RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
15 APRILE 2021
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Non si abita un Paese, si abita una lingua.
Una Patria è questo e niente altro
EMIL CIORAN, Confessioni e anatemi, Adelphi, 2007, pag. 23
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SOMMARIO
Abbiamo fatto incazzare Draghi
La verità è menzogna. La menzogna è verità. Casi concreti.
I DUE VOLTI DI HEDY LAMARR
L’Unione Europea: dal mercato unico a una tragica farsa
RADIO FOGNA N. 24
Gli svergognati
CNN: Il nostro scopo era cacciare Trump, non informare. Parola di dirigente
“Uccideteli, uccideteli tutti”: La guerra contro la polizia in Francia
SARMAT E 4000 ESERCITAZIONI MILITARI: ECCO PERCHE’ LA NATO TEME LA RUSSIA
IL CONTRIBUTO ITALIANO ALLA CIVILTÀ MONDIALE
“Pronti alla morte”: allora si vince
Il governo farà di tutto per impedire alla gente di manifestare
Venti di guerra in Ucraina: cosa sta succedendo veramente
Adolescenti strappati alla famiglia e dati in affido perché “obesi”
La fine del dollaro e l’ascesa delle monete virtuali
IN EVIDENZA
Abbiamo fatto incazzare Draghi
Cesare Sacchetti – 7 febbraio 2021
…”Alcuni di voi mi hanno chiesto chiarimenti sulla legge sulla protezioni delle infezioni approvata dal governo tedesco.
Altri sono arrivati a dire che è solo “terrorismo mediatico”, quando in realtà i media non hanno nemmeno scritto una parola al riguardo.
Ora la legge deve essere approvata dal Parlamento tedesco ma le probabilità che passi sono purtroppo alte.
Ad ogni modo, sono riuscito a inserire un link della legge che potete leggere integralmente qui. Purtroppo prevede, come avevo già detto precedentemente, addirittura 5 anni di carcere per chi viola le restrizioni Covid.
Questa purtroppo è la realtà.
Denunciare quello che sta facendo questa dittatura mondiale di criminali senza scrupoli non è “allarmismo”.
È mettere in guardia dai piani che hanno in mente queste persone per l’umanità.
Se qualcuno vuole mettere la testa sotto la sabbia, faccia pure.
Ma non accusi chi prova a denunciare quanto sta accadendo.
Un tizio mi ha persino scritto dicendo di non scrivere nulla perché sennò lui “NON DORME LA NOTTE”.
Chi pensa di uscirne facendo finta di nulla purtroppo avrà un risveglio ancora più brusco.
Ad ogni modo, ho contattato anche un deputato tedesco di AfD, il dottor FRIEDRICH FIECHTNER, che sta appunto denunciando questa legge che darà vita, SE APPROVATA al PARLAMENTO, ad UN NUOVO TOTALITARISMO, UNO dei PIÙ FEROCI della STORIA.
Non appena riceverò una sua risposta, condividerò con voi quanto mi dirà.
Chi non vuole saperne nulla, non legga.
Chi vuole invece sapere cosa ha in mente questa dittatura, resti collegato.
VIDEO QUI: https://www.youtube.com/watch?v=HOdOpKB2ZL4
FONTE: https://www.facebook.com/CesareSacchetti/posts/713370319373868
La verità è menzogna. La menzogna è verità. Casi concreti.
di Roberto PECCHIOLI
Diceva Mark Twain che è più facile ingannare la gente che convincerla di essere stata ingannata. L’autore delle (censuratissime!) Avventure di Huckleberry Finn, nel XIX secolo non poteva conoscere la potenza di fuoco del dispositivo mediatico di informazione e deformazione della verità. Il problema della verità e della menzogna è diventato centrale nella “società dello spettacolo”, delle news che si rincorrono e della post –verità, diventata il nome d’arte della menzogna. In fin dei conti, tutte le contorsioni verbali del nostro tempo sono attentati contro la verità, la chiarezza e, in ultima analisi, negazione della realtà. Multi, poli, trans, bi sono maschere, fumisterie tese ad allontanare l’uomo dalla verità e dalla sua ricerca.
Uno dei pochi filosofi che combattano una lotta impari a favore della verità è Francesco Lamendola. In tempi normali, sarebbe un “venerato maestro” colmato di onori e riconoscimenti. Nel buio del presente può solo levare la sua voce, quasi inascoltata, “vox clamantis in deserto”.
Chi scrive non ha né la cultura, né la forma mentis del filosofo. Tenta di svolgere la riflessione intorno al drammatico problema della verità e della menzogna con le armi e il linguaggio dell’uomo comune, sbigottito da ciò che vede e sente. Un immenso apparato culturale, mediatico e di intrattenimento, un’officina a ciclo continuo è impegnata allo scopo di non farci più credere ai nostri occhi.
Lo comprese George Orwell, con la folgorante invenzione, nel romanzo 1984, delle tre grandi scritte sull’immenso palazzo del partito unico al potere: la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza.
Capovolgere i significati significa capovolgere la realtà. L’esito è ovvio: la verità è menzogna. E poiché, come insegnò Aristotele, se A è uguale a B, B deve essere uguale ad A, la menzogna diventa verità. La verità, scrive il Vangelo di Giovanni, rende liberi, dunque la menzogna ci trasforma in schiavi. Il cerchio si chiude, il rapporto tra verità e libertà diventa un futile esercizio filosofico per metafisici ritardatari.
Il pensiero occidentale si è liberato con fastidio della metafisica, ossia di tutto ciò che eccede la nuda materia, e impone una religione provvisoria e impalpabile, la scienza, definita “esatta”. Tuttavia, l’esattezza è concetto assai diverso dalla verità. La scienza non si prefigge l’obiettivo della verità; si limita, attraverso l’osservazione e la sperimentazione, a chiarire regole e invarianze del mondo fisico. Infatti una retta scienza non si considera mai definitiva, accetta la prova contraria, tanto che Karl Popper considerava la confutazione uno dei pilastri della conoscenza scientifica. Paul Feyerabend, filosofo della scienza, sosteneva che l’unico corretto metodo scientifico è l’assenza di metodo.
Negli ultimi decenni il relativismo radicale della cultura occidentale si è mutato nel suo contrario: da un lato, l’assunzione della scienza a nuova religione, dall’altro l’idea che esiste un’unica verità, ovvero l’assenza di verità elevata a totem invalicabile. A nessuno sfugge la deriva nichilistica e la disperante condizione umana che ne consegue. Di qui, la riduzione della vita a mero fatto biologico, da preservare a ogni costo (il culto superstizioso della vaccinazione) o cancellare a richiesta (l’eutanasia), e, paradossalmente, la necessità di diffondere, ad uso delle masse impaurite, orfane di principi, private di ogni appiglio comune, nuove “verità”, cioè, per dirla chiaramente, menzogne utili al potere.
Stiamo arrivando al punto in cui , guardando un albero, ci convincono indifferentemente che è un lampione o un unicorno, chiamando pazzi e visionari quanti continuassero a chiamarlo albero, vederlo e considerarlo per quello che è.
Ci è capitato, in una discussione con un intellettuale sedicente progressista sul concetto di matrimonio, di chiedergli che cosa pensasse del fatto che a nessuna civiltà, in nessun tempo, sia venuto in mente di ritenere matrimonio l’unione tra persone dello stesso sesso. La risposta è stata raggelante e disarmante: il passato era pieno di errori, oscurità e pregiudizi, noi abbiamo finalmente raggiunto la liberazione e la verità. Dunque, non è vero che “maschio e femmina li creò”. L’albero ha cambiato nome definitivamente e non è più un albero. Il Ministero della Verità ha vinto la sua battaglia e imposto il capovolgimento intuito da Orwell: la menzogna è diventata verità. E viceversa.
Poiché alcuni bastian contrari non sono d’accordo, la menzogna diventata neo-verità deve essere imposta, inizialmente attraverso il dispiegamento di tutto l’apparato a disposizione del potere, poi con il divieto legale di dissentire. Montesquieu scrisse già a metà del secolo XVIII che non esiste tirannia peggiore di quella esercitata all’ombra della legge e con i colori della giustizia. Potremmo aggiungere, di quella che fa appello alla morale, a un’etica rovesciata a cui il potere finge di credere. Un esempio è una notizia che sarebbe esilarante se non fosse la dimostrazione del bispensiero orwelliano, cioè della deliberata inversione a fini di dominio.
Sputnik V rifiutato da EMA: è immorale
L’Agenzia Europea del Farmaco (EMA), alto consesso di “esperti” e scienziati a cui, in tempo di virus, abbiamo consegnato la salute e quel che resta delle nostre facoltà intellettuali, sta valutando se consigliare il divieto del vaccino russo anti Covid Sputnik – utilizzato già in 59 paesi- per motivi “etici”.
Premesso che dovremmo ridere a squarciagola dell’etica di costoro come di un elogio della castità pronunciato da Cicciolina, sapete qual è la virtuosa motivazione degli alti burocrati della salute europoide? Chi ha partecipato alle ricerche potrebbe essere stato costretto a farlo dal governo russo. Sputnik, quindi, non sarebbe un vaccino “etico”.
L’ EMA, incapace di risolvere il dramma del virus, occupa il suo tempo ad indagare se “militari e scienziati russi che hanno partecipato alle ricerche, lo hanno fatto senza costrizione “. Si possono salvare vite (pare che Sputnik ci riesca) si chiede l’EMA con la mano sul cuore e una lacrima sul viso, con un vaccino che potrebbe essere stato realizzato e prodotto infrangendo “diritti”? Evitiamo di ricordare i drammatici esiti delle prove su popolazioni del Terzo Mondo di brevetti di Big Pharma o del grande filantropo Bill Gates: troppo facile.
Evitiamo anche di ricordare le cavie – animali e umane – utilizzate largamente dalla scienza. Il problema non è il merito delle affermazioni dell’Ema, ma il fatto che vengano prese sul serio, che si giochi senza vergogna sulla vita di centinaia di milioni di europei torcendo la verità in nome – udite udite, della “morale” e dei “diritti”. Gli interessi non c’entrano, nevvero? La menzogna ha scacciato la verità, ma è pericolosissimo affermarlo: il re è nudo, ma non lo può dire neppure il bimbo della fiaba di Andersen.
Altrettanto poco salutare è avanzare dubbi- come stanno facendo alcuni scienziati – sul principio attivo dei vaccini anti Covid scelti dall’oligarchia. La scommessa terapeutica è legata al cosiddetto RNA messaggero, ossia a molecole di acido ribonucleico chimicamente sintetizzate che portano un messaggio al DNA delle nostre cellule. Forniscono cioè istruzioni- perdonate il linguaggio semplicistico – su quali proteine produrre. Straordinario tentativo, da salutare con entusiasmo, senonché non vi è certezza che i vaccini mRNA non influenzino – cioè modifichino – il DNA. I più lo negano: chissà se Big Pharma ha fatto pressioni, ossia “violato diritti” affinché si diffonda questa narrazione rassicurante; fatto sta che non ci sono prove e i dubbi persistono. E’ “etico” modificare il DNA umano, o rischiare che accada? Verità, menzogna, o menzogna che diviene verità per coazione a ripetere?
Forse il vero profeta fu Lewis Carroll, l’autore di Alice nel paese delle meraviglie, che inventò Humpty Dumpty, l’ometto a forma di uovo dal linguaggio incomprensibile. Alla meravigliata Alice dice: quando io uso una parola, essa significa esattamente ciò che io voglio che significhi. All’osservazione di Alice, bambina semplice ma non sciocca, che le parole possono avere tanti significati, replica: “quando faccio fare a una parola un simile lavoro, la pago sempre di più”.
Le parole diventano strumenti di menzogna per i fini più loschi e indicibili. E’ la sconfitta del principio di realtà e la sua sostituzione con la “narrazione”, imposta da un implacabile dispositivo di lavaggio del cervello la cui funzione è opposta a quella delle applicazioni informatiche che “puliscono” la spazzatura nella memoria del computer. Alla verità è sostituito il suo contrario: il grande Reset, che significa cancellazione. Penso, vedo, percepisco A, ma il dispositivo mentale traduce l’informazione al contrario: A diventa Zeta.
Chissà che non sia il caso di ritornare al vecchio reato di cui all’articolo 661 del codice penale, l’abuso della credulità popolare, derubricato a infrazione amministrativa nel momento in cui la menzogna diventa più estesa, pervasiva e proveniente.
Ma l’ignoranza è forza (di chi la diffonde), spiegava Orwell.
L’appello morale diventa quindi il suo contrario, poiché arriva da chi mente sapendo di mentire, la peggiore delle immoralità. Forniamo un altro esempio. Nello Stato americano della Georgia, oggetto di polemiche violentissime per i possibili brogli nelle elezioni presidenziali, è stata modificata la legge elettorale.
Il broglio è un “diritto”
Quella nuova prevede l’accertamento con documento ufficiale dell’identità del votante.
Ebbbene: la decisione della Georgia ha suscitato un’immensa levata di scudi da parte dei progressisti americani, che oggi si chiamano woke, i “risvegliati”. Ecco un’altra menzogna diventata verità: il risveglio consiste nella cancellazione della civiltà e della cultura d’origine! Ne sono banditori le grandi corporazioni industriali e tecnologiche. Ben 1.119 tra loro, tra cui Amazon, McDonalds, Microsoft, PayPal, Uber, Airbnb, Best Buy, Capitol One, Dow, Hewlett Packard, Macy’s, Starbucks, United Airlines, Pepsi, hanno dato vita a un’incredibile “Alleanza Civica” unita nel rifiuto della nuova legge elettorale georgiana.
Il loro comunicato è un perfetto esercizio di stile orwelliano, il capovolgimento sfacciato della realtà. “Noi sosteniamo elezioni sicure, accessibili e incitiamo i nostri dipendenti e collaboratori a partecipare alla vita civica. Come imprese, siamo solidali con gli elettori nel nostro impegno non partigiano per l’uguaglianza e la democrazia. Riteniamo minacciosi i progetti di legge per rendere più difficile il voto “. Non conoscono la vergogna: è immorale chiedere a chi si presenta a un seggio una carta d’identità e la prova di far parte delle liste elettorali, non il broglio. Il sistema è talmente forte che non solo mente spudoratamente, ma chiama apertamente male il bene.
Nello specifico, sembra una confessione di colpevolezza, la prova provata che la democrazia è oggi la più grande delle menzogne. Scelgono chi può candidarsi attraverso meccanismi preventivi fatti per escludere, scelgono gli eletti (chi riceve finanziamenti e appoggi). Ora scelgono anche gli elettori. Il prossimo passaggio – la finestra di Overton non è ancora spalancata, ma ci stanno lavorando – sarà abolire anche la pallida democrazia rappresentativa, che rappresenta non i popoli, ma l’oligarchia. O forse no, meglio che la gente menta a se stessa, credendo di vivere nella libertà.
Facile ingannare se si è padroni delle carte, si dettano le regole del gioco e si scelgono i giocatori. Arduo far capire l’enormità dell’operazione e il pericolo mortale. Si sentono tanto forti da divulgare con chiarezza i loro intenti. Tanto non capiremo o applaudiremo l’imbroglio. L’Agenda 2030 dell’ONU, il Grande Reset del Forum di Davos hanno messo le carte in tavola, ma la verità non è stata presa sul serio. Le prove sono innumerevoli, anche se a esporle ci sentiamo come Sisifo al termine della sua fatica. Sisifo era il più scaltro e astuto ingannatore, ma nell’orizzonte mentale greco, nessuno poteva sfidare attraverso la hybris, la dismisura, la collera degli dèi. La punizione fu terribile: spingere eternamente un masso dalla base alla cima di un monte. Ogni volta che raggiungeva la cima, la pietra rotolava e Sisifo doveva ricominciare l’inutile scalata.
Alex Pentland, direttore del Laboratorio di Dinamiche Umane del celebre MIT (Massachusetts Institute of Technology), consigliere del Foro Economico Mondiale, di grandi multinazionali, destinatario di ingenti finanziamenti dalla maggiori ONG del mondo, ha affermato di avere la soluzione dei problemi dell’umanità. Non è un pazzo o un ciarlatano, ma uno scienziato che lavora alla modifica inconscia dei comportamenti umani. Ha formulato una nuova scienza sociale computazionale basata sulla matematica, sull’aggregazione di dati e metadati, che ha chiamato Fisica Sociale, come un testo del filosofo positivista del XIX secolo Auguste Comte.
Attraverso le informazioni tratte dalle numerose fonti di raccolta di dati personali esistenti – telefoni, reti sociali, carte di credito, Internet, posta elettronica- essa permette la previsione più accurata dei comportamenti umani e sociali, superando la sociologia della conoscenza di Max Scheler, intendendola come miniera della realtà in grado di prevedere ogni nostra condotta. Il “principio di influenza sociale” permetterà di sapere perché si prendono le decisioni e di anticiparle, non tanto per coazione, interesse razionale o persuasione, ma per imitazione.
Così, in base a una vaga epistemologia comportamentista, faremo spontaneamente ciò che i padroni universali vorranno. In anni più sinceri, si chiamava lavaggio del cervello. Oggi è scienza, predizione, progresso.
I nuovi demiurghi cibernetici rivelano cinicamente di essere in grado di farci fare ciò che vogliono. Lo chiamano, con il moralismo peloso e invertito di cui sono maestri, “orientare le masse verso obiettivi adeguati”.
Ci riuscì assai bene anche il pifferaio di Hamelin dei fratelli Grimm. Si presentano come “filantropi”, una delle parole più sospette e invertite del nostro tempo. Apostoli del Bene capovolto, sanno di poter contare, per il successo dei loro progetti, su un’umanità rotta a ogni menzogna. Viene in mente il lupo di Cappuccetto Rosso: che orecchie grandi hai. E’ per sentirti meglio. Che occhi grossi! Per vederti meglio. La verità era nella domanda finale: nonna, che bocca grande hai. E’ per divorarti meglio! Cappuccetto Rosso se la cavò, ma era una fiaba.
Se ciò che ci viene proposto – cioè imposto- ha il marchio della scienza e il respiro del progresso, lo accogliamo con entusiasmo infantile. La scienza è “verità” e pazienza se proprio la parte più alta e speculativa della scienza ha riconosciuto da tempo i suoi limiti. Pensiamo al principio di indeterminazione di Heisenberg, al teorema di incompletezza di Goedel, alla fisica quantistica che ha introdotto il concetto di probabilità e enunciato l’assurdo logico del gatto di Schroedinger, morto e vivo nella scatola, “a certe condizioni”. Sofismi, eccesso di complessità per l’uomo postmoderno dal ragionamento binario, sequenze di zero e uno come in informatica. Facile imporre la menzogna e travestirla da verità in salsa moraleggiante. I lupi non si prendono più il disturbo di mascherarsi da nonnina di Cappuccetto Rosso.
Alla luce di quanto detto, è evidente che il tema della verità e della menzogna non è un ozioso gioco di parole per filosofi o una sterile diatriba bizantina sul sesso degli angeli, ma un concretissimo strumento di inganno e dominio. Per proseguire la battaglia della verità occorrono la pazienza di Giobbe, l’eloquenza di Cicerone e il coraggio di Don Chisciotte, poiché i giganti nemici si sono travestiti da mulini a vento. Speriamo che avesse ragione Abramo Lincoln: si può ingannare qualcuno per sempre e tutti per un po’, ma non si possono ingannare tutti per sempre.
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/la-verita-e-menzogna-la-menzogna-e-verita-casi-concreti/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
I DUE VOLTI DI HEDY LAMARR
Hedwig Eva Maria Kiesler nasce a Vienna nel 1914 da famiglia ebraica alto borghese, con una educazione affidata alle governanti. Ha difficili rapporti con i genitori. Recita in teatro, disegna, impara le lingue. Ad insaputa dei genitori partecipa, a 12 anni, ad un concorso di bellezza dove vince il primo premio. Vede il suo primo film – Metropolis di Fritz Lang – frequenta ragazzi con i quali ha rapporti liberi. Grazie al suo carattere tenace e testardo, vince l’ostilità aperta dei genitori e riesce a recitare per la prima volta, a 14 anni, con la Sascha Film (1929). Il suo percorso artistico prosegue con l’incontro a Vienna con il famoso drammaturgo Max Reinhardt che la porta alla notorietà. Nel film Estasi è la prima donna al mondo a recitare in una brevissima scena di nudo.
Sposa il ricchissimo mercante d’armi, Fritz Mandl, nel 1933 e dal quale fugge nel 1937, con l’avvento di Adolf Hitler. Va a Londra dove riesce ad ottenere un lucroso contratto con la casa di produzione Mgm. Nel 1938 si trasferisce a Los Angeles dove affina ancora di più il suo senso per gli affari, rifiutando i mazzi di fiori che non avevano dentro una collana di diamanti. Prende il nome d’arte di Hedy Lamarr, con un pizzico di alone macabro per un nome che ricordava la diva del muto, Barbara La Marr, morta trentenne. Lavora nel cinema per molti anni nei ruoli di Biancaneve e di Catwoman ed altri ruoli di importanza minore. Recita con successo in una serie numerosa di film.
Nel 1940 conosce il compositore George Antheil, che si occupava di strumenti musicali comandati automaticamente. Lei confessa di sapere molto di armamenti. Una conoscenza, forse, dovuta a progetti rubati al precedente marito mercante d’armi? Si ipotizzò che la sua fuga da Vienna fosse stata facilitata dai servizi segreti inglesi. Questo è un periodo piuttosto oscuro ed avventuroso della sua vita. Grazie alle sue notevoli competenze matematiche, costruisce insieme al compositore un sistema di telecomando via radio per siluri, che ribalterà le sorti della guerra navale Usa-Germania. Brevettato il progetto, la Marina lo ritenne inutilizzabile. Il sistema fu poi usato per il controllo radio dei sommergibili russi.
L’invenzione fu utilizzata a sua insaputa, ma lei ebbe la sua rivincita con il risarcimento di 5 milioni di dollari. Negli Usa contribuisce a studi di Aerodinamica delle ali degli aerei. Sempre con George Antheil viene elaborato il Frequency hopping per la comunicazione senza fili, oggi per Wi-fi e Gps ma ai suoi tempi impossibile da realizzare: frequenza ad 88 canali quanti sono i tasti del pianoforte. Fu chiamato “Sistema di comunicazione segreta” e brevettato nel 1942 al numero 2.292387. A seguito della crisi missilistica di Cuba, il sistema fu di nuovo utilizzato per poi essere adottato come tecnologia della comunicazione senza fili dai cellulari.
Nella tempestosa vita privata adotta un bambino che poi caccia di casa. Ha due figli dall’attore inglese John Loder. È l’attrice più pagata d’America, è una donna famosa e apprezzata ma non riesce ad essere felice. Un suo film è un fallimento totale. Va in analisi senza uscirne più soffrendo di disturbi mentali sempre più frequenti. Attività cinematografica e vita privata si intrecciano tra finzione e realtà per un periodo di oltre 80 anni. Suo è il primato di prima attrice al mondo a mostrarsi nuda in una scena breve in un film (Estasi). Ha sei amori falliti anche a causa del suo carattere tempestoso e testardo. Ottima manager di se stessa, riesce in parte a rifarsi dell’amarezza del suo passato, delle avversità della sua carriera cinematografica e dei fallimenti sentimentali. Una giornalista le chiese perché non ci fossero le impronte dalle sue mani di fronte al Teatro cinese di Los Angeles. Con asciutto e intelligente umorismo, la sua risposta fu “sono già stata calpestata abbastanza, anche senza stare sul marciapiede”. Ogni volta che usiamo il computer, dobbiamo dedicarle da oggi un rispettoso pensiero.
FONTE: http://www.opinione.it/cultura/2021/04/14/manlio-lo-presti_hedy-lamarr-metropolis-lang-estasi-nudo-film-servizi-segreti-cuba-disturbi-mentali/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
L’alba della tecnocrazia
Federico Nicola Pecchini
7 APRILE 2021
Per chi ancora non se ne fosse accorto, il mondo è cambiato. Per sempre. L’emergenza sanitaria in corso da oltre un anno ha segnato la fine delle nostre vecchie democrazie costituzionali e l’inizio di quello che il filosofo Giorgio Agamben definisce “il nuovo paradigma di biosicurezza”.
La normalità come la conoscevamo prima del Covid non tornerà più. È ora di abbandonare le vane illusioni e metterci definitivamente una pietra sopra. E se non volete credere a me, credete almeno al Massachussets Institute of Technology Review, che queste cose le diceva già lo scorso marzo: “Non torneremo alla normalità”, titolava la prestigiosa rivista, “Il distanziamento sociale rimarrà in vigore per molto più di qualche settimana. Sconvolgerà il nostro modo di vivere, sotto alcuni aspetti per sempre.” Quelle previsioni della prima ora si sono poi rivelate spaventosamente profetiche. Guardate ad esempio il grafico sulla curva epidemiologica del virus e ditemi se non è spiaccicato alla realtà:
Si dirà che ora abbiamo il vaccino, e che una volta immunizzato il popolo col siero portentoso l’ostinato virus sarà infine sconfitto. Ma attenzione a gridare vittoria troppo presto. Un op-ed pubblicato su Bloomberg la settimana scorsa chiedeva quanto efficaci siano davvero i vaccini in relazione alle varianti, e se non dovremmo piuttosto “prepararci ad una pandemia permanente” in cui “ci toccherà vaccinarci presumibilmente un paio di volte all’anno contro l’ultima variante in circolazione”, senza però “mai raggiungere l’immunità di gregge.”
E se anche il Covid dovesse scomparire, gli scienziati ci avvertono che siamo ormai entrati nell’“Era delle Pandemie”, e che al Covid ne seguiranno altre. E se anche gli scienziati si sbagliassero sulle pandemie, ci saranno comunque altre emergenze da affrontare, una su tutte l’emergenza climatica. Un report pubblicato su Nature lo scorso mese, ad esempio, sosteneva che “il mondo abbia bisogno dell’equivalente di un lockdown pandemico ogni due anni per raggiungere gli obiettivi di Parigi sulle emissioni di gas serra”. Insomma, di qualunque emergenza si tratti, possiamo star certi che non domiremo più sonni tranquilli.
L’instaurarsi di uno stato di emergenza permanente ha diversi effetti, spiega Agamben, primo fra tutti la sospensione dello stato di diritto e delle garanzie costituzionali. Una sospensione che rischia di essere definitiva, perchè se l’eccezione da eccezione diventa la regola, allora l’emergenza non è più emergenza, ma appunto una “nuova normalità”. Questo, come aveva già notato Walter Benjamin nel 1942, è uno dei sintomi tipici del passaggio da democrazia a totalitarismo. Agamben non è il solo ad essere allarmato dalla tendenza in atto: secondo diversi osservatori sui diritti civili la pandemia è stata usata dai governi di tutto il mondo come scusa per limitare le libertà personali e minare la democrazia, mentre alcuni accademici hanno sottolineato come essa abbia “innescato una deriva politica autoritaria”, provocando “abusi governativi ed amministrativi” ed accentrando il potere decisionale “fino alla sospensione di un efficace controllo democratico.”
Ma se di totalitarismo si tratta, di quale totalitarismo stiamo parlando? Se in passato lo stato d’emergenza veniva proclamato soprattutto in tempo di guerra (ancora oggi questo è l’unico caso previsto dalla costituzione italiana), le emergenze del ventunesimo secolo sembrano avere un carattere di tipo prevalentemente diverso. Ad attentare alla sicurezza generale sono oggi patogeni di origine (pseudo?) naturale, o cataclismi sempre naturali seppur provocati in larga parte proprio dalle scriteriate attività umane. Anche se in futuro dovessero scoppiare nuove guerre, difficilmente saranno combattute da grandi eserciti al fronte: più facile immaginare l’uso di armi batteriologiche, oppure climatiche, o al massimo atomiche. Ad ogni modo a farla da padrone non saranno più grandi uomini politici o generali, ma scienziati ed ingegneri. Meno giunte militari insomma, e più comitati tecnici-scientifici.
Il “nuovo paradigma di biosicurezza” infatti è un paradigma essenzialmente tecnocratico. La parola “tecnocrazia” deriva dal greco techne (tecnica) + kratos (potere) e significa letteralmente “potere della tecnica”. Il termine fu coniato nel 1919 dall’ingegnere americano W.H. Smyth e venne reso celebre negli anni trenta da un altro ingegnere americano, Howard Scott, con l’attuale significato di “sistema di governo basato su decisioni prese da tecnici”. Il movimento dei Tecnocrati, di cui Scott fu uno dei fautori, non prese il potere, ma l’ideologia tecnocratica continuò a diffondersi nella classe dirigente occidentale, tanto che il presidente Eisenhower, nel suo celebre messaggio di commiato del 1961, mise in guardia non solo dal “complesso industriale-militare”, ma anche “dal pericolo che le politiche di governo possano diventare ostaggio di una élite scientifico-tecnologica”.
Il processo di tecnicizzazione degli apparati amministrativi dello stato è quindi in corso da molto tempo, e la crisi attuale non è che l’ultima tappa. Michel Foucault (1976) faceva risalire questo processo al diciassettesimo secolo, quando lo sviluppo delle scienze positive permise per la prima volta di considerare le popolazioni umane da un punto di vista meramente biologico, e cioè come masse animali infuenzate dai processi vitali quali nascita, morte, riproduzione, malattia, etc. e come tali bisognose di essere gestite, regolate e controllate. Secondo Foucault questo diede il via allo sviluppo di tutta una serie di “tecniche volte ad ottenere la soggiogazione dei corpi ed il controllo delle popolazioni, segnando l’inizio di un epoca di “biopotere”.”
Oggi, secondo Agamben, questa “medicalizzazione della vita” che era andata crescendo a dismisura negli ultimi decenni (vedi anche Ivan Illich, 1976), ha raggiunto infine l’apoteosi: essa è diventata “permanente e onnipervasiva”, invadendo e stravolgendo ogni aspetto della vita umana. La medicina pare diventata una vera e propria religione, con tanto di dogmi (il “consenso scientifico”), sacerdoti (virologi e affini) e rituali (mascherine, sanificazione delle mani, saluti al gomito, etc.). Anche in questo caso i timori di Agamben non sono solo la stravaganza di un vecchio filosofo, come vorrebbe qualche critico astioso: nientemeno che Richard Horton, caporedattore di The Lancet, la più importante rivista medica al mondo, lo scorso dicembre ha parlato esplicitamente di “democrazie che diventano tecnocrazie”, “presa degli scienziati che va stringendosi attorno al collo dei governi” e “scienza che fin troppo facilmente viene corrotta in scientismo”.
Uno dei tratti più eclatanti dell’emergenza in corso è stato l’espansione senza precedenti degli apparati di sorveglianza. Secondo alcuni studiosi, questi nuovi sistemi (dalle app di tracciamento all’imminente passaporto vaccinale) sono da considerarsi a tutti gli effetti come forme di “biosorveglianza” che integrano tecniche di sorveglianza sanitaria a tecniche basate sui big data che fino ad oggi erano state riservate alle agenzie di sicurezza nazionale. Esemplare a riguardo è il caso di Israele, dove il governo ha immediatamente rinconvertito un database segreto che tracciava i movimenti di ogni cittadino per fini di anti-terrorismo ad un sistema di monitoraggio per contagi da Covid-19.
Anche qui il terreno era stato preparato con cura negli anni precedenti. Le popolazioni sono state abituate ad una graduale “digitalizzazione” e “algoritmizzazione” dell’esistenza, con le scienze informatiche ad assumere un ruolo sempre più decisivo “nell’influenzare, formare e guidare i nostri comportamenti”. Il professor Steffen Mau spiega come attraverso le innumerevoli app di auto-monitoraggio per la salute o lo sport “gli individui si siano abituati a cedere immense quantità di dati” personali, e a farlo divertendosi. “In altre parole, siamo stati addestrati a godere della nostra stessa datificazione”. Ebbene oggi, col pretesto della pandemia, questo tipo di misure volontarie sono di colpo diventate obbligatorie. L’intera infrastruttura tecno-digitale che ci circonda, dai telefoni cellulari agli elettrodomestici, dalle automobili alle telecamere smart alle antenne wifi, sarà d’ora in avanti integrata in un’unica, grande rete di sorveglianza. Questa forma di controllo sociale ubiquo ricorda molto il “panopticon” di Foucault (1975), dove la sensazione di essere sotto sorveglianza continua trasforma gli individui stessi in agenti della sorveglianza, e finisce per fargli rispettare le normative e convenzioni vigenti anche quando non sono effettivamente sorvegliati. La partecipazione attiva della popolazione negli apparati disciplinari dello stato li rende così ancora più efficaci e pervasivi.
È facile prevedere come i nuovi sistemi di sorveglianza resteranno operativi anche molto tempo dopo il termine della pandemia. Essi potranno servire per tenere sott’occhio la popolazione ed anticipare così l’emergere di pandemie future. E potranno anche essere utilizzati in altri campi, come ad esempio quello della prevenzione del crimine. Il nuovo paradigma di biosicurezza punta infatti sull’anticipazione dei problemi, attraverso innovative tecniche di previsione algoritmica rese possibili dall’applicazione dell’intelligenza artificiale. Il concetto di “precrimine”, fino ad oggi appannaggio dei racconti fantascientifici alla “Minority Report”, sembra sempre più destinato a diventare realtà.
Questi sviluppi non dovrebbero sorprenderci. Essi non sono che il risultato prevedibile di un lungo processo di tecnicizzazione e razionalizzazione della società iniziato secoli orsono. Il sociologo Jacques Ellul lo aveva capito chiaramente già nel lontano 1954: “Le tecniche di polizia, che vanno sviluppandosi assai rapidamente, hanno come sbocco inevitabile la trasformazione dell’intera società in un campo di concentramento … Per essere sicuri di arrestare i criminali, sarà necessario che tutti siano sorvegliati. Sarà necessario sapere esattamente le inclinazioni di ciascun cittadino, le sue relazioni, i suoi passatempi, etc. … La polizia dovrà adoprarsi al fine di anticipare e prevenire il crimine, affinché ogni intervento diventi superfluo. Questo risultato puó essere raggiunto in due modi: primo, attraverso una sorveglianza continua … secondo, creando una clima di conformismo sociale”.
E Zbigniew Brzezinski, una delle personalità più influenti nella politica USA del dopoguerra, gli faceva eco nel 1968:
“Presto sarà possibile stabilire un controllo quasi continuo su ogni cittadino e tenere files aggiornati che contengano perfino i dettagli più personali sulla salute e sul comportamento di ogni persona, oltre alle informazioni di base. Questi files saranno oggetto di tracciatura istantanea ad opera delle autorità.
I rapidi tempi di cambiamento incentiveranno inoltre soluzioni volte ad anticipare gli eventi e a pianificarli prima che accadano. Il potere sará nelle mani di coloro che controllano le informazioni, e che possono correlarle piú rapidamente. Le istituzioni attuali, adibite ad un tipo di gestione post-crisi, saranno progressivamente sostituite da istuzioni orientate ad una gestione pre-crisi, il cui compito sarà di individuare con anticipo le crisi emergenti e di sviluppare programmi per affrontarle.”
Ancora più inquietante è il fatto che nell’ultimo anno i cosiddetti governi democratici non si siano limitati ad espandere i sistemi di sorveglianza, ma abbiano anche intrapreso forme estreme di censura del dibattito pubblico e di manipolazione dell’informazione. Questa almeno è la conclusione raggiunta da uno studio pubblicato sul Journal of Human Rights. Gli autori parlano di una pericolosa tendenza alla “criminalizzazione della misinformazione”, con decine di paesi che hanno approvato misure volte a punire penalmente la pubblicazione di notizie false, molti dei quali col carcere. Di rimando, un altro studio pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, ha trovato che durante l’emergenza Covid-19 gli stati abbiano collaborato con i mass media nel creare deliberatamente un clima di panico generalizzato, provocando ansia e “scatenando fenomeni di isteria collettiva”.
L’uso massiccio delle propaganda, spiegava Ellul, è incompatibile con la democrazia. Essa “distrugge la facoltá di discernimento del cittadino. In una vera democrazia, tutto si basa sulla critica consapevole e sul libero arbitrio … La propaganda invece tende sempre al totalitarismo.” La capacità critica degli individui viene soppressa e sostituita da una irremovibile convinzione collettiva di essere nel giusto. Questa convinzione diventa sacra, tanto che le persone perdono la capacità di dubitarne e anche solo discutere di alcuni argomenti diventa tabù. Chi osa farlo viene considerato alla stregua di un traditore della patria. Che oggi siamo giunti a quel punto lo dimostrano gli appellativi rivolti ai no-vax da parte di una nutrita schiera di personaggi pubblici: si va dai “disertori”, ai “terroristi” nemici dello stato, all’equivalente di quei soldati “imboscati … che a suo tempo … venivano fucilati sul posto”.
Ellul notava infine un’incompatibilità radicale tra l’essere umano e la tecnica. Essa infatti, con la sua pretesa di razionalizzare ogni campo dove sia applicata, tende a ridurre ogni cosa alla sola dimensione logica, escludendo via via ogni spontaneità e creatività personale per sostituirla con operazioni standardizzate. Questo porta necessariamente ad una progressiva spersonalizzazione e disumanizzazione del mondo. Non solo, dice Ellul:
“La tecnica richiede prevedibilità e, per di più, esattezza nella previsione. È necessario quindi che la tecnica prevalga sull’essere umano. Per la tecnica, questa è una questione di vita o di morte. La tecnica deve ridurre l’uomo ad un animale tecnico, il re degli schiavi della tecnica. […] [Essa] persegue il completo rifacimento della vita e della struttura del vivente perché sono pieni di imperfezioni. Poiché l’ereditarietà è piena di imprevisti, la tecnica vuole sopprimerla in modo da creare il tipo di uomo necessario al suo ideale di società. […] Le tecniche applicate all’uomo dovranno quindi risultare nel completo condizionamento del comportamento umano. Esse dovrannno assimilare l’uomo nel complesso “uomo-macchina”, la formula del futuro. Nell’accoppiamento tra uomo e macchina, una entità radicalmente nuova prenderà la luce.”
In queste parole troviamo incapsulata tutta l’ideologia eugenetica e transumanista. A detta di molti, il transumanesimo può definirsi come la “religione di Silicon Valley”, e quindi come il culto esclusivo di quella ristretta casta di tecnocrati che conoscono i segreti della tecnica e sanno dove andrà a finire. Uno dei suoi profeti, il director of Engineering di Google Ray Kurzweil, ha da tempo pronosticato che nel giro di un paio di decenni l’uomo biologico si fonderà con le macchine (nanotecnologia ed intelligenza artificiale) e diventerà un ibrido umano-robot. E a chi si ostinasse a considerare queste idee alla stregua di un delirio fantascientifico, non mi resta che ripetere le parole di Paola Pisano, già ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale sotto il governo Conte: “Saranno i robot a salvare l’Uomo … ci dobbiamo augurare il nuovo ibrido “uomo-macchina”, senza alcuna paura … Il mondo si trasforma siamo pronti ad osare?”
Insomma, il futuro è tracciato. Su questo i profeti della tecnocrazia sono tutti d’accordo: la convergenza tra problematiche globali (sovrappopolazione, sovraconsumo, crisi ecologica) e la spinta intrinseca del progresso tecnico risulterà inevitabilmente nella creazione di una dittatura scientifica mondiale. Secondo Brzezinski (1970) “tale società sarebbe dominata da una élite la cui pretesa di potere politico poggerebbe su di un presunto superiore know-how scientifico. Svincolata dai limiti imposti dai tradizionali valori liberali, questa élite non esiterebbe a raggiungere i suoi obiettivi politici utilizzando le tecniche più moderne per influenzare il comportamento dell’opinione pubblica e tenere la società sotto stretta sorveglianza e controllo.” Nelle parole di Aldous Huxley, “ il ventunesimo secolo … sarà l’era dei Controllori Mondiali, del sistema scientifico delle caste e del Mondo Nuovo.” Sotto una tale “dittatura scientifica … la maggior parte degli uomini e delle donne crescerà nell’amore della servitù e non sognerà nemmeno di ribellarsi.”
Il Mondo Nuovo è quindi alle porte. Non resta altro da fare che uniformarci o preparare la resistenza. Ma prima di esaminare più da vicino le opzioni sul tavolo, nel prossimo capitolo andremo a ripercorrere la storia dell’ideologia tecnocratica fin dalle origini, e a scoprire, dietro alla sua faccia razionale, un’altra faccia, dalle tinte più fosche e misteriose.
FONTE: https://federiconicolapecchini.medium.com/lalba-della-tecnocrazia-bd18613f6bc6
CONFLITTI GEOPOLITICI
“Uccideteli, uccideteli tutti”: La guerra contro la polizia in Francia
- Il sospetto dei media sull’uso illegittimo della violenza da parte della polizia è così forte che gli agenti sotto attacco non si sentono nemmeno autorizzati a usare la propria arma in dotazione.
- Le accuse mosse dai media e dal mondo dello spettacolo – attori, cantanti e così via – contro la polizia sono alimentate anche dal mondo accademico.
- I codardi della magistratura, ovviamente, si schierano altresì con la folla chic contro la polizia.
- Se la polizia non può indagare o proteggere la popolazione perché gli agenti temono di essere definiti razzisti, allora la sicurezza dei cittadini è in pericolo.
In Francia è in corso una guerra contro la polizia, ma non se ne parla. Nella foto: Un agente di polizia parla con una conducente d’auto durante un controllo stradale, dopo una notte di scontri a nord di Blois, in Francia, il 17 marzo 2021. (Foto di Guillaume Souvant/AFP via Getty Images) |
Il 25 gennaio a Pantin, un sobborgo di Parigi, il 4 febbraio a Carcassonne, nella parte meridionale della Francia, e il 13 febbraio a Poissy, nel dipartimento degli Yvelines, gruppi organizzati di “giovani” – secondo il vocabolario dei grandi media per evitare qualsiasi designazione etnica – hanno attirato le forze di polizia nei loro quartieri per tendere loro un’imboscata. Al grido: “Uccideteli, uccideteli tutti!”, le pattuglie della polizia sono state attaccate con lanci di esplosivi e dispositivi pirotecnici usati come armi di guerriglia urbana. Tutte le volte, i video degli attacchi sono stati diffusi sui social network.
Tra il 17 marzo e il 5 maggio 2020, la polizia francese ha subito 79 imboscate, secondo quanto emerge dai dati statistici del Ministero dell’Interno pubblicati da Le Figaro. Nell’ottobre 2020, Le Figaro ha calcolato dall’inizio dell’anno almeno dieci attacchi contro distretti della polizia e, secondo Le Monde, più di 85 episodi di “violenza contro pubblici ufficiali” sono stati registrati quotidianamente in tutto il Paese dalla polizia nazionale. A gennaio, i servizi statistici del ministero dell’Interno hanno registrato, sulla base delle informazioni provenienti dai rapporti della polizia, 2.288 episodi di violenza perpetrata al grido: “Uccideteli tutti!”,.
In Francia è in corso una guerra contro la polizia, ma non se ne parla. Al contrario, molti membri dei media, cantati rap, attori, esperti e altri si uniscono a delinquenti e criminali per affermare che una forza di polizia intrinsecamente razzista è attiva in una guerra contro i neri e gli arabi che vivono in Francia.
Continue manifestazioni di protesta ampiamente pubblicizzate e organizzate dal clan di Assa Traoré, sono il miglior esempio di questa inversione. Dal 2016, Assa Traoré, una donna nera di origine africana, conduce una campagna contro la polizia. Ha accusato gli agenti che arrestarono suo fratello Adama di averlo ucciso. Quattro rapporti ufficiali di esperti hanno negato qualsiasi “uccisione” per mano della polizia, ma la Traoré continua la sua lotta e a produrre rapporti di esperti per “dimostrare” che suo fratello è stato assassinato. Ora è appoggiata a livello internazionale. È stata nominata “persona dell’anno” da Time Magazine e si è accaparrata un corposo articolo sul New York Times.
Assa Traoré non è l’unica leader della campagna contro la polizia francese. Nel maggio 2020, mentre la cantante francese Camélia Jordana veniva intervistata su France 2, la Traoré ha accusato la polizia di uccidere quotidianamente neri e arabi, gratuitamente, per puro divertimento. “Gli uomini e donne che vanno a lavorare ogni mattina nei sobborghi” vengono “massacrati per nessun’altra ragione che il colore della pelle”, ha dichiarato la cantante.
Poi, tempestivamente, ha avuto luogo una sequenza surreale: il deputato Aurélien Taché (di La République en Marche, il partito del presidente francese Emmanuel Macron) ha twittato:
“Brava @Camelia_Jordana, ma il prezzo che pagherai sarà terribile (…) lo sapevi. Negheranno, poi sposteranno l’onere della prova e ancora una volta cercheranno di far sembrare le vittime colpevoli”.
La rivista Les Inrockuptibles ha intervistato il regista David Dufresne come “esperto” della brutalità della polizia, visto che una volta ha diretto un documentario sul conflitto permanente tra i giovani delle banlieue e la polizia. Ovviamente, David Dufresne ha confermato le accuse mosse da Camelia Jordana, affermando che la cantante “ha dichiarato delle ovvietà”.
A giugno 2020, il magazine di Sinistra L’Obs si è spinto oltre consegnando il microfono a Omar Sy, il divo francese di origini senegalesi e mauritane sbarcato a Hollywood. Dalla sua villa di Los Angeles, Sy “ha chiesto giustizia per Adama Traoré” e ha fatto un parallelo con George Floyd, invocando “una forza di polizia degna della nostra democrazia”.
Il 24 giugno, Amnesty International ha pubblicato un rapporto che denunciava il razzismo della polizia durante il lockdown imposto in Europa a causa della pandemia di Covid-19. Il 19 luglio 2020, il sindaco di Sinistra di Colombes, nell’Haute-de-Seine, Patrick Chaimovitch, ha paragonato la polizia di Vichy – il regime francese che collaborò con i nazisti durante la Seconda guerra mondiale – a quella odierna. Uno psicoanalista, Gérard Miller, ha invitato la gente a “riflettere sull’osservazione” di Chaimovitch, e un giornalista, Edwy Plenel, ha comparato il nuovo ministro dell’Interno Gérald Darmanin a René Bousquet, un funzionario di alto livello che organizzò l’incursione del Vel d’Hiv durante la Seconda guerra mondiale e collaborò con la Gestapo.
Il sospetto dei media sull’uso legittimo della violenza da parte della polizia è così forte che gli agenti sotto attacco non si sentono nemmeno autorizzati a usare la propria arma in dotazione. Philippe Bilger, un ex magistrato, scrive: “Di fronte a minacce, lanci vari e attacchi fisici, [la polizia] non ha praticamente alcun diritto di usare ciò che la legge l’autorizza a utilizzare”, ossia la propria arma da fuoco.
Le accuse mosse dai media e dal mondo dello spettacolo – attori, cantanti e così via – contro la polizia sono alimentate anche dal mondo accademico. La polizia è accusata di aver effettuato “controlli facciali”, facendo un uso razzista del controllo dei documenti. Questa idea è stata lanciata e alimentata da uno studio pubblicato nel 2009 da Fabien Jobard e René Lévy, due sociologi, i quali hanno affermato che i controlli della polizia vengono effettuati sulla base “dell’aspetto fisico” e “non su ciò che le persone fanno, ma su ciò che sono o sembrano essere”. Nel 2017, Défenseur des droits, un’agenzia statale dedita alla difesa degli inermi, ha accusato pubblicamente la polizia di effettuare controlli di identità razzisti. Il 12 febbraio, Claire Hédon che dirige Défenseur des droits, ha chiesto dai microfoni della radio pubblica France Info di porre fine alle verifiche di identità in “determinati quartieri” e la creazione di “zone dove non si effettuano controlli di identità”.
Le rivendicazioni di personaggi del mondo dello spettacolo, così come gli “studi” dei sociologi di Défenseur des droits, non possono essere contrastati – o corroborati – da studi sociologi che dimostrano che la criminalità è distribuita in modo diseguale tra i diversi strati etnici che compongono la società francese. La legge francese vieta la produzione di dati sulla criminalità in base alla razza o al gruppo etnico. Ciò crea una strana situazione in cui è lecito accusare la polizia di razzismo, ma è vietato e punibile per legge precisare che le persone nere o nordafricane sono sovra-rappresentate nelle carceri e nei dati sulla criminalità rispetto alla loro presenza demografica nella popolazione francese.
L’offensiva lanciata dai media e dai personaggi dello spettacolo contro la polizia è così forte che spesso i politici e i membri del governo non osano opporsi a questi “accusatori” e in modo vile si schierano a favore degli artisti contro la polizia. “Oggi, quando il colore della vostra pelle non è bianco, il rischio di essere di essere fermati dalla polizia è grosso”, ha dichiarato il presidente Macron al magazine Brut, nel dicembre 2020. Con parole in codice, il presidente stava dicendo alla popolazione francese che il comportamento della polizia era razzista.
I codardi della magistratura, ovviamente, si schierano altresì con la folla chic contro la polizia. Nel 2016, la Corte di Cassazione stabilì che “un controllo di identità basato su caratteristiche fisiche associate a un’origine reale o presunta, senza alcuna preventiva giustificazione oggettiva, è discriminatorio. Si tratta di una colpa grave”.
Il 27 gennaio 2021, i legali di sei importanti Ong hanno promosso un’azione collettiva contro lo Stato. Hanno inviato una notifica ufficiale al premier francese Jean Castex, al ministro dell’Interno Gérald Darmanin e a quello della Giustizia Éric Dupond-Moretti, chiedendo di porre fine ai “controlli facciali”.
Lo Stato ha quattro mesi per rispondere alla notifica formale dell’Ong e presentare delle proposte. Se non risponderà in modo soddisfacente, l’azione collettiva contro lo Stato, la prima del genere in Europa, finirà in tribunale.
La polizia francese non è attaccata solo dai cittadini francesi. Anche influenti attori internazionali si sono impegnati a sfidare le risorse investigative della polizia. Il 6 ottobre 2020, la Corte di Giustizia dell’UE ha emesso la propria sentenza su tre casi (C511, C512 e C520/18) riguardanti la “conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione” nel settore delle comunicazioni elettroniche. In altre parole, per proteggere la privacy dei cittadini europei, i governi nazionali non saranno autorizzati a chiedere a un operatore telefonico di conservare (per alcuni mesi) i dati dei clienti. Ad esempio, un ufficiale di polizia giudiziaria non sarà più in grado di ottenere – nel prossimo futuro – dati dettagliati sulle telefonate effettuare e ricevute da un sospetto criminale o le coordinate GPS per le telefonate ricevute ed effettuate nei due mesi precedenti.
Di conseguenza, prevenire e risolvere i crimini sarà molto più complesso e spesso impossibile. Nel 90 per cento dei casi, la polizia ha come unico indizio i numeri di telefono che figurano vicino a una scena del crimine. Tali numeri hanno aiutato la polizia a rintracciare i sospetti, come una scia di briciole.
Le forze che oggi si scagliano contro la polizia – alcuni dei media, celebrità, organizzazioni “antirazziste” e Ong, parte della magistratura francese e tribunali europei per i diritti umani, nonché il cosiddetto Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali – stanno tutte lottando per privare gli Stati europei del loro potere su un punto essenziale: la loro missione di garantire la sicurezza di tutti i cittadini. Jean-Eric Schoettl, già segretario generale del Consiglio Costituzionale, ha scritto:
“Congenitamente, giudici, commissari e, in gran parte, membri del Parlamento europeo rifiutano l’Europa come potenza così come sfidano la sovranità nazionale. Questa allergia alla responsabilità sovrana è nel DNA di una Unione fondata contro l’idea stessa di potenza”.
Se questo modello francese di smantellare la polizia avrà successo, la cosiddetta ideologia antirazzismo, forgiata a metà degli anni Ottanta dalla Sinistra, si dimostrerà lo strumento più efficace per distruggere gli Stati dopo la Rivoluzione bolscevica del 1917. Se la polizia non può indagare o proteggere la popolazione perché gli agenti temono di essere definiti razzisti, allora la sicurezza dei cittadini è in pericolo.
Yves Mamou, vive in Francia, ha lavorato per vent’anni come giornalista per Le Monde.
FONTE: https://it.gatestoneinstitute.org/17262/guerra-contro-polizia-francia
SARMAT E 4000 ESERCITAZIONI MILITARI: ECCO PERCHE’ LA NATO TEME LA RUSSIA
CULTURA
IL CONTRIBUTO ITALIANO ALLA CIVILTÀ MONDIALE
Nicola Walter Palmieri – 14 APRILE 2021
FONTE: https://www.vicenzapiu.com/leggi/italiano-questo-sconosciuto-per-suarez-e-per-molti-altri-che-lo-bocciano-ma-declinano-i-verbi-invece-che-coniugarli/
- Formazione della civiltà mondiale. L’immenso tessuto, nella cui trama sono entrati fili innumerevoli diversi per natura, colore e pregio, che rappresenta lo sviluppo della civiltà, non permette di stabilire una gerarchia di apporti: il valore supremo, la civiltà, è dato dal risultato complessivo in cui tutti i contributi interagiscono e si fondono. Questo non toglie tuttavia che si possa cercare di distinguere fra i contributi che le varie comunità umane hanno fornito alla formazione della civiltà mondiale, quel complesso di cognizioni, capacità e valori che costituisce il patrimonio disponibile (anche se non sempre e non in tutto condiviso) dell’umanità.
Gli italiani hanno avuto grande parte nell’immenso sforzo del progresso dell’umanità. Intendo gli italiani non come entità etnica, che non sono mai stati, ma come il popolo, costituitosi in unità culturale distinta, che abita quella curiosa piccola penisola in forma di stivale che si trova all’estremità sud-orientale di quell’altra curiosa appendice del continente asiatico che è l’Europa.
L’Italia, come tutta l’Europa occidentale, non partecipò sensibilmente al primo sviluppo della civiltà umana che si svolse fra il quarto e il primo millennio avanti Cristo sulle pianure irrigate dai grandi corsi d’acqua delle aree calde (Nilo, Tigri, Eufrate, Indo, e i grandi fiumi della Cina). Le principali civiltà del continente americano, sorte molto più tardi, mai superarono un livello analogo a quello raggiunto in Mesopotamia e in Egitto quattro millenni prima.
Il principio della storia in Italia è nel primo millennio avanti Cristo, e fu il risultato dell’evoluzione dei popoli indigeni, dell’arrivo dei Celti, degli Etruschi (la cui provenienza dall’Asia sembra l’ipotesi più probabile), e delle numerose colonie di cui le città greche costellarono, come il resto del Mediterraneo, Sicilia e Italia meridionale, talché quest’ultima finì con l’essere chiamata Magna Grecia, nuovo territorio dell’Ellade, che superò, in prosperità e potenza, l’antica madrepatria (fenomeno forse paragonabile nella colonizzazione europea del continente americano che divenne la Magna Europa).
Gli Etruschi, popolo misterioso che occupò l’Italia centrale tirrenica sopra Roma, e si spinse fino nella Valpadana, arrivarono intorno al 1000 a.C., vissero più o meno pacificamente per qualche secolo, influenzarono, e per qualche tempo, dominarono, Roma nascente, e si stemperarono presto nell’espansione romana. A parte testimonianze presenti della loro arte di costruttori in città come Volterra, Arezzo, Perugia, Cortona, Tarquinia, e in numerose tombe ornate di sculture e di affreschi, non lasciarono molto ai posteri. La loro lingua è indecifrata nonostante le numerose iscrizioni rimaste in caratteri simili a quelli greci. Da loro, Roma derivò elementi di organizzazione statale, principi e rituali religiosi, e una tecnica architettonica, l’arco e la volta, che i Greci non conoscevano e che contraddistinse l’architettura romana e quella occidentale di tutti i secoli a venire. La civiltà greca in Italia ebbe una fioritura e un impatto ben più importanti. Sono in Italia – a Siracusa, Agrigento, Segesta, Selinunte, Pesto, e in innumerevoli altri siti – superstiti monumenti dell’architettura greca di altissima qualità, e in quantità maggiore di quanto è rimasto nella Grecia odierna. Alcune delle grandi menti filosofiche e scientifiche del mondo greco (Pitagora, Parmenide, Zenone, Archimede) prosperarono in Italia.
- Universalità di Roma. Tutti questi elementi di civiltà, autoctoni o di importazione, furono incorporati, unificati e portati a nuovi sviluppi dall’energia dominatrice dello sparuto popolo di pastori e piccoli agricoltori stanziati sulla riva del basso Tevere che, nell’ottavo secolo a.C., fondò un villaggio predestinato ad alti destini. Dopo secoli passati nel difendersi e nell’affermarsi contro i bellicosi popoli italici, contro gli Etruschi, e contro le popolazioni celtiche dell’Italia del Nord, Roma alfine conseguì il controllo dell’Italia e si trovò ad affrontare l’altra potenza mediterranea, quella dei Fenici, guidata dalla grande città commerciale africana Cartagine. Trasformatisi rapidamente in potenza marittima, i Romani affrontarono Cartagine in tre lunghe e sanguinose guerre, in cui la loro stessa sopravvivenza fu più volte in pericolo. Alla fine trionfarono, Cartagine fu distrutta, e la nuova potenza egemone mediterranea poté volgersi alla conquista di un impero più grande, e certo più duraturo, di quello messo insieme da Alessandro. Al suo culmine, intorno al 100 d.C., l’Impero Romano si estendeva dal Marocco atlantico alla Scozia, dal Reno al Danubio, dall’Armenia alla Mesopotamia e all’Egitto. Al centro stava Roma, caput mundi, verso cui confluivano tutte le sapienze, i culti, le idee, le tradizioni, le culture di un mondo vastissimo e multiforme, al quale Roma dette l’impronta unificante con la sua capacità di governo, il diritto, la pax romana che da essa fu assicurata, e con le due lingue universali, il latino e il greco.
Il mondo non aveva mai assistito prima, né vide poi, un fenomeno simile a quello per cui, durante più di quattro secoli, chiunque poté muoversi sicuro fra Cadice e Antiochia, Damasco e Lione, la Britannia e l’Armenia, parlando una sola lingua, rispettando una sola legge a tutti applicabile, usando una sola moneta, seguendo liberamente i propri costumi e la propria religione (salvo l’obbligo di un formale omaggio all’autorità imperiale). Un periodo di pace e di tolleranza universali, non un’età dell’oro ma qualcosa che vi si poteva avvicinare, quando, come disse Anatole France, “gli dei non c’erano più e Dio non era ancora nato”. Fu l’Impero Romano, con la sua affermazione di universalità e con gli strumenti che esso aveva sviluppato, a consolidare i raggiungimenti delle civiltà fino allora esistenti, a stabilizzarli, a farli progredire, e infine a permetterne la sopravvivenza nonostante le tragedie, i sommovimenti e le regressioni provocati dai successivi movimenti di popoli che noi abbastanza impropriamente chiamiamo le invasioni barbariche. Nella parte occidentale dell’Impero, dopo il VI° secolo, la vita urbana e molti aspetti della civiltà classica si ridussero quasi a nulla. Tuttavia non scomparvero, e la vita civile dell’eredità greco/romana, rinforzata da nuovi apporti – il fresco vigore delle genti germaniche, l’influenza pervasiva del cristianesimo – lentamente riapparve e prese nuove, anche più forti, radici. Fu infine l’Impero Romano che costituì la premessa e pose le condizioni per l’espansione e l’affermazione universale del cristianesimo, forse dopo esserne stata la vittima, come sostenne il Gibbon, e fornì alla Chiesa il modello di struttura organizzativa che le è efficacemente servito per due millenni.
Cosa ha assicurato il successo del modello romano, la sua persistente influenza nel mondo, il suo contributo alla civiltà? Anzitutto l’idea dell’unità del mondo che poteva e doveva avere un reggitore unico, a cui si potevano applicare, nel rispetto delle diversità, istituzioni e principi universali che avrebbero assicurato pace e prosperità. Strumenti per questi fini, la legge e la capacità di governo. Nessun popolo aveva prima di Roma elaborato un sistema di leggi così complesso e pervasivo, così saggio, acuto e umano, come quello romano, che poté in modo del tutto appropriato essere definito ratio scripta. Il diritto romano, che ebbe la sua conclusiva compilazione nel Digesto ordinato dall’Imperatore Giustiniano nel VI° secolo d.C., e che sopravvisse in tale forma ai secoli bui, è certamente uno dei più alti monumenti dello spirito umano, e rappresenta parte sostanziale, ancora feconda e vitale, del contributo di Roma, dei Romani, degli Italiani, alla civiltà mondiale. Mai del tutto abbandonato – il diritto romano rimase vigente come legge personale dei popoli dominati nei regni barbarici dell’Europa e fu alla base del diritto della Chiesa – è stato ripreso e studiato nelle nuove Università, a partire da quella di Bologna nel XII° secolo, applicato costantemente nei Paesi europei di diritto civile, recepito nei Paesi germanici; costituì la base dei codici legislativi di numerosi Paesi, il maggiore dei quali fu il Code Napoléon, e fu adottato da importanti Paesi estranei alla tradizione romanistica, Russia, Giappone, Turchia i quali, quando vollero dotarsi di leggi moderne, presero a modello i codici di Paesi che alla tradizione romanistica si erano ispirati. Anche la common law dei Paesi anglosassoni, che ebbe origine ed evoluzione autonome, fu grandemente influenzata dal diritto romano attraverso gli apporti normanni, il diritto canonico e la lex mercatoria. Ancora oggi, la componente più forte dell’impostazione giuridica del mondo (non solo di quello occidentale) ha le sue salde radici nel diritto elaborato due millenni fa nella penisola italica.
Nel campo della filosofia e dell’arte, senza riuscire a ripetere quel miracolo di creatività per cui il mondo ellenico in pochi secoli pensò il pensabile, Roma fornì gli archetipi alla poesia, la tragedia e la commedia (Cesare, Cicerone, Virgilio, Orazio, Catullo, Ovidio, Tito Livio, Tacito, Seneca, Agostino). Nell’architettura e nelle arti figurative in genere, i Romani dettero contributi sostanziali con testimonianze insuperate nella ritrattistica, nel bassorilievo, la pittura muraria, il mosaico.
Soprattutto, i Romani furono infaticabili e impareggiabili costruttori, intenti principalmente a dotare l’Impero di strutture civili. Le strade permanenti che congiungevano a Roma e fra di loro le più lontane Province, i ponti, gli acquedotti, i centri urbani, i templi, tutti caratterizzati dalla solidità della muratura, della pietra e del marmo, e dall’uso sapiente dell’arco e della cupola, costruiti per la pubblica utilità, dignitosi e solenni, edificati per durare non secoli ma millenni, sopravvissero in tutti gli angoli dell’antico Impero alle innumeri vicende distruttive, alcuni ancora adibiti all’originario impiego, come il ponte di Salamanca, l’acquedotto di Segovia, gli anfiteatri. L’architettura romana, attraverso la reviviscenza e rielaborazione nel Rinascimento e nel Neoclassico, ha improntato di sé la cultura edificativa e l’aspetto urbano di tutto il mondo occidentale (e non solo di quello).
C’è chi obietta che gli italiani di oggi non sono discendenti diretti dei romani. È impostazione fallace. Gli apporti degli invasori barbarici e arabi, pur culturalmente importanti, sono stati quantitativamente modesti. Si calcola che al culmine dell’Impero, l’Italia abbia avuto da 6 a 8 milioni di abitanti, gli ostrogoti, i goti, i longobardi, gli arabi non ammontarono mai a più di qualche centinaio di migliaia.
- Il Cristianesimo. Una funzione storica fondamentale svolta da Roma fu quella di essere stata all’origine del cristianesimo e di averne permesso la diffusione e l’affermazione in un ambito territoriale ampio e politicamente unitario, da cui si sarebbe irraggiato in tutto il mondo. Gli uomini di fede dovrebbero interrogarsi sul disegno provvidenziale che fece nascere il Redentore in una località posta al centro dell’Impero romano e in un momento in cui l’estensione e la potenza dell’Impero stesso erano al loro culmine. La predicazione di Paolo, che era cittadino romano, scriveva in greco e parlava greco e latino, sarebbe stata molto meno efficace in un contesto politico e culturale frammentato. L’Impero Romano, che all’inizio (e con lunghi intervalli) reagì contro la nuova religione che con esso rivaleggiava nella pretesa universalistica, alla fine si arrese, la adottò con l’editto di Milano, e la impose in tutto l’ecumene centrato sul Mediterraneo, da dove mossero fervidi evangelizzatori a diffondere il Verbo presso le genti germaniche, slave, e oltre.
La Chiesa si ispirò all’Impero nella sua struttura legale e organizzativa, e persino nella terminologia, nei riti e nelle architetture (le chiese basilicali ricalcano la struttura del principale edificio pubblico dell’era imperiale, la basilica). Il latino, lingua della Chiesa, rimase per diciotto secoli lingua universale anche della scienza, e veicolo attraverso il quale tutti i dotti del mondo potevano comunicare. Da poco, purtroppo, la Chiesa ha abbandonato il latino, che però sopravvive, con gli apporti germanici e arabi, nell’italiano, che è il latino parlato oggi con l’abbandono delle declinazioni, e nelle altre lingue romanze. Anche nelle lingue germaniche – tedesco e inglese – le parole di origine latina rappresentano una grande percentuale del lessico. Significativo è l’apporto di parole di origine latina in altre lingue ampiamente diffuse (russo). Italiani di nascita o di cultura furono, oltre che la grande maggioranza dei Pontefici, molte figure fra le più rappresentative nella santità e nelle scienze teologiche (Ambrogio, Agostino, Benedetto, Francesco, Chiara, Tommaso d’Aquino).
Nel lungo traghetto del mondo occidentale attraverso il Medioevo, la Chiesa, e gli italiani che ne rappresentarono sempre l’ossatura sia nel bene che nel male, salvarono il passato e lo consegnarono all’Evo moderno.
- Esplorazioni geografiche. Quando, alla fine del Medioevo, il mondo intero si aprì allo spirito di intrapresa e all’ansia di conoscenza, furono italiani i maggiori protagonisti: viaggiatori, mercanti, missionari, navigatori. Marco Polo svelò per primo l’Oriente più lontano all’Europa, Giovanni dal Pian del Carpine andò in missione presso i Tartari, i fratelli Vivaldi, genovesi, e Lanzarotto Maroncello, seguiti dai portoghesi condotti da Nicoloso da Recco e dal fiorentino Agostino del Tegghio dei Corbieri, scoprirono le Canarie (fine XII°/principio XIV° secolo) e vi stabilirono una colonia (1410-1339). Ugolino e Guido Vivaldi tentarono per primi, alla fine del 1300, un viaggio transoceanico per raggiungere l’India, non si sa se dirigendosi verso Ovest, o verso Sud per circumnavigare l’Africa. Non tornarono. Antoniotto da Noli detto Usodimare e Alvise Ca’ da Mosto, veneziano, scoprirono le isole del Capo Verde e si spinsero nel Golfo di Guinea. Il genovese Cristoforo Colombo scoprì l’America, non importa se credeva di essere arrivato in Asia. Giovanni Caboto, veneziano, finanziato dai mercanti di Bristol, fece nel 1497 un viaggio verso le Indie lungo una rotta più a Nord di quella di Colombo. Sbarcò nel Maine (o nella Nova Scotia), toccando Terranova. Nel 1498 salpò con cinque navi per un secondo viaggio, da cui non ritornò. Fra il 1497 e il 1502, il fiorentino Amerigo Vespucci, navigando prima per la Spagna e poi per il Portogallo, esplorò la costa settentrionale e orientale del Sudamerica, e giunse finalmente alla convinzione che si trattava di un nuovo continente che doveva a sua volta essere separato dall’Asia da un oceano. Fu per questo, e non tanto per i suoi viaggi, che il Waldseemüller propose che il Sudamerica fosse chiamato America, nome poi esteso per volontà popolare anche alla parte settentrionale del continente. Nel 1508 e 1509, Sebastiano Caboto, figlio di Giovanni, dopo avere toccato l’Islanda e la Groenlandia arrivò in Labrador, scoprì probabilmente la Baia di Hudson che ritenne costituisse il passaggio a Nord-Ovest per il Pacifico, seguì la costa nordamericana fino all’altezza della Virginia, prima di tornare in Inghilterra. Giovanni da Verazzano, nel 1524, al servizio del Re di Francia, esplorò per primo la costa orientale degli Stati Uniti fra la Florida e il Canada, entrando nella Baia di New York, e si affacciò sul fiume Hudson. Nel 1526/1530, Caboto, al servizio della Spagna, cercò il passaggio a Sud, ma non andò oltre il Rio de la Plata. Il vicentino Pigafetta, storico di bordo di Magellano, completò il giro intorno al mondo e consegnò alla storia la cronaca del viaggio con il suo diario.
Niente di tutto ciò andò a diretto beneficio dell’Italia, che dopo la fioritura e lo splendore economico e artistico del periodo comunale e di quello delle Signorie si avviò, a cavallo fra il XVI° e il XVIII° secolo, verso un periodo di decadenza e di dominazioni straniere che non le permisero per lungo tempo di avere alcun ruolo politico su scala mondiale.
- Rinascimento. Nei primi cinque secoli del secondo millennio, l’Italia fu la protagonista culturale e artistica del mondo occidentale. Si manifestarono in Italia i prodromi di quella esplosione liberatoria dello spirito umano che è stato il Rinascimento, e fu in Italia che si ebbero le sue più alte realizzazioni. L’Europa seguì con un secolo di ritardo e, salvo meravigliose eccezioni come l’architettura gotica del Settentrione, la poesia trobadorica e la musica franco-fiamminga, si ispirò all’Italia e si lasciò trasformare dal suo esempio. Prestissimo, all’inizio del XIV° secolo, la poesia italiana toccò con Dante vette mai più raggiunte, dette con Petrarca un modello per tutta la poesia intimistica europea dei secoli successivi, e con Boccaccio il modello per la narrativa. L’Ariosto fornì con l’Orlando Furioso l’esemplare insuperato di poema cavalleresco, e il Machiavelli scrisse, fra tante altre mirabili prose, il primo realistico trattato sulla politica o arte di governo. Il Castiglione con il Cortegiano e il Della Casa con il Galateo codificarono l’eleganza del vivere.
Furono opera degli italiani dei grandi Comuni mercantili e delle città marinare del Medio Evo alcuni degli istituti e strumenti decisivi per lo sviluppo dell’industria e dei traffici, come molti dei contratti bancari, il credito lombardo, il concetto dello star del credere, l’impostazione del moderno diritto fallimentare, il contratto di assicurazione marittima (ordinanza pisana del 1318, legge genovese del 1369), la lettera di cambio sviluppata in Toscana ai primi del ‘300 che la tradizione attribuisce al Mercante di Prato Francesco Datini, la contabilità a partita doppia codificata dal matematico francescano Luca Pacioli, amico di Leonardo.
Cento città d’Italia si munirono di solide mura e si adornarono di edifici pubblici, religiosi e privati, armoniosi e leggiadri. La severa architettura romanica e gotica – quest’ultima già ingentilita in Italia rispetto agli esempi d’oltrealpe – evolsero per opera di geniali architetti (Brunelleschi, Solari, Coducci, Bramante, Michelangelo, Vignola, Bernini, Borromini), in palazzi e templi che si richiamano ai canoni classici, ricreandoli e rinnovando l’aspetto delle città, delle ville, dei giardini. Fornirono l’esempio al resto d’Europa e a tutto il mondo. Che sarebbe il mondo senza quanto è stato costruito in ogni dove sotto l’influenza del Palladio?
Le arti figurative del rinascimento italiano furono anch’esse protagoniste, con Giotto, Massaccio, Piero della Francesca, Beato Angelico, Signorelli, Perugino, Raffaello, Leonardo, Michelangelo, i Carracci, Caravaggio, Giambellino, Veronese, Tintoretto e Tiziano, Tiepolo e Canaletto. Anche nel campo della scultura, gli italiani sono all’avanguardia in Europa, con Jacopo della Quercia, Donatello, Brunelleschi, Michelangelo, Bernini. Maestri grandi e scuole eccellenti nacquero anche altrove, ma il viaggio in Italia restò a lungo necessità per ogni artista che intendeva completare la sua formazione. Le mode artistiche e l’attività degli artisti italiani si sparsero per tutta Europa e lasciarono impronte indelebili.
- La musica. La base della notazione musicale venne posta, nell’XI° secolo, dal frate toscano Guittone d’Arezzo, e la terminologia della scrittura musicale è rimasta italiana, in tutto il mondo. Al cantus planus della Chiesa del primo millennio, l’Italia dette un prevalente contributo con il canto ambrosiano e quello gregoriano. Ai grandi esponenti nordici della musica polifonica dopo il 1300, l’Italia contrappose compositori geniali e innovativi (Palestrina, Gabrieli, Luca Marenzio, Carlo Gesualdo da Venosa, Claudio Monteverdi, Carissimi). L’Italia inventò l’opera, con la Camerata Fiorentina e le due Euridice del Peri e del Rinuccini (1600 e 1602), e con il grande Monteverdi dell’Orfeo e dell’Incoronazione di Poppea. L’opera, attraverso tutto il ‘600 e il ‘700, fu la forma musicale italiana per eccellenza, salvo i grandi nomi di Händel e Gluck, e quello grandissimo di Mozart le cui opere più importanti furono comunque composte, per l’eterno piacere dei posteri, sui deliziosi e musicalissimi libretti italiani di Lorenzo Da Ponte. Nell’Ottocento, il belcanto italiano si affermò nella splendida, prolifica triade di Rossini, Bellini e Donizetti, con il degno epigono Giacomo Puccini. Su tutti torreggiò Giuseppe Verdi che, come disse il Poeta, “pianse e amò per tutti”, in capolavori che ogni giorno, in qualche parte del mondo, toccano il cuore degli uomini. (Unico grande compositore che rivaleggiò con Verdi fu Richard Wagner).
Anche se il trionfale successo dell’opera deviò nel secolo scorso l’interesse degli italiani dalla musica strumentale, essa non esaurì l’apporto italiano alla musica mondiale. Alcune delle principali forme musicali furono create o sviluppate nel Novecento da italiani: l’oratorio, la cantata, la sonata, il concerto grosso, molti furono i grandi compositori (Frescobaldi, Corelli, Sammartini, Scarlatti, Vivaldi, Paganini). Fu un italiano, il Cristofori, l’inventore del principe degli strumenti, il pianoforte. Gli strumenti ad arco furono fissati nella forma definitiva e in esemplari di qualità insuperabile da liutai lombardi: Gaspare da Salò, Giuseppe Guarneri del Gesù, Antonio Stradivari, i fratelli Amati. In ogni epoca, furono italiani alcuni fra i più grandi esecutori e interpreti.
7. Conclusione. Stendhal fece propria la frase che in Italia la pianta uomo è sempre cresciuta vigorosamente e ha dato abbondanza di frutti. Oggi, l’Italia soffre, come tutta Europa, di abulia farcita di servile frenesia imitativa di banali modelli esterni, e di mania di sottomissione. Dovrebbe invece imporre il proprio retaggio di civiltà, a incominciare con il ripudio dello smodato e fastidioso deturpamento della sua ling
FONTE: https://www.dettiescritti.com/cultura/il-contributo-italiano-alla-civilta-mondiale/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
“Pronti alla morte”: allora si vince
Al Vaso di Pandora TV sono stato intervistato sull’Agenda 2030 del Worl Economic Forum, il Comunismo dei Miliardari che viene imposto sull’umanità occidentale, miseria, espropri…
Una Grande Impostura apparentemente senza via d’uscita, non essendoci una opposizione politica al Progetto e, anzi, una passiva accettazione della maggior parte delle vittime che la subiscono.
All’ultima domanda – lei vede una via d’uscita da questo percorso? Tento una risposta:
La Grande Impostura si vince con la Grande Verità: riconoscere, ciascuno di noi, che ce lo siamo meritato; che all’Impostura abbiamo contribuito anche noi coi nostri peccati ed egoismi, edonismi o sensualità; che ciò su cui basiamo le nostre sicurezze, la nostra personale autonomia e libertà e benessere – stipendio “sicuro”, pensione, casa, pasti regolari, non erano “nostri”, visto che ce ne possono privare…
Rivolgerci a Dio Verità. Credendo veramente che tutto quello che abbiamo lo dobbiamo a Lui e non ai nostri meriti o allo stato sociale – e chiedergli di aiutarci. Che mandi in rovina le loro macchinazioni. Che salvi la nostra civiltà che stanno uccidendo. Credere veramente alla Sua Onnipotenza: può farlo.
Ciò non è facile, perché c’è una cosa che noi vittime dei miliardari del Gran Reset condividiamo con loro: il rigetto, anzi la completa dimenticanza di Dio. Loro palesemente si sono messi al posto di Dio, rifanno la società, anzi la natura (Bill Gates vuole ombreggiare il Sole…) perché la giudicano fatta in modo sbagliato e peggiorata dalle masse umane.
Ma anche noi… le masse di over 70 che si accalcano a farsi vaccinare dicono di una paura della morte : folle, alla loro età. Sub-umana, tipica della perdita totale di fede. Non hanno una istanza superiore nella quale confidare, in cui sperare; voglio vivere un giorno in più.
Faccio il mio caso: ho 77 anni, e per questo il vax non mi interessa. Anche se dovesse davvero “salvarmi dal virus” (falso, impostura), morirei comunque in uno dei prossimi anni: due, tre, quattro…
Che guadagno c’è? Invece, sapere che nel giro di due-tre mesi sarò sottoposto dalla Dittatura Terapeutica all’iniezione letale che loro chiamano vaccino, mi aiuta molto: a pensare alla morte, ossia alla cognizione vera e ineludibile di ogni uomo, e chiedere a Dio soccorso nel momento del trapasso. Prepararmi all’aldilà, appellarmi alla Misericordia riconoscendomi peccatore, ossia responsabile – personalmente – della orribile situazione in cui ci troviamo. Ho predato donne. Violato il matrimonio. Speso inutilmente in oggetti di lusso. Mancato mille volte di soccorrere il prossimo, anzi di sentirlo come prossimo …
Rifletto a questo: se non fossi stato precipitato nella Grande Impostura sul punto di perdere casa, pensione e vita, in questi giorni d’aprile starei pensando alle vacanze al mare, in quale villaggio o resort andare… a 77 anni! Quanto volevo ancora aspettare a pensare a me – me nel mio rapporto con Dio – e a preparare la mia morte? Una buona morte, con l’aiuto divino? E san Giuseppe?
Insomma: devo ammettere che Gesù, facendomi vivere e soffrire sulla mia pelle questa orribile situazione (poteva farmi morire di cancro 7 anni fa..) , mi ha fatto una grazia. Mi ha fatto un dono segno del Suo amore, mi dice che mi vuole salvare nell’eternità, e lo farà, se io non lo impedisco con la mia cecità, volontà e d egoismo edonista che rifiuta la croce.
Cerco di prepararmi alla morte. E’ da gran tempo he dovevo.
E’ in questo modo che vedo “una via d’uscita” dal GuLag mondiale che i miliardari ci hanno creato attorno: riconoscere in questa carcerazione e spoliazione un dono della Provvidenza, una fortuna spirituale immeritata, e approfittarne. E’ il trucco sublime che insegna Gesù: “Se uno ti costringerà a accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due”! (Matteo 5, 39-42).
Il governo farà di tutto per impedire alla gente di manifestare
Venti di guerra in Ucraina: cosa sta succedendo veramente
Cargo ricolmi di casse d’armi, mezzi pesanti in movimento, colpi di artiglieria: la situazione del confine russo con l’Ucraina sta facendo tremare i Paesi dell’Europa Orientale, l’UE e l’Occidente intero, con molti che temono che queste tensioni belliche non sia altro che l’alba di un conflitto. In tutto questo, Kiev coglie l’occasione per rinnovare la sua richiesta di annessione alla NATO, un proposito che da anni definisce prioritario, ma che potrebbe rivelarsi fatalmente controproducente.
L’Ucraina, letteralmente traducibile come “terra sul confine”, riveste notoriamente la funzione di “cuscinetto” tra Est e Ovest, se non altro perché rappresenta l’ago della bilancia degli equilibri politici tra Stati Uniti e Russia. Equilibri risicati che si radicano profondamente in quelle che si potrebbero definire senza troppe ambiguità come “bugie bianche” di convenienza.
Nonostante il ruolo indipendente della nazione, all’interno dei confini ucraini si sta infatti svolgendo una guerra per procura che, a colpi di piccole schermaglie, va ormai avanti da sette anni. Da una parte vi sono le forze atlantiste sponsorizzate dagli Stati Uniti, dall’altra i separatisti sostenuti dalla Russia, tuttavia ambo gli sponsor sembravano soddisfatti di questo stallo politicamente conveniente. Almeno fino a poco tempo fa. Il cambio di guardia alla Casa Bianca ha notevolmente alterato i rapporti esteri di Washington. Il Presidente Joe Biden sta progressivamente acuendo la distanza con le grandi potenze economiche concorrenti, puntando piuttosto a ravvivare il ruolo dominante degli Stati Uniti sulla NATO.
Da che il suo mandato ha avuto inizio, la sua Amministrazione ha fomentato gli attriti con la Cina, preso le distanze dall’Arabia Saudita e, naturalmente, pestato i piedi alla Russia. Dal condannare platealmente l’arresto di Alexei Navalny, il più celebre oppositore di Putin, al minacciare di sanzioni le nazioni europee che stanno portando avanti il progetto Nord Stream 2, Biden ha fatto di tutto per rendere chiara la sua posizione nei confronti di Mosca ed è una posizione pregna di ostilità.
A questo va aggiunto che, da che Donald Trump ha lasciato le camere del potere, il Governo ucraino abbia preso a muoversi con una sorprendente foga: a febbraio ha bandito dal Paese i media filorussi, quindi ha rivendicando con forza la propria sovranità sulla Crimea con il progetto “Piattaforma Crimea”, ha sanzionando gli oligarchi vicini a Vladimir Putin e infine ha fomentato le forze militari impegnate nelle zone contese della nazione. Una serie di iniziative molto incisive, insomma, che per tempistiche e intensità portano a pensare che Kiev stia già contando sull’endorsement degli USA.
Le tensioni sono palpabili, soprattutto da che, lunedì 12 aprile, Kiev ha denunciato con foga uno scambio di colpi d’artiglieria che ha portato al decesso dell’ennesimo soldato ucraino. L’aggiornamento del bollettino di guerra giunge in coda a un incontro tenutosi tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il “dittatore” turco Recep Tayyip Erdogan, il quale sta cercando alleati che appoggino il controverso progetto del Canale di Istanbul, un’opera monumentale che andrebbe a stracciare la convenzione di Montreux e ad alterare significativamente l’accessibilità al Mar Nero.
Proprio il Mar Nero è il tacito minimo comun denominatore che unisce tutte le parti prese in causa da questa cupa escalation. Mettendo le mani sulla Crimea, la Russia si è infatti conquistata il controllo economico e militare del Bosforo, potere che viene ulteriormente cementato dal sostegno della Transnistria e dalle forze separatiste ucraine che presidiano il Dombas. Mosca, in altre parole, domina praticamente le rotte navali locali, vantando una posizione di superiorità strategica che difficilmente metterebbe a repentaglio con un’invasione esplicita dell’Ucraina. D’altro canto, la Russia non ha alcuna intenzione di cedere questo suo asso nella manica e il dispiegamento massiccio delle sue forze sul confine servirebbe quindi a ricordare ai propri avversari le conseguenze di una sfida diretta.
Queste “esercitazioni” militari intimidatorie, peraltro, non sono esclusive a Vladimir Putin: a inizio marzo lo stesso Biden ha schierato dei bombardieri B-1 nei cieli della Norvegia, una mossa che molti considerano un messaggio neppure troppo velato ai potenti di Mosca. Si trattano di giochi di potere che fanno parte di una routine ormai collaudata e che probabilmente scemeranno col tempo, sempre ammesso che gli equilibri correnti non vengano brutalmente lacerati.
L’adesione di Kiev alla NATO rischierebbe infatti di stravolgere lo status quo che tiene a bada le tensioni tra i due poteri. A quel punto la NATO, sotto la guida degli USA, potrebbe dispiegare i propri missili a portata delle metropoli russe, nonché riuscirebbe a mettere a repentaglio il dominio di Putin sul Mar Nero. Due condizioni lo stato russo non potrebbe considerare accettabili.
[di Walter Ferri]
FONTE: https://www.lindipendente.online/2021/04/13/venti-di-guerra-in-ucraina-cosa-sta-succedendo-veramente/
DIRITTI UMANI
Adolescenti strappati alla famiglia e dati in affido perché “obesi”
È giusto togliere la patria potestà ai genitori di bambini obesi? È accaduto nel West Sussex, in Inghilterra, dove, riporta il Guardian, due adolescenti in forte sovrappeso sono stati rimossi dalla propria abitazione e affidati ai servizi sociali. Il giudice incaricato ha optato per un affido a lungo termine, definendo il caso «molto triste». In precedenza, dopo la denuncia dei servizi, alla famiglia erano stati forniti dei Fitbit (i popolari dispositivi indossabili che monitorano l’attività fisica) ed era stato pagato loro un abbonamento in palestra. Genitori e figli si erano anche iscritti a un programma di dimagrimento targato Weight Watchers.
Trascorsi alcuni mesi, però, non si vedeva ancora una riduzione apprezzabile del peso dei ragazzi. In più, la famiglia non aveva comunicato i dati sull’attività fisica e non si era presentata in modo continuativo agli incontri di Weight Watchers
Secondo il giudice, i genitori dei ragazzi non hanno capito la gravità del problema, e non sono stati in grado di aiutarli — né frenandoli dallo stramangiare, né promuovendo una dieta sana ed esercizio fisico. Così li ha tolti dall’abitazione familiare, sottolineando l’importanza, per i ragazzi, di vivere in un ambiente dove imparare uno stile di vita più salutare.
Educati, vivaci e intelligenti, ma obesi
«Siamo tutti d’accordo», ha scritto il giudice nelle motivazioni della decisione, «che ci troviamo di fronte al caso molto triste e raro di una famiglia che ama i propri figli, ragazzi indubbiamente educati, vivaci e intelligenti, e ne soddisfa molti dei bisogni primari. Non però quello della salute».
«La madre dei ragazzi, per esempio, ha dato la colpa al lockdown per l’impossibilità di fare attività fisica, ma questa si può fare anche a casa, o con una passeggiata nel quartiere». Un caso, in verità, non troppo raro. Secondo dati diffusi nel 2014 dal ministero della Salute britannico e relativi a Inghilterra, Scozia e Galles, infatti, ben 74 bambini gravemente obesi erano stati affidati ai servizi sociali nei cinque anni precedenti. La polemica dilaga.
FONTE: https://www.imolaoggi.it/2021/04/13/adolescenti-dati-in-affido-obesi/
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Quasi trentatré anni fa, la celebre rivista The Economist, presieduta allora nientemeno che da Sir Evelyn de Rothschild, pubblicava un articolo in cui si profetizzava l’avvento, di lì a trent’anni, di una nuova valuta mondiale:
«Tra trent’anni, americani, giapponesi, europei e i cittadini di molti altri paesi […] faranno probabilmente i loro acquisti pagando tutti con la stessa moneta. I prezzi non saranno più espressi in dollari, yen o marchi, ma in una valuta che potremmo chiamare “fenice”.
L’adozione della fenice imporrà rigidi vincoli ai governi nazionali. Non esisterà più, ad esempio, una politica monetaria nazionale. L’offerta mondiale di fenice sarà fissata da una nuova banca centrale, discendente forse dal FMI. […] La fenice inizierà probabilmente come un cocktail di valute nazionali […] Col tempo, però, il suo valore rispetto alle valute nazionali cesserà di avere importanza, perché la gente la sceglierà per la sua comodità e per la stabilità del suo potere d’acquisto. […] Segnatevi la fenice per una data intorno al 2018 ed accoglietela quando arriverà.»
Oggi i trent’anni son passati senza che, almeno in apparenza, la profezia si sia avverata. Ma è davvero così?
Già nel 2010 un report del Fondo Monetario Internazionale consigliava l’adozione di una moneta globale. Poi, sul finire del 2017, proprio allo scadere del termine prefissato dall’Economist, l’allora presidente dell’FMI Christine Lagarde ventilò la possibilità che una valuta digitale emessa dall’FMI potesse rimpiazzare il dollaro come valuta di riserva mondiale, una volta che “la situazione geopolitica fosse diventata propizia”.
Nello stesso periodo un nuovo, sorprendente fenomeno finanziario finiva sotto le luci della ribalta: Bitcoin.
Bitcoin è una moneta digitale basata sulla rivoluzionaria tecnologia blockchain, inventata nel 2008 da un misterioso personaggio chiamato Satoshi Nakamoto. Tra luglio e dicembre 2017 le sue quotazioni esplosero letteralmente sul mercato valutario, decuplicando il loro valore fino a raggiungere un tasso di cambio di circa 20.000 dollari a bitcoin.
Poco dopo, a inizio 2018, il CEO di Twitter Jack Dorsey fece molto scalpore quando dichiarò pubblicamente: “Infine il mondo avrà una moneta unica, Internet avrà una moneta unica. Personalmente credo che sarà Bitcoin”. Dorsey azzardò perfino una previsione riguardo alle tempistiche, dicendo che Bitcoin si sarebbe affermato “probabilmente in 10 anni, forse prima”.
Nei mesi successivi però il valore dei Bitcoin si ridimensionò parecchio, tornando sui 3.000 dollari. Inoltre cominciarono ad emergere alcuni problemi strutturali, come una scarsa scalabilità (il sistema decentralizzato di Bitcoin è molto più lento e inefficiente rispetto ai circuiti di pagamento tradizionali come VISA) ed una preoccupante vulnerabilità agli attacchi hacker. In risposta a queste perplessità, verso fine 2018 cominciò a girar voce che Facebook si preparava a lanciare la sua criptovaluta.
Il progetto fu annunciato ufficialmente a giugno 2019, con il nome di Libra. Nel white paper si parlava apertamente di nuova “valuta globale” digitale. A differenza di Bitcoin, il valore di Libra sarebbe legato ad un “paniere di valute legali” emesse da banche centrali stabili, in modo da ridurne la volatilità. Le similitudini con la “fenice” sono a questo punto fin troppo ovvie. Sarebbe Libra, quindi, la nuova moneta mondiale predetta dell’Economist e destinata a rimpiazzare le valute nazionali? La profezia si è dunque avverata?
Di tale avviso sembra essere il Governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney, che in una conferenza tenutasi appena due mesi dopo, nell’agosto 2019, ha fatto intendere che una nuova forma di valuta digitale sul modello Libra potrebbe essere “la risposta al predominio destabilizzante del dollaro nel sistema monetario globale di oggi”. Carney ha parlato di una “valuta sintetica egemonica”, ancorata ad un paniere di valute nazionali affidabili, e ha sottolineato come questa valuta potrebbe essere emessa direttamente da “un network di banche centrali”.
L’idea di una “moneta digitale emessa da banca centrale” (CBDC) non è, come abbiamo visto, del tutto nuova e aleggia nei circoli finanziari almeno da qualche decennio. Fino ad oggi però solo poche nazioni avevano effettivamente cominciato una sperimentazione a riguardo (tra queste la Cina, la Svezia ed l’Uruguay). Nel 2018 la Banca dei Regolamenti Internazionali, detta anche “la banca delle banche centrali”, aveva ufficialmente definito il concetto di CBDC, di fatto spianando la strada ad un’implementazione su grande scala. Ora, come diceva Lagarde, bastava solo che la situazione geopolitica diventasse propizia.
Ecco allora arrivare il 2020, e con esso la famigerata “pandemia” da coronavirus. In pochi mesi, l’intera economia mondiale è stata messa in ginocchio. La crisi è drammatica: secondo le stime della Banca Mondiale, si tratterà della peggior recessione dai tempi della seconda guerra mondiale. Il debito globale aumenterà fino a raggiungere livelli inauditi, mentre un miliardo e mezzo di persone rischiano di perdere il posto di lavoro e oltre cento milioni di essere ridotte in povertà assoluta.
Le tenui speranze di una ‘ripresa a V’ si sono presto scontrate con la realtà dei fatti: il virus è qui per rimanere, ne avremo ancora almeno per un altro anno. Il secondo ciclo di lockdown, che pare ormai inevitabile, darà il via alla temuta ondata di bancarotte, e questo a sua volta potrebbe innescare un pericoloso effetto domino sul mercato finanziario. I settori più esposti saranno il private equity (specialmente chi ha investito in bar, ristoranti e retail), il mercato immobiliare commerciale (i locatari di centri commerciali, uffici, ecc.), le assicurazioni (molte attività vorranno chiedere i danni), ma anche banche e mercati obbligazionari che hanno fatto prestiti che non torneranno più indietro.
Se la crescita non riparte, saranno le banche centrali a doversi sobbarcare tutto il peso dell’economia mondiale per evitarne il collasso. Probabilmente riprenderanno ad inondare il mercato di liquidità con i loro programmi di allentamento quantitativo, anche se in questa fase di stagnazione gli effetti sull’economia reale saranno limitati. Di certo terranno i tassi d’interesse bassi o addirittura negativi, per favorire i prestiti.
Ma la politica monetaria non basta più. Quello che serve è una politica fiscale, mirata, per aiutare direttamente le categorie in difficoltà. Tradizionalmente sarebbero gli stati a doversene occupare, ma visto che gli stati oggi sono pesantemente indebitati e con gravi deficit di bilancio, le banche centrali dovranno inventarsi formule creative di finanziamento a fondo perduto, magari nella forma di superbond a cent’anni che non vengono più ripagati. Rimane però il problema della proverbiale lentezza e inefficienza della macchina statale. In Europa come in America, i governi devono sempre fare i conti con i limiti imposti dalle costituzioni nazionali e dal dibattito politico. Ecco quindi che una nuova “pazza” idea ha cominciato a fare capolino: in agosto, due importanti economisti americani hanno proposto di depositare direttamente nelle tasche dei cittadini un reddito di emergenza sotto forma di crediti digitali . In questo modo le banche centrali potrebbero letteralmente bypassare governi e sistema bancario creando una linea diretta di finanziamento per tutto il tempo necessario.
A fine settembre, la presidente della Fed di Cleveland Loretta Mester ha annunciato ufficialmente una proposta di legge a riguardo. Il 2 ottobre la BCE ha annunciato a sua volta che condurrà una sperimentazione sull’Euro Digitale di qui a metà 2021. La settimana dopo, un simile annuncio è stato rilasciato dalla Banca del Giappone: insomma, le banche centrali stavolta fanno sul serio. Se il piano dovesse concretizzarsi, questo significherebbe un completo reset del sistema finanziario internazionale. Non a caso, lo scorso 15 ottobre l’attuale presidente dell’FMI Kristalina Georgieva ha parlato di “un nuovo momento Bretton Woods”.
Bretton Woods era stato l’accordo, firmato nell’estate 1944, in cui si erano poste le basi dell’attuale sistema monetario dollaro-centrico. Parlare di un “nuovo Bretton Woods” equivale dunque a mettere in discussione l’egemonia del dollaro come valuta di riserva mondiale. Dobbiamo quindi aspettarci a breve una rovinosa caduta in disgrazia del biglietto verde? Probabilmente no, dato che le valute nazionali si manteranno ancora per qualche anno seppur in versione digitale, e che la nuova criptovaluta globale fungerà inizialmente solo da standard internazionale nel mercato interbancario. Ma nel medio-lungo termine, le ore del dollaro sono contate.
Questo reset finanziario è funzionale ad un più grande progetto di reset socioeconomico incentrato sul cosiddetto “Green New Deal” e sulla quarta rivoluzione industriale. Abbiamo già parlato del piano generale in un articolo precedente. Quello che ci rimane da capire adesso è come questa rivoluzione monetaria impatterà le nostre vite, e come potremo rispondere.
Il paese che è più avanti nell’adozione delle CBDC è la Cina. La Banca Popolare Cinese ha iniziato le sperimentazioni con la popolazione già lo scorso aprile, e pochi giorni fa il governo ha annunciato un disegno di legge dove per la prima volta lo Yuan Digitale godrà di statuto legale. Lo Yuan Digitale sarà programmabile e tracciabile al 100% dal governo, che potrà così monitorare nel dettaglio i flussi di capitale ed imporre a piacimento limitazioni o condizioni all’uso della valuta. Come se non bastasse, già lo scorso gennaio in ambienti accademici cinesi si parlava della possibilità di combinare la nuova valuta digitale con il sistema di crediti sociali già in vigore.
In occidente questa deriva orwelliana sarà forse meno sfacciata ma ci sarà. L’emergenza sanitaria sta abituando le masse ad una “nuova normalità” in cui incertezza e paura saranno sempre più alla base della nostra esistenza quotidiana. Valori come l’indipendenza economica, la privacy e la libertà di espressione saranno progressivamente sostituiti da un’ideologia collettivista, tecnocratica e totalitaria. Che fare? Alcuni consulenti finanziari “alternativi” consigliano di investire in oro e in bitcoin: il primo rimane il bene rifugio per eccellenza, ed è possibile che almeno in un primo momento le nuove monete virtuali saranno garantite da un gold standard; il secondo è una criptovaluta decentralizzata, e una volta raggiunto il limite di 21 milioni di bitcoin in circolazione potrebbe anch’esso diventare un bene rifugio. Il mio consiglio però, per chi non intenda partecipare al sistema che viene e voglia davvero costruirsi un rifugio, è invece quello di tornare alla terra. Formare comunità autonome ai margini della società, dove coltivare oltre che il cibo anche una nuova cultura umana: in un mondo sempre più distopico, mi sembra l’unica speranza che ci resta.
FONTE: https://federiconicolapecchini.medium.com/i-nuovi-soldi-d7356f26332b
LA LINGUA SALVATA
IL CONTRIBUTO ITALIANO ALLA CIVILTÀ MONDIALE
Nicola Walter Palmieri – 14 aprile 2021
- Formazione della civiltà mondiale. L’immenso tessuto, nella cui trama sono entrati fili innumerevoli diversi per natura, colore e pregio, che rappresenta lo sviluppo della civiltà, non permette di stabilire una gerarchia di apporti: il valore supremo, la civiltà, è dato dal risultato complessivo in cui tutti i contributi interagiscono e si fondono. Questo non toglie tuttavia che si possa cercare di distinguere fra i contributi che le varie comunità umane hanno fornito alla formazione della civiltà mondiale, quel complesso di cognizioni, capacità e valori che costituisce il patrimonio disponibile (anche se non sempre e non in tutto condiviso) dell’umanità.
Gli italiani hanno avuto grande parte nell’immenso sforzo del progresso dell’umanità. Intendo gli italiani non come entità etnica, che non sono mai stati, ma come il popolo, costituitosi in unità culturale distinta, che abita quella curiosa piccola penisola in forma di stivale che si trova all’estremità sud-orientale di quell’altra curiosa appendice del continente asiatico che è l’Europa.
L’Italia, come tutta l’Europa occidentale, non partecipò sensibilmente al primo sviluppo della civiltà umana che si svolse fra il quarto e il primo millennio avanti Cristo sulle pianure irrigate dai grandi corsi d’acqua delle aree calde (Nilo, Tigri, Eufrate, Indo, e i grandi fiumi della Cina). Le principali civiltà del continente americano, sorte molto più tardi, mai superarono un livello analogo a quello raggiunto in Mesopotamia e in Egitto quattro millenni prima.
Il principio della storia in Italia è nel primo millennio avanti Cristo, e fu il risultato dell’evoluzione dei popoli indigeni, dell’arrivo dei Celti, degli Etruschi (la cui provenienza dall’Asia sembra l’ipotesi più probabile), e delle numerose colonie di cui le città greche costellarono, come il resto del Mediterraneo, Sicilia e Italia meridionale, talché quest’ultima finì con l’essere chiamata Magna Grecia, nuovo territorio dell’Ellade, che superò, in prosperità e potenza, l’antica madrepatria (fenomeno forse paragonabile nella colonizzazione europea del continente americano che divenne la Magna Europa).
Gli Etruschi, popolo misterioso che occupò l’Italia centrale tirrenica sopra Roma, e si spinse fino nella Valpadana, arrivarono intorno al 1000 a.C., vissero più o meno pacificamente per qualche secolo, influenzarono, e per qualche tempo, dominarono, Roma nascente, e si stemperarono presto nell’espansione romana. A parte testimonianze presenti della loro arte di costruttori in città come Volterra, Arezzo, Perugia, Cortona, Tarquinia, e in numerose tombe ornate di sculture e di affreschi, non lasciarono molto ai posteri. La loro lingua è indecifrata nonostante le numerose iscrizioni rimaste in caratteri simili a quelli greci. Da loro, Roma derivò elementi di organizzazione statale, principi e rituali religiosi, e una tecnica architettonica, l’arco e la volta, che i Greci non conoscevano e che contraddistinse l’architettura romana e quella occidentale di tutti i secoli a venire. La civiltà greca in Italia ebbe una fioritura e un impatto ben più importanti. Sono in Italia – a Siracusa, Agrigento, Segesta, Selinunte, Pesto, e in innumerevoli altri siti – superstiti monumenti dell’architettura greca di altissima qualità, e in quantità maggiore di quanto è rimasto nella Grecia odierna. Alcune delle grandi menti filosofiche e scientifiche del mondo greco (Pitagora, Parmenide, Zenone, Archimede) prosperarono in Italia.
- Universalità di Roma. Tutti questi elementi di civiltà, autoctoni o di importazione, furono incorporati, unificati e portati a nuovi sviluppi dall’energia dominatrice dello sparuto popolo di pastori e piccoli agricoltori stanziati sulla riva del basso Tevere che, nell’ottavo secolo a.C., fondò un villaggio predestinato ad alti destini. Dopo secoli passati nel difendersi e nell’affermarsi contro i bellicosi popoli italici, contro gli Etruschi, e contro le popolazioni celtiche dell’Italia del Nord, Roma alfine conseguì il controllo dell’Italia e si trovò ad affrontare l’altra potenza mediterranea, quella dei Fenici, guidata dalla grande città commerciale africana Cartagine. Trasformatisi rapidamente in potenza marittima, i Romani affrontarono Cartagine in tre lunghe e sanguinose guerre, in cui la loro stessa sopravvivenza fu più volte in pericolo. Alla fine trionfarono, Cartagine fu distrutta, e la nuova potenza egemone mediterranea poté volgersi alla conquista di un impero più grande, e certo più duraturo, di quello messo insieme da Alessandro. Al suo culmine, intorno al 100 d.C., l’Impero Romano si estendeva dal Marocco atlantico alla Scozia, dal Reno al Danubio, dall’Armenia alla Mesopotamia e all’Egitto. Al centro stava Roma, caput mundi, verso cui confluivano tutte le sapienze, i culti, le idee, le tradizioni, le culture di un mondo vastissimo e multiforme, al quale Roma dette l’impronta unificante con la sua capacità di governo, il diritto, la pax romana che da essa fu assicurata, e con le due lingue universali, il latino e il greco.
Il mondo non aveva mai assistito prima, né vide poi, un fenomeno simile a quello per cui, durante più di quattro secoli, chiunque poté muoversi sicuro fra Cadice e Antiochia, Damasco e Lione, la Britannia e l’Armenia, parlando una sola lingua, rispettando una sola legge a tutti applicabile, usando una sola moneta, seguendo liberamente i propri costumi e la propria religione (salvo l’obbligo di un formale omaggio all’autorità imperiale). Un periodo di pace e di tolleranza universali, non un’età dell’oro ma qualcosa che vi si poteva avvicinare, quando, come disse Anatole France, “gli dei non c’erano più e Dio non era ancora nato”. Fu l’Impero Romano, con la sua affermazione di universalità e con gli strumenti che esso aveva sviluppato, a consolidare i raggiungimenti delle civiltà fino allora esistenti, a stabilizzarli, a farli progredire, e infine a permetterne la sopravvivenza nonostante le tragedie, i sommovimenti e le regressioni provocati dai successivi movimenti di popoli che noi abbastanza impropriamente chiamiamo le invasioni barbariche. Nella parte occidentale dell’Impero, dopo il VI° secolo, la vita urbana e molti aspetti della civiltà classica si ridussero quasi a nulla. Tuttavia non scomparvero, e la vita civile dell’eredità greco/romana, rinforzata da nuovi apporti – il fresco vigore delle genti germaniche, l’influenza pervasiva del cristianesimo – lentamente riapparve e prese nuove, anche più forti, radici. Fu infine l’Impero Romano che costituì la premessa e pose le condizioni per l’espansione e l’affermazione universale del cristianesimo, forse dopo esserne stata la vittima, come sostenne il Gibbon, e fornì alla Chiesa il modello di struttura organizzativa che le è efficacemente servito per due millenni.
Cosa ha assicurato il successo del modello romano, la sua persistente influenza nel mondo, il suo contributo alla civiltà? Anzitutto l’idea dell’unità del mondo che poteva e doveva avere un reggitore unico, a cui si potevano applicare, nel rispetto delle diversità, istituzioni e principi universali che avrebbero assicurato pace e prosperità. Strumenti per questi fini, la legge e la capacità di governo. Nessun popolo aveva prima di Roma elaborato un sistema di leggi così complesso e pervasivo, così saggio, acuto e umano, come quello romano, che poté in modo del tutto appropriato essere definito ratio scripta. Il diritto romano, che ebbe la sua conclusiva compilazione nel Digesto ordinato dall’Imperatore Giustiniano nel VI° secolo d.C., e che sopravvisse in tale forma ai secoli bui, è certamente uno dei più alti monumenti dello spirito umano, e rappresenta parte sostanziale, ancora feconda e vitale, del contributo di Roma, dei Romani, degli Italiani, alla civiltà mondiale. Mai del tutto abbandonato – il diritto romano rimase vigente come legge personale dei popoli dominati nei regni barbarici dell’Europa e fu alla base del diritto della Chiesa – è stato ripreso e studiato nelle nuove Università, a partire da quella di Bologna nel XII° secolo, applicato costantemente nei Paesi europei di diritto civile, recepito nei Paesi germanici; costituì la base dei codici legislativi di numerosi Paesi, il maggiore dei quali fu il Code Napoléon, e fu adottato da importanti Paesi estranei alla tradizione romanistica, Russia, Giappone, Turchia i quali, quando vollero dotarsi di leggi moderne, presero a modello i codici di Paesi che alla tradizione romanistica si erano ispirati. Anche la common law dei Paesi anglosassoni, che ebbe origine ed evoluzione autonome, fu grandemente influenzata dal diritto romano attraverso gli apporti normanni, il diritto canonico e la lex mercatoria. Ancora oggi, la componente più forte dell’impostazione giuridica del mondo (non solo di quello occidentale) ha le sue salde radici nel diritto elaborato due millenni fa nella penisola italica.
Nel campo della filosofia e dell’arte, senza riuscire a ripetere quel miracolo di creatività per cui il mondo ellenico in pochi secoli pensò il pensabile, Roma fornì gli archetipi alla poesia, la tragedia e la commedia (Cesare, Cicerone, Virgilio, Orazio, Catullo, Ovidio, Tito Livio, Tacito, Seneca, Agostino). Nell’architettura e nelle arti figurative in genere, i Romani dettero contributi sostanziali con testimonianze insuperate nella ritrattistica, nel bassorilievo, la pittura muraria, il mosaico.
Soprattutto, i Romani furono infaticabili e impareggiabili costruttori, intenti principalmente a dotare l’Impero di strutture civili. Le strade permanenti che congiungevano a Roma e fra di loro le più lontane Province, i ponti, gli acquedotti, i centri urbani, i templi, tutti caratterizzati dalla solidità della muratura, della pietra e del marmo, e dall’uso sapiente dell’arco e della cupola, costruiti per la pubblica utilità, dignitosi e solenni, edificati per durare non secoli ma millenni, sopravvissero in tutti gli angoli dell’antico Impero alle innumeri vicende distruttive, alcuni ancora adibiti all’originario impiego, come il ponte di Salamanca, l’acquedotto di Segovia, gli anfiteatri. L’architettura romana, attraverso la reviviscenza e rielaborazione nel Rinascimento e nel Neoclassico, ha improntato di sé la cultura edificativa e l’aspetto urbano di tutto il mondo occidentale (e non solo di quello).
C’è chi obietta che gli italiani di oggi non sono discendenti diretti dei romani. È impostazione fallace. Gli apporti degli invasori barbarici e arabi, pur culturalmente importanti, sono stati quantitativamente modesti. Si calcola che al culmine dell’Impero, l’Italia abbia avuto da 6 a 8 milioni di abitanti, gli ostrogoti, i goti, i longobardi, gli arabi non ammontarono mai a più di qualche centinaio di migliaia.
- Il Cristianesimo. Una funzione storica fondamentale svolta da Roma fu quella di essere stata all’origine del cristianesimo e di averne permesso la diffusione e l’affermazione in un ambito territoriale ampio e politicamente unitario, da cui si sarebbe irraggiato in tutto il mondo. Gli uomini di fede dovrebbero interrogarsi sul disegno provvidenziale che fece nascere il Redentore in una località posta al centro dell’Impero romano e in un momento in cui l’estensione e la potenza dell’Impero stesso erano al loro culmine. La predicazione di Paolo, che era cittadino romano, scriveva in greco e parlava greco e latino, sarebbe stata molto meno efficace in un contesto politico e culturale frammentato. L’Impero Romano, che all’inizio (e con lunghi intervalli) reagì contro la nuova religione che con esso rivaleggiava nella pretesa universalistica, alla fine si arrese, la adottò con l’editto di Milano, e la impose in tutto l’ecumene centrato sul Mediterraneo, da dove mossero fervidi evangelizzatori a diffondere il Verbo presso le genti germaniche, slave, e oltre.
La Chiesa si ispirò all’Impero nella sua struttura legale e organizzativa, e persino nella terminologia, nei riti e nelle architetture (le chiese basilicali ricalcano la struttura del principale edificio pubblico dell’era imperiale, la basilica). Il latino, lingua della Chiesa, rimase per diciotto secoli lingua universale anche della scienza, e veicolo attraverso il quale tutti i dotti del mondo potevano comunicare. Da poco, purtroppo, la Chiesa ha abbandonato il latino, che però sopravvive, con gli apporti germanici e arabi, nell’italiano, che è il latino parlato oggi con l’abbandono delle declinazioni, e nelle altre lingue romanze. Anche nelle lingue germaniche – tedesco e inglese – le parole di origine latina rappresentano una grande percentuale del lessico. Significativo è l’apporto di parole di origine latina in altre lingue ampiamente diffuse (russo). Italiani di nascita o di cultura furono, oltre che la grande maggioranza dei Pontefici, molte figure fra le più rappresentative nella santità e nelle scienze teologiche (Ambrogio, Agostino, Benedetto, Francesco, Chiara, Tommaso d’Aquino).
Nel lungo traghetto del mondo occidentale attraverso il Medioevo, la Chiesa, e gli italiani che ne rappresentarono sempre l’ossatura sia nel bene che nel male, salvarono il passato e lo consegnarono all’Evo moderno.
- Esplorazioni geografiche. Quando, alla fine del Medioevo, il mondo intero si aprì allo spirito di intrapresa e all’ansia di conoscenza, furono italiani i maggiori protagonisti: viaggiatori, mercanti, missionari, navigatori. Marco Polo svelò per primo l’Oriente più lontano all’Europa, Giovanni dal Pian del Carpine andò in missione presso i Tartari, i fratelli Vivaldi, genovesi, e Lanzarotto Maroncello, seguiti dai portoghesi condotti da Nicoloso da Recco e dal fiorentino Agostino del Tegghio dei Corbieri, scoprirono le Canarie (fine XII°/principio XIV° secolo) e vi stabilirono una colonia (1410-1339). Ugolino e Guido Vivaldi tentarono per primi, alla fine del 1300, un viaggio transoceanico per raggiungere l’India, non si sa se dirigendosi verso Ovest, o verso Sud per circumnavigare l’Africa. Non tornarono. Antoniotto da Noli detto Usodimare e Alvise Ca’ da Mosto, veneziano, scoprirono le isole del Capo Verde e si spinsero nel Golfo di Guinea. Il genovese Cristoforo Colombo scoprì l’America, non importa se credeva di essere arrivato in Asia. Giovanni Caboto, veneziano, finanziato dai mercanti di Bristol, fece nel 1497 un viaggio verso le Indie lungo una rotta più a Nord di quella di Colombo. Sbarcò nel Maine (o nella Nova Scotia), toccando Terranova. Nel 1498 salpò con cinque navi per un secondo viaggio, da cui non ritornò. Fra il 1497 e il 1502, il fiorentino Amerigo Vespucci, navigando prima per la Spagna e poi per il Portogallo, esplorò la costa settentrionale e orientale del Sudamerica, e giunse finalmente alla convinzione che si trattava di un nuovo continente che doveva a sua volta essere separato dall’Asia da un oceano. Fu per questo, e non tanto per i suoi viaggi, che il Waldseemüller propose che il Sudamerica fosse chiamato America, nome poi esteso per volontà popolare anche alla parte settentrionale del continente. Nel 1508 e 1509, Sebastiano Caboto, figlio di Giovanni, dopo avere toccato l’Islanda e la Groenlandia arrivò in Labrador, scoprì probabilmente la Baia di Hudson che ritenne costituisse il passaggio a Nord-Ovest per il Pacifico, seguì la costa nordamericana fino all’altezza della Virginia, prima di tornare in Inghilterra. Giovanni da Verazzano, nel 1524, al servizio del Re di Francia, esplorò per primo la costa orientale degli Stati Uniti fra la Florida e il Canada, entrando nella Baia di New York, e si affacciò sul fiume Hudson. Nel 1526/1530, Caboto, al servizio della Spagna, cercò il passaggio a Sud, ma non andò oltre il Rio de la Plata. Il vicentino Pigafetta, storico di bordo di Magellano, completò il giro intorno al mondo e consegnò alla storia la cronaca del viaggio con il suo diario.
Niente di tutto ciò andò a diretto beneficio dell’Italia, che dopo la fioritura e lo splendore economico e artistico del periodo comunale e di quello delle Signorie si avviò, a cavallo fra il XVI° e il XVIII° secolo, verso un periodo di decadenza e di dominazioni straniere che non le permisero per lungo tempo di avere alcun ruolo politico su scala mondiale.
- Rinascimento. Nei primi cinque secoli del secondo millennio, l’Italia fu la protagonista culturale e artistica del mondo occidentale. Si manifestarono in Italia i prodromi di quella esplosione liberatoria dello spirito umano che è stato il Rinascimento, e fu in Italia che si ebbero le sue più alte realizzazioni. L’Europa seguì con un secolo di ritardo e, salvo meravigliose eccezioni come l’architettura gotica del Settentrione, la poesia trobadorica e la musica franco-fiamminga, si ispirò all’Italia e si lasciò trasformare dal suo esempio. Prestissimo, all’inizio del XIV° secolo, la poesia italiana toccò con Dante vette mai più raggiunte, dette con Petrarca un modello per tutta la poesia intimistica europea dei secoli successivi, e con Boccaccio il modello per la narrativa. L’Ariosto fornì con l’Orlando Furioso l’esemplare insuperato di poema cavalleresco, e il Machiavelli scrisse, fra tante altre mirabili prose, il primo realistico trattato sulla politica o arte di governo. Il Castiglione con il Cortegiano e il Della Casa con il Galateo codificarono l’eleganza del vivere.
Furono opera degli italiani dei grandi Comuni mercantili e delle città marinare del Medio Evo alcuni degli istituti e strumenti decisivi per lo sviluppo dell’industria e dei traffici, come molti dei contratti bancari, il credito lombardo, il concetto dello star del credere, l’impostazione del moderno diritto fallimentare, il contratto di assicurazione marittima (ordinanza pisana del 1318, legge genovese del 1369), la lettera di cambio sviluppata in Toscana ai primi del ‘300 che la tradizione attribuisce al Mercante di Prato Francesco Datini, la contabilità a partita doppia codificata dal matematico francescano Luca Pacioli, amico di Leonardo.
Cento città d’Italia si munirono di solide mura e si adornarono di edifici pubblici, religiosi e privati, armoniosi e leggiadri. La severa architettura romanica e gotica – quest’ultima già ingentilita in Italia rispetto agli esempi d’oltrealpe – evolsero per opera di geniali architetti (Brunelleschi, Solari, Coducci, Bramante, Michelangelo, Vignola, Bernini, Borromini), in palazzi e templi che si richiamano ai canoni classici, ricreandoli e rinnovando l’aspetto delle città, delle ville, dei giardini. Fornirono l’esempio al resto d’Europa e a tutto il mondo. Che sarebbe il mondo senza quanto è stato costruito in ogni dove sotto l’influenza del Palladio?
Le arti figurative del rinascimento italiano furono anch’esse protagoniste, con Giotto, Massaccio, Piero della Francesca, Beato Angelico, Signorelli, Perugino, Raffaello, Leonardo, Michelangelo, i Carracci, Caravaggio, Giambellino, Veronese, Tintoretto e Tiziano, Tiepolo e Canaletto. Anche nel campo della scultura, gli italiani sono all’avanguardia in Europa, con Jacopo della Quercia, Donatello, Brunelleschi, Michelangelo, Bernini. Maestri grandi e scuole eccellenti nacquero anche altrove, ma il viaggio in Italia restò a lungo necessità per ogni artista che intendeva completare la sua formazione. Le mode artistiche e l’attività degli artisti italiani si sparsero per tutta Europa e lasciarono impronte indelebili.
- La musica. La base della notazione musicale venne posta, nell’XI° secolo, dal frate toscano Guittone d’Arezzo, e la terminologia della scrittura musicale è rimasta italiana, in tutto il mondo. Al cantus planus della Chiesa del primo millennio, l’Italia dette un prevalente contributo con il canto ambrosiano e quello gregoriano. Ai grandi esponenti nordici della musica polifonica dopo il 1300, l’Italia contrappose compositori geniali e innovativi (Palestrina, Gabrieli, Luca Marenzio, Carlo Gesualdo da Venosa, Claudio Monteverdi, Carissimi). L’Italia inventò l’opera, con la Camerata Fiorentina e le due Euridice del Peri e del Rinuccini (1600 e 1602), e con il grande Monteverdi dell’Orfeo e dell’Incoronazione di Poppea. L’opera, attraverso tutto il ‘600 e il ‘700, fu la forma musicale italiana per eccellenza, salvo i grandi nomi di Händel e Gluck, e quello grandissimo di Mozart le cui opere più importanti furono comunque composte, per l’eterno piacere dei posteri, sui deliziosi e musicalissimi libretti italiani di Lorenzo Da Ponte. Nell’Ottocento, il belcanto italiano si affermò nella splendida, prolifica triade di Rossini, Bellini e Donizetti, con il degno epigono Giacomo Puccini. Su tutti torreggiò Giuseppe Verdi che, come disse il Poeta, “pianse e amò per tutti”, in capolavori che ogni giorno, in qualche parte del mondo, toccano il cuore degli uomini. (Unico grande compositore che rivaleggiò con Verdi fu Richard Wagner).
Anche se il trionfale successo dell’opera deviò nel secolo scorso l’interesse degli italiani dalla musica strumentale, essa non esaurì l’apporto italiano alla musica mondiale. Alcune delle principali forme musicali furono create o sviluppate nel Novecento da italiani: l’oratorio, la cantata, la sonata, il concerto grosso, molti furono i grandi compositori (Frescobaldi, Corelli, Sammartini, Scarlatti, Vivaldi, Paganini). Fu un italiano, il Cristofori, l’inventore del principe degli strumenti, il pianoforte. Gli strumenti ad arco furono fissati nella forma definitiva e in esemplari di qualità insuperabile da liutai lombardi: Gaspare da Salò, Giuseppe Guarneri del Gesù, Antonio Stradivari, i fratelli Amati. In ogni epoca, furono italiani alcuni fra i più grandi esecutori e interpreti.
- Conclusione. Stendhal fece propria la frase che in Italia la pianta uomo è sempre cresciuta vigorosamente e ha dato abbondanza di frutti. Oggi, l’Italia soffre, come tutta Europa, di abulia farcita di servile frenesia imitativa di banali modelli esterni, e di mania di sottomissione. Dovrebbe invece imporre il proprio retaggio di civiltà, a incominciare con il ripudio dello smodato e fastidioso deturpamento della sua lingua, completa e armoniosa.
Informazioni personali
Ruvigliana, Canton Ticino, Switzerland
Avvocato iscritto agli Albi di Montreal e New York (ammesso al Southern District of New York e alla United States Supreme Court).
Esercita la professione legale a Roma.
È stato il responsabile della funzione legale di grandi società industriali (BASF Corporation, Montedison, Parmalat).
Ha insegnato materie giuridiche ed economiche, ed è autore di numerosi articoli e libri (in maggior parte editi da CEDAM).
È Ufficiale in congedo dell’Aeronautica Militare italiana. Vive a Ruvigliana in Svizzera
PANORAMA INTERNAZIONALE
L’Unione Europea: dal mercato unico a una tragica farsa
- Molti schierati a Sinistra hanno la memoria corta, ma l’UE non è sempre stata la grande macchina distante che è diventata.
- Il principio di uguaglianza degli Stati e il principio di uguaglianza dei cittadini non possono essere armonizzati nell’attuale assetto istituzionale dell’Unione Europea, afferma la Corte costituzionale federale tedesca.
- Ovviamente, le istituzioni dell’UE adottano un linguaggio fiorito – come, ad esempio, “rendere l’Unione Europea più democratica” – volto a far credere alla gente che le istituzioni dell’UE (…) sono sempre più democratiche e aspettano solo di esserlo pienamente.
- Questa evoluzione è consistita, innanzitutto, nel sovvertire le istituzioni europee per far loro realizzare, oltre ai loro scopi economici, anche obiettivi a loro estranei, come una “politica estera comune” che fosse qualcosa di più che non mere parole. Come si potrebbe avere una politica estera comune al Regno Unito, all’Austria e al Portogallo?
- Le élite dell’UE sono deboli, codarde e pusillanimi perché sanno di non rappresentare nessuno, nel vero senso democratico della parola, poiché non vengono elette democraticamente, non sono trasparenti e non sono responsabili verso nessuno. In definitiva, sono alla mercé dei governi che non sono mai d’accordo tra loro, ma hanno la legittimità di essere realmente democratici: eletti, trasparenti e responsabili. Non esiste nemmeno uno strumento per i cittadini che consenta di non eleggere nessuno, se desiderassero farlo.
La gestione della somministrazione del vaccino contro il Covid19 nell’Unione Europea è una metonimia per l’UE: una tragica farsa nelle mani di ideologi tanto ottusi quanto inefficienti. Nella foto: la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a una conferenza stampa, tenutasi a Bruxelles il 17 marzo 2021, a seguito di una riunione su una proposta legislativa relativa a un certificato di vaccinazione comune UE. (Foto di John Thys/Pool/AFP via Getty Images) |
Le opinioni riguardanti l’Unione Europea sono divise tra chi la considera inutile e costosa e chi la ritiene il futuro dell’Europa e un modello per gli esseri umani.
Ma qual è la realtà?
Prima che emergesse l’UE odierna, la costruzione di un’unione europea fu, inizialmente, un enorme successo.
Molti schierati a Sinistra hanno la memoria corta, ma l’UE non è sempre stata la grande macchina distante che è diventata. Nell’era di quelle che venivano denominate in modo più modesto “Comunità Europee” – comportando, ad esempio, la cooperazione tra le economie di più Paesi; o in seno al settore carbosiderurgico e nucleare – l’Europa ha conquistato quattro libertà di movimento: la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali. Nonostante i suoi difetti, le carenze e le innumerevoli imperfezioni (niente di umano è perfetto), questo mercato comune –o unico – ha dato un contributo massiccio e sostanziale alla libertà e alla prosperità degli europei.
È impossibile non considerare un progresso il fatto che un cittadino francese possa circolare liberamente in Italia o che un imprenditore spagnolo abbia il diritto di offrire servizi ai cittadini dei Paesi Bassi. Il mercato comune europeo originario era in tutto e per tutto in linea con il concetto costruttivo di Jean Monnet di “pace grazie alla prosperità“.
Il problema era che gli ideologi di tutte le fedi non potevano accontentarsi di questa Europa come mero strumento, di natura essenzialmente economica. No, era necessario aggiungere un’Europa politica, un’Europa sociale, un’Europa della difesa, una politica estera europea, un’Europa ecologica e persino un’Europa geopolitica.
Questa evoluzione è consistita, innanzitutto, nel sovvertire le istituzioni europee per far loro realizzare, oltre ai loro scopi economici, anche obiettivi a loro estranei, come una “politica estera comune” che fosse qualcosa di più che non mere parole. Come si potrebbe avere una politica estera
comune al Regno Unito, all’Austria e al Portogallo?
Successivamente, le istituzioni e le procedure sono state e continuano ad essere, costantemente adattate, rinnovate e rivoluzionate per servire fini extra-economici – come, ad esempio, la “pace”, la “lotta alla discriminazione sociale”, la “promozione del progresso scientifico e tecnologico”, la “sicurezza e la giustizia” – anche a scapito di quelli economici.
Oggi, lo scopo economico della costruzione europea è stato ufficialmente ridotto – attraverso i trattati – al minimo indispensabile, mirando a “uno sviluppo sostenibile basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi” e assoggettato alle richieste dell’Europa politica, sociale e ambientalista. Tali richieste iniziano, ad esempio, con il Patto Verde Europeo che mira a trasformare l’Europa nel primo continente “climaticamente neutrale” riducendo le emissioni europee di gas a effetto serra per arrivare a un punto di “zero emissioni nette” entro il 2050, anche se le conseguenze economiche per gli europei sono insostenibili. Secondo IndustriAll, il sindacato europeo della categorie industriali europee, c’è il grande rischio che il Patto Verde Europeo metta in ginocchio interi settori industriali, tagliando milioni di posti di lavoro nelle industrie ad elevato consumo energetico, senza alcuna garanzia che i lavoratori delle industrie colpite avranno un futuro.
Pertanto, l’UE, che in passato ha offerto un contrappeso alla furia antieconomica dei suoi Stati membri, è ora l’amplificazione permanente di questa furia.
Nessuna risoluzione sul genere o sull’ambientalismo approvata dal Parlamento tedesco o da quello francese può competere con le dichiarazioni sempre più estremiste emanate dalle istituzioni europee su questi temi, come su altri. Ad esempio, l’integrazione della versione più estrema della teoria di genere: l’idea che “maschio” e “femmina” sono concetti culturali e non biologici, è ora la politica ufficiale dell’UE.
Ciò che consente a queste istituzioni europee di spingersi sempre più lontano sulla via dell’ideologia è il fatto che sfuggono alle sanzioni democratiche, poiché l’Unione Europea rimane prima di tutto un’organizzazione intergovernativa. La Corte costituzionale federale tedesca ha diagnosticato un “deficit strutturale democratico” nella costruzione dell’Unione europea, in quanto i processi i processi decisionali nell’UE rimangono in gran parte quelli di un’organizzazione internazionale. Il processo decisionale si basa sul principio dell’uguaglianza degli Stati membri. Il principio di uguaglianza degli Stati e il principio di uguaglianza dei cittadini non possono essere armonizzati nell’attuale assetto istituzionale dell’Unione Europea, ha affermato la Corte tedesca. Ovviamente, le istituzioni dell’UE adottano un linguaggio fiorito – come, ad esempio, “rendere l’Unione Europea più democratica” – volto a far credere alla gente che le istituzioni dell’UE (…) sono sempre più democratiche e aspettano solo di esserlo pienamente.
Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. In quanto organizzazione intergovernativa, l’Unione Europea non è, non è mai stata e non sarà mai una democrazia. Un’organizzazione internazionale non è un accordo tra governi: aggiungere allo schema un “Parlamento Europeo” eletto, con capacità molto limitate, non altera le preoccupazioni intergovernative di tale organizzazione.
Quale percentuale di cittadini europei è in grado di nominare anche un solo membro del Parlamento Europeo, un Eurocommissario o un giudice della Corte di Giustizia europea? Gli americani si sentono americani prima di essere del Wyoming o dell’Arkansas; mentre italiani, spagnoli, svedesi, polacchi e sloveni si identificano con il loro Paese prima di sentirsi europei (nell’accezione generica del termine, non riferendosi all’UE).
Per ragioni storiche, la Germania si attiene il più spesso possibile alle regole e alle istituzioni dell’Unione Europea. Come è stato osservato da Ulrich Speck:
“Il Paese ha costruito la sua identità politica e il suo sistema politico sul concetto di essere l’opposto dello stato nazista. Oggi, i tedeschi vedono il regime nazista, tra le altre cose, come una forma radicalizzata di potere politico classico, qualcosa che si considerano fortunati di essersi lasciati alle spalle”.
In altre parole, molti tedeschi vedono l’UE come l’ultimo antidoto alle tendenze egemoniche del loro passato. Sebbene abbiano gestito relativamente bene la prima parte – la mitigazione – della recente pandemia, hanno deciso di fare affidamento sull’UE per la gestione dei vaccini. C’è una logica in questo approccio: in primo luogo, insieme siamo più forti nel negoziare con “Big Pharma” e, inoltre, non è questa un’opportunità per dimostrare agli europei che questa Unione Europea che a loro non piace è almeno utile?
Non soddisfatta di essere inutile e costosa, come nel caso delle vaccinazioni contro il COVID-19, l’UE si è dimostrata terribilmente, ridicolmente e tragicamente inefficace. AstraZeneca, ad esempio, ha semplicemente “informato” il blocco che non sarebbe stata in grado di fornire il numero di vaccini che Bruxelles aveva sperato di avere – e pagato – entro la fine di marzo. I leader dell’UE erano “furiosi” per il fatto che l’azienda farmaceutica sembra adempiere i propri obblighi di consegna per il mercato del Regno Unito e non per il loro. Il risultato dell’incapacità di Bruxelles di far rispettare gli impegni assunti nei suoi confronti dai produttori di vaccini è senza appello.
Tra cinquecento anni, quando gli storici ripenseranno all’era del Covid, diranno che “l’operazione Warp Speed“, voluta dall’amministrazione Trump è stata un trionfo della scienza e della logistica.
Se ci sono voluti cinque anni per sviluppare un vaccino contro l’Ebola – il precedente record mondiale – in Occidente c’è voluto meno di un anno per realizzare diversi vaccini contro il Covid-19, per lo più sotto pressione e con il finanziamento dei contribuenti statunitensi. Ben presto il governo degli Stati Uniti si è reso conto che la sfida era anche logistica: va bene sviluppare un vaccino, ma deve anche essere prodotto in grandi quantità e poi distribuito.
Su richiesta del governo USA, nel giro di pochi mesi, sono state costruite intere fabbriche per produrre il vaccino (che all’epoca non era ancora stato sviluppato), mostrando un impegno la cui portata e dimensione non erano dissimili dallo sforzo dell’industria bellica statunitense nel 1941. Quando è arrivato il momento di distribuire il vaccino, il governo americano ha utilizzato il miglior strumento a sua disposizione: le proprie forze armate. In definitiva, il programma di vaccinazione di massa degli Stati Uniti viene attuato in un lasso di tempo senza precedenti: il presidente Biden ha dichiarato all’inizio di marzo che gli Stati Uniti avranno abbastanza vaccini da somministrare a ogni americano entro la fine di maggio, ossia due mesi prima del previsto.
Rispetto agli Stati Uniti, il fallimento dell’UE è totale. Mentre in Europa la sfida era solo quella di produrre e distribuire il vaccino, l’Unione Europea ha fallito miseramente su entrambi i fronti. Il programma di vaccinazione europeo è ora molto indietro rispetto a quello statunitense e lo è ancora di più rispetto ai programmi di vaccinazione di Israele e della Gran Bretagna post-Brexit.
Secondo i dati attuali, il ritorno alla normalità in Europa sarà in ritardo di un anno rispetto a quello in America e nel Regno Unito. Quest’anno segna una moltitudine crudele di deficit, fallimenti e disastri personali. In termini relativi, ciò presagisce una massiccia regressione economica che l’UE si aspetta, rispetto al resto del mondo.
La gestione della somministrazione del vaccino contro il Covid19 nell’Unione Europea è una metonimia per l’UE: una tragica farsa nelle mani di ideologi tanto ottusi quanto inefficienti. Le élite dell’UE sono deboli, codarde e pusillanimi perché sanno di non rappresentare nessuno, nel vero senso democratico della parola, poiché non vengono elette democraticamente, non sono trasparenti e non sono responsabili verso nessuno. In definitiva, sono alla mercé dei governi che non sono mai d’accordo tra loro, ma hanno la legittimità di essere realmente democratici: eletti, trasparenti e responsabili. Non esiste nemmeno uno strumento per i cittadini che consenta di non eleggere nessuno, se desiderassero farlo.
Il comune buon senso imporrebbe di ridurre l’UE a un mercato unico, un territorio senza frontiere interne o senza altri ostacoli normativi alla libera circolazione di beni e servizi. L’arroganza ideologica che anima le istituzioni europee e i loro sponsor ideologici li spingerà nella direzione opposta, quella di una sempre maggiore centralizzazione, a scapito dei cittadini europei e dei loro interessi vitali.
Drieu Godefridi è un autore belga, assertore di un liberalismo di stampo classico e fondatore dell’Institut Hayek di Bruxelles. Ha conseguito un dottorato in filosofia alla Sorbonne di Parigi ed è finanziatore di imprese europee.
FONTE: https://it.gatestoneinstitute.org/17280/unione-europea-tragica-farsa
POLITICA
Sancho #11 – Fulvio Grimaldi – COVID: LE CREPE NELLA TORRE DI BABELE
Sempre più sta venendo fuori la strategia globalista di depopolamento e disgregazione dell’umano a beneficio del bio-tecno-totalitarismo. Puntata densissima la #11, in cui Fulvio Grimaldi porta alla luce tutte le contraddizioni dell’operazione Covid.
Scaletta:
Attualità
– Caso Gregoretti: dei migranti era responsabile l’Europa
– UK: l’Irlanda insorge contro il confine infame di Johnson
– Il fantoccio Zelens’kyj chiama la NATO a infiammare il Donbass
– Palestina: Barghouti si candida alle presidenziali sfidando il collaborazionista Abū Māzen
– Terrorismo israeliano in Iran: l’uranio come pretesto per l’attacco all’impianto nucleare
– Nuovi dati dagli USA confermano: negli Stati senza restrizioni non aumentano i morti.
– Il fantomatico piano pandemico di Ranieri Guerra
– Le trivelle ecologiche di Cingolani
– Il ricatto dell’ISS a IoApro: cashless o morte
COVID: LE CREPE NELLA TORRE DI BABELE
– Guerra dei vaccini e depopolamento “smart”: le promesse di Draghi annunciano il business di PharMafia delle varianti perpetue
– Nessuno tocchi Speranza: a chi giova lo sfascio del piano vaccinale italiano e la schizofrenia del governo?
– Gestione banca dati dei vaccinati all’esercito: il prode Figliuolo in prima linea per la colonizzazione tech del corpo umano
– Covid e svolta autoritaria: 20 mesi prima l’UE pianificava il passaporto vaccinale
– Le crepe taciute nella Babele-Covid: Tribunale di Vienna e OMS sbugiardano il PCR, coi vaccini rimangono le restrizioni e aumenta la mortalità
– Vaccino killer: ecco i dati della prima sperimentazione coatta di massa sull’uomo
– EMA: quis cuostodiet ipsos custodes? Il presidente Emer Cooke era lobbista di Pfizer, Novartis, J&J
– Container per i covid positivi mentre i terremotati sono ancora in tenda
– Austerity, fiscal compact, privatizzazioni e mafia: la concentrazione di capitali del ventennio draghiano che ha distrutto il dissenso
– E-sports: disgregazione psicofisica e distruzione della socialità, così si impone il nuovo paradigma
– L’irrazionalità dei provvedimenti è una manipolazione psicologica di massa verso il Great Reset
– Primi barlumi di resistenza in Italia e nel mondo
“Sancho. Settimanale d’attualità con Fulvio Grimaldi” da un’idea di Giuseppe Russo. Conduce Massimo Cascone. Produzione Bagony Snikett
Buona Visione!
VIDEIO QUI: https://youtu.be/XaT61FdY044
FONTE: https://comedonchisciotte.org/sancho-11-fulvio-grimaldi-covid-le-crepe-nella-torre-di-babele/
CNN: Il nostro scopo era cacciare Trump, non informare. Parola di dirigente
Project Veritas, il progetto giornalistico che indaga sull’imparzialità e la correttezza dei mass media USA, è riuscito a mettere a segno un altro colpo succoso: ha catturato in un video la confessione di un dirigente della CNN che non si fa problemi ad affermare che il loro compito, durante la campagna elettorale, non era informare, ma mandare a casa Donald Trump.
Un video girato sotto copertura mostra il direttore tecnico della CNN Charlie Chester che rivela come la rete abbia intenzionalmente dipinto Joe Biden in una luce positiva per fare in modo che Donald Trump perdesse le elezioni.
In una conversazione con un giornalista di Project Veritas, Chester ammette che la CNN ha lavorato per far sembrare Trump “inadatto per l’incarico”, mentre allo stesso tempo ritrae Biden come sano per combattere le paure che il 78enne non era in grado di mantenere la presidenza .
Il dirigente ammette che tutta la storia della “Stretta di mano tremante” di Donald Trump è stata completamente creta da zero, con tanto di conferme di carattere medico, mentre si ammette che la rete riprendeva sempre Biden mentre faceva Jogging o attività sportive per nascondere la sua età avanzata.
Lui ed il suo entourage non hanno nessun problema ad ammettere che, senza l’intervento della CNN e la pandemia, Trump sarebbe ancora presidente. Alla fine lo stesso direttore tecnico ammette che la propria attività è “Propagand”.
A questo punto che cosa resta della credibilità dei mass media come CNN, che invece vengono utilizzati come metro di misura dell’attività di tutti gli altri media? Chi può ancora credere che la verità abbia solo una faccia, solo un aspetto, quando chi doveva coltivarla ne ha fatto solo una questione di propaganda ?
Eccovi il video: https://youtu.be/Dv8Zy-JwXr4
FONTE: https://scenarieconomici.it/cnn-il-nostro-scopo-era-cacciare-trump-non-informare-parola-di-dirigente/
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