RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
14 DICEMBRE 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Nulla, nessuna forza può rompere una fragilità infinita.
GUIDO CERONETTI, Insetti senza frontiere, Adelphi, 2009, Pag. 39
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SOMMARIO
CHI CONTROLLA L’ITALIA CONTROLLA IL MEDITERRANEO
La dittatura dei cacasotto. La più feroce.
LE PERDITE DELLE AZIENDE? COPERTE SOLO AL 25% DAI RISTORI. Sarà un massacro
Esplosivo: il Russiagate un piano orchestrato dalla Clinton per screditare Trump. E Obama sapeva
SALUTATE IL VOSTRO NUOVO PADRONE: KLAUS REGLING, L’IRRESPONSABILE
La Madonna Nicopeia
IL TRAMONTO DEL MONDO BIANCO
Il “retroscena” sui soldi dall’Ue Spunta la cognata di Gentiloni
DEDICATO A UN CODARDO!
I nuovi poveri in fila per gli aiuti anche nei quartieri residenziali
Covid, paura e tecnologia…
Dostoevskij su Cavour
Adesso Galli semina la paura. La profezia: “Cosa c’è dopo il Covid”
Maledetti maledetti maledetti
CON DI MAIO SON TORNATI “LI SOPRANI DEL MONNO VECCHIO”
Il futuro di questa nostra Italia
Albania: 25enne viola coprifuoco, ucciso dalla polizia. Scontri a TiranaFocus sul prossimo target di Pechino: Taiwan sempre più minacciata dall’espansionismo cinese
I complessi di colpa dell’Occidente: il colonialismo non è causa di tutti i mali del mondo
La corrispondenza privata di Louis-Ferdinand Céline. A cura di Andrea Lombardi.
Le sciamane
Google blocca le pubblicità sui siti di news, se non gli piacciono
“Non lo capite? Hanno le tecnologie per farci fare tutto quello che vogliono”
Le frottole sul Mes smontate una ad una: approvando il Nuovo Trattato l’Italia si consegna, mani e piedi legati
Perché accettare la riforma del MES è come accettare il MES
Bagnai contro Pd: “il sangue dei risparmiatori italiani è sulle vostre mani”
Così è nata la “trappola” dell’euro
Twitter e Google sono le nuove Compagnie delle Indie
Presentazione di “Connessioni” l’ultimo romanzo della scrittrice Francesca Sifola
SUPERBONUS 110 % : l’approfondimento dei Commercialisti
La proprietà privata e il diritto naturale
Ora il “cashback” umilia pure l’italiano
L’ITALIA HA “TROPPI” DIPENDENTI PUBBLICI?
PACE FRA MAROCCO ED ISRAELE. USA E TRUMP MEDIATORI
Regeni, Castaldo: ‘serve reazione europea’. Macron conferisce Legion d’onore ad Al-Sisi
Gli Stati Uniti vogliono smontare Facebook
Biden si prepara a scaricare Conte?
La storia della ricercatrice che accusa Google di censura
La storia dei vaccini
Il “golpe Borghese” non poteva riuscire
Diario del genocidio armeno
EDITORIALE
CHI CONTROLLA L’ITALIA CONTROLLA IL MEDITERRANEO
Manlio Lo Presti – 14 dicembre 2020
Civili inermi del sud sterminati dalle truppe sabaude piemontesi, per l’unità di Italia!
Nel gruppo whatsapp di discussione “Notiziario Dettiescritti” un caro ed avveduto amico mi scrive questa interessante riflessione:
Il solo programma che si dovrebbe votare è fatto di due soli punti
- Abrogazione immediata di qualsiasi disposizione che minaccia, limita, danneggia la Libertà individuale, familiare, di impresa e la proprietà privata e la libera iniziativa economica
- Divieto totale e definitivo di promulgare nuove disposizioni di qualsiasi tipo e per qualunque fine
In 5 anni questo paese potrebbe essere un modello mondiale di Libertà e prosperità e tornare ad essere la potenza economica che è stata
Ho appena replicato al coltissimo amico:
Antonino, la tua proposta è del tutto condividibile ma di impervia realizzazione.
A tale proposito ti domando: dove li mettiamo gli americani, gli inglesi, il Vaticano, la Francia, la Germania che ci massacrano e ci sottomettono da secoli, soprattutto per la nostra sfortunata posizione geografica’?
Churchill sostenne il suo imperialismo ai danni del nostro Paese affermando che: CHI CONTROLLA L’ITALIA CONTROLLA IL MEDITERRANEO. Essendo questa tesi inoppugnabile, NON SE NE ESCE
TUTTO CIO PREMESSO
L’operazione di eliminazione del regno borbonico rientrava in questo teorema geopolitico perché i Borboni bloccavano i commerci inglesi e quindi andavano sterminati. La cosa riuscì con l’azione di ventimila mercenari ungheresi (1) pagati con i fondi della banca inglese HAMBRO (2) capeggiata da Bixio fratello di Nino Bixio.
Altro che i cosiddetti mille che non erano mille ma poco più di settecento di cui 400 erano agenti inglesi trasportati dalle navi dei Florio in antiche e strettissime relazioni commerciali con Londra.
Come sempre hanno fatto, gli inglesi si servirono di un certo Giuseppe Garibaldi ricercato da varie polizie sudamericane per abigeato reato per il quale gli furono mozzate le orecchie che costui coprì con la lunga capigliatura. In caso di fallimento dell’operazione Italia, sarebbe quindi stato facile rinnegare di aver sostenuto militarmente, economicamente, logisticamente le azioni di una persona di dubbia onorabilità come ricercato da mezzo continente americano!
Gli anglo-francesi hanno quindi montato una dinastia francofona di ex mercenari detti Savoia per farla sedere sul trono di un regno d’Italia che non è stato la risultante di una congiunzione di Stati VOLONTARIAMENTE DECISI AD UNIRSI (3). L’”espressione geografica” italiana (4) di una violenta, brutale e sanguinaria annessione del sud: morirono bruciati vivi dentro le case centinaia di migliaia di civili inermi, l’economia fu distrutta da incendi e ruberie degli integerrimi generali sabaudi alcuni dei quali tornarono nel poverissimo Piemonte con enormi ricchezze. Cavour riuscì a coprire le spese di guerra razziando decine di carri carichi di oro del ricchissimo tesoro borbonico. La distruzione del sud fu così crudele che da quel momento l’emigrazione non ebbe fine con milioni di poveri in America, Sudamerica, poi in Germania, in Francia, in Belgio ecc.
Non dimentichiamo che il ruolo effettivo di Giuseppe Mazzini non è stato ancora chiarito bene! Egli agiva dalla comoda postazione della Svizzera. Non sono stati chiariti BENE i suoi legami con Londra, notoriamente capitale mondiale della massoneria presente in tutti i posti di comando dell’impero anglosassone, dalla corona in giù! Diffusasi efficacemente e chirurgicamente in tutto il pianeta – sempre ai posti di comando, ovviamente.
Le ignobili ruberie furono presenti anche nelle file dei cosiddetti garibaldini, alcuni dei quali fecero sparire soldi che l’onestissimo Ippolito Nievo cercava di difendere morendo misteriosamente assassinato (5) per avere la insolente colpa di essere un corretto amministratore!
I rastrellamenti dei generali sabaudi continuarono per decenni successivi contro le popolazioni del sud sempre più impoverite. Tutto questo alla faccia delle famose inchieste agrarie di Stefano Jacini e delle inchieste parlamentari, tutte regolarmente inascoltate, come accade fino ad oggi vedendo che ancora l’Irpinia terremotata non è stata sistemata e passeranno decenni per il riassetto dell’Abbruzzo!
P.Q.M.
FACCIAMOLA FINITA CON LE OLEOGRAFIE “AD USUM DELPHINI”.
CORAGGIO!!! ABBIAMO BISOGNO DI VERITA’
LA STORIA DEL NOSTRO PAESE NON VA RINNEGATA NÉ OCCULTATA.
NON VANNO MALMENATI SPARATI E MINACCIATI GLI STORICI, COME ÈACCADUTO CON LO STORICO DE FELICE, IL FILOSOFO CAPIZZI (6) IL GIORNALISTA PANSA, IL GIORNALISTA MONTANELLI E TANTI ALTRI, PER MANO DEI PASDARAN DELLA MEMORIA DEVIATA DELL’ITALIA!!!
La storia del nostro martoriato Paese è da riscrivere totalmente,
- sia sul versante cosiddetto risorgimentale, per scoprire le immense colpe degli anglofrancesi,
- sia sul versante della storia post Seconda Guerra mondiale – sempre sotto spietata tutela degli angloamericani, le violenze carnali dei marocchini e i PROLUNGATI BOMBARDAMENTI DOPO LA RESA, PER UMILIARE E DISTRUGGERE PSICOLOGICAMENTE LE POPOLAZIONI ITALIANE, mentre i vertici responsabili se la sono cavata egregiamente senza un minimo processo a loro carico!
Non vado oltre perché queste vicende sono state magistralmente descritte prima e molto meglio di me dallo storico Gigi di Fiore e dal giornalista scrittore Pino Aprile, entrambi capofila di un movimento culturale che intende aprire i cassetti oscuri di un passato costruito a tavolino dal sinedrio monarchico francofono sabaudo (abusivo) prima e dai pretoriani della ondata post-togliattiana poi.
Voglio ottimisticamente sperare che questo storico e i suoi compagni di viaggio non vengano assassinati né malmenati come accadde agli storici e giornalisti coraggiosi sopra citati…
Ne riparleremo molto molto molto presto!!!
NOTE
1)http://www.galtiterno.it/comuni/pontelandolfo/public_html/pagine/brigan.html ; http://belsalento.altervista.org/da-garibaldi-ai-massoni-agli-inglesi-ai-savoia-viaggio-dal-1861-alla-mafia-di-oggi/
2)https://www.jstor.org/stable/20564441
4)famosa e cinica definizione dell’Italia da parte del Metternich: https://www.facebook.com/NuovoRisorgimentoPerLItalia/photos/e-metternich-disse-litalia-%C3%A8-unespressione-geograficametternich-e-la-famosa-fras/837417736352261/
6) https://bodosproject.blogspot.com/2017/06/quarantanni-fa-il-77-capitolo-xii.html
TEMI TRATTATI
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IN EVIDENZA
La dittatura dei cacasotto. La più feroce.
Ormai sono gli stessi complici della dittatura sanitaria ad averne paura. Matteo Renzi per bocca di uno dei suoi caudatari, Davide Faraone: “Abbiamo impedito i pieni poteri a Salvini non per consegnarli nelle mani di Conte, a cui comunque è stata data la più grande libertà di azione mai vista da un premier in democrazia”.
Stefano Feltri, il gelido fanatico che vuole la patrimoniale rossa di Fratoianni in nome del dottrinarismo dogmatico liberista (“Colpire le rendite”):
“Conte vuol costruirsi un vero governo nel governo, un comitato esecutivo che risponde al Ciae (Il Comitato interministeriale degli affari europei).
“Una capacità di assunzioni e di spesa assoluta, in deroga a tutto, all’obbligo di fare gare per usare aziende, a quello di fare concorsi per il personale, ai controlli della Corte dei conti e con il coinvolgimento di dirigenti delle società pubbliche controllate dal ministero del Tesoro.
“Il tutto, ovviamente, governato per Dpcm senza passare quindi dal parlamento e neppure dal controllo preventivo della presidenza della Repubblica, come capita per i decreti legge.
Hanno ragione i due complici spaventati dal mostro che hanno creato loro per “europeismo”:
Conte si sta prendendo i pieni poteri per gestire “i 209 miliardi del Recovery Fund” come vuole la UE di Von der Leyen. Perché solo a quelle condizioni i miliardi (non saranno 209…) vengono dati. I pieni poteri se li prende un triumvirato “di Giuseppe Conte, Stefano Patuanelli dei 5 Stelle e Roberto Gualtieri del Pd”. Che ovviamente non risponderà al parlamento, ma al Comitato Affari Europei fatto da ministri UE, che giudicheranno come il triumvirato spenderà (se arrivano) i famtomatici 209 miliardi.
Circola uno schema di come il triumvirato spenderà lo stanziamento in modo da piacere al Berlino. Non so se si vero o no, ma è stato diramato dalle tv, e quelle sono le priorità dettate dalla UE e dalWorld Economic Forum:
Gli italiani? Saranno a favore. Questo popolo, nella sua schiacciante maggioranza, non ha nemmeno la nozione delle istituzioni che Conte con Gualtieri stanno infrangendo. Neo-primitivo, vive di paura indotta dal terrorismo tv, e della fallace credenza che se obbliga tutti gli altri a portare la mascherina e obbedire alle restrizioni assurde decretate dalla dittatura, rendere obbligatorio il vaccino per tutti, tornerà alla vita di “prima”.
https://twitter.com/cris_cersei/status/1335945262293016580
In questa versione idiota della dittatura immaginata da Orwell, “è il pubblico stesso a divenire giudice e quindi Grande Fratello”, come dice genialmente Enrica Perucchietti (Fake News):
non c’è più bisogno di tappezzare ogni casa di manifesti con lo slogan “Il Grande Fratello vi guarda”, perché vi guardano i vicini e i passanti, vi spia l’80-90 per cento della popolazione: che danno la colpa a voi che non portate “correttamente” la mascherina se arriva la seconda, la terza ondata; il Grande Fratello Collettivo è dovunque attorno a voi, vi denuncia, vi segnala ai 70 mila agenti scatenati dalla Lamorgese… e non osate nemmeno pensare di rifiutare il vostro assenso al vaccino composto di non-si-sa-cosa che la Von der Leyen ha comprato a cifre colossali; sarà il pubblico stesso pretendere che siate vaccinati anche voi, per obbligo di legge, esigerà dal parlamento (esautorato in tutto il resto), che emani quella legge; legandovi se resistete, imprigionandovi; perché solo se tutti sono vaccinati,loro torneranno alla vita di prima”: discoteca, turismo, palestra, pizzeria.
Quanto questa speranza sia da allocchi, non ve lo dico io. Vedetelo dalla quantità di aziende che cominciano a produrre mascherine di lunga durata, da portare negli anni futuri.
A questo, se non si possiedono le tv, che mobilitano il Dittatore Collettivo Cacasotto, diventa non solo inutile, ma molto pericoloso dare informazioni su questo ed altri blog minoritari. Il Cacasotto Collettivo è il più feroce dei dittatori, refrattario, impermeabile, sordo ad ogni argomento e ragione. Ed ora (le tv lo sanno già: vedi sotto) “la prossima pandemia è imminente” ( quella del 30% di letalità preconizzata da Bill Gates?) – La paura dell’Idiota diverrà panico, e tutti i poteri a Conte! Ancor più poteri a Speranza, Patuanelli, Gualtieri! Fucilare i negazionisti!
“La prossima pandemia è imminente: l’Italia non è pronta” ▷ Ranucci svela la mail inedita del 2017
COME FINIRà?
“Non bisogna essere eccessivamente allarmati se, quando cominciamo a vaccinare, nel giro di un giorno o due dalla vaccinazione, moriranno alcuni o anche molti dei residenti nelle case di riposo…” . Dottoressa Kelly Moore, Direttore della Immunization Action Coalition …
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/la-dittatura-dei-cacasotto-la-piu-feroce/
LE PERDITE DELLE AZIENDE? COPERTE SOLO AL 25% DAI RISTORI. Sarà un massacro
Esplosivo: il Russiagate un piano orchestrato dalla Clinton per screditare Trump. E Obama sapeva
Federico Punzi di Federico Punzi, in Rubriche, Speciale ItalyGate, del 30 Set 2020, 00:35
Secondo nuovi documenti di intelligence declassificati, la storia della collusione Trump-Russia fu un piano orchestrato dalla Campagna Clinton, con l’approvazione di Hillary in persona, per screditare l’avversario e distrarre il pubblico dal suo Emailgate. I russi sapevano del piano della Clinton per accusare Trump di essere un uomo di Putin, e prima di aprire l’indagine sulla Campagna Trump le agenzie Usa sapevano che i russi sapevano. Anche il presidente Obama ne fu informato dal direttore della CIA Brennan, che ora parla con Durham e sembra intenzionato a scaricare tutti…
Sviluppi clamorosi sulle origini del Russiagate arrivano dalla lettera nella quale ieri il direttore della National Intelligence, John Ratcliffe, ha informato il presidente della Commissione Giustizia del Senato, Lindsey Graham, dei nuovi documenti di intelligence declassificati. Le agenzie di intelligence Usa hanno appreso a fine luglio 2016 da analisi dell’intelligence russa che il 26 luglio Hillary Clinton aveva approvato personalmente un piano per fabbricare la storia della collusione tra la Campagna Trump e la Russia, nel tentativo di danneggiare Donald Trump e distrarre il pubblico americano dal suo Emailgate. Una vera e propria bomba sganciata a poche ore dal primo dibattito presidenziale e dall’audizione in Commissione dell’ex direttore dell’FBI Comey, fissata per domani mattina.
Gli agenti erano consapevoli che le informazioni ottenute potevano essere false o esagerate, fatto sta che 1) l’allora capo della CIA Brennan informò personalmente il presidente Obama della questione (quindi deve averle ritenute per lo meno meritevoli della sua attenzione); 2) il caso fu rinviato all’FBI per un’indagine all’inizio di settembre, quindi molto prima delle elezioni e prima che l’FBI chiedesse e ottenesse i mandati FISA per sorvegliare la Campagna Trump; 3) la Campagna Clinton, tramite la Fusion GPS e il dossier Steele, stava effettivamente conducendo questa operazione e i russi ne erano al corrente.
Ma vediamo cosa scrive Ratcliffe nella lettera a Graham:
“Alla fine di luglio 2016, le agenzie di intelligence Usa hanno ottenuto informazioni su analisi dell’intelligence russa che sostenevano che la candidata alla presidenza degli Stati Uniti Hillary Clinton aveva approvato un piano di campagna elettorale per scatenare uno scandalo contro il candidato Donald Trump, collegandolo a Putin e all’hackeraggio del Comitato nazionale democratico da parte dei russi. L’IC non conosce l’accuratezza di questa affermazione, o la misura in cui l’analisi dell’intelligence russa possa riflettere un’esagerazione o una fabbricazione”.
“Secondo le sue note manoscritte, l’allora direttore della CIA John Brennan successivamente informò il presidente Obama e altri alti funzionari della sicurezza nazionale delle informazioni, inclusa la ‘presunta approvazione da parte di Hillary Clinton, il 26 luglio 2016, di una proposta di uno dei suoi consiglieri di politica estera, per denigrare Donald Trump scatenando uno scandalo che denunciasse interferenze da parte dei servizi di sicurezza russi”.
“Il 7 settembre 2016, i funzionari dell’intelligence Usa hanno trasmesso una raccomandazione di indagine al direttore dell’FBI James Comey e al vicedirettore del controspionaggio Peter Strzok in merito ‘all’approvazione da parte del candidato alla presidenza degli Stati Uniti Hillary Clinton di un piano riguardante il candidato alla presidenza Donald Trump e hacker russi che interferivano nelle elezioni Usa, come mezzo per distrarre il pubblico dal suo uso di un server di posta privato”.
Rivelazioni che, se confermate, dimostrerebbero che il direttore dell’FBI Comey e il direttore della CIA Brennan, il team dell’indagine Crossfire Hurricane, ma anche il presidente Obama e probabilmente il vice Biden, sapevano fin dall’inizio che il Russiagate, la presunta collusione Trump-Russia, poteva essere una bufala fabbricata dalla Campagna Clinton per danneggiare il suo avversario. E avvalorerebbero la tesi secondo cui il dossier Steele, su cui l’FBI si è basata per ottenere il mandato di sorveglianza nei confronti di Carter Page, sarebbe stato opera della disinformatja russa.
Ricapitolando, l’FBI sapeva dal 7 settembre 2016 che i russi erano a conoscenza di un piano della Clinton per screditare Trump accusandolo di collusione con la Russia. Sapeva che il dossier Steele era stato commissionato e pagato dalla Campagna Clinton e aveva solidi elementi per ritenere che fosse in buona parte frutto di disinformazione russa. Infatti, Steele e la società che lo aveva incaricato di cercare materiale compromettente su Trump, la Fusion GPS, all’epoca lavoravano per un oligarca russo sottoposto a sanzioni, Oleg Deripaska. Ma non solo: abbiamo appreso la scorsa settimana che la principale fonte di Steele, un ex ricercatore della Brookings Institution, think tank vicino ai Democratici, di nome Igor Danchenko, era ben noto all’FBI stessa perché sospettato per anni dall’agenzia di essere una spia russa e ritenuto una “potenziale minaccia alla sicurezza nazionale”. Eppure, pur sapendo tutto ciò, l’FBI ha usato il dossier Steele per sorvegliare la Campagna Trump.
FONTE: http://www.atlanticoquotidiano.it/rubriche/esplosivo-il-russiagate-un-piano-orchestrato-dalla-clinton-per-screditare-trump-e-obama-sapeva/
SALUTATE IL VOSTRO NUOVO PADRONE: KLAUS REGLING, L’IRRESPONSABILE
Cari Italiani, questo è il vostro nuovo ASSOLUTO ed IRRESPONSABILE Signore, Klaus Regling. Con l’approvazione della firma del MES da parte della Camera e, presumibilmente in questo momento, del Senato, l’equilibrio del Potere economico si sposta dagli Stati Nazionali e dalla Commissione al MES, parola di Giampaolo Gali.
Klaus Regling è ASSOLUTO, perchè, come i Re di epoca pre- costituzionale, “Sciolto dalla Legge”, al di sopra della legge stessa, ed è IRRESPONSABILE, nel senso che non risponde a nessuna autorità, essendo stabilito che è al di sopra di qualsiasi legislazione.
Dopo mille anni di cammino democratico, dai Liberi Comuni alla Magna Carta, alle monarchie costituzionali, al suffragio universale, al voto alle donne, siamo riusciti a fare un bel salto indietro al Sacro Romano impero con l’Imperatore, in questo caso “Direttore generale”; al di sopra di qualsiasi potere giurisdizionale, con la differenza che, allora, almeno esistevano dei potenziali contrappesi politici che ora sono scomparsi. Bentornati al medioevo, o cari Servi della Gleba.
Lui, Direttore generale del MES, deciderà, come scritto nel MES riformato, quando un debito pubblico è “Solvibile” oppure no, ed il semplice fatto che giudichi un debito non solvibile porterà, de facto al default del debito stesso con un taglio che, per l’Italia, sarà di circa 1500 miliairdi, con imponenti espropriazioni dei risparmi , fallimenti bancari etc.
Sono ottime mani quelle in cui, grazie al Movimento Cinque Stelle, mettiamo il nostro destino: Regling è noto per le parole, che lui contesta , ma che furono sentite da diversi testimoni, per cui “Non mi importa se i pensionati greci fanno la fame: l’importante è che pagano i debiti”.
Questo simpatico signore assomiglia sempre più ad un Brenno, con il suo Vae Victis, solo che di Furio Camillo in giro proprio non se ne vedono.
Io penso che, con lo spirito di sottomissione e di autolesionismo che percorre larghi strati della società italiana, a partire di dipendenti pubblici per passare a tutta la classe politica, all’alta classe imprenditoriale, ai mantenuti del RdC, forse un imperatore brutale ed assoluto è necessario, almeno per qualche decennio o secolo. Perchè l’importanza della Libertà e della Dignità si assaporano solo se si perdono. Certo conserveremo simulacri di democrazia, come la Camera, il Senato ed il Governo, ma saranno, appunto simulacri: del resto sotto Caracalla o Diocleziano il Senato esisteva a Roma, solo che non contava più nulla. Anzi il Senato romano esistette fino al 1144, scomparendo quando cercò di contare ancora qualcosa. Però saranno solo vuoti simboli: il potere vero, “Assoluto e Irresposnabile” sarà quello del Signor Regling, nuovo Sacro Romano Imperatore
FONTE: https://scenarieconomici.it/salutate-il-vostro-nuovo-padrone-klaus-regling-lirresponsabile/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
La Madonna Nicopeia
autore: GIANCARLO MOLANI – 23 febbraio 2014
Il 24 agosto del 1589 i procuratori de Supra fanno la seguente deliberazione: “[…] l’immagine della Beata e Gloriosa Vergine Maria, Madre di Cristo Nostro Signore, tenuta con minor devozione sopra la Sacrestia di detta Chiesa, sia posta nella Cappella di Sant’Isidoro sopra l’Altar di esso Santo, concedendosi così alla veneratione verso detta Santa Imagine per li continui miracoli et innumerevoli gratie che ogni giorno ottiene la Città nelle supplicationi a Dio che con essa si fano, così in dimandar aque nel tempo del secco, come anco la serenità dell’aere nel tempo delle pioggie. Nella qual Capella ogni sabbato sia celebrata una messa ad honor di essa Santissima Immagine […]”[1]. Si è voluto riportare questa ordinanza perché rispecchia la grande devozione, che durerà per moltissimo tempo da parte dei Veneziani, di cui godeva l’icona che, all’epoca, veniva conosciuta come Madonna delle Grazie proprio per il suo potere di esaudire le preghiere e le suppliche dei devoti.
Ma quello stesso dipinto, vari secoli prima, era stato venerato per ben altri motivi. Si tratta infatti di un’icona che era stata prima posseduta dagli imperatori bizantini che la portavano sempre in battaglia, come pegno di futura vittoria e quindi chiamata con il nome di derivazione greca Nicopeia che significa appunto vincitrice.
Questa icona è una di quelle che la tradizione vuole dipinte da San Luca, e che è ormai opinione diffusa tra gli studiosi sia pervenuta a Venezia da Costantinopoli dopo il sacco della città. Vi è meno sicurezza sul come la capitale lagunare ne sia venuta in possesso.
Quando il Marzuflo prende il potere, Costantinopoli si trova sotto assedio da parte dei crociati e avviene il fatto d’armi che porta alla perdita da parte dei Bizantini della preziosa immagine. Nel febbraio del 1204 Enrico, allora semplicemente fratello del conte di Fiandra Baldovino, avendo urgentemente bisogno di viveri e altre cose di prima necessità, decide di attaccare la ricca città di Filea per procurarseli. Questa città non dista più di dieci leghe da Costantinopoli per cui parte di notte, di nascosto, con circa trenta cavalieri e altrettanti soldati a cavallo[2], compie la sua missione e vi rimane un giorno. La voce di questa impresa giunge però all’imperatore bizantino che raduna ben quattromila armati e si appresta a sorprendere i crociati al loro ritorno. Oltre agli uomini egli porta con sé un’icona “che gli imperatori sono soliti portare con sé quando vanno in battaglia. Essi hanno una tale fiducia in quell’icona che sono sicuri che chiunque la porti in battaglia non possa essere sconfitto”[3]. Nonostante la grande disparità del numero dei combattenti, i Francesi hanno la meglio. I Bizantini scappano in maniera disordinata, addirittura il Marzuflo rischia di essere catturato e vengono lasciate in mano latina le insegne imperiali: il gonfalone, il cappello imperiale e l’icona “che era tutta d’oro e tutta incastonata di ricche pietre preziose ed era così bella e così ricca che mai cosa talmente bella e ricca fu vista”[4]. Naturalmente viene spontanea la considerazione che, in questo caso, questo prezioso dipinto non sia stato all’altezza della sua fama dal momento che nonostante la sua presenza l’imperatore ha perso la sua battaglia. Tuttavia la Madonna Nocopeia verrà immediatamente “assolta”: il vero colpevole sarà identificato nel Marzuflo, considerato da tutti un traditore e quindi non degno del suo titolo.
fig. 9. La Madonna Nicopeia
Non vi è alcun dubbio quindi che la preziosa icona sia finita in mani francesi, tutti i cronisti dell’epoca lo testimoniano e, in più vi è una lettera dell’imperatore Baldovino al papa Innocenzo III del maggio del 1204 che, raccontando i fatti, ne specifica la destinazione: “[…] fuga ignominiosa consulens sibi clipeum abicit, arma deponit et nostris vexillum imperiale dimittit nobilemque, quam sibi preferii faciebat, yconam, quam ordini Cistertiensi nostri dedicavere victores […]”[5]. L’icona viene quindi promessa ai Cistercensi, ma alla morte di Baldovino non è ancora stata loro consegnata.
Nelle trattative per l’elezione del nuovo imperatore latino entrano finalmente in gioco i Veneziani. Il nuovo podestà Marino Zeno per dare il suo consenso all’elezione di Enrico, fratello di Baldovino, pone la condizione che la preziosa icona passi nelle sue mani: “Ora i Veneziani non avrebbero permesso che messer Enrico divenisse imperatore se non avessero ottenuto quell’immagine, cosicché quell’immagine venne loro concessa”[6].
La cosa però non finisce qui. Il Patriarca di Costantinopoli, Tommaso Morosini, che aveva precedentemente ricevuto in custodia l’icona e l’aveva riposta in Santa Sofia, si rifiuta di consegnarla ai Veneziani affermando che non potevano vantare alcun diritto su di essa. Sicuro della sua posizione, dice loro, in maniera piuttosto ironica che potevano prenderla se fossero stati capaci di trovarla. Il podestà, con scarso senso dell’umorismo, ordina allora di sfondare una delle porte maggiori di Santa Sofia e, appreso da un greco che l’icona era stata chiusa sotto triplice serratura nel Sacrario, fa forzare anche la porta di questo. A questo punto arriva il Patriarca stesso che scomunica i Veneziani i quali, comunque, si impadroniscono dell’immagine sacra e la collocano nella loro chiesa del Pantocrator. Tutte le fasi di questo episodio sono riportate nella conferma di scomunica fatta da Innocenzo III in un breve del 15 gennaio 1207[7]. In un altro documento del 8 marzo del 1208, il Papa dà istruzioni al Patriarca di Grado su come comportarsi con i Veneziani provenienti da Costantinopoli e ancora scomunicati, segno evidente che l’icona non era più stata restituita.[8]
Bisogna tener presente che la chiesa del Pantocrator è annessa al monastero, che ha lo stesso nome, dove si era stabilito il podestà veneziano. E’ da ritenersi molto improbabile che l’icona sia stata inviata a Venezia in quegli anni in virtù del fatto che la colonia l’aveva molto cara e la sede podestarile sembrava essere il luogo più adatto per conservarla, soprattutto perché nessuno poteva prevedere che la durata della dominazione sarebbe stata così relativamente breve.
E’, al contrario, molto probabile che sia stata portata dai Veneziani in fuga quando, nel 1261, Michele Paleologo si rimpadronisce della capitale bizantina. Non vi è alcun dubbio che non avrebbero mai lasciato quell’immagine alla quale erano particolarmente legati e che rappresentava forse la cosa più preziosa in assoluto che avevano; oltretutto le sue piccole dimensioni non sarebbero state di alcun impedimento nella fuga anche se avvenuta in maniera piuttosto precipitosa.
Le icone rappresentano uno dei lasciti più importanti dell’arte di Bisanzio essendo i prodotti più caratteristici della società e della Chiesa ortodossa. L’origine stessa della parola è greca e deriva dal verbo “eoika” che significa “essere come”[9] E’ forse superfluo sottolineare il significato di questa particolare opera che racchiude clamorosamente in sé un insieme di valori come quello spirituale, essendo creduta opera diretta di San Luca, quello artistico, dovuto alla sua eccezionale qualità, e quello simbolico rappresentato dal passaggio ai Veneziani dell’emblema cui per secoli si sono affidati gli imperatori bizantini per la conservazione del loro Impero.
NOTE
[1] GALLO, op. cit. pag. 148.
[2] ROBERTO DI CLARI, op. cit. pag. 198.
[3] Idem, pag. 199.
[4] Ibidem.
[5] Registrum Innocentii, in RAVEGNANI, La caduta, op. cit. pag. 176.
[6] ROBERTO DI CLARI, op. cit. pag. 247.
[7] TAFEL THOMAS, op. cit. II, doc. CLXXVII, pag. 46 : “[…] ipsi vero, tam interdicti, quam anathematis sententia vilipesa, ostia sacrarii confregerunt, et asportantes exinde violenter iconam, eam in Ecclesia, quae Grasce Pantocraton digitur, collocarunt.[…].
[8] TAFEL THOMAS, op. cit. II, doc. CXC, pag. 69.
[9] MARIA VASSILAKI, pagg. 758-769, in Byzantine Studies, edited by ELISABETH JEFFREYS, JOHN HALDON, ROBIN CORMACK, Oxford University press, 2008, pag.
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ATTUALITÁ SOCIETÀ COSTUME
IL TRAMONTO DEL MONDO BIANCO
Riccardo Tennenini – 4 12 2020
La società multiculturale, tra “grande sostituzione” e Black Lives Matter
Le proteste scaturite dalla morte di George Floyd hanno assunto una portata planetaria. I saccheggi e le sommosse, accompagnati dalle roboanti campagne mediatiche e dall’abbattimento delle statue, hanno mostrato i limiti di un modello multiculturale che sembra essere proiettato verso il baratro della furia iconoclasta e delle perenni tensioni, nel solco della nuova narrazione funzionale al “pensiero unico” e ai meccanismi di mercato.
Se è vero che “le vite dei neri contano”, che cosa accade al “mondo bianco”? Quale futuro si prospetta – nella cosmopoli globale del terzo millennio – per gli europei e per i loro discendenti d’oltreoceano? Afflitto dal declino demografico e sottoposto ad una forte pressione dal Terzo Mondo, l’Occidente si avvia stancamente al tramonto della propria Civiltà originaria. Tra “white guilt”, inginocchiamenti di massa, rimozione forzata della storia e livellamento delle appartenenze, dunque, si impone una discriminazione strisciante e “politicamente corretta”.
Questo saggio affronta il tema della “società aperta” alla radice, riportando dati, fatti e testimonianze che non trovano spazio nei media mainstream: dalle “no go areas” nel cuore del Belgio alle celebri banlieue francesi; dal melting-pot inglese alla metamorfosi della società americana; dal nuovo caos svedese alla violenta trasformazione sudafricana; dalla tragedia rhodesiana all’Untergang tedesco, passando per l’evoluzione di Haiti e per l’attuale contesto italiano.
L’autore, inoltre, dedica particolare attenzione al fenomeno del cosiddetto “antirazzismo”, ripercorrendone le tappe e gli effetti: dalle prime battaglie per i diritti degli afroamericani alla genesi del “potere nero”, fino al più recente fenomeno dei “Black Lives Matter”, che trova aperto sostegno nei gangli vitali del sistema globale.
Un viaggio nel mondo che verrà, dove la disgregazione delle identità rischia di produrre inutili “guerre tra bande” e pericolose derive razziali.
INFO & ACQUISTI:
Il “retroscena” sui soldi dall’Ue Spunta la cognata di Gentiloni
Si fa il nome di Alessandra Dal Verme, già ex ispettore generale del Mef nonché cognata di Paolo Gentiloni, neo commissario europeo all’economia
A guidare la creazione della nuova task force incaricata di gestire i fondi del Recovery plan potrebbe essere Alessandra Dal Verme, già ex ispettore generale del Mef nonché cognata di Paolo Gentiloni.
Il curriculum della Dal Verme
In caso di fumata bianca, il suo compito sarà quello di collegare il governo, i famigerati sei manager del premier – ognuno dei quali chiamato a gestire un tema differente del piano – e le aziende partecipate. La struttura deve ancora prendere forma e nomi ufficiali non ve ne sono, se non qualche ipotesi a livello embrionale. Sappiamo soltanto, stando a quanto riportato dal quotidiano La Verità, che un ruolo fondamentale potrebbe essere ricoperto dalla signora Dal Verme.
Chi è costei? Al di là dell’aspetto familiare – ha infatti sposato il fratello dell’ex premier Paolo Gentiloni – Dal Verme è in possesso di un discreto curriculum e, sostiene chi la conosce, valide capacità tecniche. Sul sito del Mef, dove è presente la sua pagina personale, troviamo una breve lista delle sue competenze.
Si parte con la voce probabilmente più importante: “Attività normativa, di consulenza e di coordinamento in materia di interventi pubblici nei diversi settori dell’economia e di politiche degli investimenti pubblici, ai fini della valutazione dell’impatto sulle politiche finanziarie e di bilancio e relativo monitoraggio”. A seguire troviamo, tra gli altri punti, la capacità di saper valutare gli effetti, in ambito nazionale, “delle norme e delle politiche comunitarie ed extracomunitarie nelle materie di competenza”.
Un nodo spinoso
Ma Dal Verme è in grado anche di intrattenere “rapporti con gli organismi internazionali nelle materie di competenza”, valutare l’impatto economico-finanziario dei vari provvedimenti e della “normativa di attuazione delle materie di competenza”, oltre che raccordare “le altre strutture di livello dirigenziale generale ai fini dello svolgimento dell’attività prelegislativa di competenza del Dipartimento”.
Detto altrimenti, e a giudicare dal curriculum, la cognata di Gentiloni – l’attuale commissario europeo all’Economia – potrebbe presto rispolverare le sue capacità per metterle al servizio della task force pensata ad hoc per occuparsi dei 209 miliardi provenienti da Bruxelles. Ma creare dubbi e incertezze c’è un fatto non da poco.
Dal Verme, che dovrebbe occuparsi di un’ingente quantità di fondi, è parente del commissario europeo all’Economia. Una vicinanza, questa, che rischia di creare non pochi imbarazzi in seno al governo. Già, perché il fatto di assegnare la regia della suddetta struttura a una figura troppo vicina a Gentiloni, e quindi all’Ue, non lascia tutti pienamente soddisfatti. Vedremo, nei prossimi giorni, come finirà il testa a testa tra Conte, Italia Viva e pezzi del Pd.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/politica/task-force-recovery-plan-sar-creata-cognata-gentiloni-1908753.html
FONTE: https://www.facebook.com/1155219847/posts/10223121434161637/
BELPAESE DA SALVARE
I nuovi poveri in fila per gli aiuti anche nei quartieri residenziali
Lavoratori autonomi o in nero, anziani, ragazze madri: ecco l’identikit dei nuovi poveri assistiti dai volontari dell’Anps, l’Associazione Nazionale della Polizia di Stato, che offre supporto a sempre più famiglie in difficoltà a causa del lockdown
“Anche i ricchi piangono”, era il titolo di una vecchia telenovela. S.G., fiorista del quartiere Monteverde, forse non si poteva definire ricco, ma con il suo lavoro riusciva a pagare un affitto di mille euro al mese in un quartiere residenziale, e a fare la spesa per sua moglie e i suoi tre bambini.
Ora la crisi portata dalla pandemia ha aggredito anche lui, costringendolo a mettersi in fila per un pacco di pasta.
Si stima che l’emergenza sanitaria in corso abbia determinato un incremento del “rischio povertà” di 8 punti percentuali. È uno studio pubblicato nei giorni scorsi sul sito Lavoce.info a fotografare questa triste realtà, fatta di un numero sempre più alto di famiglie che a causa del lockdown imposto dall’epidemia di Covid-19 hanno visto cambiare la propria disponibilità economica. Si tratta, secondo un rapporto di Save the Children, del 77,6 per cento dei nuclei familiari italiani. Una situazione che, nel 63,9% dei casi, ha fatto ridurre anche“la spesa per l’acquisto di beni alimentari”.
La Capitale non fa eccezione. A testimoniarlo sono i volontari dell’Anps, l’Associazione Nazionale della Polizia di Stato, che in questi giorni di emergenza si sta occupando di consegnare beni di prima necessità alle persone più bisognose. “Siamo un’associazione di volontariato e protezione civile quindi siamo stati attivati dal Coc, il Centro Operativo Comunale, per il ‘pronto farmaco’, il servizio di consegna gratuita dei farmaci a domicilio – ci spiega al telefono Carmine De Santis, responsabile dei volontari del Gruppo Roma 1 – ma ad un certo punto abbiamo iniziato a ricevere anche telefonate da famiglie che non avevano più la possibilità economica per fare la spesa”.
“Sono quelle persone – continua – che magari prima si arrangiavano con qualche lavoretto in nero, e che ora si sono ritrovate senza nulla in tasca”. È questo l’identikit dei nuovi poveri, lavoratori irregolari, ma anche autonomi con la partita iva, che con la chiusura della propria attività hanno visto i propri introiti polverizzarsi. “Prima di rivolgermi all’Anps, ho chiesto anche ad un’altra associazione, ma mi hanno detto che avrebbero messo il mio nome in lista perché c’erano moltissime persone come me in fila per un pacco, e che quindi avrei dovuto aspettare”, ci racconta S., che grazie all’aiuto dei volontari dell’Anps è riuscito ad andare avanti diverse settimane.
“Ho fatto richiesta anche per i 600 ma non sono mai arrivati, forse – ipotizza– perché devo pagare le cartelle esattoriali”. “Eppure – si sfoga – io i contributi all’Inps li ho sempre versati”. “Riceviamo in media dalle 70 alle 80 chiamate al giorno, tra le più disperate c’è stata quella di una mamma di San Lorenzo che per tre giorni non ha potuto dare il latte ai suoi due bambini”, racconta Andrea, uno degli attivisti. “Faceva le pulizie in nero – continua – e ora non sa come mantenersi”.
VIDEO QUI: I pacchi alimentari anche nei quartieri bene: la crisi avanza nella Capitale
Negli ultimi giorni, però, le donazioni iniziano a scarseggiare. “Fino a metà aprile in magazzino c’erano trenta scatoloni, da questa settimana si sono dimezzati, ora ce ne sono un terzo – racconta Andrea – segno che anche chi dona adesso ha problemi”. Nonostante questo si va avanti, superando anche la paura del rischio contagio, a cui è esposto chi lavora in prima linea. “È l’orgoglio di aiutare chi è in difficoltà – assicura De Santis – che ci spinge a fare quello che facciamo, e ci aiuta a sconfiggere timori e preoccupazioni”.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/roma/aiuti-anche-nei-quartieri-residenziali-covid-aumentano-i-1857933.html
Covid, paura e tecnologia…
Ci fanno credere che è tutto casuale, ma davvero pensate che non ci sia qualcuno dietro ciò che accade?
Ecco questo è un brano che io vi leggo dal mio romanzo “Futura“, che sta scalando le classifiche. Io vi sto leggendo alcune teorie di economia eretica. Cioè, quando io vedo cosa succede con il coronavirus, con le borse, con l’uso della tecnologia e della paura, comincio a pensare che non sia tutto casuale come ci vogliono far credere.
Ora, la domanda che io mi pongo è questa: ma veramente pensiamo che non ci sia qualcuno che si ponga degli interrogativi circa la crescita della popolazione, circa l’uso delle risorse del pianeta e circa il modo di accaparrarsi tali risorse a livello planetario, gestendo le borse, occupando i centri di potere, usando la politica con finti teatrini democratici e mettendo persone che per salvare il culo in Parlamento venderebbero forse la propria madre.
Beh, io mi chiedo se tutto questo non sia uno scenario possibile.
FONTE: https://www.radioradio.it/2020/12/covid-paura-e-tecnologia-ci-fanno-credere-casuale-malvezzi-futura/
Dostoevskij su Cavour
Una analisi perfetta che fa capire i motivi per i quali oggi l’Italia non conta nulla sul piano internazionale ed è calpestata da tutti. Ad iniziare dalla Nato per finire alla Ue (Luigi Copertino).
*Dostoevskij attaccava Cavour: aveva unificato e distrutto l’Italia*
dal “Diario di uno scrittore” 1877
di Fëdor Dostoevskij
«(…) in tutto il secolo vi sono state intelligenze diplomatiche assai astute, intriganti, con la pretesa della più reale comprensione delle cose e intanto nessuno di essi ha visto mai niente oltre la punta del proprio naso e degli interessi correnti (tra l’altro i più superficiali ed erronei). (…) Prendete per esempio il conte di Cavour – non è un’intelligenza, non è un diplomatico? Io prendo come esempio lui perché ne è già riconosciuta la genialità ed è già morto.
Ma che cosa non ha fatto, guardate un po’; oh sì, ha raggiunto quel che voleva, ha riunito l’Italia e che ne è risultato: per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi quella papale.
I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano.
La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava questo significato mondiale.
Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata e esaurita (ma è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour?
È sorto un piccolo regno unito di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, cedendola al più logoro principio borghese – la trentesima ripetizione di questo principio dal tempo della prima rivoluzione francese – un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unità mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine.
Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!».
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/dostoevskij-su-cavour/
Adesso Galli semina la paura. La profezia: “Cosa c’è dopo il Covid”
Il primario infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano: “Arriverà una grande epidemia con germi multiresistenti”
Ancora non abbiamo finito con l’emergenza Covid e già qualcuno prospetta un’altra grande epidemia in arrivo.
A lanciare l’allarme è Massimo Galli, primario infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano, docente all’università Statale e past president di SIMIT, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, alla vigilia del XIX Congresso: “Arriverà un’altra grande epidemia, causata dai germi multiresistenti”. Questa temuta grande epidemia di cui parla l’infettivologo verrà probabilmente causata da germi multiresistenti e non arriverà in un futuro molto lontano. Potrebbe forse verificarsi a breve distanza da quella che stiamo vivendo ancora adesso. Ma è proprio il caso di parlarne ora?
Una lezione da ricordare
Come riportato da Agi, il virologo ha tenuto a sottolineare che l’epidemia da Covid ha dato una lezione a tutti, facendoci capire come sia importante avere una buona rete epidemiologica. Galli ha però precisato che negli ultimi anni l’infettivologia è andata incontro a tagli pesanti, in alcuni casi le unità complesse sono passate a semplici, in qualche struttura ospedaliera la figura dello specialista infettivologo è stata addirittura considerata inutile.
È “opportuno, quindi, che questa epidemia ci insegni ad andare nella direzione esattamente opposta. Oggi la sanità pubblica, purtroppo, vige in stato semicomatoso. Diventa indispensabile, soprattutto per gli anni a venire, la presenza di una funzione specialistica in ogni centro ospedaliero, non soltanto da un punto di vista strettamente clinico, ma anche dal punto di vista epidemiologico, affinché ci possa essere un possibile riscontro precoce di condizioni che diventano poi di interesse della prevenzione territoriale nel senso più vasto” ,ha spiegato Galli.
La terribile profezia: “Cosa c’è dopo il Covid”
Il noto infettivologo ha poi messo in guardia su una nuova epidemia causata da germi multi resistenti che potrebbe colpirci in un futuro neanche troppo lontano. “Mi auguro francamente che si possa fare tesoro da questa lezione in modo che ci possa trovare più pronti ad affrontare l’altra grande epidemia in arrivo: una pandemia neanche tanto strisciante. Parliamo di quella causata dai germi multiresistenti, che colpisce tanto gli ospedali quanto gli ambienti esterni, una delle principali minacce di questo decennio. E mi auguro, infine, che riusciremo ad essere più forti per fronteggiare malattie ‘storiche’, come quelle da HIV e HCV”.
Nonostante quindi il mondo intero si trovi ancora a fronteggiare la pandemia causata dal Covid, c’è adesso la possibilità che poco dopo arriverà un’altra emergenza. E non si tratta della tanto temuta terza ondata, sulla quale diversi virologi stanno scommettendo per dopo le vacanze di Natale. Benissimo mettere le mani avanti, ma si potrebbero anche evitare i toni allarmistici. Almeno ogni tanto.
FONTE: https://www.radioradio.it/2020/12/covid-paura-e-tecnologia-ci-fanno-credere-casuale-malvezzi-futura/
Maledetti maledetti maledetti
CON DI MAIO SON TORNATI “LI SOPRANI DEL MONNO VECCHIO”
Lo conoscete penso tutti, non romani compresi, il sonetto di Giuseppe Gioachino Belli dal titoli “Li Soprani del Monno Vecchio”:
C’era una vorta un Re cche ddar palazzo
mannò ffora a li popoli st’editto:
“Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo,
sori vassalli bbugiaroni, e zzitto.
Io fo ddritto lo storto e storto er ddritto:
pòzzo vénneve a ttutti a un tant’er mazzo:
Io, si vve fo impiccà nun ve strapazzo,
ché la vita e la robba Io ve l’affitto.
Chi abbita a sto monno senza er titolo
o dde Papa, o dde Re, o dd’Imperatore,
quello nun pò avé mmai vosce in capitolo!”.
Co st’editto annò er Boja per ccuriero,
interroganno tutti in zur tenore;
e arisposeno tutti: “È vvero, è vvero!”
Per il Re del “Monno vecchio”, del potere assoluto, la vita ed i beni sono “In affitto”, si possono togliere in qualsiasi momento, e il Belli, che viveva nella Roma Papalina, già parlava di “re del Monno Vecchio” come se il potere assoluto fosse una reliquia del passato.
Dopo averci “DOMATO ” tutti con il SI al MES, ed averi quindi sottomessi tutti a Regling, anche Di Maio pensa di essere un “Re del Monno Vecchio” e, da vero MONARCA ASSOLUTO, si rivolge così ai suoi SUDDITI.
Infatti è uscito con questa intelligente, pacata e giusta affermazione, degna di un Monarca Medievale
Si perchè LORO, Luigi DI Maio I, Re primo (e mi sa ultimo) CI CONCEDONO DI PASSARE IL NATALE IN FAMIGLIA. Proprio come li “Soprani del Monno Vecchio”, per i quali “Io so Io, e vvoi nun zete un cazzo”
Peccato che i Sovrani Assoluti, quelli veri ,concedeva veramente qualche regalia (cioè diritto derivante direttamente dal Re). Di Maio non concede proprio, NULLA, al limite fa un proposta (per cui a natale tutti chiusi in casa , in punizione).
Cioè, NULLA , LORO NON PERMETTONO NULLA.
Naturalmente i commenti sono stati amichevoli:
Oppure
Alla fine 4500 commenti contrari, 500 like,. UN SUCCESSO della comunicazione di Di Maio. Lui si vanta di essere l’unico che verrebbe rieletto: perchè NON FA UNA PROVA E SI DIMENTTE? così abbiamo la prova pratica.
Comunque , Caro di Maio, Il vero SOPRANO DEL MONNO ANTICO non sei tu, che al massimo sei un Valvassino. il vero signore è Regling e tu lo hai incoronato.
FONTE: https://scenarieconomici.it/con-di-maio-son-tornati-li-soprani-del-monno-vecchio/
Il futuro di questa nostra Italia
Con l’approvazione (e implicita accettazione) delle modifiche al MES il danno è stato fatto. Temiamo che sia irreparabile. Ora ci troviamo nelle mani degli speculatori finanziari, di giacobini e di massoni che trascineranno nel fango questa nostra bella Italia.
Viene in mente l’attacco delle “Ultime Lettere di Jacopo Ortis” di Ugo Foscolo.
Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia.
IGNORANZA O PERFIDIA?
La convinzione di chi scrive è che il tutto sia addebitabile per un 80% a ignoranza e per un 20% a un misto di perfidia e di corruzione, grazie alle macchinazioni non disinteressate dei pronipoti di Fabrizio Maramaldo. Di questi ultimi non voglio parlare. Ma dell’ottanta per cento, sì, questi sono italiani recuperabili che potranno aiutarci a costruire un paese più giusto e poi risalire la china. Dobbiamo solo farli ragionare.
Dopo 40 anni, passati a Hong Kong e rientrato in Italia, ho deciso di rilevare una piccola casa editrice e pubblicare alcuni libri che sono davvero controcorrente. Alla Gingko Edizioni di Verona, dopo due anni di lavoro, il bilancio economico è ancora fortemente in rosso, ma non demordiamo, sappiamo che, alla fine, anche se non potremo vincere, potremo almeno mitigare una parte delle storture dell’attuale sistema economico, basato sull’inganno.
Ecco qui alcuni dei libri che abbiamo pubblicato e che riteniamo degni di lettura e di studio.
Prima di tutto “L’Economia Spiegata Facile” di Costantino Rover, un gran bel libro, anche dal punto di vista grafico, che spiega con parole semplici dei concetti economici che vengono fatti passare per complessi, senza esserlo.
FONTE: https://scenarieconomici.it/il-futuro-di-questa-nostra-italia/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Albania: 25enne viola coprifuoco, ucciso dalla polizia. Scontri a Tirana
TIRANA 10, DIC – Il ministro dell’Interno albanese, Sander Lleshaj, ha rassegnato le dimissioni a seguito delle proteste provocate dall’uccisione da parte di una pattuglia di polizia, a Tirana l’8 dicembre, di un giovane che aveva violato il coprifuoco notturno in vigore per combattere la pandemia di Covid. Lo ha annunciato questa sera il premier Edi Rama. Ma proprio mentre il primo ministro parlava alla nazione, a Tirana vi è stata una nuova manifestazione violenta di centinaia di giovani che si sono scontrati con le forze speciali della polizia.
Il giovane ucciso, in una zona periferica della capitale, si chiamava Klodian Rreshja e aveva 25 anni. “Sono fiero dell’alto senso di responsabilità civile dimostrato dal ministro, iI quale non è né direttamente né indirettamente colpevole di questo episodio tragico”, ha detto Rama rivolgendosi ai cittadini.
In serata, centinaia di giovani hanno indetto una nuova protesta, sfociata in atti di vandalismo. Riuniti inizialmente di fronte alla sede del ministero dell’Interno, nel giro di pochi minuti sono partiti gli scontri con la polizia, presa di mira da una fitta sassaiola. Gli agenti hanno risposto con i lacrimogeni. I manifestanti si sono allora divisi in piccoli gruppi, dando l’assalto a numerosi edifici statali che si trovano sul viale principale della capitale, rompendo vetri e dando fuoco ai cassonetti. Il centro di Tirana si è così trasformato in un campo di battaglia e la polizia è intervenuta anche con gli idranti.
Nelle proteste di ieri almeno 10 agenti sono stati feriti, uno dei quali, in gravi condizioni, rischia di perdere un occhio ed è stato sottoposto ad un intervento chirurgico. Al momento, non si ha ancora un bilancio degli scontri di questa sera. (ANSA).
[FLASH] : Des tensions ont lieu pour la deuxième nuit en #Albanie, à #Tirana, pour protester contre la mort d’un jeune homme de 25 ans tué par la police après avoir enfreint le couvre-feu. Le ministre de l’Intérieur a démissionné dans la journée.pic.twitter.com/tE5zOZ0fG8
— La Plume Libre (@LPLdirect) December 10, 2020
FONTE: https://www.imolaoggi.it/2020/12/10/albania-25enne-viola-coprifuoco-ucciso-dalla-polizia-scontri-a-tirama/
Focus sul prossimo target di Pechino: Taiwan sempre più minacciata dall’espansionismo cinese
Se vi capita di andare a Pechino è consigliabile visitare gli hutong, vicoli della città vecchia sfuggiti al delirio urbanistico che il Partito comunista praticò negli anni successivi alla conquista del potere. Ben poco è sopravvissuto all’ansia di demolizione che ha in pratica stravolto la struttura della capitale cinese, ora formata da una serie concentrica di anelli in cui i grattacieli spadroneggiano indisturbati.
In questi vicoli, conservatisi più o meno intatti, è ancora possibile vedere la Pechino di una volta. Gli edifici sono spesso fatiscenti, ma in molti casi cooperative di giovani li hanno restaurati facendo risorgere le antiche attività artigianali, affiancandole con la vendita di souvenir per incrementare i guadagni.
Frequenti sono i reperti originali dell’epoca maoista che i turisti acquistano volentieri considerati i prezzi bassi. Ma altrettanto comuni sono le riproduzioni fedeli di oggetti un tempo d’uso quotidiano. Tra questi, oltre ai manifesti di propaganda, si trovano confezioni di fiammiferi in cui soldati e marinai inneggiano – in inglese – alla riconquista di Taiwan, l’isola diventata nel 1949 rifugio dei nazionalisti di Chiang Kai-shek dopo la loro sconfitta da parte dei comunisti di Mao.
Taiwan – o Formosa, come un tempo si diceva – è riuscita a mantenere l’indipendenza per tutti questi anni grazie allo scudo americano, anche se la realpolitik delle potenze occidentali ha poi condotto al suo isolamento diplomatico. L’isola “ribelle”, come tuttora viene definita nella Repubblica Popolare, ha dapprima perduto il suo seggio all’Onu a favore della Cina continentale, e poi ha dovuto chiudere gran parte delle sue rappresentanze diplomatiche all’estero diventando una sorta di “Paese fantasma”, che esiste ma non è riconosciuto ufficialmente negli organismi internazionali come, per esempio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Questo non ha impedito una crescita impetuosa della sua economia in larga parte basata sulle esportazioni. Per quanto ignorata sul piano diplomatico, Taiwan è insomma diventata una delle celebri “tigri asiatiche” il cui esempio più noto è la Corea del Sud. Naturalmente la sproporzione tra le due Cine è enorme: appena 23 milioni di abitanti a fronte del miliardo e 300 milioni della Repubblica Popolare. E la distanza geografica è minima, poiché soltanto 120 km di mare separano le due entità.
Nei decenni passati la Cina Popolare ha esercitato una forte pressione militare sull’isola senza mai nascondere il proposito di annetterla al proprio territorio metropolitano. Solo lo scudo fornito dagli Usa ha impedito che ciò avvenisse, e Taiwan è un Paese fortemente occidentalizzato. Tuttavia il governo di Pechino ha da tempo cambiato tattica. Senza rinunciare alla minaccia militare, ha invece puntato su collaborazione economica e accordi commerciali trovando nell’isola interlocutori interessati.
Con il declino dei vecchi eredi del Kuomintang, il partito nazionalista che condusse (perdendola) la guerra civile con i comunisti, l’ultimo presidente filocinese Ma Ying-jeou inaugurò una politica di stretti rapporti economici con gli ex nemici dicendosi pronto a sottoscrivere un trattato di collaborazione con la Repubblica Popolare. Senza però fare i conti con il movimento studentesco che non intende far diventare il Paese un satellite cinese; rischio piuttosto concreto considerando la strapotere economico e finanziario del colosso asiatico.
Ricorrendo allo slogan “impedire la svendita alla Cina”, i giovani occuparono il Parlamento di Taipei per nulla disposti ad accettare compromessi. Come nel caso di Hong Kong, la popolazione è restia all’integrazione più o meno mascherata, desiderando mantenere tutti gli organi della democrazia rappresentativa. Come sappiamo, la leader del Partito Democratico Progressista anti-cinese, la sessantunenne Tsai Ing-wen, ha in seguito ottenuto a Taiwan una vittoria davvero schiacciante, 60 per cento dei voti rispetto al 30 del suo avversario Ma Ying-jeou. L’uomo, per intenderci, che due anni orsono aveva incontrato a Singapore il presidente cinese Xi Jinping stringendogli calorosamente la mano. Senza dubbio quella stretta di mano gli è costata la disastrosa batosta elettorale, dimostrando che la stragrande maggioranza dei taiwanesi vuole mantenere le distanze dalla RPC. Naturalmente per quanto riguarda l’ex colonia britannica è tutto più difficile, vista la contiguità territoriale e la fine della presenza inglese. Ma Taiwan è in fondo separata e può contare su alleati esterni, anche se è difficile capire fino a che punto essi intendano esporsi per continuare a tutelarla.
Taiwan, pur essendo forte economicamente, dipende in modo totale, per quanto riguarda la sua sicurezza, dallo scudo americano. In tempi ormai lontani gli Usa consentirono (a malincuore) che il seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell’Onu venisse tolto a Taipei e attribuito a Pechino, chiarendo però che l’impegno americano a difendere l’isola in qualsiasi circostanza restava immutato. E così è stato, almeno finora. Si sono verificati scontri armati nel sottile stretto che divide i due Paesi, ma la RPC non ha mai superato la soglia critica limitandosi a proclamare con costanza la necessità della riunificazione.
Al di là della cronaca corrente è comunque opportuno porre una domanda di fondo: è proprio vero che l’isola fa parte della Cina a tutti gli effetti? A prima vista parrebbe di sì, ma la realtà è più complessa di quanto sembra. Già, perché la popolazione autoctona non è affatto cinese. Gli “aborigeni” di Taiwan, ancora presenti per quanto in numero ridotto, parlano una lingua del gruppo austronesiano, e ciò significa che sono imparentati con malesi, filippini e indonesiani. La grande colonizzazione cinese avvenne soltanto nel XVII secolo. Mette pure conto notare che la cultura e la lingua autoctone, represse per secoli, vengono ora rivalutate dal governo di Taipei proprio in funzione anti-cinese.
Il quadro è, insomma, piuttosto complicato. Pare ovvio pensare che i leader di Pechino non si fermeranno certo di fronte a considerazioni di questo tipo. Continueranno a coltivare il progetto della “Grande Cina” alla quale, a loro avviso, appartiene anche il Tibet. E neppure Hanoi dorme sonni tranquilli, giacché il Vietnam è stato per molto tempo la provincia meridionale dell’Impero.
Non si possono però ignorare gli ultimi – e clamorosi – sviluppi. La Repubblica Popolare Cinese ha infatti subito approfittato del caos istituzionale verificatosi negli Stati Uniti dopo le ultime elezioni presidenziali per rafforzare le proprie posizioni nell’area del Pacifico. E lo ha fatto con una mossa che riguarda in primo luogo gli scambi commerciali, ma destinata inevitabilmente a riverberarsi anche in ambito geopolitico.
Pechino è infatti il perno e la locomotiva di un importante accordo di libero scambio che unisce – oltre alla stessa Repubblica Popolare – ben 14 nazioni asiatiche, le quali hanno concordato di abbattere i dazi per favorire l’import-export tra loro eliminando molti degli ostacoli che ora frenano gli scambi commerciali. Il trattato si chiama Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP).
Di grande rilievo il fatto che il premier cinese, Li Keqiang, abbia a tale proposito esaltato, da un lato, il multilateralismo e, dall’altro, il libero mercato. Le sue parole impressionano perché sono state pronunciate dalla seconda carica di un Paese che continua a definirsi ufficialmente comunista, e che impone ancora il marxismo-leninismo come unica filosofia di Stato.
Si tratta del più grande accordo di libero scambio che sia mai stato firmato. Basti dire che coinvolge 2,2 miliardi di persone e circa un terzo del Pil mondiale. Copre, oltre al territorio cinese, l’intero Sud-Est asiatico e quasi tutto l’Oceano Pacifico. Verranno abbattuti i dazi rendendo le esportazioni verso la Cina e le importazioni dei suoi prodotti molto più facili e convenienti. La sorpresa, tuttavia, è ancor più grande se scorriamo la lista dei Paesi che hanno firmato, giacché parecchi di essi sono alleati “storici” degli Stati Uniti.
Non desta sensazione trovare tra i firmatari Cambogia, Laos e Myanmar, nazioni entrate ormai da tempo nell’orbita cinese grazie al fatto che Pechino ha destinato ad esse enormi investimenti economici e infrastrutturali, legandole di fatto al suo carro. E neppure sorprende trovarvi Paesi di scarso peso come Brunei o che, comunque, con il Dragone intrattenevano già relazioni cordiali, come Indonesia e Malesia.
Il dato rilevante, e gravido di conseguenze, è leggere che hanno aderito pure nazioni dichiaratamente filo-occidentali e che, un tempo, dell’anti-comunismo facevano la loro bandiera. Parliamo in primo luogo del Giappone, grande potenza regionale che, oltre a mantenere sul proprio territorio un forte contingente di truppe Usa, con la Cina ha rapporti tesi a causa delle dispute su alcuni arcipelaghi.
Forse ancora più eclatante è l’adesione della Corea del Sud, che si è sempre giovata dello scudo americano per parare le minacce provenienti dal Nord Corea dominato dalla dinastia Kim. Identica la situazione per altri alleati “di ferro” degli americani come Thailandia, Singapore e Filippine, anch’essi firmatari dell’accordo.
E che dire del Vietnam, che ha tra l’altro ospitato la videoconferenza in cui l’accordo è stato siglato? In questo caso non esistono grandi differenze ideologiche trattandosi in entrambi i casi di regimi comunisti a partito unico. Eppure sappiamo che anche il Vietnam ha, con la Cina, aspri contenziosi territoriali in corso. Tra cinesi e vietnamiti si sono susseguiti negli ultimi anni scontri navali anche violenti con numerose vittime. Hanoi, in sostanza, accusa Pechino di minare la sua integrità territoriale, ma ciò non ha affatto impedito agli eredi di Ho Chi Minh di firmare il trattato.
Dulcis in fundo, ci sono pure Australia e Nuova Zelanda, da sempre considerati “bastioni occidentali” nel Pacifico. Questi due Paesi, e soprattutto l’Australia, hanno ingaggiato con Pechino una dura battaglia riguardante la mancanza di democrazia e lo scarso – o meglio: inesistente – rispetto dei diritti umani da parte dei cinesi. In primo luogo a Hong Kong, ma anche nello Xinjiang popolato dagli uiguri musulmani e nel Tibet. Pure i due ex Dominion britannici, comunque, hanno aderito al trattato RCEP.
Un accordo di enorme portata, indubbiamente, che consente alla Repubblica Popolare di acquisire una posizione dominante in Estremo Oriente, con l’intento di rimpiazzare gli Usa ancora frenati dalla succitata crisi istituzionale susseguente alle ultime elezioni presidenziali. E l’adesione dei principali partner commerciali e militari asiatici degli Stati Uniti dovrebbe far suonare più di un campanello di allarme a Washington.
Ancora una volta, dunque, ha vinto il tipico mercantilismo cinese alla luce del tradizionale slogan business is business, e contenziosi territoriali, diritti umani e scontri armati passano in secondo piano. La Repubblica Popolare, grazie alla sua forza economica, riesce a legare al suo carro amici ed avversari.
Inutile dire che la presenza di Taiwan nell’accordo non c’è, com’era del resto prevedibile visto che la RPC considera l’isola di sua proprietà. La nuova amministrazione Usa dovrà ora affrontare una Cina apparentemente in crescita economica e decisa ad estendere ovunque i suoi tentacoli commerciali. Si attende di vedere se, dopo la firma dell’accordo, Pechino adotterà con i nuovi partner una politica meno aggressiva e più conciliante. È possibile che accada per non mettere subito in crisi l’importante accordo appena firmato, ma è pure chiaro che ora la piccola Taiwan corre pericoli ancor più seri di quelli affrontati in passato.
FONTE: http://www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/focus-sul-prossimo-target-di-pechino-taiwan-sempre-piu-minacciata-dallespansionismo-cinese/
CULTURA
I complessi di colpa dell’Occidente: il colonialismo non è causa di tutti i mali del mondo
Da molto tempo si assiste in Occidente al tentativo, da parte di ambienti di sinistra tanto laici quanto cattolici, di indicare il colonialismo come causa primaria – se non unica – di tutti i mali che affliggono il mondo contemporaneo. I complessi di colpa sono cresciuti a dismisura in Europa e, anche se per motivi parzialmente diversi, negli Stati Uniti.
Una certa vulgata, diffusa in molti circoli intellettuali ed accademici, punta a convincere gli studenti, e in genere le nuove generazioni, che i Paesi colonizzati erano, prima dello sbarco degli europei, un grande Eden pacifico e tranquillo, i cui abitanti conducevano una vita felice e spensierata, basata sull’eguaglianza e la condivisione pacifica delle risorse.
Naturalmente il mito del “buon selvaggio”, propagandato soprattutto da Rousseau, ha svolto un ruolo fondamentale in questo processo. Da una parte i “buoni”, vale a dire i popoli colonizzati, e dall’altra i “cattivi”, cioè noi che occupando i loro territori abbiamo causato la rottura di un equilibrio pressoché perfetto che Dio (o la Natura) avevano creato.
Esempio principale è ovviamente l’Africa, che secondo questa lettura della storia sarebbe stato un continente privo di problemi, poi diventato povero e degradato proprio a causa del colonialismo e dello schiavismo.
Eppure, è la storia stessa a dirci che il succitato Eden non è mai esistito. Africa e America erano sede di conflitti permanenti e di lotte sanguinose tra popoli diversi anche quando, sul loro suolo, degli europei non v’era traccia.
I conflitti tribali e le pulizie etniche, come quelli attualmente in corso nell’Etiopia del premier Abiy Ahmed Ali, l’anno scorso purtroppo insignito del Premio Nobel per la Pace, si verificavano anche in epoca pre-coloniale, come del resto gli storici africani ammettono.
Risulta patetico il tentativo di incolpare il colonialismo dello stato di guerra permanente che si verifica nell’Africa odierna, giacché l’odio tribale ed etnico è pure esistito anche in quel contesto, come in ogni altra parte del mondo, del resto.
E che dire dell’America Latina? Neppure là, prima dell’arrivo di spagnoli e portoghesi, esisteva il “buon selvaggio” esaltato da Rousseau. In realtà c’erano dei grandi imperi come quello Inca o Azteco, nei quali la stragrande maggioranza della popolazione veniva schiavizzata da élite guerriere, che persero il conflitto con gli europei soltanto a causa del loro potenziale bellico più antiquato.
Neppure nell’America del Nord c’erano i “buoni selvaggi”. Le tribù si combattevano con ferocia inaudita e quelle sconfitte erano spesso destinate all’annientamento totale. Una nota descrizione letteraria di fatti di questo tipo è stata fornita da James Fenimore Cooper nel suo capolavoro “L’ultimo dei Mohicani”.
Tornando all’Africa, si tende a dimenticare che lo schiavismo fu introdotto, e praticato su larga scala, dagli arabi ben prima che dagli europei. Per secoli la tratta degli schiavi neri fu appannaggio pressoché esclusivo dei commercianti arabi, per l’appunto. Gli europei hanno chiesto scusa per tale fenomeno imperdonabile, ma non risulta affatto che qualche nazione araba si sia scusata.
Il fardello della colpa, insomma, ricade totalmente sulle spalle degli occidentali. Si rammenti, a tale proposito, che il colonialismo è stato praticato in passato (e pure ora, in alcuni casi) dagli imperi cinese, russo e ottomano. Lungi dallo scusarsi, i cinesi continuano a colonizzare territori non loro, e Erdogan, pure lui lontanissimo da alcun tipo di scusa, progetta un revival dell’impero ottomano.
I complessi di colpa da cui l’Occidente è afflitto stanno generando una curiosa situazione. Per espiare i nostri peccati coloniali dovremmo accogliere senza alcuna limitazione immigrati non europei che, una volta giunti, cercano subito non solo di trasferire, ma addirittura di imporre, i loro costumi e la loro visione del mondo.
E, in effetti, ci stanno riuscendo. In interi quartieri di Parigi, Londra, Bruxelles e altre grandi città lo Stato di diritto viene sostituito dalla sharia, senza che le autorità riescano a impedire questo passaggio di poteri. E chi combatte tale stato di cose, come per esempio il presidente francese Macron, è costantemente minacciato. Non v’è dubbio che il colonialismo sia un fenomeno deprecabile e da condannare con fermezza. Noi l’abbiamo fatto, a volte anche esagerando. Sarebbe dunque lecito chiedere che lo facciano pure gli altri. Altrimenti le nuove generazioni, spesso indottrinate da libri di testo faziosi, perderanno ben presto coscienza di far parte di una civiltà, come quella occidentale, che al mondo ha fornito contributi fondamentali in ogni campo del sapere umano.
FONTE: http://www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/i-complessi-di-colpa-delloccidente-il-colonialismo-non-e-causa-di-tutti-i-mali-del-mondo/
La corrispondenza privata di Louis-Ferdinand Céline. A cura di Andrea Lombardi.
La danza continua [1]
Lettera al dottor Alexandre Gentil.
Nel 2011 veniva messo all’asta un piccolo lotto di trentasei lettere scritte da Louis-Ferdinand Céline al chirurgo dottor Alexandre Gentil (1878-1949), suo amico e corrispondente negli anni dell’esilio danese di Céline dal 1945 al 1948. Sconosciuto anche ai ricercatori céliniani più esperti e inedito, questo carteggio rivela molti dettagli della quotidianità di Céline e Lucette in Danimarca, della loro odissea in Germania nel 1944-1945 narrata nella Trilogia del Nord, e scorgiamo poi ancora emergere i fantasmi céliniani già espressi con veemenza in Bagatelle per un massacro e negli altri pamphlet.
L’11-11 [1945]
Vecchio mio, ecco un anniversario affascinante. A che è servito darsi tanto disturbo nella prima [guerra mondiale] per finire così pietosamente? Che inganno dalla terra al cielo! Vomito la mia vita quando ci penso, mi vien da vomitare per la mia coglioneria credulona di dedizione perduta! Sono il monumento di quel che non si deve fare. “Il coglione”. Mio padre è morto di dispiaceri, mia madre lo stesso. Il minimo è che finisca uguale. Ed io ancora più cosciente di loro, più “provato”. Siamo qui, soprattutto Lucette, imbrogliati ignobilmente dai nostri cosiddetti amici. Lucette tra di noi è un’artista meravigliosa nel parere unanime degli esperti di qui. Non ci sono tre o quattro artisti come lei in Europa. È una ballerina nata. E allo stesso tempo una professoressa eccellente. Lo sanno e se ne servono eccome. Insegna il loro mestiere a 200 professori danesi che sono incapaci totali. Ma siccome non dobbiamo apparire, e abbiamo a malapena il permesso di esistere, lavora in media 6 durissime ore al giorno. E guarda caso le spese prendono tutto. Ancor meglio questo mese. Siamo a 80 corone di tasca nostra. Quasi 15 giorni di viveri per la nostra dieta! E dobbiamo sorridere e ringraziare. Altrimenti… il palo arreda. In queste condizioni qualsiasi parola di traverso è di troppo.
Un giorno mi hai prestato un tuo bellissimo libro di Laurent Tailhade. Sarei felice se me lo rimandassi. Una frase a proposito di un viaggio che fece nel nord, verso le miniere dove dice all’incirca l’ambiente di lavoro dell’Uomo è ancora abominevole e vergognoso… mi piacerebbe proprio avere la citazione esatta = la frase.
Fai benissimo a pensare a questa piccola casa turoniana. I sogni ti sono concessi. Ahimè mi strazi! È la più crudele delle condizioni quando a 52 anni infermo il tuo destino ti è strappato senza prospettive di ritrovarne mai un altro. Perché alla fine non ho la minima speranza di essere mai accolto da qualche parte in vita mia. L’Ariano errante conosce un destino ben più infetto dell’ebreo errante. Gli amici dell’Ariano sono deboli e rarissimi gli amici degli ebrei sono potenti e innumerevoli. L’ebreo deve solo piagnucolare tutte le porte si aprono se l’ariano marchiato si fa conoscere tutti i cani sono sguinzagliati. Nessuna pietà per lui. La sua pena non esiste. Non ho mai così ben sentito l’appassimento come qui nelle mie condizioni. È implacabile. Ci vogliono sfruttare ben bene, corsi di francese, di danza, ecc. ma far finta di conoscerci. L’esperienza ha il suo prezzo.
Vedo che i tre partiti francesi non sono per niente pronti a trovare un accordo. La guerra continua insomma intus o exit. Le bestie non chiedono altro che divorarsi tra loro già in Cina lo fanno – e i cannoni insegnano agli annamiti da che parte stanno i loro fratelli protettori e emancipatori. Granchi, cani, sciacalli e per la politica: pappagalli. La Danza continua. Ovvio che la prossima guerra ci porterà un’amnistia. È la nostra sola dannata speranza. Che alternativa! Sennò tra poco qui, pelle afflitta rosicchiata, creperemo di fame e freddo. Non ci si deve mai preoccupare dei grandi problemi. Non hai avuto per caso notizie del Dottor Jacquot de Remiremont? Sono piuttosto preoccupato anche per un caro amico il Dottor Gastault ex caporadiologo a St Louis. Gestiva il dispensario comunale di Argenteuil. Abita a Parigi. È un uomo di una certa età e ben distinto, un gaudente, amicone, godereccio. Gli volevo molto bene. Mi ha procurato Bezons. Gliene sarò sempre grato. È al correntissimo di molte cose.
Se potessi dargli un colpo di telefono. È un automobilista appassionato. Verrebbe di corsa a trovarti. Mi vuole parecchio bene. Abitava nei pressi di Grenelle. È benestante e cura, lui, l’orleanese. Per favore. Nessuna inquietudine politica da parte sua. Per Jacquot ahimè tremo. Che cuore magnanime! Che ammirevole compagno nelle atroci circostanze!
Le Courrier médical è il giornale favorito dei piccoli pratici omnibus senza nessuna levatura scientifica e piena di chiacchiere. Dà tutte le notizie gli annunci, ecc. Permette di rendersi ben conto dell’insieme merdoso.
Ho appena ricevuto i Le Monde di un paio di settimane fa. Sono i primi giornali francesi che leggo dopo 18 mesi E quante cose!… Tuttavia un leggero tran-tran sembra riannodare il filo passato… Resta eppure sensibile la miseria la meschinità della vita corrente. Una certa pace la ritrovo nell’epurazione… ma alla fine sono solo illusioni… dei miraggi… il dolore di essere così lontani vince tutto, falsa tutta l’ottica. Alcuni francesi sono venuti qui non abbiamo nemmeno potuto avvicinarli… non c’è bisogno…
Parli di Vitalizio. Sto perdendo 150 000 franchi (quasi oro) in questo istituto. Attento. Non conto più ahimè le mie perdite! Sai che i primi “Liberatori” del mio appartamento hanno così tanto rubato un po’ dappertutto che sono finiti in galera. Che gioia andare a vedere in faccia colui che mi ha derubato! Eppure ti assicuro che niente era rubato del mio mediocre materiale. Tutto era stato pagato dieci volte con sangue, fatica e angoscia. Oh Patria! Niente doveva un centesimo agli occupanti! Mentre quanti attuali benestanti! Non finiremo di vomitare. Fa freddo adesso. Un freddo russo, e tempesta. È molto triste. Si ha il tempo di ruminare le proprie disgrazie. Finalmente Bébert il gatto va meglio. Non tossisce più. Ha forse avuto una lieve polmonite. È intelligentissimo. Le difficoltà gli hanno insegnato mille cose degli uomini. Galoppa dietro a Lucette come un cane. Abbiamo anche i gabbiani, non lasciano le nostre finestre sono belli ma il loro gracchìo è odioso. È un animale da naufragio. Abitiamo su una piazzetta molto affollata di giorno vicino a un ponte che assomiglia abbastanza, in piccolo, in nordico, in campestre, alla piazza S[aint]-Michel più i fiori i pesci e il vento di lontano. Davanti a noi il loro Parlamento fa Palazzo di Giustizia. Tutto questo è bello ma severo. Molto mausoleo. Ma molto graziosa, bisogna riconoscerlo. Vedrai, del resto, non tarderai. Spero bene in primavera con le rondini. Evidentemente la casa in campagna è indispensabile per chi vorrà mangiare… in occasione di eventi futuri. E poi le città sono destinate a sbriciolarsi. E poi si muore sicuramente di fame. Solo che travestimento oltretutto! Dovremo sembrare poverissimi. 10 anni prima di uscirne che in stracci. Ti sarai parecchio interessato al destino di Bichelonne l’ex ministro dei Lavori Pubblici sotto Laval. Eminente politecnico, è uscito e entrato per primo nell’École – caso unico assieme a Carnot, grande speranza dei Lavori Pubblici. (Che ne è stato della Sig.ra B. a proposito?). L’ho curato ai Nibelungen dove era stato trasferito nel castello con gli altri. Aveva avuto il ginocchio sbriciolato pochi mesi prima in un incidente d’auto. Il suo chirurgo francese aveva riattaccato il femore con la tibia in modo che soffriva ancora, la gamba al 25% sulla coscia e leggere infezioni del disco (probabilmente inclusive) postume. Le curavo. Gli avevo formalmente consigliato di restare tranquillo, di rinviare a più tardi l’operazione ricostruttrice. I Fritz l’hanno abbindolato affinché si facesse operare dal meraviglioso chirurgo del Führer un certo Gebhardt[2]che ho anche conosciuto che aveva passato la metà della sua vita al fronte. Generale di Tank SS e in gioventù cantante di caffè-concerto. L’ho anche conosciuto! Un pazzo e sgradevolissimo pazzo aggressivo, vendicativo e anti-francese. Una volta mi son preso con lui. Mi trattava da ciarlatano perché rifiutai di arruolarmi in un reparto SS. In ogni caso un uomo curioso, un personaggio del Rinascimento in tutto. Un Pauchet, altrettanto follemente vanitoso, ma molto più piantato. Sembra inoltre che operasse molto bene. Rudler l’ha visto operare a Berlino. Bichelonne ha fatto tutto il tragitto dal lago di Costanza alla Prussia per andare al Billard, a Hohenlychen esattamente dove si trovava l’immenso ospedale SS di cui Gebhardt era il tiranno e il Papa. Aveva tra l’altro organizzato diverse squadre di calcio di monogamba che riprendevano fiato in attesa del loro ultimo carnaio Walhalla. Un uomo d’azione. Bichelonne non ha avuto molta fortuna. L’operazione è perfettamente riuscita. Gli hanno ridato una gamba destra ma è morto 8 giorni più tardi d’infezione tra atroci sofferenze sembra, assolutamente solo. Tre ministri Marion, Gabolde, e Darnand, sono stati ad assistere al suo funerale. Si era già parecchio vicini alla caduta. Si sono ripagati il pellegrinaggio Costanza-Prussia ma siccome il protocollo fritz ha tenuto duro fino in fondo hanno fatto il viaggio nel vagone salotto dell’ex re di Wurtemberg modello 1890! Ma senza vetri né riscaldamento. Ignobilmente bombardati (Féerie) durante tutta la traversata Costanza-Prussia! E paralizzati da freddo e fame. 2 sandwich a testa! Sulla landa gelata di Prussia li aspettava un’eccezionale musica militare per gli onori funebri. Tutto fu eseguito come da protocollo. Gli si spiegò la morte del geniale brillante soggetto. E poi li rimbarcarono nella loro ghiacciaia con 2 sandwich. Che viaggio! Che presagio! Che calvario! Te lo immagini. Ecco una buona storia che non deve ancora andare in giro. Ma ti so molto goloso di aneddoti storici e chirurgici. Eccone uno e di prima qualità! Che non vada perduto!
A te molto affettuosamente
Tratto da:
Louis-Ferdinand Céline – Un profeta dell’Apocalisse. Scritti, interviste, lettere e testimonianze
A cura di Andrea Lombardi
Prefazione di Stenio Solinas
[1] Da “Revue des deux mondes” n. 45, dicembre 2011. Traduzione di Valeria Ferretti e revisione di Andrea Lombardi.
[2] Il Generalleutnant der Waffen-SS Dr. Karl Gebhardt (1897-1948). Medico delle SS con importanti incarichi amministrativi e sanitari, fu decorato della Croce di Ferro di 1° e 2° Classe in ambo le guerre mondiali per il suo coraggio al fronte e della Croce di Guerra con Spade di 1° e 2° Classe. Dopo aver prestato servizio sul fronte russo nella Divisione SS “Wiking”, operò quindi esperimenti medici in diversi campi di concentramento. Fu poi assegnato alla clinica delle Waffen-SS di Hohenlychen, e il 23 aprile 1945 fu nominato direttore della Croce Rossa tedesca. Processato per crimini di guerra dagli Alleati a Norimberga, fu messo a morte a Landsberg nel 1948.
FONTE: http://www.storiaverita.org/2020/12/07/la-corrispondenza-privata-di-louis-ferdinand-celine-a-cura-di-andrea-lombardi/
IL SEGRETO DELLA GRANDE MADRE
Foto di Valeria Gradizzi
Gli ultimi raggi di sole sfiorano le foglie del bosco. Scintille di fuoco, leggere, si alzano verso il cielo. La brace si gonfia, passando dal grigio al rosso. Sono gli ultimi respiri del legno. Gli elementi del mondo si incontrano e si consumano. L’alto scende verso il basso. Il basso sale verso l’alto. La natura si muove in un ciclo continuo. Non esiste un inizio, non esiste una fine. C’è solo la natura.
Le mani sfiorano tutto ciò che le circonda: gli alberi, l’erba, l’acqua. Tutti ricordi di un mondo ancestrale in cui gli uomini e le donne veneravano la Grande Madre, che era tutto: era la terra che calpestavano, le stelle che fissavano per interrogarsi sul mistero, l’acqua che li dissetava, il fuoco che li riscaldava. Era possibile toccarla, la Grande Madre. Toccandola le si sfiorava anche l’anima. Nasce così lo sciamanesimo. Si può dare forma a ciò che è allo stesso tempo l’essenza del materiale e dell’immateriale? Il suo corpo, così ricco, comincia ad essere inciso sulla roccia. Vasi vengono realizzati e templi innalzati. Mentre si diffonde, la natura diventa il centro di tutto. Era questo il mondo che era possibile vivere e osservare due millenni fa.
I riti della Grande Madre sono poco alla volta scomparsi. Il mondo era cambiato per sempre. Pochi fedeli hanno continuato a praticarli e a trasmetterli fino ai giorni nostri. Semplici danze e parole arcaiche che nascondono significati segreti e che hanno il potere di collegare, ancora una volta, gli essere umani alla natura. Per le donne che intraprendono la via sciamanica, l’umanità deve riscoprire la vera dimensione del sacro per rivolgersi a quella Madre cancellata, a loro dire, dal “genocidio delle culture antico-europee e mediterranee” che avrebbe condotto alla sottomissione della donna.
Qui il grande nodo: riscoprire la Terra, e riscoprire la saggezza femminile, che si nutre di pratiche di spiritualità orientate alla Terra e ai suoi cicli naturali. Pratiche rituali collettive che sradicano la realtà dei nostri tempi, rovesciando i valori su cui si fonda la nostra società. A partire dalla donna e dalla natura, teatro mistico di questi riti arcaici e dove da secoli l’uomo fugge.
FONTE: https://it.insideover.com/reportage/donne/le-sciamane.html
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Google blocca le pubblicità sui siti di news, se non gli piacciono
GIOVEDÌ 10 DICEMBRE 2020
La più grande azienda pubblicitaria del mondo sta impedendo un accordo economico tra altre due società? (e una è il New York Times)
In un qualche giorno feriale, di recente, il New York Times ha venduto un’inserzione pubblicitaria a un’azienda. Non so il nome dell’azienda, o i termini dell’accordo, ma si riferiva allo spazio più importante e visibile che il New York Times offre, un grosso banner interattivo in testa alla sua homepage, quindi la cifra pagata doveva essere significativa.
Mercoledì scorso un lettore particolare del New York Times – in questo caso il suo ex giornalista Aron Pilhofer – ha deciso di visitare la homepage del sito. Inserzionista + Editore + Lettori è la classica equazione dei giornali sostenuti dalla pubblicità: una visita come la sua sembrava completare la somma.
Ma una società da 1.230 miliardi si è messa di mezzo.
Per chi non presti attenzione alle scelte dei browser, quello mostrato nel tweet è uno screenshot di una pagina di Google Chrome in cui Chrome blocca la pubblicità che il New York Times ha venduto: “Questa inserzione consuma troppe risorse per il tuo computer, quindi Chrome l’ha rimossa”.
Non che sia una cosa inattesa: Google aveva annunciato a maggio che avrebbe bloccato le pubblicità molto “pesanti” su Chrome. Ha iniziato ad agosto con la versione Chrome 84.
E diciamocelo: a nessuno piacciono i banner che soffocano i browser e rallentano il caricamento delle pagine. Nessuno è solidale con le pubblicità che peggiorano l’esperienza d’uso degli utenti. I lettori preferiscono una pagina funzionale con un rettangolone grigio, piuttosto che una pagina faticosa con una pubblicità.
Eppure… come principio, non riesco a convincermi dell’idea che Google – la più grande azienda pubblicitaria del mondo, quotidianamente indagata dalle autorità di controllo per abusi della propria posizione dominante, criticata per il proprio impatto negativo sul business dell’informazione – possa decidere unilateralmente che una pubblicità che il New York Times ha venduto non sia mostrata a un lettore del New York Times.
Naturalmente non conosco il contenuto del banner in questione. Ma il New York Times ha standard per quello che gli inserzionisti possono o non possono fare, e dubito – a occhio – che abbia deciso di vendere la propria homepage a una società truffaldina di qualche genere. Con le pubblicità “programmatic” vendute da network terzi può capitare che un banner ingannevole che viola le regole sfugga a volte al controllo preventivo, ma non si vendono spazi importanti come quelli a questo tipo di concessionarie esterne: quel banner è stato quasi certamente venduto direttamente dal giornale a un inserzionista maggiore.
(potrebbe trattarsi di un banner autopromozionale del New York Times stesso, ma anche in questo caso la gestione passa da un meccanismo di vendita dello spazio, ndr)
Ma è anche probabile che lo stesso New York Times non sappia quale banner sia. Che un’inserzione sia troppo “pesante” è una scelta presa da un algoritmo rispetto alla singola installazione individuale di Chrome, e dipende da cosa sta succedendo su quel browser in quel momento, e da quanto sta facendo lavorare il processore del computer. In altre parole, lo stesso banner può caricarsi tranquillamente su una versione di Chrome appena installata su un MacBook Pro nuovo, ma essere invece “pesante” su un vecchio Lenovo di qualcuno che ha 872 schede aperte su Chrome e una ventina di estensioni installate (non che io ne sappia qualcosa). E come ha detto a Digiday un importante pubblicitario lo scorso agosto, «è difficile giudicare in astratto quanto sia “pesante” una pubblicità e se possa essere bloccata dai nuovi filtri, difficoltà aumentata con le campagne pubblicitarie progettate per adattarsi diversamente ai diversi dispositivi».
Quindi quell’inserzione che qualcuno ha pagato al New York Times perché Aron la vedesse verrà (a) contata erroneamente come visualizzata o (b) ritenuta venduta, ma non mostrata. Può essere un problema, per il New York Times? Macché. Probabilmente è stata venduta per una cifra forfettaria, che non subisce le variazioni di un centesimo di dollaro per ogni visualizzazione. E queste rimozioni sono comunque un’occorrenza rara: a maggio Google aveva detto che capita allo 0,3 per cento di tutte le inserzioni.
E però.
Guardate, io penso che la gran parte delle critiche contro Google rispetto al business dei giornali siano esagerate. Google non è entrato nelle redazioni a mano armata rubandosi i soldi dei ricavi pubblicitari: ha battuto gli editori e la loro raccolta pubblicitaria facendo concorrenza con un prodotto migliore.
Questo, però, malgrado il suo minuscolo impatto sulla grande maggioranza dei siti, è assolutamente un caso di abuso di posizione dominante. Google è il più grande venditore di pubblicità del mondo e controlla anche il browser più usato del mondo (circa il 66 per cento del mercato), Chrome. Sta usando quest’ultimo per danneggiare la concorrenza sul suo primo business.
Per quanto i produttori di banner farraginosi non siano le vittime con cui si tende a solidarizzare, stiamo parlando di Google che impedisce l’applicazione di un accordo economico tra altre due società. Un conto è che un utente decida di bloccare i banner che vede; altro è che lo decida Google.
Io credo che avesse ragione Tom Kershaw, dirigente tecnologico nel business della pubblicità, quando ad agosto ha detto: «Non discuto che le pubblicità che danneggiano gli apparecchi degli utenti non debbano essere mostrate. La mia preoccupazione è che Chrome stia iniziando a costruire un proprio set di giudizi e reazioni nella sua tecnologia e che questo sia parte dell’autoproclamata missione di essere il solo giudice, giuria e polizia del business pubblicitario».
Joshua Benton è direttore del Nieman Journalism Lab. La versione originale di questo articolo è stata pubblicata lunedì 7 dicembre.
FONTE: https://www.ilpost.it/2020/12/10/google-blocco-pubblicita-niemanlab/
DIRITTI UMANI
“Non lo capite? Hanno le tecnologie per farci fare tutto quello che vogliono”
Ci sono cose che per farle capire alle persone è necessario renderle fruibili attraverso l’uso dell’immaginazione. È quello che ha fatto il Prof. Valerio Malvezzi che con il suo nuovo libro ‘Futura‘ ha voluto raccontare che cosa sta accadendo davvero nel mondo in questo momento.
“Con il controllo tecnologico si mantiene la paura sulle persone e si spostano enormi ricchezze sui mercati finanziari” ha detto l’economista ai nostri microfoni.
A fronte, dunque, di un Governo che pare concentrarsi solo sulla ricerca di nuovi tecnici inconcludenti, è in atto, a detta del Professore, “un cambiamento deliberato e pianificato di sistema economico“.
“Vogliono spopolare le campagne – spiega Valerio Malvezzi in diretta – portare la gente a vivere nelle grandi metropoli dove sono più controllabili dalle tecnologie“.
Concetti tipicamente “complottisti”, ironizza l’economista, ma come riderne se è ciò che lentamente si sta verificando?
I dettagli in questa intervista di Francesco Vergovich e Fabio Duranti. Ecco che cosa ha detto.
ECONOMIA
Le frottole sul Mes smontate una ad una: approvando il Nuovo Trattato l’Italia si consegna, mani e piedi legati
Oggi il voto in Parlamento sul Nuovo Mes. Con la riforma il Mes acquisisce un ruolo centrale nelle crisi, ma anche fuori dalle crisi, preminente rispetto alla Commissione europea. Approvandola, l’Italia si consegna mani e piedi legati: più facile la ristrutturazione del debito, prima e ultima parola ai banchieri del Mes. Un thread su Twitter di Marattin, in cui dà del “cialtrone” a chi si oppone, ci offre l’occasione di tornare a smontare una ad una le frottole sul nuovo trattato. E giudicherà il lettore chi racconti balle e chi sia il cialtrone… Sarebbe ora di smetterla con lo sport di quelli che dicono Sì a qualunque cosa abbia a che fare con l’Ue, per quanto contraria al nostro interesse nazionale
Il tema del giorno è il Nuovo Trattato Mes. Dice Quagliariello che “si sta facendo una riforma che non chiede soldi e non pone condizioni”, aggiunge Brunetta che “è certamente migliore della versione originaria del 2012, tuttora in vigore”, scrive Domani che l’opposizione è “ribellista e antipolitica”, per La Repubblica chi si oppone “combatte ideologicamente contro un acronimo” ed innalza “una bandiera simbolica delle battaglie originarie, nate in un’altra epoca, e oggi incongrue negli anni del Recovery Fund … una battaglia di sovranismo e di ideologismo … il vessillo di un’ossessione permanente … parola-totem immediatamente evocativa, piuttosto che concetto politico”. Per il presidente della Commissione Finanze della Camera dei Deputati, Luigi Marattin, chi si oppone è, semplicemente, un “cialtrone”: espressione vaga, come tutti gli improperi, ma dal nostro fortunatamente fornita di un commento, su Twitter, in otto punti, che converrà seguire.
(1) Il presidente della Commissione Finanze della Camera dei Deputati comincia paragonando il Mes ad “un defibrillatore”: “non rende più probabile un infarto, ma solo più probabile un soccorso efficace se mai dovessimo avere un infarto”. Basterà rispondere che un defibrillatore ristabilisce la normale attività elettrica del cuore di un paziente … non diventa suo creditore privilegiato come fa il Mes. Apprezziamo, comunque, lo sforzo applicato dal nostro ad evitare il paragone (popolare fra i suoi sodali) con “una assicurazione”: una assicurazione paga all’assicurato un capitale o una rendita, ovvero lo rivale di un danno … non gli porta via il conto in banca come fa il Mes. Ripeteva spesso la maestra: “l’allievo si applica, ma non è intelligente”.
(2) Prosegue parlando delle CAC (clausole di azione collettiva), quelle particolari clausole contenute nei prospetti di emissione dei Btp, che consentono a una maggioranza qualificata di creditori di imporre la ristrutturazione del debito a tutti i creditori. Col Nuovo Trattato Mes, i Paesi si impegnano a inserirle, non più a maggioranza doppia (il voto contrario dei possessori di una singola serie di debito fra le molte emessa, blocca la ristrutturazione di tutto il debito), bensì a maggioranza singola (votano insieme tutte le serie di debito emesse, senza la necessità di votare per ogni singola serie emessa). Ebbene, secondo Marattin, il passaggio dalle CAC a maggioranza doppia alle CAC a maggioranza singola, “non rende più facile il default, ma solo il risarcimento ai piccoli risparmiatori, se le cose andassero male”.
Orbene, siccome tali clausole si attiverebbero solo in caso di ristrutturazione del debito pubblico, cioè in caso che per ogni 100 euro investiti in Btp lo Stato ne renda 60 e con pagamento rinviato all’anno duemilacredici: ebbene, secondo Marattin, tale ristrutturazione sarebbe ‘un risarcimento ai piccoli risparmiatori’. I cialtroni sono quelli che si oppongono al Mes, naturalmente.
Volendosi limitare alla sola prima parte dell’affermazione del nostro (“non rende più facile il default”), notiamo che essa contrasta l’opinione di un principe dell’Eurismo come Marcello Messori (“raccomandazione all’Italia: niente CAC a maggioranza singola”), quella degli Uffici Studi della Camera (“semplificherebbero la procedura per ristrutturare il debito di un Paese”) e del Senato (“potrebbero consentire una semplificazione delle procedure di ristrutturazione del debito”), quella del capo di un ufficio legale del Mes persino (“le CAC a maggioranza doppia … renderebbero più difficile l’approvazione di una ristrutturazione volontaria”), sinanco Boeri e Perotti (“Il Mes renderà più facile ristrutturare il debito. Vero … la riforma gli facilita il compito”).
(3) Osserva che “il coinvolgimento del settore privato in caso di default … è già nel Trattato in vigore dal 2013”. Il che è vero (“in linea con la prassi del Fmi, in casi eccezionali si prende in considerazione una forma adeguata e proporzionata di partecipazione del settore privato”), ma il nostro dimentica di aggiungere che al Mes è attribuito un nuovo potere: “su richiesta di un proprio membro … può favorire il dialogo tra detto membro e i suoi investitori privati”. Potere che, unitamente alla suddetta riforma delle CAC, era sembrato sufficiente a Marcello Messori per concludere che, col Nuovo Trattato, il Mes possa provocare esso stesso la ristrutturazione del Btp; oltretutto ‘ex-ante’, cioè preliminarmente alla concessione di qualunque credito. Ciò che il professore definiva, cito: un cavallo di Troia, un cambiamento drammatico, uno schema di incentivi perverso, che avrebbe causato instabilità macroeconomica.
(4) Ammette che una delle due linee di credito del Mes agli Stati, la linea di credito precauzionale (PCCL) “diventa più precauzionale”, cioè vengono rese più rigide le condizioni di accesso. Anzi …
(5) … anzi ammette pure che tali condizioni ripetono i “vecchi parametri” fiscali europei. Dal Trattato ne citeremo qualcuna: “disavanzo pubblico non superiore al 3 per cento del Pil … rapporto debito pubblico/Pil inferiore al 60 per cento o una riduzione del differenziale rispetto al 60 per cento nei due anni precedenti a un tasso medio di un ventesimo l’anno … assenza di squilibri eccessivi … assenza nel settore finanziario di gravi vulnerabilità”. Al lettore non sfuggirà che si tratta di condizioni talmente impossibili, da rendere la linea di credito inaccessibile all’Italia; né v’è la speranza di modificarle, se non con un impossibile consenso unanime dei Paesi membri. Tutto ciò è rilevante giacché, una volta esclusa dalla linea di credito precauzionale (PCCL), l’Italia può chiedere accesso unicamente alla linea di credito rafforzata (ECCL): cioè alla Troika, eventualmente previa ristrutturazione del Btp. Né la cosa può stupire, visto che tale era l’intenzione di Berlino, dichiarata a mezzo stampa e realizzata col Nuovo Trattato Mes, appunto … ma leggere il tedesco è roba da cialtroni, evidentemente.
Qui giunto, Marattin potrebbe arrendersi ed unirsi ai cialtroni. Invece insiste: “il tutto avviene as a rule, che nel linguaggio legislativo comunitario – come tutti sanno – significa in via generale. È praticamente il nostro anche, che nelle leggi italiane si mette quando si vuole dire anche no”. Dimentica di aggiungere che l’eccezione alla norma (“di norma, i membri del Mes devono rispettare i parametri quantitativi e le condizioni qualitative”) deve essere approvata all’unanimità (ovvero dall’85 per cento dei voti se in “procedura di votazione d’urgenza”). Il che significa che, per ottenere clemenza, l’Italia dovrebbe avere il sostegno pure di Olanda-Estonia&Co. Questa è la fase nella quale all’Italia verrebbe chiesta la preventiva ristrutturazione del debito pubblico e sono i legali stessi del Mes a presentare la situazione: “uno Stato membro in difficoltà ha un incentivo a considerare la ristrutturazione del debito quando necessario per persuadere altri Stati membri ad approvare la richiesta di assistenza finanziaria” e si darà il caso “che, anche se il debito dello Stato membro in difficoltà è forse sostenibile, lo stesso almeno un altro Stato membro semplicemente non è in grado di approvare il prestito, in assenza di un certo livello di ristrutturazione del debito”.
(6) Se ne deve essere accorto lo stesso Marattin perché, due punti più in là, invoca un argomento di supporto: “Le decisioni su assistenza finanziaria vengono prese o all’unanimità o con una maggioranza del 85 per cento. L’Italia ha il 17 per cento, quindi nulla può avvenire senza di noi”. Ma non spiega in che modo ciò aiuterebbe l’Italia. Infatti, facciamo pure il caso che l’Italia la abbia sfangata ed abbia ottenuto una PCCL pure senza preventiva ristrutturazione. In ogni caso (art. 14.6) “periodicamente almeno ogni sei mesi”, il direttore generale del Mes presenta una relazione, che “verifica il rispetto continuato dei criteri di ammissibilità” suddetti e, “se la relazione … conclude che il membro del Mes non soddisfa più i criteri di ammissibilità … l’accesso alla linea di credito è sospeso”, cioè l’Italia potrebbe non ricevere più un quattrino, “a meno che il consiglio di amministrazione decida di comune accordo di mantenere la linea di credito”: ‘di comune accordo’, cioè all’unanimità. È questo un caso di ‘maggioranza inversa’: in altri termini, è sufficiente che il direttore generale e l’Estonia si mettano d’accordo, per terminare il sostegno all’Italia.
A quel punto, il Mes potrebbe agevolmente imporle “un’altra forma di assistenza finanziaria, la cui concessione è soggetta alle norme applicabili in virtù del presente trattato” e che potrebbe serenamente includere la ristrutturazione del debito pubblico. Roma potrebbe opporre il proprio veto, certo, ma restando senza credito e senza nulla ottenere in cambio. Il cialtrone è chi lo fa notare, naturalmente.
(7) Una volta rimessosi alla clemenza della Corte, passa ad imbellettarla, domandandosi retoricamente: “è vero che il Mes acquisisce un ruolo centrale – che ora non ha – nelle crisi? No”. Il nostro deve essersi scordato di dare anche solo un’occhiata al parere scritto dei legali del Mes, i quali serenamente ammettono il contrario. Quand’anche non lo avesse fatto per eventuali difficoltà sue con la lingua inglese, il nostro poteva sempre dare un’occhiata alla nuova procedura per la concessione del credito (art. 13): mentre prima la Commissione Ue (di concerto con Bce) valutava la “sostenibilità del debito pubblico”, col Nuovo Trattato la Commissione Ue (di concerto con Bce) e Mes valutano sia la “sostenibilità del debito pubblico” che la “capacità di rimborso” del prestito.
Non solo, qualora mai Commissione Ue e Mes non si mettano d’accordo, allora “la Commissione europea effettua la valutazione complessiva della sostenibilità del debito pubblico, mentre il Mes valuta la capacità di rimborso del proprio membro nei suoi confronti”. Altrimenti detto, il Mes non solo acquisisce il potere di valutare, ma pure di bocciare la valutazione della Commissione.
Il che accade, sia prima del prestito, che durante il prestito. Quella relazione (art. 14.6) che abbiamo menzionato e che il direttore generale del Mes presenta per la “verifica il rispetto continuato dei criteri di ammissibilità”: prima era inviata a scadenza libera e redatta dalla Commissione col mero aiuto del Mes; ora è inviata “periodicamente almeno ogni sei mesi” ed è redatta “insieme” da Commissione (col concerto di Bce) e Mes. Per giunta, secondo un “protocollo di cooperazione”, che torna a dire: in caso di dissenso, “la Commissione effettuerà la valutazione complessiva della sostenibilità del debito pubblico, mentre il Mes valuterà la capacità dello Stato membro interessato di rimborsare i prestiti Mes”. Altrimenti detto, il Mes se la canta e se la suona.
Ma non è finita. Perfino senza che gli Stati abbiano fatto domanda di credito, “il Mes può seguire e valutare la situazione macroeconomica e finanziaria dei suoi membri, compresa la sostenibilità del debito pubblico, e analizzare le informazioni e i dati pertinenti”. In altre parole, in qualsiasi momento ed a prescindere dalla circostanza che l’Italia non abbia fatto alcuna richiesta di credito, il Mes può dichiarare il debito italiano insostenibile. Poi, una indiscrezione a Reuters di qua, una soffiata ad Handelsblatt di là, il Btp crolla ed il gioco è fatto. Ripetiamolo: senza che l’Italia abbia anche solo aperto bocca.
Insomma, ha ragione Marattin a dire che ‘il Mes non acquisisce un ruolo centrale nelle crisi’. Sì, ha ragione, perché, in effetti, il Mes acquisisce un ruolo centrale nelle crisi e fuori dalle crisi. Approvando il Nuovo Trattato, l’Italia si consegna, mani e piedi legati, ai banchieri del Mes.
(8) Infine, deve pur dire qualcosa di positivo. Prima ci prova con “abbiamo 850 miliardi di emissioni di debito comune (Sure più Next Generation Eu)” … come se il Recovery Fund non fosse sotto il fuoco incrociato di polacchi-ungheresi ed olandesi.
Poi se ne esce con solito ‘backstop’: “abbiamo il Fiscal backstop: in caso di gravi crisi bancarie (su cui non basti il poco capiente – e finanziato da banche – Single Resolution Fund) interviene il Mes con risorse comuni a evitare fallimenti”. Il nostro si guarda bene dal precisare che, pure con l’intervento del Mes, tali ‘somme comuni’: nel presente, sono rinviate a dopo un prossimo repulisti generale delle banche e, nel futuro, interverrebbero esclusivamente dopo un bail-in (cioè solo nel caso impossibile che a ‘salvare’ le banche non sia stato sufficiente il completo esproprio degli azionisti, dei creditori e di chi vi tenesse un conto corrente). Insomma, Marattin, quando scrive “evitare fallimenti”, intende evitarli alla maniera di Renzi col Monte dei Paschi. Esito che pare drammatico solo a noi cialtroni, evidentemente.
Invero radioso, agli occhi di Marattin, che chiosa: il backstop è “a guardar bene, molto di più” dell’Edis. Ludibrio. Molto più sanguinoso, molto più crudele, molto più feroce pensiamo noi che siamo cialtroni: infatti, in assenza di Edis a garantire il grosso dei conti correnti c’è la Repubblica italiana … così ben amministrata dai Marattin … la quale, per trovare i soldi, può sempre rivolgersi al Mes. Sgomento.
Sgomento che si trasforma in rabbia, al pensiero che, nel contesto della approvazione del Nuovo Trattato Mes, l’Italia si impegna pure a votare una “delibera del Consiglio dei Governatori per l’annullamento della DRI”, cioè dello strumento di ricapitalizzazione diretta delle banche, (come abbiamo spiegato qui): strumento ad oggi ancora in vigore e, per l’Italia, assai più favorevole del ‘backstop’ che lo sostituisce. Con immensa gioia dei tedeschi.
(9) Conclude con una invettiva. Prima asserendo che “nessuno di coloro che in questi giorni stanno dichiarando la propria contrarietà alla riforma del Mes è davvero in grado di utilizzare un argomento serio e verificato” … ma non sarà vero piuttosto l’esatto contrario? Poi aggiungendo che “semplicemente, dire No a qualcosa che ha a che fare con Europa ha un mercato politico che si intende sfruttare per mere ragioni di consenso immediato o di interdizione politica” … lui, al contrario, si è specializzato nel mercato politico di quelli che dicono Sì a qualunque cosa abbia a che fare con Europa, non importa quanto fetida, infetta e purulenta, un mercato politico che lui intende sfruttare per mere ragioni di propria sopravvivenza politica. Infine, chiosando, “è uno sport, in fondo, che in passato hanno praticato tutti. Ma che forse ora non è più tempo di praticare, che dite?” … e sì, è uno sport che in passato hanno praticato tutti … i Piddini e sì, sarebbe ora che la smetteste. Ecco che diciamo noi cialtroni, caro presidente della Commissione Finanze della Camera dei Deputati.
* * *
Le considerazioni espresse si applicano pure alla cosiddetta ‘linea di credito pandemica’ del Mes, o Mes-Sanitario. Come le linee guida di quest’ultima chiariscono anche ai ciechi: “l’unico requisito per accedere alla linea di credito sarà che gli Stati richiedenti si impegnino a utilizzare il supporto … per sostenere il finanziamento interno dell’assistenza sanitaria diretta e indiretta, la cura e la prevenzione dei costi correlati a causa della crisi Covid-19”, ma poi il monitoraggio e l’eventuale terminazione obbedisce fedelmente al Trattato pro tempore in vigore, come è normale ed assai ben descritto, fra gli altri, da Ortona. Al proposito, Marattin aveva pubblicato un filmato, intitolato “10 risposte sul Mes. Terapia anti-cialtroni”. Il testo affermava che “l’unica condizionalità è che questi 35 miliardi e 750 milioni al massimo vengano spesi per costi diretti e indiretti legati all’emergenza sanitaria” e si concludeva con un perentorio: “tutte le motivazioni che vengono addotte per rifiutare il Mes sono tutte quante balle”. Il lettore è ora in condizione, da sé, di giudicare se e chi mai sia un cialtrone, se e chi mai racconti balle.
FONTE: http://www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/le-frottole-sul-mes-smontate-una-ad-una-approvando-il-nuovo-trattato-litalia-si-consegna-mani-e-piedi-legati/
Perché accettare la riforma del MES è come accettare il MES
Accettare la riforma del MES, con la logica del pacchetto che comprende anche l’Unione bancaria è come accettare il MES, perché comunque ogni Stato membro aderente al MES potrà essere valutato dal consiglio dei governatori, e in particolare dal Direttore Klaus Regling, in totale immunità e impunità. Valutare uno Stato membro come l’Italia, degno di essere solo un debitore di tipo B, cioè di ricevere la linea di credito rinforzata, significa dare all’Italia il “la” per scatenare il “contagio” da “default”: si aprirebbe la spirale della “ristrutturazione” del nostro debito cioè un bail in in stile Banca Etruria, ma generalizzato – la svalutazione del nostro debito – e i “mercati” si chiuderebbero a riccio, non volendo più acquistare i nostri titoli sovrani. Si pensi che invece oggi vanno a ruba da anni ma il Tesoro ne riduce artificialmente e inspiegabilmente le aste, soprattutto dei BTP a più di dieci anni, a tasso 0. Inspiegabilmente, a meno che non si spieghi con la volontà del deep state italico di spingerci nelle braccia del MES e di chiuderci a tenaglia, con le direttive del Recovery Fund, nella stretta del “grande reset”: digitalizzazione e “green”, manifattura niente, infrastrutture niente, commerci e artigiani niente, turismo e cultura niente, per quello hanno pensato di svenderci alla Cina e alle multinazionali digitali.
VIDEO QUI: https://youtu.be/isKOCPSUSh8
FONTE: https://scenarieconomici.it/perche-accettare-la-riforma-del-mes-e-come-accettare-il-mes/
Bagnai contro Pd: “il sangue dei risparmiatori italiani è sulle vostre mani”
di Radio Radio TV
L’intervento del senatore della Lega Alberto Bagnai nel corso della seduta 280: Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri in vista del Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2020. Un durissimo attacco a chi negli ultimi anni ha portato avanti politiche legate a Europa, austerity e Mes. Ecco l’intervento del senatore Bagnai.
“MES. Il 19 luglio 2012, in sede di ratifica ed esecuzione del Trattato che istituisce il MES, l’onorevole Bitonci disse in dichiarazione di voto finale: «Oggi state commettendo un grave errore sottovalutando la portata di questo provvedimento. Queste sono decisioni che condizioneranno per sempre la nostra vita e quella dei nostri figli; decisioni che cambieranno la nostra autonomia in sede economica, di bilancio e fiscale». Queste parole le teniamo così come sono; si applicano perfettamente all’oggi, ancora di più per i motivi dettagliati dall’onorevole Borghi alla Camera.
Mi avvio a concludere. Rinuncio a rivolgermi al partito di maggioranza relativa, per il semplice motivo che oggi ha perso agibilità politica. I traditori fanno comodo a qualcuno, ma tutti ne diffidano, e quindi de hoc satis. Parliamo invece al PD, l’unico pezzo dell’attuale maggioranza che un futuro politico ce l’avrà e col quale quindi è necessario dialogare. Dopo l’austerità, dopo il bail in, anche con la riforma del MES (che è l’austerità), andrà a finire come diciamo noi. E anche questa volta voi andate dritti per la vostra strada.
Forse vi stanno ricattando oppure, più semplicemente, forse pensate che toccherà a noi macellare i risparmiatori. Ma lo pensavate anche al tempo del bailin, e invece il sangue dei risparmiatori italiani è sulle vostre mani e ci avete anche perso le elezioni. Quindi, non ci aspettiamo di convincervi, non ci interessa. Ma c’è una cosa che deve interessare voi: che cosa hanno in comune il fiscal compact e il bail in, i due errori che avete già ammesso? È molto semplice: sono due parole in inglese di cui l’opinione pubblica si disinteressava, e perfino io, che sono del mestiere e che dal giugno 2013 mettevo in guardia contro i pericoli del bail in, ignoravo la discussione che si stava svolgendo in Parlamento e le parole lungimiranti dei colleghi Giorgetti, Bitonci, Tosato, Garavaglia e tanti altri.
Da allora qualcosa è cambiato, e concludo.
Da allora, purtroppo per voi, cari amici del PD, c’è stato un dibattito nel Paese. Il livello di consapevolezza dell’elettorato non è più quello del 2012, quindi oggi migliaia di occhi ansiosi guardano a questa discussione con attenzione e aspettano l’esito del voto per dividere questo Parlamento in due categorie: i patrioti e i traditori.
Nonostante tutti gli sforzi dell’antipolitica per confondere le acque e offuscare le responsabilità, oggi sarà chiaro chi è dalla parte della libertà e del Paese e chi è dall’altra parte. Vi faccio i miei auguri”.
FONTE: https://www.imolaoggi.it/2020/12/10/bagnai-contro-pd-sangue-risparmiatori-italiani-sulle-vostre-mani/
Così è nata la “trappola” dell’euro
A gennaio l’euro compie 19 anni dalla sua entrata in vigore e 22 dalla sua istituzione come unità di conto. Il problema della moneta, in questo anno pandemico, è stato temporaneamente accantonato dal dibattito pubblico dalla crescente necessità, legata all’emergenza coronavirus, di stimolare le economie dell’Unione derogando a quei trattati che, in combinato disposto con l’euro, contribuiscono alla governance del Vecchio continente.
Anni di problematiche economiche, di depauperamento commerciale e industriale del nostro Paese, di ritardi competitivi nei confronti di Paesi come Francia e Germania hanno aperto un forte dubbio: forse, così come è stato strutturato, l’euro non è stato proposto come una moneta funzionale all’interesse nazionale italiano. Per molti anni le critiche alle asimmetrie economiche della moneta unica sono giunte, con voce autorevole, soprattutto dagli Stati Uniti: pensiamo alle puntualizzazioni del Nobel Joseph Stiglitz o all’autorevole pubblicazione di Ashoka Mody, Eurotragedy, che Castelvecchi ha tradotto in italiano. Ma negli anni anche in Italia una critica alle problematiche dell’euro si è consolidata.
Nel mondo italiano, ad esempio, autorevoli economisti (Vladimiro Giacchè, ad esempio), filosofi (Andrea Zhok) e politologi (Carlo Galli) hanno da tempo avviato una forte critica da sinistra della moneta unica e delle regole europee in conflitto con la sovranità popolare italiana. A destra, Alberto Bagnai con la sua associazione A/Simmetrie è sbarcato nel 2018 in Parlamento nelle file della Lega. Tra i critici del costrutto europeo, in seconda fila, si segnalano anche battitori liberi nel Parlamento come il deputato Stefano Fassina e il senatore Gianluigi Paragone. A lungo la parte più graniticamente pro-euro del mondo politico italiano è stata la sinistra moderata e progressista, che fa riferimento al Partito democratico e alle aree politiche ad esse affini.
Fa dunque estremamente scalpore leggere quanto riportato in anticipo dal quotidiano La Verità circa una ricerca della Fondazione Bruno Buozzi, circolo culturale indipendente assimilabile all’area della sinistra moderata che prende il nome da un martire della Resistenza, sugli effetti dell’euro sull’economia italiana. Nella ricerca, in particolar modo, si punta il dito verso l’ingenuità dei decisori politici dei governi di centro-sinistra che, a fine anni Novanta, negoziarono un’eccessiva svalutazione della lira nei confronti dell’unità di conto europea (Ecu) che avrebbe fissato i cambi nel triennio precedente la nascita dell’euro nel 2002. La lira fu ritenuta una valuta politicamente avvantaggiata dal fatto che più volte Roma avesse fatto ricorso alle “svalutazioni competitive” e trattata in maniera paragonabile al marco perché Paesi come la Germania temevano che l’Italia potesse, anche nel contesto euro, ricorrervi per ampliare la sua quota di commercio estero sul Pil (che negli anni Novanta non superava il 25%) a scapito di Berlino.
Quel che è successo, semmai, è l’opposto. La Germania ha beneficiato di un euro svalutato relativamente al suo potenziale competitivo, l’Italia ha pagato una moneta del 20-25% sopravvalutata rispetto al reale potenziale della lira e la costruzione di regole europee funzionali al mercantilismo di Berlino e alla svalutazione interna del fattore lavoro, cristallizzate dalla moneta unica, hanno portato Berlino a risultare vincitrice della competizione comunitaria. Secondo l’ex ministro democristiano Paolo Cirino Pomicino “era giusto entrare nell’euro, ma il cambio” di un euro per 1936,27 lire “era sbagliato”, eccessivo.
“La conseguenza dalla nascita dell’euro” e dell’incapacità politica italiana di competere a armi pari con i Paesi de Nord, secondo la fondazione, è stata una distruzione notevole di potenziale produttivo: “Milioni di contribuenti italiani, specie a reddito fisso, sono risultati vittime di una amputazione del reddito, con percentuali non certo irrilevanti, iniziata a partire dal 2002 e tuttora operante”. La pandemia, in questo contesto, rischia di esacerbare tensioni già pre-esistenti e di condurre a un duplice attacco a tenaglia sulla tenuta del sistema Paese. Da un lato un tracollo produttivo, dall’altro un pericoloso innalzamento del rapporto debito-Pil che, per quanto salvaguardato dai piani d’acquisto della Bce, nei prossimi anni nel caso tornasse il patto di stabilità con le famose “regole” di bilancio potrebbe, nel cardine della moneta unica, condurre a una nuova imposizione di misure lacrime e sangue all’Italia. In proporzione al Pil la previsione per il 2020 è un debito pubblico che potrebbe superare il 160%. In termini assoluti si tratta di oltre 190 miliardi in più rispetto allo scorso anno, e tutto questo senza che il governo giallorosso abbia saputo mettere in campo un piano considerevole di investimenti pubblici volti a ripianare la crisi del Paese.
Nel quadro delineato dall’euro, ogni fuoriuscita dalla logica della deflazione interna, del taglio alla spesa pubblica e del contenimento sistematico del debito è difficile da pensare con i rapporti di forza favorevoli ai Paesi del Nord Europa, “trincea” del rigore, al netto di scostamenti tattici della Germania. Aggiungere a questo debito gli oltre 70 miliardi di prestiti del Recovery Fund rappresenta per l’Italia un duplice rischio: da un lato, la firma delle condizionalità che la legge Ue richiede per questo nuovo fondo; dall’altro un aumento della massa di debito contro cui, tra un anno o due, la Commissione potrebbe tornare alla carica. Non a caso lo stesso Commissario italiano Paolo Gentiloni si è comportato verso la manovra del suo Paese come un falco nordico, parlando di sostenibilità delle finanze pubbliche e di regole europee anche nell’anno dei 60mila morti di Covid e del -10% di Pil. La grande problematica segnalata dalla fondazione Buozzi si inserisce in un contesto generale sfavorevole al nostro Paese: l’Europa, così come è, è un organismo che mira ad auto-perpetrarsi senza riflettere sui suoi problemi interni. E applicando le sue logiche in modo meccanico cagiona un danno a tutti i Paesi più fragili dell’Unione, che a partire dall’introduzione dell’euro si sono allontanati dal motore produttivo del continente.
Twitter e Google sono le nuove Compagnie delle Indie
Antonio De Martini
VIDEO QUI: https://youtu.be/LcZ84yCAs8U
FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=LcZ84yCAs8U&feature=push-fr&attr_tag=HU6v31odwSNm7ei_%3A6
EVENTO CULTURALE
Presentazione di “Connessioni” l’ultimo romanzo della scrittrice Francesca Sifola
FONTE DELL’INTERVISTA:
https://www.facebook.com/FrancescaSifolaScrittrice/posts/2645403605730403
RECENSIONE DEL LIBRO “CONNESSIONI” DEL TGR CAMPANIA QUI:
https://www.facebook.com/watch/?v=3026820220756868
GIUSTIZIA E NORME
SUPERBONUS 110 % : l’approfondimento dei Commercialisti
Il Consiglio e la Fondazione Nazionale dei Commercialisti hanno pubblicato il documento
“Il superbonus 110%: check list visto di conformità ecobonus e sismabonus”
Lo studio fornisce un quadro d’insieme sui controlli che i soggetti abilitati
sono chiamati ad effettuare ai fini di un corretto rilascio del visto di conformità
Roma 27 novembre 2020, il Consiglio e la Fondazione Nazionale dei Commercialisti hanno pubblicato il documento “Il superbonus 110%: check list visto di conformità ecobonus e sismabonus”. Nello studio, viene fornito un quadro d’insieme dei controlli che devono essere effettuati ai fini dell’apposizione del visto di conformità sull’apposita comunicazione da inoltrare all’Agenzia delle entrate per attestare la sussistenza dei presupposti che danno diritto alla detrazione d’imposta, nei casi di opzione per la cessione del credito d’imposta o per lo sconto in fattura.
Il decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazione dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 (c.d. Decreto “Rilancio”), nell’ambito delle misure di sostegno all’economia previste per fronteggiare le difficoltà economiche e finanziarie connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, con l’articolo 119 ha incrementato al 110% l’aliquota di detrazione delle spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021, per specifici interventi di efficientamento energetico o di riduzione del rischio sismico degli edifici (c.d. Superbonus).
Per usufruire della detrazione, il contribuente deve aver eseguito gli adempimenti normativamente previsti ed essere in possesso della relativa documentazione. L’articolo 121 del Decreto “Rilancio” ha, inoltre, previsto, per gli interventi espressamente elencati nel comma 2 (ivi compresi quelli che danno diritto al Superbonus), la possibilità di optare, in luogo della fruizione diretta della detrazione, per un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, anticipato dai fornitori che hanno effettuato gli interventi (c.d. sconto in fattura) o, in alternativa, per la cessione a soggetti terzi (compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari) del credito corrispondente alla detrazione spettante.
Per gli interventi che danno diritto al Superbonus, in caso di esercizio dell’opzione per lo sconto in fattura o la cessione del credito d’imposta, in aggiunta agli adempimenti ordinariamente previsti, il legislatore richiede l’apposizione del visto di conformità ai sensi dell’articolo 35 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 su un’apposita comunicazione da inoltrare all’Agenzia delle entrate che attesta la sussistenza dei presupposti che danno diritto alla detrazione d’imposta. Il visto in parola può essere rilasciato solo dai soggetti abilitati (principalmente, commercialisti e consulenti del lavoro abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni).
Dopo una premessa, il documento analizza il visto di conformità ai fini del superbonus, la documentazione da controllare per il rilascio del visto, la documentazione da verificare e la comunicazione dell’opzione per la cessione / sconto all’Agenzia delle entrate. Conclude un capitolo riservato ai compensi professionali.
FONTE: https://www.consulpress.eu/superbonus-110-lapprofondimento-dei-commercialisti/
La proprietà privata e il diritto naturale
di Matteo Castagna – 08/12/2020
Fonte: Matteo Castagna
LA LINGUA SALVATA
Ora il “cashback” umilia pure l’italiano
La parola usata dal governo per “imporci” l’addio ai contanti non piace all’Accademia della Crusca che suggerisce una soluzione…
Il piano del governo per combattere l’evasione incentivando i pagamenti tracciabili con carta, l’ormai (tristemente) famoso “cashback” non piace nemmeno all’Accademia della Crusca.
Questo sistema è nato proprio sotto una cattiva stella. Prima l’app in tilt, poi l’estensione della “promo” per le Feste fino al 6 gennaio e adesso la bocciatura della massima autorità per la lingua italiana. L’Accademia ha infatti messo nel mirino la parola “cashback” bocciando l’uso dell’inglese per la nuova iniziativa dell’esecutivo giallorosso con queste motivazioni: “Ancora una volta senza nessun motivo – spiega il presidente, il professore Marazzini all’AdnKronos – si è deciso di rinunciare alla lingua italiana e di usare un termine inglese per rivolgersi ai cittadini italiani, senza peraltro considerare che per la stragrande maggioranza di loro “cashback” è un termine sicuramente oscuro”. Inoltre, sottolinea il presidente dell’Accademia della Crusca, la secolare istituzione fiorentina incaricata di custodire il ‘tesoro’ della lingua di Dante Alighieri, “nell’ottica del significato morale della restituzione del 10 per cento delle spese sostenute, in modo da abituare sempre più i cittadini italiani all’uso della moneta elettronica, si impiega l’espressione inglese ‘cash’, cioè ‘contanti’, che è anche equivoca, purtroppo, visto che si presenta un’operazione volta a incrementare, invece, la moneta digitale. Anche non volendo, con un uso non corretto dell’inglese, si fa di fatto credere che il denaro contante torna indietro quando in realtà la restituzione avverrà con accredito sul conto corrente”.
E così Marazzini suggerisce anche quale possa essere la soluzione a questa esterofilia ingiustificata: “Spendi e riprendi”. Ma anche “No contante” o “Senza contante”. Infine arriva una richiesta ben precisa: “Sono molti anni ormai che invitiamo ad usare espressioni più chiare possibili in italiano, soprattutto nell’ambito della comunicazione pubblica – ricorda Claudio Marazzini – Da parte delle burocrazie, invece, il ricorso all’inglese è sempre più frequente, spesso anche a sproposito, senza contare poi l’abuso di sigle ed acronimi. Forse costoro usano l’inglese per essere più moderni o semplicemente per pigrizia esterofila. Ma il risultato è che l’abuso dell’inglese si accompagna a fenomeni di diminuzione della diffusione dell’italiano, che diventa sempre più debole”. Insomma ormai non solo ci tolgono i contanti obbligandoci ad usare pure la carta per un caffè. Ci vogliono togliere pure l’italiano…
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/economia/ora-cashback-umilia-pure-litaliano-1908837.html
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
L’ITALIA HA “TROPPI” DIPENDENTI PUBBLICI? Capitelo voi stessi
Il mantra Ordo-euroliberista vuole che l’Italia abbia un numero di dipendenti pubblici eccessivo. Insomma siamo ina nazione di postini, impiegati comunali e forze dell’ordine. Naturalmente questi dipendenti sono sempre improduttivi, sempre inefficienti, sempre lazzaroni , e quindi dovrebbero essere licenziati in massa.
Grazie a Canale Sovranista abbiamo questa bella elaborazione grafica della realtà dei fatti, comprata fra diversi paesi avanzati:
Come vediamo il numero di dipendenti pubblici per 1000 abitanti in Italia è sempre stato più basso rispetto a tutti i paesi occidentali, USA inclusi , fin dagli anni settanta. L’unico paese avanzato con un numero di dipendenti pubblici medio inferiore all’Italia. Poi con la crisi del debito pubblico abbiamo un bel calo anche da noi.
Interessante anche l’andamento dei dipendenti pubblici nel Regno Unito, dove si vede il “Tocco” di Margareth Thatcher negli anni ottanta. Comunque, ancora oggi, il numero di dipendenti pubblico è superiore a quello italiano, in rapporto agli abitanti…
FONTE: https://scenarieconomici.it/litalia-ha-troppi-dipendenti-pubblici-capitelo-voi-stessi/
PANORAMA INTERNAZIONALE
PACE FRA MAROCCO ED ISRAELE. USA E TRUMP MEDIATORI
Israele e Marocco hanno deciso giovedì di normalizzare le loro relazioni in un accordo raggiunto con l’aiuto degli Stati Uniti, che rende la nazione nordafricana il terzo paese arabo a mettere da parte l’ostilità verso Israele negli ultimi quattro mesi. Ormai possiamo dire che Israele ha raggiunto un certo grado di legittimazione nell’ambito arabo.
Reuters ha citato un alto funzionario statunitense che ha affermato che “Trump ha raggiunto un accordo giovedì durante una telefonata, con il monarca marocchino, re Mohammed VI”. Siamo ormai al quarto paese arabo che raggiunge la pace con Israele sotto la presidenza Trump, anche se manca il “Pesce Grosso”, cioè l’Arabia Saudita.
Reuters ha aggiunto: “Nel quadro di questo accordo, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha accettato di riconoscere la sovranità del Marocco sul territorio del Sahara occidentale, che sta assistendo a un conflitto regionale vecchio di decenni tra il Marocco e il Fronte Polisario sostenuto dall’Algeria, un movimento separatista che cerca stabilire uno stato indipendente nella regione. “. in questo caso Israele, USA e Marocco uniscono interessi simile per contenere l’Algeria.
Il ministro dell’intelligence israeliano Eli Cohen aveva rivelato in precedenza che Arabia Saudita, Qatar e Marocco sono tra i paesi che dovrebbero stabilire relazioni con il suo paese nel quadro di un riavvicinamento regionale avviato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.5
“Questi sono i cinque paesi … se la politica di Trump continua, saremo in grado di raggiungere ulteriori accordi”.
Insomma alla fine Trump fa per la pace più di quanto abbiano fatto tanti altri…. Biden per primo.
FONTE: https://scenarieconomici.it/pace-fra-marocco-ed-israele-usa-e-trump-mediatori/
Regeni, Castaldo: ‘serve reazione europea’. Macron conferisce Legion d’onore ad Al-Sisi
“Il racconto, raccolto dalla Procura di Roma, dei due testimoni oculari che hanno visto il giovane ricercatore italiano, Giulio Regeni, in due distinte caserme è terribile e non può passare sotto silenzio. Negli ultimi anni sono intervenuto molte volte al Parlamento Europeo per denunciare la gravissima mancanza di collaborazione da parte delle autorità egiziane, e per ribadire che Giulio Regeni era un cittadino europeo, oltre che italiano. Serve una forte azione diplomatica europea congiunta affinché l’Egitto non provi a isolare l’Italia ma trovi un muro compatto davanti a sé, con tutti gli Stati membri che pretendano la verità”.
Così in una nota Fabio Massimo Castaldo, europarlamentare del Movimento 5 Stelle e vicepresidente del Parlamento europeo.“Le forme di cooperazione tra l’UE e l’Egitto vanno riviste, imponendo forti condizionalità sui diritti umani, fondamentali e imprescindibili per garantire una coerenza dell’Unione verso il resto del Mondo. Lotteremo per far emergere verità e giustizia per Giulio Regeni e continueremo a lottare per casi analoghi come quello di Patrick Zaki, la cui detenzione pretestuosa e illegale è stata prolungata di ulteriori 45 giorni. Settimana prossima voteremo una risoluzione al Parlamento europeo e noi chiederemo che l’Unione utilizzi tutti i suoi strumenti, dalla pressione politica a quella economica, per far luce su questa vicenda, affinché l’Egitto faccia emergere la verità e punisca i veri colpevoli”, conclude Castaldo. (ADNKRONOS)
Il 7 dicembre, al termine del bilaterale tra i due capi di Stato, Macron ha conferito la gran croce della Legion d’onore, la più importante onorificenza francese, al presidente egiziano Al-Sisi. Alla cerimonia non sono stati ammessi i giornalisti francesi, ma i media egiziani hanno dato molto risalto alla notizia. Sembrerebbe comunque che l’onorificenza venga concessa a tutti i presidenti in visita di Stato in Francia.
(rainews.it) Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi si è recato a Parigi per una visita di 3 giorni.
“Non condizionerò la nostra cooperazione nel settore della Difesa né il quello economico a questi disaccordi”. Lo ha dichiarato il presidente francese, Emmanuel Macron, in una conferenza stampa congiunta con il suo omologo egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, in merito ai “disaccordi” evidenziati in termini di diritti umani tra i due leader, citato da France 24.
“È più efficace avere una politica di dialogo rispetto a una politica di boicottaggio che riduca l’efficacia di uno dei nostri partner nella lotta al terrorismo e per la stabilità regionale”, ha aggiunto. “Sarebbe inefficace in materia di diritti umani e controproducente nella lotta al terrorismo”, ha concluso.
FONTE: https://www.imolaoggi.it/2020/12/11/regeni-castaldo-serve-reazione-europea-macron-conferisce-legion-donore-ad-al-sisi/
Gli Stati Uniti vogliono smontare Facebook
1O DICEMBRE 2020
La Federal Trade Commission e la Procura generale di New York la accusano di aver creato un monopolio con le acquisizioni di WhatsApp e Instagram
Facebook, il social network fondato nel 2004 da Mark Zuckerberg e tra le più potenti società al mondo, è stato denunciato per «comportamenti anticoncorrenziali e metodi di concorrenza sleali» dalla Federal Trade Commission (FTC) – l’agenzia governativa statunitense per la tutela dei consumatori e della privacy – e dalla Procura generale di New York: la denuncia di quest’ultima è stata sottoscritta dalle procure di altri 45 Stati, e da quelle del District of Columbia e di Guam.
Le due cause, anche se coordinate, sono separate, ha detto la Procura generale di New York. La procuratrice generale di New York, Letitia James, ha detto che «per quasi un decennio, Facebook ha usato il suo potere di dominio e monopolio per schiacciare i rivali più piccoli e soffocare la concorrenza, il tutto a spese degli utenti». Dei 50 stati americani, non hanno partecipato alla causa solo Georgia, South Dakota, Alabama e South Carolina.
Le cause riguardano in particolare due acquisizioni da parte di Facebook: quella di Instagram, nel 2012, per un miliardo di dollari e quella di WhatsApp, nel 2014, per 19 miliardi di dollari, che avrebbero consentito a Facebook di creare un monopolio nei servizi di social network. Grazie a questo predominio, ha detto la FTC, solo lo scorso anno Facebook ha generato ricavi per oltre 70 miliardi e profitti per oltre 18,5 miliardi di dollari.
L’FTC sostiene anche che le acquisizioni di Instagram e WhatsApp siano state progettate da Facebook con lo scopo di limitare la concorrenza, individuando di volta in volta quali potessero essere le minacce al suo dominio sul mercato. Instagram diventò un social network usatissimo nell’importante periodo di passaggio dei social network dai computer agli smartphone, quando la necessità di condivisione di foto stava aumentando tra i consumatori. Inizialmente Facebook aveva provato a fare concorrenza a Instagram sul suo stesso campo cercando di migliorare la sua offerta, ma poi aveva deciso di comprare Instagram, invece di competere.
In modo simile – secondo l’accusa – si erano svolte le valutazioni per l’acquisizione due anni più tardi di WhatsApp, già allora una delle più usate app di messaggistica istantanea al mondo. In entrambi i casi, spiega l’FTC, le acquisizioni hanno neutralizzato sia le minacce dirette di Instagram e WhatsApp, sia la possibilità che altre piccole aziende con valide proposte si imponessero nel mercato con società che operassero negli stessi ambiti.
La Procura generale di New York e quelle della coalizione degli stati chiedono quindi che nel processo vengano prese decisioni per impedire a Facebook condotte di questo genere in futuro, costringendola a non fare acquisizioni sopra i 10 milioni di dollari (di gran lunga meno del miliardo speso per Instagram e dei 19 miliardi per WhatsApp) senza avvisare prima lo stato di New York o agli altri che l’hanno denunciata. Inoltre chiedono di valutare la possibilità di imporre a Facebook la “cessione o ristrutturazione” di Instagram e WhatsApp o di altre sue attuali attività.
– Leggi anche: Facebook News debutterà a gennaio 2021 nel Regno Unito
Facebook si è difesa attraverso la sua consulente legale Jennifer Newstead, che in un comunicato riportato dal New York Times ha detto che che la cosa più importante in questa causa, e non menzionata dalle 53 pagine di accusa, è che queste acquisizioni sono avvenute ormai anni fa. «Il governo ora vorrebbe che tornassimo indietro, ma così facendo il messaggio che manda alle società americane è che nessuna vendita è mai definitiva». Dopo l’annuncio delle cause legali, le azioni di Facebook sono diminuite del 2%, ora oscillano intorno ai 275 dollari per azione.
FONTE: https://www.ilpost.it/2020/12/10/facebook-denuncia-monopolio/
POLITICA
Biden si prepara a scaricare Conte?
L’elezione di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti ha coinciso con un’accelerazione della fase di criticità nella tenuta dell’esecutivo giallorosso a trazione M5S-Pd. Il governo Conte II, infatti, è stato attraversato nelle ultime settimane da una serie di tensioni interne che stanno facendo venire a galla una realtà di fatto: la legittimazione internazionale di Giuseppe Conte traballa.
E se poco più di un anno fa Donald Trump aveva svolto il ruolo di “levatrice” del governo giallorosso con il tweet a sostegno di “Giuseppi” che aveva spiazzato la Lega e Matteo Salvini, i mesi successivi avevano palesato un ritorno degli Usa alla ricerca dei classici referenti istituzionali a Roma. Nel governo giallorosso sono considerati “atlantisti” di ferro Lorenzo Guerini e Vincenzo Amendola, mentre nel contesto del Copasir il presidente Raffaele Volpi gode del sostegno e della fiducia di Washington. Conte, amico di Trump, non poteva dirsi al contempo un uomo di fiducia degli Stati Uniti, essendo stato il premier che ha firmato il memorandum “cinese” con Xi Jinping e ha cercato legittimazione in quei salotti europei che, specie tra Parigi e Berlino, disegnano strategie alternative a quelle Usa.
Ora, sottolinea Marco Antonellis su Italia Oggi, proprio il ritorno al potere di quei democratici Usa che, sulla carta, sarebbero politicamente più affini al governo giallorosso può fare evolvere le dinamiche italiane. “Washington”, riportano uomini degli apparati di potere romani sentiti da Italia Oggi, “vuole riprendere in mano le sorti del paese, cruciali per gli equilibri europei oltre che per sbarazzarsi dei fantasmi russi e cinesi. In altre parole Joe Biden ha cominciato l’azione di logoramento nei confronti di Giuseppe Conte, ritenuto, dalle parti di Washington troppo amico di Donald Trump“.
Se già tradizionalmente il Partito Democratico è ritenuto un interlocutore più “ortodosso” a Washington rispetto al Movimento Cinque Stelle, tanto che Guerini e Amendola sono proprio esponenti del Nazareno, con l’era Biden l’uomo che più di ogni altro potrà farsi portavoce della de-stabilizzazione del governo Conte sarà Matteo Renzi, che col presidente eletto vanta un rapporto consolidato e, si sussurra, avrebbe un accordo per poter ambire in futuro alla segreteria della Nato. Dall’annuncio della vittoria di Biden, le picconate contro Conte sui principali dossier strategici si sono intensificati, e proprio da Italia Viva sono arrivate diverse bordate su numerose questioni di primo piano. La spinosa tematica del controllo di Conte sull’intelligence, ad esempio, ha visto Renzi e il Pd salire in cattedra contro il premier, che giorno dopo giorno vede sfilacciarsi la sua formula di governo consolidata fondata sulla continua ricerca di compromessi e mediazione.
L’agenda strategica di Joe Biden, ricalcando in larga misura quella di Barack Obama, mira a un ritorno della formula del doppio contenimento di Russia e Cina e a un rilancio del potere di attrazione statunitense nei confronti dell’Europa, da arruolare assieme all’Asia in una riproposizione dell’alleanza su due pilastri di cui, chiaramente, i Paesi dell’Unione rappresentano la componente fondamentale. Strategia complessa e non necessariamente votata al successo, ma che impone agli States di cercare di fare affidamento su alleati e clientes tradizionali. In Italia, dunque, “Giuseppi” rischia di essere di troppo, non fosse altro che per la sua sostanziale assenza di “forma” politica reale. Che può rivelarsi un punto a suo favore sul fronte interno, ma al momento delle grande svolte storiche rischia di renderlo superfluo o politicamente sacrificabile.
La corrispondenza temporale tra l’ascesa di Biden al ruolo di presidente eletto e gli attacchi crescenti alla posizione di Conte nel contesto della maggioranza non va sottovalutata. Conte paga sicuramente errori personali e un’ambizione divenuta, mese dopo mese, sempre più smodata, fattori che ne hanno compromesso la fiducia di cui godeva nei mesi primaverili. Ma il vero nodo è la sua incapacità di cogliere i venti nuovi che la politica internazionale offrirà nei mesi e negli anni a venire. Il punto è capire in che modi e in che termini nei prossimi mesi per gli Usa potrebbe divenire funzionale uno schema governativo diverso o un’uscita di scena dell’attuale premier. La realtà dei fatti è che se di questa svolta dovesse esserci un sentore Biden potrà contare su ben più di un referente italiano che, per sua stessa ammissione, nella corsa in soccorso al vincitore ha ribadito solidi legami col futuro inquilino della Casa Bianca.
FONTE: https://it.insideover.com/politica/biden-si-prepara-a-scaricare-conte.html
SCIENZE TECNOLOGIE
La storia della ricercatrice che accusa Google di censura
MERCOLEDÌ 9 DICEMBRE 2020
Timnit Gebru sostiene di essere stata licenziata per aver scritto uno studio che criticava l’azienda sull’uso dell’intelligenza artificiale
Qualche giorno fa Timnit Gebru, una delle più importanti ricercatrici nel campo dell’etica della tecnologia, che aveva la leadership condivisa del team di etica dell’intelligenza artificiale a Google, ha scritto su Twitter di essere stata licenziata dopo aver scritto assieme ad altri colleghi un articolo accademico in cui si criticano diversi aspetti — etici, tecnici e sociali — dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale.
La notizia ha creato notevole scompiglio nel mondo della tecnologia e della ricerca, sia perché Gebru è una studiosa famosa e rispettata, sia perché le condizioni del suo allontanamento da Google sono state contestate dall’azienda, che sostiene si sia dimessa. In pochi giorni, migliaia di ricercatori da tutto il mondo hanno firmato un appello che esprime solidarietà a Gebru e che accusa Google di censura.
Il dissidio tra Google e Gebru è cominciato a fine novembre, a proposito di un articolo firmato dalla ricercatrice e da altre sei persone, tra cui altri quattro impiegati di Google. L’articolo non è pubblico: è stato scritto per essere presentato a una conferenza a marzo 2021 ed è in corso in questo momento il processo di peer review. Gebru, però, aveva cominciato a farlo circolare tra i suoi colleghi di Google e l’aveva sottoposto a un processo di revisione interna, richiesto da Google per evitare che i suoi dipendenti possano diffondere per errore informazioni sensibili. Di solito questo processo è una formalità, come ha scritto su Twitter un altro ricercatore che lavora per Google: l’azienda controlla le informazioni sensibili, non la qualità accademica del contenuto.
Nel caso di Gebru, però, le cose sono andate diversamente. I suoi superiori le hanno chiesto di ritirare dall’articolo la sua firma e quella degli altri colleghi, senza — sostiene Gebru — fornire una spiegazione valida. Secondo Gebru, c’è stata un po’ di contrattazione, ma da Google hanno insistito sul ritiro della firma. A quel punto Gebru, che ha raccontato la sua versione dei fatti a Wired e a Bloomberg, avrebbe fatto due richieste ai suoi superiori: una spiegazione completa delle ragioni per cui avrebbe dovuto ritirare la firma e garanzie sulle procedure future di approvazione dei paper. Nel caso in cui le sue richieste fossero state accolte avrebbe ritirato la firma, altrimenti avrebbe cominciato i preparativi per lasciare la compagnia.
– Leggi anche: L’enorme causa del governo americano contro Google
Contestualmente, Gebru ha inviato un’altra email a un gruppo interno al team sull’intelligenza artificiale di Google che si chiama «Google Brain Women and Allies», in cui ha descritto la sua frustrazione per il dissidio a proposito dell’articolo e in generale per il trattamento di sufficienza che avrebbe ricevuto in Google. La mail commentava un report prodotto da altri in cui si notava come, durante la pandemia, Google avesse assunto pochissime donne. Gebru scriveva: «Smettetela di scrivere questi documenti perché tanto non fa nessuna differenza». Continuava dicendo che la cultura dentro a Google non fornisce incentivi per assumere donne e minoranze, che «quando cominci a difendere le persone meno rappresentate la tua vita diventa peggiore» in azienda, poi proseguiva descrivendo le sue tribolazioni a proposito dell’articolo che Google le contestava. La lettera è stata pubblicata dalla newsletter Platformer.
Il giorno dopo, sostiene Gebru, Google l’ha licenziata con un’email in cui dice di aver accettato le sue dimissioni — di cui lei aveva parlato, ma che non aveva mai presentato formalmente. Improvvisamente, il suo account aziendale è stato cancellato. Quando Gebru ne ha scritto su Twitter, si è creato un enorme movimento di solidarietà nei suoi confronti, con centinaia e poi migliaia di studiosi e ricercatori — moltissimi interni a Google, tra cui il suo diretto superiore — che le esprimevano solidarietà e condannavano l’azienda. A quel punto è intervenuto Jeff Dean, che è uno scienziato famoso ed è il capo di tutto il settore di ricerca sull’intelligenza artificiale a Google, che ha pubblicato un lungo comunicato in cui dice che Gebru aveva presentato l’articolo per la revisione interna molto tardi, con un solo giorno a disposizione per valutarlo, violando le regole, e soprattutto che l’articolo «non era all’altezza di essere pubblicato» in associazione al nome di Google perché, tra le altre cose, «ignorava troppe ricerche pregresse».
Gebru ha detto ai media che il suo allontanamento è una forma di censura.
Di cosa parlava precisamente l’articolo? Come dicevamo, non è stato pubblicato, ma gli autori hanno consentito alla MIT Technology Review di leggerlo e di scriverne un riassunto. Si intitola «On the Dangers of Stochastic Parrots: Can Language Models Be Too Big?» e fa molte critiche all’utilizzo dei grandi modelli di elaborazione del linguaggio che sono sviluppate da molte aziende che si occupano di intelligenza artificiale, tra cui Google. In pratica, questi modelli sono intelligenze artificiali che vengono addestrate a riconoscere e manipolare il linguaggio naturale usando come base per l’addestramento un’enorme quantità di materiale testuale, che di solito è preso da internet. Questa tecnica ha un enorme successo nell’industria. Per esempio, Google da poco tempo ha cominciato a usare uno di questi modelli di elaborazione del linguaggio (si chiama BERT) nel suo sistema di ricerca: grazie all’intelligenza artificiale, Google riesce a comprendere il linguaggio della chiave di ricerca e a fornire spesso risultati più competenti.
Ma, scrivono Gebru e gli altri, addestrare queste intelligenze artificiali con enormi quantità di testi raccolti da internet può provocare problemi perché a causa della loro mole i testi non possono essere vagliati, ed è probabile che i sistemi siano addestrati con testi sessisti, razzisti e violenti. Questo non significa semplicemente che c’è il rischio (raro) che un modello linguistico dia risposte razziste, ma soprattutto che non riuscirà a tenere conto dei molti avanzamenti nel linguaggio fatti dai movimenti sociali in questi anni. Sia il movimento MeToo sia Black Lives Matter hanno lavorato molto per diffondere un linguaggio meno sessista e razzista: nei modelli di linguaggio addestrati con enormi moli di dati, questi cambiamenti non sono contemplati.
Inoltre l’articolo cita ricerche secondo cui l’addestramento di questi sistemi avrebbe gravi conseguenze sull’ambiente: addestrare un’intelligenza artificiale come BERT produce come minimo tanta CO2 quanto un volo andata e ritorno tra San Francisco e New York. E le intelligenze artificiali sono addestrate e riaddestrate molte volte prima di essere messe a punto. Queste tecniche poi hanno un costo enorme, che avvantaggia le grandi aziende a discapito di quelle piccole, e favorisce la manipolazione del linguaggio, più redditizia, rispetto alla sua comprensione effettiva, più difficile da ottenere.
Insomma, l’articolo, almeno per come è presentato dalla MIT Technology Review, critica duramente uno degli aspetti più efficaci e redditizi del business di Google e di molte altre aziende. Secondo Jeff Dean lo fa ingiustamente, perché ci sarebbero altre ricerche non citate che smentiscono queste tesi (Dean cita in particolare il fatto che l’intelligenza artificiale non produrrebbe così tanta CO2). Gli autori dell’articolo, invece, dicono che la loro bibliografia è ampia e solida.
Gebru è stata difesa anche dall’accusa di aver presentato l’articolo con troppo ritardo: Google Walkout, un gruppo che ha cominciato a sostenerla, ha detto che la maggior parte degli articoli viene presentata a Google con un giorno o meno di preavviso. Anche un ex membro del team di pubbliche relazioni di Google l’ha confermato su Twitter. Google continua a sostenere che Gebru si sarebbe dimessa, ma Google Walkout dice invece che la ricercatrice è stata licenziata.
La vicenda di Gebru ha ricevuto moltissime attenzioni anche perché la ricercatrice è nota e rispettata da anni. Tra i suoi studi più famosi, ce n’è uno estremamente influente pubblicato nel 2018 assieme a Joy Buolamwini a proposito della discriminazione nelle tecnologie di riconoscimento facciale: lo studio mostrava come le intelligenze artificiali riuscissero a riconoscere i volti di maschi bianchi in maniera quasi perfetta, ma sbagliassero in maniera sempre più pronunciata con foto di donne e di persone di colore. Alla fine, i sistemi non riconoscevano le donne nere nel 35 per cento dei casi. Sempre nel 2018, Google la assunse come leader del gruppo di etica dell’intelligenza artificiale.
Un anno fa un’altra nota studiosa dell’etica dell’intelligenza artificiale, Meredith Whittaker, aveva lasciato Google dopo essere stata molto contrastata all’interno dell’azienda per aver organizzato proteste contro i contratti militari di Google e contro le discriminazioni sessuali all’interno dell’azienda. La settimana scorsa, inoltre, il National Labor Relations Board americano, l’agenzia federale che si occupa di questioni del lavoro, ha accusato Google di aver sorvegliato e poi licenziato illecitamente alcuni dipendenti che contestavano la politica dell’azienda e cercavano, tra le altre cose, di formare un sindacato. Google nega tutte le accuse.
FONTE: https://www.ilpost.it/2020/12/09/gebru-google-intelligenza-artificiale/
La storia dei vaccini
Dal momento della sua creazione il vaccino è stato sempre ritenuto fondamentale dal mondo scientifico per debellare le malattie che hanno minacciato l’incolumità della popolazione di tutto il mondo. Secoli di storia quelli del vaccino, con risultati che parlano di eradicazione di virus ma allo stesso tempo caratterizzati da polemiche messe in atto da diversi movimenti contrari alla sua somministrazione all’uomo. Non c’è vaccino nella storia che non sia stato accompagnato da polemiche. Per quale motivo? Che connessioni oggi ci sono con le polemiche sul coronavirus?
Quell’intuizione nell’antica Grecia
Era il 429 a.C. quando la Grecia, durante la guerra del Peloponneso, è stata colpita dalla peste che senza guardare in faccia nessuno ha decimato la popolazione. Non vi era una cura per sopravvivere alla malattia, la medicina allora si muoveva nel buio più totale. Ma una cosa pian piano diveniva sempre più certa agli occhi dello storico Tucidide: chi guariva dalla malattia raramente si ammalava di nuovo e, se accadeva, i sintomi non erano gravi. Grandi passi in avanti sono stati fatti intorno all’anno 1000. Tra la Cina e l’India si era sviluppato un metodo per prevenire il vaiolo. Il sistema si basava sull’estrazione di materia infettiva dalle pustole del malato e nel suo innesto sotto pelle alle persone sane affinché non si ammalassero. Chi si sottoponeva a questo trattamento risultava immune alle forme più gravi del vaiolo. Questa tecnica, chiamata valorizzazione, era da un lato efficace ma allo stesso tempo pericolosa a causa dell’utilizzo del virus umano vivo.
Una forma di vaccinazione che si avvicina alle metodologie più moderne è stata messa in campo con validi risultati nel 1796 dal medico inglese Edward Jenner. La sua sperimentazione, come riportato oggi dal centro nazionale Usa per le informazioni sulla biotecnologia, è partita da un’intuizione: chi lavorava nei campi a stretto contatto con gli animali e contraeva il vaiolo bovino non si ammalava della variante umana che era molto diffusa in città. Per cui, prelevando del materiale infetto da una pustola di vaiolo di bovino da una donna ammalatasi nei campi, ha deciso di iniettarla ad un ragazzo di 8 anni. Dopo i previsti due giorni di febbre il ragazzo non ha avuto altri problemi degni di nota. Alcuni mesi dopo sul giovane è stata iniettata la sostanza infetta proveniente dalla variante umana e non è accaduto nulla. Il vaccino, termine coniato da Jenner e nato dalla parola variolae vaccinae (vaiolo della vacca), da quel momento ha iniziato a muovere i primi passi nel settore della scienza.
L’evoluzione del vaccino
La tecnica messa in atto dall’inglese Edward Jenner ha posto le basi per migliorare e sviluppare la ricerca scientifica contro le malattie infettive. Fino alla prima parte del 1800 i risultati non hanno però dato risposta a quelle che erano le attese contro alcune malattie sviluppatesi in quel periodo. I primi importanti risultati sono invece arrivati nella seconda metà del secolo con gli studi portati avanti dal padre della microbiologia, Louis Pasteur. A raccontare gli aneddoti che hanno condotto a rivoluzionarie scoperte nel settore, è il sito Scienze history: il chimico francese, per combattere diverse infezioni batteriche, ha creato in laboratorio delle colture di bacilli indeboliti ai quali ha dato il nome di vaccini in onore a Edward Jenner. Con questa tecnica ad esempio è stata ottenuta l’immunità contro il virus della rabbia. Ormai era chiaro: per rendere immuni le persone dai virus, occorreva creare delle varietà virali con forza attenuata che avrebbero protetto le persone dalle forme più aggressive di quello stesso virus. Questo ha consentito per tutto il novecento di sviluppare forme sempre più all’avanguardia di vaccini fino ad arrivare ai giorni nostri con diverse malattie sconfitte.
Le polemiche attorno ai vaccini
I “No Vax” non sono una prerogativa di oggi. Spesso quando si parla dei gruppi più critici ai vaccini, si fa riferimento all’avvento dei social e alla diffusione tramite i nuovi mezzi di comunicazione di teorie contrarie all’uso delle terapie immunitarie. In realtà, già dal giorno dopo alla pubblicazione del primo studio di Jeffery il vaccino non ha mancato di suscitare polemiche. E già ad inizio ‘800 più le pratiche vaccinali si diffondevano e più aumentavano i detrattori. Nel libro “Umori. Il fattore umano nella storia delle discipline biomediche”, Luca Borghi, docente della Cattolica, parla di come all’epoca l’idea di inserire materia animale nel corpo umano ha comportato forti resistenze di carattere etico, ideologico e religioso. Nel 1863 invece, in Inghilterra è nata la Societas Universa contra Vaccinum Virus. Un’organizzazione che ha da subito raggruppato centinaia di iscritti e in grado di far pressione per l’eliminazione dell’obbligatorietà dei vaccini anti vaiolo istituita dieci anni prima.
Negli anni oltre alle questioni ideologiche si sono aggiunte anche quelle di natura più tecnica. Una svolta in tal senso si è avuta nel 1998, con la pubblicazione sul The Lancet di uno studio da parte del medico britannico Andrew Wakefield in cui si metteva in correlazione il vaccino con l’insorgenza di casi di autismo nei bambini. Una tesi appoggiata, pochi anni dopo, anche dal premio nobel Luc Montagnier, seppur con non pochi distinguo. Tuttavia tali teorie non sono mai state dimostrate definitivamente. La stessa rivista The Lancet ha ritirato e ritrattato l’articolo di Wakefield. Anche perché quest’ultimo è stato radiato nel 2010 dall’ordine dei medici del Regno Unito a seguito di indagini condotte da un’apposita commissione. Quest’ultima, tra le altre cose, ha confermato un caso di conflitto di interessi che coinvolgeva Wakefield e di cui nel 2004 ha parlato il giornalista Brian Deer nel Sunday Times.
Negli anni ’10 del nuovo secolo le teorie di Wakefield sono comunque tra le più diffuse tra i movimenti contro i vaccini. Ad alimentare le polemiche No Vax sono anche argomentazioni di natura economica. In particolare, la vaccinazione di massa sarebbe, secondo i detrattori, una tecnica innestata per far aumentare i profitti alle più importanti multinazionali farmaceutiche.
Le polemiche sui vaccini nell’era del coronavirus
L’argomento è tornato di stretta attualità con l’insorgere della pandemia da coronavirus tra il 2019 e il 2020. La corsa al vaccino ha ulteriormente estremizzato le polemiche e le divergenze tra sostenitori delle campagne vaccinali e movimenti No Vax. In poche parole, la necessità avvertita in ambito medico e politico di giungere quanto prima a una terapia in grado di immunizzare la popolazione ed evitare la propagazione del Sars Cov 2, ha reso più netto il divario tra le parti. In Italia è emersa una differenza tra alcuni virologi, quali ad esempio Massimo Bassetti, Giorgio Palù o Massimo Clementi, che hanno parlato della necessità di una maggiore sensibilizzazione della popolazione sull’importanza dei vaccini, e altri studiosi, quali tra tutti Andrea Crisanti, che al contrario hanno sostenuto maggiore prudenza.
Dibattiti del genere sono però presenti in buona parte del mondo occidentale. Nei giorni scorsi ha suscitato scalpore un sondaggio condotto in Svezia dove, nonostante l’atteggiamento della popolazione è sempre stato favorevole alla vaccinazione, la maggior parte dei cittadini ha dichiarato di non voler usare il vaccino contro il coronavirus. Oggi come agli albori delle ricerche dunque, la pratica vaccinale continua a far discutere. È tuttavia innegabile il suo ruolo nella storia recente della medicina e non solo: vaiolo e poliomielite sono malattie scomparse o comunque ridimensionate dopo l’avvento dei vaccini. Negli ultimi 200 anni, l’aspettativa di vita è notevolmente aumentata anche grazie al ruolo dei vaccini nel rendere endemici virus un tempo molto più nocivi, quali quelli causa del morbillo o della rosolia.
I vaccini continueranno senza dubbio a far discutere, come dimostrato dalla storia. Al tempo stesso però, dopo il coronavirus ci si potrebbe attendere un ulteriore incremento delle ricerche e delle sperimentazioni.
STORIA
Il “golpe Borghese” non poteva riuscire
MARTEDÌ 8 DICEMBRE 2020
La storia del tentato colpo di stato di estrema destra che avvenne la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, e cosa abbiamo scoperto in questi cinquant’anni
La notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970 a Roma pioveva a dirotto. Sotto la pioggia, un battaglione della guardia forestale e alcuni ex paracadutisti si avviarono in auto verso la sede del ministero dell’Interno, mentre altri uomini si dirigevano verso la sede della Rai di via Teulada e altri ancora verso il ministero della Difesa. Il loro obiettivo era prendere il potere in Italia con un colpo di stato, mettere al bando il Partito Comunista e instaurare un nuovo regime di destra, probabilmente di tipo presidenziale. Tra i loro obiettivi c’erano anche il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e il capo della polizia, Angelo Vicari.
Il piano non fu mai portato a termine, nonostante gli uomini fossero arrivati fin dentro al Viminale, la sede del ministero dell’Interno. Non ci sono informazioni certe su questo passaggio, ma sembra che a un certo punto sia arrivata una telefonata che spinse Junio Valerio Borghese, l’ideatore del colpo di stato, a ordinare di sospendere l’azione e fermare tutto. Circa 200 uomini tra paramilitari, forestali ed ex paracadutisti ripresero quindi le proprie auto e se ne tornarono a casa, sempre sotto la pioggia.
In quei giorni sui giornali non ci fu neanche un articolo su quella breve occupazione del Viminale. Passarono più di tre mesi prima che un quotidiano – Paese Sera – uscisse con la notizia, raccontando di «profonda impressione in Parlamento e nel paese» per la scoperta di un «complotto neofascista», lasciando molte domande aperte. A cinquant’anni da quella notte si può rispondere a qualche domanda in più su quello che sarebbe diventato presto famoso come il “golpe Borghese”.
Prima di tutto, chi era Borghese?
Junio Valerio Borghese aveva 64 anni quando tentò di mettere fine alla Repubblica italiana per come la conosciamo. Figlio di Livio Borghese, principe di Sulmona, nei primi anni Cinquanta era stato presidente del partito neofascista Movimento Sociale Italiano (MSI) e prima ancora comandante della X Flottiglia MAS, vecchio reparto di mezzi d’assalto della marina che tuttora viene celebrato e ricordato da nostalgici e nuovi fascisti.
L’esperienza con l’MSI durò poco, perché Borghese era fortemente legato al suo passato militare e viveva con insofferenza la nuova politica del dopoguerra, fatta di regole e procedure parlamentari. Si interessò quindi a quel mondo che cominciava a formarsi fuori dai palazzi istituzionali, diventando una figura di riferimento per la destra extraparlamentare, cioè quel complesso insieme di gruppi e movimenti che tra gli anni Sessanta e Settanta cercarono di sovvertire l’ordine democratico dell’Italia perseguendo la cosiddetta “strategia della tensione”.
– Leggi anche: Da dove arriva l’estrema destra
L’inizio di questo periodo viene fatto coincidere, per convenzione, con la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969. In breve e in estrema sintesi, i gruppi di estrema destra – come Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale – cercavano di diffondere il panico organizzando attentati terroristici che avevano come obiettivi luoghi molto affollati: stazioni, piazze, uffici. Il loro obiettivo era di far sentire tutti in pericolo, così da giustificare l’adozione dello stato di emergenza, l’introduzione di leggi speciali e in sostanza la fine della democrazia.
Ma l’estrema destra non agiva come un blocco compatto, e infatti Borghese seguì un percorso diverso. Alla fine degli anni Sessanta cominciò a lavorare per costruirsi rapporti con i servizi segreti, con i militari e con l’ambasciata americana: voleva sondare le possibilità di un’eventuale svolta autoritaria in Italia senza passare per stragi e leggi speciali. Fino ad agosto del 1970 non sembravano esserci spiragli per i progetti golpisti di Borghese, ma poi qualcosa cambiò: una combinazione di fattori aumentarono la preoccupazione di alcuni ambienti militari italiani, notata anche dall’ambasciatore statunitense in Italia, Graham Martin, che la riferì al segretario di Stato William Rogers.
Una parte dei vertici militari vedeva con insofferenza i tentativi della Democrazia Cristiana di formare un governo stabile – impresa che nell’estate 1970 sembrava essere ancora più difficile del solito – e temeva che in autunno ci sarebbe stata una seconda ondata di proteste e rivendicazioni sindacali come era successo l’anno prima, durante il cosiddetto “autunno caldo”. Borghese capì quindi che il momento era favorevole.
Quale fu il ruolo degli Stati Uniti?
Il governo dell’allora presidente Richard Nixon sapeva tutto delle attività di Borghese, ma questo non significa che ebbe un ruolo attivo nel tentativo di colpo di stato. Anzi, secondo alcuni storici fu vero il contrario: i documenti inviati dall’ambasciatore Martin a Washington, ormai desecretati, indicano che gli americani erano contrari ai progetti golpisti. Ritenevano, con buone ragioni, che avrebbe sortito effetti controproducenti, provocando un contraccolpo che avrebbe spostato a sinistra il sistema politico, cosa che gli Stati Uniti volevano evitare per impedire al PCI di arrivare al governo.
Gli americani quindi non si opponevano al “golpe Borghese” per ragioni ideologiche o per difendere la tenuta democratica italiana, ma per una semplice questione politica e di opportunità. Martin era un convinto anticomunista, particolarmente attento agli equilibri di potere e poco interessato alla vita mondana, qualità che lo resero particolarmente adatto a tenere sotto osservazione la situazione italiana per conto del governo. Sulla base di cospicue informazioni che non aveva faticato a raccogliere, Martin pensava che il “golpe Borghese” avesse scarsissime probabilità di successo. Cospiratori e informatori lo contattarono con insistenza per cercare l’appoggio americano, ma lui rimase sempre scettico, perché se anche alcuni militari avessero dato il loro appoggio, c’erano parti troppo ampie dell’esercito regolare, della polizia e dei partiti politici che sarebbero insorte.
Come ha scritto la storica Lucrezia Cominelli nel suo libro L’Italia sotto tutela, Martin divenne particolarmente esplicito riguardo alla sua contrarietà al piano quando uno degli informatori gli chiese rassicurazioni sulla guida americana dopo il colpo di stato, dato che a lui sarebbe spettato il ministero degli Esteri: «Questa affermazione mi ha definitivamente convinto che il golpe fallirà», scrive Martin. «Non sono mai stato tanto fortunato da trovare un ministro degli Esteri disposto a farsi guidare da me».
Ciò che però emerge con chiarezza dalle lettere, è che una parte dei vertici e di alcuni settori militari erano inclini a non ritenere la democrazia un valore assoluto. In una lettera indirizzata al segretario di Stato Rogers, Martin scrive:
Abbiamo stabilito una relazione di crescente intimità e fiducia con l’estabilishment militare italiano, che si è dimostrata molto fruttuosa nell’espandere sensibilmente la nostra copertura di intelligence. Ha anche permesso di stabilire una struttura per il loro uso quale ultima risorsa, nel caso una tale soluzione dovesse mai divenire necessaria.
Può essere confortante registrare la mia conclusione che, se il presidente dovesse chiedermi una «soluzione» militare in Italia, sarei ragionevolmente certo di produrne una […].
Quindi cosa andò storto?
Su questo punto della storia si sono fatte tante ipotesi. Quella che circola di più è che il colpo di stato fallì perché il governo americano aveva imposto come condizione che Giulio Andreotti guidasse il governo nel nuovo regime, circostanza venuta meno la notte tra il 7 e l’8 non si sa bene per quale motivo, se per indisponibilità di Andreotti o per l’intervento di qualcuno dall’alto che fece la presunta telefonata.
Non ci sono molte prove a supporto della tesi di un coinvolgimento di Andreotti, se non la testimonianza di Adriano Monti, un medico di Rieti che sostiene di aver fatto da tramite tra i golpisti e l’assistente di Kissinger, allora consigliere per la sicurezza nazionale statunitense. Peraltro questa versione non combacia con quella che emerge dalle lettere inviate e ricevute da Martin: perché il governo americano avrebbe dovuto da un lato ordinare al proprio ambasciatore in Italia di non dare l’appoggio ai golpisti e dall’altro dar loro la benedizione imponendo un candidato presidente?
Una versione più plausibile l’ha data lo storico Giovanni Mario Ceci, che si è occupato a lungo di storia politica italiana e insegna all’Università di Roma Tre. Secondo Ceci a Borghese «mancò un supporto politico tale da permettere che il colpo di stato andasse a buon fine», supporto che doveva necessariamente arrivare da un pezzo della DC e che probabilmente non arrivò mai. La DC infatti era un ostacolo inaggirabile per chiunque volesse prendere il potere in Italia, e senza dubbio sapeva qualcosa dei preparativi per il colpo di stato: lo stesso Martin, una volta che ne venne a conoscenza nell’estate del 1970, suggerì al ministro della Difesa Mario Tanassi di «aggiornare le sue informazioni in merito al principe Borghese».
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Quale sia stato il motivo che spinse Borghese a fermare il suo colpo di stato è una delle domande che ancora rimangono aperte. Uscita la notizia nel 1971, il sostituto procuratore di Roma Claudio Vitalone ordinò l’arresto di sei sospettati del tentato colpo di stato, compreso Borghese. Sulla vicenda indagarono in molti e ci fu un processo con sentenza definitiva emessa dalla Corte d’Assise di Roma nel 1984, che assolse quasi tutti gli imputati: i magistrati accolsero la tesi (sostenuta anche da alcuni storici) secondo cui il “golpe Borghese” fu sostanzialmente un «conciliabolo di quattro o cinque sessantenni». Junio Valerio Borghese non partecipò a nessuna delle udienze, perché poco prima che venisse ordinato il suo arresto fuggì in Spagna. Morì a Cadice il 26 agosto 1974.
FONTE: https://www.ilpost.it/2020/12/08/golpe-borghese/
Diario del genocidio armeno
Anny Romand narra i massacri del 1915 attraverso i ricordi della nonna
Tra il 1915 e il 1916 ebbero luogo le deportazioni e le eliminazioni compiute dall’impero Ottomano, più note come il genocidio degli armeni.
Al pari di tutti i crimini contro l’umanità, anche questo Olocausto ha i suoi negazionisti. La questione è ancora d’attualità, ove si pensi che il governo turco di Erdogan non ammette che vi sia stato il genocidio, mentre in Francia è reato negarne l’esistenza. Sappiamo però per certo che esso costò al popolo armeno un milione e mezzo di morti e fu scatenato dall’ascesa al potere nell’impero ottomano dei «giovani turchi», i quali temevano un’alleanza armena coi nemici russi. Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915, i turchi compirono i primi arresti tra l’élite armena di Costantinopoli. Continuarono nei giorni successivi: in un mese oltre mille intellettuali, tra giornalisti, scrittori, poeti, furono deportati nell’interno dell’Anatolia e massacrati. Il Maggiore Generale dell’impero Ottomano Friedrich Bronsart von Schellendorf, tedesco, è considerato l’iniziatore delle deportazioni. Le sue sinistre «marce della morte» sono la prova generale delle marce della morte naziste.
Esce in questi giorni Mia nonna d’Armenia di Anny Romand, con prefazione di Dacia Maraini e alcune struggenti foto d’epoca (La lepre, pagg. 128, euro 16; trad. Daniele Petruccioli). Riordinando le cose di famiglia, Anny Romand attrice, scrittrice e fotografa ha rinvenuto un diario di settanta pagine, scritto in armeno, francese e greco dalla nonna materna. In esso è descritto il viaggio terribile di un gruppo di donne e bambini armeni, costeggiando l’Eufrate, lungo le strade dell’Anatolia. Una «marcia della morte» raccontata da una vittima sopravvissuta. In quelle scarne paginette, Anny riconosce il racconto della nonna Serpouhi, ascoltato tante volte da piccola, contro il volere della madre. «Mia madre era molto contrariata quando ci trovava in lacrime, una nelle braccia dell’altra: la farai impazzire, questa bambina!».
Nessuno ascolta la nonna, quando racconta. Solo Anny. L’anziana donna nasce in una famiglia armena borghese di Samsun, sul Mar Nero e segue il padre in Palestina, ingegnere. Tornata in patria alla sua morte, è maritata a 15 anni a un turco di Trebisonda. Che si rivela un buon marito e a cui darà quattro figli. Due di questi sono vivi nell’aprile 1915, all’inizio del genocidio. Durante il quale vengono uccisi, prima il marito, poi la figlioletta di quattro mesi. Serpouhi è spinta a forza col figlio di quattro anni in una delle carovane della morte dirette a Sud. Le atrocità cui assiste sono inenarrabili: vede scaraventare nell’Eufrate due carretti pieni di bambini piccoli. Di fronte ai corpicini dei piccoli che annegano e ai carnefici che li guardano con sorrisi sarcastici, scrive in armeno: «Oh Dio mio, ti scongiuro lasciami vivere per vedere quegli infelici vendicati». Decide allora di lasciare suo figlio a una famiglia di sconosciuti contadini, per offrirgli una possibilità di sopravvivenza. Poi, scappa due volte, arriva sul Mar Nero, se ne sta nascosta due anni; va a Costantinopoli. Fa di tutto per ritrovare il figlio. Lo ritrova in un orfanotrofio nell’attuale Georgia.
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