RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
17 FEBBRAIO 2022
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Le volte che mi capita d’aver ragione sono sempre solo.
DIEGO DE SILVA, Le minime di Malinconico, Einaudi, 2021, pag. 23
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SOMMARIO
Ci hanno dichiarato guerra: si può ancora vivere, in Italia?
Propaganda Due: La loggia massonica assassina d’Italia, i “Banchieri di Dio”, il Papa e la mafia…
Le mosse dell’Italia intorno alla crisi ucraina
L’amministrazione Biden si oppone alla declassificazione di un rapporto sulle macchine per il voto
16 febbraio, indizi di false flag. I servizi russi segnalano “jihadisti” sulla linea del Donbass
“Il Signore degli Anelli vittima del politicamente corretto”: bufera online contro la serie Amazon
Draghi orientato a togliere tutte le restrizioni Covid dal 1 aprile
Italia è prigioniera dei “virus” politici?
Doveva essere un anno “meraviglioso”, invece arriva la solita batosta sul pil certificata.
Infowar: una guerra tra Occidente e Russia senza esclusione di colpi
Due interpretazioni della vicenda ucraina
REGIME CHANGE IN IRAN
LE 7 MISURE DEL MONDO
L’Oscurantismo si insegna nelle università USA – Presto anche qui
Quale è’ la differenza fra la Poesia e la Canzone, anche la migliore?
NWO, tutto procede secondo i piani
Lezioni Ecuadoriane: se il debito è illegittimo non si paga
BARBARA & CLAUDIA – Concerto il 17 marzo 2022 presso Auditorium – Roma
L’ultimo Robin Hood
Ecco come si costruisce la “bugia dell’immigrazione”
Scappano dalla “guerra” ma lì erano abituati a caviale ed aragoste, povere stelle…
Chi sono i fedelissimi di Putin
La matrioska Russa e le scatole Cinesi
La Svezia dice “no” alla Nato, ma ormai è legata all’Alleanza Atlantica
Biden nei guai: abbandonato da 30 deputati democratici
FARE LA GUERRA SUL SUOLO DEGLI ALTRI
Donald Trump accusa Hillary Clinton di aver organizzato il Russiagate
Mentre Mosca minaccia Kiev, il Pentagono prepara la guerra nel Pacifico
La Trattativa Stato-mafia
La dittatura degli intellettuali tutti di sinistra per interesse
ALTRI TASSELLI PER COMPORRE IL QUADRO: IL RUOLO DEL 5G
Alcuni ricordi storici, di cui alla fine capirete il senso.
IN EVIDENZA
Ci hanno dichiarato guerra: si può ancora vivere, in Italia?
Sussistono ancora, in Italia, le condizioni per quella che può essere definita una vera e propria convivenza civile? Quali danni procurerà, in termini di degrado sociale, l’inaudita indifferenza mostrata dalla maggioranza dei cittadini, nei confronti della minoranza perseguitata dal governo, in spregio a ogni rispetto dei diritti umani? La sensazione è che l’ignobile Tso – di cui si vantano, mentendo, le virtù sanitarie – possa scavare un fossato incolmabile tra chi vi si è opposto, nonostante tutto, e chi invece vi si è piegato per pavidità, opportunismo o disperazione. Una quota rilevante di italiani non vedeva l’ora di sottoporsi all’inoculo del siero C-19, contrabbandato per unica soluzione al problema grazie all’oscuramento delle terapie, largamente efficaci. Ferma restando la libertà di ciascuno – compresa quella, quindi, di chi ha inteso legittimamente sottoporsi al trattamento profilattico – è noto che milioni di connazionali hanno accettato l’iniezione solo in virtù del brutale ricatto governativo, per non veder azzerata la loro libertà, anche economica.
Ricapitolando: le autorità hanno fatto di tutto per peggiorare la crisi Covid, scoraggiando le cure allo scopo di riempire gli ospedali. Secondo round: hanno imposto il Tso in modo pressoché generalizzato, provocando disagi acutissimi. Terzo passaggio: hanno introdotto la schedatura personale, sul modello del credito sociale cinese. La vera notizia è che la maggioranza della popolazione non si è mai seriamente ribellata a tutto questo, nemmeno alle imposizioni più folli. Che poi nel frattempo la società sia rimasta terremotata, in mezzo al crollo di vasti strati del tessuto produttivo, non è che un’ovvia conseguenza. L’ipocrisia dell’establishment – esecutivo e partiti – continua a parlare di misure per fronteggiare la devastazione economica, come se fossimo comunque in tempo di pace. La guerra dichiarata ai cittadini – minacciati, ricattati, discriminati, esclusi dal lavoro e dalla scuola, dai servizi, dalla socialità – resta sostanzialmente un tabù: qualcosa di cui è letteralmente proibito parlare.
L’aggettivo “disgustoso” è francamente eufemistico: non descrive appieno il sapore dello spettacolo inflitto al paese, proprio mentre il resto del mondo sta finalmente chiudendo questo penoso capitolo. In pochi mesi, l’intera Italia – prossima all’ennesima, sciagurata svendita – sembra essersi trasformata in una gigantesca trappola: cresce la tentazione di sottrarvisi nell’unico modo possibile, cioè scappando all’estero. Palesemente, non esiste più alcun margine di agibilità politica: giustamente, Gianluigi Paragone accusa la Lega di Salvini di aver letteralmente tradito i suoi elettori, avallando gli infami decreti di Draghi. All’opposizione, insieme a “Italexit”, resiste il gruppo di Pino Cabras, “L’Alternativa C’è”. Quanto a Fratelli d’Italia, la Meloni si è limitata a un’interdizione solo simbolica, rituale, destinata a non incidere mai. Milioni di italiani hanno già divorziato, da questa politica, disertando in massa le urne alle amministrative di ottobre: ha votato solo un elettore su due, e ai ballottaggi uno su tre. E la situazione è in continuo peggioramento, senza soluzione di continuità.
Il Parlamento, ora, ha anche manomesso ulteriormente la Costituzione: viene introdotta la possibilità di limitare la libertà (anche la libertà d’impresa) per presunte ragioni ambientali o sanitarie. Secondo illustri giuristi si tratta di un altro colpo, pesantissimo, a quel che resta dello Stato di diritto. Ma il peggio è che, dagli italiani, non arrivano veri segnali di disapprovazione: il Canada sembra il remotissimo satellite di un altro pianeta. Qui, la maggioranza si piega al protrarsi criminoso di ogni diktat: illudendosi, probabilmente, che un giorno il temporale passerà da solo. Molti non sono neppure lontanamente sfiorati dal sentimento del rimorso per aver negato, a milioni di concittadini, anche la più elementare forma di solidarietà. Mors tua, vita mia? Certo che no; gli obbedienti non si rendono conto di essere vittime, anche loro: sia gli ipnotizzati (dalla paura) che gli opportunisti menefreghisti. E’ ancora un paese civile, questo, in cui l’umanità è stata degradata a tal punto? E’ ancora pensabile di poter vivere, in questa Italia? E’ concepibile che si possa continuare a sopravvivere come vermi sottomessi, senza che la giustizia punisca finalmente i farabutti?
(Giorgio Cattaneo, 17 febbraio 2022).
FONTE: https://www.libreidee.org/2022/02/ci-hanno-dichiarato-guerra-si-puo-ancora-vivere-in-italia/
“Il potere corrompe e il potere assoluto corrompe assolutamente”, era solito dire Lord Acton, e se aveva in mente il caso dell’enorme intrusione della tettonica italiana negli affari interni, allora aveva ovviamente ragione. La stampa italiana ha descritto la stampa italiana come “stato nello stato” e un “governo ombra”, senza precedenti nella storia mondiale della massoneria italiana, che ha subito confermato tutte le teorie del complotto per i processi clandestini e gli oscuri centri di decisione della Logge.
Tutto iniziò nel marzo del 1981, quando due pubblici ministeri milanesi stavano indagando su un finto rapimento avvenuto due anni prima. La “vittima” era il banchiere siciliano e consulente finanziario del Vaticano, Michele Sintona, i cui tentacoli arrivavano fino alla mafia, alla CIA e oltre.
I pubblici ministeri, invece, hanno trovato l’oro dove avrebbero potuto aspettarsi di meno: mentre scappava dall’arresto e si nascondeva dalle forze dell’ordine a Palermo, Sidona fece un’improvvisa apparizione ad Arezzo, una cittadina a quasi un miglio di distanza, per vedere il crociato tessile Lizio Jelli. Se qualcuno come Sidona lascia il suo nascondiglio per incontrare Licio Jelly, allora questa Jelly deve essere coinvolta in molte cose, hanno pensato i pubblici ministeri e hanno rivolto la loro attenzione a lui.
Il 17 marzo 1981, le indagini hanno toccato le corde: la polizia ha recuperato un elenco di 962 nomi dall’ufficio del produttore. Certo, non era per un think tank o una compagnia letteraria, ma per la famigerata Loggia massonica italiana, la P2 (Pe Due), di cui Jelly era il capo!
I nomi della nostra lista erano i meno colossali: tre ministri, 43 deputati, otto ammiragli, tutti i capi dei servizi segreti italiani, centinaia di diplomatici e alti funzionari pubblici, i capi di polizia delle quattro maggiori città, industriali e premier Ministro Silvio Berlusconi ovviamente) e consulenti alle imprese, l’editore del quotidiano “Corriere della Sera” ma anche 24 giornalisti e figure di spicco della televisione italiana. Cioè, quasi tutti!
E Michele Sidona, ovviamente. Ma anche il banchiere Roberto Calvi (ci occuperemo più avanti, quando il puzzle dell’orrore sarà in via di completamento), che sarebbe stato poi impiccato su un ponte londinese, nel tipico modo massonico di esecuzione, a poche centinaia di metri da una chiesa che appartenne nel medioevo ai Cavalieri Templari. Il simbolico ha sempre il suo significato. Per quanto si è saputo, ogni membro del P2 “Stoa in the Stoa” ha giurato obbedienza cieca al capo Jelly.
I 962 membri erano organizzati in 17 ranghi, ciascuno con il proprio maestro. Jelly ha persino gestito le sue teorie del complotto con una tale segretezza e professionalità che persino i membri non conoscevano nessuno tranne le proprie tasche. Solo il maestro di ogni grado conosceva tutti i membri. E che promozione deve essere stata per Jelly! Paramilitare in gioventù, ha combattuto nella guerra civile spagnola con le forze fasciste di Franco e in seguito è diventato un convinto sostenitore del fascismo locale, dando il suo cuore allo stesso Mussolini. Dopo che un gruppo di nazisti fuggì in America Latina, fu costretto a fuggire in Argentina dopo la guerra, quando divenne noto il suo coinvolgimento nelle torture della resistenza italiana. In Argentina divenne amico personale del presidente Juan Perρόνn.
Le rivelazioni hanno naturalmente sconvolto il mondo politico ma anche la vita quotidiana dell’Italia. Più la ricerca andava avanti, più oscura diventava la scena. L’italiano medio imparerebbe presto che la P2 (Propaganda 2) ha svolto un ruolo significativo nel governo e ha avuto la prima voce in capitolo nei tanti scandali che ogni tanto vibravano costantemente l’Italia. E, naturalmente, con l’aiuto dei fratelli massonici che erano cardinali, la P2 aveva trasformato il Vaticano in un’istituzione per il riciclaggio di denaro.
E se non bastasse, i pm colpirebbero ancora con nuove rivelazioni: “Propaganda Due”, come veniva eloquentemente chiamata, era diventata un potente braccio operativo della leggendaria mafia italiana, poiché dietro a molti omicidi politici e persino attentati terroristici. della cosiddetta “attività destabilizzante”, la rete parastatale che in Italia veniva chiamata “Gladio” (e in Grecia “Pecora Rossa”). Per molto tempo, il pianeta sconcertato ha appreso, Pe Doe ha incanalato fondi vaticani e fondi della CIA in paramilitari fascisti in Europa e America Latina. Michele Sidona, intanto, è stato arrestato per l’omicidio di un avvocato italiano, ma è morto in carcere dopo aver bevuto caffè avvelenato. Sidona non è stato solo consulente finanziario del Vaticano ma anche tesoriere della P2,
Come si è scoperto, era stato lui a finanziare adeguatamente i suoi “amici jugoslavi” e ad incanalare somme significative nella giunta del colonnello greco durante il colpo di stato dell’aprile 1967, sotto la benedizione della CIA. La commissione d’inchiesta del Parlamento italiano doveva produrre molte altre “spigole”: la P2 aveva diffuso i suoi tentacoli a livello internazionale ed era rimasta uno dei big in molte cose, dalla vendita di armi al commercio di greggio. Quanto a Licio Jelli, il nome oscuro dietro famigerati scandali bancari e massacri, alla fine ha mangiato 12 anni nello “stretto”, lo ha rotto e alla fine si è arreso alle autorità italiane dalla sua base in Argentina…
P2: uno Stoa dentro lo Stoa
Propaganda Due era un’insolita organizzazione tettonica, una Loggia Massonica “nera” che operò in totale segretezza in Italia tra il 1966 e il 1981. Lo scandalo ha rivelato che c’era lui dietro innumerevoli scandali reali e “misteri” in Italia, tra cui la rete nazionale di corruzione Tangentopoli, il crollo della Banca Ambrosia (Interessi vaticani) e gli omicidi del giornalista Mino Piazzo e Minerco Perez, solo per citarne alcuni . Nelle sue fila erano rappresentati anche il mondo politico, imprenditoriale, militare, paramilitare e giornalistico, dal momento che ne era membro anche il pretendente al trono italiano, Vittorio Emanuele di Savoia.
Sembra che questa Stoa abbia confermato tutte le accuse di azione oscura dei massoni e le teorie del complotto per il dominio del mondo. Lo slancio fu dato anche dallo stesso Jelly, nella cui dimora fu recuperato un documento con un titolo che lasciava poco all’immaginazione: “Piano del Rinascimento Democratico” (Piano di Rinascita Democratica) fu chiamato e comprendeva una serie di azioni che terrorizzano la Democratico: “Unificazione della stampa”, “repressione dei sindacati” e, ascolta-senti, “revisione della Costituzione italiana”!
Questa setta massonica stava davvero elaborando piani cupi ed era pronta a fare qualsiasi cosa per portarli in vita. E non ha fatto poco, è la verità. La propaganda era in origine una loggia massonica apparsa a Torino nel XIX secolo per avvicinare l’aristocrazia locale. Questa formazione tettonica, però, aveva poco a che fare con la Seconda Propaganda di Jelly, che fu istituita dal mafioso a margine della Grande Italia ufficiale nel 1966, due anni dopo essere diventato massone.
Reclutò i “membri dormienti” della Stoa ufficiale che non potevano più partecipare alle cerimonie massoniche, poiché la Massoneria italiana era passata sotto il controllo e l’alta supervisione della Democrazia Cristiana al potere. Con elevate conoscenze in tasca, Jelly ha fatto rete sia nell’arena degli affari che nell’oscuro mondo dell’intelligence e non ci è voluto molto prima che diventasse onnipotente. Furono infatti i legami del “Banker di Dio” Roberto Calvi con il “Rispettato Maestro” Licio Jelli a portare per la prima volta alla stampa l’ancor più segreta Stoa.
L’enigma non sarebbe stato completato, tuttavia, fino al marzo 1981, quando la villa di Jelly ad Arezzo fu inserita nella lista nera dei massoni e il “Rinascimento Democratico” portò un brivido di disgusto sul pianeta. L’obiettivo finale della Stoa era quello di creare una nuova élite politica ed economica che conducesse con arroganza l’Italia a una “forma autoritaria di democrazia” (!), come la descrivono vividamente, con un tono fortemente anticomunista. “L’obiettivo di dividere il movimento sindacale deve essere una priorità”, ci dicono P2 Masons, “per consentire ai sindacati autonomi di riunirsi con quelle componenti federali sensibili al successo del piano”.
Sia il giuramento in P2, sia la “soluzione finale” sognata dai suoi 962 Muratori furono pronunciati in una villa nascosta nell’Appennino Toscano, la cui privacy era assicurata da un muro certamente enorme. Lì, in una fontana con una testa di cobra enorme, una telecamera stava osservando chiunque fosse entrato nell’area. L’interno maestoso della villa d’epoca con marmi e oggetti d’antiquariato è stato completato dai ritratti di Mussolini, Hitler e Perρόνn. Lì si svolsero le cerimonie di iniziazione e gli incontri dei membri, di cui solo Jelly si presentò con il suo volto in una festa. Le cerimonie pagane includevano molti strani rituali, che furono rivelati da due membri dopo la rivelazione catastrofica nel 1981.
E se le oscure azioni politiche e gli omicidi della P2 sono disgustosi, i suoi rituali erano altrettanto spaventosi. Ogni membro ha indossato una maschera per tutto il soggiorno e le guardie del corpo personali di Jelly (senza dubbio le giacche nere vecchio stile di Mussolini) si sono assicurate che nessuno dei 12 partecipanti avrebbe fatto colpo alla volta. Lì il nuovo arrivato ha prestato giuramento ad occhi chiusi: “Senza tessera sono cieco. Ma con l’aiuto degli altri, la visione si schiarisce “…
Il “governo ombra” della P2 che ha rovesciato il governo democraticamente eletto
Era il 1982 quando il Banco Ambrosiano (Banco Ambrosiano) crollò, innescando un domino di sviluppi che lasciò un’ombra indelebile sulla vita italiana. Il Vaticano deteneva una partecipazione significativa in Ambrosiano, e iniziò a dispiegarsi lo scandalo che avrebbe coinvolto sia il “Banker di Dio” (Presidente di Ambrosiano) Roberto Calvi che i cardinali di Terra Santa. La cosa comincia a scappare quando vengono emessi i primi odori per il coinvolgimento anche del Santo Padre, Papa Giovanni Paolo I! La Banca Vaticana è ora apertamente accusata di riciclaggio clandestino di denaro negli Stati Uniti, utilizzando il Banco Ambrosiano come canale.
L’onnipresente Licio Jelly, che ora è accusato di bancarotta fraudolenta, viene gettato nella mischia e le centinaia di milioni di persone in fuga da Cosa Nostra si nascondono lì. Gli sviluppi sono catastrofici e confermano anche gli scenari complottistici più folli: il “banchiere di Dio” Roberto Calvi viene condannato a 4 anni di reclusione, ma viene rilasciato fino all’udienza dell’appello. Nonostante i guai, mantiene la sua posizione in banca, come tutti lo vogliono: Vaticano, Massoni e Mafia.
La Banca Ambrosiana viene acquisita da Carlo de Benedetti, che assume le funzioni di vicepresidente, che lascia solo due mesi dopo per salvarsi la vita dalle ripetute minacce della mafia! Il suo successore, Roberto Rosone, è ferito in un incidente con l’organizzazione mafiosa che controlla la malavita di Roma almeno dalla fine degli anni ’70. Ma cosa taglia così tanto la mafia, chi gestisce la banca? La risposta arriva nel 1982, quando nella riserva Ambrosiani viene ritrovata una cifra vagante senza alcuna fonte apparente. Erano esattamente 1.287 miliardi di dollari! Calvi sta fuggendo dal Paese per evadere dal carcere, ma il 18 giugno viene impiccato a Londra a causa del collasso della sua banca. La designazione originale “suicidio” viene quindi cambiata in “omicidio”.
Quanto segue non rientra nel buon senso. Quando Jelly viene assicurata alla giustizia (insieme all’ex presidente del consiglio socialista Betino Craxi) apprendiamo che il massone è riuscito a tirare le fila sottoterra in strani casi di scandali politico-economici in Italia negli ultimi cinquant’anni! La sua loggia massonica non fu solo il principale finanziatore dei politici di estrema destra, ma anche la mente del paramilitare e anticomunista “Gladio” (e del ramo greco della “Pecora Rossa”), che mantenne così buoni legami con l’America servizi segreti (e britannici, come si è scoperto in seguito). Jelly era anche dietro il fallito colpo di stato con l’arresto del presidente italiano Giuseppe Saragat, apparentemente facendo quello che stava predicando.
Anni dopo, nel 1990, il Presidente del Consiglio italiano, Julio Andreotti, confermò inequivocabilmente in Parlamento che “dal 1950 in poi, con l’aiuto della CIA e di agenti britannici, fu organizzato un servizio di intelligence illegale, per far fronte a possibili attività sovversive o attacchi di parte dei sovietici… La rete resta!”. Andreotti ha fotografato la P2, come fino ad allora tutti erano a conoscenza del suo coinvolgimento in “Gladio”, lasciando l’Europa ancora una volta un iceberg.
Ma torniamo ai primi anni ’80 per vedere qualcosa di altrettanto interessante: il governo reazionario che Pa Dou era pronto a formare in caso di vittoria elettorale del Partito Comunista d’Italia! Attraverso gli abbondanti fondi del Vaticano, il pieno sostegno dei servizi segreti statunitensi e britannici e le sue losche relazioni con i regimi o parastatali di Uruguay, Brasile e Argentina (giunte e membri del governo), la P2 sembrava invincibile. Talmente invincibile che non ha esitato a orchestrare l’attentato terroristico di Bologna e poi ha fatto di tutto per insabbiare la sua azione.
Sia Jelly personalmente che altri membri della P2 (come il capo dell’intelligence italiana e membro di spicco della Stoa, Pietro Musumeci) hanno tentato di bloccare le indagini sulla stazione ferroviaria di Bologna, che ha causato la morte di 85 persone e 200 feriti. Si tratta del bombardamento della stazione della città italiana il 2 agosto 1980, che sarebbe stato l’atto terroristico più sanguinoso della storia d’Italia dopo la seconda guerra mondiale!
Il Primo Ministro italiano, Arnaldo Forlani, il capo del suo ufficio e molti membri del suo governo che erano sulla “Lista dei 900” di Jelly, hanno incaricato una commissione d’inchiesta parlamentare di determinare i limiti dell’intrusione massonica nella vita politica. La portata fu tale che nel maggio 1981 fu costretto a dimettersi sotto il peso dello scandalo che lo fece cadere!
Nel luglio 1982 un altro articolo normativo P2 fu scoperto sul doppio fondo della valigia della figlia di Jelly all’aeroporto di Roma Fiumicino. Il nuovo documento si intitola “Memorandum sulla situazione italiana” (Memorandum sulla situazione italiana) ed è il progetto politico di Pe Dué. Nemici del nuovo ordine che vogliono imporre sono i comunisti ei sindacati, e soprattutto il presidente del Consiglio Aldo Moro, assassinato nel 1978 per mano delle Brigate Rosse. La domanda che sorge spontanea è una: i massoni hanno anche finanziato i terroristi estremisti? Le radicali “riforme politiche” che i massoni di Jelly sognano avranno luogo semplicemente e facilmente attraverso la “corruzione politica universale” nei “partiti parlamentari, giornali e sindacati”.
Il piano dettagliato per rovesciare la legge prevede addirittura che “la disponibilità di fondi, che non superano i 30-40 miliardi di sterline, sembri sufficiente per consentire a uomini accuratamente selezionati, che lavoreranno in buona fede, di ottenere posizioni strategiche necessarie al controllo finale “.
Lo “Stoa in the Stoa” di Jelly ovviamente funzionava al di là di ogni controllo, spaventando anche gli altri muratori italiani. Questo potrebbe essere il motivo per cui il Grande Oriente d’Italia ha ufficialmente estromesso lo Stoa Pe Doe nel 1976, anche se sembra che l’esilio fosse solo nominale, poiché Jelly ha finanziato l’elezione del nuovo Gran Maestro del Grande Oriente due anni dopo.
Nel 1977, P2 ha assunto il controllo di uno dei più grandi giornali italiani, il Corriere della Sera, quando la dinastia Rizzoli si è avvicinata a Jelly e si è assicurato un prestito certamente favorevole dalla Banca Vaticana. Il manager è stato automaticamente sostituito e la fila dei giornali si è inclinata ancora di più a destra. In un’intervista al giornale con il benefattore di Jelly nel 1980, alla domanda su cosa avrebbe sempre voluto essere, il capomaestro rispose senza mezzi termini: “burattino”…
Dopo P2, cosa? H P3?
Lo scandalo della diffusione della P2 nella vita politica e imprenditoriale ha un ruolo didattico non solo per l’Italia ma per l’intero universo. Non c’era più alcun dubbio che i massoni stessero complottando il potere e volessero diventare oscuri padroni dei loro paesi, prendendo in Italia almeno le redini della mafia siciliana. Le Logge Massoniche d’Europa e del mondo allora, però, si affrettarono a mantenere le distanze dalla P2, affermando ad esempio che la Loggia del “Reverendo Maestro” Jelly era l’eccezione e non la regola dei Massoni.
Un ramo ancora più oscuro che ha preso la strada sbagliata e ha iniziato a realizzare i propri sogni a scapito delle democrazie e del benessere dei cittadini. Era una cortina fumogena? I resoconti, invece, sulla regolarità della P2 come Stoa sistemico hanno dato e preso. Molti sostenevano che fosse un’altra Loggia che funzionava secondo le formalità ei rituali dei Massoni e non aveva nulla di strano o unico in essa. In effetti, gli stretti legami tra Pe Doe e il Great East of Britain si sono rivelati più tardi! Ma Lino Salvini, il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, avrebbe anche detto a Jelly di continuare a fare quello che fa, solo per farlo in completa segretezza e per recidere i legami con le altre Logge.
Sembra che i tentacoli della Massoneria non si tagliano così facilmente. Anche i politici-leggendari italiani, come Julio Andreotti (che le lingue malvagie chiamavano al vetriolo il “Padrino”), non si sottraevano alla resina del massone, come fece l’ex presidente Bettino Craxi, il cui partito era così pesantemente finanziato da loschi canali economici. Ma l’Italia si era davvero sbarazzata della P2? E che fine hanno fatto tutti coloro che avevano trovato un caldo abbraccio nel suo seno?
Cioè, tutti i membri onorari di una società dignitosa, come uomini d’affari, rappresentanti dei media, alti funzionari pubblici, politici, avvocati, giudici, militari, “padrini” mafiosi, funzionari dei servizi segreti, alti funzionari del controspionaggio, eminenti sacerdoti, persino figure chiave in Curia (governo vaticano). La ciliegina sulla torta sarebbe arrivata negli ultimi giorni del 1993, quando il “padrino dei padrini” della mafia siciliana, il leggendario mafioso Salvatore Reina, cadde nelle mani della polizia italiana. Eh si, anche lui era massone!
La stampa italiana ha pubblicato ampi stralci delle confessioni dei padroni, i quali affermavano imperterriti che molti baroni della criminalità organizzata del Paese si erano rivolti alla massoneria. Riina ha persino affermato che i gangster si stavano affrettando a unirsi alla Massoneria perché tutti i giudici erano massoni. E il sistema penale ovviamente non impedisce ai giudici di chiudere un occhio sui fratelli gangster Mason invece di condannarli. A seguito delle rivelazioni, la Corte Suprema italiana si è affrettata a stabilire che a giudici e pubblici ministeri era vietato essere membri di sette mistiche.
Come fece il papato già nel 1738, quando bandì per la prima volta le “società massoniche perverse e corrotte”, anche se questo ovviamente non impediva a nessun cardinale di prestare il sacro giuramento della massoneria. Ma l'”Operazione Mani Pulite” che è stata prontamente avviata per ripulire il sistema politico e giudiziario del Paese dai rapporti con la Massoneria non è andata molto lontano. Di lì a poco il du Mason e membro di Pe Doe, Silvio Berlusconi, si sarebbe occupato di politica, facendo rivivere i momenti gloriosi del passato. Sembra che la P2 non sia stata né una “eccezione” né un “incidente”, né ovviamente il “Signore della scacchiera” Lizio Jelli operava da solo.
Dopotutto, quando il primo ministro britannico John Major decise nel 1994 di vedere cosa stava succedendo alla Massoneria nel suo stesso paese, innescando la prima inchiesta del genere nella storia dell’Inghilterra, non poteva credere ai risultati. Come riportato dall’Independent il 21 gennaio 1995, i massoni contavano circa 300.000 membri che avevano invaso il governo, la Camera dei Lord, i tribunali, la polizia, le banche, i consigli aziendali e persino la famiglia reale!
La Commissione Nolan ha persino stabilito che, proprio come la P2 in Italia, anche più sette segrete operavano all’interno delle logge regolari d’Inghilterra, reclutando alla volta membri di settori specifici. I pubblici ministeri hanno scoperto, ad esempio, una Loggia massonica i cui membri erano tutti alti funzionari del Ministero della Difesa ma anche giganti privati che erano attivi esclusivamente nel commercio di armi! Uno scandalo simile ha sconvolto la Francia, quando è apparso che per anni la corruzione del ministro degli Esteri del Paese e massone Roland Dima fosse stata insabbiata dai fratelli massonici che avevano inondato il governo e i meccanismi di controllo supremo. Tutto questo è piuttosto una tragica serie di coincidenze. Quindi la domanda è una e una sola: ogni Paese ha la sua R2;
FONTE: https://aristeia.news/p2-masoniki-stoa/
Le mosse dell’Italia intorno alla crisi ucraina
La crisi in Ucraina interessa da vicino l’Italia. La disputa tra Kiev e Mosca, le preoccupazioni di un allargamento Nato lungo i confini russi da parte del Cremlino e i venti di guerra sul mar Nero non sono eventi lontani dal nostro Paese. Non solo a livello geografico, perché si tratterebbe pur sempre di un conflitto alle porte dell’Europa, ma anche politico. La guerra avrebbe conseguenze in primis sui flussi migratori. È bene ricordare infatti che l’Italia ospita la più grande comunità ucraina e migliaia di persone vedrebbero nel territorio italiano la meta privilegiata in cui trovare riparo. Poi ovviamente in ballo ci sono le questioni energetiche, con i prezzi del gas che potrebbero lievitare e non poco se la situazione dovesse precipitare. Roma si è mossa, come sua consuetudine, nell’ombra. Soltanto negli ultimi giorni la diplomazia italiana sta cercando di uscire allo scoperto.
La posizione di Mario Draghi
L’Italia nella crisi ucraina ha sempre tenuto una linea simile a quella degli alleati europei e atlantici. Già nel 2014 il nostro Paese ha ribadito il sostegno all’integrità territoriale di Kiev e il ritorno sotto la sovranità del governo ucraino delle regioni separatiste del Donbass. Una posizione ribadita anche negli ultimi giorni. Gli accordi di Minsk sottoscritti nel settembre 2014 anche per Roma costituiscono la base da cui partire per giungere a una soluzione diplomatica della vicenda. Lo ha ribadito lo stesso presidente del consiglio Mario Draghi in una telefonata con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky tenuta nel pomeriggio di martedì: “Draghi ha ribadito l’impegno dell’Italia per l’integrità territoriale dell’Ucraina”, hanno specificato fonti di Palazzo Chigi. Al tempo stesso però il capo dell’esecutivo ha voluto puntare l’attenzione sull’importanza di arrivare ad accordi duraturi e a lungo termine, tenendo aperto il “canale di dialogo con Mosca”. Una circostanza quest’ultima che è sempre apparsa fondamentale per l’Italia. I rapporti con il Cremlino sono buoni anche perché lo scambio commerciale tra il nostro Paese e la Russia è storicamente molto intenso.
Le prime sanzioni contro Mosca, applicate all’indomani dell’annessione della Crimea su input statunitense ed europeo, hanno creato non pochi danni alle aziende italiane. Molte hanno dovuto rinunciare a un mercato tradizionalmente redditizio per il nostro export. Altre sanzioni dunque non sarebbero funzionali alla nostra economia. Se è vero che Mario Draghi, a differenza del presidente francese Emmanuel Macron e del cancelliere tedesco Olaf Sholz, non si è recato di presenza né al Cremlino e né a Kiev, è anche vero che Palazzo Chigi non è rimasto immobile nelle ultime settimane. La telefonata a Zelensky è arrivata in un momento in cui l’Italia sta lavorando sotto traccia sostenendo i tentativi di mediazione operata da Parigi. Non a caso in questo mercoledì Mario Draghi è atteso a Parigi dove incontrerà a cena all’Eliseo lo stesso Macron. Sarà forse in questa sede che il presidente del consiglio italiano ribadirà la posizione di Roma sull’intera vicenda.
La visita di Di Maio a Kiev
Soltanto martedì un esponente del governo italiano è andato direttamente sul campo. In quella Kiev visitata nei giorni scorsi da Macron e Scholz, nelle scorse ore è atterrato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Un incontro rimasto confinato a livello di titolari della diplomazia. L’ex capo politico del M5S ha infatti incontrato il suo omologo Dmytro Kuleba. Una presenza, quella del numero uno della Farnesina, più che altro simbolica. Non erano attesi, e infatti non sono arrivati, risultati significativi. La missione di Di Maio era incentrata a rendere l’azione italiana un po’ più vicina ai riflettori e un po’ meno dietro le quinte. A Kiev il ministro degli Esteri ha rimarcato la volontà di Roma di sostenere l’integrità territoriale ucraina. Ma, soprattutto, di fare affidamento alla volontà degli altri attori impegnati nella vicenda di risolvere la questione con mezzi diplomatici.
“Dall’incontro a Kiev – ha scritto Di Maio su Facebook – posso affermare che esiste uno spazio per una soluzione diplomatica. Una soluzione, per essere tale, deve essere condivisa in un quadro più ampio di sicurezza europea”. È stato inoltre annunciato che l’ambasciata italiana a Kiev rimarrà regolarmente aperta, nonostante il richiamo avvenuto sabato del personale non essenziale: “La via da percorrere – ha aggiunto Di Maio – è quella della pace e della stabilità, e anche per questo la nostra ambasciata a Kiev rimarrà aperta e pienamente operativa. L’ho confermato oggi al mio collega Dmytro Kuleba, che ringrazio per l’accoglienza. L’Italia è vicina al popolo ucraino, sostiene l’integrità territoriale e la piena sovranità dell’Ucraina. Continuiamo a monitorare con la massima attenzione gli sviluppi della situazione. In queste ore la diplomazia non deve fermarsi, perché è l’unica vera arma pacifica per evitare un conflitto”.
Un’azione a fari spenti
Si può dire, complessivamente, che l’Italia in Ucraina si sta muovendo senza il beneficio dei riflettori. Roma è spettatrice interessata, ma non direttamente protagonista. Un po’ per scelta, un po’ per necessità. Palazzo Chigi non vuole arrivare ai ferri corti con Mosca. Al tempo stesso però, non può permettersi di alimentare dubbi a Washington sulla propria posizione. Un eccessivo attivismo italiano a favore di una soluzione diplomatica potrebbe alimentare non pochi sospetti oltreoceano. Prudenza dunque è stata la parola d’ordine in queste settimane. Anche perché il governo nel frattempo è stato distratto dalle recenti elezioni per il Quirinale e il dossier ucraino è balzato in cima alle priorità della presidenza del consiglio soltanto negli ultimi giorni. Draghi quindi ha preferito, probabilmente con il benestare dei vertici della nostra diplomazia, puntare su un lavoro dietro le quinte supportando dalle seconde linee le mediazioni di Parigi e Berlino. L’Italia sulla vicenda ucraina non siederà al tavolo dei protagonisti, ma continuerà a guardare con estremo interesse alle prossime evoluzioni. Puntando tutto su una “de escalation” in grado di non ledere i propri principali interessi.
FONTE: https://it.insideover.com/politica/le-mosse-dell-italia-in-ucraina.html
L’amministrazione Biden si oppone alla declassificazione di un rapporto sulle macchine per il voto
Nel 2017 il professor Alex Halderman dimostrò alla Commissione senatoriale sull’Intelligence che è molto facile truccare le macchine per il voto Dominion. La società provvide perciò ad aggiornarle per garantire la regolarità delle votazioni.
Durante le elezioni presidenziali del 2020 il segretario di Stato della Georgia, Brad Raffensperger (Repubblicano), invitò gli elettori a votare per corrispondenza e mise a disposizione di chi voleva recarsi fisicamente alle urne le macchine Dominion.
Il presidente Donald Trump telefonò al segretario di Stato Raffensperger. La conversazione fu registrata e utilizzata contro Trump: Raffensperger affermò che Trump aveva tentato di convincerlo a modificare i risultati della Georgia.
Nacque quindi una polemica sulla regolarità dei risultati in Georgia.
In questo Stato lo spoglio dei voti per corrispondenza viene fatto da funzionari, spesso a porte chiuse. I voti elettronici vengono contabilizzati dalle macchine stesse.
L’Agenzia per la sicurezza delle infrastrutture e del cyberspazio (Cybersecurity and Infrastructure Security Agency – CISA) garantì l’affidabilità delle macchine Dominion e la validità del risultato della vittoria di Joe Biden.
La Georgia affidò allora una perizia al professor Halderman. Ma la CISA ha intentato un’azione giudiziaria contro la Georgia e le ha ingiunto di non declassificare il rapporto Halderman, affermando che la sua pubblicazione potrebbe indurre malintenzionati a piratare le macchine per il voto.
Il segretario Raffensperger si è unito a molti elettori per chiederne la declassificazione, che probabilmente un giudice autorizzerà solo dopo l’eliminazione dal rapporto delle parti considerate non divulgabili.
La CISA non ha risposto alle domande sul perché abbia mutato atteggiamento rispetto alla posizione del 2020.
Negli Stati democratici lo spoglio dei voti è pubblico.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article215689.html
16 febbraio, indizi di false flag. I servizi russi segnalano “jihadisti” sulla linea del Donbass
I servizi russi (SVR) si attendono “provocazioni” (ciò che noi chiamiamo false flag) per il 16 febbraio, la data in cui gli Usa si sono detti certi che avverrà l’invasione russa. Qui una intervista a Sergei Narishkin capo del SVR (intelligence estera).
I preparativi per la guerra nel Donbass in Ucraina “sono in pieno svolgimento”, ha detto in un’intervista a Moskovsky Komsomolets Sergei Naryshkin, direttore del Servizio di intelligence estero russo (SVR) .
“Tutte, almeno in una certa misura, le unità pronte al combattimento delle Forze armate dell’Ucraina (Forze armate dell’Ucraina. – RBC ) sono concentrate al confine con il Donbass. C’è un massiccio trasferimento di centinaia di tonnellate di equipaggiamento militare e munizioni dalle basi statunitensi in Europa, dalla Gran Bretagna e dal Canada. Il contingente di consiglieri e istruttori delle forze speciali della NATO viene aumentato “, ha elencato Naryshkin.
Secondo lui, ci sono informazioni sulla comparsa nella regione di “distaccamenti multinazionali di militanti jihadisti”.
Il capo dell’SVR ha anche annunciato la preparazione di provocazioni da parte del Servizio di sicurezza ucraino (SBU) e delle forze armate ucraine sulla linea di demarcazione e falsi “alla maniera dei falsi” caschi bianchi “in Siria”.
Secondo Naryshkin, “nazionalisti e mentori occidentali” stanno spingendo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a scatenare le ostilità. “Qual è lo scopo? Distruggi le repubbliche popolari, suppongo. E tutto questo con l’obiettivo di trascinare la Russia nel conflitto intra-ucraino “, ritiene il capo del Foreign Intelligence Service. Il capo di stato e la Verkhovna Rada, a suo avviso, hanno perso la capacità di prendere decisioni indipendenti.
“Non è nell’interesse dei popoli di Ucraina e Russia che le fiamme della guerra divampano. Le conseguenze per tutti in ogni caso saranno difficili”, ha sottolineato.
Il fatto che Kiev si stia preparando per un’offensiva in Ucraina era già stato detto nelle autoproclamate repubbliche del Donbass. Eduard Basurin, vice capo del Dipartimento della milizia popolare della DPR , ha affermato che le forze armate ucraine stanno sviluppando un piano offensivo sotto la guida di consiglieri degli Stati Uniti. La repubblica ha riferito del trasferimento di armi nel territorio del Donbass. Nella LPR è stato anche annunciato il trasferimento di militari e attrezzature sulla linea di contatto .
In Ucraina, anche la minaccia di un’invasione russa è considerata improbabile. Il fatto che il presidente Volodymyr Zelensky abbia una tale opinione, citando fonti, ha scritto il Wall Street Journal. Il 6 febbraio il ministro della Difesa Alexei Reznikov ha dichiarato di non vedere alcun pericolo immediato e l’8 febbraio ha notato che Mosca non ha gruppi di attacco al confine che potrebbero lanciare un’invasione.
Подробнее на РБК:
https://www.rbc.ru/politics/10/02/2022/620524fb9a7947803b3bb5f0
L’esperienza della guerra in Siria ha insegnati ai russi che i jihadisti dell’ISIS sono una compagnia di giro al servizio degli americani ed israeliani, da loro addestrata ed armata e pagata dai sauditi per operazioni sporche di cui gli USA non devono appaprire parte. Sui Caschi Bianchi siriani, creati ed addestrato da
James Le Mesurier, ex militare britannico, che nel novembre 2019 è stato trovato morto vicino al suo appartamento a Istanbul, ecco cosa ne dicono i media non servili:
“Le campagne mediatiche di propaganda con filmati creati ad hoc e filmografie hanno ritratto i “Caschi Bianchi” come un nobile gruppo filantropico di volontari dediti a salvare vite civili. In realtà, l’organizzazione funzionava come infrastruttura civile e medica de facto in aree della Siria controllate da insorti teocratici salafiti-jihadisti. I paladini delle istanze occidentali operavano esclusivamente in aree gestite dall’opposizione armata siriana, e collaboravano ampiamente con estremisti, tra cui l’ISIS e al-Qāʿida. In numerose occasioni, i Caschi Bianchi sono stati persino filmati durante le esecuzioni pubbliche condotte nei territori occupati dall’ISIS o gruppi affini. Essi hanno anche aiutato la Turchia di Erdogan – membro della NATO – ad invadere il nord della Siria, nelle zone a prevalenza curda ove poi si è subito insediato l’esercito turco.”
Un altro indizio significativo può essere il fatto che
I mercenari della Blackwater sono lì a fianco del Battaglione Azov
Il Pentagono ha annunciato in modo pubblico e ostentato che i soldati americani presenti in Ucraina saranno ridistribuiti altrove in Europa. Gli Stati Uniti hanno inoltre annunciato il ritiro della maggior parte del personale diplomatico americano presente nel Paese. Mentre fa arrivare enorme armamenbto ai neonazi sul fronte del Don, come il battaglioe Azov, fatti giungere come dono della… Lituania:
La Gran Bretagna, attraverso le compagnie di assicurazione aerea, questa settimana ha imposto la chiusura dello spazio aereo ucraino e le società di leasing chiedono il ritorno sul suolo europeo degli aerei che volano in Ucraina. Zelensky, d’altra parte, sta lottando come un matto per mantenere aperto lo spazio aereo…..
Staremo a vedere. Se nulla succederà, tanto meglio. Se no, uomo avvisato mezzo smascherato.
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/16-febbraio-indizi-di-false-flag-i-servizi-russi-segnalano-jihadisti-sulla-linea-del-donbass/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
“Il Signore degli Anelli vittima del politicamente corretto”: bufera online contro la serie Amazon
15 Febbraio 2022 – 16:47
“Ci è sembrato naturale che un adattamento del lavoro di Tolkien riflettesse l’aspetto reale del mondo”, ha affermato il produttore esecutivo Lindsey Weber. Il Signore degli Anelli vittima del politically correct, scatta la protesta online
Avatar di Roberto Vivaldelli
“Il Signore degli Anelli vittima del politicamente corretto”: bufera online contro la serie Amazon
Molti fan di Tolkien non hanno per nulla gradito il primo teaser della nuova serie Amazon Prime Video Il Signore degli Anelli: Gli anelli del potere mostrato per la prima volta durante il Super Bowl di domenica. Il motivo è semplice: fra elfi e nani neri, la serie, in onda dal prossimo 2 settembre – il programma televisivo più costoso mai realizzato da Amazon Studios – sembra strizzare eccessivamente l’occhio alla nuova moda del politicamente corretto. Un Tolkien in versione “woke”, secondo i canoni estetici del progressismo identitario. Ne è nata così una protesta sotto forma di “comment bombing” che ha preso di mira la pagina Youtube del teaser. Migliaia i commenti, tutti con medesima citazione tolkeniana: “Il male non è in grado di creare nulla di nuovo, può solo distorcere e distruggere ciò che è stato inventato o fatto dalle forze del bene”. Il cast “woke” e forzatamente multiculturale scelto da Amazon non piace affatto ai fan di vecchia data dello scrittore e studioso britannico.
La serie, inoltre, spiega The National News, girata in Nuova Zelanda e nel Regno Unito, non è basata su un romanzo specifico di Tolkien, ma ne è ispirata, e porta sullo schermo, per la prima volta, le “leggende eroiche della leggendaria storia della Seconda Era della Terra di Mezzo”, secondo Amazon Studios. Lo studio promette che “porterà gli spettatori indietro a un’era in cui sono stati forgiati grandi poteri, i regni sono saliti alla gloria e sono caduti in rovina, eroi improbabili sono stati messi alla prova, la speranza è stata appesa ai fili più sottili e il più grande cattivo che sia mai scaturito dalla penna di Tolkien minacciava di coprire tutto il mondo nelle tenebre”. Gli stessi Amazon studios confermano di aver riletto l’autore inglese secondo i canoni della modernità: “Ci è sembrato naturale che un adattamento del lavoro di Tolkien riflettesse l’aspetto reale del mondo”, ha detto il produttore esecutivo Lindsey Weber a Vanity Fair, che ha recentemente pubblicato diverse foto della serie. “Tolkien è per tutti. Le sue storie parlano delle sue razze immaginarie che fanno del loro meglio quando lasciano l’isolamento delle proprie culture e si uniscono”. Un vero e proprio inno al multiculturalismo.
Così Amazon si piega al politicamente corretto
Come già anticipato nelle scorse settimane, Amazon Prime introdurrà nella nuova serie dedicata a Il Signore degli Anelli una “tribù multietnica”, ritraendo così i Pelopiedi (Harfoots), una delle tre razze di Hobbit che abitano al di là delle Montagne Nebbiose, nelle Terre Selvagge, originariamente descritta da Tolkien come più piccola e dalla pelle più “abbronzata” e scura rispetto agli altri Hobbit. Nell’universo di Tolkien, gli Harfoots sono fisicamente meno possenti, hanno le mani piccole. Amano vivere presso le colline, all’interno delle quali costruiscono le tipiche case hobbit dette Smíal. Se ci fossero dubbi dubbi sulla trasposizione televisiva all’insegna del politically correct, basta ascoltare le parole pronunciate dall’attore Sir Lenny Henry ai microfoni della Bbc: “Siamo Hobbit ma ci chiamiamo Harfoot, siamo multiculturali, noi siamo una tribù, non una razza, quindi siamo neri, asiatici e scuri, ci sono anche dei tizi Maori”. I primi scatti diffusi in questi giorni hanno confermato le indiscrezioni delle scorse settimane e riacceso le polemiche sulle concessioni al politically correct della serie.
Gli elfi e i nani neri ne sono la prova. Ismael Cruz Cordova vestirà infatti i panni di Arondir, un “elfo silvano”, personaggio originale della serie che come spiega Everyeye, Tolkien non aveva mai nominato nei suoi scritti. L’attore, nato a Puerto Rico nel 1987, ha la pelle scura e non rientra per nulla nel canone estetico elfico tradizionale. Accanto ad Arondir ci sarà anche la prima donna nana di colore: si tratta di Disa, mostrata anche lei nel teaser del Super Bowl. Altra forzatura della nuova serie de Il Signore degli Anelli che a molti fan non è piaciuta per nulla.
Tolkien, cattolico e “conservatore”: se ne facciano una ragione i fondamentalisti “woke”
Di destra o di sinistra? Sarebbe sbagliato strumentalizzare e banalizzare il pensiero del professore fino a questo punto. Tirato per la giacchetta da ogni ideologia e fazione politica da decenni, ciò che si può tranquillamente affermare è che il professor Tolkien era un sincero cattolico e un conservatore vecchio stampo e chissà cosa penserebbe delle riletture “woke” delle sue opere. Come riportato in Lettere (p. 273, numero 142), epistolario che raccoglie le 354 lettere scritte dall’autore inglese dal 1914 fino alla morte, “ovviamente Il Signore degli Anelli è fondamentalmente un’opera religiosa e cattolica; all’inizio lo è stato inconsciamente, ma lo è diventata consapevolmente nella revisione. È per questo motivo che non ho inserito, o ho eliminato, praticamente ogni riferimento a qualsiasi tipo di religione, culto o pratica religiosa, nel mondo immaginario. L’elemento religioso è infatti insito nella storia e nel simbolismo”. Nel Signore degli Anelli, insisteva l’autore in un’altra lettera, “il conflitto essenziale non riguarda la libertà, anche se è naturalmente compresa. Riguarda Dio e il suo diritto esclusivo agli onori divini”.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/mondo/protesta-online-contro-signore-degli-anelli-woke-amazon-2010685.html
BELPAESE DA SALVARE
Draghi orientato a togliere tutte le restrizioni Covid dal 1 aprile
di Alberto Maggi – Abolizione del Green Pass, c’è una data. Secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it, l’orientamente del presidente del Consiglio Mario Draghi – sempre che non ci sia un nuovo peggioramento della situazione epidemiologica – è quello di togliere tutte le restrizioni Covid a partire dal primo aprile, ovvero all’indomani della scadenza dello stato di emergenza, prevista per il 31 marzo (misura che non verrà rinnovata). Lo scenario europeo e internazionale va nella direzione di superare le misure anti-Covid e anche in Italia la pressione su Palazzo Chigi è fortissima.
Restrizioni Covid, cosa dicono i partiti
La Lega, come ha spiegato lo stesso Matteo Salvini ad Affaritaliani.it, chiedo che il Green Pass venga eliminato addirittura da subito. Anche Fratelli d’Italia è sulla stessa posizione. Nel Movimento 5 Stelle ci sono numerosi voci che puntano all’abolizione del certificato verde da subito, tanto che si parla di un ordine del giorno che comunque non è condiviso da Giuseppe Conte, che durante l’assemblea dei parlamentari pentastellati ha affermato:
“Dire che siamo fuori dalla pandemia non è proprio corretto, stiamo transitando nella fase dell’endemia. E’ una prospettiva che ci conforta ma dobbiamo essere tutti d’accordo che non possiamo smantellare le misure di precauzione e protezione sin qui adottate” (Beppe Grillo però spinge per la fine delle restrizioni). Perfino nel Pd emergono voci di un superamento delle misure di contenimento, così come in Forza Italia.
Resta il muro del ministro della Salute Roberto Speranza, che vorrebbe un allentamento graduale a partire dal primo aprile per poi arrivare all’abolizione all’inizio dell’estate.
Ma questa volta Speranza rischia di finire isolato. Anche perché l’Italia non può perdere i turisti stranieri e in particolare europei, soprattutto per il ponte di Pasqua (17-18 aprile). Il settore è stato tra i più colpiti da due anni di pandemia e si punta sul 2022 come anno della ripresa. L’ipotesi più probabile, al momento, è quella della fine del Green Pass, ovviamente anche sui luoghi di lavoro, dal primo aprile.
L’obbligo dell’uso della mascherina, già caduto all’aperto da venerdì scorso, resterà in vigore solamente in caso di particolare affollamento in ambienti chiusi, come possono essere ad esempio le classi scolastiche o le discoteche. Resterà ovviamente l’invito a completare il ciclo vaccinale con la terza dose per chi ancora non ha fatto il booster, ma senza più penalizzazioni.
FONTE: https://www.imolaoggi.it/2022/02/16/draghi-orientato-a-togliere-tutte-le-restrizioni-covid-dal-1-aprile/
Italia è prigioniera dei “virus” politici?
avv. Nicola Walter Palmieri – 5 FEBBRAIO 2022
L’Italia è caso unico. Più il virus regredisce, più aumenta la ferocia nell’alimentare la divisione del Paese e la violenza intestina. Le misure italiane sono estranee a esigenza sanitaria tuttavia i nuovi farmaci a uso sperimentale vengono in Italia somministrati forzosamente, minacciando e terrorizzando, imponendo la spada di Damocle sulla testa della gente perbene, compromettendo con soprusi applicati alla carlona le libertà individuali e professionali. Il modo di somministrazione dei farmaci lede i diritti fondamentali dei cittadini. Il governo manda addirittura multe a casa dei non “vaccinati”, obolo una tantum di 100 euro, incita la gente a farsi spione e delatore, manda i Carabinieri a verificare l’adempimento (con previsione di affidamento all’Agenzia delle entrate dell’escussione predatoria). L’abuso non finirà qui. Il governo si ispirerà al prelievo forzato retroattivo del 6 per mille dai conti correnti dei cittadini, effettuato con decreto d’urgenza del governo Amato a mezzanotte tra il 10 e l’11 luglio 1992. Si industrierà a introdurre l’imposizione generalizzata, illimitata, ripetitiva e ravvicinata di multe che colpiranno ogni genere di attività. Con il registro dell’esistenza, il LifeLog non riuscito in USA, tutti saremo tracciati e localizzati.*1 Brutta anteprima della realtà a venire.
Il SARS-CoV-2 diventerà endemico o scomparirà, ma gli adoratori del Covid faranno di tutto per conservare le conquiste rese possibili dal virus. George Kennan aveva detto, a proposito dello spauracchio russo al tempo della Guerra Fredda, che il complesso militare americano non avrebbe potuto sopravvivere senza il “nemico” russo. Se questo un giorno fosse sprofondato nell’Oceano, l’America non avrebbe avuto altra scelta che di inventarne uno nuovo. È improbabile che i padroni della Terra lascino svanire senza combattere gli effetti di ampia portata di questo virus. I nazisti costrinsero gli ebrei a diventare cavie; vennero puniti. Ci sarà ora un nuovo tribunale di Norimberga?
Primo Levi scrisse in Se questo è un uomo. “Non iniziò con le camere a gas. Non iniziò con i forni crematori. Non iniziò con i campi di concentramento e di sterminio. Non iniziò con i 6 milioni di ebrei che persero la vita. E non iniziò nemmeno con gli altri 10 milioni di persone morte, tra polacchi, ucraini, bielorussi, russi, yugoslavi, rom, disabili, dissidenti politici, prigionieri di guerra, testimoni di Geova e omosessuali. Iniziò con i politici che dividevano le persone tra ‘noi’ e ‘loro’. Iniziò con i discorsi di odio e di intolleranza, nelle piazze e attraverso i mezzi di comunicazione. Iniziò con promesse e propaganda, volte solo all’aumento del consenso. Iniziò con le leggi che distinguevano le persone in base alla “razza” e al colore della pelle. Iniziò con i bambini espulsi da scuola, perché figli di persone di un’altra religione. Iniziò con le persone private dei loro beni, dei loro affetti, delle loro case, della loro dignità. Iniziò con la schedatura degli intellettuali. Iniziò con la ghettizzazione e con la deportazione. Iniziò quando la gente smise di preoccuparsene, quando la gente divenne insensibile, obbediente e cieca, con la convinzione che tutto questo fosse ‘normale’. Ricordiamo la storia. Finché siamo in tempo”. Il tempo non ci fu.
Siamo al finecorsa, sono riusciti a incitare odio implacabile tra ‘noi’ e ‘loro’, a dividere l’intera nazione con odio violento, scatenato da media irresponsabili che hanno catturato la credulità del volgo, trasformato gente normale in spioni e delatori. Siamo nelle mani di bugiardi, vili e corrotti affaristi, subdoli e ignoranti seminatori di odio, di gente invasata di boria ed illimitato protagonismo. Alcuni medici invocano “campi di sterminio per chi non si vaccina”, “è giusto lasciarli morire per strada”, “sono dei criminali, vanno perseguitati come si fa con i mafiosi”. Infermiere dall’indole assassina esprimono volontà di applicare personalmente la condanna di morte ai pazienti non vaccinati, “mi impegno a staccare la spina”, di favorire “lo sterminio in camere a gas” dei cd. non vaccinati, annunciano di volere intubare i non vaccinati, “senza anestesia per godere della loro sofferenza”. Giornalisti vogliono fare pulizia etnica dei non vaccinati “come il governo ruandese ha sterminato i tutsi”, invocano il Generale Bava Beccaris, “vanno sfamati col piombo”.
Minacce gravi, come quelle di morte, sono reati per i quali, in Italia, i PM devono procedere d’ufficio. Chi esprime queste minacce, invoca stoltamente l’esimente di libertà di parola. Ma la libertà di parola non è illimitata, si può “manifestare liberamente il proprio pensiero”, ma “sono vietate le manifestazioni contrarie al buon costume”. Le procure non si muovono, lasciano fare. Aspetto tragico di questi attacchi all’arma bianca è che chi parla non sa di cosa parla. La dottrina di fede è che chi rifiuta di assumere sieri e antidoti sperimentali può essere illegittimamente ma impunemente insidiato con ricatti e minacce.
Quale reato hanno commesso i “non vaccinati”, quale la loro colpa? L’essere sani, l’essere immuni, l’avere affermato di non volersi rovinare il fisico con sostanze chimiche non soddisfacentemente sperimentate sull’uomo, l’avere rifiutato farmaci improvvisati (detti “vaccini”) offerti sul mercato sotto mentite spoglie, soprattutto l’essere sani di mente.
I “vaccinisti” invocano semplicisticamente la superiorità della tutela collettiva. La Repubblica Italiana tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività. Ci vuole poco per capire che diritto prevale su mero interesse. I raffazzonati, incapaci interpreti della legge italiana si rintanano nella scusa infantile che la Costituzione deve essere adattata, “è come una fisarmonica”. Non lo è affatto, è protezione immutabile di tutta la popolazione da tirannia e abuso. Occorre leggere la Costituzione in buona fede, con l’intelligenza del giurista, non la si deve lasciare distorcere da infarinati dilettanti. Il legislatore italiano ha escluso l’obbligo a subire determinati trattamenti sanitari salvo che non siano imposti dalla legge aggiungendo con onnicomprensiva categorica chiarezza che in nessun caso la legge può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Il legislatore ha chiuso ogni possibile incertezza sul suo comando.
Dalla erronea convinzione che i farmaci anti-covid in commercio siano vaccini è nata la fastidiosa abbreviazione no-vax per denotare le persone contrarie all’assunzione dei sedicenti vaccini. Se vaccini non sono, come può esserci persona “contraria al vaccino”, se non c’è uno specifico anti-Covid immunizzante da contestare, come si può essere anti-vaccino o, a dirla con parlata da servi di perfida Albione, come può esserci un no-vax se non c’è il vax? Allora, come vogliamo chiamare seriamente chi si rifiuta di assumere nuovi farmaci sperimentali, non sufficientemente provati e approvati? “Persone contrarie all’inoculazione di sieri se non c’è malattia”? O, in breve, “no-cavie.
NOTA
1 V. LifeLog in Nicola Walter Palmieri, Diritti fondamentali a rischio, Bologna: Pitagora, 2003, pp. 16 seq.
Nota dell’Autore:
Vaccino è definito “preparazione rivolta a indurre la produzione di anticorpi protettivi da parte dell’organismo, conferendo una resistenza specifica nei confronti di una determinata malattia infettiva”. La definizione degli esperti sarà sicuramente più elaborata di questa, che è alla portata di comprensione dei normali abitanti del Pianeta. In America, il Centers for Disease Control and Prevention (CDC) definiva, fino a poco tempo fa, un vaccino come “prodotto che stimola il sistema immunitario di una persona a produrre immunità a una malattia specifica, proteggendo la persona da quella malattia”. Il 23 agosto 2021, il CDC modificò la definizione che ora si legge: vaccino è “una preparazione che viene usata per stimolare la risposta immunitaria del corpo contro le malattie”. Gli americani si aggrapparono a forma ignorando sostanza. Pensarono di riuscire a evitare di trovarsi invischiati in una discussione secondo loro “semantica”. Così è difficile considerare il farmaco BioNTech (e gli altri simili) come vaccino, ma il mondo ha perso la nozione di cosa sia un vaccino e ha disinvoltamente sussunto i nuovi farmaci, sviluppati per combattere il Covid ma incapaci di produrre immunità e protezione da contagio per un ragionevole periodo di tempo, nella categoria dei “vaccini”. Sarebbero vaccini di efficacia limitata a pochi mesi, con istruzione a chi li assume di ricaricare (busterizzare è la parola chic) a ritmo ravvicinato. Anche questa non è caratteristica di vaccino, non si è mai sentito che un vaccino richieda in continuità richiami in brevissimi tempi. Tutti abbiamo assunto il vaccino contro il tetano con richiami quinquennali o decennali. Quando l’immunizzazione si affievoliva, si passava in caso di bisogno a somministrare un siero. Non era richiesta la corsa ogni cinque minuti in farmacia per comprare i richiami.
Immagine in copertina: foto del processo di Norimberga ai Dottori
Processo ai dottori – Wikipedia
FONTE: https://www.civica.one/litalia-e-prigioniera-dei-virus-politici/
Doveva essere un anno “meraviglioso”, invece arriva la solita batosta sul pil certificata.
Marco Palladino 01 02 2020 RILETTURA
Il paese continua a morire, come da copione. Si susseguono i governi, i pagliacci, i venduti, i traditori, ma la rotta non cambia di un millimetro: target catastrofe.
E mentre vediamo con tristezza gli inglesi lasciare questa follia che è la UE, Mario Draghi riceve la croce al merito dallo stato tedesco: ”fondamentale per il bene del nostro paese”, sentenzia Steinmeier.
No dico, fondamentale per il bene della Germania, uno che è in predicato di diventare prossimo presidente della repubblica.
Perché qui lo spaccato è chiaro: gli infami che eleggiamo, o corrono a prendersi la legion d’onore francese (Fassino, Franceschini, D’Alema, Gozi ecc. ecc.) o si fanno decorare dai crucchi.
Ovviamente, per avere questi bei titoli, il non detto è che devono fottere il proprio paese ed il proprio popolo, come avviene in effetti da decenni.
Basterebbe solo questo per fare pulizia anche dell’ultimo imbecille europeista o piddino che sia, ma si sa, con l’idiozia si perde solo tempo a discutere, perché l’idiota è un cieco contento, crede di essere sulla luna, quando è invece 10 km sotto terra.
E così, mentre la vera agenda non cambia mai e le riprese e le epoche “meravigliose”, sono come Godot, resta il teatrino più lurido che ci sia, con ex rivoluzionari che si sono venduti pure il culo e fanno da scendiletto di Renzi e Zingaretti, passando da una debacle all’altra, mentre si scannano al loro interno, e, dall’altra parte, con beceri suonatori di citofoni che sognano il vile affarista di cui sopra, al quirinale.
Viene la disperazione a contemplare questo desolante quadro, con gentaglia che è al governo con un ministro a cui aveva persino messo le mani addosso e che si fa umiliare ogni giorno dagli ex nemici, che ormai li trattano come gli utili idioti alla bisogna, a cui smontare, piano piano, tutte le iniziative: dalla prescrizione (comunque un abominio), alla revoca ai Benetton, fino ad attaccare, con la Bellanova, finanche il reddito di cittadinanza.
Renzi gongola per la riproposizione allargata degli 80 euro e gode per lo sfaldamento dei pentastellati (parole sue), mentre è al governo con loro.
Viste poi le ultime catastrofi elettorali, si arriva a dire che ormai non hanno più consenso e, pertanto, devono rinunciare a tutte le loro pretese.
Una formazione politica che avesse una stilla di dignità, l’ultima rimasta, avrebbe fatto cadere il governo da tempo, ma loro no. Volevano “cambiare il diavolo” ed il diavolo se li sta mangiando.
Riuscite ad immaginare uno schifo peggiore di questo, in un Italia a cui lo schifo non è mai mancato? Io no.
Uno schifo immane, unito ad una stupidità analitica agghiacciante, perché bastava fare due più due, per capire una cosa chiara anche alle scimmie dementi: quando la tua proposta, la tua unica propulsione è costituita dalla ribellione totale al sistema, è matematico che, se diventi sistema o ti allei con esso, scompari in un batter d’occhio.
Tutti i partiti classici hanno ben altre logiche, chi li vota, non li vota perché ci crede, ma perché ne riceve qualcosa in cambio, ha un referente, un collettore elettorale, che tratta per avere i voti.
Ci sono i procacciatori che portano pacchetti di voti, pacchetti che cedono a caro prezzo.
Al di fuori di questo sistema c’è solo la rabbia, lo schifo, il rigetto. Hai vinto in passato perché lo hai interpretato, hai dato una direzione a questo malcontento, hai dato voce a chi non si vendeva al compare di turno, un flusso di voti liberi, non fondati sul do ut des.
Ma se ritorni sui tuoi passi, se cancelli dei punti prima fondamentali, se dialoghi e ti allei con chi doveva scomparire senza se e senza ma, è palese che il tuo consenso evapora in un istante.
Lo capirebbe anche una blatta, ma loro no. Si sono annientati sull’altare di Renzi e Zingaretti, derisi da risolini e alzate di spalle, cosa da far imbufalire un coniglio, ma loro no. Utili idioti fino all’ultimo istante, fino allo sterminio più completo.
E a voi non verrà data nessuna croce, nessuna onorificenza, nemmeno un caffè.
Fate troppo schifo anche a chi vi ha usato. Finti ribelli, finiti come gli ultimi dei servi.
FONTE: https://www.facebook.com/1500896194/posts/10215132378251754/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Infowar: una guerra tra Occidente e Russia senza esclusione di colpi
Quando la “nebbia di guerra” cala su uno scenario di tensione internazionale è sempre difficile distinguere tra propaganda e realtà. Spesso anche la regola aurea che afferma di osservare i fatti invece di limitarsi ad ascoltare le dichiarazioni delle parti in causa non serve per avere un quadro chiaro della situazione, proprio perché esistono meccanismi di mascheramento delle intenzioni che sfruttano le medesime risorse mediatiche odierne che ci permettono di andare al di là delle semplici parole.
La Russia, da questo punto di vista, è sempre stata maestra di tattica: maskirovkae dezinformatsiya, mascheramento e disinformazione, vengono usate disinvoltamente da Mosca per confondere l’avversario e fornire false informazioni ma anche in modo attivo sino ad arrivare all’uccisione di personalità politiche e al rovesciamento di governi legittimi.
Si parla spesso, e a volte impropriamente, di guerra ibrida russa, senza considerare che la Russia utilizza gli stessi strumenti di sovversione, disinformazione e pressione economica che vengono utilizzati da sempre nel contesto dei conflitti moderni che non prevedono l’utilizzo di risorse militari. Semmai, ed in questo il generale Valery Vasilyevic Gerasimov è stato un innovatore aggiornando il modello di Hybrid Warfare precedentemente messo a punto negli anni ’90 da Gareev e Slipcenko, è l’aspetto politico quello che più incide nella guerra di nuova generazione ed è solo grazie a questa formulazione che, ad esempio, vengono per la prima volta nominati i corpi paramilitari e le Pmc (Private Military Companies) in modo aperto come strumenti essenziali di questa dottrina.
Gli strumenti politici, quindi, hanno una posizione di primo piano nei contrasti contemporanei tra nazioni, con quelli militari propriamente detti (fatta esclusione quindi dei proxy e dei contractor) che passano sullo sfondo, come una sorta di ultima ratio per risolvere un conflitto.
Proprio la politica stessa diventata, grazie ai social network e al web, capace di entrare in tempo reale non solo nelle nostre case ma anche nel consesso diplomatico internazionale, è la principale attrice del contrasto ibrido attraverso i media, utilizzati come moltiplicatori di forza, al punto da prestarsi – ma sarebbe meglio dire inscenare – una guerra di informazioni, anche detta Infowar.
L’attuale contrasto per l’Ucraina non ha fatto eccezioni. Ne sono un esempio le parole di Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, che riguardo alla data per il possibile attacco riferita da Washington ha detto, sui social, che “il 15 febbraio 2022 passerà alla storia come il giorno in cui la propaganda occidentale per la guerra è fallita. Umiliati e distrutti senza sparare un colpo”. Sempre la Zakharova, qualche giorno fa, dal suo canale Telegram riportava quelli che, secondo Mosca, sono “esempi di pubblicazioni di una campagna di disinformazione su larga scala da parte dei media occidentali che promuovono la tesi sulla presunta imminente invasione russa di Ucraina”. Nel calderone di quelle che sono state indicate “fake news” sono finite testate come Bild, Bloomberg, il Guardian e il Washington Post. La portavoce, nello stesso post, rincara la dose affermando che “una menzione speciale merita la posizione dei funzionari occidentali nel contesto di una massiccia campagna di disinformazione contro la Russia. Evitano di dargli una valutazione adeguata in ogni modo possibile, confermando così essenzialmente il loro coinvolgimento nelle fake news”. Addirittura la Zakharova parla di “cospirazione” delle autorità dei Paesi occidentali e dei media per intensificare la tensione sull’Ucraina attraverso la diffusione massiccia e coordinata di false informazioni per interessi geopolitici, in particolare, al fine di “distogliere l’attenzione dalle proprie azioni aggressive”.
In questa narrazione russa, che, va detto, è stata facilitata da alcuni media occidentali un po’ troppo alla ricerca dello scoop sensazionalistico, ha trovato spazio, sempre oggi, il britannico The Sun, che, riportando fonti anonime di intelligence statunitensi, afferma che la Russia invaderà l’Ucraina alle ore una della notte del 16 febbraio, scatenando i commenti ironici dei russi.
Da parte occidentale lo strumento principale di questa guerra di informazioni, oltre ai comunicati del dipartimento di Stato – a onor del vero ostentanti un po’ troppa sicurezza – secondo cui Mosca colpirà prima della fine dei giochi invernali (il 20 febbraio prossimo), sono state proprio le fonti open source di intelligence – spesso inconsapevoli – che vengono rilanciate dai maggiori quotidiani per evidenziare i movimenti di truppe e mezzi russi ai confini con l’Ucraina. L’obiettivo politico sembra quasi quello di voler smascherare, agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, le vere intenzioni di Mosca, però, come abbiamo già avuto modo di dire, si tratta di un’arma a doppio taglio in quanto proprio Mosca sa maneggiare abilmente certi dati per il proprio tornaconto, pertanto qualsiasi informazione arrivi via fonti open source, che siano immagini satellitari (ovviamente da compagnie private), filmati ripresi da osservatori casuali, o dichiarazioni ufficiali o semiufficiali, vanno attentamente valutate e analizzate come uno dei tanti tasselli di un mosaico più vasto, di cui, è bene sottolinearlo, ce ne mancherà sempre la maggior parte, non avendo accesso diretto a fonti di intelligence di tipo militare.
FONTE: https://it.insideover.com/guerra/infowar-una-guerra-tra-occidente-e-russia-senza-esclusione-di-colpi.html
Due interpretazioni della vicenda ucraina
La scelta degli anglosassoni d’ignorare la proposta russa di un Trattato che garantisca pace e di evocare il fantasma di una crisi ucraina sembra non dare i frutti sperati. La Francia si agita, la Germania è paralizzata; l’Ungheria invece potrebbe trascinare i Paesi vicini su una posizione coincidente con quella della Russia: la difesa del Diritto internazionale.
Questo articolo è il seguito di:
1. «La Russia vuole costringere gli USA a rispettare la Carta delle Nazioni Unite», 4 gennaio 2022.
2. «In Kazakistan Washington porta avanti il piano della RAND, poi toccherà alla Transnistria», 11 gennaio 2022.
3. «Washington rifiuta di ascoltare Russia e Cina», 18 gennaio 2022.4. «Washington e Londra colpite da sordità», 1° febbraio 2022.
5. “Washington e Londra tentano di preservare il dominio sull’Europa”, 8 febbraio 2022.
Dopo le rivelazioni della risposta della Nato e degli Stati Uniti alla proposta russa di un Trattato che garantisca la pace, il Regno Unito c’informa di un attacco dell’esercito russo all’Ucraina previsto per mercoledì 16 febbraio (ora non precisata). Molti Stati membri dell’Alleanza Atlantica inviano soldati e armi in Ucraina e Paesi limitrofi, altri invece mandano i propri dirigenti a Mosca a incontrare le autorità russe.
EMMANUEL MACRON ALLA RIBALTA
Il viaggio a Mosca più importante è stato quello del presidente francese, nonché presidente del Consiglio europeo, Emmanuel Macron. È andato al Cremlino con l’intenzione di calmare le acque ed evitare un’inutile guerra in Ucraina. La missione di Macron era in linea con quella del predecessore Nicolas Sarkozy durante la guerra in Georgia: non fare nulla, ma dare l’illusione di fermare l’orso selvaggio russo, tuttavia già appagato.
Il presidente Vladimir Putin non si proponeva di negoziare alcunché con il presidente Macron; la proposta di trattato è infatti rivolta solo agli Stati Uniti. Tuttavia, giacché il modesto francese voleva discutere di argomenti che non conosce, il capo del Cremlino, che al contrario li tratta da 24 anni, glieli avrebbe spiegati volentieri. Non si aspettava una reazione, si sarebbe accontentato di mostrargli in quale scomoda posizione si trova la Francia: Macron non può tradire il proprio signore alla Nato e cominciare all’improvviso a difendere gli interessi francesi, finora trascurati.
Il colloquio è durato cinque ore, prova dell’importanza che la Russia attribuisce alla Francia. Ovviamente non ne è uscito nulla se non il richiamo, durante la conferenza stampa finale, al fatto che la Russia è una potenza nucleare. Il presidente Macron aveva invece accarezzato la speranza di annunciarsi come salvatore la pace. Tornato a Parigi, il presidente ha comunicato che si era trovato un accordo e che la Russia non avrebbe invaso l’Ucraina. Peccato che il Cremlino lo proclami da settimane. Sfortunatamente il portavoce del Cremlino, Dimtry Preskov, ha immediatamente replicato che i due presidenti non hanno negoziato nulla, quindi non possono aver concordato alcunché.
La Francia, non avendo altri mezzi per agire se non i negoziati per la stabilizzazione dell’Ucraina, è passata alle riunioni “formato Normandia” (Ucraina, Russia, Francia, Germania). L’esito era scontato: gli accordi di Minsk fra il governo di Kiev e i separatisti delle oblast di Donetsk e Lougansk continuano a non essere rispettati da Kiev, che dopo averli firmati li ha rifiutati. Kiev non vuole in alcun caso concedere lo statuto speciale alla popolazione russofona. Anzi, in Ucraina, Paese per metà russofono, l’insegnamento del russo è vietato per legge.
Qualsiasi governo in qualsiasi Paese del mondo avrebbe accettato la legittima esigenza di queste popolazioni. Kiev invece giustifica il rifiuto ricordando di aver firmato gli accordi sotto pressione, ma in realtà di non averli mai voluti. I separatisti sottolineano che dell’esercito ucraino dispiegato per tenerli a bada fa parte il battaglione Azov, che sventola simboli nazisti ed è comandato dall’autoproclamo “Führer bianco”, colonnello Andrey Biletsky. Questi soldati, inquadrati dai mercenari di Erik Prince (fondatore di Blackwater), urlano che annienteranno i russkov e nel frattempo li bombardano. I separatisti hanno così proclamato l’indipendenza che, malauguratamente, nessuno ha riconosciuto, nemmeno la Federazione di Russia.
La Francia avrebbe chiesto all’Ucraina di mettere un ordine nelle proprie forze armate, ma Kiev non ne vuole sapere. Erik Prince agisce da imprenditore privato, ma è notorio che opera su istruzione della CIA, che ha già usato Andrey Biletsky e altri per rovesciare nel 2014 il presidente Viktor Yanukovich. Il cerchio è chiuso, la situazione è irrisolvibile.
OLAF SCHOLZ TERGIVERSA
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz si è invece recato a Washington. Anch’egli come i francesi non crede a una probabile guerra in Ucraina, ma teme che gli Stati Uniti trovino pretesti per impedire la messa in funzione del gasdotto Nord Stream 2, indispensabile per lo sviluppo economico della Germania. Non sostituirà il gasdotto che attraversa l’Ucraina, ma soddisferà l’aumento di richiesta di energia. Senza Nord Stream 2 l’economia non potrà che rallentare.
La situazione della Germania è molto difficile, dal momento che sul suo territorio ci sono oltre 40 mila soldati USA, in basi ultrasicure che godono di extraterritorialità. La Germania, benché ufficialmente non più occupata, non è padrona in casa propria. Inoltre Berlino ha affidato la propria difesa alla Nato e trascurato le proprie forze armate, al punto da non rispettare nemmeno gli obblighi imposti dall’Alleanza Atlantica. Se dovesse affrontare gli Stati Uniti resisterebbe solo poche ore.
Per formare un governo, il socialista Olaf Sholz ha dovuto allearsi con i Verdi (Grünen), il partito, dopo Joshka Fischer e le guerre di Jugoslavia, più atlantista d’Europa. Scholz è stato costretto a nominare Annalena Baerbock ministro degli Esteri, un’ecologista che milita contro tutto ciò che è russo, in particolare contro il gas.
Il cancelliere Scholz alimenta quindi l’equivoco. Alla Casa Bianca non ha fatto che ripetere che Germania e Stati Uniti continueranno ad agire di comune accordo, ma ha accuratamente evitato di dire cosa avrebbero fatto. La classe politica statunitense lo guarda con diffidenza.
VIKTOR ORBÁN ESULTA
Il primo ministro ungherese, il cristiano-democratico Viktor Orbán, che solo poco tempo fa veniva definito «fascista», ora si rallegra della propria posizione atipica. È l’unico dirigente di un Paese europeo e della Nato amico personale da lungo tempo di Vladimir Putin, con cui s’incontra calorosamente almeno una volta l’anno, eccetto che durante la pandemia di Covid.
Orbán è entrato in politica lottando per l’indipendenza dell’Ungheria dai sovietici, ma non è mai stato anti-russo. Un fatto che gli Stati Uniti non capiscono. Eppure la spiegazione è semplice: adottando la dottrina Breznev, l’URSS aveva fatto diventare il Patto di Varsavia l’equivalente della Nato: un solo sovrano, tanti vassalli. Avendo combattuto i sovietici per questa ragione, Orbán oggi non può non indignarsi per il comportamento della Nato.
A fine 2021 Orbán ha negoziato con l’amico Putin l’approvvigionamento energetico dell’Ungheria: l’aampliamento, a opera di Rosatom, di una centrale nucleare per soddisfare completamente i bisogni di elettricità del Paese, nonché l’acquisto del fabbisogno di gas per 16 anni a un prezzo cinque volte inferiore a quello di mercato. Ha ottenuto inoltre la costruzione di una grande linea ferroviaria e la produzione del vaccino (nel senso di Pasteur) contro il Covid: Sputnik V.
Il primo ministro Orbán non ha mai opposto veti alle sanzioni antirusse dell’Unione Europea. Avrebbe deteriorato troppo le relazioni con Bruxelles e non sarebbe servito a nulla, dal momento che Mosca approfitta di queste sanzioni per orientare diversamente la propria economia senza essere costretta ad adottare misure autoritarie. Orbán si è invece fermamente opposto all’adesione dell’Ucraina alla Nato, per la quale è richiesto il consenso di tutti gli Stati membri. Una scelta motivata dal rifiuto di Kiev di applicare gli Accordi di Minsk e di riconoscere la lingua russa.
Di fatto Orbán potrebbe svolgere il ruolo che nel 1966 fu di Charles De Gaulle: far uscire l’Ungheria dal comando integrato, pur rimanendo all’interno del Trattato dell’Atlantico del Nord. Tre partner del Gruppo di Visegrad, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, lo osservano nell’ombra.
La Croazia del socialdemocratico Zoran Milanović ha già fatto sapere che non parteciperà a una guerra della Nato contro la Russia. La Macedonia del Nord del socialista Dimitar Kovačevski ha dichiarato il sostegno a Mosca. Il Pentagono percepisce il pericolo: l’unità dell’Alleanza Atlantica è scossa. Inizia così a mettere giuridicamente in sicurezza le basi in Europa. Ha firmato una locazione extraterritoriale in Slovacchia. Inizia altresì negoziati bilaterali con la Danimarca per un Accordo di cooperazione di Difesa al di fuori della Nato.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article215676.html
REGIME CHANGE IN IRAN
Rosanna Spadini Fb 020118 RILETTURA
Nell’articolo Iran – Gli agenti di regime change usano proteste economiche, abbiamo esaminato l’operazione israelo-americana in corso, l’istigazione di una rivolta in Iran. Ciò che segue sono alcuni altri punti di analisi ed una visione degli sviluppi da allora. Una rivoluzione colorata o una rivolta in Iran hanno poche chance di successo. Ma anche in caso di fallimento possono essere usate come pretesto per ulteriori sanzioni ed altre misure anti-iraniane. Gli incidenti attuali sono quindi solo parte di un piano ben più ampio.
Nelle democrazie “occidentali”, la “sinistra”, perlomeno in teoria, dovrebbe essere come culturalmente liberale o progressista e per un’economia sociale che avvantaggi una fascia di popolazione più ampia; la destra è considerata culturalmente conservatrice, che favorisce i segmenti più ricchi e con una preferenza per il libero mercato.
In Iran è diverso.
In breve: i conservatori, o “principalisti”, sono sì culturalmente tali ma preferiscono programmi economici a beneficio dei poveri. La loro base sono le popolazioni rurali e le fasce più povere degli abitanti delle città. L’ultimo presidente iraniano vicino a loro è stato Ahmedinejad. Una delle sue principali politiche è stata l’implementazione di pagamenti in contanti per i bisognosi, al posto di costosi sussìdi su prodotti petroliferi e generi alimentari. L’attuale presidente iraniano Rouhani è un “riformista”. La sua base sono i mercanti e le parti più ricche della società. È culturalmente progressista ma le sue politiche economiche sono neoliberiste. Il nuovo budget che ha introdotto per il prossimo anno riduce le sovvenzioni per i poveri introdotte da Ahmedinejad. Aumenterà fino al 30-40% i prezzi del carburante e del cibo di base.
Le proteste del 28 e 29 dicembre hanno riguardato queste ed altre questioni economiche. Rivolte del genere si verificano regolarmente in Iran. Quelle attuali però sono state presto dirottate da piccoli gruppi che hanno scandito slogan contro il sistema iraniano e contro il forte impegno in Siria e Palestina. Queste non sono le posizioni della maggioranza degli 80 milioni di iraniani:
Secondo un sondaggio, il 67,9% dice che l’Iran dovrebbe aumentare il sostegno ai gruppi anti-IS, rispetto al 59,8% di un anno fa. Una maggioranza del 64,9% inoltre sostiene il dispiegamento di personale militare in Siria per aiutare il regime di Assad, in leggero aumento rispetto al 62,7% di un anno fa.
I piccoli gruppi che hanno dirottato le proteste contro le politiche economiche di Rouhani sono stati pesantemente promossi dai soliti sospetti, gli operatori di influenza americani. Avaaz, RAND cooperation, Human Rights Watch ed altri sono sùbito saliti sul carro dei vincitori (come al solito, Ken Roth di HRW ha usato un’immagine di un raduno filogovernativo per illustrare le proteste antigovernative, molto più piccole). I gruppi più piccoli che hanno dirottato e pubblicizzato la manifestazione sembrano ben coordinati. Non sono però né un movimento genuino né una maggioranza.
La mattina del 30 dicembre si sono svolte in diverse città grandi manifestazioni a sostegno della Repubblica Iraniana. A Teheran ne hanno preso parte diverse migliaia di persone.
Suzanne Maloney, l’autoproclamatasi “drogata di Iran” del Center for Middle East Policy del Brookings Institute, li ha interpretati come contro-dimostrazioni ai piccoli raduni della sera prima:
La Repubblica Islamica è molto abile ad organizzare raduni pro-regime (lo stesso Rouhani ne ha capeggiato uno nel 1999 dopo le proteste studentesche). Quel che è interessante è che stavolta è stato organizzato quasi sùbito.
La “drogata di Iran” nonché “esperta” non sa che manifestazioni annuali pro-governative si tengono il 9° di ogni Dey (calendario iraniano) dal 2009 e sono programmate con largo anticipo. Commemorano lo sventato tentativo di rivoluzione colorata a firma CIA del 2009. Quel tentativo aveva seguìto la rielezione di Ahmedinejad. Aveva usato come burattini la parte più ricca della società iraniana nel nord di Teheran. Non è ancora chiaro di quali strati sociali, se così è, si stia avvalendo questo tentativo.
Nel giugno 2009 Brookings ha pubblicato un manuale su come rovesciare il governo iraniano o prendere il controllo del paese. La Maloney ne era uno degli autori. “QUALE PERCORSO IN PERSIA? – opzioni per una nuova strategia americana verso l’Iran” (pdf) è suddiviso in quattro parti:
Parte I – Dissuadere Teheran: le opzioni diplomatiche
Parte II – Disarmare Teheran: le opzioni militari
Parte III – Rovesciare Teheran: regime change
Parte IV – Scoraggiare Teheran: contenimento
La parte III comprende
Capitolo 6: rivoluzione di velluto: sostenere una rivolta popolare
Capitolo 7: ispirare un’insurrezione: sostenere una minoranza e gruppi di opposizione
Capitolo 8: colpo di stato: sostenere una mossa militare contro il regime
La “rivoluzione colorata” di velluto fallì nel 2009 quando il “movimento verde” non riuscì a convincere il popolo iraniano che si trattava di più di un tentativo straniero di rovesciare la propria repubblica.
Ciò a cui assistiamo attualmente in Iran è una combinazione dei capitoli 6 e 7 del piano Brookings. Dietro un movimento in qualche modo popolare che protesta contro le politiche economiche neo-liberiste del governo Rohani, un movimento militante, come visto la scorsa notte (sotto), sta attuando una strategia di escalation che potrebbe portare ad una guerra civile. Abbiamo già visto una combinazione simile in Libia ed all’inizio dell’attacco alla Siria (Tony Cartalucci di Land Destroyer Report ha ampiamente scritto sul dossier Brookings, definendolo come un “manuale per rovesciare nazioni”).
Lo scorso giugno il Wall Street Journal ha riferito che la CIA aveva istituito una cellula operativa speciale per attacchi del genere contro l’Iran:
La Central Intelligence Agency ha istituito un’organizzazione focalizzata esclusivamente sulla raccolta e l’analisi delle informazioni sull’Iran, riflettendo la decisione dell’amministrazione Trump di rendere quel paese un obiettivo prioritario per le spie americane – dicono funzionari USA.
L’Iran Mission Centre riunirà analisti, personale operativo e specialisti di tutta la CIA per mettere in pratica le capacità dell’agenzia, azioni segrete incluse.
Il capo del nuovo ufficio è uno dei più spietati funzionari CIA:
Per guidare il nuovo gruppo, Pompeo ha scelto un veterano dell’intelligence, Michael D’Andrea, che di recente ha supervisionato il programma di attacchi letali di droni ed è stato accreditato da molti suoi colleghi per i successi contro al-Qaeda.
Il signor D’Andrea, ex direttore del Centro antiterrorismo della CIA, è noto tra i pari come un manager esigente ma efficace, ed un convertito all’Islam che lavora per lunghe ore. Alcuni funzionari hanno espresso preoccupazione per ciò che percepiscono come la sua posizione aggressiva nei confronti dell’Iran.
D’Andrea è il tipo della CIA che “ha commesso un errore” quando avrebbe potuto prevenire l’11/9. È stato direttamente coinvolto nel programma di torture CIA e nella campagna di omicidi via droni in Pakistan ed Afghanistan. È sospettato di essere il cervello dietro la cooperazione USA con gli estremisti wahhabiti in Libia, Iraq e Siria.
Ieri mattina un gruppo terroristico sunnita ha fatto esplodere un oleodotto nel sud-ovest dell’Iran vicino al confine iracheno:
Ansar Al-Furqan afferma che “un importante oleodotto è stato fatto saltare in aria nella regione Omidiyeh dell’occupata città di Ahvāz”. Il gruppo ha aggiunto di aver stabilito una nuova unità, la Brigata dei Màrtiri di Ahvāz. L’area di Ahvāz ha storicamente avuto una grande popolazione araba. Non è tuttavia chiaro se questa presunta brigata sia composta da arabi iraniani o da beluci, dato che si ritiene che la maggior parte dei suoi membri siano tali. I jihadisti dicono che “l’operazione è stata condotta per infliggere perdite all’economia del regime criminale iraniano”.
Secondo il Centro di Lotta al Terrorismo dell’esercito americano, Ansar Al-Furqan proviene da Jundallah, gruppo terrorista sconfitto, che aveva ucciso centinaia di funzionari e civili iraniani. Jundallah era un’insurrezione jihadista beluci in lotta per un “libero Belucistan” nell’area del Pakistan sud-occidentale e dell’Iran sud-orientale. Il suo leader venne ucciso nel 2010 e da allora si è diviso ed evoluto in Ansar Al-Furqan ed altri gruppi. Alcuni di questi sono sotto influenza straniera. Riportava Mark Perry nel 2012:
Una serie di note CIA descrive come agenti del Mossad fingevano di essere spie americane per reclutare membri di Jundallah per combattere la loro guerra segreta contro l’Iran.
Agenti del Mossad hanno ingaggiato terroristi di Jundallah per uccidere esperti nucleari in Iran. Non dovrebbe dunque sorprendere che un gruppo di seguaci di Jundallah stia ora attaccando l’infrastruttura economica iraniana nello stesso momento in cui Mossad e CIA coordinano un’altra campagna per rovesciare il governo. Ciò indica chiaramente un piano ben più ampio ed organizzato.
Ieri sera gruppi di 20-50 giovani sono comparsi in 20 città iraniane ed hanno iniziato a vandalizzaare (video) le strade. Hanno buttato giù demarcazioni e cartelloni pubblicitari, frantumato finestre ed incendiato bidoni della spazzatura. Brevi video di decine di incidenti sono apparsi su vari account Twitter, con descrizioni spesso molto esagerate.
Il video “manifestanti bruciano gli uffici governativi nella provincia di Ahvaz” mostra solo l’incendio di un bidone della spazzatura davanti ad un edificio. L’unico rumore nel video “polizia usa proiettili sui dimostranti” deriva dalla distruzione di finestre di un ufficio container. Un video promosso come “3 persone uccise nella sparatoria della polizia nel Lorestan” mostra un piccolo ma rumoroso gruppo. Due persone vengono portate via ma non è chiaro chi siano o cosa sia successo loro. Non si sente alcuno sparo e non c’è polizia. In altri video la polizia risponde al lancio di pietre ed ai rivoltosi vandali.
I gruppi, la loro apparizione in circa 20 città e quanto fatto è chiaramente coordinato. I media promoter agregano i video per un pubblico più vasto. Il governo iraniano ha chiesto a Telegram, molto usato nel paese, di chiudere un canale che invitava i manifestanti a lanciare bombe Molotov contro edifici governativi. Il capo di Telegram ha concordato che tali incitamenti sono contrari ai Termini di Servizio ed ha dunque chiuso il canale. Immediatamente sono sorti nuovi canali con messaggi simili. Il governo dovrà completamente bloccare Telegram o infiltrarsi nei suoi canali per interrompere tale coordinamento di attività militanti.
Quei politici americani che avevano chiesto di “bombardare, bombardare, bombardare” l’Iran (McCain) o minacciato di muovergli guerra (la Clinton) hanno rilasciatos dichiarazioni a sostegno del “popolo iraniano” – cioè i rivoltosi nelle strade. Questa è la stessa gente che ha soffocato il popolo iraniano infliggendogli sanzioni su sanzioni – branco di ipocriti. Donald Trump ed il suo Dipartimento di Stato hanno rilasciato dichiarazioni a sostegno dei “manifestanti pacifici” che hanno vandalizzato le città in tutto il paese ed hanno chiesto che “il regime rispetti i loro diritti umani fondamentali”. Le preoccupazioni professate per il popolo iraniano sono senza senso. Una nota trapelata di recente avvisava il segretario di stato americano Tillerson che:
…gli Stati Uniti dovrebbero usare i diritti umani per bastonare i propri avversari, vedasi Iran, Cina e Corea del Nord, dando invece un lasciapassare ad alleati repressivi come Filippine, Egitto ed Arabia Saudita.
L’annuncio ufficiale statunitense arriva molto presto ed è dannoso per qualsiasi movimento reale in Iran. Fa chiaramente capire che queste proteste siano supportate dagli USA e così elimina la possibilità di conquistare una base più ampia in Iran.
Suzanne Maloney @MaloneySuzanne – 5:51 AM – 31 Dec 2017
Le cose stanno così: qualsiasi cosa il governo americano dica o non dica su queste proteste, la realtà (come ha twittato il presidente, @POTUS) è che il mondo sta guardando cosa succede in Iran. Il modo in cui Teheran risponderà alle attuali proteste modellerà la sua relazione con il mondo, proprio come fece nel 2009.
Questa reazione potrà dunque essere sfruttata per attuare più ampie e severe sanzioni contro l’Iran, in particolare dall’Europa. Queste sarebbero un altro tassello di un piano più ampio per soffocare il paese e portarlo ad un’escalation.
FONTE: https://m.facebook.com/groups/467562806766038?view=permalink&id=744102019112114
CULTURA
LE 7 MISURE DEL MONDO
Da sempre, l’umanità interpreta e misura il mondo. Le facoltà intuitive hanno elaborato strutture concettuali che consentissero la quantificazione e la misurazione degli eventi. Il ricorso metodico a paradigmi, teoremi, le rilevazioni raccolte e catalogate per studiare la classifica, la ricorsività degli eventi stessi hanno creato il mondo dove oggi tutti ci troviamo. La realtà della realtà. Si tratta di vere e proprie cattedrali gotiche molto complesse e spesso poco inclini al cambiamento dal momento che, attorno ad esse, si sono calcificati interessi istituzionali (università, centri di ricerca, carriere accademiche, editoria, finanziamenti governativi, delle multinazionali) e di modelli mentali consolidati. L’autore, abilmente, sorvola queste spinose questioni sociologiche e gnoseologiche per focalizzare la sua ricerca sui sistemi di misurazione del mondo, sulla loro storia evolutiva e sul loro progressivo perfezionamento. Nel libro egli ne individua sette che argomenta in altrettanti capitoli ognuno dei quali può essere letto con un ordine stabilito dai lettori. I titoli dei capitoli sono emblematici: il metro, il secondo, il chilogrammo, il Kelvin, l’ampere, la mole e infine la candela.
Il testo scorre con uno stile piacevole e con notevole capacità divulgativa. Il professor Martin racconta la storia e gli aneddoti legati agli scopritori e agli scienziati impegnati a costruire parametri condivisi. Grazie ai metodi di misurazione è stato possibile dare una chiave di lettura del passato, dei cicli evolutivi del mondo animale e vegetale. Inoltre, va evidenziato che le misure del mondo sono una “lingua franca” che consente uno scambio fluido di conoscenze, oltre le differenze tra culture, popoli, lingue e nazioni. Le pagine sono intercalate da illustrazioni in bianco e nero con una grafica rétro che impreziosisce il testo e aiutano a capire temi non sempre di pronta comprensione. Non vanno trascurate le conclusioni e i suggerimenti di lettura che guidano alla scelta di libri di approfondimento dei sette argomenti. Il libro è un vademecum che si consulta con facilità e regala informazioni anche ai più esperti.
Le 7 misure del mondo di Piero Martin, Laterza 2021, 200 pagine, 18 euro
FONTE: http://opinione.it/cultura/2022/02/15/manlio-lo-presti_le-7-misure-del-mondo-piero-martin-laterza-2021-200-pagine-18-euro/
L’Oscurantismo si insegna nelle università USA – Presto anche qui
“Tutti i bianchi sono razzisti”, è scritto nel cartellone a destra. E’ il principio dogmatico primale dell’ideologia che domina nelle università americane, e che i fautori chiamano Teoria Critica della Razza. Tale teoria – nata negli anni 80 in certi ristretti ambienti deliranti del cosiddetto “marxismo americano” – è già diventata obbligatoria in molti uffici pubblici, non escluso l’esercito degli Stati Uniti, dove i bianchi sono sottoposti a corsi di rieducazione e di pentimento al termine dei quali devono riconoscere la loro colpa.
Qui una lezione obbligatoria (l’insegnante negra avrebbe urgente bisogno di dimagrire: ma dirglielo sarebbe razzista). Corollari della teoria è che nelle università non si deve insegnare, poniamo, la chimica o la fisica, materie a cui i negri non hanno dato il minimo contributo (chissà perché..), per non parlare della filosofia, materie “bianche” dunque razziste.
Insomma ha conquistato le cattedre l’oscurantismo, che porterà all’arretramento tecno-scientifico e quindi al sottosviluppo. Nel momento in cui la Cina, l’antagonista, conquista il primato nelle centrali nucleari di nuova generazione e in cui l ‘Economist domanda ansioso :
“La Cina dominerà il mondo dei semiconduttori?”
Non c’è dubbio, se la Teoria Critica delle Razze non viene debellata.
Peggio:
Credete forse che il progressismo europeo non aderirà entusiasticamente da questa moda ideologica totalitari, oscurantista e repressiva, solo perché da noi il problema negro non esiste? Che essa non verrà imposta nelle nostre università con le intimidazioni e le esclusioni dei competenti che non si piegheranno ad essa e la contesteranno?
Me lo fa prevedere un fatto epocale: che il World Economic Forum ha cominciato a promuovere e propagandare la Teoria Critica della Razza.
Schwab ha fatto emanare un video che la giustifica
Secondo Breitbart
Il video del WEF definisce il CRT come una teoria ” sviluppata per la prima volta da studiosi legali statunitensi negli anni ’80” che “sostiene che le leggi, le regole e i regolamenti che governano la società odierna sono stati modellati dalla subordinazione storica delle persone di colore e che questo è un forza trainante dietro la disuguaglianza razziale oggi”, secondo Breitbart .
Come esempio del presunto razzismo radicato in ogni fibra delle istituzioni americane, il WEF indica l’alto numero di maschi neri incarcerati in tutto il paese.
“Prendete il sistema di giustizia penale statunitense, per esempio”, dice. ” Sebbene tutti siano considerati uguali dalla legge, i neri americani vengono imprigionati a 5 volte il tasso dei bianchi ” .
“CRT afferma che questa disparità è un’eredità del passato razzista americano”, ma gli oppositori affermano che “dipinge tutti i bianchi come bigotti”.
Il video quindi posiziona la consapevolezza del CRT come una ricerca onorevole. Guarda quello che l’avversario Chris Rufo ha descritto come un “video di propaganda folle pro-CRT”.
Perché il World Economic Forum dovrebbe uscire a sostegno della Critical Race Theory?” ha chiesto all’autore e matematico il dottor James Lindsay, che il mese scorso ha avvertito che gli attivisti della CRT mirano a smantellare gli Stati Uniti e stabilire “una dittatura totale” dei cosiddetti “antirazzisti”.
“Perché sono quelli che vogliono dividere la nostra società con questa teoria sub-marxista o qualsiasi altro strumento che possono usare per rompere il mondo e prendere il potere”, ha detto.
Qui sotto il video del World Economic Forum:
Anzi, la repressione in nome dell’ideologia è già in corso. In Europa.
L’italianista Massimo Arcangeli ha subìto minacce perché s’è dichiarato contrario allo “schwa”, la e rovesciata che dovrebbe indicare il rispetto e la non-discriminazione verso i “generi”, ossia i sessi, che sono 33 secondo la catalogazione degli ambienti LGBT. E appartengono alle minorities da proteggere secondo la Teoria Critica delle Razze.
Il ministero dell’Università e Ricerca italiano (MIUR) adotterà lo “Schwa” nei suoi documenti officiali: da quel momento i docenti dovranno adottarlo, a scanso di punizioni e blocco delle carriere.
Un lettore archeologo che opera ad Atene mi segnala che le cattedre universitarie della sua materia vengono assegnate di preferenza a sodomiti di notoria, addirittura mitica incompetenza scientifica.
Mi ha mandato anzi questa mail:
Le invio il mio articolo uscito oggi nel quotidiano greco Aristeia contro la nomina a direttrice della [celebre eccellenza archeologica] British School at Athens di Rebecca Sweetman, esponente del ‘popolo eletto’ [un’altra monority protetta ] che finanzia l’immigrazione clandestina in Grecia e che non conosce nemmeno il latino e il greco, che accusa continuamente i Greci di essere nazionalisti e ‘fascisti’.
https://aristeia.news/the-british-school-at-athens-toward-the-abyss-antonio-corso/
The British School at Athens toward the abyss | Antonio Corso | ΑΡΙΣΤΕΙΑ
The British School at Athens toward the abyss | Antonio Corso
aristeia.news
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/loscurantismo-si-insegna-nelle-universita-usa-presto-anche-qui/
Quale è’ la differenza fra la Poesia e la Canzone, anche la migliore?
Filosofia e società 15 02 2022
Credo infatti, che in Italia negli anni 60 e 70 ci sia stata una canzone d’autore particolarmente raffinata,(De Andre’ , Guccini , Dalla, De Gregori) per citarne solo alcuni ,e quindi tutti si siano posti la domanda se la canzone d’autore possa davvero avvicinarsi alla Poesia.
E uno dei Poeti Italiani più importanti della seconda metà del 900, e cioè Luzi, ha detto che almeno nel caso di De Andre’ ,la vicinanza della canzone alla poesia e’ davvero notevole.
Una prima risposta ovvia ,e’ che nella canzone a differenza che nella poesia c’è anche la musica.
Questo comporta il fatto che il Cantautore quando scrive i testi, deve anche accordarli alla musica e non ha la stessa libertà espressiva che può avere il Poeta.
Questo è’ certamente vero, tanto che numerosi cantautori dicono, che o si scrive prima il testo,(e allora si è’ più bravi come poeti) o si scrive prima la musica ,e allora si è’ più bravi come musicisti.
La canzone d’autore, quindi ,in qualche modo deve limitare, le possibilità espressive del testo poetico e della musica ,per ottenere un (talora prodigioso), incontro fra musica e poesia.
Ma riflettendo ho trovato una differenza fra canzone e poesia ,che mi sembra di gran lunga più importante.
Mentre per ascoltare e comprendere le canzoni di un pur bravo cantautore come De Andre, credo basti una sensibilità favorevole all’ascolto , per leggere poeti complessi come Dante, Petrarca, Leopardi o Montale e’ necessaria una cultura Filosofica , Storica , di Critica Letreraria davvero notevole.
Questa è’ la vera differenza.
Un’opera come la Divina Commedia e’ stata interpretata e sarà interpretata in modo sempre diverso per molti secoli e per i secoli che verranno.
Ho appena comprato e iniziato a leggere un libro (splendido) di Gilson (grande storico della Filosofia del Medioevo) intitolato “Dante e la Filosofia”, che e’ un contributo fondamentale nel
900, per lo studio dei rapporti fra Dante e i grandi Teologi e Filosofi citati nella “Divina Commedia”.
Rileggere le Poesie dopo aver letto testi di Filosofia , di Storia o di Critica Letteraria che le riguardano è tutta altra cosa.
Puoi approfondire aspetti che non avresti mai compreso a una prima lettura, e la tua stessa sensibilità alla lettura e alla comprensione della Poesia si arricchisce notevolmente.
Per questo le poesie sono e devono spesso essere così difficili (sopratutto nel 900) a differenza delle canzoni.
E per questo se vogliamo sono meno immediate ( perché si portano dietro anche tutta la critica che le riguarda e che e’ necessaria perche siano comprese).
E per questo la grande poesia (a differenza della canzone), spesso non è’ compresa al momento della
sua creazione (gli manca ancora una parte di se stessa, e cioè la storia delle sue interpretazioni, che può farsi solo nel tempo).
L’alta Poesia rispetto alla
Canzone , quindi ha una diversa resistenza nel
Tempo.
Noi amiamo giustamente i cantanti della nostra generazione (e così i nostri
padri e i nostri figli), ma troviamo spesso già superate ,le canzoni dei nostri padri e
insignificanti quelle dei nostri figli.
Si può dire una cosa del genere per la “Divina Commedia” o “L’Infinito”
di Leopardi ?
Evidentemente no ,perché il continuo rinnovarsi delle interpretazioni , addirittura nei secoli, rende queste poesie particolarmente resistenti al passare del
Tempo e in qualche modo sempre attuali.
E per questo è così importante il lavoro del critico della Poesia (alcuni poeti grandissimi, come Dino Campana ,che e ‘ impazzito e poi è’stato per parecchio tempo dimenticato,
sono stati recuperati grazie alla critica).
Ma cosa si sostituisce alla critica, (così importante per la Poesia ) nella Canzone ?
Credo il mercato.
Badate bene ci può essere un mercato fatto di consumatori di dischi più raffinati (come quello dei Beatles e di Bob Dylan) ,oppure un mercato espremamente superficiale per canzoni che muoiono il
giorno dopo.
Ma non vedo nella canzone quella importanza che ha per la Poesia la critica letteraria e lo studio della storia, della
Filosofia e della cultura in generale e che fa si che la Poesia come tutta l’arte più grande possa in qualche modo resistere al passare del tempo e delle generazioni.
FONTE: https://www.facebook.com/groups/filosofia.am/permalink/10158470667537539/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
NWO, tutto procede secondo i piani
Io NON mi inchino – Fb 25 11 2016
1) Esproprio delle seconde case, date gratuitamente in uso a clandestini e nomadi, in aggiunta alle case popolari già esistenti.
2) Aumento della tassazione sulle prime case e sulle eredità.
3) Aumento dell’Iva.
4) Prelievi forzosi sui depositi e risparmi dei cittadini italiani.
5) Legalizzazione della prostituzione, anche minorile.
6) Legalizzazione della droga.
7) Ius soli e voto agli immigrati.
8) Chiusura dei Cie e apertura totale delle frontiere.
9) Parificazione in tutto e per tutto delle unioni e coppie di fatto a quelle regolarmente sposate.
10) Diritto al matrimonio delle coppie gay, lesbiche, trans e bisex.
11) Liberalizzazione totale dell’aborto, possibile anche postumo fino al 18 mese di vita del figlio.
12) Rimozione di tutti i simboli religiosi e sacri da ogni luogo pubblico, ivi compreso il crocifisso, che non potrà essere neanche indossato al collo, abolizione dell’insegnamento della religione a scuola.
13) Messa all’indice della bibbia, in quanto offensiva e discriminante per i non cristiani, per gli omosessuali, le prostitute e svariate altre categorie di persone, nonchè divieto di evangelizzazione cristiana, in quanto parificata all’integralismo e al fondamentalismo religioso.
14) Passaggio delle sovranità nazionali alla UE e all’ONU.
15) Comando militare assegnato alla NATO e fine degli eserciti nazionali.
16) Legalizzazione della poligamia.
17) Liberalizzazione totale della pornografia.
18) Insegnamento dell’educazione omosessuale, lesbica, transgenica e bisessuale a scuola.
19) Legalizzazione della pedofilia.
20) Accesso alla procreazione assistita a qualsiasi coppia, anche non eterosessuale, al commercio degli uteri in affitto, allo sperma, agli ovuli fecondati, anche in vitro, agli embrioni umani.
21) Legalizzazione dell’eutanasia, e creazione di un’età massima consentita di vita, e di un limite alla spese mediche di mantenimento per anziani, malati terminali non autosufficienti, oltre il quale si potrà disporre l’eutanasia di stato.
22) Fine del concetto di cittadinanza nazionale e passaggio al concetto di apolidismo.
23) Abrogazione della pensione sociale e della cassa integrazione, della garanzia bancaria dei depositi e della non fallibiltà di banche ed enti pubblici, stati e nazioni.
24) Imposizione a qualsiasi chiesa e religione, del dovere di celebrare le nozze omosessuali, lesbiche, incestuose, trans, bisex anche poligame.
25) Abolizione del battesimo ai minorenni o a persone comunque non consenzienti.
26) Scuole superiori ed università a numero chiuso.
27) Imposizione, -come già avviene in Cina, del numero massimo di 1 figlio a coppia.
28) Imposizione dell’inserimento di un microchip sottocutaneo.
29) Fine della circolazione della moneta cartacea.
30) Divieto di produzione alimentare per autoconsumo.
31) Imposizione delle culture biologicamente modificate.
32) Abrogazione del controllo della filiera alimentare.
33) Divieto di detenzione di armi a civili non poliziotti.
34) Scioglimento dell’arma dei Carabinieri e assoggettamento delle forze di polizia all’Eurogendfor Europea, e dell’Esercito Italiano a quello della UE.
35) Processabilità dei cittadini italiani anche al di fuori della giustizia italiana, quindi possibilità di estradizione per processi in altri paesi esteri, non più diritto al giudice naturale.
36) Perdita di tutti i diritti legati alla cittadinanza.
37) In caso di nascita di un secondo figlio nelle coppie eterosessuali (vietato per legge) si potrà procedere all’aborto imposto per legge, o in alternativa, la sottrazione per l’adozione a coppie gay, tans, bisex o lesbiche.
38) La maggiore età scatterà a 16 anni, e la possibilità di riconoscimento di una sessualità autonoma, a 12 anni.
39) Introduzione di una legge sull’omofobia, che punisca chiunque è contrario a qualsiasi orientamento sessuale difforme da quello eterosessuale.
40) La patria potestà, può essere tolta ai genitori naturali, su richiesta di un giudice, per motivi di interesse pubblico.
41) Le usl dovranno farsi carico del servizio sessuale a domicilio per gli aventi bisogno, attraverso operatrici sessuali assunte all’uopo dal governo comunitario centrale.
42) Le riserve auree nazionali verranno assegnate alla UE e gestite dal Consiglio d’Europa e dalla BCE.
43) Il parlamento Europeo, sarà eletto ad opera di grandi elettori, non più a suffragio universale.
44) Abrogazione della Costituzione della Repubblica Italiana, del codice penale e civile italiano e adozione della Costituzione Europea e delle leggi europee
FONTE: Io NON mi inchino – Facebook – 25 11 2016
ECONOMIA
Lezioni Ecuadoriane: se il debito è illegittimo non si paga
Andrea Degl’Innocenti
http://www.ilcambiamento.it
Come accaduto in Islanda, anche in Ecuador il popolo, guidato dal presidente Rafael Correa, si è rifiutato di pagare il debito. Una commissione appositamente istituita l’ha dichiarato illegittimo in quanto si trattava di un prestito che faceva gli interessi esclusivi di banche e multinazionali e non del paese che avrebbe dovuto aiutare.
Un’altra lezione di cui tenere conto.
In Ecuador, come in Islanda, ci si è rifiutati di pagare un debito contratto in maniera ingiusta
In Ecuador è accaduto che il paese si ritrovava schiacciato, da una trentina d’anni circa, da un debito pubblico enorme.
Nel 1983, infatti, lo Stato si era fatto carico, di fronte ai creditori, del debito estero contratto da privati, per un totale di 1371 milioni di dollari, ai tempi una cifra notevole.
Talmente notevole che nei successivi sei anni il paese non fu in grado di pagarla. Invece essa crebbe fino a raggiungere la soglia di 7 miliardi.
Ora, i creditori erano principalmente istituti di credito statunitensi; nel contratto stipulato con il governo dell’Ecuador esisteva una clausola che prevedeva che dopo sei anni il debito cadesse in prescrizione.
Ma il 9 dicembre 1988, a New York, in un atto unilaterale, venne abolita la prescrizione della totalità del debito.
In pratica, gli Stati Uniti decisero che, a dispetto di ogni accordo preso in precedenza e senza consultare l’altra parte, l’Ecuador avrebbe pagato ugualmente tutto il debito, che intanto continuava a crescere. Nessun membro del congresso ecuadoregno si oppose alla risoluzione, che gli organismi statali nascosero persino alla popolazione.
Poco tempo dopo, sempre dagli Stati Uniti arrivò la seguente proposta: che il debito estero fosse scambiato con l’acquisto dei cosiddetti Buoni Brady. Nicholas Brady era ai tempi, siamo nel 1992, Segretario del Tesoro americano, e stava attuando il Piano Brady, che interveniva sul debito di molti paesi latinoamericani ristrutturandolo attraverso la vendita di nuovi bond e obbligazioni. Molti paesi accettarono l’offerta, che consisteva di fatto nel pagare il proprio debito contraendone un altro, sul quale sarebbero maturati nuovi interessi. Anche l’Ecuador accettò.
Le condizioni imposte da questo nuovo debito furono decisamente pesanti. Fra il 1992 ed il 1993 molte delle compagnie statali venero privatizzate. In particolar modo si stabilì che sarebbero state le risorse di metano e di petrolio a dover garantire il debito.
Alejandro Olmos Gaona, storico ed investigatore ecuadoregno, ha dichiarato di aver personalmente trovato sia nel ministero dell’economia argentino che in quello ecuadoriano tre lettere: una da parte del Fondo Monetario Internazionale diretta alla comunità finanziaria, ovvero a tutte le banche; un’altra della Banca Mondiale; una terza della Banca Interamericana dello Sviluppo (BID). Cosa chiedevano? Di appoggiare il governo argentino di Carlos Menem, che si era impegnato a privatizzare il sistema pensionistico, a cambiare le leggi sul lavoro, a riformare lo stato e privatizzare tutte le imprese pubbliche, specialmente quelle riguardanti il petrolio.
Nell’accettare il Piano Brady, l’Ecuador si impegnava a rispettare una serie di clausole molto articolate e piuttosto confuse. Ve n’era una, ad esempio, che fissava i termini ed i tempi per i reclami. L’Ecuador avrebbe potuto reclamare qualsiasi tipo di controversia legata al contratto a partire dal 21° anno dopo la morte dell’ultimo membro della famiglia Kennedy. Una clausola che suonava come una vera e propria beffa, volta ad impedire qualsiasi tipo di reclamo futuro da parte del paese.
Passiamo al 2000. I buoni Brady vengono sostituiti con i buoni Global, che aggiungono alle vecchie condizioni nuove misure di austerità e privatizzazioni, sotto pressione di alcune banche. I nomi? JP Morgan, Citibank, Chase Manhattan Bank, Lloyds Bank, Loeb Roades, E.F. Hutton. Il contratto viene stipulato dallo studio legale Milbank.
Lo studio Milbank – il cui nome steso è Milbank, Tweed, Hadley & McLoy – ha fra i propri clienti, guarda caso, JP Morgan e Chase Manhattan Bank, e ha curato negli anni la maggior parte dei contratti sul debito stipulati dai paesi dell’America Latina. Ogni singolo contratto dell’Ecuador è uscito da quelle stanze. Fra i suoi avvocati più brillanti sono annoverati John McLoy, primo presidente della Banca Mondiale, William H. Webster, ex-direttore dell’Fbi e della Cia e giudice della corte dello Stato di New York.
I contratti venivano stipulati con gli avvocati dell’Ecuador negli Stati Uniti: Cleary, Gottlieb, Steen e Hamilton, uno studio fantoccio che si limitava a ratificare quanto già deciso senza mai sollevare contestazioni.
La situazione è proseguita, uguale, fino al 2008. Poi qualcosa è cambiato. L’Ecuador si trovava allora in una situazione particolarmente difficile, con un debito gonfiatosi fino a raggiungere gli 11 miliardi di dollari, decisamente troppo per un’economia relativamente povera. Il presidente socialista Rafael Correa, in carica dal Gennaio 2007, prese allora la grande decisione.
“L’Ecuador non pagherà il proprio debito estero, in quanto è stato contratto in maniera illegittima”, dichiarò davanti al mondo intero. Come poteva fare un’affermazione così forte?
Perché nel frattempo egli aveva istituito una commissione d’inchiesta che srotolasse il bandolo della matassa del debito, che negli anni era andato crescendo e ingarbugliandosi sempre più.
Dalla relazione di tale commissione sono emerse tutte le alterne vicende che hanno portato alla creazione e alla crescita del debito – le stesse di cui vi abbiamo parlato sopra. Ed una serie di dati interessanti.
È emerso, ad esempio, che oltre l’80% del debito è servito a re-finanziare il debito stesso, mentre solo il 20% è stato destinato a progetti di sviluppo. Si è reso così lampante che il sistema dell’indebitamento è un modo per fare gli interessi di banche e multinazionali, non certo dei paesi che lo subiscono. La Commissione è quindi giunta alla conclusione che il debito estero dell’Ecuador è illegittimo e dunque non verrà pagato.
Da allora, potendo utilizzare le proprie risorse per la crescita sociale e non più per il pagamento del debito, l’Ecuador è andato incontro ad uno sviluppo senza precedenti; la popolazione sotto la soglia di povertà è diminuita di quasi il 15 per cento.
Nell’ottobre 2010 il presidente Correa è riuscito a scampare ad un colpo di stato militare grazie all’incredibile sostegno di cui gode da parte della popolazione. Da dentro l’ospedale in cui era stato rinchiuso dichiarava: “Il presidente sta governando la nazione da questo ospedale, da sequestrato. Da qui io esco o come presidente, o come cadavere, ma non mi farete perdere la mia dignità”.
Dall’Ecuador, come dall’Islanda, ci arriva un messaggio di speranza. Il ricatto del debito, utilizzato dai poteri forti della finanza globale per imporre misure drastiche e impopolari – depredare così intere nazioni – può essere interrotto. Dell’enorme debito che grava sul mondo intero, solo una piccolissima parte è in mano a piccoli risparmiatori, cittadine e cittadini. La stragrande maggioranza appartiene ad enormi gruppi finanziari privati, che lo usano per alimentare e gonfiare all’infinito questo meccanismo suicida.
In Ecuador hanno deciso che a questo debito, ingiusto, è giusto ribellarsi.
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10212885458563792&id=1609667199
EVENTO CULTURALE
BARBARA & CLAUDIA – Concerto il 17 marzo 2022 presso Auditorium – Roma
RHYTHM
https://www.auditorium.com/evento/barbara_cattabani_claudia_agostini-25113.html
GIO 17 MAR | ORE 21:00 | TEATRO STUDIO BORGNA
Barbara & Claudia: Il duo pianistico composto da Barbara Cattabiani e Claudia Agostini affianca all’ abilità’ pianistica altre caratteristiche peculiari: piccole acrobazie, precisione ritmica ed un pizzico di ironia. Le loro esibizioni sono anche uno spettacolo visivo!
Si sono da sempre distinte per l’originalità’ dei loro programmi (arrangiati per loro dal M° G. D’Angelo) dove l’impostazione classica si fonde con i più’ diversi stili musicali. È proprio da qui che nasce RHYTHM, un viaggio in giro per il mondo attraverso i ritmi più travolgenti dall’Europa al Sud America.
LUOGO: https://www.auditorium.com/evento/barbara_cattabani_claudia_agostini-25113.html
L’ultimo Robin Hood
Film realizzato dai registi e giornalisti d’inchiesta Ruggiero Capone e Giulio Gargia
Cinema: la proiezione de “L’ultimo Robin Hood” si terrà a Roma il giorno 25 febbraio 2022 presso la sala Sallustiana di via Sallustiana.
“L’ultimo Robin Hood” è stato realizzato due anni fa dai registi e giornalisti d’inchiesta Ruggiero Capone e Giulio Gargia. Il film apre in maniera semplice e comprensibile a tutti uno squarcio nel mistero della gestione del credito, della moneta, del debito, insomma il mondo delle banche.
Nel dibattito si parlerà del perché da qualche decennio l’Italia è diventata una “democrazia bancariamente protetta” equipollente delle “militarmente protette” d’Africa e Sud America. Si parlerà del grande inganno della creazione monetaria.
Attori di questa narrazione audiovisiva sono persone comuni ed ex dirigenti di banca che, per la loro azione contro l’ingiustizia bancaria, sono conosciuti da tutti come gli ultimi Robin hood.
Nel rispetto delle norme anti-covid si prega di prenotare al 3383415053.
FONTE: https://www.oggiroma.it/eventi/spettacoli/l-ultimo-robin-hood/61236/
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
GIUSTIZIA E NORME
IMMIGRAZIONI
Ecco come si costruisce la “bugia dell’immigrazione”
16 Febbraio 2022 – 20:16
Sorridono, cantano e battono le mani. Indossano abiti alla moda e trucco perfetto: il racconto delle traversate dei migranti che fa proseliti
Il viaggio di coppia a bordo di un barchino dalla Tunisia all’Italia, sorridenti e felici in attesa di arrivare a Lampedusa. Questo emerge dai video condivisi su Tik Tok e su Instagram da due giovani influencer tunisini, lei si chiama Chaima Ben Mahmoude, che lo scorso dicembre sono partiti a bordo di una carretta del mare in direzione dell’Italia.
Nelle clip pubblicate online si vedono circa una ventina di ragazzi, tutti con un’età approssimativa di 20 anni, che battono le mani e si muovono a tempo di musica, mentre lo scafista alle loro spalle governa il motore dell’imbarcazione. “Altra influencer (tunisina) che pubblica un video per mostrare il viaggio (in tutto divertimento) sul barcone verso l’Italia!! Ancora più orgoglioso di andare a processo a Palermo il 4 marzo per aver difeso i confini e l’onore del mio Paese“, ha commentato Matteo Salvini davanti a quelle immagini.
Il ragazzo che ha condiviso i video sembra essere piuttosto noto nel suo Paese, visti gli oltre 600mila follower su Tik tok. I suoi video sono molto seguiti, alcuni hanno addirittura superato 22milioni di visualizzazioni. Numeri di tutto rispetto, che spaventano ancora di più se si immaginano le conseguenze che una diffusione così ampia, e certamente virale, di questi contenuti nei coetanei di questi ragazzi. Ma lui e la sua fidanzata non sono certo i primi. Solo pochi mesi fa aveva destato scalpore il video di un’altra ragazza, Sabee al Saidi, anche lei influencer tunisina, che aveva documentato il viaggio dal nord Africa a Lampedusa a bordo di un barchino. Non mancano mai, in questi video, il trucco perfetto e gli abiti alla moda. Il loro obiettivo, com’è facile immaginare, non è quello di restare a lungo nei centri di accoglienza. Infatti, sia la coppia di fidanzati che l’altra influencer tunisina, appena hanno potuto hanno raggiunto la Francia.
Basta scorrere i loro profili simil-patinati per capirlo. Si fotografano sotto la torre Eiffel di Parigi e si fanno riprendere mentre sfrecciano a bordo dei monopattini elettrici per le strade della capitale francese. Ma quello che evidentemente vogliono mostrare ai seguaci del loro Paese è l’immagine glamour dell’Europa. Sabee al Saidi, da più tempo in Italia rispetto alla Ben Mahmoude, ostenta mazzette di banconote in valuta non europea, ma anche gioielli e foto in bikini in costume. Tutto questo fa parte della cosiddetta “bugia dell’immigrazione“, in parte responsabile dell’enorme flusso di giovanissimi che, nonostante i loro Paesi non siano considerati zone di guerra, decidono di imbarcarsi nella traversata del Mediterraneo per arrivare illegalmente in Italia.
Come spiegato da Chaima Ben Mahmoude, è davvero facile imbarcarsi per l’Italia: basta fare un giro di telefonate pr raggiungere i famosi amici degli amici, pagare una cifra nell’ordine delle migliaia di euro, e poi imbarcarsi. Lei l’ha fatto perché guadagnava troppo poco nel suo Paese. Tutto questo mentre in Italia la disoccupazione giovanile è alle stelle.
Nei video che questi influencer condividono sui social non c’è la percezione del pericolo e dei rischi di una simile traversata. Anzi, i giovani sono sorridenti e trasmettono una sensazione di tranquillità. La narrazione social che racconta una delle più grandi tragedie dei nostri tempi è forse la farsa più grande a cui stiamo assistendo.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cronache/ecco-si-costruisce-bugia-dellimmigrazione-2010607.html
Scappano dalla “guerra” ma lì erano abituati a caviale ed aragoste, povere stelle…
Axel White 25 06 2019 RILETTURA
Riferimento: https://www.ilmessaggero.it/video/cronaca/roma_cibo_migranti_buttato_immondizia-4553287.html
Non è la prima volta che assistiamo a scene del genere. Cibo destinato a sfamare gli immigrati ospiti di un Centro di accoglienza buttato per strada, in mezzo alla pattumiera. Avanzi ancora incellofanati e integri. L’ultimo spreco del business dell’accoglienza arriva da Roma.
In un sacco ci sono decine di piatti in plastica, ancora chiusi ermeticamente con la pellicola trasparente. Al loro interno quella che sembra una bistecca impanata con il contorno di patate al forno e tanto altro. Il video denuncia è ripreso in prima persona: una mano coperta dal guanto rompe uno per uno i sacchi che sono stati messi davanti allo SPRAR (Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) di via Pallavicini e ne rivela il contenuto.
Quello che emerge è uno spreco allucinante.
Ci sono porzioni (abbondanti) di pasta di ogni tipo al sugo o in bianco, piatti di risotto, secondi di carne e di pesce.
Il secondo video, invece, riprende il cibo che è stato buttato all’interno dei cassonetti della spazzatura. Anche qui le immagini danno l’idea di uno spreco senza senso. Ci sono sacchi di carta stracolmi di pane.
Ogni pagnotta è ancora protetta dal proprio sacchetto di plastica. “È una vergogna”, sbotta De Priamo che ora intende presentare un’interrogazione urgente alla Raggi e chiedere immediato riscontro dell’accaduto “ad ogni livello istituzionale”. “I soldi degli italiani, in aiuto ai centri d’accoglienza – spiega al Messaggero – non solo ingrossano il circuito dello spreco alimentare ma soprattutto fanno riflettere sulla gestione delle risorse a loro destinate”. È la riprova che la decisione del ministro dell’Interno Matteo Salvini di tagliare i fondi per l’accoglienza va nella giusta direzione e che le proteste di cooperative rosse e associazioni cattoliche hanno un sapore squisitamente politico. Per gli ultrà dell’immigrazione sono, infatti, “pochi” i 21 euro fissati dal Viminale per ogni straniero ospitato. Ma gli sprechi mostrati in questi due video mostrano l’esatto contrario.
Quello di via Pallavicini a Roma non è un caso isolato. Nel 2014 avevano fatto scalpore le fotografie scattate nel Centro di primo soccorso e accoglienza di Pozzallo: cassonetti della spazzatura stracolmi di decine e decine di portate di cibo ancora avvolte nel cellophan. Le stesse immagini che oggi vediamo a Roma, nello SPRAR di via Pallavicini. Su quello spreco avevano indagano anche i carabinieri della Compagnia di Modica e c’erano state non poche polemiche per le parole di una grillina che aveva spiegato che i pasti venivano buttati via perché “gli immigrati non digeriscono la pasta”. L’anno scorso, poi, un altro scandalo era scoppiato al centro di accoglienza di Castelvetrano. Sulle confezioni buttate via era ancora presente l’etichetta con il numero dello straniero a cui era destinato il pasto e che evidentemente non lo aveva consumato.
La cosa più assurda che emerge dalle verifiche è che il cibo gettato nell’immondizia fosse in ottime condizioni, da poco preparato e con date di scadenza a lungo termine; nel frattempo c’è chi giustifica il tutto dando la colpa al Ramadam (il cibo comunque potrebbe tranquillamente essere consumato, difatti al tramonto il digiuno viene interrotto con un dattero o un bicchiere d’acqua. Poi segue il pasto serale. Queste le regole del Ramadam, qualora fosse rispettato…) o al fatto che gli ospiti per protesta non gradiscano il cibo per svariati motivi…
Insomma, stiamo assistendo ad uno spreco e un degrado mai visto e c’è chi ancora spavaldamente giustifica e sostiene tutto ciò alla faccia di alcuni italiani che a stento possono permettersi un pasto o di arrivare a fine mese fra innumerevoli sacrifici.
FONTE: https://www.facebook.com/1931094187138413/posts/2323889047858923/
PANORAMA INTERNAZIONALE
Chi sono i fedelissimi di Putin
Era il dicembre 1999 quando, dieci anni dopo il crollo del Muro, Boris Eltsin annunciò inaspettatamente le sue dimissioni e nominò Vladimir Putin presidente ad interim. Promettendo di ricostruire una Russia indebolita, l’austero e riservato Putin vinse facilmente le elezioni del marzo 2000 con circa il 53% dei voti. Da subito individuato come un hardliner, nemico giurato di oligarchi e affaristi, ha costruito un’immagine da uomo solo al comando, differente dai leader storici sovietici, così schiavi del partito dei militari. Ma Putin è tutto tranne che solo nel guidare la Russia nel nuovo millennio e il suo cerchio magico ne è la dimostrazione. Mentre ora è all’apice del suo potere come presidente russo, è da lungo tempo circondato da alcuni funzionari, sia dentro che fuori il famoso gruppo di Pietroburgo, chiamato anche dei siloviki, la parola russa per indicare tutti gli uomini e l’intero apparato di agenzie dedite alla sicurezza antioccidentale. Questi uomini potenti – in gran parte nati nell’Unione Sovietica degli anni ’50, hanno stabilito posizioni ancora più reazionarie del loro presidente, e sono in prima linea nella lotta contro presunti nemici in patria e all’estero. L’aria di crisi e il conflitto con l’Occidente non restringe i loro ruoli, anzi, permette loro di estendere la propria rete di hard e soft power.
Sergej Shoigu: il più popolare dopo Putin
Classe 1955, dal 2012 è ministro della Difesa. Il membro di gabinetto più longevo della Russia e il suo secondo politico più popolare dopo Putin, spesso dato come prossimo leader russo. Sergej Shoigu ha avuto un ruolo chiave nel rilancio delle forze armate russe, culminato nel loro dispiegamento “di successo” in Siria. La sua agiografia lo vuole come salvatore dell’esercito, ed è su quello che è stato definito “fenomeno Shoigu” che si fonda il suo potere da tecnocrate. Sebbene Shoigu non sia mai stato un soldato, ha ricevuto la prestigiosa medaglia di Eroe della Federazione Russa (come il suo rivale Chemezov) e la sua frequente apparizione in uniforme aiuta a rafforzare la sua immagine di uomo d’azione e difensore della Patria. Nostalgico della Siberia, ha lanciato un enorme progetto che qui porterà alla costruzione di nuove città.
Il suo nome è tipicamente russo, pur essendo originario di Tuva, una provincia povera abitata da buddisti di lingua turca che confina con la Cina nord-occidentale. Alcuni intellettuali tuvani lo considerano addirittura una reincarnazione di Subedei, un generale mongolo il cui esercito ha devastato quelle che oggi sono Russia e Ucraina otto secoli fa: una mitopoiesi d’eccellenza. Shoigu ha iniziato la sua carriera all’inizio degli anni ’90 come capo del ministero delle Emergenze, rendendolo una struttura militarizzata altamente efficace e in cima a tutte le classifiche politiche anni prima che Putin diventasse presidente. Asseconda l’interesse di Putin per la vita all’aria aperta come presidente della Società geografica russa ed è proprio lui l’uomo che viene ritratto nelle immagini in cui il presidente è a pesca o a caccia nei boschi siberiani, un’unzione simbolica che secondo alcuni lo rende il suo più probabile successore.
Nikolai Patrushev: il nostalgico dell’era sovietica
Classe 1951, ha servito come Direttore del Servizio di sicurezza federale russo (FSB), che è la principale organizzazione succeduta al KGB dal 1999 al 2008, ed è Segretario del Consiglio di sicurezza della Russia dal 2008. Fra i siloviki d’acciaio, Patrushev è uno dei maître à penser della attuale glorificazione del passato sovietico. Patrushev sostiene che il crollo dell’Unione Sovietica “ha completamente sciolto le mani dell’élite neoliberista occidentale”, consentendole di imporre i suoi valori non tradizionali al mondo. Lui e i suoi colleghi hanno definito la Russia una nazione destinata a riconquistare quello status di baluardo contro l’Occidente, con l’Ucraina e altri paesi post-sovietici appartenenti alla legittima sfera di influenza di Mosca. Per questo ha descritto la russofobia in Ucraina come il risultato di una campagna di propaganda occidentale che risale a “scribi europei gelosi” che hanno infangato nientemeno che la figura di Ivan il Terribile.
Mentre la politica estera russa spetta ufficialmente al ministro degli Esteri Sergey Lavrov, il vero processo decisionale è sempre più guidato da una piccola cerchia di ufficiali dell’intelligence e funzionari della Difesa con stretto accesso a Putin come Patrushev. Con gran parte della sua carriera trascorsa nell’ombra, Patrushev ha poche prove pubbliche del suo coinvolgimento nella politica estera. Ma è noto per essere stato uno del piccolo gruppo di consiglieri vicini a Putin intimamente coinvolti nella pianificazione dell’annessione della Crimea nel 2014. Il profilo crescente di Patrushev nei Balcani è coinciso con l’ aumento dell’attività russa nella regione negli ultimi anni.
Valery Gerasimov: il militare di ferro
Classe 1955, è l’attuale Capo di stato maggiore generale delle Forze armate russe. Ha frequentato la Scuola militare a Kazan e, tra gli Anni ‘70 e ‘80, ha iniziato la carriera nell’Armata Rossa. Shoigu lo ha descritto come “un militare fino alla radice dei capelli”, fin dai tempi del Northern Group of Forces. Dopo aver prestato servizio nei distretti militari dell’Estremo Oriente e del Baltico, è diventato capo di stato maggiore della 58a armata nel distretto militare del Caucaso settentrionale nel 1999, poco prima dello scoppio della seconda guerra cecena.
Secondo il servizio di sicurezza dell’Ucraina, Gerasimov è stato il comandante generale di tutti gli elementi delle forze russe e anche dei ribelli filo-russi durante la loro decisiva vittoria strategica nella battaglia di Ilovaisk nel 2014, dove furono uccisi oltre 1.000 soldati ucraini. Per questa ragione, dal 2014 è nel libro nero dell’Unione Europea a causa di “azioni che ledono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina.
Sergei Naryshkin: il depositario della storia russa
Classe 1954, è Capo dell’intelligence straniera (SVR) dal 2016. Sergei Naryshkin è un alleato di Putin di lunga data e, secondo le notizie ufficiali che circolavano al momento della sua nomina, ha servito al fianco del presidente presso il KGB. Sua priorità speciale sembra essere la lotta senza quartiere per la storia russa, intrisa di teorie sul presunto decadimento morale della società occidentale. Non a caso sovrintende alla Russian Historical Society, aiutando a guidare l’istituto nel glorificare – e, secondo i critici, imbiancare – il passato della Russia. Nel 2009 Naryshkin è stato nominato presidente della Commissione russa per la verità storica, istituita per “contrastare i tentativi di falsificare la storia a scapito degli interessi della Russia”. Sotto la sua guida, l’SVR ha raddoppiato la sua campagna di pubbliche relazioni per plasmare la sua nuova immagine di organo potente e professionale, lontano dai metodi del KGB.
L’Ucraina è fra le ossessioni di Naryshkin. Insieme all’FSB, il servizio di sicurezza interna e controspionaggio, l’SVR gestisce da tempo spie e doppiogiochisti in Ucraina e nel mondo, supervisionando al contempo le operazioni di disinformazione globale: “Una specie di macchina del tempo ci sta riportando agli anni peggiori dell’occupazione di Hitler”, ha detto Naryshkin dell’Ucraina nelle scorse settimane, descrivendo il suo governo filo-occidentale come una “vera dittatura”. Dopo l’annessione della Crimea alla Russia nel marzo 2014, è stato incluso nell’elenco dei funzionari russi sanzionati dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Proprio come altri membri della cerchia ristretta di Putin, tuttavia, ha accettato la sanzione come una medaglia sul petto. Da circa un anno i rumors lo vorrebbero come papabile sostituto di Sergey Lavrov agli Esteri.
Aleksandr Bortnikov: l’uomo dell’intelligence
Classe 1951, è Capo del Servizio federale per la sicurezza (FSB), tuttavia si ritiene che abbia meno influenza su Putin di Patrushev o Naryshkin nonostante sia un siloviko. Bortnikov svolge un ruolo chiave nel mantenere il controllo di Putin sul Paese. Il tentacolare apparato di sicurezza che dirige impiega centinaia di migliaia di persone ed è responsabile di tutto, dall’antiterrorismo alla sicurezza delle frontiere, al controspionaggio, alla sorveglianza elettronica e, ufficiosamente, al contenimento dell’opposizione politica. Suo figlio Denis è il vicepresidente del consiglio di amministrazione della banca statale VTB Bank.
Il caso dell’avvelenamento di Alexander Litvinenko pose l’FSB sotto i riflettori internazionali. Litvinenko, che aveva ottenuto asilo nel Regno Unito, era stato bollato come “traditore” in Russia. L’inchiesta ufficiale del Regno Unito concluse che gli assassini probabilmente avevano l’approvazione di Putin e dell’allora capo dell’FSB, Nikolai Patrushev.
FONTE: https://it.insideover.com/politica/chi-sono-i-fedelissimi-di-putin.html
La matrioska Russa e le scatole Cinesi
Il comunicato congiunto di Putin e Xi-Jinping del 4 febbraio è un atto d’accusa contro l’occidente
In uno studio di dieci anni fa commissionato dal” Centre for European Reform” a firma del Prof. Dmitri Trenin, direttore del “Carnegie Moscow Center”, veniva sottolineato come, a meno che gli USA e l’Europa non avessero posto la necessaria attenzione agli interessi sovietici, come ad esempio l’allargamento ad est della Nato, la Russia avrebbe potuto rivolgersi verso la Cina, spostando il baricentro globale contro gli USA.
Il Presidente Vladimir Putin ha presenziato come ospite d’onore alla cerimonia di apertura dei giochi olimpici invernali che si svolgono in Cina. Gli stessi giochi per i quali gli Stati Uniti hanno intrapreso una feroce campagna diplomatica di boicottaggio. Al termine dell’incontro con Xi-Jinping, il 4 febbraio, è stato redatto un comunicato congiunto che è un “j’accuse” al mondo occidentale ed in particolare agli Stati Uniti. Si contesta il merito ed il modo con il quale si cerca di imporre il modello di democrazia occidentale, percependolo come un tentativo di destabilizzare l’equilibrio interno di Cina e Russia. Si sottolinea senza mezzi termini la posizione comune di forte opposizione contro quegli Stati che cercano mediante alleanze militari di ottenere vantaggi unilaterali che vanno a detrimento della sicurezza di altri. Si dichiarano contro l’espansione della NATO e della politica americana nell’indopacifico, così come guardano con grande preoccupazione al recente accordo tra USA, Australia e Regno Unito. Parlando del ruolo delle Nazioni Unite nel quale intendono svolgere un ruolo coordinato, affermano:” Russia e Cina intendono sostenere con forza gli esiti della Seconda guerra mondiale e l’attuale ordine mondiale del dopoguerra”. Non viene tralasciata nemmeno la questione di Taiwan, con l’appoggio incondizionato russo al principio della “Cina unica”, ed infine viene affermato che l’amicizia tra i due popoli non ha “nessun limite”.
Insomma, sembra un perfetto contratto di matrimonio. Ed un chiaro messaggio ad Usa ed in subordine all’Europa.
L’agenda dell’ordine mondiale non è più gestita da Biden, ma da Putin, che con la questione Ucraina ha tolto la pressione dalle spalle di Pechino. Inoltre, Putin ribalta il concetto che fu introdotto dalla amministrazione Obama che vedeva la Russia come una potenza regionale ed a basso livello di minaccia. È vero che la Russia economicamente si colloca ormai dietro USA, Cina, India, Giappone e Germania e che le sue spese militari che ammontano a 60 miliardi di dollari sono molto lontane dagli 800 miliardi di budget degli Stati Uniti ed i 250 della Cina, ma così si dimentica che la Russia rimane una potenza militare di tutto riguardo sia convenzionale che nucleare. E che possiede forti leveraggi economici quali sono gli smisurati giacimenti di gas, petrolio, e metalli pregiati che si possono rapidamente trasformare in formidabili armi non convenzionali. Come appunto stiamo osservando in questi giorni circa le nostre bollette di gas e luce. Nell’ultimo decennio questo tipo di approccio verso la Russia ha fatto si che diventasse sempre più una Russia felicemente asiatica e molto più preoccupata sul versante occidentale. Inoltre, la politica di Biden viene percepita come ondivaga e debole, specie dopo la pasticciata conclusione in Afghanistan
Putin ha risolto invece molte delle dispute territoriali con la Cina, spianando la strada ad una collaborazione più stretta con Pechino.
Per la Russia è la prima volta, dopo almeno due secoli e mezzo, che si confronta con una Cina che è economicamente più forte. Nel 1979 quando Deng Xiaoping lanciò la sua rivoluzione, l’economia cinese era meno della metà di quella russa. Oggi è sei volte più grande. Ed anche nel campo militare convenzionale, i rapporti di forza si sono rovesciati. Ma la Cina intelligentemente non ha mai sottolineato la diminuzione di forza e di dimensioni della Federazione russa. Hanno semmai avuto sempre difficoltà a capire se la Russia fosse un paese più europeo o asiatico; del primo mondo o del terzo. Ma certamente utile per la sua opposizione verso gli Stati Uniti, che in questi ultimi anni è la stessa di Pechino.
Lo scacchiere di interesse e vastissimo e complicato e tante sono le questioni ed i rapporti che si intersecano a livello internazionale. Ma Cina e Russia ultimamente hanno cercato sempre di smussare le differenze e convergere in favore dei temi sensibili per l’uno o per l’altro.
Taiwan, Tibet, Xinjiang, Cecenia e Crimea sono tutte crisi nelle quali le due potenze si sono supportate a vicenda.
E anche se molte sono le questioni che si frappongono tra Cina e Russia, si pensi alla questione dell’Artico a cui la Cina vorrebbe poter accedere mentre la Russia vuole mantenere il controllo limitato ai Paesi confinanti, in questo periodo sono molte di più le convergenze che non le divisioni.
Putin e Xi-Jinping sono due abili negoziatori e strateghi raffinati. La loro attuale convergenza non è un moto spontaneo dovuto ad una amicizia personale. Dietro c’è un attento calcolo di mutuo vantaggio. La matrioska russa prima di arrivare a scoprire il seme, mostrerà tante matrioske più piccole che potranno o meno confermare le affinità Russo-Cinesi.
E così sarà per le scatole cinesi; anche esse potranno modificare l’indirizzo politico intrapreso. Gli unici che al momento non sembrano avere una strategia sono gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Quest’ultima sembra fare poco o nulla per cercare di far propendere la Russia verso una dimensione Europea e non asiatica.
Recentemente il Generale Leonardo Tricarico già Capo di stato Maggiore dell’aeronautica militare, in una intervista ad un quotidiano nazionale ha affermato:” «La Russia deve essere portata dalla nostra parte, non bisogna regalarla alla Cina. È un lavoro arduo, ma è un lavoro che si può fare solamente se noi europei cominciamo a pensare alla nostra sicurezza, sottraendo la Nato all’egemonia statunitense”.
E’ certamente questa la via, ma per fare questo occorrono forse delle matrioske europee che contengano dei piani e delle proposte lungimiranti con le quali l’Europa, nel suo insieme, possa giocare un ruolo di primo piano.
La Svezia dice “no” alla Nato, ma ormai è legata all’Alleanza Atlantica
Nella giornata di mercoledì 16 febbraio, il governo svedese ha pubblicato un documento di sintesi degli indirizzi di politica estera in cui, tra i vari argomenti toccati, viene esplicitamente affermato che Stoccolma non intende fare domanda di adesione alla Nato.
Quasi all’inizio della breve trattazione (10 pagine), possiamo infatti leggere che “il diritto di fare le nostre scelte di politica di sicurezza è la chiave della nostra sicurezza” e che “il governo non intende fare domanda per l’adesione alla Nato” sottolineando come “la linea della politica di sicurezza rimane invariata”. Stoccolma ribadisce la “libertà di alleanza militare” che “contribuisce alla stabilità e alla sicurezza nell’Europa settentrionale”. La Svezia afferma di voler combinare questo con “una politica di difesa che poggia su due pilastri: una capacità nazionale rafforzata e la cooperazione internazionale in materia di difesa approfondita”. Viene ribadita nel contempo la speciale relazione con il vicino di casa finlandese, che rappresenta un perno fondamentale per la sicurezza svedese e per quella di tutta la Scandinavia: a Helsinki viene infatti attribuita una “posizione speciale”. Nel documento si ricorda che la Svezia, dal 2014 – anno del colpo di mano russo in Crimea e dell’inizio del conflitto in Donbass – ha costruito una rete di sicurezza e di difesa funzionante e ha concluso molti accordi di cooperazione, non da ultimo con i vicini nordici e baltici.
Le minacce che arrivano della Russia
Viene anche sottolineato come si stia costruendo capacità militari sia con i singoli Paesi sia con la Nato, a evidenziare come l’Alleanza Atlantica sia, a tutti gli effetti, un importante partner per la difesa del Paese. Viene anche ricordato che la Svezia sta costruendo una capacità di difesa nazionale credibile attraverso il più grande investimento dagli anni ’50. Sembrerebbe una decisione presa per evitare uno scontro con Mosca, ma nello stesso documento, poco prima della dichiarazione di non adesione alla Nato, possiamo leggere che Stoccolma giudica di trovarsi “in una grave situazione di sicurezza” per via della “crescente retorica conflittuale della Russia e delle sue attività militari, sia visibili che nascoste” giudicate come “inaccettabili”.
Si prosegue affermando che “l’escalation della presenza militare russa al confine ucraino e le richieste russe di garanzie di sicurezza minacciano il fulcro della sicurezza europea”. La Svezia considera l’attuale regime di sicurezza europeo “non negoziabile”, ma soprattutto afferma che “difendere la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina è essenziale per la sicurezza dell’Europa nel suo insieme”. Inoltre viene aspramente criticato il diktat di Mosca riguardante la possibilità che Kiev possa entrare nell’Alleanza Atlantica quando viene detto che “l’Ucraina, proprio come la Svezia, ha il diritto di fare le proprie scelte di politica di sicurezza” e “non spetta alla Russia dettare queste regole attraverso minacce e violenze. Le regole del diritto internazionale sulla sovranità degli Stati e l’indipendenza politica fanno parte dell’ordine di sicurezza europeo”.
Secondo Stoccolma, però, “la via da seguire per ridurre le tensioni è il dialogo continuo e la diplomazia, ma allo stesso tempo dobbiamo prepararci affinché la Russia scelga un’altra strada”. Questo significa, detto in altri termini, che nonostante la scelta di adoperarsi diplomaticamente per risolvere gli attriti legati alla politica di Mosca, la Svezia consideri pur sempre l’approccio militare, sebbene letto in chiave di deterrenza attraverso il rafforzamento del suo strumento difesa e i legami coi Paesi dell’area scandinava, baltica e, come già affermato, con la stessa Nato.
Il peso della cooperazione per la Svezia
La Svezia, si legge ancora, non resterà a guardare se una catastrofe o un attacco dovesse colpire un altro paese dell’Ue o un paese nordico, e si aspetta che questi Paesi agiscano allo stesso modo se la Svezia venisse colpita. Stoccolma afferma anche che “non si può escludere un attacco armato alla Svezia” e che quindi ci sia la necessità di essere in grado di dare e ricevere sostegno, sia civile che militare. Si ribadisce ancora che è il Paese a decidere con chi cooperare e che aspetto possa avere questa cooperazione in tempo di pace, in crisi e in guerra, ricordando che la politica estera e di sicurezza di Stoccolma si basa sulla coesione nell’Ue e su una maggiore cooperazione su un ampio fronte: nella regione nordica, nella regione del Mar Baltico, attraverso l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) e attraverso un profondo partenariato con la Nato, in quanto “un forte legame transatlantico è essenziale per la sicurezza dell’Europa”.
- La centralità della Scandinavia nel contrasto alla Russia
- Stoccolma militarizza l’isola di Gotland
- Le bolle di interdizione aeronavale russe
Il governo svedese respinge così le richieste dell’opposizione, che premeva per ottenere una dichiarazione politica in cui si aprisse alla possibilità di aderire alla Nato. Un provvedimento da prendere come contro-reazione alla richiesta russa nei confronti di Svezia e Finlandia (tra gli altri) di non aderire all’Alleanza Atlantica. Sebbene il governo di Stoccolma abbia ribadito con forza la propria libertà di alleanza militare, a tutti gli effetti la Svezia si trova in una condizione in cui è già in qualche modo vincolata all’Alleanza Atlantica, eliminando di fatto lo status di Paese neutrale che l’ha quasi sempre caratterizzata. La neutralità è stata infatti cancellata dalla stessa politica di sicurezza e pertanto la stessa libertà di alleanza militare resta solo sulla carta.
La Svezia ha partecipato a “missioni di pace” sotto la bandiera della Nato, prende parte alle esercitazioni dell’Alleanza, ha stipulato l’accordo di sostegno del Paese ospitante (Hnsa – Host Nation Support Agreement) per la libertà di passaggio delle forze dell’Alleanza e può partecipare alla meccanismo di reazione rapida della Nato (Nrf – Nato Response Force). Stoccolma quindi è già un premier partner dell’Alleanza Atlantica, inoltre il deterioramento delle condizioni di sicurezza in Europa ha causato un ulteriore avvicinamento di Stoccolma ai suoi vicini scandinavi, tra cui Oslo, che notoriamente fa parte della Nato.
L’accordo scandinavo
Svezia, Finlandia e Norvegia hanno infatti stretto un accordo trilaterale, il “Trilateral Statement of Intent”, il 23 settembre del 2020 che fissa come obiettivo una più stretta cooperazione in materia di difesa tra i tre Paesi col fine di raggiungere capacità e prontezza tali per condurre operazioni militari, sulla base sempre di “decisioni separate”.
Non solo. La Svezia si è legata da tempo anche agli Stati Uniti attraverso un altro accordo trilaterale, siglato a maggio del 2018 insieme alla Finlandia, che ha all’incirca i medesimi obiettivi del precedente ma aggiunge un punto interessante, ovvero la promozione di legami costruttivi con la Nato e l’Ue, visti come organismi fondamentali per implementare la sicurezza del Baltico.
La dichiarazione di non adesione all’Alleanza quindi risulta essere una decisione di facciata per cercare esclusivamente di evitare di dover schierarsi obbligatoriamente in caso di conflitto, in quanto Stoccolma, come abbiamo visto, è già un alleato della Nato, condividendone obiettivi e sorti.
Del resto la Scandinavia ha una centralità nella sorveglianza e nel contenimento della Russia molto peculiare proprio per la sua geografia che la colloca tra due mari (il Baltico e quello di Barents) che bagnano le coste russe e sono passaggi obbligati per la Voenno-morskoj Flot, la marina di Mosca. Proprio Stoccolma, che come già detto ha avviato un programma di riarmo come non si vedeva dagli anni ’50, è quella più preoccupata per l’attività russa, tanto da aver reintrodotto la leva (se pur selezionata) e rimilitarizzato l’isola di Gotland, collocata strategicamente in mezzo al Mar Baltico. Questa dichiarazione di “neutralità”, però, non salverà la Svezia nel malaugurato caso che si giunga a uno scontro tra la Nato e la Russia, proprio perché, come abbiamo visto, esistono degli accordi di difesa con l’Alleanza e con suoi singoli membri e perché la stessa isola di Gotland fornirebbe a Mosca un prezioso punto strategico per prolungare di molto il braccio della bolla di interdizione aeronavale presente nella sua exclave di Kaliningrad.
FONTE: https://it.insideover.com/difesa/la-svezia-dice-no-alla-nato-ma-ormai-e-legata-allalleanza-atlantica.html
Biden nei guai: abbandonato da 30 deputati democratici
I deputati democratici abbandonano Biden, Kathleen Rice si ritira dalle elezioni. Tra i trenta deputati del partito democratico che hanno abbandonato Joe Biden, ritirandosi dalle elezioni di Midterm, figura anche Kathleen Rice. La deputata di New York ha annunciato che non correrà per la rielezione.
Come riferisce il New York Times, il numero dei Democratici che prevede di lasciare il Congresso non è mai stato così alto dal 1922. Un segnale, questo, che manifesta la mancanza di fiducia nel partito, che attualmente non sembra in grado di mantenere la maggioranza alle elezioni di Midterm di novembre. Biden ha provato ad alzare la tensione sull’Ucraina proprio per risollevare le sue sorti elettorali. Ma il tentativo non sembra funzionare.
Rice, una moderata che ha rappresentato parte della contea di Nassau, a Long Island, dal 2015, non ha fornito dettagli per la sua scelta inaspettata: durante il giorno del suo compleanno ha annunciato di voler passare ad un nuovo capitolo della sua vita.
I deputati democratici alla Camera sanno che la loro maggioranza è condannata
Secondo Michael McAdams, direttore delle comunicazioni del National Republican Congressional Committee, “I democratici alla Camera sanno che la loro maggioranza è condannata e hanno una scelta: ritirarsi o perdere“. Nel caso di un’ondata rossa (dal colore del Grand Old Party), anche il quarto distretto congressuale di New York, quello di Rice, potrebbe essere a disposizione dei Repubblicani. affaritaliani.it
FONTE: https://www.imolaoggi.it/2022/02/16/biden-nei-guai-abbandonato-da-30-deputati-democratici/
FARE LA GUERRA SUL SUOLO DEGLI ALTRI
La crisi in Ucraina: le ragioni storico-politiche e i prevedibili sviluppi
A leggere le cronache degli ultimi giorni sulle vicende ucraine, pare che questo martoriato paese sia lontano anni-luce. In realtà la distanza fra Roma e Kiev è di circa 2.300 Km, tre ore di volo, ma la distanza fra Trieste e Berehove, i due punti più vicini fra i due stati, è di soli 900 km, più o meno quella fra Torino e Palermo.
Dall’Italia verso l’Ucraina, e viceversa, partono diversi autobus al giorno (forse ora le corse sono notevolmente diminuite), Gran Turismo e minibus, che trasportano persone e merci da un paese all’altro. In molte case italiane i vecchi e i disabili sono assistiti da donne ucraine che hanno lasciato figli e affetti nel paese in guerra e sono venute da noi a svolgere lavori ingrati di cui gli italiani non vogliono sapere.
Già questo è un motivo sufficiente per considerare le attuali vicende che fanno riecheggiare sinistri echi di guerra come fatti di casa nostra. A maggior ragione se la deriva della situazione coinvolge le due super potenze planetarie. Da alcune settimane Ucraina e Russia si stanno fronteggiando sia sul terreno fisico del confine sia – direttamente o indirettamente – su quello diplomatico degli incontri bilaterali.
Può quindi essere utile riepilogare, seppure per sommi capi, le cause e le tappe attraverso le quali la crisi si è originata, per capire quale potrà esserne il prevedibile sviluppo e quali conseguenze – sul piano politico e su quello economico – è lecito aspettarsi. Nel far questo, riprendiamo in parte quanto scrivemmo qualche anno fa, ovviamente integrandolo con gli eventi accaduti successivamente.
Iniziamo con questo articolo l’excursus storico, che concluderemo la prossima settimana per poi concentrarci sui fatti di oggi. Non è infatti possibile capire cosa sta succedendo se non si hanno chiare le fasi del tormentato rapporto fra Russia e Ucraina.
Fino al crollo del muro di Berlino, l’Ucraina era una delle Repubbliche Sovietiche, in cui era cresciuto fra l’altro Nikita Chruščëv (benché nato a Kalinovka, nell’attuale Russia e vicino al confine con l’Ucraina, dove poi si trasferì dall’età di 14 anni), e prima ancora celebri scrittori quali Nikolai Gogol e Mikhail Bulgakov, come pure atleti famosi quali Valerij Borzov, Sergij Bubka e Andrij Shevchenko.
Era una delle repubbliche più ricche dell’URSS, con terra fertile e produttiva, materie prime abbondanti e sottosuolo generoso, tanto da essere al centro dei programmi di sviluppo economico del passato regime. All’epoca aveva infatti fabbriche all’avanguardia, scuole soprattutto tecnologiche fra le migliori, infrastrutture funzionanti e, compatibilmente col resto del paese, un elevato livello di vita, senza disoccupazione e con assistenza sanitaria estesa ed efficiente.
Se confrontiamo la situazione di trenta anni fa con quella di oggi, troviamo un paese distrutto, istituzioni politiche corrotte e oligarchiche, lavoro inesistente e prezzi dei servizi irraggiungibili per la maggioranza della popolazione: anche per questo i flussi di emigrazione dall’Ucraina erano, e sono anche oggi, molto consistenti.
Veramente un destino crudele per la martoriata popolazione ucraina, passata senza soluzione di continuità dal regime dittatoriale sovietico, che d’altra parte garantiva servizi e lavoro ma al prezzo di una povertà diffusa e di una mancanza di libertà democratiche, all’oligarchia che quella povertà ha accentuato, alla vera e propria guerra civile. Non c’è stato il tempo di consolidare attitudini ed istituzioni democratiche, né la volontà di costruire un’efficiente economia di mercato, come accaduto in altri paesi dell’orbita ex sovietica, quali la Polonia, l’Ungheria o la Repubblica Ceca.
Il 24 agosto 1991, crollato da tempo il muro di Berlino, l’Ucraina proclama l’indipendenza dall’ormai dissolta URSS ed avvia il suo cammino, pieno di speranze ma soprattutto di illusioni, verso la democrazia. Nel 1996, grazie soprattutto all’ala riformatrice del Parlamento, viene emanata la nuova costituzione e nel dicembre 2004 la nazione è dichiarata Repubblica parlamentare.
Da questo momento, anziché procedere spedita verso il consolidamento di autonome istituzioni democratiche, inizia la via crucis di radicalizzazione e scontri aperti che condurrà il paese alla situazione attuale. I personaggi attorno ai quali, in quegli anni, si polarizza il confronto sono l’ex funzionario della banca centrale e filo-occidentale Viktor Juscenko e il politico filo-russo appartenente all’oligarchia ex sovietica Viktor Janukovyc, leader del Partito delle Regioni.
Le elezioni del 26 dicembre di quell’anno sono vinte di stretta misura da Juscenko, sostenuto dalla mobilitazione popolare della “rivoluzione arancione” guidata da Juljia Tymoscenko, leader avvenente ma discussa oligarca, che in breve tempo era riuscita a costruire una notevole fortuna sia patrimoniale che politica. Juscenko è Presidente della Repubblica dal 2005 al 2010 e la Tymoscenko premier dal 2007 al 2010.
In questo quinquennio l’Ucraina si avvicina molto all’occidente, accarezzando l’idea di un improbabile ingresso nell’Unione Europea e prendendo invece gradualmente le distanze dalla Russia, che assicurava forniture di gas a prezzo politico, notevolmente inferiore a quello di mercato. La Russia continuava inoltre a sostenere, con ingenti prestiti, le finanze di uno Stato che l’oligarchia al potere depauperava delle sue ricchezze e delle sue risorse per l’arricchimento personale di una ristretta casta di privilegiati. In questo periodo, per di più, la mafia ucraina consolida il suo potere e il controllo diffuso dei gangli dell’economia del paese.
Sostenuto dal forte appoggio russo, al ballottaggio delle elezioni presidenziali del 2010 Janukovyc sconfigge la Tymoscenko e diventa Presidente. Si apre un periodo di avvicinamento alla Russia, senza però formalmente rinnegare l’idea di adesione all’UE che, da parte sua, continua nel consueto atteggiamento indeciso e ondivago.
Come vedremo la prossima settimana, il tormentato rapporto con il gigante russo avrebbe ben presto conosciuto momenti molto critici.
FONTE: https://www.marcoparlangeli.com/2022/02/16/fare-la-guerra-sul-suolo-degli-altri-1
Donald Trump accusa Hillary Clinton di aver organizzato il Russiagate
L’ex presidente Donald Trump ha accusato l’équipe della rivale sconfitta, Hillary Cointon, di aver inventato di sana pianta le accuse di collusione con la Russia, che hanno portato a una procedura per la sua destituzione (impeachment).
Il procuratore speciale John Durham ritiene Michael Sussman, brillante avvocato che lavora per il Partito Democratico, colpevole di aver organizzato la vicenda. Il 12 febbraio 2022 è stata avviata un’istruttoria per accertare le intercettazioni illegali e l’hackeraggio dei computer dell’équipe Trump per conto dell’équipe Clinton.
Il nuovo sviluppo della vicenda sopraggiunge nel momento in cui i Democratici, dopo aver accusato la Russia d’ingerenza nella campagna per le presidenziali USA sulla base di false informazioni, ora l’accusano di preparare una guerra in Ucraina.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article215692.html
Mentre Mosca minaccia Kiev, il Pentagono prepara la guerra nel Pacifico
POLITICA
La Trattativa Stato-mafia
Stefania Limiti 29 08 22018 RILETTURA
Visto che Salvatore Sechis mi cita in questo articolo che allego di seguito (si tratta della recensione del libro ‘avantologo’ di Satta e Lavagno, per dirla con Sandro Provvisionato che mi manca sempre di più) lo ringrazio e preciso che a mio parere il parallelo che propone tra la Trattativa Stato-mafia e quella di cui abbiamo parlato Sandro ed io in Complici (Chiarelettere ) è del tutto fuorviante: sono due questioni sideralmente lontane. Tirarle in ballo insieme mi pare solo che serva a confondere le acque.
Quanto alle conclusioni cui perviene Sechis, insieme ai due autori: 1. Che il sequestro, la detenzione e l’uccisione di Moro furono interamente opera dei brigatisti è una loro ipotesi ma non trova solide basi di prova, ahinoi. 2. Che ogni intesa fu impossibile mi pare una affermazione tautologica, vista la conclusione del sequestro, il punto non risolto (tantomeno dai due nostri avantologi) è: chi fece fallire i numerosissimi tavoli di trattive (tra i quali quello del Psi fu il meno avanzato, forse, o tra i meno avanzati)? Perché non si riesce a ricostruire nulla su questi fallimenti? Buio completo; 3. Che non ci fu nessun patto scellerato tra Stato e Br finalizzato ad elaborare una “verità dicibile”, cioè a manipolarla, è una affermazione di principio che vale zero, dopo le acquisizioni della Commissione parlamentare tra le quali vi è la prova che il Memoriale Morucci, base della trattativa, non fu un documento di testimonianza ma un dossier fatto a più mani e confezionato dai servizi; personalmente sarei stata anche io dalla parte della legislazione premiale, infine, sostenuta da un ampio fronte garantista ma ciò non significa negare il ruolo avuto dal patteggiamento della verità.
Conclude il nostro: “Dunque, il negoziato politico-giudiziario per alimentare una ricostruzione falsa dei fatti, con la complicità dei protagonisti, non è esistito”. E’ una pura ipotesi, non spacciamola per la verità.
PS: definire una commissione d’inchiesta gregge parlamentare tranne uno che ti sta simpatico mi pare poco elegante ma tant’è….
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10213165108022180&id=1229430733
La dittatura degli intellettuali tutti di sinistra per interesse
17 Febbraio 2022 – Alessandro Gnocchi
Il socialismo è un’idea borghese e porta al capitalismo di Stato. Con la furba complicità dell’intellighenzia
Edoardo Bennato, nel suo capolavoro Burattino senza fili, una anarcoide rilettura di Pinocchio, aveva indovinato cosa sarebbe successo in questi due anni nei quali i medici, con il concorso esterno di dotti e sapienti, hanno preso la parola per non restituirla mai più, visto che si sono abituati alle telecamere. Citiamo da Dotti, medici e sapienti: «E nel nome del progresso / Il dibattito sia aperto / Parleranno tutti quanti / Dotti medici e sapienti // Tutti intorno al capezzale / Di un malato molto grave / Anzi già qualcuno ha detto / Che il malato è quasi morto». Era il 1978.
Se il ruolo dell’intellettuale, come gli intellettuali stessi teorizzano, è quello di sfidare le convenzioni e il potere, possiamo affermare che in Italia hanno tradito la loro missione. Non hanno combattuto contro il conformismo, l’hanno alimentato, stando ben attenti a restare sempre all’ombra del potere, un potere qualsiasi, come dimostrano i cambi di casacca dopo il crollo del Fascismo, quando camicie nere di comprovata fede sono passate alla camicia rossa. Un esempio per tutti: Elio Vittorini, cantore dello squadrismo intransigente nel Garofano rosso e poco dopo della Resistenza intransigente in Uomini e no. La maggior parte degli intellettuali, scriveva Antonio Delfini, lui sì controcorrente, durante il Fascismo non disse una parola, in attesa di raccogliere il potere alla caduta del regime.
Poi sappiamo come è andata nel dopoguerra. Dichiararsi di sinistra era quasi un obbligo. Chi non ci stava, rischiava di essere tagliato fuori. La contestazione degli anni Sessanta si rivelò funzionale a due scopi, uno indesiderato e l’altro bramato: rafforzare il capitalismo, spazzando via i residui valori tradizionali; e lanciare brillanti carriere. Finito il comunismo, tolti alcuni sparuti nostalgici, ancora convinti che fosse un’idea bella ma realizzata male, è iniziata l’epopea del politicamente corretto, un gioco di parole inconcludente ma non innocente.
Abbandonati i lavoratori, che, avendo mangiato la foglia, votano a destra, la sinistra si è gettata sui diritti civili. Voi direte: ma sono sacrosanti. Noi rispondiamo: i diritti dello Stato liberale, che sottraggono l’individuo all’arbitrio perché le leggi si applicano senza alcuna distinzione, sono intoccabili. Al contrario, la moltiplicazione dei diritti, attribuiti in funzione dell’appartenenza a una minoranza (etnica, culturale, sessuale), porta alla frammentazione e reintroduce l’arbitrio. Allo Stato si riconosce il dovere di intervenire e il potere di decidere cosa si può fare e cosa si può dire. La libertà, invece, richiede di rispettare il pluralismo che lo Stato può annientare assimilando ogni differenza. Oggi possiamo anche intuire il fine di chi asseconda il politicamente corretto, ideologia ufficiale del potere politico ed economico: i cittadini devono essere tutti uguali alla cassa del supermercato globale, per semplificare gli affari. Gli intellettuali progressisti sono i chierici coccolati dal sistema. Altro che trasgressione, siamo di fronte alla parodia dell’indipendenza di giudizio recitata da chi sfonda porte spalancate, fingendo di compiere chissà quale impresa mentre liscia il pelo al conformismo. Non è così? E allora perché il potere, invece di perseguitarli, premia questi commedianti con montagne di visibilità e di pecunia?
Esiste una ampia letteratura sul tradimento dei chierici, da Julien Benda a Friedrich von Hayek, da Raymond Aron ad Alain Finkielkraut. Aggiungiamo alla lunga lista Jan Waclaw Machajski, personaggio ignoto ai più, ripescato dalle edizioni Gog, che pubblicano una antologia di scritti con il titolo La dittatura dell’intellighenzia. Machajski nasce a Pintzov, nella Polonia russa, il 15 dicembre del 1866. Si laurea in medicina e si avvicina al socialismo. Finisce in Siberia durante le lotte contro lo Zar. Ottima occasione per approfondire il marxismo. Risultato finale: Marx viene usato da Machajski come arma contro gli intellettuali marxisti. Niente di strano se i bolscevichi, giunti al potere, spingono il troppo anarchico Machajski ai margini del dibattito. La bella prefazione di Lorenzo Vitelli avvicina Machajski a Gustave Le Bon, Georges Sorel e soprattutto, con una piacevole sorpresa del lettore, Vilfredo Pareto.
Gli spunti offerti da Machajski sono numerosi. Il più interessante è la definizione di socialismo come ideologia di classe dell’intellighenzia borghese. In generale, Machajski spiega che l’approdo del socialismo, come è (fra)inteso dagli intellettuali, sarà il capitalismo di Stato, nel quale una casta di burocrati predestinati manterrà il dominio sulle masse operaie. Da chi è composta questa casta? Il capitalismo sforna un numero eccessivo di intellettuali, superiore a quello richiesto dal mercato. Gli intellettuali allora contestano il mercato, mettendosi alla testa dei «più deboli», odiosa formula paternalistica spesso utilizzata dai nostri scrittori. La rivoluzione degli intellettuali, però, non ha nulla a che vedere con l’abolizione dello sfruttamento capitalista. I mezzi di produzione non interessano. Gli intellettuali preferiscono concentrarsi sul ruolo di «organizzatori» della cultura in tutte le sue declinazioni. Ed ecco nascere una nuova forma di oppressione delle masse: «il capitalismo del sapere». I «manager» sono proprio loro, gli intellettuali pseudo rivoluzionari, tecnocrati di vario genere e artisti allineati. Come va a finire? Ecco qua: «Garantire il parassitismo al ceto colto è una delle responsabilità fondamentali dello Stato contemporaneo».
Non può esistere una società senza classi e la lotta per il potere non è tra élite e popolo ma tra le élite di governo e quelle non di governo: «Con o senza suffragio universale – scrive Pareto e Machajski potrebbe sottoscrivere – è sempre una oligarchia a governare e saper dare alla volontà del popolo l’espressione che desidera». Con l’aiuto degli indispensabili e prezzolati intellettuali di regime.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/dittatura-degli-intellettuali-tutti-sinistra-interesse-2011042.html
SCIENZE TECNOLOGIE
STORIA
Alcuni ricordi storici, di cui alla fine capirete il senso.
Gianfranco La Grassa 6 06 2022
La rivoluzione bolscevica dell’ottobre 1917 fu ben presto isolata. In Germania la rivolta del novembre ’18 iniziata dai marinai di Kiel e poi quella del 5 gennaio 1919 – rivolte “spontanee” (ma aizzate), restate localizzate e notevolmente disorganizzate – furono rapidamente schiacciate; il 15 gennaio ’19 furono presi e uccisi i dirigenti della Lega spartachista (Liebnecht e Luxemburg). In Ungheria, si instaurò per ben poco tempo (dal marzo all’agosto del ’19) il governo comunista di Bela Kún, che dichiarò la fondazione di una Repubblica Sovietica, ma che cadde con la sconfitta subita ad opera dei rumeni, appoggiati dalla Francia (ma anche dagli altri “alleati” occidentali, dai vincitori della guerra mondiale insomma). L’Unione Sovietica rimase così isolata nel suo preteso “comunismo”.
Dopo la morte di Lenin (1924), e con la progressiva ascesa di Stalin alla piena direzione del partito e dello Stato, fu scelta quella strada detta “costruzione del socialismo in un paese solo” (sanzionata al XIV Congresso del partito nel dicembre 1925). Scelta che si è rivelata efficace nei termini della nascita di una grande potenza – divenuta, dopo la Seconda guerra mondiale e per oltre quarant’anni, una delle due grandi “superpotenze” nel mondo bipolare – ma che oggi va riconsiderata proprio nei termini della non costruzione di alcuna forma di socialismo. Riconsiderazione che i rimasugli comunisti (e marxistoidi) si rifiutano in genere di fare fino in fondo e in base a ciò che dovrebbe ormai apparire evidente. Quanto agli anticomunisti, si limitano a riscrivere ogni ambito della storia tra il 1917 ed oggi a modo loro, con menzogne spudorate e alterazioni da incompetenti.
Senza quella scelta – non voluta dall’opposizione di “sinistra” (trotzkista) e da quella di “destra” (Bucharin, Zinoviev e Kamenev) – difficilmente l’Urss avrebbe avuto una storia tutto sommato positiva non solo per se stessa, ma anche per l’evoluzione della configurazione dei rapporti tra diverse aree mondiali. In particolare, non vi sarebbe stata la fine del vecchio colonialismo con tutto ciò che ne è conseguito.
E’ sciocco ricordare solo gli orrori che possono a volte caratterizzare svolte così decisive, l’abbandono delle prospettive radicali di alcuni anni prima, compiuto da una parte delle forze che hanno condotto e diretto le prime fasi rivoluzionarie; quelle decisive nell’abbattimento delle precedenti classi dominanti e nel mutamento rapido e di grande portata della forma dei rapporti tra i gruppi sociali. Il Termidoro portò di fatto alla ghigliottina quelli che furono fra i più decisi rivoluzionari francesi del 1789-94: i giacobini. E’ ovvio che, in un certo senso, il periodo staliniano – quello soprattutto iniziato nel 1929 con il lancio del primo piano quinquennale – fu per certi versi assimilabile al Termidoro; anche se ammetto francamente che ancor oggi non nutro particolare simpatia per le frazioni che furono annientate negli anni ’30. Salvo Bucharin, che mi piaceva (al contrario di Trotsky) ma di cui non avrei mai condiviso il tentativo di proseguire con la politica di rallentamento dell’industrializzazione e di puntare ancora sull’agricoltura; o al massimo sulle industrie di beni per alzare i consumi e quindi, certamente, il livello di vita della popolazione. Ricordo che fu rilevante dare la precedenza all’industria pesante e per di più anche agli armamenti. Non ci si scordi quel che accadde dopo pochi anni con la Seconda guerra mondiale e l’“operazione Barbarossa”.
Non vi è dubbio che mi scuotevano i racconti dei “Processi di Mosca” e soprattutto l’accusa a Bucharin di essere al servizio del mondo capitalistico occidentale (per fortuna è stato infine riabilitato). Tuttavia, è sciocco e da ignoranti non approfondire il percorso che conduce a simili eventi, che non vanno visti come positivi, ma vanno analizzati nelle loro cause oggettive. E soprattutto negli effetti che comunque producono certe scelte. Senz’altro credo che a volte si potrebbero ottenere dati risultati senza arrivare a decisioni estreme, alle false accuse (o al razzismo come, in altro paese, fu quello antisemita) con tutte le loro più nefaste conseguenze. Quindi, certe scelte “termidoriane” (capite l’uso che faccio del termine) possono essere capite, anche approvate talvolta (o comunque ritenute non eludibili), ma criticando i metodi troppo aspri usati nel realizzare certi scopi.
Sia comunque chiaro che i gruppi dominanti ormai in pieno degrado non possono quasi mai essere messi in condizioni di non più nuocere senza metodi molto “esaustivi” e definitivi. Spero capiate a chi mi sto in questo momento riferendo. Cerchiamo sempre di evitare le esagerazioni. Tuttavia, sono spesso necessarie determinate “operazioni chirurgiche” quando l’infezione ha raggiunto livelli alla soglia dell’annientamento di una società. E lo ripeto: non sto parlando soltanto dei livelli di vita cosiddetta “materiale”. Con questo spero di essermi fatto capire. L’Italia è veramente oltre il limite accettabile del degrado di un passato e di una civiltà che comunque ha conosciuto livelli apprezzabili (e conosciuti su scala mondiale) in tempi nemmeno troppo lontani. Purtroppo, nulla di buono si vede all’orizzonte; nemmeno un minimo di comprensione della grave situazione da parte di una popolazione che sembra in maggioranza totalmente priva di una qualsiasi razionalità e di un qualsiasi sentimento. I gruppi dirigenti sono da gettare in una discarica di rifiuti al gran completo. Chi mai lo farà? Molto pessimismo al presente.
FONTE: https://www.facebook.com/1535134691/posts/10220987348703498/
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