RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
17 MARZO 2021
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
La vita contemporanea è segnata dal’espulsione del reale,
dal collasso della frontiera tra io e mondo e
dal conseguente inabissarsi della nostra relazione con esso in una dimensione psicotica,
dall’isolamento che è inversamente proporzionale alla virtualizzazione della rete sociale.
IGINO DOMANIN, Grand Hotel abisso, Bompiani, 2014, pag. 95
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SOMMARIO
IN EVIDENZA
IL REGNO DELL’INIQUO E’ GIA’ TRA NOI
IL REGNO DELL’INIQUO E’ GIA’ TRA NOI ed ha il volto del capitalismo finanziario
Una favola moderna
Nella favola cinematografica “Pretty woman” il protagonista, Richard Gere, trova nell’amore di una prostituta, Julia Roberts, la forza di cambiare trasformandosi da finanziere speculatore in imprenditore. Fino a quel momento la sua attività era stata quella di comprare, a due soldi, aziende in difficoltà per poi, incurante della sorte dei lavoratori e del know-how accumulato, smembrarle e rivenderle a prezzo maggiorato. Gere nel film ha interpretato il tipo umano dello speculatore che fa profitto – un profitto appunto speculativo – sulla pelle di chi produce, di chi crea e fa crescere le aziende ossia imprenditori e lavoratori che a livelli differenti lavorano in esse.
Nella finzione filmica Richard Gere riesce nel suo sporco gioco tramite le proprie conoscenze nel mondo della finanza e della politica in modo da iugulare gli imprenditori presi di mira per costringerli a svendere ed a cedere alle sue offerte ricattatorie. Quando incontra la Roberts, Gere è alle prese con due imprenditori navali, padre e figlio, che cercano di sottrarsi al suo ricatto perché nutrono speranza in una commessa governativa che avrebbe dato loro ossigeno. Gere riesce a bloccare l’appalto grazie ad un senatore che gli è debitore del finanziamento della campagna elettorale e quindi dell’elezione. Costretto a cedere, l’imprenditore navale senior chiede a Gere di non smembrare la sua azienda per preservare il posto di lavoro dei suoi dipendenti che avevano contribuito a farla crescere.
Naturalmente Gere dà una formale assicurazione, in merito, mentre già pensa al profitto che avrebbe ricavato dallo spacchettamento, senza il minimo scrupolo per la sorte dei lavoratori e delle loro famiglie. Perché lui non gestisce aziende, lui è un finanziere, uno speculatore, che fa denaro dal denaro, ossia senza alcuna preoccupazione per la base reale e produttiva. Il tipo umano rappresentato nel film da Gere non ha il gusto di fare, di creare qualcosa di buono ed utile per il bene comune, né quello di dare lavoro al prossimo e vedere prosperare i propri progetti investendo il denaro nella produzione. Per lo speculatore il denaro immobilizzato in concrete realtà produttive è denaro infruttuoso, sterile o sterilizzato. La prospettiva finanziaria vive della fecondità autogena del denaro, della moneta auto-riproduttiva, che cresce in quantità ed in valore fittizio senza troppi legami con le esigenze della produzione reale e quindi in modo sempre più indipendente dal lavoro umano.
Nella favola filmica, l’amore della Roberts rende possibile la trasformazione dello speculatore che ora inizia a capire l’essenza nichilista e distruttiva della manipolazione finanziaria dell’economia. Sicché non solo, per la rabbia di un repellente avvocato suo socio d’affari, Gere risparmia l’azienda navale ma offre al suo proprietario di entrare in società con lui perché «Finora – così dice, più o meno – le aziende sono stato capace solo di smembrarle, ora invece voglio costruire qualcosa di buono». Una favola, naturalmente – non a caso il film si chiude con un Gere che romanticamente torna dalla Roberts emulando un cavaliere nell’atto del salvataggio della sua principessa per essere lui stesso salvato da lei –, e tuttavia una favola moderna che, come le antiche, nasconde una profonda verità etica la quale rimanda alla Verità metafisica.
Antonio e Shylock
Ne “Il mercante di Venezia” William Shakespeare fa dire al protagonista, Antonio, in polemica con l’usuraio di turno che i suoi denari non sono montoni. L’usuraio shakesperiano si chiama Shylock. Lasciamo perdere, perché qui non ha importanza, il fatto che egli sia ebreo. Non ci importa adesso stabilire se si tratta di un ricorrente e secolare stereotipo oppure se, invece, questo stereotipo corrispondesse, all’epoca del grande drammaturgo inglese, ad una effettiva tipologia storica. Ci interessa invece evidenziare quanto sotteso dal protagonista della commedia shakesperiana. Antonio, infatti, vuol dire che il denaro non può riprodursi come i montoni, non può produrre da sé, senza investimenti reali, altro denaro. In altri termini, Antonio nega che il denaro possa riprodursi per autogenesi come vorrebbero gli usurai. Lo Shylock del suo tempo ed il Richard Gere del film odierno.
Nelle parole di Antonio è riflessa la tradizionale concezione sulla sterilità del denaro, quindi sull’illiceità del prestito ad interesse, che la Cristianità aveva ereditato senza dubbio dall’aristotelismo ma innanzitutto dalla propria radice ebraica. Il Cristianesimo, infatti, ha universalizzato il divieto di praticare l’usura e l’obbligo etico del patto di solidarietà che il Vecchio Testamento prescriveva per i membri del Popolo di Dio ossia tra soli ebrei. Entrati tramite Cristo anche i pagani nell’Alleanza del Dio di Abramo è ormai evidente che il Popolo di Dio, ovvero ora la Chiesa madre di tutti i popoli, comprende potenzialmente tutte le genti, non solo gli ebrei.
Al di là delle secolari diatribe su cosa fosse o meno interesse, e quindi prestito ad interesse, la questione essenziale che si celava dietro le dispute stava nella negazione che il denaro possa produrre altro denaro indipendentemente dalla sua connessione con le attività produttive, con il lavoro, con l’economia che oggi chiameremmo reale. Infatti, lo stesso Aquinate distingueva tra investimento e prestito ad interesse e sappiamo come la teologia sia storicamente alla radice della riflessione economica. L’economia, quale scienza umana, deriva direttamente dall’etica. Per questo quando si è preteso di separare l’etica dallo Spirito e quindi l’economia medesima dall’etica ogni freno all’avidità umana fu tolto.
Legittimità ed illegittimità del capitale
C’è, dunque, un capitale frutto del lavoro che è legittimo ed un capitale frutto della speculazione improduttiva che è moralmente e socialmente illegittimo. L’intuizione profonda sulla legittimità del capitale quando esso deriva dal lavoro – quello dell’imprenditore e insieme quello dei lavoratori – è stata la costante idea guida, nel loro sviluppo, delle correnti del pensiero sociale moderno, dal socialismo non marxista (Proudhon, Mazzini, Lassalle, Sorel, Avigliano, Labriola, Sismondi, Owen, Fourier, etc.) a quelle cristiane (Toniolo, Adam Müller, W. E. von Ketteler, Manning, De La Tour Du Pin, Ozanam, etc.), perfino quelle liberali (Einaudi).
«… si è trovato il pretesto … – scriveva nel 1939 Pierre Drieu La Rochelle – per abolire i beni accumulati con il lavoro o ereditati. Si distrugge così, con il peggio del capitalismo, anche il residuo meno malvagio dell’economia patriarcale, che sosteneva la possibilità della cultura e dell’indipendenza dello spirito».
Qui sta l’essenza del problema. La finanza, che dovrebbe essere soltanto uno strumento al servizio dell’economia reale, senza alcuna pretesa di distaccarsene, è diventata egemone, non più solo localmente ma ormai su scala globale. L’economia gira non più per produrre quanto necessario alla vita umana ma per accumulare profitti speculativi ed accrescere bolle finanziarie gonfie di valori fittizi, dematerializzati, avulsi dall’originaria base reale, parassitari come tutte le rendite improduttive. Bolle che poi, quando esplodono, fanno ricadere i loro effetti distruttori sull’economia reale, quella produttiva, quella della povera gente che si guadagna da vivere con il sudore della fronte, compresi i piccoli e medi imprenditori.
L’economia reale, quella delle piccole e medie realtà produttive, è un’economia dei produttori ed in quanto tale più sociale. Nella medio-piccola azienda l’imprenditore ed i lavoratori sono a stretto giro di gomito, si conoscono, si comprendono, sono entrambi consci che la loro vita dipende dalle sorti dell’impresa. Non è certo esclusa, come in tutte le realtà umane, la possibilità del conflitto interpersonale ma è anche vero che in tali realtà il conflitto è gestibile in modo più diretto e quindi risolvibile in modo più pragmatico. Si tratta di uomini reali che si guardano negli occhi, faccia a faccia, e che possono anche mandarsi reciprocamente a quel paese ma che, laddove prevalga il buon senso, finiscono per reciprocamente capirsi, e venirsi incontro, perché, pur nella differenza dei ruoli lavorativi (di direzione e di esecuzione), appartengono entrambi allo stesso ceto produttivo.
La finanza speculatrice, quella che fa denaro da denaro, al contrario non è un mondo di uomini per uomini ma è il mondo dell’impersonale potere del capitale anonimo che – nonostante sia questa la strada dell’annientamento economico, l’avidità è ciò che in esso regna – vuole svincolarsi dal lavoro, quindi dall’uomo, fino a sostituirlo oggi con l’automazione in modo che la produzione, così robotizzata, possa essere sottomessa alle sue immorali pretese di virtualizzazione ed auto-costruzione della realtà. Non solo autocostruzione della realtà intesa nel senso sociale ed economico del termine ma anche di quella intesa nel senso ontologico di “creazione”. Perché ciò che muove la finanza è l’antica, primordiale, ribelle, pulsione a “non servire” ma a “farsi servire” in un delirio di auto-deificazione.
Origini e sviluppo del capitalismo finanziario
Alle origini – contenuta in accettabili limiti da mille vincoli di natura etico-religiosa, politica, corporativa – l’attività bancaria, nella quale si espresse inizialmente la finanza, doveva muoversi tra le strette maglie di una fitta rete di obblighi sociali che la costringevano a non distaccarsi troppo dall’attività produttiva reale. Questo, in una costante tensione, è stato tra alti e bassi lo scenario dei secoli moderni, fino all’ultima parte del secolo scorso. Già latenti in precedenza, le pulsioni emancipatorie della finanza hanno tuttavia trovato definitiva affermazione nel passaggio al terzo millennio travolgendo, grazie alla globalizzazione, l’ultimo argine che era costituito dallo Stato quale agente della coesione nazionale. Emancipandosi dallo Stato, la finanza ha proclamato il suo insindacabile e globale dominio sopra tutto e tutti.
Essa ora controlla l’intero mediasistem globale e suo tramite crea l’etàt d’ésprit, la narrazione ufficiale, che le consente di ampliare il consenso al proprio dominio. Controlla anche tutte le piattaforme digitali sicché è in grado di censurare qualunque voce avversa al suo potere mondiale. In un mondo nel quale anche il denaro sta per diventare virtuale e nel quale la sua circolazione dipenderà dai circuiti informatici, sicché chi sarà espulso da essi non potrà “né vendere né comprare”, il domino del capitale finanziario multinazionale si appalesa ormai come il nuovo volto del totalitarismo appropriato all’epoca post-moderna che è epoca oltre-statuale. Il vecchio capitalismo produttivo è stato sostituito dal nuovo capitalismo finanziario. Un capitalismo dispotico nel potere ma rivoluzionario e libertario nei costumi che sta creando un Mondo Nuovo con la collaborazione dei governi. I quali infatti vanno adempiendo i suoi desiderata per comprimere la crescita demografica, espellere in nome della “creatività digitale” il lavoro umano dai processi produttivi, mantenere in uno stato di passiva rassegnazione le masse, distanziate dal controllo sanitario, garantendo loro un reddito universale di cittadinanza funzionale da un lato all’abbrutimento inoperoso degli uomini e d’altro al sostegno della domanda per la produzione automatizzata. Tutto questo ha uno scopo chiaro ed evidente che è quello di consolidare il potere della sovrastruttura finanziaria riducendo lo spazio e l’autonomia dell’economia produttiva a quel tanto che necessita ancora. Fino a quando – questo è il sogno del tecnocrate finanziario, novello Faust – la tecnologia non consentirà l’eliminazione totale anche di questo residuo produttivo senza che la sovrastruttura cada nel vuoto da essa stessa provocato.
Sono in atto – lo hanno chiamato “Great Reset” – ampi processi di ristrutturazione capitalistica i cui contorni vanno chiaramente delineandosi nel senso sopra descritto. Un’accumulazione in alto di potere transnazionale che si impone in basso per il fatto che è il capitale volatile, virtuale, a decidere come, quando, dove ed a che condizioni temporaneamente allocarsi, sicché Stati e governi sono lì a supplicarlo che scelga il loro territorio rendendosi disponibili a qualunque sua richiesta pur di assicurarsene i favori.
Personalità ed impersonalità
Laddove il vecchio capitalismo era sostanzialmente personificato, anche quando aveva connotazioni borsistiche e azionarie, il nuovo capitalismo ha portato all’estremo l’impersonalità già latente nel vecchio. Un tempo si sapeva che la Fiat, società anonima, faceva capo alla famiglia Agnelli e tutti conoscevano l’avvocato Gianni Agnelli. Tutti conoscono un Silvio Berlusconi benché anche Mediaset sia una società anonima. Lo stesso dicasi per i grandi capitalisti del passato come Henry Ford o la famiglia Krupp. Persino i grandi finanzieri di un tempo avevano nomi e cognomi, dai Rockefeller ai Rothschild eredi dei più antichi Fugger. Oggi, invece, l’anonimato e l’impersonalità del capitale sono aumentati fino a fargli assumere connotazioni di autonoma consistenza indipendentemente dal fattore umano. E’ vero che anche nella nostra epoca i grandi managers digitali, padroni delle reti informatiche, ed i grandi finanzieri hanno nome e cognome, come Mark Zuckeberg, George Soros o Bill Gates, e tuttavia essi sembrano, nonostante il loro potere e la loro popolarità, piuttosto agiti che agenti, piuttosto strumenti di un “altro” potere che sta dietro di loro. Un potere senza volto, un potere anonimo. O meglio un Potere extraumano, oscuro, che nasconde il suo volto ed il suo nome dietro una maschera di suadente filantropia umanitaria.
«Quando parliamo del capitalismo – scriveva José Antonio Primo De Rivera in “Filosofia dissidente” – non parliamo della proprietà privata. La proprietà privata è il contrario del capitalismo; la proprietà è la proiezione diretta dell’uomo sulle sue cose: è un attributo elementare umano. Il capitalismo ha sostituito questa proprietà dell’uomo con la proprietà del capitale, dello strumento tecnico della dominazione economica. Il capitalismo, mediante la concorrenza terribile e diseguale del grande capitale contro la piccola proprietà, ha annullato l’artigianato, la piccola industria, la piccola agricoltura: ha collocato – e va più che mai collocando – tutto in potere dei grandi trusts, dei grandi gruppi bancari».
Una descrizione magistrale del capitalismo anonimo come esso già appariva negli anni ’30 del XX secolo. Oggi questi caratteri di impersonalità egemonica sono diventati ancora più evidenti e raffinati grazie alla finanziarizzazione integrale dell’economia e grazie alla nuova tecnologia virtuale. Ma la radice di questo anonimato, ormai completamente emersa, è antica. Lo dicevamo: essa era embrionalmente già presente agli albori umanistico-rinascimentali del capitalismo benché all’epoca, e fino al XX secolo inoltrato, era trattenuta nella sua potenzialità emancipatoria, anti-realistica e dematerializzante. Questo freno è venuto progressivamente meno con il passare dei secoli.
L’Anonimato in titoli azionari
Lo strumento principale, accanto alla moneta fiat, per lo sviluppo del capitalismo finanziario ed anonimo è stato il titolo azionario mediante il quale la proprietà concreta, personale, fu trasformata in un valore creditizio da giocare in borsa. Fino al medioevo si conoscevano soltanto forme societarie di persone, a contenuto personale, nelle quali la “communio”, ovvero la condivisione del capitale, aveva forma di comproprietà tra i soci, ossia tra gli associati, mediante il contratto di società, nella medesima impresa in quanto persone fisiche. Certo, si svilupparono ben presto sistemi di riduzione del rischio e della responsabilità sociale, separando il patrimonio conferito nella società da quello generale del socio e dei suoi eredi. Ma comunque il carattere personale dell’impresa sociale restava basilare.
Con l’età moderna, a partire soprattutto dal XVII secolo, si sviluppano le società anonime nelle quali i soci non sono più comproprietari del capitale sociale ma soltanto creditori di una quota di utile aziendale, proporzionale al conferimento finanziario, mentre il capitale assurge al rango di una fittizia persona giuridica, non esistente nella realtà concreta ma solo nella realtà giuridica. La società anonima, quale persona giuridica, infatti esiste soltanto nell’astratto mondo del diritto anch’esso vieppiù emancipatosi, lungo i secoli, dalla concretezza comunitaria sottostante. Nella società anonima non i soci ma la persona giuridica è proprietaria del capitale sociale, benché essa sia poi amministrata da un ristretto gruppo di persone egemone sulla massa dei piccoli conferitori di capitale. Per controllare la società anonima, infatti, basta controllare la fetta più cospicua di capitale, anche non maggioritaria nel caso in cui il resto sia frammentato in una miriade di azioni diffuse ma non aggregate.
Questa trasformazione della società imprenditoriale fu resa possibile dall’introduzione dell’“azione” che non è un titolo di proprietà ma un titolo di credito. Il suo possesso garantisce all’azionista soltanto un diritto sull’utile aziendale esercitabile, come titolo di credito nei confronti della persona giuridica, distinta dal socio, nella quale consiste astrattamente la società. E’ evidente il carattere di impersonalità dello strumento azionario che, infatti, è stato pensato proprio per passare facilmente di mano in mano. Deresponsabilizzando, però, i suoi possessori rispetto alle sorti dell’azienda perché, se non sono comproprietari del capitale aziendale, quel che per essi maggiormente conta è il valore che le azioni godono sul mercato dei capitali ovvero nel gioco di borsa. La stessa “borsa” era in origine nient’altro che la piazza del mercato organizzata per lo scambio di beni reali, di merci effettive. Ben presto essa, a partire dal XVII secolo, diventò il luogo della quotazione di valori puramente finanziari, rappresentati documentalmente da obbligazioni e titoli di credito di vario genere, che consentivano di vendere e comprare valori reali sottostanti ma lucrando non dalla riscossione di questi ultimi bensì sul differenziale di scambio, variabile quotidianamente, dei titoli rappresentativi. I “contratti derivati”, forme di assicurazione dal rischio speculativo ed essi stessi strumenti di manipolazione dello scambio virtuale, nascono qui. Come da qui nascono anche le prime forme, già più mature, di finanziarizzazione dell’economia.
Economia anti-umana
Certo, agli inizi, un legame tra il valore borsistico delle azioni e la redditività dell’azienda sottostante sussisteva, sicché il valore di scambio delle azioni dipendeva anche dal valore dell’impresa e dai risultati imprenditoriali. Questo è vero, seppur ormai in minima misura, anche oggi. L’innovazione fu ben accolta perché consentiva di convogliare la liquidità dei mercati verso gli investimenti capitalistici consentendo alle imprese di accedere ad ingenti risorse di denaro liquido, di diventare così sempre più grandi, potenzialmente senza alcun limite, fino a raggiungere impersonali dimensioni multinazionali e globali, superando la dimensione artigianale e piccolo-imprenditoriale del tradizionale assetto realistico dell’economia premoderna. Ma con il passar dei secoli il legame tra l’elemento finanziario e quello patrimoniale delle imprese, quindi anche il legame tra impresa e personalizzazione dei suoi assetti societari, si è divaricato sempre di più fino a quasi completamente rompersi. Il capitalismo finanziario, impersonale ed anonimo, è stato il risultato di questa rottura.
Come si vede, si tratta di uno sviluppo dell’economia del tutto anti-umano nella misura in cui tende ad eliminare, con costante accrescimento, il fattore uomo per sostituirlo con gli impersonali meccanismi finanziari di mercato che ne rivelano, a chi ha occhi per vedere (“egli è stato omicida fin dal principio”, Gv. 8-44) la criptica natura sulfurea. Nell’attuale mondo globale, nel quale il capitale finanziario è un assoluto dominus, non ci si può meravigliare se la piccola attività economica, concreta, umana, sta morendo a favore dei grandi complessi anonimi. Non solo la produzione ma anche lo scambio commerciale ormai non passa più per il piccolo esercizio e neanche per il grande magazzino, che pure è stato l’antesignano del commercio elettronico odierno, ma per la piattaforma virtuale di Amazon, e simili multinazionali, nelle quali i lavoratori non hanno più diritti perché costantemente sotto la minaccia della delocalizzazione aziendale.
Il valore delle azioni in borsa ormai si misura sempre meno dalla redditività delle imprese quotate, che in genere sono le più grandi e di dimensioni transnazionali, e sempre più dal livello della libido speculativa che muove le borse. Un “rumor”, una svendita di azioni improvvisa e ben organizzata, una sapientemente orchestrata manovra di insider training tale da camuffarla per sfuggire alla debole ed impotente legislazione repressiva, sono capaci di provocare il panico inducendo milioni di piccoli azionisti ad accettare acquisti al ribasso da parte di chi ha interesse ad accumulare a basso costo per poi rivendere, lucrando speculativamente sul differenziale, in un momento successivo a prezzi maggiorati o anche da chi ha semplicemente interesse a controllare il mercato in posizione dominante.
In un contesto nel quale le quotazioni borsistiche devono crescere freneticamente, al solo scopo di consentire la speculazione sui differenziali dello scambio, è evidente che non si può attendere, onde conseguire l’aumento del valore dei titoli azionari, l’andamento naturalmente più lento della economia produttiva sottostante. Bisogna che il valore delle azioni delle imprese cresca se non proprio indipendentemente dalla redditività aziendale – ma è questo per gli speculatori lo scenario migliore – quantomeno camuffando tale reddittività. Ecco perché, a differenza di quanto accadeva un tempo quando un’ondata di disoccupazione preoccupava quale evidente segnale della diminuzione della domanda e quindi del valore azionario ancora connesso alla produzione, la finanziarizzazione estrema consente attualmente iniqui escamotage come quello di aumentare apparentemente la redditività aziendale abbassando i costi di produzione mediante licenziamenti di massa, magari sostituendo gli uomini con i robot. Se poi, come è oggi permesso, i Ceo management delle grandi multinazionali sono essi stessi azionisti, che guadagnano miliardi dal differenziale sullo scambio delle quotazioni azionarie, anziché essere premiati per la perfomance aziendale, è evidente che la corsa verso l’abisso del nulla economico diventa inarrestabile. Una corsa fino al disastro, folle nella sua irrazionalità, la cui molla propulsiva sta innanzitutto nell’avidità umana. Quando poi arriva il disastro esso, di solito, lascia cadaveri ovunque ma quasi mai fra gli speculatori.
Oblio della domanda ed indebitamento
In una economia egemonizzata dalla finanza non c’è posto per il problema della domanda. Non a caso il processo di finanziarizzazione dell’economia si è sviluppato in parallelo al contemporaneo ritorno, dopo la parentesi keynesiana tra anni ’30 e ’80 del XX secolo, delle dottrine e delle politiche economiche di segno offertista, che cioè non guardano alla domanda ma soltanto all’offerta. Nell’economia capitalista tradizionale il problema era quello di trovare sbocchi di mercato alla produzione e quindi quello di un congruo livello della domanda. Ci sono voluti un paio di secoli, a partire dal XVIII, per comprenderlo. Grazie a John Maynard Keynes venne abbandonata la fiducia scientifica nella legge del Say, secondo la quale l’offerta trova sempre spontaneamente il suo sbocco, e l’intero paradigma economico venne riformulato a partire dalla priorità della domanda rispetto all’offerta. Nel mondo pre-globale, non ancora interdipendente come l’attuale, nel quale quindi prevaleva la domanda interna, piuttosto che quella esterna, gli Stati praticavano politiche di sostegno della domanda tramite il conseguimento di adeguati livelli salariali e il diretto intervento pubblico anticiclico attraverso la spesa statuale di investimento in deficit. Il ritorno a politiche di contenimento della spesa pubblica e dei salari, inaugurate da Reagan e dalla Thatcher, ha gradualmente consentito al capitale finanziario di imporre la sua egemonia sulla produzione. Vediamo più da vicino come.
La fallace narrazione che fossero state la spesa pubblica e il costo del lavoro troppo alto ad aver innescato l’inflazione degli anni settanta, la quale era invece dovuta all’impennata dei costi del greggio sul mercato internazionale, favorì la reintroduzione delle politiche d’austerità neoliberiste. Mentre l’inflazione durante gli anni ’80 andava scemando contestualmente al risolversi del blocco petrolifero, la pretestuosa azione antinflattiva, condotta su salari e spesa pubblica, alla medio-lunga, come sappiamo, si è tradotta in deflazione ossia in un nuovo crollo della domanda reso manifesto dalla crisi del 2007. Che la retrocessione della mano pubblica, quale guida degli animals spirits del capitalismo finanziario e strumento di contenimento delle pulsioni speculative, comportasse il rischio di un nuovo crollo della domanda mondiale era ben chiaro agli “incappucciati della finanza”, come li chiamava Federico Caffé, i quali avevano appreso la lezione del Grande Crash del 1929. Il crollo delle quotazioni azionarie, dopo anni di fittizio aumento del loro valore sempre più lontano dai valori reali della sottostante economia produttiva, intervenne nella settimana tra giovedì 24 e martedì 29 ottobre 1929 (rimasti alla storia come il giovedì ed il martedì “neri”). La sua causa principale fu la flessione della domanda che negli anni precedenti aveva seguito il tipico andamento di un graduale smottamento fino alla fragorosa ed improvvisa accelerazione della caduta dell’intera struttura economica del tempo.
Per questo gli “incappucciati”, negli anni ’80 e ’90, non volevano ripetere l’errore per poi ritrovarsi di nuovo addosso il fiato controllore dello Stato che imprigionasse nuovamente le loro, avide ed omicide, pulsioni al nichilismo economico. Le spinte capitalistiche verso l’interdipendenza dei mercati andavano mettendo in evidenza la difficoltà sempre crescente per gli Stati nazionali, a partire dagli anni ’80, a controllare la circolazione dei capitali. Le innovazioni tecnologiche dell’informatica stavano gradualmente consentendo al capitale di sottrarsi al vincolo della territorializzazione e quindi di denazionalizzarsi, fino a virtualizzarsi. L’interdipendenza economica, infatti, togliendo centralità alla domanda interna e conferendola a quella estera, consentiva il rafforzamento del “vincolo esterno” che oggi grava pesantemente sugli Stati. Se, infatti, le industrie nazionali traggono profitto principalmente dalle esportazioni, e non più dal mercato interno, è evidente che i sindacati, per difendere l’occupazione, sono costretti ad accettare politiche di contenimento salariale onde mantenere bassi i costi di produzione e spiazzare la concorrenza estera sul mercato globale (1).
La globalizzazione in atto dei mercati, dunque, anche con l’aiuto culturale della nuova sinistra “No Borders” ed “arcobaleno”, offriva al capitale finanziario il modo per tornare a dominare dopo che, nel XX secolo, esso aveva dovuto segnare una battuta d’arresto nella sua secolare corsa verso l’egemonia assoluta da sempre agognata. Ma il problema era quello di conciliare le politiche di contenimento dei livelli salariali e della spesa pubblica con la necessità di evitare la contrazione della domanda e non ricadere in un nuovo 1929. Come sostenere la domanda senza intervento pubblico ed invece praticando il contenimento dei salari, dato che la concorrenza internazionale, imponendo detto contenimento, finiva per contrarla? La reciprocità delle politiche mercantiliste, allo scopo di battere la concorrenza sui mercati internazionali in via di unificazione, comportava che ciascuno praticasse in casa propria la medesima ricetta di contenimento dei salari e di depressione della domanda interna. Ponendo così seri problemi di sbocco alla reciproca offerta sui mercati, pur interdipendenti. Come, infatti, sarebbe stato possibile trovare sbocchi alla produzione nazionale sul mercato estero se anche gli altri Stati praticavano il contenimento salariale per mantenere bassi i prezzi delle merci esportate? Come avrebbero i lavoratori/consumatori esteri comprato le merci nazionali, prodotte a costo del lavoro interno ridotto, se essi a loro volta vedevano al ribasso i propri trattamenti salariali?
Verso il Mondo Nuovo
Ed è qui, in questo dilemma, che la finanza è riuscita ad incunearsi trovando un nuovo cavallo di Troia per sconfiggere lo Stato e tornare egemone. Retrocessa la mano pubblica, nello scenario globale, il sostegno alla domanda è stato realizzato mediante il ricorso al facile indebitamento dei privati e degli stessi Stati. A rendere la strategia ancora più efficace intervennero le unificazioni monetarie sovranazionali sullo stile dello Sme e dell’euro che, eliminando il rischio del cambio tra valute diverse, consentirono alle merci di trovare sbocchi all’estero attraverso una domanda alimentata dai prestiti che le banche d’affari globali, affiancate nell’operazione all’industria multinazionale, offrivano alle popolazioni indebitandole. Si venne così a creare un rapporto di dipendenza, basato sull’indebitamento, delle economie più deboli nei confronti di quelle più forti e prestatrici. Un modello di economia fondata sulla finanziarizzazione della domanda a debito che, come è noto, ha funzionato fino alla crisi del 2007-2015.
Detta crisi ha costretto ad una parziale revisione delle politiche economiche restituendo un minimo margine all’intervento pubblico ma – beffa aggiunta alla beffa! – al solo scopo di salvare le banche globali improvvisamente spiazzate dall’insolvibilità privata e dal rischio dei default statali. Strumenti come il Mes sono stati inventati al solo scopo di salvare le banche private addossando sui bilanci pubblici le loro perdite. La finanza mondiale, riunitasi in conclave nel cosiddetto Financial Stabilty Board, si è data tra il 2012 ed il 2015 una regolazione di pura facciata, senza tuttavia cambiare realmente il paradigma che l’ha resa egemone. La successiva pandemia, attualmente in atto, ha quindi posto le basi, come si diceva, per una ristrutturazione globale dell’economia mondiale che, nelle intenzioni degli “incappucciati”, dovrà portare l’umanità in un Mondo Nuovo, dal distopico sapore huxleyano ed orwelliano, facendo leva sulla paura della morte che attanaglia l’uomo post-moderno ateizzato da secoli di modernità irreligiosa ed ormai privato, oltre che di qualsiasi capacità di resistenza spirituale, anche di ogni certezza ed aspettativa di bene oltremondano.
Ecco perché, laddove non l’avete ancora capito, sappiate che il regno dell’Iniquo, annunciato dalle profezie escatologiche di tutte le tradizioni religiose, è già tra noi ed ha il volto del capitalismo finanziario globale.
Luigi Copertino
NOTE
- Perfino uno strumento di per sé eticamente giusto, perché inteso alla condivisione della ricchezza, ovvero il “salario di produttività” o “partecipazione agli utili” che dir si voglia, anche se teoricamente non si tratta esattamente della stessa cosa, è stato utilizzato allo scopo, distorcendone il fine autentico per piegarlo alle esigenze del mercantilismo. Al contenimento salariale, volto alla riduzione dei costi, si è fatto corrispondere un maggior ricorso a forme variegate di salario di produttività nell’intesa che, vincitrice l’azienda sui mercati esteri, i lavoratori si sarebbero ritrovati in busta paga migliori retribuzioni per la redistribuzione in loro favore di una quota dell’utile derivante dall’aumentata redditività aziendale ottenuta dalle esportazioni. Il punto dolente però è che il salario di produttività, in un tale contesto, non si atteggia più come, appunto, partecipazione redistributiva agli utili ma come compensazione dei mancati aumenti salariali di base onde rendere possibili aggressive politiche mercantilistiche volte ad egemonizzare le economie altrui in modo che le imprese possano conseguire all’estero, attraverso le esportazioni, quella redditività, da redistribuire, non più ottenibile dalla domanda interna. Nel contesto della guerra commerciale innescata dalla politica mercantilistica, la quota di utile redistribuita ai lavoratori, non più dipendente in via principale dalla domanda interna, deriva inevitabilmente dalla colonizzazione del mercato estero e quindi dalla subordinazione dei lavoratori degli Stati più deboli. In un contesto di asimmetrica interdipendenza globale, i maggiori guadagni, in termini di salario di produttività, conseguiti dai lavoratori dei sistemi economici più aggressivi vengono realizzati sulla pelle e le sofferenze dei lavoratori dei sistemi economici più esposti, per loro debolezza, all’aggressività dei primi.
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/il-regno-delliniquo-e-gia-tra-noi-di-luigi-copertino/
Maxi-patrimoniale? L’unica soluzione per Draghi, ecco i dati che lo dimostrano
16 Marzo 2021
I fondi Sure ci dicono che, al netto di Bce e vaccini, servirà la patrimoniale bipartisan.
L’Italia deve ripartire da 10 anni di crescita zero, non solo dal Covid. E se le riforme strutturali annunciate dal governo Draghi appaiono la cura, il tempo necessario alla loro implementazione e ingresso a regime rischia di far deragliare anche il supporto dell’Europa. La quale, oggi, ha ammesso di controllare i rendimenti. Aprendo la strada alla stagflazione.
L’Italia deve ripartire, la strada è una mega-patrimoniale?
Decreto Sostegni, campagna vaccinale, riforme strutturali. Si basa su questi tre pilastri la speranza di ripartenza economica italiana dopo la pandemia e un anno di lockdown ciclico, capace di mettere a dura prova le catene di produzione e stendere al tappeto una parte sempre più ampia del tessuto commerciale.
C’è però un problema, sistemico. Anzi, un misunderstanding, come direbbero gli anglosassoni. L’Italia infatti non deve ripartire dopo l’incubo Covid, bensì dopo dieci anni di crescita – quelli fra il 2009 e il 2019 – pressoché zero. Attorno allo 0,2% annuo, per l’esattezza. Se non si parte da questo presupposto, ogni calcolo e proiezione perde di senso. Per una ragione semplice: al netto di oltre 100 miliardi di scostamento di bilancio, cui ora se ne aggiungeranno altri 20 e alla luce di una ratio debito/Pil in area 166% a fine 2020, se la nostra economia non ingrana un ritmo di crescita tedesco di almeno il 2% all’anno, semplicemente saltano i conti. Insostenibilità della traiettoria del debito.
Per carità, nessun epilogo argentino. Ma il rischio Troika pressoché assicurato, stante la mole di stock debitorio. Per questo Mario Draghi è stato imposto dal Quirinale, dopo un rapido e rituale giro di consultazioni, fallite ex ante: servirà infatti, con ogni probabilità, una mega-patrimoniale. Un effetto Amato con l’eurotassa, questo perché per raggiungere quel livello di Pil occorrono appunto le riforme strutturali che il governo Draghi si è già intestato come missione prioritaria ed emergenzialmente bipartisan – PA, mercato del lavoro, fisco, giustizia civile – ma queste stesse hanno bisogno di tempo per andare a regime e garantire il volano.
Sperare infatti in un effetto moltiplicatore lampo, nemmeno si trattasse dell’industria bellica in tempo di guerra, appare un abbaglio pericolosissimo. Certo, la Bce sta giocando un ruolo di sostegno fondamentale e continuerà a farlo, così come l’Unione Europea che ha prorogato a tutto il 2022 la sospensione del Patto di stabilità.
Ma poco cambia. Pochissimo. L’UE può soltanto accompagnare, sorreggere come una badante che ti offre il braccio ma, prima o poi, o si mollano le stampelle e ci si dedica a una faticosa, lunga e dolorosa riabilitazione o non si tornerà mai a camminare con le proprie gambe. Per questo, quasi certamente e con l’aggravante di tempi in dilatazione rispetto alle attese di campagna vaccinale, si è scelto di giocare a freddo la carta del cavaliere bianco a Palazzo Chigi: solo un uomo con l’autorevolezza di Mario Draghi poteva imporre infatti la convivenza fra Renato Brunetta e Vito Crimi. E, soprattutto, soltanto lui potrà chiedere agli italiani l’estremo sacrificio, l’ultimo. Il più duro. Conti dell’Inps alla mano, ad esempio, dopo una stagione di follie assortite fra Quota 100, Reddito di cittadinanza e operazioni di sostegno alla prima ondata di dubbia efficacia ma di certa e certificata dispendiosità.
I dati allarmanti sui fondi Sure
Ma veniamo appunto all’Europa. Questa tabella
Commissione UE
mostra i dati aggiornati al 14 marzo scorso, dopo la quinta asta di finanziamento, dell’esborso dei fondi Sure di sostegno all’occupazione, divisi per Paese. Come si nota, l’Italia è la prima per controvalore già ottenuto, 27,4 miliardi di euro. Al secondo posto, la Spagna con 21,3 miliardi e fresca di proroga fino al 31 dicembre (dalla data di scadenza naturale del 31 marzo) della legislazione d’emergenza sui fallimenti forzati. Al terzo posto, la Polonia con nientemeno che 11,2 miliardi, a fronte di un contributo netto ridicolo e continue bizze e ricatti sulla questione delle libertà civili, bollate come ingerenze.
Qualcuno, forse, dovrebbe spiegare a Varsavia che Bruxelles non è un bancomat, anche e soprattutto alla luce del dumping continuo sul costo del lavoro e la tassazione corporate. E se i 7,8 miliardi del Belgio possono tranquillamente essere messi in capo alla Francia, essendo di fatto un proxy del sostegno al sistema bancario-assicurativo d’Oltralpe tramite la sua succursale storica, il quadro appare chiaro: per quanto li si ritenga insopportabili nel loro rigorismo, solo Germania e Olanda hanno finora fatto da soli. Per una ragione semplice, decisamente legata al nodo principale del problema: se hai una ratio di debito gestibile, le emergenze sono affrontabili con scostamenti una tantum. Anche grandi, vedi quelli posti in essere da Berlino. Se già viaggi abbondantemente in area 130%, il Covid significa strada senza uscita. Insomma, se il governo ha appena potuto prolungare il divieto di licenziamento fino a giugno ed estenderlo a ottobre per chi non è coperto da CIG, ringraziamo la tanto vituperata Europa dei fondi Sure.
Il ruolo della Bce
C’è però un problema ulteriore, rappresentato da questi due grafici.
Bce
Financial Times
Il primo mostra come la Bce abbia finora azzerato il concetto stesso di premio di rischio sul debito sovrano dei Paesi più sensibili a scostamenti dello spread, l’ex Club Med rappresentato da Italia, Spagna e Portogallo. Insieme, finora percettori di qualcosa come 54,6 miliardi di fondi Sure. Più i benefici diretti sul costo del servizio del debito degli acquisti del piano pandemico Pepp, in deroga a principi base del Qe come la capital key o il limite per emittente. Senza contare l’esiziale inclusione del debito greco nella platea del collaterale accettato per operazioni di finanziamento.
Ma il secondo grafico ci dice qualcosa, ovvero come l’aiuto della Bce serva soltanto a livello di sostenibilità del debito e compressione artificiale della curva dei rendimenti. E che, soprattutto, nemmeno i fondi Sure possono fare i miracoli, se il tuo mercato del lavoro è farraginoso, disfunzionale e basato su cluster come il turismo azzerati dalla pandemia o da continue bolle, vedi quella immobiliare dell’era Zapatero. Insomma, il trend della disoccupazione in Spagna sta tornando a salire su ritmi simili a quelli del biennio horribilis della crisi del debito Ue, 2010-2011, quello che richiese appunto l’intervento di Mario Draghi con il suo Whatever it takes. Peccato che oggi, la Bce e la Commissione stiano già mettendo in campo, da un anno, un arsenale di intervento che ha spinto lo stato patrimoniale della Banca centrale al massimo storico, primato battuto ogni settimana alla luce dei continui acquisti.
Per quanto un trend simile sia nei sogni di certi apologeti della stamperia perenne e dell’helicopter money o nei fautori dell’annullamento tout court del debito contratto come risposta alla pandemia, la realtà è che la Bce non può proseguire in eterno con questa potenza di fuoco. O, quantomeno, non con la partecipazione di Bundesbank e De Nederlandsche Bank alle operazioni. Di fatto, board Bce spaccato. Non fosse altro per il peso di Jens Weidmann e di Frank Elderson al suo interno. Ed ecco il punto finale, la quasi certificazione del vicolo cieco in cui l’Europa è andata a infilarsi e dal quale ora pare non riuscire a scappare.
In una lunga intervista pubblicata questa mattina dal Financial Times, il capo economista della Bce, Philip Lane, ha di fatto scoperchiato un vaso di Pandora con questa frase:
Financial Times
l’ammissione che la strategia della Bce relativamente alla curva dei rendimenti attraverso gli acquisti obbligazionari rappresenti già oggi una implicita dinamica di controllo, differente da quella esplicita – ad esempio della Bank of Japan – solo in base a un supposto principio di flessibilità nell’applicazione lungo l’arco temporale e i trend. “Ecb to make sure yields remain in step with the economy”, la frase precisa di Lane al quotidiano della City.
Tradotto: stagflazione pressoché assicurata. E rivolta della Bundesbank alle porte.
Prepariamoci, perché a strada è segnata. Mario Draghi non si è scomodato per un ruolo a tempo da traghettatore o solo per organizzare un po’ meglio i drive through vaccinali. Ma per gestire la guerra. La quale necessita di tasse – oro alla Patria – per essere finanziata, in attesa che le battaglie portino poi la vittoria.
FONTE: https://www.money.it/Maxi-patrimoniale-unica-soluzione-draghi
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
Questa è una storia di burocrazia, di concorrenza sleale e probabilmente anche di plagio che forse vi farà arrabbiare come ha fatto arrabbiare me.
È la storia di Filoteo Alberini, un impiegato tecnico molto intrapprendente dell’Istituto Geografico Militare di Firenze. Nato ad Orte nel 1867 il nostro Filoteo è un appassionato di fotografia attento a tutte le novità del settore.
Un giorno dell’autunno del 1894 passa sotto i portici di Piazza Vittorio Emanuele a Firenze (oggi Piazza della Repubblica) e vede in una vetrina il Kinetoscopio Edison, una grande scatola in legno alla cui sommità c’è un foro per guardare dentro. Opera del noto inventore della lampadina e del fonografo, questo apparecchio consente di vedere al suo interno delle immagini in movimento, girando una manovella.
Il giovane Alberini entra incuriosito nella bottega con l’idea di aprire il marchingegno per vedere come funziona, ma il proprietario del negozio glielo vieta.
Non si perde però d’animo, qualcosa ha capito, abbastanza per trovare il modo di rifarne uno simile da solo. “… non sarebbe forse meraviglioso poter far vedere quella fotografia animata a centinaia di persone col mezzo della proiezione luminosa sul tipo della vecchia lanterna magica? Da quel giorno – anno 1894 – incomincia la mia vita cinematografica.” Così come racconterà nel 1923 in un’intervista, Filoteo ha accettato la sfida. Torna infatti a casa, perde il giorno e anche la notte per replicare quello strumento e nel giro di qualche mese ne fa una versione perfezionata, una macchina capace non solo di imprimere su pellicola 1.000 fotogrammi al minuto (vale a dire 16 fotogrammi al secondo), ma di proiettare le riprese non per uno spettatore alla volta, ma contemporaneamente per un pubblico potenzialmente illimitato. Ha inventato il suo kinetografo “apparecchio di presa di vedute e di proiezione animata”.
A quanto pare poi il nostro inventore, entusiasta e desideroso di fare di questa sua creazione un business, non solo fa richiesta di deposito del brevetto ma contatta e raggiunge a Lione due fratelli, Auguste e Louis Lumière, che si occupano di fotografia e che hanno messo a punto il procedimento della lastra secca, preludio alla pellicola cinematografica. Qualcosa va storto perché da quel viaggio in Francia non sortisce alcuna collaborazione, anzi dopo alcuni mesi i due fratelli Lumière brevettano uno strumento molto simile e il 28 dicembre 1895 inaugurano a Parigi la prima proiezione cinematografica pubblica a pagamento, “L’arriveé d’un train”, davanti a 37 ospiti del Salon Indien del Grand Cafè di Boulevard de Capucines. È nato così ufficialmente il Cinematografo ed è per tutti un’invenzione francese.
E il brevetto di Alberini? Purtroppo per un intoppo burocratico, viene richiesta ulteriore documentazione e il Ministero dell’Industria e Commercio rilascerà finalmente il brevetto solo un anno dopo l’invenzione di Alberini, precisamente nel Dicembre 1895, pochi giorni dopo la celebre proiezione parigina dei Lumiére.
Il nostro Filoteo però non si perde d’animo. Benché non possa forgiarsi del titolo di inventore del cinematografo, capisce le potenzialità del mezzo, molto prima dei fratelli Lumiére e da pioniere apre a Firenze il primo Cinema del mondo come ci racconta lui stesso, “Un amico che si convinse del mio ragionamento entrò in società con me e fu aperta una sala cinematografica corrispondente alle mie idee, con prezzo d’ingresso di centesimi venti. Il successo superò l’aspettativa”.
Non contento poi aprirà una seconda sala a Roma, il Cinema Moderno in piazza Esedra, inventerà la ripresa panoramica (che incautamente regalerà agli americani della Fox) e fonderà una casa di produzione cinematografica nella capitale, il Primo Stabilimento Italiano di Manifattura Cinematografica Alberini e Santoni, che nel 1906 cambierà nome in Cines, con sede a Roma e con il quale realizzerà il primo lungometraggio Italiano, “la Presa di Roma”. I teatri di posa della Cines negli anni 30 del XX secolo si trasformeranno poi in Cinecittà.
Insomma Filoteo Alberini era un entusiasta, una mente geniale, un imprenditore che però, nonostante avesse fiuto per gli affari non è mai riuscito a monetizzare. Un appassionato, creativo e visionario cui forse è mancata la malizia e la scaltrezza di altri. Morirà a Roma nel 1937 e a ricordarlo resteranno solo un piccolo festival del cinema in Tuscia e una via nella periferia di Roma.
Come ci ricorda Giovanna Lombardi, autrice di una bella e ricca biografia del nostro inventore: “Alberini è tra quelli che pensano che la vita uno debba giocarsela fino in fondo. Non per il successo o per arricchirsi, ma semplicemente per esprimere appieno se stessi e non avere alcun rimpianto”.
Rimpianti non ne avrà avuti, ma rimorsi forse sì: se avesse presentato subito tutta la documentazione necessaria per il brevetto e se non fosse andato a Lione a raccontare del suo Kinetografo, oggi tutto il mondo saprebbe che il Cinematografo è un’invenzione di Filoteo Alberini, un italiano.
FONTE: https://www.interessenazionale.net/blog/come-ci-scipparono-linvenzione-del-cinema
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Il progetto satanico di Astana: dal globalismo al sincretismo
mepiu.it
Dopo il grande successo della nostra intervista con Don Minutella, sacerdote scomunicato due volte, grecista, letterato e filosofo, boicottato dai media prevalentemente perché è tra coloro che non riconoscono in Jorge Bergoglio una guida spirituale. Grazie alla nostra Alessandra Gargano Mc Leod (che ha realizzato l’intervista per MePiù) vi proponiamo un approfondimento sulle principali questioni trattate con Don Minutella. Qual è il ruolo della chiesa cattolica nella costruzione del nuovo ordine mondiale? Cosa si intende per apostasia vaticana? Quale sarà la religione unica del NWO e perché la vaccinazione di massa propagandata da Jorge Bergoglio è anticristiana?
VIDEO QUI: https://youtu.be/IvR2hdpH7Do
Dopo l’unità degli stati d’America, fu la volta dell’unità degli stati d’Europa, secondo quanto apprendiamo dalle parole del nostro gradito ospite, il progetto del NWO essendo, primariamente, un progetto di tipo politico, contempla l’unione di tutti i paesi sotto un unico governo mondiale, attraverso un tipo di controllo massivo, che come Don Minutella ci fa ricordare, assomiglia e, assomiglierà sempre di più, proprio a quel big eye di 1984, descritto magistralmente nel famoso romanzo distopico di George Orwell: oggi distopico mica tanto, diremo più che altro profetico!
Un altro aspetto di questo nuovo ordine sarà il panteon mondiale di tutte le religioni; il passaggio è quello che va dal globalismo al sincretismo di tutte le religioni. L’incontro di tutti i capi religiosi previsto ad Astana in giugno è un’iniziativa che promuove questo progetto di unificazione di tutte le religioni, e in ciò si concretizzerebbe, a parere di Don Minutella, l’apostasia più evidente della falsa chiesa attuale guidata da Jorge Bergoglio, eletto papa dalla massoneria di San Gallo.
Appare evidente, come, per riuscire in tale operazione, sia necessario scardinare i valori culturali fondati sulla tradizione di tutte le religioni. Di fatto abbiamo assistito durante gli ultimi vent’anni ad un processo decostruttivo, sdoganato da un meglio noto processo di secolarizzazione di tali valori: all’interno della chiesa la battaglia è proprio tra tradizionalisti e progressisti.
E’ assai probabile che questo processo di secolarizzazione dei valori sia stato possibile sulla retroterra concettuale di un neopositivismo dilagante, che si presenta come onnicomprensivo, ma che sappiamo perfettamente non essere in grado di rispondere alle domande metafisiche, siano esse di natura religiosa o meramente filosofica. All’interno dello scientismo è definitivamente scomparsa la necessità della domanda metafisica, poiché in esso, dopo Dio, è morto lo spirito: all’interno di tale immanenza scientocratica e antimetafisica l’uomo è ridotto a mero corpo, mera materia, che naturalmente non si pone domande metafisiche o meramente ontologiche, quindi relativamente al Dasein ovvero all’esserCI di heidgeriana memoria, (intendendo per esserci, l’essere che si da qui ed ora). Possiamo definire tale scientismo una forma di fideismo cieco, una sorta quindi, di religione dell’immanenza in cui l’assioma scientifico si fa dogma; e lo scienziato, nelle mani del Capitale, tutt’altro che libero, l’amministratore di tale dogmatismo scientista.
Jorge Bergoglio ha definito “non cristiani” coloro che rifiutano di sottoporsi alla sperimentazione genica di massa, meglio nota con il nome di “vaccinazione”; ma domandiamoci se rientra nei valori cristiani il ricatto morale. Ancor più quando, poi, la posta in gioco sia l’accettazione passiva della somministrazione di un farmaco realizzato con feti abortiti e per di più non ancora sperimentato.
Chi rifiuta la terapia genica, o la stoffa sulla faccia, meglio nota con il termine di mascherina, viene definito da Joe Biden (il presidente USA eletto con Dominion) come un “cavernicolo“; forse perché nell’era del neoprimitivismo, i tradizionalisti vengono visti come ancorati a quei valori tradizionali, legati indissolubilmente con quel farsi democratico della scienza tradizionale, valori ormai inesistenti in questo Nuovo Mondo senza storia, dove il dibattito democratico scientifico ha lasciato posto a questa visione scientista immanentista, antimetafisica e fideista dell’esistenza. Dietro questo cieco fideismo scientista, a detta del nostro ospite, ci sarebbe il nuovo umanesimo, intendendo con tale espressione la filosofia che starebbe a monte del NWO, che, aggiungerei, mescola l’idealismo nazional socialista in salsa neoliberista con le teorie malthusiane in chiave globalista.
Senza addentrarmi nelle idee di Thomas Malthus, che pure andrebbero approfondite, limitiamoci qui a dire che, la teoria malthusiana si fa assertrice di un energico controllo delle nascite e auspica il ricorso a strumenti tali a disincentivare la natalità, al fine di evitare il deterioramento dell’ecosistema terrestre e l’erosione delle risorse naturali non rinnovabili.
Il ribelle politico o il martire, ci ricorda Don Minutella, è una figura positiva, che nel corso della storia umana ha dimostrato il coraggio e la forza di combattere in virtù di valori e ideali ritenuti fondanti della libertà umana, per cui, appare chiaro come le nuove vesti del totalitarismo, dopo la religione e la politica, avrebbero investito la salute, indossando le livree di quello che oggi, dopo un anno di pseudo pandemia, possiamo, non a torto, definire dittatura sanitaria. Tale regime terapeutico, citando una formula ben nota del prof. Fusaro, cavalca, come detto più volte, una paura ancestrale, ovvero, quella della morte, radicalizzata, maggiormente, da questo bieco materialismo immanentista, che, citando una celebre frase di Friedrich Wilhelm Nietzsche “Dio è morto!” (contenuta in La gaia scienza e in Così parlò Zarathustra) sancisce, nel post contemporaneo di oggi, la morte dell’uomo nella sua essenza trascendentale, relegandolo, così, come avrebbe detto Platone, in quella gabbia dell’anima, che è il corpo.
Fonte: https://mepiu.it/il-progetto-satanico-di-astana-dal-globalismo-al-sincretismo/
FONTE: https://comedonchisciotte.org/il-progetto-satanico-di-astana-dal-globalismo-al-sincretismo/
Dati The Intercept. Il razzismo della Tecnofinanza che non fa (stranamente) notizia
Le Big Tech sono razziste? Il dubbio – o meglio la vera e propria denuncia – è stato avanzato da The Intercept, che ha rilanciato la vicenda di un’afroamericana che, avendo risposto a una richiesta di assunzione per un ruolo manageriale in Facebook, dice di essersi ritrovata in un labirinto kafkiano, con attese interminabili, colloqui di lavoro imperscrutabili, per poi essere scartata con tanto di elogio per la sua intelligenza, non adatta però al compito richiesto.
In particolare, la donna dice che i suoi interlocutori erano solo bianchi, anzi che l’unico nero che ha incontrato nei suoi vanii andirivieni all’interno del labirinto in questione era un “receptionist”.
Possibile che la denuncia in sé sia infondata, ché magari è vero che non era adatta al lavoro in questione, ed è possibile anche che si tratti dell’ennesima strumentalizzazione della questione razziale, purtroppo spesso usata per fini altri dalle più che legittime richieste di eguaglianza.
Il razzismo della Tecnofinanza
E però i dati che snocciola The Intercept sono incontrovertibili. “La denuncia – si legge sul giornale Usa – arriva mentre si accumulano prove che le grandi aziende della Silicon Valley non stanno diversificando abbastanza rapidamente le loro forze di lavoro, prevalentemente bianche e asiatiche, in particolare all’interno di ruoli tecnici e manageriali ben pagati”.
“L’ultimo rapporto sulla diversità di Facebook, pubblicato a luglio, riferiva che solo il 3,9% dei dipendenti statunitensi sono neri e il 6,3% ispanici. Per parte sua Google ha dichiarato che nel 2020 il suo personale statunitense era per il 5,5% di neri e per il 6,6% di Latini e, come Facebook, ha dovuto affrontare ripetute accuse di pratiche razziste”,
Il vento è cambiato ed è probabile che le cose cambieranno, più o meno a breve. Accuse di “razzismo sistematico” sono state indirizzate anche verso Amazon, che ha dato vita a una inchiesta interna e ha espresso solidarietà all’accusatrice.
Se riferiamo tali notizie è perché appare alquanto ironico che proprio tali aziende siano state in prima linea nel denunciare il razzismo dei sostenitori di Trump, durante l’ultima campagna presidenziale. Né va dimenticato che la percentuale di afroamericani che ha votato per i repubblicani, cioè per Trump, nelle ultime elezioni è stata di gran lunga la più alta degli ultimi decenni.
Insomma, si scopre che a essere profondamente razzisti erano proprio quegli ambiti che denunciavano il razzismo altrui…
Peraltro, e sempre in tema di razzismo, si può ricordare come la Grande Finanza sia stata la più potente oppositrice del precedente presidente. E si può immaginare quanti afroamericani si annoverino in questa ristretta élite…
Riporta un’indagine di Forbes dello scorso anno che solo 7 miliardari statunitensi su 614 sono neri, ovvero l’1,14%. Negli Stati Uniti gli afroamericani costituiscono il 13% della popolazione. Ma è ancora più significativo scorrere l’elenco di questi 7. Praticamente solo due arrivano da finanza e IT, gli altri 5 provengono dal mondo dello sport e dello spettacolo: Michael Jordan, Oprah Winfrey, Kanye West, Jay-z e il meno conosciuto Tyler Perry autore e produttore cinematografico.
E ciò non solo negli alti livelli: abbiamo fatto un piccolo esperimento, replicabile da tutti i nostri lettori, inserendo le parole “broker wall street” nella stringa di ricerca di Google. Si può facilmente indovinare quante persone nere sono saltate fuori nelle “immagini” rinvenute.
Questi, dunque, gli ambiti che hanno vinto le ultime elezioni Usa accusando la fazione opposta di razzismo. Il mondo è bello perché vario…
La sperequazione più grande
Detto questo, resta che la questione razziale è solo una delle tante sul tappeto. Mentre comunque questa ora è affrontata – anche se il movimento Black Live Matter, pur attivo a buttar giù statue, è stranamente silente sulle sperequazioni all’interno degli ambiti di cui sopra -, resta che la più grande sperequazione attuale è quella riguardante la distribuzione della ricchezza, che si sta accumulando sempre più nelle mani di pochi a spese delle moltitudini (con processo accelerato durante la pandemia).
Una situazione tacitata: nulla si dice a riguardo sui media mainstream, se non di tanto in tanto la mera registrazione del dato; nessuna seria politica è stata messa in campo in Occidente per porre rimedio a questa deriva, scandalosa e disastrosa sia a livello economico che per la tenuta della democrazia, ché le oligarchie tendono perpetuarsi e a incrementare il loro potere, a scapito della Politica.
Nessun movimento in stile Live Black Matter che contesti una predazione che negli effetti risulta più che violenta verso i tantissimi che la subiscono.
Si ha l’impressione, anzi, che agitare le altre problematiche, dal razzismo all’emergenza climatica, abbia a volte (al di là della buona fede di quanti, per fortuna di tutti, vi si dedicano) la funzione di indirizzare l’attenzione e le rivendicazioni su altro che non sul tema sul quale si gioca realmente il futuro dell’umanità.
Così che un pianeta più pulito, nel quale bianchi e neri andranno a braccetto, sarà a solo uso e consumo dei pochi eletti, i quali regneranno su una moltitudine di schiavi, ai quali non sarà riservato neanche il mero diritto di tribuna per quanto riguarda le sorti reali della res publica globale. Al massimo sarà consentito loro un posto da spettatori nel teatrino allestito per essi dai media mainstream.
Una previsione eccessivamente catastrofista? Forse, anche se tanto di quel futuro è già qui. Resta che se trent’anni fa qualcuno avesse scritto che “26 posseggono le ricchezze di 3,8 miliardi di persone” (Sole24 Ore, rapporto Oxfam 2019) e che l’anno della pandemia sarebbe stato “un anno meraviglioso per gli uomini più ricchi del mondo” (EuropaToday), facilmente sarebbe stato additato come folle propalatore di Fake News.
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-dati_the_intercept_il_razzismo_della_tecnofinanza_che_non_fa_stranamente_notizia/16658_40228/
BELPAESE DA SALVARE
Che cosa significa affidare il Recovery Plan a McKinsey
Secondo fonti di stampa Mario Draghi ha affidato i dossier del Recovery Plan da presentare a Bruxelles alla società di consulenza aziendale McKinsey. Fatto salvo il fatto che il governo precedente ha perso un anno di tempo e ci sono dei tempi strettissimi da rispettare (fine Aprile se non erro), c’è tutto un mondo dietro questa scelta.
- Il piglio manageriale di Draghi, un piglio chiaramente anni 90. Peccato che siamo nel 2020 e sul mondo degli anni 90 del secolo scorso è calato il sipario;
- C’è l’efficientismo anni 90 (again) di McKinsey, gente uscita dalle madrasse neoliberiste con idee stravecchie;
- C’è il fatto che lo Stato che si vorrebbe progettare non è un azienda come pensano quelli di McKinsey;
- C’è che lo stato andrebbe riprogettato nel riferimento ideale dei principi della nostra Costituzione.
E insomma, niente. I progetti che verranno messi a terra saranno vecchi prima di nascere. Occorreva altro, occorreva un dibattito aperto, un dibattito democratico, magari partendo dalle scuole e dalle Università dove si sarebbero dovuti mettere a lavoro i nostri giovani (del resto, il mondo che deve nascere è il loro, o no?). Occorreva interrogarsi sui temi fondamentali, sui principi, sull’uomo-aumentato, e dunque su che cosa è l’uomo, su che cos’è il lavoro del futuro, sulla società che ci attende.
Bisognava fare un progetto aperto, democratico, inclusivo ma per davvero, per riprogettare questa nazione. Occorreva che i diversi piani del sapere si incontrassero: filosofico, giuridico, economico, informatico-tecnologico, sociale tutto insieme.
Si è deciso di affidare il nostro futuro alla fuffa di un’azienda vecchia dove lavorano dei vecchi e dei giovani vecchi nati bene usciti dalle solite madrasse che hanno gli anni 90 in testa.
Nel frattempo lo scontro tra visione centralizzata e decentralizzata continua. Uomini come Andreas Antonopoulos, i fratelli Durov, Nick Szabo, Ralph Merkle e Vitalik Buterin combattono e fanno, così come Zuckerberg, Gates, Musk e Pichai. Chi invece vive nel sistema di valori anni 90 vende consulenze a gonzi. Draghi è vecchio (e non è questione di età, è vecchio dentro).
OPPOSIZIONE AL REGIME TERAPEUTICO “RICONQUISTARE LA LIBERTÀ E I DIRITTI SOTTRATTI”
Mentre qualcuno, in maniera oltremodo ingenua, si illude che manchino due settimane al ritorno alla agognata normalità, esce una nuova lista di raccomandazioni medico-sanitarie significativamente intitolata “Indicazioni ad interim sulle misure di prevenzione e controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 in tema di varianti e vaccinazione” …
Ora, deve essere chiaro che non solo il potere non concede libertà e diritti, ma che quando se li riprende non è poi disposto a restituirli. Per questo, risulta insieme puerile e ingenuo il discorso di quanti ritengono che, finita l’emergenza, si riotterranno automaticamente le libertà e i diritti per ora sequestrati. Si tratta di un discorso ingenuo per due motivi: in primo luogo, perché l’emergenza è infinita, tale cioè da protrarsi fino a diventare, come già è, la nuova normalità; in secondo luogo, in ragione del fatto che il potere, come ricordavo, non concede i diritti e le libertà. In sintesi, e concludendo, dipenderà da noi e soltanto da noi la possibilità di riprenderci tutto e di riconquistare una vita degna di questo nome. Solo con l’organizzazione di una ferma opposizione contro il nuovo regime terapeutico diventa possibile riconquistare le libertà e i diritti sottratti.
Sorgente: Diego Fusaro
FONTE: https://www.rassegnastampa.eu/salute/opposizione-al-regime-terapeutico-riconquistare-la-liberta-e-i-diritti-sottratti/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Le false piste dell’esplosione del porto di Beirut
Il 4 agosto 2020 un’esplosione devastava il porto di Beirut e parte della capitale libanese. Secondo il Centro tedesco di geo-scienze (GFZ), l’incidente ha fatto tremare la terra per un raggio di 200 chilometri e ha raggiunto magnitudine 3,5 sulla scala Richter.
L’esplosione viene generalmente attribuita a uno stock di nitrato d’ammonio, lì depositato da anni, dopo un sequestro doganale. Sulla base di quest’ipotesi, il giudice Fadi Sawan aveva deliberato la detenzione preventiva di diversi responsabili del porto e della dogana. La Corte di cassazione l’ha destituito il 18 febbraio 2021.
Chi si trovava a Beirut il giorno dell’esplosione ha potuto notare due aerei da combattimento sorvolare la città e il porto – a bassa quota e per diversi minuti – incluso il momento della deflagrazione. Il presidente della repubblica libanese, Michel Aoun, ha parlato di «azione esterna, con un missile o una bomba». Ha chiesto all’omologo francese le immagini satellitari del porto al momento dell’esplosione, ma Emmanuel Macron, nonostante affermi di voler aiutare il Libano, si è finora rifiutato. Secondo una fonte anonima francese, citata dalla stampa libanese, il satellite geostazionario francese sopra il Libano al momento dell’esplosione era «in panne».
Gli abitanti di Beirut hanno sentito due esplosioni distinte. Ma dalle immagini disponibili (foto) si possono distinguere chiaramente tre esplosioni, separate e perfettamente sincronizzate: due convenzionali e una non-convenzionale. La terza esplosione, che ha provocato un fungo atomico, proviene da una nuova arma a combustibile atomico, già usata contro la Siria (video) e nel Golfo Persico contro l’Iran [1].
VIDEO QUI: https://www.voltairenet.org/IMG/mp4/Syrie.mp4
Subito dopo l’esplosione, Réseau Voltaire ha pubblicato un articolo che chiamava in causa direttamente Israele [2]. Purtroppo abbiamo accusato a torto Benjamin Netanyahu di aver indicato, alla tribuna delle Nazioni Unite, il sito dell’esplosione come potenziale bersaglio delle Forze di difesa israeliane, designandolo come un deposito di missili dello Hezbollah. L’informazione era sbagliata.
Tuttavia il primo ministro israeliano ha in seguito minacciato i libanesi di continuare le distruzioni, individuando un nuovo bersaglio.
Organi di stampa hanno tentato di collegare lo stock di nitrato d’ammonio a uomini d’affari siriani. Ma questa pista, oltre a non corrispondere alla modalità di funzionamento dello Stato siriano, non è convincente. Infatti è stato accertato che, al momento dell’esplosione, nel porto erano immagazzinate non più di 500 tonnellate di questo fertilizzante, mentre si era ingiustamente parlato di un quantitativo di 2.750 tonnellate. Inoltre, il processo di trasformazione di questa sostanza in esplosivo richiede diverse ore. Ma i video provano che le esplosioni sono avvenute in sincronia con quella dell’arma nucleare tattica.
In un nuovo rapporto, un think tank vicino all’intelligence israeliana, Alma, indica quattro nuovi siti di assemblaggio, lancio e comando di missili Fatah-110 dello Hezbollah, fra essi quello indicato da Netanyahu. Si vuole rilanciare l’idea che è nel diritto d’Israele colpire i depositi missilistici dello Hezbollah e che l’esplosione del porto sarebbe l’esito accidentale di un’operazione israeliana contro una di queste istallazioni.
Possiamo però affermare che almeno uno dei quattro siti indicati dall’Alma non è assolutamente un luogo di lancio di missili.
Se leggiamo questi fatti su scala regionale e colleghiamo alla nostra analisi le manifestazioni organizzate in Libano, nonché il crollo del suo sistema bancario, è inevitabile ritenere la distruzione del porto di Beirut una possibile tappa della distruzione delle strutture statali libanesi, nel mirino del Pentagono da oltre 20 anni, nel quadro della “guerra senza fine” nel Medio Oriente Allargato (strategia Rumsfeld/Cebrowski) [3].
NOTE
[1] «Quale nuova arma è stata usata nel Golfo e a Beirut?», Rete Voltaire, 5 agosto 2020.
[2] “Israele distrugge Beirut Est con una nuova arma”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 7 agosto 2020.
[3] «Chi distrugge il Libano e perché», di Thierry Meyssan, traduzione di Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 22 dicembre 2020.
CULTURA
neovitruvian.com
C’è una crescente spinta da parte degli insegnanti per eliminare Shakespeare e altra letteratura occidentale dalle classi. Un gruppo, #DisruptTexts, insiste: “Si tratta di supremazia e colonizzazione dei bianchi”.
Lorena German, presidente del National Council of Teachers of English Anti-Racism Committee e co-fondatrice del forum Disrupt Texts, ha insistito che “tutto ciò che riguarda il fatto che era un uomo del suo tempo è problematico nelle sue opere. Non possiamo insegnare Shakespeare in modo responsabile e non interrompere il modo in cui le persone sono caratterizzate e formate”.
In precedenza abbiamo discusso di come il ritratto di William Shakespeare sia stato rimosso dal Dipartimento di inglese dell’Università della Pennsylvania come dichiarazione per una maggiore sensibilità e diversità razziale. Gli studenti vengono sempre più privati di classici fondamentali come “Romeo e Giulietta”, “Macbeth”, “Re Lear” o Riccardo III. Queste sono opere che non sono solo capolavori, ma hanno plasmato generazioni di opere successive e continuano a essere citate nella scrittura moderna.
Amanda McGregor, una bibliotecaria con sede in Minnesota, ha scritto nel numero di gennaio del giornale della biblioteca scolastica che “il lavoro di Shakespeare è pieno di idee problematiche e obsolete, molta misoginia, razzismo, omofobia, discriminazione di classe, antisemitismo, misoginia”
La German ha insistito sul fatto che Shakespeare “non è universale” come gli altri autori non lo sono.
Alcuni insegnanti sostengono di sostituire Shakespeare con opere come “Hunger Games”.
Fonte: https://neovitruvian.com/2021/02/17/insegnanti-woke-vogliono-cancellare-shakespeare/
Fonte originale: https://www.zerohedge.com/political/woke-teachers-want-shakespeare-canceled-about-white-supremacy-and-colonization
FONTE: https://comedonchisciotte.org/insegnanti-woke-vogliono-cancellare-shakespeare/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Via il segreto di Stato sul Covid. Il Tar: pubblicate quegli atti RILETTURA
Giuseppe Conte non riesce a festeggiare in santa pace l’accordo raggiunto a Bruxelles. Il suo problema sono proprio le donne. Prima ci si è messa l’ex moglie, che a capo di altre 11 colleghe dell’avvocatura dello Stato, ha vinto il ricorso contro Palazzo Chigi e il Tesoro ottenendo un bel risarcimento danni. Adesso ecco altre donne che mettono nei guai il premier, ordinando: fuori entro 30 giorni tutti gli atti secretati dalla presidenza del Consiglio dei ministri sulla emergenza Covid. Le tre donne in questione sono Mariangela Caminiti, Ines Simona Immacolata Pisano e Lucia Gizzi, i tre giudici amministrativi del Tar del Lazio (sezione prima quater) che hanno emesso la sentenza che impone alla presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della protezione civile di rendere pubblici i verbali del Comitato tecnico scientifico (Cts) in base a cui sono state prese tutte le decisioni più importanti per affrontare l’emergenza.
È in base a questi verbali che Conte ha adottato tutti i famosi dpcm con cui ha compresso le libertà fondamentali per garantire la tutela della salute degli italiani. Il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, durante le sue famose conferenze stampa (quelle dove venivano snocciolati i numeri dei morti e dei contagiati) aveva spiegato che non gli era possibile rendere pubblici i verbali delle riunioni del Cts.
Venivano considerati dati sensibili, che sarebbe stato opportuno rendere pubblici solo ad emergenza finita. Addirittura, questi verbali erano secretati anche per alcuni membri del governo, come il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri, che a maggio era sbottato: «Li tengono nascosti anche a me».
Adesso, si scopre che non si poteva fare. Bisogna ringraziare tre avvocati: Rocco Mauro Todero, Vincenzo Palumbo e Andrea Pruiti Ciarello, i quali si erano visti respingere l’accesso agli atti dal Dipartimento della protezione civile. Ma non si sono scoraggiati, hanno presentato ricorso al Tar e, adesso, lo hanno vinto. Il Tar, con sentenza pubblicata ieri, ha dato loro ragione e ha ordinato piena trasparenza sui verbali del Cts. Le valutazioni degli esperti, su cui Conte ha basato le sue decisioni, non sono dati sensibili.
Quei verbali non potevano essere secretati. Scrivono i giudici amministrativi nella sentenza:<ET>«L’Amministrazione ha opposto all’ostensione dei richiamati verbali solo motivi “formali” attinenti alla qualificazione degli stessi come “atti amministrativi generali”, ma non ha opposto ragioni sostanziali attinenti ad esigenze oggettive di segretezza o comunque di riservatezza degli stessi al fine di tutelare differenti e prevalenti interessi pubblici o privati tali da poter ritenere recessivo l’interesse alla trasparenza rispetto a quello della riservatezza». Non solo. Secondo il Tar, non aveva nemmeno senso la spiegazione di Borrelli per cui sarebbe stato opportuno rendere pubblici i verbali una volta terminata l’emergenza. Una motivazione che viene considerata «illogica» e «contraddittoria». Infine, il collegio giudicante spiega che «deve essere consentito l’accesso ad atti, come i verbali in esame, che indicando i presupposti fattuali per l’adozione dei descritti DDPCM, si connotano per un particolare impatto sociale, sui territori e sulla collettività». Tradotto: l’emergenza era così grave che i cittadini avevano il sacrosanto diritto di conoscere tutte le motivazioni per cui venivano compresse a tal punto le loro libertà.
FONTE: https://www.iltempo.it/attualita/2020/07/23/news/coronavirus-via-segreto-stato-tar-sentenza-verbali-comitato-tecnico-scientifico-governo-giuseppe-conte-23947340/
Lo strano caso dei cv anonimi e delle selezioni illecite
In Nord Europa il cv diventa “anonimo”, esclusi foto, sesso, età o etnia del candidato per evitare discriminazioni; in Italia ancora diffuse varie cattive pratiche in tema di selezione del personale, come quelle di raccolta e conservazione dei cv o indagini sulle opinioni del candidato
È dalle ultime settimane del 2020 che si sta parlando di un trend dei paesi nordici, Finlandia in primis, in cui i processi di selezione del personale avvengono tramite “CV anonimi”, con il nobile scopo di evitare le discriminazioni all’assunzione. Si vorrebbe tenere conto esclusivamente della storia professionale, cercando di valutare il candidato secondo criteri oggettivi e in modo non distorto dai pregiudizi dei selezionatori, evitando di acquisire ogni tipo di informazione non essenziale. Sono così esclusi foto, riferimenti a sesso, età o etnia.
Per quanto l’entusiasmo della novità faccia apparire tale scelta come “storia di successo”, solo il tempo saprà chiarirne l’efficacia.
In Italia, sarebbe preferibile andare contro alcune worst practices tristemente diffuse nella selezione del personale relative alla raccolta e trattamento dei dati dei candidati.
La maggior parte delle volte, la raccolta sistematica dei CV attraverso indirizzi e pagine dedicate avviene senza alcuna forma di informativa nei confronti dei candidati. Eppure, sarebbe sufficiente pubblicarla e indicare un link sul modulo.
Molto più frequentemente, tanto da organizzazioni private che pubbliche, viene richiesto un inutile consenso relativo al trattamento dei dati personali. Altrettanto frequentemente, il tempo di conservazione dei CV non è definito e dunque viene rimesso o alla volontà di pulizia degli uffici e delle caselle e-mail, o al rispetto del “per sempre” caro al mondo delle favole e ad uno spot sui diamanti.
Il trend in aumento, purtroppo, consiste nello svolgimento in via diretta o mediata di quelle “indagini sulle opinioni del lavoratore su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”, in spregio all’espresso divieto stabilito a riguardo dall’art. 8 Statuto dei Lavoratori. E di conseguenza, in violazione dei principi di liceità e minimizzazione dei dati personali. Qui il diavolo sta nei dettagli e spesso suggerisce l’acquisizione illecita di queste informazioni in sede di colloquio (in presenza, o molto più spesso da remoto o per vie telefoniche), ma talvolta si adagia anche nei moduli predisposti per la presentazione della candidatura. Ad esempio, è sempre più diffusa la domanda circa la composizione del nucleo familiare, o il lavoro del proprio partner.
Certamente, se si riscontrano moduli o evidenze circa tali raccolte uno strumento utile di tutela può consistere nella segnalazione al Garante per la protezione dei dati personali.
Sul lato dei professionisti della privacy, invece, è necessaria un’azione per sterilizzare il mercato dall’offerta di “consulenze compiacenti”, astenendosi dal cooperare con organizzazioni in cerca di aggiramenti normativi e da omissioni significative nelle attività di sorveglianza.
FONTE: https://www.infosec.news/2021/03/17/news/risorse-umane/lo-strano-caso-dei-cv-anonimi-e-delle-selezioni-illecite/
ECONOMIA
Lo stolto guarda la McKinsey mentre…
Mi fanno un po’ sorridere le polemiche intorno alla notizia secondo cui Draghi avrebbe appaltato la stesura del Recovery Plan alla società di consulenza statunitense McKinsey.
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-lo_stolto_guarda_la_mckinsey_mentre/33535_40096/
LA CURA DEL FERRO
NEL RECOVERY PLAN ITALIANO C’È UN OBIETTIVO MOLTO AMBIZIOSO: QUELLO DI DIMEZZARE I TEMPI (DA 11 A 6 MESI) PER L’AUTORIZZAZIONE DEI PROGETTI CHE RAFFORZANO LA RETE FERROVIARIA, DECONGESTIONANDO IL TRASPORTO SU STRADA CREANDO IN MEDIA UN LIVELLO DI OCCUPAZIONE DI CIRCA 60 MILA PERSONE ALL’ ANNO – ANCHE PERCHÉ I 28 MILIARDI MESSI SUL PIATTO SONO VINCOLATI: I PROGETTI VANNO COMPLETATI ENTRO IL 2026…
Michele Di Branco per “il Messaggero”
Dimezzare i tempi necessari per autorizzare i progetti che servono a rafforzare la rete ferroviaria decongestionando il trasporto su strada. Ruota molto intorno a questa scommessa il piano che l’ Italia presenterà all’ Europa.
È tutto messo nero su bianco a pagina 286 delle schede tecniche del Recovery plan: «Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti proporrà una modifica normativa per consentire di anticipare l’ ubicazione geografica dei lavori al momento del Progetto di fattibilità Tecnica Economica anziché attendere la fase definitiva di progettazione».
In questo modo le autorizzazioni supplementari saranno ottenute nelle fasi successive del progetto, senza convocare la Conferenza dei Servizi. Una svolta che, nelle strategie del governo dovrebbe appunto dimezzare i tempi da 11 a 6 mesi. Fare presto, peraltro, è un imperativo.
LA CAPACITÀ
I 28,3 miliardi messi sul piatto (metà dei quali destinati all’ Alta alta velocità per aumentare la frequenza e la capacità dei collegamenti ferroviari esistenti) sono vincolati ad un dovere: completare tutti i progetti entro il 2026.
Gli obiettivi sono chiari: sostenendo il trasferimento di passeggeri e merci dalle strade alle ferrovie, Rfi prevede un aumento del 10% di passeggeri/km nel lungo periodo e del 20% nel trasporto merci.
Robuste le ricadute occupazionali: nel complesso si calcola che il programma di investimenti, nei prossimi 5 anni, potrebbe creare in media un livello di occupazione di circa 60 mila persone all’ anno.
Inoltre l’ aumento della capacità nei nodi ferroviari chiave nelle aree metropolitane avrà ricadute positive sui treni regionali, rendendo i centri urbani più accessibili migliorando la qualità di vita. Inoltre, gli investimenti ferroviari volti a stabilire collegamenti all’ interno dell’ Italia meridionale ridurranno il divario infrastrutturale e i tempi di percorrenza, migliorando la coesione sociale.
Al fine di aumentare i volumi di merci si legge nel Recovery «è necessario aumentare la capacità della rete e dei nodi». Occorre inoltre aumentare la connettività delle ferrovie con i porti e gli aeroporti. Nel lungo periodo (entro il 2050) l’ Italia intende incrementare fino al 50% la quota del traffico merci su ferro per viaggi superiori a 300 chilometri.
Una delle sfide principali del piano riguarda la transizione verde. E su questo le raccomandazioni della Commissione Ue all’ Italia sono state chiare: «Occorre promuovere gli investimenti privati per favorire la ripresa economica, concentrando gli investimenti sulla transizione verde e digitale, compreso il trasporto pubblico sostenibile».
MARIO DRAGHI PARLA ALLA CAMERA
IL SETTORE
Il settore dei trasporti nazionali è pertanto responsabile di significative emissioni di gas a effetto serra e i combustibili fossili rappresentano ancora la principale fonte di energia. Secondo le valutazioni realizzate dal governo, sostenendo il trasferimento del traffico passeggeri e merci dal trasporto stradale a quello ferroviario e riducendo la congestione stradale, si ridurranno le emissioni.
In particolare, Rfi stima che un aumento della quota di passeggeri che utilizzano la ferrovia dal 6 al 10% potrebbe tradursi in un risparmio annuo di CO2 di 2.3 milioni di tonnellate entro il 2030. Il piano riserva una parte corposa anche al trasporto ferroviario locale.
«L’ aumento della capacità dei nodi ferroviari chiave in 12 aree metropolitane scrivono i tecnici avrà ricadute positive sui treni regionali, rendendo i centri urbani più accessibili e migliorando la qualità della vita dei pendolari.
Inoltre, alcuni investimenti saranno direttamente destinati alle linee regionali e urbane che sono utilizzate principalmente dai comuni». Quanto alla produttività, si legge nel documento, i servizi di trasporto merci saranno più competitivi, agevoleranno le importazioni e le esportazioni di merci e attireranno le imprese a localizzare i loro siti di produzione. L’ aumento della connettività ferroviaria con i porti del Nord, del Centro e del Sud del paese migliorerà la competitività e la sostenibilità ambientale dei corridoi logistici in tutta Italia.
FONTE: https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/cura-ferro-ndash-recovery-plan-italiano-rsquo-263933.htm
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
L’errore di Bruxelles ha fatto fallire Banca Etruria, CariChieti, CariFerrara e Banca Marche. La Corte Ue: “Decisione della Commissione su Tercas va annullata”
19 03 2019 RILETTURA
Il Fondo Interbancario voleva intervenire su Tercas, ma la Commissione lo vietò. Quel divieto impedì di salvare gli altri istituti. Patuelli (Abi): “Vestager si deve dimettere”
E ora chi lo dice ai risparmiatori delle quattro banche che hanno perso i loro risparmi? La corte Ue ha dato ragione all’Italia nel ricorso presentato contro la decisione della Commissione Europea del 2015 nel caso delle Casse di Teramo (Tercas): l’intervento del Fondo interbancario di Tutela dei depositi (Fitd) non integra un aiuto di Stato. La decisione del Tribunale europeo su Tercas è strettamente intrecciata con la risoluzione delle quattro banche alla fine del 2015. È quindi utile riavvolgere il nastro per capire come la pronuncia della Corte di giustizia in Lussemburgo getti ombre pesanti su Bruxelles, e in particolare sulle decisioni della Dg Competition di Margrethe Vestager.
Nel 2015 l’Antitrust Ue giudicò come aiuto di Stato l’intervento del Fidt, consorzio di banche private, a sostegno di Tercas perché a detta dei funzionari di Bruxelles il fondo interbancario avrebbe agito “per conto dello Stato italiano”, quindi in netto contrasto con le norme Ue sugli aiuti di Stato. Oggi il giudice Ue ha bocciato quella decisione affermando che “spettava alla Commissione disporre d’indizi sufficienti per affermare che tale intervento è stato adottato sotto l’influenza o il controllo effettivo delle autorità pubbliche e che, di conseguenza, esso era, in realtà, imputabile allo Stato”. Anzi, aggiunge: “La Commissione non disponeva d’indizi sufficienti per una siffatta affermazione. Al contrario, esistono nel fascicolo numerosi elementi che indicano che il FITD ha agito in modo autonomo al momento dell’adozione dell’intervento a favore di Tercas”. Non è finita, perché il Tribunale sottolinea che l’autorizzazione di Banca d’Italia all’intervento del FITD a favore di Tercas non costituisce un indizio che consenta d’imputare la misura di cui trattasi allo Stato italiano.
La Corte Ue ha smontato per intero l’impianto della Commissione Ue nel caso Tercas, salvata dalla Popolare di Bari grazie al sostegno del Fondo. Ma il suo impatto è dirompente soprattutto per le quattro banche (Etruria, Chieti, Ferrara e Marche) mandate gambe all’aria con l’applicazione delle norme sul burden sharing in fretta e furia per evitare gli effetti ancora più nefasti dell’entrata in vigore della direttiva Ue sul bail-in (BRRD) dal gennaio successivo. Dopo la decisione assunta da Bruxelles nel caso Tercas, Banca d’Italia ha spiegato di aver escluso il ricorso al Fitd per impedire o limitare le perdite dei risparmiatori: “Se l’intervento del FITD non fosse stato configurato come aiuto di Stato, l’operazione di salvataggio delle quattro banche da parte del FITD non avrebbe comportato il sacrificio dei diritti dei creditori subordinati e sarebbe avvenuta valutando le sofferenze delle banche a valori di bilancio”, ha spiegato. Escluso il Fitd, le soluzioni alternative al burden sharing erano allora state considerate da Palazzo Koch più penalizzanti per azionisti e creditori – come la liquidazione coatta – o non percorribili – come l’intervento volontario delle banche.
Quest’ultimo merita un capitolo a parte. Dopo la decisione dell’Antitrust Ue su Tercas, il primo fondo interbancario restituì le somme versate alle banche del consorzio di istituti privati. Successivamente le risorse vennero versate nuovamente nel fondo “parallelo” ma volontario, nato per aggirare i paletti posti da Bruxelles. Grazie all’aiuto del Fitd con una cifra tutto sommato non proibitiva (poco meno di 300 milioni) la Popolare di Bari riuscì così a completare l’acquisizione di Tercas. La decisione di Bruxelles arrivò quando i colloqui tra banche, autorità e Fondo interbancario erano ormai a uno stadio già avanzato. Si stava lavorando su uno stanziamento di circa due miliardi per evitare il collasso dei risparmi dei quattro istituti. Il pesante divieto posto da Bruxelles mandò tutti i piani all’aria. Non ci fu più il tempo materiale per intervenire visto che il fondo volontario nacque una settimana dopo l’avvio della risoluzione, resasi oramai necessaria per il drastico peggioramento delle condizioni delle quattro banche. Ora la Corte Ue dice il divieto posto da Bruxelles, da cui deriva l’ingente distruzione di ricchezza e di fiducia dei risparmiatori italiani, non era legittima. Il presidente dell’Abi Antonio Patuelli ha chiesto le dimissioni della Commissaria Vestager. La Banca Popolare di Bari valuterà “azioni di rivalsa e richieste di risarcimento nei confronti” della Commissione.
FONTE: https://www.huffingtonpost.it/2019/03/19/lerrore-di-bruxelles-ha-fatto-fallire-le-quattro-banche-la-corte-ue-decisione-della-commissione-su-tercas-va-annullata_a_23695567/
GIUSTIZIA E NORME
La sentenza completa emessa a Reggio Emilia che demolisce i DPCM
Come sappiamo il Giudice delle Indagini Preliminari di Reggio Emilia ha clamorosamente assolto una coppia di emiliani che era stata fermata, multata e denunciata dai carabinieri per aver fatto un’autocertificazione falsa, affermando di essersi recata in ospedale per una visita.
Il giudice Dario De Luca ha sentenziato con un non luogo a procedere per evidente incostituzionalità dei DPCM che richiedevano l’autocertificazione per muoversi, in quanto completamente e palesemente incostituzionali in quanto cozzano contro l’articolo 13 della Carta.
Dato che è giusto che possiamo leggere l’intera sentenza che è clamorosa.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA
Sezione GIP-GUP
Il giudice, dott. Dario De Luca, provvedendo in Camera di Consiglio sulla richiesta di emissione del decreto penale di condanna avanzata, come in atti, dal Pubblico Ministero, ha pronunciato e pubblicato la seguente
SENTENZA
nei confronti di: C. D. e G. M., generalizzato/a/i, difeso/a/i. e imputato/a/i, come da allegata copia della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, del delitto di cui all’art 483 CP, [a) del reato p. e p. dall’art 483 C.P., perché, compilando atto formale di autocertificazione per dare contezza del loro essere al di fuori dell’abitazione in contrasto con l’obbligo imposto dal DCPM 08.03.2020, attestavano falsamente ai Carabinieri di Correggio: G. M. di essere andata a sottoporsi ad esami clinici; C. D. dI averla accompagnata. In Correggio il 13.03.2020]
MOTIVAZIONE
Procedendo penalmente contro ciascun imputato per il reato in rubrica rispettivamente ascritto, il PM richiede l’emissione di decreto penale di condanna alla pena determinata nella misura di cui in atti.
Ritiene il GIP che la richiesta di emissione di decreto di condanna non possa essere accolta e che debba trovare luogo una sentenza di proscioglimento, ex art. 129 CPP, per effetto delle brevi considerazioni che seguono.
Infatti:
– premesso che viene contestato a ciascun imputato il delitto di cui all’art. 483 CP «…perché, compilando atto formale di autocertificazione per dare contezza del loro essere al di fuori dell’abitazione in contrasto con l’obbligo imposto dal DCPM 08.03.2020, attestavano falsamente ai Carabinieri di Correggio: G. R. di essere andata a sottoporsi ad esami clinici; C. D. di averla accompagnata…»,
avendo il personale in forza al Comando Carabinieri di Correggio accertato che la donna quel giorno non aveva fatto alcun accesso presso l’Ospedale di Correggio;
– evidenziato che la violazione contestata trova quale suo presupposto – al fine di giustificare il proprio allontanamento dall’abitazione – l’obbligo di compilare l’autocertificazione imposto in via generale per effetto del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.) citato nell’autocertificazione stessa;
– in via assorbente, deve rilevarsi la indiscutibile illegittimità del DPCM del 8.3.2020, evocato nell’autocertificazione sottoscritta da ciascun imputato come pure di tutti quelli successivamente emanati dal Capo del Governo, ove prevede che “1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 le misure di cui all’art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 sono estese all’intero territorio nazionale”, e del rinviato DPCM dei 8.3.2020, ove stabilisce che “Art. 1 Misure urgenti di contenimento del, contagio nella regione Lombardia e nelle province di
Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia.
– 1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus” COVID-19 nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, sono adottate le seguenti misure:
– a) evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate
esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute”.
– Tale disposizione, stabilendo un divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare. Tuttavia, nel nostro ordinamento giuridico, l’obbligo di permanenza domiciliare consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal Giudice penale per alcuni reati all’esito del giudizio (ovvero, in via cautelare, in una misura di custodia cautelare disposta dal Giudice, nella ricorrenza dei rigidi presupposti di legge, all’esito di un procedimento disciplinato normativamente), in ogni caso nel rispetto del diritto di difesa. Sicuramente nella giurisprudenza è indiscusso che l’obbligo di permanenza domiciliare costituisca una misura restrittiva della libertà personale.
Peraltro, la Corte Costituzionale ha ritenuto configurante una restrizione della libertà personale delle situazioni ben più lievi dell’obbligo di permanenza domiciliare come, ad esempio, il “prelievo ematico” (Sentenza n. 238 del 1996) ovvero l’obbligo di presentazione presso l’Autorità di PG in concomitanza con lo svolgimento delle manifestazioni sportive, in caso di applicazione del DASPO, tanto da richiedere una convalida del Giudice in termini ristrettissimi. Anche l’accompagnamento coattivo alla frontiera dello straniero è stata ritenuta misura restrittiva della libertà personale, con conseguente dichiarazione d’illegittimità costituzionale della disciplina legislativa che non prevedeva il controllo del Giudice ordinario sulla misura, controllo poi introdotto dal legislatore in esecuzione della decisione della Corte Costituzionale; la disciplina sul trattamento sanitario obbligatorio, ugualmente, poiché impattante sulla libertà personale, prevede un controllo tempestivo del Giudice in merito alla sussistenza dei presupposti applicativi previsti tassativamente dalla legge: infatti, l’art. 13 Cost. stabilisce che le misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su « atto motivato dall1autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge»; primo corollario di tale principio costituzionale, dunque, è che un DPCM non può disporre alcuna limitazione della libertà personale, trattandosi di fonte meramente regolamentare di rango secondario e non già di un atto normativo avente forza di legge; secondo corollario dei medesimo principio costituzionale è quello secondo il quale neppure una legge (o un atto normativo avente forza di legge, qual è il decreto-legge) potrebbe prevedere in via generale e astratta, nel nostro ordinamento, l’obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini, posto che l’art. 13 Cost. postula una doppia riserva, di legge e di giurisdizione, implicando necessariamente un provvedimento individuale, diretto dunque nei confronti di uno specifico soggetto, in osservanza del dettato di cui al richiamato art. 13 Cost.
– Peraltro, nella fattispecie, poiché trattasi di DPCM, cioè di un atto amministrativo, il Giudice ordinario non deve rimettere la questione dì legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, ma deve procedere, direttamente, alla disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo per violazione di legge (Costituzionale),
– Infine, non può neppure condividersi l’estremo tentativo dei sostenitori, ad ogni costo, della conformità a Costituzione dell’obbligo di permanenza domiciliare sulla base della considerazione che il DPCM sarebbe conforme a Costituzione, in quanto prevederebbe delle legittime limitazioni della libertà
di circolazione ex art. 16 Cost. e non della libertà personale. Infatti, come ha chiarito la Corte Costituzionale la libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi, come ad esempio, l’affermato divieto di accedere ad alcune zone, circoscritte che sarebbero infette, ma giammai può comportare un obbligo di permanenza domiciliare (Corte Cost., n. 68 del 1964). In sostanza la
libertà di circolazione non può essere confusa con la libertà personale: i limiti della libertà di circolazione attengono a luoghi specifici il cui accesso può essere precluso, perché ad esempio pericolosi; quando invece il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone allora la limitazione si configura come vera e propria limitazione della libertà personale. Certamente quando il divieto di spostamento è assoluto, come nella specie, in cui si prevede che il cittadino non può recarsi
in nessun luogo al di fuori della propria abitazione è indiscutibile che si versi in chiara e illegittima limitazione della libertà personale.
– In conclusione, deve affermarsi la illegittimità del DPCM indicato per violazione dell’art. 13 Cost., con conseguente dovere del Giudice ordinario di disapplicare tale DPCM ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E.
– Poiché, proprio in forza di tale decreto, ciascun imputato è stato “costretto” a sottoscrivere un’autocertificazione incompatibile con lo stato di diritto del nostro Paese e dunque illegittima, deriva dalla disapplicazione di tale norma che la condotta di falso, materialmente comprovata come in atti, non sia tuttavia punibile giacché nella specie le esposte circostanze escludono l’antigiuridicità in concreto della condotta e, comunque, perché la condotta concreta, previa la doverosa disapplicazione della norma che imponeva illegittimamente l’autocertificazione, integra un falso inutile, configurabile quando la falsità incide su un documento irrilevante o non influente ai fini della decisione da emettere in relazione alla situazione giuridica che viene in questione: al riguardo, è ampiamente condivisibile l’interpretazione giurisprudenziale, anche di legittimità, secondo la quale “Non integra il reato dì falso ideologico in atto pubblico per induzione in errore del pubblico ufficiale l’allegazione alla domanda di rinnovo di un provvedimento concessorio di un falso documento che non abbia spiegato alcun effetto, in quanto privo di valenza probatoria, sull’esito della procedura amministrativa attivata. (Fattispecie relativa a rinnovo di una concessione mineraria)” [Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 11952 del 22/01/2010 (dep. 26/03/2010) Rv. 246548 – 01]: siccome, nella specie, è costituzionalmente illegittima, e va dunque disapplicata, la norma giuridica contenuta nel DPCM che imponeva la compilazione e sottoscrizione della autocertificazione, il falso ideologico contenuto in tale atto è, necessariamente, innocuo; dunque, la richiesta di decreto penale non può trovare accoglimento.
Alla luce di tutto quanto sin qui detto, deve pronunciarsi sentenza di proscioglimento, nei confronti di ciascun imputato, perché il fatto non costituisce reato,
FONTE: https://scenarieconomici.it/la-sentenza-completa-emessa-a-reggio-emilia-che-demolisce-i-dpcm/
IMMIGRAZIONI
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
COVID e digitalizzazione nel settore ICT: e i diritti dei lavoratori?
Di Gianluca Graziadio e Letizia Lanzi (CSEPI)
Continua il percorso d’indagine prospettica delle modificazioni sociali e di classe che stanno coinvolgendo i lavoratori in questo periodo così complesso, la cui denominazione è declinata in un’ottica di emergenza sanitaria o pandemia. Come abbiamo già messo in evidenza i cambiamenti che stanno chiamando in causa l’organizzazione del lavoro, in particolare, non sono iniziati con la gestione problematica del Covid; questa, semmai, è stata spesso un fattore di accelerazione e di costrizione. Nella seconda puntata abbiamo intervistato Claudio Di Mambro, membro della segreteria Fiom di Roma, sindacalista di lungo corso, da anni impegnato nella contrattazione in aziende del settore ICT sia sul territorio romano sia come coordinatore sindacale nazionale di alcune grandi società informatiche. E’ responsabile del Coordinamento dei delegati informatici Fiom di Roma e del Lazio con il quale ha elaborato proposte finalizzate a regolamentare aspetti legati alla contrattazione nazionale ed aziendale del settore ICT e esperienze formative sugli effetti della digitalizzazione nell’organizzazione del lavoro.
Con Claudio Di Mambro abbiamo approfondito proprio l’organizzazione del lavoro nel settore ICT e come questa sia stata trasformata dal massiccio ricorso allo smart working e dalla digitalizzazione sempre più spinta, che spesso si trasforma in una richiesta di disponibilità costante senza che venga riconosciuto il diritto alla disconnessione, con un incremento del carico di lavoro per chi un lavoro già ce l’ha e con la difficoltà sempre maggior di reimpiego per i lavoratori fuoriusciti, considerati obsoleti per il settore già a 40 anni.
Un mondo, quello dell’ICT, pervaso dall’innovazione nel quale però gli accordi collettivi sono sempre meno scontati e anzi l’idea stessa di orario di lavoro e di contratto è sempre più osteggiata.
Buona visione con la nostra video intervista Prospettive di Classe 2.0
Autori: Gianluca Graziadio e Letizia Lanzi del CSEPI
VIDEO QUI: https://youtu.be/RA8KgqdT02A
FONTE: https://comedonchisciotte.org/covid-e-digitalizzazione-nel-settore-ict-e-i-diritti-dei-lavoratori/
Dipendenti pubblici: chi ha guadagnato di più dai rinnovi del contratto
17 Marzo 2021
Negli ultimi anni gli stipen
di dei dipendenti pubblici sono cresciuti, in media, del 21,1%. Eppure ci sono stati dei settori in cui il potere d’acquisto della retribuzione è persino diminuito.
In questi giorni è ripreso il dibattito rispetto al rinnovo del contratto del pubblico impiego che, in base alle risorse a disposizione, dovrebbe garantire un aumento di stipendio medio pari 107,00€. Una cifra importante che tuttavia non riguarderà tutti i settori della Pubblica Amministrazione: ci sono dei comparti che – così come già successo negli ultimi anni – saranno maggiormente penalizzati, andando a beneficiare di un aumento inferiore.
Ad esempio, per gli insegnanti si parla di un incremento medio di 87,00€ ed effettivamente il comparto scuola è tra quelli ad essere rimasti più indietro negli anni. Come ci spiega Il Sole 24 Ore, infatti, dal 2005 le buste paga dei dipendenti sono salite del 21,1%, ma ci sono dei comparti – come appunto la scuola – che non sono cresciuti come avrebbero dovuto.
Dipendenti pubblici: di quanto sono cresciuti gli stipendi
Come anticipato, in più di dieci anni gli stipendi della Pubblica Amministrazione sono cresciuti del 21,1%. Può sembrare eccessivo, ma va detto che le retribuzioni non hanno fatto altro che seguire l’andamento dell’inflazione: al netto dell’incremento dei prezzi (più 19,8% dal 2005), infatti, ne risulta che gli stipendi dei dipendenti pubblici sono aumentati di “appena” l’1,3%.
Inoltre, se guardiamo agli stipendi effettivamente percepiti ne risulta che ci sono stati comparti più penalizzati rispetto ad altri: paradossalmente, si tratta proprio di quei settori in prima linea durante la pandemia, quali sanità, scuola ed enti locali.
Guardando alla crescita degli stipendi per coloro che lavorano negli uffici “centrali” della Pubblica Amministrazione, ad esempio per la Presidenza del Consiglio, ne risulta che per insegnanti, medici, infermieri e dipendenti degli enti locali, i rinnovi del contratto non sono stati così vantaggiosi come si potrebbe credere ad una prima e approssimativa analisi.
Le cifre sono pubbliche, in quanto disponibili nelle banche dati dell’ARAN (l’organo che rappresenta il datore di lavoro pubblico nella fase di contrattazione).
Per avere un’idea chiara di chi ha guadagnato di più in questi anni, bisogna approfondire l’impatto dei rinnovi sulle dinamiche reali degli stipendi, considerando tutte quelle variabili che incidono sulla contrattazione decentrata (si pensi, ad esempio, agli straordinari).
Nel dettaglio, analizzando gli effetti dei rinnovi sullo stipendio effettivamente percepito dai dipendenti pubblici, ne risulta che nella sanità c’è stato un incremento del 17,6%, persino inferiore all’andamento dell’indice dei prezzi. Peggio della Sanità fa solamente l’Alta formazione artistica e musicale.
Sulla stessa linea le Regioni e gli Enti locali, cresciuti di base del 17,9%, mentre nelle Regioni di Statuto speciale si arriva al 24,4%. Sotto l’andamento dell’inflazione anche gli stipendi del personale della scuola, cresciuti di appena il 18,4%; guardando a questi dati, quindi, ne risulta che gli stipendi di insegnanti, così come del personale ATA, hanno perso potere d’acquisto.
Molto meglio è andata ai dipendenti degli uffici centrali della Pubblica Amministrazione. Più ci si avvicina al vertice, infatti, e maggiore è l’impatto dei rinnovi sugli stipendi: ad esempio, per i dipendenti di Palazzo Chigi c’è stato un incremento del 67,5% con le retribuzioni che oggi ammontano a 66.348,00€ medi.
Va detto, comunque, che su questo calcolo incide anche la propensione al turnover per le varie amministrazioni. Ad esempio, tra il 2005 e il 2018, periodo in cui il blocco del turnover ha comportato la perdita di circa un milione di posti nel pubblico impiego, la sanità ha perso solamente il 5% del proprio organico, con un turnover quindi vicino al 100%.
Molto peggio è andata agli enti territoriali (-24,4%), ai Ministeri (-25,9%) e agli enti pubblici non economici (-34,4%).
Questo dato inevitabilmente influisce sul calcolo degli stipendi medi, in quanto un maggior numero di nuovi ingressi – con uno stipendio più basso rispetto a chi ha più anni di carriera – contribuisce ad abbassare la retribuzione media del comparto.
Stipendi Pubblica Amministrazione: anche i giovani penalizzati
Negli ultimi anni la carriera nella Pubblica Amministrazione si è rivelata meno “conveniente” rispetto al passato, specialmente per i giovani. Questi, infatti, hanno pagato i vincoli rigidi al turnover e questo ha fatto sì che quei pochi che sono riusciti ad entrare si sono dovuti “accontentare” di una prospettiva di carriera molto scarsa, in quanto le progressioni di carriera sono state bloccate e per quel che riguarda gli stipendi non c’è stata la crescita tanto sperata.
Un fattore, questo, di cui si dovrà tener conto con il rinnovo del contratto, valorizzando coloro che essendo entrati tra il 2005 e il 2021 non hanno beneficiato di un trattamento economico adeguato.
FONTE: https://www.money.it/dipendenti-pubblici-chi-guadagnato-piu-rinnovi-contratto
I DRIVER CONTRO AMAZON
“CONSEGNIAMO PACCHI, NON LA NOSTRA DIGNITÀ LAVORATIVA”
In esclusiva su Byoblu24 interviene un driver di Amazon in vista dello sciopero nazionale indetto per il prossimo 22 marzo contro la multinazionale americana.
Il driver rilascia una testimonianza oculare di come si svolge il lavoro quotidiano, il ritmo frenetico delle consegne gestite da un algoritmo che non conosce il territorio e le strade italiane.
Ospite anche Massimo Bellini, segretario nazionale CGIL FILT di Rimini, che spiega nel dettaglio la trattativa avviata con i vertici di Amazon Italia che non ha però portato a risultati dal punto di vista dei lavoratori che hanno quindi deciso di interrompere l’attività per sciopero.
FONTE: https://www.byoblu.com/2021/03/16/i-driver-contro-amazon-consegniamo-pacchi-non-la-nostra-dignita-lavorativa/
PANORAMA INTERNAZIONALE
USA/GB/UE/Russia: l’ordine del mondo trema
Gli Stati occidentali, che hanno trascurato le ricerche sulle cure del Covid-19 per focalizzarsi esclusivamente sui vaccini, ora devono fare i conti con le rivalità interne.
Soltanto gli Stati Uniti del presidente Donald Trump e il Regno Unito del primo ministro Boris Johnson hanno un proprio vaccino, non l’Unione Europea.
La UE constata con terrore non solo di essere avviata verso il sottosviluppo scientifico, ma anche che Londra ha ripreso la politica imperiale antecedente l’adesione all’Unione. Dopo la Brexit, Johnson ha rovesciato con discrezione il presidente Evo Morales e ottenuto le riserve di litio della Bolivia; ha occupato l’isola di Socotra e installato una base militare nello stretto di Bab el-Mandeb, infine ha sostenuto la Turchia contro l’Armenia e ottenuto un accesso facilitato alle riserve petrolifere dell’Azerbaijan.
Gli Stati Uniti – il cui presidente Joe Biden aveva annunciato di voler riannodare i rapporti con gli alleati tradizionali e organizzare con il G7 la distribuzione mondiale del vaccino anti-Covid – non hanno tardato a mostrare il loro vero volto. Si sono rifiutati di soccorrere l’Unione Europea sbloccando le scorte strategiche di vaccino.
Ora, secondo i trattati, l’Unione Europea continua a dipendere per la propria difesa totalmente dalla NATO, ossia dagli anglosassoni.
La Commissione europea, che aveva preso il controllo dei vaccini nell’Unione violando i trattati, ha quindi deciso di sospendere la vaccinazione AstraZeneca, pretestando ragioni sanitarie. Ebbene, l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA), l’unica competente in materia, ha approvato il vaccino AstraZeneca e non ha revocato la decisione. La Commissione europea vuole da un lato salvarsi dall’illegalità e dall’altro far pagare al Regno Unito la Brexit.
Quattro Stati membri dell’Unione (Germania, Spagna, Francia e Italia) hanno firmato un accordo con la Russia per l’approvvigionamento del vaccino russo Sputnik V, sfidando in tal modo gli anglosassoni.
La rivalità fra Regno Unito e Unione Europea dovrebbe essere appianata dalla NATO. In caso contrario l’UE e la NATO saranno dissolti e gli imperi statunitense e britannico domineranno i loro ex partner.
L’equilibrio del mondo sarà in ogni caso sovvertito dall’impatto del Covid-19.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article212429.html
Operazione “Vaccinate tutti i deplorabili,” nome in codice: “Il Poker di Satana”
unz.com
Ovunque io fugga, trovo l’inferno, anzi del core in fondo meco lo porto: ivi un più cupo abisso, di quell’abisso atroce in cui m’ha spinto il mio delitto, si spalanca, e tanto lo supera in orror, che bello e dolce l’inferno stesso è al paragone. (IV, 75–79) Paradiso Perduto, John Milton, trad. di Lazzaro Papi
Cosa sta succedendo in Israele? Qualcuno l’ha forse capito?
Israele non è il paese più vaccinato del mondo?
Lo è.
La metà degli Israeliani non è già stata vaccinata?
Sì.
Non è già stato vaccinato il 90% di tutti gli Israeliani sopra i 60 anni (il gruppo di età con più probabilità di morire di Covid)?
Sì.
Allora, come ha fatto Israele a “raddoppiare il numero di morti totali dei primi dieci mesi della pandemia“… “dopo due mesi di vaccinazione intensiva con il vaccino di Pfizer“?
E perché “i casi di Covid-19 in Israele… hanno avuto un’impennata durante il primo mese della… campagna di vaccinazione di massa“?
E perché “dopo solo 2 mesi di … vaccinazione di massa” “il 76% dei nuovi casi di Covid-19…riguarda persone sotto i 39 anni e solo il 5,5% ha più di 60 anni. Perchè il 40% dei pazienti gravi ha meno di 60 anni“?
Le vaccinazioni hanno forse indirizzato l’infezione verso una fascia demografica diversa, o magari i vaccini hanno selezionato un ceppo più virulento che prende di mira i più giovani?
E perché improvvisamente ci sono più donne incinte fra i pazienti in terapia intensiva, mentre i casi di Covid-19 tra i bambini sono aumentati di un enorme 1.300% (da 400 casi nei bambini sotto i due anni il 20 novembre a 5.800 nel febbraio 2021).
E perché gli Ebrei ortodossi e gli Arabi israeliani hanno assistito ad un improvviso e drammatico cambiamento nei casi e nei decessi, quando entrambi i gruppi avevano dati simili prima della campagna di vaccinazione? Ecco un estratto di un’intervista con il giornalista Gilad Atzmon che spiega cos’è realmente accaduto: (Potete vedere l’intera intervista su The Unz Review, per questo passaggio andate al minuto 20)
VIDEO QUI: https://youtu.be/8RI20-aa1vk (RIMOSSO DA YOUTUBE)
“Una volta iniziata la campagna di vaccinazione, abbiamo visto un cambiamento molto interessante. Mentre gli Ebrei ortodossi erano corsi in massa a farsi fare ‘il vaccino,’ i Palestinesi (Arabi israeliani) non avevano seguito questo schema. Nelle prime fasi della campagna di vaccinazione, a gennaio, abbiamo visto un aumento di 15 volte dei casi di morbilità nel segmento degli Ebrei ortodossi, mentre abbiamo assistito ad un calo significativo (della morbilità) nel segmento degli Arabi israeliani. Senza il vaccino, il livello di morbilità era sceso di colpo. È stato allora che ho cominciato a capire che esisteva una connessione tra vaccinazione e morbilità.” (NOTA – Le domande di cui sopra sono tutte tratte da articoli di Gilad Atzmon su The Unz Review [e già tradotti su CDC]).
Quindi, cosa significa tutto ciò? Cosa ci dicono questi inquietanti risultati sulla campagna di vaccinazione più aggressiva mai condotta in un paese effettivamente isolato dal resto del mondo? (Israele è ancora in lockdown)
Ci dicono due cose:
1. Ci dicono che i media stanno diffondendo disinformazione sul successo fittizio di Israele nella lotta al Covid-19.
2. Ci dicono che le vaccinazioni hanno creato nuovi ceppi infettivi, che possono essere più contagiosi e letali dell’originale.
Ecco come Atzmon riassume il tutto:
“Le prove raccolte in Israele indicano una stretta correlazione tra vaccinazione di massa, casi e morti. Questo sembra indicare la possibilità che siano i vaccinati a diffondere effettivamente il virus o addirittura una serie di mutanti responsabili del cambiamento radicale dei sintomi di cui sopra.” (Israele ‘laboratorio del mondo’, tradotto).
Tombola. I vaccini sono la fonte di nuove mutazioni che vengono attribuite al Brasile, al Sudafrica, al Regno Unito e di qualsiasi altra variante/diversivo invocato come credibile pretesto per quello che gli autori di questa farsa sanno benissimo essere vero: che possono essere gli stessi vaccini la fonte del problema, la fonte dello spostamento demografico [della patologia], la fonte dei nuovi casi, la fonte dei nuovi ricoveri e la fonte dei nuovi decessi. Vale la pena notare che abbiamo a che fare con un cocktail sintetico al 100%, progettato per fare esattamente quello che sta facendo ora in Israele, Regno Unito, Portogallo, Emirati Arabi Uniti e in tutti gli altri Paesi che attualmente stanno somministrando questa sostanza tossica a gran parte della loro popolazione.
E che ruolo stanno giocando i media in questa tragedia senza precedenti?
Stanno giocando lo stesso ruolo di sempre: portano acqua alle grandi multinazionali farmaceutiche e ai potenti dalle tasche profonde che le controllano. Che sorpresa, eh? Ora leggete questo estratto da un articolo di Technology Review:
Un rapporto scientifico recentemente trapelato, preparato congiuntamente dal ministero della salute israeliano e da Pfizer, sostiene che il vaccino Covid-19 di Pfizer sta bloccando nove infezioni su dieci e che il Paese potrebbe avvicinarsi all’immunità di gregge entro il mese prossimo.
Lo studio, basato sui dati sanitari di centinaia di migliaia di Israeliani, rileva che il vaccino è in grado di ridurre drasticamente la trasmissione del coronavirus. “L’alto assorbimento del vaccino può significativamente arginare la pandemia e offre la speranza per un futuro controllo della pandemia quando i programmi di vaccinazione saranno incrementati nel resto del mondo,” secondo gli autori.
Questo studio a livello nazionale è stato riportato giovedi scorso dal notiziario web israeliano Ynet e una copia è stata ottenuta da MIT Technology Review.
I risultati sono importanti per capire se i vaccini potranno porre fine alla pandemia, perché Israele è primo al mondo nella vaccinazione della propria popolazione e ha trasformato il Paese in un vero laboratorio….
La bozza del rapporto conferma che il vaccino è in grado di ridurre le malattie e i decessi da Covid-19 di oltre il 93% e fornisce anche la prima prova su larga scala che il vaccino può prevenire la maggior parte delle infezioni, comprese quelle asintomatiche….
Altre analisi suggeriscono che le infezioni gravi e i decessi sono diminuiti tra gli Israeliani più anziani, che avevano ricevuto il vaccino per primi, ma non tra quelli al di sotto dei 44 anni che non erano stati vaccinati.
Il lavoro israeliano riporta le rilevazioni eseguite in tre settimane tra gennaio e febbraio, quando i ricercatori erano stati in grado di confrontare le cartelle cliniche di persone non vaccinate con quelle di soggetti che aveva ricevuto la seconda iniezione [del vaccino di Pfizer] da almeno una settimana. Avevano poi confrontato i gruppi per cinque end point riguardanti il Covid-19: infezione, sintomi, ricoveri, ricoveri in terapia intensiva e morte. Secondo lo studio, non pubblicato, il vaccino ha avuto un’efficacia del 93% nel prevenire il Covid-19 sintomatico….
“Israele fornisce un’opportunità unica per osservare su un’intera nazione gli effetti di un continuo aumento dell’immunità nella trasmissione del Sars-Cov-2,” hanno scritto gli autori. Eric Topol, un medico di Scripps Research, in California, che ha revisionato il documento, afferma che “il blocco delle infezioni dimostra l’efficacia del vaccino sulla trasmissione asintomatica, cosa di cui non eravamo sicuri“…(“A leaked report shows Pfizer’s vaccine is conquering covid-19 in its largest real-world test”, Technology Review)
Quindi, secondo questo articolo, e centinaia di altri simili, tutto in Israele è semplicemente perfetto. Le cose non potrebbero andare meglio. Secondo gli autori, i nuovi vaccini a mRNA sono in grado di:
1. Prevenire il Covid, (“il vaccino può prevenire la maggior parte delle infezioni, comprese quelle asintomatiche….”)
2. Bloccare la trasmissione, (“riduce nettamente la trasmissione”… “il vaccino Covid-19 sta bloccando nove infezioni su dieci…”)
3. Ridurre i ricoveri, (“il vaccino è in grado di ridurre le malattie e le morti da covid-19 di oltre il 93%“)
4. Aprire la strada all’immunità di gregge, (“il Paese potrebbe avvicinarsi all’immunità di gregge entro il mese prossimo“).
Qui non siamo di fronte solo ad un “rapporto brillante,” questa è un’apoteosi completa. Gli autori stanno confermando che i vaccini non solo funzionano come previsto, ma che Israele ha effettivamente vinto la sua guerra contro la pandemia mortale. Ma sarà vero?
No, non è vero, e lo scienziato al vertice dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il dottor Soumya Swaminathan, ha persino ammesso che non è vero. Ecco cosa ha detto: “Non credo che, per nessuno dei vaccini, abbiamo le prove o possiamo essere sicuri che impediranno alle persone di contrarre l’infezione o la successiva possibilità di trasmetterla.” (COVID 19 News Watch Archive, Children’s Health Defense)
Quindi, cosa significa?
Significa che i vaccini non fanno quello che dovrebbero fare. Non impediscono né di contrarre il Covid né che l’infezione si diffonda ad altri. Quindi, per quanto riguarda le due questioni più critiche, i vaccini falliscono. Tuttavia, alleviano i sintomi del Covid, sembra con un’efficacia del 95%. Ma non è per questo che la gente si vaccina. La maggior parte della gente si fa vaccinare perché pensa che questo impedirà loro di ammalarsi e di morire. I media hanno la responsabilità di far notare la cosa, ma ovviamente, fanno l’esatto contrario e cercano di coprire tutto con la disinformazione.
Siete mai andati sull’account Twitter di Alex Berenson? Berenson è un giornalista di prim’ordine che setaccia i dati ufficiali e riporta quotidianamente i nuovi sviluppi in Israele. Ha anche seguito la campagna di vaccinazione dal giorno #1 e fornisce un commento continuo su tutte le informazioni che raccoglie. Ecco due recenti tweet che aiutano a riassumere il suo punto di vista sulla campagna vaccinatoria:
Il miracolo del vaccino israeliano è ufficialmente finito prima ancora di cominciare. I nuovi casi gravi sono aumentati di settimana in settimana e sono scesi di pochissimo per due settimane 2/13-2/20 699, 2/20-2/26 643, 2/27-3/5 660. Dopo essere scesi per gran parte di febbraio, i casi gravi totali negli ultimi 10 giorni sono rimasti stabili… Alex Berenson
E questo:
Il totale dei test positivi è in aumento e R è superiore a 1, segno che l’epidemia si sta diffondendo. Questo avviene con la maggior parte degli adulti vaccinati e con quasi tutta la popolazione ad alto rischio completamente vaccinata….. Alex Berenson
Ci fermiamo qui, anche se Berenson fornisce quotidianamente aggiornamenti (scettici). Il nostro obiettivo è semplicemente quello di mostrare che le osservazioni di Atzmon sono supportate da altri critici, che sanno come passare al setaccio le sciocchezze e trovare la verità. Come Atzmon, Berenson, nonostante tutto il suo sarcasmo, è uno che dice la verità. Sa che la maggior parte di ciò che viene scritto sulla campagna di vaccinazione di Israele è un mucchio di sciocchezze.
Quindi, andiamo al sodo: Cos’è che vogliamo davvero sapere?
Vogliamo sapere se Atzmon ha ragione: se c’è “una correlazione tra vaccinazione di massa, casi e morti.” Vogliamo sapere se le persone vaccinate stanno effettivamente diffondendo il virus. Vogliamo sapere se i vaccini hanno creato una nuova forma mutante del virus, più contagiosa e mortale dell’originale. Vogliamo sapere se i vaccini a mRNA fanno più male che bene. E vogliamo sapere se i vaccini stanno riducendo i casi di Covid o li stanno aumentando, se stanno riducendo i ricoveri o se li stanno aumentando e se riducono le morti da Covid o se le stanno aumentando.
I funzionari della sanità pubblica dovrebbero o rispondere a queste ragionevoli domande e placare le paure della gente o prendere provvedimenti per interrompere immediatamente la campagna di vaccinazione. Perché, se anche solo una piccola parte di ciò che dice Atzmon fosse vera, allora potremmo essere responsabili della più grande crisi di salute pubblica della storia mondiale. Semplicemente, non c’è modo di sapere quante persone moriranno inutilmente o subiranno danni fisici irreparabili a causa della frettolosa attuazione di un programma potenzialmente genocida, scritto e sostenuto da attivisti miliardari e dai loro alleati fissati sulla vaccinazione di massa come mezzo per raggiungere i loro squilibrati obiettivi politici.
E non sono l’unico a pensarla così. Considerate i commenti del dottor Geert Vanden Bossche, “un virologo indipendente ed esperto di vaccini che ha lavorato per GAVI e la Fondazione Bill e Melinda Gates.“ Ecco cosa aveva scritto il dottor Vanden Bossche in una lettera aperta intitolata “Perché una vaccinazione di massa in mezzo ad una pandemia crea un mostro incontenibile?” La lettera era diretta a “tutte le autorità, gli scienziati e gli esperti di tutto il mondo, interessate… per fermare immediatamente la vaccinazione di massa Covid, sulla base prove convincenti che una campagna vaccinatoria generale peggiorerebbe drammaticamente le conseguenze della pandemia.” Eccone un estratto:
“In pratica, molto presto ci troveremo di fronte ad un virus super-infettivo, che sarà in grado di resistere al nostro meccanismo di difesa più prezioso: il sistema immunitario.
Detto questo, diventa sempre più difficile immaginare come le conseguenze di questo enorme ed errato intervento umano in questa pandemia non possano spazzar via gran parte della popolazione umana. Si potrebbero immaginare solo poche altre strategie in grado di raggiungere lo stesso livello di efficienza nel trasformare un virus relativamente innocuo in un’arma biologica di distruzione di massa….
Se noi, esseri umani, vorremo impegnarci a perpetuare la nostra specie, non avremo altra scelta se non quella di eradicare queste varianti virali altamente infettive. Questo, infatti, richiederà grandi campagne di vaccinazione. Tuttavia, i vaccini basati sulle cellule NK [Natural Killer] permetteranno soprattutto di preparare meglio la nostra immunità naturale (memoria!) e di indurre l’immunità di gregge (che è esattamente l’opposto di ciò che fanno gli attuali vaccini COVID-19, che trasformano sempre più i destinatari del vaccino in portatori asintomatici che diffondono il virus). Quindi, non c’è più un secondo da perdere per cambiar marcia e sostituire gli attuali vaccini killer con vaccini salvavita.
Faccio appello all’OMS e a tutte le parti coinvolte, indipendentemente dalla loro convinzione, affinchè dichiarino immediatamente tale azione come L’UNICA, PIU’ IMPORTANTE, EMERGENZA DI SALUTE PUBBLICA DI INTERESSE INTERNAZIONALE.” (Is Dr Geert Vanden Bossche Right That “Vaccination Amidst a Pandemic Creates an Irrepressible Monster? [Ha ragione il dottor Geert Vanden Bossche che “la vaccinazione nel bel mezzo di una pandemia crea un mostro incontenibile?”] Lockdown Skeptics).
Ha ragione il dottor Vanden Bossche? Il nostro “ampio ed errato intervento umano” (la vaccinazione) “sta per spazzare via gran parte della popolazione umana“? Questi vaccini hanno trasformato “un virus relativamente innocuo in un’arma biologica di distruzione di massa“? Gli attuali vaccini COVID-19… “trasformano sempre più i destinatari del vaccino in portatori asintomatici che diffondono il virus“? Siamo ora di fronte al più grande e mortale disastro di salute pubblica della storia?
Noi crediamo abbia ragione. Crediamo anche che gli allarmanti dati che Atzmon ha contribuito a scoprire, siano solo la punta dell’iceberg. Pensiamo che questo insidioso vaccino Frankenstein scatenerà una valanga di malattie e di patologie mentali a sviluppo tardivo che affliggeranno il mondo per il prossimo secolo o giù di lì. E, no, non accettiamo l’idea che questo sanguinoso assalto all’umanità sia accidentale. Al contrario. L’unica ragione per utilizzare queste iniezioni tossiche e prive di sperimentazioni cliniche a lungo termine (per determinare la loro sicurezza) è la grande importanza che la vaccinazione di massa ha nell’agenda politica degli autori. E questo è precisamente il motivo per cui i media bugiardi hanno deliberatamente pompato l’isteria popolare fino al parossismo subito prima prima dell’inizio della campagna. L’obiettivo evidente era quello di rendere la popolazione il più sottomessa possibile prima di condurla in massa all’inoculazione. Tutto questo suggerisce che la campagna di vaccinazione globale sia un’operazione premeditata e criminale volta a promuovere l’agenda delle élite. Ancora da Atzmon:
Da quando Israele si è trasformato in una nazione di porcellini d’India, un virus che era solito predare gli anziani e le persone con gravi problemi di salute ha ora cambiato completamente la sua natura….
Le prove raccolte in Israele indicano una stretta correlazione tra la vaccinazione di massa, i casi e le morti. Questa correlazione sottolinea la possibilità che siano i vaccinati a diffondere effettivamente il virus o addirittura una serie di mutanti responsabili del cambiamento radicale dei sintomi di cui sopra.
Quando all’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla, durante un’intervista alla NBC era stato chiesto se era possibile infettare gli altri dopo aver ricevuto due dosi di vaccino, Bourla aveva ammesso:
“È qualcosa che deve essere confermato, e i dati sul campo che stiamo ottenendo da Israele e da altri studi ci aiuteranno a capirlo meglio.” (Israele “laboratorio del mondo,” tradotto)
L’amministratore delegato di Pfizer ha davvero ammesso di non sapere se il suo vaccino funziona o no? Ha davvero ammesso che il suo vaccino potrebbe contribuire alla diffusione del virus?
Come dovremmo comportarci di fronte ad una cosa del genere? Qual è il legame tra le analisi di Atzmon, Berenson e i veementi avvertimenti del dottor Vanden Bossche? Ha ragione Atzmon quando dice che l’aumento dei casi di Covid può essere ricondotto proprio a quei Paesi che hanno accelerato le loro campagne di vaccinazione di massa? Ecco ancora Atzmon:
In Israele, i casi di Covid-19, in rapporto alla popolazione, hanno avuto un’impennata ed erano tra i più alti al mondo (se non i più alti) durante il primo mese della “vittoriosa” campagna di vaccinazione di massa. In due mesi di inoculazioni a tappeto con il vaccino di Pfizer, Israele è riuscito a raddoppiare il numero di morti che aveva accumulato nei precedenti dieci mesi di pandemia. Stiamo parlando di 2.700 cittadini israeliani, un numero paragonabile a quello dei soldati dell’IDF morti nella guerra dello Yom Kippur, probabilmente l’evento più traumatizzante della storia moderna di Israele.
Quando, solo due giorni fa, ho presentato questi numeri a David Scott di UK Column, la sua reazione è stata diretta e lucida: “quello che lei descrive è davvero una nuova malattia.” Temo che Scott abbia ragione. Questo è esattamente ciò che vediamo in Israele…(Il mutante israeliano, la profezia dell’IDF e la dura realtà, tradotto)
Supponiamo, per amor di discussione, che Atzmon abbia ragione. Ipotizziamo che ci sia “una stretta correlazione tra vaccinazione di massa, casi e morti.” E diciamo anche che “questa correlazione indichi la possibilità che siano i vaccinati a diffondere effettivamente il virus o addirittura una serie di mutanti responsabili del cambiamento radicale dei sintomi di cui sopra.”
Ma è possibile una cosa del genere? Le persone che sono state vaccinate possono diventare super-diffusori di una forma più virulenta e letale del virus?
Sì, possono. Possono diventare portatori di un ceppo più mortale dell’infezione e uccidere centinaia di altre persone con cui verranno in contatto, prima di morire loro stessi. Basta guardare questo estratto da un articolo del 2015 della PBS. Aiuta a spiegare il fenomeno che Atzmon ipotizza nelle sue osservazioni. L’articolo si intitola: “Questo vaccino aviario rende il virus più pericoloso“:
I ceppi più letali di virus spesso si prendono cura di se stessi, hanno un picco riproduttivo e poi si estinguono. Questo perché sono così bravi a distruggere le cellule e a causare malattie che, a loro volta, uccidono il loro ospite prima di avere il tempo di diffondersi. Ma il virus del pollame, uno dei germi più letali della storia, è riuscito ad uscire da questo schema tipico, grazie ad un effetto involontario di un vaccino. I polli vaccinati contro la malattia di Marek si ammalano raramente. Ma il vaccino non impedisce loro di diffondere la malattia agli uccelli non vaccinati. Se infettati dai ceppi virali più attivi, i polli non vaccinati muoiono entro 10 giorni. …
Infatti, piuttosto che impedire ai polli di diffondere il virus, il vaccino permette alla malattia di diffondersi più velocemente e più a lungo di quanto farebbe normalmente, secondo un nuovo studio. Gli scienziati ora credono che questo vaccino abbia aiutato questo virus aviario a diventare singolarmente virulento… Lo studio è stato pubblicato lunedì sulla rivista PLOS Biology….
La ragione per cui una cosa del genere rappresenta un problema per la malattia di Marek è perché il vaccino “è difettoso.” Un vaccino difettoso non permette ad un germe di fare seri danni al suo ospite, ma non gli impedisce di replicarsi e diffondersi in un altro individuo. Per contro, un vaccino “perfetto” è quello che procura un’immunità perenne, che non diminuisce mai, e che blocca sia l’infezione che la trasmissione.
Negli ultimi anni, gli esperti si sono chiesti se la diffusione di questi ceppi particolarmente virulenti fosse da imputarsi a vaccini difettosi. Negli anni ’70, l’introduzione della vaccinazione nei pulcini contro la malattia di Marek aveva evitato il collasso della pollicoltura, ma si era subito visto che gli uccelli vaccinati contraevano la malattia, senza però morire. Poi, nel corso dell’ultimo mezzo secolo, i sintomi della malattia di Marek erano peggiorati. La paralisi avveniva più precocemente, il cervello si trasformava più rapidamente in poltiglia….
Il gruppo di Read aveva iniziato la sua indagine esponendo polli Rhode Island Red vaccinati e non vaccinati a ciascuno dei cinque ceppi virali della malattia di Marek, dal più blando al più virulento. I ceppi più virulenti avevano ucciso tutti i polli non vaccinati nei primi 10 giorni [di esposizione] e i ricercatori avevano notato che, durante quel periodo, quasi nessun virus era stato rilasciato dalle piume dei polli. Al contrario, la vaccinazione aveva esteso la durata della vita dei polli esposti ai ceppi più virulenti, con una sopravvivenza di oltre due mesi per l’80% di essi. Ma i polli vaccinati trasmettevano il virus, diffondendo 10.000 volte più virus degli uccelli non vaccinati.
“In precedenza, un ceppo virulento era talmente letale da autoeliminarsi. Ora, teniamo in vita il suo ospite con il vaccino, quindi [la malattia] può trasmettersi e diffondersi nell’ambiente,” aveva affermato Read. “Ha quindi un futuro evolutivo che prima non aveva.”
Ma questo futuro evolutivo genera virus più pericolosi?
Questo studio sostiene di sì. In un secondo esperimento, polli non vaccinati e vaccinati erano stati infettati con ognuno dei cinque ceppi della malattia di Marek e poi messi a contatto con una seconda serie di uccelli non immunizzati, chiamati sentinelle…. Il virus si diffondeva negli uccelli sentinella nove giorni prima se proveniente da un pollo vaccinato rispetto ad uno non vaccinato. Inoltre, le sentinelle morivano più velocemente se esposte a polli vaccinati, rispetto a polli non vaccinati.
“Si potrebbe dire che questo esperimento è la dimostrazione che la vaccinazione dei polli uccide i volatili non vaccinati. La vaccinazione di un gruppo di polli porta alla trasmissione di un virus talmente virulento da uccidere gli altri uccelli,” aveva detto Read……
“La nostra prima e più grave preoccupazione è se questo possa accadere con uno qualsiasi dei vaccini che somministriamo agli esseri umani,” ha detto il biologo molecolare James Bull dell’Università di Austin, Texas, specializzato nell’evoluzione di virus e batteri….
Per testare l’ipotesi di un vaccino imperfetto negli esseri umani, sarebbe necessario monitorare per un lungo periodo la risposta al vaccino su una popolazione grande o comunque isolata. Questo permetterebbe ad un ricercatore di valutare come il vaccino interagisce con il virus e se questa relazione si evolve. Se il vaccino serve solo a ridurre i sintomi o se impedisce anche ai pazienti di infettarsi e trasmettere il virus. (Questo vaccino rende il virus bersaglio più pericoloso, PBS)
Eccolo qui, nero su bianco. Se si crea un “vaccino difettoso,” che “si limita a ridurre i sintomi,” ma che “NON impedisce ai pazienti di infettarsi e trasmettere il virus,” allora “sarebbe necessario monitorare per un lungo periodo di tempo la risposta del vaccino su una popolazione vasta o isolata.”
In altre parole, per evitare un’orribile catastrofe che potrebbe comportare la morte di milioni di persone, sono assolutamente essenziali sperimentazioni a lungo termine.
È imperativo che i vaccini a mRNA vengano bloccati fino a quando non ci sarà la prova verificata che sono sicuri.
Mike Whitney
Fonte:unz.com
Link: https://www.unz.com/mwhitney/operation-vaxx-all-deplorables-codename-satans-poker/
10.03.2021
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
FONTE: https://comedonchisciotte.org/operazione-vaccinate-tutti-i-deplorabili-nome-in-codice-il-poker-di-satana/
POLITICA
MANIPOLATI E FELICI
Il potere si fida sempre meno dei popoli, e per questo è stato bloccato l’ascensore sociale. Per sfiducia il potere ha mandato in soffitta i partiti e sponsorizzato grandi comunicatori televisivi ed influencer vari.
In meno di trent’anni il popolo italiano (anche altrove è accaduto) è stato convinto da mirate campagne mediatico-pubblicitarie, che i partiti politici sarebbero il male della società, che i sindacati non servono a nulla e che un fritto misto di potere (vip, potenti della terra, gestori dei social e influencer) avrebbe a cuore il benessere della gente. L’elettorato ha creduto questa fosse la via buona per stare tutti bene, ed invece ne è sortita l’attuale società bloccata, situazioni d’irreversibile povertà e l’indifferenza della classe dirigente verso il bene comune. La Seconda Repubblica s’è di fatto rivelata una società autoreferenziale, indifferente ed individualista. I partiti erano quei corpi intermedi che, seppur con umani difetti, regolavano l’equilibrio tra ascensore sociale e giusta classe dirigente. La maggior parte di quest’ultima sapeva di dover rendere conto sia al partito che al popolo: le eccezioni degenerative c’erano e ci saranno sempre in qualsivoglia umano sistema.
Nel 1993 sono state modificate sia la disciplina che regola l’immunità parlamentare che il finanziamento ai partiti (vi fu un referendum in materia): cambiamento che, da un lato, ha di fatto legato le mani a chi elettivamente delegato a risolvere i problemi della gente, e dall’altro ha favorito il commissariamento giudiziario della politica. Oggi a Mario Draghi potrebbe paradossalmente venir premesso tutto, e perché l’uomo non è frutto dei partiti politici ma di un concetto di potere precedente alla nascita dei corpi intermedi. Un ritorno all’antico, già visto far capolino con Giuseppe Conte e con quella sorta d’ottocenteschi decreti regi, che già manifestavano l’ormai irreversibile depotenziamento parlamentare. Del resto, i Cinque Stelle sono solo gli ultimi arrivati (negli ultimi trent’anni) che hanno convinto l’elettorato come il Parlamento sia un potere contrapposto al popolo. C’è stato un incessante, e trentennale, lavoro mediatico per minare le funzioni democratiche. Col passaggio da Conte a Draghi, il tempo si rivela maturo per giungere ad una decretazione che incarni una fantomatica “efficienza normativa” e di governo. Torniamo a chiederci come facciano i cattolici a governare con i 5 Stelle: loro, allievi del Partito Popolare di Don Luigi Sturzo, il quale nel 1919 dichiarava che “solo il Parlamento rappresenta il Paese”.
La nostra è una società che ha perso da tempo l’ingenua sacralità, era scritto che dopo la religione sarebbe finita anche la politica partitica, e che sarebbe rimasto solo il materialistico potere per il potere. Già nei primi del Novecento, Max Weber (sociologo della Pubblica amministrazione) descriveva il disincanto del mondo moderno, che ha sciolto ogni legame simbolico tra Dio ed impegno socio-politico: preconizzando che la politica partitica sarebbe arrivata a dominare la società, per poi essa stessa soccombere prima sotto leggi economiche e poi sotto il potere della finanza. Oggi in Italia ha poco senso parlare di destra o sinistra (forse mai non lo ha avuto) e perché la contrapposizione sembrerebbe nuovamente tra partiti ed oligarchie di potere. Secondo certi, il concetto di “partito politico” sarebbe un qualcosa, comunque, di sinistra: ovvero quel corpo intermedio che si contrapponeva alle azioni del notabilato. Certo, il Novecento ha connotato d’interclassismo ogni partito: operai, borghesi e nobili stavano ovunque.
Ma oggi è evidente come in Italia si sia tornati a prima del 1892, quando veniva fondato il Partito Socialista italiano: primo partito politico moderno (nel senso novecentesco del termine), perché sino a quell’anno i principali raggruppamenti politici italiani (Destra storica e la Sinistra storica) non erano partiti, ma semplici cartelli di notabili, e ciascuno con un proprio feudo elettorale. Erano gruppi di potere, che non avevano affatto in conto la gente. Erano i gruppi di potere politico che avevano unito l’Italia, divisi in liberali e repubblicani: ma non erano interclassisti, rappresentavano il notabilato (alta borghesia industriale e nobiltà terriera). All’epoca il popolo contava davvero poco, e dopo quasi centotrent’anni sembra si sia tornati ad una situazione similare. Con la differenza sostanziale che i liberali ed i repubblicani d’allora cercavano d’applicare, secondo coscienza, la visione sociale di Camillo Benso conte di Cavour e di Giuseppe Mazzini, in nome del progresso della società italiana. Questo perché nessun politico dell’epoca avrebbe mai pensato si potesse escludere in futuro il popolo dalla partecipazione politica.
Infatti, dopo il Partito Socialista italiano seguiranno in Italia i movimenti cattolici (prima la Democrazia Cristiana Italiana di Romolo Murri e poi il Partito Popolare italiano di Don Luigi Sturzo). Nel Novecento tutti i partiti ossatura della politica italiana (liberale, cattolico, repubblicano, socialista, fascista e comunista) erano di fatto interclassisti, frutto del consenso. Un miracolo di partecipazione con delega noto come democrazia. Ecco perché lo scrivente sostiene insieme a vari amici (come Alberto Contri, Enrico Montesano, Roberto Giuliano) che nel 1992 sarebbe decollato in Italia un piano di manipolazione delle masse: è stata spalancata la cosiddetta “finestra di Overton”. Ovvero è decollato un meccanismo di persuasione (e manipolazione di massa) per trasformare l’idea completamente inaccettabile d’una società politicamente chiusa (e bloccata economicamente) come pacificamente accettabile ed oggi legalizzabile. Tutto grazie alla complicità dei media, dei programmi generalisti, dei social e dei vari reality.
Negli anni Sessanta e Settanta si era raggiunta una sorta di solidarietà sociale, oggi infranta dai persuasori pagati dal potere. Oggi il popolo è pronto ad accettare che il potere passi di padre in figlio, che il lavoro inquina e la disoccupazione salverà il pianeta, che la povertà sostenibile sarà un futuro senza disparità, che i potenti della Terra hanno a cuore il nostro bene e sono ambientalisti, che il risparmio è una forma d’egoismo. Il sociologo Joseph Overton aveva prima di altri compreso come esperti di pubblicità e marketing avrebbero piegato le masse, orientandole alla remissività verso le politiche economiche gradite alle oligarchie di potere. L’opinione pubblica è, oggi, una topaia che segue supinamente il pensiero unico sussurrato dal pifferaio magico. Testimonial, cantanti, attori, programmi televisivi… tutti che ci convincono quanto il potere ci ami. Soprattutto che non occorra più lottare per un posto di lavoro, che l’impegno politico sia roba per vecchi. La “finestra di Overton” non è progressista, né reazionaria: lo schema funziona allo stesso modo, sia che gli input arrivino da destra, dal centro o dalla sinistra. Noi italiani (ma in buona compagnia di altri popoli) siamo ormai delle “rane bollite”, per usare una metafora cara al filosofo Noam Chomsky: ci hanno cotto a fuoco lento. Ci hanno lentamente disabituati alla partecipazione sociale, ed in nome del progresso stanno attentando alla nostra libertà individuale: le vittime sono complici del potere, non partecipando e non appropriandosi della politica e dei partiti.
Certo, nei partiti c’era il “centralismo democratico” (norma leninista che ha permeato da destra a sinistra tutti i corpi intermedi) ma c’erano congressi, mozioni congressuali, fronde e proteste. C’era lo spauracchio del voto: difficilmente una scelta della base non trovava chi poi la rappresentava nella direzione. Sorge spontaneo chiedersi se la base, che ha incoronato Enrico Letta segretario del Partito Democratico, non sia la stessa che gradirebbe ogni scelta di Mario Draghi. Omettiamo altri lunghi e noiosi paragoni con altri orticelli pseudo-partitici. Il potere non si fida più del popolo: il patto sociale alla base della nostra democrazia è rotto, complici media e manipolatori vari.
FONTE: http://www.opinione.it/politica/2021/03/17/ruggiero-capone_manipolati-felici-partiti-democrazia-draghi-weber-murri-destra-sinistra-popolo/
Letta non molla: “Ora ius soli” Ma la Meloni lo asfalta così
Il neo segretario del Pd ha rilanciato lo ius soli spiegando che “non ci sarà nessuna ripartenza se non affrontiamo questa questione”. Ma la Meloni lo gela con una sola frase
Insiste sullo ius soli Enrico Letta. La prima mossa l’aveva compiuta la scorsa domenica subito la nomina a segretario del Pd.
“Io sarei molto felice se il governo di Mario Draghi, di tutti insieme, senza polemiche, fosse quello in cui dar vita alla normativa dello ius soli che voglio qui rilanciare”, aveva spiegato nel suo discorso programmatico l’ex premier all’assemblea nazionale dem. Un modo per ricompattare la base ed il mondo progressista. Del resto lo ius soli è una delle bandiere della sinistra. Forse l’invito di Letta è stato anche un modo per smarcasi dalla Lega, insolito e scomodo alleato di governo. In pratica, in via eccezionale il Pd è alleato con Salvini ma le differenze restano.
La proposta del neo segretario dem ha aperto un dibattito tra le varie forze politiche. E ha creato tensioni nella larga maggioranza che sostiene l’esecutivo Draghi. Le forze di centro-destra che fanno parte della maggioranza e FdI che, invece, ha deciso di restare all’opposizione sono subito partite all’attacco di Letta assicurando che tale provvedimento non passerà.
Ma il segretario dem non si è arreso ed oggi ha rincarato la dose. “Il nostro Paese è in disastro demografico, l’Italia è in un inverno demografico e non ci sarà nessuna ripartenza se non affrontiamo questa questione, se non diamo più peso ai giovani. Anche per questo il voto ai 16enni”, ha affermato Letta parlando alla Stampa estera.
Altra benzina che alimenterà il fuoco delle polemiche. Lo spirito di unità nazionale, prodotto dell’emergenza sanitaria che sta colpendo duramente l’Italia, che ha portato alla nascita del governo Draghi potrebbe anche scricchiolare. Nel centrodestra c’è chi si chiede il perché sia stato riproposto un argomento delicato come lo isu soli mentre il nostro Paese sta fronteggiando l’avanzata del Covid.
“Italiani in ginocchio, famiglie e imprese spaventati ma la priorità di Enrico Letta e del Pd è lo IUS SOLI. Poi ci chiedono perché Fratelli d’Italia non governa con questa gente…”, aveva subito gridato Giorgia Meloni dopo il primo affondo di Letta compiuto domenica. Intervenendo al programma di Rete 4 “Fuori dal Coro” la leader di Fdi ha ribadito il concetto.“Voglio chiedere agli elettori del Pd che hanno un’attività, un ristorante, un negozio, che stanno in ginocchio, se pensano che la priorità che il loro partito dovrebbe portare avanti oggi è la cittadinanza automatica per gli immigrati, perché dal mio punto di vista neanche gli elettori del Pd la pensano così”, ha affermato la Meloni. Una critica feroce per sottolineare come i dem siano lontani dai problemi reali che affliggono i cittadini.
Lo scontro sullo ius soli è la prima questione a creare scompiglio nel governo. Si dice che il buongiorno si vede dal mattino. Se fosse così per Draghi si mette decisamente male.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/politica/letta-non-molla-ora-ius-soli-meloni-asfalta-cos-1931525.html
SCIENZE TECNOLOGIE
LA PSEUDO-SCIENZA DELLA DITTATURA SANITARIA
Il sapere scientifico, secondo la lezione della Epistemologia contemporanea, si presenta necessariamente come rigoroso, veridico, umile, sperimentale. Il sapere che ogni santo giorno, invece, ci propinano dalle televisioni virologi, epidemiologi, ricercatori, tranne qualche rara eccezione subito messa a tacere, si colloca sul versante opposto, mostrandosi approssimativo, fasullo, arrogante, ideologico.
Il sapere scientifico è rigoroso, perché tende a conoscere l’oggetto del proprio studio in modo completo, senza lasciare deliberatamente non investigati alcuni settori, adottando una metodologia conoscitiva oggettiva e a tutti ostensibile. Il sapere scientifico è veridico, perché non teme di dire la verità, tutta la verità, per quanto essa possa apparire sgradevole o suscitare preoccupazioni o inquietudini. Il sapere scientifico è umile, perché sa di non sapere e, sapendo pure che ciò che non sa rappresenta molto di più di ciò che sa, adotta il “principio di cautela” quale modo di procedere normale, allo scopo di tutelare ogni essere umano dalla propria ignoranza, peraltro incolpevole. Il sapere scientifico è sperimentale, perché accresce la propria conoscenza in base ad esperimenti riproducibili da chiunque ed in qualunque luogo, rifuggendo da ogni pregiudiziale di carattere fideistico che ne faccia a meno in tutto o in parte.
Al contrario, il modello epistemologico veicolato dalle alluvionali affermazioni dei virologi e dalle vicende di questi giorni, apparendo, come sopra accennato, in palese contraddizione con quello proprio della scienza, si lascia cogliere come segue. Esso è approssimativo, perché non sa molte cose dei vaccini: in particolare, non ne conosce gli effetti secondari di carattere negativo più o meno gravi; non ne conosce la durata della copertura immunitaria (tre mesi? Sei mesi? Un anno?); non conosce se i vaccinati siano o no contagiosi; e soprattutto è approssimativo perché ha peccato gravemente, omettendo in modo assoluto la sperimentazione dei vaccini sull’uomo, vale a dire quella che si definisce la fase quattro, mettendo perciò in essere una metodologia lacunosa e pericolosamente manchevole che nessun Comitato etico, se incaricato in proposito delle opportune verifiche, avrebbe approvato.
Esso è fasullo, perché non dice la verità sul proprio operato, cercando di imbrogliare le carte in tavola ed offendendo l’intelligenza delle persone normali, che invece hanno diritto di sapere come davvero stanno le cose. Esso teme la verità sopra ogni cosa; in particolare, esso tace di non sapere molte cose sui vaccini, soprattutto degli effetti secondari, e tace l’omissione della fase quattro. Esso è arrogante, perché vuol far apparire di essere in possesso di conoscenze che invece non ha e non può avere (anche per la funesta omissione della fase quattro), e perché cerca di tacitare i propri critici spesso accusandoli in modo sbrigativo di schierarsi con i “no vax”, mentre si tratta soltanto di persone che vorrebbero capire. Inoltre, esso aborre il “principio di cautela” e vede nella sospensione delle vaccinazioni, disposta dopo diversi morti, un fastidioso espediente buono soltanto a far perdere tempo. E comunque da superare al più presto dopo il parere dell’Ema (Agenzia europea per i medicinali) di cui si è certi, certissimi, al punto che pare ormai inutile attenderlo: sarà positivo e i vaccini riprenderanno a spron battuto (e l’Ema si paleserà del tutto inutile, un semplice passacarte). Esso è ideologico perché, sventolando ovunque oltre ogni logica e oltre l’evidenza la bandiera della assoluta sicurezza dei vaccini, chiede di continuo genuflessioni e atti di fede, mettendo in opera una sorta di nuovo e grottesco proselitismo vaccinale di taglio non più che ideologico. Mentre la scienza non chiede né si aspetta fede o fiducia, ma soltanto comprensione e condivisione delle proprie conoscenze: predicare la fede nella scienza è, al più, un divertente e purtroppo pericoloso ossimoro.
Stando così le cose, il modello epistemologico della attuale dittatura sanitaria non ha nulla di scientifico, perché anzi rappresenta l’esatto contrario di una epistemologia corretta e condivisibile, che farebbe rabbrividire Karl Popper. Si tratta di una forma perniciosa di pseudo-scienza ormai dichiaratamente esibita ogni sera in modo martellante dagli schermi televisivi e buona, soltanto, ad operare il lavaggio del cervello di quanti preferiscono evitare il fastidio e il peso del pensiero critico i quali, purtroppo, sono i più numerosi. Come notava Paul Valéry, infatti, la regola è l’assenza del pensiero, mentre il pensiero è l’eccezione. E se tutti questi improvvisati dittatori sanitari, invece di fare pseudo-scienza secondo declinazioni di carattere politico, tornassero a nutrirsi del buon pane della scienza vera, da loro dimenticata, forse saremmo in cammino per battere la pandemia in modo efficace: cosa che oggi non è.
Se questi sono i nostri pseudo-scienziati – mentre quelli che intendevano criticarne il modello epistemologico sono stati messi a tacere (come la dottoressa Maria Rita Gismondo del Sacco di Milano, subito tacitata in trasmissione da Bruno Vespa) o costretti ad incredibili conversioni forzose (come, per esempio, il professor Andrea Crisanti, docente a Padova) – i politici che li sostengono e gli conferiscono tanto potere non appaiono meno responsabili. In prima battuta, il ministro della (pseudo) Salute, Roberto Speranza. Per questa ragione, nella assoluta certezza che non le darà mai, ne chiedo qui le dimissioni immediate.
FONTE: http://www.opinione.it/editoriali/2021/03/17/vincenzo-vitale_pseudo-scienza-dittatura-sanitaria-ricercatori-principio-cautela-vaccini-ema-dimissioni/
VW produrrà batterie in tutta Europa. Previste almeno 6 fabbriche
Volkswagen sta cercando di aumentare la produzione di batteria per veicoli elettrici nei prossimi anni, con il gigante automobilistico tedesco che annuncia luneì ntendeva stabilire diverse “gigafactory” in Europa entro la fine del decennio.
“Insieme ai partner, vogliamo avere un totale di sei fabbriche di celle attive in Europa entro il 2030”, ha affermato in una nota Thomas Schmall, CEO di Volkswagen Group Components. Questa mossa, ha aggiunto, garantirebbe la “sicurezza dell’approvvigionamento”.
Secondo VW, si prevede che, una volta completamente operative, le fabbriche saranno in grado di produrre batterie per auto elettriche ed altri usi con un valore energetico combinato di 240 gigawattora all’anno.
I primi due saranno situati presso uno stabilimento Northvolt a Skellefteå, in Svezia, e presso il sito di VW Salzgitter in Germania. Nel suo annuncio lunedì, Northvolt ha dichiarato di aver ricevuto un ordine di celle di batteria da 14 miliardi di dollari da Volkswagen, che aumenterà la sua quota di proprietà nel produttore di batterie svedese.
Volkswagen si concentrerà anche sullo sviluppo di una “nuova cella di accumulazione standardizzata” che dovrebbe essere lanciata nel 2023 e utilizzata nell’80% dei veicoli elettrici del gruppo nel 2030.
“In media, ridurremo il costo dei sistemi di batterie a un livello significativamente inferiore a € 100 per chilowattora”, ha affermato Schmall. “Questo renderà finalmente la mobilità elettrica accessibile e la tecnologia di guida dominante”. questo abbatterà il costo del pacco batterie medie a 5 6 mila euro, il che però resta comunque troppo rispetto ai costi che riesce a paagare Tesla nelle sue fabbriche.
Sul fronte della ricarica, VW ha dichiarato di aver pianificato di gestire circa 18.000 “punti di ricarica rapida pubblici” in Europa entro il 2025. Ciò sarà realizzato attraverso la sua joint venture, nota come “IONITY”, con altre importanti case automobilistiche, nonché ciò che ha descritto come “una serie di partnership strategiche”.
Quest’ultimo vedrà VW – che investirà 400 milioni di euro nella sua iniziativa europea entro il 2025 – collaborare con Enel in Italia, Iberdrola in Spagna e BP in Gran Bretagna.
In Cina un’altra joint venture, CAMS, punterà a 17.000 punti di ricarica rapida entro la metà di questo decennio. In Nord America, sono in atto piani per circa 3.500 punti di ricarica rapida entro la fine del 2021.
Domenica, VW ha dichiarato che congelerà la dimensione della sua forza lavoro ai livelli di gennaio 2021 e inizierà a offrire un pensionamento parziale ai lavoratori nati nel 1964 e un’iniziativa di pensionamento anticipato per i dipendenti nati tra il 1956 e il 1960.
FONTE: https://scenarieconomici.it/vw-produrra-batterie-in-tutta-europa-previste-almeno-6-fabbriche/?utm_medium=push&utm_source=onesignal&utm_campaign=push_scenarieconomici
STORIA
Italia, 160 anni di unità… più o meno
Se per certi aspetti tutti gli abitanti della bella Penisola possono dire di essere accumunati tra loro da qualcosa che ha radici molto antiche, dall’altra va anche detto che, rifacendo bene i conti, i 160 anni di unità d’Italia che si festeggiano oggi sono un’approssimazione fin troppo per eccesso.
Non per nulla togliere alla ricorrenza odierna, e non per polemica, ma quello che si festeggia oggi viene impropriamente definito il 160mo anniversario dell’Unità d’Italia. In realtà sono 160 anni dalla nascita del Regno d’Italia, non esattamente la stessa cosa.
Iniziamo l’analisi dal punto di vista più semplice, quello puramente territoriale, e vediamo quanti sono in realtà gli anni di unità effettivi.
Unità territoriale
Dopo la vittoria franco-piemontese nella Seconda Guerra di Indipendenza contro l’Austria nel 1859, l’esito positivo della spedizione garibaldina contro il Regno delle due Sicilie nel 1860, e la serie di plebisciti favorevoli, Vittorio Emanuele II proclamò ufficialmente la nascita del Regno d’Italia il 17 marzo 1861 e assumeva per sé il titolo di Re d’Italia. 160 anni fa appunto.
Ma se guardiamo la cartina dell’Italia del 1861 vediamo bene che manca tutto il nord-est, nonché quasi l’intero Lazio, con tanto di Roma. In effetti fu solo dopo la Terza Guerra di Indipendenza, combattuta insieme alla Prussia ancora una volta contro l’Austria, che nel 1866 ottenemmo il Veneto, e solo dopo la cosiddetta ‘Breccia di Porta Pia’ ci fu la presa di Roma. Era però il 20 settembre del 1870. La capitale venne portata da Firenze a Roma solamente l’anno dopo, cioè a dieci anni dall’unità d’Italia che festeggiamo oggi.
Anche dopo il 1870, se guardiamo le carte politiche del tempo, vediamo che manca qualcosa – tutto il Trentino e buona parte del Friuli. Territori che appunto verranno unificati solo dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, che noi combattemmo specificatamente contro l’Impero austriaco proprio per quelle province.
Volendo essere proprio precisi andrebbe anche detto che dopo la firma dell’armistizio del 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, per almeno un anno e mezzo l’Italia rimase divisa di fatto in due, prima dalla linea Gustav, poi da quella Gotica. Da una parte la Repubblica di Salò e i tedeschi, dall’altra gli alleati.
Sempre a proposito di unità da un punto di vista territoriale, si potrebbe aggiungere che il concetto di unità in sé consiste prima di tutto nello spostarsi liberamente all’interno di un territorio comune. In questi tempi di zone rosse e limitazioni alla mobilità, la nostra contabilità degli anni effettivamente di unità e continuità territoriale vissuti dal nostro Paese dovrebbe sottrarre forse anche qualche mese dalla prima e dalla seconda ondata di coronavirus. Ma non è il caso di fare troppo i pignoli. Diciamo in conclusione che da un punto di vista puramente territoriale, non sono proprio 160 anni di unità.
Unità sociale ed economica
La questione dell’unità da un punto di vista sociale è ancora più delicata. Ma non parliamo della ‘questione meridionale’ come la intendiamo oggi – il Nord più sviluppato, il Sud con meno opportunità di lavoro. No, no, parliamo proprio di una divisione netta nei primi decenni dell’unità tale da far pensare a paesi completamente differenti:
- 28mila chilometri di strade solo la Lombardia, 14mila l’intero ex Regno di Napoli, Sicilia inclusa;
- PIL del Nord due volte e mezzo quello del Sud;
- Al Nord un ettaro produceva 400 lire di raccolto, al Sud appena 80;
- Al Nord il tasso di analfabetismo era al 54%, al Sud all’81%, in Sicilia addirittura 93% (dati del 1871);
- In Piemonte e Lombardia il 90% dei bambini andava a scuola già nei primi anni del Regno, al sud appena il 18%;
Ma soprattutto, la differenza principale dell’economia tra Nord e Sud era che il Nord aveva già circuiti propri di esportazione (seta e formaggi soprattutto), il Sud invece, pur avendo produzioni di interesse internazionale, aveva un’economia di fatto di tipo coloniale, in cui il valore aggiunto era nelle mani dei compratori internazionali.
Il vino e lo zolfo della Sicilia, per esempio, erano gestiti fin dal porto di imbarco da case di commercio e trasporto inglesi. Privo di istituti di credito, vere e proprie aziende che si occupassero di esportazione, e senza un sistema autonomo di commercializzazione, il gioco era nelle mani della rete di vendita straniera che comprava direttamente sul posto a condizioni di oligopolio e al prezzo che decidevano loro.
A questo va aggiunto che la formazione del Regno avvenne di fatto per annessione e non per unione o federazione. La casa Savoia annesse progressivamente il Paese e gli fece adottare lo Statuto Albertino. Per molti nei primi tempi tutto ciò dovette sembrare null’altro che l’ennesimo governo ‘straniero’. Il fenomeno del brigantaggio al Sud e i tanti tentativi di repressione da parte delle autorità del Nord sono l’indice di una unità sociale che per lungo periodo rimase più che altro solo sulla carta.
Quando si può iniziare a parlare di una Italia unita dal punto di vista socio-economico?
Secondo i più pessimisti questo tipo di unità non c’è neppure adesso. In effetti gli indicatori dicono che la distanza è ancora consistente tra Nord e Sud, anche se, certo, non paragonabile a quella dei tempi del Regno. Sicuramente, l’avvento della Repubblica, il boom economico, l’urbanizzazione, la trasformazione del mercato del lavoro e soprattutto, le grandi migrazioni dal Meridione verso la aree industriali del Nord, hanno rimescolato parecchio le carte e le opportunità per tutti. Ma stiamo parlando degli anni sessanta. Un intero secolo dopo l’unità formale dell’Italia.
Unità linguistica
Quelli che noi oggi chiamiamo ‘dialetti’, in realtà in origine erano vere e proprie lingue. Se non siete convinti dell’affermazione, qui di seguito vi posto un esempio.
VIDEO QUI: https://youtu.be/v2WUxzKfZoc
Di fatto la differenza tra lingua e dialetto è solamente una questione di ‘status’. Con l’unità d’Italia le altre lingue italiche divennero dialetti semplicemente perché declassate. Nel 1861 però, in pochissimi parlavano l’italiano che conosciamo oggi e quasi nessuno lo scriveva. La lingua italiana ufficiale è di fatto il toscano, la lingua di Firenze, quella di Dante, Petrarca e Boccaccio. Questa lingua si impose rispetto alle altre come lingua veicolare, perché quella più ricca dal punto di vista della produzione letteraria. In pratica venne scelta per il suo valore artistico – caso forse unico in un mondo in cui le lingue veicolari vengono dettate piuttosto dai rapporti di forza politici.
Questa lingua scelta per ‘superiorità’ letteraria, venne man mano imposta attraverso l’educazione. Più tardi la Prima Guerra Mondiale avrebbe fatto per la prima volta conoscere tra loro genti provenienti dagli angoli più remoti della Penisola (con la coscrizione) e sarebbe stata chiara l’importanza di avere una lingua veicolare per tutti. La vera diffusione di massa della lingua, avvenne però solo con l’avvento della televisione pubblica, nella quale era d’obbligo un italiano dalla dizione impeccabile. Ma anche in questo caso stiamo parlando di quasi un secolo da quella prima unità d’Italia che festeggiamo oggi, dato che la programmazione iniziò appena nel 1953.
Unità politica
Una riflessione sembra d’obbligo dopo aver fatto il ripassino di Storia. Per arrivare all’unità d’Italia ci abbiamo messo tre guerre di indipendenza, una spedizione garibaldina, decenni di guerra civile al brigantaggio, una prima guerra mondiale per completare la penisola, una seconda guerra mondiale per ricominciare tutto da capo, più un lavoro enorme per fare gli italiani dopo aver fatto l’Italia, come diceva D’Azeglio.
Ora, arrivati nel terzo millennio, viene fuori che il concetto di ‘sovranità nazionale’ è superato?
Gente con la laurea ci spiega che sovranità, nazionalismo, fascismo, sono praticamente la stessa cosa e che bisogna rinunciare al concetto di unità nazionale in favore di un concetto di unità più alto, quello sovranazionale. Niente più confini, territorio, governo centrale, moneta nazionale, esercito proprio. Tutto deve essere transnazionale.
La domanda è – si può ancora parlare di unità nazionale nel momento in cui neoliberismo e globalizzazione spingono nella direzione opposta, quella del superamento delle unità nazionali? Coloro che oggi celebrano con forbita retorica i 160 anni scarsi di unità di questo Paese, sono anche gli stessi che tutti i gironi si sforzano di spiegarci che è un bene se la moneta ce la emetta la BCE che sta a Francoforte, le leggi le facciano al Parlamento europeo che sta a Bruxelles, il pallino geopolitico ce l’abbia in mano il Pentagono che sta a Washington e manco un vaccino ti puoi scegliere in autonomia senza il consenso dell’EMA che sta ad Amsterdam?
Ma che unità è? Prima del 1861 eravamo meno spezzettati di così.
Unità culturale
Dopo il triste paragrafo sulla questione ‘politica’, chiudiamo con una nota positiva per non rovinarci questo giorno che deve rimanere di festa. Se è vero che territorio, tessuto sociale e lingua sono di fatto stati unificati da ben meno dei 160 anni che festeggiamo questo 17 marzo, e se da un certo punto di vista politico è forse vero che tale unità sia già da considerarsi finita, dall’altro canto è però anche vero che ci sono cose che ci accomunano e ci rendono tutti italiani da molto più tempo.
Ogni regione ha vissuto le sue particolarità e le differenze sono notevoli, ma abbiamo anche avuto tutti mille anni di Impero Romano, poi invasioni, Medioevo, Signorie e Comuni, Rinascimento, dominazioni straniere e infine voglia di trovare una propria dimensione nazionale con il Risorgimento. Quindi un minimo comune denominatore storico lo abbiamo.
La Penisola ci ha tutti quanti abituati ad essere trattati piuttosto bene – clima, prodotti alimentari, bellezza della natura. Questo ci ha fin troppo viziati ma ci ha anche educati ad un certo gusto e sensibilità comune che ci identifica e ci è riconosciuto anche all’estero.
Quello strano istinto al campanilismo, l’interesse di bottega e la tifoseria di contrada forse lo abbiamo acquisito durante il lungo periodo delle Signorie e dei Comuni, ma quella mentalità non da joint-venture è anche quella che ci ha resi famosi in tutto il mondo per un modello di economia fatto di piccole imprese, alte capacità artigiane, attenzione alla qualità e al pariticolare.
Certi aspetti creduloni e ingenui forse li abbiamo presi nel Medioevo, ma anche quelli ci caratterizzano in maniera comune.
L’istinto al dolce vivere forse lo abbiamo ereditato dagli antichi romani, i vari Lucullo e gli altri patrizi che dei ricchi banchetti e la convivialità facevano una filosofia di vita.
Difficile dire, ma c’è tutto un insieme di cose che ci accomuna e ha radici molto lontane. Quell’insieme di affinità culturali è una forma di unità inconsapevole che ha in realtà migliaia di anni.
FONTE: https://it.sputniknews.com/opinioni/2021031710273677-italia-160-anni-di-unita-piu-o-meno/
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