RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 14 GIUGNO 2022
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Vai tu alle Nozze di Figaro?
No. Me la cavo con un telegramma
(Anonimo)
In: GINO & MICHELE, Anche le formiche nel loro piccolo …, Baldini & Castoldi, 2003, pag. 165
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SOMMARIO
La Croce Rossa ha prelevato organi di bambini in Ucraina?
IL PENTAGONO AMMETTE 46 BIOLAB IN UCRAINA – UN’ALTRA VITTORIA PER LA VERA INFORMAZIONE
A CHI NON VOTERÀ.
PD DI LIVORNO CONTRARIO AD ASSEGNARE IL NOME DELLA FALLACI AD UNA STRADA
Punture a tradimento durante i Concerti, cresce l’Allarme. Cinquanta Segnalazioni in Francia in due giorni
Come evitare la fila in comune per ottenere i documenti
Sono un Alpino che ha partecipato durante lo scorso fine settimana all’Adunata nazionale di Rimini
Italiani: popolo superficiale, tendenzialmente mafioso, tra i più ignoranti d’Europa
RAGAZZINI ARROGANTI
Le condizioni di vita peggiorano (e il governo fa poco per cambiare)
SOVRACCARICARE E SBILANCIARE LA RUSSIA SECONDO LA RAND CORPORATION
SPEZZARE LA RUSSIA PER SALVARE L’“ORDINE LIBERALE”
È agli Straussiani che la Russia ha dichiarato guerra
L’Arte della Guerra – Rand Corp: come abbattere la Russia
Se non si è più padroni del proprio consenso
Il mondo è in guerra
Filosofia e politica della paura
L’Ucraina mette al bando “Guerra e Pace” dalle scuole. Resterà solo “Guerra”…
Behemoth e Leviathan exsistent. Carl Schmitt e l’arcano
SEGRETI DI MAFIA
Che cosa significa parlare di “economia di guerra”
L’imminente frattura globale causata dallo scontro tra diversi ordini economici
La Trappola della cancellazione dell’Unanimità
LA LEGGE ZAN , PROPRIO QUELLO CHE SERVE AGLI ITALIANI
Il referendum fallisce. Da oggi gli italiani non hanno più il diritto di lamentarsi della mala “giustizia”
Per il Papa l’ira di Putin è stata agevolata dalla Nato
Papa Francesco, Pasquino: “Ha sbagliato a dire che la Nato abbaiava a Putin”
La Russia è una minaccia all’ordine mondiale
PURU PICCA HA STATU
La RAND Corporation e la strategia americana
Non credete a quello che vi diranno: le elezioni francesi sono andate malissimo per Macron
Siamo entrati nella Fase del Crollo della Seconda Repubblica
GENETICAMENTE DELINQUENTI
LETTA, UN SEGRETARIO NATO!
IN EVIDENZA
La Croce Rossa ha prelevato organi di bambini in Ucraina?
Il tema dei conflitti militari e del commercio illegale di organi umani vanno sempre di pari passo. Le azioni militari non riguardano solo la risoluzione di problemi geopolitici e il comune profitto dal traffico di armi, ma anche il commercio illegale di organi umani. Gli acquirenti di organi e i chirurghi di trapianto del mercato nero sono diventati da tempo elementi ordinari del panorama militare proprio come i mercenari, ha scritto New Eastern Outlook alla fine di marzo.
Il 29 maggio 2022, il comitato investigativo russo ha dichiarato che esaminerà le accuse secondo cui la Società della Croce Rossa ucraina è stata coinvolta in attività losche, inclusa la registrazione di bambini con “organi sani” nella città di Mariupol. Ne abbiamo parlato qui
Vladimir Taranenko ha affermato che l’ufficio aveva cartelle cliniche di oltre 1.000 bambini, ma hanno contrassegnato i loro “organi sani” invece di qualsiasi condizione o procedura medica.
Taranenko è il capo dell’organizzazione civica con sede a Donetsk “Peoples Retinue“, un movimento di volontari che afferma che uno dei suoi obiettivi di assistenza è l’applicazione della legge nella Repubblica popolare di Donetsk (“DPR”).
Ha anche affermato che alcuni dei materiali scoperti in ufficio erano istruzioni su “come usare le armi, anche in un formato destinato ai bambini”.
China Rising indaga
Nel loro podcast del 5 giugno, James Bradley e Jeff Brown , conduttori di China Rising Radio Sinoland , hanno discusso la ricerca di Brown sulle ultime accuse di prelievo di organi. “Jeff ha svolto un lavoro profondo e originale e si è preparato per questo per giorni. Ho in mano l’articolo che Jeff mi ha inviato, tradotto dal russo, e il suo nome è “L’ Ucraina è un mercato nero nei trapianti” , ha detto Bradley.
La Russia è stata finalmente in grado di entrare in Mariupol e liberarla e stanno trovando tutti i tipi di prove, “e stiamo parlando di espianto di organi”, ha detto Brown.
L’immagine qui sotto fornisce uno schema della discussione di Bradly e Brown, le cui rivelazioni sono più orribili di quanto l’immagine suggerisca.
Sintesi delle prove iniziali trovate presso la base della Croce Rossa a Mariupol, Donbass, dall’esercito russo,
China Rising Radio Sinoland
Ascolta cosa ha scoperto Jeff Brown nel video qui sotto.
VIDEO QUI: https://youtu.be/Ifs0C7zvBkU
Se il video sopra viene rimosso da YouTube puoi guardarlo su Brighteon QUI
Non siamo riusciti a trovare una copia dell’articolo discusso sopra sul sito Web di China Rising . Tuttavia, siamo riusciti a trovare un articolo pubblicato da Fondsk il cui titolo si traduce in: ‘ Ucraina – mercato nero di trapiantologia ‘ ed è molto probabilmente lo stesso articolo, vedi QUI . Abbiamo tradotto l’articolo di Fondsk dal russo all’inglese utilizzando Yandex e l’abbiamo allegato di seguito.
Storia dell’espianto di organi in Ucraina
Sarebbe necessaria un’indagine approfondita e lunga per verificare o confutare eventi o affermazioni fatte negli ultimi decenni che sono al di là delle nostre capacità. Quindi, per dare un’idea della storia relativa all’espianto di organi in Ucraina, ciò che segue sono semplicemente estratti da due fonti: un articolo pubblicato da Frontier Post e un altro da New Eastern Outlook . Ci sono, tuttavia, numerose risorse disponibili online.
Più di 100.000 persone sono attualmente in lista d’attesa per trapianti di organi negli Stati Uniti, la maggior parte delle quali è in attesa di trapianto di rene, secondo i dati pubblicati sul portale di informazione statistica Statista . Va notato che c’è una carenza di organi donatori non solo negli Stati Uniti ma anche in molti altri paesi e la domanda crea offerta.
Le principali fonti di organi per il commercio illecito sono i paesi del terzo mondo e gli hotspot. Molti ricercatori notano che l’Ucraina è diventata uno dei principali centri di trapianto del mercato nero negli ultimi anni.
Dopo l’inizio dell’operazione speciale russa per smilitarizzare l’Ucraina, l’avanzata delle truppe russe e degli eserciti delle repubbliche del Donbass hanno scoperto fosse comuni, che, presumibilmente, contengono i resti di persone uccise dai membri dei battaglioni nazionali ucraini. Molti di loro probabilmente sono diventati vittime di trapianti al mercato nero.
Negli anni ’90 il medico capo dell’ospedale clinico regionale di Leopoli Bogdan Fedak ha fondato un circolo criminale che vendeva organi di bambini a paesi stranieri, principalmente negli Stati Uniti. Un’indagine ha concluso che circa 130 bambini sono scomparsi a Leopoli.
Nel 2007, l’Ucraina ha assistito a uno scandalo attorno al cittadino israeliano Michael Zis, accusato di praticare un intervento chirurgico di trapianto al mercato nero. Zis è stato arrestato il 13 ottobre 2007 a Donetsk su richiesta delle forze dell’ordine.
Il fiorire del traffico illegale di organi in Ucraina ha cominciato a far discutere già nel 2014, quando, dopo l’inizio della cosiddetta operazione antiterroristica nell’est del Paese, hanno cominciato ad arrivare in massa le notizie di sparizioni . Allo stesso tempo, iniziarono ad apparire informazioni sulle attività degli ospedali mobili nel paese, la cui attività principale era quella di estrarre organi da donatori con il loro successivo invio all’estero. Le loro vittime erano sia civili che miliziani LDNR e soldati delle forze armate ucraine.
Il 29 settembre 2014, la Rappresentante speciale dell’OSCE per la lotta alla tratta di esseri umani Madina Jarbussynova ha affermato che le fosse comuni scoperte nel Donbas contenevano corpi privi di organi interni, che molto probabilmente sono diventati vittime di chirurghi trapiantisti del mercato nero.
Il 30 ottobre 2014 l’ OSCE ha rilasciato una dichiarazione in cui affermava che le osservazioni di Jarbussynova erano state estrapolate dal contesto e che si limitava a citare due rapporti di ONG russe sulla possibile rimozione e vendita di organi umani nell’Ucraina orientale. “L’OSCE non possiede alcuna prova in merito a un possibile prelievo di organi nell’Ucraina orientale”, afferma la dichiarazione.
Nel 2015 è stato pubblicato online un video con un’intervista a un chirurgo trapiantista americano che “lavorava” a Odessa, Donetsk, Slavyansk e Kramatorsk, rivelando dettagli agghiaccianti della rimozione di massa di organi in Ucraina.
Nel 2017, il quotidiano russo Moskovskyi Komsomolets (“MKRU”) ha riferito che l’ex vice della Verkhovna Rada ucraina, Volodymyr Oleinik, prevedeva che un programma pianificato di trapianto di rene da parte dell’Ucraina che avrebbe avuto inizio nel 2018 avrebbe “non solo distrutto la salute pubblica, ma avrebbe trasformato L’Ucraina in un centro trapianti del mercato nero”. Il programma pilota di trapianti doveva iniziare a Nezalezhnaya e avrebbe “trasformato Nezalezhnaya in un centro per il turismo dei trapianti dai paesi ricchi”, ha aggiunto Oleinik.
All’epoca, il vice ministro della Sanità ucraino Oleksander Lynchevskyi lo confutò e disse che tali affermazioni sono parte integrante di una più ampia narrativa russa di disinformazione, secondo cui l’Ucraina sta istituendo un mercato nero per i trapianti di organi.
Di recente, un’intervista video di un ex dipendente della SSU è stata pubblicata su Internet, affermando che essendo nella zona di guerra nel Donbas era assegnato al gruppo medico speciale di Kramatorsk chiamato “Gruppo di pronto soccorso”. Dal 2014 il gruppo è stato impegnato nel prelievo illegale di organi dalle truppe ucraine ferite nelle vicinanze delle regioni di Donetsk e Lugansk.
All’inizio del 2022 il ministro della Difesa tedesco, Christine Lambrecht, ha annunciato che l’Ucraina ha ricevuto un ospedale da campo e un crematorio. Alcuni media hanno collegato un tale “dono” a un’attività illegale lunga e ben oliata di vendita di organi di truppe ucraine all’UE, agli Stati Uniti e ad Israele sotto la protezione della SSU, come indicato da molti tratti.
Recentemente una pubblicazione in lingua tedesca, Neues aus Russland , ha pubblicato un’affascinante storia sui crematori mobili in Ucraina che aiutano a nascondere la grande vendita di organi all’UE.
FONTE: https://www.databaseitalia.it/la-croce-rossa-ha-prelevato-organi-di-bambini-in-ucraina/
IL PENTAGONO AMMETTE 46 BIOLAB IN UCRAINA – UN’ALTRA VITTORIA PER LA VERA INFORMAZIONE
In una dichiarazione rilasciata ieri, il Pentagono ammette che ci sono 46 biolab in Ucraina come parte di un progetto per liberare il mondo dalle “armi di distruzione di massa.” Sono 46 laboratori biologici. 46.
Secondo i fact checkers e i media mainstream anche questa era una fake news e i Biolab un’invenzione proveniente dalla solita “propaganda russa”.
I nostri articoli sui Biolab in Ucraina
- Il Ministero della Difesa russo: “Abbiamo le prove su laboratori di ricerca su armi biologiche” finanziati dagli Stati Uniti in Ucraina. VIDEO
- Gli Stati Uniti hanno finanziato attraverso le fondazioni di George Soros lo sviluppo di armi biologiche in Ucraina, proprio accanto al confine russo
- INCHIESTA | documenti espongono esperimenti biologici statunitensi sui soldati alleati in Ucraina e Georgia
- Biolab, Il governo ucraino a Kiev tentò di infettare i residenti della regione di Luhansk con un ceppo altamente patogeno di tubercolosi
- L’elenco degli americani che coordinano la ricerca sulle armi biologiche presso i Biolabs del Pentagono in Ucraina
- UKRAINE BIOLABS – 4. ARMI BATTERIOLOGICHE, NWO & ANTI-CRISTO. Intervista di Jeff Brown per China Rising a Fabio Carisio direttore di Gospa News
- I LABORATORI SEGRETI DELLA NATO A MARIUPOL
- UCRAINA – USA FINANZIARONO RICERCA SU COVID-19 GIÀ TRE MESI PRIMA CHE SI SAPESSE DELLA SUA ESISTENZA. NUOVI DOCUMENTI ESPLOSIVI LO DIMOSTRANO
- BIO-LABORATORI USA IN UCRAINA. $1,6 Milioni a Kharkov per Studiare Coronavirus dei Pipistrelli prima del SARS-2
- IL DEEP STATE AMERICANO HA STUDIATO E USATO UCCELLI MIGRATORI E PIPISTRELLI PER GUERRA BIOLOGICA | LA TESTIMONIANZA ALLE NAZIONI UNITE
FONTE: https://www.databaseitalia.it/il-pentagono-ammette-46-biolab-in-ucraina-unaltra-vittoria-per-la-vera-informazione/
A CHI NON VOTERÀ.
Francesco Berardino 10 06 2022
SE LE COSE ANDRANNO MEGLIO, NON AVRETE IL DIRITTO DI VANTARVI, SAREBBE COME SE UN DISERTORE SI VANTASSE DI AVER VINTO LA GUERRA.
SE LE COSE ANDRANNO PEGGIO, NON AVRETE IL DIRITTO DI LAMENTARVI, SAREBBE COME LAMENTARSI DI NON AVER VINTO LA LOTTERIA NON AVENDO COMPRATO IL BIGLIETTO.
IL VOSTRO PESO CIVICO È ZERO.
ONORE A TUTTI I DISABILI, ANCHE GRAVI, CHE SI RECHERANNO ALLE URNE NONOSTANTE LE SOFFERENZE.
FONTE: https://www.facebook.com/franvcesco.franco/posts/2169342039907389
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
PD DI LIVORNO CONTRARIO AD ASSEGNARE IL NOME DELLA FALLACI AD UNA STRADA
Il divieto è stato riportato da canali informativi piccoli. Lampante l’assenza totale delle maggiori testate e delle solite reti tv.
Chissà perché …?
https://iltirreno.gelocal.it/livorno/cronaca/2022/06/08/news/livorno-non-avra-una-strada-intitolata-a-oriana-fallaci-nervi-tesi-in-consiglio-comunale-prima-della-votazione-1.41497326
https://corrieredellumbria.corr.it/news/diario-dal-palazzo/31942959/cancel-culture-livorno-no-strada-oriana-fallaci-diario-dal-palazzo-storace.html
https://www.imolaoggi.it/2022/06/03/livorno-intitolare-una-via-a-oriana-fallaci-contrario-il-sindaco-pd/
https://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/22_giugno_08/livorno-boccia-l-intitolazione-via-oriana-fallaci-accesa-discussione-consiglio-aec47c60-e739-11ec-b9f4-006aadb1bf7f.shtml
Punture a tradimento durante i Concerti, cresce l’Allarme. Cinquanta Segnalazioni in Francia in due giorni
Un pizzicore, quindi nausea e sensazione di malessere. Tra emulazione e il rischio di psicosi collettiva, aumentano le denunce sul fenomeno. Cinquanta le segnalazioni a Nimes solo nell’ultimo week end. Preoccupa il fenomeno in diversi Paesi.
Una puntura, un pizzico appena, il dubbio che sia avvenuto. Quindi una sensazione strana di malessere, nausea e capogiro. Si chiama Needle Spiking, “avvelenamento da ago” e si tratta di un fenomeno che in Francia, e non solo, sta creando terrore da settimane.
Le ultime denunce arrivano da Nimes, dove una cinquantina di persone hanno dichiarato di aver subito le Piqûres sauvages, “punture selvagge”, stando a quanto riferito dal Midi Libre. Le vittime si sono presentate ai presidi della Croce Rossa che si occupavano della sicurezza sanitaria dell’evento festivo. In totale, tra giovedì 2 giugno e lunedì 6 giugno, 51 persone sono state vittime di questo preoccupante fenomeno.
Ma quello che per diverso tempo è stato bollato come una psicosi collettiva, nata da quella che sembrava una leggenda metropolitana, sembra che abbia invece un nome e un cognome, almeno a Tolone. Un uomo è stato infatti messo sotto inchiesta nella città francese, dopo che alcuni spettatori della registrazione di un programma di TF1 hanno denunciato di aver subito delle misteriose punture. I fatti sarebbero avvenuti su una spiaggia dove è stato registrato il programma della nota emittente radiotelevisiva.
Il sospetto ha circa venti anni e abita a Lione. Il procuratore di Tolone ne ha già disposto il fermo. Una ventina di spettatori che assistevano alla registrazione de “La canzone dell’anno” sulla spiaggia di Mourillon a Tolone, hanno riferito alla polizia di essere stati punti durante il concerto. E almeno due donne, stando a quanto riportato, hanno raccontato alle forze dell’ordine di aver visto l’individuo girare con una siringa in mano.
Il caso ha rinviato alle misteriose denunce analoghe che da qualche tempo si registrano in diversi paesi d’Europa da parte di frequentatori di discoteche che hanno affermato di aver subito le misteriose punture. Dopo essere state raggiunte dagli aghi, le persone coinvolte hanno parlato di sintomi come capogiri o nausea, uno stato confusionale senza gravità.
Emulazione? Molto probabile… A Belfort sei persone hanno denunciato lo scorso week end di essere stati punte durante un concerto e, analogamente, altre 4 al festival Pentecostavic a Vic-Fezensac.
Il pubblico ministero di Auch, Jacques- Edouard Andrault, interpellato dalla Afp ha detto che, con o senza malesseri, nelle vittime sono sempre stati evidenziati i fori delle punture. Altre segnalazioni di queste piqures sauvages sono state raccolte anche in Gran Bretagna e Svizzera.
Fonte originale: https://www.valeursactuelles.com/regions/occitanie/gard/nimes/societe/une-cinquantaine-de-personnes-victimes-de-piqures-sauvages-lors-de-la-feria-de-nimes
FONTE: https://www.lapekoranera.it/2022/06/08/punture-a-tradimento-durante-i-concerti-cresce-lallarme-cinquanta-segnalazioni-in-francia-in-due-giorni/
Come evitare la fila in comune per ottenere i documenti
Quante volte vi sarà capitato di fare la fila in comune per ottenere documenti e certificati?
Talvolta, le trafile burocratiche risultano essere un vero e proprio disagio, perché ci fanno perdere tempo inutilmente. O ancora peggio, ci si ritrova ad interfacciarsi con uno staff poco competente nel settore e che non è in grado di fornirci le giuste informazioni.
Per ottimizzare i tempi, c’è chi sceglie in maniera accurata gli orari in cui recarsi presso gli sportelli fisici (ad esempio di mattina presto o nel primo pomeriggio), evitando i primi del mese e i lunedì. Ma c’è anche chi, astutamente, Scarica i Certificati Comunali in via telematica.
Ebbene sì. Molti non sanno che è possibile evitare la fila al comune, optando per una burocrazia semplificata ma allo stesso tempo professionale e veloce. Ci sono infatti vari siti in cui chiedere documenti in maniera facilissima, attraverso pochi click e stando comodamente da casa propria.
Come vi abbiamo detto poco fa, esistono delle soluzioni per ottenere i documenti senza recarsi fisicamente al Comune.
A tal proposito, è sufficiente collegarsi su uno dei portali che offrono questa tipologia di servizi, come ad esempio Tutto Visure, il leader nel settore anche per quanto riguarda i report aziendali, le visure PRA, le visure catastali e tanto altro ancora.
Per scaricare i certificati comunali in maniera semplice e veloce, dovrete selezionare il tipo di foglio che vi interessa ed inserire una serie di dati anagrafici, tipo: il nome, il cognome, la data di nascita, l’indirizzo e la provincia di appartenenza.
Nel giro di qualche giorno, potrete ricevere tutta la documentazione di cui avete bisogno, tramite e-mail, come allegato nella vostra casella postale. Le tempistiche, ovviamente, possono variare a seconda del servizio richiesto.
Documenti del comune online
A questo punto ci si chiede: quali sono i documenti del comune online di facile reperibilità?
Ecco alcuni esempi:
Anagrafe. Attraverso l’anagrafe online avrete modo di chiedere il Certificato Comunale o Anagrafico di cui necessitate e riceverlo tranquillamente via email.
Stato di Famiglia. Grazie al certificato di stato di famiglia potrete ottenere tutti quei dati delle persone appartenenti ad un nucleo familiare (anche storico, in relazione ad uno specifico periodo).
Estratto di Nascita. Tramite l’estratto e la copia dell’atto di nascita, avrete modo di visionare i dati riguardanti la nascita di un individuo, esattamente come risultano registrati presso l’ufficio dello stato civile.
Estratto di Morte. Anche l’estratto di morte si può scaricare online, contenente tutti i dati inerenti al decesso della persona, prelevati per l’appunto dell’archivio anagrafico del comune.
Certificato Estratto di Matrimonio. Attraverso il certificato ed estratto di matrimonio, sarà possibile visionare tutti quei dati relativi al giorno del rito, riportati nell’ufficio dello stato civile.
Residenza. Tra i documenti del comune online, c’è anche il certificato di residenza, ovvero quel foglio che ogni cittadino può chiedere con lo scopo di reperire le informazioni anagrafiche sulla residenza di un soggetto.
Stato Libero. Grazie al certificato di stato libero si ottiene una carta che attesta se una persona è celibe oppure nubile.
Cittadinanza. Scaricando questo certificato, si potrà evincere il possesso della cittadinanza italiana.
Certificato di Esistenza in Vita. Tramite il Certificato di esistenza in vita si ha conferma sul fatto che una persona sia viva fino al momento della richiesta del documento stesso.
Certificato Storico Anagrafico. Esistono due tipi di certificati storici anagrafici, ovvero quello di famiglia e di residenza. Nel primo caso, si va a visionare com’è composto un nucleo familiare in riferimento ad una data ben precisa. Invece, con il secondo si può constatare la residenza di una persona in uno specifico lasso di tempo.
FONTE: https://scenarieconomici.it/come-evitare-la-fila-in-comune-per-ottenere-i-documenti/
BELPAESE DA SALVARE
Sono un Alpino che ha partecipato durante lo scorso fine settimana all’Adunata nazionale di Rimini
e voglio scrivere il mio commento su quanto è accaduto in quei giorni.
No, non mi riferisco alla pacifica invasione di qualche centinaio di migliaia di Alpini venuti a Rimini anche con le loro famiglie per rincontrare i commilitoni di un tempo e fare festa con loro, agli Alpini in armi che hanno partecipato alle varie manifestazioni per dimostrare la continuità ideale dello spirito alpino , alle 18 bandiere di guerra che hanno sfilato per le vie della città, salutate con rispetto e commozione dagli Alpini che assiepavano le strade, ai 90000 Alpini che hanno sfilato per 11 ore ordinati e orgogliosi per testimoniare la loro unione e la partecipazione ideale ai valori dell’alpinità, al maestro Mogol che ci ha onorato dirigendo 33 fanfare che hanno suonato l’inno degli Alpini, alla magnifica accoglienza che la città di Rimini ci ha riservato con il Sindaco in testa.
Mi riferisco ad alcuni comportamenti sciagurati e intollerabili che sono stati segnalati da alcune donne e tenuti da una ridottissima minoranza di individui che non voglio chiamare Alpini perché è ancora da appurare la loro identità e la loro appartenenza alla nostra Associazione.
A partire da ciò è stata scatenata da alcuni personaggi politici e da alcuni giornali una vergognosa generalizzazione che ci ha coinvolti tutti e ha tentato di cancellare la nostra più che centenaria storia .
di fronte a questo attacco perfettamente orchestrato non posso fare altro che confessare le mie colpe, come si usava fare ai tempi della Santa inquisizione, o delle Guardie Rosse di Mao e come si è obbligati oggi a fare davanti al tribunale del politicamente corretto, che, badate bene, non condanna in base alle leggi vigenti , ma in base al volere dei social.
Sì, lo confesso, ho cantato una volta in coro “L’oselin della comare”, e al momento di lasciare l’hotel ho dato due baci (ricambiati) sulla guancia alla proprietaria, cose che di solito non faccio normalmente.
In attesa della giusta punizione voglio aggiungere una aggravante generica, presa da una dichiarazione del compianto Camilleri che disse una volta: “Non si può essere contemporanei tutta la vita”.
E forse è questa la colpa più grave degli Alpini, che non può venire perdonata dal mainstream progressista e che fa montare ogni giorno la campagna denigratoria generalizzata contro di noi.
Gli Alpini non sono contemporanei perché i loro valori sono l’amor di Patria, lo spirito di sacrificio, il senso del dovere, la solidarietà,, l’aiuto disinteressato verso chi ha bisogno, il senso religioso e il legame verso la comunità.
Valori che si concretizzano in squadre di Protezione Civile altamente attrezzate e organizzate, in un ospedale da campo presente in ogni calamità, in milioni di ore di lavoro volontario prestate dagli Alpini per ogni esigenza della comunità, come da ultimo per l’assistenza nei centri di vaccinazione Covid e nei vari interventi per il sostegno della popolazione.
Valori che stridono con l’individualismo sfrenato dei nostri giorni, con il nichilismo che nega ogni trascendenza, con ogni desiderio che viene trasformato in diritto inalienabile, svincolato da ogni dovere, con la società globalizzata senza frontiere che nega ogni comunità.
E, ultimo oltraggio al mainstream, siamo anche favorevoli alla reintroduzione della leva!
Capite ora perché siamo tanto pericolosi!
Carlo Filippini 12 05 2022
FONTE: https://www.facebook.com/groups/209056506174846/permalink/1430554717358346/
Italiani: popolo superficiale, tendenzialmente mafioso, tra i più ignoranti d’Europa
E così, spiace dirlo, siamo un popolo, o meglio una popolazione, superficiale, profondamente ignorante e tendenzialmente mafiosa.
Pare che il fiorentino Francesco Guicciardini, ambasciatore presso la corte di Spagna, diplomatico e condottiero al servizio del Papato, infine grande storico, abbia detto: «O Franza o Spagna, purché se magna», facendo intendere l’opportunismo innato del popolo italico. Non si ha certezza che la storica frase sia stata coniata da Guicciardini. Tuttavia questa affermazione ha sempre contraddistinto gli italiani nei secoli, attraverso tutte le invasioni straniere.
Ma tornando ai tempi nostri, il quotidiano Il Mattino, nel luglio del 2020 (circa un anno fa) scriveva che «dopo i dati sul coronavirus e l’aumento delle disuguaglianze, un’altra ricerca mette in cattiva luce il sistema istruzione del Belpaese. L’Italia presenta livelli di scolarizzazione tra i più bassi dell’Unione europea, purtroppo anche con riferimento alle classi d’età più giovani nonostante negli anni la diffusione dell’istruzione sia considerevolmente cresciuta. Lo rileva il Rapporto annuale Istat».
Carlo Cottarelli, in una intervista pubblicata il 30 novembre 2020 da Repubblica, faceva sapere che «Siamo uno dei Paesi in Europa che legge meno. Non è un buon segnale, bisogna cercare di cambiare». Il dato circa la scarsa dimestichezza degli italiani con la lettura emerge da un report stilato da Eurostat (l’ufficio statistico dell’Unione europea) in occasione della Giornata mondiale del libro patrocinata dall’Unesco nel 2018. Dal rapporto emerge che gli italiani leggono in media per 5 minuti al giorno: in questa statistica – che prende in esame 14 Paesi dell’Ue più Norvegia, Turchia, Regno Unito e Serbia – facciamo meglio solo di Austria, Romania e Francia. Inoltre, il nostro Paese ha la percentuale di lettori abituali, ovvero di persone che citano la lettura tra le loro principali attività giornaliere, pari all’8,5 per cento (sest’ultimi, davanti a Serbia, Belgio, Austria, Romania e Francia). Quelli pubblicati da Eurostat sono gli ultimi dati ufficiali disponibili sul tema e sono frutto di rilevazioni avvenute tra il 2008 e il 2015.
Riguardo alla mentalità mafiosa e incline alla corruzione cosa si può aggiungere nei confronti della Nazione patria di Cosa nostra, ‘ndrangheta, Camorra e Sacra corona unita. Solo l’altro giorno abbiamo fatto presente su La Pekora Nera: «Elezioni amministrative, 18 candidati “impresentabili”: ecco chi sono».
«Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio» questa frase, oggi è più che mai attualissima, la pronunciò Winston Churchill.
di Antonio Ferrero
FONTE: https://www.lapekoranera.it/2022/06/13/italiani-popolo-superficiale-tendenzialmente-mafioso-e-tra-i-piu-ignoranti-deuropa/
RAGAZZINI ARROGANTI
Sandra Figliuolo 22 05 2022
Sono cinque piscialetto, non hanno né mascherina né biglietto eppure salgono senza problemi sull’806 e impongono immediatamente il loro potere con una cassa di una trentina di centimetri, che trasmette a tutto volume musica di merda.
Non hanno i soldi per il biglietto (1 euro e 40), ma per telefonini e cassa sì. Non sono neppure le 8, è domenica e sull’autobus ci sono anche turisti sbalorditi dal comportamento della fauna indigena. Nessuno dice nulla: né l’autista, né i passeggeri. Nessuno ha le palle di dire a cinque mentecatti che non possono fare quel bordello, che il mezzo è pubblico e quindi di tutti, non solo loro, che c’è l’obbligo di indossare la mascherina e magari anche di fare il biglietto.
Su una corsa successiva altri piscialetto hanno invece deciso – nell’indifferenza totale – di portarsi a casa i martelletti frangivetro. Anche loro senza mascherina e senza biglietto. E ieri, mi racconta un autista, è stato spaccato un vetro del bus perché, essendo stracolmo, chi guidava ha deciso di non far salire altre persone.
La cosa che fa rabbrividire è che nessuno dice nulla perché ha paura. Paura dei piscialetto. Gli autisti sanno che poi la sera c’è il rischio di essere rintracciati non da loro ma dai loro parenti dal fare mafioso, i passeggeri – di fronte ai timori di chi rappresenta l’autorità in quel momento – preferiscono stare zitti. E se uno parla, come me, viene subito isolato e insultato. Un tizio, al posto di dire ai babbei di spegnere la musica, ha chiesto loro dove avessero comprato la cassa, complimentandosi pure.
Ma l’importante è sfilare per il trentennale della strage di Capaci, parlare di legalità in astratto e sentirsi tranquilli con la propria coscienza. Intanto la città è anche questo: un posto in cui basta alzare il volume della musica per prevaricare e sottomettere decine di persone mute. Se sia più spregevole chi alza il volume o chi sta zitto lo lascio decidere a voi.
Le importanti personalità che domani verranno in massa a riempirci di chiacchiere e retorica, prendessero un autobus prima: magari aggiustano il tiro prima di sparare troppe cazzate.
FONTE: https://www.facebook.com/1432247591/posts/10229184132734546/
Le condizioni di vita peggiorano (e il governo fa poco per cambiare)
Il Documento economico finanziario del governo Draghi non fa nulla per correggere un modello di sviluppo sbagliato, mentre il rapporto Benessere equo e sostenibile dimostra che le condizioni di vita peggiorano ancora
Giuseppe De MarzoCoordinatore nazionale Rete dei numeri pari
2 maggio 2022
Davvero modesto e inadeguato il Documento economico e finanziario (Def), cioè il documento che indica la strategia economica e di finanza pubblica nel medio termine, presentato a inizio aprile dal governo Draghi. È un bilancio che non interviene per curare e correggere ma per garantire il modello di sviluppo che ha provocato la crisi. Mentre la follia della guerra e la campagna politica di arruolamento permanente cancellano dall’agenda e dal dibattito i problemi e le priorità del paese: disuguaglianze, lavoro povero e precario, collasso climatico, bonifiche ambientali, investimenti nella ricerca, nella sanità pubblica, nella medicina territoriale, nella prevenzione e nella cultura, disagio abitativo, corruzione e zona grigia, welfare sostitutivo mafioso, messa in sicurezza del territorio e degli edifici pubblici, a partire dalle scuole, ecc… Il Def rinuncia a programmare la domanda di beni e servizi, così come gli investimenti necessari per realizzare le priorità indicate su equità sociale e sostenibilità ambientale dal Next generation Eu. Conferma invece la fede unica nel liberismo economico, rinunciando a qualsiasi intervento per orientare o modificare il mercato in funzione della priorità dei diritti imposta dalla Costituzione.
Più spese militari, meno diritti sociali e giustizia ecologica
Il Bes lo dimostra: si vive peggio
L’analisi degli indicatori soggettivi mostra come nel 2021 le famiglie che dichiarano un peggioramento della propria situazione economica rispetto all’anno precedente aumentano per il secondo anno di seguito
Le basi tracciate per lo sviluppo economico sono le stesse che hanno prodotto la crisi, l’aumento delle disuguaglianze, il collasso climatico e la diffusione dei nuovi virus. Rispetto ai roboanti annunci con cui è stato accolto il governo dei migliori la realtà dei fatti ci dice che le cose in Italia continuano a peggiorare. Il Def non ha il coraggio di intervenire nemmeno sugli osceni extraprofitti realizzati dalle grandi società energetiche. Nessuno spazio per la programmazione, né per la politica economica. Poco importa che la maggioranza degli italiani stia pagando il prezzo della guerra. Non vi è traccia nel Def di interventi che diano risposte strutturali all’impoverimento continuo della maggioranza dei cittadini, ampiamente denunciato dai rapporti Istat degli ultimi anni. Il benessere dei cittadini e il rispetto dei principi costituzionali dovrebbero essere gli obiettivi finali delle politiche. Da tempo purtroppo non è più così.
La carica delle lobby italiane
Lo vediamo anche dall’ultimo rapporto Benessere equo e sostenibile (Bes) presentato dall’Istat, che con i suoi 153 indicatori sulla qualità della nostra vita conferma la tendenza al continuo peggioramento delle condizioni materiali ed esistenziali della maggioranza della popolazione. L’incidenza della povertà assoluta ha raggiunto infatti il livello più elevato dal 2005 (anno di inizio della serie): oltre un milione 950mila famiglie (7,5%) e più di 5 milioni 500 mila individui. I minori in povertà assoluta nel 2021 sono 1 milione e 384mila. L’analisi degli indicatori soggettivi mostra come nel 2021 le famiglie che dichiarano un peggioramento della propria situazione economica rispetto all’anno precedente aumentano per il secondo anno di seguito. D’altro canto, non vi è nessuna reale ripresa dell’occupazione. Nel 2021 la crescita dei posti di lavoro ha riguardato esclusivamente dipendenti a termine e collaboratori, soprattutto di breve durata. Aumenta invece il lavoro povero, precario ed insicuro. Così come la percentuale di persone che vivono in grave deprivazione abitativa, cioè in abitazioni sovraffollate o in alloggi privi di alcuni servizi e con problemi strutturali (soffitti, infissi, ecc.). L’Italia scende al quinto posto della graduatoria dei Paesi dell’Unione per la peggiore condizione abitativa, superata solo da Ungheria (7,6%), Bulgaria (8,6%), Lettonia (11,5%) e Romania (14,3%). Un altro dato terribile è quello della crescita della percentuale di persone che hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie ritenute necessarie per problemi economici o difficoltà di accesso al servizio: salita all’11 per cento nel 2021.
Roma. Casa popolare, un lusso per pochi
La popolazione femminile è quella più colpita dal peggioramento delle condizioni generali, in particolar modo nei livelli di benessere mentale e di occupazione, soprattutto per le madri con figli piccoli. Ma anche i bambini, gli adolescenti e i giovanissimi pagano un prezzo enorme alla pandemia e alle restrizioni imposte dalle misure di contrasto. Le condizioni di benessere psicologico dei ragazzi di 14-19 anni sono peggiorate. Se gli adolescenti insoddisfatti e con un basso punteggio di salute mentale erano nel 2019 il 3,2% del totale, nel 2021 la percentuale è raddoppiata (6,2%). Parliamo di circa 220 mila ragazzi tra i 14 e i 19 anni che si dichiarano insoddisfatti della propria vita e si trovano, allo stesso tempo, in una condizione di scarso benessere psicologico. Che non sia un paese per giovani e che la politica abbia girato loro le spalle lo vediamo anche dal tasso di occupazione, già tra i più bassi di tutti i paesi europei tra i 25-34 anni, con una distanza particolarmente ampia per le ragazze, addirittura peggiorato con la pandemia.
Giovani in fuga
Ai giovani più istruiti e qualificati, l’Italia non offre opportunità adeguate. Le emigrazioni all’estero dei giovani laureati italiani si sono infatti intensificate rispetto al 2019. Il bilancio delle migrazioni dei cittadini italiani tra i 25-39 anni con un titolo di studio di livello universitario si chiude con un saldo dei trasferimenti di residenza da e per l’estero di -14.528 unità. Il Mezzogiorno soltanto nel corso del 2020 ha perso 21.782 giovani laureati. L’Italia è al primo posto per presenza di Neet (da “Not in Employment, Education or Training“, cioè giovani che non si formano, né lavorano) in Europa. Il 23,1 per cento dei giovani tra 15 e 29 anni non sono più inseriti in un percorso scolastico o formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa. Le differenze regionali rimangono elevate, mostrando una questione meridionale sempre più grave che certifica l’assenza di visione e di programmazione del governo e della maggioranza politica che lo sostiene. Le regioni con la quota più elevata di Neet sono la Puglia (30,6%), la Calabria (33,5%), la Campania (34,1%) e la Sicilia (36,3%).
Gli effetti si vedono anche sull’istruzione. La quota di coloro che hanno abbandonato precocemente gli studi è ovviamente più elevata nel Mezzogiorno: sono il 19,5 per cento nelle Isole e il 15,3 per cento nel Sud. In alcune regioni del Mezzogiorno i valori dell’indicatore evidenziano situazioni di forte criticità con più del 50 per cento dei ragazzi insufficienti nelle competenze alfabetiche (in Campania 54,1%; Calabria 59,2%; Sicilia 52,8% e Sardegna 56,9%) e più del 60% delle ragazze insufficienti nelle competenze numeriche (in Campania 64,3%; Calabria 68% e Sicilia 63,3%).
Un ritorno al liberismo
Nonostante peggiorino da quindici anni le condizioni di vita della stragrande maggioranza del paese, l’incessante richiesta di ritorno alla “normalità” (leggasi liberismo economico) e la brutale semplificazione dettata dall’agenda della guerra stanno nascondendo le priorità del paese, contribuendo a determinare una condizione senza ritorno non solo per la maggioranza della popolazione impoverita ma per la democrazia. Per migliorare le nostre vite e rispondere alla crisi di sistema e all’assenza di visione in cui siamo immersi, abbiamo bisogno di una inversione completa di rotta, di un metodo inclusivo e partecipativo come indicato dalla sentenza 131 del 2020 della Corte costituzionale (sulla sussidiarietà degli enti del Terzo settore, leggi qui) e di un radicale ripensamento del modello di sviluppo.
FONTE: https://lavialibera.it/it-schede-936-def_draghi_bes_disuguaglianze
CONFLITTI GEOPOLITICI
SOVRACCARICARE E SBILANCIARE LA RUSSIA SECONDO LA RAND CORPORATION
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La provocazione di una guerra sul territorio dell’Ucraina è stata pianificata a lungo dagli Stati Uniti, e questo sembra loro il passo giusto verso la distruzione della Russia.
Nel 2019, il think tank statunitense RAND Corporation ha pubblicato un rapporto sul programma di indebolimento e demoralizzazione della Russia chiamato “Overextending and Unbalancing Russia”. Le informazioni sono disponibili gratuitamente sul sito web di RAND.
Il rapporto contiene molte cose interessanti riguardanti l’indebolimento dell’economia russa, il pompaggio ideologico della popolazione con valori liberali e così via. Ma nella situazione attuale ci interessano i punti relativi alla pressione politica e militare sul nostro Paese. Eccone un elenco:
Fornire aiuti letali all’Ucraina sfrutterebbe il punto di maggiore vulnerabilità esterna della Russia. Ma qualsiasi aumento delle armi militari statunitensi e dei consigli all’Ucraina dovrebbe essere attentamente calibrato per aumentare i costi per la Russia al fine di sostenere il suo attuale impegno senza provocare un conflitto molto più ampio in cui la Russia, a causa della vicinanza, avrebbe vantaggi significativi.
Un crescente sostegno ai ribelli siriani potrebbe mettere a repentaglio altre priorità politiche statunitensi, come la lotta al terrorismo islamico radicale, e potrebbe rischiare di destabilizzare ulteriormente l’intera regione. Inoltre, questa opzione potrebbe non essere nemmeno praticabile, data la radicalizzazione, la frammentazione e il declino dell’opposizione siriana.
La promozione della liberalizzazione in Bielorussia probabilmente non avrebbe successo e potrebbe provocare una forte risposta russa, che si tradurrebbe in un generale deterioramento dell’ambiente di sicurezza in Europa e una battuta d’arresto per la politica statunitense.
L’espansione dei legami nel Caucaso meridionale, in concorrenza economica con la Russia, sarebbe difficile a causa della geografia e della storia.
Ridurre l’influenza russa in Asia centrale sarebbe molto difficile e potrebbe rivelarsi costoso. È improbabile che un maggiore sforzo sovraccarichi la Russia economicamente e probabilmente avrà costi sproporzionati per gli Stati Uniti.
Sovvertire la Transnistria ed espellere le truppe russe dalla regione sarebbe un duro colpo per il prestigio russo, ma farebbe anche risparmiare denaro a Mosca e molto probabilmente imporrebbe costi aggiuntivi agli Stati Uniti e ai suoi alleati.
Come si può vedere dall’elenco, la destabilizzazione dell’Ucraina e l’assistenza armata ai nazionalisti ucraini è un compito prioritario per indebolire l’influenza della politica estera russa sui paesi limitrofi, poiché il resto delle azioni prese in considerazione dal Pentagono richiede un dispiegamento completamente diverso di forze intorno alla Russia.
La destabilizzazione delle relazioni tra Russia e Ucraina è il primo ampio passo verso la distruzione della statualità russa, così come l’accerchiamento dell’intero confine russo da parte di conflitti militari nei territori circostanti. La cosa principale è provocare uno scontro, accendere il fuoco della guerra, spremere la Russia con un infuocato anello di caos.
Gli Stati Uniti mirano a fare dell’intero territorio confinante con la Russia sul lato europeo un trampolino di lancio per disenergizzare il potenziale militare russo. Il rapporto prosegue affermando che bombardieri, caccia, armi nucleari e installazioni antimissilistiche devono essere ricollocati a breve distanza dalle principali installazioni strategiche russe. L’espansione della NATO ridurrà i rischi e i costi per gli Stati Uniti attirando altri paesi nell’economia dell’alleanza e renderà le difese russe più vulnerabili.
I punti strategici di questo piano hanno già iniziato ad avere attuazione da parte degli Stati Uniti nel 2021. Esperti del centro analitico hanno sottolineato che per espandere l’influenza della NATO, è necessario condurre esercitazioni dell’esercito dell’Alleanza Nord Atlantico in territori cuscinetto che non fanno parte della NATO. Il governo di Kiev e la leadership dell’alleanza hanno organizzato esercitazioni militari sul territorio dell’Ucraina per mostrare il loro “approccio provocatorio nei confronti della Russia”.
Gli Stati Uniti volevano davvero provocare la Russia fino al momento in cui le forze della NATO raggiungessero i confini della Russia o, peggio ancora, circondassero le mura del Cremlino. Ma la parte russa, come al solito, “imbriglia a lungo, ma cavalca velocemente”. Provocazioni infinite, azioni terroristiche nei territori della DPR e della LPR non potevano durare a lungo. Non potevamo aspettare che gli Stati Uniti giocassero abbastanza con la diplomazia e diffondessero la loro egemonia nell’est dell’Europa fino alle terre russe. Le azioni del nostro esercito in Ucraina oggi sono l’unico modo per contenere una guerra più sanguinosa, riconciliare due paesi fratelli e fermare la politica espansionistica degli Stati Uniti.
FONTE: https://www.geopolitika.ru/it/article/sovraccaricare-e-sbilanciare-la-russia-secondo-la-rand-corporation
SPEZZARE LA RUSSIA PER SALVARE L’“ORDINE LIBERALE”, MENTRE I PASSANTI DIVENTANO VITTIME COLLATERALI DELLA STRADA
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È comprensibile che gli Stati del Medio Oriente rimangano in disparte, come “spettatori”, ma ciò non significa che eviteranno di diventare “vittime della strada” in questa collisione con l’euro. Lo diventeranno.
Berlusconi ha scritto su Il Giornale di questa settimana che l’Occidente è isolato – a causa della sua monomania ucraina:
“La risposta dell’Occidente [all’Ucraina] è stata unanime – ma cosa intendiamo per Occidente? Gli Stati Uniti, l’Europa e alcuni Paesi della regione del Pacifico che hanno legami tradizionali con gli USA, tra cui Australia e Giappone. E dagli altri Paesi del mondo? Quasi nulla.”
Proprio così. L’Ucraina è una lotta identitaria intraeuropea che risale alla caduta di Roma.
È comprensibile che gli Stati del Medio Oriente rimangano in disparte, come “spettatori”, ma ciò non significa che eviteranno di diventare “vittime della strada” in questa collisione europea. Lo diventeranno.
In sostanza, nella sua furia di danneggiare la Russia, l’establishment occidentale ha rovesciato i delicati equilibri alla base della struttura finanziaria globalista. Impulsivamente e senza riflettere, hanno “liberato” le materie prime – dal cibo, all’energia, agli elementi rari – per farle salire di valore, come “qualcosa” di nuovo visto come un valore intrinseco.
Invece di essere la base collaterale soppressa di una piramide di “beni” valutati in valuta fiat che l’inflazione mangia ogni anno, le materie prime, non i dollari o gli euro fiat, stanno diventando la valuta verso cui il “mondo degli astanti” è attratto, come via alternativa al commercio.
Naturalmente, non è solo l’Ucraina la causa di tutto questo. Altri due fattori chiave stanno giocando un ruolo importante: in primo luogo, la nozione di “economia Krugman” secondo cui i governi dovrebbero “stampare per spendere”. L’idea di “fare le cose in grande” con la spesa pubblica aveva già innescato l’inflazione (prima dell’Ucraina) e attualmente sta facendo vacillare la fiducia nelle valute fiat che si stanno deprezzando e che non hanno alcun appiglio di valore.
Il secondo è l’adesione dell’élite occidentale a una “transizione globale” (cioè a una fuga a capofitto) dai combustibili fossili. Perché? Perché quando si sentono affermazioni che sono irrimediabilmente assolute, come ad esempio: “lo dice la scienza”, ci si rende conto di avere a che fare con un culto, non con la scienza. Inquadrato in termini assoluti, non ammette altre scienze o prospettive più ampie che possano qualificare la meta-narrazione.
L’Europa si stava già affrettando a fare i conti con la “transizione”. L’Ucraina, evidentemente, “serve” più che altro come acceleratore, per “svezzare” (notare il linguaggio carico) l’Europa dalla dipendenza energetica dalla Russia.
Tuttavia, come se questo non fosse sufficiente ad accendere il fuoco sotto le pentole dei prezzi delle materie prime, l’Europa ha poi superato sé stessa sostenendo il divieto di acquisto dell’energia russa, accendendo così ulteriormente la fiamma e facendo letteralmente bollire le pentole. I prezzi sono saliti alle stelle, poiché gli europei pagheranno di più per le forniture energetiche sostitutive, anche se un divieto più completo si è rivelato impossibile da attuare.
Ok, un conto è che l’Europa e gli Stati Uniti dicano che l’inflazione che ne deriverà, la contrazione industriale che ne deriverà, l’emergenza alimentare che si aggraverà e i dolori della fame che si estenderanno a tutta la società, ne valgono la pena.
Che “riaffermare l’ordine liberale, salvando l’Ucraina” – anche se rischiando il collasso economico dell’Europa – è pienamente giustificato dall’umiliazione di Putin ad ogni costo. Ma perché anche gli Stati del Medio Oriente che non sono produttori di materie prime dovrebbero pagare il prezzo estremo per la vanità dell’Europa?
Come ha fatto intendere Berlusconi, questi Stati non vedono necessariamente Putin o la Russia come un loro nemico. Molti vedono piuttosto quest’ultima come un potenziale alleato – ma certamente il Medio Oriente, l’Africa e l’America Latina sono tutt’altro che legati all’“Ordine” basato sulle regole imposte dagli Stati Uniti. Non sono coinvolti in questa lotta intraeuropea.
Eppure, ciò che attende le loro società è già scritto sul muro: in Sri Lanka e in Pakistan. Il Pakistan deve restituire oltre 21 miliardi di dollari di debito estero entro il prossimo anno fiscale. Sta anche lottando con una forte inflazione alimentare e con le interruzioni della catena di approvvigionamento, mentre il governo cerca di importare almeno 3 milioni di tonnellate di grano e 4 milioni di tonnellate di olio da cucina per alleviare la carenza.
Allo stesso tempo, circa 40.000 fabbriche di Karachi rischiano di chiudere a causa dell’aumento dei costi dell’elettricità, rendendo quasi impossibile l’attività. Le élite, fissate con il loro programma di “transizione”, sembrano aver perso di vista il fatto che l’energia – risorse umane e fossili, alimentari e materiali – sono effettivamente l’economia. Una componente vede la crisi piuttosto come un’opportunità – seppur dolorosa – per accelerare la transizione.
Ora, un establishment occidentale disperato sembra intenzionato a perseguire una “lunga guerra di logoramento” per procura militarizzata per indebolire la Russia. Purtroppo, questa strategia probabilmente farà morire molti di fame. Il direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale ha avvertito che 49 milioni di persone in 43 Paesi rischiano di morire presto di fame.
L’emergenza alimentare, come l’inflazione, non è causata dall’Ucraina, anche se le circostanze di un importante produttore di grano coinvolto in un conflitto militare, ovviamente, la aggravano. La crisi alimentare è più direttamente legata a fattori di “transizione” (produzione alimentare “ecologica”) e ai cambiamenti strutturali nelle economie neoliberiste (dove la produzione alimentare è stata delocalizzata).
La perversità di tutto questo dolore in arrivo sta nella sua brutale incuranza: L’Europa non ha riflettuto a fondo sulla sua strategia di sanzioni alla Russia prima di scatenarla, tanto era sicura che la Russia sarebbe crollata quasi immediatamente. I ministeri degli Esteri che hanno elaborato i piani non hanno considerato nemmeno per un attimo la possibilità che la Russia non subisse un collasso economico, né tantomeno che la sua economia potesse stabilizzarsi (come è successo).
E i pianificatori non hanno pensato all’effetto della loro guerra militare per procura sull’opinione pubblica russa. Hanno ipotizzato, senza riflettere, che le forze militari russe fossero così incapaci da dover inevitabilmente perdere. Non hanno mai discusso la possibilità che l’opinione pubblica russa si indurisse, man mano che l’operazione militare procedeva. Hanno dato per scontato, piuttosto, che l’opinione pubblica russa si sarebbe rivoltata contro Putin quando la marea si fosse rivolta contro le forze russe e che egli sarebbe stato cacciato dal suo incarico. L’idea che la Russia potesse vincere in Ucraina era vista come un segno di slealtà in Occidente, se non di tradimento.
I leader della UE devono infine affrontare i propri elettori per questi gravi errori di valutazione, amplificati da una propaganda trionfalistica che si vedrà aver ingannato gli elettori e per la quale essi saranno arrabbiati. Ma il punto cruciale – purtroppo – è che questi vari mali del sistema economico occidentale sono strutturali. Un nuovo gruppo di leader non avrà una “pallottola d’argento” per porvi fine rapidamente.
FONTE: https://www.geopolitika.ru/it/article/spezzare-la-russia-salvare-lordine-liberale-mentre-i-passanti-diventano-vittime-collaterali
È agli Straussiani che la Russia ha dichiarato guerra
La Russia non fa guerra al popolo ucraino, ma a un piccolo gruppo di persone intrinseche al potere statunitense, gruppo che ha trasformato l’Ucraina a sua insaputa: gli Straussiani. Meglio noti come “neocon”, neoconservatori . Una consorteria costituitasi mezzo secolo fa e che già ha perpetrato un numero incredibile di crimini in America Latina e in Medio Oriente, senza che il popolo statunitense ne fosse consapevole.
Questo articolo è il seguito di:
1. «La Russia vuole costringere gli USA a rispettare la Carta delle Nazioni Unite», 4 gennaio 2022.
2. «In Kazakistan Washington porta avanti il piano della RAND, poi toccherà alla Transnistria», 11 gennaio 2022.
3. «Washington rifiuta di ascoltare Russia e Cina», 18 gennaio 2022.
4. «Washington e Londra colpite da sordità», 1° febbraio 2022.
5. “Washington e Londra tentano di preservare il dominio sull’Europa”, 8 febbraio 2022.
6. “Due interpretazioni della vicenda ucraina”, 15 febbraio 2022.
7. “Washington suona la tromba di guerra, ma gli alleati desistono”, 23 febbraio 2022.
All’alba del 24 febbraio le forze russe sono entrate massicciamente in Ucraina. Secondo il presidente Vladimir Putin, che ha pronunciato nello stesso momento un discorso televisivo, l’operazione speciale è l’inizio della risposta della Russia a «coloro che aspirano a dominare il mondo» e stanno espandendo le infrastrutture della Nato alle porte del Paese. Nel lungo intervento il presidente ha riassunto come la Nato ha distrutto la Jugoslavia, senza autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, spingendosi fino a bombardare nel 1999 Belgrado. Ha poi ripercorso le distruzioni degli Stati Uniti in Medio Oriente, Iraq, Libia e Siria. Solo dopo questa lunga esposizione ha annunciato l’invio delle truppe in Ucraina con una duplice missione: distruggere le forze armate legate alla Nato e finirla con i gruppi neonazisti armati dalla Nato.
Tutti gli Stati membri dell’Alleanza Atlantica hanno immediatamente denunciato l’occupazione dell’Ucraina, paragonandola a quella della Cecoslovacchia durante la “Primavera di Praga” (1968): la Russia di Vladimir Putin avrebbe adottato la “dottrina Breznev” dell’Unione Sovietica. Per questo motivo il mondo libero deve punire il redivivo “Impero del Male” infliggendogli «costi devastanti».
L’interpretazione dell’Alleanza Atlantica vuole innanzitutto privare la Russia del suo principale argomento: certamente la Nato non è una confederazione fra eguali, è una federazione gerarchizzata comandata dagli anglosassoni; ma la Russia agisce allo stesso modo: non riconosce agli ucraini il diritto di scegliere il proprio destino, come fecero i sovietici con i cecoslovacchi. Certamente la Nato si muove violando i principi di sovranità e uguaglianza fra Stati sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite, ma non deve essere sciolta, a meno che non sia sciolta anche la Russia.
Forse, ma probabilmente no.
Il discorso del presidente Putin non era contro l’Ucraina, né contro gli Stati Uniti, ma esplicitamente contro «coloro che ambiscono a dominare il mondo», ossia contro gli “Straussiani” intrinsechi al potere statunitense. Era a questi ultimi che si rivolgeva la sua dichiarazione di guerra.
Il 25 febbraio il presidente Putin definiva il potere di Kiev «cricca di drogati e neonazisti». Affermazioni, secondo i media atlantisti, di un malato di mente.
Nella notte fra il 25 e il 26 febbraio il presidente ucraino Volodymyr Zelensky rivolgeva alla Russia, attraverso l’ambasciata di Cina a Kiev, una proposta di cessate-il-fuoco. Il Cremlino rispondeva immediatamente ponendo le seguenti condizioni:
– arresto di tutti i nazisti (Dmitro Yarosh e il Battaglione Azov, e così via);
– sostituzione di tutti i nomi delle vie e rimozione dei monumenti che glorificano i collaboratori dei nazisti durante la seconda guerra mondiale (Stepan Bandera e altri);
– deposizione delle armi.
La stampa atlantista lo ignorava, ma il resto del mondo che lo sapeva tratteneva il fiato. La negoziazione è fallita dopo poche ore per l’intervento di Washington. Solo allora le opinioni pubbliche occidentali ne sono state informate, ma le condizioni dei russi sono state tenute nascoste.
Di cosa parla il presidente Putin? Contro chi si batte? E quali sono i motivi che hanno reso cieca e muta la stampa atlantista?
BREVE STORIA DEGLI STRAUSSIANI
È opportuno soffermarsi su questo gruppo, gli Straussiani, del quale gli Occidentali sanno molto poco. Sono personaggi, tutti ebrei, assolutamente non rappresentativi né degli ebrei statunitensi né delle comunità ebraiche nel mondo. Sono stati formati dal filosofo tedesco Leo Strauss, rifugiatosi, all’avvento al potere dei nazisti, negli Stati Uniti, ove divenne professore di filosofia all’università di Chicago. Molte testimonianze attestano che Strauss plasmava un ristretto gruppo di fidati allievi attraverso l’insegnamento orale, di cui perciò non esistono tracce scritte. Spiegava loro che il solo modo per gli ebrei di sottrarsi a un nuovo genocidio è costituire una propria dittatura. Chiamava gli allievi opliti (i soldati di Sparta) e li spediva a disturbare le lezioni dei rivali. Da ultimo insegnava loro la discrezione ed elogiava la «nobile menzogna». Strauss è morto nel 1973, ma la comunità studentesca si è perpetuata.
Mezzo secolo fa, nel 1972, gli Straussiani iniziarono a formare un gruppo politico. Tutti facevano parte della squadra del senatore Democratico Henry “Scoop” Jackson, in particolare Elliott Abrams, Richard Perle e Paul Wolfowitz. Lavoravano a stretto contatto con un gruppo di giornalisti trozkisti, anche loro ebrei, che si erano conosciuti al City College of New York e pubblicavano la rivista Commentary. Venivano chiamati gli “Intellettuali newyorkesi” (New York Intellectuals). Sia gli Straussiani sia gli Intellettuali newyorkesi erano molto legati alla CIA, ma anche, grazie al suocero di Perle, Albert Wohlstetter (stratega militare USA), alla Rand Corporation, il think tank del complesso militare-industriale. Molti di questi giovani si sposarono tra loro, fino a formare un gruppo compatto di un centinaio di persone.
In piena crisi Watergate (1974) il clan redasse e fece adottare l’“emendamento Jackson-Vanik”, che imponeva all’Unione Sovietica di autorizzare l’emigrazione della popolazione ebrea in Israele con minacce di sanzioni economiche. Fu il loro atto fondatore.
Nel 1976 Wolfowitz [1] fu un uno degli artefici del Team B, incaricato dal presidente Gerald Ford di valutare la minaccia sovietica [2]. L’esito fu un rapporto delirante in cui l’Unione Sovietica veniva accusata di prepararsi a conquistare un’«egemonia globale». La guerra fredda cambiò natura: lo scopo non era più isolare (containment) l’URSS, ma fermarla per salvare il «mondo libero».
Gli Straussiani e gli Intellettuali newyorkesi, tutti di sinistra, si misero al servizio del presidente di destra Ronald Reagan. Bisogna capire che entrambi questi gruppi in realtà non sono né di sinistra né di destra. Del resto alcuni loro membri hanno transitato ben cinque volte dal Partito Democratico al Partito Repubblicano e viceversa: l’importante è infiltrare il potere, a qualsiasi ideologia appartenga. Abrams divenne assistente del segretario di Stato. Condusse un’operazione in Guatemala, dove mise al potere un dittatore e sperimentò, con ufficiali del Mossad israeliano, la creazione di riserve per indiani maya, per poterne poi adottare il modello in Israele con gli arabi palestinesi (la Resistenza Maya è valsa a Rigoberta Menchú il premio Nobel per la pace). Abrams continuò i suoi soprusi in Salvador e poi, con l’affare Iran-Contras, contro i sandinisti in Nicaragua. Da parte loro gli Intellettuali newyorkesi, ora chiamati Neoconservatori, crearono il Fondo Nazionale per la Democrazia (National Endowment for Democratie – NED) e l’Istituto degli Stati Uniti per la Pace (U.S. Institute of Peace); un dispositivo che organizzò moltissime rivoluzioni colorate, a cominciare dalla Cina, con il tentativo di colpo di Stato del primo ministro Zhao Ziyang e la repressione di piazza Tienanmen che ne seguì.
Alla fine del mandato di George H. Bush (padre), Wolfowitz, all’epoca numero tre del segretariato alla Difesa, elaborò un documento [3] attorno a un’idea centrale: dopo la decomposizione dell’URSS, gli Stati Uniti devono prevenire l’emergenza di nuovi rivali, a cominciare dall’Unione Europea. Il testo si concludeva con l’auspicio di azioni unilaterali, ossia di mettere fine alla concertazione delle Nazioni Unite. Wolfowitz fu senza dubbio l’ideatore della “Tempesta del deserto”, l’operazione di distruzione dell’Iraq che permise agli Stati Uniti di cambiare le regole del gioco e di organizzare un mondo unilaterale. È in questo periodo che gli Straussiani valorizzarono i concetti di «cambiamento di regime» e di «promozione della democrazia».
Gary Schmitt, Abram Shulsky e Paul Wolfowitz si sono insinuati nella comunità dell’intelligence statunitense grazie al Gruppo di lavoro per la Riforma dell’Intelligence (Consortium for the Study of Intelligence’s Group on Intelligence Reform). Criticarono la presunzione aprioristica che gli altri governi ragionino come quello degli Stati Uniti [4]. Poi criticarono l’assenza di direzione politica dell’intelligence, che la lascia vagare fra soggetti di poca importanza, invece di concentrarsi su quelli essenziali. Politicizzare l’intelligence era quel che Wolfowitz aveva già fatto con il Team B e che ricominciò a fare nel 2002, con l’Ufficio dei Piani Speciali (Office of Special Plans), inventando pretesti per nuove guerre contro Iraq e Iran (la «nobile menzogna» di Leo Strauss).
Gli Straussiani furono estromessi dal potere durante il mandato di Bill Clinton. S’introdussero allora nei think tank di Washington. Nel 1992 William Kristol e Robert Kagan (marito di Victoia Nuland, ampiamente citata negli articoli precedenti) pubblicarono un articolo su Foreign Affairs in cui deploravano la timida politica estera del presidente ed esortavano a un rinnovamento dell’«egemonia disinteressata degli Stati Uniti» (benevolent global hegemony) [5]. L’anno successivo fondarono il Progetto per un Nuovo Secolo Americano (Projet for a New American Century, PNAC) nei locali dell’Istituto Americano per l’Impresa (American Entreprise Insitute), di cui Schmitt, Shulsky e Wolfowitz erano membri. Tutti gli estimatori non ebrei di Leo Strauss, fra cui il protestante Francis Fukuyama, l’autore di La fine della storia, si unirono immediatamente.
Nel 1994 Richard Perle (alias Principe delle tenebre), all’epoca trafficante d’armi, divenne consigliere del presidente ex nazista Alija Izetbebovič in Bosnia Erzegovina. Fu Perle a far venire dall’Afghanistan Osama Bin Laden e la sua Legione Araba (antesignana di Al Qaeda) per difendere il Paese. Perle sarà anche membro della delegazione bosniaca alla firma degli Accordi di Dayton a Parigi.
Nel 1996 membri del PNAC, fra cui Richard Perle, Douglas Feith e David Wurmser, redassero, all’interno dell’Institute for Advanced Strategic and Political Studies, IASP, uno studio per conto del nuovo primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Il rapporto [6] raccomandava l’eliminazione di Yasser Arafat, l’annessione dei territori palestinesi, la guerra contro l’Iraq per trasferirvi in seguito i palestinesi. Il documento traeva ispirazione non soltanto dalle teorie politiche di Leo Strauss, ma anche da quelle di un amico di Strauss, Ze’ev Jabotinsky, fondatore del «sionismo revisionista», di cui il padre di Netanyahu fu segretario particolare.Il PNAC raccolse fondi per la candidatura di George W. Bush (figlio) e pubblicò prima della sua elezione il celebre rapporto «Ricostruire le difese dell’America» (Rebuilding America’s Defenses), ove auspicava una catastrofe comparabile a quella di Pearl Harbor, pretesto per scaraventare il popolo statunitense in una guerra per l’egemonia globale. Sono esattamente i termini usati l’11 settembre 2001 dal segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, membro del PNAC.
Grazie agli attentati dell’11 Settembre, Perle e Wolfowitz installarono all’ombra di Rumsfeld l’ammiraglio Arthur Cebrowski, che vi svolse un ruolo analogo a quello di Albert Wohlstetter durante la guerra fredda. Impose la strategia della «guerra senza fine»: le forze armate statunitensi non devono più vincere guerre, ma scatenarne tante e farle durare il più a lungo possibile. Lo scopo è distruggere tutte le strutture politiche degli Stati presi di mira per ridurre in miseria le popolazioni e privarle di ogni mezzo per difendersi dagli Stati Uniti [7]; una strategia messa in atto da vent’anni in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Yemen…
L’alleanza fra Straussiani e sionisti revisionisti fu suggellata nel 2003, in occasione di una grande conferenza a Gerusalemme, cui personalità politiche israeliane di ogni genere sfortunatamente si ritennero in dovere di partecipare [8]. Non c’è quindi da meravigliarsi che nel 2006 Victoria Nuland (moglie di Robert Kagan), all’epoca ambasciatrice della Nato, sia intervenuta per proclamare un cessate-il-fuoco in Libano, consentendo all’esercito israeliano battuto di non essere inseguito dallo Hezbollah.
C’è qualcuno che, come Bernard Lewis, ha lavorato con i tre gruppi: gli Straussiani, i Neoconservatori e i sionisti revisionisti. Ex agente dell’intelligence britannica, Lewis acquisì la cittadinanza statunitense e quella israeliana, fu consigliere di Benjamin Netanyahu e membro del Consiglio per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti. Lewis, che a metà carriera affermava che l’islam è incompatibile con il terrorismo e che i terroristi arabi sono in realtà agenti sovietici, in seguito cambiò idea e, con massima disinvoltura, assicurò che è l’islam a predicare il terrorismo. Per conto del Consiglio per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, Lewis inventò la strategia dello «scontro di civiltà», che consiste nella strumentalizzazione delle differenze culturali al fine di mobilitare i mussulmani contro gli ortodossi; concetto reso popolare dal suo assistente al Consiglio, Samuel Huntington, che però non lo presentò come strategia, ma come fatalità contro la quale occorreva agire. Huntington iniziò la carriera come consigliere dei servizi segreti sudafricani dell’apartheid; in seguito scrisse un libro, The Soldier and the State [9], in cui sostiene che i militari, regolari e mercenari, costituiscono una casta a sé, la sola capace di comprendere i bisogni di sicurezza nazionale.
Dopo la distruzione dell’Iraq, gli Straussiani furono bersaglio di ogni sorta di polemica [10]. Tutti si meravigliavano che un gruppo così ristretto, appoggiato da giornalisti neoconservatori, avesse potuto acquisire simile autorevolezza senza che se ne fosse dibattuto pubblicamente. Il Congresso degli Stati Uniti designò un Gruppo di studio sull’Iraq, la Commissione Baker-Hamilton, per valutarne la politica: il rapporto condannò, pur senza nominarla, la strategia Rumsfeld/Cebrowski, deplorando le centinaia di migliaia di morti provocate. Rumsfeld si dimise, ma il Pentagono ne prosegue inesorabilmente la strategia, senza mai adottarla ufficialmente.
Nell’amministrazione Obama gli Straussiani entrarono nel gabinetto del vicepresidente Joe Biden. Il suo consigliere per la Sicurezza nazionale, Jacob Sullivan, svolse un ruolo centrale nell’organizzazione delle operazioni contro la Libia, la Siria e il Myanmar; un altro consigliere, Antony Blinken, si concentrò invece sull’Afghanistan, il Pakistan e l’Iran. Fu Blinken a pilotare i negoziati con la Guida suprema Ali Khamenei, che sfociarono nell’arresto e nella reclusione dei principali membri della squadra del presidente Mahmud Ahmadinejad, in cambio dell’accordo sul nucleare.
Il cambiamento di regime a Kiev del 2014 fu organizzato dagli Straussiani. Il vicepresidente Biden vi s’impegnò risolutamente. Victoria Nuland si recò in Ucraina per sostenere gli elementi neonazisti del Settore Destro e supervisionare il commando israeliano “Delta” [11] in piazza Maidan. Un’intercettazione telefonica rivelò il suo auspicio d’«inculare l’Unione Europea» (sic), nella tradizione del rapporto Wolfowitz del 1992. Ma i dirigenti dell’Unione Europea non capirono e si limitarono a deboli proteste [12].
“Jake” Sullivan e Antony Blinken sistemarono il figlio del vicepresidente Biden, Hunter, nel consiglio di amministrazione di una delle più importanti società di gas, Burisma Holdings, nonostante l’opposizione del segretario di Stato John Kerry. Hunter Biden è un eroinomane che servirà da paravento a una gigantesca truffa a danno del popolo ucraino. Sotto la sorveglianza di Amos Hochstein, il figlio di Biden individuerà parecchi suoi compagni di sballo per farne altri uomini di paglia a capo di diverse società, così da saccheggiare il gas ucraino. Sono costoro che il presidente Putin ha definito «cricca di drogati».
Sullivan e Blinken si appoggiano al padrino mafioso Ihor Kolomoïnsky, che possiede la terza ricchezza del Paese. Benché ebreo, finanzia i duri del Settore Destro, organizzazione neonazista che lavora per la Nato e si batté in piazza Maidan al momento del “cambiamento di regime”.
Kolomoïnsky approfitta delle sue entrature per prendere il potere nella comunità ebraica europea, ma altri della sua stessa parrocchia si oppongono e lo espellono dalle associazioni internazionali. Ciononostante riesce a far nominare il capo del Settore Destro, Dmytro Yarosh, vicesegretario del Consiglio Nazionale di Sicurezza e Difesa ucraino e a farsi nominare governatore della regione di Dnipropetrovsk. I due uomini saranno rapidamente allontanati da ogni incarico politico. È il loro gruppo che il presidente Putin ha definito «cricca di neonazisti».
Nel 2017 Blinken fonda WestExec Advisors, società di consulenza di cui fanno parte ex alti funzionari dell’amministrazione Obama e molti Straussiani. L’attività di questa società è estremamente discreta. Utilizza le relazioni politiche degli adepti per fare soldi: ciò che in ogni Stato di diritto sarebbe chiamato corruzione.
GLI STRAUSSIANI SEMPRE UGUALI A LORO STESSI
Con il ritorno di Joe Biden alla Casa Bianca, questa volta come presidente degli Stati Uniti, gli Straussiani governano l’insieme del sistema. Sullivan è consigliere nazionale per la Sicurezza, Blinken è segretario di Stato e al suo fianco c’è Victoria Nuland. Come ho riferito nei precedenti articoli, a ottobre 2021 Nuland si reca a Mosca e minaccia di schiacciare l’economia della Russia se questa non si mette in riga. È l’inizio dell’attuale crisi.
A Kiev la sottosegretaria di Stato Nuland tira fuori di nuovo Dmitro Yarosh e lo impone al presidente Zelensky, ex attore televisivo protetto da Ihor Kolomoïsky, che il 2 novembre 2021 lo nomina consigliere speciale del capo delle forze armate, generale Valerii Zaluzhnyi. Quest’ultimo, autentico democratico, inizialmente si oppone, alla fine accetta. Interrogato dalla stampa sulla sorprendente coppia che forma con Yarosh, Zaluzhnyi si rifiuta di rispondere e allude a un problema di sicurezza nazionale. Yarosh offre tutta la sua collaborazione al “führer bianco”, colonnello Andrey Biletsky, e al suo Battaglione Azov. Dall’estate 2021 questa copia della divisione SS Das Reich è inquadrata da ex mercenari statunitensi di Blackwater [13].
Questa lunga digressione, servita a connotare gli Straussiani, ci costringe ad ammettere che l’aspirazione della Russia è comprensibile, perfino auspicabile. Sbarazzare il mondo dagli Straussiani significherebbe rendere giustizia agli oltre milione di morti che hanno causato e salvare quelli che s’apprestano ad ammazzare. Resta da vedere se l’intervento militare in Ucraina è il mezzo appropriato.
In ogni caso, se la responsabilità degli avvenimenti in corso cade sugli Straussiani, anche tutti coloro che li hanno lasciati agire senza intervenire ne portano la responsabilità. A cominciare da Germania e Francia, che sette anni fa firmarono gli Accordi di Minsk e non hanno fatto nulla per farli rispettare; in secondo luogo la cinquantina di Stati che, sebbene firmatari delle dichiarazioni dell’OSCE che vietano l’estensione della Nato a est della linea Oder–Neisse, non hanno fatto nulla. Solo Israele, che si è sbarazzata dei sionisti revisionisti, ha espresso una posizione non categorica sugli avvenimenti.
Ecco una lezione da trarre da questa crisi: i popoli di Paesi retti democraticamente sono responsabili delle decisioni prese da chi li governa e mantenute a lungo, anche dopo alternanze di potere.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article215887.html
L’Arte della Guerra – Rand Corp: come abbattere la Russia
La Rand Corporation, il più influente think tank USA, indica come, dopo l’URSS, si può abbattere anche la Russia sfiancandola con una strategia a lungo termine.
VIDEO QUI: https://www.youtube.com/watch?v=nrP6VJa-qdM
FONTE: https://youtu.be/nrP6VJa-qdM
Il mondo è in guerra
La pandemia di covid non ha fermato i conflitti, anzi ne ha riaccesi alcuni. Sono 33 le guerre e 15 gli scenari di crisi oltre Kabul, crescono le spese militari e il numero di persone in fuga. In anteprima la X edizione dell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo
Alice PistolesiRedattrice Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo
13 ottobre 2021
Trentaquattro guerre e quindici situazioni di crisi scuotono un pianeta senza pace. Oltre a quello in Afghanistan, che dopo quasi venti anni di intervento occidentale ha visto i talebani prendere il potere, il mondo continua a essere luogo di sanguinosi conflitti. L’Africa è il continente dove se ne contano di più, ma teatri di scontro sono presenti anche in Asia, Europa e America.
La quantità di guerre in corso nel mondo, per lo più ignorate dai media, resta negli anni stazionaria. Le guerre resistono e lasciano immutata nel tempo la situazione per i civili, che continuano a essere le vittime preferite dei conflitti moderni: circa il 90 per cento delle morti totali. Ci sono generazioni intere, come in Afghanistan, che non hanno mai conosciuto la pace e sono passate negli anni da una situazione di violenza all’altra. Ci sono conflitti, come quello tra Israele e Palestina o quello in Myanmar, che risalgono alla fine degli anni Quaranta, altri esplosi di recente, come quello in Mozambico, cominciato nel 2019.
Afghanistan, vent’anni fa la fuga dai bombardamenti Usa
Le motivazioni che portano alla guerra sono complesse ma si possono ricondurre ad alcuni macro fattori: ci sono quelle innescate dalla rivendicazione di diritti (che può essere allo stesso tempo causa e conseguenza del conflitto), o quelle provocate dal cambiamento climatico e dalle devastazioni ambientali, in qualche modo collegate a un’altra causa, cioè lo sfruttamento e l’accaparramento delle risorse (acqua, petrolio, minerali, terra, legname, ad esempio). Rientrano tra le motivazioni anche gli interessi economici in senso lato, che si legano spesso alla pessima o inesistente redistribuzione della ricchezza. Gli interessi sulle risorse e geostrategici muovono i giochi di molte potenze: Cina, Stati Uniti, India, Arabia Saudita, Iran, tanto per citarne alcune. Ci sono poi guerre che hanno come obiettivo principale la conquista di autonomia e indipendenza. Tutte ragioni che spesso si intersecano tra loro e insieme alle differenze culturali, religiose e di comunità, alimentano e prolungano la situazione di conflitto. Differenze che, da sole, raramente portano alla guerra nei contesti in cui i diritti sono rispettati e dove non influiscono altre motivazioni.
Di questi conflitti, i civili restano le vittime per eccellenza: nel 2021, il numero di persone bisognose di aiuti umanitari è il più alto mai registrato: 235 milioni, (secondo i dati dell’Agenzia delle Nazioni Unite per gli aiuti in emergenza).
Nonostante il Covid, nel 2020 sono aumentate le spese militari e le persone in fuga dai conflitti
A complicare i già fragili equilibri internazionali ha contribuito la pandemia da Covid-19, che nemmeno nel momenti di maggior picco e nonostante gli appelli internazionali di Papa Francesco e del segretario Onu Antonio Guterres è riuscita nell’intento di placare le guerre. Anzi. Nel 2020 si sono riaccesi conflitti sopiti da anni e la spesa militare è aumentata. Lo Stockholm international peace research institute (Sipri) calcola che nel corso dell’anno l’investimento in armi sia cresciuto del 2,6 per cento, arrivando a 1.981 miliardi di dollari, il valore assoluto più alto registrato dall’ente di ricerca dal 1988.
Nonostante la pandemia, nel 2020 il numero di persone in fuga da guerre, violenze, persecuzioni e violazioni dei diritti umani è salito a quasi 82,4 milioni, in aumento del 4 per cento rispetto il 2019, si legge nell’ultimo rapporto annuale Global Trends dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) pubblicato a giugno. Tolti i 48 milioni di persone sfollate all’interno dei loro paesi, più di due terzi di tutte le persone che sono fuggite all’estero provengono da soli cinque paesi: Siria, Venezuela, Afghanistan, Sud Sudan e Myanmar. Quasi nove rifugiati su dieci (86%) sono ospitati da paesi vicini alle aree di crisi e da paesi a basso e medio reddito. La Turchia ne ospita il maggior numero, seguita da Colombia, Pakistan e Uganda e Germania.
Alcune delle motivazioni che portano sempre più persone alla fuga sono il clima, il deteriorarsi del luogo in cui si abita, la sua desertificazione: secondo il rapporto Climate Change and Land pubblicato dall’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) a fine 2019, circa tre miliardi di persone vivono in zone aride, che sono arrivate a coprire il 46,2 per cento della superficie terrestre e le inondazioni e i disastri naturali si fanno sempre più frequenti.
FONTE: https://lavialibera.it/it-schede-704-infografica_guerre_conflitti_mondo
CULTURA
Se non si è più padroni del proprio consenso
A colloquio con il massmediologo Derrick de Kerckhove
Si trovano nella tradizione umanistica e cristiana i soli anticorpi utili per riconciliare l’automatismo digitale con l’individualità della persona. Ad affermarlo dal Canada è il più quotato massmediologo al mondo, Derrick de Kerckhove, erede di Marshall McLuhan. Lo incontriamo e, con il suo sorriso cordialissimo e per nulla professorale, ci dice: «L’umanità è veramente in pericolo, non ci sono solo le guerre e i cambiamenti climatici, c’è il rischio di ritrovarsi non più padroni del proprio consenso». Una possibilità: «Riscopriamo il valore di vergogna e colpa».
L’automatizzazione e le sue «magnifiche sorti e progressive» — per dirla con Leopardi — più o meno si conoscono: algoritmi che ci raggiungono in base a studi di mercato, notizie scritte da pc, sistemi di software che offrono pseudo relazioni con persone scomparse. La macchina non conosce, né ricorda nessuno, né inventa nulla, ma elabora dati e modelli statistici acquisiti. Il punto sono le incognite, di cui parliamo con lo studioso nato in Belgio, naturalizzato canadese, ora direttore scientifico dell’Osservatorio TuttiMedia e MediaDuemila.
L’orizzonte della cosiddetta Intelligenza Artificiale (Ia) sembrava essersi allargato in modo prodigioso quando Microsoft nel 2020 ha annunciato il programma Generative Pre-trained Transformer-3 (Gpt-3) definito modello di linguaggio, in grado di immagazzinare 175 miliardi di parametri. Ma le sorti sono tanto velocemente progressive che da Pechino hanno presentato poco dopo un prototipo in grado di contenere ed elaborare 175 trilioni di parametri. L’assonanza di numero ben richiama il livello di competitività in campo. Il processo è ineluttabile. Viviamo un difficilissimo periodo storico di cerniera. «Un altro sconvolgente e stimolante Medio Evo», dice de Kerckhove che chiede innanzitutto fantasia nei termini: l’Ia, così denominata, «inganna sui rischi». Si parla di human enhancement, una sorta di “rinforzo” delle potenzialità dell’uomo, attraverso l’emulazione di funzioni del cervello umano come osservazione e riconoscimento, ma anche previsione e forse prescrizione. È evidente che pone gravi questioni etiche.
Duplicando digitalmente tutte le realtà umane fino al cosiddetto metaverso — sottolinea lo studioso — si arriva al “gemello digitale” dell’uomo e alla esternalizzazione delle nostre facoltà cognitive: «Non solo la memoria e il giudizio ma anche la coscienza fonte di auto-determinazione». La questione etica – precisa — sta nella possibilità che sparisca la motivazione etica che è garante della nostra autonomia psicologica e anche politica, perché viene meno la fonte del nostro comportamento etico: il senso di vergogna o colpevolezza che ci spinge verso alcune scelte o decisioni piuttosto che ad altre». C’è il rischio di una crisi epistemologica senza precedenti: perdita di significato, perdita del potere del discorso e della deliberazione cosciente. «Al modello di Ia si chiederà di determinare il consenso», che «significherà perdere la prospettiva di intesa, di accordo, così come lo concepiamo». Non potremo più dire creare consenso — avverte — ma dovremo dire «forzare il consenso» a partire da conclusioni tratte da Big Data e Data Analytics. «La crisi di significato e l’esternalizzazione del giudizio e della memoria predispongono a credere a fake news, ad aderire a posizioni estreme» se questo è quello che elaborano le macchine. E de Kerckhove aggiunge: «La trasformazione digitale sradica le persone in tutto il mondo dalle loro basi tradizionali e esperienze familiari, le rende “avatar” di se stesse tanto che tutti gli standard e le convenzioni identitarie, sociali, politiche, sessuali, sono in discussione».
Con un’espressione del viso intelligentemente umanissima, de Kerckhove ci raccomanda di non dimenticare il valore profondissimo del concetto di “colpa” cristianamente inteso. «C’è la ricchezza di un’esperienza di individualità di giudizio e di responsabilità che — ribadisce — rappresentano l’opposto della esternalizzazione che impone il digitale». Un patrimonio che lo studioso vede «ancora conservato al meglio in Europa e in grado di fare la differenza». Ci racconta che McLuhan, credente e dichiaratamente cattolico, amava ripetere che Cristo non a caso si è incarnato dopo l’avvento dell’alfabeto: la scrittura, rivoluzione mediatica del tempo, sarebbe servita a interiorizzare la conoscenza e creare la coscienza. «Cristo rappresenta la persona individuale e il nuovo ordine sociale e psicologico che ne deriva parte dal riconoscimento della propria coscienza interiore, da un disagio privato e non pubblico come la vergogna». La responsabilità è dentro la persona e verso la persona e questo — precisa — deve aiutarci a comprendere l’urgenza di opporsi all’etica esteriorizzata. La sfida è formulare un nuovo accordo globale, una nuova coesione sociale per difendere valori come l’interiorità, il senso della conoscenza, la democrazia».
08 giugno 2022
FONTE: http://www.faustasperanza.eu/wordpress/2022/06/08/5696/
Filosofia e politica della paura
di Aldo Meccariello
“La paura è il dolore provocato dalla rappresentazione di un male imminente” (Aristotele)
1. Prologo
«Qualche volta bisogna cercare di sottrarsi al rumore, al rumore incessante delle notizie che ci arrivano da ogni parte. Per capire il presente dobbiamo imparare a guardarlo di sbieco. Oppure, ricorrendo a una metafora diversa: dobbiamo imparare a guardare il presente a distanza, come se lo vedessimo attraverso un cannocchiale rovesciato. Alla fine l’attualità emergerà di nuovo, ma in un contesto diverso, inaspettato. Parlerò sia pure brevemente del presente, e perfino un poco del futuro. Ma ci arriverò partendo da lontano».[1]
Guardare di sbieco il presente o guardarlo a distanza è forse questa la chiave che prendiamo a prestito dallo storico C. Ginzburg per leggere questo nostro tempo pandemico, difficile, inatteso, segnato dalla tirannide occulta e silenziosa del Covid-19. Se c’è un sentire diffuso oggi, questi è la paura, il male oscuro, insidioso da cui tutti vorremo stare lontani, l’emozione arcaica che spinge l’essere umano ad agire d’istinto dinanzi a una situazione di pericolo per badare alla sua sopravvivenza.
Per l’umanità stanno aumentando i rischi di catastrofe: prima le guerre di ieri e di oggi, poi il devastante inquinamento ambientale, ora le pandemie. Dinanzi a questi rischi e ai connaturati danni irreversibili, regna la paura. Il Covid-19 ha provocato la più grave crisi economica, politica, sociale e sanitaria dalla fine della seconda guerra mondiale. La percezione è che l’umanità sia ri-precipitata davvero in tempi bui.[2]
La paura della morte, la più temibile delle paure e sempre incombente, è strettamente connessa alla paura delle guerre, che assomma in sé tutte le insicurezze e le minacce di annientamento e di cancellazione dei legami umani. Capita sempre di aver paura o aver avuto paura nella vita. Timore, insicurezza, angoscia, terrore e rischio, sono i termini che concorrono a definire la modalità perturbante della nostra esperienza.
Ma che cos’è la paura? La domanda ci turba, perché nomina una situazione che ci minaccia, un evento atavico che ci accompagna lungo il corso della vita e che puntella l’esistenza di ognuno come una specie di seconda natura, un demone invisibile, un’ombra. L’incertezza o il non sapere che cosa ci potrà accadere, questa è la paura. Nell’introduzione della Prima Giornata del Decameron, il Boccaccio, descrive la “pestifera mortalità” scoppiata a Firenze nel 1348:
«Dico dunque che già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio pervenuti al numero di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di Fiorenza, oltre a ogn’altra italica bellissima, pervenne la mortifera pestilenza: la quale per operazione de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni nelle parti orientali incominciata, quelle d’innumerabile quantità de’ viventi avendo private, senza ristare d’un luogo in un altro continuandosi, verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata […]. E non come in Oriente aveva fatto, dove a chiunque usciva il sangue del naso era manifesto segno di inevitabile morte: ma nascevano nel cominciamento d’essa a maschi e alle femmine parimente o nella anguinaia e sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come un uovo, e alcune più e altre meno, le quali i volgari nominavano gavaccioli. E delle due parti del corpo predette infra breve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire e da questo appresso s’incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide, le quali nelle braccia e per le cosce e in ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti, a cui grandi e rade a cui minute e spesse. E come il gavacciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così erano queste a cui venieno […]. Nacque la paura»[3].
Dalla terribile pandemia del 1300, Boccaccio trae spunto per scrivere il suo Decamerone che per il lettore moderno incalzato dal coronavirus appare un viatico pandemico. Lo scrittore di Certaldo, da par suo, ci spiega anche com’è nata la paura nel pieno infuriare della mortifera pestilenza. Oggi la paura ai tempi del coronavirus dilaga e riapre le voragini della fragilità umana ed è diversa sia dalle paure interne (sin da piccoli c’è la paura del buio o dello stare soli, in età adulta c’è la paura della malattia o della morte) sia dalle paure esterne (che sono globali di fronte allo spettro della perdita del mondo o dinanzi a potenziali scenari apocalittici e alle più svariate sciagure come guerre o epidemie) perché mescola il pericolo con l’impotenza a difendersi.
L’uomo prova paura (come tutti gli animali) fin dai primordi della sua vita, a causa di fenomeni naturali come i fulmini, gli uragani, i terremoti, i maremoti, le eruzioni vulcaniche e altri eventi catastrofici. E sarebbe stata la paura dovuta a questi imprevedibili eventi che lo avrebbe indotto a ripararsi nei rifugi naturali, a usare il fuoco, a fabbricare utensili di difesa, a uccidere i nemici. Così scrive il sociologo Z. Bauman:[4]
Di là della generica affermazione che la paura è una tangibile sensazione/emozione che irrompe sempre nelle situazioni di pericolo (vero o presunto) in modo rapido e improvviso, Bauman evidenza il punto di vista dell’etologo che descrive la paura come un ricco repertorio di reazioni primordiali che l’uomo condivide con gli animali di fronte a una minaccia per la vita. A questa paura primaria si affianca una paura secondaria sedimentata nel tempo, che orienta in maniera indelebile tutto il nostro comportamento. Di fronte alla paura del Covid-19, nello spazio di pochi mesi abbiamo cambiato abitudini di vita, abbiamo consumato molte ore in casa che è diventata tana e rifugio per la nostra sopravvivenza o per la nostra salvezza. Ci siamo aggrappati alle mura domestiche per proteggere il nostro corpo dal contagio. Dinanzi alla paura della morte per contagio, ci siamo affidati alle misure del governo, sperimentando la situazione hobbesiana in cui l’individuo aliena ogni diritto a un sovrano assoluto.
La paura non cessa quando ci sentiamo sicuri, poiché essa si alimenta anche di suggestione e immaginazione. Per contrastare la paura non bisogna chiudersi nelle proprie ansie e angosce. Talvolta l’eccessiva voglia di sicurezza spegne la leggerezza dell’essere, il desiderio e l’entusiasmo perché ci scopre vulnerabili.
2. Grand Hotel Paura
Proviamo a immaginare il nostro mondo pulsionale similmente a una magnifica suite denominata Grand Hotel Paura[5] da cui facciamo fatica a uscire o a varcarne la soglia. La nostra vita è tutt’altro che priva di paure, e il contesto liquido-moderno in cui essa è immersa è tutt’altro che esente da pericoli e minacce. L’esistenza umana è percorsa da una lotta contro la paura. Essa può essere vista soprattutto come ricerca e verifica continua di stratagemmi ed espedienti che ci consentano di scongiurare, anche se solo temporaneamente, l’arrivo di pericoli imminenti che siano catastrofi naturali o umane.
L’umanità del terzo millennio probabilmente dovrà abituarsi a convivere con insicurezze, rischi e crisi di ogni genere: desertificazione, distruzione dell’ecosistema, virus letali che infestano il pianeta. Il futuro sembra profilarsi carico d’incognite soprattutto per le nuove generazioni. L’emergenza pandemica di questi tempi continua a produrre paure irrazionali, frammentazioni sociali che mettono in crisi i valori essenziali della collettività. Il sociologo U. Beck aveva parlato di una società del rischio[6] che segnerebbe l’inizio di una seconda modernità: «Come eliminare la paura quando non siamo in grado di eliminare le sue cause? Come vivere sul vulcano della civiltà senza dimenticarlo volutamente, ma anche senza essere soffocati dalle paure prima ancora che dai suoi vapori?».[7]
3. Cambiamenti epocali: G. Anders
“Siamo sul vulcano della civiltà”. Una metafora potente che sarebbe piaciuta al nostro Leopardi ma che è stata ampiamente argomentata da G. Anders, il pensatore più estremo e più lucido del ’900, il filosofo dell’esagerazione, il creatore del panico come è stato chiamato dai suoi innumerevoli detrattori. Nella sua opera L’uomo è antiquato, il filosofo tedesco indica un nome e una data d’inizio: Hiroshima, agosto 1945, l’esplosione della prima bomba atomica. Qui si apre il vero mutamento d’epoca, e si spalancano le porte dell’Apocalisse che l’umanità angosciata ancora non vuole vedere, inibita dal diniego e dall’autoinganno. “Creare panico” per denunciare il rischio di nuove catastrofi atomiche e/o naturali: questo l’imperativo andersiano, la sua ossessione etica.
Solo la paura commisurata alle conseguenze tragiche di una simile eventualità è in grado di far aprire gli occhi a un mondo abitato da uomini sempre più apatici, incapaci di leggere i segni di una catastrofe annunciata. Scrive Anders: «L’epoca del mutamento d’epoca è finita dal 1945. Ormai viviamo in un’era che non è più un’epoca che ne precede altre ma una «scadenza», nel corso della quale il nostro essere non è più altro che un «esserci-ancora-appena».[8]
Ma il desiderio di onnipotenza umana è una dannazione, più che una liberazione, per gli uomini dell’era atomica che vogliono ritornare a provare sentimenti umani. Ciò che rende irrealizzabile questo sogno del Titano-Uomo è proprio l’irrevocabilità delle nostre conoscenze tecnico-scientifiche poiché «noi non viviamo nell’era del materialismo […] ma nella seconda era platonica […] Nel 1945 non siamo entrati nell’era atomica perché avevamo fabbricato tre bombe atomiche, ma perché possedevamo la ricetta non fisica per realizzarne innumerevoli altre».[9]
Rispetto alle idee del cielo di Platone, il numero delle idee attuali è infinito e infinitamente crescente a causa dell’inflazione d’invenzioni. L’onnipotenza è diventata pericolosa da quando si è trasferita nelle nostre mani. Non esiste ancora una piena consapevolezza dell’imminenza di un’Apocalisse che può cancellare l’uomo dalla faccia della terra. Al posto della proposizione «Tutti gli uomini sono mortali» è subentrata oggi la proposizione: «L’umanità intera è eliminabile».[10]
Se le epoche precedenti scomparivano per fare posto ad altre, questa possibilità è preclusa all’epoca contemporanea che si presenta come epoca della fine. «Siamo i primi Titani, perciò siamo anche i primi nani o pigmei − o come altro ci si voglia chiamare, noi esseri a cui è posta una scadenza collettiva – che non siamo più mortali come individui, ma come gruppo; la cui esistenza è sottoposta a revoca».[11]
La creazione della bomba nucleare è lo spettro che Anders evoca in alcune dense pagine de L’uomo è antiquato. L’orrore di Hiroshima cambia i connotati della condizione umana, trasforma il problema morale fondamentale. Alla domanda «Come dobbiamo vivere?» si è sostituita quella: «Vivremo ancora?». All’uomo senza mondo si sostituirà un mondo senza uomo. Il futuro è già finito.[12] Della storia non c’è più traccia. Il motivo che restituisce il senso della sua opera è la visione apocalittica di un «mondo senza uomo».
Se, infatti, la prima riflessione andersiana era indirizzata allo scenario di estraniazione e di alienazione dell’uomo moderno in un «mondo-che-appartiene-ad-altri», la consapevolezza dell’esistenza dei nuovi e sofisticati mezzi di distruzione di cui l’umanità dispone, dischiude un orizzonte ontologico ben diverso: quello di un paesaggio spettrale. Con l’esautorazione dell’uomo e sotto il dominio della tecnica, l’orizzonte si restringe dopo la storia e prima dell’apocalisse in quello di una “scadenza”, di un “termine” che conosce ormai solo la durata incerta, nessun tempo regolato. La diagnosi della fine della storia intende dunque sia il tempo della fine nel senso di una post-histoire sia la fine dei tempi cioè l’annientamento dell’uomo e del mondo.
Ѐ dunque la consapevolezza della contingenza non solo della nostra vita individuale, ma di quella dell’umanità e del mondo intero, che ci può insegnare ad avere paura. Il tempo della fine (Endzeit) sembra sempre più vicino. Al contrario del teologo cristiano, che anelava all’Apocalisse come liberazione e inizio di un nuovo mondo, il pensatore tedesco si propone come scopo quello di “spostare” questa fine, prolungando il più possibile quella che rimane per lui “l’ultima epoca”. Solo la voracità dell’homo faber e poi dell’homo creator ha prodotto squilibri ecosistemici, e dissesti globali innescando una spirale distruttiva e autodistruttiva.
Analizzando questa scissione tra l’artefice e il mondo degli artefatti, il pensatore tedesco ridescrive la conditio humana plasmata e dominata dal dominio della tecnica attraverso un processo di metamorfosi da homo faber, a homo creator e a homo materia. Se l’homo faber è quello della nascita della tecnica, è l’uomo che si congeda dagli dei, «con la denominazione di homo creator intendo il fatto che noi siamo capaci, o meglio, che ci siamo resi capaci, di generare prodotti dalla natura, che non fanno parte (come la casa costruita con il legno) della categoria dei “prodotti culturali”, ma della natura stessa».[13]
In altri termini, l’uomo è capace di produrre physis per mezzo della techne, vale a dire prodotti naturali, vere e proprie «seconde nature». Basti pensare all’esempio del Plutonio, introdotto in natura come novum dall’uomo «come il veleno più terribile che c’è ora nella natura». Tuttavia la metamorfosi più mostruosa dell’umano è il passaggio da homo creator a homo materia: «La trasformazione dell’uomo in materia prima è invece cominciata (a prescindere dai tempi dei cannibali) ad Auschwitz. È noto che dai cadaveri degli internati dei lager (che, a loro volta, erano già dei prodotti) […] si estraevano, questo è noto, i capelli e i denti d’oro. […] Ho visto con i miei occhi sacchetti pieni di denti. […]».[14]
Di fatto si può dire che in questi casi l’homo creator e l’homo materia vengono a coincidere, dove però, ovviamente, creator e materia non coincidono mai a livello personale ma l’uno funge da creator e l’altro da materia. L’“homo materia” è creare da esseri viventi altri esseri viventi: inseminazione artificiale e clonazione della vita in provetta, sono le enormi possibilità della genetica che costituiscono uno scacco per l’essere umano e per la sua dignità. La creazione di nuovi generi e nuove specie ha innescato un processo inarrestabile che sta rendendo l’uomo un essere superfluo. Oggi più che mai gli esseri umani devono prendere consapevolezza del pericolo, unire le proprie forze e fronteggiare vecchie e nuove paure globali.
Le nuove forme di paura sono anzitutto la conseguenza degli effetti devastanti che la globalizzazione economica ha avuto sui cosiddetti paesi in via di sviluppo e in modo tutto particolare sulle popolazioni poverissime del pianeta. Gli squilibri economico-sociali di vaste aree del pianeta, la de-regolazione dei mercati finanziari, le lobbies militari-industriali, lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali e la distruzione dell’ambiente, stanno provocando l’eclisse irreversibile della civiltà.
Il Covid-19, per esempio, ha sfondato la barriera quasi invalicabile tra specie diverse ed è diventato, in tempi rapidissimi, tra i virus più temuti del mondo. La morte avanza inflessibile minuto dopo minuto e la paura di morire e di veder morire i propri cari è il pane quotidiano di una buona parte dell’umanità che vive nell’insicurezza. Ma sono molti coloro che alla fine preferiscono rinunciare alla vita: la morte fa meno paura. L’umanità deve ora prendere coscienza della sua vulnerabilità e lo può fare esercitando la libertà di provare paura. Ancora una volta Anders lancia un’ennesima provocazione:.[15]
In gioco non è più solo la libertà ma la stessa sopravvivenza del genere umano. Solo se riattiviamo la paura possiamo riprendere in mano qualche chance di futuro e sottrarci a quei meccanismi anestetizzanti che ci hanno portato alla piena cecità di fronte all’Apocalisse.[16] Se la paura nel modello hobbesiano genera la comunità politica a cui gli individui si affidano per la propria sopravvivenza, per Anders la paura provoca il risveglio per l’umanità dinanzi alla soglia dell’abisso. Sopravvivere è il nuovo imperativo categorico per la politica del futuro. Il compito preliminare, però, è re-imparare ad avere paura: «Il tetto che sta per crollare diventa il nostro tetto. Come morituri ora siamo veramente noi. Per la prima volta lo siamo effettivamente».[17]
4. Responsabilità ed euristica della paura: H. Jonas
A questo punto è quanto mai utile approfondire l’apporto di H. Jonas col suo Prinzip Verantwortung (Principio responsabilità, 1979), un compendio filosofico-antropologico sulla paura che si colloca come un principio equidistante da quello blochiano di speranza e quello andersiano di disperazione, e si attesta nella difesa del già-sempre, perché alla luce delle nuove e imprevedibili conquiste della tecnica, occorre mantenere i nervi saldi e assumere la responsabilità come un nuovo obbligo e un nuovo imperativo categorico: si tratta di concepire una filosofia alternativa, un nuovo Tractatus technologico-ethicus, che eviti sia il principio speranza altamente problematico[18], perché proietta troppo nel futuro le attese finendo di dimenticare il presente sia il principio disperazione che un principio di radicale rassegnazione.
Anche per Jonas, come per Anders, va riattivata la paura a cui si deve riconoscere l’importanza strategica nel predisporre gli uomini all’imperativo ineludibile della sopravvivenza. Se quindi la novità del nostro agire esige un’etica nuova di estesa responsabilità, proporzionata alla portata del nostro potere, essa richiede, proprio in nome di quella responsabilità, anche un nuovo genere di umiltà: un’umiltà indotta, a differenza che nel passato, non dalla limitatezza, ma dalla grandezza abnorme del nostro potere di fare rispetto al nostro potere di prevedere, valutare e giudicare.[19]
Dinanzi al pericolo che scaturisce dalle smisurate dimensioni della Tecnica, osserva il filosofo tedesco, s’impone in primo luogo un atteggiamento di umiltà e in secondo luogo un dovere che spinge «in prima istanza verso un’etica della conservazione, della salvaguarda, della prevenzione e non del progresso e della perfezione»[20]. Pertanto, il principio responsabilità non potrà che essere un imperativo metafisico, trascendentale, non motivato da contingenze di ordine immediato. Jonas elabora un’etica globale, oltre gli steccati e recinti delle etiche tradizionali, che pone al centro la questione della tecnica e le tematiche ambientali ad essa connesse.
Il nuovo imperativo etico a differenza di quello kantiano, evoca «una coerenza, di tipo metafisico e non logico, non dell’atto in sé, ma dei suoi “effetti ultimi con la continuità dell’attività umana nell’avvenire”, e l’“universalizzazione” non è più ipotetica (“se qualcuno facesse così…”), «al contrario, le azioni sottoposte al nuovo imperativo, ossia le azioni della collettività, si universalizzano di fatto nella misura in cui hanno successo».[21] Il suo orizzonte resta, però, kantiano perché la reale autenticità della vita risiede propriamente nell’intreccio di responsabilità e libertà di cui l’uomo deve farsi carico per garantire la sopravvivenza alle generazioni future. La responsabilità assurge a modalità fondamentale della vita etica per stabilire un contatto con le generazioni future già nel presente.
Il problema è che il pericolo non investe più esclusivamente la nostra autoconservazione, ma il destino delle generazioni future. Jonas invoca un’euristica della paura[22] che significa saper prefigurare il pericolo attraverso un pensiero anticipante: la paura per Jonas non è un’emozione, intesa come reazione corporea e psicologica irriflessa, ma una forma di pensiero valutativo che compone la responsabilità. La paura, infatti, non è solo la forza positiva che induce all’azione, ma la condizione conoscitiva dell’oggetto della nostra responsabilità; è ciò che spinge a interrogarci sul significato di “umanità” e sulle condizioni di vita che noi vorremmo realizzare per l’intera umanità.
«Non permettere che la paura distolga dall’agire, ma piuttosto sentirsi responsabili in anticipo per l’ignoto costituisce […] proprio una condizione della responsabilità dell’agire […] Quando parliamo della paura che per natura fa parte della responsabilità, non intendiamo la paura che dissuade dall’azione, ma quella che esorta a compierla; intendiamo la paura per l’oggetto della responsabilità».[23]
Le nuove forme e le nuove dimensioni dell’agire esigono un’etica della previsione e della responsabilità in qualche modo proporzionale ai vertiginosi sviluppi della tecnica.[24] Il primo comandamento è l’esistenza dell’umanità di fronte alla triplice la natura del rischio: in primo luogo la catastrofe nucleare; in secondo luogo il collasso ecologico; in terzo luogo il rischio di una manipolazione genetica che può condurre a una perdita dell’unità e dell’integrità del genere umano.
Se confrontiamo queste schematiche considerazioni sul capolavoro di Jonas con la posizione andersiana, anche qui la lontananza tra i due autori è nettissima benché vi siano tratti comuni, come la condivisione del sentimento della paura e della sua percezione. Non avere paura della paura è il filo conduttore che lega questi due grandi pensatori tedeschi, G. Anders e H. Jonas, anche se seguono due direttrici diverse: la paura per Anders è lo strumento della riattivazione del sentire e della ricomposizione del dislivello prometeico, mentre per Jonas l’euristica della paura è uno strumento di ricerca che permette agli uomini di scoprire, attraverso la minaccia di uno stravolgimento dell’identità umana, il bene da salvaguardare: « […] soltanto il previsto stravolgimento dell’uomo ci aiuta a formulare il relativo concetto di umanità da salvaguardare; abbiamo bisogno della minaccia dell’identità umana – e di forme assolutamente specifiche di minaccia – per accertarci angosciati della reale identità dell’uomo».[25] Ad esempio, se non vi fosse l’omicidio, non conosceremmo la sacralità della vita.
Ma per entrambi l’etica diviene impegno personale nella promozione della sopravvivenza; diviene essenzialmente mobilitazione individuale e sociale per una più attenta valutazione del senso e della portata dello sviluppo tecnologico, e perciò impegno per il contenimento di una potenza che rischia di dissolvere l’essere umano e l’intera natura.
5. Il potere della paura: Hobbes, Foucault, Canetti
“Tu hai paura di tutto ciò che non viene dopo la morte” (Elias Canetti)
− Hobbes. Nei tempi del lockdown, la paura ha regnato sovrana, e quanti dibattiti politici, culturali, ideologici che hanno imperversato sui media e sui giornali non hanno chiamato per il loro nome la paura generalizzata che la pandemia aveva innescato. Il virus onnipotente e invisibile ha bussato alle porte serrate delle abitazioni e le mura domestiche hanno protetto dal contagio e dal pericolo. Lo stato di paura si è diffuso nelle coscienze degli individui tramutandosi in una fobia collettiva. Così, in un perverso circolo vizioso, la limitazione della libertà imposta dai governi viene accettata in nome di un desiderio di sicurezza che è stato indotto dagli stessi governi che ora intervengono per soddisfarlo.
Per Hobbes, la salute pubblica è stata appaltata al Leviatano, la creatura artificiale che si erge di fronte a coloro che con il loro patto l’hanno creato − coloro di cui è fatto − come un oggetto che incute soggezione e impone obblighi: sorveglianza, quarantena, controllo dei movimenti, vaccinazioni obbligatorie, uso sistematico delle mascherine e distanziamento sociale sono stati e sono i dispositivi per la gestione dell’emergenza di cui le autorità pubbliche hanno fatto uso in abbondanza.
Si è profilata la nuova normalità in nome della salute pubblica e della sicurezza; ciascun cittadino è chiamato alla responsabilità individuale e alla responsabilità per gli altri con gravi limitazioni dei movimenti e una sospensione del normale funzionamento delle condizioni di vita. Le macchine sostituiscano ogni contatto − ogni contagio − fra gli esseri umani. Lo stato d’emergenza porta con sé una potenziale sospensione della democrazia.
«Attraverso questa autorità di cui è stato investito da ogni singolo individuo nello Stato, esso [il Leviatano] è in grado di usare a tal punto il potere e la forza che gli sono stati conferiti, da piegare col terrore la volontà di tutti e fare in modo di indirizzare la volontà di ognuno al mantenimento della pace interna e all’aiuto reciproco contro i nemici esterni».[26]
Le riflessioni di Hobbes sulla paura si concentrano in quest’opera che segna la nascita della filosofia politica moderna. Lo Stato moderno emerge da un patto nato dalla paura perché gli uomini temendo di sopraffarsi reciprocamente trovano un accordo, stipulano un pactum per delegare il loro potere a un’autorità superiore che garantisca pace e sicurezza. Nell’Europa lacerata dalle guerre di religione, nell’Inghilterra dilaniata dai contrasti tra sovrano e Parlamento, la pace appariva a Hobbes il bene supremo, meritevole di qualsiasi sacrificio. L’aggressione genera prima la paura, poi l’impulso a uscire dalla paura attraverso un patto basato sulla rinuncia di ciascun individuo ai propri diritti naturali. La vita associata trae così la propria legittimazione dalla paura che si rivela fondativa di un mondo umano sostenibile.
Hobbes non parla del terrore che la tradizione poneva alla base dei regimi dispotici, ma di quella sana paura che salda l’istinto di autoconservazione alla società di sicurezza attraverso un calcolo razionale e utilitaristico tanto elementare quanto efficace: non ci può essere sopravvivenza senza sicurezza. Se proviamo invece a rovesciare il ragionamento: si potrebbe configurare sulle tracce del pensatore inglese uno scenario distopico molto simile a quelli descritti da tanta letteratura novecentesca in cui gli individui tiranneggiati da un potere totalitario sono controllati in ogni momento della loro giornata.
«Ma qualcuno potrebbe sostenere che Hobbes ci aiuta a immaginare non solo il presente ma il futuro: un futuro remoto, non inevitabile, e tuttavia forse non impossibile. Supponiamo che la degradazione dell’ambiente aumenti fino a raggiungere livelli oggi impensabili. L’inquinamento di aria, acqua e terra finirebbe col minacciare la sopravvivenza di molte specie animali, compresa quella denominata Homo sapiens sapiens. A questo punto un controllo globale, capillare sul mondo e sui suoi abitanti diventerebbe inevitabile. La sopravvivenza del genere umano imporrebbe un patto simile a quello postulato da Hobbes: gli individui rinuncerebbero alle proprie libertà in favore di un super-Stato oppressivo, di un Leviatano infinitamente più potente di quelli passati. La catena sociale stringerebbe i mortali in un nodo ferreo, non più contro 1’«empia natura», come scriveva Leopardi nella Ginestra, ma per soccorrere una natura fragile, guasta, vulnerata. Un futuro ipotetico, che speriamo non si verifichi mai».[27]
Non prometterebbe nulla di buono, come rileva C. Ginzburg, questo futuro ipotetico. Semmai, oggi in piena pandemia, vale la potente intuizione hobbesiana che siamo tutti uguali nella debolezza e nella vulnerabilità. E se la paura fosse la precondizione di un’etica del futuro che sappia congedarsi dagli effetti nefasti della mitologia della potenza dell’uomo prometeico?
− Foucault. Qui è interessante far interagire il paradigma hobbesiano del potere con quello foucaultiano. In un passo da Sorvegliare e punire, leggiamo: «La peste come forma, insieme reale e immaginaria, del disordine ha come correlativo medico e politico la disciplina. Dietro i dispositivi disciplinari si legge l’ossessione dei “contagi”, della peste, delle rivolte, dei crimini, del vagabondaggio, delle diserzioni, delle persone che appaiono e scompaiono, vivono e muoiono nel disordine».[28]
La disciplina è rimedio e antidoto all’epidemia come disordine reale e simbolico perché risponde a due esigenze: massima osservanza della legge e massima capacità di rendimento. Efficacia ed efficienza sono le due caratteristiche del modello disciplinare che è l’espressione del potere nello svolgimento della sua introiezione sociale. Lo Stato è pensato come un Dio che è ovunque e ti vede, ma non si lascia intra-vedere. Lo Stato è pensato come un Dio che è ovunque e ti vede, ma non si lascia intra-vedere.
Il sistema del potere, simboleggiato nell’agghiacciante Panopticon, è pensato come invasivo e pervasivo contemporaneamente. Per Foucault invece, la salute pubblica è appaltata allo stato disciplinare. Il processo porta a una nuova visione dell’individuo nello Stato: non più persona, nel bene e nel male ma complesso di comportamenti. Lo Stato nella sua organizzazione è pensato da Foucault in termini di sicurezza e ha la necessità di porre un codice di comportamento fitto e uniforme in modo tale che possa più facilmente organizzare il suo stesso potere. In questo modo bisogna effettivamente porre una “uguaglianza” tra tutti gli uomini[29] per una sorveglianza capillare che permette di qualificare, classificare e punire: sicurezza e sopravvivenza, paura e morte entrano a far parte dell’orizzonte del pensiero politico. Tutto questo lo viviamo ancora oggi.
Rispetto a Hobbes, il pensatore francese procede a uno slittamento della società e dello stato verso un patto di sicurezza che non è privo di costi in termini di potere e di diritti né privo di
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L’Ucraina mette al bando “Guerra e Pace” dalle scuole. Resterà solo “Guerra”…
L’Ucraina ha annunciato la messa al bando di “Guerra e Pace” di Leone Tolstoj e di molti altri romanzi storici che ritraggono le forze armate russe sotto una buona luce. La mossa arriva mentre il conflitto tra Russia e Ucraina continua a infuriare nel terzo mese dal suo inizio a fine febbraio, ha annunciato il primo viceministro dell’Istruzione Andrey Vitrenko a Ucraina 24.
“Tutti questi libri saranno completamente esclusi dalla letteratura straniera“, ha dichiarato Vitrenko, che ha citato il romanzo come uno dei libri che verranno tagliati dai programmi scolastici.
Quindi, ad esempio, “Guerra e pace” non sarà più studiato in Ucraina”, ha detto, riferendosi al romanzo, che è stato adattato in numerosi film, tra cui una serie della BBC del 2016.
Il ministro Vitrenko ha dichiarato che il Ministero dell’Istruzione sta preparando una lista di libri da bandire in linea con l’editto emanato dal Ministero della Cultura e dell’Informazione di Kiev, che ha annunciato che le opere letterarie che “promuovono la propaganda russa” saranno rimosse dalle biblioteche ucraine e sostituite con letteratura ucraina.
Il romanzo più famoso di Tolstoj, “Guerra e pace”, è stato un caposaldo della letteratura, non solo nel mondo russo, ma anche in quello inglese, dove è noto per la lunghezza e la densità delle pagine che descrivono l’invasione francese della Russia nel 1812. Un’ambientazione storica accurata, molto sentita dai patrioti russi, ma che ha avuto una grande ricaduta nella cinematografia e nella musica.
La scelta risulta anche praticamente discutibile: Tolstoj narra della guerra contro un invasore, in questo caso Napoleone Bonaparte, e come questo possa essere sconfitto. Tra l’altro anche per merito degli ucraini, all’epoca parte dell’Impero dello Zar. Quando ci si vuole far male da soli, lo si fa bene, e solitamente questo avviene grazie al fanatismo.
FONTE: https://scenarieconomici.it/lucraina-mette-al-bando-guerra-e-pace-dalle-scuole-restera-solo-guerra/
Behemoth e Leviathan exsistent. Carl Schmitt e l’arcano
di Ludovico Cantisani
Il giurista tedesco Carl Schmitt rappresenta una delle pietre angolari del pensiero del Novecento. Non solo e non tanto perché sulle sue tesi, e soprattutto sulla sua nozione di “stato d’eccezione”, sono stati pubblicati innumerevoli libri, saggi e riflessioni, l’ultimo, di poche settimane fa, Che cos’è lo stato di eccezione? secondo Mariano Croce e Andrea Salvatore (Nottetempo, 2022). Schmitt è una pietra angolare anche e soprattutto in virtù della sua non sopita capacità di fare scandalo, uno scandalo che solo in parte si giustifica con la sua momentanea adesione e partecipazione ai primi anni del potere hitleriano in Germania. Ma sfogliare le sue pagine tuttora dona un brivido inesplicabilmente panico, come se in opere di filosofia del diritto in parte datate sia rimasto oscuramente celato qualcosa di grandioso, come un segreto antichissimo che si sporge alla luce.
Giudicata “ai limiti dell’escatologico”, e dello gnostico, da Franco Volpi, ogni pagina di Schmitt è prima di ogni altra cosa una grande lezione di eleganza di pensiero, e di stile. La prosa di Schmitt è segretamente ossessiva, come tutte le grandi prose, quando non lo sono apertamente. Senza dubbio, si tratta di un inseguimento: di riga in riga, di pagina in pagina, Schmitt insegue come un cacciatore sacro le “parole originarie” – il conio è suo – su cui intessere una griglia di interpretazione del politico, e del giuridico. Nihil aliud. Ogni fondazione parte dal tracciare una linea di confine, lo sa fin troppo bene Remo. Ecco allora i confini di Schmitt.
“Un intrigante amalgama di interpretazione storica e teoria politica, mitografia e teologia, filosofia ed esoterismo”, venne definito da Franco Volpi il fortunato saggio di Schmitt Terra e mare, in un’elencazione che potrebbe facilmente essere estesa all’intero corpus schmittiano, e a ogni discorso potenziale sulla sua prosa.
“Più che offrirci un’interpretazione storica, Schmitt ci pone dinanzi a una visione”.
Una visione che non ha paura di scontrarsi con la Storia, di basarsi su di essa e, alla bisogna, di affidarsi al suo vaglio. Vaglio che può essere anche negativo: a Norimberga Schmitt dovette usare tutta la sua ars retorica per chiarire la differenza di piani di discorso che intercorreva tra la sua teoria dei “grandi spazi” e i richiami hitleriani della necessità di uno “spazio vitale” per la razza ariana, e scampare così a un processo al fianco dei veri gerarchi. La riflessione che fa Schmitt non ha mai la pretesa di essere immune dalla storia passata, rispetto alla quale è anzi molto precisa nella ricostruzione, soprattutto in ciò che riguarda atti legislativi o giuridici; e sa di poter non essere giudicata esente di conseguenze per un’eventuale storia futura, quando nelle sue analisi subentrano subdolamente degli elementi di profezia circa i nuovi nomos.
Il senso dell’impresa concettuale di Schmitt – impresa, non opera, perché Schmitt, sia pure dall’altro lato della barricata, è stato uno dei pochi pensatori del Novecento a mettere alla prova della Storia e della prassi le proprie idee – lo si ritrova in un suo testo del 1952, L’unità del mondo. Qui Schmitt non parla per sé – lo ha fatto, ma sempre a modo suo, in Ex Captivitate Salus – ma dalla prospettiva dei grandi Stati-blocco della Guerra fredda, dell’Est e dell’Ovest del mondo, URSS ed USA. Entrambi, agli occhi di Schmitt, tentano la loro “autointerpretazione in termini di filosofia della storia”.
E una simile formulazione è interessantissima, soprattutto in un momento, quale è il nostro, in cui la guerra e con essa la Grande Storia torna a bussare alle porte dei nostri giornali, agli angoli non più praticati delle nostre cronache.
Alla forza del marxismo dell’Est, “filosofia della storia in sommo grado”, l’Occidente ha saputo replicare soltanto con una più timida “filosofia della storia saint-simoniana del progresso industriale e dell’umanità pianificata, con tutte le sue numerose varianti e volgarizzazioni”.
Gli intellettuali vivono nell’angoscia provocata dalla “consapevolezza di una discrepanza fra progresso tecnico e progresso morale”, ma “le masse non si perdono in certi dubbi”, e si lasciano conquistare dall’ideale fantastico di un mondo tecnicizzato. Ideale che era lo stesso annunciato da Lenin, quando parlò di un’unità della Terra elettrificata: “qui fede orientale e fede occidentale confluiscono l’una nell’altra”.
In queste parole si lascia cogliere una sinistra corrispondenza di intenti che, negli stessi anni dello Schmitt de L’unità della terra, faceva tremare anche Heidegger di fronte a L’essenza della tecnica. Non per forza l’unità è un bene , soprattutto se affidata a una forza spersonalizzata o spersonalizzante come l’elettricità.
Passaggi come questo dimostrano appieno la profonda attenzione tributata da Schmitt all’attualità che lo circondava, attenzione che è però inattuale, se così si può dire.
Pochi pensatori del Novecento sono stati così consequenziali e deduttivi nello stile del pensare, eppure il suo armamentario concettuale, e l’immaginario visivo da cui attinge per illustrare i suoi concetti, è antichissimo. Schmitt è uno degli ultimi, grandi pensatori cattolici, e uno dei più complessi, sin dai tempi della Controriforma.
Dopo di lui c’è solo René Girard, poi il pensiero occidentale sembra intenzionato a fare del tutto a meno del messaggio di Cristo. Messaggio che, in sé e per sé, nel suo portato salvifico, è invero poco presente nelle pagine di Schmitt: da buon primitivo, lui guarda indietro, più indietro, verso i tempi del Diluvio, o tutt’al più di Giobbe. Magnifico commentatore di Hobbes, Schmitt non teme di evocare, in pieno XX secolo, il Leviatano, e anche la sua controparte terrigna, l’ancor più ineffabile Behemoth. Behemoth et Leviathan erano una coppia di mostri biblici su cui già William Blake nel secolo precedente si era inerpicato, ma più come pittore che come poeta. Risvegliarli in pieno Novecento non fu impresa da poco, l’occasione venne data a Schmitt da un agile saggio intitolato Terra e mare. Scritto che, nella sua brevità, rappresenta un punto cruciale nell’evoluzione del pensiero di Schmitt, perché segna le prime occorrenze del concetto escatologico di katechon.
“I cabalisti dicono che Behemoth si sforza di dilaniare il Leviatano con le corna o con le zanne, mentre il Leviatano serra con le pinne la bocca e il naso dell’animale terrestre, in modo che non possa più mangiare né respirare”.
In Terra e mare, il gusto di Schmitt per le immagini albeggia sin dalle prime pagine, non meno del suo amore per un’ontologia dei conflitti, che pone il tedesco in una genealogia diretta con Eraclito.
“Ora questa è – icastica come solo un’immagine mitica può esserlo – la rappresentazione del blocco di una potenza terrestre da parte di una potenza marittima, che taglia i rifornimenti alla terraferma per affamarla”. Poche pagine dopo Schmitt non temerà neanche di scomodare il Moby Dick di Melville, definendolo “il più grande epos dell’oceano in quanto elemento” mai scritto; e per tutta la lunghezza di Terra e mare la dimensione saggistica resta assediata da una sotterranea pulsione romanzesca, con cui Schmitt traccia, nella cornice ideale di un racconto fatto a sua figlia Alma, l’opposizione tra potenze marittime e potenze terragne nella storia dell’Occidente, sin dai tempi di Roma e Cartagine.
Gli sforzi teorici dell’ultimo Schmitt confluirono in quello che rimase uno dei suoi testi più voluminosi, Il nomos della terra – per l’esattezza, Il Nomos della Terra nel diritto Internazionale dello «Jus publicum europaeum». Questo lungo saggio, datato 1950, riprendeva le preoccupazioni del più coinciso Terra e mare, e sarebbe stato ulteriormente riverberato in due testi radiofonici, messi in onda negli anni cinquanta, il Dialogo sul potere e il Dialogo sul nuovo spazio. Per l’ultimo Schmitt, il punto sferzante è sempre quello: se già la scoperta dell’America e l’affermarsi della Gran Bretagna come vasto impero transoceanico avevano rappresentato una rivoluzione giuridica e quasi ontologica, perché ha accostato accanto al tradizionale nomos della terra il ben più sfuggente ambito del mare e dell’oceano, i progressi della tecnica stanno complicando ulteriormente la questione, perché adesso ad assistere al passaggio di uomini di diversi Stati ed, eventualmente, a entrare in guerra e diventare materia di conflitto c’è anche il cielo.
Schmitt non ha potuto assistere agli esiti, per il momento, ultimi della tecnica, all’instaurazione di un mondo dapprima digitale e adesso, sempre più spesso, tout court virtuale. Il virtuale è l’antitesi definitiva a ogni nomos della terra, a ogni fondazione chiara, a ogni confine netto: il virtuale è un regno di atopia. L’insistenza di Schmitt sulla terra come nomos resta nondimeno essenziale proprio nell’evidenziare una cesura. Il digitale ha dato un’illusione di unità al mondo, che il blocco di Facebook e Instagram imposto dalla Russia ha senza dubbio contribuito a scalfire. Lo diceva anche Roberto Calasso ne L’Innominabile Attuale: l’imporsi del digitale sta implicando delle rivoluzioni anzitutto cognitive nell’umano e nel sociale, che nessuno studioso di nessuna disciplina contemporanea sembra intenzionato ad affrontare fino in fondo. Se Schmitt aveva predicato cautela e attenzione nel momento fatidico dell’instaurarsi del “terzo nomos” dopo terra e mare, il nomos dei cieli, a maggior ragione oggi avrebbe rinnovato il monito su cui si chiudeva il Dialogo sul nuovo spazio: “la sottomissione della tecnica scatenata, questa sarebbe l’impresa degna di un nuovo Eracle!”.
Proprio qui si coglie il risvolto primitivo del pensiero di Schmitt. Primitivo non à la Lévi-Strauss, non solo perlomeno, primitivo nel senso di archetipico, di inevitabilmente religioso, di pericolosamente vicino a tutto ciò che, nel duplice senso della parola, compone gli arcana imperii. In quella rete eterogenea di filosofi, antropologi, romanzieri e psicologi alla Julian Jaynes che si potrebbero variamente definire “pensatori della secolarizzazione”, Schmitt riveste una posizione unica, sia per l’eterogeneità del suo percorso, sia per il suo carattere superbamente metariflessivo. Che un antropologo come Ernesto de Martino affermi che le esperienze di “apocalisse psicopatologiche” narrate nella letteratura esistenzialista dei suoi anni siano il riflesso simmetrico, in un tempo di crisi del rito, dei miti di “apocalisse culturale” tramandati dalle civiltà antiche, è un conto; che sia un filosofo del diritto e del politico ad affermare, a proposito della sua stessa disciplina, che “tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello stato sono concetti teologici secolarizzati” apre questa diagnosi a una dimensione riflessiva inaspettata, per speculum.
Ecco allora spiegata l’invocazione a Behemoth e al Leviatano non solo nell’affrontare la produzione di Hobbes, ma anche in un saggio metastorico come Terra e Mare: Schmitt pensa di praticare in prima persona una forma secolarizzata di teologia, e non teme di adoperare in forma esplicita alcuni dei concetti e dei protagonisti di quella “scienza madre” ormai defunta. È un gioco di specchi.
Risvegliare i mostri, invocare i titani. Non si può dire che l’agenda intellettuale di Schmitt mancasse di imprese cavalleresche, degne d’altri tempi. Conficcata nel cuore del Novecento nella posizione più insicura e al tempo stesso più vicina alle mostruosità del politico, nella posizione di chi bene o male si è compromesso col regime nazista al suo sorgere, la sua opera si erge tuttora come un’aspra lezione. All’interno della sua produzione, per potenza simbolica e per una capacità insperata di commischiare un pensiero “pagano” con i simboli della tradizione giuridico-cristiana, Terra e mare riveste una posizione felicemente liminare, a cui si deve la brillantezza della prosa di quel saggio. Se altri suoi testi più pragmatici come la giovanile Teologia politica o il più conclusivo Il nomos sulla terra possono assolvere più facilmente alla funzione cronachistica di essere riesumati per commentare il presente – nella contingenza, il conflitto tra Russia e Ucraina, o, prima, il Coronavirus – Terra e mare preserva l’eleganza intatta di un sovrastorico incarnato.
“Non pretendere di forzare gli arcana, ma aspetta di esservi ammesso e iniziato in forma conveniente”, scrisse Schmitt ad Ernst Jünger nel 1938, “altrimenti potresti essere tentato di distruggere qualcosa di indistruttibile”. Si parlava, ancora una volta, del Leviatano, ma con una magnifica incertezza fra l’originario Leviatano di Hobbes e il commento che Schmitt gli aveva dedicato in quell’anno tanto fatidico per la storia della Germania. Far così spesso riferimento ai mostri biblici, all’interno di testi per il resto così cristallini e quasi kantiani nella conseguenzialità delle loro teorie e interpretazioni, sembra quasi una cesura, una reazione restaurativa, nei confronti della cecità illuminista contro il sacro, ma anche un corollario del più oscuro monito goyano. La biografia stessa di Schmitt lascia intendere come, a furia di studiare i mostri, ci si possa trovare ad affiancarli.
C’è un verso meraviglioso di Eliot, dice You ought to be ashamed, I said, to be so antique. Si trova al termine della seconda stanza della Terra desolata, e le traduzioni, qui, un po’ si perdono: “ti dovresti vergognare, dissi, di sembrare una mummia” è la più comune, ma non rende appieno il tono disarmante e dolce di quell’antique.
Se la teoria junghiana non ha l’esclusiva sul concetto di “archetipo”, si può dire che il pensiero di Schmitt, almeno nella seconda parte del suo percorso inaugurata proprio da Terra e mare, proceda con fare archetipizzante. Dev’essere in questo che risiede la sua forza, dev’essere in questa inattualità dei simboli, che rende le tesi schmittiane paradossalmente contemporanee a ogni momento, e a ogni congiuntura.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/filosofia/22899-ludovico-cantisani-behemoth-e-leviathan-exsistent-carl-schmitt-e-l-arcano.html
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
SEGRETI DI MAFIA
Augusto Sinagra 12 05 2022
Sulla sconcertante decisione dell’altrettanto sconcertante governo in carica, e sull’altrettanto sconcertante decisione della Signora Ursula von der Prfizer, di opporre il segreto di Stato militare (ma non si capisce la Ursula von der Pfizer a quale Stato si riferisce poiché l’Unione europea è certamente una gran porcheria mentre sicuramente non è uno Stato e, diversamente, lo Stato italiano è anche una gran porcheria, cioè una porcheria di Stato), la melmosa informazione italiana ha fatto e fa orecchie da mercante come se la cosa non avesse importanza e le due criminose decisioni quasi non esistessero.
Il punto centrale della questione è che si vuole nascondere una verità inconfessabile che, se conosciuta, come pur stupidamente a titolo “giustificatorio” è stato detto in sede europea, metterebbe a rischio l’ordine pubblico; cioè potrebbe essere causa di rivolte popolari, disordini di piazza e proteste incontrollabili.
In tale situazione si può solo pensare che il segreto opposto voglia nascondere il vero luogo e i veri metodi di fabbricazione di un’arma batteriologica. Solo in questo senso si spiegherebbe il segreto militare.
E l’ipotesi andrebbe necessariamente correlata a quanto denunciato anche in sede ONU dalle Autorità russe circa l’esistenza in Ucraina di laboratori biologici creati, finanziati e gestiti da noti criminali a stelle e strisce.
Con il segreto militare opposto si vogliono nascondere gli eventi avversi già da prima conosciuti, conseguenti all’inoculazione di sieri mortali i cui effetti già si verificano ora in numero impressionante, ma ancor peggio sarà sul lungo periodo.
Dunque, si vuole nascondere una preordinata e concertata azione criminale genocidiaria di programmato sterminio di intere popolazioni.
A fronte della presente situazione le cosche mafiose e i loro segreti sembrano apparire quasi come oratori e sale giochi di istituti religiosi.
FONTE: https://t.me/radiofogna/388
ECONOMIA
Che cosa significa parlare di “economia di guerra”
Il presidente francese Emmanuel Macron è stato solo l’ultimo di una serie di leader occidentali che ha parlato di “economia di guerra” in seguito allo sdoganamento delle conseguenze del conflitto russo-ucraino. Altri leader, come Viktor Orban, sono arrivati a dichiarare veri e propri stati d’emergenza per la guerra in Ucraina e la condotta di Mario Draghi alla guida del governo italiano, secondo la prestigiosa Frankfurter Allgemeine Zeitung, assomiglia sul fronte energetico e finanziario all’antesignana di un’economia di guerra.
Ma nessuno ha parlato con la chiarezza di Macron. “La Francia e l’Unione europea sono entrate in una economia di guerra” per la quale “dovremmo organizzarci per molto tempo”, ha dichiarato il presidente francese nella giornata del 13 giugno intervenendo a Eurosatory, la più grande mostra internazionale di difesa e sicurezza del territorio. Macron ha parlato di “un’economia in cui dovremo andare più veloci, pensare diversamente su ritmi, aumenti di carico, margini. Per poter ricostituire più velocemente ciò che è essenziale per le nostre forze armate, per i nostri alleati, o per chi vogliamo aiutare. Un’economia, in fondo, in cui non si può più vivere al ritmo e con la grammatica anche di un anno fa. Tutto è cambiato”. Di nuovo, due anni dopo il Covid, siamo al nuovo mantra: “niente sarà più come prima“.
Ieri il Covid, da Draghi stesso paragonato a una “guerra” nel celebre editoriale del marzo 2020 sul Financial Times, ha riportato nel gergo giornalistico e politico la retorica bellica, oggi il conflitto a Est fa sentire all’Europa quanto, in realtà, una guerra combattuta sia molto peggio di una pandemia: costringe a schierarsi, impone costi immediati, genera incertezza, ridefinisce strutturalmente le priorità. E se l’Europa, come gli Usa, non è in campo boots on the ground contro la Russia, lo è di fatto sul fronte economico, finanziario, tecnologico, energetico, industriale. Dimensioni di una competizione multilivello che nemmeno Macron, alla guida del fronte dei mediatori, può ignorare. Tanto che il termine economia di guerra torna in campo con tutte le sue sfaccettature. Da capire oggi più che mai.
Chiariamo un concetto preciso: l’economia di guerra non si sovrappone con la guerra economica se non in minima parte. Laddove la guerra economica è l’utilizzo, sia in un contesto esplicito che in una situazione di pace, della finanza, dell’industria, delle imprese strategiche come volano per mettere sotto pressione un Paese ostile, l’economia di guerra fa riferimento all’allocazione delle risorse e alla gestione degli approvvigionamenti di un sistema impegnato in uno scenario di conflitto.
Parlare di economia di guerra è dunque oggigiorno la maniera più facile per parlare dello stato di conflittualità di fatto in cui l’Europa si trova, via Occidente, con la Russia e del fatto che esso impone politiche degne di una fase in cui bisognerebbe combattere sul campo una campagna: razionalizzare le forze produttive nei settori in cui si ritiene che l’avversario possa sfruttare le vulnerabilità e, dunque, operare azioni di guerra economica contro il tessuto produttivo nazionale.
Per fare un esempio relativo alla Seconda guerra mondiale, economia di guerra era la razionalizzazione produttiva imposta dal governo di Winston Churchill grazie a Lord Beaverbook per ingenerizzare la produzione aeronautica ai tempi della Battaglia d’Inghilterra; guerra economica era la campagna di bombardamenti contro la Germania mirante a colpire la forza lavoro e i settori della componentistica (cuscinetti a sfera in testa) ove il Reich era deficitario. Fu economia di guerra la scelta di Stalin di spostare oltre gli Urali buona parte della capacità industriale sovietica nel 1941 di fronte all’invasione nazista; fu guerra economica quella che portò l’anno successivo l’Armata Rossa a incendiare Majkop e i pozzi del Caucaso per non lasciarli cadere in mano ai tedeschi.
La guerra economica è stata una costante nella storia: le azioni pirate di Sesto Pompeo ai tempi delle guerre civili romane, la Quarta Crociata dirottata da Venezia contro Costantinopoli nel 1204, le azioni corsare inglesi contro i galeoni spagnoli, il blocco continentale di Napoleone Bonaparte sono solo alcuni degli esempi di strategie esplicite di guerra economica del passato. L’economia di guerra è parte invece della storia recente, dell’era dell’industrializzazione, del fordismo-taylorismo, della pianificazione strategica dello Stato. L’idea stessa di mobilitazione totale in determinati settori delle capacità produttive nazionali per ovviare a un’emergenza sistemica è stata messa in pratica dai Paesi coinvolti, in forma compiuta, non prima della Grande Guerra, per poi evolvere in guerra totale nel successivo, ancora più devastante conflitto mondiale.
Le parole di Macron collegano, per la prima volta in questa crisi, l’idea di “economia di guerra” in Europa al potenziamento dell’esercito, del resto già affermato come principio dalla Francia ben prima della guerra d’Ucraina. Pictet del resto ha scritto che questo è, lessicalmente, il senso compiuto di un’economia di guerra: “L‘economia di guerra, dunque, trasforma completamente l’organizzazione di uno Stato, facendo del conflitto, degli armamenti e del mantenimento dell’esercito le priorità assolute. Con un altro effetto collaterale: l’economia di guerra tende ad accelerare e assorbire alcune tecnologie, favorendo l’osmosi tra innovazioni civili e belliche. Basti pensare a telegrafo, motore a scoppio, energia nucleare. La stessa Internet ha le proprie radici in un progetto militare statunitense ai tempi della Guerra Fredda”.
In quest’ottica qui, non essendo l’Occidente in campo contro la Russia sul piano militare, il fronte degli armamenti si limita al sostegno, tutt’altro che ridotto, a Kiev. Ma mutatis mutandis ci sono settori in cui i principi chiave dell’economia di guerra sono, in questa fase, riscontrabili:
- Mobilitazione settoriale di tutte le energie a disposizione: sul campo energetico questo è divenuto palese. L’obiettivo politico di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia si è sostanziato in una serie di misure sanzionatorie contro Mosca e in un contesto di diplomazia globale dei Paesi europei per depotenziare il ricatto energetico russo.
- Disponibilità al sacrificio: l’economia di guerra costa. Costa in termini di deviazione della produzione e dei redditi dai settori tradizionali e costa soprattutto in termini di rincari e inflazione. Con un atteggiamento controintuitivo per la nostra tradizionale visione, e sotto certi punti di vista indubbiamente miope, ad esempio l’Europa accetta di subire danni maggiori rispetto a quelli degli Usa e a vedere potenziare la propria difficoltà economica pur di perseguire l’obiettivo di piegare la Russia mentre i prezzi energetici sono in volo.
- Accelerazione tecnologica:le discussioni sulla difesa europea parlano chiaro. L’economia di guerra impone il metodo di gestione delle risorse taylorista in virtù della massima efficienza di ogni denaro e ogni lavoratore impegnato. Logico che a essere favorite siano quelle branche che, nella Difesa o in altri settori, offrono i ritorni strategici più certi, mentre settori fragili possono essere lasciati indietro.
- Keynesismo militare: l’accelerazione degli investimenti in Difesa, indubbiamente, esiste e la minaccia russa la giustifica. Oltre che per autodifesa, le spese militari tendono a inflazionarsi in un contesto di economia di guerra perché l’emergenza chiama la necessità del riarmo e questo mobilita una grande quantità di fondi pubblici. Il budget della Difesa di un governo, secondo un’applicazione accelerata dei dettami di John Maynard Keynes stabilizza il ciclo economico espandendo notevolmente la domanda pubblica. Questo vale, nella situazione attuale, anche per energia e settori ad alta intensità tecnologica.
- Programmazione governativa: gli Stati sono tornati in campo col Covid e puntano a farlo anche ora, stabilizzando i mercati più a rischio. Si sospendono in diversi settori le leggi del mercato (vedesi il proliferare di pratiche come il golden power e le minacce del loro utilizzo) mentre al contempo si analizza la possibilità di introdurre calmieri ai prezzi per ragioni di interesse nazionale.
- Inflazione: investimenti, rincari e tensioni accelerano la crescita del costo della vita. Le piogge di fondi pubblici fanno il resto nell’accelerare un’inflazione in cui, oggigiorno, gioca un ruolo anche la carenza strutturali di fattori produttivi importanti in Europa. L’inflazione è in genere il ricordo più problematico di una fase post-bellica, come il drammatico caso della Germania di Weimar conferma, ma in questo caso sta facendo già danni in un’economia europea decisamente falcidiata dalla crisi.
La risposta al Covid aveva in parte messo in campo alcuni di questi principi e del resto anche Draghi nel 2020 aveva parlato della necessità di una “mobilitazione” contro il coronavirus. Rispetto a due anni fa non siamo ancora arrivati alle riconversioni di massa delle industrie in funzione di contrasto all’emergenza, allora rappresentata dalla carenza di farmaci e dispositivi sanitari, ma vi è sicuramente il problema aggiuntivo dell’inflazione, dell’accelerazione tecnologica, della pianificazione.
In economia di guerra viene meno, come anticipato ogni logica di mercato e la sicurezza diventa la priorità. Sicurezza degli approvvigionamenti delle materie prime, del controllo sulle filiere, della gestione di prodotti finiti in settori strategici ma non sicurezza della stabilità per i cittadini, spesso lasciati indietro e vittime del carovita e delle sue conseguenze. La guerra in Ucraina porta l’Occidente non schierato sul campo a combattere con l’economia bellica, e questa è l’immagine più forte di un evento che corona il lungo ventennio delle emergenze (terrorismo, finanza, pandemia, crisi climatica) a cui i decisori, soprattutto in Europa, hanno risposto spesso con nuovi strappi alle regole e nuove centralizzazioni dei sistemi produttivi.
Senza arrivare però a tenere in considerazione, se non minimamente, il vero danno causato da ogni situazione emergenziale come l’economia di guerra: le disuguaglianze legate principalmente al fatto che le perdite di un sistema emergenziale si distribuiscono su una platea ampia. Nel 2007-2008 la Grande Recessione colpì le imprese, nel 2020 il Covid recluse e costrinse alla cassa integrazione milioni di lavoratori in tutta Europa, oggi il caro-energia divora le prospettive del ceto medio assieme all’inflazione. Un copione consolidato, che rischia di fiaccare gradualmente le capacità delle popolazioni di resistere a situazioni tanto dure. E ai cui effetti i decisori non riescono a porre alcun rimedio che non sia un tampone temporaneo fatto di sussidi e bonus.
FONTE: https://it.insideover.com/schede/guerra/che-cosa-significa-parlare-di-economia-di-guerra.html
L’imminente frattura globale causata dallo scontro tra diversi ordini economici
Intervista a Michael Hudson
Il post che segue è la traduzione di un’intervista al prof. Michael Hudson pubblicata su The Unz Review. Un’altra analisi essenziale per comprendere gli avvenimenti epocali che stiamo vivendo e orientarci in un mondo che si fa sempre più complesso, oltre che “grande e terribile”. L’originale lo puoi trovare qui.
Prof. Hudson, è uscito il suo nuovo libro “Il destino della civiltà”. Questo ciclo di conferenze sul capitalismo finanziario e la nuova guerra fredda presenta una panoramica della sua particolare prospettiva geopolitica.
Lei parla di un conflitto ideologico e materiale in corso tra Paesi finanziarizzati e deindustrializzati come gli Stati Uniti contro le economie miste di Cina e Russia. In che cosa consiste questo conflitto e perché il mondo si trova in questo momento in un “punto di frattura” particolare, come afferma il suo libro?
L’attuale frattura globale sta dividendo il mondo tra due diverse filosofie economiche: Nell’Occidente USA/NATO, il capitalismo finanziario sta deindustrializzando le economie e ha spostato l’industria manifatturiera verso la leadership eurasiatica, soprattutto Cina, India e altri Paesi asiatici, insieme alla Russia che fornisce materie prime di base e armi.
Questi Paesi sono un’estensione di base del capitalismo industriale che si sta evolvendo verso il socialismo, cioè verso un’economia mista con forti investimenti governativi nelle infrastrutture per fornire istruzione, assistenza sanitaria, trasporti e altre necessità di base, trattandole come servizi di pubblica utilità con servizi sovvenzionati o gratuiti per queste necessità.
Nell’Occidente neoliberale degli Stati Uniti e della NATO, invece, questa infrastruttura di base viene privatizzata come un monopolio naturale che estrae rendite.
Il risultato è che l’Occidente USA/NATO è rimasto un’economia ad alto costo, con le spese per la casa, l’istruzione e la sanità sempre più finanziate dal debito, lasciando sempre meno reddito personale e aziendale da investire in nuovi mezzi di produzione (formazione del capitale).
Ciò pone un problema esistenziale al capitalismo finanziario occidentale: come può mantenere il tenore di vita di fronte alla deindustrializzazione, alla deflazione del debito e alla ricerca di rendite finanziarizzate che impoveriscono il 99% per arricchire l’1%?
Il primo obiettivo degli Stati Uniti è dissuadere l’Europa e il Giappone dal cercare un futuro più prospero in legami commerciali e di investimento più stretti con l’Eurasia e l’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (SCO). Per mantenere l’Europa e il Giappone come economie satelliti, i diplomatici statunitensi insistono su un nuovo muro di Berlino economico fatto di sanzioni per bloccare il commercio tra Est e Ovest.
Per molti decenni la diplomazia statunitense si è intromessa nella politica interna europea e giapponese, sponsorizzando funzionari filo-neoliberali alla guida dei governi. Questi funzionari sentono che il loro destino (e anche la loro fortuna politica personale) è strettamente legato alla leadership statunitense. Nel frattempo, la politica europea è diventata fondamentalmente una politica della NATO gestita dagli Stati Uniti.
Il problema è come tenere il Sud globale – America Latina, Africa e molti Paesi asiatici – nell’orbita USA/NATO. Le sanzioni contro la Russia hanno l’effetto di danneggiare la bilancia commerciale di questi Paesi, aumentando drasticamente i prezzi del petrolio, del gas e dei prodotti alimentari (nonché di molti metalli) che devono importare. Nel frattempo, l’aumento dei tassi di interesse statunitensi sta attirando i risparmi finanziari e il credito bancario verso i titoli denominati in dollari. Questo ha fatto aumentare il tasso di cambio del dollaro, rendendo molto più difficile per i Paesi della SCO e del Sud globale pagare il servizio del debito in dollari in scadenza quest’anno.
Ciò impone a questi paesi una scelta: o rimanere senza energia e cibo per pagare i creditori stranieri – anteponendo così gli interessi finanziari internazionali alla loro sopravvivenza economica interna – o andare in default sul debito, come è successo negli anni ’80 dopo che il Messico ha annunciato nel 1982 di non essere in grado di pagare gli obbligazionisti stranieri.
Come vede l’attuale guerra/operazione militare speciale in Ucraina? Quali conseguenze economiche prevede?
La Russia ha messo in sicurezza l’Ucraina orientale russofona e la costa meridionale del Mar Nero. La NATO continuerà a “punzecchiare l’orso” con sabotaggi e nuovi attacchi in corso, soprattutto da parte di combattenti polacchi.
I Paesi della NATO hanno scaricato in Ucraina le loro armi vecchie e obsolete e ora devono spendere somme immense per modernizzare il loro hardware militare. Il deflusso dei pagamenti al complesso militare-industriale statunitense eserciterà una pressione al ribasso sull’euro e sulla sterlina britannica – il tutto in aggiunta ai loro deficit energetici e alimentari in aumento. Pertanto, l’euro e la sterlina si dirigono verso la parità con il dollaro statunitense. L’euro ci è quasi arrivato (circa 1,07 dollari). Ciò significa un forte aumento dell’inflazione dei prezzi in Europa.
Ho letto e sentito informazioni contrastanti sulle nuove sanzioni. Alcuni esperti, sia a Est che a Ovest, ritengono che questo danneggerà enormemente l’economia nazionale della Federazione Russa. Altri esperti tendono a credere che si ritorceranno contro o avranno un enorme effetto boomerang sui Paesi occidentali.
La politica degli Stati Uniti è quella di lottare contro la Cina, sperando di separare le regioni occidentali degli Uiguri e di dividere la Cina in Stati più piccoli. A tal fine, è necessario eliminare il sostegno militare e di materie prime della Russia alla Cina – e, a tempo debito, suddividerla in una serie di Stati più piccoli (le grandi città occidentali, la Siberia settentrionale, un fianco meridionale, ecc.)
Le sanzioni sono state imposte nella speranza di rendere le condizioni di vita dei russi così sgradevoli da spingerli a cambiare regime. L’attacco della NATO in Ucraina è stato progettato per prosciugare militarmente la Russia – facendo sì che i corpi degli ucraini esaurissero le scorte di proiettili e bombe della Russia, dando le loro vite semplicemente per assorbire le armi russe.
L’effetto è stato quello di aumentare il sostegno russo a Putin, proprio il contrario di ciò che si voleva ottenere. C’è una crescente disillusione nei confronti dell’Occidente, dopo aver visto ciò che gli Harvard Boys hanno fatto alla Russia quando gli Stati Uniti hanno appoggiato Eltsin per creare una classe cleptocratica interna che ha cercato di “incassare” le sue privatizzazioni vendendo all’Occidente azioni del petrolio, del nichel e dei servizi pubblici, per poi stimolare gli attacchi militari dalla Georgia e dalla Cecenia. È opinione comune che la Russia stia compiendo una svolta a lungo termine verso est anziché verso ovest.
L’effetto delle sanzioni e dell’opposizione militare degli Stati Uniti alla Russia è stato quindi quello di imporre una cortina di ferro politica ed economica che ha costretto l’Europa a dipendere dagli Stati Uniti, mentre ha spinto la Russia a unirsi alla Cina invece di separarle. Nel frattempo, il costo delle sanzioni europee contro il petrolio e i prodotti alimentari russi – a tutto vantaggio dei fornitori di gas LNG e degli esportatori agricoli statunitensi – minaccia di creare un’opposizione europea a lungo termine alla strategia globale unipolare degli Stati Uniti. È probabile che si sviluppi un nuovo movimento “Ami go home”.
Per l’Europa, però, il danno è già stato fatto e né la Russia né la Cina probabilmente confidano che i funzionari governativi europei possano resistere alla corruzione e alle pressioni personali esercitate dall’interferenza statunitense.
Qui in Germania sto ascoltando il nuovo ministro dell’Economia, Robert Habeck del partito dei Verdi, che parla di attivare l’”emergenza gas” federale e chiede risorse agli Emirati (questo “accordo” sembra già fallito, dicono le notizie). Vediamo la fine del North Stream II e l’enorme dipendenza di Berlino e Bruxelles dalle risorse russe. Come si concluderà tutto questo?
In effetti, i funzionari statunitensi hanno chiesto alla Germania di commettere un suicidio economico e di provocare una depressione, un aumento dei prezzi al consumo e un abbassamento del tenore di vita. Le aziende chimiche tedesche hanno già iniziato a chiudere la produzione di fertilizzanti, dato che la Germania ha accettato le sanzioni commerciali e finanziarie che le impediscono di acquistare il gas russo (la materia prima per la maggior parte dei fertilizzanti). E le aziende automobilistiche tedesche stanno soffrendo per i tagli alle forniture.
Queste carenze economiche europee sono un enorme vantaggio per gli Stati Uniti, che stanno realizzando enormi profitti grazie al petrolio più costoso (che è controllato in gran parte da compagnie statunitensi, seguite da compagnie petrolifere britanniche e francesi). Il rifornimento di armi che l’Europa ha donato all’Ucraina è anche una manna per il complesso militare-industriale statunitense, i cui profitti sono in aumento.
Ma gli Stati Uniti non stanno riciclando questi guadagni economici verso l’Europa, che sembra la grande perdente.
I produttori di petrolio arabi hanno già respinto le richieste degli Stati Uniti di far pagare meno il loro petrolio. Si prevede che saranno i primi a guadagnare dall’attacco della NATO sul campo di battaglia per procura dell’Ucraina.
Sembra improbabile che la Germania possa semplicemente restituire alla Russia il Nord Stream 2 e le affiliate di Gazprom che hanno condotto scambi commerciali con la Germania. La fiducia è venuta meno. E la Russia ha paura di accettare pagamenti dalle banche europee dopo il furto di 300 miliardi di dollari delle sue riserve estere. L’Europa non è più economicamente sicura per la Russia.
La domanda è quanto presto la Russia smetterà di rifornire l’Europa.
Sembra che l’Europa stia diventando un’appendice dell’economia statunitense, sopportando di fatto il peso fiscale della Guerra Fredda 2.0 americana, senza alcuna rappresentanza politica negli Stati Uniti. La soluzione logica è che l’Europa si unisca agli Stati Uniti dal punto di vista politico, rinunciando ai propri governi ma ottenendo almeno qualche europeo nel Senato e nella Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti.
Quale ruolo giocano a) la nuova guerra fredda e b) il capitalismo finanziario neoliberale nell’attuale guerra tra Russia e Ucraina? Secondo la vostra recente ricerca.
La guerra USA/NATO in Ucraina è la prima battaglia di quello che sembra un tentativo ventennale di isolare l’Occidente dell’area del dollaro dall’Eurasia e dal Sud globale. I politici statunitensi promettono di mantenere la guerra in Ucraina a tempo indeterminato, sperando che questa possa diventare il “nuovo Afghanistan” della Russia. Ma questa tattica sembra ora minacciare di diventare l’Afghanistan dell’America. È una guerra per procura, il cui effetto è quello di bloccare la dipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti come oligarchia cliente, con l’euro come valuta satellite del dollaro.
La diplomazia statunitense ha cercato di mettere fuori gioco la Russia in tre modi principali. In primo luogo, isolandola finanziariamente escludendola dal sistema di compensazione bancaria SWIFT. La Russia ha risposto passando senza problemi al sistema di compensazione bancaria della Cina.
La seconda tattica è consistita nel sequestrare i depositi russi nelle banche statunitensi e i titoli finanziari americani. La Russia ha risposto raccogliendo gli investimenti statunitensi ed europei in Russia a basso costo, mentre l’Occidente li scaricava.
La terza tattica è stata quella di impedire ai membri della NATO di commerciare con la Russia. L’effetto è stato che le importazioni russe dall’Occidente sono diminuite, mentre le esportazioni di petrolio, gas e cibo sono aumentate. Questo ha fatto aumentare il tasso di cambio del rublo, invece di danneggiarlo. Mentre le sanzioni bloccano le importazioni russe dall’Occidente, il Presidente Putin ha annunciato che il suo governo investirà pesantemente nella sostituzione delle importazioni. L’effetto sarà una perdita permanente dei mercati russi per i fornitori e gli esportatori europei.
Nel frattempo, i dazi di Trump contro le esportazioni europee negli Stati Uniti rimangono in vigore, lasciando all’industria europea opportunità commerciali sempre più ridotte. La Banca Centrale Europea potrebbe continuare a comprare azioni e obbligazioni europee per proteggere la ricchezza dell’1%, ma soprattutto taglierà la spesa sociale interna per rispettare il limite del 3% di deficit di bilancio che l’eurozona si è imposta.
Nel medio e lungo periodo, le sanzioni USA/NATO sono quindi rivolte principalmente contro l’Europa. E gli europei non sembrano nemmeno rendersi conto di essere le prime vittime di questa nuova guerra economica degli Stati Uniti per il dominio energetico, alimentare e finanziario.
In Germania lo stop al progetto energetico Nord Stream II è ancora una grande questione politica. Nel suo recente articolo online “Il dollaro divora l’euro” lei ha scritto: “È ormai chiaro che l’odierna escalation della nuova guerra fredda è stata pianificata più di un anno fa. Il piano dell’America di bloccare il Nord Stream 2 era in realtà parte della sua strategia per impedire all’Europa occidentale (“NATO”) di cercare la prosperità attraverso il commercio e gli investimenti reciproci con la Cina e la Russia”. Può spiegare questo ai nostri lettori?
Quello che lei definisce “blocco del Nord Stream 2” è in realtà una politica tesa a favorire i prodotti americani. Gli Stati Uniti hanno convinto l’Europa a non acquistare sul mercato al prezzo più basso, ma a pagare fino a sette volte di più per il gas proveniente dai fornitori statunitensi di LGN e a spendere 5 miliardi di dollari per l’espansione della capacità portuale, che non sarà disponibile prima di un anno.
Questo minaccia un interregno molto scomodo per la Germania e gli altri Paesi europei che seguono i dettami degli Stati Uniti. In sostanza, i parlamenti nazionali sono ora asserviti alla NATO, le cui politiche sono gestite da Washington.
Un prezzo che l’Europa pagherà, come già detto, è il calo del tasso di cambio rispetto al dollaro americano. È probabile che gli investitori europei spostino i loro risparmi e investimenti dall’Europa agli Stati Uniti per massimizzare i guadagni in conto capitale ed evitare semplicemente il calo dei prezzi delle loro azioni e obbligazioni misurati in dollari.
Prof. Hudson, diamo un’occhiata agli ulteriori sviluppi in Germania. A maggio il Parlamento tedesco – Bundestag – ha approvato una nuova legge: I legislatori tedeschi hanno approvato la possibilità di espropriare le aziende energetiche. Ciò potrebbe consentire al governo di Berlino di mettere le aziende energetiche sotto amministrazione fiduciaria se non sono più in grado di svolgere i loro compiti e se la sicurezza dell’approvvigionamento è a rischio. Secondo REUTERS, la legge rinnovata – che deve ancora passare la Camera alta del Parlamento – potrebbe essere applicata per la prima volta se non si trova una soluzione sulla proprietà della raffineria di petrolio PCK Refinery a Schwedt/Oder (Germania dell’Est), che è di proprietà della società statale russa Rosneft.
Sembra che l’Europa e l’America confischeranno gli investimenti russi nei loro Paesi e venderanno (o faranno confiscare dalla Russia) gli investimenti dei Paesi NATO in Russia. Ciò significa un distacco dell’economia russa dall’Occidente e un legame più stretto con la Cina, che sembra essere la prossima economia a essere sanzionata dalla NATO, in quanto quest’ultima diventerà un’Organizzazione del Trattato del Pacifico Orientale che coinvolgerà l’Europa nel confronto nel Mar Cinese.
Sarei sorpreso se la Russia riprendesse a vendere petrolio e gas all’Europa senza essere rimborsata per ciò che l’Europa (e anche gli Stati Uniti) hanno sequestrato. Questa richiesta aiuterebbe l’Europa a fare pressione sugli Stati Uniti affinché restituiscano i 300 miliardi di dollari di riserve estere di cui si sono impossessati.
Ma anche dopo tale accordo di restituzione e risarcimento, è improbabile che il commercio riprenda. Si è verificato un cambiamento di fase, un cambiamento di coscienza su come il mondo si stia dividendo sotto gli attacchi diplomatici degli Stati Uniti sia agli alleati che agli avversari.
La mia domanda sarebbe: Il socialismo è un tema importante nel suo nuovo libro. Qual è la sua opinione sulle misure “socialiste” adottate ora da un Paese capitalista come la Germania?
Un secolo fa si pensava che lo “stadio finale” del capitalismo industriale fosse il socialismo. Esistevano diversi tipi di socialismo: Socialismo di Stato, socialismo marxiano, socialismo cristiano, socialismo anarchico, socialismo libertario. Ma ciò che si verificò dopo la Prima Guerra Mondiale fu l’antitesi del socialismo. Era il capitalismo finanziario e un capitalismo finanziario militarizzato.
Il denominatore comune di tutti i movimenti socialisti, da destra a sinistra dello spettro politico, era il rafforzamento della spesa pubblica per le infrastrutture. La transizione verso il socialismo era guidata (negli Stati Uniti e in Germania) dallo stesso capitalismo industriale, che cercava di ridurre al minimo il costo della vita (e quindi il salario di base) e il costo dell’attività economica attraverso investimenti statali nelle infrastrutture di base, i cui servizi dovevano essere forniti gratuitamente, o almeno a prezzi sovvenzionati.
Questo obiettivo avrebbe impedito ai servizi di base di diventare opportunità di rendita monopolistica. L’antitesi era la dottrina Thatcher-neoliberista della privatizzazione. I governi cedettero i servizi pubblici agli investitori privati. Le aziende sono state acquistate a credito, aggiungendo interessi e altri oneri finanziari ai profitti e ai pagamenti al management. Il risultato è stato quello di trasformare l’Europa e l’America neoliberiste in economie ad alto costo, incapaci di competere nei prezzi di produzione con i Paesi che perseguono politiche socialiste invece del neoliberismo finanziarizzato.
Questa contrapposizione tra sistemi economici è la chiave per comprendere l’attuale frattura mondiale.
Soprattutto il petrolio e il gas russi sono al centro dell’attenzione in questo momento. Mosca richiede pagamenti solo in rubli e sta ampliando il suo campo di acquirenti con Cina, India o Arabia Saudita. Ma sembra che gli acquirenti occidentali possano ancora pagare in euro o in dollari. Qual è la sua opinione su questa guerra delle risorse in corso? Il rublo sembra essere il vincitore.
Il rublo sta certamente salendo. Ma questo non fa della Russia un “vincitore” se la sua economia viene sconvolta dalle sanzioni che bloccano le importazioni necessarie al buon funzionamento delle sue catene di approvvigionamento.
La Russia risulterà vincente se sarà in grado di organizzare un programma di sostituzione delle importazioni industriali e di ricreare infrastrutture pubbliche per sostituire quelle che sono state privatizzate sotto la direzione degli Stati Uniti dagli Harvard Boys negli anni Novanta.
Vediamo la fine del petrodollaro e l’ascesa di una nuova architettura finanziaria a est, accompagnata dal rafforzamento dei BRICS e della Shanghai Cooperation Organization (SCO)?
Ci saranno ancora i petrodollari, ma anche una serie di blocchi di aree valutarie, man mano che il mondo de-dollarizza i suoi accordi di commercio e investimento internazionale. A fine maggio, il ministro degli Esteri Lavrov ha dichiarato che l’Arabia Saudita e l’Argentina vogliono unirsi ai BRICS. Come ha recentemente osservato Pepe Escobar, il BRICS+ potrebbe espandersi fino a includere il MERCOSUR e la Comunità di sviluppo del Sudafrica (SADC).
Questi accordi probabilmente richiederanno un’alternativa non statunitense al FMI per creare credito e fornire un veicolo per le riserve ufficiali di valuta estera per i Paesi non appartenenti alla NATO. Il FMI sopravviverà ancora per imporre l’austerità ai Paesi satellite degli Stati Uniti, sovvenzionando al contempo la fuga di capitali dai Paesi del Sud globale e creando DSP per finanziare le spese militari statunitensi all’estero.
L’estate del 2022 sarà un banco di prova, poiché i Paesi del Sud globale subiranno una crisi della bilancia dei pagamenti a causa dell’aumento dei deficit petroliferi e alimentari e dei maggiori costi in valuta nazionale per il mantenimento del debito in dollari. Il FMI potrebbe offrire loro nuovi DSP per pagare gli obbligazionisti in dollari per mantenere l’illusione della solvibilità. Ma i Paesi della SCO possono offrire petrolio e cibo – SE i Paesi garantiscono di ripagare il credito ripudiando i loro debiti in dollari con l’Occidente.
Questa diplomazia finanziaria promette di introdurre “tempi interessanti”.
Nella sua recente intervista con Michael Welch (“Accidental Crisis?“) lei ha un’analisi specifica sugli attuali eventi in Ucraina/Russia: “La guerra non è contro la Russia. La guerra non è contro l’Ucraina. La guerra è contro l’Europa e la Germania”. Potrebbe approfondire questo punto?
Come ho spiegato in precedenza, le sanzioni commerciali e finanziarie degli Stati Uniti stanno costringendo la Germania a dipendere dalle esportazioni statunitensi di GNL e dall’acquisto di armi militari statunitensi per trasformare la NATO in un’autorità di governo europea de facto.
L’effetto è quello di distruggere ogni speranza europea di guadagni reciproci in termini di commercio e investimenti con la Russia. L’Europa si sta trasformando in un junior partner (molto junior) nelle sue nuove relazioni commerciali e di investimento con gli Stati Uniti, sempre più protezionisti e nazionalisti.
Il vero problema degli Stati Uniti sembra essere questo: “L’unico modo per mantenere la prosperità se non si riesce a crearla in patria è ottenerla dall’estero”. Qual è la strategia di Washington?
Il mio libro Super Imperialismo ha spiegato come, negli ultimi 50 anni, da quando gli Stati Uniti hanno abbandonato l’oro nell’agosto del 1971, lo standard dei Buoni del Tesoro americano abbia dato agli Stati Uniti un giro gratuito a spese dell’estero. Le banche centrali straniere hanno riciclato l’afflusso di dollari derivante dal deficit della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti in prestiti al Tesoro americano, cioè nell’acquisto di titoli del Tesoro americano per custodire i propri risparmi. Questo accordo ha permesso agli Stati Uniti di intraprendere spese militari all’estero per le loro quasi 800 basi militari in Eurasia senza dover deprezzare il dollaro o tassare i propri cittadini. Il costo è stato sostenuto dai Paesi le cui banche centrali hanno accumulato prestiti in dollari al Tesoro americano.
Ma ora che è diventato pericoloso per i Paesi detenere depositi bancari o titoli di Stato o investimenti statunitensi denominati in dollari se “minacciano” di difendere i propri interessi economici o se le loro politiche divergono da quelle dettate dai diplomatici statunitensi, come può l’America continuare ad avere un giro gratis?
Infatti, come può importare materiali di base dalla Russia per riempire parti della sua catena di approvvigionamento industriale ed economico che è stata interrotta dalle sanzioni?
Questa è la sfida per la politica estera degli Stati Uniti. In un modo o nell’altro, essa mira a tassare l’Europa e a trasformare altri Paesi in satelliti economici. Lo sfruttamento potrebbe non essere così palese come l’accaparramento da parte degli Stati Uniti delle riserve ufficiali venezuelane, afghane e russe. È probabile che si tratti di ridurre l’autosufficienza estera per costringere altri Paesi a dipendere economicamente dagli Stati Uniti, in modo che questi ultimi possano minacciare sanzioni dirompenti se cercano di anteporre i propri interessi nazionali a ciò che i diplomatici statunitensi vogliono che facciano.
Come influirà tutto questo sulla bilancia dei pagamenti dell’Europa occidentale (Germania / Francia / Italia) e quindi sul tasso di cambio dell’euro rispetto al dollaro? E perché pensa che l’Unione Europea si stia avviando a diventare una nuova “Panama, Porto Rico e Liberia”?
L’euro è già una moneta satellite degli Stati Uniti. I suoi paesi membri non sono in grado di gestire i deficit di bilancio interni per far fronte all’imminente depressione inflazionistica derivante dalle sanzioni sponsorizzate dagli Stati Uniti e dalla conseguente frattura globale.
La chiave si sta rivelando la dipendenza militare. Si tratta di una “condivisione dei costi” per la Guerra Fredda 2.0 sponsorizzata dagli Stati Uniti. Questa condivisione dei costi è ciò che ha portato i diplomatici statunitensi a rendersi conto di dover controllare la politica interna europea per impedire alle popolazioni e alle imprese di agire nel proprio interesse. La loro compressione economica è un “danno collaterale” dell’attuale Nuova Guerra Fredda.
Una filosofa svizzera ha scritto a metà marzo un saggio critico per il giornale socialista tedesco “Neues Deutschland”, ex organo di informazione del governo della DDR. Tove Soiland ha criticato la sinistra internazionale per l’attuale comportamento in merito alla crisi ucraina e alla gestione del Covid. La sinistra, a suo dire, è troppo favorevole a governi/stati autoritari, copiando così i metodi dei tradizionali partiti di destra. Condividete questo punto di vista? O è troppo severa?
Come risponderebbe a questa domanda, soprattutto per quanto riguarda la tesi del suo nuovo libro: “… il percorso alternativo è un capitalismo industriale a economia mista che porta al socialismo…”.
Il Dipartimento di Stato e il “potente altoparlante” della CIA si sono concentrati sull’acquisizione del controllo dei partiti socialdemocratici e laburisti europei, prevedendo che la grande minaccia al capitalismo finanziario incentrato sugli Stati Uniti sarebbe stato il socialismo. Questo ha incluso i partiti “verdi”, al punto che la loro pretesa di opporsi al riscaldamento globale si è dimostrata ipocrita alla luce della vasta impronta di carbonio e dell’inquinamento della guerra militare della NATO in Ucraina e delle relative esercitazioni aeree e navali. Non si può essere a favore dell’ambiente e della guerra allo stesso tempo!
Questo ha lasciato i partiti nazionalisti di destra meno influenzati dall’ingerenza politica degli Stati Uniti. È da qui che proviene l’opposizione alla NATO, come in Francia e in Ungheria.
E negli stessi Stati Uniti, gli unici voti contrari al nuovo contributo di 30 miliardi di dollari alle spese militari contro la Russia sono arrivati dai repubblicani. L’intera “squadra di sinistra” del Partito Democratico ha votato a favore della spesa bellica.
I partiti socialdemocratici sono fondamentalmente partiti borghesi i cui sostenitori sperano di entrare nella classe dei rentier, o almeno di diventare investitori in azioni e obbligazioni in miniatura. Il risultato è che il neoliberismo è stato guidato da Tony Blair in Gran Bretagna e dai suoi omologhi in altri Paesi. Discuto di questo allineamento politico in Il destino della civiltà.
I propagandisti statunitensi definiscono “autocratici” i governi che mantengono i monopoli naturali come servizi pubblici. Essere “democratici” significa lasciare che le imprese statunitensi controllino queste altezze di comando, essendo “libere” dalla regolamentazione governativa e dalla tassazione del capitale finanziario. Così “sinistra” e “destra”, “democrazia” e “autocrazia” sono diventati un vocabolario orwelliano in doppia lingua sponsorizzato dall’oligarchia americana (che eufemizza come “democrazia”).
La guerra in Ucraina potrebbe essere un punto di riferimento per mostrare una nuova mappa geopolitica del mondo? Oppure il Nuovo Ordine Mondiale neoliberista è in ascesa? Come lo vede?
Come ho spiegato nella domanda n. 1, il mondo si sta dividendo in due parti. Il conflitto non è solo nazionale, Occidente contro Oriente, ma è un conflitto di sistemi economici: il capitalismo finanziario predatorio contro il socialismo industriale che mira all’autosufficienza dell’Eurasia e della SCO.
I Paesi non allineati non erano in grado di “andare avanti da soli” negli anni ’70 perché non avevano una massa critica per produrre autonomamente cibo, energia e materie prime. Ma ora che gli Stati Uniti hanno deindustrializzato la propria economia ed esternalizzato la produzione in Asia, questi Paesi hanno la possibilità di non rimanere dipendenti dalla diplomazia del dollaro statunitense.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/crisi-mondiale/23218-michael-hudson-l-imminente-frattura-globale-causata-dallo-scontro-tra-diversi-ordini-economici.html
GIUSTIZIA E NORME
La Trappola della cancellazione dell’Unanimità: come il Parlamento vuole annullare la volontà dei popoli europei.
Giugno 10, 2022 posted by Guido da Landriano
Dalla Conferenza per l’Europa, la discussione pilotata sul futuro della UE che si è tenuto a Strasburgo nei mesi scorsi, l’unica proposta seria emersa è stata quella di mettere da parte il principio di unanimità per le modifiche al trattato UE, per permettere l’evoluzione militare dell’Unione. Uno sviluppo che, esistendo già la NATO e la possibilità per gli stati di concludere accordi militari multilaterali, è perfettamente inutile.
Eppure qualcuno vorrebbe procedere con questa riforma assurda, che danneggerebbe, se non cancellerebbe, la libertà e l’autodeterminazione dei popoli europei, a cui si potrebbero imporre decisioni prese da terzi. Sul tema, in Parlamento, è intervenuto anche Antonio Maria Rinaldi “Eliminare l’unanimita metterebbe a repentaglio la sovranita’ degli Stati membri perche’ consentirebbe la creazione di alleanze di blocco fra Paesi e
questo non rientra nello spirito dei trattati“. “Se l’obiettivo e’ superare un meccanismo di ostacolo allo
sviluppo di una difesa comune, l’art. 48 dei Trattati non offre alcun iter per renderlo possibile in tempi brevi perche’ la procedura semplificata riguarda solo modifiche relative alle politiche e azioni interne dell’Ue“, evidenzia l’On. Rinaldi, sottolineando che “la Conferenza sul Futuro dell’Europa” dalla quale e’ emersa la proposta di modificare i Trattati “doveva servire ad aprire un dibattito sulle reali cause delle crisi che hanno colpito l’Ue per renderla sostenibile, invece di proporre meccanismi per aggirare il Parlamento legittimando iniziative nell’interesse di alcuni a discapito di altri“. “Le modifiche dovevano riguardare invece tutta la governance
economica a iniziare dallo statuto monetario presente nel TFUE sul divieto di monetizzazione, bail-out e solidarieta’ fiscale che hanno reso l’euro-zona incapace di affrontare le crisi degli ultimi decenni“, prosegue l’eurodeputato leghista. “I cittadini che rappresentiamo attendono una politica fatta di investimenti, riforme strutturali, gia’ in parte compiute ma animate da obiettivi punitivi prociclici, non dettate solo dal rapporto
deficit/pil o da miopi vincoli obsoleti di bilancio e condizionalita’, come gli aiuti di Stato e da uno statuto della
Bce con solo target inflattivi e non occupazionali e il divieto di ‘lender of last resort’ e non certo la modifica del voto
all’unanimità in Consiglio che comprometterebbero la tutela degli interessi dei singoli Stati membri“.
La soluzione dei problemi dell’Unione Europea non può provenire dall’imposizione del potere di una parte a scapito delle altre, ma dalla risoluzione dei problemi di leadership nella UE stessa e dal perseguire gli interessi di tutti i popoli, non solo di una fetta di potenti. Il principio di unanimità serve a tutelare gli interessi dei paesi più piccoli, altrimenti cancellati da quelli più grandi.
FONTE: https://scenarieconomici.it/la-trappola-della-cancellazione-dellunanimita-come-il-parlamento-vuole-annullare-la-volonta-dei-popoli-europei/
LA LEGGE ZAN , PROPRIO QUELLO CHE SERVE AGLI ITALIANI
Sisto Ceci 12 05 2022
Fra qualche settimana l’Italia avra’ una nuova legge di contrasto ” all’omolesbobitransfobia ,alla misoginia , e all’abilismo ” la legge Zan , che Dio lo abbia in gloria , sembra uno scioglilingua ma e’ una legge che all’art. 4 recita ” sono FATTE SALVE ,la libera espressione di convincimenti ed opinioni nonche’ le condotte legittime al pluralismo delle idee e alla liberta’ delle scelte , purche’ non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori e violenti ” al di la’ della prosa contorta e involuta degna del peggior questurino di epoca fascista, il ragionier Ugo Fantozzi direbbe ” Come e’ umano lei ” visto che e’ FATTA SALVA la liberta’ di pensiero !?!?!? Zan ci concede di pensare liberamente , pero’ poi sara’ il giudice a decidere se lo avete fatto nella giusta maniera ,quindi una liberta’ di pensiero sotto tutela , una gentile concessione del parlamentare di cui sopra , in francese octroyee’,come conciliare allora l’art.21 della Costituzione piu’ bella del mondo con questa fascistissima formulazione della ” fatta salva la liberta’ di pensiero ?” ai giudici posteri l’ardua sentenza……dovremmo quindi sperare nella competenza e nel buonsenso dei giudici, nel paese dei Palamara e dei Davigo e della guerra fra bande nel CSM …..Ma questi vivono sulla Luna o sul pianeta Zan ?
FONTE: https://www.facebook.com/100031860510496/posts/703455417393136/
Il referendum fallisce. Da oggi gli italiani non hanno più il diritto di lamentarsi della mala “giustizia”
Il miracolo non è avvenuto e, come previsto, solo una minoranza di italiani ha risposto all’appuntamento con i quesiti referendari sulla giustizia. L’affluenza, secondo le proiezioni Consorzio Opinio per la Rai si attesta tra il 19 e il 23%. I primi exit poll, si legge su Il Tempo, certificano una prevalenza dei sì per tutti i quesiti, per quanto non in ampiezza bulgara (circa il 54% sulla legge Severino, 56% sulla custodia cautelare e poco meno del 70% sugli altri tre temi). Stante questa percentuale di cittadini al voto sarà difficile da rivendicare l’esito sul piano politico: la consultazione, infatti, conquisterebbe il ben poco edificante primato di meno partecipata della storia.
Si tratta, evidentemente, di una grande occasione persa per un pronunciamento popolare su un tema che riguarda le libertà e i diritti individuali e ha condizionato gli ultimi 30 anni di vita democratica e mediatica del nostro Paese. E questo, contrariamente alle aspettative maturate all’inizio del percorso, quando i cittadini si mettevano in fila per firmare ai banchetti di Lega e radicali.
Una brutta aria sul referendum, che faceva presagire il mancato raggiungimento del quorum, già tirava da settimane. La senatrice di +Europa Emma Bonino, radicale, aveva puntato il dito sul segretario leghista: «Il coinvolgimento di Salvini è arrivato in corsa su un’iniziativa del Partito Radicale ma, raccolte le firme, sembra ora non gli interessi più la buona giustizia». Dal suo canto, il leader di via Bellerio aveva denunciato scarsa attenzione dei media verso l’appuntamento: «Le televisioni – aveva detto durante un evento elettorale – stanno vigliaccamente cancellando i referendum». E negli ultimi giorni, fa notare Il Tempo, aveva anche lanciato un appello al Capo dello Stato Sergio Mattarella e al presidente del Consiglio Mario Draghi affinché ricordassero «agli italiani che votare al referendum è un diritto. Chi non vota poi non si lamenti se la giustizia non cambia per i prossimi 30 anni».
FONTE: https://www.lapekoranera.it/2022/06/13/il-referendum-fallisce-da-oggi-gli-italiani-non-hanno-piu-il-diritto-di-lamentarsi-della-mala-giustizia/
PANORAMA INTERNAZIONALE
LA POSIZIONE DEL VATICANO
Per il Papa l’ira di Putin è stata agevolata dalla Nato
“Ho chiesto al cardinale Parolin, dopo venti giorni di guerra, di far arrivare il messaggio a Putin che io ero disposto ad andare a Mosca“. Papa Francesco torna a parlare della guerra. E lo fa in un’intervista al Corriere della Sera, sottolineando la volontà di incontrare il capo del Cremlino ancora prima del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Richiesta a cui però Putin non ha ancora risposto. “Ma tutta questa brutalità come si fa a non fermarla? Venticinque anni fa con il Ruanda abbiamo vissuto la stessa cosa”: e qui il Pontefice si avventura in un paragone tra il genocidio in Ruanda e il massacro che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Cosa avrebbero in comune i due conflitti? Semplice, secondo questa teoria sarebbe anche colpa della negligenza della Nato: per Bergoglio non si doveva “abbaiare davanti alle porte della Russia”, portando la Federazione a reagire negativamente e a inscenare questo conflitto. Una responsabilità condivisa, sembra dire il Papa allineandosi ai tanti critici, studiosi o personaggi che ultimamente popolano i talk show italiani.
I mesi difficili in cui ogni nazione segue con il fiato sospeso gli svolgimenti della guerra in Ucraina, e le sue conseguenze, hanno turbato profondamente anche il Pontefice, che nel corso del colloquio, dopo aver appurato il casus belli, esprime le sue perplessità sull’invio delle armi, ammettendo di essere lontano da questi temi per poterne parlane con le competenze richieste. “I russi adesso sanno che i carri armati servono a poco e stanno pensando ad altre cose. Le guerre si fanno per questo: per provare le armi che abbiamo prodotto”.
C’è bisogno di un maggiore contrasto verso questi commerci, ha sottolineato citando lo stop a Genova di un convoglio che portava armi nello Yemen e che i portuali scelsero “due o tre anni fa” di fermare. Ogni guerra è dettata da interessi internazionali: dalla Siria allo Yemen passando per le rivendicazioni russe in terra ucraina, Francesco constata che uno stato libero non può fare la guerra a un altro stato libero: la reazione ucraina nel Donbass è “cosa vecchia, parliamo di dieci anni fa. In Ucraina sembra che sono stati gli altri a creare il conflitto.”
L’urgenza di doversi confrontare con Vladimir Putin è l’altro punto cruciale dell’intervista del Pontefice: ha rimarcato di voler incontrare il capo del Cremlino nell’immediato, ancora prima di recarsi a Kyiv. L’obiettivo di fermare l’escalation di violenza quindi passerebbe prima da un colloquio con Putin, “ma anche io sono un prete, faccio quello che posso. Se Putin aprisse la porta…”. E guarda ai passi compiuti dal collega ortodosso Kirill: con il patriarca di Mosca il Papa si è confrontato in un colloquio via zoom il 15 marzo scorso senza risolvere nulla in quanto le “giustificazioni” della guerra citate da Kirill non sono state accettate da Francesco. “Ho ascoltato e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Fratello noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare via di pace, far cessare il fuoco delle armi. Il patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin. Io avevo un incontro fissato con lui a Gerusalemme il 14 giugno. Sarebbe stato il nostro secondo faccia a faccia, niente a che vedere con la guerra. Ma adesso anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere un segnale ambiguo”. Niente Kirill e niente Zelensky: la via per la pace passa prima dal Cremlino.
Forse in pochi si sarebbero aspettati delle posizioni così “nè con Putin né con la Nato” da parte del capo della Chiesa: Francesco ha condannato l’uso delle armi, la violenza utilizzata ma ha chiaramente affermato che anche l’Alleanza atlantica deve ammettere alcune colpe, per aver generato un conflitto senza senso. In questo è sembrato sposare la visione di Matteo Salvini, che proprio nelle ultime ore aveva dichiarato di volersi recare da Putin, annunciando di aver richiesto anche il visto necessario: su Twitter si è congratulato con il Santo Padre, “l’unico a voler cercare la pace”. Peccato che ci fosse già stato il dietrofont del ministro Giorgetti che al termine della conferenza stampa di lunedì sera ha risposto alla domanda del Foglio, rettificando quanto detto dal leader della Lega: “Non mi risulta che sia in programma un viaggio di questo tipo a Mosca. Credo che le azioni diplomatiche internazionali in una situazione come questa richiedano prudenza”.
Salvini insomma alla fine non partirà ma ha già trovato una sponda del Pontefice. Che sulla conclusione della guerra si sbilancia: “Orbán quando l’ho incontrato mi ha detto che i russi hanno un piano, che il 9 maggio finirà tutto. Spero che sia così, così si capirebbe anche l’escalation di questi giorni. Perché adesso non è solo il Donbas, è la Crimea, è Odessa, è togliere all’Ucraina il porto del Mar Nero, è tutto. Io sono pessimista ma dobbiamo fare il possibile perché la guerra si fermi”.
FONTE: https://www.ilfoglio.it/chiesa/2022/05/03/news/per-il-papa-l-ira-di-putin-e-stata-agevolata-dalla-nato-3966609/
PAPA: LA NATO POTREBBE AVER PROVOCATO LA RUSSIA
Il pontefice ha affermato di aver chiesto un incontro con Putin per discutere del conflitto ucraino ma non ha ricevuto risposta
Papa Francesco ha affermato che l’espansione verso est della NATO potrebbe aver indotto il presidente russo Vladimir Putin a lanciare un attacco contro l’Ucraina.
In una lunga intervista pubblicata questa mattina, martedì 3 maggio, dal quotidiano italiano Il Corriere della Sera, il Pontefice ha ipotizzato che “l’abbaiare della Nato alla porta della Russia” avrebbe spinto Putin a lanciare la campagna militare il 24 febbraio.
Un’ira che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì.
– ha detto il Papa.
Bergoglio ha anche detto di aver chiesto un incontro con Putin durante le prime settimane del conflitto, ma non ha ancora ricevuto risposta. Ha detto di aver chiesto all’alto diplomatico vaticano di contattare il presidente russo per organizzare una visita a circa tre settimane dall’inizio delle ostilità.
Da Putin non abbiamo ancora ricevuto risposta. Zelensky? L’ho chiamato il primo giorno di conflitto, ma ora non è il momento di andare a Kiev. Putin invece non l’ho chiamato. L’avevo sentito a dicembre per il mio compleanno ma questa volta no, non ho chiamato. Ho voluto fare un gesto chiaro che tutto il mondo vedesse e per questo sono andato dall’ambasciatore russo. Ho chiesto che mi spiegassero, gli ho detto “per favore fermatevi”. Poi ho chiesto al cardinale Parolin, dopo venti giorni di guerra, di fare arrivare a Putin il messaggio che io ero disposto ad andare a Mosca.
Il pontefice ha anche detto di aver parlato con il capo della Chiesa ortodossa russa, il Patriarca di Mosca Kirill, per 40 minuti tramite Zoom.
I primi venti con una carta in mano mi ha letto tutte le giustificazioni alla guerra. Ho ascoltato e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Fratello, noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. […] Il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin.
Il mio allarme non è stato un merito, ma solo la constatazione della realtà: la Siria, lo Yemen, l’Iraq, in Africa una guerra dietro l’altra. Ci sono in ogni pezzettino interessi internazionali. Non si può pensare che uno Stato libero possa fare la guerra a un altro Stato libero. In Ucraina sono stati gli altri a creare il conflitto.
– Ha concluso il Papa
Massimo A. Cascone, 03.05.2022
FONTE: https://comedonchisciotte.org/papa-la-nato-potrebbe-aver-provocato-la-russia/
Papa Francesco, Pasquino: “Ha sbagliato a dire che la Nato abbaiava a Putin”
Papa Francesco ha dichiarato in un’intervista di non sapere cosa abbia provocato l’escalation militare: probabilmente, ha spiegato, “l’abbaiare della Nato alla porta della Russia” ha portato il capo del Cremlino a scatenare il conflitto. Parole che non sono piaciute al Professor Gianfranco Pasquino, politologo, intervenuto…
Papa Francesco ha dichiarato in un’intervista di non sapere cosa abbia provocato l’escalation militare: probabilmente, ha spiegato, “l’abbaiare della Nato alla porta della Russia” ha portato il capo del Cremlino a scatenare il conflitto. Parole che non sono piaciute al Professor Gianfranco Pasquino, politologo, intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta” condotta dal direttore Gianluca Fabi su Radio Cusano Campus.
Papa Francesco
“Finchè il Papa chiama tutti a deporre le armi e a smettere l’invasione russa condivido pienamente -ha affermato Pasquino-. Sul fatto che abbia utilizzato il termine “abbaiare” rispetto alla Nato non sono d’accordo. Quella frase mi è parsa eccessiva e fuori luogo, il Papa dovrebbe essere più attento ad usare certe parole”.
Sull’invio di armi all’Ucraina
“Non è un argomento tabù, però i pacifisti devono sapere che non dare armi all’Ucraina significa condannare gli ucraini ad una sconfitta, ad impedirgli di difendersi -ha sottolineato Pasquino-. Opponendosi a questo ci si colloca nella parte degli aggressori russi. I partigiani ricevevano armi e ne chiedevano ripetutamente perché solo così potevano combattere la guerra contro i nazifascisti”.
Sui talk show italiani
Secondo Pasquino “se c’è un dibattito a duello, con uno a favore e uno contro, si potrebbe anche accettare un confronto su chi la pensa differente sulla guerra. Il conduttore o la conduttrice deve saper fare le domande e saper intervenire. Ci dovrebbe essere il fact checking immediato su ciò che si dice. E in terzo luogo chi interviene nei talk show non dovrebbe essere pagato. Infine, gli opinionisti devono stare nel nostro Paese, non si può invitare un opinionista russo o uno ucraino, oppure solo loro due senza nessun italiano”.
FONTE: https://www.tag24.it/310444-papa-francesco-pasquino-ha-sbagliato-a-dire-che-la-nato-abbaiava-a-putin/
La Russia è una minaccia all’ordine mondiale
Federica Francesconi 12 95 2022
La dolce e candida Von der Leyen ha lanciato l’allarme: “La Russia oggi è la minaccia più diretta all’ordine mondiale”.
Tradotto dal diplomatichese al linguaggio terra terra: i russi ci stanno facendo un mazzo così mettendosi di traverso all’attuazione del Grande Reset, che noi incappucciati deviati pensavamo essere cosa fatta. Volevamo accerchiare la Russia manovrando a piacimento il ventriloquo Zelensky, ma quell’omo de fero di Putin ci ha rotto le uova nel paniere contrattaccando con l’operazione speciale in Ucraina. Ora schiumiamo di rabbia, vorremo lanciare due bombette atomiche ma non possiamo incaprettarci da soli autodistruggendoci con una guerra nucleare. Quindi per il momento ci rassegnamo a prenderle dai russi.
Non so voi, ma io comincio a divertirmi.
FONTE: https://www.facebook.com/1165264657/posts/10224015339989059/
PURU PICCA HA STATU
Tonio de Pascali 12 05 2022
IN UCRAINA L’OCCIDENTE EUROPEO SE LO TAGLIA PER FARE DISPETTO A SUA MOGLIE
Nel dialetto salentino si dice: “Puru picca ha statu.” ovvero “Pure poco è stato…..”.
Spieghiamo. Esempio:
L’Ucraina ospita il passaggio di diversi gasdotti russi verso l’Europa occidentale.
Questi gasdotti russi hanno continuato a funzionare nonostante la guerra Russia- Ucraina.
Nonostante la guerra con l’Ucraina la Russia paga giornalmente all’Ucraina il pedaggio per i suoi gasdotti
L’Ucraina non si rifornisce di gas russo dalla Russia ma di gas russo che arriva in Germania e poi ritorna indietro vero l’Ucraina
Gli Stati occidentali stanno subendo danni enormi per la solidarietà umana, economica, logistica e militare all’Ucraina
E che fa l’Ucraina?
Come ringraziamento all’Occidente l’Ucraina chiude oggi uno dei gasdotti russi che passano sul suo territorio per andare in Occidente
Risultato? Per la Russia non cambia niente perchè il gas arriva in Europa occidentale tramite altri gasdotti
Per l’Europa occidentale, invece, cambia tantissimo. In un giorno, per ovvia speculazione finanziaria, il prezzo del gas, già alle stelle da 3 mesi, è salito ulteriormente del 10%.
Questo, grazie all’Ucraina, “per ringraziamento” all’Occidente.
Che ogni giorno, danneggiando la sua economia foraggia l’Ucraina di soldi, viveri, armi e le consente di sopravvivere all’invasione russa.
In pratica:
Io da una parte ti consento di sopravvivere con aiuti sostanziosi, vitali, e tu per ringraziamento, mi fai aumentare il prezzo del gas.
Ecco, in casi del genere, nel Salento, si dice “Puru picca ha statu…”.
Pure poco è stato.
Così la prossima volta impari ad aiutare certi banditi che, sempre come si dice nel Salento, “Non meritano manco l’acqua da bere!”.
Saluti!!!.
FONTE: https://www.facebook.com/100015824534248/posts/1209552776248862/
La RAND Corporation e la strategia americana
Nel 2019 lo studio della RAND Corporation raccomandava agli USA come dovevano procedere contro la Russia. Molto interessante perché sono state seguite le raccomandazioni e si può vedere quanto sia grande l’influenza della RAND Corporation sulla politica statunitense. Si può vedere che molto di quello che sta facendo notizia è stato pianificato molto tempo fa.
La RAND Corporation è un think tank che è stato fondato nel 1948 e inizialmente ha fornito consulenza principalmente all’esercito americano. RAND ha svolto un ruolo importante durante la guerra fredda, ma è cresciuta rapidamente e da tempo ha influenzato altre aree politiche, come la politica economica o l’assistenza sanitaria. La RAND Corporation è probabilmente uno dei think tank più influenti degli Stati Uniti. Donald Rumsfeld e Condoleezza Rice, tra gli altri, hanno lavorato per questa organizzazione, ma anche circa 30 premi Nobel hanno vinto mentre lavoravano per RAND.
Già nel 1972 la RAND elaborò una strategia per vincere la Guerra Fredda, più tardi Reagan attuò esattamente questo piano e la Guerra Fredda fu vinta per gli USA. Ci sono molti esempi di come la RAND Corporation abbia una grande influenza sulla politica estera negli USA.
Nello studio dell’anno scorso la RAND Corporation ad esempio indicava quanto la Russia non avesse alcuna intenzione aggressiva, ma invece di implementare un piano per la distensione e il riavvicinamento alla Russia, la RAND ha proposto un pacchetto di misure molto completo affinché la Russia reagisse in modo aggressivo alle provocazioni degli Stati Uniti https://www.rand.org/content/dam/rand/pubs/research_briefs/RB10000/RB10014/RAND_RB10014.pdf.
Ora un altro studio della RAND Corporation – Extending Russia: competing from advantageous ground https://www.rand.org/content/dam/rand/pubs/research_reports/RR3000/RR3063/RAND_RR3063.pdf – elenca in dettaglio come gli Stati Uniti possono arrivare a danneggiare la Russia nei settori dell’economia, della geopolitica, della propaganda e dell’esercito, o almeno tentare di arrecare danni. È una guida alla guerra degli Stati Uniti contro la Russia in tutti i campi possibili.
Lo studio è notevole anche perché nel 2019 aveva fatto delle proposte che sono già in fase di attuazione oggi. Tra l’altro, il capitolo sulle misure geopolitiche propone un cambio di regime in Bielorussia, un aumento delle tensioni sul Nagorno-Karabakh e la riduzione della presenza russa in Moldavia. A un anno dalla pubblicazione dello studio stiamo già vedendo tutto questo. In Bielorussia è in corso una rivoluzione di colore, c’è la guerra nel Nagorno-Karabakh e ci sono i segnali che una rivoluzione colorata potrebbe iniziare in Moldavia.
Leggendo questo studio ci si rende conto di quanto i media in Occidente stiano mentendo in relazione alla rivolta popolare in Bielorussia, infatti il copione di questa rivoluzione fu pianificato un anno prima. Anche la guerra tra Azerbaigian e Armenia era stata pianificata, ma i media raccontano le solite favolette ai loro lettori.
FONTE: https://www.orazero.org/la-rand-corporation-e-la-strategia-americana/
POLITICA
Non credete a quello che vi diranno: le elezioni francesi sono andate malissimo per Macron
I Media Mainstream cercheranno di farvi credere che le elezioni loegislative francesi sono andate bene per Macron e che alla fine riavrà una forte maggioranza al secondo turno. Su come andrà questo turno non lo sappiamo, ma sicuramente queste elezioni sono state un disastro per Macron che ora si trova un’opposizione forte sia a destra, con il RN che non è scomparso, nonostante le divisioni, ma anche a sinistra.
Questo si vede analizzando i risultati generali:
Siamo entrati nella Fase del Crollo della Seconda Repubblica
di Cesare Sacchetti
Siamo entrati nella fase dell’implosione dei partiti ormai nudi e senza protezione. Siamo entrati nella fase del crollo della seconda Repubblica.
Nei mesi scorsi, mi era capitato di far notare come la cosiddetta “multa” di 100 euro fosse praticamente una minaccia virtuale che non avrebbe mai avuto alcuna attuazione concreta.
Mentre provavo a smascherare il bluff venivo impallinato dal fuoco della falsa controinformazione che invece faceva del tutto per agitare lo spauracchio dei 100 euro ventilando persino prelievi forzosi, cartelle esattoriali o altre menzogne terroristiche del genere. Ora siamo arrivati alla scadenza degli obblighi e vediamo che nessuno ha mai ricevuto una vera multa.
Sono arrivate ad alcune persone delle comunicazioni nelle quali si chiedeva in pratica al diretto interessato di rendere noto se aveva o meno una esenzione. Comunicazioni che sono arrivate persino a persone decedute, e questa è la prova che non hanno la più pallida idea di chi si è vaccinato oppure no. Hanno provato a lanciare una esca nel mucchio sperando che qualcuno abboccasse, ma i risultati di questa tattica sono stati fallimentari.
Adesso siamo giunti a pochi giorni dalla scadenza del 15 giugno, e constatiamo che ciò che avevamo fatto notare in passato era vero. Non hanno mai avuto alcun potere reale di fare le cose che i media e soprattutto la falsa controinformazione volevano far credere. Hanno giocato tutte le loro carte sulla guerra psicologica provando a far crollare le persone attraverso una campagna terroristica coordinata da apparati dei servizi. Tutti i loro bluff sono falliti. Adesso siamo entrati nella fase dell’implosione dei partiti ormai nudi e senza protezione. Adesso siamo entrati nella fase del crollo della seconda Repubblica.
Allo stato dell’arte attuale, l’ultimo lembo della defunta farsa pandemica è rimasto quello dell’obbligo vaccinale per i sanitari. Personalmente, sono convinto che non arriverà alla data di scadenza prefissata e lo avevo già fatto notare in altre occasioni.
Arrivati al 15 giugno, con la fine degli obblighi vaccinali per le altre categorie, i medici non vaccinati, già sul piede di guerra, inizieranno ad alzare ancora di più la voce chiedendo di mettere fine alla discriminazione ad personam nei confronti della loro categoria.
Il governo Draghi inoltre si trova a far fronte con un disagio sociale senza precedenti e con una larghissima parte degli italiani in stato di rivolta per i danni economici e sanitari subiti dall’autoritarismo dell’esecutivo.
Ormai non c’è città italiana nella quale i ministri del governo mettono piede dove non vengono sommersi da una pioggia di insulti e fischi. La pressione è dunque giunta ai massimi livelli. Ma poniamo anche, per ipotesi, che il governo ritiri l’obbligo vaccinale per i sanitari domani mattina. Chi vuole continuare a credere che le restrizioni torneranno lo farà indipendentemente da quello che la vera realtà mostra a queste persone.
Queste persone ormai si trovano imprigionate in una gabbia psicologica che loro stesse hanno eretto. Non è più pertanto un problema di corretta informazione, ma mentale. Chi vuole vivere permanentemente in questa condizione è perché ha deciso di farlo e chi vive in questo stato di paura quotidiana si ritrova in una condizione di dissonanza cognitiva più drammatica di quella che affliggeva il “covidiota”.
Articolo di Cesare Sacchetti
Fonte: https://t.me/cesaresacchetti
FONTE: https://www.conoscenzealconfine.it/siamo-entrati-nella-fase-del-crollo-della-seconda-repubblica/
GENETICAMENTE DELINQUENTI
Augusto Sinagra 8 05 2022
“La più grande democrazia” del mondo, i difensori dei diritti umani, i portatori di pace… ecc. ecc.: gli americani, quelli che oggi hanno provocato la guerra in Ucraina e non vogliono che finisca perché il loro vero scopo è colpire la Russia tramite la NATO per mano di militari che disonorano l’Uniforme, e se ne fottono di quanti Soldati – russi e ucraini – muoiono, se questo è funzionale ai loro laidi interessi capitalistici, sono gli stessi che fin dall’inizio della loro esistenza hanno seminato in tutto il mondo sangue e distruzioni, cominciando con lo sterminio dei nativi d’America.
Questo cancro dell’umanità è ora impegnato nella più oscena diffamazione del governo e delle FFAA della Federazione Russa, accusandoli di eccidi e crimini di guerra frutto della loro malsana fantasia e malvagità e con la complicità di governi asserviti e di giornalisti venduti, cominciando dall’Italia.
A codesta feccia umana che osa imputare ad altri ciò di cui essa è responsabile, voglio ricordare solo un episodio che rende chiaro chi essi siano.
Il 16 marzo 1968 a My Lai, a nord di Saigon, furono uccisi dai “liberatori” 506 abitanti di un povero villaggio vietnamita.
Furono stuprate ragazzine anche di 12 anni, la gente fu ammassata per essere più comodamente e rapidamente mitragliata e uccisa. Una donna incinta fu sventrata a colpi di machete e il feto buttato in una sterpaglia. Fecero cose, come sempre hanno fatto prima e dopo, mai immaginate dalla più perversa mente umana.
La grande maggioranza dei cittadini nordamericani ha natura geneticamente delinquenziale.
A questa gente si prostituisce il governo italiano e i mezzi di informazione italiani.
FONTE: https://t.me/radiofogna/387
Il fascismo é una disabilità sociale globale
Cinzia Tinti 12 05 2022
Il fascismo é il complesso dei 7 peccati capitali.
I sette peccati capitali –
1) superbia: radicata convinzione della propria superiorità (reale o presunta) che si traduce in atteggiamenti di orgoglioso distacco o anche di ostentato disprezzo verso gli altri.
2) gola: quando l’essere umano eccede la giusta misura nel dedicarsi ai piaceri del cibo e delle bevande.
3) avarizia: Eccessivo ritegno nello spendere e nel donare, per un gretto attaccamento al denaro e a ciò che si possiede.
4) ira: alterazione dello stato emotivo che manifesta in modo violento un’avversione profonda e vendicativa verso qualcosa o qualcuno; accidia: torpore malinconico, inerzia nel vivere e nel compiere opere di bene, pigrizia, indolenza, infingardaggine, svogliatezza, abulia.
5) lussuria: La lussuria è un vizio inteso come l’abbandono alle proprie passioni o anche a divertimenti di natura generica, senza il controllo da parte della nostra ragione e della nostra morale.
6) accidia : Inerzia, indifferenza e disinteresse verso ogni forma di azione e iniziativa: la condizione che caratterizza molti giovani del nostro tempo, afflitti da assenza di interessi, monotonia delle impressioni, sensazioni di immobilità, vuoto interiore, rallentamento del corso del tempo e quindi a.
7) invidia :come la superbia, porta all’eccessivo amore di sè a scapito dell’amore fraterno e dell’amore per Dio, creando così una grande possibilità per l’azione del male.
IL 90 % DELLA SOCIETÀ DI QUESTO MONDO COMMETTE OGNI GIORNO TUTTI I 7 PECCATI CAPITALI E CIÒ È GRAZIE A QUESTE INDECENZE CONSENTITE DA POPOLI DORMIENTI:
LE COLPE DA PUNIRE SONO:
1)Vaticano/Chiesa/Patti Lateranensi
2) La Repubblica italiana la quale é illecita e contraddittoria da sempre .
La Repubblica italiana ha il sistema politico tra i più indecenti e chiusi del mondo .
Tra le tante leggi illecite ha istituito la legge contro i 30 diritti umani nell’Articolo N.7 =
Vaticano e statuto della Chiesa in ogni istituzione tramite il contratto istituito negli accordi dei Patti Lateranensi,i quali sono trattati politici e finanziari tra lo Stato il Governo e la Chiesa.
I Patti Lateranensi lasciano esercitare sul territorio italiano e Internazionale una Monarchia politica ecclesiastica la quale é anche multinazionale oligarchica.
La Chiesa non paga le tasse, non paga i consumi di acqua, luce e gas.
La Chiesa sequestra al benessere comune sociale il 30 % di ogni estrazione di oro, la quale viene eseguita sulla Terra.
La Chiesa ha orientato e condizionato quasi tutte le stesure Costituzionali e Istituzionali del Mondo.
3) I Partiti politici sono discriminazione e diffamazione verso i 30 articoli dei diritti umani, in quanto i diritti civici e civili sono applicabili esclusivamente tramite l’utilizzo di democrazia diretta senza quorum, partecipativa, sostenibile e circolare.
4) Quasi tutte le dittature Costituzionali e Istituzionali del Mondo sono da processare e sentenziare e idem tutte le burocrazie da queste generate.
FONTE: https://t.me/nuovagalassia/4799
LETTA, UN SEGRETARIO NATO!
Elio Lannutti 11 05 2022
(di Marco Travaglio – 10 Maggio 2022)
Sui migliori giornaloni (che non sono il Fatto, dunque dicono la verità), si legge che fino a un mese fa l’ad della Rai Carlo Fuortes e il direttore del Tg3 Mario Orfeo, entrambi di stretta obbedienza draghian-pidina, avevano confermato Carta Bianca di Bianca Berlinguer anche per la prossima stagione. Poi Bianca ha iniziato a dar voce anche a intellettuali pacifisti, come Orsini e Di Cesare. Il Pd l’ha subito bombardata, trasformando il Copasir in un Minculpop che decide gli ospiti dei talk. Fuortes è stato convocato – non si sa a che titolo – a Palazzo Chigi dal braccio destro e sinistro di Draghi, il sottosegretario Garofoli e il capo di gabinetto Funiciello, e ne è uscito deciso a chiudere Carta Bianca. I partiti maggiori (M5S, Lega, FdI) hanno già detto che si opporranno, tranne il Pd. Siccome Pd è l’acronimo di “Partito democratico”, vuole gentilmente il segretario Letta spiegare cosa ci sia di democratico in un partito che tace e acconsente alla chiusura di un programma per motivi politici, per giunta decisa a Palazzo Chigi?
L’altroieri, mentre Scholz, Macron e quasi tutti i partiti italiani prendevano le distanze dal folle proclama del capo della Nato Stoltenberg contro la pur timida apertura di Zelensky a una possibile rinuncia alla Crimea, Letta ha negato che fosse mai stato pronunciato: “Mi pare in corso una colossale opera di disinformazione. Ecco la risposta data da Stoltenberg a vari giornali europei. Solo da noi è diventata la Crimea è nostra e deciderà la Nato. NO, saranno gli ucraini, che stanno resistendo e morendo, a decidere”. E, a corredo del tweet negazionista, ha evidenziato una risposta di Stoltenberg: purtroppo era quella sbagliata. Quella giusta, riportata da Repubblica e Stampa (che non sono il Fatto, quindi dicono la verità), è questa: “L’annessione illegale della Crimea non sarà mai accettata dai membri della Nato”. Frase che ha subito suscitato le allarmate dissociazioni di Scholz (“Non porteremo la Nato nel conflitto”) e di Macron (“Non si fa la pace umiliando la Russia”). Ora, si dà il caso che l’Ucraina non faccia parte della Nato, anzi la Nato assicura di non averla mai voluta inglobare e le sta inviando armi, osservatori e addestratori militari per difenderne il diritto all’autodeterminazione. Ma che autodeterminazione è quella di un Paese il cui presidente ipotizza, fra mille distinguo, di rinunciare alla Crimea (che peraltro ha già perso) e viene zittito un minuto dopo dal capo di un’alleanza “difensiva” che non ha nulla a che fare col suo Paese e non ha alcun titolo per trattare al posto suo? Se poi Letta smentisse di aspirare alla guida della Nato, dissiperebbe tanti cattivi pensieri. Se invece confermasse, i suoi elettori cambierebbero partito. O almeno segretario.
FONTE: https://www.facebook.com/1341911388/posts/10222191551081364/
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