RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 13 OTTOBRE 2022
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Siamo talmente abituati ad essere piacevolmente “impressionati” da Totò attore, maestro di comicità, di camaleontica Arte di Scena, di “facies” mobili e posture dinoccolate che ci lasciamo spesso sfuggire il Totò intrinsecamente e profondamente riflessivo sulle debolezze dell’uomo, il Totò che attraversa la vita scrostandola dall’ipocrisia e lanciandola nuda e reale davanti agli occhi di quell’uomo che “vuol”, come lui, vedere la verità.
Francesca Sifola
scrittrice
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SOMMARIO
LA NATO CONTRO GLI USA, L’EUROPA, LA CINA, IL MONDO
Il futuro della Nato: scienza, business e alta finanza.
PUNTO CRITICO?
Intel e quel marketing involontario in romanaccio, “Grazie ARC A770”
CI ABITUANO ALLA GUERRA NEL CONTINENTE DOPO AVERCI PREPARATO CON LA GESTIONE PANDEMICA
Una guerra contro l’Europa
Perché, per le Nazioni Unite, un solo massacro in una moschea è molto peggio degli innumerevoli massacri perpetrati nelle chiese?
Gli interessi statunitensi, gli schemi manipolativi dei mainstream media e la situazione in Iran
Quello russo è stato un “attacco terroristico”?
Il mese prima del Generale Inverno: la chiave del conflitto ora è il tempo
Quando la cultura è al bando: Ray Bradbury – Fahrenheit 451
Api assassine in Svezia. E vespe britanniche.
“Un solo giorno per riparare le strade distrutte dai missili russi”. Quello che non torna sulla foto del Corriere
La California ha emanato legge che consente l’intervento chirurgico di riassegnazione del sesso per i minori, anche se i loro genitori sono contrari.
In Afghanistan, i cristiani “subiscono torture sistematiche”
PUTIN DICHIARA
Criticare o imitare la Germania, questo è il problema
La crisi finanziaria spiegata in 5 punti
I nuovi poveri sono i lavoratori
La nebbia del salario minimo
Come verranno decise le civiltà
Dirigente Pfizer sotto giuramento: non abbiamo mai testato il vaccino contro la trasmissione del Covid-19
Ucraina: una tragedia annunciata
Strategie in mutamento: come cambiano gli obiettivi internazionali ai giorni nostri
UNA TEORIA DELLA DEMOCRAZIA
Meloni. O dell’eterno ritorno dell’uguale
SUI VACCINI VI HANNO SEMPRE MENTITO
LA RESA DEI CONTI
EDITORIALE
LA NATO CONTRO GLI USA, L’EUROPA, LA CINA, IL MONDO
di Manlio Lo Presti (scrittore esperto di sistemi finanziari)
Come ha più volte ripetuto Luttwak, gli Usa sono una struttura commerciale controllata e governa una decina di aziende planetarie, quasi tutte americane. E’ stato un errore non evidenziare la dichiarazione del politologo americano e, anzi, è stata volutamente ignorata.
Per questi colossi, e da tempo, anche l’America risulta sempre meno funzionale all’espansione ed unificazione del mercato mondiale. Non a caso gli Usa sono il terreno di una pluridecennale guerra civile permanente, disseminata da sparatorie, povertà per milioni di umani che dormono sotto i piloni dei cavalcavia, disoccupazione, collassi finanziari pilotati, ecc. ecc.
Il ristretto gruppo di giganti aziendali mondiali sta tentando l’eliminazione delle barriere sociali, culturali, nazionali, commerciali, linguistiche: utilizzando la forza militare e l’aggressività della Nato. Lo spostamento strategico della Nato è iniziato quando il precedente presidente Trump interruppe il pagamento delle quote alla struttura. Il blocco arrivò (https://www.truenumbers.it/nato-trump-grillo/ ed https://www.agenzianova.com/a/0/2712547/2019-11-28/finestra-sul-mondo-usa-trump-intende-ridurre-contributo-finanziario-alla-nato) per dissensi della presidenza con la Nato, che ora sono comprensibili alla luce delle sue scelte operative, delle sue numerose ingerenze contro la Russia, della sua espansione ad est e con la fornitura a valanga di armi all’Ucraina (https://www.lindipendente.online/2022/02/23/lenorme-flusso-di-denaro-con-cui-loccidente-ha-finanziato-lucraina/).
Un altro blocco fu quello ai fondi destinati all’Oms (https://www.corriere.it/esteri/20_aprile_15/donald-trump-blocca-fondi-all-oms-mette-sua-firma-assegni-inviati-70-milioni-americani-a7174228-7edf-11ea-a4e3-847238ee431e.shtml). Con il senno di poi, adesso comprendiamo questa mossa, alla luce degli immensi guadagni – oltre 100 miliardi di euro con la tassazione al 3% in Olanda – e dopo aver vissuto la gestione mondiale, opaca e disastrosa, della cosiddetta pandemia, per la quale furono impiantati numerosi laboratori americani in Ucraina e Cina.
La dottrina politica mondiale della presidenza Trump prevedeva rapporti privilegiati con la Russia, per tentare uno stritolamento della Cina (vero nemico degli USA sui mercati mondiali, in particolare in Africa). In questa ottica, l’Europa restava indenne da contraccolpi, perché geopoliticamente irrilevante all’interno di una forte tensione con la Cina.
La presidenza Biden ha percorso la strada opposta, appoggiando l’espansione della Nato ad est per tentare la demolizione della Russia. Il risultato è l’alleanza Cina-Russia. Storicamente, la Cina non ha avuto rapporti scorrevoli con la Russia, ma il pragmatismo le ha fatto cambiare strada. Il sostegno alla Russia consente alla Cina di rafforzare la sua capacità di resistenza alla Nato: un crollo della Russia la renderebbe isolata ed esposta all’aggressione degli USA-NATO.
Lo spostamento Nato-centrico della presidenza Biden è mirato alla conquista d’importanti giacimenti metalliferi nell’est Europa, in Ucraina in particolare, ed all’accaparramento del petrolio iraniano. In questa ottica si comprende l’attuale insorgere “casuale”, e proprio adesso, di una riedizione ben sperimentata della “rivoluzione colorata”: costituita dai presunti disordini di piazza contro l’imposizione del velo, raffigurata con l’ennesimo slogan del taglio della ciocca rapidamente accolto dalle comunità immigrazioniste, buoniste, politicamente corrette, plurisex, globaliste di mezzo mondo, inconsapevoli (forse) di essere i servi sciocchi del potere mondiale.
Alla luce di queste riflessioni, in termini semplici e senza nascondersi nella fuffa dispersiva dei dibattiti politici da avanspettacolo, si comprende il cambio di rotta dell’attuale amministrazione americana. Gli Usa stanno perseguendo strategie che riflettono ed obbediscono alle linee operative della Nato, a sua volta teleguidata dai colossi finanziari e commerciali mondiali di estrazione USA, orientati ad un tracollo dell’Europa per bruciare il terreno alla Russia da sterminare e spezzettare in vari Stati, per poi passare alla distruzione della Cina e al suo frazionamento. Confucianamente, la Cina lo ha capito subito seguita dall’India e da un numero crescente di Stati africani ed asiatici. Di particolare interesse sarà la creazione di un circuito monetario e finanziario alternativo al dollaro e alla rete Swift. Il mondo sta andando verso altri equilibri. La Storia ha dato ragione ad Eisenhower.
FONTE: https://www.lapekoranera.it/2022/10/12/la-nato-contro-gli-usa-leuropa-la-cina-il-mondo/
IN EVIDENZA
Il futuro della Nato: scienza, business e alta finanza.
A partire dal giugno 2020, con l’approvazione della “Nato 2030 Initiative” e la pubblicazione del documento ufficiale “Nato 2030: United for a New Era”, l’organizzazione politico-militare atlantica ha dedicato una specifica attenzione alle c.d. EDT (Emerging & Disruptive Technologies): big data, intelligenza artificiale, autonomia, tecnologie quantistiche, tecnologie spaziali, biotecnologie e human enhancement, tecnologie ipersoniche.
Facendo seguito a questa iniziativa, nel luglio del 2020, il segretario generale della Nato, Jan Stoltenberg, ha deciso di istituire un Advisory Group on Emerging and Disruptive Technologies: esso è composto da 12 esperti altamente selezionati, provenienti dal settore privato (vi figurano ad esempio IBM, Microsoft e Digitaleurope, associazione che raccoglie 36mila aziende informatiche europee), da quello universitario (da università francesi, statunitensi, britanniche, spagnole, polacche, dal CNR italiano) e dalle grandi agenzie governative di intelligence, cibersecurity e dello spazio (NSA, ESA, ENISA).
Il compito di questo gruppo di tecnici consiglieri è di supportare il Nato Innovation Board, ufficio dedicato allo sviluppo tecnologico dell’Alleanza, nell’utilizzo di queste nuove tecnologie in funzione degli obiettivi strategici della Nato.
L’Advisory Group ha infatti redatto il suo primo rapporto annuale, nel quale vengono presentate quattro raccomandazioni, considerate come prioritarie per il futuro dell’Alleanza Atlantica: migliorare le conoscenze tecnologiche di base; istituire una rete transatlantica di Centri di Innovazione; individuare e favorire nuovi meccanismi di finanziamento per l’innovazione rivolgendosi al settore privato; creare partenariati con il settore industriale ed accademico.
A seguito di questo percorso, particolarmente rilevante, a dimostrazione della volontà di creare uno strumento che integra risorse militari, scientifiche e aziendali, è stata la decisione di dare vita al Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic (DIANA): per “acceleratore” si intende oggi una concentrazione di risorse tecniche, scientifiche e finanziarie in grado appunto di velocizzare un progresso non solo di conoscenze teoriche ma sopratutto di capacità applicative.
Il modello Arpa
Il Diana ha come evidente modello la famosa agenzia statunitense DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), nata come ARPA nel 1958, su iniziativa dell’allora presidente Usa Dwight Eisenhower, in risposta ai conseguimenti ottenuti dai sovietici in ambito spaziale, con il lancio il 4 ottobre 1957 del primo satellite Sputnik. ARPA, che appunto collegava ricerca scientifica, strumenti militari e business privato, il tutto finanziato con soldi pubblici, riuscì in soli 18 mesi a dare agli Usa il suo primo satellite, destinato all’uso militare.
L’uomo chiave di questi sviluppi fu lo scienziato americano J.C.R. Licklider, autore del fondamentale studio Man Computer Symbiosis, che ipotizzava la creazione di thinking centers (“centri di pensiero”), connessi in rete, che dovevano realizzare l’integrazione uomo-macchina, necessaria a suo avviso per lo sviluppo della scienza contemporanea: un’idea che è ancora centrale nella “vision” strategica di Google, per citare un solo eloquente esempio.
Licklider guiderà Arpa nella creazione di ARPANET, connessione in time share tra computer, rivolta a completare la rete SAGE di difesa aerea americana, grazie all’impiego del computer IBM AN/FSQ-7 (il più grande computer della storia: 250 t., 2000 mq. di superficie), rimasto attivo fino al 1984.
Su queste basi, nel 1969, Arpanet, collegando quattro computer Imp (Interface Message Processor), due della California University (Los Angeles e Santa Barbara), uno dello Stanford Research Institute, l’altro della Utah University, darà vita al primo internet della storia. Nel 1972, infine ARPA cambierà nome nell’attuale DARPA.
La rete DIANA
DIANA quindi intende costituire una rete civile-militare di istituti di ricerca, rivolta alla crescita delle startup e alla creazione di un fitto tessuto connettivo tecnologico dell’Alleanza. La sua attuale configurazione, infatti, comprende in Europa i seguenti 9 centri acceleratori:
- I-Hub, Imperial College, di Londra, specializzato nell’intelligenza artificiale, informatica, tecnologia quantistica e biotecnologie: è anche il centro di coordinamento per l’Europa.
- Niels Bohr Institute, BioInnovation Institute BII, di Copenhagen, specializzato in tecnologia quantistica e biotecnologie.
- WSL, Vallonia e Bruxelles, specializzato in intelligenza artificiale, biotecnologie, tecnologie verdi, micro e nanotecnologie, trattamento dati, aero spazio, informatica, automazione.
- Madan Parque/Startup, Lisbona, specializzato in biotecnologie, ICT (Information and Communications Technology), materiali avanzati, energie rinnovabili.
- In Estonia, il parco tecnico e commerciale Tallinn Science Park Tehnopol, lo Startup Wise Guys e il Tartu Science Park, specializzati in intelligenza artificiale, informatica, spazio, tecnologie verdi.
- CzechInvest di Praga, specializzato in intelligenza artificiale, spazio, tecnologie verdi, collegato al CERN (Organizzazione europea per la ricerca nucleare).
- Odtü Teknokent di Ankara, che si occupa di informatica, biotecnologie, aviazione, energia, elettronica avanzata.
- In Grecia abbiamo l’istituto di ricerca Demokritos di Atene, e l’istituto Forth di Heraklion (Creta) che si occupano di intelligenza artificiale, gestione dati, nanotecnologie e biotecnologie, intelligenza artificiale, gestione dati, nanotecnologia, biotechnologie, radio.
Il ruolo dell’Italia
Non poteva ovviamente mancare l’Italia, coinvolta in DIANA, per il momento, attraverso il centro Officine Grandi Riparazioni ed il Plug and Play Tech Center, entrambi localizzati Torino, entrambi specializzati nella ricerca aerospaziale.
Il 20 gennaio 2022 a Torino, David van Weel, assistant secretary general for Emerging Security Challenges della Nato, ha incontrato il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, il vicesindaco, Michela Favaro, l’assessore alle Attività produttive della Regione, Andrea Tronzano, il gen. CdA Luciano Portolano, segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli Armamenti.
Questi rappresentanti italiani hanno avanzato la candidatura della futura Città dell’Aerospazio di Torino: in attesa del suo completamento, si è però ripiegato sulle Officine Grandi Riparazioni (OGR), un ex complesso industriale trasformato nel 2017 in spazio espositivo e culturale – la cui candidatura è stata accettata dalla Nato.
Sono stati anche offerti dall’Italia, ma al momento non sembrano inseriti in DIANA, il costituendo acceleratore Aerospace & Advanced Hardware, il Centro di Supporto e Sperimentazione Navale (Cssn) della Marina Militare Italiana a La Spezia, il Centro Italiano di Ricerche Aerospaziali (Cira) a Capua, società partecipata dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e della Regione Campania.
Non meno significativo il ruolo di Plug and Play Tech Center: gestore e finanziatore, con 1,35 mln di euro, del programma Takeoff Accelerator, dedicato a start-up che vogliono sviluppare soluzioni e servizi nei settori dell’aerospazio e dell’hardware avanzato. Al finanziamento del programma concorrono Cdp Venture Capital, per 10 milioni di euro, e, per altrettanti, Fondazione Crt (tramite Sviluppo e Crescita) e Unicredit: per un totale quindi di oltre 21 milioni di euro. Prendono parte al programma anche l’Unione Industriali di Torino ed il Gruppo Leonardo, impegnato da tempo nel settore aerospaziale.
Presenti e assenti
Interessante che non siano fino ad oggi indicate le interfacce nordamericane, a parte il fatto che l’ufficio regionale di quell’area sarà basato in Canada, ma non si conoscono quali istituzioni canadesi e statunitensi prenderanno parte a DIANA.
Così come sono significative le assenze, almeno fino ad oggi, di Francia e Germania: anche se la prima ha manifestato una generale (o generica?) disponibilità a rendere accessibili i propri centri di ricerca scientifica.
È evidente che la chiara impostazione dual–use di questo grandioso progetto di integrazione scienza-business-militare lasci perplessi i due maggiori Paesi europei che ancora dispongono evidentemente di una certa consapevolezza dei non pochi rischi di una condivisione totale di know-how tecnico-scientifici che possono servire non solo allo sviluppo tecnologico di armamenti ma anche a quello della produzione industriale.
Finanza e innovazione
Uno degli aspetti sicuramente più significativi della novità di DIANA è che la rete che stiamo descrivendo attiverà uno specifico strumento finanziario. Gli Stati aderenti hanno infatti sottoscritto a Madrid una lettera d’intenti che li impegna a implementare un apposito Innovation fund, un fondo di un miliardo di euro che supporterà per i prossimi 15 anni startup e imprese deep tech che lavoreranno per sviluppare tecnologie innovative e dual-use, prioritarie per il potenziamento tecnologico dell’Alleanza Atlantica, il cui ovvio intento geopolitico è di conservare e incrementare il vantaggio tecnologico di cui gode a livello planetario. Il tutto ovviamente giustificato con la proclamata esigenza di tutelare la sicurezza degli alleati atlantici dinanzi alla minaccia rappresentata dalle “revisioniste” Russia e Cina.
L’Innovation fund ha una caratteristica sensazionale, che non dovrebbe sfuggire a chi segue con attenzione la storia del rapporto fra finanza e Stati moderni. Si tratta infatti in assoluto del primo fondo di capitale di rischio multi-sovrano al mondo, tenuto a battesimo con queste significative parole dal segretario della NATO Stoltenberg:
«Questo fondo è unico nel suo genere, con un orizzonte temporale di 15 anni, l’Innovation fund contribuirà a dare vita a quelle tecnologie nascenti che hanno il potere di trasformare la nostra sicurezza nei decenni a venire, rafforzando l’ecosistema dell’innovazione dell’Alleanza e sostenendo la sicurezza del nostro miliardo di cittadini».
La NATO quindi diventa il coordinatore sovra-nazionale anche di uno specifico indebitamento pubblico di una molteplicità di Stati cosiddetti sovrani. Non è dato sapere ancora al momento quali fra i non molti Master of the Universe gestiranno questo fondo di investimento speculativo NATO, nel quale per la prima volta nella storia contemporanea si realizza una sorta di quadratura del cerchio: entità politiche, istituzioni accademiche e di ricerca, imprese business – si trovano finalmente insieme, pronte, con la coscienza in pace, a sviluppare tecnologie destinate alla creazione delle armi più efficaci per combattere le prossime guerre.
Guerre che gli strateghi della NATO cominciano a ipotizzare se, contro il “nostro miliardo” di privilegiati figli del capitalismo occidentale, verranno a schierarsi i meno privilegiati 6 miliardi di esseri umani.
In questo terribile senso, resta tuttavia aperta la domanda inquietante, cui la NATO dovrebbe pur dare una risposta al “suo” miliardo: come mai gli eserciti occidentali, tanto tecnologicamente avanzati, hanno poi perso con disonore le guerre coi “poveri”, in Vietnam, Algeria e, da ultimo, Afghanistan?
FONTE: https://clarissa.it/wp/2022/07/22/il-futuro-della-nato-scienza-business-e-alta-finanza/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Intel e quel marketing involontario in romanaccio, “Grazie ARC A770”
Intel ARC A770 potrebbe essere il nome più fortunato e insieme più sfortunato della storia del mercato. Ci sono stati in passato molti casi di nomi sciagurati, di cui almeno uno legato al campo dell’informatica.
Riassunto delle avventure precedenti
Corre ad esempio alla mente il caso di un gruppo di programmatori Svedesi che per un periodo di tempo non nullo decisero di vendere l’app che sarebbe diventata “Kanakku” col nome di “Inkulator”.
Windows 8 è stato il predecessore dell’attuale 11, primo sistema operativo basato sulle “tiles” e su una grafica in grado di funzionare allo stesso modo su tablet, cellulari evoluti, dispositivi touch e PC convenzionali. L’idea degli svedesi fu quindi creare una “Ink calculator”, “Calcolatrice a inchiostro” che potesse riconoscere il testo scritto con un pennino o col mouse.
Ignorando che Inkulator in Italiano significa altro, costringendo ad un cambio di nome che nelle release successive ha portato l’app a diventare “Kanakku” (matematica in lingua Tamil).
Il Mitsubishi Pajero in Spagna viene venduto col nome commerciale di “Montero”, in quanto Pajero è un insulto usato contro gli omosessuali.
Ai tempi dell’informatica vintage il VIC-20 Commodore era noto in tutto il mondo occidentale tranne la Germania come VIC-20 e come VC-20 in Germania.
In Germania la parola “Vic” suonava come termini usati per descrivere il pene e la masturbazione, nel resto del mondo l’abbreviazione VC evocava il “Water Closet”, la ritirata o gabinetto e non il “Wolks-Computer” (computer per il popolo).
Credevamo ingenuamente fossimo diventati più saggi: non è accaduto così.
Intel ARC A770 e quel marketing involontario in romanaccio (non il solo)
Entra ora in scena l’Arc A770, scheda video nata per sfidare le blasonate GeForce, prendere la rincorsa della fame di GPU nata dai primi timidi (ma ancora non conclusivi, anzi) segnali di uscita dalla crisi dei semiconduttori e da iniziative come il “Merge di Ethereum” che hanno ridotto la fame di GPU dei “miner”, i cacciatori di valuta digitale.
Una GPU di tutto rispetto, va detto, ancorché sembra dai primi rilievi pronta a rivelare il suo potenziale solo per un computer all’altezza con supporto a tecnologie come ReBAR e SAM.
Non insomma la “pallottola magica” come la SSD che buttata a forza in un semicatorcio ne “svolta” le prestazioni. Ciò non di meno, un bel pezzo di hardware con un nome assai sfortunato.
Infatti ogni “nerd” dell’informatica è cresciuto nel linguaggio c.d. l337.
Il “l337” è l’evoluzione del vecchio gioco con cui si scrivevano frasi usando una calcolatrice rovesciata, come “sei bello” con “0.7738135” e “hello” con “0.7734”. Un linguaggio composto usato numeri e lettere in modo che i numeri somiglianti alle lettere si leggano in modo simile.
Considerando quindi la 7 e la 0 come sostituti validi di 7 e 0, la GPU Intel si ritrova con un nuovo nome tutto in romanaccio
“Grazie Intel”, scrivono i fan Italiani.
“Grazie ARC A770”, aggiungono lodando la nuova GPU per un momento di ilarità
FONTE https://www.bufale.net/intel-e-quel-marketing-involontario-in-romanaccio-grazie-arc-a770/
BELPAESE DA SALVARE
CI ABITUANO ALLA GUERRA NEL CONTINENTE DOPO AVERCI PREPARATO CON LA GESTIONE PANDEMICA
Per il virus, coprifuoco, orari draconiani per le attività, distanziamento, pass, sieri…
Per la carenza di gas, razionamento, coprifuoco, economia di guerra, pass, orari draconiani per le attività, psicofarmaci…
Per il rischio di guerra nucleare, razionamento, coprifuoco, economia di guerra, pass, orari draconiani per le attività, pastiglie di iodio…
E’ una guerra sociale dei vertici della società contro le “eccedenze produttive” nel ciclo di accumulazione e valorizzazione del capitale in crisi sistemica, nel declino dell’egemonia USA e del dollaro.
Le nostre classi dirigenti europee devono solo ubbidire e abituarci alla guerra, perché sarà l’Europa l’agnello sacrificale in una guerra limitata al nostro continente con armi nucleari tattiche.
Certo, gli USA devono vincere resistenze interne agli stati e ai governi europei, non siamo a fine corsa e devono frenare la spinta ucraina alla guerra totale mandando piccoli segnali, come la denuncia di ciò che si sapeva già: che dietro l’agguato ai Dugin c’era Kiev. I nazisti ucraini devono stare nei binari imposti dalla CIA e dal Dipartimento di stato USA.
Per questo il migliore regalo che potremmo fare ai guerrafondai imperialisti di Washington e ai loro servi dem, lib-lab europei è lasciare alla loro narrazione pandemica, di guerra e di falso ambientalismo gretino ciò che invece le masse popolari devono comprendere e alla svelta per scardinare il più grande progetto autoritario di dominio al crepuscolo dell’atlantismo del dollaro e agli albori del multipolarismo: che i nostri nemici sono proprio quelli che ci governano al di là degli esiti delle elezioni. Fanno tutti la stessa politica servile e funzionale alla macchina bellica che è un tutt’uno con le nuove forme di dominio transumano, ipertecnologico, di post-democrazie impostate a pilota automatico sul razzismo della discriminazione e del nemico interno.
Altro che sfilate umanitarie, belleciao contro fascismi mazurka a Predappio e riedizioni di movimenti pacifisti che rassicurano sardine e gruppetti autoreferenziali!
Altro che armi di distrazione di massa che servono solo a non far vedere il nemico! Un nemico che è molto più a sinistra che a destra, con tanti volti e per tutti i gusti e gli stili: dai dem ai più radical che si muovono con i fili delle élite capitaliste dominanti transnazionali.
Se solo il popolo comprendesse che sta andando al macello imperialista della guerra e al fascismo vero, quello 4.0, altro che sfilate.
Per questo ho apprezzato e apprezzo soggettività anche diverse da me che alzano le bandiere del fuori la NATO dall’Italia e fuori l’Italia dalla UE. L’euroriformismo è un inganno che si ripete ogni giorno, con le scelte autonome tedesche (facciomole anche noi, poi vedi che succede!) e la borsa olandese del gas, con la BCE e i PNNR e i MES capestro e usurai, con gli egoismi delle classi dominanti nazionali, satrapi che solo l’imperatore dominante può fermare e manovrare.
Il vero internazionalismo parte dalla sovranità nazionale, perché libera uno, libera tutti, la gabbia va rotta in più parti. Queste devono essere le coordinate di un movimento di massa (questo sì) transnazionale contro la guerra imperialista e l’autoritarismo capitalista.
Questa guerra sociale dall’alto contro il basso va riconosciuta e affrontata cn ogni mezzo, agli albori dell’olocausto oggi più possibile che mai.
FONTE: https://maccentelli.org/ci-abituano-alla-guerra-nel-continente-dopo-averci-preparato-con-la-gestione-pandemica/#more-2376
CONFLITTI GEOPOLITICI
Una guerra contro l’Europa
La terza, o forse la quarta guerra mondiale è già cominciata da tempo, ne siamo consapevoli. La quarta, se si considera come una vera guerra la cosiddetta Guerra Fredda, ovviamente. Il fatto è che di questa guerra, terza o quarta che sia, l’obiettivo non è, come ci si vuol fare credere, la Russia del cosiddetto autocrate Vladimir Putin — ma una possibile Europa unita ed indipendente. Sappiamo bene che formulare queste ipotesi oggi significa essere prontamente confinati nel ghetto dei complottisti, ma i fatti parlano chiaro.
Plan Arcadia
Partiamo da lontano, dal poco noto ma fondamentale e assai ben documentato Plan Arcadia, vale a dire il documento strategico, per lo più frutto di un’elaborazione che gli Inglesi non per nulla definirono allora “British Most Secret”, il massimo segreto inglese.
Nel corso della conferenza alleata anglo-americana, svoltasi a Washington tra il 24 dicembre 1941 ed il 14 gennaio 1942 (quindi poco dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour e l’entrata degli Usa nel conflitto mondiale), denominata in codice appunto Arcadia, i Britannici presentarono infatti il 5 gennaio un fondamentale documento, intitolato American-British Grand Strategy, nel quale, delineando i punti principali della strategia nel conflitto, si definiva operativamente la cosiddetta “quarta dimensione della guerra”, cioè l’insieme delle misure rivolte a colpire le coscienze, comprendenti guerra psicologica, propaganda, disinformazione, intossicazione, sovversione e terrorismo.
Non possiamo dunque dimenticare che questa dimensione è stata in realtà fondamentale per il raggiungimento della vittoria Alleata nella Seconda Guerra mondiale. Ne abbiamo spesso parlato sulle colonne di clarissa.it, soprattutto quando ci siamo dovuti occupare della storia della strategia della tensione in Italia. Riteniamo che questa impostazione sia connaturata allo stile anglo-sassone di condotta nei conflitti, nell’oramai lunga storia della loro politica di potenza a livello mondiale.
La crisi strutturale degli Usa
Un dato di fatto è che gli Stati Uniti d’America sono da almeno due decenni in una grave crisi strutturale: i loro interventi militari in Medio Oriente non hanno risolto, ma semmai aggravato, i problemi di quell’area, e la recente pesantissima sconfitta in Afghanistan ha rappresentato una decisiva conferma, per la classe dirigente statunitense (che si è infatti affrettata a farla cancellare dai media mondiali), della loro incapacità di affrontare e risolvere le tensioni geopolitiche mondiali.
Dal punto di vista industriale, la crescente affermazione della Cina mette in forse, per la prima volta dalla fine del XIX secolo, il predominio del capitalismo delle grandi multinazionali statunitensi, affermando un modello di capital-comunismo nel quale la centralizzazione del potere politico si accompagna ad un’eccezionale concentrazione di forza finanziaria, produttiva e ancor più commerciale.
Il debito pubblico Usa ha raggiunto, secondo Trading Economics, a settembre 2021, 28.428,919 milioni di dollari, tra le cifre più alte della storia del paese. Il rapporto debito/Pil, ora di poco superiore al 100%, sta lentamente raggiungendo i valori caratteristici del secondo conflitto mondiale, quando ha sfiorato il 120%. Gli Usa hanno evitato il default nel 2021 semplicemente innalzando per legge il tetto del loro debito pubblico di ben 480 milioni di dollari.
Il deficit della bilancia commerciale Usa, secondo i dati del Bureau of Economic Analysis (BEA) del Dipartimento del Commercio americano, si è attestato, a giugno, a 79,6 miliardi di dollari rispetto agli 84,9 miliardi di maggio: esportazioni per un valore di 260,8 miliardi, importazioni per 340 miliardi. Siamo dunque in presenza di un Paese la cui gigantesca economia acquista più di quanto vende all’estero.
Si aggiunga a questo la crisi di fondo della democrazia americana, dimenticata anche questa dai media italiani, causata dal deficit di rappresentatività di un sistema che è sempre più in mano a ristretti gruppi di pressione finanziari che hanno di fatto oramai completamente sottratto al controllo ed alla sovranità popolare la direzione del Paese. Sta tutto qui il nocciolo delle travagliate vicende della presidenza Trump, come bene si comprende leggendo testimonianze come quella, onesta e critica, del suo Attorney General, William Barr 1.
Stati Uniti ed Europa
In un siffatto contesto, la guerra scoppiata in Europa rappresenta un’occasione straordinariamente positiva per gli Stati Uniti.
In primo luogo, questa guerra ha oggettivamente condotto la Russia “revisionista” di Putin in un pantano politico-militare dal quale non sembra possibile riesca ad uscire in tempi brevi: se infatti questo conflitto non troverà una soluzione rapida, in una prospettiva di “quarta dimensione della guerra” esso potrebbe portare addirittura ad una destabilizzazione della Russia, obiettivo assai rilevante almeno per i settori del cosiddetto “interventismo democratico” degli Usa, di cui Jo Biden è un esponente fin dagli anni Ottanta del XX secolo.
In secondo luogo, lo stesso conflitto è andato ad impattare in maniera a quanto pare decisiva su di una questione di importanza strategica essenziale: la dipendenza energetica dell’Europa dall’estero, prima dal Medio Oriente, ora dalla Russia. Basta osservare infatti che, fino al 26 settembre 2022, i rifornimenti di gas dell’Unione arrivavano principalmente dalla Russia, tramite il gasdotto Brotherhood, che attraversa l’Ucraina, tramite il gasdotto Nord Stream, nonché mediante il Turkish Stream. Il gasdotto Brotherhood è ancora parzialmente funzionante, ma può essere tagliato definitivamente per volontà di Kiev, o magari a seguito di opportuni atti di sabotaggio; i condotti Nord Stream sono stati resi inutilizzabili, almeno momentaneamente; quanto al superstite Turkish Stream, non ne può essere effettuata la manutenzione a causa delle sanzioni adottate dalla Unione Europea, imposte dagli Stati Uniti.
Ridicolo quindi sostenere la paternità russa degli attentati ai Nord Stream 1 e 2, in quanto non solo gli stessi sono posseduti per almeno il 51% da un’azienda russa, ma il loro sabotaggio presuppone vicine basi d’appoggio, cioè l’ombrello protettivo della Nato. Sono dati di fatto ben noti alle cancellerie europee, per tacere del fatto che, con ogni probabilità, molte di esse sono in possesso di informazioni dettagliate sugli attacchi, trattandosi di strutture prevedibilmente monitorate h24: qualcuno quindi sa, ma preferisce tacere.
Infine, ma è questo il punto davvero fondamentale, questo secondo conflitto in Europa, dopo quello nella ex-Jugoslavia, cancella qualsiasi possibilità di formazione di un’Europa dall’Atlantico agli Urali, che è da sempre il maggiore timore delle classi dirigenti anglo-americane. La contrapposizione fra Russia ed Unione Europea, con l’autolesionistica applicazione di sanzioni indiscriminate, è da questo punto di vista un successo fondamentale per gli Usa, aumentando la dipendenza europea sul piano energetico, economico, militare e spingendo la Russia nelle braccia, assai poco accoglienti in verità, della Cina.
Germania e Stati Uniti
In questo contesto, non è sfuggito a taluni osservatori la dichiarazione di Olaf Scholz il 16 settembre 2022 (si noti la data) all’annuale conferenza della Bundeswehr (le forze armate tedesche), a Berlino. Il cancelliere tedesco, che da poco ha varato un piano di ammodernamento militare dal valore di 100 miliardi di dollari, ha affermato quel giorno, che, poiché la Germania è il Paese più popoloso e la maggiore economia dell’Unione, le forze armate tedesche dovranno diventare le “meglio equipaggiate” d’Europa: aggiungendo che “la Germania è pronta ad assumere un ruolo guida, ad assumere la responsabilità della sicurezza del nostro continente”, affrettandosi a precisare però, a scanso di equivoci, che “questo obiettivo non dovrebbe esser visto come una minaccia dai nostri amici e dai nostri partner Europei, al contrario si tratta di una garanzia” 2.
Interessante a questo punto notare che il sabotaggio ai condotti Nord Stream, nella cui proprietà la Germania è da sempre presente accanto alla Russia, sia puntualmente avvenuta nel giro di una settimana. Siamo dunque nella “quarta dimensione” anche di questa guerra?
Ci dobbiamo quindi rendere conto che questo conflitto, probabilmente apertosi come una trappola in cui la Russia è caduta, nel momento in cui gli Stati Uniti attraversano una crisi epocale, ha come vero obiettivo impedire la formazione di un polo politico-economico (e potenzialmente militare, a sentire Sholz…) europeo, che avrebbe potuto e dovuto includere la Russia — essendo quindi in grado di porsi come fattore di equilibrio mondiale, nella prospettiva di una crescente competizione fra Cina e Stati Uniti.
Gli Ucraini, non accedendo ad una soluzione negoziata del conflitto, ma anzi prestandosi come esecutori in episodi come l’uccisione della figlia del filosofo russo Dugin o l’esplosione sul ponte della Crimea, divengono puro strumento anche della ”quarta dimensione della guerra” anglosassone, dimenticando quanto le garanzie degli Alleati abbiano valso, ad esempio nei confronti della Polonia, nella Seconda Guerra Mondiale.
È questo che governi come quello italiano, invece di ribadire prontamente il proprio assoggettamento alla Nato prima ancora di costituirsi, dovrebbero far capire agli Italiani, e poi agli Ucraini, ai Russia, agli Europei.
Eppure gli Italiani ben conoscono, dalla Seconda Guerra mondiale e dal secondo dopoguerra, quali siano gli effetti per la sovranità di un popolo degli Arcadia Plan alleati.
Note
- W. Barr, One Damn Thing After Another: Memoirs of an Attorney General, 2022.[]
- si veda la comunicazione in https://twitter.com/dw_politics/status/1570725809186377728 []
FONTE: https://clarissa.it/wp/2022/10/09/una-guerra-contro-leuropa/
Perché, per le Nazioni Unite, un solo massacro in una moschea è molto peggio degli innumerevoli massacri perpetrati nelle chiese?
Il mese prima del Generale Inverno: la chiave del conflitto ora è il tempo
di Fabio Mini
La fretta del clima. Gli ucraini devono avanzare il più possibile, i russi rallentarli al meglio. Devono scegliere dove impostare la difesa che consenta di riprendere l’attacco
Dei quattro fondamentali della guerra (spazio, tempo, forze e volontà), i prevalenti in questa fase sono il tempo e la volontà, identificata con il morale, la motivazione. Le forze sono scarse ed esauste su entrambi i fronti ma quelle poche di Kiev ad est del Dniepr si muovono in fretta mentre quelle russe attestate in difesa possono contrastarle attivamente solo con il fuoco.
Le forze di Kiev possono operare in velocità (rapporto spazio/tempo) perché sono poche e lo spazio è praticamente vuoto. I territori sottratti ai russi con le incursioni sulla prima linea o lasciati dai russi sono spazi pieni di detriti, distruzioni, cadaveri e terribilmente vuoti della cosa più importante: la popolazione, sulla quale si basa il sostentamento materiale e morale di una forza militare lontana dalle fonti di alimentazione.
Di qui l’importanza del tempo nelle sue due accezioni (dimensione e meteorologico). Gli ucraini devono fare in fretta a sfruttare i successi anche sul nulla perché fra un mese potrebbero non essere più in grado di farlo. Non solo il tempo meteorologico non consentirà di muoversi e porrà grossi problemi di rifornimento, ma lo stesso aiuto americano ed europeo potrebbe essere inutilizzabile.
I russi devono invece guadagnare tempo anche cedendo spazio, ma soprattutto mantenendo le posizioni e le vie di rifornimento che consentiranno di mantenere le posizioni.
Devono scegliere dove impostare la difesa che consenta di riprendere l’attacco non appena le condizioni del tempo lo consentiranno: più aspettano più rischiano di realizzare in ritardo la difesa così come hanno realizzato in ritardo i ripiegamenti dai territori che non avevano mai veramente conquistato e occupato.
Il tempo è un tiranno che non si lascia piegare; né i russi né gli ucraini hanno i mezzi per poterlo controllare con le armi, così come noi europei e gli Usa non possiamo controllarlo con le fantasie, le narrazioni e i trucchi dilatori.
Il tempo, in questo caso, è anche il padrone della volontà. Gli ucraini devono sfruttare i successi anche per motivare la popolazione che fra un mese sentirà sempre più forte gli effetti di una guerra che hanno voluto perché illusi di non dover soffrire.
La politica di Kiev verso la popolazione sarà sempre più dura e sempre meno giustificata. Quella verso l’esterno sarà sempre più legata all’azzardo e all’arroganza, ma le prime crepe di credibilità stanno aprendo gli occhi non solo all’intelligence americana che adesso si sveglia con la virginea rimostranza sul fatto che Kiev abbia “mentito” sulla responsabilità nell’uccisione della Dugina, ma all’intera popolazione europea e non solo per quella menzogna.
Contrariamente alle loro leadership molti europei hanno capito il gioco di Kiev e il vero obiettivo: mettere in ginocchio l’Europa e costringere gli americani alla guerra mondiale.
Per la Russia il tempo è ancora più tiranno: se non presenta un successo o la prospettiva credibile di successo sul campo entro un mese può saltare tutta la leadership che ha voluto questa operazione. La volontà di combattere per l’Ucraina o per il Donbass non è mai stata alta: ora è ai minimi termini ma nel frattempo è sempre più alta la voglia di vendetta contro l’Ucraina e di sfida all’Occidente.
Un cambio di regime non risolverà il problema internazionale ma potrà definire un eventuale nuovo equilibrio di potere interno. E anche questo sarà insufficiente a determinare chi e come vince o perde in Ucraina e in Russia.
Le vie onorevoli di uscita per la Russia e l’Ucraina sono molte, basta saperle vedere e rimuovere i “tumori cerebrali” che impediscono a tutta la comunità internazionale di rendersi conto che non esistono solo l’arroganza e la violenza. Che il “con noi o contro di noi” non è un’alternativa ma un ricatto, che la TINA (there is no alternative) è una menzogna e una stupidità che di fatto squalifica con la politica, la diplomazia, la strategia e tutte le presunte organizzazioni della sicurezza internazionale.
Per quanto riguarda l’Europa e noi italiani l’indeterminatezza è già risolta: abbiamo perso comunque in benessere e serenità. Speriamo di non dover perdere anche le vite di figli e nipoti.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/24015-fabio-mini-il-mese-prima-del-generale-inverno-la-chiave-del-conflitto-ora-e-il-tempo.html
CULTURA
Quando la cultura è al bando: Ray Bradbury – Fahrenheit 451
Fahrenheit 451 di Ray Bradbury è un romanzo di fantascienza distopica, diviso in tre parti e pubblicato a puntate sulla rivista Playboy, nel 1953, prima di essere stampato e pubblicato per intero. È fortemente ispirato a 1984 di Orwell. Indubbiamente meno inquietante del suo predecessore, questo è, sì, un romanzo di genere. Ma vale la pena leggerlo e affrontare alcuni temi qui narrati, nonché intreccio e personaggi, sarà utile poi comprendere come la fantascienza evolva in critica sociale.
La prima parte s’intitola Il focolare e la salamandra. Nel mondo di Bradbury i pompieri invece di spegnere gli incendi li appiccano. Il protagonista, Guy Montag, è uno dei pompieri, accompagnati sempre da un segugio meccanico. In questo futuro i libri sono proibiti, sostituiti una volta per tutte dalla televisione. Una televisione onnipresente occupa quasi tutte le pareti delle case, unita a un apparecchio che ciascuno porta all’orecchio, attraverso il quale la dittatura totalitaria diffonde la sua ideologia. La moglie di Montag, Mildred, ha sviluppato una dipendenza completa dalla televisione, istupidita e quasi lobotomizzata dalla tecnologia, non ha più alcuna relazione con il mondo e, in particolare, con il marito.
Montag incontra Clarisse McClellan, una diciassettenne diversa dal resto dell’umanità, la cui famiglia è considerata dissidente, non ha televisori, e lei ha smesso di andare a scuola, credendo invece fermamente nella libertà e nella felicità. Clarisse domanda a Guy se è felice. Così inizia il percorso di presa di coscienza del protagonista. Quella stessa sera, al suo rientro, Montag trova la moglie in fin di vita, per aver ingerito troppi barbiturici. Degli infermieri privi di umana sensibilità la salvano, pompandole nuovo sangue nelle vene. E Mildred si sveglierà dimentica del suo inconsapevole tentativo di suicidio; ricomincerà a chiudersi nel suo mondo fatto solo di televisione e stoltezza. Nel frattempo Montag vede Clarisse sempre più spesso e comincia a porsi una serie di domande piuttosto pericolose che a lungo andare mineranno non solo la sua sicurezza matrimoniale ma la vita nella sua interezza. Guy è ormai troppo curioso del mondo circostante per non infrangere le regole più basilari della dittatura. I colleghi e i segugi meccanici cominciano a insospettirsi.
Un evento smuoverà per sempre il protagonista dal ruolo di pompiere: assistere, durante uno dei suoi soliti lavori, alla vicenda di una donna anziana che decide di farsi bruciare viva insieme ai suoi libri pur di non abbandonare la cultura, e ciò che per lei rappresenta affettivamente. Montag, sempre più curioso della vita, ruba un libro e così inizia la sua passione per la lettura. Diviene dunque un dissidente. Cerca di condividere questa passione con la moglie ma non gli sarà possibile. Piuttosto Mildred lo ragguaglia, priva di sentimenti, sulla morte di Clarisse, investita da una macchina. Guy è sconvolto, arrabbiato con tutti, con sua moglie lobotomizzata, con il corpo dei pompieri, con il mondo intero che ha ridotto le persone ad automi. Decide di cambiare vita. Riceve però subito la visita del suo capo Beatty che gli spiega come si sia giunti a proibire i libri e formare il corpo degli incendiari. Cerca anche di dirgli che sia una gran fortuna per Clarissa essere morta, a causa delle condizioni di dissidenza della sua famiglia, non avrebbe avuto un gran futuro. Gli dice che la lettura, stimolando opinioni e divergenze, ha prodotto null’altro che lotte e polemiche. Il cambiamento delle singole esistenze sotto il dominio dittatoriale ha portato a stili di vita più rapidi e superficiali, per cui la necessità di opere scritte in modo semplicistico e banale, per produrre meno discussioni e dibattiti, qui solo argomenti futili e leggeri hanno spazio. Per questo il governo ha portato alla distruzione dei libri e alla loro messa al bando, in quanto dannosi e forieri di divergenze e rivolte. Bellissimo, quanto tremendo, il monologo di Beatty:
Per fortuna, eccentrici come lei se ne incontrano pochi. Sappiamo come correggerli fin da quando sono ancora piccini. Non puoi costruire una casa senza chiodi e legname. Se vuoi che la casa non si costruisca fa’ sparire chiodi e legname. Se non vuoi un uomo infelice per motivi politici, non presentargli mai i due aspetti di un problema, o lo tormenterai; dagliene uno solo; meglio ancora, non porgliene nessuno. Fa’ che dimentichi che esiste una cosa come la guerra. Se il Governo è inefficiente, appesantito dalla burocrazia e in preda a delirio fiscale, meglio tutto questo che non il fatto che il popolo abbia a lamentarsi. Pace, Montag.
Offri al popolo gare che si possano vincere ricordando le parole di canzoni molto popolari, o il nome delle capitali dei vari stati dell’Unione o la quantità di grano che lo Iowa ha prodotto l’anno passato. Riempi loro i crani di dati non combustibili, imbottiscili di “fatti” al punto che non si possano più muovere tanto sono pieni, ma sicuri di essere “veramente bene informati”. Dopo di che avranno la certezza di pensare, la sensazione del movimento, quando in realtà sono fermi come un macigno. E saranno felici, perché fatti di questo genere sono sempre gli stessi. Non dar loro niente di scivoloso e ambiguo come la filosofia o la sociologia affinché possano pescare con questi ami fatti che è meglio restino dove si trovano. Con animi simili, pescheranno la malinconia e la tristezza. Chiunque possa far scomparire una parete TV e farla riapparire a volontà, e la maggioranza dei cittadini oggi può farlo, sarà sempre più felice di chiunque cerchi di regolo-calcolare, misurare e chiudere in equazioni l’Universo, il quale del resto non può esserlo se non dando all’uomo la sensazione della sua piccolezza e della sua bestialità e un’immensa malinconia. Lo so, perché ho tentato anch’io; ma al diavolo cose del genere. Per cui, attaccati ai tuoi circoli sportivi e alle tue gite, ai tuoi acrobati e ai tuoi maghi, ai tuoi rompicolli, autoreattori, motoelicotteri, donne ed eroina, e a ogni altra cosa che abbia a che fare coi riflessi condizionati. Se la commedia non vale niente, se il film non sa di nulla, se la musica è sorda, punzecchiami col pianoforte elettronico, fragorosamente. Io crederò di rispondere alla musica, quando invece si tratta soltanto di una reazione tattile alla vibrazione. Ma che m’importa? Tanto a me piacciono i divertimenti solidi e compatti.
(Ray Bradbury, Fahrenheit 451, Mondadori, 2016, pp.67-68)
Comincia dunque la seconda parte del romanzo intitolata Il crivello e la sabbia. Montag confessa a Mildred di aver nascosto molti libri in casa, sperando ancora nella comprensione di lei. Tuttavia sua moglie, completamente obnubilata e dimentica di sé, proprio come vuole il sistema, denuncia Guy. Presto lui si sente minacciato da un cane robot che si aggira nei dintorni di casa sua, così fugge dal professor Faber, uomo che ancora crede nella cultura, in possesso di alcuni libri che saranno fondamentali per Montag, il quale ha con sé la Bibbia, riesumata dalla casa, data alle fiamme, dell’anziana donna che si è lasciata morire insieme ai suoi libri. Faber gli propone un accordo, gli dona un auricolare con il quale potranno restare in contatto e insieme mettono su un piano per ingannare Beatty. Montag rientrando in casa trova Mildred e le sue amiche completamente ipnotizzate e narcotizzate dai teleschermi, che parlano di cose futili e al confronto con i discorsi di Faber appaiono come delle perfette idiote. Ora però Montag non ha tempo da perdere ed è pronto per mettere in atto il piano, va nella centrale degli incendiari e consegna a Beatty la copia della Bibbia, facendogli credere di essersi redento. Gli viene affidata quindi una nuova missione che però consisterà nel distruggere la propria casa, dal momento che, come dicevamo, Mildred l’ha denunciato.
Così si apre la terza parte del romanzo, intitolata: La fiamma risplendente. Qui Guy si trova a prendere una decisione molto importante, e purtroppo non può far altro che eseguire gli ordini e veder bruciare tutto. Qualcosa nel piano però va storto e Beatty si accorge dell’auricolare, quindi cerca di incastrare Faber attraverso Montag. C’è un momento dal ritmo sincopato in cui una vera e propria caccia all’uomo si scatena contro Guy Montag e viene trasmessa in mondo-visione su tutti i teleschermi. Guy riesce a trovare rifugio da Faber e a raccontargli l’accaduto prima che sia troppo tardi. Quest’ultimo gli narra dell’esistenza di una comunità di ribelli, gli dice che si vedranno a Saint Louis, quando lui raggiungerà il luogo da lui indicato. Montag, ancora braccato dalla polizia, si lancia nel fiume. Trasportato dalle correnti svanisce dalla vista delle guardie, le quali per dare un lieto fine allo spettacolo trasmesso a reti unificate arrestano un povero viandante, facendolo passare per l’accusato. Nel frattempo Guy raggiunge la comunità degli uomini-libro e il loro leader Granger. Gli uomini-libro sono una comunità che ha imparato a memoria i libri e vive di letteratura, narrando, raccontando e recitando le più belle pagine dei grandi classici. La loro meta è trasmettere la grande letteratura di generazione in generazione, attendendo la fine della dittatura.
La città viene poi bombardata e distrutta ma Montag è ancora in vita e con i superstiti uomini-libo raggiunge la città per ricostruire un mondo fatto di umanità e cultura. Tema, dunque, atavico, quello dell’asservimento e impoverimento culturale delle masse, con Bradbury raggiunge vette piuttosto alte, tanto da far riflettere sulle modalità assunte di volta in volta dal gruppo sociale dominante per riconfermare sé stesso mettendo al bando tutto quanto possa sviare e condurre a ragione i singoli. Oggi quali forme culturali vediamo svettare? E chi ne paga le spese? È plausibile o quanto meno probabile pensare al mondo massmediatico come a un grande setaccio che confina la vera cultura nella più completa marginalità? Abbiamo anche noi i nostri pompieri pronti ad appiccare incendi sulla buona letteratura?
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Api assassine in Svezia. E vespe britanniche.
Il vicedirettore della Procura svedese è stato trovato morto in casa per puntura d’ape. Cremato poche ore dopo. Erik Olsen era l’incaricato delle indagini sul sabotaggio del Nord Stream
Così suona il twit che postiamo, di un giornalista svedese. Questa frase contiene già una audacia: la parola “sabotaggio”. Per giorni e giorni, mentre il suo mare ribolliva del metano prorompente dallo squarcio della tubatura russa, il governo svedese e i suoi inquirenti non riuscivano nemmeno a scrivere questa parola come causa dello squarcio. E sì che i sismografi della Svezia avevano registrato le enormi esplosioni subacquee, pari a piccoli terremoti; e un ex ministro polacco di nome Radek Sikorski, sposato alla neocon giudo-americana Anne Applebaum, aveva postato un “grazie USA” grande grande sopra la foto del ribollio marino. Di più: tutto gridava “sono statigli Usa”; anzi persino il segretario di Stato Blinken (j) aveva salutato il danneggiamento del Nord Stream come una “tremendous opportunity” per liberare l’Europa, e anzitutto la Germania, dalla orribile dipendenza energetica di Mosca: insomma Washington praticamente aveva firmato il sabotaggio, e ancora la Svezia ufficiale nemmeno riusciva a dire la parola “sabotaggio”.*
Il motivo è evidente: se era sabotaggio, bisognava indicare un sabotatore. La morte improvvisa del viceprocuratore Erik Olsen incaricato delle indagini spiega il motivo della reticenza: prova a dire a mezza bocca un nome, e vieni punto da un’ape, così malamente che devono subito cremarti.
In Svezia ronzano le terribili api assassine. Tanto che la prima ministra svedese, Magdalena Anderson, ha dichiarato con apposito comunicato che “non condividerà con le autorità russe i risultati delle indagini sulle esplosioni dei gasdotti Nord Stream”, come pure Mosca e Gazprom hanno chiesto.
Che poi ci fate caso, anche in Germania non c’è stato un politico di governo che abbia detto, a proposito della distruzione dei gasdotti, abbia anche solo lasciato intendere, anche a mezza bocca qualcosa come “sono stati gli americani”. E’ che anche a Berlino ronzano api assassine, e non c’è niente da guadagnare a dire una parola incauta. Né se è per questo nessun politico europeo, italiani, francese – né alcun giornalista di grido; prima di giudicarli male, pensate che non hanno alcuna voglia di mettere in gioco una bella carriera per la puntura di un’ape. Non ci guadagni che una cremazione immediata. Sono le api assassine della democrazia.
Ché poi, che ne sappiamo in fondo. Per esempio, a far saltare il ponte di Crimea sono stati i servizi ucraini, ma – ha scoperto il blog Grayzone – su indicazione e progettazione di agenti britannici, di cui uno molto noto nell’ambiente: Chris Donnelly , un alto agente dell’intelligence dell’esercito britannico e veterano di alto rango consigliere della NATO.
Far saltare il ponte è una idea inglese
Il bello è che Donnelly, oltre che organizzare attentati, fa anche un lavoro, diciamo, giornalistico. Egli è infatti il direttore e condirettore, rispettivamente, di due ONG britanniche, The Institute for Statecraft e fondatore della sua diramazione Integrity Initiative . Entrambe le ONG hanno la missione di “Difendere la democrazia dalla disinformazione”.
L’Integrity Initiative fa questo diffondendo disinformazione sulla presunta influenza russa attraverso “cluster” di giornalisti in tutta Europa e negli Stati Uniti.
L’ Integrity Initiative finanziata dal governo britannico ha il compito di diffondere la propaganda anti-russa e quindi di influenzare l’opinione pubblica, l’esercito e i governi di un certo numero di paesi.
Entrambi, l’Istituto e l’Iniziativa, affermano di essere organizzazioni non governative indipendenti. Entrambi sono finanziati dal governo britannico, dalla NATO e da altri donatori statali.
Tra i documenti prelevati da qualche anonimo dai server dell’Istituto troviamo diverse carte su Donnelly e alcune note da lui scritte.
C’è anche un file (pdf) con una copia del suo passaporto:
Dal suo curriculum vitae (pdf) apprendiamo che Donnelly è un soldato di lunga data nel British Army Intelligence Corps, dove ha fondato e guidato il Soviet Studies Research Center presso RMA Sandhurst. Successivamente è stato coinvolto nella creazione del Foreign Military Studies Office (FMSO) dell’esercito americano a Ft. Leavenworth.
Ha lavorato presso il Ministero della Difesa britannico e come consigliere di diversi Segretari generali della NATO. È direttore dell’Institute for Statecraft dal 2010. Donnelly è anche consulente del ministro degli Esteri della Lituania.
È un “Security and Justice Senior Mentor” dell’Unità di stabilizzazione del Regno Unito che ha il compito di destabilizzare vari paesi. È colonnello onorario dello Specialist Group Military Intelligence (SGMI).
Durante il suo periodo come analista dell’intelligence militare negli anni ’80 Donnelly ha scritto diversi libri e articoli sull’Unione Sovietica e sui suoi militari.
Donnelly è personalmente ossessionato dalla “minaccia russa”. La sua paranoia è evidente in un rapporto “privato – confidenziale” dello Statecraft Institute su The Challenge of Brexit al Regno Unito: Case study – The Foreign and Commonwealth Offices (pdf):
Il nostro problema è che, negli ultimi 70 anni circa, nel Regno Unito e in Europa abbiamo vissuto in un sistema sicuro e basato su regole che ci ha permesso di goderci una vacanza dalla storia.
…
Sfortunatamente, questo stato di cose è ora messo in discussione. Un nuovo paradigma di conflitto sta sostituendo il paradigma del 19° e 20° secolo.
…
In questo nuovo paradigma, la chiara distinzione che la maggior parte delle persone è stata in grado di tracciare tra guerra e pace, la loro aspettativa di stabilità e un grado di prevedibilità nella vita, vengono sostituite da un’imprevedibilità volatile, uno stato permanente di instabilità nella quale guerra e pace diventano sempre più difficili da districare. La comprensione “classica” del conflitto tra due distinti giocatori o gruppi di giocatori sta lasciando il posto a un mondo di competizione darwiniana in cui tutti i giocatori – stati nazione, attori substatali, grandi società, gruppi etnici o religiosi e così via – sono costantemente in lotta tra loro in una “guerra di tutti contro tutti”. Il sistema occidentale basato su regole, che la maggior parte degli occidentali dà per scontato e crede che sia “normale”, è sotto attacco da parte di paesi e organizzazioni che desiderano sostituire il nostro sistema con il loro. Questa non è una crisi che dobbiamo affrontare; è una sfida strategica, e da più direzioni contemporaneamente.
In realtà il “sistema occidentale basato sulle regole”, pienamente attuato dopo la fine dell’Unione Sovietica, è un concetto in base al quale “l’Occidente” inventa arbitrariamente delle regole e minaccia di uccidere chiunque non le segua. Vedansi le guerre contro la Serbia, alla guerra in Iraq, alla distruzione della Libia, al colpo di stato guidato dall’Occidente in Ucraina e alla guerra dei delegati jihadisti contro il popolo della Siria e dell’Iraq. Nessuna di queste azioni era legale ai sensi del diritto internazionale. Chiedere un ritorno alla stretta aderenza allo stato del diritto internazionale, come fanno ora Russia, Cina e altri, non è un tentativo di sostituire “il nostro sistema con il loro”. È un ritorno allo stato normale della diplomazia globale. Non è certo una “competizione darwiniana”.
Scriveva Moon of Alabama nel novembre 2018:
La ” Integrity Initiative ” crea “cluster” o gruppi di contatto di giornalisti fidati, personale militare, accademici e lobbisti all’interno di paesi stranieri. Queste persone ricevono avvisi tramite i social media per agire quando il centro britannico percepisce un bisogno.
Il 7 giugno al cluster spagnolo sono bastate poche ore per far deragliare la nomina di Perto Banos a Direttore del Dipartimento di Sicurezza Nazionale in Spagna. Il gruppo ha stabilito che aveva una visione troppo positiva della Russia e ha lanciato una campagna coordinata di diffamazione sui social media (pdf) contro di lui.
L’iniziativa è nominalmente gestita nell’ambito dell’organizzazione non governativa (finanziata dal governo) The Institute For Statecraft . Il suo manuale interno (pdf) ne descrive lo scopo:
L’Integrity Initiative è stata istituita nell’autunno 2015 dall’Institute for Statecraft in collaborazione con la Libera Università di Bruxelles (VUB) per portare all’attenzione di politici, decisori politici, opinion leader e altre parti interessate la minaccia rappresentata dalla Russia alla democrazia istituzioni nel Regno Unito, in Europa e Nord America.
Elenca Bellingcat e il Consiglio Atlantico come “organizzazioni partner” e promette che:
I membri del cluster saranno inviati a sessioni educative all’estero per migliorare la competenza tecnica del cluster per affrontare la disinformazione e rafforzare i legami nella comunità del cluster. […] (Eventi con DFR Digital Sherlocks, Bellingcat, EuVsDisinfo, Buzzfeed, Irex, Detector Media, Stopfake, LT MOD Stratcom – aggiungi più nomi e proponi partecipanti al cluster come desideri).
Lo slogan orwelliano di Initiatives è “Difendere la democrazia dalla disinformazione”. Copre i paesi europei, il Regno Unito, gli Stati Uniti e il Canada e sembra voler espandersi in Medio Oriente.
Nella sua pagina Informazioni afferma:
Non siamo un ente governativo, ma collaboriamo con dipartimenti e agenzie governative che condividono i nostri obiettivi.
I piani di budget ora pubblicati mostrano che oltre il 95% dei finanziamenti dell’Iniziativa proviene direttamente dal governo britannico, dalla NATO e dal Dipartimento di Stato americano. Tutte le “persone di contatto” per la creazione di “cluster” in paesi stranieri sono ufficiali dell’ambasciata britannica. Si tratta di una campagna di influenza straniera da parte del governo britannico che si nasconde dietro una pseudo-ONG della “società civile”.
L’organizzazione è guidata da Chris N. Donnelly che riceve (pdf) £ 8.100 al mese per la creazione della rete della campagna diffamatoria.
Chris Donnelly – Foto via Euromaidanpress
Dalla sua domanda di bilancio 2017/18 (pdf) apprendiamo come funziona l’Iniziativa:
Contrastare la disinformazione russa e l’influenza maligna in Europa: ampliando la base di conoscenze; sfruttare le competenze esistenti e; istituire una rete di reti di esperti, opinionisti e responsabili politici, per educare il pubblico nazionale alla minaccia e per contribuire a costruire le capacità nazionali per contrastarla .
L’Iniziativa non è l’unica operazione del genere. Le sue domande cercano finanziamenti da un più ampio “Programma di comunicazione strategica in lingua russa” gestito dal Ministero degli Esteri. Cos’altro viene finanziato attraverso il budget di quel programma?
La richiesta di budget 2017/18 richiedeva un finanziamento FCO di £ 480.635. Ha ricevuto 102.000 sterline in cofinanziamento dalla NATO e dal Ministero della Difesa lituano. L’applicazione del bilancio 2018/19 mostra una spesa pianificata (pdf) di £ 1.961.000,00. I co-sponsor quest’anno sono ancora la NATO e il Ministero della Difesa lituano, ma includono anche (pdf) il Dipartimento di Stato americano con £ 250.000 e Facebook con £ 100.000. Il bilancio prevede una forte cooperazione con le forze armate locali di ogni paese. Rileva che la NATO è anche generosa nel finanziare i cluster locali.
Uno dei documenti liberati dall’Iniziativa è un memo di discussione etichettato come Top 3 Deliverable per FCO (pdf):
- Sviluppare e dimostrare il concetto e la metodologia di cluster, istituendo cluster in una serie di paesi con circostanze diverse
- Far vedere alle persone (nel governo, nei gruppi di riflessione, nell’esercito, ai giornalisti) il quadro generale, far riconoscere alla gente che siamo sotto attacco ibrido deliberato e concertato da parte della Russia
- Aumentare la velocità di risposta, mobilitare la rete all’attivismo alla ricerca del “minuto d’oro”
Nella parte superiore 1, la configurazione dei cluster, un elemento secondario recita:
– Collega i media con il mondo accademico con i responsabili politici e i professionisti in un paese per avere un impatto sulla politica e sulla società: ( Jelena Milic che mette a tacere le voci pro-cremlino sulla TV serba )
Difendere la democrazia mettendo a tacere alcune voci della TV pubblica….
Un altro sottopunto rileva come l’Iniziativa influenzi segretamente i governi stranieri:
Ci impegniamo solo in modo molto discreto con i governi, basandoci interamente su contatti personali fidati, in particolare per garantire che non arrivino a vedere il nostro lavoro come un problema e per cercare di influenzarli delicatamente, come si addice a un’operazione di ONG indipendente come la nostra, vale a dire:
- Germania, tramite il Zentrum Liberale Moderne all’Ufficio del Cancelliere e MOD
- Paesi Bassi, tramite l’HCSS al MOD
- Polonia e Romania, a livello di desk nelle loro AMF tramite i loro rappresentanti della NATO
- Spagna, tramite consulenti speciali, nel MOD e nei PM ufficio (NB questo potrebbe cambiare molto presto con il nuovo governo)
- Norvegia, tramite contatti personali nel MOD
- HQ NATO, tramite l’Unità di pianificazione politica nell’ufficio della Sec Gen.
Abbiamo contatti latenti con altri governi che attiveremo in base alle necessità man mano che i cluster si svilupperanno.
Uno sguardo ai “cluster” costituiti negli Stati Uniti e nel Regno Unito mostra alcuni nomi di spicco.
I membri del Consiglio Atlantico, che ha un contratto per censurare i post di Facebook , compaiono in diversi elenchi di cluster. Il cluster principale del Regno Unito comprende anche alcuni nomi di spicco come il truffatore fiscale William Browder , lo sciocco dell’Atlantic Council Ben Nimmo e l’editorialista neoconservatore del Washington Post Anne Applebaum. Una persona di interesse è Andrew Wood che ha consegnato il “dossier sporco” di Steele al senatore John McCain per diffamare Donald Trump sulle presunte relazioni con la Russia. Un sottogruppo separato di cosiddetti giornalisti nomina Deborah Haynes, David Aaronovitch del London Times, Neil Buckley del FT e Jonathan Marcus della BBC.
Un ‘ Cluster Roundup ‘ (pdf) di luglio 2018 dettaglia le sue attività in almeno 35 paesi. Un altro file rivela (pdf) le istituzioni partner locali e le persone coinvolte nei programmi”.
Cercate voi nei cluster i nomi italiani. Io mi astengo, perché ronzano le api assassine.
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/api-assassine-in-svezia-e-vespe-britanniche/
“Un solo giorno per riparare le strade distrutte dai missili russi”. Quello che non torna sulla foto del Corriere
Francesco Santoianni 12 10 2022
Di certo, il ponte di Kerch è stato ripristinato al traffico ferroviario e automobilistico poche ore dopo l’esplosione di un camion bomba: una prova tangibile dell’efficienza di uno stato, quello russo, il cui esercito, secondo il Corriere, si era ridotto ad uccidere cani e rubare galline per sfamarsi.
Ora, sempre il Corriere, nel suo servizio “Un solo giorno per riparare le strade distrutte dai missili russi: i tempi (e le foto) record da Dnipro e Kiev” ci consegna la “prova” della straordinaria efficienza dello stato ucraino e dei suoi indomiti dipendenti che, in pochissimo tempo, nullificano gli effetti dei missili russi.
Strano, comunque, che la foto dell’avvenuta “riparazione” mostri anche un chiosco (quello sovrastato dal condizionatore d’aria) già con le pareti distrutte dall’esplosione del missile ora perfettamente ricostruito. Merito della straordinaria efficienza dello stato russo? O la prova che quella foto era stata scattata PRIMA dell’esplosione del missile? Chissà se al Corriere della Sera se l’è domandato qualcuno.
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-un_solo_giorno_per_riparare_le_strade_distrutte_dai_missili_russi_quello_che_non_torna_sulla_foto_del_corriere/6119_47554/
DIRITTI UMANI
La California ha emanato legge che consente l’intervento chirurgico di riassegnazione del sesso per i minori, anche se i loro genitori sono contrari.
La nuova legge protegge questi bambini dalla “persecuzione” delle loro famiglie , e ne decreta dall’allontanamento dalle loro famiglie. Si applica sia al periodo dell’operazione stessa, sia al corso della terapia ormonale che lo precede. Inoltre, la legge protegge coloro che accompagnano tali bambini per le operazioni, compresi quelli che provengono da altri stati, dall’azione penale. E sarà vietato trasferire informazioni su di loro ad altre regioni”: In California, ora è possibile eseguire un intervento chirurgico di riassegnazione di genere sui bambini senza il consenso dei genitori
Testimonianza di un papà
Le paure del padre di un bambino di tre anni della California sono diventate uno dei video più risonanti degli Stati Uniti per un motivo (https://t.me/dimsmirnov175/38330): “Abbiamo portato il nostro figlio di tre anni per un esame fisico di routine. Il dottore è entrato e ha chiesto: “Sei un ragazzo o sei una ragazza?”
Ho pensato, che diavolo. Fortunatamente, mio figlio ha capito l’ovvio all’età di tre anni e ha risposto che era un ragazzo. Durante l’ispezione, ho continuato a pensare al motivo per cui questo ragazzo ha fatto una domanda del genere. E poi mi sono ricordato: oh sì, vivo in California.
Considerami paranoico, ma credo che ciò non sia senza motivo, visti altri casi. Molti affermano che la nuova proposta di legge sull’uguaglianza potrebbe vedere più genitori perdere i diritti sui propri figli che vogliono cambiare genere.
Quindi mi chiedo se il dottore abbia fatto questa domanda a mio figlio per vedere se potesse avvalorare nel tempo l’idea che mio figlio voglia essere una femmina. Ma ecco il punto, il mio bambino ha tre anni. Non gli dò una scelta nemmeno su cosa mangerà per cena. A volte si considera un dinosauro. Ma non intendo lasciare che si trasformi in un dinosauro”.
Putin: “La dittatura delle élite occidentali ha la forma di una religione al contrario, un vero e proprio satanismo”
“La mutilazione infantile è un giorno felice: tre gioviali attiviste ebree promuovono la chirurgia transgender
…. di recente ho visto un video da account Twitter anti-trans come LibsOfTikTok , che è gestito da una donna ebrea ortodossa che non fornisce molte informazioni su di lei ” libs” come poteva. Tre di quei video mi hanno fatto una grande impressione. Ognuno di loro presenta una donna diversa che irradia sincerità e buona volontà con un sacco di sorrisi, annuendo e sgranando gli occhi.
Tre gioviali ebree promuovono la trans-follia: Rachel Simon , Christy Olezeski e Katherine Gast
Rachel Simon, che conduce la “terapia” transgender su bambini di appena 4 anni, ha affermato che “l’educazione sessuale inizia nel momento in cui nasci” e ha incoraggiato gli adolescenti a diffidare dei loro “genitori bigotti e disinformati”, specialmente se sono “religiosi”
Katherine Gast descrive felicemente alcuni degli interventi chirurgici di “affermazione del genere” che offre agli adolescenti, tra cui vaginoplastica, falloplastica e doppia mastectomia. –
L’ebrea gioviale Katherine Gast su Twitter
L’ebrea gioviale Katherine Gast su Twitter
Ma i sorrisi sono la maschera di un’agenda malvagia. Anche se guardi i video senza audio, potresti scoprire che le espressioni curiosamente simili delle donne ti fanno venire i brividi. Se guardi con il suono acceso, scopri che tutte e tre parlano allegramente di mutilare le menti e i corpi di adolescenti e bambini. In breve, sono sacerdotesse nel culto della transessualità. E quali sono le probabilità che tutti e tre vengano estratti da una piccola minoranza? Ogni video mostra come protagonista un’ebrea gioviale che sorride, annuisce e spalanca gli occhi mentre festeggia facendo cose come questa ai giovani goym:
La vagoplastica con inversione del pene, per le pazienti transfemminili, da maschio a femmina, consiste nel prendere un pene e trasformarlo essenzialmente in una vagina. … Quindi creiamo un clitoride da una porzione del glande, la pelle scrotale diventa le grandi labbra, una porzione della pelle del pene diventa le piccole labbra e poi rivestiamo la nuova vagina con il resto della pelle del pene e talvolta una pelle -corruzione. …
La falloplastica, per i pazienti trans-maschili, o da femmina a maschio, riguarda la creazione di un pene attraverso il trasferimento di tessuto.
Quindi prendiamo il tessuto dall’avambraccio o dalla gamba o talvolta da entrambi e lo trapiantiamo nell’area inguinale per creare un fallo. Ed essenzialmente allunghiamo l’uretra e trasformiamo le grandi labbra in uno scroto. Rimuoviamo la vagina e chiudiamo il buco tra le gambe e creiamo un fallo. …
Chirurgia top, o mastectomia da femmina a maschio [rimozione del seno], per i pazienti trans-maschili che hanno una disforia significativa correlata al seno. Quindi non vogliono più il seno.
Quindi essenzialmente è una mastectomia cosmetica e, a seconda delle dimensioni del seno e della quantità di pelle, possiamo utilizzare diversi tipi di modelli di cicatrici e tecniche di resezione utilizzando l’escissione diretta più o meno la liposuzione per creare un torace più maschile.
Tre ore in sala operatoria, i pazienti tornano a casa lo stesso giorno. Possono avere o meno gli scarichi e indossano giubbotti compressivi dopo l’intervento, ma in genere questi pazienti sono molto felici e [le mastectomie] consentono loro di indossare abiti comodi e non di legare ed è un giorno felice per tutti.
Quelle parole provengono dal “chirurgo di genere” ebreo, la dottoressa Katherine Gast.
La psichiatra Christy Olezeski, ha iniziato la sua carriera come “tirocinante predottorato” presso “Westchester Jewish Community Services” e ora descrive il suo lavoro alla Yale University in questo modo:
Sono il direttore e co-fondatore dello Yale Pediatric Gender Program (YPGP), un team interdisciplinare che fornisce servizi per giovani e famiglie transgender e gender espansive (TGE) nel Connecticut. Il team comprende professionisti nei campi della psicologia, endocrinologia, psichiatria, ginecologia, medicina riproduttiva, etica medica e diritto. La nostra missione è fornire un’assistenza completa, interdisciplinare e incentrata sulla famiglia per bambini, adolescenti e giovani adulti che mettono in discussione il genere assegnato e/o cercano una consulenza e un trattamento che affermano il genere in un ambiente compassionevole, rispettoso e solidale. Questo programma è apprezzato a livello regionale e serve clienti di tutte le 8 contee dello stato e di 4 stati al di fuori del Connecticut. ( Christy Olezeski, PhD, presso il Dipartimento di Psichiatria di Yale)
La terza ebrea gioviale, la “psicoterapeuta, educatrice, consulente e autrice” Rachel Simon, non sembra preoccuparsi di sembrare ebrea. Indossa una stella argentata di David mentre sorride e spalanca gli occhi e parla di “genitori bigotti e disinformati” che non vogliono che i loro figli vengano introdotti alle gioie del sesso gay e ai tesori del transgenderismo. La signora Simon si descrive con orgoglio come “l’autrice di The Every Body Book , una risorsa di educazione sessuale inclusiva LGBTQIA per bambini di età compresa tra 7 e 12 anni”.
Putin: “La dittatura delle élite occidentali ha la forma di una religione al contrario, un vero e proprio satanismo”
Il libro su sesso e genere “inclusivo vivace e splendidamente illustrato ” di Rachel Simon per bambini dai 7 ai 12 anni
Sfortunatamente, scoprono che le donne bianche in particolare sono molto ricettive alla loro sovversione. Nel suo libro “gender-critical” Trans: When Ideology Meets Reality (OneWorld Publications 2021), la femminista Helen Joyce fornisce inavvertitamente alcuni ottimi argomenti a favore del controllo patriarcale e contro l’autonomia femminile. Discutendo del forte aumento della traslunatezza tra le donne più giovani (bianche), Joyce dice questo:
La storia della medicina è disseminata di malattie psicosomatiche che sono apparse, si sono diffuse a macchia d’olio e si sono estinte quando il pensiero medico è cambiato di nuovo. Un segno che una nuova condizione può rientrare in questa categoria è che colpisce principalmente le ragazze adolescenti e le giovani donne. Sono più propensi di altri dati demografici a indulgere in “co-ruminazione”: discussioni e speculazioni ripetitive all’interno di un gruppo di pari. Ciò può portare a problemi di interiorizzazione e quindi ad ansia, depressione e autolesionismo. Le ragazze sono anche spesso più empatiche dei ragazzi e più brave a leggere gli stati d’animo, il che significa che le emozioni si diffondono più velocemente in un gruppo di coetanei di sesso femminile che in uno maschile. Questo è il motivo per cui l’autolesionismo e i disturbi alimentari possono attraversare le amiche, e perché episodi storici di isteria di massa, come svenimenti, risate o pianti incontrollabili, epidemie di paralisi o tremori, si sono verificati così spesso nei conventi e nelle scuole femminili. (Operazione. cit. , cap. 5, “Miss Gendering: perché le ragazze adolescenti si identificano al di fuori della prospettiva della femminilità”, pp. 106-7)
La sinistra italiana imita la California:
In Afghanistan, i cristiani “subiscono torture sistematiche”
Secondo un nuovo rapporto, i circa 15-20 mila cristiani rimasti in Afghanistan dopo la presa di potere dei talebani “subiscono torture e persecuzioni sistematiche sia da parte del governo che dei loro stessi amici, delle loro famiglie e comunità”.
Questa non è una novità. Fin dall’inizio, il 15 agosto 2021, per i cristiani le cose sono notevolmente peggiorate quando l’amministrazione Biden ha inaspettatamente consegnato l’Afghanistan ai talebani. La sconfitta mal pianificata delle truppe statunitensi ha fatto ricadere la nazione dell’Asia centrale nelle grinfie dei talebani, uno dei gruppi terroristici islamici complici degli attacchi sferrati l’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti.
Durante il caos del ritiro, è stato riportato che l’amministrazione Biden ha attivamente impedito il salvataggio delle minoranze cristiane da quello che da allora è diventato l’emirato islamico dell’Afghanistan che applica la sharia.
Dopo il disimpegno americano, secondo quanto riferito dai media, “i militanti talebani hanno addirittura fatto scendere con la forza le persone dai mezzi pubblici per poi ucciderle seduta stante, se cristiane”. Qualsiasi afghano in possesso di un’app per legere la Bibbia contenuta nel proprio telefono cellulare è stato giustiziato. “Come sopravviviamo ogni giorno solo Dio lo sa”, ha detto sotto anonimato un cristiano afghano. “Ma siamo stanchi di tutta la morte che ci circonda”.
Secondo la World Watch List 2022, che elenca i 50 Paesi in cui i cristiani sono maggiormente perseguitati per la loro fede religiosa, l’Afghanistan è ora la peggiore nazione al mondo in cui essere cristiani.
Sul sito web di Voice of the Martyrs, un’organizzazione umanitaria internazionale senza scopo di lucro, si legge quanto segue in merito a questa nazione al 99,8 per cento musulmana:
“In Afghanistan, percosse, torture e rapimenti sono di routine per i cristiani. (…) Ogni anno, in Afghanistan, i cristiani vengono martirizzati, ma la loro morte in genere avviene all’insaputa della gente. Alcuni sono anche in prigione. (…) I cristiani convertiti dall’Islam vengono spesso uccisi da familiari o da altri musulmani radicalizzati prima che possa iniziare qualsiasi procedimento giudiziario”.
È indicativo il fatto che i familiari più stretti siano più inclini a perseguitare e uccidere i convertiti al Cristianesimo. Come ha di recente osservato Todd Nettleton di Voice of the Martyrs, sebbene le condizioni dei cristiani siano “certamente peggiorate” a causa della presa di potere dei talebani, “la prima linea di persecuzione sono i membri della tua famiglia, i tuoi vicini”. Nettleton ha spiegato come i convertiti destino sospetti quando, ad esempio, non si presentano per pregare nelle loro moschee. Solo nei primi otto mesi dalla ripresa del potere da parte dei talebani, un cristiano clandestino ha dovuto trasferire la sua famiglia tre volte a causa della minaccia di essere scoperto.
Sebbene l’Afghanistan non sia mai stato un posto accogliente per i cristiani, le cose sono peggiorate in modo rilevante dopo l’invasione statunitense del 2001. Poiché i musulmani tendono a confondere i cristiani con l’Occidente in generale e l’America in particolare, sulla base della credenza popolare ma erronea esistente tra i musulmani che l’Occidente e l’America sono ancora cristiani, i cristiani afghani sono stati presi di mira soprattutto dopo l’invasione statunitense come forma di “punizione collettiva“.
Nel vicino Pakistan, come di consueto (si veda qui, qui e qui), anche le minoranze cristiane sono state attaccate:
“Ogni giorno, la vita per i cristiani pakistani è difficile. Ma i membri della comunità cristiana del Pakistan affermano di essere perseguitati per gli attacchi dei droni statunitensi contro i militanti islamici che si nascondono al confine con l’Afghanistan. La minoranza, che rappresenta circa l’uno per cento dei 170 milioni di abitanti [per lo più musulmani] del Paese, afferma di essere presa di mira dai musulmani poiché la propria fede è fortemente associata all’America”.
“Quando l’America attacca un drone, vengono e ci incolpano”, ha detto un cristiano. “Pensano che apparteniamo all’America. È una mentalità banale”.
La leadership occidentale, da parte sua, è estremamente attenta a non mostrare alcuna preoccupazione per le minoranze cristiane, un atteggiamento che va di pari passo con l’acquiescenza occidentale alla sensibilità islamica. Se non altro, i leader occidentali sono più inclini a chiudere un occhio, se non a discriminare attivamente, i cristiani già perseguitati, come nel caso delle Nazioni Unite e del Regno Unito, e degli Stati Uniti durante l’amministrazione Obama.
C’è un ultimo aspetto nella situazione critica dei cristiani in Afghanistan che gli osservatori più “pragmatici” menzioneranno senz’altro per incolpare gli stessi perseguitati. Chiaramente, molte delle migliaia di cristiani che rimangono in Afghanistan sono lì per lo stesso motivo che ha motivato i primi cristiani. Secondo David Curry, della Commissione degli Stati Uniti sulla libertà religiosa internazionale:
“Molti cristiani sono fuggiti dall’Afghanistan quando i talebani hanno preso il potere. Alcuni sono rimasti perché vogliono essere ‘sale e luce’ [Mattero 5, 13-16], in senso teologico, in quel Paese, anche se esso è diventato più ostile. Quindi, vogliono far parte della comunità. Amano la loro nazione. È del tutto comprensibile il motivo per cui molti sono fuggiti, ma ancora oggi in Afghanistan c’è una comunità cristiana assediata”.
Todd Nettleton conferma questa opinione:
“[Quei cristiani rimasti] hanno preso l’incredibile decisione audace di rimanere nel Paese. E il loro atteggiamento è: ‘Ascolta, se tutti i cristiani fuggiranno dal Paese, chi sarà qui per condividere il Vangelo, chi sarà qui per essere la Chiesa?’ E così hanno preso questa coraggiosa decisione di restare, pur sapendo che i talebani avrebbero preso il sopravvento; sapendo che era una cosa molto rischiosa”.
Comunque lo si voglia interpretare, ecco i deboli e i vulnerabili, i quali rischiano altruisticamente la propria vita per ciò che almeno credono sia il bene del prossimo, mentre molti dei ricchi e dei potenti del mondo, i quali predicano abitualmente i “diritti umani” e la “libertà religiosa” – almeno quando conviene ai loro programmi creando, ad esempio, divisioni razziali negli Stati Uniti, demonizzando Israele o dissimulando la radicalizzazione islamista – hanno verosimilmente fatto tutto il possibile per peggiorare la loro situazione.
Raymond Ibrahim, autore di , Defenders of the West: The Christian Heroes Who Stood Against Islam, is a Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute, è Shillman Fellow del David Horowitz Freedom Center e Judith Friedman Rosen Writing Fellow del Middle East Forum.
FONTE: https://it.gatestoneinstitute.org/18934/afghanistan-cristiani-torture
ECONOMIA
Criticare o imitare la Germania, questo è il problema
Ottobre 11, 2022 posted by Fabio Conditi
La Germania seguita a gestire le sue politiche economiche senza chiedere aiuti a nessuno, utilizzando strumenti perfettamente compatibili con la propria Costituzione ed i Trattati Europei.
A questo punto abbiamo solo due possibilità, possiamo criticare la Germania per un comportamento anti-europeista, oppure imitarla nella ricerca di soluzioni autonome nazionali che potrebbero rendere più stabile ed omogenea l’Unione Europea.
Proviamo ad analizzare come gestiscono i tedeschi le loro politiche economiche:
1) il loro debito pubblico, sicuramente inferiore al nostro, non viene calcolato allo stesso modo, perché ad esempio non viene considerato il debito dei Lander e della loro banca pubblica più importante, la KFW, mentre noi sommiamo sia il debito delle Regioni che quello della CdP;
2) il 29 settembre 2022 ha annunciato uno “scudo di difesa economica contro le conseguenze della guerra di aggressione della Russia” da 200 miliardi di euro, in barba a tutti i vincoli di Maastricht;
3) ha più del 50% di banche pubbliche con le quali nel 2020 ha garantito la creazione di 820 miliardi di euro per le sue imprese;
4) ha deciso di nazionalizzare Uper, il loro maggiore fornitore di energia, per evitarne il fallimento, perché avrebbe comporterebbe non solo tanti licenziamenti, ma il rischio per il paese di rimanere senza il maggiore fornitore di energia;
5) da anni emette milioni di pezzi di monete da collezioni superiori a 2 euro, da 5 e 10 euro, che hanno validità sul loro territorio e di cui percepiscono tutto il signoraggio.
Perché non lo facciamo anche noi?
Invece di criticare, come stanno facendo in molti, le politiche autonome che la Germania sta facendo per agevolare e sostenere la propria economia, potremmo in realtà decidere di adottare soluzioni e strumenti che permettano anche a noi di fare politiche economiche autonome a favore della nostra economia reale.
Abbiamo davanti una crisi economica e sociale drammatica: aumento rendimenti titoli di stato, crollo mercati finanziari, aumento costi energia, riduzione domanda interna, fallimento piccole e medie imprese, conseguente crisi bancaria, recessione economica, riduzione entrate fiscali, aumento debito pubblico e costo interessi, ecc…
Serve un piano finanziario urgente a sostegno dell’economia reale.
Non c’è più il tempo di contrattare con l’Europa un’ulteriore forma di debito comune come il PNRR, di cui dopo due anni è arrivato poco o niente, anche perché non c’è la volontà politica negli altri Stati.
Se vogliamo risolvere il problema, l’Italia deve utilizzare nuovi strumenti per reperire le risorse finanziarie necessarie, senza aumentare il debito pubblico e senza chiedere soldi in prestito ai mercati finanziari o all’Unione Europea.
In questo precedente articolo, che ho scritto con Paolo Becchi e pubblicato sul sito di Nicola Porro, trovate la descrizione di un Piano di Rinascita Economica da 1000 miliardi di euro in due anni, che potrebbe risolvere tutti i nostri problemi una volta per tutte, senza aumentare il debito verso l’estero o l’Unione Europea.
https://www.nicolaporro.it/credito-dimposta-come-aiutare-gli-italiani-senza-aumentare-il-debito/
Proviamo ad analizzare come potrebbero essere declinate le soluzioni adottate dalla Germania, utilizzando le soluzioni che abbiamo proposto nel Piano di Rinascita Economica, cioè il credito d’imposta, la banca pubblica e i conti di risparmio:
1) senza modificare le voci del calcolo del nostro debito pubblico, sappiamo comunque che un debito diventa rischioso quando è detenuto da soggetti stranieri che pongono condizioni alle nostre politiche, siano essi i mercati finanziari o l’Unione Europea. Quindi meglio utilizzare strumenti come i conti di risparmio perché così il debito pubblico torna in mano ai risparmiatori italiani, non ci sono più ricatti e gli interessi sono reinvestiti nella nostra economia.
2) se vogliamo fare politiche espansive senza aumentare il debito pubblico, abbiamo la possibilità di utilizzare i crediti d’imposta che non determinano un aumento del debito pubblico, ma solo un mancato gettito futuro, ampiamente compensato dall’incremento di gettito nei primi anni.
3) possiamo utilizzare il Medio Credito Centrale, ampliato acquisendo anche Monte dei Paschi di Siena come è stata acquisita Banca Popolare di Bari, in modo da finanziare le nostre imprese con almeno 300 miliardi di euro di nuovi prestiti per compensare il calo del credito bancario degli ultimi anni.
4) possiamo anche noi nazionalizzare Eni ed Enel e tornare a gestire un bene prezioso e primario come l’energia nell’interesse esclusivo dello Stato e di tutti noi cittadini ed imprese.
5) possiamo anche noi emettere ogni anno diverse monete da collezione da 5 e 10 euro in milioni di pezzi, che hanno validità a corso legale solo sul nostro territorio, in modo che il signoraggio ricavato possa essere utilizzato proprio per valorizzare il nostro patrimonio pubblico monumentale ed artistico.
Abbiamo la possibilità di imitare la Germania nell’utilizzo di nuovi strumenti per finanziare le nostre politiche economiche espansive, senza aumentare il debito pubblico verso i mercati finanziari o l’Unione Europea e senza violare i Trattati.
Perché non farlo ?
Fabio Conditi
Presidente dell’associazione Moneta Positiva https://monetapositiva.it/
FONTE: https://scenarieconomici.it/criticare-o-imitare-la-germania-questo-e-il-problema/
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
La crisi finanziaria spiegata in 5 punti
In questo articolo, vorrei provare a fare chiarezza sulla situazione finanziaria in Occidente, confrontando l’Italia con gli altri paesi e offrendo alcuni spunti per le prossime politiche nazionali.
Partiamo da due casi per sviluppare il nostro ragionamento su cinque punti. La Germania ha varato un fondo da 200 miliardi di euro, la Gran Bretagna un piano da circa 160 miliardi di sterline. L’obiettivo del primo è creare uno scudo sull’aumento del costo delle bollette. Il piano inglese si propone, oltre allo scudo sulle bollette, anche di diminuire le tasse. Entrambi si appoggiano sostanzialmente su nuovo deficit. Ora, non vorrei entrare nel merito dei due piani ma sul principio che in Italia si vorrebbe contestare. Tale principio si esplica nell’idea che, soprattutto in tempi di crisi, un coordinamento tra politica monetaria e politica fiscale sia la via meno dolorosa e potenzialmente più democratica per evitare conseguenze disastrose. Se non si ripartirà da questo principio di base si uscirà dalla crisi in forma più povera e diseguale.
Primo punto: la presunta marcia indietro del governo inglese – molto spettegolata dai nostri analisti che sono molto contenti quando un governo viene messo alle corde dai “mercati” – riguarda solo 2,5 miliardi dell’intero piano: il taglio dell’aliquota al 45% sui redditi superiori ai 150 mila sterline. Una cifra simbolica, molto rilevante per le questioni distributive, ma assolutamente irrisoria rispetto allo sforzo finanziario complessivo. Il centro del piano è invece il sostegno contro il caro bollette (gli inglesi avranno un aiuto sul 50% dei costi energetici), un nuovo piano energetico e il taglio di alcuni aumenti fiscali. Come sempre, in Italia, si riportano le notizie dall’estero per confermare l’agenda interna: “non bisogna infastidire i mercati, guai a difendere l’autonomia della politica, testa bassa, poche storie e seguire i compitini di Bruxelles”. La realtà non è questa. Proviamo a raccontarla.
Secondo punto: l’idea di “non facciamo deficit per non far guadagnare la speculazione”, usata in alcuni stati membri dell’Europa, a livello teorico è anche giusta. Ma non dimentichiamoci che il mercato dell’energia europea, per come è oggi, è il prodotto di vent’anni di liberalizzazioni e privatizzazioni feroci. E non si cambierà certamente in pochi mesi. Il problema è che le famiglie e le imprese devono pagare le loro bollette in questo momento, e a loro cambia poco se la colpa sia o non sia della speculazione. L’obiettivo di breve termine dovrebbe essere invece quello di non creare deserto sociale. Si dovrebbe intervenire con urgenza nell’immediato, aiutando famiglie e imprese con le loro bollette, e lavorare contemporaneamente alla riforma del mercato dell’energia. Si può discutere sull’opportunità del piano inglese, ma l’alternativa “aspettiamo il rialzo dei tassi senza fare deficit” non mi sembra molto più lungimirante. Equivale a produrre una depressione attraverso due canali, quello dell’offerta – per via del rialzo dei costi – e quello della domanda – per via della diminuzione degli investimenti e dei consumi.
Il terzo punto riguarda il problema inflazione. Si dice, in certi ambienti, che fare spesa pubblica in un contesto di aumento dei tassi è controproducente. Da una parte, infatti, le banche centrali cercherebbero di far diminuire l’inflazione; dall’altra, il governo sosterrebbe l’economia facendo “pressione sui prezzi”. Bisogna innanzitutto considerare il fatto che un impegno dei governi per calmierare il costo delle bollette potrebbe avere effetti tutt’altro che inflattivi – soprattutto se il segnale di prezzo sull’energia venisse solo diminuito. In ogni caso, chi sostiene che le autorità fiscali dovrebbero adeguarsi alle strategie abbastanza discutibili della Bce, sta di fatto ammettendo di voler peggiorare una crisi economica epocale senza fare nulla per sostenere i popoli europei. In Europa, infatti, al contrario degli Stati Uniti, l’inflazione non è da domanda ma principalmente da offerta: stanno aumentando i costi energetici. Far diminuire l’inflazione con un aumento dei tassi significa provocare un calo artificiale degli investimenti, creare disoccupazione, far pressione al ribasso sui salari, far diminuire la domanda e, quindi, solo così ridurre l’inflazione. È un approccio che in Europa lo stesso Visco ha in parte criticato. Oggi, il problema è l’equilibrio sociale e finanziario del nostro paese, e far ricadere tutto sulle fasce più deboli non mi sembra una scelta di “buon senso”. Il problema, quindi, è il tentativo delle autorità monetarie di forzare la mano in un contesto di guerra militare, guerra finanziaria, guerra energetica, introducendo anche una guerra economica interna, con milioni di persone che perdono il lavoro e non hanno più lo stipendio per pagare le bollette. Questo riduce l’inflazione, certo, ma riduce anche la qualità della vita delle persone. A questo punto perché non eliminare fisicamente le persone? In questo modo, sono sicuro che i prezzi scenderebbero e anche la Russia non riceverebbe più i ricavi dalle loro bollette…
Il quarto punto riguarda la sostenibilità dei debiti pubblici. In primo luogo, occorre evidenziare che, in un contesto di inflazione a doppia cifra e tassi nominali al 4-5%, gli stati si stanno indebitando a tassi reali pesantemente negativi (in Germania siamo a circa -7%). Questo significa che, sul piano reale, gli stati pagheranno molto di meno di quanto hanno preso a prestito. Una forma di incentivo a indebitarsi. Se poi durante una crisi geopolitica di questa portata, ci mettiamo in Europa a fare discorsi su Maastricht, sul 3%, sul Fiscal Compact, significa che le nostre classi dirigenti sono totalmente annebbiate dai loro schemi e modelli ideologici, tutti stabilmente sconfessati, da non accorgersi dell’abisso che ci precede. Parlando di riforme di lungo termine, un obiettivo dovrebbe essere semmai quello di creare una nuova forma di coordinamento fiscale-monetario che non implichi necessariamente la creazione di bolle finanziarie. Certo. Intanto direi che è necessario dare ai governi la piena possibilità di proteggere adesso le nostre economie.
Il quinto punto riguarda infine il caso della Gran Bretagna, su cui altre considerazioni dovrebbero essere fatte. Limitiamoci a un punto generale, che trascende il caso specifico su molti aspetti – ripeto – discutibile. Cosa abbiamo visto? Il governo ha introdotto un piano fiscale. Il mercato ha incominciato a vendere titoli di stato e i tassi sono aumentati. I fondi pensione inglesi hanno incominciato a ricevere margin call (la richiesta da parte di un broker di capitali aggiuntivi al depositante che ha acquistato titoli a leva). I fondi pensione usano infatti titoli di debito pubblico come collaterali in alcune operazioni speculative, ossia prendono a prestito da un broker per acquisire titoli mettendo a garanzia il valore di titoli ritenuti sicuri, proprio le obbligazioni pubbliche. Il punto è che quando il valore dei titoli di stato cala improvvisamente, chi ha prestato il denaro può richiedere al fondo pensione (o a qualsiasi depositante) di rafforzare il capitale nel cosiddetto margin account, a garanzia del prestito. Quando il fondo ha una leva troppo alta e troppe posizioni aperte, la volatilità sulle perdite e sui guadagni è ovviamente molto alta. Per questo, il sistema finanziario inglese è andato pesantemente in crisi. A questo punto, la Banca Centrale Inglese si è trovata costretta ad avviare un programma temporaneo di acquisto di titoli di stato per non far crollare il sistema pensionistico inglese.
Funzionerà, non funzionerà? Sembra di sì, in quanto il mercato si è stabilizzato e gli acquisti della Banca d’Inghilterra sono già rientrati. Tuttavia, il punto non è questo: il punto è difendere l’idea che, in un contesto di fragilità sociale e finanziaria, il coordinamento tra autorità fiscali e autorità monetarie sia l’unica cosa razionale che uno stato possa fare. Certamente uno potrebbe, e dovrebbe, obiettare sulla struttura dei bilanci dei fondi pensione, e di come anche questo settore di interesse nazionale sia affidato a logiche speculative. Ed è quello che molti analisti hanno fatto. Adam Tooze, ad esempio, scrive che nel recente caso inglese “la posta in gioco non è il dominio fiscale – con la banca centrale [che] segue la guida del governo eletto – ma il dominio finanziario. La banca centrale è costretta ad agire dallo stress dei mercati finanziari.”
Tuttavia, anche qui, è necessario distinguere l’orizzonte immediato con le riforme strutturali di modifica del sistema finanziario. Personalmente, nutro dei seri dubbi che queste classi dirigenti vogliano realmente mettersi a intaccare interessi profondi e radicati, invertendo il trend di privatizzazione e finanziarizzazione che vive il capitalismo occidentale da circa trent’anni. Tuttavia, anche accettando questa improbabile (ma auspicabilissima) prospettiva, queste riforme non sarebbero affatto in contraddizione con un’azione energica e puntuale sull’adesso. L’adesso non può che ripartire da un deficit pubblico importante e da un sostegno pieno delle autorità monetarie, sia sul mercato interno che sul tasso di cambio. Anche perché le previsioni sul futuro sono tutt’altro che rosee (tra pericoli energetici e di vera e propria guerra totale). Mettersi a fare ora ragionamenti raffinati sulla finanza, sostanzialmente per legittimare politiche di austerità, rischia di divenire un esercizio interessantissimo di malafede dietro cui far nascondere le nostre classi dirigenti.
È chiaro che le soluzioni semplici non esistono. E non stiamo asserendo che la Gran Bretagna o la Germania abbiano risolto del tutto i loro problemi. Tutt’altro. Navighiamo tutti in alto mare, tra correnti agitate e pericolose, che potrebbero in ogni caso prevedere forme dirette o indirette di razionamento energetico nell’inverno freddo che ci aspetta. Il punto è non aggiungere a queste turbolenze altre turbolenze, che le nostre autorità politiche introducono artificiosamente. La struttura finanziaria dell’Unione Europea è un ostacolo arbitrario ed esclusivamente politico. La strategia, oggi, dovrebbe essere quella di aumentare la potenza di intervento delle nostre democrazie, e non di diminuirla, soggiogandola a poteri indiretti. Si pensa a volte, tanta la miopia, che l’obiettivo sia proprio quello.
Il punto finale che preme rimarcare è proprio questa distinzione tra due piani d’intervento. Un’agenda democratica dovrebbe auspicare un piano straordinario di sostegno alle imprese e alle famiglie italiane e contemporaneamente lavorare per una ristrutturazione del sistema finanziario ed energetico, sottraendolo a logiche speculative e oramai evidentemente oligarchiche. Bisognerebbe anche riconoscere che queste riforme richiedono una rifondazione generale delle organizzazioni europee esistenti. Bisogna avere oggi l’onestà di asserire che l’Unione Europea è incompatibile con qualunque rilancio democratico del continente. Chi ama l’Europa, deve pensare a un oltrepassamento della struttura ibrida, elefantiaca, iper-burocratizzata, iper-inefficiente, irrazionale e ideologizzata dell’Unione Europea. Ci vorranno mesi, anni, decenni, per far sì che le classi dirigenti si accorgano degli errori compiuti. Solitamente, più l’errore è grande più è difficile riconoscerlo. La forza incontrovertibile degli eventi si procurerà tuttavia di farci cambiare idea, speriamo senza troppi dolori.
FONTE: https://www.lafionda.org/2022/10/06/la-crisi-finanziaria-spiegata-in-5-punti/
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
I nuovi poveri sono i lavoratori
Che cosa è la povertà? Difficile rispondere e ogni argomentazione potrebbe essere contestata, i poveri sono gli indigenti assoluti o piuttosto quanti non hanno reddito sufficiente per una condizione di vita dignitosa?
La lotta alla povertà dovrebbe prefiggersi un obiettivo: riconquistare dignità salariale e contrattuale dentro una società basata sul lavoro equamente retribuito.
Dignità e lavoro sono strettamente connessi dentro un’ottica neokeynesiana spazzata via dai 40 anni neoliberisti, il mercato è diventato principio regolatore dei rapporti sociali e il ruolo dello Stato garante dei suoi meccanismi, rinunciando a priori ad ogni funzione di controllo e di guida a fini sociali dell’economia.
Da decenni ormai il potere di acquisto e di contrattazione è stata ferocemente attaccato e indebolito, l’erosione dei salari e delle pensioni è stata accompagnata da innumerevoli controriforme che hanno innalzato l’età pensionabile, ridotto il potere di acquisto e precarizzato il lavoro.
La campagna elettorale appena conclusasi ha semplicemente ignorato il problema, se nel centro-sinistra se ne fossero fatti carico avrebbero dovuto sconfessare loro stessi, i governi politici e quelli imposti dalla tecnocrazia europea che hanno sostenuto, in Parlamento e attraverso i corpi intermedi, senza remore, anzi con un entusiasmo demenziale fino a perdere di vista gli interessi reali dei lavoratori e delle lavoratrici.
La povertà non è quindi sinonimo di indigenza ma il risultato dei 40 anni neoliberisti che hanno peraltro acuito le disuguaglianze sociali e di reddito.
Nei paesi ex socialisti (reali) le disparità economiche sono decisamente più accentuate (specie ove hanno applicato la flat tax) ma anche nei paesi del capitalismo europeo è avvenuta insieme alla precarizzazione del lavoro il progressivo indebolimento dello stato sociale che taglia fuori da servizi e aiuti innumerevoli fasce della popolazione.
Oggi un rapporto Censis parla di 5 milioni di persone in povertà assoluta, poi esiste anche la povertà relativa di famiglie che rinviano un controllo medico, la spesa del dentista o prima del fermo amministrativo decidono di utilizzare una sola auto ricorrendo a motorini, mezzi pubblici e bici per recarsi al lavoro allungando i tempi degli spostamenti da casa a discapito della qualità della vita.
Quasi 9 milioni di uomini e donne vivono nella povertà relativa, per far quadrare il bilancio familiare devono fare i salti mortali tagliando innumerevoli spese o affidandosi al fido in banca; si fa strada quella figura, analizzata da Lazzarato anni or sono, del lavoro indebitato che non riesce a garantire per sé e i familiari una esistenza dignitosa.
Rispetto a 50 anni fa avere un lavoro non significa superare la condizione di povertà, anzi sono sempre più numerosi i lavoratori e le lavoratrici costretti a vivere in condizioni di povertà e non parliamo solo dei precari, delle fittizie partite iva ma di quanti operano, con contratti da fame, nei servizi, nel terzo settore, nel cosiddetto privato sociale.
La proliferazione dei contratti nazionale è il risultato delle privatizzazioni , per accreditarsi la rappresentatività i sindacati cosiddetti rappresentativi hanno operato scelte perdenti che alla fine indeboliscono i poteri di acquisto e di contrattazione rafforzando solo la parte datoriale.
Non si tratta di rilanciare una società basata sul lavoro ma di comprendere come la svalorizzazione e la precarizzazione del lavoro sono i risultati del neoliberismo e della trappola europea; i dettami di Maastricht sul pareggio di bilancio sono tra le cause scatenanti delle disuguaglianze in paesi nei quali il ruolo regolatore dello Stato aveva permesso un tenore di vita dignitoso e la tanto decantata scalata sociale (oggi invece l’ascensore sociale è fermo).
Se vogliamo aggredire la miseria dilagante bisogna cambiare registro e allontanarsi dalle sirene europeiste e del liberismo temperato che poi per sua natura temperato non è mai stato.
FONTE: https://www.lafionda.org/2022/10/09/i-nuovi-poveri-sono-i-lavoratori/
La nebbia del salario minimo
di Eugenio Donnici
Nel 2014, il dottorando A. Aniasi della Luiss Guido Carli, nell’esaminare la relazione tra salario minimo e disoccupazione, seguendo il sofisticato e suggestivo filone dei modelli matematici applicati all’economia (Econometria), è arrivato alla conclusione che << un provvedimento che aumenti di un dollaro (all’ora) il salario minimo causerebbe mediamente la perdita di 66.614 posti di lavoro>>. (1) Una precisione che spacca il capello! Nel ripercorrere i principali studi e la letteratura in tema di rapporto tra disoccupazione e salario minimo, non può ignorare la ricerca di Alan Krueger e David Card, del 1994, Minimum Wages and Employement: a Case Study of the Fast Food Industry in New Jersey and Pennsylvania. La pubblicazione di tale articolo on The American Economic Review suscitò scalpore negli ambienti accademici, poiché i due autori, utilizzando il linguaggio matematico e statistico, pervennero a conclusioni opposte. Il modello matematico elaborato, anche se il loro approccio rimase all’interno degli studi empirici, fece sorgere dei dubbi al pensiero dogmatico della corrente economica tradizionale.
I due economisti analizzarono l’implementazione del salario minimo nel New Jersey (da 4.25 a 5.05 dollari all’ora), utilizzando come base campionaria i dipendenti di alcune delle maggiori “catene” di fast-food americane: Burger King, KFC, Roy Rogers e Wendy’s.
I dati sono stati raccolti tramite interviste telefoniche e dalla loro analisi emerse “l’evidenza empirica” che dimostrava che l’aumento del salario minimo non generava un aumento della disoccupazione, ma una leggera diminuzione.
A dire il vero, la legge sul salario minimo vede la luce già nel lontano 1894, in Nuova Zelanda e nel 1896 trova applicazione anche in Australia, l’approdo negli Stati Uniti risale al 1912, in Massachusetts, anche se a livello federale inizia a diffondersi solo ai tempi di F. D.Roosevelt, quando in un suo mitico discorso dice: <<nobody is going to starve in this country>> .Ovviamente, dietro le trame legislative che ricongiungono i membri del Commonwealth c’è la regia di Sidney and Beatrice Webb, social reformers, active members of the Fabian Society, and cofounders of the London School of Economics. (2) Tutto ciò per dire che la via anglicana del minum wage precede le cervellotiche elucubrazioni delle facoltà di economia come la Luiss di Roma. E, nel contempo, ammettere che l’inversione di tendenza che delineò il modello di Krueger e Card diede nuova linfa alla politica di Tony Blair, il quale trionfò nelle elezioni del 1997, grazie anche e soprattutto alla campagna su salario minimo. Da qui all’Europa continentale il passo è stato breve, tant’è vero che nell’Ue la suddetta misura legislativa è stata introdotta in 21 dei 27 Stati membri: rimangono fuori quei paesi, come l’Italia, dove i minimi tabellari vengono definiti dalla Contrattazione Collettiva.
Fin qui il discorso sembra tutto lineare, non è proprio così: fatta la legge, si scopre l’inganno!
Quando si parla si salario non si può prescindere, a mio avviso, dagli approfondimenti di Marx, con le sue opere, in un’epoca dove gli economisti classici discettano di salario naturale o salario d’equilibrio, ossia quello dato dall’incontro della domanda e offerta di lavoro sul mercato. L’introduzione di una legge che modifichi tali condizioni d’equilibrio, determinerebbe un aumento artificiale del livello dei salari e di conseguenza anche dei prezzi delle altre merci.
Per Marx il salario non è determinato solo dalle forze di mercato, l’esito del prezzo della forza lavoro subisce l’influenza delle negoziazioni collettive e del progresso tecnico, non lega il salario di mercato a una legge naturale, una volontà immutabile che non può essere modificata, esce dal campo della volontà e parla di un salario di mercato che oscilla intorno al salario “normale”.
In Salario, prezzo e profitto, al signor Weston che si oppone agli alti salari, Marx chiede: cosa sono gli alti salari, e che cosa sono dei bassi salari? Perché un salario di 4 euro all’ora è basso e uno di 20 euro all’ora è alto?
Nel rispondere a queste domande, egli asserisce che l’errore del suo interlocutore consiste nel considerare le espressioni di alto e basso come fisse e di non percepire che << i salari possono dirsi alti o bassi soltanto in rapporto a una misura sulla base della quale viene calcolata la loro grandezza>>.
Tuttavia, in questa breve riflessione, non mi preme tanto sottolineare che il signor Weston ignori che << il valore del lavoro è la misura generale del valore>>, quanto osservare che egli utilizzi la questione degli aumenti salariali in modo strumentale, in quanto sostiene che i prezzi delle merci salgono, ogni qual volta incrementano i salari, ma poi aggiunge che a questo valore ipotetico debba essere inserito quello del profitto e della rendita.
In altri termini, in lui, come negli altri sostenitori dell’economia borghese, rimane viva questa visione perniciosa dei salari alti, mentre profitti e rendite vengono considerati in via surrogata, sono considerati delle semplici aggiunte percentuali, dato che sono i salari a regolare i prezzi, in fondo è questo il pensiero dogmatico: essi devono rimanere bassi, altrimenti i prezzi aumentano!
Nel modo di produzione capitalistico, scrive Marx, Il processo di produzione ha inizio con l’acquisto della forza- lavoro per un tempo determinato (3), ma l’operaio viene pagato soltanto dopo che la sua forza-lavoro ha operato e ha realizzato in merci tanto il proprio valore che il plusvalore.
Il salario, ossia il compenso che ricevono i lavoratori e le lavoratrici, per la riproduzione delle loro condizioni di esistenza, in un determinato periodo e che può variare in base alla situazione economica (prosperità, stagnazione, crisi), non è immediatamente reddito, esso è capitale variabile, lo diventa solo dopo lo scambio, vale a dire quando si chiude il cerchio: la vendita dei prodotti che diventano merci.
Dunque, riposizionando il concetto di salario minimo, all’interno della teoria del valore e del plusvalore, emerge un aspetto sorprendente, che schiarisce o dirada la nebbia che avvolge le menti dei fautori di questa corrente di pensiero, la quale include, tra l’altro, anche molti soggetti che continuano a far riferimento al marxismo.
Per semplificare il discorso, io non prenderei in considerazione la complicazione del concetto di reddito svincolato dalla produzione di valore, quindi evidenzierei che Marx, nello specifico, non tratta del salario minimo, inteso come minimo tabellare che il proprietario dei mezzi di produzione deve erogare ai suoi dipendenti, bensì del salario sociale globale della forza lavoro, che corrisponde al capitale variabile nell’ambito del processo di autovalorizzazione del capitale anticipato. Ebbene, in tale processo, il salario dell’intera classe lavoratrice, entro i limiti delle sue oscillazioni, introno al salario “normale”, è uguale già al minimo, in quanto una parte dei prodotti che si trasformano in merci finisce per alimentare i profitti.
Per di più, a determinare il livello dei salari (minimi) sono i disoccupati, nei Manoscritti sul salario, pubblicati postumi nel 1925, Marx esprime il suo pensiero in modo perentorio: se ci sono 1000 operai con la stessa qualifica e 50 di loro sono ridondanti, il livello dei salari è determinato da questi ultimi, non dai 950 che lavorano.
Eh già! Eppur si muove! Nostro malgrado, ci sono anche i disoccupati.
Note
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A. Aniasi, La relazione tra salari minimi e la disoccupazione, 2014, https://tesi.luiss.it
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Matsaganis, M. (2020) History and politics of the minimum wage, in DAStU Working Paper Series, n. 02/2020 (LPS.09), http://www.lps.polimi.it
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K. Marx, Il capitale, libro I, capitolo 21.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/24007-eugenio-donnici-la-nebbia-del-salario-minimo.html
PANORAMA INTERNAZIONALE
Come verranno decise le civiltà
Dirigente Pfizer sotto giuramento: non abbiamo mai testato il vaccino contro la trasmissione del Covid-19
Ottobre 13, 2022 posted by Giuseppina Perlasca
Un alto dirigente della Pfizer ha ammesso sotto giuramento che l’azienda non ha mai testato il suo “vaccino” Covid per verificare se impedisse o meno la trasmissione del video.
Come riportaThe Epoch Times, il membro del Parlamento europeo Rob Roos ha chiesto durante una sessione di audizione: “Il vaccino COVID della Pfizer è stato testato per bloccare la trasmissione del virus prima di essere immesso sul mercato? Sapevamo dell’arresto dell’immunizzazione prima che entrasse in commercio?“.
Janine Small, presidente dei mercati internazionali sviluppati di Pfizer, ha risposto: “No… Abbiamo dovuto… muoverci alla velocità della scienza per sapere cosa sta succedendo sul mercato“.
Roos, deputato dei Paesi Bassi, ha sostenuto in un video su Twitter lunedì che questi commenti di Small confermano come milioni di persone siano stati ingannati in tutto il mondo.
“Milioni di persone in tutto il mondo si sono sentite costrette a vaccinarsi in virtù del mito che ‘lo si fa per gli altri‘”, ha detto Roos.
“Ora, questa si è rivelata una menzogna da quattro soldi” e “dovrebbe essere smascherata“, ha aggiunto.
“Se non ci si vaccina, si è antisociali. Questo è ciò che ci hanno detto il Primo Ministro e il Ministro della Salute olandesi“, ha detto Roos. Non ci si vaccina solo per se stessi, ma anche per gli altri: lo si fa per tutta la società“. Questo è ciò che hanno detto“. Pensiamo a quello poi che è stato detto in Italia!!!
Ucraina: una tragedia annunciata
Pochi giorni fa la morte di Michail Sergeevič Gorbačev ha segnato la fine di un’era. Per molto tempo la politica estera della Russia verso l’Occidente è stata determinata dal suo approccio e dalla sua eredità, fino a quando non si è scontrata con un nuovo muro invisibile, ma del tutto reale, costruito dall’Occidente tra sé e la Russia negli ultimi 20-25 anni. Questo nuovo muro ha svelato la debolezza della politica e delle concessioni di Gorbaciov, politica applaudita calorosamente in Occidente, ma che ha condannato la Russia alla dipendenza e alla capitolazione geopolitica. Gorbaciov, infatti, credeva nella ristrutturazione delle relazioni internazionali e nella possibilità di costruire una casa comune europea. Gli sviluppi in Europa, così come l’evoluzione delle relazioni tra Russia e Stati Uniti, hanno mostrato l’ingenuità di questo approccio. Il suo tentativo strategico di avvicinarsi all’Occidente attraverso concessioni unilaterali risale alla fine del 20° secolo, ma è stato respinto nel 21° secolo. La dottrina di Gorbaciov, ammesso che si possa parlare di dottrina, non ha resistito all’impatto con la realtà e alla prova del tempo.
Ciò che è accaduto dalla fine dell’Unione delle Repubbliche Socialista Sovietiche in Ucraina (e negli Stati Baltici) è il risultato di questo approccio errato. Nel dicembre del 1991 la settantennale esperienza sovietica cessava di esistere. Smentendo il referendum democratico del marzo dello stesso anno che aveva visto il 78% della popolazione esprimersi a favore del mantenimento dell’Unione, i tre presidenti delle repubbliche dell’URSS – Russia, Ucraina e Bielorussia – decidevano di “ascoltare” le voci dei consiglieri statunitensi che da tempo erano presenti nel caos della perestrojka gorbacioviana.
Negli anni successivi, caratterizzati da atroci sperimentazioni economiche “democratiche e di mercato” che hanno causato milioni di morti e condizioni di vita misere, si trovano le radici dell’odierna tragedia in Ucraina. In Russia gli americani invadevano ogni ambito statale mentre in Ucraina iniziavano ad “aiutare” i discendenti – traferiti dopo il 1945 in America e Canada – di chi era fuggito dall’avanzata dell’Armata Rossa nel 1945 a ritornare in Ucraina portando con sé l’ideologia di chi aveva contribuiti non solo alla tragedia dei campi di sterminio nazisti, ma anche a quella dei massacri del 1943 di oltre 100mila polacchi in Volinia e Galizia: i nazionalisti ucraini temuti persino dalle SS tedesche.
Man mano che le vecchie generazioni sovietiche morivano, quelle nuove venivano educate all’ideologia nazionalista, grazie ai Centri di operazioni informative e psicologiche (denominati CIPSO e che fanno parte delle Forze per le operazioni speciali dell’Ucraina), impiegati in ogni segmento informativo, istituiti e finalizzati per orientare la popolazione al più feroce odio per tutto ciò che fosse russo. Cercando di far dimenticare che l’Ucraina, storicamente, non solo è stata la culla della Russia – la Rus’ di Kiev – ma anche una terra dove da sempre russi e russofoni compongono più di metà della sua popolazione e abitano gran parte del suo territorio. E dove le famiglie e i popoli si sono sempre mescolati senza soluzione di continuità. Eppure, a partire dal 1991 ai quadri del nuovo esercito ucraino venne fatto sottoscrivere un contratto di servizio in cui era scritto che la Russia “è il nemico”.
A questo punto è bene notare che gli Stati che storicamente formavano l’Impero russo, a differenza della storia europea, non sono mai stati Stati nazionali, nati dall’affermazione delle borghesie nazionali. U-Kraina vuol dire letteralmente “al confine, al margine”. Una terra dove, nei secoli, hanno dominato polacchi, svedesi, lituani, ottomani, tedeschi. Gli attuali confini dello Stato ucraino sono quelli ereditati dall’URSS. Agli inizi degli anni Venti del secolo scorso i bolscevichi volevano costruire uno stato federato all’Unione, mai esistito nelle dimensioni create, attraverso la “donazione” all’allora Repubblica Socialista Sovietica Ucraina di ampi territori da sempre russi (ampliati dopo il 1945 con altri precedentemente polacchi e ungheresi – Galizia in primis). Lo scopo era creare quel “nuovo Stato” proletario che superasse i tradizionali rapporti fra popoli dell’Impero zarista, dove non ci fossero più né classi né nazionalità diverse. Lo Stato dell’Homo sovieticus. Per questi motivi furono così incluse nella Repubblica socialista sovietica Ucraina molte zone storicamente russe (tra cui Donbass, Char’kov e Odessa), ma dove convivono da secoli popolazioni, appartenute storicamente alla “Novorossija”, l’area a nord del Mar Nero conquistata dall’Impero russo alla fine del XVIII secolo.
L’implosione dell’URSS era un’occasione imperdibile per una rivincita storica da parte di chi allora, come oggi, cerca di imporre l’ideologia della superiorità del “modello americano” su tutti i popoli del mondo. Nel 1997, Zbigniew Brzezinski, politico democratico americano la cui famiglia era fuggita negli Stati Uniti dalla Polonia dopo la seconda guerra mondiale, scriveva nel suo saggio “The Grand Chessboard American Primacy and Its Geostrategic Imperatives”: l’Ucraina «è un nuovo e importante spazio dello scacchiere euroasiatico» senza il quale la Russia cessa di essere un impero euroasiatico per limitarsi forzatamente alle sue prospettive asiatiche. Con l’implosione dell’URSS l’Ucraina diventava allora terra di scontro (a volte aspro), ma ancora inquadrato in un ambito politico ed economico. I Presidenti si susseguivano, a volte rappresentanti degli “amici d’oltreoceano”, altre della maggioranza russofona e di chi ancora vedeva nella Russia se non un popolo fratello perlomeno non un nemico: da Leonid Kravčuk, a Leonid Kučma, a Viktor Juščenko, fino a Viktor Janukovič, l’ultimo Presidente eletto prima del 2014. Da quel momento l’Ucraina è stata il teatro di rivoluzioni arancioni, rivolte anche sanguinose fra chiese (in particolare quella Uniata o Cattolica di rito orientale che fu protagonista nei primi anni di attacchi, anche violenti, contro le chiese e i prelati ortodossi della Chiesa Ortodossa Ucraina del Patriarcato di Mosca), cui parallelamente si riaffacciavano sulla scena politica movimenti di ispirazione ultranazionalista che poi si trasformeranno nei partiti neonazisti odierni.
Ma questo non era ancora abbastanza per chi aveva deciso di sferrare l’ultimo colpo alla Russia e all’Europa. Nel 2014, alla luce del sole, gli Stati Uniti investirono 5 miliardi di dollari per cambiare il corso della storia. Un colpo di stato anticostituzionale (altrove chiamato “primavera”) fece letteralmente scappare, pena l’assassinio, il legittimo Presidente Janukovič, reo di aver sottoscritto un accordo di amicizia e collaborazione economica con la Russia. In piazza Maidan si ritrovarono tutte le forze che aspiravano a spezzare il legame storico fra Ucraina e Russia. In un mare di bandiere di estrema destra che sventolavano accanto a quelle europee, anche degli italiani, rappresentanti ufficiali delle istituzioni europee, più o meno consapevolmente, fomentavano una folla ubriaca di un concetto sino ad allora completamente estraneo alla società ucraina, ma già molto “di moda”: l’europeismo. E mentre le cancellerie occidentali si complimentavano a vicenda per i loro successi, iniziava la tragedia del popolo ucraino.
Il divieto di parlare la lingua russa, la chiusura di giornali, televisioni, siti internet in lingua russa, l’uccisione di decine di giornalisti, la messa fuorilegge di partiti politici e organizzazioni sindacali fecero da contorno alla cosiddetta Operazione antiterrorismo, ossia l’intervento militare ucraino contro i propri cittadini, che nelle regioni del Donbass (allora il territorio più ricco del paese) erano scesi in piazza per denunciare il colpo di stato e la loro volontà di non vivere sotto il nuovo potere nazionalista di Kiev. Di non voler essere oggetto della feroce pulizia etnica chiaramente proclamata dalle frange più estremiste del nuovo regime “democratico ed europeista”. Va ricordata, fra tutte, la strage del Palazzo dei Sindacati di Odessa del 2 maggio 2014 dove vennero massacrati e bruciati vivi un centinaio di antifascisti. La tragedia non ebbe nemmeno un cenno da parte di Cgil Cisl e Uil
Un ultimo, fondamentale tassello è quello relativo alla questione religiosa. Non ancora soddisfatto, l’Occidente è intervenuto anche in campo religioso, sostenendo la nascita di una chiesa autocefala ucraina, non canonica, che rompesse con la storia e le tradizioni che costituivano un elemento importante nei secolari rapporti con Mosca. È infatti dimostrato da molti documenti officiali il ruolo della Chiesa Ortodossa del Patriarcato di Costantinopoli, governata da uomini della CIA.
Nel maggio del 2014 la vittoria del “sì” al referendum democratico nelle regioni di Doneck (79%) e Lugansk segnò la nascita delle autoproclamate Repubbliche. Il referendum nella regione di Char’kov, invece, non ottenne i voti sufficienti per proclamarsi indipendente. Nello stesso periodo anche la Crimea, territorio storicamente russo e regalato da Chruščëv alla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina nel 1954, ottenne l’indipendenza e il ricongiungimento alla Russia, deludendo le speranze di Kiev, che dal 1991 aveva cercato di ostacolare le aspirazioni autonomiste della regione. La richiesta di adesione alla Federazione Russa da parte del popolo crimeano fu dettata dalla volontà della quasi totalità della popolazione di rimanere parte del “mondo russo”. La Crimea evitò in tal modo le tragedie del Donbass e il buon fine delle aspirazioni americane di trasformare la penisola in una portaerei e una caserma NATO in mezzo al Mar Nero dove posizionare i missili nucleari contro Mosca.
Una volta iniziata la guerra civile in Donbass, la Germania e la Francia assunsero il ruolo di mediatori tra le parti, grazie al quale fu raggiunto, il 5 settembre 2014, il primo Accordo di Minsk, in cui la Federazione Russa si poneva come garante. Il 19 settembre 2014 fu firmato un Memorandum sull’attuazione delle disposizioni del precedente Protocollo di Minsk, atti sottoscritti dal governo ucraino di Kiev e i rappresentanti delle autoproclamate Repubbliche popolari di Doneck e Lugansk. Nel febbraio del 2015, a causa dell’incapacità degli accordi di garantire un cessate il fuoco duraturo, venne sottoscritto il secondo accordo di Minsk, trasfuso poi nella Risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU n. 2202, adottata all’unanimità. I punti cardine di questo accordo prevedevano il cessate il fuoco da ambo le parti, il ritiro degli armamenti pesanti dalla linea di contatto, uno status speciale per il Donbass attraverso una riforma costituzionale, il ripristino delle relazioni economiche fra Donbass e Kiev (ossia la ripresa dei pagamenti di pensioni, retribuzioni, ed energia elettrica da parte di Kiev ai cittadini del Donbass), il disarmo delle formazioni paramilitari e il ritiro delle forze armate straniere.
In questi otto anni l’accordo non fu mai ottemperato da Kiev, che al contrario continuò la guerra contro i cittadini delle regioni autoproclamatesi indipendenti. La guerra provocò 1,750mila profughi di cui oltre 1 milione verso la Federazione Russa (dunque la casa del “nemico”), oggi saliti ad oltre 2 milioni e seicentomila; oltre 24mila vittime e 35mila i feriti; 200 bambini uccisi, centinaia feriti, invalidi e mutilati. Più di 4 milioni e mezzo di abitanti hanno subito delle forti ripercussioni a causa del conflitto, con 3 milioni e 400mila che hanno vissuto per otto anni del solo aiuto umanitario russo. Il 60% di costoro sono donne e bambini, il 40% anziani; 200mila persone hanno vissuto nella “zona grigia di contatto”, una delle zone più minate del mondo.
Anche le infrastrutture civili sono state sistematicamente distrutte: 25mila abitazioni civili sono state bombardate o gravemente danneggiate; oltre 100 strutture medico ospedaliere demolite; 600 scuole, asili, istituti d’istruzione e orfanotrofi non sono più agibili. A questo si è aggiunto il colpevole silenzio della stampa occidentale. La stessa stampa che dal 24 febbraio diffonde le notizie false e propagandistiche costruite a tavolino negli uffici d’oltreoceano.
Questo è quindi il tragico scenario ucraino alla fine del 2021, alla vigilia dell’Operazione militare speciale russa. Dopo aver per otto lunghi anni richiamato tutte le parti – sia i firmatari sia i garanti europei – al pieno rispetto degli Accordi di Minsk, la Russia a proposto agli Stati Uniti e alla NATO un accordo giuridicamente vincolante volto a garantire la sicurezza “di tutti” in Europa. Nonostante sia stata la NATO ad espandersi verso i confini russi a partire dal 1991, con totale spregio per le molteplici rassicurazioni fatte alla Russia. La NATO e gli Usa hanno respinto con sufficienza questa proposta.
Nelle settimane precedenti al 24 febbraio l’Ucraina ricevette da Stati Uniti, Gran Bretagna e altri paesi occidentali degli armamenti letali di ultima generazione, mentre rimanevano attivi (nonostante le reiterate richieste russe) gli oltre laboratori americani sulla ricerca di armi biologiche e batteriologiche (oltre 20) aperti in Ucraina a partire dal 2015. Inoltre, a metà febbraio il presidente Zelenskij ha dichiarato all’annuale conferenza di Monaco sulla sicurezza in Europa la capacità e la volontà ucraina di dotarsi di armi nucleari, vietate dagli accordi degli anni Novanta. L’Ucraina ha preparato poi, con l’aiuto occidentale, un piano di attacco militare contro il Donbass per l’8 marzo 2022. Operazione vanificata dall’intervento russo, ma che se fosse scattata avrebbe dato luogo a una strage, un genocidio di centinaia di migliaia di vittime civili nel più assoluto silenzio dell’Occidente, che si sarebbe girato dall’altra parte esattamente come ha fatto dal 2014.
È quindi interessante ricordare le parole pronunciate da Putin a Monaco nel 2007, ben 15 anni fa: “La NATO ha messo le sue forze in prima linea ai nostri confini. La NATO rappresenta una seria provocazione che riduce il livello di fiducia reciproca. E abbiamo il diritto di chiederci: contro chi è destinata questa espansione? E che fine hanno fatto le assicurazioni fatte dai nostri partner occidentali dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia? Oggi assistiamo a un incontenibile uso della forza – la forza militare – nelle relazioni internazionali, forza che sta facendo precipitare il mondo in un abisso di conflitti permanenti. Questo è estremamente pericoloso. Il risultato è che nessuno si sente al sicuro. Voglio sottolineare questo: nessuno si sente al sicuro!”
In questo senso i documenti ritrovati in Ucraina durante l’operazione militare speciale, resi noti dalla Russia nelle ultime settimane e confermati da Victoria Nuland “Fuck UE” (che nel 2014 distribuiva biscottini a Maidan) del Dipartimento di Stato americano, testimoniano le pericolose attività della NATO nell’ambito dello sviluppo di armi biologiche – vietate dalle convenzioni internazionali – fra le quali compaiono degli studi su alcune forme di aviaria di pipistrelli e uccelli migratori.
Infine, anche il quadro macroeconomico merita qualche cenno.
L’economia ucraina è stata e rimane tuttora sostenuta quasi unicamente dal “nemico” russo, attraverso le royalties del gas e l’interscambio fra i due paesi. Lo straordinario impegno americano in termini militari e politici avrebbe dunque come unico scopo la chiusura ermetica del mercato europeo alla Russia. La rottura delle relazioni culturali, umane, economiche fra Europa e Russia, insieme al desiderio di sostituirsi a Mosca come fornitore di gas, è l’obiettivo strategico degli Stati Uniti, che mantengono con la Russia dei rapporti economici sostanzialmente normali mentre l’Europa è quasi la sola al mondo ad applicare rigidamente le sanzioni contro Mosca che distruggono più se stessa che il nemico.
Le gravissime decisioni, che in alcuni casi possono tranquillamente essere definite violazione dei diritti umani, attuate sempre più da molti paesi dell’unione Europa nei confronti di cittadini russi residenti nella Federazione Russa o cittadini russi con doppia cittadinanza residenti in Europa, si avvicinano di molto al clima instaurato negli anni Trenta del secolo scorso dai regimi tedesco ed italiano nei confronti delle persone “diverse”.
In questo quadro, assai compromesso, le scelte dell’ultimo governo italiano appaiono di assoluta gravità. L’Italia e la Russia sono sempre state legate da un’amicizia storica che ha origine nei secoli scorsi. I rapporti tra Italia e Russia si sono sviluppati in ambito culturale, ma si sono consolidati in quello economico. Le relazioni sono state costanti e positive anche sul piano politico, pur nei diversi contesti geopolitici. Nel corso dei decenni passati le sorti dell’Italia e della Russia si sono sempre più intrecciate in una partnership privilegiata e spesso strategica, come dimostra l’Accordo di Partica di Mare del 2002, con cui l’Italia assunse un ruolo di assoluta preminenza come facilitatore del dialogo tra la NATO e la Russia Su queste fondamenta i due Paesi hanno nel tempo dimostrato una vicinanza che le drammatiche vicissitudini della storia hanno cementato. Alcuni esempi significativi degli aiuti vicendevoli sono l’assistenza fornita dall’Italia alla Russia durante la tragedia di Beslan, il supporto russo ai sopravvissuti alla catastrofe del terremoto di Messina, il salvataggio dei resti dell’epopea della “Tenda Rossa” della spedizione Nobile, o il sostegno russo a L’Aquila e Venezia in difficoltà. Tra le tante nazioni che hanno aiutato il nostro paese nei giorni più tragici dell’epidemia da Covid-19, la Russia è quella che si è spesa di più, in termini di uomini e mezzi.
Oggi un così ricco e proficuo rapporto è stato minato alle fondamenta con gravissime ripercussioni anche economiche. Ed unicamente ed esclusivamente per responsabilità italiana.
La guerra è il male assoluto. Ma ugualmente male assoluto è rappresentato oggi dall’Unione Europea, che per eseguire ordini d’oltreoceano ha rinunciato a un ruolo di mediatore (positivamente esplicato nel 2008 in occasione della crisi dell’Ossezia del Sud) e condannando alla rovina la propria economia e il suo futuro di soggetto politico autonomo nell’arena internazionale. La Russia, come tutti i paesi del mondo chiede sicurezza per se stessa e per gli altri. Dal 1991 è stata derisa, oltraggiata, vilipesa. Oggi ha la forza di imporre con le armi ciò che per oltre vent’anni ha chiesto con la diplomazia.
FONTE: https://www.lafionda.org/2022/10/10/ucraina-una-tragedia-annunciata/
Strategie in mutamento: come cambiano gli obiettivi internazionali ai giorni nostri
Negli ultimi giorni grandi mutamenti, sia nazionali che internazionali, stanno susseguendosi. In pochi hanno chiaro quali siano i piani delle diverse potenze mondiali, e non perché essi siano di difficile e complessa analisi ma semplicemente perché sono mutevoli e sempre più liquidi, facendo piombare l’intero globo in quello che a ragion veduta potremmo definire caos.
Il 26 settembre si verificano tre distinte esplosioni nelle profondità del Mar Baltico: impossibile che esse si siano verificate in modo casuale, ma tuttora – e probabilmente per sempre – è sconosciuto l’artefice di tale sabotaggio. Le esplosioni distruggono in tre punti distinti il gasdotto Nord Stream 1, in funzione da svariati anni, e il Nord Stream 2, infrastruttura ultimata appena pochi mesi fa e mai messa in funzione. Cosa sappiamo di questi gasdotti e dove ci portano gli indizi?
Il Nord Stream 1 è un’infrastruttura strategica europea per l’approvvigionamento di metano, specialmente per le regioni del Centro-Europa e in particolare per la Germania. Negli ultimi decenni l’intera Unione Europea ha investito molto nell’utilizzo di gas naturale come fonte di energia, vedendola come fonte fossile a basso impatto ambientale e ha fortemente voluto la realizzazione dei vari gasdotti che trasferiscono il gas dalle pianure della steppa russa fino a noi. Ma il Nord Stream – a differenza degli altri gasdotti che si sviluppano via terra – ha un grosso vantaggio per la Germania, molto più di quanto non lo abbiano gli altri paesi europei, in quanto attraversando soltanto mari internazionali (Mar Baltico) traferisce il gas direttamente dalla Russia, paese fornitore, alla Germania, primo acquirente, senza concedere alcun ricarico di prezzo e alcun diritto di dazio ad altro interlocutore, a differenza di tutti i gasdotti di interesse europeo che – attraversando innumerevoli paesi – sono fonte di guadagno per ognuno di essi.
Il Nord Stream 1 è stato finanziato e realizzato con denaro tedesco e russo nel corso di svariati anni, ed è stato utile a entrambi: ai primi per l’approvvigionamento di una importantissima materia prima energetica a basso costo, ai secondi come mezzo di trasporto fondamentale del gas, che tuttora rappresenta la principale fonte di finanziamento estero dell’intera loro economia, con un importo di circa 100 miliardi di euro l’anno. Il Nord Stream 2 è invece nient’altro che il raddoppio della linea di trasporto, infrastruttura anch’essa finanziata a metà da tedeschi e russi, che avrebbe raddoppiato dunque la capacità di acquisto di gas da parte tedesca e il raddoppio delle entrate monetarie per i russi; infrastruttura di fatto mai entrata in funzione in quanto inaugurata proprio all’alba della guerra russo-ucraina. Sorge spontaneo chiedersi quale potesse essere l’interesse russo di auto-castrarsi, compromettendo quasi definitivamente due delle più importanti linee di guadagno internazionale, quando sarebbe bastato chiudere semplicemente i rubinetti alla fonte.
Una “simpatica” coincidenza è l’inaugurazione del Baltic Pipe, un altro gasdotto che permette alla Polonia di acquistare gas dalla Norvegia bypassando sia Russia che Germania, avvenuta guarda caso appena il giorno dopo il sabotaggio dei Nord Stream. Sempre per non andare lontani, pochi giorni dopo le esplosioni, dopo la folle corsa dei prezzi del gas e l’insorgere del grandissimo rischio di deindustrializzazione della principale manifattura europea, il simpatico quanto amichevole ministro degli Esteri polacco, Zbigniew Rau, chiede verbalmente, annunciando quanto prima l’invio di una nota ufficiale, niente di meno che il risarcimento dei danni arrecati dalla Germania nazista al suo paese, quantificandoli in 1300 miliardi di euro, una cifra pari quasi alla metà dell’intero PIL tedesco. Se ciò non bastasse potremmo fare appello anche a un’altra breve nota, del tutto privata e magari senza fondamento, che perviene da Twitter, il nuovo megafono internazionale della politica. Essa non è da sottovalutare, in quanto proclamata dal predecessore dell’attuale ministro polacco, l’egregio signor Radoslav Sikorsk, attualmente europarlamentare, che immediatamente dopo aver appreso delle esplosioni cinguetta «thank you America», mostrando l’immagine dell’enorme fuga di gas del mar Baltico; post che si è affrettato a cancellare dopo poche ore e dopo aver destato non poco scalpore.
Potremmo supporre che alcuni equilibri intraeuropei stiano fortemente cambiando tra Germania e Polonia. Dopo gli ultimi decenni, in cui la manifattura polacca era diventata fonte di grande commercio e spesso delocalizzazioni a basso costo per l’industria tedesca, cosa che è stata di slancio per entrambe le economie, risorgono antichi e mai sopiti malumori tra i due paesi e le rispettive popolazioni. Se a seguito del crollo del muro di Berlino, la Polonia si era fortemente avvicinata alla Germania e così a tutta l’Unione Europea, vedendola come fonte di liberazione dal giogo sovietico, difficilmente i suoi cittadini avrebbero dimenticato secoli di soprusi, distruzioni, deportazioni e dominio tedesco e prima ancora prussiano ai loro danni, ed ecco che oggi in un momento di forte shock economico e internazionale battono cassa a gran voce.
Al termine della guida Merkel, la Germania di Olaf Scholz sembra aver perso il suo slancio di piena centralità all’interno dell’Unione Europea. A fare da contorno alla debolezza carismatica e politica del cancelliere ci sono gli ultimi accadimenti parlamentari; facciamo riferimento al rifiuto a larga maggioranza di proseguire nell’invio di armi all’Ucraina di Zelensky, in totale controtendenza a quella che è l’odierna direzione europea e al contestuale programma di riarmo delle forze armate tedesche, per cui sono stati stanziati 100 miliardi di euro per i prossimi anni. Se da un lato sembra che gli Stati Uniti d’America vedano l’Europa unita come un comodo singolo interlocutore sul piano commerciale, dall’altro pare che una Germania troppo forte sul piano economico, troppo centrale sul piano politico e conseguentemente troppo forte militarmente possa essergli d’intralcio sul piano strategico. Dunque una ipotetica collaborazione USA-Polonia, che al momento si presenta come un alleato fedele al confine con l’eterno nemico russo, non sembra del tutto campata in aria e potrebbe essere alla base del sabotaggio dei Nord Stream.
Cambiando versante ma restando quasi ai confini con l’Europa sorge la questione caucasica; infatti poche settimane fa è tornata ad accendersi l’eterna belligeranza tra Azerbaijan e Armenia. Dopo quasi due anni di cessate il fuoco, sopraggiunto grazie alla forte intercessione russa, il governo azero torna ad attaccare l’Armenia al proprio confine: probabilmente i primi, forti della loro alleanza di protezione a stelle e strisce, vedono aprirsi uno spiraglio nell’impossibilità della Russia di intervenire nei confronti dell’alleata Armenia, visto già l’enorme impegno che la vede impegnata sul fronte ucraino. Tutto ciò comunque sembra essere abbastanza lontano dai nostri radar e poco importa se nel Caucaso ci sono morti, feriti e cittadini deportati, in quanto ciò non desta interesse da parte della stampa libera concentrata esclusivamente sulla questione ucraina.
Proseguendo il nostro viaggio migliaia di chilometri più a Oriente, incontriamo altre due zone molto calde: la prima è quella cinese, che negli ultimi mesi ha fortemente fatto sentire il fiato sul collo a Taiwan, isola di cui nessuno si arrischia a mettere in discussione la “appartenenza territoriale all’unica Cina”, ma che di fatto tutti riconoscono, seppur non formalmente, intrattenendo con essa rapporti commerciali pluridecennali; la seconda è quella che coinvolge la Corea del Nord, la quale tutt’ora si riconosce come “l’unica Corea”e conseguentemente mira alla riconquista territoriale del Sud. Se tra Cina e Taiwan, nelle scorse settimane estive, ci sono state non poche provocazioni da parte della prima, che ha violato più e più volte lo spazio aereo taiwanese, svolgendo ingenti manovre militari di esercitazione sulla costa dirimpettaia e sulle acque che circondano l’isola, da parte degli americani pure non sono mancati guanti di sfida, dato che Nancy Pelosi, speaker della Camera dei Rappresentanti, si è recata in udienza pubblica col primo ministro taiwanese.
Solo un paio di giorni fa invece la Corea di Kim Jong-Un, apparentemente senza preavviso e immotivatamente, ha lanciato un missile balistico a lungo raggio che ha sorvolato tutto il territorio giapponese prima di andarsi a inabissare in una zona imprecisata dell’Oceano Pacifico. Il dittatore coreano non è nuovo a queste prove di forza, ma di certo stavolta ha messo una bella paura al nemico giurato nipponico, il quale dopo aver intercettato nei radar l’enorme razzo ha temuto il peggio e lanciato allarmi e coprifuoco in diverse città con milioni di abitanti.
Restano gli ultimi sviluppi delle nostre parti prima di andare a conclusione: anzitutto sono da non sottovalutare le proteste popolari contro l’invio di armi, contro la guerra e contro il carovita, che hanno coinvolto decine di migliaia di persone a Praga, in Serbia e in molti altri paesi dell’Est-Europa. Tralasciando la Serbia, che non ha mai nascosto il suo filo diretto con la Russia post-sovietica, e l’attuale alleanza militare ne è testimonianza, ci concentriamo sulla Repubblica Ceca.
I cechi non sono gente qualunque, specialmente quando si tratta di difendere il loro interesse nazionale e popolare. Appena trent’anni fa subirono una secessione dalla Cecoslovacchia e siamo certi che i loro nonni non hanno ancora dimenticato il risentimento nei confronti dei russi, specialmente quelli che videro sfilare davanti agli occhi i T-34 sovietici nel pieno centro di Praga, quando l’allora presidente Breznev li inviò per sedare qualsiasi volontà di distaccarsi dal Patto di Varsavia. Eppure, oggi la popolazione ceca sfila e protesta con forza contro le sanzioni imposte dai paesi occidentali e dall’Unione Europea nei confronti della Russia, perché hanno preso coscienza che queste non stanno destando i frutti sperati ma piuttosto cagionando enormi problemi alle nostre economie.
Per ultima, ma non di minore importanza, citiamo una notizia ormai di pubblico dominio pubblicata tramite indiscrezioni provenienti dall’intelligence statunitense, che garantisce – a seguito di indagini svolte – che l’attentato avvenuto a Mosca lo scorso agosto e che ha causato la morte della trentenne Daria Dugina, l’attivista nazionalista russa figlia del celebre filosofo e politologo Aleksander Dugin, è stato compiuto dal governo ucraino senza il benestare americano. Questa notizia, o meglio, il fatto che sia trapelata e pubblicata da tutti i quotidiani internazionali potrebbe essere interpretata forse come un chiaro messaggio da parte degli americani nei confronti del presidente ucraino Zelensky, il quale supponiamo stia prendendo un po’ troppa autonomia e alzando un po’ troppo i toni rispetto a quanto gradito dall’alleato atlantico, che finora gli ha regalato più di 15 miliardi di dollari di armamenti, nonché appoggio di intelligence e addestratori professionisti, e che di certo non lo vede che come una pedina da muovere a piacimento nello scacchiere internazionale.
D’altronde Zelensky proprio ieri si è lasciato andare, durante l’ennesima intervista in videoconferenza, pretendendo un attacco nucleare preventivo contro la Russia. Di positivo c’è che finalmente sta cadendogli la maschera di benevolo eroe e si sta mostrando come l’attore prezzolato assetato di potere che probabilmente è sempre stato; ma gli amici americani, con la loro voglia pluridecennale di esportare democrazia a stelle e strisce, non sono nuovi a vedersi rivoltare contro i leader – e usiamo un eufemismo per non chiamarli dittatori – che essi stessi hanno creato e posizionato, e stavolta vorrebbero correggere il tiro un po’ prima che sia troppo tardi.
Per ultime le considerazioni sulla realtà italiana. Il nostro paese ha smesso di avere qualsiasi strategia propria nell’ultimo decennio. Avendo completamente dimenticato il proprio ruolo di sesta potenza mondiale e di centro geografico del Mediterraneo, ha interrotto qualsiasi attività politica e di influenza sia a Est, verso i Balcani, che a Sud verso la Libia, relegandosi a semplice servo e forse anche avanguardia coloniale degli Stati Uniti.
Nulla si muove, né nei confronti dell’economia, che si appresta a subire l’ennesima recessione a causa di rapporti commerciali interrotti col partner russo, né sui costi di energia e materie prime. Siamo dentro al ciclone dell’inflazione esogena, quella proveniente da fattori esterni, che nuoce indistintamente a tutti, eppure ci si aspetta una soluzione europea che non verrà. I singoli individui al contempo hanno perso qualsiasi capacità di analisi perfino dei propri stessi interessi, concentrandosi così verso cause di secondo o forse di terz’ordine, come la gratuità della pillola abortiva e la paura del fascismo, non rendendosi conto che tra pochi giorni dovranno indebitarsi per pagare le bollette della luce, che l’inverno lo passeranno al freddo, e che probabilmente a fine mese gli mancherà il piatto di pasta in tavola.
Sollaziamoci allora con la proposta di matrimonio del figlio del dittatore dell’Uganda, nonché generale supremo dell’esercito, che ha chiesto in sposa Giorgia Meloni in cambio di ben 100 vacche.
Il mondo è sull’orlo di profondi mutamenti, gli equilibri che conosciamo sono sempre più instabili e fragili, ognuno degli attori sopra menzionati aspetta solo una scintilla fuori dal barile per compiere la propria mossa. Ciò significa che, nonostante il clima apparentemente disteso descritto dai nostri media della stampa libera, siamo seduti su una polveriera, e la guerra russo-ucraina potrebbe da un momento all’altro trasformarsi in un conflitto globale dove ognuno agirà nell’interesse del suo obiettivo strategico, indipendentemente dagli altri, ma tutti insieme concorreranno a distruggere l’intero mondo.
FONTE: https://www.lafionda.org/2022/10/11/strategie-in-mutamento-come-cambiano-gli-obiettivi-internazionali-ai-giorni-nostri/
POLITICA
Meloni. O dell’eterno ritorno dell’uguale
Nel nuovo governo Meloni “la presenza dei tecnici non sarà preponderante”, così Ignazio la Russa, tra i maggiorenti di Fratelli d’Italia, ha ritenuto nei giorni scorsi di sciogliere i dubbi crescenti della sua base, finendo in realtà per alimentarne di maggiori. Abbassato il sipario delle elezioni, sin dalle prime schermaglie per la formazione del nuovo governo, pare profilarsi un quadro di sostanziale continuità col precedente. Là dove il Paese col voto e, soprattutto, col non voto ha reclamato discontinuità politica. Da alcuni colloqui riservati, riportati dalle cronache giornalistiche, pare vi siano addirittura più ministri in predicato di restare, fra l’altro in dicasteri chiave. In perfetto stile gattopardesco, dove tutto deve apparentemente cambiare, perché nulla realmente cambi nel profondo.
Ma quello che inquieta di più è il rischio concretissimo di replicare, nell’ambito della nuova compagine di governo, una doppia struttura: coi posti chiave (economia, esteri, difesa) affidati a presunti tecnici che in realtà rispondono direttamente a poteri sovranazionali esterni ed i restanti dicasteri, pur numerosi ma di minor peso, buoni per la ricreazione dei partiti e dei loro rivoli interni. E qui si misurerebbe tutto lo scarto tra la grande energia politica contenuta nella pur scomposta espressione di voto degli italiani e la solita paludata risposta funzionale alle esigenze dei mercati, che ai piani alti si sta con solerzia apparecchiando.
L’esito elettorale non è stato un incidente di percorso. L’establishment, che anelava un simile sbocco, si è molto prodigato tramite il suo “clero regolare” di completamento per propiziarlo. Si è cercato in tutti i modi di annichilire la “questione sociale” (RdC in primis), bastonando sistematicamente chi quotidianamente vi alludeva, i 5s di Conte. Le altre forze più radicali del dissenso, invece, si è provveduto a strozzarle nella culla, estromettendole dal dibattito. Sul versante geopolitico l’altro soggetto da “attenzionare” doveva essere Matteo Salvini, per i suoi trascorsi pericolosi in terra di Russia: ma non è servito. Sarebbe stato come sparare sulla Croce Rossa, tale era ormai la parabola discendente del capo della Lega. Nel mentre si imbastivano queste trame, da parte del complesso mediatico-comunicativo, è intervenuto il voto che ha premiato proprio quelle formazioni che sembravano da sempre, come la Meloni, o a seguito di tardiva folgorazione, nel caso di Conte, le più lontane dall’establishment economico e finanziario. Di certo alternative, da sponde opposte, ai sostenitori della fantomatica “agenda Draghi”, sbandierata come un feticcio.
Quello stesso elettorato, però, non aveva fatto i conti con un dato di contesto strutturale che sta riaffiorando in tutta la sua drammaticità nel dopo voto. Ovvero, che la società italiana negli ultimi quarant’ anni si è geneticamente modificata, diventando da politica, quale era, integralmente dello spettacolo. Così quando si è votato il partito della Meloni, fra l’altro confidando in quello che appariva il più tradizionale di tutti, perché sin dal simbolo il più radicato nel suo passato, non si è considerato che oggi i politici sono una razza in via di estinzione. Al loro posto è venuta innanzi una schiatta di blogger, influencer e “selfisti compulsivi”. Questi nella suddivisione globalista del lavoro hanno il solo compito della raccolta del voto, che poi altri nelle alte sfere gestiranno nel superiore interesse dell’economia di mercato, che sempre di più sta diventando “economia di guerra”. Una sorta, dunque, di raccolta del consenso per procura. Allo scopo di perpetuare quelle politiche che vanno in direzione opposta alle necessità e ai bisogni dei ceti popolari. In una sorta di welfarismo rovesciato, per cui si socializzano le perdite e si privatizzano i profitti. Nonostante lo scenario di guerra che si approssima. All’orizzonte già si stagliano i contorni dell’ennesimo governo interamente tecnico presieduto dal Cottarelli di turno, per un altro giro di giostra.
Per scongiurare questa deriva occorrerebbe rilanciare un progetto schiettamente alternativo, che avesse il coraggio di rompere con i riti e le liturgie di un sistema che ormai non sta più in piedi, per le sue contraddizioni interne, e di cui l’Italia è l’emblema negativo, coi suoi più di dodici milioni di poveri (tra assoluti e relativi). Conte avrà la capacità di coagulare intorno a sé le forze pur caotiche del cambiamento, conferendo ad esse una direzione di marcia e una forte coscienza politica? Non lo sappiamo. Quello che è certo, come dimostrano i risultati del voto e l’astensione record, che non manca il propellente per avviarlo quel processo…
FONTE: https://www.lafionda.org/2022/10/10/meloni-o-delleterno-ritorno-delluguale/
SCIENZE TECNOLOGIE
SUI VACCINI VI HANNO SEMPRE MENTITO
La Verità 13 10 2022
LA RESA DEI CONTI
La Verità 13 10 2022
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