell’inizio dell’operazione speciale russa a Biden incontrò nel suo ufficio della Casa Bianca il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che, dopo qualche esitazione, finì per accettare questo piano che di fatto innescava il declino tedesco. Alla conferenza stampa che seguì, Biden disse con aria di sfida: “ Se la Russia invade. . . non ci sarà più un Nord Stream 2. Porremo fine a tutto ciò ”. Venti giorni prima, il sottosegretario Nuland aveva consegnato essenzialmente lo stesso messaggio a un briefing del Dipartimento di Stato, che nn ebbe copertura mediatica. “Voglio essere molto chiara : se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro il Nord Stream 2 non andrà avanti “. Sul piano logistico Hersh ha scoperto che la Norvegia ha svolto un ruolo significativo nell’assistere una squadra di sommozzatori d’élite della Marina degli Stati Uniti con sede a Panama City per portare a termine l’operazione: la marina norvegese ha trovato il posto giusto nelle acque poco profonde del Mar Baltico, a poche miglia dall’isola danese di Bornholm., dove non ci sono forti correnti. Le condutture correvano a più di un miglio di distanza lungo un fondale marino profondo solo 80 metri. I subacquei sono stati portati in loco da un cacciamine norvegese posizionando cariche di C4 sulle strutture in cemento che reggono le condutture una miscela di ossigeno. E Il 26 settembre 2022, un aereo di sorveglianza P8 americano, ma proveniente dalla Norvegia ha effettuato un volo apparentemente di routine e ha sganciato una boa sonar. Il segnale si è diffuso sott’acqua, inizialmente verso il Nord Stream 2 e poi verso il Nord Stream 1 .Poche ore dopo, gli esplosivi C4 ad alta potenza sono stati innescati e tre dei quattro oleodotti sono stati messi fuori servizio.
Al di là però della dinamica resta da sottolineare due cose. La prima è che il sabotaggio era stato preparato molto prima dell’inizio dell’operazione russa perché Washington temeva fortemente che l’Europa dipendente dai gasdotti russi avrebbe potuto mostrarsi restia a finanziare con soldi e armi per il gas naturale a buon mercato, Washington temeva che paesi come la Germania sarebbero stati riluttanti a fornire all’Ucraina il denaro e le armi di cui aveva bisogno per sconfiggere la Russia. La seconda è che il, cancelliere tedesco ha lucidamente accettato il piano ben sapendo le conseguenze che avrebbe avuto. Del resto l’accettazione supina dei piani americani è stata la caratteristica di tutti i governi europei a cui peraltro non potevano sfuggire le conseguenze dei loro atti. Una volta si chiamavano traditori.
Il primo si Hersh è stato praticamente ignorato, ma con le integrazioni anche la stampa di regime ha dovuto parlare della vicenda: La Casa Bianca smentisce, ma accusa il colpo., così come probabilmente il sospetto di una preparazione a tavolino del suicidio europeo potrà probabilmente aprire gli occhi a molti ciechi.
FONTE: https://ilsimplicissimus2.com/2023/02/09/scoppia-la-bomba-il-sabotaggio-nord-stream-preparato-prima-della-guerra/
Scoop di un premio Pulitzer: sono stati gli USA ad aver fatto saltare coi sub Nord Stream
Il famoso giornalista e premio Pulitzer Seymour Hersh, che per decenni è stato un reporter di punta del New York Times e del New Yorker, mercoledì ha pubblicato una nuova notizia bomba come suo primo post su Substack, provocando una rapida risposta della Casa Bianca.
Dopo aver condotto una propria indagine su chi ha sabotato i gasdotti Nord Stream con una serie di esplosioni sottomarine il 26 settembre, Hersh ha concluso che gli Stati Uniti hanno fatto esplodere il gasdotto Russia-Germania come parte di un’operazione segreta con il pretesto dell’esercitazione NATO BALTOPS 22.
Hersh, basandosi su fonti non citate della sicurezza nazionale, descrive mesi di discussioni e di tira e molla che hanno coinvolto la Casa Bianca di Biden, la CIA e il Pentagono. Secondo il rapporto, la pianificazione era in corso fin dal dicembre 2021, con una task force speciale formata sotto l’egida del consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Jake Sullivan, quindi da prima dell’invasione russa dell’Ucraina.
“La Marina ha proposto di utilizzare un sottomarino di recente costruzione per attaccare direttamente l’oleodotto. L’aeronautica ha discusso di sganciare bombe con spolette ritardate che potessero essere innescate a distanza. La CIA sosteneva che qualsiasi cosa fosse stata fatta, avrebbe dovuto essere segreta. Tutti i soggetti coinvolti comprendevano la posta in gioco“, si legge nel rapporto, intitolato Come l’America ha eliminato il gasdotto Nord Stream.
“L’amministrazione Biden stava facendo tutto il possibile per evitare fughe di notizie mentre la pianificazione si svolgeva tra la fine del 2021 e i primi mesi del 2022“, prosegue il rapporto. “Nelle settimane successive, i membri del gruppo di lavoro della CIA iniziarono a elaborare un piano per un’operazione segreta che avrebbe utilizzato sommozzatori d’alto mare per provocare un’esplosione lungo il gasdotto“, scrive Hersh.
La comunità dell’intelligence ha opposto, in quella fase, notevoli resistenze, ma le riserve sono state superate nel periodo precedente e successivo all’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022. Secondo il rapporto investigativo:
Nel corso di “tutta questa macchinazione“, ha detto la fonte, “alcuni uomini che lavorano nella CIA e nel Dipartimento di Stato dicevano: “Non fatelo. È stupido e sarà un incubo politico se si venisse a sapere”.
Tuttavia, all’inizio del 2022, il gruppo di lavoro della CIA riferì al gruppo interagenzia di Sullivan: “Abbiamo un modo per far saltare gli oleodotti“.
Ciò che seguì fu sbalorditivo. Il 7 febbraio, meno di tre settimane prima dell’apparentemente inevitabile invasione russa dell’Ucraina, Biden incontrò nel suo ufficio alla Casa Bianca il cancelliere tedesco Olaf Scholz che, dopo qualche tentennamento, era ora saldamente nella squadra americana. Durante il briefing con la stampa che ne è seguito, Biden ha affermato con tono di sfida: “Se la Russia invade… non ci sarà più un Nord Stream 2. Metteremo fine a tutto questo“. Una chiaro avviso che potete vedere qui sotto
Venti giorni prima, il Sottosegretario Nuland aveva trasmesso essenzialmente lo stesso messaggio in un briefing del Dipartimento di Stato, con poca copertura da parte della stampa. “Voglio essere molto chiara con voi oggi”, ha detto in risposta a una domanda. “Se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro Nord Stream 2 non andrà avanti“.
Per quanto riguarda le motivazioni di Washington in una missione di sabotaggio segreta così rischiosa, Hersh scrive: “Finché l’Europa sarebbe rimasta dipendente dai gasdotti per il gas naturale a basso costo, Washington temeva che Paesi come la Germania sarebbero stati riluttanti a fornire all’Ucraina il denaro e le armi necessarie per sconfiggere la Russia“.
Biden nel febbraio dello scorso anno: “Non ci sarà più un Nord Stream 2, vi porremo fine“.
La Norvegia ha svolto un importante ruolo logistico e di intelligence nell’assistere una squadra di sommozzatori d’élite della Marina statunitense con base a Panama City per portare a termine l’operazione:
A marzo, alcuni membri della squadra sono volati in Norvegia per incontrare i servizi segreti e la marina norvegese. Una delle domande chiave era dove esattamente nel Mar Baltico fosse il posto migliore per piazzare gli esplosivi. Nord Stream 1 e 2, ciascuno con due serie di condotte, erano separati per gran parte del percorso da poco più di un miglio, mentre si dirigevano verso il porto di Greifswald, nell’estremo nord-est della Germania.
La marina norvegese è stata rapida nel trovare il punto giusto, nelle acque poco profonde del Mar Baltico, a poche miglia dall’isola danese di Bornholm. Le condutture correvano a più di un miglio di distanza l’una dall’altra su un fondale marino profondo solo 85 metri. Si trattava di un’area ben raggiungibile dai sommozzatori che, operando da un cacciamine norvegese della classe Alta, si sarebbero immersi con una miscela di ossigeno, azoto ed elio che usciva dalle loro bombole e avrebbero piazzato cariche di C4 sagomate sulle quattro condutture con coperture protettive in cemento. Sarebbe stato un lavoro noioso, lungo e pericoloso, ma le acque al largo di Bornholm avevano un altro vantaggio: non c’erano grandi correnti di marea, che avrebbero reso il compito di immergersi molto più difficile.
Le fonti di Hersh sottolineano che l’ordine proveniva direttamente dall’ufficio del Presidente Biden:
Il C4 collegato agli oleodotti sarebbe stato attivato da una boa sonar sganciata da un aereo con breve preavviso, ma la procedura prevedeva la più avanzata tecnologia di elaborazione del segnale. Una volta posizionati, i dispositivi di temporizzazione ritardata attaccati a uno qualsiasi dei quattro oleodotti potrebbero essere accidentalmente innescati dalla complessa miscela di rumori di fondo dell’oceano in tutto il Mar Baltico, molto trafficato, provenienti da navi vicine e lontane, trivellazioni sottomarine, eventi sismici, onde e persino creature marine. Per evitare ciò, la boa sonar, una volta posizionata, avrebbe emesso una sequenza di suoni tonali unici a bassa frequenza – simili a quelli emessi da un flauto o da un pianoforte – che verrebbero riconosciuti dal dispositivo di temporizzazione e, dopo un ritardo di ore prestabilito, innescherebbero gli esplosivi.
…Il 26 settembre 2022, un aereo di sorveglianza P8 della Marina norvegese effettuò un volo apparentemente di routine e sganciò una boa sonar. Il segnale si diffuse sott’acqua, inizialmente verso Nord Stream 2 e poi verso Nord Stream 1. Poche ore dopo, gli esplosivi C4 ad alta potenza sono stati innescati e tre dei quattro gasdotti sono stati messi fuori uso. Nel giro di pochi minuti, è stato possibile vedere le pozze di gas metano rimaste nelle condutture chiuse diffondersi sulla superficie dell’acqua e il mondo ha capito che era avvenuto qualcosa di irreversibile.
Dato che è stato Hersh – che ha raccontato storie famose come il massacro di My Lai e lo scandalo di Abu Ghraib ed è noto da tempo per le sue impeccabili fonti privilegiate – dietro il nuovo rapporto bomba “whodunnit”, i media mainstream non potevano ignorarlo questa volta
I media mainstream sono la principale fonte di disinformazione oggi pic.twitter.com/QreqONGS7h
Le accuse sono state rapidamente riprese dal Times (Regno Unito), dalla Reuters e da altri media, compresi quelli di Stato russi, spingendo la Casa Bianca a smentire prontamente:
La Casa Bianca ha dichiarato mercoledì che un post sul blog di un giornalista investigativo statunitense che sostiene che gli Stati Uniti siano dietro le esplosioni dei gasdotti Nord Stream “è assolutamente falso e completamente inventato”.
Il Ministero degli Esteri russo afferma che il rapporto di Hersh rivela nuovi fatti a cui è necessario rispondere, tuttavia la portavoce Maria Zakharova ha sottolineato: “Abbiamo ripetutamente dichiarato la posizione della Russia sul coinvolgimento degli Stati Uniti e della NATO, notando che non l’hanno nascosto, vantandosi con il mondo intero della loro intenzione di distruggere le infrastrutture civili attraverso le quali l’Europa riceveva le risorse energetiche russe“.
Ha aggiunto: “Abbiamo anche regolarmente sottolineato la riluttanza di Danimarca, Germania e Svezia a condurre un’indagine aperta e l’opposizione alla partecipazione della Russia ad essa. E questo nonostante il fatto che il nostro Paese abbia subito costi enormi”. Ora, la Casa Bianca dovrebbe commentare tutti questi fatti“.
FONTE: https://scenarieconomici.it/scoop-di-un-premio-pulitzer-sono-stati-gli-usa-ad-aver-fatto-saltare-coi-sub-nord-stream/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
Arte : hypnos e la cicatrice dell’anima
Di fronte alle opere di Fontana, a quei tagli che violentavano una tela vuota ma non bianca, la critica ha sempre sottolineato l’idea dell’artista di cercare una tridimensionalità, un gioco di luce, il superamento di una convenzione visiva che da sempre ha accompagnato l’Uomo e cioè la rappresentazione di una immagine mediante la pittura.
Eppure, ho sempre avvertito in quei tagli qualcosa di diverso.
Non è una ricerca della tridimensionalità, altrimenti dietro quei tagli vi sarebbe una immagine.
E l’assenza dell’immagine elimina anche la possibilità della ricerca sul fluire della luce, sulle onde della tela violata. Non è nemmeno il superamento di una convenzione rappresentativa.
Ho sempre avvertito dietro quei tagli una profondità di dolore, il tessuto dell’anima lacerato dalla violenza della guerra appena terminata.
L’artista rappresentava quella discontinuità nel tessuto esperienziale della coscienza causato, inevitabilmente, dagli incroci tragici della vita, dai traumi, dalle mancanze, dall’abbandono, dunque il dolore che tutti gli esseri umani sono costretti prima o poi a sperimentare.
Questa è la globalità delle opere del Fontana, questo il vero valore artistico.
Una comunicazione subliminale della vera essenza dell’artista-uomo riconoscibile da ogni altro uomo proprio per l’universalità dell’esperienza dell’interruzione del cosciente.
L’opera di Hypnos coglie profondamente questa verità e la supera.
La sutura di quel taglio e la sua rappresentazione cosciente disvelano il messaggio: il dolore, la ferita, l’interruzione si devono superare e non mettendola da parte, dimenticandola e nascondendola agli altri, ma facendo di essa la prova che si è colta interamente l’esperienza umana dell’esistere.
E quella cicatrice suturata su una tela che continua a rappresentare l’anima individuale e universale dell’uomo, diviene il vanto, la differenza che ci fa uguali ma anche diversi da tutti gli altri.
Michele Nardi
FONTE: https://comunicatistampagratis.it/arte-hypnos-e-la-cicatrice-dellanima/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
“Diversità è un altro modo per dire conformismo”. Contro il Festival di Sanremo può salvarci soltanto Morrissey
di Valerio Ragazzini
olti lo vorrebbero in pensione o addirittura rinchiuso da qualche parte, magari in un luogo da cui non gli sia permesso parlare; altri vorrebbero sentirlo cantare di amori non corrisposti o romantici incontri alle porte del cimitero, come quarant’anni fa. Ma Morrissey resiste, e le sue liriche si fanno sempre più affilate, la sua voce migliora concerto dopo concerto, e la schiera dei suoi fans, che lo amano e lo odiano, col passare degli anni lo amano e lo odiano di più. Molti non si rassegnano allo scorrere del tempo, paragonano il Morrissey di oggi a quello di ieri, quello sessantenne a quello ventenne, come se questa fosse una cosa sensata, come se parlassero di due persone diverse. Non si rendono conto che gli artisti evolvono, si rinnovano, crescono. E se Morrissey non canta più di amori adolescenziali è perché qualcosa è più urgente, più importante; c’è qualcosa che ostacola proprio l’amore, la vita.
Mentre in Italia infuria il solito festival della banalità musicale, dei luoghi comuni, degli insostenibili moralismi, spegniamo la tv, lasciamo fuori quella grottesca tribuna e ascoltiamo la voce di un artista vero, che mette la poesia in musica.
Insegnate ai vostri bambini
A riconoscere e disprezzare tutta la propaganda
Diffusa
Dai media mainstream di un élite morta
Hey, hey, hey, hey, tu mi conosci bene
Amore mio, farei di tutto per te
La società è un inferno
Tu hai bisogno di me tanto quanto io di te(My Love, I’d Do Anything for You – Morrissey)
Così si apre l’album Low in High School, forse il più polemico e politico dei suoi album, con un affondo alla propaganda di cui è impregnata la nostra società, una propaganda spietata e sottile, a volte spudorata, a volte nascosta dentro certi silenzi.
Smettete di guardare i notiziari!
Perché i notiziari ti spingono ad avere paura
a farti sentire piccolo e solo
a farti sentire come se la tua mente non ti appartenesse(Spent the day in bed – Morrissey)
È l’unico artista a non avere paura di aprire la sua boccaccia (quella “Bigmouth” di smithsiana memoria) e sparare ad alzo zero, colpendo la società, i politici, i mass media, i critici musicali e tutto quel sistema che ha prodotto una nuova forma di schiavitù lavorativa e fenomeni come la cancel culture, dove le persone vengono quotidianamente crocifisse per quello che pensano. “Diversity means conformity”, ha recentemente affermato in una intervista: diversità “è soltanto un’altra parola per dire conformismo. […] Quando le persone parlano di diversità non pensano alle grandi cose che non abbiamo in comune. Quelle cose vengono ignorate […] vogliono soltanto che tutto sia uniforme”.
Gli hanno dato del razzista, dello xenofobo, del fascista, nel tentativo di screditarlo, ma resta un fatto: la sua voce non è mai stato più bella, pungente e libera. E non è affatto vero che le sue canzoni non parlano più d’amore, anzi. Parlano dell’amore proprio in questi tempi mediatici (o mediati), di un amore che sta sparendo, soffocato dai miasmi del perbenismo e dalla falsità, con sarcasmo e ironia, ma con quell’onestà che da sempre lo contraddistingue e che a molti risulta insostenibile
Ascoltare Morrissey, forse l’ultimo vero poeta inglese, significa mantenere un contatto con la libertà senza lasciarsi piegare dal ‘mainstream’; ascoltare la sua musica significa ascoltare Musica, e non polpettoni tritati e rimescolati; liberarsi le orecchie da quella musica politicizzata; ascoltare la poesia nella sua forma più contemporanea e più antica allo stesso tempo.
FONTE: https://www.pangea.news/morrissey-politicamente-scorretto/
BELPAESE DA SALVARE
SANREMO TRA FINE DELLA STORIA E GAY PRIDE ISTITUZIONALE
di Ruggiero Capone
La prima reazione, certamente impulsiva, a cospetto di Sanremo è cambiare canale o spegnere violentemente il televisore. Poi ci si pensa sopra. Ci rende conto d’essere a cospetto d’un baratro vissuto col sorriso da cittadini ed istituzioni tutte; quindi si opta per giocare il ruolo di cosciente spettatore della demolizione della nostra tradizione culturale. Qualcuno si domanda se questo faccia parte della dimostrazione di quella fine della storia preconizzata da Fukuyama. Di Certo il Festival è da considerarsi una delle tante sintesi del perduto senso della vita da parte dell’uomo, e si consuma nella piena consapevolezza e colpevolezza di gran parte della classe dirigente.
E’ profondamente stupido e amorale servire alla gente questa manifestazione ma, fortunatamente, nel sistema ci sono ancora delle seppur labili resistenze: è voce diffusa, e confermata da esponenti istituzionali, che il palafreniere Amadeus avrebbe dovuto officiale l’abbraccio sul palco tra Zelensky e Fedez, ma dai “piani alti” l’avrebbero fermato. Spettacolo che in mondovisione avrebbe consacrato l’appoggio del “mondo pop-gender” alla causa ucraina: ovviamente con un esborso da capogiro verso i principali attori dell’inverecondia. Non è dato sapere chi abbia fermato questa costosissima carnevalata, utile solo a giustificare finti follower (comprati) sui social. Pare abbiano consigliato di sostituire la scenetta con l’edificante intervento di Chiara Ferragni (ovviamente con costi suppergiù similari). Tirando le somme, siamo certi che la gente normale, il popolo italiano, il comune buonsenso si sentano tutti rappresentati dal Festival di Sanremo? Chi scrive ha rivolto questa domanda ad una docente di scuole superiori incontrata casualmente in un bar sotto casa, e la signora ha premesso che “Sanremo è utile a trasformare tutto in spettacolo”, che “grazie ai giovani si può finalmente dire che la storia non serve e non esiste, si può finalmente accettare liberamente di tutto, ogni messaggio”, soprattutto la tipa ha affermato “ormai è più quello che apprendo dagli studenti che quello che insegno”. Ecco il connubio tra pluririformata scuola e insegnamenti di Fedez, Ferragni e Blanco (quello che distrugge vasi e fioriere sul palco di Sanremo). La penserà così anche il presidente Mattarella? Possibile l’Uomo del Colle, di atavica saggezza democristiana, si sia fatto rapire dalle parole di Chiara Ferragni dal palco sanremese? Intanto in quel bar la gente s’accoda alla professoressa e ripete con lei a pappagallo “va così, è la società che deve andare così… se ti metti di traverso vieni travolto: è il futuro dell’umanità”. Intanto lo scrivente pone da queste pagine ben due ordini di problemi: ovvero il costo economico di queste carnevalate e, ovviamente, la ricaduta sociale di messaggi che di fatto vanificano nelle menti più deboli le certezze nei rapporti sociali e familiari. Girovagando su internet (nella rete) troviamo a cosa s’ispirerebbero Fedez, Blanco e compagnucci: pare Sanremo sia uno dei tanti punti planetari di propaganda (battuti da agenti di cinema e canzoni) del messaggio presumibilmente pensato nei salotti elitari del nostro occidente; conciliaboli che hanno progettato il “gran reset” culturale, che pare preveda venga eliso l’effetto della storia sulle scelte umane. In nome del nuovo e futuro umanoide, qualcuno pare reputi la visione di Tucidide ormai degna di revisione: sono passati più di due millenni da quando il pensatore greco ha introdotto il concetto delle tre dimensioni storiche; secondo cui il futuro non è che una proiezione del presente sui fondamenti del passato. Il passato, la tradizione, la memoria, tutta roba da cancellare. Questo lavoro di propaganda, un po’ come la “new age” negli anni ’70 del passato secolo, viene affidato ad ignoranti menestrelli. Sorge il dubbio che gli autori di Sanremo si siano prestati a questo gioco, soprattutto per soldi. Probabilmente Amadeus, un po’ per moda un po’ per lauto compenso (ne fa guadagnare tanti anche alla consorte), avrà pensato di superare Fukuyama, trasformando Sanremo nel palcoscenico dove mostrare lo snodo epocale di questo processo di “evoluzione sociale”, economica e politica dell’umanità che spalanca le porte ad un modello umanoide, sempiterno, indefinito, diverso, gender. Soprattutto Sanremo ci dice “la vostra storia normale è conclusa e non interessa più”. C’era stato preannunciato saremmo arrivati a questa caduta. Le concezioni cicliche della storia fanno seguire al progresso un processo di degenerazione che cancella ogni consapevolezza dei risultati precedenti: Fukuyama sosteneva che, se questo oblio non è completo, ogni ciclo successivo si troverebbe comunque a costruire il nuovo sulla base delle esperienze precedenti, per quanto in misura ridotta. Aristotele parametrava la storia umana alle forme di governo, che possono avere inizi felici e rovinose degenerazioni: la rovinosa fine culturale italiana si sintetizza in questo Festival, e chi lo ha sponsorizzato è partecipe e complice.
La sensazione che trasmette questo Festival è solo raffigurabile con le parole di Hegel, ovvero quella “megalotimia” propria delle classi dirigenti al crepuscolo; quel potere che in fase gerontica sa solo elevarsi a discapito degli altri uomini. In questo caso noi vittime spettatori, noi che contribuiamo in bolletta con il canone Rai.
Un festival che celebra la grande disgregazione utile a mettere in discussione il modello di vita sociale dell’uomo normale: la rivoluzione eugenetica gender contro l’identità storica e sociale. La tendenza che viene celebrata e premiata è il condannare senza appello la tendenza naturale dell’uomo a rifarsi alle proprie origini: Sanremo argina così la pressione del passato che ci ricorda i modelli preesistenti, quelli dei padri. Amadeus ha abilmente sintetizzato il rinnovamento a cui dobbiamo tendere, quel relativismo culturale come base della fine della storia che impone canoni etici e morali degni della peggiore dittatura col sorriso. Molti volti istituzionali hanno goduto lo spettacolo dalle poltrone del Festival, forse considerando l’evento come l’anticamera del prossimo forum economico di Davos. Qualcuno ha anche visto in Sanremo l’imminente volto istituzionale del Gay Pride. In troppi fingono di capirsi, d’approvare e di parlare la stessa lingua, tra danze, sessualità indefinita e trasversale… che Babilonia, che goduria, che Sodoma!
FONTE: https://www.lapekoranera.it/2023/02/09/sanremo-tra-fine-della-storia-e-gay-pride-istituzionale/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Bloomberg: Biden vuole dare un limite temporale alla guerra ucraina
Tempo di lettura: 3 minuti
Hal MarchiHal Brands firma un articolo alquanto interessante su Bloomberg, nel quale spiega che la Casa Bianca ha modificato la sua strategia sull’Ucraina. Ormai deposto i timori di un’escalation, che secondo Brands sarebbero solo un bluff di Putin, sta inviando a Kiev armi sempre più potenti e sofisticate, in grado anche di colpire in profondità la Russia, in particolare in Crimea.
Escalation e de-escalation
Così sui missili a lungo raggio, prima negati poi inviati (ma non sono quelli richiesti da Kiev, che voleva vettori in grado di colpire Mosca), così sui carri armati e così sarà con i jet da combattimento, anche questi negati, ma probabilmente inviati in in futuro.
Grazie a tale escalation, “Biden mira ad aiutare l’Ucraina ad aumentare la pressione sulle forze russe, e forse [neretto nostro] a spostare ulteriormente le linee a suo favore, come via per i negoziati dopo la fine della fase successiva dei combattimenti”.
Insomma, si va all’escalation per arrivare alla de-escalation. “Sebbene questi diversi cambiamenti politici sembrino andare in direzioni opposte, esiste una logica unificante. Gli Stati Uniti non vogliono che la guerra si trascini all’infinito, perché sta trasformando gran parte dell’Ucraina in una terra desolata, mettendo a dura prova le tesorerie, gli arsenali e l’attenzione occidentali“.
In realtà, la logica unificante sfugge. Sembra più un aggiustamento in corsa di una strategia che si è rivelata del tutto errata, dal momento che fino ad alcuni mesi fa, dopo la riconquista di Kherson, gli Stati Uniti erano sicuri della disfatta russa, preannunciata peraltro dalle perdite subite all’inizio dell’invasione (chi non ricorda le immagini dei carri armati russi distrutti dai Javelin?).
Sembrava tutto facile, con facilità aumentata dal collasso previsto per l’economia russa a causa delle sanzioni, oltre che dalle rivolte di piazza che la guerra avrebbe inevitabilmente suscitato. Tutte previsioni date per certe e tutte errate.
Offensive e obbiettivi irrealistici
E ora che la controffensiva russa sta avendo successo e che la sbandierata controffensiva ucraina di primavera rischiava, e rischia, di non poter essere alimentata, serve un riallineamento con la realtà. Al di là delle confusioni del testo di Bloomberg, discendenti dalla necessità di dare una logica alla confusione in cui si dibatte l’amministrazione Biden, l’articolo dice comunque due cose.
Anzitutto che nelle élite americane, almeno in una parte importante di esse, si è preso coscienza che fare della guerra ucraina una guerra infinita non conviene, anzi potrebbe essere controproducente. La seconda cosa è che l’obiettivo dichiarato di cacciare i russi da tutta l’Ucraina non è più reputata realistica.
Lo dicono in tanti ormai, chi spiegando che la Crimea resterà sotto il controllo dei russi, chi aggiungendo alla Crimea anche parte del Donbass. Sulla Crimea, in particolare, val la pena riportare quanto riferisce Politico: “È improbabile che le forze ucraine siano in grado di riconquistare la Crimea dalle truppe russe nel prossimo futuro, hanno detto quattro alti funzionari del Dipartimento della Difesa ai deputati del Comitato per i servizi segreti militari della Camera in un briefing riservato. La valutazione frustrerà sicuramente i leader di Kiev che considerano la riconquista della penisola uno dei loro obiettivi chiave”.
Ma tanti, ormai, iniziano a pronosticare che anche riprendere il controllo del Donbass è complicato. Nel suo confuso articolo lo scrive anche Bloomberg, in un cenno che passa quasi inosservato, ma che è forse la parte più interessante della nota: “L’obiettivo di Washington è un’Ucraina militarmente difendibile, politicamente indipendente ed economicamente sostenibile; questo non comprende necessariamente la riconquista di aree che sarà difficile riprendere, come il Donbass orientale o la Crimea“.
Strateghi o indovini
Tanti gli indizi che le cose stanno andando male per KIev. Non solo le sconfitte sul campo di battaglia, peraltro subite prima ancora dell’arrivo al fronte dei 300mila uomini reclutati alcuni mesi fa; anche le inchieste che stanno scoperchiando il marciume di Kiev (vedi comunicato della SBU, l’intelligence ucraina); ma anche, piccolo indizio questo, ma significativo, lo scioglimento della Mozart, la più importante agenzia di mercenari impegnata sul campo di battaglia, presentata finora come contraltare della Wagner: travolta dagli scandali, ha chiuso i battenti (New York Times).
Gli strateghi d’Occidente hanno sbagliato tutto. E gli stessi che hanno commesso errori tanto madornali, trascinando il mondo in questo incubo a rischio escalation nucleare, stanno studiando nuove strategie per uscirne senza troppi danni. E l’unico modo che hanno trovato è portare Putin a un bivio: o inizia una guerra su ampia scala e/o nucleare oppure si piega a un negoziato che soddisfi più possibile le richieste di Kiev.
Strategia più che confusa, che ha il limite descritto da Bloomberg: ha una finestra di tempo limitata perché ottenga, forse, i risultati sperati. Perché sanno che ormai una guerra di logoramento, brandita all’inizio come prospettiva che avrebbe portato a una sicura vittoria occidentale, non gioca a loro favore, né nel ristretto ambito della guerra ucraina, né, soprattutto, nel più ampio agone globale, nel quale la Cina si sta rafforzando e sempre più Paesi stanno allentando i loro legami con Washington e con il dollaro. Vedremo.
FONTE: https://piccolenote.ilgiornale.it/mondo/bloomberg-biden-vuole-dare-un-limite-temporale-alla-guerra-ucraina
Terremoto: la falsa solidarietà mantiene le sanzioni per la Siria
Beati coloro che non hanno bisogno della cosiddetta “solidarietà” occidentale” perché è qualcosa che raramente esiste mentre molto spesso è un trucco per incistarsi in una qualsiasi area e sottrarne: è dalla fine della seconda guerra mondiale che la vediamo in azione in tutto il Sud del mondo dove ha sostituito il modulo colonialista non più perseguibile in maniera aperta: invece gli interventi di solidarietà sono un prodotto veramente geniale perché da una parte permettono di gestire gli stati più e meglio di un regime di controllo, inoltre sollecitano la riconoscenza delle popolazioni ,se non altro fino a quando non si scopre il trucco momento nel quale è troppo tardi per togliersi dalla pelle i parassiti, Nello stesso libera la coscienza dell’occidente e permette di continuare a rapinare risorse figurandosi di essere dei benefattori. Ci sono mille esempi possibili, ma uno è proprio di scuola, vale a dire l’accoglienza di migranti costretti ad andarsene dal proprio ambiente, dalla propria cultura, dalla propria famiglia proprio a causa delle rapine, delle guerre e delle dittature che i soccorrevoli ospiti finali provocano. Se non ci si accorge di questo è perché da oltre mezzo secolo viviamo immersi in un’ atmosfera tossica che penalizza la capacità di avere una visione generale delle cose ( la quale del resto è ormai apertamente punita) e di collegare fra di loro gli avvenimenti. Così che lo sfruttamento selvaggio di un Paese e l’arrivo dei gommoni sono considerati due eventi irrelati, esattamente come avviene per i vaccini e le reazioni avverse-
Il perverso sistema informativo collabora a tenere chiuso questa vaso di Pandora dove sono conservati decenni e decenni di storia maleodorante, ma talvolta, in maniera del occasionale questa logica del potere sfonda il sipario della retorica e appare nella sua realtà: ne abbiamo un esempio del terremoto devastante in Turchia e Siria che ha fatto scattare l’enfasi della solidarietà, ma quando poi si va a vedere dentro le cose si scopre che le sanzioni alla Siria nessuno ha intenzione di toglierle e anzi il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, ha praticamente detto che, finché ci sarà Assad agli Usa non importa se la popolazione muore sotto le macerie o d fame: le sanzioni rimarranno. Che in America qualsiasi segno di reale solidarietà sia ormai relegata a Hollywood w ai suoi prodotti di serie B lo si sappiamo da molto tempo, ma in questo caso la cosa è ancora più nefanda perché se è vero che gli Stati uniti voglio la testa di Assad perché è un feroce dittatore, allora non si capisce perché la popolazione debba pagare non soltanto le conseguenze della dittatura, ma anche quelle delle sanzioni. In realtà tutto questo fa parte di una sordida menzogna che ci viene da oltre atlantica e di cui il mondo comincia ad averne abbastanza.
FONTE: https://ilsimplicissimus2.com/2023/02/07/terremoto-la-falsa-solidarieta-mantiene-le-sanzioni-per-la-siria/
L’ombra degli Stati Uniti dietro al sabotaggio di Nord Stream
La rete Nord Stream, gasdotto della discordia ed emblema della GeRussia, è stata vittima di un misterioso sabotaggio il 26 settembre 2022. Una serie di esplosioni, negli stessi istanti in cui la Polonia inaugurava il Baltic Pipe, squarciava parti di un’infrastruttura che negli anni aveva accumulato tante controversie quanti nemici, producendo dei danni irreparabili in più punti.
La Russia aveva puntato il dito contro “gli anglossassoni”, ovvero Stati Uniti e Regno Unito, mentre la Germania si era chiusa nel più stretto riserbo e l’Alleanza Atlantica prometteva di fare luce sulle esplosioni, offrendo pieno supporto a Olaf Scholz. Da allora, a parte una sequela di eloquenti non detti e di messaggi subliminali, il nulla. Fino ad oggi.
Secondo Seymour Hersh, giornalista investigativo di fama mondiale e vincitore di un premio Pulitzer, l’attentato al Nord Stream non sarebbe stato commesso da un iracondo Cremlino alla ricerca di vendetta sulla Germania, cobelligerante informale nella guerra in Ucraina, ma dagli Stati Uniti. Una notizia che, se fosse vera, sarebbe suscettibile di provocare smottamenti epocali tanto in Occidente quanto altrove, perché la storia insegna che la Weltanschauung della Germania scuote il mondo.
Come potrebbe essersi svolto il sabotaggio?
Secondo l’autore dell’articolo, che ricostruisce il presunto sabotaggio ripercorrendo la storia dei rapporti tra Stati Uniti e Germania da prima dell’inizio del conflitto in Ucraina, la sua pianificazione sarebbe cominciata nel dicembre 2021 con una lunga serie di incontri tra Jake Sullivan (consigliere per la sicurezza nazionale Usa) e la task force composta da uomini e donne del Joint Chiefs of Staff, della Cia e dei dipartimenti di Stato e del Tesoro, in cui si sarebbero valutate le opzioni per rispondere all’imminente invasione russa – tra di esse, oltre a quelle di carattere sanzionatorio economico/commerciale, anche alcune cinetiche, ovvero usanti la forza militare.
La fonte anonima della Cia consultata dall’autore afferma, senza mezzi termini, che Sullivan intendeva che il gruppo elaborasse un piano per la distruzione dei due gasdotti Nord Stream come da “desiderio del presidente”.
Nel corso dei successivi numerosi incontri, i partecipanti avrebbero discusso le opzioni per un attacco. La Us Navy avrebbe proposto di utilizzare un sottomarino appena entrato in servizio per assaltare direttamente l’oleodotto; la Us Air Force di lanciare bombe con spoletta ritardata attivabili a distanza; la CIA avrebbe sostenuto che qualunque cosa fosse stata fatta, avrebbe dovuto essere segreta. Da qui la decisione di usare un team di sommozzatori della marina statunitense trasportati in loco sotto la copertura dell’esercitazione Nato Baltops 2022 e con il supporto della Norvegia, i cui specialisti avrebbero segnalato il punto migliore per colpire le condutture (a poche miglia dell’isola danese di Bornholm su un fondale di circa 80 metri).
I sommozzatori statunitensi avrebbero posto cariche di esplosivo sulle condutture, approfittando delle manovre aeronavali in modo da celarsi alle unità di pattugliamento russe, comandate da un dispositivo a orologeria che sarebbe stato attivato da una boa sonar lanciata da un aereo con breve preavviso. Il 26 settembre 2022, un aereo da pattugliamento marittimo P-8 “Poseidon” della Marina norvegese avrebbe effettuato un volo apparentemente di routine e ha sganciato una boa sonar. Il segnale della boa si è diffuso sott’acqua, inizialmente al Nord Stream 2 e poi al Nord Stream 1. Poche ore dopo, gli esplosivi ad alto potenziale sarebbero stati innescati e tre dei quattro gasdotti sono stati messi fuori servizio.
FONTE: https://insideover.ilgiornale.it/guerra/l-ombra-degli-stati-uniti-dietro-l-attentato-al-nord-stream-2.html
L’allerta dell’esercito Usa: Pechino ha più missili Icbm di Washington
La Cina ha superato gli Stati Uniti in termini di numero di sistemi di lancio di missili balistici intercontinentali. “Il numero di lanciatori fissi e mobili di missili intercontinentali in Cina super quello negli Stati Uniti”, ha detto lo Us Strategic Command (Stratcom), che ha la supervisione delle forze armate, al Congresso lo scorso 26 gennaio.
L’allerta dell’esercito statunitense è stata resa nota dal Wall Street Journal sulla scia della polemica esplosa per l’ingresso nel territorio americano di un pallone aerostatico cinese accusato dal Pentagono di essere uno strumento di sorveglianza inviato da Pechino. Ma, soprattutto, nel bel mezzo dello sforzo intrapreso da Washington per scoraggiare la Russia dall’utilizzo delle proprie forze nucleari e il governo cinese dal continuare a incrementare il proprio arsenale.
Al momento gli Stati Uniti, che stanno modernizzando tutte e tre le “gambe” del loro arsenale nucleare – terrestre, marittimo e aereo – hanno una forza molto più grande della Cina. Molti dei lanciatori terrestri cinesi sono inoltre ancora costituiti da silos vuoti. Eppure i progressi mostrati dal Dragone sono evidenti. E, per di più, si sono susseguiti nel corso di pochi anni, in un arco temporale relativamente breve.
La notifica del comandante della Stratcom, il generale Anthony J. Cotton, è arrivata in risposta a uno statuto del National Defense Authorization Act del 2022 che chiedeva al Pentagono di informare i comitati delle forze armate del Senato e della Camera su quanti missili balistici intercontinentali, testate di missili balistici intercontinentali e lanciatori di missili balistici intercontinentali possedesse la Cina in più rispetto a quelli controllati dagli Stati Uniti.
L’allarme dell’esercito Usa
Ebbene, in tutta risposta, Cotton ha scritto che a partire dall’ottobre 2022 la Cina aveva più lanciatori degli Usa, senza però specificarne il numero esatto. Lo Stratcom ha anche notificato al Congresso che gli Stati Uniti hanno più missili a raggio intercontinentale basati sulla terraferma e più testate nucleari montate su quei missili rispetto alla Cina. Le notifiche del comando, inoltre, non includono missili lanciati da sottomarini e bombardieri a lungo raggio, dove gli Stati Uniti continuano ad avere un netto vantaggio sul Dragone.
I legislatori repubblicani, tuttavia, si sono soffermati sui lanciatori di missili balistici intercontinentali considerandoli un chiaro segno della portata delle ambizioni a lungo raggio della Cina, e stanno esortando l’amministrazione Biden ad espandere le proprie forze nucleari per contrastare le forze russe e cinesi.
“La Cina si sta rapidamente avvicinando alla parità con gli Stati Uniti”, ha affermato il deputato Mike Rogers, repubblicano dell’Alabama che presiede il Comitato per i servizi armati della Camera. “Non possiamo permettere che accada. Il momento per noi di adattare la nostra posizione di forza e aumentare le capacità per far fronte a questa minaccia è adesso”, ha aggiunto.
I limiti di Washington
Rogers ha inoltre affermato che i limiti alle forze a lungo raggio fissati da un trattato tra Stati Uniti e Russia, noto come New Start, stanno impedendo agli Stati Uniti di costruire il proprio arsenale per scoraggiare Russia e Cina. Questo accordo, che non comprende Pechino, scadrà nel 2026. Ma, da qui a quella data, e continuando con un simile ritmo, a Washington in molti temono che l’esercito cinese possa raggiungere (se non superare) il livello militare Usa.
Ipotesi oggettivamente abbastanza improbabile, almeno a giudicare dall’enorme che gap che separa ancora le due potenze globali, ma che sta attualmente macinando diversi consensi in seno al Congresso americano, soprattutto sul fronte repubblicano. “Entro il 2030 gli Stati Uniti, per la prima volta nella loro storia, affronteranno due grandi potenze nucleari come concorrenti strategici e potenziali avversari”, ha intanto affermato lo scorso anno il Pentagono in un documento politico noto come Nuclear Posture Review.
La Cina, che ha rifiutato i colloqui sul controllo degli armamenti con gli Stati Uniti, è sulla buona strada per mettere in campo circa 1.500 testate nucleari entro il 2035, rispetto a una scorta operativa stimata di oltre 400 nel 2021, secondo un altro report del Pentagono. I media americani scrivono che Pechino gestisce una flotta di lanciatori di missili balistici intercontinentali mobili e dispone di circa 20 missili a propellente liquido basati su silos; starebbe inoltre costruendo tre campi di silo ICBM destinati a ospitare almeno 300 missili moderni a propellente solido.
FONTE: https://insideover.ilgiornale.it/difesa/lallerta-dellesercito-usa-pechino-ha-piu-missili-icbm-di-washington.html
CULTURA
Lo scrittore e il bambino lettore
Manlio Lo Presti 12 02 2023
Ho copiato un dialogo fra il protagonista sinologo del libro intitolato “Auto da fé” e un bambino. Elias Canetti lo scrisse nel 1935, tradotto in Italia negli anni 60 da Garzanti.
Si tratta di una scena commovente se pensiamo che oggi gli interessi sono focalizzati su pay tv, telecristi, telekuli, social, cocaina, pedofilia, fluidità di genere, ecologia ossessiva, il green fondato sul lavoro minorile in Africa, spostamenti di masse di umani a pagamento, guerre per procura, rastrellamenti da infezioni telecomandate, terremoti telecomandati contro Paesi definiti “canaglia”, ecc. ecc. ecc.
Che fai qui bambino?
Niente
E allora perché ci stai?
Così …
Sai già leggere?
Ho, si
Quanti anni hai?
Nove compiuti
Cosa ti piace di più: una tavoletta di cioccolata o un libro?
Un libro
Davvero? Ma bravo. Allora è per questo che te ne stai qui?
Si
E perché non l’hai detto subito?
Papà mi sgrida
Ah, ecco. Come si chiama tuo padre?
Franz Metzger
Ti piacerebbe andare in un Paese straniero?
Si. In India. Là ci sono le tigri
E poi dove? In Cina. C’è un’enorme muraglia
Ti piacerebbe scavalcarla, vero?
È troppo alta e troppo grande. Nessuno può scavalcarla. Proprio per questo l’hanno costruita
Quante cose sai. Hai già letto molto tu
Si. Leggo sempre. Papà mi toglie i libri di mano. Mi piacerebbe frequentare una scuola cinese. Là si imparano quarantamila lettere. Non c’entrano nemmeno tutte in un libro.
Elias Canetti, Auto da fe, Garzanti, 1967, Pag.7
Fonte immagine: https://www.flickr.com/photos/vertigoblu28/4864121588
“La Russia è la mia patria”. Rilke tra Mosca e Kiev
5 marzo 2022
nche nelle Lettere da Muzot, nel precipizio degli ultimi anni, Rainer Maria Rilke ricorda “la scoperta della Russia, per me risolutiva”, come scrive a Hermann Pongs, il 21 ottobre del 1924 (ora in: Rainer Maria Rilke, Noi siamo le api dell’invisibile, De Piante 2022, a cura di Franco Rella). Può sorprendere: Rilke era stato in Russia da ragazzo, nel 1899, la prima volta, dal 25 aprile al 18 giugno. Gli aveva fatto da guida – e dunque da musa – Lou Andreas-Salomé, nata a San Pietroburgo, già discepola e amica di Nietzsche. Il viaggio sbalordì Rilke: a Mosca aveva conosciuto Leonid Pasternak, il grande artista (e padre di Boris), e Paul Trubeckoj; aveva fatto visita a Tolstoj. “È difficile esprimere quanta novità ci sia in questo paese, quanto futuro”, scrive, il 19 maggio del 1899, da Pietroburgo, al poeta Hugo Zalus. Certo, Rilke leggeva Tolstoj, Dostoevskij – “mi ha completamente incantato con le sue Notti bianche” – ma è, piuttosto, l’etica del “pellegrino russo”, vagabondo nella gola dell’assoluto, senza altro bagaglio che la Bibbia, un tozzo di pane, una fede famelica ad affascinarlo. La Russia è il corpo sconvolto dell’angelo, il sacro ad ogni angolo, l’ustione permanente: “Nella sua immaginazione di poeta la Russia prendeva i tratti del paese dei sogni fatidici, dei principi patriarcali, opposto all’occidente retto dal commercio”, ricorda la scrittrice russa Sof’ja Nikolaevna Šil’, che tratteggia un quadro dei due, Lou e Rainer, per le vie russe, “Questa coppia errava per Mosca, per l’Arbat, per vicoli e vicoletti; andavano per mano, come bambini, e suscitavano sguardi curiosi e sorrisi… Cercavano in ogni luogo il volto autentico della Russia. Quanto più tutto era lontano dalla letteratura e dall’Europa, tanto meglio”.
Rainer Maria Rilke ritratto da Leonid Pasternak
L’anno dopo, Rilke e Lou rinnovano il patto con la Russia. Partono ai primi di maggio, vi restano fino a fine agosto. Per prima cosa, omaggiano – ancora – Tolstoj, a Jasnaja Poljana; poi entrano in Ucraina, soggiornano per due settimane a Kiev. Secondo il pittore Heirich Vogeler “le cattedrali sotterranee di Kiev avevano particolarmente rafforzato in Rilke l’inclinazione per il mistico”. Lou e Rainer viaggiano lungo il Dnepr, si fermano alcuni giorni a Poltava, passano per Char’kov e Voronež, risalgono il Volga, dormono “in una piccola izba, come contadini tra contadini…. il tempo era bello e questa vita così primitiva era piena di fascino” (così Rilke alla madre). Per un paio di settimane visitano Mosca.
In Russia, Rilke trova una patria. “Per me diventa sempre più chiaro che la Russia è la mia patria – tutto il resto è paese straniero”, scrive nel 1902; a Leonid Pasternak confessa il desiderio di trasferirsi “in un posticino, a Mosca, con uno stipendio modesto”; “Alle grandi e misteriose garanzie su cui si regge la mia vita appartiene anche il fatto che la Russia è la mia patria”, ribadisce, nel 1903. Un pensiero non velleitario, ma cardinale, che ripete, con più forza, anni dopo, nel 1920: “Che cosa devo alla Russia? È lei che ha fatto di me quello che sono divenuto, è da lei che sono interiormente uscito, tutte le mie più profonde radici sono là”.
Come sempre, Rilke immagina una vita, una relazione, un futuro: per poi realizzarla – intrisa di una rabbiosa malinconia, sotto minaccia dell’impossibile – nell’opera. La Russia, patria immaginata, esplode nel Libro di immagini, entra in poesie nebulose, che cristallizzano la tenebra: in Corsa notturna. San Pietroburgo – raccolta nelle “Neue Gedichte” – appare una “notte insonne/ che non ha cielo e non ha terra” – memoria delle notti bianche di ‘Dost’ – e “figure di pietra dai contorni evanescenti”; infine: “questa città cessò/ di esistere”. Nella furia creativa di Muzot, un secolo fa, nel febbraio del 1922, ritorna, a lampi, la Russia, cicatrice tra la giovinezza e l’estrema grazia di Rilke: nella prima parte dei Sonetti a Orfeo:
“Ma che consacro a te, o Signore, dimmi,
tu che addestri l’orecchio alle creature? –
Il mio ricordo di un giorno di primavera,
nella sua sera, in Russia –, un cavallo…”
(XX, la traduzione è di Franco Rella)
Sempre, la Russia è vista di notte, spesso a cavallo (Carlo XII di Svezia cavalca la Ucraina, in “Das Buch der Bilder”, 1902), forse memore di Gogol’: la Russia si può amare soltanto in fuga, in corsa, disperatamente.
Il viaggio in Russia di Rilke è ricordato, a chiazze, per manate verbali, da Boris Pasternak nei romanzi autobiografici. “Al mio ritorno a Mosca, entrò nella mia vita un altro grande lirico del secolo, allora appena noto e oggi riconosciuto in tutto il mondo, il poeta tedesco Rainer Maria Rilke. Nel 1900 si era recato a Jasnaia Poljana da Tolstoj, aveva fatto conoscenza e scambiato lettere con mio padre, e aveva trascorso un’estate vicino a Klin, a Zaviovo, dal poeta contadino Drožžin. In quegli anni lontani donò a mio padre le sue prime raccolte con dediche calorose”, scrive Pasternak nel 1957. Anni prima, nel 1930, il poeta apre Il salvacondotto con una scena analoga, ma alterata dagli specchi: “In una calda mattina estiva del 1900 un rapido è in partenza dalla stazione di Kursk. Poco prima che si muova, un tale avvolto in una nera mantellina tirolese si avvicina al nostro finestrino. È con lui una donna alta. Forse sua madre o forse una sorella maggiore”. Pasternak non nomina Rilke, alla cui “memoria” è dedicato Il salvacondotto, è sinuoso – proprietà nobile del seduttore – nell’accennare all’età di Lou, chiude lo sketch con un tono potente, ambiguo e lirico, ineluttabile – “Nel frattempo, la curva ci afferra e, girando lentamente come una pagina appena letta, la stazione scompare. Il volto e il fatto vengono cancellati. Forse, per sempre” –, così tipico del primo Pasternak.
Che proprio nel 1926, morirà a fine anno, Rilke intrattenga un epistolario con i due grandi poeti russi, Marina Cvetaeva e Boris Pasternak, pare l’estremismo della patria, una paternità. “Amava la Russia come io la Germania, con tutta l’estraneità del sangue e la libera passione dello spirito”, scrive la Cvetaeva (i rapporti tra i tre e il legame tra Rilke e la Russia sono celebrati in un libro di rara bellezza, a cura di Serena Vitale: Cvetaeva, Pasternak, Rilke, Il settimo sogno. Lettere 1926, Editori Riuniti, 1980). Il 14 marzo del 1926 Rilke scrive a Leonid Pasternak: tra l’altro, accenna alle “poesie molto notevoli di Boris Pasternak”, lette sull’“ottima rivista parigina Commerce, edita dal grande poeta Paul Valéry”. Qualche giorno dopo, papà Leonid scrive al figlio, “Ti darò una bella notizia: ho appena ricevuto da Rilke una lettera molto gradita e preziosa, soprattutto per te, Borja… di te, Borja, egli scrive con entusiasmo”. Il commento della Vitale è radioso: “Boris Pasternak fu colpito come un fulmine da queste parole. Nel periodo di profonda insoddisfazione e ansia creativa che stava attraversando, nel contesto della sua difficile e incerta vita moscovita, la notizia che Rilke era vivo e sapeva della sua esistenza suonava come la voce del destino stesso”. Volle tenere sempre con sé quel biglietto, un battesimo; morì nel 1960, con la lettera di Rilke nel portafogli – Rilke fu sepolto, idealmente, con Pasternak, in Russia. Si erano visti, per l’unica volta, cinquant’anni prima – Pasternak aveva dieci anni; ma si sa, per i poeti, che scombinano le reincarnazioni, la storia è un tiro di dadi. Un tempo, veniva tatuato con segni di bestie il corpo dei defunti.
FONTE: https://www.pangea.news/rilke-russia-mosca-kiev/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
L’UE riflette su come censurare i punti di vista russi
L’Unione Europea organizza un convegno intitolato «Al di là della disinformazione: la risposta della UE alla minaccia di manipolazioni straniere dell’informazione». In sostanza si tratta di riflettere su come censurare nell’Unione tutti i punti di vista russi.
L’UE ha già censurato la rete televisiva Russia Today e l’agenzia Sputnik. La riflessione ora riguarda come censurare i cittadini dell’Unione che diffondono i punti di vista russi, senza necessariamente condividerli.
L’evento sarà presieduto da Josep Borrell, alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, assistito da Stefano Sannino, segretario generale del Servizio europeo per l’Azione Esterna.
Interverranno il parlamentare Raphael Glucksmann, presidente del Comitato speciale del parlamento europeo per l’Interferenza straniera, rappresentanti dell’Agenzia per la Difesa Psicologica svedese, del Foreign Office britannico, del Dipartimento di Stato Usa, nonché ovviamente della Nato.
L’attrazione principale dello spettacolo sarà Nina Jankowicz (foto) che, dopo essere stata consigliera per la comunicazione del presidente Volodymyr Zelensky, è stata incaricata dal presidente Joe Biden di presiedere il Disinformation Governance Board, la fugace agenzia di censura degli Stati Uniti.
Tutti i partecipanti, a eccezione di Glucksman, sono alti funzionari non eletti.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article218769.html
Censura, sorveglianza di massa e insetti: il World Economic Forum contro il mondo libero
Il World Economic Forum (WEF), definito l’impero che distrugge le economie nazionali, sembra un’officina che ha rubato parti delle peggiori dittature al mondo per creare il mostro “woke” di Frankenstein. Ha rubato la predilezione degli Aztechi per i sacrifici umani al fine di scongiurare le intemperie, contrastare la propensione dei comunisti cinesi al controllo totale e allo sradicamento della cultura tradizionale, respingere la partnership distruttiva della società dei fascisti italiani con i monopolisti aziendali e la fede dei nazisti tedeschi in una “razza superiore a tutte le altre”, innanzitutto le celebrità, i banchieri, i capitalisti clientelari e i potentati che si riuniscono a Davos e altrove per plaudire ai propri successi e continuare ad attuare ulteriormente il loro “piano generale” che il WEF chiama affettuosamente “Great Reset” – “Grande Reset”.
Come lo stesso Klaus Schwab ha di recente dichiarato al suo pot-pourri di insigni ospiti, il WEF intende “padroneggiare il futuro” e chi può “padroneggiare” ciò che non è stato ancora scritto se non coloro che considerano il resto degli abitanti del pianeta come poco più che semplici servitori e schiavi?
Sarebbe bello pensare che i mostri totalitari del XX secolo sarebbero serviti da sufficiente monito all’umanità a non camminare mai più incautamente nella direzione sanguinaria dell’autoritarismo. Ahimè, sembra che le lezioni brevemente apprese in un secolo di guerre mondiali, genocidi, conquiste e rivoluzioni siano state spazzate via come i semini di un dente di leone, in modo che il male possa ancora una volta attecchire e crescere. Ovviamente, il World Economic Forum non si vede come Stalin, Hitler, Tojo, Mussolini, Pol Pot o Mao. Si vede come John Kerry: come un “gruppo selezionato di esseri umani” che salverà il pianeta per chiunque altro. I totalitarismi del secolo scorso vedevano se stessi in modo diverso? Come Albert Camus avrebbe potuto chiedersi: quando “il benessere dell’umanità” non è stato “l’alibi dei tiranni”?
Quando gli individui più ricchi e potenti del pianeta si riuniscono sotto la protezione di una schiacciante sicurezza militare che garantisce loro tanto l’incolumità quanto l’esclusione degli altri viene in mente un monito contenuto nel libro di Adam Smith La ricchezza delle nazioni: “Raramente la gente dello stesso mestiere si ritrova insieme, anche se per motivi di svago e di divertimento, senza che la conversazione risulti in una cospirazione contro il pubblico, o in qualche espediente per far alzare i prezzi”.
Con il folle impulso a rimpiazzare le energie da idrocarburi con insufficienti alternative “green” che fanno salire i prezzi delle materie prime e dei beni in tutto il mondo, mentre il costo della vita in rapido aumento soffoca tutti tranne i più abbienti, le parole di Smith non sono mai state più accurate. Come spiega John Kerry senza mezzi termini, l’unico modo per combattere anche il minimo cambiamento climatico occorre “denaro, denaro, denaro, denaro, denaro, denaro, denaro”. È strano vedere una “élite” plutocratica e autocelebrativa scoprire il gioco. Se ciascuna di queste esortazioni al “denaro” vale centomila miliardi di dollari, Kerry potrebbe anche essere vicino a parlare francamente.
Prima che i sostenitori del lavaggio del cervello del Club Klaus urlino che le motivazioni umanitarie del World Economic Forum non hanno nulla a che fare con il fare soldi, pensate a come sia folle una simile affermazione. I ricchi hanno un incentivo economico a nascondere le loro fortune dietro la parvenza della benevolenza, in modo da evitare sospetti e arricchirsi ancor di più. Dietro l’idea di “ricostruire [il mondo] in modo migliore”, secondo la teoria del “Grande Reset” dell’economia mondiale proposta dal WEF, c’è un titano aziendale, un colosso bancario, un politico assetato di potere, un capo burocratico o semplicemente un vecchio aristocratico che si arricchisce o acquisisce influenza dalla moltitudine di transazioni segrete che rafforzano l’intera farsa filantropica.
Lo slogan “Amore per l’umanità” vale soltanto per gli adesivi per paraurti che il WEF può attaccare sui suoi veicoli elettrici; “l’avidità” è ancora la forza motrice delle strette di mano segrete che si scambiano i più potenti quando si incontrano. Fanno affidamento sul lavoro degli schiavi africani per l’estrazione di materie prime “green” e su quello degli schiavi cinesi per la produzione di tecnologie “verdi”, denigrando al contempo chiunque si opponga alle loro politiche dei confini aperti che inondano le nazioni occidentali di continua manodopera a basso costo. Com’era prevedibile, i maggiori responsabili dell’indebolimento dei gruppi di lavoro in patria, sovvenzionando al contempo la schiavitù all’estero, sono gli stessi che danno lezioni al mondo sul razzismo, sui salari equi e sui diritti umani.
Come per tutte le truffe in cui i ricchi e i potenti scelgono di rubare ancora di più ai poveri e ai deboli, “l’altruismo” del WEF sembra piuttosto mafioso. I loro agenti bussano alle porte delle imprese in tutto l’Occidente con una semplice proposta: forse non ne hai mai sentito parlare, ma ci sono molti elementi cattivi là fuori che vogliono farti del male. La buona notizia è che possiamo offrirti protezione soltanto per il cinquanta per cento dei tuoi profitti.
Gli imprenditori, che in passato non hanno avuto problemi a realizzare profitti, inizialmente rifiutano la proposta.
Non credo che tu capisca, spiegano i loro nuovi “amici”, senza di noi, i gruppi per i diritti civili potrebbero boicottare i tuoi prodotti in quanto razzisti e transfobici, gruppi di investitori potrebbero svalutare le tue azioni perché non rispetti gli impegni ESG e le banche potrebbero rifiutare di farti prestiti in futuro, perché sostieni “l’odio” e la “disinformazione”. Tutto il nostro staff di notizie societarie potrebbe dover scrivere articoli negativi sulla tua azienda. Sarebbe un peccato vedere soffrire una piccola impresa quando siamo qui per aiutarti.
E come si può ottenere tale aiuto?
È semplice, fai quello che ti dice il WEF di Klaus Schwab, fai affari con le nostre banche ed i fornitori approvati, offri il tuo sostegno alle nostre cause approvate e noi ci occuperemo del resto. Ehi, faremo persino in modo che i politici sul nostro libro paga ti ringrazino pubblicamente per aver salvato il mondo!
Dal bastone alla carota, ossia dalla punizione alla ricompensa. Possono viaggiare su jet privati, ma alla fine, la congrega del World Economic Forum non è altro che la più grande concentrazione di mascalzoni che la criminalità organizzata sia mai riuscita a riunire nello stesso spazio, orchestrando i piani più efficaci mai concepiti per costringere popolazioni in passato libere a fare esattamente quello che dicono. È Cosa Nostra reinterpretata come “la cosa di Klaus”. In un’era più giusta, chiunque partecipasse alle riunioni del WEF sarebbe arrestato per associazione a delinquere finalizzata a commettere estorsioni e frodi. Invece, poiché “i padroni del nostro futuro” hanno investito molto denaro nelle elezioni dei leader più importanti dell’Occidente, presidenti, primi ministri, legislatori e persino militari sono fin troppi felici di difendere la loro causa.
Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha detto alla sua platea del WEF che l’economia mondiale è in grave pericolo, senza sottolineare che sono state le politiche fatte di restrizioni e lockdown per contrastare il Covid-19 e i tentativi di utilizzare la pandemia come un “grande reset” per sancire il passaggio dell’Occidente dalle energie da idrocarburi a quelle “green” ad essere responsabili di gran parte del danno. Anziché usare la piattaforma globale come un’opportunità per fare un mea culpa tanto necessario al mondo intero, il capo delle Nazioni Unite era più interessato a sollevare altri due punti: 1) dovrebbe esserci una “responsabilità” giuridica per le piattaforme di social media che promuovono “la falsa informazione” e 2) i politici dovrebbero imporre misure impopolari alla loro popolazione per il proprio bene.
In sostanza, il capo dell’organo di governo internazionale preferito dai globalisti chiede che i leader nazionali ignorino intenzionalmente la volontà del loro popolo e istituiscano un sistema per criminalizzare la libertà di parola, in modo che il dissenso scompaia magicamente proprio come un manifestante in un campo di “rieducazione”. Queste sono le stesse “élites” del WEF che poi hanno l’audacia di voltarsi e predicare la “democrazia” e i “valori occidentali”.
Ovviamente, il presidente colombiano Gustavo Francisco Petro Urrego non ha avuto remore a dire a voce alta l’aspetto tranquillo. Seduto accanto al paladino “green” Al Gore, Petro Urrego ha affermato che l’umanità deve “superare il capitalismo”, se vuole sopravvivere. Dato che Gore, membro del consiglio di fondazione del WEF, sembrava non essere in disaccordo, si può affermare che il Club Davos preferisce una versione del comunismo controllata dalla “élite” (ne esiste un’altra?) piuttosto che un sistema di libero mercato in cui la gente comune può prosperare.
Se tutto ciò è in netto contrasto con le libertà occidentali duramente conquistate, che privilegiano la tutela dei diritti e delle libertà individuali rispetto all’interferenza arbitraria dello Stato, il motivo è dovuto al fatto che il World Economic Forum ha ribaltato l’inestimabile retaggio illuministico degli occidentali. In concomitanza con la sua riunione, il WEF ha pubblicato un report che annovera “le fake news e la disinformazione” tra i “rischi” globali più rilevanti. I membri del WEF prevedono pubblicamente che gli Stati Uniti avranno presto leggi su “l’incitamento all’odio”, in aperta violazione della libertà di espressione tutelata dal Primo Emendamento della Costituzione americana. Aumentano le esortazioni a monitorare e applicare i singoli “limiti di carbonio” nella battaglia senza fine contro il clima della Terra in continua evoluzione. Questi stessi autoritari insistono per creare passaporti vaccinali digitali, un tracciamento dei contatti, per introdurre l’uso obbligatorio di “vaccini” sperimentali e di test onnipresenti. E dopo che il World Economic Forum ha deciso che gli occidentali dovrebbero mangiare insetti, l’Unione Europea ha ora autorizzato il consumo di grilli domestici. Censura, sorveglianza di massa e insetti: benvenuti nel futuro, se il WEF dovesse ottenere ciò che vuole.
Nessuno dei programmi di vasta portata del World Economic Forum per rifare il mondo nell’interesse dei suoi membri suona come qualcosa che gli occidentali liberi potrebbero mai accettare di buon grado. Sicuramente è per questo che così tanti relatori del WEF sollecitano l’attuazione di queste politiche indipendentemente dal sostegno pubblico. Forse è anche per questo che il Partito Comunista cinese ha di recente plaudito allo “spirito di Davos” di quest’anno. I comunisti riconoscono il comunismo quando lo vedono, e nell’oligarchia globalista delle “élites” di Klaus Schwab, alla Cina piace quello che vede.
J.B. Shurk scrive di politica e società.
FONTE: https://it.gatestoneinstitute.org/19381/wef-contro-mondo-libero
Scricchiolii climatici e rifiuto del cibo artificiale
Due o tre giorni fa sono saltato dalla poltrona assistendo a uno spot di non so quale tipo di polpetta vegetale venduta come il santo graal del mangiare sano anche se è impossibile sapere a quali procedimenti industriali vengono sottoposti questi alimenti e da quali coltivazioni provengono gli ingredienti di base Ma non è questo che mi ha fatto sussultare bensì la cornice che accompagnava il prodotto: non c’erano peti di mucca, metano e Co2 attorno a questa polpetta tutta vegetale, dunque mangiandolo si combatteva il riscaldamento globale. E poi si aggiungeva, caso mai non si fosse convinti, la domanda idiota degli ultimi tre anni; non credi nella scienza? Mentre uno scoiattolo rimane stupito e inorridito. da tale possibilità. Racconto questa cosa per mostrare che esistono filiere aziendali disposte a diffondere false verità e nello stesso tempo a propalare un’idea della scienza non come dibattito in progressione, ma come una sorta di immutabile testo sacro. In realtà quella del riscaldamento catastrofico di origine antropica è solo un’ipotesi formulata su “modelli” ideati molti anni fa e sulla quale non converge affatto la maggioranza degli scienziati del clima: ma la mobilitazione dei media mainstream che hanno come padroni gli stessi che si apprestano a sfruttare la narrazione del cambiamento climatico per imporre un loro neo medioevo, fanno credere che si tratti di una verità assoluta, In realtà il 70 per cento dei ricercatori non si esprime o è contrario a questa tesi anche se negli ultimi dieci anni si è tentato in maniera truffaldina di diffondere l’idea che tutti fossero d’accordo e che appunto lo dicesse la scienza.
Nel frattempo, mentre la campagna anti Co2 di carattere meramente politico viene assumendo un’intensità ossessiva, si vanno accumulando quintali di prove sul fatto che la quantità di Co2 in atmosfera non è correlata alla temperatura, o quanto meno non lo è al di sopra di certe concentrazioni e che anzi sia l’anidride carbonica ad aumentare con l’alzarsi delle temperature e non viceversa. Le indagini paleo climatiche sono particolarmente impietose mostrando la mancanza di correlazione fra temperature e concentrazione di Co2, visto che ci sono state glaciazioni con alti livelli di questo gas in atmosfera e periodi invece molto cadi con basse concentrazioni. Oltre a questo anche il presente comincia a recalcitrare di fronte alle ipotesi catastrofiche visto che negli ultimi dieci anni si va di nuovo estendendo la banchisa artica e si anche fermata la perdita dei ghiacciai groenlandesi. Ma queste cose ovviamente vengono escluse dai media e dunque la gente non le conosce.
Tuttavia in qualche modo è probabile che qualcosa cominci a non funzionare in questa favola: negli Usa per esempio si cominciano a rifiutare i cibi in qualche modo “artificiali” che vengono proposti sul mercato , come ad esempio la finta carne fatta con sostanze vegetali, il che tutto sommato è un buon segnale visto che la catastrofe climatica viene utilizzata per smerciare meglio questui prodotti e per distruggere l’agricoltura tradizionale così da costruire un ‘industria del cibo fondata totalmente sugli ogm, sugli insetti e su allevamenti cellulari venduti alla gente come un salvezza per il clima, ma che in realtà permettono solo profitti molto superiori, minimi investimenti e speculazioni miliardarie Le due maggiori aziende americane che producono finta carne, Impossible Foods e Beyond Meat stanno infatti implodendo. Agli inizi dell’anno scorso, entrambe le società stavano cavalcando l’onda, con un posizionamento privilegiato sugli scaffali dei supermercati, tanto che persino Burger King fu spinta ad un “Impossible Whopper” al suo menu. E c’erano segni anche di ulteriore espansione grazie a nuovi prodotti che simulavano finte salsicce e bocconcini di pollo. Ma dal qualche mese, singolarmente quasi in contemporanea con le proteste degli agricoltori nel mondo occidentale che sono in pericolo di esproprio causa Co2, è cominciato un vero e proprio crollo delle vendite che ha raggiunto il 22 per cento per entrambe le aziende di cibo artificiale con conseguenti licenziamenti. Secondo alcune società di analisi questo è dovuto al fatto che l’espansione del mercato tra il 2021 e il 2022 ha portato anche molti consumatori a rifiutare questi prodotti,. Tuttavia è una spiegazione non del tutto convincente anche perché dopo anni di clamore e di attenzione su questi prodotti, la marea sta scemando con una rapidità straordinaria: si può legittimamente pensare e sperare che il rifiuto non colpisca il prodotto in sé o anche la sua insana filosofia di mangiare della imitazioni di qualcos’altro, ma anche tutto il contesto, diciamo così, narrativo – pubblicitario in cui vene inserito e di cui il salvataggio climatico è una base portante ancorché grottesca- Più anidride carbonica c’è in atmosfera più la massa vegetale cresce (14 per cento negli ultimi dieci anni) il che permette non solo di avere più cibo, ma anche di contribuire al raffreddamento della terra come è dimostrato dal fatto che nelle aree di maggiore rinverdimento le temperature sono scese da 0,14 a 0,59 gradi a seconda delle aree.
FONTE: https://ilsimplicissimus2.com/2023/02/08/scricchiolii-climatici-e-rifiuto-del-cibo-artificiale/
DIRITTI UMANI IMMIGRAZIONI
Non solo Ucraina: le macellerie che l’Occidente volutamente ignora
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Mentre i mezzi di informazione ci bombardano quotidianamente con le cronache della guerra ucraina, dipingendo i russi come criminali che attentano alla libertà e alla sicurezza dei buoni, cioè dell’Occidente, nulla si dice di altre macellerie, che raccontano altre verità, cioè che i crociati che vogliono salvare il mondo dai cattivi non sono poi così buoni come si presentano. Per fortuna, a volte le informazioni scappano dalla maglia della censura e alcune di queste pecche emergono.
Iniziamo dallo Yemen, la guerra dimenticata, nella quale una coalizione a guida saudita, supportata dagli Usa, sta conducendo una guerra feroce per porre fine alla ribellione degli Houti, i quali hanno rovesciato il regime sanguinario pregresso, filo-saudita e filo-occidentale.
La guerra in Yemen e i profitti Usa
La guerra attuale è iniziata nel 2015, ma anche prima lo Yemen era preda di convulsioni violentissime, con gli Usa che vi hanno condotto incessanti campagne anti-terrorismo.
Per inciso, non solo quella campagna non ha portato all’eliminazione delle formazioni terroristiche, ancora presenti nel territorio, ma, per una strana eterogenesi dei fini tali, milizie sono ora di fatto alleate con la coalizione anti-Houti. A denunciare questa imbarazzante convergenza non è stato un media complottista o russo, bensì l’Associated Press, in una rara digressione dalla narrazione ufficiale.
Ma torniamo alla guerra del 2015. Così Giozia Thayer su Antiwar: “Un’indagine (PDF) del Government Accountability Office ha documentato che gli Stati Uniti stanno addestrando la coalizione guidata dai sauditi e che gli Stati Uniti hanno truppe sul terreno in Yemen. Lo stesso Biden ha confermato che gli Stati Uniti hanno truppe nello Yemen in una lettera al Congresso dello scorso giugno”.
Un affare lucroso per l’apparato militar-industriale Usa, infatti “tra il 2015 e il 2021, gli Stati Uniti hanno inviato 54,2 miliardi di dollari in armi e servizi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti”.
Quindi, il documento dettaglia tale spesa, aggiungendo che, oltre a questi, altri finanziamenti sono pervenuti alla coalizione sotto altre forme e ricorda anche come gli Usa avessero inviato soldi e armi prima dell’inizio della guerra, quando il presidente deposto dagli Houti era considerato una “pietra miliare della guerra al terrore”.
“Miliardi di dollari sono stati spesi per distruggere lo Yemen, uccidendo centinaia di migliaia di persone, ma gli Houthi controllano ancora Sanaa e AQAP [al Qaeda] è ancora attivo nel Paese [è destino delle guerre infinite portare caos e non conseguire l’obiettivo dichiarato]”.
Non solo, “il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ogni anno, a partire dal 2015, ha approvato delle risoluzioni per bloccare lo Yemen e impedire alle armi di arrivare al conflitto; tuttavia, l’embargo è riuscito solo a far morire di fame gli yemeniti”. Già, perché le armi, come si vede, arrivavano a fiumi altrove.
“In una conversazione telefonica del 9 febbraio 2022 con il re dell’Arabia Saudita, Salman bin Abdulaziz Al Saud, il presidente Biden gli assicurò che gli Stati Uniti avrebbero continuato a sostenere la guerra nello Yemen”.
“La telefonata è avvenuta un anno dopo che Biden aveva mentito al popolo americano annunciando che gli Stati Uniti avrebbero ritirato il proprio sostegno alla guerra in Yemen”. Una promessa solenne che Biden fece subito dopo la sua elezione…
Il Defense Institute of International Legal Studies dell’Agenzia per la Difesa e la cooperazione alla sicurezza ha tenuto dei corsi in Arabia Saudita per illustrare ai militari della coalizione come prevenire le vittime civili,
Eppure, “nonostante la spesa di milioni di dollari per prevenire la morte di civili, 23.627 attacchi aerei della coalizione a guida saudita dal marzo 2015 hanno provocato di oltre 18.600 vittime civili, secondo lo Yemen Data Project”.
In realtà, i morti civili sono molti più, dal momento che una stima approssimativa delle vittime della guerra dello scorso marzo, dava 150mila vittime degli scontri e delle bombe: impossibile che siano quasi tutti combattenti. Tale numero, peraltro non dice tutto. Le morti indirette, causa scarsità di cibo e malattie, erano in totale 377mila (sempre stime approssimative, sono molte più). E 11 mila i bambini morti o mutilati, secondo l’Unicef, un morto ogni 9 minuti…
Ma non per questo gli Usa hanno smesso di fornire armi ai militari della coalizione, evidentemente distratti. Una macelleria a ritmo continuo che sta devastando uno dei Paesi più poveri della terra, come ricorda il cronista.
Il cobalto del Congo
Un’altra macelleria, più silenziosa e ancora più dimenticata, è quella che si sta consumando nella Repubblica democratica del Congo. Qui da decenni ormai, vige il caos totale, alimentato dalla guerra infinita che dagli inizi degli anni ’90, quando ci fu il boom dei telefoni cellulari per inciso, devasta l’Est del Paese.
In questa zona imperversano i signori della guerra che si scontrano con l’esercito regolare di Kinshasa e le formazioni di auto-difesa tirate su dalla popolazione civile, in un’ininterrotta lotta continua, che a volte ha preso la forma di guerre vere e proprie. Un caos alimentato dall’estero: si vendono armi ai signori della guerra che le pagano con le risorse del ricchissimo sottosuolo.
Sottosuolo che è sfruttato grazie agli schiavi che i signori della guerra catturano nelle loro scorribande. Nelle miniere lavorano un po’ tutti, anche bambini e bambine, quando non sono usati per farne bambini soldato, i maschi, o alimentare il traffico internazionale della pedofilia.
In diverse altre note abbiamo descritto questa macelleria, spiegando che serve per depredare le ricchezze del Paese, in particolare il coltan, indispensabile alla tecnologia.
Non solo il coltan, anche il cobalto, “il cui consumo negli ultimissimi anni è esploso con l’aumento della mobilità elettrica e la necessità di batterie di lunga durata” (ISPI). E la Repubblica democratica del Congo ha la disgrazia accessoria di ospitare i giacimenti da cui viene estratto il “90 percento del cobalto mondiale”.
Lo riferisce il Daily Mail, che spiega come il cobalto serva “a produrre le batterie che alimentano le nostre vite guidate dalla tecnologia […]. Il cobalto è l’elemento chimico che si trova in quasi tutti i gadget tecnologici oggi sul mercato che utilizzano le batterie al litio: uno smartphone, un tablet o un computer portatile ne richiede pochi grammi, mentre un veicolo elettrico 10 kg” .
“Apple, Microsoft, Google, Tesla e altri [tanti i produttori di auto elettriche e apparecchi tecnologici] insistono sul fatto che ai loro fornitori di cobalto chiedono i più alti standard [di tutela dei lavoratori] e di commerciare solo con fonderie e raffinerie che aderiscono ai loro codici di condotta”. Ma il Daily Mail ha pubblicato foto e video delle miniere della Repubblica democratica del Congo, da cui “molti di questi fornitori ottengono il cobalto”.
Inutile raccontare cose. Rimandiamo all’articolo che pubblica le immagini scioccanti di questo inferno in terra, che si perpetua ormai da decenni per garantire a Big Tech e ad altre industrie la possibilità di produrre i veicoli e gli apparecchi che usiamo ogni giorno a prezzi accessibili (la vita di un bambino congolese vale meno di uno smartphone..:).
La cosa tragicamente simpatica è che di questi orrori non si parla mai sui media ufficiali, nonostante siano in bella vista, come dimostra l’articolo del Daily Mail. Non bisogna disturbare il conducente, il quale peraltro lamenta che nella guerra ucraina sono in gioco le regole auree che l’Occidente ha garantito al mondo nel secondo dopoguerra. Queste foto rivelano molto più di altro l’ipocrisia sottesa a tali affermazioni.
L’articolo del Daily Mail spiega che il servizio si è giovato delle immagini fornite loro da Siddharth Kara, che ha scritto un libro sul tema. Lo pubblicizziamo anche noi, merita: Cobalt Red: How the Blood of the Congo Powers Our Lives.
Nota bene. Oggi il Papa si è recato nella Repubblica democratica del Congo, Una visita apostolica che porta un soffio di speranza nel cuore di tenebra del mondo. Si spera che abbia un seguito.
FONTE: https://piccolenote.ilgiornale.it/mondo/non-solo-ucraina-le-macellerie-che-loccidente-volutamente-ignora
ECONOMIA
Il crollo delle vendite al dettaglio in Italia: la povertà che avanza visualizzata
Oggi ISTAT ha pubblicato i dati delle vendite al dettaglio a dicembre, un dato che, a prima vista, potrebbe sembrare di routine neppure tanto negativo, ma che, se messo nella giusta prospettiva, mostra la realtà dell’impoverimento dell’Italia
Iniziamo con i dati attuali: le vendite al dettaglio in Italia si sono ridotte dello 0,2% rispetto al mese precedente nel dicembre del 2022, dopo un aumento dello 0,8% nel mese precedente e rispetto alle previsioni del mercato di un calo dello 0,8%. Le vendite di prodotti non alimentari sono diminuite dello 0,4% dopo l’aumento dello 0,9% del mese precedente, mentre le vendite di prodotti alimentari sono aumentate dello 0,1%, rallentando rispetto all’aumento dello 0,6% del mese precedente. Su base annua, le vendite al dettaglio sono aumentate del 3,4%, dopo un aumento del 4,4% nel mese precedente. Nel 4° trimestre del 2022 il commercio al dettaglio è aumentato dello 0,4%. Considerando il 2022 nel suo complesso, le vendite al dettaglio sono cresciute del 4,6% rispetto all’anno precedente in entrambi i settori merceologici. Comunque Dicembre, un tempo mese ricco, è diventato un mese povero. Vediamo il grafico:
Questa però è solo l’apparenza, perché le tendenze sono molto più drammatiche. Canale Sovranista si è preso la briga di calcolare l’andamento delle vendite al dettaglio reali (quindi al netto dell’inflazione) a partire dal 2000, e il risultato dovrebbe farvi cadere le braccia, soprattutto perché le vendite al dettaglio sono il vero indicatore del benessere materiale:
A partire dall’entrata dell’Euro si vede un calo delle vendite al dettaglio, prima leggero, poi invece precipitoso, veramente preoccupante, che colpisce soprattutto il settore delle vendite non alimentari. Il crollo è stato del 17% dal 2000 al 2022, una valore enorme, che viene a mostrare plasticamente quanto siamo diventati più poveri negli ultimi 20 anni. Questa crisi poi conduce ad una crisi profonda del commercio a sua volta accentuata dall’introduzione di formule distributive nuove, ma che comunque ha desertificato i nostri centri storici.
Ovviamente che l’Euro sia stato introdotto nel 2002 è puramente casuale.
FONTE: https://scenarieconomici.it/il-crollo-delle-vendite-al-dettaglio-in-italia-la-poverta-che-avanza-visualizzata/
Movimento politico svizzero ha raccolto firme per un referendum per proteggere il denaro contante
Un gruppo di pressione ha dichiarato che i cittadini svizzeri avranno la possibilità di provare a garantire che la loro economia non diventi mai priva di contanti, dopo aver raccolto entro lunedì un numero sufficiente di firme per attivare una votazione popolare sulla questione.
L’FBS (Movimento per la Svizzera Libera) sostiene che il contante sta riducendo il suo ruolo in molte economie, in quanto i pagamenti elettronici diventano la norma per le transazioni in società sempre più digitalizzate, rendendo più facile per lo Stato monitorare le azioni dei suoi cittadini. L’associazione vuole che alla legge valutaria svizzera, che regola le modalità di gestione della massa monetaria da parte della banca centrale e del governo, venga aggiunta una clausola che stabilisca che una “quantità sufficiente” di banconote o monete deve sempre rimanere in circolazione.
Non ci sono prove che le autorità svizzere si stiano muovendo verso una società senza contanti.
La FBS ha dichiarato di aver raccolto più di 111.000 firme a sostegno della misura, oltre le 100.000 necessarie per far scattare il voto popolare. In base al sistema svizzero di democrazia diretta, la proposta diventerà legge se approvata dagli elettori, anche se il governo e il parlamento decideranno come attuarla.
“È chiaro che… sbarazzarsi del contante non solo tocca questioni di trasparenza, semplicità o sicurezza… ma comporta anche un enorme pericolo di sorveglianza totalitaria”, ha dichiarato il presidente della FBS Richard Koller sul sito web del gruppo.
Koller considera inoltre la Svizzera come un portabandiera europeo per la difesa del denaro contante, poiché l’introduzione di tali garanzie nell’Unione Europea comporterebbe il processo “quasi impossibile” di ottenere l’approvazione di tutti i 27 Stati membri. Nonostante questo la BCE sta cercando di introdurre l’Euro Digitale ch aumenterebbe il livello di controllo sulle transazioni finanziarie. Proprio quello che il movimento degli svizzeri liberi vuole evitare.
FONTE: https://scenarieconomici.it/movimento-politico-svizzero-ha-raccolto-firme-per-un-referendum-per-proteggere-il-denaro-contante/
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
La Famiglia Rotschild si ricompra la banca di famiglia e la toglie dal mercato azionario
L’iconica famiglia Rothschild, la cui ricchezza accumulata, è secondo alcuni una delle più grandi fortune del mondo, anche se ben nascosta, sta progettando di privatizzare la sua banca d’investimento di punta, Rothschild & Co. La banca, i cui predecessori hanno contribuito a finanziare la vittoria del Duca di Wellington su Napoleone nel 1815 nella battaglia di Waterloo, ha annunciato lunedì che il suo principale azionista ha in programma un’offerta pubblica di acquisto per un valore di circa 3,7 miliardi di euro, pari a 4 miliardi di dollari.
La mossa, che giunge in un momento in cui molti suoi colleghi stanno percorrendo la strada opposta e cercano capitali sui mercati azionari, porrebbe fine alla quotazione di un’azienda che, in una forma o nell’altra, è stata presente in borsa dal 1838, secondo quanto dichiarato da una portavoce. Come osserva Bloomberg, l’acquisizione privata segnerà l’ultimo passo negli sforzi della famiglia per consolidare il controllo, dopo una riorganizzazione del 2012 che ha effettivamente portato le attività francesi e britanniche sotto lo stesso tetto e semplificato la struttura organizzativa.
Come la maggior parte delle banche d’investimento contemporanee indipendenti, l’azienda parigina genera la maggior parte dei suoi ricavi fornendo consulenza finanziaria a quello che può essere facilmente definita la lista clienti più grande del mondo, sebbene abbia anche un’unità di gestione patrimoniale e di asset management e un’attività di merchant banking. Tra le sue consulenze più recenti la ristrutturazione del gruppo Porsche e la nazionalizzazione di Uniper. Guidata dal 2018 dal quarantaduenne Alexandre de Rothschild (il cui bis, bis, bis, bis nonno è Mayer Amschel Rothschild, fondatore della dinastia Rothschild), la banca si è espansa negli Stati Uniti ed è riuscita a evitare gran parte del crollo del mercato della consulenza sulle operazioni, posizionandosi al sesto posto per numero di fusioni e acquisizioni lo scorso anno secondo Bloomberg.
Rothschild & Co ha tre divisioni: consulenza globale, gestione patrimoniale e merchant banking. “Nessuna delle attività del gruppo ha bisogno di accedere al capitale dei mercati azionari pubblici”, ha dichiarato in un comunicato Concordia, la holding della famiglia, in un momento in cui molti dei suoi concorrenti sono in difficoltà per quanto riguarda i ricavi da consulenza. “Inoltre, ogni attività è meglio valutata sulla base della sua performance a lungo termine piuttosto che sui guadagni a breve termine. Questo rende la proprietà privata del gruppo più appropriata di una quotazione pubblica”, perchè il lungo termine è proprio dell’ottica famigliare.
L’intenzione della famiglia Rothschild di rendere privata la propria boutique è in controtendenza rispetto agli ultimi due decenni, quando un’ondata di piccole società di consulenza, come Evercore e Lazard, ha cercato di quotarsi in borsa negli Stati Uniti.
Concordia, che è la holding di famiglia dei Rothschild e possiede già il 38,9% delle azioni della società e il 47,5% dei diritti di voto, ha dichiarato che prevede di offrire 48 euro per azione, un premio del 19% rispetto al prezzo di chiusura di venerdì per le azioni che non possiede ancora. Le azioni di Rothschild sono salite del 17% a 47 euro. Un valore allettante che attrarrà molte azioni dal mercato.
FONTE: https://scenarieconomici.it/la-famiglia-rotschild-si-ricompra-la-banca-di-famiglia-e-la-toglie-dal-mercato-azionario/
GIUSTIZIA E NORME
COSTITUZIONI SENZA COSTITUZIONALISMO. LA TEOCRAZIA COSTITUZIONALE
Pubblicato 21 September 2022 | by Matteo Zuzze’ | in Ecclesiastico, Internazionale
In ogni Stato è possibile rintracciare un insieme di regole da cui derivi l’assetto organizzativo dei poteri sovrani e il complesso di disposizioni che regolano i rapporti tra gli stessi.
La Costituzione, sia essa scritta o non scritta, di cui ogni formazione sociale si dota, consente di far luce sulle aspirazioni a cui le formazioni sociali stesse si rivolgono, il fine ultimo perseguito da uno Stato che, emergendo dal dato formale, richiede poi un’indagine sui contenuti ‘sostanziali’ che animano il documento costituzionale, sulle convenzioni e le norme che ad esso sono strettamente collegate e che consentono di ben interpretare l’inciso costituzionale.
Ogni costituzione, pertanto, necessita di uno sforzo interpretativo ben più ampio: il dato formale andrebbe integrato di tutti quegli elementi caratterizzanti l’ordinamento, cioè il contenuto ‘sostanziale’ del documento costituzionale che troverebbe il suo punto di partenza e di approdo nei sistemi giuridici che hanno alla base le premesse proprie del costituzionalismo, promotore di quel dinamismo che ora mantiene aperta l’interpretazione costituzionale, traendo, per altro, le fila dalla lungimiranza dei padri costituenti, ora contrappone la sfaccettatura ‘dinamica’ dei sistemi giuridici alla ‘staticità’ propria delle Carte, chiuse, talvolta, nella loro gelida forma.
Alla luce di queste premesse, le costituzioni sono, dunque, permeate da quel farraginoso retroterra culturale e ideologico che informa di sé il documento costituzionale e che si riferisce ad un preciso ordine di valori costituzionali[1].
Non sempre, però, la prassi ha confermato questa soluzione. Esistono Stati che si sono dotati di costituzioni «i cui connotati non sono, tuttavia, riconducibili ai principi del costituzionalismo»[2] (quanto meno occidentale). Si è parlato di ‘costituzioni senza costituzionalismo’[3] per definire quell’esperienza complessa di ‘costituzioni in un contesto non costituzionale’[4].
Si tratta di Stati nei quali è circolante il dato formale e, «l’involucro esterno denominato “costituzione”, ma [in cui] non si sono fatti propri i principi e i valori che quella formula intendeva originariamente esprimere. A conferma, dunque, che esistono “fratture” che segnano la distanza tra la costituzione formale e la costituzione materiale, tra formule e regole scritte e formule e regole viventi»[5].
Tutti i capisaldi cari alla modernità e al costituzionalismo liberal-democratico, cristallizzati nella celebre formula di cui all’art. 16 della Dichiarazione francese dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789[6], si negano di fronte a quelle esperienze in cui i diritti fondamentali dell’uomo non troverebbero riscontro in un adeguato apparato di garanzie; mancherebbero, inoltre, un’effettiva separazione dei poteri e una concreta autonomia tra gli spazi di Dio e quelli dell’uomo, tra diritto e religione, e, va da sé, che quest’ultimo aspetto chiami in causa uno dei principi propri degli Stati occidentali moderni, e cioè quello di laicità.
La libertà religiosa non solo segna il passaggio agli Stati non confessionali, aprendo le porte alla modernità, ma consente a chiunque di esprimere liberamente i propri convincimenti interiori e la propria spiritualità, rintracciando il modo di essere di ognuno, muovendosi su «un terreno difficilmente penetrabile al controllo esterno [poiché], prima di incidere sulle scelte pratiche, interessa profili connessi alla costruzione di sé e della propria personalità, non sondabili né sindacabili da autorità pubbliche»[7].
Peraltro, non riferendosi esclusivamente ad un atto di fede interiore, la libertà religiosa «si presenta un po’ come la madre di tutte le libertà […]. Investe tutte le possibili opzioni connesse all’espressione della coscienza personale: credere e non credere; cambiare credenza, anche più volte nel corso della propria vita; appartenere ad un gruppo religioso ovvero recedervi e così via»[8]. Questo è facilmente comprensibile ed accettabile se si pensa che tutta la vita dell’uomo è caratterizzata, in ogni suo momento, dalla scelta. La garanzia di una pluralità (in questo caso religiosa), l’apertura a diverse prospettive e a diverse possibilità per l’uomo, pone lo stesso di fronte ad una scelta, di cui è il solo responsabile ed artefice, e questo lo rende libero, lo pone, cioè, oltre quei vincoli e fuori da quelle strettoie che lo soffocano e che lo limitano, non soltanto nell’affermazione del suo proprio io, ma anche, di quella identità che lo contraddistingue.
Le istituzioni politiche occidentali, muovendosi in assenza di Dio[9] e, separando il diritto dalla morale, con l’avvento della modernità, hanno portato a compimento quel processo arduo di secolarizzazione, hanno cioè posto «al centro della ragion di Stato l’uomo» e confinato Dio in periferia[10],costruendo la strada del dialogo e dell’incontro e aprendo alla diversità. Invero, «lo scenario variegato delle forme di Stato offre, tra gli altri, anche esempi in cui il fattore religioso si interpone nel rapporto tra governanti e governati. Si tratta di quegli ordinamenti nei quali la fede religiosa dominante viene proclamata quale fondamento del potere temporale; il più delle volte i precetti religiosi assumono il ruolo di fonte primaria del diritto vigente. Si tratta di caratteristiche tipiche degli Stati islamici, ove generalmente la costituzione è subordinata alla legge divina»[11].
È il classico esempio degli Stati cosiddetti ‘confessionali’ o ‘teocratici’, in cui, il più delle volte, la massima autorità religiosa coincide col vertice di Governo. Recentemente, peraltro, il processo di occidentalizzazione del mondo ha determinato l’avvento di quella che Hirschl, nel suo omonimo scritto[12], definisce ‘teocrazia costituzionale’, una nuova forma di stato che, a differenza della teocrazia pura, e cioè il Governo esclusivo di Dio, tende, invece, a fondere gli elementi dello Stato confessionale con alcuni tratti del costituzionalismo moderno.
L’aspetto principale della teocrazia costituzionale è la «separazione formale tra leadership politica ed autorità religiosa»[13]. Il potere, infatti, risiede nella figura politica che opera entro i limiti della costituzione, piuttosto che nella stessa autorità religiosa. Questo, inoltre, trova riscontro nel documento costituzionale, nel quale viene sancito il principio fondamentale della separazione dei poteri.
E’, peraltro, istituita una Corte costituzionale (seppure formata da soggetti esperti sia in materia di diritto generale che religioso) cui è demandato un controllo giurisdizionale attivo di sindacato di costituzionalità sulle leggi. Il carattere ‘teocratico’ di questi Stati è invece sottolineato, secondo Hirschl, dall’assenza di libertà di scelta in materia religiosa, in quanto la religione di Stato rappresenta, in questi ordinamenti, la principale fonte che informa di sé tutta la legislazione e lo stesso metodo interpretativo del diritto.
La religione è parte integrante e pilastro della ‘metanarrativa’ nazionale del sistema politico[14], delimitando i confini politici dell’identità collettiva e dei diritti e doveri dei cittadini. Non ci si limita unicamente al riconoscimento esclusivo di una religione che è quella di Stato, ma le leggi devono conformarsi ai principi e alle dottrine religiose e nessuna legge può contrastarvi. Nella maggior parte dei casi vi è una stretta collaborazione tra i sistemi giurisdizionali civili e le autorità religiose, le cui opinioni assumono un rilevante peso simbolico, ponendosi, queste, al di sopra del popolo dei fedeli, e fungendo da guide per la vita. «In questo modo la religione esprime l’intento di plasmare la vita sociale, di non limitarsi ad una proiezione verso l’aldilà del mondo, bensì di volere contribuire a fondare o rifondare i rapporti intramondani; la religione si proietta sul sociale facendosi ragione pratica e azione storica, assumendo una capacità di forma di tipo pubblico, e non più solo privato»[15].
Il modello ideale di teocrazia costituzionale si caratterizza, dunque, per quella combinazione tra Stato confessionale e alcuni o tutti gli elementi del costituzionalismo moderno, recuperando da questo il rispetto di principi fondamentali, quali la distinzione formale tra autorità religiosa e autorità politica e la presenza di un judicial review; il riconoscimento di una religione ufficiale di Stato, cui si attribuisce anche una dignità costituzionale, così come ai suoi testi, alle sue prescrizioni e alle sue interpretazioni che rappresentano la sola fonte di legislazione e di interpretazione giurisdizionale; ed infine, l’istituzione di corpi religiosi o tribunali ‘a sfondo religioso’ che operano, sostituendole o collaborando, con le corti civili[16].
La teocrazia costituzionale però è anche più di questo, è una forma di Stato in continua evoluzione, un prezioso compromesso tra passato e futuro, «la congiuntura di aspirazioni ideologiche e considerazioni strategiche [che] si presenta in una forma non ancora del tutto definita, come il riflesso di un’intrigante affinità concettuale tra costituzione e religione, ognuno con i suoi testi di riferimento, con le proprie gerarchie interpretative, la propria moralità mista ad interessi terreni»[17].
Per Hirschl, alla teocrazia costituzionale va il merito di aver offerto una nuova chiave di lettura del costituzionalismo moderno, che sembra spingersi oltre quei sistemi sociali e politici che si collegano esclusivamente alla nozione di democrazia. «La teocrazia costituzionale è insomma una sorta di specchio attraverso cui lo stesso costituzionalismo occidentale può imparare a riconoscere quanto di costituzionalismo è presente nelle teocrazie e, al contempo, quanta teocrazia è presente nello stesso costituzionalismo occidentale»[18].
La presenza di una Costituzione e dei principi del costituzionalismo consente anche di completare quel processo di riassestamento, già avvenuto in passato, nei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, affermandosi come la definitiva ‘resa dei conti’ nello storico conflitto tra la corona e l’altare. Hirschl, a tal proposito, interrogandosi sui rapporti tra lo Stato e la Chiesa, tra la religione e il diritto, disegna nove modelli di interazione. Egli colloca su un’estremità i regimi comunisti atei ed anticonfessionali. La religione come ‘oppio dei popoli’, secondo il motto marxista, si ricollega ad uno stato di arretratezza della classe operaia, stordita dalla borghesia, che usa la religione per scopi di oppressione e di reazione, relegando gli operai ad uno stato di minorità culturale ed economica. La sconfitta del capitalismo, per Marx, può realizzarsi solamente attraverso l’abbattimento della fede e della gerarchia ecclesiastica. Va da sé che la Repubblica Popolare cinese del 1949, l’Etiopia e il potere sovietico in Russia hanno da sempre mostrato un sentimento di ripudio verso le confessioni.
L’altro modello ipotizzato da Hirschl è quello della laicità francese, che si distingue, tuttavia, dall’ anti-religiosità comunista, ma pone come obiettivi principali la secolarizzazione e l’affermazione dei concetti di cittadinanza e di Nazione, affrancandosi definitivamente da riferimenti religiosi, come pure emerge dalla Carta Costituzionale Turca del 1937, che milita a favore della separazione dello Stato dalla religione. Tuttavia, a differenza di quanto avviene in Francia, in Turchia, oggi notoriamente laica, l’affermazione del principio «non ha coinciso con l’occultamento di tutti i simboli religiosi, ma solo di quelli considerati l’emblema dell’essenza retrograda dell’Islam (quali il velo), mentre si è ad esempio proceduto alla sacralizzazione della mezzaluna, contenuta nella bandiera nazionale»[19].
In altri paesi, la laicità appare più mitigata. Nonostante l’obiettivo sia quello della secolarizzazione, la religione ha rappresentato e continua a rappresentare un elemento di forte identificazione sociale e culturale, come accade, ad esempio, in America, dove, accanto al divieto di ‘favoreggiamento’ di qualsiasi religione, si pone, tuttavia, quel modo di dire squisitamente americano «In God We Trust» che lascia il Paese aperto allo spazio della Trascendenza e al compromesso con i dettami della moralità religiosa. «Tutto il linguaggio politico americano è ammantato di religione e religiosità. Gli Stati Uniti sono oggetto privilegiato di benedizione divina, scelti da Dio per essere faro e guida dell’umanità contemporanea: è ironico che Bush abbia inteso combattere il fondamentalismo religioso islamico con il richiamo fondamentalista ad un’altra religione»[20].
In alcune parti del globo l’alto tasso di immigrazione, invece, rende più flessibile il distacco tra lo Stato e la Chiesa. È il caso, ad esempio, del Canada, dove, il rispetto per la tradizione si coniuga col riconoscimento ‘moderno’ della diversità, soprattutto religiosa. La Carta dei diritti e delle libertà canadese, infatti, tutela la libertà di confessione religiosa, facendo della multietnicità un pilastro costituzionale. In alcuni paesi europei, come in Danimarca o in Norvegia, la religione viene formalmente istituzionalizzata. Si tratta, tuttavia, di un’‘ufficializzazione’ debole che resta ancorata alla mera tradizione storica, senza peraltro avere un vero e proprio riscontro sostanziale.
Emblematico è l’esempio della Corona inglese che coincide con la massima autorità della Chiesa Anglicana, a difesa della fede. Il monarca inglese partecipa, infatti, alle questioni di fede, così come la Chiesa risulta coinvolta nelle cerimonie di incoronazione dei neo-reggenti e ai pastori più anziani viene riconosciuta la rappresentanza presso il ramo parlamentare della House of Lord.
Vi sono altri paesi europei, come Spagna o Italia in cui, invece, la Chiesa Cattolica, seppure formalmente divisa dallo Stato, appare insofferente al destino di emarginazione e, realizzando compromessi e reciproci scambi di favori e privilegi, prova a reinserirsi nella sfera politica. «In Italia, papi e cardinali non esitano a svolgere un ruolo decisamente politico allorché danno indicazioni vincolanti ai credenti su come comportarsi nei confronti di leggi dello Stato, quali la fecondazione assistita o addirittura il divorzio, arrivando al punto di invocare la disobbedienza civile. È in certo senso ironico e paradossale che lo stesso [pontefice emerito] Ratzinger abbia invocato il ritorno di Dio nella sfera pubblica»[21].
Alcuni Stati, come India, Kenya ed Israele, sebbene si professino laici, riconoscono, invece, alle autorità religiose, soprattutto in materia di diritto di famiglia, un margine di autonomia giurisdizionale, nel rispetto delle proprie tradizioni[22].
Infine, vi sono realtà che Hirschl definisce religious jurisdictional enclaves, in cui «non è il sistema religioso che procede da quello costituzionale ma è quest’ultimo che trae la sua legittimità dal primo»[23]. Esempio classico è il modello islamico.
Da tali premesse, quindi, emerge che le costituzioni occidentali non neutralizzano del tutto la natura religiosa, ma anzi, il problema della libertà religiosa e della scelta libera dell’uomo può porsi solo se e quando alla base di questo ragionamento si ammetta l’esistenza di Dio, confidando nella verità di un Suo spazio. Quello della confessione è, infatti, un problema che riguarda qualsiasi area geografica del globo, non fermandosi soltanto all’area musulmana, ma proseguendo il proprio viaggio anche verso le realtà liberali occidentali. I paesi euro continentali, sorretti dalla modernità, infatti, non sembrano poi così diversi dagli attuali paesi islamici, legati alla tradizione. Sebbene la secolarizzazione abbia eretto la sua fortezza contro il sacro, il dio del mondo ha continuato a sopravvivere anche in Occidente, realizzando, così, nella maggior parte dei casi, una laicità soltanto ‘di facciata’.
NOTE
[1] Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, Milano, G. Giappichelli Editori, 2016, p 244.
[2] Ibid.
[3] Ibid.
[4] Cfr. A. Harding, P. Leyland, Comparative law in Constitutional Contexts, in e. orucu, d. nelcken, Comparative law. A Handbook, Oxford, 2007, pp. 313- 338.
[5] Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, Milano, G. Giappichelli Editori, 2016, p 245.
[6] «Toute societé dans la quelle la garantie des droits n’est pas assurée, ni la séparation des pouvoirs déterminée, n’a point de constitution». (Si veda art. 16, Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789).
[7] P. Consorti, Diritto e religione, Roma, Editori Laterza, 2014, p. 20
[8] Ibid.
[9] Ibid.
[10] Ivi, p. 24.
[11] Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, Milano, G. Giappichelli Editori, 2016, p. 251.
[12] R. Hirschl, Constitutional Theocracy, Cambridge, Massachussetts, London, England, Harvard University Press, 2010.
[13] A. Vespaziani, La Teocrazia costituzionale: una nuova forma di Stato?, in Scritti per la Costituzione del Dipartimento Giuridico dell’Università del Molise, Campobasso, Arti Grafiche la Regione srl, 2012.
[14] Cit. R. Hirschl, Constitutional Theocracy, Cambridge, Massachussetts, London, England, Harvard University Press, 2010, p. 3. Per Hirschl la religione è «pillar of the polity’s national metanarrative».
[15] a. vespaziani, La Teocrazia costituzionale: una nuova forma di Stato?, in Scritti per la Costituzione del Dipartimento Giuridico dell’Università del Molise, Campobasso, Arti Grafiche la Regione srl, 2012, p. 974.
[16] Cfr. R. Hirschl, Constitutional Theocracy, Cambridge, Massachussetts, London, England, Harvard University Press, 2010, p. 3.
[17] A. Vespaziani, La Teocrazia costituzionale: una nuova forma di Stato?, in Scritti per la Costituzione del Dipartimento Giuridico dell’Università del Molise, Campobasso, Arti Grafiche la Regione srl, 2012, p. 975.
[18] Ivi, p. 973.
[19] Ester Stefanelli (resoconto a cura di), Costituzioni e costituzionalismi nel mondo arabo islamico, 4-5 dicembre 2014, Napoli – Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, in dipec.wp.unisi.it, consultato il 24/08/2021.
[20] M. Campanini, Ideologia e politica nell’Islam, Il Mulino, 2008, p. 12.
[21] Ibid.
[22] Per ulteriori approfondimenti sugli archetipi di interazione in Hirschl si veda r. hirschl, Constitutional Theocracy, Cambridge, Massachussetts, London, England, Harvard University Press, 2010, pp. 28-33.
[23] Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, Milano, G. Giappichelli Editori, 2016, p. 253.
FONTE: http://www.salvisjuribus.it/costituzioni-senza-costituzionalismo-la-teocrazia-costituzionale/
Assolto dopo 10 anni tappezza la città di manifesti: «Tutti devono sapere»
La trovata dell’ex presidente del Consiglio comunale di Prato Maurizio Bettazzi dopo il calvario giudiziario
Ha fatto tappezzare la città di Prato con cartelloni con la sua foto, la parola assolto e la motivazione: il fatto non sussiste. Maurizio Bettazzi, ex presidente del Consiglio comunale di Prato, si è preso la sua rivincita dopo 10 anni di processo, anni passati a vedere la gente attorno a lui dileguarsi ed evitarlo perché accusato di abuso d’ufficio e concussione. Un’accusa che gli era piombata addosso nel 2013 e che lo spinse a dimettersi, di fatto mettendo fine alla propria carriera politica. Ora, dopo una lunga attesa, Bettazzi ha deciso di far sapere a tutti com’è andato il processo e di riabilitare il proprio nome. «I manifesti saranno presto una decina e resteranno almeno per un mese – ha dichiarato a Repubblica -. Purtroppo non posso più farlo sapere alle persone che sono morte in questi anni e confermargli ciò che gli dicevo. Chi mi aveva tolto il saluto e chinava la testa quando mi incrociava, adesso vedrà il cartellone e saprà che ero la stessa persona di prima di questa vicenda».
Per Bettazzi si è trattato di «un lungo procedimento su un fatto che non esisteva. La giustizia giudicante mi ha sempre assolto, mentre i pubblici ministeri hanno continuato una persecuzione verso di me», ha raccontato ancora l’ex presidente del Consiglio comunale. Dopo l’avviso di garanzia, il suo nome finì sui giornali e fu al centro di una vera e propria tempesta mediatica che lo convinse a mollare la politica. E oggi, dopo l’assoluzione, il desiderio è quello di informare tutti di come sono andate le cose. «Sto già ricevendo molti messaggi di felicitazioni e congratulazione, da parte di amici e conoscenti – ha aggiunto a Repubblica – hanno apprezzato anche l’idea». Sul manifesto, in un angolo in basso, c’è anche la sigla “P.d.M”, vale a dire “Il Partito di Maurizio”, che Bettazzi aveva pensato di fondare per raccontare la propria vicenda giudiziaria. «Ma potrebbe anche essere – ha concluso – la sigla di “perseguitati dalla magistratura”».
FONTE: https://www.ildubbio.news/giustizia/assolto-dopo-10-anni-tappezza-la-citta-di-manifesti-tutti-devono-sapere-xwh3f0ys
PANORAMA INTERNAZIONALE
Il caso Hunter Biden/Igor Kolomoïsky
L’amministrazione Biden reagisce infine agli scandali legati al contenuto del computer del figlio del presidente, Hunter Biden. Questo buono a nulla, di cui si conoscono solo le attività di eroinomane e protettore, è riuscito a diventare amministratore di una grande compagnia del gas, settore di cui non sa assolutamente nulla. Uomo di paglia, Hunter Biden ha firmato ogni sorta di contratto importante, in diversi Paesi, muovendosi – senza averne diritto – con aerei governativi. Per mettere a tacere queste vicende il padre ha lanciato un’operazione che l’ha condotto a fare pulizia nel governo ucraino.
Il tempo passa e gli elettori statunitensi prendono sempre più le distanze dal presidente Joe Biden. Sono ormai molti gli intervistati dalle società di sondaggio che affermano di averlo votato ma di essersene poi pentiti. Qualcuno sostiene che, avesse saputo della vicenda Hunter Biden, non avrebbe mai riposto fiducia nel padre.
Durante la campagna elettorale per le presidenziali, il Partito Repubblicano interpellò la Commissione Elettorale federale perché Twitter e Facebook avevano censurato migliaia di account che riprendevano e diffondevano le rivelazioni del New York Post a proposito del contenuto del computer di Hunter Biden [1]. Il ricorso non ebbe seguito, il caso venne archiviato, ma ora i Twitter Files, rivelati da Elon Musk, dimostrano con dovizia di particolari che l’FBI, nonché un’agenzia di intelligence (probabilmente la CIA), hanno fatto pressioni su Twitter e Facebook perché censurassero queste informazioni.
La nuova maggioranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti vuole avviare diverse inchieste, in particolare sull’implicazione di Joe Biden nei sordidi affari del figlio. Se da queste inchieste emergessero elementi a conferma, potrebbe venir messa in dubbio l’indipendenza del presidente degli Stati Uniti e quindi essere avviata la procedura per la sua destituzione (impeachment).
È bene ricordare che quando Joe Biden era vicepresidente di Barack Obama furono versati sette milioni di tangenti al procuratore generale dell’Ucraina perché non ficcasse il naso negli affari di Burisma. In seguito la Verkhovna Rada (parlamento) rimosse il procuratore, diventato troppo avido, su pressione di Stati Uniti, Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale, con l’intento di salvare al minor costo possibile il proprietario di Burisma e l’ex prima-ministra Yulia Timoshenko.
In un Paese puritano come gli Stati Uniti, l’opinione pubblica si è innanzitutto interessata alle assidue frequentazioni di prostitute di Hunter Biden e al suo uso di droghe; solo in un secondo momento si è accorta che l’aspetto finanziario della vicenda era molto più rilevante.
Il caso Hunter Biden, fatto passare da altissimi responsabili dell’intelligence come «disinformazione russa» [2], ora potrebbe ribaltare la situazione. Non conviene più negare i fatti, tant’è che l’università di Harvard ha annunciato la chiusura del Technology and Social Change Project, struttura che ha continuato ad affermare che il portatile di Hunter Biden non esisteva, che era solo una fake news [3].
I cittadini creduloni erano considerati «cospirazionisti», adepti di «estrema destra» del presidente Trump, nonché fruitori di stampa-spazzatura. Quasi tutta la classe dirigente aveva invece «capito» che si trattava solo di dicerie popolari, di fake news. Da un lato i lettori del New York Post, che aveva rivelato la vicenda [4], dall’altro quelli del New York Times, che l’ha sempre negata.
Tra i molti affari finanziari del figlio del presidente soprattutto due sono degni d’attenzione. Il primo riguarda una spia cinese: potrebbe essere segnacolo di un traffico d’influenza al servizio di una potenza straniera. Il secondo riguarda le attività di Hunter Biden in Ucraina, in particolare la sua nomina e quella dell’amico Devon Archer (coinquilino durante il periodo universitario di Christopher Heinz, figliastro di John Kerry) nel consiglio di amministrazione della società d’idrocarburi Burisma, l’accozzaglia che il presidente Vladimir Putin definì «banda di drogati e neonazisti», [5] annunciando di dover ricorrere all’esercito per far finire la guerra civile in Ucraina, in applicazione della risoluzione 2202 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Ora sono intervenuti due avvenimenti, apparentemente non collegati, a scompigliare le carte. Hunter Biden ha ingaggiato uno dei più celebri avvocati statunitensi, Abbe Lowell, che ha chiesto l’apertura di un’inchiesta penale e inviato lettere a tutti quelli che hanno avuto un ruolo nella divulgazione del contenuto del portatile del suo cliente, fra loro l’ex sindaco di New York, Rudy Giuliani, e l’ex consigliere di Donald Trump, Steve Bannon. Secondo Lowell hanno violato la sfera privata del suo cliente, quindi devono ritrattare le conclusioni dedotte dal contenuto del computer e dare un taglio alla faccenda.
Contemporaneamente, una delegazione del dipartimento della Difesa e del dipartimento di Stato, nonché dell’USAID [Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale, ndt], è andata in Ucraina per consigliare il governo Zelensky di fare un po’ di pulizia [6].. Motivazione ufficiale: fare in modo che il denaro regalato all’Ucraina a spese dei contribuenti statunitensi non finisca nelle tasche di funzionari corrotti. Scopo ufficioso: estromettere le pedine diventate invadenti, lasciando illesi gli altri.
In due giorni si sono dimesse a catena quattordici personalità: cinque governatori regionali (Valentin Reznitchenko, Dnipropetrovsk, Oleksandr Starukh, Zaporizhzhia; Dmytro Jivytsky, Sumy; Iaroslav Ianuchevitch, Kherson; Oleksiy Kuleba, Kiev); quattro viceministri (fra cui Viacheslav Shapovalov, Difesa, e Vasyl Lozynsky, Infrastrutture); due responsabili di un’agenzia governativa; infine il vicecapo dell’ufficio di Zelensky, Kyrylo Timoshenko, nonché il vice procuratore generale, Oleksiy Symonenko.
I media occidentali hanno fatto un resoconto fedele di questo colpo di spugna. Però il fatto più importante è accaduto il giorno successivo, ma pochi ne hanno parlato. Squadre dello SBU hanno perquisito il domicilio dell’oligarca Ihor Kolomoïsky, sponsor del presidente Volodymyr Zelensky e dei nazionalisti integralisti, ma soprattutto proprietario di… Burisma Holding, che rilevò da Mykola Zlochevsky nel 2011, ossia prima che vi entrasse Hunter Biden. Naturalmente l’articolo su questo passaggio di proprietà è stato da tempo rimosso dal sito dell’Anticorruption Action Center [7].
Arrestare il capo mafioso Ihor Kolomoïsky fa sparire gli indizi di molti problemi. Egli infatti è il testimone chiave del legame fra il presidente Zelensky e i nazionalisti integralisti, ossia tra un supposto difensore della democrazia e gli anti-democratici, tra un politico ebreo e massacratori di ebrei. Per gli “uomini del presidente”, Kolomoïsky è la principale personalità ucraina a poter rispondere sulla corruzione di Hunter Biden ed eventualmente di Joe Biden.
È bene ricordare che nel 2019 il segretario all’Energia Usa, Rick Perry, avrebbe informato Rudy Giuliani delle confidenze su Hunter Biden fattegli dal presidente Zelensky durante la cerimonia d’investitura [8]. Il presidente Donald Trump chiese dunque agli ucraini di essere informato sulle indagini. Ma la vicenda fu disinnescata, il presidente Trump fu accusato di agire per vendetta e venne aperta una nuova procedura di destituzione contro di lui.
La vicenda Hunter Biden è a più livelli. Un conto è cancellare il suo ruolo in Burisma, altro è cancellare quello svolto nelle attività militari statunitensi in Ucraina. Queste passavano da Rosemont Seneca Technology Partners (RSTP), una delle società create da Hunter Biden con Christopher Heinz, figliastro dell’inviato speciale per il clima John Kerry, che l’aveva raggiunto nel consiglio di amministrazione di Burisma [9].
Donald Trump Jr. tratta degli intrallazzi di Hunter Biden nel libro «Liberal Privilege: Joe Biden and the Democrat’s Defense of the Indefensible», Gold Standard Publishing (2020).
L’inchiesta del New York Post ha dato origine a un altro libro: Laptop from Hell: «Hunter Biden, Big Tech, and the Dirty Secrets the President Tried to Hide», di Miranda Devine, Post Hill Press (2021).
I senatori repubblicani della Commissione per la Sicurezza della Patria hanno presentato due rapporti: 1. «Hunter Biden, Burisma, and Corruption: The Impact on U.S. Government Policy and Related Concerns». U.S. Senate Committee on Homeland Security and Governmental Affairs; 2. «Majority Staff Report Supplemental» Committee on Finance, Committee on Homeland Sercurity and Governmental Affairs. November 18, 2020.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article218791.html
POLITICA
La fabbrica delle vittorie elettorali
La vittoria di Fratelli d’Italia alle elezioni del 25 settembre merita di essere analizzata perché è un perfetto esempio di “ingegneria elettorale”: con pochi, semplici, passaggi, una formazione minoritaria è stata elevata a prima forza politica del Paese. Attraverso la Meloni, gli anglosassoni mirano ad aprire un nuovo fronte di crisi in Europa: probabile, infatti, che il nuovo governo italiano copi le ricette “non ortodosse” dei conservatori inglesi, che stanno affossando sterlina e conti pubblici.
Come costruire una vittoria elettorale
È nostra abitudine dedicare pochissimo spazio alla politica italiana e, quando lo facciamo, è sempre in relazione al resto del mondo. La recente tornata elettorale, che ha decretato la schiacciante vittoria di “Fratelli d’Italia, merita di essere analizzata per due ragioni: è un perfetto esempio di “ingegneria elettorale”, la tecnica con cui si possono indirizzare i voti nella direzione voluta, ed è quasi certamente l’anticamera di una nuova crisi per l’eurozona e le finanze pubbliche italiane.
Come è stato possibile portare una formazione di destra, che nel 2018 aveva raccolto il 4% delle preferenze, al 26% in cinque anni? Come è stato possibile portare una leader, senza alcun significativa esperienza di governo, a Palazzo Chigi nel volgere di una sola legislatura? Con pochi, semplici, passaggi. Vediamo quali:
- Stai sempre all’opposizione. Governare è redditizio in termini elettorali finché “la torta cresce” ed il benessere generalizzato aumenta: maggiori ricchezze da redistribuire e soddisfazione diffusa. In tempi di crisi multiple (e dal 2018 in avanti si sono sperimentate la crisi dell’epidemia, quello russo-ucraina, quella energetica e inflazionistica) stare all’opposizione paga: è come riempire una tinozza sotto un temporale. Basta stare fermi. Gli anglosassoni si sono premurati di tenere Fratelli d’Italia sempre all’opposizione per cinque anni, mentre nel frattempo si alternavano il governo giallo-verde, quello giallo-rosso ed il governo tecnocratico di Mario Draghi. Decisivi sono stati i due anni di governo Draghi, con cui l’elettorato della Lega Nord è stato svuotato a favore di Fratelli d’Italia.
- Ritocca le “regole del gioco”. Non ci sarebbe stata nessuna schiacciante vittoria di Fratelli d’Italia se, nel corso della legislatura precedente, non si fosse “pasticciato” con la Costituzione. Decisivo, infatti, è risultato il referendum del settembre 2020 per la riduzione dei parlamentari, non seguito da un’iniziativa del governo giallo-rosso per rivedere in chiave proporzionale la legge elettorale. In questo modo, allargando a dismisura i collegi e conservando la componente maggioritaria del Rosatellum, si è creata una legge fortemente distorsiva, che ha permesso alla coalizione guidata da Fratelli d’Italia di conquistare il 55% dei seggi col 42% delle preferenze.
- Controlla le opposizioni. La mancata revisione della legge elettorale è stato il “primo regalo” fatto da PD e dal M5S a Fratelli d’Italia. Il secondo, ancora più clamoroso, è stata la decisione di non allearsi in vista delle elezioni, nonostante la legge elettorale premiasse le coalizioni ed avesse una componente maggioritaria. Se si controlla tutto lo spettro del Parlamento, è facile indirizzare la palla nella direzione voluta.
- Demonizza/Pubblicizza l’avversario. Il fenomeno “Giorgia Meloni” è stato interamente creato, alimentato e irrobustito dal Gruppo l’Espresso e dai poteri anglofili che stanno dietro alle testate La Repubblica/Huffington Post. Per cinque anni, le testate di sinistra hanno garantito una copertura mediatica costante a Fratelli d’Italia, pubblicizzandola in ogni maniera. Spesso i giudizi erano “negativi”, talvolta pure “positivi”: in ogni caso, ne hanno parlato per cinque anni, portandola all’attenzione dell’elettorato. È la stessa tecnica con cui i media di sinistra americani stanno “tenendo in vita” Donald Trump in vista delle prossime elezioni.
- Abbassa i toni. Molto difficilmente Fratelli d’Italia avrebbe vinto le elezioni ripetendo, come faceva nel 2014, che l’Italia deve abbandonare l’euro. I mercati finanziari avrebbero accompagnato la campagna elettorale con assalti speculativi che avrebbero dissuaso l’elettorato, già stressato da mille crisi (epidemia, guerra, energia, inflazione), dal fare l’ennesimo salto nel buio. Molto probabilmente, però, le pulsioni “anti-sistema” di Fratelli d’Italia esploderanno a breve, stupendo molti.
Veniamo quindi al punto decisivo: perché gli anglosassoni hanno sapientemente lavorato perché le elezioni del 2022, indette dopo le dimissioni “spontanee” di Mario Draghi, fossero vinte da Fratelli d’Italia? Innanzitutto, così facendo, si assicurano una perfetta continuità nella politica estera del Paese: dovrebbe infatti apparire strano a molti, ma le posizioni più simili a quelle di Mario Draghi verso Russia, Iran e Cina, si trovano proprio nell’unico partito che era all’opposizione del suo governo!
Questo, tuttavia, è ancora un elemento secondario. Il punto decisivo, come già scrivemmo nella nostra analisi che seguì le dimissioni dei Mario Draghi, è la volontà degli anglosassoni di servirsi dell’Italia e del suo enorme debito pubblico per innescare l’ennesima crisi in Europa, già provata da guerra, carenza di gas, venti di recessione, prezzi alle stelle e stretta monetaria delle banche centrali. A luglio era difficile capire quale fosse il copione che avevano in mente gli angloamericani per l’Italia. Molto si è capito nel corso di settembre, dopo l’insediamento a Downing Street della nuova premier conservatrice Liz Truss. La neo-premier si è lanciata in una serie di duri attacchi contro l’indipendenza della Bank of England e, contemporaneamente, ha varato un maxi-taglio delle tasse da 45 miliardi, provocando il crollo della sterlina (ai minimi storici nei confronti del dollaro) e alimentando diversi dubbi sulla sostenibilità delle finanze pubbliche britanniche: la strategia della Truss mira, chiaramente, a costringere la Bank of England a monetizzare il debito pubblico britannico, alimentando l’inflazione che già viaggia verso il 20% in Gran Bretagna. Il primo viaggio all’estero della neo-premier Giorgia Meloni dovrebbe essere proprio a Londra e tutto lascia supporre che là riceverà istruzioni su come “replicare” le ricette britanniche in Italia. Il seguito è facilmente prevedibile: attacco alla BCE, taglio delle tasse, tracollo dei Btp, nuova eurocrisi, default del debito pubblico italiano.
Con uno spregiudicato, ma piuttosto bambinesco, machiavellismo, il Gruppo l’Espresso ed i poteri anglosassoni si servono di Fratelli d’Italia (esplicito riferimento alla libera muratoria) per portare avanti la loro strategia anti-italiana ed anti-europea. Vedremo gli sviluppi.
FONTE: http://federicodezzani.altervista.org/la-fabbrica-delle-vittorie-elettorali/
SCIENZE TECNOLOGIE
IL TERRORE DELLA SCIMMIETTA GORDO
Etica Ippocratica – 7 02 2023
13 Dicembre 1958, la scimmia scoiattolo Gordo, viene lanciata in orbita dalla NASA. Il piccolino alto 30 centimetri e di 1 Kg di peso viene immobilizzato in una capsula, dove ogni movimento è impossibilitato, gli vengono applicati diversi strumenti, quali: termometri, microfoni e sensori: secondo la scienza, la scimmia è adatta a questo esperimento perché molto simile all’essere umano.
Gordo viene posizionato su di un razzo da 50 tonnellate ad oltre 10.000 chilometri l’ora, a un’altitudine di 480 km per circa 15 minuti percorrendo 2400 km.
Al momento del rientro, il razzo, a causa di un guasto, precipita nell’oceano, nonostante tutto Gordo è ancora vivo, ma le ricerche durano pochissime ore, la NASA decide di interromperle poiché in possesso dei dati utili alla ricerca. Gordon muore, da solo, tra terrore ed agonia.
La scienza è anche questo, una pratica che dovrebbe studiare come eliminare la sofferenza, ma che incessantemente la infligge ad esseri innocenti, colpevoli unicamente, secondo alcuni scienziati, di essere simili all’homo sapiens.
Cosa abbia provato Gordo in quei lunghissimi minuti, e nelle ore successive non è dato sapere, perché lo scopo era solamente quello di acquisire dati importanti per apportare beneficio agli esseri umani.
Sono passati 65 anni, gli studi empirici continuano imperterriti e nonostante si parli di evoluzione, milioni di Gordo sono rinchiusi in stabulari senza via di uscita, forse non vengono più lanciati nello spazio, ma le torture alle quali sono sottoposti sono inenarrabili… La scienza, quella vera, è ben altro, in quanto dovrebbe prevalere quel principio fondamentale chiamato Etica… Gli occhi di chi non può né ribellarsi e né liberarsi sono l’emblema della sconfitta umana.-Daniela dal web-
FONTE: https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=pfbid028C4TxuFrqGxikcRkyLUs8J9hYcWbdwSHUaCdDfZDivNG3x11snkXQXuSHprgQosjl&id=100063521077737
STORIA
Bennett: quando Usa e GB hanno fatto saltare l’accordo Mosca-Kiev
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Nei primi giorni di guerra, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno “bloccato” la mediazione tra Russia e Ucraina ad opera di Naftali Bennet che stava portando frutti. A rivelarlo è stato lo stesso ex primo ministro israeliano in un’intervista su YouTube.
Pochi ricorderanno, ma va ricordato per la Storia, che il 4 marzo 2022, agli inizi della guerra, Bennett si era recato in Russia per incontrare Vladimir Putin, visita che aveva lo scopo di trovare una soluzione al conflitto. Un viaggio sollecitato dallo stesso Putin, come rivela nell’intervista.
La mediazione di Bennet
La mediazione aveva trovato terreno favorevole, ricorda Bennet, dal momento che le parti avevano accettato ampi compromessi. Putin aveva accettato di abbandonare l’idea di “denazificare” l’Ucraina, cioè di eliminare la leadership al governo e lo stesso Zelensky, e di disarmare l’esercito di Kiev. E aveva promesso che l’invasione si sarebbe fermata se la controparte avesse rinunciato alla richiesta di aderire alla Nato, richiesta che, come ricorda Bennet, ha innescato l’invasione.
Bennet ricorda come Zelensky avesse accolto la mano tesa di Putin, accettando di ritirare tale richiesta. Non solo, l’ex premier israeliano spiega che aveva trovato un modo di risolvere anche il problema delle garanzie che tanto preoccupavano Kiev, che aveva timore di un accordo che non le garantisse di evitare un’invasione futura.
Zelensky, nello specifico, voleva garanzie americane, ma Bennet gli aveva replicato: “Cerchi garanzie dall’America dopo che si è ritirata dall’Afghanistan?”. E così gli aveva proposto quello che ha definito il modello israeliano: Israele, aveva spiegato, sa che non riceverebbe alcun aiuto in caso di invasione, così ha creato un esercito in grado di dissuadere i nemici. Un’ipotesi che l’Ucraina aveva recepito.
Certo, nel riarmo c’era il nodo dei missili a lungo raggio, continua Bennet, che la Russia evidentemente temeva. Ma sul punto, l’ex premier israeliano fa un cenno significativo, spiegando di aver detto agli ucraini “non ti servono i missili d’assalto”… insomma, bastava che nel riarmo di Kiev non fossero compresi missili a lunga gittata (per inciso, sono quelli che adesso vuole inviare la Nato).
Per inciso, Bennet spiega che sia Zelensky che Putin erano stati entrambi “pragmatici”, aggiungendo che non c’era nulla di “messianico” nello zar russo (tale messianicità è stata declinata in vari modi dalla narrativa ufficiale; tale narrazione ha reso ancora più arduo adire alle vie diplomatiche, non essendo possibile trattare con un esaltato),
La mediazione israeliana doveva ovviamente essere supportata dall’Occidente, così Bennet ricorda di aver fatto partecipi dei colloqui i leader in questione, alcuni incontrandoli, altri contattandoli. E ricorda come Francia e Germania si fossero mostrati “pragmatici”, mentre la linea di Boris Johnson era più “aggressiva”. Gli Usa, per parte loro, si barcamenavano tra le due posizioni.
Ma alla fine, ricorda Bennet, in Occidente è prevalsa la linea dura. Si decise cioè di “continuare a colpire Putin e non [negoziare]”. Tale decisione, secondo Bennet, è stata “legittima”, ma è ovvio che non poteva dire diversamente, dal momento si tratta di rivelazioni già fin troppo pesanti, che gravano Stati Uniti e Gran Bretagna di tragiche responsabilità. Inutile aggiungere peso a peso.
La parole di Bennet, fonte autorevole e non di parte, chiariscono in via definitiva che la guerra poteva finire subito, con un bilancio di un migliaio di morti, forse meno, e con l’Ucraina in possesso di una parte dei territori oggi occupati dai russi, parte dei quali, se non tutti (e altri ancora) probabilmente rimarranno sotto il controllo di Mosca a titolo definitivo. Milioni di sfollati, centinaia di migliaia di morti, un Paese totalmente devastato… tutto per “punire” Putin… per “indebolire” la Russia.
Ricordiamo come, nonostante il fallimento della mediazione di Bennet, i negoziati tra Russia e Kiev furono comunque portati avanti, nonostante mille difficoltà, arenandosi dopo il fatale viaggio di Boris Johnson a Kiev, quando il premier britannico disse a Zelensky che l’Occidente non avrebbe supportato un’intesa con Mosca. Si tratta cose di cui abbiamo scritto ampiamente sul nostro sito, inutile ripetersi.
Interessante anche l’accenno di Bennet sugli avvenimenti di Bucha, quando spiega che con l’emergere di quella vicenda capì che non c’era più alcuna possibilità per la pace. Anche di questo abbiamo scritto, spiegando come gli asseriti orrori di Bucha furono una messinscena creata ad arte per rendere impossibile il negoziato.
Regime-change alla Difesa ucraina
Intanto da Kiev arriva l’annuncio della destituzione del potente ministro della Difesa. Al suo posto andrà Kyrylo Budanov, che abbiamo citato su Piccolenote perché recentemente aveva rilasciato un’intervista al Wall Street Journal nella quale raccontava l’uccisione a sangue freddo di Denis Keerev da parte della SBU.
Keerev stava partecipando ai negoziati con la Russia al momento del suo omicidio, ufficialmente presentato come non intenzionale (sarebbe stato ucciso perché ha resistito all’arresto) e fu fatto passare per una spia russa. Nell’intervista al WSJ Budanov dice invece che Keerev fu ucciso deliberatamente, aggiungendo che non era affatto una spia, anzi era un patriota. E, per confermare la sua affermazione, Budanov ha ricordato che è stato seppellito con un funerale di Stato.
Il fatto che prima di essere nominato a un incarico tanto delicato Budanov abbia concesso un’intervista al WSJ nella quale ha apertamente criticato la Sicurezza ucraina, risulta di grande interesse.
Di certo, c’è la necessità di rimettere mano ai meccanismi dell’esercito ucraino, che Zelenky sta mandando al macello, come dimostra in maniera plastica l’ordine di tenere a tutti i costi Bakmut nonostante sia ormai indifendibile (tanto che anche gli americani gli avevano chiesto di ritirare le truppe).
Da notare che la notizia arriva dopo la bufera suscitata dal quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung, che riferiva di una proposta di pace pervenuta a Mosca dagli Stati Uniti che ha avuto come focus la visita a Kiev del Capo della Cia William Burns. Gli Usa avrebbero offerto il 20% dell’Ucraina in cambio di un accordo. La notizia è stata smentita da tutte le parti interessate, ma ha un evidente fondo di verità, come dimostra la visita di Burns. Washington e Mosca Hanno iniziato a parlare (1).
Ma è prematuro fare previsioni. In attesa di capire meglio se e come cambierà qualcosa sul piano militare, ci limitiamo a riferire un tweet di M. K. Bhadrakumar (acuto analista di Indian Punchline), che ha destato la nostra curiosità.
“Notizie esplosive da Kiev! Sostituito il ministro della Difesa Reznikov (ex ufficiale dell’aeronautica sovietica); lo sostituisce l’astro nascente Kyrylo Budanov, a capo dell’Intelligence militare (e beniamino degli americani); ciò consente al Pentagono un ruolo pratico nella gestione della guerra. Dove finirà Zelenskyj?”
Vuoi vedere che hanno invitato Zelensky a Sanremo pensando di ospitare una stella senza accorgersi che si tratta di una stella cadente? Nell’incertezza, forse era meglio soprassedere (soprattutto per altre e più importanti ragioni).
D’altronde l’ambito della politica estera italiana (di certo interpellata sull’invito), come anche quella interna, da tempo registra deficit di lucidità. Forse lo hanno capito solo adesso, o forse il ragazzo è in difficoltà, perché il giorno dopo la notizia di cui sopra si è saputo che piuttosto che apparire, come usa fare a mo’ di Madonna, Zelensky invierà un messaggio, in stile Medjugorje.
(1) Sul punto vedi anche l’intervista all’analista Ted Snider su Youtube: “Biden sa tutto, Austin sa tutto, anche Sullivan lo sa. Sanno tutti che è finita, quindi stanno cercando un modo per guardare negli occhi il popolo americano e dire che abbiamo fatto del nostro meglio” per aiutare l’Ucraina, ma non è andata bene. Forse troppo ottimista, Snider, ma valeva la pena riportare le sue affermazioni.
FONTE: https://piccolenote.ilgiornale.it/mondo/bennet-quando-usa-e-gb-hanno-fatto-saltare-laccordo-mosca-kiev
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