RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
14 OTTOBRE 2021
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
È sempre povero chi desidera.
(Claudiano)
FLORES SENTENTENTIARUM ,Hoepli, 1949, pag. 115
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SOMMARIO
La nascita della biopolitica e l’uomo artificiale
Alcune considerazioni sulla manifestazione No GP di Roma
Amministrative 2021, come funzionano i ballottaggi?
AI FORTI E AI LIBERI
FATTI DEFORMATI
CON DRAGHI E LAMORGESE TORNA LA STRATEGIA DELLA TENSIONE
Scenari di guerra, un nuovo modo per difendere Taiwan
La gioia di resistere
Twitter censura importanti scoperte su Fauci e il coronavirus
Il potere politico di Facebook
Qui per restare. Sul green pass e il suo mondo
Aumenti in un Paese finito
Ripresa, spesa pubblica ed effetti speciali della contabilità nazionale
Si può sciogliere Forza Nuova? Cosa dice la legge Scelba?
LO STIVALE ISLAMICO
Epitrope
SOCIETA’ STERILE
L’IMPERIALISMO COME ULTIMA FASE
L’enigma del 15 ottobre globale
Il fallimento del Libano è stato deliberatamente provocato dall’FMI di Christine Lagarde
Covid-19: la morsa si stringe attorno al dottor Anthony Fauci
MA LA MANIFESTAZIONE ANTIFASCISTA DI SABATO 16 NON DOVREBBE ESSERE ILLEGALE?
Green pass obbligatorio, e Zaia se la fa sotto
QUANDO LA PIAZZA, VIOLENTA, RICORDAVA LA SINISTRA
IN EVIDENZA
La nascita della biopolitica e l’uomo artificiale
Dal cyborg al postumano
Pubblichiamo un estratto dal libro di Antonio Caronia, Dal cyborg al postumano. Biopolitica del corpo artificiale, pubblicato da Meltemi nella collana Culture radicali diretta da Gruppo Ippolita. Il libro è a cura di Loretta Borrelli e Fabio Malagnini, con una Prefazione di Alberto Abruzzese e una Postfazione di Un’Ambigua Utopia n. 10. Quello che segue, in particolare, è il testo di una lezione del corso di Sociologia dei processi culturali, tenuta all’Accademia di Belle arti di Brera il 6 giugno 2010. Insieme a questo testo di Caronia pubblichiamo anche la recensione di Peppe Allegri all’antologia di questo maestro del pensiero radicale.
***
Delineando la prospettiva del passaggio che, in certi momenti, Foucault chiama “dalla sovranità alla biopolitica”, ci sono due frammenti di testo che ci interessano. Nel corso del ’76, che troviamo in Il faut défendre la société, la questione della biopolitica e del biopotere emerge soltanto nell’ultima lezione:
Mi sembra che uno dei fenomeni fondamentali del XIX secolo sia stato ciò che si potrebbe chiamare la presa in carico della vita da parte del potere. Si tratta, per così dire, di una presa di potere sull’uomo in quanto essere vivente, di una sorta di statalizzazione del biologico, o almeno di una tendenza che condurrà verso ciò che si potrebbe chiamare la statalizzazione del biologico. (…) Verranno allora presi in esame gli effetti elementari dell’ambiente geografico, climatico, idrografico, e i problemi ad essi connessi. Quelli delle paludi, ad esempio, o – per tutta la prima metà del xix secolo – quelli delle epidemie legate all’esistenza delle paludi. Verrà inoltre suscitato il problema dello stesso ambiente, ma non in quanto ambiente naturale, bensì come ambiente che in qualche modo ha degli effetti di ritorno sulla popolazione, come ambiente che è stato da essa creato1.
Cominciamo a notare che in questo, come nel corso successivo, esce fuori un concetto nuovo per Foucault che non aveva mai usato prima, quello di ambiente: c’è un ambiente come insieme di elementi naturali nei quali si svolge la vita dell’uomo, un ambiente che non dipendente da lui, dove si trova ad operare, e c’è un ambiente invece che viene creato dagli uomini in quanto popolazione, cioè in quanto aggregati di esseri umani. È interessante il commento che fa lui stesso:
Si tratta, per l’essenziale, di quello che diventerà il problema della città2.
Quindi la città è l’esempio più tipico di un ambiente artificiale creato dall’uomo.
Io credo che in tutto ciò vi sia un certo numero di cose abbastanza rilevanti.
La prima è questa: l’apparizione di un elemento – stavo per dire di un personaggio – nuovo, che né la teoria del diritto, né la pratica disciplinare, conoscono. La teoria del diritto, in fondo, non conosceva altro che l’individuo e la società: l’individuo contraente e il corpo sociale costituito attraverso il contratto volontario o implicito degli individui. Da parte loro, le discipline avevano a che fare praticamente solo con l’individuo e con il suo corpo. In questa nuova tecnologia di potere, invece, non si ha propriamente a che fare con la società (o comunque con il corpo sociale definito dai giuristi), e neppure con l’individuo-corpo3.
Capite che Foucault per “popolazione” non intende la società. La società è già un aggregato, è già un corpo sociale in quanto tale, formato da individui ma che si può leggere come un tutto unitario. Una popolazione invece non si può leggere come un tutto unitario. Gli effetti sulla popolazione quando si tratta di un discorso statistico – misurare quante persone muoiono in una certa classe di età in un certo periodo di tempo; misurare che relazione c’è tra l’insorgere di certe malattie e la morte; misurare la relazione che c’è tra certe condizioni ambientali e lo stato di salute – si esplicano su singoli corpi, sui singoli individui ma si misurano in maniera ampia. Quindi popolazione è un termine intermedio tra quello di individuo e di società, non è la società che è un tutto unico e non è l’individuo che è solo. Foucault dice è un corpo molteplice, un corpo con una quantità.
In Sécurité, territoire, population, di due anni dopo, invece, Foucault scrive:
Diciamo allora, per riassumere, che la sovranità “capitalizza” un territorio4;
Nella sovranità abbiamo a che fare con un territorio. La popolazione non è ancora emersa, non è presente quando si fa il discorso della sovranità e Foucault pone come problema decisivo la sede del governo. Dove sta il governo di questo territorio? Nel luogo in cui ha sede il sovrano, da quel luogo egli esercita il suo potere e la sua preoccupazione principale è mantenere integro quel territorio. Gli interessa poco di quello che succede alla popolazione che ci sta dentro. La sovranità capitalizza un territorio e la disciplina cosa fa?
la disciplina dà forma architettonica a uno spazio e pone come problema essenziale una distribuzione gerarchica e funzionale degli elementi5;
Per fare della disciplina bisogna avere a disposizione uno spazio chiuso antropizzato e umanizzato: una stanza con delle sedie in cui far sedere gli studenti e tenerli lì per cinque giorni la settimana; una chiesa dove far pregare le persone, l’inginocchiatoio per tenerli in ginocchio o farli alzare o sedere a seconda di quello che fa il prete nella messa. La disciplina senza un’architettura non si riesce ad esplicare. Non basta più per la disciplina che ci sia il sovrano e il suddito, tra il sovrano e il suddito ci sono le figure intermedie: c’è il maestro, c’è il direttore della scuola, l’impiegato comunale, il prete, il carceriere, il medico, l’infermiere. Ci sono delle gerarchie. È molto più articolata una dimensione disciplinare da una dimensione puramente sovrana.
Nella sovranità ci sono solo sovrano e suddito, nella disciplina c’è una forma architettonica e una gerarchia di personaggi.
la sicurezza cerca invece di strutturare un ambiente in funzione di serie di eventi o elementi possibili che occorre regolare in un quadro polivalente e trasformabile6.
La sicurezza cerca di strutturare un ambiente, è un ambiente. Mentre la sovranità ha a che fare con un territorio e la disciplina ha a che fare con un’architettura, la sicurezza e il controllo hanno a che fare con l’ambiente. Strutturato in funzione di che cosa? Di una serie di eventi o di elementi possibili. La sicurezza lavora sugli eventi, fa succedere qualcosa. Anche la disciplina fa succedere qualcosa ma soltanto come risultato finale di una lunga serie di addestramenti: io ti addestro a stare fermo ad ascoltare, dopo un po’ ti ho trasformato in una macchina, in un robot ma non c’è nessun evento. I meccanismi di sicurezza e di controllo invece generano eventi. C’è un’epidemia, un’endemia? Io ti sottraggo a questa endemia, assicuro il tuo corpo contro la scarlattina, contro la difterite, ti convinco a farti visitare regolarmente in funzione di una certa patologia. Sono degli eventi che accadono in continuazione, strutturati, collegati tra loro.
La dimensione della sicurezza rinvia perciò a eventi possibili, a ciò che è temporaneo e aleatorio, e che bisogna iscrivere in uno spazio dato. Lo spazio in cui si svolgono serie di eventi aleatori corrisponde, credo, a ciò che è definito ambiente. Nella nozione di ambiente il problema fondamentale riguarda la circolazione e la causalità7.
Che cos’è l’ambiente in fisica? È ciò che serve a spiegare l’azione a distanza di un corpo su un altro. È il supporto e l’elemento di circolazione di un’azione. L’ambiente è lo spazio in cui il sole esercita l’attrazione gravitazionale sulla terra, questo è l’ambiente in fisica. I corpi possono circolare nell’ambiente ed esercitano un influsso su altri corpi facendo in modo che a certe cause corrispondono certi effetti.
I dispositivi di sicurezza elaborano, fabbricano, organizzano, pianificano un ambiente ancor prima che la nozione si sia formata e definita. L’ambiente sarà esattamente ciò in cui avviene la circolazione8.
Il problema della circolazione è esattamente lo stesso presupposto dai Fisiocrati quando dicevano di lasciare circolare le merci se c’era una carestia. Per Foucault non sono solo le merci che circolano ma anche gli effetti sociali. È a questo livello che operano i dispositivi di controllo e di sicurezza. Per poter controllare, le cose devono comunque succedere, se io le blocco prima perché ho messo in atto un blocco disciplinare non posso controllare nulla. È diverso il modo in cui controllo un carcerato dal modo in cui controllo un libero cittadino:
L’ambiente è un insieme di elementi naturali come fiumi, paludi, colline; è un insieme di elementi artificiali, come agglomerazioni di individui, di abitazioni ecc. Consiste in un certo numero di effetti di massa che coinvolgono tutti coloro che vi risiedono. Esso rappresenta l’elemento al cui interno si realizza una sorta di cortocircuito tra gli effetti e le cause, perché ciò che è effetto da un lato diverrà causa dall’altro. Per esempio, più c’è addensamento, più ci saranno miasmi e quindi malati9.
C’è una catena di cause che diventano effetti, questi effetti a loro volta diventano cause di altre cose. Una catena causale. Questo avviene sempre dentro a un ambiente.
L’ambiente perciò rende conto del fenomeno di circolazione delle causa e degli effetti10.
Poi certo si possono chiamare merci, popolazioni, persone, idee ma sono sempre cose che causano eventi o elementi che causano altri eventi. Quindi quello che circola in uno stato sociale sono sicuramente le cause e gli effetti.
e si delinea infine come un campo di intervento in cui, anziché trattare gli individui come insieme di soggetti di diritto capaci di azioni volontarie, come nel caso della sovranità, o come molteplicità di organismi, come corpi pronti a eseguire le prestazioni richieste, come nel caso della disciplina, occorrerà trattarli invece come una popolazione, cioè come un complesso di individui profondamente, essenzialmente, biologicamente legati alla materialità in cui esistono. L’ambiente designa quella zona di interferenza tra gli eventi prodotti da individui, popolazioni e gruppi, e gli eventi quasi naturali che accadono attorno a essi11.
Gli eventi prodotti da individui, popolazioni e gruppi interferiscono con gli eventi quasi naturali che avvengono intorno a loro. L’evento malattia che si produce in certi settori di popolazione genera l’evento morte. L’evento morte con l’apparizione di un cadavere genera l’evento putrefazione che ha come effetto la produzione di miasmi, esalazioni che sono cause di nuovi effetti, di nuove malattie. Quindi c’è un’interferenza tra gli elementi naturali e quelli artificiali dell’ambiente.
Il problema tecnico posto dalla città mostra l’irruzione del problema della naturalità della specie umana all’interno di un ambiente artificiale12.
C’è un ambiente artificiale, cioè uno spazio strutturato dagli esseri umani con edifici, funzioni, densità di abitanti e dentro a questo ambiente artificiale c’è la natura degli esseri umani, cioè la predisposizione del corpo degli uomini a fare certe cose che interferisce con gli elementi artificiali che ha creato l’essere umano.
Foucault cita, “quello che è stato senza dubbio il primo grande teorico di ciò che potremmo chiamare la biopolitica o il biopotere”13, cioè Mobeau, da Recherches et considérations sur la population de la France (Ricerche e considerazioni sulla popolazione della Francia, 1778):
“Dipende dal governo se cambia la temperatura dell’aria e il clima migliora; le acque stagnanti che defluiscono, le foreste piantate o bruciate, le montagne distrutte dal tempo o dalla cultura intensiva formano un suolo e un clima nuovi. […] Se il principio sconosciuto che forma il carattere e gli spiriti dipende dal clima, dai principi alimentari, dagli usi, dalle abitudini a certe azioni, si può dire che i sovrani attraverso menti salde e istituzioni utili, la soppressione delle imposte che moltiplicano le capacità umane e infine attraverso l’esempio che si stessi danno governano l’esistenza fisica e morale dei loro sudditi”.
Come potete vedere, ritroviamo qui il problema del sovrano, che però non è più colui che esercita il potere su un territorio a partire da una localizzazione geografica della sua sovranità politica. Il sovrano ora è un’entità inseparabile dalla natura, si situa al punto di interferenza, di implicazione perpetua tra un ambiente geografico, climatico, fisico ecc. e la specie umana, dotata di un corpo e di un’anima, di un’esistenza fisica e morale. Il sovrano è chiamato a esercitare il proprio potere nel punto di articolazione in cui la natura, intesa come elementi fisici, interferisce con la natura intesa come specie umana14;
La natura nel senso dell’ambiente in cui noi siamo immersi è una cosa e la natura umana è una cosa totalmente diversa, potremmo sempre chiamarla natura ma la natura umana consiste in quell’insieme di potenzialità, di attitudini al cambiamento, all’interferenza, alla rappresentazione, alla simbolizzazione e alla costruzione di doppi di questa cosiddetta “natura” che poi influiscono anche sulla natura stessa. È proprio a tale snodo che il sovrano è chiamato ad intervenire, se vuole cambiare la specie umana come dice Foucault deve agire sull’ambiente.
Proviamo a dire cose simili con un linguaggio diverso. Come potremmo definire la biopolitica in un altro modo? Potremmo dire che da un lato la sovranità, la legge e la disciplina danno per scontata l’esistenza della natura e non intendono cambiarla, non intendono interferire con i meccanismi più profondi di questa natura, ivi compresa la natura umana. Danno per scontato che l’uomo sia cattivo, che l’uomo sia malvagio, che qualunque individuo voglia prendere il posto del sovrano, e quindi proteggeranno il sovrano. Non si mettono in testa di cambiare la natura dell’assassino, del maniaco sessuale o del bestemmiatore, si limitano a rinchiuderlo in una galera e semmai a dargli un addestramento fisico per cui il suo comportamento esteriore si conformi a certe regole e a certi modelli, ma non intendono interferire nella natura perché giudicano fondamentalmente la natura un dato, qualcosa di esterno, di immodificabile, a cui l’uomo deve adeguarsi. Sovranità, legge, disciplina rappresentano semplicemente dei meccanismi di adeguamento, di obbedienza dell’uomo a una dimensione naturale esterna data per immodificabile.
Il punto di vista della biopolitica è fondamentalmente diverso. Quando io vacino una popolazione è perché sono convinto che posso sconfiggere il vaiolo. Posso cambiare il vaiolo, posso cambiare la natura. Posso determinare la scomparsa di qualcosa che la natura mi ha portato. Ho elaborato delle tecniche che sono insieme mediche, sociali e politiche, tecniche specialistiche. Ho elaborato un sapere.
Attenzione a questo sapere però! ll fatto che io sappia che esiste una cosa che si chiama vaccino con cui posso vaccinare il vaiolo non serve a nulla se io non ho dei meccanismi che inducono o costringono o convincono la popolazione a farsi vaccinare.
Allora ecco qui due cose fondamentali. Il primo elemento è che un atteggiamento biopolitico ha come presupposto un’ipotesi di modificabilità della natura. Si può agire sui dispositivi, sui meccanismi della natura. La natura non è più come nel pensiero pre-biopolitico sovranista, giuridico, disciplinare, la natura non è più qualcosa di dato una volta per tutte, di non modificabile. La natura è qualcosa che può essere modificata dall’azione dell’uomo. Ecco il senso in cui l’ambiguità del termine diventa ricca. La natura umana è qualcosa che può modificare la natura. Cosa importa a questo livello che si riconosca la natura umana come un segmento della natura in generale in senso materialista o che la si definisca in senso cartesiano come la spiritualità o la res cogitans? Poco importa, sta di fatto che sono tutti e due meccanismi naturali, ma una di queste due nature può influire sull’altra, e influendo sull’altra modifica il comportamento dell’uomo stesso, in modo ben più profondo di quanto facevano i dispositivi precedenti, perché dà luogo a comportamenti. È la prima conseguenza di una visione foucaultiana della biopolitica che può essere utile per uno studio sugli esseri umani, sulle repliche degli esseri umani o sulla loro artificializzazione.
Il secondo elemento fondamentale è che i dispositivi biopolitici presuppongono un’implicazione reciproca e un intreccio di sapere e di potere quale mai si era visto nelle società precedenti. Il sapere che non diventa potere è inefficace, è come se non si sapesse nulla: non mi importa di sapere che è un certo microrganismo genera la difterite o il morbillo se non sono in grado di agire su quello; e non mi importa di avere trovato il meccanismo astratto attraverso il quale una certa azione, una certa sostanza opera su un’altra se non ho il potere di fare in modo che la popolazione mi segua. Attenzione, il dispositivo “sapere/potere” è abbastanza elastico da poter tollerare entro certi limiti delle diserzioni. È tollerabile che ci siano i Testimoni di Geova che non vogliano fare le trasfusioni o che non vogliono vaccinare i propri bambini o anche che ci sia – è già più pericoloso – un’opposizione di élite culturale che non voglia vaccinarsi, che ha altre idee sulla medicina, purché questo non mi influenzi i grandi numeri, purché il 90% della popolazione si vaccini comunque.
Quindi c’è permeabilità, influenzabilità dei processi naturali, detto in altri termini, c’è artificializzazione della vita; dai primi vaccini di Pasteur alle biotecnologie, c’è stato un cambiamento quantitativo di grande importanza ma c’era già allora l’idea che la natura fosse modificabile. È una cosa che durante le pesti fino al Seicento nessuno avrebbe pensato. Si potevano solo contenere gli effetti, mettere in un Lazzaretto i malati ma il meccanismo in quanto tale dell’epidemia era immodificabile.
Questo è di importanza fondamentale. Non c’è una vera possibilità di replica degli esseri umani, né di costruzione di esseri umani artificiali, né la possibilità di tecnologizzare il corpo, e quindi di ottenere il cyborg, senza questo atteggiamento di fondo. L’insistenza di Foucault della copia naturale/artificiale indicano che il tema della artificializzazione del corpo è un tema implicitamente foucaultiano: l’irruzione della naturalità della specie umana all’interno dell’ambiente artificiale.
La conclusione è che credo sia possibile utilizzare delle categorie foucaultiane nello studio degli uomini artificiali come elementi dell’immaginario, come elementi della quotidianità o della contemporaneità tecnoscientifica, in primo luogo perché le condizioni di apparizione di queste figure sono esattamente le stesse o molto simili a quelle che ripetutamente Foucault enumera per la nascita della biopolitica. Quindi possiamo interpretare l’androide e il robot come delle nascenti figure di biopolitica, come potenziali personaggi biopolitici.
Ma c’è un secondo elemento: le figure del robot, dell’androide, del cyborg in realtà sono elementi biopolitici anche perché sono essenzialmente figure di interferenza tra il sapere e il potere, a partire dagli automi di Hoffman e da Frankenstein, per non parlare di tutte le altre successive fino ai romanzi di Dick e di Gibson. Gli uomini artificiali, replicati o invasi, sono l’effetto di un dispositivo di sapere, sono l’effetto di un certo insieme di conoscenze tecno-scientifiche che sono diventate tali o perché erano all’interno di meccanismi di potere, o perché qualcuno aveva autorizzato la replica di quei corpi, la trasformazione di un corpo umano in un cyborg. O hanno un’autorizzazione, fanno già parte di una zona protetta della società, di un circuito di potere, oppure sono dei fuorilegge, e quindi hanno infranto un quadro normativo di potere precedente, per appropriarsi di qualche cosa che non sarebbe loro spettato e, in questo modo, hanno interferito con gli usuali meccanismi di potere. In maniera ufficiale, legittima, autorizzata o in maniera ufficiosa, non ufficiale, illegittima, illegale hanno fruito di questo intreccio tra il sapere e il potere; cioè si sono situati a un certo livello di potere, utilizzando un certo livello di sapere e determinando a questo punto nuove configurazioni dei livelli di potere all’interno della società. Potete leggere qualsiasi romanzo di Gibson o di Dick o di Asimov sugli automi e sui cyborg in questo modo, se volete. Sia che il cyborg o il robot entri in scena come tale, sia che assistiamo alla sua creazione, otterremo l’effetto di un dispositivo biopolitico e avremo la predisposizione potenziale di certi effetti della sua comparsa sugli stessi dispositivi biopolitici.
Quindi, per entrambe queste ragioni, si potrebbe fare uno studio biopolitico dell’uomo artificiale inteso come effetto o figura privilegiata di un processo di artificializzazione della natura di cui la biopolitica è una delle componenti. Secondariamente, non perché sia meno importante, si potrebbe fare questo studio perché all’interno di queste figure si esprime un’articolazione degli effetti di potere dei dispositivi conoscitivi, quindi del sapere di una certa società, e reciprocamente degli effetti degli aumenti di sapere che certe pratiche di potere portano con sé.
Entro certi limiti potremmo anche sostenere che ogni personaggio di un romanzo di fantascienza, anche se è un essere umano, è in qualche modo un robot o un cyborg; potremmo sostenere che la figura dell’uomo artificiale in realtà una figura paradigmatica e dal momento in cui Olympia o Frankenstein sono entrati sulla scena dell’immaginario hanno robotizzato o cyborgizzato tendenzialmente anche tutti gli altri personaggi, umani compresi.
Nel momento in cui è possibile alterare il genoma di un altro essere umano noi diventiamo tutti cyborg genetici anche se nessuno ha alterato il nostro DNA, come l’apparizione della scrittura ha reso tutti letterati anche gli analfabeti. Quando è apparsa la scrittura non era importante quante persone scrivevano, bastava una minoranza di persone capaci di leggere e di scrivere perché quel dispositivo sociale diventasse un dispositivo centrale, creando condizioni nuove nei termini di tutta la società, sia per chi era letterato e sia per chi non lo era. Analogamente, potremmo dire che, da un certo punto di vista, non ci sono più uomini naturali una volta che è comparso l’artificio all’orizzonte della specie umana.
La formulazione che Foucault usa all’inizio di Sécurité, Territoire, Population – l’irruzione della naturalità della specie umana all’interno dell’ambiente artificiale – potrebbe essere completata o corretta in questo modo: “l’irruzione della naturalità della specie umana all’interno dell’ambiente artificiale determina l’artificialità della stessa natura umana, la trasformazione artificiale della stessa natura umana”.
Nel momento in cui la natura umana si dichiara capace della creazione, della interazione tra sé stessa e un ambiente naturale automaticamente dimostra che non è più natura nel senso di un dato immodificabile. Possiamo pure continuare a chiamarla natura ma dobbiamo definirla come natura manipolabile e modificabile, come è diventato modificabile il nostro Dna oggi. Possiamo pure continuare a chiamarla natura ma è una natura che è diversa dalla natura quale è stata fino alla soglia della sua modificabilità.
Il merito di Foucault è stato probabilmente quello di retrodatare questa soglia e di farci capire che i prodromi e le precondizioni per l’esplosione tecnologica del XX secolo erano stati già posti nel corso del XVIII e all’inizio del XIX con la nascita della biopolitica, cioè con l’apparizione di un insieme di tecniche di governo della popolazione che non davano più per immodificabile il dato naturale, che già configuravano opzioni e possibilità di intervento sul comportamento biologico, sulla biologia delle popolazioni. Ciò che era, o che appariva, in linea di definizione ingovernabile a un certo punto diventa governabile. Questo vuol dire la biopolitica: vuol dire che è stato reso governabile l’ingovernabile.
NOTE
↩1 M. Foucault, Bisogna difendere la società, Feltrinelli 2009, pp. 206-211.
↩2 Ibidem
↩3 Ibidem
↩4 M. Foucault, Sicurezza, territorio e popolazione, Feltrinelli 2005, p. 29
↩5 Ibidem
↩6 Ibidem
↩7 Ibidem
↩8 Ibidem
↩9 Ibidem
↩10 Ibidem
↩11 Ibidem
↩12 Ibidem
↩13 Ivi p.31
↩14 Ibidem
FONTE: https://operavivamagazine.org/la-nascita-della-biopolitica-e-luomo-artificiale/
Alcune considerazioni sulla manifestazione No GP di Roma
di Andrea Zhok
Le pagine dei giornali e le aperture dei telegiornali presentano la manifestazione di contestazione del certificato verde svoltasi ieri a Roma in maniera – non inaspettatamente – uniforme. La lettura complessiva è riassumibile nella frase: “I Novax-No Green Pass sono egemonizzati dalla destra neofascista”.
Ora, stendiamo un pietoso velo sulla perfetta malafede con cui si è applicato e si continua ad applicare il termine “No Vax” ai contestatori del Green Pass (gente di norma plurivaccinata, spesso anche con i prodotti anti-Covid). I giochini distorsivi della semantica sono più o meno l’ultima forma di autonomia creativa rimasta al giornalismo italiano, che per il resto esegue.
No, lasciamo da parte questo fatto e veniamo alla manifestazione, agli eventi che vi sono occorsi e all’interpretazione che se ne può dare.
Nella manifestazione di ieri la stragrande maggioranza delle persone (almeno 80.000, per la questura 36 e un Rottweiler) si sono attenute strettamente alle condizioni di manifestazione. Ci sono stati numerosi blocchi a monte da parte della polizia, che hanno reso arduo, e ad alcuni impossibile, l’accesso alla piazza, ma comunque la manifestazione stessa è stata imponente, in ulteriore crescita rispetto alle precedenti.
Due gruppi non si sono attenuti a quanto pattuito in termini di percorso. Un gruppo, abbastanza numeroso, si è diretto verso Montecitorio, l’altro, circa una ventina di energumeni neofascisti ha attaccato il pianterreno di una sede della CGIL.
Il primo gruppo, formato da manifestanti pacifici, con in testa un gruppo di madri, è stato bloccato con idranti, lacrimogeni e manganelli.
Non risultano agli atti simili esibizioni di fermezza nei confronti del gruppo neofascista, che ha potuto proseguire nella sua devastazione a beneficio delle telecamere.
I giornali odierni sono dedicati integralmente alle vicende del secondo gruppo, delle sorti del primo non è pervenuto nulla o quasi.
Bene.
Veniamo alla questione della “egemonizzazione del movimento da parte della destra neofascista.”
Da quando ho memoria politica, praticamente qualunque manifestazione di massa che non fosse organizzata da partiti o sindacati ha presentato qualche episodio di violenza. Anche in presenza di un servizio d’ordine organizzato è molto difficile tenere alla larga infiltrazioni di qualche soggetto violento; in manifestazioni spontanee auto-organizzate questo è semplicemente impossibile. D’altro canto, invero, a sorvegliare e reprimere atti di violenza dovrebbero essere le forze dell’ordine, che a ciò sono deputate, non servizi d’ordine indipendenti.
Che il “Movimento No Green Pass” sia egemonizzato dalla destra neofascista è un’asserzione ridicola a chiunque si sia preso la briga di vederne le ragioni e di andare al di là delle strumentalizzazioni giornalistiche.
Ciò che però non finisce di sorprendere è la facilità con cui questo gioco con l’opinione pubblica – sempre uguale, sempre monotonamente lo stesso – riesce sistematicamente. Non c’è episodio di protesta civile che non sia stato etichettato come o temibilmente anarchico o temibilmente neofascista, sulla scorta delle escandescenze dell’occasionale minoranza esagitata. Dipende poi dall’uniformità o meno dell’apparato mediatico se magnificare questa lettura o meno.
Questo gioco conduce tipicamente alla creazione di discredito prima, e alla legittimazione della repressione poi. Furono le scorrerie libere dei black bloc (anarchici) a giustificare la mattanza di Genova. Solo uno straordinario livello di ingenuità potrebbe far ritenere, o avrebbe potuto far ritenere al tempo, che il movimento No Global di quegli anni coincidesse con, o fosse egemonizzato da, gli anarcoinsurrezionalisti. Tuttavia di norma il gioco funziona quanto basta per spegnere gli entusiasmi e far capire che manifestando da una certa parte si rischia.
Di questa vicenda colpisce infine, e soprattutto, una cosa. Il suo formidabile tempismo.
La contestazione del certificato verde – certificato la cui natura sproporzionata e incongrua alle finalità dichiarate dovrebbe essere oramai chiara a tutti – è andata costantemente crescendo nelle ultime settimane.
Questa era l’ultima manifestazione nazionale prima dello sciopero dichiarato a partire dal 15 ottobre, in occasione dell’estensione del GP all’intero mondo del lavoro. Settori lavorativi strategici del paese hanno annunciato l’adesione allo sciopero.
Già molti presidenti di regione hanno fatto presente al presidente del consiglio come ci si trovi di fronte ad un possibile blocco delle attività che risulterebbe insostenibile.
Nei giorni scorsi autorevoli audizioni al Senato presso la commissione Affari Costituzionali hanno piallato senza remissione le motivazioni scientifiche sbandierate a supporto del GP.
Per il presidente Draghi l’incubo di una capitolazione, che incenerirebbe le proprie ambizioni alla presidenza della Repubblica, si profilava all’orizzonte.
Ed ecco che in questo contesto preoccupante, dove il rischio di un’unificazione trasversale del mondo del lavoro è dietro l’angolo, scende luminosa in scena la Provvidenza.
La Provvidenza prende qui la forma di una ventina di ultras neofascisti che vanno ad attaccare proprio la sede del maggior sindacato italiano.
A questo punto l’identificazione, reiteratamente tentata in precedenza, della contestazione al GP con la minaccia fascista è servita su un piatto d’argento.
A questo punto i lavoratori che prossimamente potrebbero aderire allo sciopero, spesso in settori sindacalizzati fieramente antifascisti, possono essere additati come fiancheggiatori del fascismo.
Un colpo durissimo alla vigilia del momento decisivo di questa vicenda.
Non c’è che dire, la Provvidenza in Italia funziona sempre benissimo.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/21347-andrea-zhok-alcune-considerazioni-sulla-manifestazione-no-gp-di-roma.html
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Amministrative 2021, come funzionano i ballottaggi?
Al voto per i ballottaggi città di primaria grandezza, tra cui: tre capoluoghi di Regione – Roma, Torino e Trieste e sei capoluoghi di provincia: Benevento, Caserta, Isernia, Latina, Savona e Varese
Si terranno domenica 17 e lunedì 18 ottobre 2021 i ballottaggi per l’elezione dei sindaci nei comuni delle regioni a statuto ordinario con popolazione superiore a 15.000 abitanti senza candidati capaci di superare, al primo turno, il 50% più uno delle preferenze espresse dal corpo elettorale. Al turno di ballottaggio “sono ammessi i due candidati alla carica di sindaco che hanno ottenuto al primo turno il maggior numero di voti”, mentre a vincere al secondo turno è “il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti validi”.
Al voto città di primaria grandezza, tra cui: tre capoluoghi di Regione – Roma, Torino e Trieste e sei capoluoghi di provincia: Benevento, Caserta, Isernia, Latina, Savona e Varese.
CHI PUÒ VOTARE AI BALLOTTAGGI
Per votare ai ballottaggi del 17 e lunedì 18 ottobre 2021 è necessario aver compiuto 18 anni e recarsi di persona presso la sezione elettorale del comune nelle cui liste si è iscritti.
I documenti di identità da presentare al momento del voto sono quelli ricompresi in una delle tre seguenti categorie:
- a) carta d’identità o altro documento d’identificazione munito di fotografia, rilasciato dalla pubblica amministrazione, anche se scaduto, purché sia sotto ogni altro aspetto regolare ad assicuri l’identificazione dell’elettore;
- b) tessera di riconoscimento rilasciata dall’Unione nazionale ufficiali in congedo d’Italia, purché munita di fotografia e convalidata da un Comando militare;
- c) tessera di riconoscimento rilasciata da un ordine professionale, purché munita di fotografia.
Sulla tessera elettorale è indicato il numero e l’indirizzo del seggio in cui andare a votare. Se prima dell’elezione si dovesse ricevere un tagliando di aggiornamento dell’indirizzo del seggio, questo dovrà essere applicarlo sulla tessera e ci si dovrà recare nel luogo indicato da quest’ultimo. Se l’indirizzo riportato sulla tessera non coincide con quello di effettiva residenza, è necessario contattare telefonicamente l’Ufficio elettorale.
La legge prevede modalità speciali per militari delle forze armate e forze dell’ordine che possono esercitare il diritto di voto in qualsiasi sezione del comune in cui si trovano per lavoro; componenti dei seggi, rappresentanti dei partiti o dei gruppi politici presenti in parlamento che sono ammessi a votare nella sezione presso la quale esercitano il loro ufficio; ricoverati in ospedali e case di cura che possono votare nel luogo di ricovero; detenuti ammessi a esercitare il diritto di voto nel luogo di reclusione; marittimi e aviatori che possono votare in qualsiasi sezione del comune nel quale si trovano per motivi d’imbarco.
COM’È LA SCHEDA DEI BALLOTTAGGI?
Per i candidati ammessi ai ballottaggi rimangono fermi i collegamenti con le liste per l’elezione del consiglio dichiarati al primo turno. I candidati ammessi al ballottaggio hanno tuttavia facoltà, entro sette giorni dalla prima votazione, di dichiarare il collegamento con ulteriori liste rispetto a quelle con cui è stato effettuato il collegamento nel primo turno. Tutte le dichiarazioni di collegamento hanno efficacia solo se convergenti con analoghe dichiarazioni rese dai delegati delle liste interessate.
La scheda per il ballottaggio comprende il nome e il cognome dei candidati alla carica di sindaco, scritti entro l’apposito rettangolo, sotto il quale sono riprodotti i simboli delle liste collegate. Il voto si esprime tracciando un segno sul rettangolo entro il quale è scritto il nome del candidato prescelto.
COME VOTANO I POSITIVI AL COVID?
Gli elettori ricoverati nei reparti COVID delle strutture sanitarie possono votare se sono elettori del comune in cui è ubicata la struttura sanitaria e purché l’ospedale in cui sono degenti abbia almeno 100 posti letto. Se invece sono ricoverati in strutture con meno di 100 posti letto, il loro voto viene raccolto da appositi seggi speciali.
Gli elettori positivi al COVID-19 che sono sottoposti a trattamento domiciliare o in condizioni di quarantena o di isolamento fiduciario possono votare per le elezioni comunali facendo pervenire al sindaco del comune nelle cui liste sono iscritti, in un periodo compreso tra il 10° e il 5° giorno antecedente quello della votazione:
a) una dichiarazione attestante la volontà di esprimere il voto presso il proprio domicilio e recante l’indirizzo completo di questo;
b) un certificato, rilasciato dal funzionario medico designato dalla ASL, in data non anteriore al 14° giorno antecedente la data della votazione, che attesti l’esistenza delle condizioni predette.
Il loro voto è raccolto in appositi seggi speciali.
È POSSIBILE RIPETERE IL VOTO IN CASO DI SBAGLI?
Sì, secondo la più recente giurisprudenza, l’elettore che si rende conto di aver sbagliato nel votare può chiedere al presidente del seggio di sostituire la scheda stessa, potendo esprimere nuovamente il proprio voto.
A tal fine, il presidente gli consegnerà una nuova scheda, inserendo quella sostituita tra le schede deteriorate.
FONTE: https://www.policymakermag.it/italia/amministrative-2021-come-funzionano-i-ballottaggi/
BELPAESE DA SALVARE
AI FORTI E AI LIBERI
AUGUSTO SINAGRA 10 10 2021
FATTI DEFORMATI
(da Weltanshauung Italia) – Patrizio Micoletti 10 10 2021
In merito alla manifestazione di Roma di ieri, in tanti ci hanno riferito come sono andati i fatti. Riassunto? I media, come sempre, stanno mistificando la realtà. C’erano 150 mila persone in Piazza del Popolo ieri a Roma, arrivati da ogni angolo d’Italia; commercianti, imprenditori, dipendenti, autonomi, portuali, vigili del fuoco, sanitari, medici, camionisti, liberi cittadini, donne, bambini, padri e madri, per il lavoro, per la libertà, contro l’infame tessera verde messa in atto dal Governo.
Uomini indifesi, a mani nude, inermi, non pericolosi criminali di estrema destra.
Le forze dell’ordine si sono comportate malissimo, ci sono centinaia di video a testimoniarlo. Hanno picchiato selvaggiamente. Hanno assaltato persone ferme in mezzo alla strada.
Hanno sparato lacrimogeni ad altezza uomo ferendo tante persone che per scappare sono state calpestate in preda al panico. La Schiliró ha qualcosa da dire sul comportamento dei suoi colleghi?
Stanno raccontando alla gente che pochi esponenti violenti di FNuova hanno guidato le piazze ma la realtà è un’ altra ed è quella descritta.
Ci sono i video. Chiedete a chi era lì.
Poi su questa storia di FNuova nelle piazze ci scriveremo un post a parte.
Ora tutti a telefonare a Landini, in coro li senti affermare: “manifestare va bene ma non così”.
Ma come, sono mesi che le piazze pacifiche si riempiono e non vengono minimamente calcolate, anzi vengono derise dai media e insultate in tutti i modi, ed oggi venite a fare la morale su come si protesta?
Un paese ipocrita e vigliacco con delle istituzioni ai minimi storici.
Vergogna Italia.
FONTE: https://www.facebook.com/groups/1211562519258652/permalink/1392418727839696/
CONFLITTI GEOPOLITICI
CON DRAGHI E LAMORGESE TORNA LA STRATEGIA DELLA TENSIONE
Tonio de Pascali 10 10 2021
Grave disattenzione e gravissima sottovalutazione da parte del Ministero degli Interni.
Questa l’opinione più diffusa, oggi, sui media e nel mondo politico, riguardo la leggerezza con cui Lamorgese ha trattato le proteste fasciste-no-vax di ieri sera.
Una volta, quando erano all’opposizione, i comunisti parlavano di “strategia della tensione” quando a manifestare erano i comunisti stessi. In quegli anni parlavano di criminali violenti fascisti infiltrati dai Servizi segreti tra i pacifici e democratici manifestatnti di sinistra ad inquinare la protesta genuina per intervenire poi, da parte del Governo, con la forza repressiva. Strategia della tensione, appunto.
Eppure, oggi come ieri, è sempre l’estrema destra fascista a guidare gli scontri, ieri come “infiltrati” dei Servizi,, così dicevano i comunisti, oggi come alfieri della violenza.
Prova ne sia un appartenente ai Nar di un tempo individuato tra i violenti di ieri.
Strani questi “terroristi di destra”, un tempo prezzolati per la strategia della tensione, oggi manovratori della protesta no-vax.
Per cui la conclusione è ovvia:
SIAMO PROPRIO SICURI CHE L’ATTEGGIAMENTO DELLA LAMORGESE SIA STATO DI LEGGEREZZA E NON, INVECE, DI ATTO PRODITORIO PER INSCENARE LA VIOLENZA DI PIAZZA?
CHI CONOSCE I NO-VAX E GLI PSEUDO TERRORISTI DI DESTRA SA GIA’ QUAL E’ LA RISPOSTA
FONTE: https://www.facebook.com/100015824534248/posts/1077571769446964/
Scenari di guerra, un nuovo modo per difendere Taiwan
Gli Stati Uniti vincerebbero la battaglia per salvare Taiwan dalla Cina? Non secondo una serie di simulazioni e giochi di guerra del Pentagono. Nel tentativo di capire cosa accadrebbe se le forze statunitensi venissero in difesa di Taiwan, il Pentagono ha infatti stabilito che gli Stati Uniti potrebbero essere sconfitti e sicuramente subirebbero pesanti perdite di personale ed equipaggiamento.
Tra gli strateghi militari, c’è persino un dibattito sul fatto che le portaerei statunitensi, generalmente ritenute fondamentali per il soccorso di Taiwan, siano oggi vulnerabili ai missili cinesi e possano essere distrutte da lunghe distanze, forse fino a 1.000 miglia o più.
Ma non è sempre stato così.
Nel 1996, la Cina ha condotto una grande «esercitazione» missilistica e ha iniziato a radunare le truppe, suggerendo che l’«esercizio» fosse una copertura per un’invasione di Taiwan.
Stephen Bryen era a Taipei insieme a R. James Woolsey, ex capo della Central Intelligence Agency all’inizio dell’amministrazione Clinton, e all’ammiraglio Leon «Bud» Edney, che solo quattro anni prima era stato vice capo delle operazioni navali statunitensi. Hanno sentito la paura e l’ansia diffondersi rapidamente sull’isola.
Si sono chiesti cosa stesse facendo Washington e tutti e tre hanno preso i telefoni per spingere il Pentagono e la Casa Bianca ad agire. Fino a quel momento, il presidente Bill Clinton, insieme al Consiglio di Sicurezza Nazionale, non era stato disposto a rispondere, principalmente perché voleva migliorare i legami con la Cina e ampliare il commercio reciprocamente vantaggioso. Mentre il pericolo cresceva e incombeva, e la situazione si avvicinava a un punto terribile, Clinton alla fine ha inviato due task force di portaerei.
Con le portaerei che si dirigevano a Taiwan, i cinesi hanno fatto marcia indietro. Anche se non sappiamo tutto, è probabile che i cinesi abbiano stimato che in uno scontro con gli Stati Uniti, e specialmente con i caccia sulle portaerei, un’invasione sarebbe fallita. In ogni caso, per portare le sue truppe a Taiwan, la Cina non aveva allora i mezzi da sbarco di cui aveva bisogno, e faceva affidamento su navi commerciali che potevano essere abbastanza facilmente affondate dagli aerei statunitensi.
Ma da quella situazione, la Cina ha capito che per conquistare Taiwan aveva bisogno di migliorare significativamente la sua marina e l’aeronautica, acquisire navi da sbarco difendibili e trovare un modo per colpire le portaerei americane. La Cina ha avuto 25 anni per risolvere questi problemi e lo ha fatto costruendo aerei da combattimento molto moderni (compreso il furtivo J-20) e bombardieri nucleari, navi da sbarco come le navi anfibie a ponte largo di classe Yushen Tipo 075 che possono trasportare soldati, elicotteri, veicoli corazzati e missili killer.
Nella categoria carrier-killer c’è il Dong Feng (East Wind) Df-21D, un missile antinave a combustibile solido a due stadi con una gittata di 900 miglia o più. Quest’arma può essere guidata al suo obiettivo da satelliti e droni, e si dice che abbia un veicolo di rientro manovrabile (testata) che lo rende difficile da sconfiggere. Le versioni future del Df-21D potrebbero anche avere più testate mirate in modo indipendente (Mirv), aggiungendo letalità al Df-21D e rendendolo ancora più difficile da fermare.
Gli Stati Uniti stanno schierando incrociatori Aegis e nuovi tipi di missili intercettori come Sm-3 (Rim-161 Standard Missile 3) e Sm-6 (Rim-174 Standard Extended Range Active Missile) e i radar Aegis sono stati migliorati. Questi sistemi più recenti sono solitamente inclusi con le task force carrier e potrebbero essere in grado di fermare un attacco Df-21D, ma non è chiaro se possa fermare uno swarming attack di Df-21D.
La Cina si prepara da un lato e guarda gli Stati Uniti dall’altro. Non è chiaro a che punto e con quali strategie, la Cina giungerebbe alla conclusione di poter attaccare con successo le portaerei statunitensi. Sfortunatamente, lo stesso vale da parte americana: non è chiaro se gli Stati Uniti potrebbero fermare un attacco missilistico anticarro cinese e non lo sapremo davvero fino a quando non accadrà.
Ma anche se i carrier potessero passare, l’aviazione cinese è molto più capace di quanto non fosse 25 anni fa. La Cina sta lavorando per migliorare le sue capacità stealth e raggiungere il livello dell’F-22 americano anche più dell’F-35, che è più un aereo tattico ed è meno furtivo dell’F-22.
A differenza degli Stati Uniti, la Cina non è un Paese democratico con una stampa libera e social media liberi. Se i pianificatori cinesi sono disposti a perdere 400 aerei e decine di navi in quella che credono sarà una missione di successo per sconfiggere gli Stati Uniti, questo farà parte dei loro calcoli.
Ma quando il presidente chiede ai pianificatori del Pentagono cosa aspettarsi se ci impegniamo a sostenere Taiwan, riceverà alcune cattive notizie che potrebbero causare una grave reazione interna. Gli potrebbe essere detto che una portaerei potrebbe affondare o che potremmo perdere da 50 a 75 aerei da combattimento. Ciò significa che il presidente deve considerare la possibilità di una risposta pubblica a migliaia di vittime e miliardi di hardware perso.
Molto dipende dal coraggio, politico e morale, del presidente. Ma l’istinto a Washington sarebbe probabilmente un tentativo urgente di spingere Taiwan in un negoziato con la Cina che finirebbe con Taiwan che diventa cinese. In pratica, arrendersi. Ciò solleverebbe gli Stati Uniti dai guai, ma sarebbe un terribile segnale per gli alleati in Asia, che penserebbero che il cielo sta davvero cadendo e che non c’è speranza di aiuto da parte degli americani.
A meno che non si trovi un’altra formula.
Alla fine la pacificazione porterà alla guerra mondiale: è impossibile credere che la Cina si accontenterebbe di ingoiare Taiwan. Non va dimenticato che la Cina ha una rabbia insaziabile nei confronti del Giappone e di ciò che le forze giapponesi hanno fatto alla Cina negli anni ’30 e ’40: i milioni che furono massacrati e l’uso della guerra batteriologica e chimica da parte del Giappone contro i civili, principalmente cinesi.
Lo stupro di Nanchino del 1937-38 o il massacro di Nanchino, che potrebbe aver ucciso fino a 300.000 cinesi, principalmente civili, è una delle tante atrocità non vendicate che la Cina ricorda. Una volta che la Cina avrà scacciato gli americani, il Giappone sarà il prossimo obiettivo e i giapponesi lo sanno, motivo per cui il Giappone definisce una possibile invasione di Taiwan una «minaccia esistenziale».
Ma ecco che gli alleati nel Pacifico possono impedire l’invasione solo con una strategia completamente nuova, volta a dissuadere la Cina dall’attaccare Taiwan. Invece di fare affidamento su vettori lontani e aspettare che i cinesi creino un incidente o una provocazione per innescare un conflitto, dobbiamo prendere provvedimenti per cambiare il gioco ora rafforzando Taiwan.
Il modo migliore e più veloce sarebbe creare un unico comando militare di Taiwan che includa Giappone, Stati Uniti e Taiwan. Infatti non esiste oggi un meccanismo di comando di coordinamento con Taiwan o il Giappone. L’attuale approccio americano, farlo da soli, non è praticabile. Il Giappone ha F-35 e F-15, una piccola ma buona marina e ottimi sottomarini. Taiwan ha modernizzato gli F-16 e i caccia ‘fatti in casa’ Ck-F-1. Tutti questi devono essere usati per bloccare la Cina, ma devono operare in modo coordinato. Ad esempio, dobbiamo coordinare l’identificazione delle risorse di amici o nemici (Iff) in modo da poter operare in modo efficiente contro il nemico e non ucciderci a vicenda.
Un’unica struttura di comando farebbe sapere alla Cina di avere un problema significativamente più grande tra le mani rispetto al solo Taiwan, e che Stati Uniti, Giappone e Taiwan hanno accesso e supporto da più basi a Taiwan, a Okinawa e in Giappone. Con questo tipo di sfida, la Cina non può sperare di isolare Taiwan e spaventare gli americani.
Inoltre, in un conflitto, le basi aeree e navali, in particolare in Giappone e Okinawa (comprese le basi americane, giapponesi e congiunte) dovrebbero essere a disposizione dell’aeronautica e della marina di Taiwan. Questo cambia il gioco in due modi: Taiwan potrebbe operare da basi al di fuori dell’isola, il che significa che gli attacchi cinesi diretti a Taiwan non assicureranno una vittoria cinese, e la Cina si troverebbe di fronte a minacce provenienti da più basi e significative risorse aeree e navali coordinate dagli alleati.
Con un sistema multibase e di supporto per affrontare la Cina e un comando comune, la strategia cinese si sgretola.
Il Pentagono dovrebbe eseguire nuove simulazioni con un unico comando militare e più basi che sostengano reciprocamente lo sforzo per bloccare un’invasione cinese di Taiwan. Data la potenziale natura rivoluzionaria suggerita qui, il regime in Cina capirebbe che è contenuto, proprio come la Nato ha contenuto con successo l’Urss dal 1949 fino al suo crollo nel 1991.
L’attuale amministrazione deve capovolgere il suo approccio politico di ritirata e pacificazione globale, che alla fine porterà alla guerra, e adottare una nuova strategia per affrontare la Cina prima che sia troppo tardi.
Il dott. Stephen Bryen è considerato un leader di pensiero sulla politica di sicurezza tecnologica, essendo stato insignito per due volte della più alta onorificenza civile del Dipartimento della Difesa, la Distinguished Public Service Medal. Il suo libro più recente è «Sicurezza tecnologica e potere nazionale: vincitori e vinti».
Shoshana Bryen è direttore senior del Jewish Policy Center di Washington, Dc
Le opinioni espresse in quest’articolo sono degli autori e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.
FONTE: https://www.epochtimes.it/news/scenari-di-guerra-un-nuovo-modo-per-difendere-taiwan/
CULTURA
La gioia di resistere
Come ci ha insegnato Mark Fisher, uno degli aspetti più sinistri del capitalismo contemporaneo sta nella (apparente) impossibilità di pensarne la fine: sembra che a esso non vi sia alternativa. La mancanza di alternative implica una sorta di naturalizzazione del modello sociale ed economico, che di per sé è ovviamente un prodotto storico; sotto il profilo logico, il capitalismo dà a intendere la propria necessità per dissimulare la contingenza dei suoi esiti.
Se il capitalismo contemporaneo appare incontrovertibile, ciò si deve in primo luogo al fatto che il pensiero neoliberale che lo sorregge non è una teoria politico-economica in senso stretto, «non è una dottrina, ma una funzione interna della razionalità governamentale contemporanea» (p. 29). Questo è il punto d’innesco del saggio di Evelina Praino, L’individualità ai margini dell’impero neoliberale (libreriauniversitaria.it, 2021), che con acume e ricchezza di riferimenti teorici descrive le miserie della soggettività nel sistema neoliberale, ma propone anche un orizzonte di resistenza possibile, indicando concretamente alcuni esempi di prassi che si pongono come esplicita alternativa al modello di razionalità prevalente.
È proprio la questione dei modelli di razionalità a costituire il nodo problematico da cui parte l’indagine: la razionalità economica, basata sul principio di prestazione, che riconosce solamente nell’utile e nell’efficacia il proprio metro di giudizio e nella competizione con gli altri il proprio esercizio quotidiano, non è qualcosa che semplicemente venga imposto dall’esterno ma, introiettata dal soggetto, viene assunta e addirittura ostentata come scelta personale e opzione etica fondamentale. L’uso di sé assume così i tratti dell’autosfruttamento nel contesto generale di una eclissi della politica, soppiantata dalla mera gestione della governance. «L’individuo, consapevole di essere portatore di un capitale di valore, poiché spendibile, si tramuta in agente economico» (p. 59) imprenditore e persecutore di sé stesso che, invece di prendere atto della propria fallibilità razionale, tenta di nascondere quelle che avverte come delle imperdonabili mancanze.
Il contesto in cui si inserisce questa forma di soggettività è quella, delineata da Praino a partire da un impianto foucaultiano, di un controllo biopolitico volto alla massimizzazione della sicurezza e del benessere che, ancora una volta, non va inteso come un’oppressione meramente subita ma come una sorta di sacrificio autoimposto: «Il soggetto si inserisce volontariamente all’interno di un rapporto basato unicamente sulla valutazione severa delle sue competenze ed essenzialmente circolare: le prestazioni vengono migliorate per essere barattate con una sensazione di pienezza e soddisfacimento di sé che, essendo per natura di breve durata, si esaurisce rapidamente e richiede nuovamente di essere ascoltata ed esaudita, tramite un nuovo investimento di energie» (p. 107).
Isolato in mezzo ai suoi simili, l’individuo ai margini dell’impero neoliberale desidera collettivamente ma esperisce individualmente (p. 112). Come Woody Allen nella celebre scena in cui getta per terra e calpesta i propri occhiali prima che, per l’ennesima volta, lo faccia qualcun altro, il soggetto che si sottomette all’imperativo della propria autorealizzazione, invece di perseguire una effettiva emancipazione, non fa che applicare alla lettera il programma inscritto all’interno del modello di razionalità proprio del neoliberismo, finendo per condannare sé stesso a una continua umiliazione.
Il modello di razionalità che sorregge il neoliberalismo è dunque tanto più inaggirabile quanto più introiettato dal soggetto: per assurdo, una rivolta veramente «efficace» e «utile» non farebbe altro che riprodurre a un altro livello lo stesso modello di razionalità che pure si propone di sovvertire. Ma così si delinea un paradosso: ogni tentativo di sfuggire al neoliberalismo, se vincente, finisce per soccombere alla logica da cui lo stesso neoliberalismo nasce. Quale margine di manovra rimane? È qui che l’autrice avanza la sua proposta di una resistenza possibile: «In questo senso, una prima reazione si costituisce resistente in quanto critica e consapevole di voler rispondere a un’etica alternativa rispetto a quella dominante» (p. 128). I due casi di studio proposti sono l’insurrezionalismo del Comitato Invisibile e il contropotere, creativo e collettivo, teorizzato da Miguel Benasayag.
Nelle azioni di sabotaggio così come nelle produzioni teoriche del collettivo francese si assiste a una prima forma di resistenza che consiste nel tentare di modificare la percezione della realtà in cui si è immersi: «di fronte alla catastrofe, la prima strategia di reazione consiste nell’organizzarsi» (p. 134), nel condividere saperi, mettere a punto nuove forme di vita e prassi comuni. Parzialmente accostabile a questa prospettiva è quella del filosofo e psicoanalista argentino Benasayag, in cui Praino rintraccia un secondo esempio di resistenza. In una società caratterizzata dalla fine delle grandi narrazioni, la possibilità di una molteplicità di progetti «situazionali», esperienze attive e gioiose che possono costituire una nuova forma di militanza, si pongono come tentativi di disattivazione della razionalità neoliberale, che invece risulta dominata dalle passioni tristi. La resistenza così concepita è creativa, molteplice, senza padroni e lontana dal desiderio del potere.
Il lavoro di Praino descrive in maniera estremamente puntuale la condizione della soggettività tipica del sistema neoliberale, il contesto in cui essa si viene a trovare, i modelli di razionalità da essa assunti. A fronte di questa diagnosi, nella parte finale del libro non viene stabilita una prognosi, ma addirittura suggerita, attraverso esempi che valgono come casi clinici, una cura: l’orizzonte che viene indicato è quello della resistenza come prassi per nulla opaca, reattiva o nostalgica ma creativa, attiva e gioiosa.
La gioia cui si allude nelle pagine del volume – che a sua volta, per certi versi, può essere considerato un esercizio di gioia – non è naturalmente un’allegria spensierata o una forma di quieto ritiro nel privato; piuttosto, la gioia di resistere sta nel sabotare il modello di razionalità tipico del neoliberalismo iniettando massicce dosi di libertà, gratuità, creatività. Sotto questo aspetto, se una rivoluzione è possibile, essa non si staglia in un vago avvenire, né richiede il volto accigliato del militante di professione, ma si gioca in ogni defaillance che introduce un granello di polvere nell’ingranaggio, defaillance che non viene nascosta o sanzionata ma accolta festosamente come un atto di rivolta. Va da sé che anche questa gioia ha un prezzo e che questo prezzo si paga in prima persona ma, come nella parabola evangelica del tesoro nascosto nel campo, non è difficile immaginare che qualcuno per essa possa vendere tutti i suoi averi.
L’atto di resistenza rompe l’incantesimo dell’efficacia, della produttività, della (auto)valutazione: «Ogni individuo è quindi libero, fintanto che è in grado di ideare una traiettoria d’azione che, indipendentemente dalle tattiche o dalle strategie di cui si costituisce, si configura come resistente, e la traiettoria resistente è quella che non va a segno, che gira a vuoto scordando il potere, che si perde e che, infine, continua» (p.173). Ed è forse così che, senza cercare di vincere ma giocando a un altro gioco, è possibile sconfiggere il buon senso che ci costringe a un’esistenza insensata.
FONTE: https://operavivamagazine.org/la-gioia-di-resistere/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Twitter censura importanti scoperte su Fauci e il coronavirus
L’autrice dell’articolo, Naomi Wolf, Ph.D., è Ceo di DailyClout e autrice di «The End of America».
I recenti risultati del Freedom of Information Act (Foia) da parte dell’Intercept hanno aggiunto un’abbondante documentazione sul finanziamento da parte del dottor Anthony Fauci, con l’utilizzo di dollari dei contribuenti statunitensi, di pericolose ricerche sul guadagno di funzione presso il laboratorio di Wuhan, finanziamenti che Fauci aveva negato in testimonianza al senatore Rand Paul; finanziamento, appunto, che avevo cercato di condividere con il pubblico su Twitter all’inizio di giugno, il giorno prima che Twitter mi cacciasse definitivamente.
Il tesoro di Intercept aggiunge dettagli importanti alla documentazione esistente di quella ricerca sul guadagno di funzione finanziata dal Nih e ai suoi potenziali collegamenti con le origini della pandemia di Covid-19.
Natalie Winters di National Pulse è stata in prima linea con questa storia prima che Intercept la confermasse separatamente. E anch’io lo ero. In effetti, il mio deplatforming da Twitter ha fatto seguito alla lettura da parte dell’investigatore privato Brian O’Shea (che è mio marito) del cv completo del dottor Ralph Baric, che collegava questo ricercatore della Carolina del Nord a un lavoro finanziato dall’agenzia di Fauci. Twitter deve ancora dirmi esattamente perché sono stata espulsa dalla sua piattaforma e mi è stato impedito di condividere queste informazioni (con fonte ben citata) con i miei 145.000 follower.
Twitter è arrivato al punto di togliermi la piattaforma e poi diffamarmi in tutto il mondo: i notiziari hanno dichiarato erroneamente, tramite un portavoce di Twitter, che ero stata cacciata per «disinformazione sui vaccini».
Il Primo Emendamento negli Stati Uniti indica che il governo non può censurare apertamente critici o oppositori; ma il settore privato, in questo caso Big Tech, sta chiaramente facendo il lavoro sporco dell’amministrazione.
Sono stata accusata di «follia» (New Republic), di aver «sempre lottato contro la verità», di essere una «no-vax». Matt Gertz di Media Matters e Cnn mi ha accusato di «promuovere teorie del complotto sempre più folli»; lo ha fatto su Twitter, piattaforma sulla quale non sono più in grado di replicare.
Sembra che il mio vero crimine possa essere stato quello di porre domande che altri giornalisti non sono riusciti a fare e di condividere informazioni che minano le affermazioni di Fauci al Congresso.
Questo zittire una voce critica sui «lockdown» legati alla pandemia, nonché una persona che ha smentito le smentite di Fauci sull’aver finanziato la ricerca sul guadagno di funzione, aveva senza dubbio l’obiettivo di inibire altre voci critiche. Ho infatti ricevuto innumerevoli e-mail da altri giornalisti e influencer che affermavano di sostenermi, ma di avere paura di dirlo pubblicamente, per timore che anche loro venissero bannati.
Milioni di finanziamenti
Il cv di Baric descrive in dettaglio milioni di dollari in finanziamenti dal National Institute of Health (Nih) e dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Niaid), compresi i fondi per uno studio sul «guadagno di funzione». La ricerca di Baric, secondo Vanity Fair, potrebbe essere descritta come una ricerca sul «guadagno di funzione». In effetti, Baric faceva parte di un comitato di ricerca sul «guadagno di funzione».
Questo cv è fastidioso per l’amministrazione Biden, attuale patron di Big Tech e beneficiario della sua attuale ondata di censura, perché crea collegamenti tra questa ricerca e Fauci, che è diventato il centro del ‘brand’ di questa amministrazione e il punto chiave della strategia di rielezione.
Fauci ha dichiarato direttamente al senatore Rand Paul nel maggio 2021 che il Nih non aveva finanziato la «ricerca sul guadagno di funzione». In effetti, il Nih è andato anche oltre quando è stata sollevata questa domanda e ha negato di aver mai finanziato una ricerca che avrebbe reso i virus più infettivi per l’uomo.
Ma il curriculum di Baric mostra prove contrarie. La sua ricerca sui coronavirus nei pipistrelli – che ha scoperto che «il coronavirus di pipistrello sintetico ricombinante simile alla Sars è infettivo» – e la ricerca sulla trasmissibilità dei coronavirus ad altre specie, inclusi pipistrelli, topi e umani, risale a molti anni fa.
Il cv dell’assistente di laboratorio di Baric, Ef Donaldson, descrive in modo ancora più chiaro il lavoro svolto con Baric per, come afferma Donaldson, «resuscitare i coronavirus dei pipistrelli per determinare la trasmissione tra specie incrociate»:«Attualmente sono impiegato come professore assistente di ricerca nel Dipartimento di Epidemiologia, lavorando nel laboratorio del dott. Ralph Baric. Sono finanziato dal Niaid per condurre uno studio sui virus nei pipistrelli e su come i virus attraversano la barriera delle specie per emergere in nuove popolazioni. Inoltre, sto lavorando con il dottor Baric per far risorgere i coronavirus dei pipistrelli per determinare il potenziale di trasmissione incrociata tra specie di una varietà di nuovi coronavirus identificati nei pipistrelli». Il lavoro qui dettagliato ha avuto luogo quando il dottor Fauci era il direttore del Niaid.
Donaldson ha anche ricevuto centinaia di migliaia di dollari delle tasse statunitensi in finanziamenti Nih/Niaid per studiare l’infettività tra le specie di coronavirus di pipistrello, in un nido di pipistrelli con «sette o dodici» specie diverse, che si trova, in modo abbastanza allarmante, in Maryland.
Il Cv di Ef Donaldon rileva anche una richiesta 2011-16 al Nih per $ 1,85 milioni in finanziamenti per la ricerca sull’infettività tra le specie del coronavirus dei pipistrelli correlata alla Sars: «Donaldson 07/01/11 – 06/30/16 Nih $ 1,850.000 25% Fte Cross species, comparsa di coronavirus dai pipistrelli. Questo lavoro si basa sulla nostra sovvenzione Arra, che ci ha permesso di scoprire un nuovo Coronavirus nei pipistrelli che è strettamente correlato a un agente patogeno umano, il Coronavirus umano 229E. Gli obiettivi principali della proposta sono di caratterizzare i coronavirus trovati nelle specie di pipistrelli negli Stati Uniti nordorientali, sequenziando diversi campioni fecali di pipistrello per determinare le sequenze genomiche complete, isolare e/o resuscitare sinteticamente questi coronavirus utilizzando la biologia in silico e valutare la capacità di questi virus di emergere nell’ospite umano».
Quella sovvenzione degna di nota, per vedere se i coronavirus dei pipistrelli potrebbero emergere «nell’ospite umano», è a pg. 5.
Il dottor Fauci aveva dichiarato categoricamente al senatore Paul, ripreso dalla televisione nazionale, di non aver finanziato la ricerca sul «guadagno di funzione» nel laboratorio di Wuhan. Ma lo stesso Baric ha descritto la sua ricerca come «guadagno di funzione», in un seminario collegato al Nih, chiamato «Potenziali rischi e benefici della ricerca sul guadagno di funzione».
«Il dott. Ralph Baric, University of North Carolina […] ha spiegato che gli esperimenti GoF [Gain of Function, ndr] per la ricerca sul CoV comprendono una serie molto diversificata di esperimenti che sono fondamentali per lo sviluppo di vaccini e terapie ad ampia base».
Censura e libertà
Il video che ho pubblicato del Cv di Baric che descriveva in dettaglio il finanziamento di Fauci per la ricerca sul guadagno di funzione di Baric, aveva ricevuto 74.000 visualizzazioni, prima che mi sospendessero in modo permanente da Twitter.
È molto grave che un articolo così importante e degno di nota – il Cv di Baric – sia stato cancellato dal nostro universo dei social media e che io sia stata pubblicamente ridicolizzata come punizione per aver tentato di aprire questo discorso al pubblico.
I repubblicani hanno fatto pressioni per indagini sulle origini del coronavirus. Senza il Cv di Baric, gli americani non hanno tutte le informazioni rilevanti.
Com’è possibile che Twitter (e Youtube, che ha anche congelato il mio account, anche se in seguito l’ha ripristinato) si sono spinti fino a censurare con mano pesante le mie scoperte? Non c’è nulla nella mia condivisione di queste informazioni che costituisca disinformazione, al contrario di quello che il loro portavoce ha apparentemente citato alla stampa, come motivo per bannarmi. Le società di social media devono ancora dimostrarmi ciò che secondo loro ho pubblicato e che non era accurato.
Purtroppo, Twitter, Youtube e Facebook sono ora strettamente alleati del Partito Democratico e dell’amministrazione Biden, motivo per cui è importante rendere ancora più pubblico e senza censura ciò che Mark Zuckerberg aveva da dire a Fauci via e-mail, corrispondenza che appartiene al pubblico dominio dato che il suo contenuto è di grande interesse pubblico e Fauci è un funzionario pubblico.
Sono una democratica da una vita e ho votato per il presidente Biden, ma nell’ondata di deplatform delle voci conservatrici dopo l’inaugurazione, ho visto il pericolo per il nostro sistema di questa empia alleanza.
Non mi interessano molto gli attacchi personali. Non sarò vittima di bullismo o zittita. Ma mi interessa che i cittadini americani meritino una stampa libera e un dibattito aperto, e che non rischino di perderli a causa della censura della Big Tech.
Ci meritiamo tutte le informazioni che potrebbero consentire una migliore comprensione della ricerca sul guadagno di funzione che potrebbe essere stata correlata al virus che ha debilitato le economie mondiali e ha colpito milioni di persone. Big Tech, con le sue piattaforme compromesse, non dovrebbe avere voce in capitolo sul fatto che tali informazioni sopravvivano a un comitato di millennial che decide, in uno spazio di lavoro arioso, su ciò che può o non può essere letto da altri popoli liberi in tutto il mondo.
Senza una stampa libera il nostro Paese non sarebbe potuto nascere. E se permettiamo a diffamazioni personali casuali e alla censura della Big Tech di importanti notizie di far deragliare il nostro governo e di mantenere la nostra gente male informata, il nostro stato di libertà non può sopravvivere.
Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.
Articolo in inglese: Twitter Censored Dr. Baric’s CV and Its Documentation of Gain-of-Function Research and Me for Accurately Reporting the Bombshell Story
FONTE: https://www.epochtimes.it/news/twitter-censura-importanti-scoperte-su-fauci-e-il-coronavirus/
Il potere politico di Facebook
Nell’immaginario universale Facebook è considerato un social network responsabile, che permette a tutti di connettersi in modo riservato, ma al tempo stesso censura i messaggi che contravvengono alle leggi locali. È tutt’altro: Facebook raccoglie informazioni su di voi per conto dell’NSA, censura le vostre opinioni e batte moneta. In pochi mesi questa società è diventata uno dei protagonisti più influenti della politica mondiale.
FACEBOOK COME SOCIAL NETWORK
Il principale protagonista politico di internet è il social network Facebook. Al 1° gennaio 2021 gli utilizzatori mensilmente attivi erano 2,85 miliardi; quelli giornalmente attivi: 1,88 miliardi. Facebook censura regolarmente messaggi con foto di nudi o di attività sessuale, messaggi persecutòri, messggi di odio, contraffazioni, spam, propaganda terroristica o violenta; per farlo si avvale di un’intelligenza artificiale particolarmente approssimativa e ingiusta. Chiude account ritenuti pericolosi, o ripetutamente censurati o legati a nemici degli Stati Uniti.
Facebook è una società enorme: ne fanno parte Instagram, Facebook Messenger, WhatsApp, Oculus, Workplace, Portal, Novi, e ha oltre 60 mila dipendenti.
FACEBOOK COME BANCA
Facebook batte moneta, proprio come uno Stato: la Libra, che si appoggia a un paniere di divise composto per il 50% dal dollaro, il 14% dallo yen, l’11% dalla sterlina, il 7% dal dollaro di Singapore [1].
Facebook, trasformandosi in banca, la cui moneta è progressivamente accettata da siti di vendita in internet, costruisce un’economia parallela, virtuale e globale, più importante di quella di parecchi Stati.
FACEBOOK E GLI UTENTI
Facebook ricorre ai propri utenti per scoprire gli account che violano le proprie regole; apre un dossier per ogni informatore e gli dà i voti [2].
Facebook, che afferma di trattare tutti gli utenti alla stessa maniera, ha una lista di 5,8 milioni di VIP, cui non impone regola alcuna: sono i soli a poter dire ed esibire qualsiasi cosa [3].
CAMBRIDGE ANALYTICA E LA NSA
La società britannica Cambridge Analytica − del miliardario Robert Mercer e di Steve Bannon − e la sua filiale canadese, AggregateIQ [4]
, hanno individuato almeno 87 milioni di utenti Facebook di cui hanno aspirato i dati personali per utilizzarli perlomeno in questi casi:
l’elezione del primo ministro indiano Narendra Modi nel 2014 [5];
le elezioni locali del 2014 negli Stati Uniti;
a favore di Mauricio Macri nelle elezioni presidenziali in Argentina;
a favore di Nigel Farage nel referendum britannico del 2016 sulla Brexit;
ma in particolare durante la campagna per le presidenziali USA del 2016: a favore prima di Ben Carson, poi di Ted Cruz [6] e infine
di Donald Trump e del direttore della sua campagna elettorale… Steve Bannon.
Secondo The Observer, Cambridge Analytica si avvale di molti personaggi provenienti dal complesso militare-industriale britannico e dei servizi di propaganda dell’MI6 [7]. Forse è solo la punta dell’iceberg: Edward Snowden ha rivelato che Facebook aveva aderito alla rete ultrasegreta di controllo digitale, PRISM, autorizzando la National Security Angency (NSA) ad accedere ai dati personali di tutti i propri clienti. Nulla è trapelato sull’uso fattone dall’NSA.
Secondo Newton Lee, ex ricercatore all’Institute for Defense Analyses, PRISM sarebbe l’avatar del progetto di Consapevolezza Totale dell’Informazione (Total Information Awareness − TIA), sviluppato dall’ammiraglio John Poindexter sotto la direzione di Donald Rumsfeld, in seno alla DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) [8].
IL PERSONALE IMPEGNO DI MARK ZUCKERBERG PER ISRAELE
Nel 2011 Facebook censura, su richiesta d’Israele, gli account che esortano alla rivolta nei territori palestinesi.
Nel 2012 Mark Zuckerberg s’impegna in prima persona per il premio Nobel della Pace, Shimon Perez, supervisionando la pagina ufficiale del presidente israeliano, nonché creando il video Be my friend for peace (Sii mio amico per la pace), in cui compaiono, in particolare, Nicolas Sarkozy, David Cameron, Recep Tayyip Erdoğan e anche la regina Elisabetta II d’Inghilterra.
Nel 2015 Facebook dichiara lo Hezbollah e la Repubblica Araba Siriana «organizzazioni terroriste». Chiude gli account di diverse reti televisive, fra cui Al-Mayadeen (all’epoca la televisione d’informazione più seguita nel mondo arabo), Sama e Dunia (due reti pubbliche siriane), nonché di Ikhbariya (rete privata siriana). Allo stesso tempo mette a disposizione formatori per gli jihadisti che combattono la Repubblica Araba Siriana.
Anche nel caso siriano Facebook non censura tutti i messaggi di odio e violenza. Infatti favorisce gli account degli oppositori che raccolgono informazioni (nomi, indirizzi, foto) dei nazionalisti siriani, in previsione di ucciderli.
PROGETTO POLITICO
Nel 2010 Nature pubblica lo studio «Esperimento d’influenza sociale e di mobilitazione politica su 61 milioni di persone» [9]. Ricercatori dell’università della California dimostrano che negli USA, durante le elezioni di metà mandato, i messaggi politici su Facebook hanno avuto un impatto rilevante, non soltanto sugli utilizzatori della rete, ma anche sui loro amici e persino sugli amici dei loro amici.
Nel 2014 Facebook, all’insaputa degli abbonati, realizza uno studio su «La messa in evidenza sperimentale di un fenomeno di contagio emotivo di grandi dimensioni, attraverso i social network» [10].
Nel 2018 Facebook entra in partenariato con l’Atlantic Council, influente think tank sovvenzionato dalla NATO per
«promuovere la leadership e l’impegno nel mondo degli USA e dei loro alleati». Obiettivo specifico del partenariato: garantire «l’utilizzazione corretta di Facebook nelle elezioni del mondo intero, vigilando sulla disinformazione e l’ingerenza straniera, aiutando a educare i cittadini e la società civile» [11].
Infine, nel 2020 Facebook s’imbarca nella politica coloniale in Africa con il progetto di cablaggio sottomarino attorno al continente, denominato 2Africa: una rete che collegherà i porti principali, ma non penetrerà nell’entroterra [12]. Unico obiettivo: rendere servizio alle élite che saccheggiano il continente e ne spediscono le ricchezze in Occidente.
A livello internazionale il direttore delle relazioni pubbliche di Facebook è il liberal-democratico Nick Clegg, che fu vice del primo ministro britannico David Cameron. Facebook France è diretta da Laurent Solly, ex capo-gabinetto del presidente Sarkozy, in seguito numero due della televisione privata TF1, nonché marito di Caroline Roux, giornalista di punta della rete televisiva pubblica France2.
Facebook non è al servizio né dei Democratici né dei Repubblicani. È una società che difende gl’interessi dell’“Impero americano”, sfruttando quel che conosce degli utenti e le emozioni che è in grado suscitare.
Da questo punto di vista è particolarmente interessante quanto accaduto nel 2017, quando Mark Zuckerberg accarezzò la possibilità di diventare presidente degli Stati Uniti senza presentarsi alle elezioni. Prima di rinunciare al progetto, aveva già messo insieme un comitato elettorale. Il piano prevedeva: appoggiarsi al partito democratico per destituire il presidente, avvicinarsi al vicepresidente Mike Pence e prenderne il posto, dopo che quest’ultimo fosse automaticamente diventato presidente; infine appoggiarsi ai Repubblicani per far dimettere Pence e prenderne il posto di presidente [13].
AZIONE POLITICA
Nel 2008, per raggiungere e mobilitare cinque milioni di elettori attraverso Facebook, il candidato Barack Obama si appoggia all’ex portavoce di Facebook, Chris Hughes, direttore di My.BarackObama.com (MyOB) e ideatore di Obama’s Online Operation (OOO) [14].
Nel 2010 Facebook censura Wikileaks, l’associazione che con le rivelazioni sulle pratiche del Pentagono nuoce all’“Impero americano”.
Nel 2010-11 la piattaforma, sostenuta ufficialmente dal dipartimento di Stato USA, conosce un incremento esplosivo con le “primavere arabe” del Medio Oriente Allargato.
Nel 2018 oscura la rete televisiva intergovernativa Telesur, partecipata da Argentina, Cuba, Equador, Uruguay e Venezuela.
Nel 2020 Facebook chiude degli account collegati all’esercito francese in Centrafrica e Mali perché la Francia conduce una campagna in dissonanza con quella del Pentagono.
Nel 2021 Facebook chiude i conti dei presidenti in carica di Uganda, Yoweri Museveni, e degli Stati Uniti, Donald Trump.
FACEBOOK E I MEDIA
Un’associazione britannica, Full Fact ha creato una coalizione tra i ministri competenti di Regno Unito e Canada da un lato e i giganti dell’informazione (Facebook, Twitter, Alphabet e Reuters) dall’altro, per contrastare la disinformazione sulla rete internet anglosassone.
Facebook non si limita a lottare contro le fake news, ha creato anche un programma, News Innovation, per sostenere la stampa scritta. È già stato utilizzato in Canada, Argentina e Brasile. Ha firmato contratti per oltre 10 milioni di dollari, focalizzandosi sui media fiancheggiatori di Justin Trudeau in Canada, oppure ostili a Alberto Fernández e Cristina Fernández de Kirchner in Argentina, come pure a Jair Bolsonaro in Brasile.
L’AMMINISTRAZIONE BIDEN E FACEBOOK
L’amministrazione Biden si preoccupa − prima che della popolazione − dell’escalation della potenza di Facebook, in cui vede un rivale. La società fissa le proprie frontiere, nella rete svolge funzioni di polizia e giustizia, batte moneta propria. Oggi è sicuramente al servizio del Pentagono: le manca soltanto un esercito per trasformarsi in Stato.
Per questo motivo l’amministrazione Biden ha introdotto l’informatrice Frances Haugen dapprima nel Wall Street Journal, poi in senato. Le discussioni hanno riguardato la deleteria influenza di Facebook sugli adolescenti: una maniera di rimettere il social network al proprio posto senza però sollevare le questioni politiche sopra enumerate.
L’unica persona che oggi negli Stati Uniti solleva la questione dell’influenza politica dei giganti del digitale è l’ex presidente Donald Trump. Ha sporto denuncia contro Twitter per aver chiuso il suo account quando era ancora presidente degli Stati Uniti. L’azione giudiziaria di Trump si basa sulle confidenze di senatori Democratici che si sono vantati di aver esercitato pressioni su Twitter. Secondo Trump, questo prova che la censura subita non è frutto di una scelta commerciale, bensì di volontà politica, e in più vìola il 1° emendamento della Costituzione degli Stati Uniti sulla libertà totale di espressione. I suoi avvocati rincarano la dose: Twitter non ha mai censurato i propositi violenti. Infatti ospita un account del governo talebano dell’Afghanistan.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article214359.html
DIRITTI UMANI
Qui per restare. Sul green pass e il suo mondo
Il testo che segue è la trascrizione di un intervento tenuto domenica 3 ottobre a San Giorio di Susa (TO) nell’ambito di un’iniziativa contro il lasciapassare (vedi locandina). Funzionando come riassunto dei contenuti dell’opuscolo Il mondo a distanza e come rapida ricognizione del mondo di cui il green pass è espressione, abbiamo pensato che potesse essere di qualche utilità e quindi di pubblicarla.
Il green pass non rappresenta “solamente” un modo particolarmente infame per costringere a sottoporsi alla sperimentazione dei cosiddetti vaccini. Io mi concentrerò, a partire dai contenuti dell’opuscolo Il mondo a distanza, su questo lasciapassare come dispositivo tecnologico di controllo, sul mondo di cui è espressione e sugli scenari che apre. D’altronde il ministro Speranza ne ha parlato come della “più grande opera di digitalizzazione mai fatta”.
Nei pochi mesi trascorsi da quando è uscito l’opuscolo siamo passati dalla farsa dell’app Immuni e dal guardare con inquietudine alla realtà cinese – dove era rapidamente diventato di fatto impossibile circolare senza mostrare continuamente, smartphone alla mano, di essere “puliti”, sulla base del tracciamento dei propri spostamenti e dei possibili contatti con positivi – al trovarci quella realtà materializzata di fronte. La cosa da sottolineare è che il green pass come tipo di dispositivo, lungi dall’essere costitutivamente legato alla fase di emergenza – già ormai permanente – sanitaria, è qui per restare, al di là delle forme specifiche che potrà assumere: una volta introdotto uno strumento in grado di tracciare in maniera puntuale, centralizzata e automatizzata tutti gli spostamenti e le attività di tutta la popolazione, e che consente di modulare in tempo reale e in modo potenzialmente individualizzato la libertà di movimento e di accesso a una serie di attività e di servizi sulla base, di fatto, dell’adesione alle ingiunzioni delle autorità, è ingenuo pensare che possa essere riposto con la fine dello stato di pandemia (ammesso che una fine ci sarà) – anche perché non sarà giustificato solo in chiave di controllo e discriminazione, ma anche di ottimizzazione dei servizi grazie all’analisi dei dati che permette di raccogliere.
Il modello verso il quale si tende è abbastanza evidentemente quello del cosiddetto “credito sociale” cinese, in corso di perfezionamento (c’è una certa assonanza fra le parole dell’amministratore delegato di Ant Financial di Alibaba, il colosso cinese del commercio online, secondo il quale il credito sociale “farà in modo che le persone cattive non abbiano socialmente alcun posto dove andare”, e l’intenzione del governatore PD della Toscana di bandire i non vaccinati da tutti i luoghi pubblici). In Cina, grazie all’integrazione e all’analisi algoritmica di tutte le informazioni raccolte da istituzioni, banche, social, telecamere intelligenti ecc. (dal livello di istruzione alle amicizie che si hanno, dalla puntualità nel pagamento delle rate al tipo di acquisti che si fanno – e non si parla solo del rispetto delle leggi, ma anche di una più ampia “morale sociale”), viene assegnato ad ogni cittadino e continuamente aggiornato un punteggio di affidabilità sulla base del quale si viene “premiati” o esclusi da una serie di servizi (automaticamente e in tempo reale, senza passare per procedimenti penali o amministrativi: come con la x rossa per i non vaccinati…). È un meccanismo già all’opera anche nel mondo occidentale, dove banche e datori di lavoro si affidano a strumenti di analisi dei comportamenti online per decidere se concedere un prestito o assumere un candidato. Ogni passo avanti della digitalizzazione in qualsiasi settore, dall’identità digitale alla “lotta al contante” che piace tanto a sinistra in chiave antievasione, è chiaramente un passo avanti in questa direzione. Inoltre, come è stato fatto giustamente notare a proposito per esempio dei contatori elettronici che permettono di interrompere da remoto la fornitura di corrente ai morosi, “tutto questo è contro la possibilità di lottare”.
La pandemia, attraverso l’introduzione “emergenziale” di dispositivi come il green pass, attraverso l’impennata nell’accumulazione di dati (la materia prima per l’autoaffinamento dell’intelligenza artificiale) data da smart working, didattica a distanza ecc., e nel prossimo futuro attraverso i “piani di ripresa” (basta dare un’occhiata anche solo all’indice del PNRR: infrastrutture di telecomunicazione – 5G in testa – e investimenti nella digitalizzazione di tutta una serie di settori) ha rappresentato un formidabile momento di accelerazione per il mondo di cui il green pass è espressione. Nell’opuscolo vengono presi in considerazione due aspetti in particolare: il capitalismo della sorveglianza con il modello di società che ci sta apparecchiando, e la rete 5G come infrastruttura abilitante.
Il capitalismo della sorveglianza è un libro di una ricercatrice americana, Shoshana Zuboff, uscito un paio d’anni fa, che traccia un quadro particolarmente completo e acuto dell’economia dei dati. L’autrice parte dai primi anni duemila, quando Google, che all’epoca era solo o comunque soprattutto un motore di ricerca, capisce che i dati generati dagli utenti con le loro ricerche (il contenuto della ricerca ma anche i cosiddetti metadati come ad esempio quando e da dove è stata effettuata), fino a quel momento utilizzati per migliorare il funzionamento del servizio e per il resto considerati scarti, erano in realtà una preziosa materia prima, che la Zuboff chiama surplus comportamentale. “Lavorata” dall’intelligenza artificiale, si sarebbe potuta trasformare in prodotti predittivi – cioè dati strutturati sul probabile comportamento futuro degli utenti, ricavati dall’analisi del loro comportamento passato – da vendere in un mercato dei comportamenti futuri a inserzionisti desiderosi di investire in pubblicità individualizzata e quindi più remunerativa. In breve tempo, questo modello è diventato lo standard del capitalismo su internet.
Una breve parentesi sull’intelligenza artificiale, il “mezzo di produzione”: più o meno negli stessi anni, grazie all’aumento della potenza di calcolo e ad altri “progressi”, si era verificato il passaggio da computer in grado, per quanto velocemente, solo di applicare regole predefinite a dati in qualche modo strutturati per essere “letti” dalla macchina, a sistemi in grado di ricavare per conto proprio regole da applicare poi anche ad oggetti “nuovi”, capaci quindi di analizzare dati non strutturati, come la voce umana o immagini video. Quanti più dati ingerisce, tanto più il sistema migliora automaticamente le proprie capacità; ogni dispositivo inoltre non “impara” solo dalla propria “esperienza”, ma anche da quella di tutti gli altri esemplari gestiti dalla stessa intelligenza artificiale.
Compreso il valore dei dati comportamentali, Google e concorrenti colonizzano il mondo reale, attraverso strumenti come ad esempio Google Maps, che si appropria della realtà – peraltro senza chiedere il permesso a nessuno – attraverso le sue auto con telecamera, e poi incrocia i dati sugli spostamenti di un utente, ricavati dal servizio – gratuito – di navigazione che offre, con quelli sugli interessi dello stesso utente, ricavati da altre applicazioni, per proporre la pubblicità giusta nel posto giusto al momento giusto. La cattura di dati avviene attraverso tutta un’architettura dell’estrazione formata dal cosiddetto internet delle cose (domotica, smart city…), che fornisce sia nuove fonti di approvvigionamento di dati, sia nuovi terreni per pubblicità mirate. Particolarmente degni di nota sono i cosiddetti assistenti vocali digitali (Siri, Alexa…), che inducendo l’utente a conversare con loro ottengono informazioni particolarmente significative sulle sue abitudini, e nello stesso tempo affinano automaticamente le capacità dei sistemi di riconoscimento vocale. La frontiera successiva della renderizzazione, cioè della conversione della realtà in dati, è il cosiddetto affective computing, “analisi delle emozioni”: il riconoscimento, attraverso microcamere incorporate potenzialmente in qualsiasi oggetto, di espressioni e movimenti rivelatori di determinati stati d’animo.
La remuneratività dei prodotti predittivi è legata all’affidabilità della previsione, e il modo più sicuro per prevedere un comportamento è intervenire a monte determinandolo. Un esperimento nella direzione di quella che la Zuboff chiama architettura dell’esecuzione è stato il gioco Pokémon Go, che consisteva nel dare la caccia con lo smartphone, attraverso GPS e videocamere, alle creature virtuali che comparivano sullo schermo quando si raggiungeva il luogo reale – strade, parchi, negozi – nel quale erano posizionate. Il passo ulteriore rispetto a Maps è che qui non c’è più nemmeno la decisione iniziale di recarsi in un determinato luogo: è l’app che ci “ordina” ad esempio di raggiungere un bar il cui proprietario ha pagato per avere un Pokémon piazzato al suo interno. L’altro esempio di architettura dell’esecuzione sono i cosiddetti contratti smart, le cui condizioni si applicano automaticamente senza bisogno di intervento umano: porte di casa che non si aprono se si è in ritardo con l’affitto, premi assicurativi che aumentano in tempo reale se si corre troppo ma anche se si parcheggia per strada in una zona considerata degradata…
Se ogni comportamento imprevedibile equivale a un guadagno perso, quella che si profila è una società della prevedibilità totale, in cui l’intera realtà diventa un’infrastruttura progettata per privarci della possibilità di decidere – in maniera più “confortevole” o più coercitiva, dalle più piccole scelte individuali quotidiane al livello politico, dove siamo già di fronte a un governo algoritmico, o data-driven come dice Draghi, in cui le decisioni vengono prese automaticamente sulla base dei dati, indiscutibili per definizione – nonostante dietro la loro presunta oggettività si nasconda in realtà quello che è stato definito il distillato del modo in cui in passato si è dato un ordine alla società. Quello che il capitalismo industriale ha fatto alla natura intesa come ecosistema, il capitalismo della sorveglianza minaccia di farlo alla natura umana intesa come volontà e capacità di decisione autonoma sul proprio futuro.
Indispensabile per il pieno dispiegarsi dell’internet delle cose, grazie alla velocità di trasmissione e alla capacità di gestire flessibilmente più connessioni in contemporanea (si pensi ai veicoli a guida autonoma, che non possono certo permettersi un ritardo del segnale, neanche di una frazione di secondo), è il cosiddetto 5G, cioè la quinta generazione della rete mobile, che rispetto alle generazioni precedenti non rappresenta solo l’ennesima evoluzione, ma un vero e proprio salto – tanto che intorno al controllo della filiera produttiva delle apparecchiature di cui si compone, strategica anche dal punto di vista militare, si è già scatenata la competizione fra le potenze mondiali. Il 5G utilizzerà diverse bande di frequenza, da quelle paragonabili a quelle utilizzate dalle generazioni precedenti fino a frequenze molto più alte (cosiddette onde millimetriche), con maggiore capacità e velocità di trasmissione ma minore copertura in termini di distanza, richiedendo così molti più ripetitori posti a breve distanza fra loro.
Nell’opuscolo non viene approfondita la questione degli effetti del 5G sulla salute umana e non, sia per insufficiente preparazione sia perché quel poco di opposizione che si è manifestata si è comprensibilmente concentrata su questo aspetto, lasciando più in ombra quello del controllo. È comunque da notare perlomeno il fatto che le stesse autorità – che non riconoscono nemmeno i danni causati dalle precedenti generazioni, nonostante numerosi studi di istituti accreditati – ammettono che non è possibile conoscere in anticipo gli effetti sulla salute una volta dispiegato l’internet delle cose coi suoi miliardi di oggetti connessi. Intanto, l’attuale ministro per l’innovazione tecnologica Colao (ex manager Vodafone, poi in Verizon, colosso americano delle telecomunicazioni), quand’era a capo della task force per il post covid del secondo governo Conte, ha chiesto di innalzare i limiti di emissione, adeguandoli a quelli dei paesi europei più permissivi. Sempre il secondo governo Conte nel decreto semplificazioni ha introdotto una norma che impedisce ai comuni di opporsi all’installazione di ripetitori sul loro territorio. E si sta già sperimentando anche in Italia, sulla scia di Elon Musk e Amazon negli Stati Uniti, il wifi da satellite, che promette di coprire tutto il territorio (letteralmente, dalle cime delle montagne alle isole più remote).
Nell’opuscolo vengono passate in rassegna le applicazioni delle tecnologie abilitate dal 5G in alcuni campi, a partire da quello del lavoro. Se nel dibattito pubblico si tende a concentrarsi sulla questione della disoccupazione tecnologica – certo non secondaria e che riguarda sempre più professioni che si sarebbero credute al riparo –, la prospettiva più immediata è quella di una crescente “polarizzazione” fra quello che la Zuboff chiama stretto clero di specialisti informatici e chi il lavoro lo conserverà ma si troverà “sotto l’algoritmo”, come i rider che stanno in attesa che lo smartphone dica loro – sulla base delle loro performance – se e quando potranno lavorare, o come nei magazzini di Amazon dove un paio d’anni fa si è arrivati a sperimentare braccialetti che vibrando “suggeriscono” alle mani del lavoratore i giusti movimenti – una vera e propria “robotizzazione dell’umano”. Gli scenari di controllo (aperti in Italia dal Jobs Act di Renzi, che ha sdoganato il controllo da remoto tramite dispositivi aziendali) vanno da software in grado di “scorporare” automaticamente dall’orario di lavoro tutti gli atti non direttamente produttivi, come andare in bagno o scambiare due parole con un collega, fino alla valutazione di sorrisi, espressioni e postura attraverso gli strumenti di “analisi delle emozioni” citati prima.
Per quanto riguarda le applicazioni più specificamente repressive, pensiamo a cosa può voler dire essere circondati non più solo da telecamere ma anche da oggetti apparentemente “innocenti” in grado di rilevare, “comprendere” ed eventualmente segnalare, in tempo reale e senza bisogno di intervento umano, tutto ciò che si dice o si fa nelle loro vicinanze… o a droni in grado di seguire e registrare i movimenti di un soggetto in maniera del tutto automatizzata e senza che questi possa percepire la loro presenza… negli Stati Uniti si sperimenta già l’applicazione dell’intelligenza artificiale anche alla giustizia: algoritmi che decidono – analizzando la sua storia personale – della liberazione o meno di un detenuto, e che arrivano a sostituirsi ai giudici, perlomeno nei casi meno complessi. Non è difficile immaginare quali possano essere le conseguenze per il diritto alla difesa di fronte a un giudizio come quello della macchina che è indiscutibile per definizione, pena l’invalidamento di ogni giudizio emesso dalla macchina…
I campi di applicazione, dalla scuola all’agricoltura, sono talmente tanti che è difficile coglierne tutte le implicazioni. Uno sviluppo che nell’opuscolo non viene trattato ma assolutamente centrale anche alla luce delle risposte alla pandemia e delle previsioni dei “piani di ripresa” è quello della cosiddetta telemedicina: colonizzata l’intera realtà, il mondo appena descritto si fa strada all’interno dei corpi. Intelligenze artificiali come Watson di IBM promettono diagnosi e indicazioni terapeutiche molto più affidabili di quelle dei medici in carne ed ossa, potendo analizzare tutta la letteratura e tutti i dati disponibili su una certa patologia; diagnosi che potranno essere fatte anche a distanza, attraverso sensori indossabili, sottocutanei o ingeribili che permettono un monitoraggio costante, e che possono essere usati ad esempio dalle assicurazioni sanitarie per controllare il rispetto degli stili di vita prescritti; tutto questo in combinazione con le bio- e nanotecnologie applicate alla medicina. È evidente che questi sviluppi vadano nella direzione di rimuovere definitivamente dal discorso sulla salute le nocività e le cause sociali delle malattie (vedi i presupposti del covid) a favore della “disincentivazione” se non criminalizzazione di comportamenti individuali non conformi (vedi le proposte di far pagare le cure a chi non si vaccina).
Due aspetti che mi limito a segnalare ma tutt’altro che secondari sono la divisione internazionale del lavoro, neocoloniale e strutturalmente razzista, che sorregge la “transizione digitale”, e l’impatto ecologico di quest’ultima. Dietro la retorica dell’immaterialità si nasconde, oltre a infrastrutture come i satelliti o i cavi sottomarini che fanno funzionare internet, uno sfruttamento feroce e gerarchizzato del lavoro e del territorio. Se le condizioni di lavoro nelle fabbriche di Shenzhen dove vengono assemblati gli iPhone (ma lo stesso vale per gli altri dispositivi digitali) hanno fatto loro guadagnare l’appellativo di “fabbriche dei suicidi”, i cosiddetti “metalli rari” indispensabili per tutte le tecnologie che stanno alla base della “transizione energetica e digitale” vengono estratti e separati dai materiali spesso radioattivi ai quali in natura si trovano mescolati attraverso procedimenti tali da condannare a morte precoce gli abitanti di intere aree del pianeta (e i loro ecosistemi). E a questo bisogna aggiungere il consumo energetico dato dalla digitalizzazione dell’intera realtà e la questione dei rifiuti elettronici. Inoltre, la crescita esponenziale della richiesta di materie prime come i metalli rari unita alla loro scarsità prepara i conflitti futuri (oltre a far già parlare di sfruttamento minerario dei fondali oceanici e dello spazio).
E veniamo così alla guerra. Se in un mondo interamente digitalizzato un attacco informatico – la cosiddetta cyber war – minaccia di avere conseguenze materiali più gravi di quelle un bombardamento, nel campo della guerra “tradizionale” la tecnologia ha già radicalizzato l’asimmetria al punto che ci troviamo di fronte da una parte il soldato americano che da dietro uno schermo decide della vita o della morte di persone che si trovano a migliaia di chilometri di distanza e poi timbra il cartellino e va a prendere il figlio a scuola, e dall’altra intere popolazioni costrette a convivere col ronzio dei droni nel terrore di diventare da un momento all’altro una delle tante “vittime collaterali” delle esecuzioni “chirurgiche”. Esecuzioni decise sulla base della cosiddetta analisi dei pattern di vita, cioè l’individuazione algoritmica dei comportamenti “anormali” rispetto a schemi abituali, e perciò sospetti. Il passo successivo sono i cosiddetti LAR, “robot letali autonomi”, in grado di uccidere senza controllo umano – e che comportano tra l’altro un’ulteriore “centralizzazione del comando” come la definisce Chamayou (l’autore di Teoria del drone), dato che programmarli equivale a determinare in una sola volta tutte le decisioni automatiche future.
ECONOMIA
Aumenti in un Paese finito
Leonardo Peruzzi 10 10 2021
Ripresa, spesa pubblica ed effetti speciali della contabilità nazionale
di Carloalberto Rossi e Giorgio Saibene
Da dove esce quell’incoraggiante 6% di crescita del PIL atteso per il 2021, proclamato stentoreamente dal premier Mario Draghi e dal suo ministro delle finanze Daniele Franco, e subito strombazzato dalla grancassa mediatica nazionale? Certo, tutti desideravano vedere e commentare un segnale positivo, anche per farsi coraggio, ma se questo spiega e forse in parte giustifica i titoli entusiastici dei media, la realtà che si può intravvedere analizzando a mente fredda i pochi dati disponibili è assai meno trionfale.
Per i meno preparati nella materia macroeconomica occorre ricordare che il Prodotto Interno Lordo è un indicatore di sintesi dell’andamento dell’economia di una nazione o di un sistema economico, e la sua variazione rispetto al periodo precedente viene usata per visualizzare la crescita (o la decrescita) economica. Come tutti gli indicatori di sintesi il PIL è il frutto di un algoritmo che prende in input una serie di fenomeni esattamente quantificabili e misurabili, mentre invece non riesce a tenere conto di una serie di altre variabili meno econometriche, che però hanno una notevole rilevanza nel lungo periodo.
Nel nostro caso la formula del calcolo del PIL secondo il metodo detto “della spesa” dice che il PIL è dato dalla somma di spesa pubblica, consumi privati, investimenti privati e saldo attivo della bilancia commerciale. Ovviamente calcolare i consumi e gli investimenti privati è un lavoro certosino, ma per nostra fortuna questo lavoro viene fatto dall’ISTAT (2021), così come il calcolo della spesa pubblica e del saldo della bilancia commerciale, questi ultimi dati facilmente reperibili sui siti del governo e della Banca d’Italia: useremo questi ultimi due per ricavare per differenza dai livelli di PIL dichiarati dalle istituzioni la somma dei consumi e degli investimenti privati, che in estrema semplificazione rappresentano il settore privato, o meglio quella parte dell’economia nazionale che non vive direttamente di spesa pubblica.
Quindi l’incremento della spesa pubblica agisce direttamente (di tanto cresce uno in valore assoluto, di altrettanto cresce l’altro) nella crescita del PIL, ed è esattamente quello che è successo e che sta succedendo in Italia, due espansioni molto importanti della spesa pubblica negli anni 2020 e 2021 hanno prima compensato la riduzione violenta del PIL “privato” nel 2020 e poi reso possibile l’incremento roboante del Pil che stiamo registrando ora, ma questo, essendo prima crollato e poi rimasto basso il PIL “privato”, si traduce in una riduzione della quota di contribuzione del settore privato nella creazione del prodotto nazionale complessivo.
Dobbiamo ricordare che è proprio questa parte dell’economia, cioè il PIL “privato”, tramite la sua tassazione, a rendere possibile la spesa pubblica, a meno di non ricorrere al debito pubblico, e la crescita di questa parte del PIL rappresentante il settore privato è il fenomeno che rende possibile di espandere la spesa pubblica nel periodo successivo: se il settore privato non cresce, a parità di aliquote fiscali non cresce nemmeno il gettito fiscale e di conseguenza, a meno del ricorso a ulteriore indebitamento, non può crescere la spesa pubblica.
ANNO PIL REALE in EURO a PREZZI 2015 VAR. VAR. % SPESA PUBBLICA VAR. VAR. % SETTORE PRIVATO VAR. VAR. % % PUBBLICO PRIVATO
2021 1,750 99 6.00% 1,050 104 10.99% 700 -5 -0.71% 150%
2020 1,651 -139 -7.77% 946 78 8.99% 705 -217 -23.54% 134%
2019 1,790 19 1.07% 868 13 1.52% 922 6 0.66% 94%
2018 1,771 35 2.02% 855 11 1.30% 916 24 2.69% 93%
2017 1,736 41 2.42% 844 13 1.56% 892 28 3.24% 95%
2016 1,695 40 2.42% 831 3 0.36% 864 37 4.47% 96%
2015 1,655 28 1.72% 828 -8 -0.96% 827 36 4.55% 100%
2014 1,627 15 0.93% 836 1 0.12% 791 14 1.80% 106%
2013 1,612 -12 -0.74% 835 7 0.85% 777 -19 -2.39% 107%
2012 1,624 -24 -1.46% 828 20 2.48% 796 -44 -5.24% 104%
2011 1,648 37 2.30% 808 -14 -1.70% 840 51 6.46% 96%
2010 1,611 822 789 104%
– Fonte: Bankitalia
– Il dato PIL 2021 è ricavato dalle stime del governo
– Il dato della spesa pubblica 2021 è estrapolato dal dato del I semestre 2021
E in Italia, come descritto nella tabella, è successo nel 2020 e nel 2021 che lo Stato, per fronteggiare l’emergenza ha fatto ricorso al debito per finanziare una enorme espansione della spesa pubblica, nell’ordine di 78 miliardi in più nel 2020 e altri 105 miliardi in più stimati per il 2021.
Questa espansione della spesa pubblica, finanziata con il debito, ha aggiunto ben 5,5 punti percentuali alla crescita del PIL, riducendo contemporaneamente per l’anno 2021 la quota di PIL del settore privato che in realtà risulterà calato rispetto al 2020 (anno disastroso che ha fatto segnare un calo di circa il 9% del PIL complessivo ma di ben 23,5 punti percentuali quello del settore privato) di un altro 0,78%, portandolo a quasi il 25% in meno rispetto a prima della crisi:
La morale della favola è che il traguardo del 6% di crescita del PIL 2021 di fatto nasconde o sottointende una crescita sproporzionata della spesa pubblica mentre il settore privato si è di fatto ristretto del 23,5% nel 2020 e si ridurrà di un altro 0,78% al termine dell’anno in corso, cioè nel corso della crisi si è ridotto di un quarto, e non è più cresciuto.
E l’anno successivo, per non registrare ulteriori cali del PIL dovremo trovare altri 100 miliardi da mettere sulla spesa pubblica, e per trovarli abbiamo a disposizione il debito pubblico, l’imposizione di nuove tasse e/o i fondi del Recovery Plan. I quali sono previsti però per sole poche decine di miliardi, siamo generosi e ipotizziamo che siano 50 miliardi all’anno.
Questo vuol dire che dovremo aumentare la raccolta fiscale oppure dovremo aumentare ancora il debito di altri 50 miliardi, e ancora saremmo fermi ai valori del PIL complessivo del 2021, cioè con crescita totale zero. Ma il guaio è che la nostra base imponibile, il reddito da tassare per alimentare la spesa pubblica, di fatto rappresentata dal PIL del settore privato, non è cresciuta affatto (se non si è ridotta ulteriormente) e si assesta al 25% in meno rispetto all’inizio della crisi.
Per questo il ministro delle finanze Daniele Franco si è affrettato a dire in questi giorni che la crescita del 6% non è in alcun modo replicabile l’anno prossimo e negli anni a seguire. Infatti questa crescita non appare generata dall’economia reale, ma solo dall’effetto espansivo di una spesa pubblica fuori controllo anche se in parte giustificata dall’emergenza.
L’export ci aiuta, ma non basta
Abbiamo ricordato sopra che il saldo della bilancia commerciale concorre alla creazione del PIL, anche se per motivi di sintesi (e per via della loro esiguità) non ne abbiamo riportato i numeri nella tabella sopra. Negli anni 2020 e 2021, nonostante un calo dell’export complessivo 2020 di quasi il 10%, il saldo della bilancia commerciale riporta un vigoroso incremento in molti settori nei quali eccelle la manifattura italiana, incremento su cui presumibilmente influiscono molte consegne originariamente previste per il 2020, poi per varie difficoltà logistiche consegnate solo nel 2021. Allo stesso tempo invece è crollata nel 2020 (ben oltre il 30%), e sostanzialmente non ripresa nel 2021, l’esportazione di servizi, presumibilmente a causa dello stop a molte attività legate al turismo internazionale.
Occorre notare che una parte del miglioramento del saldo commerciale potrebbe essere determinata da una violenta riduzione degli stock a magazzino, evidenziata da una riduzione molto più marcata delle importazioni rispetto alle esportazioni nel 2020, che potrebbe derivare da incertezza sul futuro (“vendi quel che puoi, liquida le scorte, che poi vediamo quel che succede”), ma anche dalle oggettive difficoltà verificatesi ad importare materie prime e semilavorati in particolare da determinati paesi (ad es. Cina) a causa della pandemia.
Finora non sono stati pubblicati dati statistici utili per determinare l’incidenza di questi fenomeni specifici, e questo rende più difficile interpretare il contributo del saldo commerciale alla proclamata ripresa economica italiana del 2021, o meglio non è ancora possibile dire se trattasi di una variazione strutturale e ripetibile in futuro, o se invece si tratti solo di “sconvolgimenti” e di effetti contabili contingenti.
Risulta però una riduzione di oltre il 10% del numero delle imprese esportatrici (da 137 mila a 123 mila), il che significa che i benefici della ripresa dell’export non sono equamente distribuiti e che molti dei piccoli od occasionali esportatori (quasi la metà delle imprese esportatrici fattura all’estero meno di 75.000 euro all’anno) hanno dovuto rinunciare, e forse questo fenomeno non è ancora terminato (Agenzia ICE 2021).
In dettaglio nel 2020 il saldo commerciale è cresciuto di 7,5 miliardi di Euro, mentre le aspettative per il 2021 sono di una ulteriore crescita di altri 9 miliardi, quindi il suo effetto positivo sulla crescita del PIL si può calcolare allo 0,5%.
Insomma, molte aziende italiane hanno ripreso a produrre ed esportare, ma molte altre non ci riescono più, e l’effetto sul PIL totale della ripresa dell’export è solo dello 0,5% del PIL. E ancora non sappiamo quanto i numeri dell’export registrati finora potranno essere stabili oppure si dimostreranno generati dai fattori contingenti citati in precedenza. Appare comunque assai improbabile che la crescita del saldo commerciale possa continuare a lungo, e ancora più improbabile che questo possa avere una efficacia risolutiva nella crescita del PIL.
Le aspettative, il moltiplicatore e il credito
Non occorre essere stati allievi di Federico Caffè, come ha avuto la fortuna e il merito di essere stato il premier Mario Draghi, per comprendere come le aspettative in economia siano determinanti, e infatti tutto il governo si affanna a spargere ottimismo, propagandando la crescita del PIL come un grande segnale di salute e di ripresa dell’economia italiana, ma se la propaganda può servire per passare sopra a qualche piccola buca, difficilmente può essere risolutiva se non accompagnata da altre solide misure per risalire da un cratere come quello provocato del Covid, per di più su un ambiente già devastato da molti anni di non crescita.
Rimettere in moto la domanda interna, sia di beni di consumo che di investimento, ha sicuramente un effetto sul PIL reale molto più incisivo della propaganda e anche dell’andamento del saldo della bilancia commerciale, e questo diventa particolarmente evidente se pensiamo all’incredibile aumento dei depositi bancari durante la pandemia.
Nel corso di quasi 20 mesi di pandemia si sono “fermati” nei conti presso le banche italiane circa 170 miliardi di euro di nuovi depositi, di cui oltre 110 provenienti da imprese e famiglie produttrici, l’andamento dei depositi delle quali ha mostrato un forte e continuativo incremento a partire dall’inizio 2020: questa è la fotografia di una economia che si è fermata trattenendo il fiato, di investimenti sospesi, di magazzini liquidati, in attesa di avere elementi per prendere delle nuove e più mirate decisioni. E una ridotta propensione agli investimenti da parte delle imprese non è certo una premessa allo sviluppo e alla crescita.
La crescita dei depositi delle famiglie risparmiatrici invece è proseguita con le stesse tendenze di prima della crisi, nonostante un significativo rallentamento dei consumi finali. E anche questo non aiuta l’efficacia delle teorie del moltiplicatore keynesiano, vero criterio base delle politiche di sviluppo economico.
Purtroppo anche i totali degli impieghi alle imprese non mostrano variazioni di rilievo, e questo nonostante le tanto pubblicizzate garanzie pubbliche alle imprese, che evidentemente al massimo hanno avuto una efficacia limitata solo ad impedire un calo del credito.
Quindi mentre l’economia reale perdeva un quarto del suo valore, quel che rimane del sistema bancario del paese assisteva impassibile, pur aumentando significativamente la raccolta, ma senza erogare nuovo credito, cosa che non si intravvede nemmeno nel secondo periodo della pandemia, nel quale apparentemente molte aziende hanno incominciato a riorganizzarsi.
Ma perché il settore privato torni ad espandersi, in particolare in questa situazione di inaffidabilità nei prezzi e della logistica, molte imprese, e in particolare quelle piccole, anche senza voler installare nuove tecnologie, avranno comunque bisogno perlomeno di espandere il loro capitale circolante per finanziare una ricostruzione del magazzino, che le politiche di approvvigionamento just in time sembrano diventate inutilizzabili per un medio lungo periodo. Questo si aggiunge ai danni al capitale creati, sia pure in quantità molto diverse tra i vari protagonisti, dal blocco produttivo più o meno lungo causato dalla pandemia.
Da dove potrà arrivare il capitale fresco che serve a molte di queste piccole e medie imprese? Il settore bancario, più che un fornitore affidabile, sembra immerso in una specie di autoreferenzialità che sembra quasi prescindere sia dai bisogni del territorio che dall’andamento dell’economia, mentre lo Stato ha già ripetutamente dimostrato la sua sostanziale inutilizzabilità in questo senso.
Cosa servirebbe per garantire l’espansione stabile del settore privato (che, è bene ricordare, lo possiamo considerare composto dal saldo della bilancia commerciale, dai consumi privati e dagli investimenti privati) ?
Purtroppo, anche secondo la letteratura, servono tutte cose che non abbiamo a disposizione o non possiamo ottenere in maniera sufficentemente adeguata nel breve periodo: ingenti capitali freschi da investire in progetti redditizi, una grande fiducia nel futuro, e un grande aumento dell‘efficenza del sistema burocratico, sia nella parte di pubblica amministrazione che nel sistema dei servizi privati ad essa correlati o da essa dipendenti.
La desolante prova messa in campo dal Governo e dalle parti sociali con la normativa del green-pass rende facile comprendere che se anche trovassimo adeguate risorse finanziarie ed intellettuali (che pure ad ora sembrano mancare del tutto), rischieremmo comunque di invalidare tutto a causa dell’indisponibilità di quel terzo ed ultimo fattore, di fatto regno incontrastato di prioritari interessi inconfessabili di intere categorie di persone beneficiarie, nei fatti indiscutibili ed inamovibili in quanto costituenti l’infrastruttura stessa del potere reale.
Ed è proprio qui che il governo Draghi deve trovare il suo altro “whatever it takes”, altrimenti la ripresa resterà quella contabile e lenta, generata dall’incremento della spesa, fino a che il comitato dei creditori europei lo permetterà.
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/ripresa-spesa-pubblica-ed-effetti-speciali-della-contabilita-nazionale/
GIUSTIZIA E NORME
Si può sciogliere Forza Nuova? Cosa dice la legge Scelba?
Dopo l’assalto alla sede nazionale della CGIL, sempre più leader politici chiedono di dare attuazione alla legge Scelba, che i più conoscono per il reato di apologia di fascismo, sciogliendo Forza Nuova e Casapound
Un sabato nero, per Roma. Non solo per gli scontri, incresciosi, che hanno seguito alla manifestazione no green pass, ma anche perché i protagonisti dei disordini sono stati proprio i neo fascisti. Per questo, indagherà anche un magistrato che si occupa di anti-terrorismo. Dodici le persone arrestate nella capitale dopo gli scontri, tra loro anche Roberto Fiore e Giuliano Castellino leader di Forza Nuova e con una lunghissima lista di reati e daspo alle spalle.
LA POLITICA: SCIOGLIERE I PARTITI NEOFASCISTI
“Non possiamo accettare che nel nostro paese ci siano aggressioni di questo tipo quindi su Forza Nuova è una valutazione che affidiamo alla magistratura ma anche io ritengo che ci siano le condizioni per lo scioglimento”. A dirlo Giuseppe Conte davanti alla sede della Cgil a Roma. “È evidente – ha proseguito l’ex premier – che ci sia una volontà deliberata di condurre attacchi squadristi e questo non lo possiamo accettare”. Di scioglimento hanno parlato anche il segretario della CIGL, Maurizio Landini e quello del PD, Enrico Letta.
“Domani stesso presenteremo, alla Camera, come Partito Democratico, una mozione urgente che chiede al governo lo scioglimento di Forza Nuova e degli altri movimenti dichiaratamente fascisti per decreto, ai sensi della Legge Scelba. Non è più possibile tollerare questo insulto continuo ai valori democratici della Costituzione. Queste violenze non possono passare sotto silenzio”, ha detto il deputato dem Emanuele Fiano, della presidenza del Gruppo Pd alla Camera. Fiano nel 2017 elaborò una legge, mai passata, ancora più incisiva della Scelba e della Mancino, che sulla scorta delle restrizioni penali prese dalla Germania repubblicana contri i rigurgiti di nazismo, recitava: «Chiunque propagandi le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici».
Leggi anche: Che cosa succede a Roma?
“Basta violenza dei gruppi neofascisti. L’assalto fascista di ieri alla sede nazionale della CGIL non è che la goccia che fa traboccare il vaso – ha aggiunto Fiano – Forza Nuova è un movimento dichiaratamente fascista, in questi anni sempre alla guida dei peggiori risvolti violenti delle manifestazioni di piazza, i cui dirigenti pluripregiudicati si fanno beffe dello Stato e della Legge contravvenendo alle restrizioni a cui dovrebbero essere sottoposti, come ieri il loro responsabile di Roma, Giuliano Castellino”.
Gli fa eco l’ex magistrato Michele Emiliano, oggi presidente della regione Puglia, che di leggi se ne intende: “La posizione che tutti dobbiamo assumere è questa: Forza nuova e Casapound vanno sciolte perché sono organizzazioni neofasciste con le quali non si può più ragionare e bisogna assolutamente applicare le leggi. Da oggi comincia una mobilitazione istituzionale. La Regione Puglia come istituzione chiederà prima al Consiglio regionale, poi al governo, poi al prefetto, al ministro degli Interni di agire con assoluta durezza applicando la legge esistente”. Già, ma cosa dice la legge esistente, ovvero la legge Scelba?
LA LEGGE SCELBA SULL’APOLOGIA DI FASCISMO
La legge Scelba (20 giugno 1952, n. 645) fu approvata nel 1952 per dare corpo alla XII disposizione finale della Costituzione, che proibisce la ricostruzione del partito fascista: «E` vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». È composta da dieci articoli, ma in molti credono si limiti a punire l’apologia di fascismo, previsto invece soltanto all’articolo 4: chi «esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche», rischia dai sei mesi ai due anni di reclusione.
Il più importante, come rivela la posizione nell’articolato, è invece il primo, che bandisce ogni formazione neofascista e spiega che si verifica una “ricostruzione” del partito fascista quando: «[…] una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, princìpi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista».
La stessa Corte Costituzionale, chiamata a esprimersi sulla costituzionalità della norma, in particolar modo sulla compatibilità dell’articolo 4 (e qualche anno dopo del quinto, sulle manifestazioni) con la libertà di pensiero tutelata dall’articolo 21, nel 1957 stabilì che la legge Scelba non tradiva lo spirito della Carta, ma contestualmente metteva paletti alla sua applicazione: per esserci apologia di fascismo non è sufficiente che ci sia «una difesa elogiativa» del vecchio regime, ma è necessaria «una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista». Non è reato difendere il fascismo a parole, ma solo se viene fatto «in rapporto a quella riorganizzazione, che è vietata dalla XII disposizione».
Pertanto, salvo che il legislatore non integri la normativa, per sciogliere Forza Nuova e Casapound come chiesto dai politici nelle ultime ore, un magistrato dovrebbe accertare che gli scontri di piazza di sabato fossero prodromici alla ricostruzione di un partito fascista che, nel caso di specie, non solo esisterebbe già, ma ce ne sarebbero perfino due. Resta da capire se quel «pigliamoci Roma» scandito dai manifestanti a pieni polmoni sarà inteso dai giudici come una rievocazione della marcia sulla capitale e, dunque, un possibile attentato alla Repubblica.
FONTE: https://www.policymakermag.it/fact-checking/si-puo-sciogliere-forza-nuova-cosa-dice-la-legge-scelba/
IMMIGRAZIONI
LO STIVALE ISLAMICO
Francesco Berardino 9 10 2021
La metà dei paesi dell’Unione Europea ha chiesto di proteggere i propri confini, dall’invasione degli immigrati, con muri e cavalli di frisia . Ritenendo, giustamente, che questo sia un dovere dell’Europa, ha chiesto anche che l’UE finanzi queste opere di difesa.
L’intento di questi paesi è conservare l’integrità etica, le proprie radici culturali e religiose. Da noi, questo signore, non si sa se per interessi di partito o per limiti suoi personali, si batte per lo ius soli, per l’accoglienza a tutti i costi, per la gioia delle cooperative rosse.
Speriamo che la nuova dirigenza europea si renda conto che di questo passo l’Italia sarà uno stivale islamico nel cuore dell’Europa, con tutti i rischi annessi e connessi.
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=1980639275444334&id=100004948412919
LA LINGUA SALVATA
Epitrope
e-pì-tro-pe
SIGNIFICATO Figura retorica per cui chi parla, confidando nella bontà della sua posizione, fa concessioni a una parte avversa e si rimette a chi decide; raccolta di decisioni della Chiesa ortodossa
ETIMOLOGIA voce dotta recuperata dal latino tardo epitrope, prestito dal greco epitropé ‘concessione, decisione’ — da trépein ‘volgere’ col prefisso epì ‘sopra’.
Chi sostiene il contrario ha certo le sue ragioni, ma i miei argomenti sono spiegati, forti ed evidenti, e sicuro di questo mi rimetto al tuo giudizio. Questa è l’epitrope, una figura retorica che (come non di rado accade) ha un nome ignoto alla quasi totalità della gente, e che però descrive un passo retorico comunissimo.
La sua ascendenza etimologica — naturalmente greca, visto l’argomento — ce la spiega con il semplice concetto di una ‘concessione’. In effetti è un’azione retorica che circonfonde di una certa aura di forza una posizione concedendo spazio (anche disgiuntamente) a quelle concorrenti e al giudizio di chi l’ascolta. Non si accanisce senza quartiere, palmo a palmo, argomento per argomento, né incalza chi deve decidere: mostra sicurezza, serenità olimpica, abbandona inutili relitti d’argomenti e d’animosità, riconosce perfino qualche ombra di ragione contraria, lascia spazio a un giudizio che non può non essere ovvio. Ci mostra un atto retorico che non agisce su suoni, sintassi e significati, ma che dispiega una strategia comunicativa — in questo caso un espediente per esercitare un ascendente, forse condizionare.
Siamo davanti a un’epitrope quando stiamo scegliendo dove andare a cena: posso ammettere che lì la pizza la fanno squisita, anche se certo nell’altro ristorante, in questi giorni, hanno certi porcini che sarebbe un peccato non andarci, ma decidi tu, so che sceglierai bene. Idem quando l’avvocato, alla fine dell’arringa, dopo aver fatto delle concessioni sui patimenti della parte avversa, si rimette al giudizio dei magistrati nell’evidenza della propria ragione. Ed è un’epitrope quella della zia, che certo apprezza le grandi capacità del navigatore di conoscere le condizioni di traffico in tempo reale, però lei vive in quelle strade da sempre, non si muove transenna senza che lei lo sappia, e ti consiglia di svoltare a sinistra ora — comunque guidi tu, fai tu.
Vediamo che è una figura di pensiero tanto forte e tanto normale, che può echeggiare ogni volta che ci sono due istanze contrapposte e qualcuno che vi decide su. Certo, in maniera più generica e accessibile, a ‘epitrope’ si può preferire direttamente la più pronta ‘concessione’; ma l’epitrope racconta una dinamica più complessa. E comunque, è uno di quei casi (anche questi, non così rari) in cui la preziosità del termine non chiede una rivitalizzazione: il nome dell’epitrope non popolerà i nostri discorsi. Solo, col suo racconto, ci fa distinguere una volta per tutte un filo del mondo, un passo retorico, una figura di pensiero.
Peraltro, questo non è nemmeno l’unico significato di ‘epitrope’ — che oltre a una concessione può essere anche una decisione (sono significati che si formano da quelli versatili di un trépein cioè ‘volgere’ epì cioè ‘sopra’). In particolare, ha indicato delle raccolte di decisioni su questioni sia morali sia materiali della Chiesa Ortodossa, dal livello della parrocchia a quello del patriarcato.
Parola pubblicata il 14 Ottobre 2021
FONTE: https://unaparolaalgiorno.it/significato/epitrope
NOTIZIE DAI SOCIAL WEB
SOCIETA’ STERILE
Lisa Stanton 10 10 2021
PANORAMA INTERNAZIONALE
L’enigma del 15 ottobre globale
In tutto il mondo. Dall’Australia all’Italia, dal Canada agli Usa all’Angola il 15 ottobre è la data che hanno fissato per la scadenza della libertà. Non ho spiegazioni…
Anche in Angola, dal 15 ottobre è obbligatorio avere il green pass per entrare in qualunque spazio pubblico. Spiagge comprese. In Angola solo il 3% è vaccinato e dunque ha il pass.
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/lenigma-del-15-ottobre-globale/
Il fallimento del Libano è stato deliberatamente provocato dall’FMI di Christine Lagarde
Secondo Le Temps (Svizzera), la Banca Centrale del Libano sapeva dal 2016 che il Paese si avviava alla bancarotta [1]. Informazioni sensibili sono state nascoste dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), su richiesta di Riad Salamé. Quella che è arrivata è dunque una catastrofe annunciata.
Il 9 aprile 2016 il delegato dell’FMI per il Libano, lo spagnolo Alvaro Pris, consegnò un rapporto intermedio al direttore della Banca Centrale del Libano, Riad Salamé. Il documento suonava l’allarme, ma, su richiesta di Salamé, l’FMI ne ha occultato le 14 pagine fondamentali.
L’FMI era all’epoca diretto dalla franco-statunitense Christine Lagarde, oggi presidente della Banca Centrale Europea [2].
Sembra quindi che la bancarotta del Libano avrebbe potuto essere evitata. Non lo è stata a causa del patto tra Salamé e FMI. Il fallimento del Paese non è perciò semplicemente frutto della cattiva gestione e della corruzione, è l’esito di un complotto che coinvolge i dirigenti dell’FMI. Solo pochi iniziati, come Fouad Siniora, hanno fatto in tempo a mettere in sicurezza il proprio patrimonio.
A novembre il Libano inizierà le negoziazioni con l’FMI per ottenere i mezzi per salvarsi. La delegazione sarà presieduta dal vice-primoministro Saadé Chami, illustre sconosciuto che dovrebbe rappresentare il PSNS [Partito Socialista Nazionalista Siriano], che però non l’ha mai incaricato; anzi, il deputato Assaad Hardan, che l’ha designato, ha causato una scissione nel partito.
Saad Chami deve la carriera a Fouad Siniora, ex primo ministro nonché ex contabile di Rafic Hariri. È stato altresì… direttore del Centro di sostegno tecnico dell’FMI in Medio Oriente. Ha svolto un ruolo attivo nell’occultamento del rapporto 2016.
[1] « EXCLUSIF : La Banque du Liban a censuré un rapport du FMI qui prévoyait le désastre actuel », Antoine Harari et Clément Fayol, Le Temps, 7 octobre 2021.
[2] Si veda il nostro dossier «Christine Lagarde».
FONTE: https://www.voltairenet.org/article214358.html
Covid-19: la morsa si stringe attorno al dottor Anthony Fauci
Il 23 settembre 2021 The Intercept ha pubblicato una richiesta di sovvenzione, presentata nel 2018 da EcoHealth Alliance alla DARPA (Defence Advanced Research Projects Agency) [1], ove si legge che l’intento della società è creare in laboratorio un virus artificiale partendo dai coronavirus dei pipistrelli [2].
L’ex consigliere economico del presidente Donald Trump, Peter Navarro, ha peraltro rivelato che EcoHealth Alliance è servita al dottor Anthony Fauci per dirottare denaro pubblico sul finanziamento di ricerche da svolgere nel laboratorio P4 di Wuhan perché illegali negli Stati Uniti.
Il direttore di EcoHealth Alliance, Peter Daszak, è il principale promotore della petizione, pubblicata da The Lancet, [3], a sostegno del personale sanitario di Wuhan, ingiustamente accusato di essere responsabile dell’epidemia di Covid-19. Daszak è stato altresì membro della missione d’indagine dell’OMS a Wuhan.
Il 4 settembre 2021 Alex Jones (InfoWar) ha divulgato due estratti del video, diffuso a ottobre 2019 dalla rete pubblica statunitense CSPAN, di una tavola rotonda sulla creazione di un vaccino universale contro l’influenza [4].
Gli esperti vi discutono la necessità:
di modificare la procedura di autorizzazione dei vaccini contro l’influenza;
di cambiare modalità di produzione dei vaccini anti-inflluenzali, sostituendoli con sistemi a RNA messaggero,
I partecipanti convengono sul fatto che l’industria farmaceutica non potrà fare il gran passo perché l’influenza non è malattia che faccia paura.
Durante la riunione il dottor Anthony Fauci dichiara, in sostanza, che per fare avanzare l’industria farmaceutica e l’umanità occorrerebbe uno choc, un’epidemia influenzale molto più mortale.
Anthony Fauci è dal 1984 direttore dell’Istituto Nazionale statunitense per le allergie e le malattie infettive (National Institute of Allergy and Infectious Diseases). È stato collaboratore del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, di cui nel 2004 ha appoggiato il progetto d’isolamento di persone sane. È altresì membro di Alba Rossa [5], il gruppo che nel 2020, durante l’epidemia Covid, si è speso per l’applicazione del piano d’isolamento Rumsfeld. È stato chiamato dal presidente Trump a dirigere la cellula di crisi Covid-19. Il presidente Joe Biden l’ha confermato nell’incarico.
[1] «Leaked Grant Proposal Details High-Risk Coronavirus Research]», Sharon Lerner & Maia Hibbett, The Intercept, September 23 2021.
[3] «Statement in support of the scientists, public health professionals, and medical professionals of China combatting COVID-19», The Lancet, February 19, 2020.
[4] «Monday Night Emergency Broadcast: Video of Fauci and HHS Plotting to Stage Massive Health Scare Using “New Virus” Emerges», InfoWars, September 4, 2021.
[5] “Il COVID-19 e l’Alba Rossa”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 28 aprile 2020.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article214345.html
POLITICA
FONTE: https://www.facebook.com/100015824534248/posts/1079561575914650/
Green pass obbligatorio, e Zaia se la fa sotto
Il governatore del Veneto: “Marea di lavoratori senza, non perché non hanno voluto fare il tampone ma perché non è stato possibile farlo”
da ADN.Kronos:
Green pass Italia obbligatorio sul posto di lavoro a partire dal 15 ottobre, il governatore Luca Zaia lancia l’allarme. “Si prenda atto – ha detto infatti il presidente del Veneto nel corso della presentazione di Vinitaly Special Edition – che il 15 ottobre ci sarà una marea di lavoratori che non potranno avere il Green Pass, e non perché non hanno voluto fare il tampone, ma perché non è stato possibile farlo fisicamente“.
Secondo il governatore, “i numeri sono chiari: in Veneto ci sono 590 mila persone in età lavorativa non vaccinate che avranno bisogno di un tampone ogni 48 ore: il sistema pubblico e le farmacie sono in grado di arrivare a 120 mila”.
“Quindi, la soluzione è una sola: riconoscere la validità del tampone fai da te, come avviene negli altri paesi europei, e quindi la possibilità da parte delle aziende di fare in autonomia lo screening ai loro dipendenti, avremmo così anche uno screening preciso della realtà dell’epidemia sul territorio”, ha spiegato Zaia che poi ha tenuto a sottolineare che: “l’imprenditore è la prima persona ad avere interesse di non trovarsi un positivo nel suo sistema produttivo. Purtroppo, ad oggi è vietato a chiunque fare test fai da te nel mondo del lavoro”, ha concluso.
(I veneti, se non possono lavorare, s’inkazzano davvero. A Zaia non resta che disobbedire al Governo, e dare alle aziende lui, come governatore ciò che il governo non fa: l’autonomia e l’autodichiarazione green)
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/green-pass-obbligatorio-zaia-e-la-fa-sotto/
STORIA
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