RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 15 GIUGNO 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Ho un sacco di visualizzazioni ma nessuno citofona
DIEGO DA SILVA, Superficie, Einaudi, 2018, pag. 38
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SOMMARIO
Ma siamo sicuri che ci faranno votare?
LA DITTATURA NASCE A VILLA PAMPHILI
Una domanda semplice semplice: GDPR e blockchain sono compatibili?
Il bluff Covid smascherato da Zangrillo, Tarro e De Donno
Distanziamento sociale: il mezzo o il fine?
La pandemia e la crisi dell’ordine sociale
Immagine di Winston Churchill cancellata da Google Search
Sorvegliare e pulire: eccessi da sanificazione
Il centenario di Alberto Sordi e il contagio della risata
“Via col vento” è razzista. E finisce fuori catalogo
Salvini ti spariamo in testa… Ennesima minaccia di morte via social al leader della Lega
CONTRO TRUMP, UN PUTSCH IN CORSO
Come si muovono Egitto e Giordania con Israele
La cura del dottor Goebbels
Magaldi: il Covid, guerra mondiale contro la nostra libertà
Siete bianchi?
Contributi a fondo perduto: modulo di domanda, requisiti e importi
BEI: ennesimo flop dell’UE, finiti i soldi per i prestiti alle medie e piccole imprese.
L’AFFARE SI INGROSSA
I SOCIAL SVELANO LA LORO NATURA AUTORITARIA E TOTALMENTE INCOSTITUZIONALE.
La speculazione ai tempi del Coronavirus e la riscoperta dell’art. 501-bis c.p.
App Immuni, via libera dal Garante della privacy
Stato di partigianeria perenne
Il lavoro e le macchine
“It’s Plutocracy, stupid!”
Mes, o fine dell’aiuto Bce. Mangia: il Pd ci vende ai tedeschi
“Stati Generali” – Insulto a un (ex) popolo
IL VANTAGGIO DI NON AVERE UN GIUDICE (con novità)
App Immuni, solo questione di immagine?
Immuni, chiedete e vi sarà dato
EDITORIALE
Ma siamo sicuri che ci faranno votare?
Manlio Lo Presti – 15 giugno 2020
Hanno pilotato i dati della presunta epidemia diminuendoli ad hoc per far andare il popolo in ferie. Diffonderanno con bombardamento terroristico mediatico l’insorgere di una nuova peste da topi, ragni, scolopendre, ecc ecc. ecc. richiudendo di nuovo la popolazione a settembre fino ad giugno prossimo.
Se nascono ribellioni, utilizzeranno l’operatività dei 400 mafiosi eccellenti scarcerati, che devono un favore agli apparati oscuri dello Stato.
Decine di attentati con migliaia di morti cercheranno di reprimere le rivolte, saranno bloccati tutti diritti civili e arriverà l’ennesimo governo non eletto sovragestito dai pretoriani di Bruxelles a loro volta comandati dall’asse anglofrancotedesco che non alcun interesse a far risorgere l’Italia che diventerebbe un temibile quarto concorrente, a che pro??? È sufficiente che il nostro paese abbia solo la sola forza necessaria per pagare i titanici interessi all’asse anglofrancotedesco.
Applicheranno una violenta patrimoniale pari al 20-25% del valore di mercato dei beni registrati posseduti. Il 35% della gente svenderà le case a meno della metà a finanziarie possedute da centri di potere nordeuropei gestiti da una ben nota antica genia finanziaria.
Il blocco del contante sarà totale, per impedire alla popolazione di correre agli sportelli quando sarà pianificato il collasso del sistema creditizio nazionale avente lo scopo di spostare i 4.250 miliardi di euro di risparmi italiani verso banche tedesche e francesi mediante apposite fusioni in gran parte già eseguite. Completeranno le svendite delle ultime aziende. Ridotta l’Italia ad un poverissimo paese latinoamericano, arriveranno ondate di immigrati a 10 milioni per volta con grecizzazione del Paese.
Infine, il territorio nazionale sarà balcanizzato:
1) la Sardegna alla Francia,
2) secessione del nordest con l’aiuto dei servizi austro-tedeschi,
3) secessione della Sicilia che diventerà la base operativa della guerra elettronica USA, NATO, NSA, CIA, ECHELON contro la Russia.
IL NOSTRO MARTORIATO Paese è in grave pericolo dominata da una gang politica esautorato, impotente, golpizzata, ricattata e cocainomane di cui un terzo è a libro paga della Francia.
TUTTO CIÒ PREMESSO
Quanto appena descritto sarà considerato eccessivo, fantasioso, ecc.ecc.ecc.
ASPETTIAMO I FATTI E NE RIPARLEREMO …
IN EVIDENZA
Una domanda semplice semplice: GDPR e blockchain sono compatibili?
Da Andrea Gandini, laurea in giurisprudenza, master di secondo livello in data protection ed esperto informatico-giuridico, riceviamo un interessante articolo che pone la questione ancora irrisolta della compatibilità tra i precetti del GDPR e le caratteristiche di immodificabilità intrinseche di una blockchain.
Molti sono gli articoli e post dedicati alla blockchain ed altrettanti al Gdpr.
La sensazione dello scrivente è che il Gdpr sia stato scritto pensando a sistemi centralizzati, con restrizioni e un data controller identificabile, situazione diametralmente opposta ai sistemi distribuiti come la blockchain pubblica, decentralizzata. Vedo inoltre un errore di fondo in alcuni testi, consultati nel web, afferenti le Dlt (Distributed Ledger Technology).
Prima di portare il focus sull’argomento indicato nel titolo, sono didattiche, per il proseguo della lettura, alcune specifiche per “i non informatici” e altre per “i non giuristi”. In brevissima sintesi, per punti:
1 La blockchain è un libro mastro (ledger) distibuito su una rete P2P (acronimo di peer to peer), una Dlt basata su una catena di blocchi.
2 La DLT è una banca dati distribuita su diversi dispositivi informatici (nodi), ognuno dei quali partecipa “votando”, ossia ogni nodo collabora alla risoluzione di un algoritmo “di consenso” circa la soluzione raggiunta. Avvenuto il consenso, il database viene aggiornato e ogni nodo ne riceve una copia.
3 La blockchain, rispetto alla Dlt, ha un sistema a blocchi collegati fra loro e crittografati.
4 Non tutte le dlt sono blockchain.
6 I dati inscritti nella catena di blocchi, non sono cancellabili o modificabili. Infatti è consentito solo aggiungere dati al database distribuito. I blocchi sono chiusi da una “impronta” (hash), che sarà uguale all’ hash del blocco successivo.
7 I dati presenti nel libro mastro sono pubblici (almeno nelle blockchain “ideali”, come nel caso paradigmatico del Bitcoin. Secondo alcuni sviluppatori, è l’algoritmo che “garantisce” la catena di blocchi, non la trasparenza dei dati inseriti in essa).
8 Gli articoli 16 e 17 del GDPR, rispettivamente diritto di rettifica e diritto alla cancellazione, si basano sul presupposto che i dati possano essere modificati o cancellati per garantire i diritti degli interessati.
9 E’ possibile distinguere fra 2 tipi di blockchain, pubblica e privata. Le blockchain pubbliche sono open, non hanno un proprietario e tutti gli utenti controllano tutti i dati presenti nel data base. Esempio paradigmatico è la blockchain alla base della criptovaluta Bitcoin. Invece, le blockchain private hanno un numero ristretto di utenti deputati alla validazione. Costoro decidono se il dato vada o meno registrato nella catena di blocchi. (Questa distinzione non è condivisa da tutti, alcuni tecnici individuano un maggior numero di “sfumature”).
L’attento lettore avrà già colto le problematiche a cui vanno incontro gli sviluppatori nel tentativo di adeguare la blockchain al Regolamento EU 2016/679.
Tante le domande. Come garantire i diritti dell’interessato alla cancellazione (oblio) o modifica registrati nella catena? Chi sono il titolare ed il responsabile del trattamento? Il trattamento dei dati personali immessi si conclude con la chiusura del primo blocco? Gli interessati a chi possono rivolgersi per far valere i propri diritti? Una blockchain pubblica può essere Gdpr compliant?
Su queste e molte altre domande sono intervenuti: il Parlamento europeo [1], indicando tre policy per evitare di modificare il Regolamento e permettano di realizzare progetti di blockchain compatibili; il Cnil in modo più pratico [2] suggerisce [3] “D’ailleurs, de manière plus générale, il convient de ne pas avoir recours à un stockage en clair d’une donnée personnelle sur la Blockchain” (inoltre, più in generale, è consigliabile non utilizzare una chiara memorizzazione dei dati personali sulla Blockchain).
In internet si trovano molti articoli incentrati sul dibattito blockchain vs diritto alla cancellazione. Alcuni tecnici IT hanno suggerito l’applicazione della crittografia ai dati inscritti nel ledger. Però, la sola crittografia dei dati personali da registrare nella blockchain non appare sufficiente. Criptando, cancelliamo il dato ora, non per il futuro in quanto qualsiasi algoritmo di cifratura può essere violato se si dispone di tempo e potenza di elaborazione sufficienti. Un sistema di crittografia oggi considerato sicuro potrebbe non esserlo tra alcuni anni. Probabilmente, a fronte della minaccia futura dell’impiego di computer quantistici per la decifrazione, la soluzione crittografica arriverà da algoritmi di criptografia “a prova di quantum” (ammesso che segretamente non siano già stati sviluppati).
Partendo dal presupposto che la moderna crittografia si basi su due chiavi, una pubblica e una privata, un gruppo di giuristi [4] ha avanzato una possibile soluzione per l’eliminazione dei dati personali memorizzati nella blockchain: la “cancellazione” potrebbe concretizzarsi distruggendo la chiave privata dei dati crittografati (ma chi può garantire che non si sia fatta una copia della chiave privata?). Eliminazione permanente o quanto meno resa inaccessibile ad altri. Soluzione questa controversa, non ho trovato in Rete unanime consenso sul fatto che questa sia a tutti gli effetti considerata una eliminazione.
Aggiungo ulteriori riflessioni circa il rapporto Gdpr-blockchain. In un sistema distribuito ed open (blockchain pubblica), ogni utente è data controller per sé e data processor per gli altri. In più si evince attrito, fra norma e questa tecnologia, sull’aspetto del trasferimento dati all’estero poiché gli utenti possono trovarsi in qualsiasi Paese del mondo, nonché avere qualsiasi nazionalità. (In internet i confini non sono quelli fisici, risulterà estremamente difficile per un governo impedire invio di dati senza controllo nè censura fuori dai confini geografici). La pluralità di data controller, sparsi sul globo terrestre è anche d’ostacolo all’applicazione di eventuali sanzioni. Infine, in una situazione del genere, risulta impossibile nominare un data protection officer.
Pur affascinato dall’applicazione della catena di blocchi per criptovalute e ancor più per la notarizzazione, tutto quanto sino ad ora esposto mi porta al sospetto che, per molti progetti oggi pubblicizzati, siano state utilizzate delle generiche DLT e non la blockchain al fine di ottenere compliance al Regolamento EU 2016/679 (Gdpr).
E parere dello scrivente che la blockchain pura (così definisco quella pubblica), di base, non sia compliant al Gdpr. La blockchain è un database distribuito immutabile e l’immutabilità non si concilia col diritto all’oblio ed il diritto alla rettifica dei dati personali. Leggendo il white paper di Satoshi Nakamoto [5] e il manifesto del cypherpunk di Huges [6], si comprende l’ideale col quale è stata pensata questa tecnologia. Decentralizzare, evitare il controllo centrale, conferire assoluta trasparenza ai dati registrati nel libro mastro. (Questo almeno l’aspetto idealistico, forse utopico. Sviluppatori, con i quali mi sono confrontato sul tema, hanno una idea più pragmatica, escludendo che i dati in essa debbano essere accessibili a tutti, preferendo pensare che sia il singolo a decidere quale suo dato possa essere privato o pubblico).
Sviluppare un sistema immutabile senza un approccio ai sensi dell’art 25 Regolamento EU 2016/679 (protezione sin dalla progettazione e per impostazione predefinita) significa avere grossi problemi di adeguatezza. Esistono soluzioni di data protection by design applicabili.
In linea generale, registrare nella blockchain link ad una tabella esterna (off-chain storage) contenente i dati. Il diritto alla cancellazione o alla rettifica si concretizzerebbe modificando la tabella esterna. In caso di cancellazione, il link contenuto nella blockchain punterà ad un dato non più disponibile. (Soluzione poco appetibile per i programmatori).
Nel caso di blockchain privata, sarebbe possibile un altro tipo di intervento: una blacklist di utenti che non possono vedere determinati dati. (Anche per questa soluzione ci sono sostenitori e tecnici perplessi).
Molte altre soluzioni sono allo studio, come ad esempio le combinazioni fra off-chain storage e pseudonimizzazione, cancellazione della chiave di cifratura, ecc. Prima o poi qualcuno troverà l’uovo di Colombo”.
A mio avviso, per riflettere sulla permanenza di dati nella catena di blocchi, è particolarmente interessante quanto specificato da Satoshi Nakamoto nel suo Bitcoin Paper, al punto 7 (Rivendicare spazio sul disco):
“Una volta che l’ultima transazione in una moneta è sepolta sotto un numero sufficiente di blocchi, le transazioni spese prima di essa possono essere tralasciate al fine di risparmiare spazio sul disco. Per facilitare ciò senza rompere l’hash del blocco, le transazioni vengono sottoposte ad hash in un albero di Merkle, la cui sola radice è inclusa nella hash del blocco. I vecchi blocchi possono a quel punto essere compattati mediante la rimozione di ramificazioni dell’albero. Non c’è bisogno di immagazzinare in memoria gli hash interni”. [7]
E’ un dettaglio implementativo di ottimizzazione e Bitcoin è una criptovaluta di prima generazione, molti progetti ne sono seguiti, quindi nessuno ha ancora scritto l’ultimo capitolo sulla blockchain.
Note:
[1] http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2019/634445/EPRS_STU(2019)634445_EN.pdf[2]Il Cnil, autorità Francese, è intervenuto in modo pratico anche creando un software per la DPIA. Vedere: https://www.cnil.fr/en/open-source-pia-software-helps-carry-out-data-protection-impact-assesment
[3]
[4]
[5]
[6]
[7]
Fonti:
bitcoin.org
Nakamoto S (2009), Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System:
Gandini Andrea (2017), Guadagnare con i bitcoin, Blueditore
www.dottorgandini.it/2018/07/26/blockchain-e-gdpr-soluzioni-di-data-protection-by-design/
Per un approfondimento circa l’utilizzo del campo op_return (la codifica OP_RETURN utilizzata dal protocollo è UTF-8) un mio articolo scritto quando la blockchain era semisconosciuta in Italia:
FONTE:https://www.infosec.news/2020/06/15/un-messaggio-in-bottiglia/una-domanda-semplice-semplice-gdpr-e-blockchain-sono-compatibili/
Il bluff Covid smascherato da Zangrillo, Tarro e De Donno
Il paradigma emergenziale si regge su questo presupposto: le misure di emergenza sarebbero illegittime in una condizione di normalità, ma fintanto che vi è l’emergenza hanno la loro ragione d’esistere. E’ ovvio che in questo modo, per dirne una, la Costituzione è in alcuni sui punti cardinali sospesa non al livello formale, ma in ragione dell’emergenza. In sintesi: il modello narrativo è quello di mantenere viva l’emergenza per poter mantenere sempre vive le misure emergenenziali. Cosa ha fatto il dottor Zangrillo? Ha smascherato il dispositivo, specificando testualmente che il virus clinicamente non esiste più, che da tre mesi vengono sciorinati tutta una serie di numeri che hanno evidenza zero, che si usa il dato come foglia di fico obiettiva per far passare elementi soggettivi e politici, e che qualcuno dovrà assumersi la responsabilità di aver terrorizzato il paese. Il problema, per virologi e vaticinanti, è che Zangrillo non è un terrapiattista della medicina o un rozzo incolto della piazza che non ha competenze, ma uno di loro a tutti gli effetti, e per di più direttore della terapia intensiva a Milano, che quindi rovescia il paradigma narrativo ribaltando la loro narrazione. E’ questo il problema della comunità scientifica.
Paradossalmente vi faccio notare come ieri in un telegiornale venissero contrapposte alle parole di Zangrillo quelle del ministro Speranza, che non è medico. Quando si tratta di contestare una tesi antagonista rispetto a quella dominante, allora valgono anche le parole di un non esperto. Se tu sei un medico giustamente hai tutto il diritto di criticarlo e confutarlo, ma non puoi dissociarti con una presa di posizione che ha il sapore di una presa di posizione politica, dicendo “l’emergenza c’è ancora”. Va bene, ma spiegaci come. La verità è questa, che la scienza va rispettata perché vi sono persone oneste e corrette come Zangrillo, come Tarro e come De Donno, che si differenziano dai teologi della scienza, cioè da quelli che usano la scienza come semplice regime narrativo del capitalismo terapeutico. Il potere una volta si fondava sul regime del teologo, oggi si fonda sul regime narrativo del medico. Io creerei di tutta risposta questo piccolo Pantheon a cui credo si aggiungeranno altri con Zangrillo, Tarro e De Donno, che in questi mesi sono andati controcorrente in modo disinteressato.
(Diego Fusaro, “Zangrillo, Tarro e De Donno li hanno smascherati, perciò li diffamano”; dichiarazioni rilasciate a “Radio Radio” il 7 giugno 2020, riprese sul sito dell’emittente. «L’occhio del ciclone della narrazione virologica cambia continuamente protagonisti, e stavolta sembra essere il turno del dottor Alberto Zangrillo», scrive “Radio Radio”. «Le sue parole a “Mezz’ora in più” sulla rete pubblica hanno generato un vero e proprio parapiglia tra medici di due opposte fazioni: chi vive il reparto e perciò testimonia la una sorta di indebolimento del Covid, non più aggressivo come nei mesi scorsi, e chi invece ribatte: “L’emergenza c’è ancora”». Cambiano i protagonisti ma non il tema: «Le restrizioni in ragione delle quali per mesi la popolazione è stata in quarantena, confidando nella buona riuscita di tale provvedimento, sembrano rivelarsi secondo una cospicua parte di scienziati e del comitato tecnico scientifico la causa del calo dei contagi, ma sebbene non siano ancora finite se ne minacciano già di nuove parlando di un ipotetico ritorno del virus in autunno»).
La pandemia e la crisi dell’ordine sociale
Ai fini dell’interpretazione e della comprensione delle dinamiche proprie dello scenario derivante dall’emergenza sociale scaturita dalla diffusione del Covid-19 è quanto mai utile un’alisi sociologica al fine di evidenziare le prospettive e gli scenari possibili nella fase post-emergenza. Di questo parla un nuovo, giovane collaboratore, Lorenzo Villani, che oggi esordisce sul sito. Nell’ottica dell’autore, usare la nozione di anomia nell’accezione durkheimiana risulta dunque funzionale per giungere ad uno degli scenari possibili.
Il Covid-19, e la conseguente crisi generatasi dalla sua diffusione, hanno messo in luce le contraddizioni e le criticità della moderna società post-industriale.
La situazione finanziaria mondiale rimane ancorata ad un immobilismo che rende difficile qualsiasi prospettiva di positività rivolta verso il futuro.
Ma cosa si intende con la parola “futuro” alla luce delle condizioni politico-sociali emerse da tale emergenza?
L’incertezza della classe dirigente, italiana e globale, lascia preludere un’indeterminatezza che non intende riguardare solo il breve periodo. Un articolo pubblicato su Forbes dal titolo “Come sarà la nostra vita dopo il corona virus – nulla rimarrà uguale“, in un’ottica globale, evidenzia le criticità di una società prossima alla decadenza.
Prendendo in esame gli avvenimenti che si susseguono in queste ore negli Stati Uniti, in relazione ai fenomeni sociali generatesi dall’emergenza, è possibile osservare come l’individualismo, proprio della concezione neoliberista dell’ordine sociale, sia mirato verso la salvezza dell’individuo in quanto singolo, neutralizzando le opposte concezioni di comunità e collettività.
Ma se la concezione individualista dovesse venire meno?
La società del tardo capitalismo (come indicata da Marcuse) sarebbe pronta ad un radicale cambiamento mirato alle sue radici?
Durkheim offre spunti di riflessione utili al fine di prevedere le potenziali prospettive sociali che potrebbero interessare la società contemporanea.
Il quadro sociale generale è chiaro: l’ordine normativo che ha caratterizzato e regolamentato fino ad oggi la nostra quotidianità, sia in termini politici che relazionali, è prossimo al decesso.
In altri termini, il mondo come lo conosciamo è destinato a cambiare volto. Le prossime sembianze che assumerà la società sono indefinite. Ed è tale incertezza che rievoca la nozione di anomia elaborata da Durkheim.
Letteralmente il termine “anomia” vuol dire “privo di leggi“. Le norme cui tale dimensione fa riferimento sono quelle necessarie alla regolamentazione dell’azione individuale, e, nel complesso, dello svolgimento di essa in ambito sociale.
L’assenza totale di norme genera stati di confusione e indeterminatezza nel tessuto sociale. Fattore, questo, che può condurre a fenomeni di mobilitazione delle coscienze, ossia vere e proprie ondate emotive che travolgono la collettività nella malinconia, insicurezza, o, sul piano generale, nel più vasto spettro dei sentimenti collettivi.
È da precisare che con il termine “norme” si fa riferimento non solo all’elemento legislativo, ma anche a tutta l’impalcatura sociale che conferisce ordine e sicurezza ad una comunità. Ma l’assenza di un codice normativo non è sufficiente a descrivere le condizioni necessarie che consentono l’emersione del pericolo anomico, va infatti aggiunto che alla carenza della regolazione normativa si accompagna l’annullamento di una regolamentazione morale. Fattore, quest’ultimo, meramente individuale, che pur interessando la dimensione soggettiva dell’individuo riesce ad emergere nell’intero sistema sociale in rapporto alla diffusione dell’anomia in ogni segmento della società.
« La coscienza collettiva è l’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una società. Questo insieme ha una vita propria, essa non esiste che attraverso i sentimenti e le credenze presenti nelle coscienze individuali. Ma evolve secondo leggi proprie ››
(Émile Durkheim, La divisione del lavoro sociale)
Il pericolo dell’anomia è presente perennemente nelle società moderne, ed è proprio la minaccia della sua emersione che porta a formulare ipotesi circa il suo superamento.
Durkheim, circa un secolo fa, nell’intento di elaborare metodologie mirate all’eliminazione di tale fenomeno, giunse ad accreditare il merito dell’ordine sociale all’elemento della solidarietà, vista come strumento di difesa e di intensificazione delle relazioni sociali. La solidarietà è un concetto che nella teoria durkheimiana si riscontra in molte opere, prime fra tutte i saggi sulla divisione del lavoro, il cui contenuto è centrale per comprendere l’importanza della condivisione e della solidarietà.
Secondo Durkheim, l’anomia è quindi una condizione di cambiamento che si colloca a metà strada tra la realtà vissuta dal singolo, con le relative esperienze e opinioni soggettive, e l’apparato normativo di una società. Ai fini della nostra analisi va poi aggiunto che la condizione anomica può esprimersi su due versanti principali: l’anomia acuta, che si concretizza in un cambiamento improvviso e l’anomia cronica, derivante da un mutamento perpetuo.
La nozione di anomia durkheimiana ha subito un’evoluzione soprattutto nella seconda metà del ‘900, in rapporto alla sociologia funzionalista e le influenze della sociologia economica. Sono diversi infatti i sociologi che si sono impegnati nel compito di delineare una concezione del pericolo anomico sempre più fedele agli sviluppi e ai cambiamenti che la società post-industriale ha affrontato nel secolo scorso. Parsons, ad esempio, vede nell’anomia « l’antitesi di una completa istituzionalizzazione, ovvero il crollo completo di un ordine normativo ››. Definizione, questa, che rimane assai fedele alla tesi di Durkheim, continuando dunque ad individuare nell’ordine normativo il nucleo dal quale ha origine l’ordine sociale.
Più complesso è invece lo stesso concetto nell’ottica di Merton, il quale affida all’anomia un significato inedito. Sarà infatti nel contesto statunitense della seconda metà del ‘900 che l’analisi funzionalista di Merton, frutto di un lavoro derivante dalle categorie di studio delle teorie di medio raggio, condurranno il concetto di anomia ad assumere un volto nuovo. Essa infatti rappresenterà, nella fase della rivoluzione sociologica statunitense, uno scompenso, costituito al suo interno da ostacoli, che si colloca fra gli scopi esistenziali di ogni individuo forniti dalla cultura sociale e i mezzi legittimi che consentono il raggiungimento di questi ultimi.
L’homo duplex di Durkheim è una nozione utile per completare il ragionamento sull’ordine sociale.
Tale concetto fa riferimento alla dualità umana propria della struttura individuale di ogni attore sociale, il quale poi, per citare Weber, agisce come un atomo inserito in una dimensione ben più ampia composta da entità a lui simili.
L’individuo dunque si configura come un’entità composta da una ramificazione che si orienta lungo due versanti. Il primo versante comprende la mera individualità e singolarità del soggetto, la seconda rappresenta il riflesso del sistema sociale in cui egli vive, tale sistema lo influenza e lo cambia progressivamente.
Il rapporto fra sistema sociale e individuo è complesso: quest’ultimo dal reticolo di relazioni in cui è immerso eredita caratteristiche, vincoli, criteri di giudizio, gusti.
L’homo duplex sacrifica dunque una parte sostanziale di se stesso, consente cioè al sistema sociale di egemonizzare una quota della sua individualità, per una sola ragione: il tentativo di garantire l’ordine sociale in cui vive.
« L’uomo si muove fra due poli opposti: la sua natura individuale o profana, e la sua natura sociale o sacra. Come individuo, l’uomo cerca di perseguire un proprio fine particolare; come membro della società è portato a perseguire fini generali collettivi. ››
(Durkheim, Il Suicidio. Studio di sociologia).
La rappresentazione sociale che emerge dallo studio dell’opera durkheimiana risulta dunque collocarsi in una sfera contraddittoria della natura umana. Trattasi di un ambito le cui fondamenta presentano una serie di equilibri che garantiscono un ordine sociale sempre più precario.
La rivalutazione strutturale degli apparati normativi vigenti nel sistema sociale è un’operazione necessaria al fine della salvaguardia di comunità prive di meccanismi di difesa e autoconservazione.
Laddove dunque l’ordine sociale dovesse soccombere ci troveremo dinanzi ad una collettività priva di una propria parte costituente.
Una collettività, dunque, composta al suo interno da atomi la cui caratteristica comune è la mancanza unanime di una parte essenziale di sé stessi: la parte dell’ordine sociale e, in termini più generali, del sistema sociale.
Per cui, in un panorama relazionale che offre una pluralità sempre più vasta di individui privi di una propria parte essenziale, il fenomeno dell’anomia potrebbe divenire il principale governante dell’ordine sociale e, coerentemente con la sua propria natura, mirare all’eliminazione di quest’ultimo.
FONTE:http://osservatorioglobalizzazione.it/progetto-italia/la-pandemia-e-la-crisi-dellordine-sociale/
Immagine di Winston Churchill cancellata da Google Search
L’immagine di Winston Churchill è scomparsa su Google Search in quanto per le proteste BLM contro il razzismo nel Regno Unito il leader britannico viene considerato razzista.
I manifestanti di Black Lives Matter hanno scritto “razzista” sulla statua di Churchill a Londra, accusando il primo ministro di essere un suprematista bianco. Una campagna sta prendendo slancio nel Regno Unito per rimuovere altre statue legate al razzismo e alla schiavitù, ma il governo le difende come strumento necessario per educare le persone sugli errori del passato piuttosto che pensare alla loro demolizione.
Gli utenti dei social network nel Regno Unito e in molti altri Paesi hanno notato che la foto non viene più visualizzata nell’elenco nella parte superiore della pagina quando si cercano i primi ministri o leader della Seconda Guerra Mondiale. Invece è stato sostituito con un immagine predefinita senza volto.
Le immagini dei leader nazisti e fascisti, Adolf Hitler e Benito Mussolini, sono rimaste intatte, secondo gli screenshot dei risultati della ricerca.
Gli utenti ora non possono caricare direttamente le immagini nei risultati di ricerca e potrebbero esserci due motivi per cui l’immagine di Churchill è scomparsa: o è stata Google a rimuoverla o è stata rivista a seguito di un gran numero di richieste per la rimozione.
Il dibattito sulle figure storiche “razziste”
La figura di Churchill è diventata oggetto di un acceso dibattito nel Regno Unito la scorsa settimana alla luce delle diffuse proteste contro il razzismo, innescate dall’uccisione di George Floyd negli Stati Uniti. I manifestanti chiedono la rimozione di statue di figure legate alla schiavitù e al razzismo, richiesta sostenuta da alcuni legislatori.
L’attivista di Black Lives Matter Imarn Ayton ha suggerito che tali statue sono “estremamente offensive” e dovrebbero essere trasferite nei musei. “Penso che sia una vittoria per tutti, quindi non offendiamo più la nazione nera e possiamo anche mantenere la nostra storia”, ha detto alla BBC sabato.
La statua del commerciante e schiavo Edward Colston a Bristol è stata distrutta dai manifestanti la scorsa settimana, e una statua del XVIII secolo di un uomo nero in ginocchio (che in realtà raffigura un moro, non uno schiavo) è stata rimossa dal terreno di un National Trust casa signorile di proprietà ad Altrincham, Greater Manchester. Alcune altre statue sono state rimosse in tutto il paese, tra cui uno di Robert Baden-Powell, il fondatore del movimento scout, nella Grande Manchester, e due monumenti di Thomas Guy e Sir Robert Clayton a Londra.
Winston Churchill, considerato uno dei più grandi inglesi di tutti i tempi, ha una storia di dichiarazioni controverse sulla razza. Una volta ha affermato che gli indiani sono “le persone più bestiali del mondo accanto ai tedeschi” e ha detto che “non pensava davvero che i neri fossero capaci o efficienti quanto i bianchi”.
FONTE:https://it.sputniknews.com/mondo/202006149204192-immagine-di-winston-churchill-cancellata-da-google-search—foto/
Sorvegliare e pulire: eccessi da sanificazione
COVID-19/Epidemiologia
di Donato Greco
Paura del contagio da superfici, oggetti, tastiere di computer, borse della spesa, abiti… Una certa giustificazione c’è: ottimi lavori scientifici dimostrano che, in condizioni sperimentali controllate, il maledetto SARS-CoV-2 riesce a sopravvivere per un certo tempo [1-2-3]. E tuttavia, la probabilità di infettarsi toccando superfici, tastiere, maniglie, sedili è infinitamente piccola, risibile nella vita reale.
Anche una certa logica scientifica c’è: SARS-CoV-2 è un virus a trasmissione respiratoria e col suo respiro un infetto, anche asintomatico, emette miliardi di quegli ormai famosissimi droplets, le microgoccioline di vapore acqueo che possono anche veicolare cellule epiteliali del nostro apparato boccale, cioè un epitelio in continuo rinnovamento. Queste goccioline restano sospese nell’aria per un certo tempo per poi cadere a terra o sulle superfici che circondano l’infetto. Alcune di queste goccioline contengono anche cellule dove è attiva la replicazione del virus.
Così, un malcapitato può avere la sfortuna di raccogliere con le mani queste goccioline fresche, prima che si disidratino con la conseguente morte del loro contenuto. E tuttavia, raccoglierle con le mani ancora non garantisce l’infezione al malcapitato, nemmeno se si mette le mani in bocca: infatti il virus non si trasmette per via cutanea né per via orale, basta la saliva a farlo fuori! Tuttavia il nostro sfortunato cittadino potrebbe creare inavvertitamente un aerosol sbattendo le mani (o in altro modo a me sconosciuto) o, meglio ancora, potrebbe sfregarsi gli occhi, allora sì permettendo l’introduzione nel suo organismo di cellule ancora vive (ma quante?). Insomma infettarsi raccogliendo il virus da una superficie richiede una sequenza di improbabili eccessive, sfortunatissime, rare combinazioni.
Infatti la sopravvivenza di SARS-CoV-2 in queste condizioni è stata dimostrata in situazioni sperimentali per tracce di RNA virale, ma non per virus intero con la sua capsula essenziale per contagiare: non c’è ancora alcuna prova pubblicata che persone si siano infettate semplicemente toccando superfici o oggetti.
L’Organizzazione mondiale della sanità, nella sua ultima guida riconosce: “Al momento di questa pubblicazione, la trasmissione del virus per COVID-19 non è stata definitivamente collegata a superfici ambientali contaminate negli studi disponibili” [2].
E quanto è invece efficace il meccanismo dell’infezione diretta: una nuvola continua di microgoccioline lanciate a una o due metri di distanza da starnuti e colpi di tosse di una persona infetta, per due o tre settimane! Centinaia di ore di effusione di contagio diretto; altro che superfici, maniglie, borse, sedili…
Andiamocene a Napoli
Qual è la probabilità che ci sia un infetto sul mio autobus in Campania? I dati di incidenza settimanale del 4-10 maggio 2020 la valutano in 1,33 casi per centomila abitanti [1], cioè 80 persone in tutta la regione. Queste, essendo state identificate, stanno in ospedale o isolate a casa, non vanno in giro sugli autobus.
Tuttavia possiamo ritenere ragionevole che altrettante persone siano infette asintomatiche o abbiano l’infezione in incubazione: quindi altre 80 persone che diffondono il virus in giro nella Regione. Un quinto si trova a Napoli: 20 “untori” a spasso per Napoli in una settimana. Se io prendo un autobus a Napoli nella stessa settimana che probabilità avrò di incontrare un infetto? Assumendo che il 10% degli abitanti di Napoli prenda il bus ogni giorno, 20 su centomila, cioè 1 su 5.000. Una vera sfortuna. Ma solo se i 20 untori prendono il mio stesso autobus, cosa altrettanto improbabile. Se mantengo sui mezzi pubblici il previsto distanziamento sociale, anche questa remota probabilità diminuisce sensibilmente.
Ma se prendo un autobus sul quale è salito un infetto untore che poi è sceso, che mi succede? L’untore avrebbe potuto diffondere (con la mascherina?) un po’ di droplets su sedili, maniglie, reggi persona? Per carità: sedersi sul bus dove un precedente potenziale untore potrebbe aver rilasciato (sedendosi a sua volta?) fomiti infetti? Allora bisogna sanificare i sedili. Non basta lavare il bus ogni sera al rientro in deposito come si dovrebbe fare sempre? Sembra di no: bisogna lavare, e inondare il bus con spray disinfettante. Eppure dovremmo sapere che il fattore di rischio sui mezzi pubblici è solo quello del sovraffollamento. Stesso discorso per i negozi, per gli artigiani, per gli uffici. Le regole emesse dal governo italiano sono abbondantemente coerenti con quelle dell’OMS e dei CDC europei e americani, ma sono anche abbondantemente iperinterpretate.
Siamo alle comiche igienistiche?
Abbiamo visto il ricorso agli spray di disinfettante ambientale all’aperto, in barba alle indicazioni: “Le aree esterne richiedono generalmente una normale pulizia ordinaria e non richiedono disinfezione. Spruzzare il disinfettante sui marciapiedi e nei parchi non è un uso efficiente delle forniture di disinfettante e non è stato dimostrato che riduca il rischio di COVID-19 per il pubblico. È necessario mantenere le pratiche di pulizia e igiene esistenti per le aree esterne” [4].
Vediamo invece il ritorno di pratiche che avevamo escluso da tempo nella prevenzione delle infezioni ospedaliere: l’ozonizzazione, le lampade all’ultravioletto, gli inefficaci ammoni quaternari, tutte pratiche ampiamente condannate dall’Evidence Based Public Health. Cioè dalle pratiche di prevenzione basate sulle dimostrazioni di efficacia.
I guanti di lattice sono imposti nei negozi? L’uso dei guanti è consigliato negli ambienti sanitari, non per il pubblico, e al posto del lavarsi le mani. La manipolazione di disinfettanti in luoghi non sanitari richiede l’uso dei guanti soprattutto per proteggere le mani: usare i guanti per portare a spasso il cane o per comprare un giocattolo al nipotino è ridicolo.
Anche il distanziamento sociale deve essere messo in pratica con un pochino di intelligenza: obbligarlo tra conviventi e familiari nei luoghi pubblici, che senso ha? Sono stato fermato da uno zelante carabiniere perché sul sedile posteriore del mio motorino c’era la mia adorata moglie, con cui convivo da cinquant’anni!
Il lavaggio con acqua e sapone è sostituito da un potente e costoso macchinario nebulizzatore di micidiali aerosol disinfettanti. Non abbiamo mai smesso di dimostrare che quello che serve è lavare, la disinfezione è utile solo dopo il lavaggio accurato ed è destinata agli ambienti ad alto rischio come gli ospedali.
Schiviamo le pratiche inutili
Finalmente arrivano un po’ di soldi a negozianti, piccole imprese, commercianti, ma davvero li vogliamo obbligare a comprare costose macchine nebulizzanti e gran quantità di presidi di protezione individuale? Finora, tutte le sere e con diligenza ogni piccolo imprenditore di ufficio, bar, negozio di parrucchiere, ristorante, lavava per terra, i tavoli, le sedie, le scrivanie. L’Oms ci dice che è sufficiente continuare così, lavando ogni giorno tavoli, sedie e scrivanie come si faceva prima [4]; non serve acquistare costosi macchinari di disinfezione o contrattare ditte specializzate con le loro vistose tute bianche.
Bene le mascherine, la distanza, il lavaggio delle mani, ma che ce ne facciamo dei disinfettanti, delle sanificazioni a tutto spiano? Riusciamo a distinguere l’ambiente sanitario, l’ospedale, dalla nostra casa, dal luogo di lavoro, dai parchi giochi dei bambini? Le regole necessarie non sono le stesse.
Eppure potevamo prevedere che tante persone si sarebbero fatte trascinare a “proteggere la propria persona“ andando ben oltre le regole dimostrate scientificamente: invece della responsabilità intelligente si è risvegliata la diffidenza verso il prossimo, l’idea che il vicino è un potenziale untore, l’arroccamento nel proprio ambiente personale, nell’intimità della famiglia, nel proprio spazio definito: l’altro diventa un potenziale nemico. Così prende spazio una politica della paura invece di una politica della responsabilità, le persone trattate come bambini che necessitano del poliziotto con la multa facile, piuttosto che essere informate e coinvolte nel mettere in atto comportamenti responsabili.
Certo “e grida ci sono” (di manzoniana memoria), ma anche le libere interpretazioni, diverse per regione e per comune. Siamo arrivati alle indicazioni estreme: dal parrucchiere la signora deposita la borsa e la giacca in due buste di plastica, che si vede riconsegnare dopo la messa in piega. Sarà poi la cliente a dover smaltire in proprio le buste [5].
Fase tre: riattiviamo i neuroni migliori
Insomma, almeno nella fase tre possiamo rimettere in funzione i neuroni migliori? Possiamo promuovere l’intelligence degli studi epidemiologici analitici rapidi che rispondano alle sacrosante domande dei cittadini? I dati ci sono, sono stati raccolti centralmente, casomai sarebbe il caso di costruire una sacrosanta struttura di open data, pubblica e accessibile, permettendo il contributo scientifico dai tanti bravi epidemiologi del nostro paese.
Da tempo sappiamo che la nostra sicurezza non dipende dall’odore di alcol o varechina, e nemmeno dalla corsa ad analisi immunologiche o speranze vaccinali, ma dalla pronta risposta dei servizi territoriali, su cui dobbiamo investire per identificare, isolare e tracciare i contatti della persona sospetta infetta. Insomma, la nostra sicurezza dipende dalla dimenticata epidemiologia di campo che pure tanto ha contributo alla nostra migliore qualità di vita.
Referenze
[1] Rapporto settimanale ISS monitoraggio fase 2 settimana 4-10 maggio 2020 http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato8140198.pdf
[2] Cleaning and disinfection of environmental surfaces in the context of COVID-19 WHO Interim guidance 15 May 2020
[3] ECDC TECHNICAL REPORT Disinfection of environments in healthcare and nonhealthcare settings potentially contaminated with SARS-CoV-2 March 2020
[4] CDC GUIDANCE FOR CLEANING AND DISINFECTING PUBLIC SPACES, WORKPLACES, BUSINESSES, SCHOOLS, AND HOMES may 7 2020
[5] INAIL ISS: Documento tecnico su ipotesi di rimodulazione delle misure contenitive del contagio da SARS-CoV-2 nel settore della cura della persona: servizi dei parrucchieri e di altri trattamenti estetici, Roma maggio 2020.
FONTE:https://www.sinistrainrete.info/societa/17967-donato-greco-sorvegliare-e-pulire-eccessi-da-sanificazione.html
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
Il centenario di Alberto Sordi e il contagio della risata
15 Giugno 2020
Il soprannome di «Arcitaliano», tanto caro allo scrittore Curzio Malaparte, potrebbe tranquillamente racchiudere e descrivere la vita e la carriera di Alberto Sordi in occasione del centenario dalla sua nascita. Nessuno ha saputo rappresentare meglio del celebre attore romano i due volti dell’italiano medio: l’eroe e il vigliacco, l’ingenuo e il cinico calcolatore, la vittima e il persecutore. Accanto al Sordi pubblico acclamato e amato dalla platea, risulta opportuno evidenziare l’esistenza di un Sordi privato: un uomo che decise di convivere con le proprie debolezze e con quel faccione comico ritenuto poco adatto per interpretare il cinema italiano dell’epoca, segnato dalla drammaticità del Neorealismo di Vittorio De Sica.
Fu il maestro Federico Fellini a lanciare tra il grande pubblico cinematografico quel volto marcato di un semplice ragazzo che svolgeva il mestiere di usciere d’albergo a Milano mentre studiava all’Accademia di Filodrammatici, da cui fu espulso a causa del suo spiccato accento romano. Nel 1952 il film Lo sceicco bianco, diretto proprio da Fellini, segnò l’inizio del sodalizio tra il regista riminese e Alberto Sordi. Nonostante le perplessità del pubblico e della critica, il duo fu riproposto in occasione dei Vitelloni (1953).
In realtà Alberto Sordi fu consacrato al grande pubblico soltanto nel 1954 grazie al film Un americano a Roma del regista Steno. Nel privato invece Sordi non amava i legami sentimentali in quanto lo avrebbero distratto dal suo vero grande amore: il cinema. Come raccontato da Luca Manfredi, figlio del grande Nino Manfredi e regista del film biografico Permette? Alberto Sordi proiettato recentemente nelle sale cinematografiche, il celibato dell’attore romano fu spesso oggetto di dibattito:
Ricordo che Alberto disse a mio padre che aveva proprio una bella famiglia e lui gli chiese quando aveva intenzione di sposarsi e farsene una. La risposta di Sordi – che ascoltai personalmente – Che mi metto un’estranea dentro casa? – rimase storica e lui l’ha ripetuto tante altre volte.
Luca Manfredi
La relazione che Sordi visse con Andreina Pagnani, diva del teatro di posa e doppiatrice, fu forse l’unica storia d’amore che il grande scapolo ebbe nel corso della sua vita. I due si conobbero nel 1942 all’interno delle sale di sincronizzazione dove Alberto doppiava Oliver Hardy, il mitico Ollio. Quindici anni meno di lei, Sordi fu introdotto nell’ambiente del teatro e dello spettacolo proprio grazie alle conoscenze della Pagnani. La loro storia durò nove anni e fu Andreina a interromperla dopo che l’attrice Wanda Osiris le svelò che Sordi l’aveva tradita con una delle sue ballerine.
Alberto Sordi sfiorò il matrimonio una sola volta: con l’attrice austriaca Uta Franz. Si conobbero nel 1954 sul set di Una parigina a Roma. La passione travolgente lasciò presto spazio ad una ipotetica data per nozze mai avvenute. L’attore romano inviò il suo amico Bettanini, nei panni del bravo di Don Rodrigo, a riferire alla famiglia delle futura sposa l’annullamento della proposta coniugale:
Quest’anno non possiamo sposarci perché siamo molto occupati.
Un altro presunto flirt, mai confermato, fu quello che Alberto Sordi ebbe con la principessa di Persia Soraya, incontrata nel 1965 sul set dei Tre volti. La foto di Soraya con dedica era l’unica immagine femminile incorniciata che Sordi teneva sulla scrivania del suo studio.
La leggenda cinematografica narra persino di un’altra grande storia d’amore con l’amica e collega Silvana Mangano. Sul set della Grande Guerra, film diretto da Mario Monicelli nel 1959, tra il coraggio e la codardia dei due soldati interpretati da Vittorio Gassman e Alberto Sordi sbocciò una simpatia particolare tra l’attore romano e Silvana Mangano. Nel 1992 lo stesso Alberto Sordi rivelò a Laura Laurenzi in un’intervista a Repubblica:
Silvana Mangano non è l’unica donna che io abbia amato ma è vero che nessuna mi ha attratto quanto lei. Era molto bella, con una grande personalità, una bontà e una generosità rare. Ma era anche una donna molto complessa.
Alberto Sordi
A differenza dell’italiano medio e del piccolo borghese raffigurati all’interno dei suoi film, Sordi ha interpretato l’amante, il marito e il padre ma sul set della propria vita non ha mai avuto né mogli né figli. Il celibato di Sordi fu una scelta di coerenza, libertinaggio e indipendenza. Molti critici hanno in realtà intravisto dietro questa scelta solitaria l’emergere di un complesso edipico. Come racconta Luca Manfredi:
Fu anche osteggiato dalla madre Maria che era una donna che lo amava moltissimo ed era il vero capo della famiglia. Suo padre Pietro, che lavorava al Teatro Costanzi e suonava il bombardino, era un uomo mite che in qualche modo lo assecondava. Quando morì sua madre, si chiuse ventiquattro ore nella stanza dove c’era il feretro senza fare entrare nessuno, mandando via persino gli uomini delle imprese funebri per poi farli tornare il giorno dopo.
Luca Manfredi
Sordi scelse quindi di non impegnarsi con nessuno e di circondarsi dell’affetto dei suoi famigliari, coccolato dalla passione per il cinema. Il fratello ingegnere divenne il suo segretario mentre le sorelle Aurelia e Savina lo accudirono per tutta la vita e difesero la sua contestata eredità in seguito alla scomparsa dello stesso Alberto.
Alberto Sordi non conobbe mai le gelosie e i rimedi amorosi. Soltanto nel film Amore mio aiutami (1969) Sordi interpretò il dramma di un marito tradito e di un matrimonio finito dinanzi alle infedeltà della moglie Monica Vitti. In un’intervista rilasciata nel 1989 al programma Il Fatto di Enzo Biagi, il celebre giornalista domandò all’attore romano cosa avessero rappresentato le donne per lui:
Alle donne devo tutto. Devo la vita, perché io sono stato molto corteggiato. Giovanissimo entrai in una grande compagnia di rivista. Ho bruciato le tappe della sessualità. Sono sempre stato circondato da donne. Forse non mi sono sposato perché non ho mai avuto la necessità di avere una compagna.
Alberto Sordi
Fu proprio una donna, la giornalista Oriana Fallaci, a ritrarre le pieghe di quest’uomo seduttore e un po’ sparagnino all’interno del libro-intervista L’Italia della Dolce Vita (1968):
Del resto, quel padre di famiglia per cui Arthur Miller si mette in viaggio, sa benissimo che l’uomo più popolare del cinema italiano non è lui. È uno scapolo di trentotto anni, dalla faccia grassoccia, gli occhi rotondi, le labbra un po’ dispettose: inarrivabile nel far ridere il prossimo. Non ha nulla in comune con i due più diretti rivali fuorché il fatto d’essere un divo che poteva nascere solo in Italia. Inoltre non è arrivato al successo per caso. Era fatale che ci arrivasse perché è un attore d’istinto.
Oriana Fallaci
Ad Oriana Fallaci l’Albertone nazionale rivelò la propria angoscia riguardante il problema di prender moglie:
Vede, Madame, tutti me vogliono morto, voglio dire coniugato. Ma anzitutto io mi son sempre governato da solo, ho le abitudini: come giocare a carte con gli amici fidati che, son sicuro, non barano. Poi ho le sorelle che mi stirano le camicie, cucinano bene e sostituiscono perfettamente la moglie cha magari non sa stirare e pretende la cuoca. Poi queste donne d’oggi così ardimentose, mi terrorizzano. Dopo un po’ mi dico: Oddio che vole, ‘sta donna? Oddio che fa’? Oddio ‘ndo mi trascina? La porto a fare una passeggiata e mi trascina su un precipizio e se resto indietro mi urla: Codardo! Io non sono codardo, sono indolente. Ma l’indolenza non è viltà. Mica la rifiuterei una mogliettina. Tutte le volte che incontro una donna la guardo dicendo a me stesso: Guardala bene, Alberto. Che sia questa qui?
Alberto Sordi
In fin dei conti, Alberto Sordi rimase sempre se stesso perché nella vita e nei film era la sintesi dei personaggi che interpretava. Parafrasando una celebre frase del Marchese del Grillo:
Io so’ io e voi non siete un cazzo.
Alberto Sordi
FONTE:https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/cinema/alberto-sordi-centenario-risata/
“Via col vento” è razzista. E finisce fuori catalogo
“Via col vento” è stato temporaneamente rimosso dalla piattaforma video HBO Max, in seguito alle proteste antirazziste seguite alla morte di George Floyd. Dal momento che il film è una rappresentazione dei pregiudizi razziali, la scelta del network statunitense è stata quella di compiere un “atto responsabile” dal momento che alcuni stereotipi continuano ad essere diffusi negli Stati Uniti.
L’intenzione è quella di renderlo nuovamente disponibile, senza tagli né censure, accompagnato da una chiara discussione sul suo contesto storico per denunciare gli orrori della schiavitù e degli stereotipi razziali.
FONTE:https://www.infosec.news/2020/06/11/wiki-wiki-news/via-col-vento-e-razzista-e-finisce-fuori-catalogo/
BELPAESE DA SALVARE
Salvini ti spariamo in testa… Ennesima minaccia di morte via social al leader della Lega
Matteo Salvini ancora una volta minacciato sui social. E’ lo stesso leader della Lega a condividere sulle sue pagine lo screenshot della minaccia: “Salvini, OCCHIO a tirare la corda, che prima o poi lo trovi quello che TI SPARA IN TESTA”. “Ennesima minaccia di morte – commenta – basta. Questi delinquenti (e quelli che condividono) devono pagare per quello che hanno scritto”.
Gli haters colpiscono a destra ma si fa finta di non vedere
Anche in questo caso, come sempre avviene quando la violenza degli haters colpisce esponenti del centrodestra, non si leveranno cori di indignazione. Ma Salvini documenta lo stesso i post aggressivi nei suoi confronti, per dimostrare che con le parole non si gioca e che l’odio serpeggia sul web non certo da una parte sola, solo che quando viene da sinistra si fa finta di non vedere.
Salvini ha voluto anche commentare l’allarme lanciato sui ‘trecentomila artigiani senza cassa’ e sui ritardi sulla Cig di cui si legge sui quotidiani di oggi. “Invece di organizzare sfilate in villa – afferma – il governo dia subito ad artigiani e partite Iva i soldi che aspettano da mesi. Meno chiacchiere, più fatti”.
L’appello di Conte sui paesi di Visegrad e la replica di Salvini
E ha infine replicato a Conte, il quale aveva lanciato un appello alle opposizioni affinché dessero una mano sul Recovery Fund. “In alcuni paesi ci sono governi di coalizione dove ci sono partiti molto a destra, e alcuni paesi di Visegrad contestano queste soluzioni – aveva detto Conte – e siccome alcune forze dell’opposizione sono molto legate a questi governi, io chiedo loro di lavorare per darci una mano e completare questo processo. Nell’interesse nazionale vi prego dateci una mano e io vi riconoscerò pubblicamente l’aiuto che ci darete”.
Così ha risposto Salvini: “Conte dice che abbiamo rapporti con i paesi Visegrad? Parliamo di governi europei liberamente eletti, di democrazie occidentali. Il premier si preoccupi invece di chi – nella sua maggioranza – preferisce interloquire con i regimi sanguinari di Cina, Venezuela e Iran”.
FONTE:https://www.secoloditalia.it/2020/06/salvini-ti-spariamo-in-testa-ennesima-minaccia-di-morte-via-social-al-leader-della-lega/
CONFLITTI GEOPOLITICI
CONTRO TRUMP, UN PUTSCH IN CORSO
“In USA si svolge un evento assolutamente straordinario, e il ‘vostro corrispondente da Washington” di cosa vi parla? Del razzismo”, ride Phlippe Grasset. Veramente, anche delle statue abbattute. Ma l’evento straordinario è la fila di generali che hanno voltato le spalle a Donald Trump, il loro aperto rifiuto di obbedienza, da golpe sudamericano imminente.
Il segretario alla difesa Mark Esper ha disobbedito pubblicamente agli ordini del presidente di far uscire per le strade l’esercito per sedare i disordini di negri e Antifa. Il generale Jim Mattis “mad dog”, per brevi mesi segretario alla difesa di Trump, ha aspramente criticato Trump per lo stesso motivo in una intervista a The Atlantic. Era accompagnato dal generale Mike Milley, l’attuale capo degli stati maggiori riuniti; che non ha parlato, ma con la sua presenza ha mostrato che dietro a Mattis ci sono i gallonati dei più alti gradi in servizio. Del resto il generale Milley, siccome e era apparso in foto mentre, il primo giugno, in mimetica, accompagnava Trump alla chiesa di Saint John devastata, ha ritenuto bene di dichiarare che si pente e si rincresce di averlo fatto, per aver dato un’immagine “di parte” delle forze armate. Fatto ancor più singolare, ha fatto questa dichiarazione con un messaggio registrato ai diplomati della facoltà militare di Notre Dame: come se fosse già alla macchia.
Poteva mancare il generale noto David Petraeus, già capo della Cia e gran massacratore in Irak? Condannato a suo tempo per aver passato documenti riservati alla giornalista sua biografa ed amante? Ebbene: anche lui ha voluto (come Mattis) rilasciare un’intervista per… proporre di cambiare il nome di una dozzina di basi militare attualmente dedicate a generali sudisti. Insomma anche lui Antifa e Black Lives Matter, anche lui “di sinistra”, lui che sta al serbizio del miliardari che guidano il fondo speculativo KKR, di cui è anima H. Kravis, “al 38° posto nella Lista degli ebrei più ricchi del mondo pubblicata dal Jerusalem Post”.
Naturalmente, i media spiegano questa rivolta dei generali con il nobile rifiuto di spiegare l’esercito per sparare sui cittadini. Secondo Meyssan, è più decisivo il loro malcontento per la volontà di Trump di ritirare le truppe dall’Afghanistan e – peggio – dalla Germania, indebolendo la NATO e le sue provocazioni anti-Mosca.
Devono essere prudenti, perché invece di soldati e gli ufficiali di basso grado sono a favore di Trump e delle sue intenzioni di riportare i ragazzi a casa. Ma il senile Joe Biden, il preteso candidato democratico, noto gaffeur, ha scoperto i giochi in una interista tv al Comedy Central: “ Mi hanno reso così dannatamente orgoglioso: quattro capi dello staff che escono e strappano la pelle a Trump ”, ha aggiunto, aggiungendo che contava sui militari per rimuovere Trump se si fosse rifiutato di rispettare i risultati del voto. “Ve lo prometto … sono assolutamente certo che loro lo scorteranno fuori dalla Casa Bianca senza perdere tempo”. Con ciò, rivelando che il Partito Democratico fa conto sul ruolo decisivo dei militari per la definitiva rimozione di Trump dalla presidenza.
“Trump ha perso il controllo sul ministero della difesa”, ne conclude il colonnello Lang, il commentatore militare dal suo sito (che si chiama Sic Semper Tyrannis”).
Sembra dunque chiaro che 1) fallita l’operazione Russiagate che ha invalidato politicamente Trump per due anni, 2) la narrativa sulla “spaventosa pandemia e le sue stragi ” che nostra la corda, 3) essendo dubbio l’esito della “rivolta antirazzista” presso l’opinione pubblica, l’establishment democratico e il suo comitato di miliardari punti realmente sul golpe – prima che rigurgiti la fogna dell’Obamagate, collegato (avertat Satanas) al pizzagate, al Clinton body count, e lo scoppio del “Sistema Italia” di spionaggio anti-Donald …
Counterpunch icorda che “negli ultimi novant’anni, elementi della struttura di potere degli Stati Uniti hanno cercato di estromettere un presidente senza elezioni: contro Franklin Roosevelt, John Kennedy, Richard Nixon, Bill Clinton e Donald Trump. Due tentativi sono riusciti, e tre falliti… finora”
Serve per il Grande Reset
Ma soprattutto, non si deve perdere tempo a sfruttare l’occasione preziosa della pandemia, che ha arretrato i livelli di vita della parte avanzata della civiltà umana nel modo durevole desiderato. Da chi? Ma dal Forum di Davos. E non parla il complottista, ma il presidente del Forum stesso, Klaus Schwab, che ha giusto pubblicato un video dove illustra il tema per il 2021. Titolo: “Il Grande Reset”, il resettaggio dell’economia mondiale. Letteralmente così: “… Un lato positivo della pandemia è che ha dimostrato quanto velocemente possiamo apportare cambiamenti radicali al nostro stile di vita”, esulta Schwab: “ Quasi istantaneamente, la crisi ha costretto aziende e privati ad abbandonare le pratiche per molto tempo dichiarate essenziali, dai frequenti viaggi aerei al lavoro in un ufficio. ” .
Dunque questi sono i benefici della pandemia, per lorsignori: non più viaggi aerei per voi servi, non più lavori in ufficio, non più il benessere diffuso, che consuma e provoca il riscaldamento globale. “ I recenti ingenti stanziamenti di stimolo economico dell’UE, degli USA, della Cina e di altri paesi devono essere utilizzati per creare una nuova economia, “più resiliente, equa e sostenibile nel lungo periodo. Ciò significa la costruzione di infrastrutture urbane “verdi” e la creazione di incentivi per le industrie a migliorare la propria expertise in termini ambientali”, dice Schwab.
“Il mondo deve agire rapidamente per rinnovare tutti gli aspetti delle nostre società ed economie, dall’istruzione ai contratti sociali e alle condizioni di lavoro. Ogni paese, dagli Stati Uniti alla Cina, deve partecipare e ogni settore, dal petrolio e dal gas alla tecnologia, deve essere trasformato. .. I governi dovranno migliorare il coordinamento … con “modifiche alle tasse sulla ricchezza, il ritiro dei sussidi per i combustibili fossili e nuove regole che regolano la proprietà intellettuale, il commercio e la concorrenza “.
Se non vi è chiaro cosa significhino queste meravigliose riforme dell’economia, ricordate che dal Forum di Davos è stato elaborato il progetto dell’abolizione della proprietà privata: per me e voi (non per loro, ovvio) . Nei loro sogni non possiederete più l’auto, il frigorifero, l’appartamento, ma vi sarà concesso in affitto. Pagherete un modesto canone, tanto più modesto perché i beni saranno in comproprietà; un altro userà l’auto quando a voi non serve, il vostro salotto quando voi siete fuori a consegnare le pizze. Sharing Economy, “condivisione”.
Questo mondo ideale del tutto a noleggio, va ricordato, richiede “Internet delle Cose”, quindi i 5G, e soprattutto la fine della famiglia, perché è lì, dalla “genitorialità patriarcale e spesso l’istituzione del matrimonio” col “lavoro riproduttivo così legato al gender”, che nasce la voglia di “proprietà fondiaria”da trasmettere ai figli e nipoti: biasimevole immobilizzo di capitale. Bisogna approfittare del coronavirus, scriveva un celebre articolo di Open Democracy (think tank d George Soros) per “ la sanificazione dello spazio fondamentalmente non sicuro che è proprietà privata”.
Qui ciascuno può leggere o rileggere il Progetto finale; anche con la traduzione automatica capirete quale è il “reset” che progettano per noi comuni mortali:
La crisi del coronavirus mostra che è tempo di abolire la famiglia
Cosa ci dice la pandemia sulla famiglia nucleare e la famiglia privata?
https://www.opendemocracy.net/en/oureconomy/coronavirus-crisis-shows-its-time-abolish-family/
Così si può capire un articolo, apparentemente delirante, allucinato e allucinatorio, apparso su “7”, il settimanale del Corriere, il 6 giugno scorso. Dove si paventava la fine della “sharing economy” con queste espressioni:
Saremo padroni di biciclette? Il Coronavirus manda in crisi la Sharing Economy
L’emergenza sanitaria ha frenato la diffusione (che sembrava inarrestabile) dello sharing. Alcuni colossi dell’economia della condivisione hanno cominciato a licenziare. E fra i giovani si riaffaccia la tentazione della proprietà privata, già archivata perché superata, volgare, stupida. È la fine di un modello? Intanto si affaccia un nuovo concetto di leasing …. Macchine, biciclette, scooter, monopattini, case, spazi di lavoro: tutto, grazie a Internet, si condivide, niente si possiede”.
Che dire? Un patetico-ridicolo tentativo di creare una moda, che già per “i millenials” la proprietà privata è “superata, volgare, stupida”. E chi lo scrive? Tale Micol Sarfatti, discxendente dalla nota amante del duce . Una padroncina del discorso, propagandista del Progetto Soros, che ha sopravalutato il suo potere. Per realizzare la distopia che lei sogna, ci vuole la miseria dilagante, la costrizione di massa, il terrore della “prossima pandemia”.
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/contro-trump-un-putsch-in-corso/
Come si muovono Egitto e Giordania con Israele
Egitto e Giordania sono gli unici due paesi arabi del Medio Oriente ad avere accordi formali di pace con Israele. Le ultime novità nell’articolo di Giuseppe Gagliano
Il capo del Mossad, Yossi Cohen, durante un viaggio riservato al Cairo, ha incontrato il direttore della intelligence egiziana, il maggiore generale Abbas Kamel, per discutere sia dell’annessione della Cisgiordania, sia della situazione a Gaza sia infine del piano di pace di Trump in Medio Oriente.
Nello specifico questo incontro non poteva che avere un ruolo di natura preventiva cioè volto a prevedere le probabili reazioni dei gruppi palestinesi, ed in particolare di Hamas, relativamente all’annessione di insediamenti israeliani e alla questione della Valle del Giordano.
La più grande preoccupazione di Israele infatti è che i palestinesi reagiranno violentemente con operazioni suicide, una tattica comunemente usata durante la Seconda Intifada. Tel Aviv teme insomma che Gerusalemme sia particolarmente vulnerabile a ritorsioni così violente. Ancora più significativo il fatto che questo incontro si sia svolto alla presenza di funzionari giordani.
A tale proposito, la scorsa settimana il primo ministro giordano Omar Al-Razzaz aveva minacciato di riconsiderare le relazioni del suo paese con Israele sui suoi piani di annessione in Cisgiordania, sottolineando che Amman non avrebbe accettato le mosse unilaterali di Israele verso le terre palestinesi.
D’altra parte lo stesso re Abdullah II ha sottolineato che l’annessione israeliana potrebbe portare a un conflitto di proporzioni rilevanti con la Giordania e quindi ad una possibile conclusione del trattato di pace Giordano-Israeliano stipulato nel 1994.
Sotto il profilo diplomatico Egitto e Giordania sono gli unici due paesi arabi del Medio Oriente ad avere accordi formali di pace con Israele.
Le preoccupazioni legittimamente espresse dalla Giordania sono la diretta conseguenza sia del rifiuto da parte dei palestinesi di accettare il piano di pace trumpiano sia della inevitabile opposizione del presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas. Quest’ultimo aveva annunciato infatti la scorsa settimana che tutti gli accordi con i governi americano e israeliano “inclusi quelli relativi alla sicurezza” non sarebbero più applicabili, se i piani di annessione di Tel Aviv si concretizzassero.
In ultima analisi il piano di pace promosso dal presidente americano e fortemente sostenuto dal premier israeliano non farà altro che aumentare l’instabilità di tutto il Medioriente e, in particolare, contribuirà a intensificare l’attività terroristiche dei gruppi palestinesi.
FONTE:https://www.startmag.it/mondo/come-si-muovono-egitto-e-giordania-con-israele/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
La cura del dottor Goebbels
di ilsimplicissimus – 6 GIUGNO 2020
Se non puoi più promettere il paradiso, spalanca le porte dell’inferno. Mi piacerebbe poter dire che si tratta di una antica perla di saggezza è invece è una considerazione talmente innestata nel presente da parere inattuale: è quasi una costante che quando le grandi illusioni falliscono il potere costituito non passa ad obiettivi più modesti, ma al loro esatto contrario. Una ritirata progressiva porterebbe alla crisi di paradigma e alla contestazione degli assetti di potere, mentre il ribaltamento improvviso delle prospettive è talmente scioccante da annichilire ogni reazione. Situazioni simili sono studiate in psicologia sperimentale, ma anche al di fuori della provetta ce ne sono parecchi esempi e forse il più vicino nel tempo è quello della battaglia di Stalingrado e il successivo celebre discorso di Goebbels sulla guerra totale: il regime hitleriano avrebbe potuto minimizzare la disfatta, ma ben presto lo stesso avvicendamento delle truppe al fronte avrebbe spalancato la verità e la gente, sottoposta a bombardamenti quotidiani e a continui sacrifici, si sarebbe chiesta che fine avessero fatto il Reich Millenario, l’infallibilità del Führer, le folgoranti vittorie degli anni precedenti per le quali aveva sopportato ogni tipo di vessazione. Si sarebbe insomma creato uno spazio per i generali, impazienti di mettere fine alla guerra e impossibilitati a condurla con criterio incalzati e minacciati dai deliri di Hitler.
Goebbels ebbe così l’idea geniale di non nascondere nulla e anzi di drammatizzare all’estremo la situazione e suggerire l’idea di una imminente invasione russa e bolscevica contro la quale bisognava mobilitare tutte le risorse e di creare una nuovo stile di vita dal quale qualsiasi libertà anche quella di andare al bar doveva essere abolita. Il giorno prima si vinceva an allen fronten, il giorno dopo era la catastrofe: questo fu il baratro cognitivo che permise al regime di sopravvivere alla fine delle sue nefaste illusioni e a durare fino all’estremo. Quello della guerra totale è un discorso che andrebbe letto non fosse altro che per la straordinaria similitudine con la successiva retorica Nato, ma immagino che i lettori si chiederanno cosa c’entri tutto questo con l’oggi. C’entra eccome perché la pandemia per le elite un po’ come è un po come la Stalingrado per Goebbels: le oligarchie dominanti, ormai rarefatte a poche migliaia di attori principali, si sono rese conto che il loro sistema è sull’orlo del collasso sotto ogni punto di vista, sanno che il crollo se non imminente è inevitabile e sanno anche che un numero sempre maggiore di persone è ormai consapevole che il futuro migliore fatto balenare loro a patto di deporre le armi della speranza e delle lotte sociali, era ormai dietro le spalle. Si è così colta un’occasione, la comparsa di un virus naturale o artificiale, diffuso ad arte o sfuggito per errore, tutte dinamiche secondarie da questo punto di vista, per creare lo choc della pandemia e cercare di ribaltare il tavolo dove cominciavano a perdere. Avrebbero potuto scegliere molte altre occasioni , le epidemie del 2017 o quella del 2009, o del 2001, ma è solo oggi che le crepe si sono fatte evidenti su molti piani da quello geopolitico dove la nazione guida del neoliberismo è stata imbrigliata nelle sue mire, arenandosi nel pantano mediorientale, la formidabile ascesa della Cina, ma anche di altri Paesi emergenti, le bolle borsistiche ormai giunte al parossismo, le “rivolte” popolari che hanno innescato la brexit o moti di contestazione permanente contro una disuguaglianza ormai spaventosa, l’impossibilità di domare facilmente come in passato regimi eretici come il Venezuela o di poterne ricattarne altri come l’Iran, la stessa resurrezione della Russia e infine l’inatteso successo di una forma di capitalismo non globalista negli stessi Usa hanno suggerito di sfruttare a fondo l’occasione.
Qualcosa di non troppo difficile avendo in mano praticamente tutta l’informazione e per giunta anche la ricerca medica che dipende ormai quasi per intero dai soldi delle multinazionali del farmaco e può confondere più che chiarire, essendo soci di maggioranza, anche se occulti (ma poi nemmeno tanto) di quasi tutti governi occidentali, avendo le redini della finanza e dei ricatti: media trasformati in bollettini di guerra, diffusione quotidiana di panico, numero di decessi gonfiati a dismisura, processioni di bare esibite come trionfo della morte, segregazione, mascherine inutili e dannose, ma segnale di sottomissione al culto pandemico e spersonalizzazione, distanziamento sociale che vieta ogni manifestazione, messa in mora delle Costituzioni, stato di polizia, tentativo criminale di bloccare terapie efficaci a basso costo, delirio vaccinale. Tutte cose che alla luce dei dati peraltro disponibili sembrano una pura follia e che peraltro si sono dimostrate inutili, ma che in realtà sono stati strumenti molto efficaci per creare diffidenza e scontro laddove si stavano coagulando nuove aggregazioni sociali, per rendere impossibili le reazioni collettive, condanna ai domiciliari davanti a un continuo effluvio dei prodotti ipnotici della società dello spettacolo. Troppo per poter guardare ai numeri con un minimo di lucidità.
Questo è destinato ad azzerare gran parte della classe media da dove veniva la principale forza di contestazione e non poteva essere ottenuta se non attraverso un choc cognitivo che riferisse ad altro il fallimento della società neoliberista e l’impoverimento di enormi masse di persone ormai non più in grado di opporsi alla tecnocrazia e a una governance che trasforma l’emergenza in normalità, la normalità in un incubo ben ordinato e ogni dubbio in eresia da stroncare. Per fermare l’ assalto della pandemia ideologica e antropologica, ci sono ormai pochissime armi: solo le reazioni caotiche sempre presenti nelle vicende storiche e la divisione del mondo in più placche geopolitiche può metter in crisi il progetto della crestocrazia.
FONTE:https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/17970-ilsimplicissimus-la-cura-del-dottor-goebbels.html
DIRITTI UMANI
Magaldi: il Covid, guerra mondiale contro la nostra libertà
Sembra una pandemia, e invece è una guerra: scatenata contro tutti noi, da mani solo in apparenza ignote. Una strana guerra: contro la sicurezza sociale, la libertà, la democrazia. Contro il diritto di vivere come prima, contro il diritto alla felicità. Prima ci hanno provato con i golpe e gli omicidi eccellenti, poi con il cannibalismo mafioso di stampo finanziario, neoliberista. Per buon peso hanno aggiunto il terrorismo stragista, le Torri Gemelle, Al-Qaeda, l’Isis, i “regime change” delle rivoluzioni colorate, la sovragestione dell’emigrazione di massa. Ora ci riprovano, ma con un’arma ancora più micidiale: il virus. Attenzione, i registi sono sempre gli stessi. I loro antenati esordirono nel 1963, facendo saltare il cervello a John Kennedy. Dieci anni dopo, uccisero in Cile Salvador Allende. Poi annunciarono che la lunga marcia della democrazia doveva fermarsi, come ricordato (col sangue, ancora) dall’uccisione di Bob Kennedy, Martin Luther King e ogni altro leader veramente scomodo, dallo svedese Olof Palme all’africano Thomas Sankara fino all’israeliano Yitzhak Rabin. Oggi attaccano l’uomo che più temono, Donald Trump, perché ha osato ostacolare la loro principale macchina da guerra: la Cina e il suo alleato strategico, l’Oms. Strano: il flagello Covid è esploso a Wuhan subito dopo l’umiliante stop, imposto dalla Casa Bianca, all’ambiguo espansionismo cinese.
Solo a un cieco può sfuggire il disegno: sembra una semplice emergenza sanitaria (sia pure abnorme, capace di paralizzare il mondo), e invece è soprattutto una guerra. Una subdola Terza Guerra Mondiale combattuta sotto falsa bandiera, dove niente ècome appare e nessuno è davvero quello che dice di essere. Se la lente deformante del complottismo iperbolico dà una mano ai signori della guerra sporca e ai loro media, aiutandoli a screditare in partenza chiunque provi a leggere dietro la cronaca, c’è chi si sforza di unire i puntini. Lo psichiatra e criminologo Alessandro Meluzzi, per esempio. La sua tesi: il coronavirus è solo l’innesco. Ormai il morbo sembra praticamente estinto, ma la minaccia viene tenuta in vita a tutti i costi. Le cure oggi esistono, ma sono deliberatamente ignorate perché si vorrebbe imporre il vaccino universale, magari anche con il Tso per i refrattari. E il vaccino a sua volta è solo la premessa per tutto il resto: il tracciamento orwelliano, le App occhiute e il microchip sottopelle, magari gestito dalla rete wireless 5G di ultima generazione. Obiettivo: il dominio assoluto sull’individuo, sottoposto a una psico-polizia sanitaria, grazie al ricatto della paura. Fantascienza distopica: qualcosa di mostruoso sta per invaderci? Sì, certo: «Con il Sars-Cov-2 hanno fatto solo la prova generale. Domani, qualcuno potrebbe immettere un virus ben più letale, fabbricato in laboratorio».
E’ un’ipotesi evocata da un analista spiazzante come Gioele Magaldi, massone progressista e autore di un bestseller (”Massoni”, appunto) uscito nel 2014 per Chiarelettere: «Il sequel uscirà a novembre e conterrà precise rivelazioni sulla regia occulta dell’operazione coronavirus, tuttora in corso». Un capolavoro infernale: il panico di massa scatenato dall’allarme pandemia «è riuscito a rovinare i grandi successi economici di Trump giusto alla vigilia delle elezioni americane, nonché a schiantare un paese come l’Italia, che ora è sull’orlo del baratro grazie al peggiore dei lockdown, il più severo e insensato». Tu chiamale, se vuoi, coincidenze. Oggi, osserva un reporter come Massimo Mazzucco, è la paura della povertà (milioni di cittadini trasformati in disoccupati, da un giorno all’altro) a incendiare la rabbia, negli Usa, contro la vergogna nazionale del razzismo che ancora ammorba la polizia. «Fa malissimo, Trump, a ignorare la parte genuina della protesta», dice Magaldi: «Migliaia di americani sono giustamente indignati per lo scandalo della violenza sistematica degli agenti contro i neri, come s’è visto anche nel caso di George Floyd». Ma attenzione: «Tutti attaccano Trump senza farsi una domanda: perché Barack Obama, primo presidente “nero”, in otto anni alla Casa Bianca non ha fatto assolutamente nulla per ripulire la polizia da questa piaga ignobile?».
Poi, naturalmente, ci sono gli altri protagonisti delle rivolte: le falangi eterodirette, gli squadristi truccati da “antifascisti”. «Un teatro grottesco, inscenato per dare del fascista al “puzzone” Trump: quasi fosse lui il responsabile della morte di Floyd, e non i suoi aguzzini, peraltro immediatamente arrestati». Estremismo pilotato, strategia della tensione: è possibile non accorgersene? Eccome: i fuochi fatui funzionano a meraviglia, per distrarre i meno attenti. In Italia c’è ancora chi perde tempo nel più tragicomico dei derby, quello tra Salvini e le Sardine, mentre il potere – quello vero – paralizza il paese condannandolo alla retrocessione, e gli squali mandano avanti il loro uomo, Vittorio Colao, con una proposta antichissima: svendere tutto quel che resta, ai soliti amici degli amici. Una spettrale riedizione degli anni Novanta, con analoga sequenza: prima la crisi (Tangentopoli, allora), la liquidazione giudiziaria della Prima Repubblica, le bombe mafiose a Milano e Firenze, l’eliminazione dei testimoni più scomodi di certi giochi (Falcone e Borsellino), e infine la grande svendita del paese affidata a terminali come Prodi e Draghi. Risultato: lo scalpo del Belpaese sull’altare di Maastricht, sacrificato al mercantilismo tedesco in cambio dell’adesione della Germania all’euro, pretesa dalla Francia. Insieme al Made in Italy, rottamata anche la politica: prima la finta guerriglia contro l’imbarazzante Berlusconi, poi l’avvento di Monti e le mezze figure a seguire, il fanfarone Renzi, lo sbiadito Gentiloni. E lo sconcertante Conte.
Tutto si tiene, avverte Magaldi, che offre il seguente ragionamento: l’offensiva Covid è stata scatenata in tutta la sua potenza (imponendo il lockdown) dopo che il potere neoliberista aveva subito grandi rovesci. Il peggiore? L’elezione di Trump alla Casa Bianca. Ma non solo: «Christine Lagarde, Mario Draghi e la dirigenza del Fmi hanno abbandonato il fronte oligarchico per passare alla massoneria progressista, keynesiana». Parlano i fatti: Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario, dice che l’Occidente muore, se non mette fine all’austerity. L’ex capo della Bce ha esposto il suo pensiero sul “Financial Times”, a fine marzo: servono oceani di miliardi da regalare all’economia, e subito, pena il collasso di sistemi come quello italiano. E la Lagarde, che ha preso il posto di Draghi a Francoforte, ha messo mano al bazooka sfidando la Germania: miliardi a pioggia, anche sull’Italia messa in croce da Conte. «Quelli della Bce – dice Magaldi – sono gli unici soldi veri che stanno arrivando: altro che le ciance sul Mes o sul Recovery Fund che scatterà forse nel 2021: quanti italiani arriveranno, vivi, al 2021? Qui si fanno solo chiacchiere, si dispensano briciole, molti aspettano ancora la cassa integrazione. Migliaia di aziende non riapriranno, decine di migliaia di famiglie non sanno come arrivare a fine mese. Cosa aspettano, a Palazzo Chigi? Vogliono vedere le strade invase da folle inferocite, con le auto rovesciate e incendiate?».
Presidente del Movimento Roosevelt, Magaldi annuncia un ultimatum a Conte: «Al governo, faremo proposte precise, salva-Italia, da attuare nel giro di un mese». Le piazze già ribollono, ma col rischio di finire fuori bersaglio, in mezzo al solito chiasso mediatico depistante: «Sfottono Pappalardo e i suoi Gilet Arancioni per il teatro messo in scena, come se protestare fosse ormai vietato, ma è lo stesso Pappalardo a evocare obiettivi che, comunque li si giudichi, sono irrealistici se non in termini decennali: riforme costituzionali, l’uscita dall’Ue e addirittura dalla Nato». Sul fronte opposto, fino a ieri si agitava il perbenismo delle Sardine: «Da loro, solo proposte ridicole e irrisorie. O addirittura pericolose per la democrazia, come la pretesa di imporre sui social la censura ai ministri». In tanti, ancora oggi, si lasciano ipnotizzare dall’odio per Salvini, pesce piccolo (piccolissimo) nell’acquario-Italia, senza vedere la burrasca che sta devastando l’oceano: la guerra ibrida, spaventosamente insidiosa, contro la libertà e la democrazia. Qualcosa che non s’era mai visto prima, in questi termini: un’arma di distruzione di massa in grado di minacciare il mondo, fino a deformarlo per sempre.
Il primo a dirlo, a modo suo, è stato Bob Dylan: con la canzone “Murder Most Foul”, il grande cantautore, Premio Nobel per la Letteratura («e massone progressista», assicura Magaldi), ha messo in relazione l’esplosione del Covid con l’omicidio di Dallas: come se gli eredi dei killer di Kennedy avessero a che fare direttamente con il nuovo terrorismo sanitario. A scanso di equivoci, lo stesso Dylan ha presentato il brano “False Prophet” esibendo uno scheletro che impugna una siringa. Contro il “falso profeta” Bill Gates (a cui Conte si è impegnato a regalare milioni, per i suoi vaccini), Robert Kennedy Junior ha scatenato una polemica furibonda, puntando il dito contro il pericoloso triangolo formato da Gates, dal guru Anthony Fauci e dall’Oms foraggiata dalla Cina. Tutti fieri avversari di Trump. Ma il cognome Kennedy non dovrebbe essere all’opposizione del “puzzone” che siede alla Casa Bianca? In teoria, sì. In apparenza. Fino all’altro ieri, almeno. La verità – dice Magaldi, già iniziato alla superloggia “Thomas Paine” (quella di Gandhi) – è che nel 2016 la massoneria progressista ha appoggiato in modo decisivo proprio Trump: meglio lui, piuttosto che Hillary Clinton.
“The Donald” avrebbe funzionato come ariete, per rompere il dominio dell’élite neoliberista: quella che con Bill Clinton ha regalato i pieni poteri a Wall Street, stracciando il Glass-Steagall Act che separava le banche d’affari dal credito ordinario, e che poi con il clan Bush ha progettato l’inferno del terrorismo “islamico”. C’era quasi riuscito, Trump: aveva fatto volare l’economia americana (meno tasse, più deficit) e aveva fermato l’inarrestabile avanzata della potenza cinese, fatta entrare nel grande gioco mondiale del Wto senza pretendere garanzie democratiche, diritti sindacali e tutele dell’ambiente. «Il problema – avverte Magaldi – non è la Cina, di per sé, ma il potere sovranazionale che usa il sistema-Cina come clava, per “cinesizzare” l’Occidente: lo si è visto benissimo con il lockdown di Wuhan, presentato come modello virtuoso e immediatamente replicato in Italia». Magaldi fornisce occhiali speciali, supermassonici: ricorda che fu Kissinger (superloggia “Three Eyes”) a sdoganare il gigante asiatico. Kissinger, grande regista del golpe cileno, fu il primo a scommettere sul regime dittatoriale di Pechino come alternativa all’Occidente democratico, contro la primavera dei diritti che animava il sogno della New Frontier di Kennedy.
Siamo ancora a questo? Allo scontro tra democrazia e oligarchia? Assolutamente sì: è esattamente il tema della grande guerra in corso, sullo sfondo incendiario della rabbia crescente degli italiani e di quella esplosiva degli americani, oggi inferociti contro la polizia. In palio non ci sono singole elezioni, piccole carriere, politicanti di rango nazionale allevati da partiti-fantasma che ancora recitano il minuetto destra-sinistra, seppellito consensualmente col rigore neoliberista alla massima potenza, come nel caso del Rigor Montis (pareggio di bilancio, legge Fornero) convalidato senza fiatare dal “compagno” Bersani. Meglio resettare la lavagna, sollevando finalmente lo sguardo. L’obiettivo è il più alto possibile: la nostra libertà, minacciata dal ricatto del virus con l’alibi della sicurezza sanitaria. Magaldi però non è pessimista: «Non sono riusciti a distruggere la democrazia né col neoliberismo finanziario, né col terrorismo. E non ci riusciranno nemmeno stavolta. Ma bisogna capire che cosa sta succedendo davvero: siamo tutti in pericolo. E quindi occorre essere pronti a combattere, in modo democratico: perché chi ha gestito questo virus ha dichiarato guerra alla nostra libertà».
FONTE:https://www.libreidee.org/2020/06/magaldi-il-covid-guerra-mondiale-contro-la-nostra-liberta/
Siete bianchi?
Giulio Meotti 3 06 2020
Non sentitevi in colpa, non avete ucciso voi George Floyd. Essere bianchi è diventato una specie di peccato originale. Se non fate professione di penitenza per essere bianchi, omaggiando immigrazione di massa e multiculturalismo, diventerete un “suprematista bianco”. Ieri l’arcivescovo di Canterbury ha invitato i “cristiani bianchi” a “pentirsi dei nostri pregiudizi”. Time, la rivista più mainstream che ci sia: “I bianchi hanno ereditato questa supremazia bianca”. Ereditato…Un ex direttore de La Repubblica pubblica un libro contro “l’uomo bianco”. Le università americane sono piene di corsi sul “white privilege” e in quelle francesi ci sono conferenze “vietate ai bianchi”. A Parigi non si è abbastanza alla moda se non si scrive sulla blanchité. A ogni strage dove l’assassino è bianco inizia il rito collettivo globale della penitenza. Utoya? Uomo bianco. Christchurch? Uomo bianco. Neri che uccidono neri? Non fanno notizia. Musulmani che uccidono musulmani e cristiani? Non fanno notizia. Cristiani che uccidono musulmani? Prime pagine. La tratta bianca degli schiavi neri? Ovunque. La tratta arabo-islamica degli schiavi neri? Tabù. Si proietta tutto il passato sulla generazione attuale, colonialismo, crociate, nascita dell’America, nazismo, schiavitù, tutto finisce nello stesso inginocchiatoio storico, tutto è ricondotto alla vostra pellaccia bianca. Non c’è aperitivo persino che non si concluda senza che riecheggi il grande luogo comune: l’uomo bianco è malvagio.
https://www.facebook.com/1528716259/posts/10221766950792849/
ECONOMIA
Contributi a fondo perduto: modulo di domanda, requisiti e importi
Contributi a fondo perduto, l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato, oltre al provvedimento e al modulo per fare domanda, anche la circolare n.15 in cui fornisce ulteriori chiarimenti. Richieste al via dal 15 giugno fino al 13 agosto 2020. Ecco requisiti e regole per il calcolo dell’importo.
Al via la domanda per il contributo a fondo perduto dal dal 15 giugno fino al 13 agosto 2020, in modalità telematica sul sito dell’Agenzia delle Entrate o tramite il portale Fatture e Corrispettivi.
Come si fa domanda, da cosa dipendono gli importi e quali sono i requisiti dei beneficiari?
Le risposte a tutte queste domande si trovano nell’articolo 25 del DL Rilancio e nella guida pubblicata dall’Agenzia delle Entrate, che fornisce le istruzioni anche sulle categorie escluse che non potranno fare domanda.
Se, da un lato, i contributi a fondo perduto possono essere richiesti dalle partite IVA, dall’altro i professionisti iscritti agli Ordini e gli autonomi sono esclusi da tale agevolazione.
Inoltre, il DL Rilancio ha semplificato le modalità di accesso al fondo perduto, ma sono previste sanzioni severe nei casi di irregolarità.
Lo Stato ha stanziato come risorse per i finanziamenti a fondo perduto 6.192 milioni di euro per il 2020.
Facciamo una panoramica su tutto quello che riguarda i finanziamenti a fondo perduto, secondo quanto previsto dal provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 10 giugno 2020, con il quale vengono fissate le istruzioni per fare domanda.
Scopri la Guida al decreto Rilancio di Money.it in edicola
VIDEO QUI:https://youtu.be/GmMHFfdX0ws
Contributo a fondo perduto DL Rilancio: requisiti, importi e sanzioni
Contributo a fondo perduto Decreto Rilancio: requisiti dei beneficiari
A dare tutte le informazioni relative ai contributi a fondo perduto è l’articolo 25 del DL Rilancio, reso operativo con il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 10 giugno 2020.
CONTINUA QUI:https://www.money.it/contributi-finanziamenti-fondo-perduto-importi-come-fare-domanda
BEI: ennesimo flop dell’UE, finiti i soldi per i prestiti alle medie e piccole imprese.
Intervento di Valenti Grant
Una delle “Colonne portanti” dell’azione europea per la ripresa dell’economia europea post COVID vi era la BEI, Banca Europea per gli Investimenti che, nei disegni della Commissione e soprattutto del nostro impavido presidente del Consiglio, avrebbe dovuto agire come catalizzatore per gli investimenti anche, se non soprattutto, nei confronti delle medie aziende. L’idea era quella che i fondi BEI andassero alle banche che poi avrebbero dovuto finanziare le piccole e medie aziende su progetti di livello europeo… Peccato che questi soldi non ci siano, o meglio non ci siano se gli stati non provvederanno a metterli, con la solita, ennesima, partita di giro per cui i soldi degli stati non vanno subito alle aziende, ma, secondo Conte e l’Europa, devono fare un assurdo giro tramite le istituzioni di Bruxelles. Lo dice in un’intervista lo stesso direttore, Werner Hoyer. Una situazione ridicola!
“Da mesi denunciamo che le proposte di soluzioni messe in campo dall’UE per fronteggiare la crisi economica generata dall’emergenza Covid sono inadeguate. Stamane arriva anche l’allarme del Presidente della Banca europea per gli investimenti, Werner Hoyer, in un’intervista alla Stampa, in cui specifica che senza aumento di capitale la Bei dovrà interrompere i prestiti ai Paesi colpiti dalla pandemia di coronavirus”. Così l’eurodeputato della Lega, Valentino Grant, sottolineando che ‘le imprese italiane, soprattutto quelle piccole e medie, sono in crisi di liquidità e senza adeguati sostegni ci avviamo ad una situazione disastrosa”. “Oggi più che mai per dare risposte immediate alle aziende serve un’intervento fattivo della BCE, solo così si potrà uscire da questo tunnel e far ripartire il mondo imprenditoriale“, conclude il deputato europeo
GIUSTIZIA E NORME
L’AFFARE SI INGROSSA
Magistratura connection, sospetti sul Quirinale
Secondo l’indagato Lotti il presidente Mattarella era tenuto al corrente
Mer. 12 Giu. 2019 – di Alberto Laganà. RILETTURA
Se le affermazioni carpite tramite un trojan inserito nel telefono di Palamara sono confermate ora è quasi tutto il Csm ad essere nella bufera, compreso il Quirinale. Il Presidente Mattarella a tutt’oggi è rimasto in silenzio sulla vicenda forse per timore di ritorsioni.
E’ ormai evidente che Lotti e Palamara decidevano delle nomine nelle principali procure ma quello che lascia sconcertati i giudici perugini che si occupano del caso è che, secondo Lotti, il Colle era al corrente e, se venisse confermato, scatterebbe una procedura d’impeachment per il Presidente Mattarella che, oltre a non aver vigilato sulle trame ordite tra politica e magistrati, non le avrebbe neppure denunciate dopo esserne venuto a conoscenza, ma questi nuovi fatti dovranno essere verificati dagli organi competenti e l’indagine diventa ancora più complessa e complicata.
Sempre secondo le ricostruzioni emerse sulla stampa, altri componenti del Csm hanno partecipato attivamente al mercato delle toghe ed appaiono sulla scena altri magistrati coinvolti a vario titolo.
C’è da domandarsi cos’altro avrebbero potuto scoprire gli inquirenti del capoluogo umbro se una gola profonda del ministero non avesse avvertito gli indagati non appena gli atti sono stati trasmessi a Roma.
Siamo di fronte ad uno degli scandali più gravi della storia repubblicana anche perchè invece di invitare i suoi aderenti a collaborare, il presidente dell’associazione magistrati chiede di ritirare le dimissioni alle toghe inquisite e a far finte di niente.
Se il governo non ci mette mano su questo verminaio, per ogni sentenza emessa nei tribunali italiani graverà il sospetto non che giustizia è fatta ma piuttosto che l’affare è andato a buon fine!
https://www.facebook.com/sisto.ceci.94/posts/285345969204085
I SOCIAL SVELANO LA LORO NATURA AUTORITARIA E TOTALMENTE INCOSTITUZIONALE.
Ilario Di Giovambattista, conduttore dell’emittente radiofonica «una iniziativa di forza e censura senza motivi». E quindi è andato all’attacco: «Non staremo con le mani in mano e difenderemo il nostro diritto di esistere in qualsiasi sede nazionale ed internazionale ma quello che mi preme è farvi ragionare.
Il potere che ormai hanno queste piattaforme è illimitato. Il giorno in cui vogliono farti sparire basta premere OFF e non esisti più. Questa digitalizzazione ossessiva, che vedrete porterà alla totale scomparsa della moneta tradizionale, nasconde troppe insidie e pericoli che hanno risvolti negativi sui valori fondanti dell’essere umano, primo fra tutti quello racchiuso in una sola ma meravigliosa parola: LIBERTÀ».
Radio Radio Tv resta comunque visibile sul canale 826 di Sky e sul canale 676 del digitale terrestre in Lazio, Emilia Romagna e Lombardia.
Sulla vicenda è intervenuto il filosofo e saggista Diego Fusaro attraverso il suo canale YouTube. «È ufficiale, è stato chiuso il canale YouTube di Radio Radio, la radio che da tempo si era attestata in prima linea nella diffusione di vere notizie e di lotta contro le fake news del sistema.
ANCHE FUSARO LANCIA L’ALLARME SULLA GRAVITA’ DELLE COSE.
In sostanza, era diventata una sorta di Radio Londra della libera informazione contro il nuovo principio dell’omologazione e del nuovo capitalismo terapeutico». Diego Fusaro si è dunque schierato dalla parte di Radio Radio, con cui ha anche collaborato. «Stava crescendo smisuratamente anche su YouTube, dove si era attestato tra i canali guida del pensiero non allineato e conformistico».
La cosa impressionante e paurosa è che chi vede youtube, come gli altri social, ma soprattutto chi mette video su di essi, non si rende conto di cosa accetta quando entra:
accetta di essere in mano al totale arbitrio e controllo di youtube e degli altri social.
Un rapporto padrone schiavo senza alcuna garanzia, senza diritti, una cosa allucinante e sostanzialmente un nuovo medio evo.
Già giornali, tv e media (tradizionali) sono praticamente tutti controllati dal potere finanziario e i social erano lasciati come “SFOGATOIO GESTITO DELLA PROTESTA” DA CUI SONO EMERSI ABOMINI COME I 5 STELLE, PROTESTA GESTITA AD ARTE E RESA PERFETTAMENTE FUNZIONALE AL MANTENIMENTO E ACCRESCIMENTO DEL POTERE!!MA ORA CHE LA PROTESTA CRESCE E IL RE È NUDO BISOGNA CENSURARE ANCHE LI!
Mi fa molto piacere che il giornalista di Radio Radio Di Giovanbattista nel commento abbia centrato il punto chiave che ripeto:
Il potere che ormai hanno queste piattaforme è illimitato. Il giorno in cui vogliono farti sparire basta premere OFF e non esisti più. Questa digitalizzazione ossessiva, che vedrete porterà alla totale scomparsa della moneta tradizionale, nasconde troppe insidie e pericoli che hanno risvolti negativi sui valori fondanti dell’essere umano, primo fra tutti quello racchiuso in una sola ma meravigliosa parola: LIBERTÀ».
L’OBIETTIVO FINALE E’ PROPRIO QUESTO ARRIVARE AD UN CONTROLLO IPER-ORWELLIANO GRAZIE AL 5 G E TATUAGGI QUANTICI FATTI COL VACCINO PER IL CORONAVIRUS E OTTENERE IL CONTROLLO DEL MONDO INTERO GRAZIE AD UNA CRIPTO-VALUTA ELETTRONICA E VIRTUALE PRIVATA DI QUESTE ENTITA’ ORMAI MOSTRUOSE (LYBRA), CHE EVOCA NEL NOME LIBERTA’ MA CHE IN REALTA’ SARA’ L’APOTEOSI DELLA DITTATURA.
Noto con sgomento che anche negli ambienti antiglobalisti (compresa byoblu) vengono fatte interviste a gestori di Bitcoin o altre criptovalute in cui se ne esaltano le caratteristiche di libertà e di strumento anti sistema finanziario.
E’ un errore inconscio gravissimo, perché così si avvalla proprio la direzione in cui il potere finanziario che possiede youtube, facebook, google, ecc. vuole andare.
IL MOMENTO E’ GRAVE E LA PRIORITA’ ASSOLUTA E’ UNIRE LE FORZE CONTRO LA DITTATURA SANITARIA CHE STA DIVENTANDO POLITICA E ECONOMICA:
VIDEO QUI: https://youtu.be/gVT4FVnDASo
La sintesi di Alicia Erazo è splendida e fa capire la lotta strenua e vitale per salvare la nostra libertà, il nostro benessere economico e psicologico, contro il capitalesimo che ci sta soffocando con una dittatura che vuole controllare anche la salute e il nostro stesso corpo dall’interno, una cosa inaudita e mai successa nella storia dell’umanità, neanche nelle dittature più feroci e sanguinarie.
Il popolo deve reagire e riprendersi la propria sovranità per salvare le proprie vite da un futuro da schiavi assoluti col microchip sottopelle come i cani!
Gli italiani grazie a libertà, benessere e instupidimento scientificamente progettato e realizzato con i media si sono impigriti e troppi pensano di essere al sicuro (pensionati e statali) ma la tempesta in corso e che arriverà al culmine dall’autunno spazzerà via ogni sicurezza e ogni benessere e risparmio accumulato in oltre 70 anni di democrazia.
COME E’ GIÀ ACCADUTO IN GRECIA!
E QUESTO GOVERNO DI TRADITORI STA ALACREMENTE LAVORANDO PER PORTARCI LI!
ITALIA LIBERA, SOSTENIBILE E SOVRANA!
FONTE:https://scenarieconomici.it/i-social-svelano-la-loro-natura-autoritaria-e-totalmente-incostituzionale-di-marco-santero/
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La scelta di non utilizzare la app è dunque libera e non deve comportare discriminazioni di sorta, e quindi neppure restrizioni alla libertà di circolazione dei cittadini.
Il titolare del trattamento dei dati personali è il Ministero della Salute, onerato di elaborare una valutazione di impatto sulla privacy della predetta app, previo parere del Garante della Privacy, in conformità all’art. 35 del GDPR.
In ottemperanza al citato D.l. 28/2020 ed al Regolamento Privacy, il Ministero della Salute con nota del 28 maggio ha tramesso al Garante la valutazione di impatto che descrive dettagliatamente il meccanismo di funzionamento della App immuni, ed il 01 giugno il Garante ha emesso parere favorevole all’avvio della sperimentazione della App, deliberandone la sostanziale conformità ai principi in tema di privacy.
Il parere è accompagnato però dal rilievo di alcune criticità e vulnerabilità del sistema e dall’indicazione delle necessarie prescrizioni che il Ministero della Salute dovrà soddisfare nei prossimi 30 giorni.
Il funzionamento della app immuni
La app immuni è basata su un sistema c.d. di “contact tracing”, ovvero di tracciamento digitale dei contatti tra persone, finalizzato ad allertare gli utilizzatori di essere entrati in contatto con persona affetta da Covid 19.
L’applicazione, scaricabile su dispositivo mobile, utilizza la tecnologia bluetooth per rilevare i contatti tra i dispositivi degli utilizzatori e si appoggia su un sistema di notifica dell’esposizione al contagio realizzato da Apple e da Google e quindi compatibile tanto con i sistemi operativi iOS che con Android.
L’utente può scaricare l’applicazione, senza effettuare alcuna registrazione con i propri dati, e senza dover creare un account personale di identificazione. I soli dati da indicare sono quelli relativi all’età (superiore a 14 anni) ed alla provincia di domicilio (liberamente modificabile in caso di mutamento). Dopodiché occorre autorizzare l’applicazione a fornire le notifiche di esposizione al Covid 19 e attivare il Bluetooth. Solo per i sistemi Android è richiesto anche di autorizzare la geolocalizzazione, necessaria a tale sistema operativo per rilevare la prossimità di altri device tramite Bluetooth.
La app genera poi algoritmi protetti dalla crittografia che danno luogo a una chiave temporanea associata al dispositivo, chiave (denominata TEK temporary exposure key) che cambia giornalmente. La chiave dell’utente, ogni 10 minuti, genera un identificativo di prossimità del dispositivo mobile (RPI Rolling Proximity Identifier) con altri utenti.
Nel caso in cui un soggetto risulti positivo al Covid ed abbia installato la app, potrà acconsentire a rendere disponibile l’elenco delle proprie TEK degli ultimi 14 giorni al fine di attivare l’allerta sui dispositivi che sono entrati in contatto col suo. Con tale autorizzazione, fornita all’operatore sanitario mediante la generazione di una password temporanea (OTP), la app trasmette al sistema l’informazione sanitaria del contagio e anche ulteriori informazioni di interesse per l’indagine epidemiologica (analytics di tipo Epidemiologico), quali la provincia di domicilio dell’utilizzatore, il numero di contatti che ha avuto, la durata dei contatti a rischio. Per ciascun contatto la app elabora la data in cui è avvenuto, la durata del contatto, l’intensità del segnale bluetooth durante il tempo del contatto, il rischio di contagiosità dell’utente e l’indice di rischio di contagio.
L’indice di rischio del contagio è elaborato attraverso l’algoritmo messo a disposizione da Apple e da Google, che esamina due parametri: l’intensità del segnale bluetooth (che attesterebbe la vicinanza del contatto), e la durata del contatto. Approssimativamente pertanto possiamo dire che più lungo è il contatto e più intenso è il segnale bluetooth e maggiore sarà l’indice di rischio.
Oltre a queste informazioni relative al sospetto di contagio, la app raccoglie quotidianamente ulteriori informazioni (definite analytics di tipo Operational info), che trasmette automaticamente al sistema, e che sono finalizzate a comprendere la diffusione dell’utilizzo della app sul territorio nazionale ed il suo corretto utilizzo. A tal fine sono raccolti dati relativi: alla provincia di domicilio, al sistema operativo utilizzato (ios o android) all’attivazione o meno del bluetooth, alla concessione delle autorizzazioni di notifica del rischio di contagio, all’avvenuta ricezione o meno, e quando, di notifiche di sospetto contagio.
Queste ulteriori informazioni, al momento, sono raccolte solamente dai dispositivi della Apple, in quanto necessitano, per la loro attendibilità, di un meccanismo di verifica dell’autenticità del dispositivo mobile che raccoglie le informazioni. Tuttavia, analogo meccanismo sarà verosimilmente sviluppato anche per Android.
CONTINUA QUI:https://www.altalex.com/documents/news/2020/06/05/app-immuni-via-libera-dal-garante-della-privacy
Stato di partigianeria perenne
12 Giugno 2020
Dello sgombero di CasaPound dallo stabile di via Napoleone III si è parlato già troppo, ben oltre la rilevanza del fatto in sé e di CasaPound stessa, dunque limitiamo l’analisi a due concetti. Il primo, tautologico: l’occupazione dell’immobile in oggetto è illegale, e negli stati di diritto l’illegalità si contrasta, almeno in teoria. Il secondo, più complesso ma nemmeno troppo, riguarda l’etica: esiste un diritto umano all’abitazione, peraltro riconosciuto come tale dalle Nazioni Unite, dunque, se lo stato e le amministrazioni locali non sono in grado di garantirlo a tutti, ugualmente non dovrebbero rivendicare l’autorità morale per cacciare gli abusivi. E qui, com’è ovvio che sia, le acque si confondono: per CasaPound in via Napoleone III risiedono famiglie in emergenza abitativa, per la Guardia di Finanza ci sono anche dipendenti comunali senza particolari difficoltà economiche.
Mettiamo, però, che una sola persona rischi davvero di andarsene a dormire sotto le stelle, o comunque di trovarsi in condizioni indegne: allora il fulcro del problema smette di essere CasaPound. E, tanto per usare gli stessi termini di Nicola Porro, chi scrive starà finché crepa dalla parte dei poveri, anche oltre la legge positiva. Il discorso potrebbe, dicevamo, chiudersi qui, se non ci fosse un iceberg sociopolitico sotto la superficie, come giustamente rileva lo stesso Porro: una montagna di acqua ghiacciata che si chiama antifascismo.
L’iniziativa di sgombero si inserisce all’interno di un’inchiesta su CasaPound partita da una denuncia dell’Anpi: l’occupazione è un corollario, quindi, della più grave accusa di associazione a delinquere finalizzata all’odio razziale. In effetti, la dimensione politica è speculare a un’altra, quella evidente negli sgomberi proposti dall’allora ministro Salvini: brutali operazioni poliziesche finalizzate a raccogliere consenso a danno di immigrati e rom. Adesso, dice bene Simone Di Stefano, Virginia Raggi cerca consenso a sinistra, in particolare dalle parti di una sinistra soffice, salottiera, che combatte con le pistole ad acqua proprio tutte le battaglie da giardino d’infanzia. E, di questa nutrita squadra d’acchiappafantasmi votata a difenderci da omofobia, fascismo e altri ectoplasmi, l’Anpi è un po’ l’emblema.
Verrebbe da chiedersi, ingenuamente, perché i cosplayer della Resistenza appartengano all’ambito dell’attivismo politico piuttosto che a quello della rievocazione storica in costume, e con quale faccia si proclamino partigiani dirigenti ventenni che non c’erano nemmeno ai tempi del terrorismo nero. La domanda è, appunto, ingenua, perché l’Italia è una terra di alchimisti: basta trovare l’alambicco giusto e anche il vuoto spinto può farsi politica – così capita che figure come Raimo, Tosa, Tommasi, abbiano fondato la propria carriera giornalistica, per quello che vale, proprio sul ruolo di antifascisti militanti.
L’incantesimo è, in fondo, semplice: basta estendere i confini semantici della parola “fascismo” al punto da includervi tutti i mali del mondo. Così Salvini, piuttosto che essere un rozzo conservatore, diventa fascioleghista; così è fascismo la violenza sulle donne e quella negli stadi; così diventa fascista chiunque si opponga all’immigrazione di massa, anche se si ispira a logiche terzomondiste e antiliberiste. Tanto vale stralciare il lemma dal dizionario: fascista è chi non piace agli antifascisti. E per carità, i fascisti bisogna pur inventarseli per dare un senso al mestiere: perché in Italia non ci sono. Ci sono episodi di razzismo, alcuni dei quali attribuibili a fascisti – non c’è il fascismo come fenomeno sistemico, elemento univoco, individuabile nel panorama della nazione. Sappiamo che non c’è perché l’abbiamo visto dissolversi: già al termine degli anni del consenso, con le prime bombe alleate; poi davanti ai cancelli che hanno tenuto il Movimento Sociale lontano dalle leve della democrazia; e con la scomparsa definitiva dell’eversione, nera e rossa, dal novero della strategia politica. Sappiamo che non c’è e non tornerà perché il fascismo, come instrumentum regni, non serve più. I nuclei di potere che dietro al fascismo si nascondevano esistono ancora, ma il potere che oggi esercitano ha reso impossibile quel fascismo:
A compiere l’orrenda strage di Brescia sono stati dei fascisti. Ma approfondiamo questo loro fascismo. È un fascismo che si fonda su Dio? Sulla Patria? Sulla Famiglia? […] No: è evidente che anche il più fanatico dei fascisti considererebbe anacronistico rinunciare a tutte queste conquiste dello «sviluppo». Conquiste che vanificano, attraverso nient’altro che la loro letterale presenza – divenuta totale e totalizzante – ogni misticismo e ogni moralismo del fascismo tradizionale.
Pier Paolo Pasolini
Ed è interessante notare, proprio di questi tempi, come negli Stati Uniti ci sia davvero un razzismo sistemico – testimoniato da diseguaglianze sociali ormai incancrenite, dai numeri inequivocabili della violenza poliziesca – senza che si sia mai affermata una forza politica fascista: la Confederazione fondava la difesa della schiavitù sui diritti regionali del Sud, l’esatto contrario del mussoliniano “tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato”.
Se il fascismo non c’è, allora si rivendicano gli onori dei partigiani senza correrne i rischi; se l’intera struttura sociale è schierata, in maniera formalistica, superficiale, inefficace, dalla parte dell’eguaglianza razziale, ci vuol poco ad aggiungere l’ennesima pagina di ovvietà; se l’omofobia è un fenomeno già marginalizzato, l’attivismo LGBT diventa più convenzione che coraggio. Il progressismo nella modernità è, in buona sostanza, la sottile arte di scegliersi battaglie già vinte e farle sembrare epocali al pubblico. E li potremmo anche lasciare in pace, questi progressisti, a scambiarsi i trofei di caccia al lombrico, se non invocassero costantemente rimedi iperbolici per mali lievi. Una iatrogenesi liberticida rappresentata da tutte le imbarazzanti leggi e iniziative “contro l’odio”. C’è, ovviamente, chi chiede lo scioglimento di CasaPound, ci sono in discussione inquietanti ddl che si propongono di allargare all’omosessualità l’ambito di applicazione, già eccessivo, della legge Mancino – ddl che portano, fra gli altri, i nomi inconfondibili di Boldrini e Scalfarotto.
Viene in mente quella commedia ungherese degli anni ‘20, L’affare Kubinsky: è la storia di un disoccupato che si intrufola in una banca spacciandosi per impiegato e inventa di sana pianta una fantomatica, e importantissima, pratica di cui si starebbe occupando, l’affare Kubinsky appunto – col tempo, tutti cominciano a parlarne e il disoccupato diventa una figura professionale indispensabile. Più o meno la stessa geniale trovata dei parlamentari che inventano vuoti legislativi, dei giornalisti che denunciano l’eversione nera e dei pubblici ministeri che indagano sui saluti romani.
FONTE:https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/societa/stato-di-partigianeria-perenne/
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Il lavoro e le macchine
Raniero Panzieri: Politica, etica e teoria come coordinate dell’azione
Nel 2021 ricorrerà il centenario della nascita di Raniero Panzieri, padre nobile dell’operaismo italiano e fondatore dei Quaderni Rossi. Per l’occasione ombre corte pubblica Il lavoro e le macchine. Critica dell’uso capitalistico delle macchine, una raccolta di scritti di Panzieri a cura di Andrea Cengia. Pubblichiamo qui un estratto dall’introduzione. Ringraziamo l’editore e l’autore per la collaborazione e ricordiamo che il libro si può acquistare e ordinare direttamente sul sito di ombre corte, in libreria e negli store online. Sosteniamo sempre l’editoria indipendente, in modo particolare ora. Rimettere in circolazione classici del pensiero critico e militante è un progetto culturale e politico indispensabile per ricominciare a respirare.
A quasi cento anni dalla sua nascita, vengono qui proposti alcuni articoli e saggi di Raniero Panzieri che, lungi dal rappresentare esaustivamente la sua intera produzione, hanno lo scopo di riaprire un dialogo con il suo patrimonio di esperienza politica, teorica e culturale. Senza entrare nel dettaglio della sua straordinaria, quanto difficile biografia, occorre ricordare brevemente che Raniero Panzieri, nato nel 1921, è stato all’origine un dirigente del Partito socialista italiano (Psi) appartenente alla corrente di Rodolfo Morandi con il quale ha sviluppato una forte intesa politica e culturale.
Durante l’esperienza di partito egli ha avuto modo di toccare da vicino la condizione dei braccianti nel sud Italia per poi giungere, negli anni Sessanta, a conoscere i destini delle industrie del nord, spesso popolate da molti braccianti di quel sud che Panzieri aveva ben conosciuto. Nel 2021 ricorrerà il centenario della nascita e questa raccolta di saggi guarda a quell’anniversario non certo con un atteggiamento “memorialistico” o “monumentale”. Al contrario, si ritiene che ridare voce a Panzieri, a cent’anni dalla nascita, sia un’operazione politicamente e teoricamente significativa in quanto capace di offrire alcune chiavi interpretative anche per il XXI secolo. Questa introduzione cercherà di articolare un percorso a partire dalle seguenti questioni: l’individuazione di alcune coordinate teoriche del percorso panzieriano, la collocazione politica di Panzieri nel rapporto di continuità e discontinuità con l’esperienza operaista e il lascito politico del suo lavoro teorico e politico.
Panzieri, Marx e la fabbrica
Tra i numerosi ricordi della figura intellettuale e politica di Panzieri, quello proposto da Antonio Negri ben sintetizza il baricentro dei lavori di Panzieri: “ricostruire il sapere operaio della produzione e della distruzione dello sfruttamento, a partire dall’officina”. Questa ricostruzione del sapere operaio avviene, nell’esperienza operaista, attraverso “una reinterpretazione senza precedenti di Marx fuori dal marxismo […] e del conflitto sociale colto, attraverso l’inchiesta, come lotta operaia”. Proprio il carattere di novità, ossia il gesto teorico-politico di scarto rispetto al pensiero mainstream, fanno di Raniero Panzieri un punto di riferimento che può essere valorizzato anche nella contemporaneità.
Dopotutto oggi, se escludiamo i soggetti collettivi e individuali che le dinamiche storiche hanno contribuito a marginalizzare, la situazione può essere paragonata a quella vissuta da Panzieri e dal primo operaismo. Nella condizione odierna si assiste all’affermarsi di un modello di pensiero totalmente interno alla visione economica, sociale e culturale del modo di produzione capitalistico. La capacità e il coraggio di uscire da uno schema ideologico dominante appaiono quindi come qualità che vanno riconosciute all’uomo Panzieri e contemporaneamente prerequisiti per quella azione di ristrutturazione dei punti di riferimento teorici necessari e all’altezza dell’analisi politica del tempo.
Si tratta di un’operazione “di rifondazione teorica e di innovazione strategica” che richiede, per essere compresa, di essere collocata all’interno del contesto filosofico e politico che fa da sfondo al pensiero e all’azione di Panzieri. Il dipanarsi di questo determinato nesso storico tra teoria e prassi va ricercato “soprattutto nell’opera teorica e politica di Raniero Panzieri”. Per usare una nota espressione di Norberto Bobbio, la dinamica culturale che qui si manifesta è quella del “ritorno a Marx”, formula che racchiude il senso di una esigenza teorica e politica. In questa azione si condensa la capacità di segnare una rottura metodologica e teorica rispetto al clima culturale dell’epoca che deve fare i conti con la linea egemone del Partito comunista.
Questo coraggio intellettuale va riconosciuto interamente agli operaisti e a Panzieri in modo particolare. Con una formula di sintesi, si potrebbe affermare che l’originalità e la forza dell’esperienza di Panzieri nascono dal rapporto che egli ha costruito, in rottura con il ‘canone’ marxista italiano di quel periodo, con il pensiero di Marx. Alcune delle più significative radici della nascita dei “Quaderni rossi” vanno fatte risalire a questo passaggio. Nel gesto teorico del ritorno a Marx si cela l’intento di combinare la teoria e la prassi in un modo nuovo rispetto ad altre correnti del marxismo. Quale percorso teorico aveva in mente Panzieri? Una prima risposta a questo quesito consiste nell’osservare come i problemi contingenti che Panzieri vuole affrontare riguardino la produzione industriale ad alto contenuto di automazione. A questo proposito va ricordato che l’oggetto di studio privilegiato di alcuni importanti scritti di Panzieri, in particolare quelli apparsi sui “Quaderni rossi”, è costituito della quarta sezione del Libro I del Capitale, esempio emblematico di riscoperta dei testi di Marx che arriva fino alla pubblicazione dell’inedito Frammento sulle macchine. Questo sforzo di riproposizione del lavoro marxiano continuerà anche dopo la rottura operata dal gruppo romano di “Classe operaia”, estendendosi, nell’arco di un quindicennio, al 2 e 3 libro del Capitale e terminando, per quella che Sergio Bologna chiama la prima generazione operaista, circa alla metà degli anni Settanta.
Si assiste complessivamente a un lavoro teorico che sfocia nell’allontanamento definitivo dalla prospettiva del marxismo italiano di quegli anni nelle sue impostazioni filosofiche ufficiali e accademiche, ossia a quello che Paolo Virno ha definito un ritorno a “Marx contro il marxismo”. L’allontanamento dalla tradizione e la presa di distanza dagli eventi ungheresi del 1956, produce quindi un ambizioso progetto teorico, sociale e politico che trova nella nascita dei “Quaderni rossi” uno dei suoi punti di più alta realizzazione e che può essere racchiuso nello straordinario tentativo di riproporre una prospettiva marxiana all’indomani degli eventi del xx Congresso. Rimanere legati a una prospettiva marxiana nonostante l’Urss, ripartendo da stimoli eterogenei: il “‘Politecnico’ di Vittorini”, il “laboratorio di Adriano Olivetti”, il “socialismo di sinistra di Rodolfo Morandi” e il “marxismo eterodosso di Galvano della Volpe”. “Ricominciare da capo. Partire da zero”. Tutto ciò ricorda alcune altre iniziative europee, come ad esempio quella francese di Socialisme ou Barbarie. Panzieri condivide l’idea che sia necessario far chiarezza rispetto alle convinzioni illusorie e alle false liberazioni, secondo le quali basta attendere la “presa del Palazzo d’Inverno o […] l’entrata nella stanza dei bottoni” per produrre la necessaria emancipazione del Movimento operaio. Scrive Panzieri:
Si tratta dunque in particolare per i socialisti e per i comunisti di ricongiungere i temi della loro azione politica – di quanto in tale azione si è finora positivamente affermato come ricerca coerente della via italiana e democratica del socialismo – a un più ampio esame dei presupposti più generali, teorici di tale azione e per tale via di rendere possibile l’ulteriore, necessaria elaborazione e precisazione, in termini sempre più concreti, degli obiettivi di una politica di conseguente sviluppo democratico.
La solidità delle convinzioni teoriche, politiche e strategiche che Panzieri verrà interiorizzando produrrà un momento di insanabile rottura politica dell’universo operaista. Si tratta di un momento drammatico che metterà fine alla “fase classica dell’operaismo”. L’occasione, ossia l’evento politico spartiacque nella storia dei “Quaderni rossi” e di Panzieri si riassume nei cosiddetti scontri di piazza Statuto, avvenuti a Torino nel luglio del 1962. Attorno a quella vicenda emerge un “dissenso […] di lunga data”, un contrasto che rende impossibile una linea politica comune tra alcuni esponenti dei “Quaderni rossi”.
La linea di Panzieri è quella di marcare la distanza del proprio progetto politico da quegli avvenimenti. Alla base vi è la ben più ampia consapevolezza della rottura di un rapporto, in parte teorica e in parte strategica, con Mario Tronti. Sul piano politico, l’errore strategico che Panzieri individua, consiste nell’aver alimentato una prospettiva di scontro politico senza che fosse maturata una strategia politica fondata su forme organizzative. A monte, il vero punto di rottura è quello teorico portato avanti da Mario Tronti in due contributi. Panzieri si opporrà in particolare al primo perché troppo impegnato a far “rivivere una filosofia della storia”. Il punto di osservazione di Panzieri è strategicamente difforme da quello di Tronti, in quanto tende a leggere il rapporto tra l’analisi del modo di produzione e l’azione politica come largamente sbilanciato a favore della seconda.
Nel periodo successivo ai fatti di piazza Statuto, scrivendo Lenin in Inghilterra, pezzo d’apertura del primo numero di “Classe operaia”, Tronti accelera ulteriormente il processo di presa di distanza da Panzieri, affermando che “è un errore” aver visto “prima lo sviluppo capitalistico, poi le lotte operaie”. Il momento della lotta sembra divenire prioritaria anche rispetto alla necessaria valutazione delle forze in campo. Tale impostazione sarà poi ulteriormente spostata in avanti da Negri, richiamando così alla necessità costitutiva della priorità della dimensione dell’azione compiuta. Al contrario, per Panzieri la presenza di una “spinta di classe assai forte”, come sottolinea Wright, rimaneva debole in quanto priva di una “strategia coerente” e quindi disorganizzata. Tronti nel 1964 stigmatizzava, affermando che:
Si rivela a questo punto una certa eredità che potremmo chiamare da “Quaderni rossi”, perché quella esperienza è caratterizzata da questo, cioè da una capacità di pura e semplice analisi anche del momento dell’intervento, che in quanto tale dovrebbe invece superare l’analisi e passare così a forme pratiche di attuazione concreta.
Esistevano tuttavia anche delle affinità tra Tronti e Panzieri. Una delle più significative riguardava il tema del limite e della contraddizione dell’accumulazione capitalistica. Questo limite in Panzieri viene recuperato direttamente da Marx e interpretato in senso operaistico. “Le contraddizioni immanenti non sono nei movimenti dei capitali, non sono ‘interne’ al capitale: solo limite allo sviluppo del capitale non è il capitale stesso, ma la resistenza della classe operaia” afferma Panzieri in Plusvalore e pianificazione. Vi era quindi un deficit analitico, rispetto alle posizioni delle sinistre ufficiali, che Panzieri e Tronti avevano cercato di colmare. Già nel saggio sulle macchine, qui riproposto, Panzieri ribadiva alcuni fondamenti della linea operaista della rivista, affermando la necessità del controllo operaio rispetto alle trasformazioni neocapitalistiche. “Noi riteniamo che, praticamente e immediatamente, questa linea possa esprimersi nella rivendicazione del controllo operaio”, argomentava Panzieri in risposta alle novità tecnologiche di razionalizzazione del neocapitalismo.
Questo significava, dal punto di vista organizzativo e politico, “una presa di coscienza globale e una lotta generale della classe operaia in quanto tale”. Si tratta di una valutazione comune anche a Tronti. Ma Panzieri indugia sulla dimensione organizzativa E non spontaneista delle lotte. Esse vanno organizzate. È a partire da ciò che, come ha sostenuto in anni recenti Tronti, “Raniero vedeva l’esplosione della fabbrica, ma non pensava che potesse sfondare nella società”. Questa valutazione a freddo, conduce Tronti anche a una riconsiderazione complessiva della ‘rottura’ con Panzieri affermando che “nel breve periodo aveva ragione lui”. Di fronte alla sconfitta operaista, dove “avevamo torto tutti”, va osservato che l’ipotesi politica, organizzativa e teorica di Panzieri non è stata interamente esplorata. Essa rimane una possibilità di lavoro che merita oggi di essere ripresa a partire dall’originalità storico-politica in cui nasce. L’esperienza di Panzieri indica come sia possibile svincolarsi sia dagli schiaccianti condizionamenti politici egemoni, in quel caso il ruolo del Pci, sia dai temi delle alleanze nella classe operaia, a cui Panzieri andava sostituendo l’obiettivo del controllo operaio. Nel percorso panzieriano, la dimensione dell’azione può realizzarsi solo a partire da un’attenta opera di organizzazione della forza-lavoro, magari secondo gli accenti marxiani di un’associazione dei lavoratori, Arbeiterassoziationen. Su questo piano, è significativo come anche “Classe operaia” abbia ricordato Panzieri con un esplicito riconoscimento in occasione della sua morte prematura.
Cercando di dare risposta al perché dell’importanza della figura di Panzieri per il movimento operaio, la rivista rispondeva che, a dispetto della figura del santo laico, Panzieri andava ricordato “come il compagno che ha ricominciato in Italia il discorso sulla classe operaia”. Usando una formula di Negri, “Raniero poneva il problema del passato con un piede nel futuro”. Per questa serie di considerazioni, occorre affermare che il debito culturale, che le stagioni operaiste degli anni Sessanta e Settanta hanno contratto con Panzieri, consiste in un legame genetico difficilmente cancellabile. Un’altra storia è invece quella che riguarda il dissenso sulle scelte politiche contingenti e sulla strategia dell’organizzazione a cui si è accennato in precedenza in riferimento a Tronti. Rimane allora da chiedersi quanto l’atteggiamento strategico della visione panzieriana, pur con alcuni limiti che la morte prematura non ha fatto che stigmatizzare, possa rimanere utile anche oggi. L’esempio di un atteggiamento di libera capacità critica all’interno della crisi del movimento operaio e la ricerca di un luogo teorico e politico di messa alla prova di una capacità di analisi marxiane, sono due aspetti che non possono non colpire il lettore odierno. Si tratta di un lavoro che le pagine panzieriane qui raccolte vogliono mettere in luce.
Insomma, si ritiene che, ancora ai nostri giorni e per il difficile futuro degli anni a venire, le indicazioni panzieriane sulla necessità di “capire sia il piano capitalistico che la fisionomia della nuova classe operaia” mantengano intatta la loro attualità, resa ancora più urgente dalla drammatica sconfitta subita dalle classi subalterne. A ben vedere, si tratta di un programma di ricerca e di azione politica valido in particolare nel tempo presente. La radicalità di questa esigenza va accettata, con Panzieri, diffidando delle facili accelerazioni che prescindano dall’analisi politica della situazione produttiva. Panzieri, “soggetto inesauribile di sollecitazione alle ipotesi di ricerca”, merita quindi di essere ri-attualizzato a partire dal suo disegno teorico-politico. Si tratta di un progetto che lo stesso Panzieri illustra a Negri il 19 settembre 1963: “il nostro programma di lavoro è molto semplice: impiantare su nuove basi il lavoro di analisi del Capitale (oh!) in modo più approfondito. In più cercheremo di mettere in piedi una ricerca piuttosto ampia di carattere storico-teorico sul movimento operaio”. L’opera del “più eccezionale”dei militanti socialisti degli anni Cinquanta giunge qui a dispiegare un piano di lavoro rigoroso e originale rispetto ai condizionamenti del proprio tempo. Un’altra categoria si affianca a quella del controllo operaio: quella di “piano del capitale”. Il piano, inteso come forma di razionalità che dalla fabbrica estende la sua influenza anche nella società, attraverso la forza tecnologica e organizzativa del modo di produzione capitalistico, sembra oggi un’anticipazione del tema del controllo elettronico disponibile grazie alla trasformazione della società in una rete di pervasive connessioni digitali.
Si tratta di un risultato prezioso che affonda le sue radici nell’ostinata capacità di Panzieri di intraprendere da “solo” una precisa linea di indagine e di approfondimento teorico. Su questo punto la visione di Panzieri si oppone a quella più concentrata su urgenze politiche immediate di cui si fa portavoce Tronti. Proiettando la lezione di Panzieri sull’attuale condizione della classe operaia, devastata in occidente dalle trasformazioni produttive che ne hanno drammaticamente depotenziato il peso politico, è possibile stabilire che un limite strutturale dell’operaismo fu “l’impazienza politica” che produsse in più occasioni, nei decenni successivi, la decisione di sacrificare l’impegno teso allo studio della composizione di classe, alla possibilità di “afferrare l’occasione”. Impazienza che, al contrario, non fu tra i limiti della strategia panzieriana. Anche per questo motivo, si può affermare che la lezione di Panzieri è anacronistica.
Essa riattualizza oggi la necessità teorico-politica dell’analisi marxiana delle potenti trasformazioni sociali in corso, senza filosofie della storia che spesso concedono una resa troppo generosa alla forza della controparte. Per questa ragione, se a Panzieri può essere ricondotto uno dei fili rossi che porta al Sessantotto, è anche vero che non possono essergli imputate le numerose sconfitte delle stagioni successive. Anzi, come ha affermato Cesare Cases, “la sua lezione principale, quella che occorre cercare la soluzione in gruppi autonomi dalla politica ufficiale e legati soltanto alle masse, è più attuale che mai, e più che mai si abbisognerebbe della sua pazienza nel ricominciare da capo”.
È evidente che l’eredità di Panzieri deborda dai confini della sua biografia. Questo non solo perché Panzieri è stato un punto di riferimento per molte esperienze politiche del post-operaismo. La ricchezza della sua esperienza politica, costruita sul difficile tentativo di leggere le modificazioni del lavoro dal punto di vista della fabbrica, è più ricca di quanto non appaia. In generale, i suoi successori non si sono lasciati contaminare da alcune intuizioni che Panzieri stava rilanciando con coraggio. Il riferimento è al tema delle macchine e della scienza. L’operazione critica di dichiarare le macchine e la scienza come non neutrali configura un luogo teorico di straordinaria importanza e centralità che è stato accantonato preferendogli altri punti di osservazione. Tuttavia, il discorso di Panzieri può riemergere oggi in un contesto sociale largamente definito da elementi tecnologico-scientifici. La spinta incessante all’accelerazione dei ritmi produttivi appare oggi come una potente controprova empirica di come le trasformazioni tecnologiche abbiano prodotto non tanto forme di emancipazione, ma nuove e raffinatissime forme di sussunzione reale nate nella fabbrica e ormai pienamente presenti nella società.
FONTE:https://operavivamagazine.org/il-lavoro-e-le-macchine/
PANORAMA INTERNAZIONALE
“It’s Plutocracy, stupid!”
Quando un amico mi gira il video di una concessionaria in California in cui i rivoltosi incendiano tutte le Mercedes esposte, auto da 250 mila dollari in sù, mi è chiaro come interpretare le rivolte che hanno luogo in USA: “It’s Plutocracy, stupid!”.
E’ il risultato della plutocrazia come forma di governo e forma di vita, che presenta il conto.
In fondo, è il momento che gli stessi miliardari paventavano, se sono andati a comprarsi fattorie in Nuova Zelanda e persino nella disabitata Tasmania, con pista d’aviazione privata e bunker, tanto numerosi da aver fatto salire i prezzi immobiliari nelle due isole australi.
Sì, ci sono indizi che Soros sia dietro certe insurrezioni, ma questa potrebbe essere l’ultima provocazione di troppo per il miliardario ebreo. Emissari di Soros sono stati visti pagare gli spacca-tutto; ma il fatto che gli spacca tutto siano così numerosi, dice che troppe persone, interi starti sociali, nella plutocrazia americana non hanno da perdere null’altro che le proprie catene. Come disse quel tale.
L’assassinato Floyd era un attorucolo porno con condanne per rapine da quattro soldi, e integrava facendo il buttafuori per lo stesso locale in cui lo faceva il poliziotto suo assassino? Tutt’e due mostrano a quale vita di espedienti e precarietà la plutocrazia, ossia la perfezione del capitalismo terminale la cui efficienza sta nel remunerare sempre più il capitale e sempre meno il lavoro. Qua e là sono ricomparsi dei “crisis actors” visti in altre scene di disordini e false flag? Il fatto stesso che possa esser nata una tale professione, con tariffe riconosciute, la dice lunga sul grado di pauperismo dilagante.
Da un decennio e più, decine di migliaia di persone vivono accampate in tende e defecano per le strade, nelle stesse metropoli dove prosperano una dozzina di miliardari – miliardari del livello oltraggioso ormai instaurato, gente con mcnto-200 miliardi di dollari. E quasi sempre i defeca tori da marciapiede sono working poors, poveri benché lavoratori, sfrattati da casa loro d cui non hanno potuto pagare una rata di mutuo, che dormono in auto, si lavano le ascelle la mattina nelle toilets di Starbuck per andare a lavorare senza puzzare troppo.
Quello che la politica preferisce non vedere , è che i due fenomeni – il livello insolente, ingiurioso di ricchezza dei privilegiati e la povertà disperata dei tanti – sono lo stesso fenomeno, l’uno provoca l’altro. E’ una cecità volontaria perché ideologica ed esime l’intera classe politica dal fare il suo dovere cruciale.
Quale? Stupirà sapere che tra il 1950 e il 1963, negli Stati Uniti, il sistema fiscale applicava sullo scaglione marginale (la frazione superiore dei redditi più agiati) una aliquota del 90%.. Dicesi del 90 per cento: un prelievo d’esproprio.
Alla Casa Bianca non c’erano socialisti al comando. Si succedettero presidenti di nome Harry Truman, Dwight Eisenhower e John Fitzgerald Kennedy. Statisti che avevano conosciuto la Grande Depressione, e sapevano che di fronte al nemico sovietico dovevano curare che restasse saldo il patto sociale, il sogno del benessere americano per tutti.
Da Ronald Reagan e Margaret Thatcher, invece, parve meglio alleviare le tasse ai ricchissimi, nella convinzione ideologica (radicalmente erronea) che i privati sapessero allocare i capitali con più efficienza e fantasia dello Stato, e che consentendo ai milionari di diventare miliardari e triliardari, gocce della spropositata ricchezza sarebbero piovute anche sulla testa dei poveri (trickle down economics).
Invece cosa hanno fatto i miliardari dei miliardi che il fisco non gli ha espropriato, s’è visto: hanno acquistato azioni proprie per aumentarne artificialmente il valore; spostato i posti di lavoro in Cina; si sono pagati capricci da infanti – come l’astronave privata di Elon Musk, o si sono comprati l’Organizzazione mondiale della Sanità come lo psicopatico maltusiano Bill Gates; senza parlare dei gruppi di sociopatici di Sylicon Valley che stanno preparandoci l’ultra-umano tecnologico, ossia il disumano..
L’astronave privata di Elon Musk è in fondo un capriccio da bambino viziato simile all’hameau de la Reine, dove Maria Antonietta si fingeva pastorella in un finto villaggio di contadini. Ma anche i 15 anni di guerre per destabilizzare il Medio Oriente come voleva la nota lobby, va interpretato come un immenso capriccio che è stato fatto perché gli Usa se lo potevano permettere; così ricchi e così armati da non aver nemmeno la preoccupazione di vincerle, le guerre; è più importante che durino, durino decenni, consumano materiali e centinaia di miliardi – miliardi che sono,in fondo, come aveva ben detto Eisenhower, salari che sono stati fatti mancare agli operai, previdenze sociali negate ai lavoratori, e servizi scolastici che sono risparmiati sui bambini. Senza contare il costo vero: tanto, l’hanno pagato i soldati al terzo o quarto richiamo di missione in Afghanistan, Irak o nella terra di nessuno siriana dove sono stati piazzati contro i russi per rubare il petrolio della Siria: un tasso di suicidi altissimo e di disadattamento psichico dilagante dei reduci divorati dalla colpa e dall’atrocità che hanno commesso in quelle occupazioni senza fine.
Quando si vedono militari in mimetica, invece di sparare sui negri arroganti e devastatori, inginocchiarsi a loro e chiedere perdono, d’accordo, c’entrerà anche il buonismo scemo degli snowflakes ; ma bisogna chiedersi quanti di quegli uomini sono reduci dal terzo o quarto dispiegamento in Irak o Afghanistan e assillati dall’incubo di esserci rimandati ancora.
ANTIFA Victory: Pentagon disarms National Guard activated in D.C. https://t.co/Guncstt6OF
— Tom Fitton (@TomFitton) June 6, 2020
Perché se anche i bianchi in divisa giungono alla conclusione che, anche loro “null’altro hanno da perdere che le loro catene”, come i negri, vuol dire che la Plutocrazia perfetta ha rotto in modo definitivo il patto sociale; che la esibizione di egoismo e cinismo come merito ed esempio a imitare (greed is good) ha consumato ogni patriottismo e fedeltà alla nazione, anzi alla società – diventata un coacervo di gated communities, senza solidarietà reciproca. E senza difensori comuni.
E’ il momento che previde Joseph Stigliz? “… l’1% superiore controlla il 40% della ricchezza nazionale l’1% superiore ha le case migliori , le migliori educazioni, i migliori medici e i migliori stili di vita, ma c’è una cosa che il denaro non sembra aver comprato: la comprensione che il loro destino è legato a come vive l’altro 99%. Nel corso della storia, questo è qualcosa che l’1% superiore alla fine impara. Troppo tardi”
E’ da oltre 10 anni che i movimenti chiamati “We are 99%” e “Occupy Wall Street” mandavano il segnale che i miliardari stavano rompendo il patto sociale.
Troppo educati, bianchi per lo più, sono stati facilmente debellati. La Clinton ha potuto chiamarli “deplorabili… Adesso i negri sono meno educati e devastano da settimane. Si sa – si crede – che i negri non sanno elaborare una prospettiva politica, una lotta di classe; possono solo far jacqueries, saccheggi.
Può essere un’illusione, stavolta. Come si illudono i democratici di scatenare a proprio vantaggio la rivolta negra e di guadagnarsi l’ elettorato di colore per cacciare The Donald.
Sardonico, il ricchissimo negro Robert Johnson ha proposto al candidato Joe Biden: se vuoi i voti di noi negri, devi impegnarti a versare 14 trilioni ai 40 milioni di neri che abitano qui, come risarcimento per la schiavitù e il “privilegio bianco” di cui ci avete fato soffrire.
Basta precisare che Robert Johnson è lui stesso un miliardario, fondatore della Black Enterteinment Television (già il fatto che esista una catena per soli negri dovrebbe allarmare come patologia sociale), che ha venduto a Viacom per 3 miliardi di dollari.
Quello che propone ai democratici è dunque un deal, nel perfetto stile plutocratico. Un negoziato d’affari. La vostra banca centrale vi ha riempito di migliaia di miliardi CREATI DAL NULLA, per salvare i vostri speculatori, finanzieri e rentier. Che vi costa, in fondo, stamparne di più per noi neri?
Magari 14 mila miliardi è una richiesta eccessiva; ma in cui si riconosce il metodo di business di Trump , che la spara grossa all’inizio, per incontrarsi a metà strada: un “deal”, di cui si ritiene maestro. Non è escluso che faccia al negro una controfferta, per comprare i voti dai black. Nè èescluso che i negri abbiano trovato un leader politico in Johnson. In fondo viene dallo spettacolo, come Trump.
Post Scriptum per noi europei:
Che anche in Europa il patto sociale sia rotto, lo dicono i due anni di rivolta dei gilets gialli, pestati, amputati e mutilati impunemente dalla polizia d Macron: di cui i media italiani che oggi strombazzano la rivolta negra in odio a Donald, non hanno mai detto nulla. I Gilet Gialli, com Occupy Wall Street, sono bianchi e troppo ben educati, si sentono ancora tenuti ai valori della patria e ai sistemi di protesta pacifica. Adesso, la recessione mortale post pandemia, indotta di Ricchi di Stato, farà emergere la protesta dei milioni di clandestini regolarizzati, che nessun affetto, solidarietà e cultura lega al Paese. Allora potremo vedere scene così:
Queste sono le immagini di Minneapolis. Città Democratica in uno stato Democratico. Con un sindaco che adora I Clinton, che fingeva di piangere al funerale di Floyd solo per le telecamere pic.twitter.com/bnqpiXfbsU
— Steven Fellas (@SFalax) June 7, 2020
POLITICA
Mes, o fine dell’aiuto Bce. Mangia: il Pd ci vende ai tedeschi
Grazie al governo Conte, l’Italia dovrà entrare nel Mes per non vedersi rifiutare gli acquisti di Btp dalla Banca Centrale Europea. Lo afferma Federico Ferraù sul “Sussidiario“, in un’intervista con Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano. Finora, gli avversari del “vincolo esterno” si sono opposti al Mes contando sugli acquisti della Bce: c’è la banca centrale, dunque il Mes non ci serve. Ma se la Bce dovesse interromperli? «Lo scenario è l’ingresso dell’Italia nel Mes come contropartita degli acquisti: il nostro paese dovrebbe entrare nel Meccanismo Europeo di Stabilità per consentire la prosecuzione degli acquisti illimitati». Christine Lagarde ha chiesto di approvare rapidamente il bilancio 2021 e il Recovery Fund: come dire, sbrigatevi, perché il gioco non può continuare. Ma a che servono, i prestiti del Recovery Fund e del Mes, se la Bce sta facendo gli “straordinari”? «A rigore non dovrebbero servire a nulla», sostiene Mangia: «La Bce sta facendo quello che avrebbe fatto la Banca d’Italia prima del divorzio Ciampi-Andreatta del 1981. Che è poi quello che stanno facendo tutte le banche centrali del mondo. Solo che lo deve fare di nascosto, coprendosi dietro cortine fumogene».
La Bce, spiega il professore, è stata costretta ad anticipare i tempi: compera tutto quel che deve comperare, e poi qualcuno si attende che si entri nel Mes come contropartita. Da qui le pressioni concentriche, anche da parte di Confindustria. «Non capiscono le implicazioni che avrà il Mes sul sistema bancario italiano e sulle loro possibilità di finanziamento future», avverte Mangia, che segnala la recessione annunciata da Bankitalia (una flessione di almeno il 13% del Pil). Addio possibilità di finanziare le imprese: «Altro che 2011. E con un debito pubblico downgradato dalla presenza di creditori privilegiati, dove andrà il valore del debito pubblico che hanno in pancia?». Sul Mes, pesano le pressioni politiche «soprattutto di qualche partito che, a Mes attivato, spera di continuare a governare l’Italia per conto terzi, come sta facendo adesso». Evidente l’allusione al Pd. E poi ci sono le pressioni degli stessi funzionari del Mes, «che rilasciano interviste da piazzisti promettendo sconti a prestiti che nessuno vuole, a parte il partito del “vincolo esterno”». Insiste Mangia: «Quella del Mes sembra ormai una televendita: più si aspetta, più il prezzo per entrare si abbassa». Ma la fregatura è scontata: «Stupisce chi se ne fa fautore, favoleggiando di rinnovi del sistema sanitario nazionale con un finanziamento a termine e a condizioni capestro».
Finora – osserva Ferraù – l’iniziativa di Francoforte ha poggiato esclusivamente sull’importanza dell’Italia per l’Eurozona, sul nostro essere “troppo grandi per fallire”. E invece? «E invece la Bce, pur facendo tutto quel che dovrebbe fare una banca centrale, ha i suoi problemi. In Germania e non solo in Germania il fastidio verso il Pepp è fortissimo, visto che è un aggiramento se non una violazione dei Trattati. Tant’è vero che in Germania è all’ordine del giorno il dibattito sull’opportunità di lasciare la zona euro». Insomma, è Berlino a mettere sotto pressione la Lagarde, che sta aiutando l’Italia. «Cosa succede se dall’oggi al domani la Bce, o meglio la Banca d’Italia su mandato Bce, smette di comperare sul mercato secondario, come già è successo in passato?». Stupisce, secondo Mangia, che il Tesoro non approfitti di una situazione oggi eccezionalmente favorevole, per finanziarsi: «Che si mettano sul mercato 15 miliardi con una richiesta di 100 è singolare, no? Sembra quasi che si voglia restare con la cassa prosciugata per poter dire che non si possono non prendere 36 miliardi e finire in mano alla Troika». Intanto, il 5 giugno persino la Grecia ha detto no al Mes sanitario. «Anche se ormai viene offerto a tassi negativi, il Mes non lo vuole nessuno. E chi se lo è preso (come la Spagna) ne è voluto uscire prima del tempo. Questo dovrebbe dire qualcosa».
Dunque lo si vuole solo in Italia, il Mes? «Lo si vuole solo in Italia e solo da qualcuno. Chissà perché. Mi sembra un fatto molto politico e molto poco economico», osserva Mangia, che avverte: prima o poi, sotto la pressione della Germania, gli auti straordinari della Bce finiranno. Il 5 agosto ci sarà la resa dei conti di fronte alla Corte Costituzionale tedesca di Karlsruhe sugli acquisti selettivi della Bce. E non è un mistero che in Bce ci si prepari al peggio. Sull’Italia, buio pesto: «Politicamente, i 5 Stelle non esistono più: servono solo come massa di manovra al Pd in cambio di un prolungamento della legislatura». Per Mangia, «il problema che abbiamo da quasi trent’anni è quello di una Repubblica parlamentare senza più partiti, costretta a farsi governare da presidenza della Repubblica e magistratura». Cosa aspettarsi? «Come minimo, l’assalto delle categorie che si aprirà nel gennaio 2021, quando arriveranno i primi prestiti dall’Europa sotto specie di Recovery Fund. Tutti hanno bisogno di soldi, e quindi è un momento di grandi occasioni che aprirà la sagra del peggio. Tutti alla ricerca di mance e mancette, come ai tempi delle finanziarie di trent’anni fa». Con quale differenza? «Adesso il paese è molto più povero e disarticolato. E senza classe politica», chiosa Mangia. «Tant’è vero che, invece di rivolgersi ai partiti, ci si rivolge alle task force».
“Stati Generali” – Insulto a un (ex) popolo
Accettare che Conte chiami “Stati Generali” il raduno che ha indetto il pugliese con la sua junta, è segno insieme di impostura, di ignoranza profonda di cultura politica, per tacere della cultura generale.
Gli Stati Generali che Luigi XVI chiamò nel 1789, erano la convocazione di un Parlamento; il contrario esatto di quello “convocato” dal piccolo Ceausescu pugliese fra gli applausi mediatici, partitici e l’approvazione del Colle : che è un ricevimento ad inviti, senza alcun mandato deliberativo, e nemmeno consultivo. E a porte chiuse.
Gli Stati Generali si chiamavano così perché erano la chiamata dei tre ceti (clero, nobiltà, terzo stato) ai quali il governo doveva chiedere aumenti delle imposte per risanare le sue finanze disastrose. Non erano stati convocati da 170 anni, perché se ne conosceva la tendenza – tradizionale – antagonista rispetto all’esecutivo, la forza della sua legittimità che limitava le prerogative regie.
I delegati degli Stati Generali erano infatti eletti per voto generale, ancorché per ceto e con particolarità a volte cervellotiche: nel clero ad esempio i monaci ebbero un voto per ogni convento, mentre i canonici uno per ogni gruppo di dieci; e quest’assurdità non veniva, come si può credere, dalla tradizione medievale; al contrario, era una novità: “il regolamento del 24 gennaio emanato dal Consiglio (regale) che sconvolse l’ordinaria procedura di convocazione per sostituirla con un sistema complicato che diede ad ogni partito l’impressione di essere danneggiato” (Gaxotte).
Ma tuttavia, il guardasigilli del re, Barentin, istruì i funzionari locali di “non permettersi in alcun modo di intervenire per forzare la libera scelta ai votanti”. I 1100 e passa rappresentanti che vennero a Versailles ad aprile, erano dunque stati davvero liberamente eletti, circoscrizione per circoscrizione; e coscienti di essere davvero “rappresentanti” , consapevoli della forza di tale legittimità.
Solo che nel parlamento così convocato, così nuovo, si votava per ceto e non per testa: ogni ceto si riuniva a parte; tre voti, uno per ogni “stato”. Poiché clero e nobili – che erano anche quelli “privilegiati”, godenti di esenzioni medievali fiscali, avevano comuni interessi e potevano mettere in minoranza il Terzo Stato, i delegati di questo – notai, avvocati di provincia, Robespierre, il grandioso Mirabeau – chiesero subito di votare “per testa” (il loro numero era pari a quello dei rappresentanti de due stati primi) ; gli altri tirarono in lungo, in discussioni concludenti.
“Il 10 giugno il Terzo Stato, stanco di chiedere il voto per testa e la verifica in comune dei poteri (ossia la riunione plenaria di tutti i rappresentanti), si proclamò Assemblea Nazionale; il clero s’erano unito (a debole maggioranza) al movimento; il 20 trovata chiusa e guardata dai soldati la sala delle deliberazioni, si adunò in quella destinata al gioco della pallacorda, e giurò di non sciogliersi prima d’aver votato la Costituzione. Il re mandò un debole ordine, di tornare a riunirsi per “stato”. Mirabeau, a nome della Costituente appena creata, rifiutò; poco dopo si unirono ai ribelli 47 aristocratici capeggiati dal duca d’Orléans”.: ormai la ribellione aveva la forza della legittimità di rappresentare l’intera nazione. Mirabeau, il genio politico, voleva salvare la monarchia, rendendola costituzionale. Ovviamente la corte non capì, e andò incontro al suo destino.
Il potere parlamentare passò da Mirabeau, “che non s’era mai dato il diritto di ritardare la sua azione pubblica per preservare la sua onestah privata”, al portere dell’Onestah onestah, dell’Incorruttibile per eccellenza, “alla sua metafisica e ai suoi inutili crimini” nati dalla mediocrità “morale”.
Oggi, in Italia, con gli “stati generali”, un ex-popolo senza dignità civile si lascia espropriare dei suoi diritti politici, da imbelle baratta la forza della sua legittimità per paura di una malattia al 90 per cento immaginaria, si lascia insultare da aedi che prescrivono alla “opposizione” di unirsi a quel ricevimento ad inviti, che dovrà “dare delle idee”.
Violazione più radicale delle istituzioni democratiche non posso immaginare, ed è in corso impunemente. In qualche modo, sotto i nostri occhi, avviene il contrario del giuramento della Pallacorda del 1789.
E’ l’applicazione del principio orteghiano: il barbaro interno non civilizzato vive nella civiltà come se fosse la natura primigenia, che gli regala i suoi frutti senza coltivo; non capisce che i benefici di essa – la tecnica, la medicina, il diritto, le forme della politica – sono il risultato di una storia, di una crescita di cultura nei secoli: storia che l’ex popolo non conosce e di cui si sente estraneo, come ogni vero extracomunitario. Questo dicono l’abbattimento delle statue in altre parti del mondo, dove i neo-barbari mantengono almeno l’energia fisica per farlo: non apparteniamo a questa civiltà e alle sue conquiste duramente guadagnate col sangue.
Ma “nello storia, è la vitalità delle nazioni che trionfa, non la perfezione formale degli Stati” (Ortega y Gasset). Si tratta di vedere se i rivoltosio vegani e Antifa sapranno fare la querta rivoluzione anglosassone. Perché ha ragione Meyssan a vedere che “la cultura anglosassone ha provocato tre guerre civili [3]:
– la prima guerra civile inglese, quella di Cromwell, che portò a decapitare il primo re in Europa, Carlo I (1642-1651);
– la seconda guerra civile inglese, o Guerra d’Indipendenza americana (1775-1783);
– la terza guerra civile anglosassone, o Guerra di secessione americana (1861-1865), con 600 mila morti e non sarebbe finita, se “il generale Lee, non si fosse rifiutato di continuare la guerriglia dalle montagne, scegliendo l’unità nazionale”
https://www.voltairenet.org/article210176.html
In Italia, un ex popolo di tatuati aspiranti alla movida del sabato , non sa nemmeno che cos’è il meraviglioso artefatto chiamato “civiltà”, in cui vive; non si sente dunque impegnato alla sua manutenzione, non prova solidarietà né responsabilità per la sua continuità. Senza carattere e senza volontà, lo sganghera mentre lo consuma e lo rovina, si incretinisce, né studia né lavora e spera nel reddito parassitario di cittadinanza, nelle elargizioni dei Ricchi di Stato che lo svendono agli stranieri. Elargizioni che presto finiranno, essendo a debito, pagate in una valuta troppo forte per chi non se la guadagna.
Fra pochi anni, l’italiano come lo conosciamo, abitante in abituri tribali, tatuato e con orecchini, perennemente affamato, idiota, sarà la dimostrazione perfetta che i selvaggi non sono dei primitivi, ma dei degenerati – degradati, scesi al disotto del livello di antiche civiltà cui, un tempo appartenevano.
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/stati-generali-insulto-a-un-ex-popolo/
IL VANTAGGIO DI NON AVERE UN GIUDICE (con novità)
@robersperanza
Comodo, vero?, che non ci sia un magistrato che apra un dossier? Per indagare, che so, se il ministro Disperanza ci ha guadagnato? E quanto?
Per inquisire in che sede e con quali regole e valutazioni è avvenuta questa transazione miliardaria? Al di fuori di ogni controllo non solo parlamentare ma anche contabile, senza concorsi e senza aste? Aggiudicazione diretta?
400 milioni di dosi di che cosa, poi, precisamente? Di un indeterminato vaccino contro quale virus? Quello che sta passando tanto rapidamente che i fabbricanti del vaccino, proprio quelli di Oxford, lamentavano di non trovare pazienti, ché l’epidemia stava finendo troppo presto?
Un magistrato potrebbe subodorare una colossale impostura a scopo di lucro, messa a segno da una associazione a delinquere indicativamente additabile nei ministri della sanità della UE – su questo affare girano miliardi – , guidati dalla Organizzazione Mondiale della Sanità: organizzazione che ha fonti di finanziamento private equivoche, e sulla gestione della “pandemia” presente s’è segnalata per comportamenti e finalità sospetti, contraddittori, fraudolenti e menzogneri.
La recidiva
Se ci fosse un magistrato gli si potrebbe segnalare che l’OMS è recidiva nello spaccio agli Stati di farmaci inutili, creando allarmi per epidemie che non si sono verificate, che hanno fatto guadagnare miliardi a farmaceutiche a spese dei contribuenti.
Come da quetso titolo di Repubblica:
il farmaco inutile contro l’aviaria pagato dai governi oltre tre miliardi
Ricerca indipendente “smonta” il Tamiflu: inefficace per influenza suina e dei polli
di CORRADO ZUNINO
dove si apprende che
L’Italia, governo Berlusconi, Storace ministro della Salute, autorizzò l’acquisto di antivirali per il 10 per cento della popolazione: sei milioni di confezioni. La Roche spa, tra il 2003 e il 2005, quadruplicò le vendite nel mondo.
https://www.repubblica.it/salute/medicina/2014/04/11/news/il_farmaco_inutile_contro_l_aviaria_pagato_dai_governi_oltre_tre_miliardi-83286445/
Con questi precedenti, i ministri hanno scelto loro, in base a quali ragioni, un vaccino “promettente”? chi olo dice, che è promettente? Disperanza non risulta laureato in medicina. La sua certezza “solo col vaccino vinceremo definitivamente il Covid”, da dove la trae?
Dobbiamo fare un atto di fede? Nel pieno della secolarizzazione compiuta, credere che un laureato in non so che scienze politiche ci impone una terapia che – ce lo giura lui – ci guarirà? Da cosa deve guarirci, se il 95% non è malato, non è stato toccato dal Covid?
Vuol dire che se non accetteremo di farci vaccinare, non recupereremo la nostra libertà.
Questo è chiaro; ma 400 milioni di dosi per un promettente vaccino quelconque contro un virus che non c’è più? O non c’è ancora? Un virus n’importe quel?
Se ci fosse un magistrato, vedrebbe in questo l’analogo della vecchia truffa in cui non cade più nessun turista straniero, la vendita della Fontana di Trevi da un tizio che se ne dice proprietario. Ma aggravata dalla malversazione di una cifra enorme di denaro pubblico: senza alcun controllo, signor giudice?
Attentato alla salute pubblica
E ancor più grave il rischio per la salute pubblica: nessun vaccino è privo di effetti collaterali anche letali.
Con questo, il pericolo è doppio: sia perché non testato (NOI saremmo le ‘cavie’) , sia perché nelle case di riposo dove c’è stata un’altissima percentuale di decessi, il 98 per cento dei ricoverati deceduti era vaccinato con un vaccino anti-flu simile al “nuovo” (A. De Bonis, medico)
Qui è peggio:
Speranza espone a morte un numero imprecisato di italiani per cosa? Per una malattia che presenta rischi solo per gli ultra-ottantenni e che non ha conseguenze nel resto della popolazione.
Se ci fosse un giudice, gli si potrebbe segnalare come è composto il vaccino per un Covid che non c’è più e che comuinque si presenterà mutato: “Il vaccino si basa sulla tecnica del “vettore virale”, ossia l’utilizzo di un virus simile a quello che si vuole prevenire ma non aggressivo, a cui si “incollano” le informazioni genetiche che si spera facciano scattare la risposta immunitaria dell’organismo”.
“Si spera”, da parte dei fabbricatori.
“Questo vaccino in particolare utilizza un vettore virale di scimpanzè con deficit di replicazione basato su una versione indebolita di un comune virus del raffreddore (adenovirus), che causa infezioni negli scimpanzè e contiene il materiale genetico della proteina spike Sars-CoV-2…
“A distribuirlo sarà il colosso farmaceutico AstraZeneca, che come detto ha già concluso accordi multimilionari con il Regno Unito, gli Stati Uniti, la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations e Gavi the Vaccine Alliance di Bill Gates per 700 milioni di dosi e ha concordato un accordo di licenza con il Serum Institute of India per la fornitura di un ulteriore miliardo di dosi, principalmente destinate ai paesi a basso e medio reddito. La capacità produttiva totale è attualmente pari a due miliardi di dosi”.
Se ci fosse una magistratura, si potrebbe segnalare che Astrazeneca è stata ripetutamente coinvolta in operazioni riprovevoli, qui citate:
https://it.wikipedia.org/wiki/AstraZeneca
Un vero giudice troverebbe degno di inchiesta il collegamento di AstraZeneca con “Moderna” come partner/investitore insieme alla “Bill &Melinda Gates Foundation” che è investitore decisivo proprio per far nascere Moderna. Stante il legame Bill Gates–>Moderna–>AstraZeneca assume nuovo significato la famosa telefonata di Bill Gates a Conte. “Non dimentico mai che in giro c’è gente che può far trovare 100 milioni di dollari in contanti alle isole Cayman a qualsiasi politico sia bene si pieghi ai loro disegni” (prof Matteo D’Amico) .
Se ci fosse un giudice, gli si mostrerre questo articolo del 22 dicembre 2017 – anni prima della comparsa della “pandemia” :
NANOCHIP VACCINALI GLAXO-HITACHI E INQUIETANTI INTRALLAZZI RENZIANI
DI GIANNI LANNES
…. Nei nuovi vaccini da sperimentare per la prima volta al mondo proprio in Italia ci sono i nanochip, ovvero dei microchip miniaturizzati che stanno dentro l’ago di una siringa ed entrano in circolo nel corpo umano e vanno ad interagire con il DNA. Il rischio e pericolo? Il controllo totale degli esseri umani trasformati in automi telecomandati.
NANOCHIP DA SORVEGLIANZA DI MASSA INSERITI NEI VACCINI
I nano-microchip invisibili all’occhio nudo sono una realtà già utilizzata in un’ampia gamma di applicazioni.
La nanotecnologia si occupa di strutture più piccole di un micron (meno di 1/30 del diametro di un capello umano), e comporta lo sviluppo di materiali e dispositivi di tale dimensione. Per fare un esempio, un nanometro è 100.000 volte più piccolo della larghezza di un capello umano.
Tre lustri fa, tecniche a basso costo hanno migliorato la progettazione e la produzione di nano-microchip. L’uso congiunto della nano-elettronica, della fotolitografia, e di nuovi biomateriali, ha fornito la tecnologia necessaria per la costruzione di nano-robot per le applicazioni mediche comuni: strumenti chirurgici, per la diagnosi e per il rilascio dei farmaci.
Questi nano-microchip sono stati inseriti all’interno dei vaccini per etichettare e sorvegliare la popolazione mondiale.
Un microchip cutaneo permetterà di monitorare lo stato fisico di una persona, trasmettendo i dati dall’ospedale mediante un server. Tale microchip è stato ideato da Abderrazek Ben Adballah, ingegnere informatico tunisino che lavora all’università giapponese di Aizu. Alimentato dalla bioenergia e da reazioni chimiche nell’organismo, il microchip fornirà ai medici indicazioni su pressione sangue, temperatura organica, dati cardiologici e altro ancora. Si pensa a prossima sperimentazione su persone anziane.
Provate a indovinare chi sta dietro? Facile: Glaxo Smith Kline. Addirittura all’Ibm il 31 marzo 2016 l’allora primo ministro Matteo Renzi, mediante un accordo segreto ha concesso i dati sanitari sensibili della popolazione italiana, in cambio di un investimento di appena 150 milioni di dollari a Segrate.
Il progetto è decollato un mese fa in Lombardia sulla pelle di 3 milioni di ignari residenti, grazie al beneplacito di Roberto Maroni. Il 3 luglio scorso ho chiesto pubblicamente a Matteo Renzi di spiegare la provenienza di ben 4 milioni di euro recapitati alla sua fondazione Open. A tutt’oggi non ho avuto alcuna risposta. Chi ha dato a Renzi tutti quei soldi e perché?”
Questo può spiegare l’ambiguo silenzio del governatore Fontana sulle precedenti vaccinazioni come causa della maggiore tragica gravità del virus in Lombardia. Sta coprendo Maroni?
Invece niente. Non abbiamo magistrati zelanti come quelli che stanno indagando sulla zona rossa mancata in Lombardia, né sui camici regalati dal cognato del governatore Fontana .E se se ne trova uno, gli è toltra l’indagine:
La Pm che ha interrogato Conte dovrà lasciare l’ufficio di Bergamo. Sarà sostituita da un fedelissimo di Palamara
VEDI ANCHE:http://www.imolaoggi.it/2020/06/14/la-pm-che-ha-torchiato-conte-lascera-ufficio-bergamo/
Dunque ci vaccineranno tutti, pagando centinaia di milioni, questo autunno, senza una utilità altra che per lorsignori e il loro progetto. In queste mani:
VEDI ANCHE: https://twitter.com/ItalyQanons/status/1271844468069711874
SCIENZE TECNOLOGIE
App Immuni, solo questione di immagine?
di Angela Lupo
L’intervento dell’avvocato Angela Lupo sull’app Immuni
Da qualche giorno si può scaricare l’App Immuni, l’App che il Governo – Ministero dell’Innovazione in collaborazione con la task force di esperti – ha ideato per arginare i contagi da Covid-19.
In rilievo l’App riporta l’immagine di una donna con un bambino e di un uomo al pc: come dire la donna a casa e l’uomo al lavoro in ufficio. Questo almeno ciò che si leggerebbe.
Una copiosa moltitudini, tra parlamentari e cittadini, hanno sollevato l’annosa questione di “genere”, chiedendo la rimozione o almeno la modifica dell’immagine.
Dopo il polverone, sembra già che verrà cambiata la grafica dell’App Immuni, stante quel che si apprende dal Ministro Paola Pisano.
Stereotipo di genere? Insulto alle innumerevoli donne che lavorano? Regressione culturale del Paese? Chi può dirlo?
E se fosse semplicemente il modo per “attirare” attenzione nei confronti di un applicativo nuovo, se fosse una sorta di modalità indiretta pubblicitaria per captare l’umore e la rispondenza della funzione Immuni?
Di fatto, le prime persone a dare “attenzione” al mondo dell’App Immuni, ormai in funzione, sono state in gran parte donne, sia pure per una questione di “stereotipi di genere”.
Eppure, per l’intera durata di costruzione e implementazione, l’App Immuni ha ricevuto ben altre attenzioni. La maggior parte delle critiche sono state appuntate più sul funzionamento dell’applicativo e sulle eventuali possibili conseguenze dello stesso, tra cui privacy, conflitti d’interesse e utilità.
Questa volta, però, il polverone – si fa per dire – è stato sollevato, nella stragrande maggioranza, da donne ma non solo, su una questione squisitamente di forma e di immagine.
L’immagine della mamma con il bambino è un’immagine bella: personalmente la lascerei.
L’attenzione piuttosto andrebbe posta sulla funzione dell’App Immuni, sulla reale utilità di scopo di questa funzione. Sull’onda coreana, forse, si sono concepiti modelli che non sempre hanno la medesima funzionalità e utilità, se applicati in aeree di Paesi diversi, con una cultura differente e una storia sanitaria altrettanto diversa.
Forse chi ha disegnato la grafica dell’App Immuni ha pensato a qualcosa per cui distinguersi dal modello coreano: ieri abbiamo ricordato la nascita simbolica della Repubblica italiana, sorta a seguito di Referendum che, sulla scheda elettorale, imponeva la scelta tra “monarchia” e “repubblica”, quest’ultima impersonata da una donna, con il volto rivolto a ponente, sull’intera penisola italiana.
Sono immagini forti, distintive, inequivocabili.
L’App Immuni ne presenta un’altra, di altro genere, ma con una componente femminile importante, quella di madre. E’ molto bella questa immagine in sé.
Sarebbero bastate, piuttosto, altre immagini in aggiunta: quella di un uomo con il figlio e quella di una donna al lavoro.
Per avere parità di storia e di condizione alla grafica dell’App bastava e basta aggiungere.
Ora più che mai, all’indomani di questa epocale pandemia, occorre dare un’immagine collettiva di Popolo, fatto di donne e uomini, bambini e anziani, lavoratori e pensionati.
Disegnando una funzione App – una qualunque riferita all’Italia – bisognerebbe ricordarsi non di imitare un modello (coreano o di altra nazione del Mondo), ma di presentare l’immagine di noi, dell’Italia cioè nel Mondo.
Non è questione di stereotipi di genere, né di genere: è solo questione di creare un’idea di Paese post pandemia, anche solo attraverso l’App Immuni, un applicativo che va necessariamente migliorato, rendendolo più fruibile per il sistema sanitario locale in primis.
FONTE:https://www.startmag.it/innovazione/app-immuni-solo-questione-di-immagine/
Immuni, chiedete e vi sarà dato
Cassandra Crossing/ Visto che laggiù forse ascoltano Cassandra, ripetiamo due cose importanti.
[ZEUS News – www.zeusnews.it – 02-06-2020]
Una volta si diceva che un motociclista ottimista si riconosce dai moscerini tra i denti. Ora i caschi sono integrali e certi indizi bisogna cercarli in modo diverso.
Il lavoro del programmatore è vivere in un mondo in rivoluzione permanente, in cui i problemi sono sempre gli stessi e la miglior rivoluzione è una conservazione intelligente di pochi principi di base. È proprio valutando questo che si può di analizzare andreottianamente quello che succede.
Oggi abbiamo anche alcuni sorgenti del lato server dell’app Immuni. Ottima cosa, dovuta in effetti fin dall’inizio. Ma ancora una cosa parziale.
La questione irrisolta è se si voglia fare bella figura con le persone (e questo obbiettivo di marketing è ormai stato raggiunto) o si voglia davvero sfruttare (sì, proprio sfruttare) il circolo virtuoso del software libero. In questo caso mancano ancora parecchie cosette, e il diavolo, come sempre, sta proprio nei dettagli.
Per innescare il circolo virtuoso che porta a contributi esterni e maggiore sicurezza, si deve permettere di riprodurre il software completo, per consentire di fare test e sviluppo, in maniera rapida ed efficiente. Senza sprecare quel tempo, che volontariamente molte persone possono regalare, con il lavoro non necessario di riuscire a riprodurre, faticosamente e a tentativi, il software e l’infrastruttura di test.
Questo vuol dire documentazione (tecnica, non solo politica o gestionale) in forma di brevi documenti, script di compilazione, un minimo di verifica che tutto funzioni. Un piccolo esempio di cosa è ancora da fare? Permission sui repository referenziati negli script.
Lo so, si può aggirare, ma perché deve essere necessario?
Un altro piccolo esempio? Script per la riproducibilità binaria dell’app. Dove sono? Su, basta poco, li avete. Aggiungeteli con due righe due di spiegazione del processo di build.
Lo so, questo costerà un po’ di tempo (ma non tanto) di una persona che potrebbe invece lavorare (“sudare”) sul codice, e sarebbe uno spreco. No, non è uno spreco, è una risorsa preziosa.
Questo è il discorso sballato (il solito discorso sballato) che Cassandra ha sentito mille volte dal capo di turno in una vita lavorativa da (più o meno) softwarista. “Non serve, non è il momento, non c’è tempo…”
No, è indispensabile, ed è ora il momento perfetto; poche ore di lavoro per far partire e curare un prezioso feedback (e anche questo dovrà essere gestito) di aiuto, bugfix, informazioni, correzioni; un contributo impagabile e che premierà senza alcun dubbio con sicurezza ed efficienza. Sicurezza ed efficienza, il circolo virtuoso del software libero. Pare che anche il Copasir sia d’accordo.
Non è un problema di gestione di un gruppo di lavoro; è un problema (il solito problema) di reale convinzione e volontà (povero me!) politica. Lo si vuol veramente fare? Allora va fatto con la massima convinzione e intensità.
Poi, se di Immuni ci sia davvero bisogno, e se i rischi che comporta valgano la candela dei possibili benefici… beh, come diceva la voce narrante di Conan il Barbaro, “questa è un’altra storia”. Ma certamente una Immuni sicura è meglio di una Immuni insicura.
FONTE:https://www.zeusnews.it/n.php?c=28096
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