RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 17 OTTOBRE 2022
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
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DIEGO DE SILVA, Superficie, Einaudi,2018, pag. 86
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SOMMARIO
LA NATO CONTRO GLI USA, L’EUROPA, LA CINA, IL MONDO
Domande ovvie ma dalle risposte difficili…
PREPARARE L’ORDINE NUOVO
Gli USA furono venduti ai Rothschild nel 1863
LA GUERRA CONTRO L’IMPERO AMERICANO
“Bollette illegali: ecco quali sono”. Interviene l’Antitrust: cosa hanno scoperto. Occhio, potrebbe riguardare tutti
Perché la Cina ha superato gli Stati Uniti sull’aspettativa di vita
La situazione della società civile occidentale, e italiana in particolare, credo sia riassumibile in questi punti.
Il sistema tedesco antiaereo IRIS-T già in ucraina, e non ancora in servizio in Germania!
Macron rompe il fronte NATO e non considererà un attacco nucleare all’Ucraina una minaccia diretta alla Francia
La Svezia interrompe la cooperazione investigativa sull’oleodotto
La Nato supera un’altra linea rossa (l’ultima rimasta?)
La guerra in Ucraina e il mito della vittoria
SALVATOR ROSA: GENIO RIBELLE DEL RINASCIMENTO
La letteratura occidentale comincia con una guerra. Quella di Troia.
Da Hegel a Nietzsche: la complessa relazione di Domenico Losurdo con il liberalismo
La società piatta
DOSSIER GAS: Solo il GAS DELLA RUSSIA può salvare l’ EUROPA ?
BERGOGLIO: DIO NON VUOLE PORTI CHIUSI!
IL LIBERISMO ACCENTUA LA CRISI ENEGETICA
Gal Luft: gli Stati Uniti, la guerra nucleare finanziaria contro la Russia e il nuovo ordine finanziario globale
“Tutto illegittimo”: la storica decisione del tribunale, uno schiaffo in faccia a Conte, Draghi e Speranza
Ansaldo Energia, la lotta degli operai (censurata) paga
La classe lavoratrice europea non ha nulla da guadagnare dalla guerra
Partenariato Orientale: la scommessa geopolitica dell’Ue che sta inabissando l’Europa
Russia e mondo
Passaparola di Putin al mondo.
Sì, la Russia è complice del Grande Reset
LA MEDIAZIONE MULTIPOLARE
“320 milioni di euro per la sua società”. Si mette male per la von der Leyen e ora la magistratura indaghi. Scoppia il caso
TULSI GABBARD, DIMISSIONARIA DAL PARTITO DEMOCRATICO USA
Un banchiere amichevole vuole trasformare i russi in cyborg
Eccovi la “Bistecca stampata 3D” degli israeliani. Vi piace?
EDITORIALE
LA NATO CONTRO GLI USA, L’EUROPA, LA CINA, IL MONDO
di Manlio Lo Presti (scrittore esperto di sistemi finanziari)
Come ha più volte ripetuto Luttwak, gli Usa sono una struttura commerciale controllata e governa una decina di aziende planetarie, quasi tutte americane. E’ stato un errore non evidenziare la dichiarazione del politologo americano e, anzi, è stata volutamente ignorata.
Per questi colossi, e da tempo, anche l’America risulta sempre meno funzionale all’espansione ed unificazione del mercato mondiale. Non a caso gli Usa sono il terreno di una pluridecennale guerra civile permanente, disseminata da sparatorie, povertà per milioni di umani che dormono sotto i piloni dei cavalcavia, disoccupazione, collassi finanziari pilotati, ecc. ecc.
Il ristretto gruppo di giganti aziendali mondiali sta tentando l’eliminazione delle barriere sociali, culturali, nazionali, commerciali, linguistiche: utilizzando la forza militare e l’aggressività della Nato. Lo spostamento strategico della Nato è iniziato quando il precedente presidente Trump interruppe il pagamento delle quote alla struttura. Il blocco arrivò (https://www.truenumbers.it/nato-trump-grillo/ ed https://www.agenzianova.com/a/0/2712547/2019-11-28/finestra-sul-mondo-usa-trump-intende-ridurre-contributo-finanziario-alla-nato) per dissensi della presidenza con la Nato, che ora sono comprensibili alla luce delle sue scelte operative, delle sue numerose ingerenze contro la Russia, della sua espansione ad est e con la fornitura a valanga di armi all’Ucraina (https://www.lindipendente.online/2022/02/23/lenorme-flusso-di-denaro-con-cui-loccidente-ha-finanziato-lucraina/).
Un altro blocco fu quello ai fondi destinati all’Oms (https://www.corriere.it/esteri/20_aprile_15/donald-trump-blocca-fondi-all-oms-mette-sua-firma-assegni-inviati-70-milioni-americani-a7174228-7edf-11ea-a4e3-847238ee431e.shtml). Con il senno di poi, adesso comprendiamo questa mossa, alla luce degli immensi guadagni – oltre 100 miliardi di euro con la tassazione al 3% in Olanda – e dopo aver vissuto la gestione mondiale, opaca e disastrosa, della cosiddetta pandemia, per la quale furono impiantati numerosi laboratori americani in Ucraina e Cina.
La dottrina politica mondiale della presidenza Trump prevedeva rapporti privilegiati con la Russia, per tentare uno stritolamento della Cina (vero nemico degli USA sui mercati mondiali, in particolare in Africa). In questa ottica, l’Europa restava indenne da contraccolpi, perché geopoliticamente irrilevante all’interno di una forte tensione con la Cina.
La presidenza Biden ha percorso la strada opposta, appoggiando l’espansione della Nato ad est per tentare la demolizione della Russia. Il risultato è l’alleanza Cina-Russia. Storicamente, la Cina non ha avuto rapporti scorrevoli con la Russia, ma il pragmatismo le ha fatto cambiare strada. Il sostegno alla Russia consente alla Cina di rafforzare la sua capacità di resistenza alla Nato: un crollo della Russia la renderebbe isolata ed esposta all’aggressione degli USA-NATO.
Lo spostamento Nato-centrico della presidenza Biden è mirato alla conquista d’importanti giacimenti metalliferi nell’est Europa, in Ucraina in particolare, ed all’accaparramento del petrolio iraniano. In questa ottica si comprende l’attuale insorgere “casuale”, e proprio adesso, di una riedizione ben sperimentata della “rivoluzione colorata”: costituita dai presunti disordini di piazza contro l’imposizione del velo, raffigurata con l’ennesimo slogan del taglio della ciocca rapidamente accolto dalle comunità immigrazioniste, buoniste, politicamente corrette, plurisex, globaliste di mezzo mondo, inconsapevoli (forse) di essere i servi sciocchi del potere mondiale.
Alla luce di queste riflessioni, in termini semplici e senza nascondersi nella fuffa dispersiva dei dibattiti politici da avanspettacolo, si comprende il cambio di rotta dell’attuale amministrazione americana. Gli Usa stanno perseguendo strategie che riflettono ed obbediscono alle linee operative della Nato, a sua volta teleguidata dai colossi finanziari e commerciali mondiali di estrazione USA, orientati ad un tracollo dell’Europa per bruciare il terreno alla Russia da sterminare e spezzettare in vari Stati, per poi passare alla distruzione della Cina e al suo frazionamento. Confucianamente, la Cina lo ha capito subito seguita dall’India e da un numero crescente di Stati africani ed asiatici. Di particolare interesse sarà la creazione di un circuito monetario e finanziario alternativo al dollaro e alla rete Swift. Il mondo sta andando verso altri equilibri. La Storia ha dato ragione ad Eisenhower.
FONTE: https://www.lapekoranera.it/2022/10/12/la-nato-contro-gli-usa-leuropa-la-cina-il-mondo/
IN EVIDENZA
PREPARARE L’ORDINE NUOVO
Andrea Zhok 8 10 2022
Per definire il nostro spazio di possibilità storico bisogna comprendere la collocazione che abbiamo all’interno della traiettoria della nostra civiltà.
Noi tutti, italiani, europei, occidentali ci troviamo all’interno di una fase di crisi epocale, potenzialmente terminale, del mondo liberale che ha preso forma poco più di due secoli fa.
Che questa forma di civiltà, diversamente da tutte quelle che l’avevano preceduta, fosse affetta da contraddizioni interne autodistruttive era stato chiarito già dall’analisi marxiana a metà Ottocento. Gli elementi principali internamente contraddittori erano chiari sin da allora, per quanto Marx concentrasse lo sguardo sulla linea di frattura sociale (tendenza alla concentrazione oligopolistica e alla pauperizzazione di massa), mentre gli mancava per ovvie ragioni storiche la percezione di altri sbocchi critici inerenti alle medesime contraddizioni (non c’era né la consapevolezza della possibilità di un’estinzione della specie per via bellica, divenuta una possibilità dopo il 1945, né l’idea della rilevanza dell’impatto degenerativo del progressismo capitalista sul sistema ecologico). Un sistema che vive solo se cresce e che nel crescere consuma individui e popoli come mezzi indifferenti per il proprio accrescimento produce sempre, necessariamente e sistematicamente tendenze al collasso. La lettura marxiana, forse troppo condizionata dai propri desideri, previde come forma del crollo a venire un crollo rivoluzionario, in cui maggioranze impoverite si sarebbero rivoltate contro oligopoli plutocratici. Il crollo che invece si presentò agli occhi della generazione successiva fu la guerra, una guerra mondiale come conflitto finale nella competizione imperialistica tra stati che erano realmente diventati “comitati d’affari della borghesia”.
La fase attuale presenta tendenze molto simili a quelle dei primi del ‘900: una società apparentemente progressiva e opulenta, secolarizzata e scientista, in cui i margini di crescita (“plusvalore”) si erano però ristretti e avevano indotto a cercare fonti di risorse alimentari e materie prime sempre più lontano, in paesi colonizzati. Questo fino a quando le singole ambizioni di crescita avevano iniziato – sempre più spesso – a collidere sul piano internazionale, spingendo a preparare ad un possibile conflitto attraverso trattati segreti di alleanza militare che dovevano scattare in presenza di un casus belli.
Che l’esito della crisi attuale sia una guerra mondiale totale sul modello della Seconda Guerra mondiale è solo una possibilità.
Potrebbero prevalere le spinte a farne una guerra più simile alla Prima, dove il fronte è l’Ucraina e le retrovie che si fanno carico di fornire mezzi alla guerra sono rispettivamente l’Europa e la Russia. Nella Prima Guerra Mondiale i civili non erano direttamente coinvolti dagli eventi bellici salvo che nelle zone di contatto, ma il coinvolgimento complessivo in termini di impoverimento e carestia fu enorme. Tra il 1914 e il 1921 l’Europa perse tra 50 e 60 milioni di abitanti, di cui morti direttamente durante il conflitto erano “solo” tra 11 e 16 milioni (a seconda delle modalità di conteggio).
Dalla Guerra emerse uno specifico ceto industriale più ricco e potente di prima, ed era quello coinvolto direttamente o indirettamente negli approvvigionamenti del fronte. I paesi più lontani dal fronte e non coinvolti direttamente uscirono dalla guerra persino più ricchi e comparativamente più potenti.
Questa è naturalmente anche la prospettiva e l’auspicio di chi oggi alimenta il conflitto da remoto.
L’esperienza dell’ingresso in guerra, con la complicità di fatto di quasi tutti i partiti socialisti e socialdemocratici, rappresentava un trauma da cui trarre un insegnamento fondamentale, insegnamento che attualizzato potremmo tradurre con: la sinistra di sistema non ha alcuna capacità né volontà reale di opporsi al degrado del sistema. In risposta a questo trauma Gramsci nel 1919 fondava una rivista dal nome altamente simbolico l’Ordine Nuovo; e due anni dopo, sulla scorta dell’apparente successo della Rivoluzione Russa, nasceva il PCI, con l’intenzione di essere precisamente un antidoto a quanto avvenuto: una forza “antisistema” capace di rovesciare i paradigmi sociali e produttivi che avevano condotto alla guerra (e che rimanevano intatti).
Nello stesso torno d’anni prendeva forma il movimento dei Fasci di Combattimento, il cui Manifesto “sansepolcrista”(giugno 1919) può stupire chi conosca la successiva evoluzione del regime fascista.
Anche qui l’onda dell’esperienza dell’anteguerra e della guerra spingeva in una direzione di rinnovamento radicale “antisistema”. Vi troviamo la richiesta di suffragio universale (anche femminile), la giornata lavorativa di 8 ore, il salario minimo, la partecipazione dei lavoratori al governo dell’industria, un’imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo con espropriazione parziale di tutte le ricchezze, il sequestro dell’85% dei profitti di guerra, ecc.
Di lì a pochi anni, tuttavia, il movimento dei Fasci di Combattimento perderà tutte le istanze socialmente più radicali e verrà riassorbito nel sistema, ottenendo in cambio il sostegno economico degli agrari e della grande industria, che lo utilizzeranno in funzione anticomunista e antisindacale. Con una lettura attualizzata (e naturalmente forzata, vista la vastità di differenze storiche) si potrebbe dire che la spaccatura della protesta antisistema (fomentata dal capitale) riuscì a neutralizzarne il carattere di minaccia al capitale stesso, mantenendone soltanto un carattere di rivoluzionarietà esteriore.
In quasi perfetto parallelismo con la pubblicazione del Manifesto “sansepolcrista”, Antonio Gramsci apriva le pagine de L’Ordine Nuovo (maggio 1919) con un celebre appello:
«Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza».
Gramsci aveva perfettamente chiaro che le possibilità di successo di una forza che desiderasse l’abbattimento di un sistema capitalistico, uscito quasi indenne dal più grande conflitto di tutti i tempi, richiedeva certo l’agitazione e la protesta (non difficile da ottenere in un’Italia dove il malcontento postbellico era enorme), ma soprattutto richiedeva “studio” (formazione) e “organizzazione”.
È passato un secolo. Moltissime cose sono cambiate, ma il sistema socioeconomico è il medesimo e la fase è simile: passato attraverso una profonda revisione all’indomani del 1945, esso si è rimesso sui vecchi binari in forma accelerata a partire dagli anni ‘80.
Oggi siamo in una situazione che ricorda per molti versi il 1914: l’inizio, perfettamente inconsapevole, di una lunga e distruttiva crisi.
Uscirne più o meno come nel 1918, con una condizione di impoverimento generalizzato e una società più violenta, ma senza la distruzione bellica direttamente in casa è lo scenario che ritengo più ottimistico.
Con qualche anno di crisi energetica, alimentare ed industriale e l’Europa sarà ridotta a fornitore di manodopera specializzata a basso costo per le industrie americane. Questo è lo scenario migliore.
Le possibilità di frenare il treno in corsa sono minime.
Quello che si può fare è prepararsi per essere all’altezza degli eventi, per guidare i pezzi in caduta libera in modo che si dispongano come fondamenta per un edificio futuro.
E questo richiede, come diceva Gramsci, innanzitutto una FORMAZIONE adeguata ad interpretare gli eventi, ad uscire da dogmatismi e rigidità che impediscono di comprendere la forza e il carattere del “sistema”. In questa fase chi rimane ancorato ai riflessi condizionati di destra e sinistra, con i relativi dogmi, santini e demonizzazioni a molla, è parte del problema. Il sistema di dominio del capitalismo finanziario mondiale su base angloamericana è un potere in crisi sì, ma è ancora il più grande potere sul pianeta ed è sopravvissuto ad altre grandi crisi.
Esso è in grado di persuadere quasi chiunque, di quasi qualunque cosa, attraverso un capillare controllo dei principali snodi mediatici.
Esso è in grado di corrompere chiunque abbia un prezzo e di minacciare chiunque non lo abbia.
Esso può anche cambiare rapidamente pelle su questioni “decorative” e “sovrastrutturali” come tutti i vari dirittocivilismi e dirittoumanismi, che ora brandisce come clave quando servono, ma che può far scomparire in un istante con una fiaba ad hoc, se una strategia diversa dovesse risultare utile.
Avere una consapevolezza culturale di ciò che è essenziale e di ciò che è contingente qui è cruciale.
E in seconda istanza, sempre con Gramsci, è necessaria ORGANIZZAZIONE. Chi ambisca non ad “abbattere il sistema” (nessuno ha oggi il physique du rôle per farlo in modo diretto, “rivoluzionario”), ma ad accompagnarne il parziale collasso endogeno, in modo da portare alla luce una nuova forma di vita, ha qualche possibilità di farlo solo se prende maledettamente sul serio gli obblighi di un’organizzazione collettiva.
Ciò che il “sistema” alimenta scientemente è l’INCONSAPEVOLEZZA (ignoranza, disorientamento) e la FRAMMENTAZIONE (caduta nel privato, mutua diffidenza). Ciò che deve fare chi prova a sfidarlo è remare con tutte le forze in direzione opposta.
FONTE: https://www.facebook.com/andrea.zhok.5/posts/pfbid062d4yFDFCovKYhc6J6QPnbk9YkYnwwRoBbHRY1tAKjhMNnPmHtvigQpmW3115H9el
LA GUERRA CONTRO L’IMPERO AMERICANO
Fderica Francesconi 9 10 2022
Non dobbiamo mai dimenticare che la guerra con l’impero angloamericano è prima di tutto una guerra metafisica. In questa particolare congiuntura storica che l’umanità sta attraversando l’Impero angloamericano incarna le forze opposte alla Luce il cui scopo su questo piano di esistenza è sopprimere le poche possibilità che nell’Età di fine ciclo cosmico sono rimaste all’umanità per uscire dal pantano involutivo in cui è bloccata. La Russia in questo contesto di conflitto spirituale non incarna il Bene. Nessuno in questo piano di esistenza, che è Assiah, e il cui mondo inferiore è Malkut nell’Albero della Vita, quindi il livello più degradato dell’Essere, può incarnare il Bene in modo assoluto. Su questo punto non bisogna illudersi. Tuttavia la Russia può incarnare su questo piano di esistenza l’unica forza politica e spirituale capace di contrastare i folli piani dell’élite globalista di rimuovere l’elemento spirituale da questo mondo inferiore. Lo può fare perché la sua visione del mondo e dell’essere umano si oppone agli strumenti di morte con cui l’élite globalista cerca di uccidere lo Spirito in tutto il mondo. Questi strumenti di morte sono la globalizzazione economica in mano all’Alta finanza internazionale e alle multinazionali, il transumanesimo e la sottomissione di tutto ciò che esiste all’Intelligenza Artificiale.
Esistono diverse gradazioni di Male e di Bene. Ad occupare il massimo grado di Male in questo periodo storico è l’Impero angloamericano. Anche la Russia incarna il Male? Forse sì, ma con una differenza sostanziale: non è il Male assoluto. Sbaglia chi vede nel Katékhon la massima incarnazione del Bene su questo piano materiale. Nell’Apocalisse di Giovanni ciò non è mai detto. È detto, invece, che il Katéchon è un’entità capace di contenere l’esplosione del Male sul piano terreno. Ecco spiegato perché la Russia ha tutte le carte per rivestire il delicato ruolo escatologico del Katéchon, “colui che trattiene” la manifestazione del Male al suo massimo grado.
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
“Bollette illegali: ecco quali sono”. Interviene l’Antitrust: cosa hanno scoperto. Occhio, potrebbe riguardare tutti
Violazione da parte di alcune società di luce e gas del mercato libero del Dl Aiuti bis. In pratica stanno modificando unilateralmente i contratti a prezzo fisso, alzando i prezzi, nonostante la legge avesse vietato di farlo fino al 30 aprile 2023. Gli anziani di un tempo avrebbero detto: “È tutto un magna magna”. E mentre specula la politica, speculano i colossi dell’energia, speculano i rivenditori, speculano praticamente tutti… a rimetterci sono i cittadini, i comuni mortali che non sanno più come fare per pagare le bollette. E proprio le bollette, che sono arrivate a prezzi esorbitanti, ora finiscono sotto la lente dell’Antitrust e l’Arera, l’autorità di regolazione dell’energia elettrica e del gas, a causa di pratiche commerciali ritenute scorrette. “L’aumento incontrollato dei prezzi dell’energia e lo stato di incertezza generale causato dalle tensioni internazionali stanno coinvolgendo sia i consumatori che gli operatori del settore energetico, traducendosi talvolta in iniziative che possono configurarsi come pratiche commerciali scorrette o violazioni della regolazione di settore”, spiegano in una nota congiunta l’Antitrust e l’Arera. Ma quali sono queste pratiche “censurate” dalle authority?
Come spiega Qui Finanza, “a testimoniare queste pratiche scorrette diverse segnalazioni pervenute alle due Autorità, da parte di consumatori, per violazioni dell’articolo 3 del DL Aiuti bis, che prevede la sospensione delle clausole contrattuali che consentano modifiche unilaterali dei contratti di fornitura di energia elettrica e gas naturale relativamente alla definizione del prezzo, fino al 30 aprile 2023. Inoltre, all’articolo 2 lo stesso decreto dispone che siano “inefficaci” i preavvisi comunicati, per queste stesse finalità, prima della data di entrata in vigore del decreto e fino al 30 aprile 2023, a meno che le modifiche contrattuali si siano già perfezionate. Le due autorità, alla luce degli approfondimenti svolti congiuntamente e delle segnalazioni pervenute, hanno dato anche qualche chiarimento in merito alle regole e strumenti disponibili per consentire a consumatori ed imprese una corretta interpretazione dei reciproci comportamenti”. C’è da prestare attenzione, soprattutto se si sono visti raddoppiati o triplicati i costi delle bollette.
FONTE: https://www.ilparagone.it/attualita/bollette-denunce-comportamenti-scorretti/
Perché la Cina ha superato gli Stati Uniti sull’aspettativa di vita
16 10 2022
La Cina supera gli Stati Uniti sull’aspettativa di vita: 77,1 anni contro 76,1. La causa principale è la pandemia di coronavirus. Tutti i dettagli
Stando agli ultimi dati dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC: sono il principale organismo di controllo sulla sanità pubblica americana), l’aspettativa di vita negli Stati Uniti è oggi al livello più basso dal 1996. Tra il 2020 e il 2021 è diminuita notevolmente, arrivando a 76,1 anni.
IL RUOLO DEL COVID-19
La causa principale del calo è la COVID-19, che il CDC indica come responsabile del 50 per cento del declino: al 31 agosto scorso, il coronavirus è stato responsabile di oltre un milione di morti negli Stati Uniti.
La seconda causa principale del calo dell’aspettativa di vita, responsabile del 15,9 per cento della diminuzione, sono le cosiddette “lesioni involontarie”: il termine racchiude episodi diversi tra loro, come gli incidenti automobilistici e le overdose (107mila morti nel 2021, legate principalmente all’abuso di oppioidi).
LA CINA SUPERA GLI STATI UNITI
I dati relativi al 2021 sull’aspettativa di vita in Cina non sono ancora disponibili. Nel 2020, però, l’aspettativa di vita nel paese è aumentata di 0,2 anni rispetto al precedente, arrivando a 77,1 anni e superando, dunque, quella americana.
LA STRATEGIA ZERO-COVID
Anche nel caso cinese, il coronavirus è stata cruciale nel modificare l’andamento dell’aspettativa di vita. La politica di rigido contenimento dei contagi adottata fin dall’inizio della pandemia – e ancora in vigore: si parla di strategia “zero-COVID” – è stata determinante nel ridurre il numero delle morti
Nonostante la strategia zero-COVID, con le sue pesanti restrizioni, stia avendo un impatto negativo sull’economia, le autorità cinesi non sembrano avere intenzione di sostituirla con un approccio diverso: farlo – sostengono – significherebbe rischiare 1,5 milioni di morti nel paese, anche perché una buona parte della popolazione anziana non è ancora completamente o affatto vaccinata.
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-perch_la_cina_ha_superato_gli_stati_uniti_sullaspettativa_di_vita/5694_47604/
BELPAESE DA SALVARE
La situazione della società civile occidentale, e italiana in particolare, credo sia riassumibile in questi punti.
Adrea Zhok 1 10 2022
1) Da mezzo secolo il lavoro di demolizione della democrazia reale è all’opera, consapevolmente e costantemente. Vi hanno partecipato le riforme scolastiche e i monopoli mediatici, l’ideologia dell’antipolitica e l’incentivazione alla competizione individuale illimitata. È stato un lavoro che ha coinvolto due generazioni e ora è completo, perfetto.
2) La gente non è necessariamente né più stupida, né più ignorante di mezzo secolo fa, ma ha perduto nella maniera più completa la capacità primaria di organizzarsi, di dialogare, di costruire insieme qualcosa. Manca la formazione, manca l’atteggiamento, manca la base materiale ed istituzionale per fare alcunché: l’azione collettiva è morta.
3) Tutti coloro i quali si appellano a qualche “situazionismo”, a qualche flash mob, a qualche chiassata estemporanea per “ottenere la visibilità dei media” come forma di azione collettiva non ha capito niente. Sta chiedendo al sistema di prendere sul serio la sua voce laddove il sistema è nato per silenziare o strumentalizzare le voci sgradite.
4) A livello delle classi dirigenti la demolizione della sfera politica, della sua autorevolezza e della comprensione della sua necessità ha condotto ad un declino verticale della qualità di questi ceti apicali. Questo processo di degrado e dilettantismo delle classi dirigenti politiche non è un monopolio italiano, ma è una tendenza generalizzata: quando non sono dilettanti allo sbaraglio sono tecnocrati a gettone. È per questa semplice ragione che stiamo precipitando nell’abisso senza muovere un sopracciglio. Siamo un intero continente che si comporta come quell’uomo, in caduta libera dal grattacielo, che ad ogni piano si dice: “Finora tutto bene.”
5) A livello sociale e riflessivo la situazione è egualmente disperante. L’intera sfera dell’attenzione sociale è rivolta a dimensioni privatistico-sentimentali, finto-intimistiche, immaginando che il mondo cambierà se solo avremo portato alla luce con abbastanza sottigliezza qualche intimo fremito, qualche zona umbratile del nostro animo tra sonno e veglia. Questa iperconcentrazione sulle sorti del proprio ombelico è la cifra dell’ultima generazione, che per tutto ciò che riguarda i rapporti strutturali, storici, sociali, lavorativi, legali, tradizionali, comunitari è ridotta al livello zero: rotelline disposte a tutto, che dove le metti stanno, sensibili solo all’agenda di moda.
6) Una volta qualcuno pensava che fosse la religione l’oppio dei popoli. Fu un grave errore di analisi. La religione che avevano davanti gli occhi nell’800 giocava sì quel ruolo, ma era semplicemente una deriva culturale in cui i ceti dominanti mettevano a tacere le coscienze strumentalizzando promesse virtuali (l’Aldilà garantito agli obbedienti). Oggi le promesse virtuali che addormentano le coscienze le abbiamo ovunque intorno a noi h24 in forma di infinite comunicazioni mediatiche, paradisi artificiali delle pubblicità, stili di vita tanto al chilo sparati alla TV, narrative consolanti ed edificanti intorno a mondi lontani, esotici o fittizi. Una volta il rinchiudersi in un mondo virtuale, accomodante, impermeabile e restio a percepire quale che accade fuori era segno dell’indebolimento terminale dei molto anziani, che riducevano la complessità percepita del mondo perché non avevano più le forze per affrontarla. Oggi questo tratto è pressoché universale.
7) Non so se c’è una via d’uscita da tutto ciò che non passi attraverso la catastrofe. E di questi tempi le catastrofi possono non essere qualcosa che coinvolge solo lutti personali, ma possono coinvolgere la stessa esistenza in vita di tutti. Se ci fosse una via d’uscita, se una via stretta fosse ancora disponibile, essa deve passare dall’abbandono di personalismi e velleitarismi, dall’abbandono di due idee petit bourgeois: quella per cui “se solo tutti facessero così allora sì che…”, e quella per cui “posso aderire a un progetto solo se è fatto a mia immagine e somiglianza”.
Per inciso, non accade mai che tutti facciano la stessa cosa salvo in due casi: se c’è una costrizione esterna dovuta alla necessità (tutti si rifugiano se sei sotto un bombardamento) o se c’è un coordinamento prodotto da un’organizzazione. Il primo si verificherà se arriveremo alla catastrofe. Il secondo richiede di prendere dannatamente sul serio la possibilità della catastrofe e la responsabilità di evitarla.
FONTE: https://www.facebook.com/andrea.zhok.5/posts/pfbid02NWRnNY7X2MC52B2zModdWj2ELHgj8GJRkHc4Nj7VgKmpj3GZwtGo68NYwr3BnmhXl
CONFLITTI GEOPOLITICI
Il sistema tedesco antiaereo IRIS-T già in ucraina, e non ancora in servizio in Germania!
Ottobre 16, 2022 posted by Leoniero Dertona
Nella corsa a fornire armi antiaeree a Kiev, dopo gli ultimi lanci di missili e droni da parte dei russi, qualcuno ha probabilmente esagerato, mandando armi che non sono neppure ancora in servizio nell’esercito della propria nazione.
La Germania avrebbe già operativo nel sud dell’Ucraina un sistema antiaereo a breve-medio raggio IRIS T, l’ultimo prodotto dall’industria tedesca, talmente nuovo che nessun sistema è ancora operativo nella BundesWehr, l’esercito federale di Berlino.
Alla faccia del “non mandiamo armi troppo avanzate a Kiev”, Berlino manda praticamente un prototipo, o meglio la prima serie industriale, con un mix di tecnologie avanzate, direttamente sul campo di battaglia! Entro il 2022 erano disponibili due varianti: IRIS-T SLS (a corto raggio) con portata e altitudine di 12 km e IRIS-T SLM (a medio raggio) con portata di 40 km e altitudine massima di 20 km. Una terza variante, IRIS-T SLX (a lungo raggio) con un cercatore a doppia modalità (IR e RF), raggio d’azione di 80 km e altitudine massima di 30 km, è in fase di sviluppo dall’aprile 2022. I test operativi di IRIS-T SLM sono stati completati nel gennaio 2022, quindi l’arma è letteralmente nuova, anzi potremmo dire che il vero test operativo sarà compiuto in Ucraina contro missili e aerei veri, soprattutto gli Iskander.
Il sistema radar di guida ha un raggio d’azione di 250 km, dando quindi la possibilità di avvistare i bersagli con grande anticipo.
Altri paesi daranno armi antiaeree, ad esempio la Spagna invierà sistemi Hawk e Spada, roba degli anni ottanta o anche prima. La Francia invierà Crotale, anche questo un sistema sicuramente non nuovo. L’Italia non invierà nulla, perché non ha niente, letteralmente, da inviare. Gli USA mandano NASAMS, che è aggiornato, ma non nuovissimo. La Germania del governo “Semaforo” decide alla fine di mandare il meglio che, talmente nuovo da non essere neppure in servizio. Come mai un cambio di posizione così deciso?
FONTE: https://scenarieconomici.it/il-sistema-tedesco-antiaereo-iris-t-gia-in-ucraina-e-non-ancora-in-servizio-in-germania/
Macron rompe il fronte NATO e non considererà un attacco nucleare all’Ucraina una minaccia diretta alla Francia
Ottobre 17, 2022 posted by Giuseppina Perlasca
Il Presidente francese Emmanuel Macron ha risposto alle domande sulla politica di Parigi in materia di armi nucleari in un’intervista televisiva della scorsa settimana. Ha dichiarato che l’esplosione di un’arma nucleare in Ucraina da parte di Mosca non avrebbe indotto Parigi a usare le sue armi nucleari e questo gli ha portato pesanti critiche dagli alleati.
L’attuale politica nucleare di Parigi prevede l’impiego delle armi nucleari solo in caso di autodifesa. Nell’intervista, Marcon ha dichiarato che un attacco nucleare all’Ucraina non minaccerebbe direttamente la Francia.
Su France 2 è stato chiesto a Macron: “La Francia considererebbe un attacco tattico da parte della Russia come un attacco nucleare?”. Ha risposto: “La Francia ha una dottrina nucleare. Si tratta di interessi fondamentali della nazione che sono chiaramente definiti. Non sarebbero messi in discussione in caso di attacco nucleare balistico”.
Kasja Ollongren, ministro della Difesa dei Paesi Bassi, ha criticato Macron, affermando che “la forza della nostra deterrenza è anche quella di non speculare pubblicamente su che tipo di risposta, in che tipo di situazione, otterrebbero”. Ha continuato: “Non commenterei le diverse possibilità e non direi ‘sì’ o ‘no’”.
Il Financial Times ha riferito che i funzionari della NATO non hanno voluto rilasciare una dichiarazione pubblica sulle osservazioni di Marcon. Tuttavia, parlando in privato, hanno detto che la politica dell’Alleanza non prevede l’uso di armi nucleari. Un funzionario ha aggiunto che un attacco convenzionale alla Russia sarebbe una risposta probabile all’uso di armi nucleari da parte di Mosca in Ucraina.
Marcon è stato attaccato anche dai politici nazionali. L’ex presidente francese François Hollande ha dichiarato alla radio FranceInfo che Marcon dovrebbe “dire il meno possibile ed essere pronto a fare il più possibile”. Ha aggiunto: “La credibilità della dissuasione [nucleare] si basa sul non dire nulla su ciò che dovremmo fare”.
Jean-Louis Thiériot, vicepresidente del comitato delle forze armate dell’Assemblea nazionale, ha espresso un rimprovero più netto. “Quando l’ho sentito parlare, sono quasi caduto dalla sedia. È un errore politico. Uno dei principi della dissuasione nucleare è l’incertezza su ciò che è considerato un interesse vitale”, ha detto.
FONTE: https://scenarieconomici.it/macron-rompe-il-fronte-nato-e-non-considerera-un-attacco-nucleare-allucraina-una-minaccia-diretta-alla-francia/
La Svezia interrompe la cooperazione investigativa sull’oleodotto
Il gas è fuoriuscito per giorni dopo l’attacco di sabotaggio ai gasdotti Nord Stream Foto: difesa danese / foto UPI / IMAGO |
A differenza del previsto, Svezia , Danimarca e Germania non formeranno una squadra investigativa comune per indagare sulle perdite nei gasdotti Nord Stream. Secondo le informazioni SPIEGEL, la Svezia ha rifiutato l’istituzione di un Joint Investigation Team (JIT) internazionale. Secondo le informazioni provenienti dai circoli di sicurezza, la Svezia avrebbe giustificato il rifiuto affermando che la classificazione di sicurezza dei risultati delle sue indagini era troppo alta per condividerli con altri paesi.
Poco dopo l’operazione di sabotaggio di fine settembre, il governo federale ha deciso che gli investigatori tedeschi avrebbero dovuto partecipare alle indagini. La scorsa settimana la polizia federale e l’esercito hanno inviato due barche militari in una delle aree danneggiate. Lì è stato lanciato un drone subacqueo »Sea Cat«. La Svezia aveva precedentemente ispezionato la scena del crimine a sud-est dell’isola del Mar Baltico e si era anche assicurata le prove sul fondo del mare.
Nessun commento era inizialmente disponibile da parte svedese. Il servizio di sicurezza ha riferito al ministero della Giustizia. Il ministero della Giustizia ha fatto riferimento al servizio di sicurezza. A Berlino si è detto a proposito del rifiuto svedese che si sperava ancora in una cooperazione con le autorità locali.
Gli inquirenti tedeschi dovrebbero ora prima valutare le immagini del drone subacqueo “Sea Cat“. Si dice che su di esso sia visibile un cratere più grande, indicativo di una massiccia esplosione. Inoltre, la condotta è completamente interrotta su una lunghezza maggiore, la corrente potrebbe aver dilavato parti della condotta dopo l’azione di sabotaggio.
Finora ci sono state solo speculazioni sulle persone dietro l’azione di sabotaggio. L’unica cosa che è chiara è che il 26 settembre si sono verificate diverse massicce esplosioni sottomarine vicino al corso dei due gasdotti Nord Stream. Le esplosioni sono state così violente che diversi istituti che normalmente monitorano i terremoti hanno registrato significative escursioni sismiche. Dopo un’analisi iniziale, le autorità tedesche ipotizzano che fosse necessaria una forza esplosiva paragonabile a 500 chilogrammi di tritolo.
A causa della complessità dell’attacco, si è subito pensato che solo un attore statale potesse essere l’autore. Si ipotizzava che la stessa Russia avesse distrutto il gasdotto per gonfiare ulteriormente i prezzi del gas. Mosca lo nega con veemenza, descrivendo invece l’attacco all’oleodotto come terrorismo contro la Russia.
FONTE: https://sadefenza.blogspot.com/2022/10/la-svezia-interrompe-la-cooperazione.html?m=1
La Nato supera un’altra linea rossa (l’ultima rimasta?)
Giuseppe Masala 11 10 2022
Dai resoconti della telefonata di ieri tra Biden e Zelensky è emersa la volontà americana di fornire di missili antiaerei a lunga gittata l’Ucraina. Un’altra linea rossa dei russi è stata superata; hanno già detto da un pezzo che simili forniture spingono la Russia a considerare gli USA cobelligeranti nel conflitto ucraino. Siamo su un piano inclinato che porta sempre di più alla guerra aperta tra USA-NATO e Russia.
Giuseppe Masala, nasce in Sardegna nel 25 Avanti Google, si laurea in economia e si specializza in “finanza etica”. Coltiva due passioni, il linguaggio Python e la Letteratura. Ha pubblicato il romanzo (che nelle sue ambizioni dovrebbe essere il primo di una trilogia), “Una semplice formalità” vincitore della terza edizione del premio letterario “Città di Dolianova” e pubblicato anche in Francia con il titolo “Une simple formalité” e un racconto “Therachia, breve storia di una parola infame” pubblicato in una raccolta da Historica Edizioni. Si dichiara cybermarxista ma come Leonardo Sciascia crede che “Non c’è fuga, da Dio; non è possibile. L’esodo da Dio è una marcia verso Dio”.
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_nato_supera_unaltra_linea_rossa_lultima_rimasta/29296_47544/
La guerra in Ucraina e il mito della vittoria
Domenico Gallo 13 Maggio 2022
Ormai siamo arrivati all’ottantesimo giorno di guerra e all’orizzonte non si intravede niente di buono, anzi si va delineando quanto sia elastico il concetto di vittoria.
Così Mussolini il 10 giugno del 1940. Anche allora la guerra trovava giustificazione nell’annunzio della pace, ma il mito della vittoria non poteva ricevere dallo Storia una sconfessione più tragica. In realtà l’Europa, dopo quella guerra, ha goduto di un lungo periodo di pace che è durato (messa fra parentesi la guerra della NATO nei Balcani) dal 9 maggio 1945 al 24 febbraio 2022. Senonché la pace è stata il frutto della sconfitta dell’Asse, non della vittoria. Sarebbe interessante capire quale pace ci attende dopo la preannunciata vittoria sulla Russia. Perché una cosa è chiara, grazie alla intrepida resistenza degli ucraini e alle generose forniture di armi di USA, GB e NATO, oltre al prezioso supporto dell’intelligence, la guerra ha cambiato segno. Nella fase iniziale l’obiettivo era quello di bloccare l’offensiva della Russia per dare una chance all’Ucraina di avviare un negoziato che consentisse di pervenire rapidamente al cessate il fuoco, sulla base di un compromesso con concessioni reciproche. In questa fase le trattative sono andate avanti e il 15 marzo il Financial Times ha pubblicato una bozza di accordo in 15 punti che prevedeva uno status di neutralità per l’Ucraina, che avrebbe dovuto riconoscere l’annessione della Crimea alla Russia e la proclamata indipendenza delle due Repubbliche del Donbass. Su questa bozza è calato un silenzio di tomba nelle Cancellerie occidentali. Dopo il primo mese di combattimenti che hanno testato la notevole capacità di resistenza delle forze armate ucraine, addestrate, guidate e rifornite dalla NATO, è sparita dai radar ogni prospettiva di mediazione ed è stata avviata a Ramstein, il 26 aprile, la fase due che si pone l’obiettivo di porre le forze armate ucraine, previo un adeguato rifornimento di armi pesanti, in grado di sconfiggere la Russia, dando per scontato che il conflitto sia destinato a durare mesi, se non anni.
Dopo Ramstein, il Presidente Zelensky, si è lasciato sfuggire che l’Ucraina non avrebbe sollevato al tavolo del negoziato il tema della Crimea, annessa alla Federazione Russa nel 2014. Immediatamente è stato zittito dal Segretario della NATO Stoltenberg che, in un’intervista al giornale tedesco Die Welt, ha dichiarato: “L’Ucraina deve vincere questa guerra perché’ difende il suo territorio. I membri della Nato non accetteranno mai l’annessione illegale della Crimea. Ci siamo inoltre sempre opposti al controllo russo su parti del Donbass nell’Ucraina orientale.”
Commentando quest’intervento, l’ambasciatore Umberto Vattani ha osservato: “Gli occidentali avevano sin dall’inizio dichiarato di voler intervenire a difesa dell’Ucraina per salvaguardarne l’indipendenza e la sovranità di fronte alla prepotenza e ai soprusi del Cremlino. Ma chi difenderà Zelensky dalle pretese della Nato che vuole imporre la sua linea a quella di Kiev in vista delle trattative da intavolare con Putin?” (Avvenire, 9/05/2022).
È curioso che Stoltenberg parli anche a nome nostro e ci faccia sapere che noi non accetteremo mai l’annessione della Crimea alla Federazione russa, tanto per mantenere in vita anche questo ulteriore fronte di conflitto fra Russia e Ucraina. Certo se la parola d’ordine che arriva d’oltreatlantico è “vincere”, l’Europa non può fare altro che stringere i ranghi e abbassare la testa. Invece, come osserva l’ambasciatore Alberto Bradanini sul Manifesto del 10 maggio: “I governi europei dovrebbero lavorare a un compromesso, perché è così che finiscono le guerre. Si eviterebbero altri guai per il popolo ucraino e le economie europee, oltre a una pericolosissima escalation nucleare. Attraverso la Nato, gli Usa tengono l’Europa sotto vigilanza, sterilizzandone ogni anelito verso la sovranità, semmai ve ne fossero le condizioni endogene.”
Che la volontà degli USA sia quella di prolungare la guerra fino al raggiungimento della vittoria finale è confermato anche dal voto della Camera statunitense che ha disposto aiuti in armi e assistenza all’Ucraina per 40 miliardi di dollari.
Ormai siamo arrivati all’ottantesimo giorno di guerra e all’orizzonte non si intravede niente di buono, anzi si va delineando quanto sia elastico il concetto di vittoria. Lo ha esplicitato in un’intervista al Financial Times il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. “L’immagine della vittoria è un concetto in evoluzione – ha spiegato al quotidiano britannico – nei primi mesi ci sarebbe sembrata una vittoria se avessimo ottenuto il ritiro delle forze russe alle posizioni che occupavano prima del 24 febbraio e il pagamento dei danni inflitti. Ora, se siamo forti abbastanza sul fronte militare e se vinciamo la battaglia per il Donbass, che sarà cruciale per le successive dinamiche del conflitto, certamente la vittoria in questa guerra per noi sarà la liberazione del resto del nostro territorio“.
Il mito della vittoria acceca coloro che si ritengono potenti e li spinge ineluttabilmente al disastro. Faremmo bene a sbarazzarci di questo mito se vogliamo evitare la terza guerra mondiale.
FONTE: https://www.micromega.net/la-guerra-in-ucraina-e-il-mito-della-vittoria/
CULTURA
SALVATOR ROSA: GENIO RIBELLE DEL RINASCIMENTO
Con il suo libro Demoni, streghe e battaglie, Dalmazio Frau dimostra che la storia dell’arte e, soprattutto, dei suoi protagonisti, deve essere analizzata da una diversa prospettiva dove hanno il giusto spazio elementi quali la percezione dell’Altrove, del patrimonio simbolico e degli archetipi che percorrono, ispirano e condizionano la storia intellettuale dell’umanità. I numerosi e pregevoli studi sui protagonisti dell’arte sono spesso orientati sugli aspetti tecnici, con incursioni nel mondo storico e sociale di contorno, con qualche propaggine nell’area economica (György Lukács e Arnold Hauser fra i più noti).
L’autore sceglie la strada più tortuosa, più intrigante e affascinante. Il racconto va letto a vari livelli: artistico, biografico, storico-sociale e misterico che racchiude il non-detto, filosofico e della teologia presidiata da feroci ed intelligentissimi inquisitori. Il tutto si svolge all’interno di uno scenario caratterizzato da intrighi, spiate, tradimenti, difficili equilibri politici e militari, caccia alle streghe e dalle scorribande degli eretici che fuggono e diffondo il loro pensiero in tutta l’Europa. Salvator Rosa riesce a superare queste strettoie con abilità e una buona dose di fortuna. Il suo percorso umano ed artistico non si ferma mai! Nel mare tumultuoso del Seicento italiano, il pittore, poeta, attore, commediografo riesce a superare varie difficoltà nonostante le avversità provocate dal suo carattere difficile. Da tutti visto come un limite, per Dalmazio Frau il carattere roccioso dell’artista è un punto di forza, è l’architrave della sua creatività, delle sue intuizioni sociali, della sua ricerca interiore.
Viene salvato ed apprezzato dalle più acute menti del suo tempo: cardinali, committenti, principi, raffinate presenze come Cristina di Svezia che perdonano e spesso nascondono le sue intemperanze. Riescono a leggere oltre percependone il genio talvolta plateale ma sovente oscuro e profondo. Salvator Rosa è un finissimo creatore di passaggi stilistici che riescono ad evitargli la tagliola degli occhiuti e pervasivi domenicani con i loro tribunali operativi in tutta l’Europa. L’artista è un grande interprete del Caos che irrompe continuamente sull’Armonia. Lo racconta nei suoi quadri che illustrano battaglie, nature morte, ritratti e atmosfere sospese, spesso cupe. Ci propone paesaggi scuri dove si muovono figure spettrali orribili, zoologie fantastiche e deformità repulsive. Uno strumentario che cerca di esternare messaggi iniziatici ed ermetici filtrati simbologie complesse.
La vita di Salvator Rosa è un mosaico di eventi percorsi dalla costante esistenziale della ribellione sociale ed artistica quando decide di non farsi condizionare dalla “committenza” costituita da mecenati, da ricchi e da personaggi potenti che ordinano opere su misura. Dalmazio Frau ci fa sapere che Rosa è, di fatto, il primo artista ad allestire mostre delle sue opere liberamente create. Il pittore, ormai celebre e richiesto da molte corti europee, non supera mai il confine fluttuante dell’eresia. Riesce a trasmettere i contenuti dell’Altrove utilizzando le complesse impalcature simboliche prese in prestito dall’Alchimia e dal pensiero esoterico e rosacruciano, dalle riflessioni e dalle ricerche delle maggiori menti del suo tempo. Il libro ci parla di arte, ci racconta la particolare ed intrigante vita di Salvator Rosa dietro la quale si muove un magma creativo e di pensiero molto vivace e appassionato. Artista famoso ma poi dimenticato e persino disprezzato, viene in questo libro recuperato con maestria.
L’autore ci confida tra le righe che l’atto alchemico di trasformazione interiore è quello della creazione artistica, dell’intuizione inafferrabile che va ben oltre i canoni della razionalità scientifica ed economica L’arte è quindi l’atanòr, il contenitore che conduce alla trasformazione interiore. Ci parla con abilità e scorrevolezza della numerosa galleria di personaggi, testi, atti politici, menti creative dell’epoca al punto di farceli vedere di fronte. Immersi in questa atmosfera magica, dispiace che il libro finisca così in fretta.
Il volume scorre vertiginosamente per centotrentadue pagine seguite da una breve ma calibrata bibliografia. Rendono interessante ed agevole la lettura le note informative a piè di pagina. Aiutano la comprensione del testo evitando che l’attenzione del lettore sia dispersa nella ricerca esterna. Un testo, purtroppo breve, si legge come un romanzo, come un saggio storico, come un resoconto artistico.
Un libro da regalarsi e da donare a coloro che vogliono sapere.
Demoni, streghe e battaglie di Dalmazio Frau Edizioni Mondo Nuovo 2022, 140 pagine, 16 euro
FONTE: https://www.opinione.it/cultura/2022/10/11/manlio-lo-presti_demoni-streghe-e-battaglie-dalmazio-frau-edizioni-mondo-nuovo/
La letteratura occidentale comincia con una guerra. Quella di Troia.
Galatea Vaglio Pillole di Storia 9 10 2022
Che per capire come nasce non è facile. Certo, c’è Paride che rapisce Elena (o Elena che si fa rapire) ma la cosa non finisce lì. Perché Paride ha in fondo una legittima pretesa: Elena gli ę stata promessa da Afrodite. E Afrodite aveva agito così a causa della mela di Eris, che aveva ragione perché essere esclusa dal matrimonio VIP dell’anno non si fa. E poi i Troiani, diciamocelo, tanto per bene non erano, con quella cosa di farsi costruire le mura dagli dei e poi dire no, non ti paghiamo, come un qualsiasi imprenditoruncolo da due soldi alle prese con un poveretto a Partita Iva.
E poi durante la guerra a far casino ci si mettono Achille e Agamennone. Che anche Achille, bravo figliolo, eh, ma testa calda. In fondo quella benedetta schiava la poteva pure dare ad Agamennone, che tanto poi alla fine non è che ci combini nulla e Patroclo c’è sempre il dubbio che gli piacesse di più. E Agamennone, per carità, carattere odioso, ma anche lui, per andare a Troia ci aveva rimesso una figlia e buttato alle ortiche un matrimonio, logico che avesse un po’ il dente avvelenato con chi si metteva di traverso. E Priamo, tanto buono e caro, ma quei figli, a parte Ettore, non è che gli fossero venuti su bene bene. Insomma i Troiani se la sono andata a cercare, potevano fare a meno di resistere agli Achei, e i Greci non erano per nulla simpatici e avevano pure loro parecchi scheletri nell’armadio, altro che eroi.
Forse quello che Omero ci insegna, e che resta sempre attuale, è questa roba qua: che nelle guerre c’è sempre il modo di trovare difetti alle vittime, e di ritrovarsi rappresentati da gente discutibile, perché se volete un mondo di eroi puri che agiscono sempre in maniera corretta, e sono giusti e menano solo per una buona causa cattivi che fanno schifo, cosa strana, non li dovete cercare nell’epica scritta bene da Omero.
Vi dovete andare a leggere quella roba propagandistica che è la Chanson de Roland. Che però è noiosa come la morte, vi avverto, eh. Foto: scena di battaglia, Iliade ambrosiana, da Wikipedia #stpria #mitologia
FONTE: https://www.facebook.com/PillolediStoriaGalateaVaglio/posts/pfbid031RvsDtMHG7coe5m53zwDKQPQPvy2utfxXBe5mf3bPYdn34RsvmxZbv9WNfkHVk5rl
Da Hegel a Nietzsche: la complessa relazione di Domenico Losurdo con il liberalismo
di Igor Shoikhedbrod (Dalhousie University, Canada)
1. I criteri di riferimento per lo studio del rapporto di Losurdo con il liberalismo
Prima di iniziare la mia indagine del rapporto di Losurdo con il liberalismo è il caso di fissare i criteri di base che la guideranno. Ogni tentativo di esaminare questa complessa relazione deve infatti confrontarsi fin da subito con una sfida: dove vanno tracciati i confini interpretativi? Questa sfida è resa più difficile dal fatto che Losurdo è stato uno storico delle idee assai prolifico, che nell’esteso ambito di riferimento dei suoi studi si è occupato di un ampio numero di autori e temi del pensiero politico, dall’illuminismo ai nostri giorni. In questo breve saggio mi concenterò su tre (o meglio, quattro) figure fondamentali della storia della filosofia che sono state oggetto delle sue ricerche: G.W.F. Hegel, Karl Marx (e, ove si dia il caso, Friedrich Engels), e Friedrich Nietzsche. Tutti pensatori che hanno contribuito sotto molti rilevanti aspetti a formare l’eredità della filosofia classica tedesca.
Non sono certo il primo a ripercorrere il movimento che da Hegel conduce a Nietzsche; Karl Löwith ha scritto su questo argomento un libro che è ancora un punto di riferimento1. Tuttavia, credo di essere il primo ad analizzare il movimento che da Hegel porta fino a Nietzsche in relazione all’opera di Losurdo e al suo rapporto con il liberalismo. Sicuramente, inoltre, il fatto che io includa Nietzsche tra i filosofi che hanno contribuito alla tradizione della filosofia classica tedesca susciterà la perplessità di alcuni lettori. Dopotutto, il pensiero di Nietzsche, con la sua guerra contro i grandi costruttori di sistemi filosofici, è spesso considerato come l’archetipo della decostruzione. Ciononostante, non è il caso di misurare il contributo di un autore a una particolare tradizione di pensiero sulla base di quanto quello stesso autore ritenga di essersi occupato di essa. Se così fosse, né Hegel, né Marx (né Engels) potrebbero essere descritti come rappresentanti, e al contempo eredi, di questa medesima tradizione.
È per l’appunto attraverso un orientamento critico all’oggetto della nostra ricerca (nello spirito del criticismo kantiano), allora, che possiamo comprendere davvero la misura in cui questi autori hanno contribuito in modi diversi al “punto d’approdo” di quella stagione filosofica. E in questo senso, se fosse vissuto abbastanza a lungo, Engels avrebbe potuto sostituire proprio Nietzsche a Ludwig Feuerbach come rappresentante del suo “compimento”2. Possiamo infatti interpretare l’obiettivo fondamentale di Nietzsche anche come il tentativo di invertire il ruolo del protagonista iniziale della Fenomenologia dello spirito hegeliana, ossia il servo lavoratore, come anche di invertire la traiettoria normativa a cui il lavoro del servo dà impulso: l’eguaglianza dei diritti. L’inclusione di Nietzsche nella tradizione della filosofia classica tedesca – intesa in senso ampio – è pertanto tutt’altro che arbitraria.
Ma oltre che di filosofia classica tedesca Losurdo si è interessato anche delle manifestazioni politiche del liberalismo e non è un caso che questo interesse ritorni in maniera particolare proprio nei suoi lavori su Hegel, Marx ed Engels e Nietzsche. È interessante il fatto che nessuno di questi avesse un orientamento lineare nella sua considerazione di questa filosofia politica, se non appunto Nietzsche; il cui antiliberalismo è in apparenza molto più pronunciato – potremmo dire assoluto – di quanto non avvenga nelle opere degli altri autori. Hegel, in definitiva, era un sostenitore della razionalità del Rechtsstaat – per quanto nella forma, che egli prediligeva, della monarchia costituzionale. Marx, da parte sua, criticava l’orizzonte ristretto e ipocrita entro il quale il liberalismo concepisce un’emancipazione politica che, rimanendo nel quadro della produzione capitalistica, non poteva non implicare la persistenza dello sfruttamento. Tuttavia, Marx continuava a considerare questa emancipazione come un «grande progresso» e valutava comunque i diritti borghesi come un avanzamento in termini di libertà. Quali che fossero le loro differenze di visione, Marx ed Engels furono sempre d’accordo su questo specifico punto. Nella lettura di Losurdo, comunque, anche Nietzsche passa attraverso una fase «nazional-liberale», nella quale condivide le posizioni del liberalismo classico sul rapporto che dovrebbe intercorrere tra «governanti e governati». Dopotutto, solo in seguito liberalismo e democrazia si sarebbero fusi nell’idea, ormai familiare, di “democrazia liberale”.
L’approccio di Losurdo al liberalismo differisce da quello della maggior parte degli storici dell’idea liberale. Losurdo non era interessato alle sue pure e immacolate intenzioni normative, astratte dalla storia concreta e dalla realtà vissuta (in particolare quella delle sue vittime). Ispirandosi all’impostazione di Alexis de Tocqueville in La democrazia in America, Losurdo perseguiva piuttosto una «controstoria» o, come egli diceva in negativo, indagava «non il pensiero liberale nella sua astratta purezza, ma il liberalismo e cioè il movimento e le società liberali nella loro concretezza»3. È utile allora, prima di proseguire nella nostra disamina, analizzare in dettaglio il riferimento metodologico all’idea di “controstoria”.
Per Losurdo, scrivere una controstoria significava «indagare […] le elaborazioni concettuali [di un grande movimento storico e politico come il liberalismo] ma anche e in primo luogo i rapporti politici e sociali in cui esso si esprime, nonché il legame più o meno contraddittorio che s’instaura fra queste due dimensioni della realtà sociale»4. Obiettivo della controstoria del liberalismo è quindi far luce criticamente su quegli aspetti e caratteristiche di questo movimento che continuano a essere passati sotto silenzio dai suoi sostenitori. Una controstoria del liberalismo non può certamente fare a meno di una definizione comune, o unificatrice, del liberalismo stesso. Per Losurdo, però, questa definizione convenzionale – «il liberalismo è la tradizione di pensiero che mette al centro della sua preoccupazione la libertà dell’individuo, misconosciuta o calpestata invece dalle filosofie organicistiche di diverso orientamento»5 – coglie in astratto certe intenzioni normative ma nasconde completamente una realtà di esclusione e dominio che deve essere invece portata alla luce. La sua controstoria è guidata pertanto dall’obiettivo di “smascherare”, nel solco della tradizione di quella teoria critica di cui il marxismo è parte integrante. Tuttavia, “smascherare” il liberalismo non precludeva per lui la possibilità di apprezzarne al contempo i meriti. Proprio questo approccio critico e complesso sarà il tema del prosieguo di questo saggio, a partire dalla considerazione del più importante esponente della filosofia classica tedesca: G.W.F. Hegel.
- Hegel e la filosofia dei moderni: potenzialità e limiti dell’interpretazione proto-marxiana
Il trattato di Losurdo su Hegel persegue almeno tre obiettivi. In primo luogo, offre un esame di come la filosofia politica di Hegel sia stata interpretata dai suoi contemporanei e dai successori, come anche dagli studiosi più recenti. In secondo luogo, intende confutare la visione, un tempo dominante, di Hegel come reazionario difensore dello Stato burocratico prussiano e quindi nemico della libertà moderna. In terzo luogo, Hegel e la filosofia dei moderni si rapporta alla filosofia politica di Hegel come a un pensiero che, nell’essere immerso nel movimento politico liberale, è anche sensibile ai punti ciechi e ai limiti intrinseci di quest’ultimo. Qui mi occuperò soprattutto di questo terzo obiettivo.
A prima vista, la cartina di tornasole impiegata da Losurdo per valutare quanto in profondità si spinga l’impegno di un filosofo nei confronti della «libertà dei moderni» può sembrare piuttosto convenzionale: è l’atteggiamento verso il 1789. Sebbene, come spettatore, avesse un atteggiamento simpatetico nei riguardi della rivoluzione, Kant, ad esempio, era in definitiva contrario a qualsiasi trasformazione sociale rivoluzionaria e implicante violenza, poiché avrebbe necessariamente contravvenuto alla condizione giuridica originaria e sarebbe stata quindi illegittima in ogni suo aspetto6. Ciò che più colpisce nelle sue riflessioni è la forza con cui sottolineava come la Rivoluzione francese evidenziasse una «disposizione morale nel genere umano» e affermasse un desiderio universale che si estendeva oltre i territori della Francia, come la rivoluzione di Haiti avrebbe poi reso chiaro7. Questa portata universale, come è noto, venne riconosciuta anche da Edmund Burke. Diversamente da Kant, però, Burke considerava l’astratta universalità di quella rivoluzione come la principale minaccia ai costumi tradizionali, ai diritti e agli orizzonti politici cari all’Impero britannico8.
Insomma, che la si guardi dalla prospettiva di uno spettatore simpatetico o da quella di un suo avversario critico, la Rivoluzione francese è stata un evento storico decisivo che ha costretto i filosofi del tempo a prendere posizione. Per questa e altre ragioni, prendendola come riferimento, Losurdo categorizza i più grandi autori di quel periodo in base ai loro atteggiamenti verso la «libertà dei moderni» proprio a partire dalle loro disposizioni nei confronti di quel «processo rivoluzionario mondiale che distrugge l’antico regime»9. Su questa base, divide i pensatori tedeschi e più in generale europei in tre campi ideologici distinti.
Il primo è il “campo reazionario” di chi si opponeva categoricamente alla rivoluzione e alla sua eredità sociale e politica. Secondo Losurdo, il principale rappresentante filosofico di questo campo era Karl Friedrich Wilhelm Schlegel. Il secondo campo ideologico era composto dai “reazionari moderati”, che seguivano Edmund Burke nel condannare la Rivoluzione francese ma lodavano selettivamente altre rivoluzioni (ossia la Rivoluzione americana e la Gloriosa rivoluzione che l’aveva preceduta). Tra i suoi rappresentanti vi erano Benjamin Constant e Friedrich von Gentz. Infine, l’ultimo campo ideologico, nel quale Losurdo colloca Hegel e la filosofia classica tedesca, è quello «che valuta in senso complessivamente positivo il processo rivoluzionario globale che segna la distruzione dell’antico regime»10.
Losurdo si muove su un terreno solido nell’interpretare Hegel come un sostenitore del 1789. Anche lo Hegel più “maturo” e “conservatore”, che di solito viene erroneamente inteso come un critico ostile di questo genere di mutamenti, riconosce che «non si deve… fare opposizione, quando si sente che la rivoluzione ebbe il suo primo impulso dalla filosofia»11. La sua disamina più sistematica si trova però nella sezione su La libertà assoluta e il Terrore della Fenomenologia dello spirito. Piuttosto che rifiutare la Rivoluzione francese come un crimine contro la natura o contro il diritto, al pari dei rappresentanti del campo “reazionario” e “reazionario moderato”, Hegel mostra qui in che misura essa stessa fu una condizione necessaria della libertà moderna. Sebbene sia stata guidata da un «universale astratto» che ha lasciato il posto al Terrore, essa ha comunque spianato la strada al regime, concreto e mediato, di quel Rechtsstaat razionale che Hegel difende nei Lineamenti di filosofia del diritto.
Questo approccio consente a Losurdo di istituire tra i pensatori politici di quel tempo (e tra le correnti filosofico-politiche che essi rappresentano) paragoni che sarebbero altrimenti inattingibili. Un esempio degno di nota è quello di Benjamin Constant. Se questi preferiva certamente la libertà dei moderni a quella degli antichi, è significativo però il fatto che al contempo rifiutasse l’eredità di Rousseau e dei suoi dichiarati discepoli rivoluzionari («l’abate di Mably, come Rousseau e molti altri, aveva preso, sulla scorta degli antichi, l’autorità del corpo sociale per la libertà»12). Anche lo Hegel “maturo”, in verità, contestava Rousseau per la sua presunta concezione atomistica della “volontà generale”; ma la differenza tra Hegel e Constant, secondo Losurdo, è che Hegel apprezzerà fino all’ultimo il nucleo di razionalità della Rivoluzione – ossia la Dichia- razione dei diritti dell’uomo e del cittadino13.
Questo paragone ci offre il punto focale a partire dal quale considerare sia la tradizione liberale rappresentata da Constant, sia la tradizione della filosofia classica tedesca, che nella filosofia politica di Hegel trova la sua espressione più sostanziale. Considerando la Rivoluzione francese, Constant assolutizza il diritto alla proprietà privata e al contratto ma respinge come antiquati i diritti dei cittadini a determinare collettivamente le loro scelte politiche. Hegel, invece, cerca di recuperare l’unità dell’antica polis sulla base, tutta moderna, della particolarità. Non può esserci contrasto più marcato con il liberalismo. E non a caso lo Hegel di Losurdo è non solo un sostenitore della Rivoluzione, la quale permette di conciliare i diritti dell’uomo con i diritti del cittadino, ma è anche assai attento alla questione sociale, tanto da avvicinarsi alla parte dei “plebei”.
Losurdo si concentra a questo proposito su due importanti aspetti della questione sociale: il lavoro e il diritto di necessità. Il significato politico del lavoro è stato un argomento ferocemente dibattuto nella storia della filosofia morale e politica così come nell’economia politica. E proprio su questo punto la differenza tra tradizione liberale e filosofia classica tedesca emerge in maniera feroce. Questa differenza torna in gioco poi nella discussione sul concetto politicamente saliente di otium, che rivela controintuitivi legami tra la tradizione liberale e l’antiliberale Nietzsche (intuizione, questa, che non è stata colta a sufficienza da coloro che criticano Nietzsche da una prospettiva di liberalismo egualitario14). Scrive Losurdo: «la tradizione liberale è ben in grado di cogliere l’aspetto alienante del lavoro salariato, ma non l’aspetto emancipatorio e formatore dell’attività produttiva che invece non sfugge a Hegel (e Marx)»15. E aggiunge: «come in Hegel, anche in Kant, nella filosofia classica tedesca nel suo complesso, il lavoro interviene nella definizione dell’autentica attività intellettuale. Non a caso più tardi Nietzsche parlerà espressamente di Kant e Hegel come degli “operai della filosofia”!»16.
Questa “divisione del lavoro” che Losurdo stabilisce tra la tradizione liberale e la filosofia classica tedesca, a mio avviso, è in parte corretta ma in parte fuori fuoco. Egli mette acutamente in luce la differenza tra il riconoscimento delle caratteristiche costrittive e alienanti del lavoro salariato, che pensatori liberali come Adam Smith descrivono in termini sorprendentemente vividi, e la misura in cui la filosofia tedesca classica è stata in grado di identificare il lato emancipatorio del lavoro, andando oltre questa intuizione del liberalismo. Non è chiaro, tuttavia, perché in questa categorizzazione Kant non sia situato dalla parte della tradizione liberale. Dopotutto, la principale differenza filosofica tra questa e Hegel (nonché Marx) è che anche i liberali più perspicaci consideravano la forza-lavoro come una merce, una disutilità necessaria, mentre Hegel e Marx la interpretavano principalmente come un processo trasformativo e un essenziale mezzo di espressione umana, tale da trascendere la mera sopravvivenza e il valore di scambio. Anche Kant, però, considerava la forza-lavoro come una merce alienabile sul mercato, a cui poteva essere assegnato un prezzo sotto forma di salario. Per questa ragione, la famosa seconda formulazione dell’imperativo categorico non condanna la compravendita della forza-lavoro come un affronto alla dignità umana. Al contrario, Kant considera tale contratto di lavoro come consensuale e legittimo, purché la sua durata non sia indeterminata e purché non riduca gli esseri umani esclusivamente allo status di mezzi/oggetti17.
Questo problema è indirettamente riconosciuto da Losurdo stesso quando considera positivamente la prospettiva di Hegel riguardo al «diritto di necessità», escludendo in questo caso dalla propria disamina Kant e altri rappresentanti della filosofia classica tedesca. Mentre la tradizione liberale assolutizza il diritto alla proprietà privata e alla libertà di contratto, Hegel, facendo ricorso al «diritto di necessità», sostiene che vi siano limiti necessari all’assolutismo proprietario. Il ricorso al diritto di necessità presuppone che assicurare il diritto del cittadino alla vita sia politicamente giustificato, anche se ciò significa violare occasionalmente i diritti privati delle persone e in particolare il diritto di proprietà18. Losurdo suggerisce anche che la difesa hegeliana dei «diritti materiali» è probabilmente più originale e più solida della difesa dei «diritti consuetudinari dei poveri» da parte del giovane Marx19. È significativo, comunque, che i suoi elogi non si estendano ad altri rappresentanti della filosofia classica tedesca. In questo caso, infatti, quanto all’idea che si possano sospendere temporaneamente i diritti privati almeno in quelle rare circostanze in cui è in gioco la nuda vita, Kant e Fichte non si differenziano dai liberali dichiarati come Constant20.
Emerge qui un primo significativo punto di dissenso. Se il paragone tra la tradizione liberale e Hegel fosse culminato con il mettere in luce come quest’ultimo difenda il diritto di necessità nella vita quotidiana, non ci sarebbero significative ragioni di contestazione. Losurdo però si spinge oltre e sostiene che Hegel e la tradizione della filosofia classica tedesca si differenzino anche per un altro aspetto decisivo in quanto – come accennato prima – avevano un orientamento maggiormente “plebeo” e non erano legati alle classi dirigenti nell’esercizio delle loro rispettive professioni21.
A onor del vero, si deve prendere atto che Losurdo è sempre attento a mettere “plebeo” tra virgolette, mentre il suo riferimento a uno «Hegel banausico e plebeo» è accompagnato da un punto interrogativo e invita a una certa cautela interpretativa22. Questi accorgimenti stilistici evidenziano i dubbi che Losurdo stesso aveva su questa lettura di Hegel, la quale poteva forse costituire una provocazione. Nonostante queste riserve, colpisce che Losurdo, intenzionalmente o meno, finisca per inserire elementi di Marx, di Engels e persino di Gramsci nella sua valutazione simpatetica di Hegel, cosa che comporta una serie di sfide per la sua interpretazione.
Marx ed Engels ammettono la possibilità che alcuni membri dell’intellighenzia facciano causa comune con il proletariato nella lotta di classe rivoluzionaria contro la borghesia. I due autori notano nel Manifesto che «come già un tempo una parte della nobiltà passò alla borghesia, così ora una parte della borghesia passa al proletariato, e segnatamente una parte degli ideologi borghesi che sono giunti a comprendere teoricamente il movimento storico nel suo insieme».23 Un parallelo si può ritrovare anche nei Quaderni del carcere di Gramsci e in particolare nella distinzione tra gli intellettuali organici, che sono orientati verso la trasformazione rivoluzionaria e il socialismo, e gli intellettuali tradizionali, apologeti teorici dello status quo24.
Losurdo è perciò nel giusto nell’interpretare Hegel come un pensatore politicamente in anticipo sui tempi; guidato, per così dire, da una visione riformista che i suoi allievi più vicini pagheranno a caro prezzo con l’imposizione dei repressivi decreti di Carlsbad. Il principale ostacolo alla sua interpretazione protomarxiana è però nella filosofia politica dello stesso Hegel. La Filosofia del diritto, infatti, era informata dal tentativo di recuperare l’unità dello Stato attraverso una dialettica interna di differenziazione che avrebbe finalmente dato alla particolarità moderna ciò che le spettava. Questo processo di differenziazione si dispiega nella sua forma più chiara nella disamina che Hegel compie della società civile e della divisione “organica” tra i tre ceti (e solo quei tre) rappresentati nella legislatura: la nobiltà ereditaria, il ceto imprenditoriale e il «ceto universale» dei funzionari pubblici (che includeva gli «operai della filosofia», come lo stesso Hegel). Come ognuno può capire, il desiderio di mantenere un sistema «razionale» di proprietà era non casualmente una reazione all’atomismo non mediato e agli eccessi egualitari della Rivoluzione francese e alla furia distruttiva che a essi era seguita.
Hegel fu certo abbastanza perspicace da riconoscere che la dialettica di differenziazione interna alla società civile produce anche una massa diseredata e nichilista che non si “sente a casa” nello Stato moderno e che non è rappresentata da nessuno dei ceti o delle corporazioni. Sebbene identifichi una serie di possibili soluzioni al problema della povertà moderna, in quanto distinta dal fenomeno del «bisogno naturale», infatti, egli confuta alla fine ognuna di queste soluzioni e deduce che «vien qui in evidenza che malgrado l’eccesso di ricchezza la società civile non è ricca abbastanza, cioè nelle risorse ad essa peculiari non possiede abbastanza per ovviare all’eccesso della povertà e alla produzione della plebe»25. Cosa significa questo? Il linguaggio di Hegel può sembrare ancor più sorprendente nell’aggiunta al § 244, che recita: «Contro la natura nessun uomo può affermare un diritto, ma nella condizione di società la mancanza acquista subito la forma di un’ingiustizia che viene arrecata a questa o a quella classe. L’importante questione, di come si debba sovvenire alla povertà, è una questione che muove e tormenta segnatamente le società moderne»26. Questi passaggi e le rispettive aggiunte possono certo suggerire un’interpretazione proto-marxiana e “plebea” di Hegel. Tuttavia, ci sono anche dei limiti intrinseci a una simile interpretazione che lo stesso Losurdo sembra in ogni caso riconoscere, proprio nella sua discussione conclusiva su Hegel e la povertà: «Indipendentemente dalle implicazioni politiche che da ciò scaturiscono, e di cui lo stesso Hegel non sembra pienamente consapevole, siamo comunque ben al di là della tradizione liberale che nella “natura” cerca semmai il suggello dell’agognata eternità di rapporti economico-sociali storicamente determinati»27. In sintesi, mentre Hegel è andato oltre la tradizione liberale, non poteva però spingersi avanti quanto Marx, filosofo egli sì realmente “plebeo” e rivoluzionario; e le ragioni di questo limite sono a mio avviso sia metodologiche che storico-temporali.
Dal punto di vista metodologico, i Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel sono un’opera sincronica che ripercorre lo sviluppo logico del diritto a partire dal suo più rudimentale ancoraggio nel concetto di libera volontà e nella capacità umana di astrazione, passando attraverso la moralità fino all’eticità. Nella Prefazione all’opera, Hegel ricorda ai lettori che il suo approccio metodologico è esposto nella Scienza della logica. Le lezioni più rilevanti che Hegel ne deriva per la sua filosofia politica includono il ricorso al pensiero senza presupposti e alla critica immanente. Invece di partire da una concezione del diritto già completa, cioè, Hegel inizia da un’idea di diritto astratta e formale. Le crude limitazioni del diritto astratto e formale mostrano poi la necessità del movimento verso la moralità e dalla moralità verso l’eticità. La lezione interpretativa del metodo sincronico di Hegel è pertanto che ogni sfera del diritto va criticata sulla base dei suoi stessi criteri (cioè, in modo immanente) e che solo quando la si consideri nella sua assolutezza e autonomia se ne può mostrare l’imperfezione.
La critica all’assolutismo concettuale che abbiamo descritto sopra ha qui almeno tre principali modi di funzionamento. Nella sua discussione del diritto astratto, ad esempio, Hegel dimostra che la Repubblica di Platone viola il diritto della personalità, in quanto priva i guardiani della proprietà privata e li separa dalla loro famiglia. I limiti assolutistici dell’antica vita etica ateniese sono esemplificati dal desiderio di Platone di epurare Kallipolis da ogni anelito di particolarità che, indirettamente, vada oltre una concezione dell’eticità assai circoscritta. Come altro esempio c’è poi il diritto romano, che introduce il concetto di persona giuridica ma viene contraddetto dall’idea di pater familias, secondo la quale il padre si rapporta ai figli come un padrone si rapporta agli schiavi, violando, in tal modo, il diritto della personalità.
Sebbene Hegel critichi il formalismo del liberalismo classico e difenda il diritto di necessità, lo fa insomma principalmente perché convinto che il diritto astratto non dovrebbe essere assolutizzato e trattato come la forma definitiva del diritto. Ma questa intuizione metodologica implica che il diritto astratto, ivi compreso il diritto di proprietà privata, rimane indispensabile per lo sviluppo della più completa concezione del diritto che è inverata nel contesto dell’eticità. Di conseguenza, il rovescio della medaglia di questa stessa intuizione è, però, nel fatto che Hegel non può che respingere i tentativi di fondare lo Stato moderno sulla base del principio della proprietà comune, il quale è per lui pericolosamente errato e suscettibile di condurre al dispotismo. La lezione del diritto astratto è che la persona, come anche il diritto alla proprietà privata, devono essere rispettati in ogni Stato moderno degno di questo nome, sebbene non siano assolutizzabili nel contesto dell’eticità.
Un argomento ulteriore in questo senso. Sul piano storico-politico è importante riconoscere come la visione hegeliana dello Stato moderno non rispecchiasse nessuno Stato empiricamente esistente a quel tempo. La miglior conferma di questa affermazione è la discussione riguardo alle corporazioni, che a quei tempi non esistevano, né esistono nel mondo contemporaneo. Secondo alcuni recenti studi, le corporazioni, insieme all’autorità pubblica, erano intese da Hegel come le più efficaci risposte al controverso problema della povertà moderna di cui abbiamo appena parlato28. Ma mentre l’interesse per l’economia politica gli permetteva di dare un senso filosofico alle dinamiche interne della società civile, egli non avrebbe potuto prevedere le implicazioni politiche dell’avvento del capitalismo industriale, che non conobbe mai. Questa lacuna storicotemporale spiega perché secondo Hegel è precipuamente sul «ceto universale» dei funzionari pubblici e sulle istituzioni integrative dello Stato moderno che ricadeva il compito di ricomporre con successo la disunione scatenata dalla società civile (il mercato), senza con questo sacrificare il principio moderno della particolarità.
Sembra perciò che Hegel si sia infine riconciliato con l’idea che la povertà moderna fosse un sottoprodotto inevitabile della società civile, la quale è contemporaneamente l’oasi della differenziazione e della particolarità. Qualsiasi tentativo di interrompere il suo processo di integrazione mediante differenziazione avrebbe minato il punto di innesto della distinzione tra modernità e antichità, che costituisce la pietra angolare della sua filosofia politica e del suo audace tentativo di ritrarre lo Stato moderno come intrinsecamente razionale. È in questo senso che la filosofia politica di Hegel non poteva che essere figlia del suo tempo: «del resto, ciascuno è un figlio del suo tempo; così anche la filosofia, è il tempo di essa appreso in pensieri»29. È di certo apprezzabile che l’interpretazione losurdiana riconosca a Hegel di essersi spinto oltre la tradizione liberale, senza per ciò stesso aspettarsi che quest’ultimo facesse l’impossibile, vale a dire, «che un individuo salti il suo tempo, salti al di là di Rodi»30. A differenza di Hegel, però, noi abbiamo il vantaggio del senno di poi e possiamo saltare da Hegel a Marx ed Engels, per poi tornare al tentativo nietzscheano di invertire Hegel.
- Rivisitazione della critica di Marx al liberalismo e individuazione dell’ambivalenza critica di Losurdo da Controstoria del liberalismo a La lotta di classe
Il mio riferimento iniziale all’ambivalenza critica di Losurdo è volto a evidenziare alcuni importanti cambiamenti nel suo atteggiamento verso Marx e la tradizione marxista che si verificano tra la pubblicazione di Controstoria del liberalismo e quella di La lotta di classe. In verità, Marx è menzionato anche in Hegel e la libertà dei moderni, anche se lì Losurdo lo considera, per lo più, come giovane e talentuoso contributore alla tradizione iniziata da Rousseau e proseguita dal filosofo di Stoccarda. È soprattutto in La lotta di classe che Losurdo, nel considerare il pensiero marxiano, va oltre l’idea di un conflitto per interessi economici. Tuttavia, proprio per capire perché questa esigenza di espansione della teoria emerga proprio da una comparazione con i limiti del liberalismo, prima di analizzare questo testo conviene ancora una volta partire dalla trattazione che di Marx viene proposta in Controstoria del liberalismo, la quale è breve ma critica.
Losurdo sostiene che non si può comprendere adeguatamente la tradizione liberale, che si fa paladina dell’emancipazione nella «comunità dei liberi», senza considerare la deemancipazione che essa ha imposto a coloro che ha ritenuto inadatti a far parte di questa schiera. È da questa angolazione che Losurdo, gettando uno sguardo critico verso l’America, deduce che «negli Stati Uniti la democrazia emerge prima perché emerge come una democrazia Herrenvolk, come “democrazia per il popolo dei signori”» e sostiene che è sempre per tale ragione che «questa forma determinata si rivela così tenace da sopravvivere per molti decenni alla guerra di Secessione». Ovviamente, a suo avviso, «è ben difficile parlare della democrazia Herrenvolk come di una compiuta emancipazione politica»31. Ciò che però è più significativo per le finalità di questo saggio è che, nel passaggio citato, il vero bersaglio della critica di Losurdo non è soltanto il liberalismo ma in primo luogo proprio Marx e il racconto dell’emancipazione politica che questi compie ne La questione ebraica.
È sorprendente che il confronto critico di Losurdo con questo testo di Marx sia molto più decontestualizzato e depoliticizzato rispetto alla sua penetrante controstoria della tradizione liberale. Losurdo trasmette ai lettori l’impressione che la trattazione dell’emancipazione politica compiuta dal giovane Marx non si curasse del fatto che in America schiavitù e deemancipazione fossero realtà ancora presenti32. A ben guardare, però, Marx non trascurava affatto la realtà oppressiva della schiavitù in America, paese in cui, in alcuni casi, lo Stato era formalmente (politicamente) emancipato dai consolidati poteri della religione e della proprietà privata. Proprio perché ne era consapevole, infatti, Marx qui non scrive semplicemente «in Nord America» ma scrive che «solo nei liberi Stati dell’America del Nord – almeno in una parte di essi [corsivo mio] – la questione ebraica perde il suo significato teologico per diventare una questione realmente mondana», concludendone che «solo là dove lo Stato politico esiste nella sua formazione compiuta, il rapporto dell’ebreo e in generale dell’uomo religioso, con lo Stato politico, vale a dire il rapporto della religione con lo Stato, può presentarsi nella sua peculiarità, nella sua purezza»33. Di conseguenza, prima di affrettarci a concordare con l’affermazione di Losurdo per la quale non si può ragionevolmente sottoscrivere la tesi di Marx per cui l’«emancipazione politica» americana rappresenterebbe un grande progresso, occorre esaminare con attenzione ciò che Marx effettivamente intendeva, in relazione alla cosiddetta «questione ebraica», quando si riferiva a uno Stato esistente nella sua formazione compiuta.
Quando parla di uno Stato moderno nella sua formazione compiuta, Marx ha in mente uno Stato che si è emancipato dai privilegi formalmente riconosciuti in precedenza a una particolare religione o classe sociale. Uno Stato moderno completamente sviluppato è uno Stato liberale che considera tutti i cittadini eguali davanti alla legge ed egualmente meritevoli di diritti civili e politici. Nel suo nucleo, lo standard giuridico di ogni Stato politicamente emancipato deve pertanto escludere lo schiavismo legalmente sancito che vigeva negli Stati del Sud prima della guerra di Secessione. In caso contrario non è possibile parlare, come fa Marx, di «libero Stato» nel senso forte di uno Stato moderno nella sua formazione compiuta. Un tale Stato sarebbe, piuttosto, uno Stato sottosviluppato e reazionario. Ma cosa ha a che fare uno Stato politicamente emancipato con la «questione ebraica»? Qualsiasi tentativo di rispondere a questa domanda richiede grande attenzione al contesto storico e politico. Per inciso, tra l’altro, proprio la «questione ebraica» così come intesa da Marx conferma la tesi di Losurdo per cui alcuni «gruppi sociali ed etnici» hanno continuato a subire dominio e discriminazione nonostante il trionfo della «rivoluzione liberale». Questo “difetto” della rivoluzione liberale, in altre parole, evidenzia già per Marx il potenziale e i limiti dell’emancipazione politica entro i confini dello Stato moderno sviluppato.
Prima di passare a La questione ebraica è utile dire qualcosa sull’esperienza storica di persecuzione religiosa subita dalla comunità ebraica renana e sulle discriminazioni politiche che ne derivarono. Negli ultimi anni, eminenti biografi di Marx hanno prestato maggiore attenzione all’emancipazione post-rivoluzionaria degli ebrei renani, che furono poi deemancipati dal Regno di Prussia nel 1815. Questo processo di deemancipazione ebbe un profondo impatto su quella comunità. Il padre di Marx, Heinrich – discendente da una famiglia rabbinica che aveva abbracciato l’umanismo liberale – fu costretto a convertirsi al luteranesimo per conservare il suo studio di avvocato. Tuttavia, il fratello di Heinrich, Samuel, portò avanti i suoi doveri rabbinici a Treviri ancora per molto tempo dopo che la moglie di Heinrich, il loro figlio Karl e gli altri figli erano stati battezzati34. In breve, le conseguenze della deemancipazione post-1815 furono tutt’altro che irrilevanti per gli ebrei renani35.
Questo aiuta a spiegare perché i capi della comunità ebraica della Renania si avvicinarono all’allora venticinquenne Karl Marx per domandare il suo sostegno a una petizione che richiedeva eguali diritti civili e politici per gli ebrei36. Dopo La questione ebraica Marx tornò poi su questo argomento ne La Sacra Famiglia, una polemica scritta insieme a Engels contro i fratelli Bauer e i loro sostenitori. Proprio la discussione che Marx svolge in quell’opera aiuta a meglio precisare e definire la posizione che egli sviluppava nel suo testo precedente. Marx individua un’ipocrisia nella repubblica costituzionale francese; quest’ultima infatti, seppur dichiaratamente laica, continuava a discriminare gli ebrei a causa della predominanza religiosa del cristianesimo37. Ebrei e cristiani erano considerati eguali agli occhi della legge francese, eppure Marx fa notare come gli ebrei, di fatto, fossero discriminati. Ora, questo fenomeno è strettamente connesso alla precedente intuizione di Marx sull’ipocrisia dello Stato cristiano moderno in relazione alla minoranza ebraica38, al punto che egli sostiene che il grado di emancipazione politica degli ebrei dovrebbe valere come punto di riferimento per valutare il livello di sviluppo generale degli Stati39.
Lungi dal sottostimare la deemancipazione che diversi gruppi etnici e nazionali stavano subendo, insomma, Marx sta reiterando l’idea che l’emancipazione politica è una condizione necessaria ma non sufficiente per l’emancipazione umana. A questo proposito, la sensibilità di Marx rispetto alla possibilità della deemancipazione non differisce significativamente dalla posizione assunta da Losurdo, il quale osserva che «oltre a non essere indolore, il processo storico sfociato nell’avvento della democrazia risulta tutt’altro che unilineare» e precisa che «l’emancipazione, e cioè l’acquisizione di diritti precedentemente non riconosciuti e non goduti, può ben essere seguita da una deemancipazione, e cioè dalla privazione dei diritti di cui gli esclusi avevano strappato il riconoscimento e il godimento»40. Le tragiche esperienze storiche degli ebrei in Germania, che Marx ben conosceva, ne sono un vivido esempio.
Losurdo spiega le motivazioni della sua critica a La questione ebraica di Marx in un’utile intervista del 2012 alla Platypus Affiliated Society. In questa intervista critica nuovamente il riferimento di Marx all’emancipazione politica nel contesto americano e ancora una volta non tiene conto della selettività del suo riferimento alla parte di «liberi Stati» americani (piuttosto che all’America del Nord nel suo complesso) in cui l’emancipazione politica era un termine applicabile almeno dal punto di vista concettuale. Losurdo sospetta invece che l’approccio “unilaterale” del giovane Marx alla questione dell’emancipazione politica (e la sua presunta disattenzione al problema della deemancipazione) fosse dovuto a una mancanza di familiarità con la storia americana. Ma nello stesso contesto chiarisce la base più ampia della sua critica, che si estende da Marx ed Engels alla tradizione marxista nel suo complesso, che è la cosa che più ci interessa riguardo al confronto con il liberalismo. Su questioni riguardanti lo Stato, il diritto e i diritti, Losurdo ritiene infatti che il marxismo sia fondamentalmente carente rispetto al liberalismo41. In particolare, mostra l’incapacità di questa tradizione di dare un senso teorico cogente alla necessità di una regolamentazione giuridica che limiti il potere arbitrario e protegga i diritti dopo il capitalismo.
Losurdo fa bene a rimarcare come questa lacuna teorica, specialmente per come essa emerge dall’opera del giurista sovietico Evgeny Pashukanis e di altri autori, abbia avuto conseguenze politiche devastanti in Unione Sovietica42. Mentre indica questi importanti punti ciechi nella tradizione marxista, avverte inoltre che «non possiamo leggere la tesi di Marx ed Engels [la tesi dell’estinzione dello Stato] in modo semplicistico»43. Nello spirito dell’insegnamento losurdiano, comunque, nei paragrafi che seguono dimostrerò brevemente che una lettura di Marx più produttiva e “caritatevole” mostra in realtà anche in quest’ultimo una preoccupazione più profonda per la legalità e i diritti di quanto non avvenga nella stessa tradizione liberale, soprattutto in condizioni di restaurazione autoritaria.
Se è vero che il futuro del diritto sotto il socialismo non è stato sufficientemente teorizzato da Marx e dai marxisti successivi, vi è infatti un senso preciso in cui Marx ha riconosciuto l’importanza della legalità e dei diritti in un frangente critico per il loro destino. Abbiamo già visto come La questione ebraica di Marx, spesso letta come un trattato contro i diritti, fosse scritta con l’obiettivo di difendere l’eguaglianza dei diritti civili e politici degli ebrei, in particolare di fronte alla feroce opposizione di pensatori come Bruno Bauer (l’ex mentore di Marx) e, soprattutto, dello Stato prussiano. La posizione di Marx sullo status della legalità e dei diritti dopo il capitalismo, allora, deve essere affrontata su due livelli, dato che egli non ci ha lasciato alcuno scritto esaustivo su questi argomenti. Il primo livello è testuale e si limita quindi a un’esegesi degli scritti che Marx ha pubblicato o non ha pubblicato in specifiche congiunture politiche. Il secondo livello si concentra invece su ciò che può essere logicamente dedotto dai suoi argomenti e obiettivi teorici. Per quanto riguarda il lato testuale, si deve prestare attenzione alla posizione di Marx sul valore della legalità e dei diritti durante le rivoluzioni del 1848 – in particolare nelle due Germanie, contesto in cui Marx era politicamente immerso. E bisogna notare come già prima della Rivoluzione di marzo Marx sottolineasse il valore politico della legalità e dei diritti del proletariato.
Per mettere le cose in prospettiva, questo accadeva in un momento in cui i giornali socialisti rivali liquidavano la legalità e i diritti come inganni borghesi. Marx sosteneva una visione diversa:
«Il proletariato non si potrebbe certo interessare ai privilegi degli stati feu- dali. Ma una Dieta che chiede giurie popolari, eguaglianza di fronte alla legge, abolizione delle servitù, libertà di stampa e una reale rappresentanza, una Dieta che abbia rotto una volta per sempre col passato e che abbia conformato le sue rivendicazioni secondo le esigenze dei tempi, una Dieta così potrebbe contare sul più energico appoggio del proletariato»44.
Questa posizione di Marx sui diritti civili e politici rimarrà sempre invariata. Egli sosterrà, ad esempio, che una stampa libera rimane una forza reale contro gli abusi arbitrari del potere da parte dello Stato e dei suoi funzionari. Quando la questione della libertà di stampa tornerà in gioco, formulerà questo avvertimento:
«A partire dal giorno in cui questa legge entrerà in vigore, i funzionari potranno commettere impunemente qualsiasi atto arbitrario, tirannico, illegale; potranno impunemente picchiare e far picchiare, arrestare, detenere senza interrogatorio; l’unico controllo efficace, la stampa, è reso inefficace. Il giorno in cui questa legge entrerà in vigore, la burocrazia potrà festeggiarlo con gioia: sarà più potente, meno ostacolata, più forte di quanto non fosse prima di marzo»45.
Questo la dice lunga sull’opinione convenzionale per cui Marx non si sarebbe preoccupato degli abusi del potere esecutivo. Va inoltre riconosciuto che ogni discussione sul diritto e i diritti dopo il capitalismo deve partire dalla premessa che il comunismo fu concepito da Marx (ed Engels) come un movimento in divenire, che attinge a premesse già esistenti, piuttosto che come un ideale o un’utopia che debbano essere impressi dall’alto sulla realtà sociale. Per questo motivo, è ai movimenti politici contemporanei e alle lotte contro il capitalismo che si deve guardare, per comprendere come potrebbero strutturarsi il diritto e i diritti oltre il capitalismo. Né Marx né Engels possono offrire indicazioni certe rispetto a quale potrà essere il loro contenuto nel comunismo46.
Proprio tenendo conto dei risultati emersi nella Controstoria, assieme alla lotta per la trasformazione delle condizioni sociali e degli individui, in La lotta di classe Losurdo sarà più disponibile ad apprezzare gli scritti in cui Marx ed Engels si confrontano con la tradizione liberale. Come vedremo nella prossima sezione, la differenza decisiva tra Nietzsche e i fondatori del marxismo classico può invece essere ricondotta alle loro opposte “reazioni” verso l’eredità lasciata da Hegel. Marx ed Engels condividevano la dialettica hegeliana della lotta per il riconoscimento e cercavano di estenderne gli esiti oltre l’eguaglianza dei diritti liberale47; e cioè essi estendevano il potenziale che emerge dalla conquista del moderno concetto di persona oltre i limiti della “comunità dei liberi”. Nietzsche fa la mossa esattamente opposta.
- Un degno avversario: il tentativo di Nietzsche di invertire la filosofia hegeliana e il “punto d’approdo” della filosofia classica tedesca
Secondo Losurdo, Nietzsche era un pensatore politico da capo a piedi. Le convinzioni politiche di Nietzsche erano “reazionarie” nel senso classico della parola, nonché guidate da un radicalismo aristocratico che non ha eguali tra i filosofi moderni. Questa, che per alcuni può sembrare una tesi intuitiva, contrasta con le interpretazioni oggi prevalenti di Nietzsche come filosofo del “prospettivismo”, aperto a diverse concezioni della moralità ma sempre apolitico. Tali interpretazioni di Nietzsche, colpevoli, nella formulazione di Losurdo, di un’«ermeneutica dell’innocenza», non potrebbero però essere più lontane dalla verità. Nietzsche costituisce il più formidabile critico di Hegel. La sua politica di radicalismo aristocratico e la sua “reazione” ai movimenti politici del proprio tempo erano parte integrante di un maestoso tentativo di invertire il percorso dialettico tracciato da Hegel mediante la lotta per il riconoscimento tra servo e signore. Ragion per cui – ed è per tale motivo che questo autore rientra in questo saggio – Nietzsche deve essere considerato come il più valido avversario della filosofia classica tedesca e per certi aspetti come il suo vero “punto d’approdo”.
Come per Hegel, sono state formulate interpretazioni opposte anche per il pensiero di Nietzsche, i contenuti delle quali sono variati notevolmente a seconda dei periodi storici. Gli interpreti più ostili alle sue posizioni furono probabilmente Bertrand Russell (nel suo libro del 1945, Storia della filosofia occidentale) e György Lukács (con la sua opera del 1954 La distruzione della ragione). Nonostante le loro notevoli differenze filosofiche e politiche, Russell e Lukács scrivevano entrambi per contrastare le ombre ancora visibili del nazismo. Anche se nessuno dei due si concentrò esclusivamente su Nietzsche, entrambi interpretarono la sua prospettiva filosofica come un’ispirazione per il movimento che trovò espressione nella politica genocida del Terzo Reich. Questa condanna suscitò da subito, però, interpretazioni diametralmente opposte, ad esempio da parte di Walter Kaufmann, il cui classico del 1950 Nietzsche: filo- sofo, psicologo, anticristo può essere considerato come il libro che, con successo, “riabilitò” Nietzsche rispetto al nazismo. Vale la pena di notare che il sottotitolo di questo libro, in modo rivelatore, esclude proprio ogni considerazione di Nietzsche come pensatore e attore politico. Per quanto lodevole fosse questo contributo all’epoca in cui apparve, la sua interpretazione era dunque sovradeterminata dalla necessità di diminuire la forza della retorica politica di Nietzsche, finendo per “passare una mano di bianco” sulle sue reali posizioni politiche ogni volta che i suoi pronunciamenti non erano in accordo con la sensibilità popolare del dopoguerra. Questa tendenza a interpretare Nietzsche in modo apolitico si è da qui estesa alle letture “postmoderniste”, come quella di Alexander Nehamas nel suo influente Nietzsche, La vita come letteratura, che paragona l’opera di Nietzsche a un esercizio di autocreazione letteraria. Tali interpretazioni di Nietzsche enfatizzeranno la dimensione estetica del suo lavoro a spese di quella normativa e politica, come se queste fossero in qualche modo non correlate. Nietzsche ha esclamato in Al di là del bene e del male che «non esistono affatto fenomeni morali, ma soltanto una interpretazione morale di fenomeni»48, ma questo suo prospettivismo era informato dalla profonda convinzione che certi modi di vivere fossero nettamente superiori ad altri, anche se il loro perseguimento (che egli approvava vivamente) avrebbe portato a ridurre di nuovo in schiavitù la maggior parte della popolazione umana. In questo senso, il prospettivismo di Nietzsche era tutt’altro che una preferenza estetica. Il tema del “gusto”, del resto, porta con sé importanti implicazioni politiche che non dovrebbero essere ignorate, quando si ha a che fare con un pensatore di tale audacia49. Oltre ad essere un filosofo, uno psicologo e un anticristo, Nietzsche era perciò indiscutibilmente anche un pensatore politico, che cercava di portare l’umanità a «prendere nuove strade»50. E in questo senso era mosso dall’obiettivo di riunire teoria e pratica non meno di quanto lo fossero Marx ed Engels51.
Ma ciò che distingue il Nietzsche di Losurdo dalle interpretazioni concorrenti che hanno già affrontato questo tema è che egli tratta Nietzsche come un pensatore e un attore in primo luogo politico e cioè come un autore che pensa a partire dalle controversie politiche del suo tempo. Da questa prospettiva, Losurdo è allora in grado di comprendere Nietzsche come un formidabile avversario, separando da qui in avanti l’analisi scientifica dall’impegno ideologico. Il fascino che Nietzsche ha esercitato su di lui, durato tutta la vita, attesta così la rara capacità dello storico italiano (rispetto a molti autori della tradizione marxista) di imparare da avversari di valore.
Se Losurdo non è certo il primo autore a notare quanto la Comune di Parigi avesse turbato Nietzsche, è tra i pochi a suggerire che le preoccupazioni di Nietzsche a riguardo possano essere fatte risalire già a La na- scita della tragedia. La sua reazione alla Comune è illuminante su diversi livelli. In primo luogo, le inquietudini di Nietzsche riguardo alle minacce alla civiltà poste dai comunardi di Parigi riflettono il suo peculiare rapporto con il movimento liberale: un rapporto iniziato con un’approvazione condizionata, seguito da un crescente scetticismo dovuto all’avvicinamento del liberalismo al movimento democratico e finito con un disconoscimento di quei liberali che intendevano coalizzarsi con l’ambizione socialista di creare la «bestia nana fornita di eguali diritti ed esigenze»52. In secondo luogo, quella reazione è rivelatrice rispetto alle sue opinioni sul movimento socialista. Losurdo ha ragione nel sottolineare che Marx e Nietzsche non si conoscevano, ma questo non ha impedito a nessuno dei due di commentare indirettamente le posizioni dell’altro attraverso la lente dei loro contemporanei53. La Comune di Parigi offre perciò agli studiosi l’opportunità di confrontare il modo in cui ciascun pensatore ha reagito a questo evento «storico-mondiale» e le implicazioni che esso ha avuto per le rispettive teorie politiche. E su questo piano non possono esserci dubbi: Nietzsche vedeva inquietanti collegamenti tra il 1789 e il 1871 e leggeva queste date come momenti in cui si riaffermava il disastroso trionfo della morale degli schiavi con le sue implicazioni nichiliste.
Nietzsche era profondamente turbato dai pericoli che la Comune poneva per il futuro della “cultura”, che egli considerava privilegio di pochi. La nascita della tragedia è solitamente interpretata come un’opera apolitica; ossia come un originale e provocatorio confronto tra i due movimenti rivali che caratterizzavano il pensiero greco antico, in cui Nietzsche va ad abbracciare la prospettiva “tragica” piuttosto che visione “razionalistica” del Socrate di Platone. Il motivo di fondo de La nascita della tra- gedia non può però essere astratto dall’evento politico cruciale del suo tempo e dai legami che Nietzsche cominciava allora a tracciare tra il platonismo, l’ebraismo, la Rivoluzione francese e i pericoli posti dalla Comune. Non deve sorprendere, allora, che il primo Nietzsche sostenesse un’idea di “liberalismo nazionale” che, nell’affermare una visione moderatamente tragica della vita, cercava altresì di riportare all’ordine le forze indisciplinate del movimento democratico54.
Il liberalismo è costretto a convivere con eterne “contraddizioni”, abbracciando “mali necessari” e adottando una concezione molto circoscritta del “possibile in ambito sociale e politico”: alla luce di questo, è meno difficile capire perché, secondo Losurdo, il primo Nietzsche sia stato tanto ricettivo rispetto alla visione tragica della vita affermata dal liberalismo. Per comprendere meglio queste affinità elettive in questa fase del suo sviluppo intellettuale, si deve considerare proprio l’indisciplinata marea di ottimismo contro cui egli dirigeva la sua polemica. Il socratismo e l’ebraismo condividevano un comune ottimismo sulla capacità degli esseri umani di trascendere attraverso la ragione le circostanze dettate dalla natura e di superare la stessa sofferenza. Sia il socratismo che l’ebraismo rinunciano perciò alla “prospettiva tragica”, in cui Nietzsche identificava la vita sic et simpliciter. Da questo punto di vista, il fatto che il liberalismo si fondasse sull’idea della fallibilità umana, assieme al fondamentale pessimismo di questa teoria politica riguardo alle possibilità della politica, non potevano che risultare per lui ben più attraenti delle concomitanti e minacciose alternative democratico-socialiste.
L’apertura di Nietzsche alla variante europea del “liberalismo nazionale” fu particolarmente evidente dopo che la Comune di Parigi venne repressa nel sangue e mentre la Terza Repubblica francese sembrava in grado di pacificare qualsiasi minaccia residua55. Secondo l’interpretazione di Losurdo, in questa fase Nietzsche era persino disposto a considerare l’idea di estendere il suffragio maschile, ritenendolo una possibile base per un’ulteriore pacificazione e stabilizzazione: «l’importante è però – osserva Nietzsche – che non si confondano mezzi e fini. La democrazia non è un fine in sé, ed è probabile o auspicabile che non lo sia neppure per coloro che ad essa dicono di volersi ispirare»56. In questo senso, condivideva per intero la distinzione tra liberalismo classico e democrazia.
La ricettività di Nietzsche nei confronti del liberalismo, durante questo periodo, andava del resto di pari passo con la denuncia dell’istruzione pubblica e della partecipazione politica attiva, che egli curiosamente associava agli insegnamenti di Platone e al livellamento sociale ispirato dai giacobini57. Essa era però soprattutto radicata nella sua profonda ostilità verso il “socialismo” e nel timore che il potere pubblico finisse per inglobare l’individuo. In alcuni passaggi Nietzsche suona persino come un “neoliberale” avant la lettre, poiché mostra di possedere una chiara concezione del rapporto dello Stato con l’economia e dei suoi necessari confini58. In altre parole, Nietzsche si schierava con il liberalismo classico nell’opporsi a quello Stato sociale che cercava di intervenire sull’economia per alleviare le forme oggettive della sofferenza e degradazione umana59. Non diversamente da Locke nel suo Essay on the Poor Law, considerava perciò le agitazioni e i disordini sollevati dai lavoratori come una questione di «individui malriusciti, tarati, interiormente bacati»60. Di conseguenza, mentre era disposto ad accettare il suffragio maschile come prevenzione di ogni ulteriore possibile Comune di Parigi, egli si opponeva risolutamente, al contempo, a qualsiasi sforzo riformatore volto a espandere il potere collettivo dei lavoratori e del sempre più vasto movimento socialista teso a promuovere i loro interessi61.
Il “matrimonio” di Nietzsche con il liberalismo non arrivò però alla sua “terza fase”, proprio a causa della dialettica di emancipazione e deemancipazione di questa teoria politica. Proprio le riluttanti concessioni del liberalismo classico al proto-Stato assistenziale, cioè, portarono Nietzsche ad allontanarsi da un movimento con il quale, pure, aveva in precedenza trovato una causa comune. Adesso, dirà, «non siamo assolutamente “liberali”, non lavoriamo per il progresso, non abbiamo bisogno di tapparci le orecchie contro le avveniristiche sirene del mercato – quel che esse cantano, “eguaglianza dei diritti”, “libera società”, “basta con i padroni e con gli schiavi”, non ci attira»62. Siamo così di fronte alla prospettiva “matura” di Nietzsche, che concepisce ora il platonismo, la tradizione cristiano-giudaica, il socialismo e persino lo stesso liberalismo come fratelli che si sono nutriti allo stesso corrotto albero del risentimento. Facendo gli avvocati del diavolo, si potrebbe allora dire che Nietzsche non ha lasciato il “movimento liberale” ma che, piuttosto, il movimento liberale ha lasciato Nietzsche, gettando con le sue concessioni nuova benzina sul fuoco rivoluzionario del socialismo. Non poteva esservi un tradimento peggiore, per lui, che vedere il liberalismo porre fondamenta politiche e culturali in favore della rivoluzIone.
L’allontanamento di Nietzsche dal liberalismo può essere compreso fino in fondo, però, solo se si prende sul serio la sua dichiarata opposizione a un mondo in cui non ci siano più padroni e schiavi e dunque il suo anti-hegelismo di fondo. Hegel aveva abbracciato la Rivoluzione francese come un punto di svolta decisivo nella lotta per la libertà, che era iniziata con la dialettica di signoria e servitù e puntava a un nuovo mondo senza servi e senza padroni. L’opera di Hegel produsse proprio per questo un’impressione profondamente negativa su Nietzsche, in quanto dava voce al protagonista che più di ogni altro egli disprezzava e a una visione del mondo che aborriva. Così parlò Zarathustra, Al di là del bene e del male, La genealogia della morale e L’Anticristo, evidenziano esattamente questo: la sua ossessione per il pathos della distanza tra servi e signori, il rifiuto del mondo inaugurato dalla rivolta degli schiavi, la necessità di introdurre una nuova rivoluzionaria “filosofia del futuro” che ripristini la distanza tra servi e padroni. È esattamente il proposito di invertire la Fenomenologia dello spirito di Hegel, quell’immane programma implicito che ha attirato l’attenzione di Losurdo63.
Il disaccordo di Nietzsche con Hegel derivava in realtà già dalle lezioni diametralmente opposte tratte dal mondo antico. Mentre Hegel vedeva l’antica polis come una circoscritta comunità etica che non permetteva la fioritura dell’individuo autonomo, Nietzsche anelava al ritorno a un regime cetuale in cui si rinunciasse al concetto moderno di persona64. In questo senso, Nietzsche si distingueva da Hegel e dalla tradizione della filosofia classica tedesca per il suo posizionamento da “antimodernista moderno”. La sua prospettiva implicava la rinuncia all’eredità emancipatrice della Rivoluzione francese e il rifiuto di qualsiasi movimento che prendesse come punto di partenza l’eguaglianza formale degli esseri umani. Anche il liberalismo classico, con cui Nietzsche si era precedentemente identificato, non era a questo punto più tollerato, in quanto predicava la medesima, disprezzata dottrina dell’eguaglianza quantomeno formale. Nietzsche si rese conto però che la filosofia che celebrava la modernità poteva essere sovvertita solo mediante il ricorso a una filosofia ancor più potente, ma dagli obiettivi decisamente antimoderni65. Ed è esattamente questo antimodernismo moderno di Nietzsche che rivela, per Losurdo, l’unità e la coerenza, altrimenti nascoste, del suo pensiero66. Per comprendere adeguatamente Nietzsche dobbiamo comprendere il suo tentativo di invertire Hegel e dobbiamo guardare perciò alle “radici” del problema ne La genealogia della morale, quella che, nonostante l’opposizione di Nietzsche ai “sistemi”, rimane la sua opera più sistematica.
È sorprendente vedere, allora, come il punto di partenza di Nietzsche si ponga qui in esatto parallelo con la discussione di Hegel di signoria e servitù nella Fenomenologia. Nietzsche si rivolge all’etimologia ma, proprio come Hegel, prende le mosse dal pathos della distanza tra i signori, abbastanza potenti da imporre i loro valori come legge, e i servi, subordinati per debolezza fisica alla volontà del più forte. Nietzsche pone poi l’attenzione sull’inversione dei concetti di “buono” e “cattivo” in “cattivo” e “buono”, sviluppando una compiuta analogia con l’inversione dialettica della figura di signoria e servitù, in cui il servo ha infine il sopravvento rispetto al signore e aggiungendo la spiegazione per cui questo capovolgimento non è avvenuto perché gli schiavi siano riusciti a “sopraffare” i padroni, ma solo tramite una “vendetta spirituale” motivata da un enorme risentimento.
Tando odio per gli schiavi, in ogni caso, non dovrebbe far dimenticare la sua ammissione che «la storia umana sarebbe una cosa veramente troppo stupida senza lo spirito che da parte degli impotenti [gli ebrei] è venuto in essa»67. Né l’affermazione per cui «nella morale la rivolta degli schiavi ha inizio da quando il ressentiment diventa esso stesso creatore e genera valori»68. Queste non sono parole di disprezzo: per quanto controvoglia, Nietzsche attribuisce in realtà proprio agli schiavi il merito di aver introdotto la profondità nella vita umana; e va anche oltre, sottolineando la vittoria decisiva della Giudea su Roma69. Certo, aborriva il compimento della dialettica hegeliana (l’ascesa della morale dei servi e della progenie di essa, la modernità democratica); ma al tempo stesso non poteva che concedere riconoscimento all’eredità storico-mondiale degli schiavi stessi, che avrebbe ispirato la Riforma protestante e la Rivoluzione francese.
Non è affatto una coincidenza, insomma, che l’approccio genealogico di Nietzsche segua da vicino la fenomenologia dialettica di Hegel, sebbene invertendo il giudizio di valore tra le parti in causa. È interessante notare, poi, che sia Hegel che Nietzsche pongono l’accento sui meriti di Napoleone, per quanto per ragioni diametralmente opposte. Per Hegel, Napoleone rappresenta lo «spirito del mondo a cavallo», che annuncia una nuova era di libertà ed eguaglianza; Nietzsche, al contrario, considera Napoleone come «l’ultimo aristocratico» e il migliore esito emerso da quella disprezzata rivoluzione. Anche Nietzsche, in ogni caso, non si accontenta della descrizione dell’orrendo fait accompli. Per segnare adeguatamente la distanza tra il sottouomo e il superuomo, egli doveva proporre qualcosa al posto della decadente morale degli schiavi. Quando pubblicò Al di là del bene e del male aveva ben chiaro, dunque, ciò contro cui si batteva. Nietzsche ci dice che «il cristianesimo è un platonismo per il popolo»70 e, successivamente, che «il movimento democratico costituisce l’eredità di quello cristiano»71. La confluenza che per il primo Nietzsche vi era tra il platonismo (o socratismo), la tradizione cristianogiudaica e il minaccioso movimento democratico, è riaffermata così con forza e in modo indiretto fin nella sua opera matura72; con la differenza che egli ora include anche il liberalismo oltre al socialismo nella sua sempre più lunga lista di nemici mortali, a causa, in particolare, della loro comune visione del futuro73.
La preoccupazione di Nietzsche di fronte all’avanzata del socialismo è presentata anche in Così parlò Zarathustra come scelta fatale tra il retrogrado «ultimo uomo» e il lungimirante «superuomo». L’«amore» incondizionato di Nietzsche per il superuomo è saldamente radicato, però, nella sua celebrazione dell’ineguaglianza e della sofferenza come fatti naturali e desiderabili, tanto che Zarathustra afferma che «“Gli uomini non sono uguali”. E neppure debbono diventarlo! Che sarebbe il mio amore per il superuomo se io parlassi diversamente?»74. Altrettanto vivido è il ritratto poco lusinghiero che Nietzsche traccia dello spregevole «ultimo uomo»75, che importanti implicazioni avrà per la politica reazionaria successiva76. In sintesi, tutte le strade riconducono Nietzsche alla dialettica hegeliana di signoria e servitù, con la decisiva differenza che egli cercava di capovolgere le conquiste della “rivolta degli schiavi” e di dare spazio a una nuova «morale dei padroni», al superuomo che avrebbe portato l’umanità su nuovi/vecchi binari. Losurdo è pertanto pienamente nel giusto quando sostiene che Nietzsche non poteva immaginare un mondo senza padroni né servi. Dopotutto, il realizzarsi del «superuomo» (Übermensch) richiederà sempre, come suo corollario, una classe subordinata di “sottouomini” (Untermenschen), il che è l’esatto contrario della prospettiva avanzata da Hegel e dalla filosofia classica tedesca. D’altra parte, avrebbe Nietzsche potuto lanciare una sfida tanto ambiziosa a questa tradizione se non vi fosse stato immerso lui stesso, per quanto contro la sua stessa volontà?
- Il complesso rapporto di Losurdo con il liberalismo e il nostro
Il rapporto critico di Losurdo con il liberalismo è strettamente connesso alla doppia tendenza di emancipazione e deemancipazione inerente alla tradizione liberale. Come abbiamo visto, Losurdo sottolinea anche i meriti del liberalismo rispetto al marxismo, almeno quando si tratta della protezione giuridica delle libertà e delle funzioni di coordinamento dei mercati. Mentre è certamente vero che, con scarsa utilità, l’atteggiamento della tradizione socialista verso i mercati ha oscillato tra scetticismo e ostilità77, Losurdo è irremovibile sul fatto che non possa esservi un futuro socialista oltre il mercato78. E proprio questa tesi informa la sua visione favorevole della traiettoria di sviluppo intrapresa dal Partito comunista cinese in seguito alle riforme “liberalizzanti” di Deng Xiaoping, sullo sfondo dell’egemonia imperialistica americana: Losurdo interpreta tali riforme addirittura in termini analoghi alla Nuova politica economica (NEP) che fu intrapresa da Lenin79.
C’è da chiedersi se questo atteggiamento tanto favorevole al mercato non porti a trascurare il significato che Marx aveva attribuito alla democratizzazione dell’economia nella forma dell’autogestione operaia. Lungi dal dare credito a questa intuizione, Losurdo critica Marx ed Engels per essere scivolati qui, nella loro lungimirante visione del comunismo, in una sorta di «idealismo della prassi»80. Nel suo apprezzamento dei mercati (anche a quelli socializzati) non c’è però il pericolo opposto, ossia quello di trascurare il fatto che i mercati non generano democrazia né autodeterminazione collettiva, e nemmeno il libero sviluppo degli individui celebrato da Marx ed Engels come dalla tradizione della filosofia classica tedesca81? Come abbiamo esperito, riforme favorevoli ai mercati sono state spesso varate proprio con l’obiettivo di limitare la democrazia e inibire il libero sviluppo degli individui. E in questa prospettiva, in La lotta di classe Losurdo mi pare trascurare una delle intuizioni politiche più originali di Slavoj Žižek, e cioè il fatto che è stata semmai la tradizione liberale a imparare dalla sua controparte “comunista” contemporanea (ossia la Cina) che livelli senza precedenti di crescita economica ed efficienza possono essere raggiunti anche senza rispettare i diritti formali “borghesi” e le libertà politiche82.
Da questo punto di vista, le democrazie liberali capitalistiche, oggi diffusamente caratterizzate da diseguaglianze di classe e da forme di esclusione, possono permettersi di fare a meno della democrazia e dei diritti politici in modi che sarebbero stati impensabili nel lontano passato. Invece di esaltare il potere correttivo dei mercati (socialisti o meno), sarebbe importante, allora, che questi fossero sottoposti al controllo democratico. Ed è proprio in questo senso, a mio avviso, che i socialisti dei nostri giorni dovrebbero essere più “liberali” dei liberali nel difendere contro ogni assalto autoritario i diritti conquistati. Cominciando magari con il prestare maggiore attenzione alle lezioni pratiche che Marx ed Engels ci hanno trasmesso a proposito della restrizione delle libertà nel periodo 1848-49 e traendone le conseguenze oggi, in un momento in cui il liberalismo si trova sotto attacco da parte di una folta schiera di avversari politici antiliberali, tra cui i fascisti nuovamente risorti.
Non è più possibile, purtroppo, confrontarsi con Losurdo su queste tematiche. Ricordiamo però che egli conclude La lotta di classe chiedendo ai lettori di andare oltre ogni concezione binaria e riduzionista del conflitto e di sottrarsi alla «nostalgia» populista della «pienezza originaria» del popolo contro le élite83, proprio per salvare «uno strumento essenziale al tempo stesso per la comprensione del processo storico e per la promozione delle lotte di emancipazione»84. Il complesso rapporto di Losurdo con il liberalismo, alla fine, non è allora altro che il tentativo di usare questo strumento per far luce sulle contraddizioni del pensiero e della pratica politica liberale moderna: dando voce a un orientamento critico verso il mondo e con la volontà di rendere la filosofia “reale”, esso si appella alla perdurante eredità della filosofia classica tedesca e alle sfide politiche che questa è ancora oggi chiamata ad affrontare.
Trad. it. di Eleonora Piromalli, Università di Roma “La Sapienza”.
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Note
1 Cfr. LÖWITH 2000.
2 Cfr. ENGELS 2009.
3 LOSURDO 2005, p. viii.
4 Ibid.
5 Ivi, p. 3.
6 Cfr. KANT 2006, pp. 248-249.
7 Cfr. BUCK-MORSS 2005.
8 Cfr. BURKE 2020.
9 LOSURDO 1992, p. 140.
10 Ibid.
11 HEGEL 1981, pp. 202-203.
12 CONSTANT 2001, p. 19.
13 LOSURDO 1992, p. 140.
14 Cfr. BEINER 2018.
15 LOSURDO 1992, p. 2004.
16 Ivi, p. 183.
17 Cfr. KANT 1997, 4:429, p. 91.
18 LOSURDO 1992, pp. 105-106.
19 Ivi, pp. 159-160.
20 Ivi, p. 204.
21 Ivi, p. 190.
22 Ivi, p. 188.
23 MARX—ENGELS 1962, p. 72.
24 Cfr. GRAMSCI 1975, pp. 1550-1551.
25 HEGEL 2004, § 245, p. 188.
26 Ivi, aggiunta al § 244, pp. 355-356.
27 LOSURDO 1992, p. 195.
28 Cfr. BRUDNER 2017.
29 HEGEL 2004, p. 15.
30 Ibid.
31 LOSURDO 2005, p. 316.
32 Cfr. Ibid.
33 MARX 1954b, pp. 53-54.
34 Cfr. AVINERI 2019, p. 12.
35 Ivi, p. 8.
36 Cfr. MARX 1980, p. 420.
37 Cfr. MARX, ENGELS 1972, pp. 150-151.
38 Ivi, p. 145.
39 Ivi, p. 144.
40 LOSURDO 2005, p. 337.
41 Cfr. LOSURDO 2012.
42 Cfr. HAZARD 1951.
43 LOSURDO 2012.
44 MARX 1973, p. 240.
45 MARX 1974, p. 258.
46 Cfr. SHOIKHEDBROD 2019.
47 Cfr. LOSURDO 2013, p. 101.
48 NIETZSCHE 1968a, aforisma 108, p. 75.
49 Cfr. ANDREW 1985.
50 NIETZSCHE 1968a, aforisma 203, p. 103.
51 Cfr. LOVE 1986; ANDREW 1975.
52 NIETZSCHE 1968a, aforisma 203, p. 104.
53 LOSURDO 2002, p. 432.
54 Ivi, p. 311.
55 Ivi, p. 312.
56 Ivi, p. 313.
57 Cfr. ivi, p. 317.
58 Cfr. ivi, p. 352.
59 Ibid.
60 Ibid.
61 Cfr. ivi, p. 349.
62 LOSURDO 2002, p. 354.
63 Cfr. ivi, p. 358.
64 Cfr. ivi, p. 1058.
65 Cfr. ivi, p. 370.
66 Cfr. ivi, p. 898.
67 NIETZSCHE 1968b, saggio 1, aforisma 7, p. 232.
68 Ivi, saggio 1, aforisma 10, pp. 235-236.
69 Ivi, saggio 1, aforisma 16, pp. 250-252.
70 NIETZSCHE 1968a, p. 4.
71 Ivi, aforisma 202, pp. 101-102.
72 Cfr. ivi, aforisma 203, p. 103.
73 Ibid.
74 NIETZSCHE 1973, p. 121.
75 Cfr. ivi, pp. 11-12.
76 Cfr. LANDA 2018.
77 Cfr. LOSURDO 2013, p. 251.
78 Cfr. ivi, p. 258.
79 Cfr. ivi, p. 255.
80 Ivi, p. 241.
81 Cfr. WOOD 2014.
82 Cfr. ŽIŽEK 2021.
83 LOSURDO 2013, p. 338.
84 Ivi, p. 364.
FONTE: https://journals.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/3534
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
La società piatta
L’ultimo stadio dell’ideologia della sicurezza è la delazione di massa: gli individui competono tra di loro in un conflitto orizzontale per guadagnarsi lo status di vittime e chiedere protezione
Negli ultimi trent’anni, la questione della sicurezza, ha colonizzato l’agenda pubblica italiana, fino a culminare nella vittoria, nelle due ultime tornate elettorali, di forze politiche e schieramenti che fanno di legge e ordine la loro bandiera. In realtà, dietro il securitarismo, allignano questioni molto più complesse delle manette facili, che portano a interrogarsi sui fondamenti e sulla solidità degli assetti sociali e politici attuali. L’ultimo lavoro di Tamar Pitch, Il malinteso della vittima. Una lettura femminista della cultura punitiva (Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2022), costituisce un valido strumento attorno al quale articolare una riflessione demistificatoria delle tematiche della sicurezza.
Sin dalla metà degli anni Ottanta, assistiamo allo slittamento di significato del termine sicurezza che, dall’indicare una condizione sociale, passa a essere focalizzato sull’incolumità individuale, compiendo la traslazione che Alessandro Baratta definiva «dalla sicurezza dei diritti al diritto alla sicurezza» (Alessandro Baratta in Anastasia, S., Palma, M., La bilancia e la misura, Franco Angeli, Milano, 2001): l’Italia assimila con un decennio di ritardo questo cambiamento, che in Gran Bretagna, sin dai primi anni del governo di Margaret Thatcher, ha avviato progetti di prevenzione situazionale, ovvero mirati a rendere asettico l’ambiente esterno attraverso illuminazione pubblica e arredi urbani contro le «classi pericolose». In Francia, il governo socialista, ha promosso progetti ad ampio raggio di ristrutturazione urbana delle banlieues, senza tenere conto della questione sociale. Oltreoceano, il processo di securitarizzazione, è stato molto più marcato: da un lato, attorno alla privatizzazione della sicurezza, si è gradualmente sviluppato un mercato di polizie private e gated cities, ovvero le città fortezza dove i condomini votano addirittura se consentire alla madre di uno dei residenti di entrare nel complesso residenziale . Dall’altro lato, le politiche pubbliche improntate alla Tolleranza Zero, hanno trovato il loro compimento nella sindacatura di Rudolph Giuliani a New York. Attraverso un percorso di distruzione dello spazio pubblico che, dalla repressione delle cosiddette «inciviltà urbane» si snoda per la repressione dei crimini di strada veri o presunti (ricordiamo i 51 colpi che uccisero l’immigrato ghanese Amadou Diallo), approda a un uso ipertrofico della penalità, col numero dei detenuti nelle prigioni Usa che tocca i 4 milioni alla metà del primo decennio del 2000.
La trasformazione della sicurezza in una questione individuale corrisponde perciò a una vera e propria ingegneria sociale, in cui le classi subalterne diventano «classi pericolose», da espellere, sfrattare, vigilare, arrestare, condannare, all’interno della cornice in cui lo Stato sociale diventa Stato penale. Dall’altro lato, tra i gruppi sociali affluenti, prende piede il paradigma della vittima, rappresentata come un soggetto debole, indifeso, spaventato da potenziali aggressori, bisognoso di protezione sia da parte del contesto sociale di riferimento che dalle istituzioni statuali. Una società frammentata, individualizzata, priva di un denominatore comune che non sia la ricerca di un capro espiatorio di turno, è una società in preda alla paura, che chiede protezione anche a costo di rinunciare ai diritti fondamentali. In questo vuoto identitario e progettuale che si produce in parallelo all’avanzare del neoliberismo , il ruolo della vittima, sempre più identificato con la donna, diviene l’unica possibilità per accampare rivendicazioni. Ci troviamo, sottolinea Tamar Pitch, davanti a un mutamento strutturale, che si articola su tre piani.
In primo luogo, se prima le rivendicazioni venivano avanzate sul piano collettivo, per esempio da operai, afroamericani, donne, popolazioni colonizzate, adesso si esprimono sul piano individuale. In secondo luogo, se le rivendicazioni prima si contraddistinguevano per uno slancio egualitario, ci troviamo di fronte a un quadro contraddistinto dalla precondizione di accettazione della propria debolezza, all’interno del quale è meritevole di sostegno soltanto chi accetta di avere bisogno di protezione. Si tratta di un passaggio epocale significativo, in particolare in relazione alla condizione della donna. Se la sicurezza è a misura di individuo, ed è elargita a partire dall’accettazione della propria debolezza, le donne debbono assumere dei comportamenti auto-limitanti, a partire dalla riduzione delle uscite serali e della scelta di un abbigliamento sobrio. In caso contrario, le si attribuisce la responsabilità di aver provocato l’aggressore, secondo la nota formula «te la sei cercata». In terzo luogo, il paradigma della vittima, si connota per essere l’epifania della società piatta, ovvero un aggregato sovra-individuale caratterizzato da conflitti orizzontali, che si verificano tra gruppi che competono per lo status di vittima, finalizzato all’ottenimento di protezione e prebende da parte dello Stato. Dagli oppressi, nome collettivo, rivendicativo, si passa alla vittima, nome singolo, passivo.
Le conseguenze della società piatta, si riverberano sui rapporti sociali e sulle dinamiche politiche, in quanto delegano al penale la risoluzione dei conflitti e delle contraddizioni che animano la contemporaneità. Sotto questo profilo, la richiesta di legge e ordine, si configura come una vera e propria delazione di massa, con un gruppo pronto ad accusare l’altro in funzione della necessità di togliergli spazio nella competizione per il riconoscimento della vittima. Così gli autoctoni competono coi migranti, che competono con le donne, in un circolo vizioso saldato dalla domanda di legge e ordine. All’interno della società contemporanea, la vittima si ritrova sottoposta a sottostare alla duplice condizione di essere innocente e passiva. Deve aver subìto, non agito, e non deve essere stata coinvolta in episodi che l’hanno «messa nei guai». E non si tratta soltanto di agiti attinenti alla sfera sessuale, bensì anche di prese di posizione messe in atto sui luoghi di lavoro o in altri ambiti della sfera pubblica. L’essere accuditi, assistiti, risarciti, passa per la rinuncia a un ruolo di protagonismo pubblico e collettivo. In cambio del sostegno, del risarcimento, il potere richiede conformismo e sottomissione, adesione acritica a criteri valoriali e comportamentali elaborati e proposti dall’alto.
Una società incentrata sulla vittima, sulla sicurezza come conseguenza individuale, gestisce le curvature che attraversano il suo spazio attraverso il penale, criminalizzando l’avversario. Le minacce all’ordine neoliberale arrivano sempre dall’esterno, da anomalie che vanno rimosse, allontanate, affrontate con la massima durezza. Da qui troviamo l’istituzione di carceri come Guantanamo e Abu Ghraib, luoghi dove la produzione della distruzione di cui parla Michel Foucault, trova la sua concreta attuazione su individui appartenenti a gruppi selezionati attraverso il calcolo attuariale e ritenuti «a rischio» per le loro connotazioni politico-culturali. Una volta l’universo penitenziario funzionava come tappa intermedia per l’integrazione sociale all’interno della società industriale, dove i detenuti interiorizzavano la disciplina funzionale alla produzione seriale di beni e servizi. Nella società contemporanea, il carcere funziona in maniera opposta, ovvero come dispositivo votato all’incapacitazione collettiva. Operai, disoccupati, precari, migranti, rifugiati, attivisti, donne, Lgbtqi+, consumatori di stupefacenti, vengono collocati all’interno delle strutture detentive allo scopo di essere messi in condizione di non nuocere ai flussi economico-relazionali innescati dal neoliberismo.
All’interno di questo contesto, improntato al punitivismo di massa, si vorrebbe spingere anche il femminismo a cambiare pelle. Nato e sviluppatosi come movimento di emancipazione collettiva delle donne, cementato dalla condivisione delle esperienze di sopruso e sfruttamento, che alimentavano un progetto di società libertaria ed egualitaria, si tenta di ridurre a femminismo punitivo, parametrato sulla donna come individuo-vittima, che chiede al potere l’implementazione di misure restrittive e repressive. È l’idea mainstream di un femminismo debole, ridotto a identità posticcia, che chiede accoglienza al potere neoliberista, perdendo la sua carica antagonista ed emancipativa. La conseguenza più immediata è quella di un rigonfiamento della sfera penale, assurta a vero e proprio regolatore dei conflitti, con un aumento della punitività a discapito delle prerogative di uguaglianza di fronte alla legge e dell’innocenza fino a prova contraria. Inoltre, il fatto che razzismo, omofobia, sessismo siano passibili di conseguenze penali, non rappresenta una garanzia che questi fenomeni scompaiano dalle dinamiche sociali. Piuttosto, all’ombra del politicamente corretto mediato dal penale, alligna una società sempre più autoritaria. In secondo luogo, le conseguenze peggiori sono proprio per le battaglie femministe. Se le donne, come gli Lgbtqi+ e le altre minoranze, abdicano al loro ruolo di protagonismo collettivo per delegare la risoluzione di disuguaglianze e discriminazioni alla sfera penale, diventano categorie deboli, da proteggere. Ne consegue che ogni spinta verso il protagonismo viene etichettata come sovversione, pericolo per l’ordine sociale, riaffermando il patriarcato. È il caso della Gestazione per Altre (Gpa), che la lettura dominante ha ribattezzato come «utero in affitto», innescando una pluralità di narrazioni che, in nome della protezione del corpo femminile, criminalizzano sia le donne che vogliono diventare madri attraverso la Gpa, sia quelle che acconsentono a donare gli ovociti e a portare avanti la gestazione.
Il tentativo di depotenziare il femminismo da parte della società piatta, con la sfera penale assurta a regolatrice delle conflittualità, investe la società contemporanea nel suo insieme, a partire dai suoi principi fondativi. Se prima si parlava della rule of law, con le leggi a presidio delle interazioni tra individui e gruppi, oggi ci troviamo all’interno della law of rules, imperniata su di una pluralità di regolamenti particolari a normare su situazioni specifiche, con la repressione sullo sfondo, in un’ottica di privatizzazione del discorso pubblico, dove la punizione si configura per essere un risarcimento collettivo nei confronti della vittima. Si tratta dello stesso schema della pena di morte negli Usa, dove lo Stato, al momento dell’esecuzione, invita i parenti della vittima ad assistere, come ad assicurarli di avere ottemperato al risarcimento promesso.
All’interno di questa cornice marcatamente punitiva, anche la giustizia riparativa si svuota della sua carica alternativa al processo penale, per assumere un ruolo ancillare rispetto all’impianto repressivo dominante. Innanzitutto, perché l’utilizzo della giustizia riparativa è limitato soltanto ai reati dove esistono un reo e una vittima, riproducendo lo schema del contratto privato tra due parti. In secondo luogo, l’applicazione delle misure di giustizia riparativa, passa per una serie di pressioni e ricatti messi in atto sia verso l’autore che verso la vittima del reato. Per esempio, l’autore potrebbe trovare conveniente accettare la mediazione per evitare la galera, o la vittima potrebbe preferire convenire a una riparazione per schivare la possibilità di finire sulla ribalta mediatica qualora dovesse avere luogo un processo penale. In terzo luogo, la giustizia riparativa si caratterizza per un forte sostrato moralista, nella misura in cui si chiede al colpevole di pentirsi per usufruire della possibilità di essere perdonato. Infine, attraverso la mediazione, si chiede implicitamente all’imputato di ammettere la sua colpevolezza, aggirando così il principio di presunzione di innocenza su cui si fonda la giustizia dei paesi democratici. A fianco di questo aspetto, si sviluppa l’insistenza sul dialogo e sulla comunicazione, ovvero la convinzione che, attraverso il sistema penale, possa essere possibile sanare le lacerazioni che la commissione di un reato produce sul corpo della società, rimuovendo così il conflitto e la manifestazione di soggettività. Una rappresentazione forzata e posticcia della collettività come insieme armonico, su cui però pende la spada di Damocle della sfera penale, se nell’immediato rimuove i conflitti, a lungo termine rischia di inasprirli.
La manifestazione concreta della società piatta, fondata sulla paura, sostiene Pitch, l’abbiamo avuta nel corso della pandemia che ci ha colpiti del 2020. A fianco dell’avocazione e implementazione di poteri assoluti da parte dell’esecutivo, si è registrato l’apice del securitarismo, coi cittadini ristretti all’interno delle proprie case e la paura che veniva veicolata dai media attraverso gli esperti di turno, mentre i giovani venivano additati come capri espiatori, e l’emergenza sanitaria veniva utilizzata come pretesto per vietare le manifestazioni, all’interno di una retorica guerresca dove i no green pass erano additati come i nemici.
Come si inverte la tendenza securitaria? Stefano Padovano, nel suo ultimo libro, La sicurezza urbana. Da concetto equivoco a inganno (Meltemi, Roma, 2021), mostra come gli interventi orientati verso il welfare rappresentino un canale di integrazione sociale robusto, che sconfigge il securitarismo. In merito a come approdare a questo approccio, Stefano Anastasia, nella sua curatela Polarizzazione sociale e sicurezza urbana (Carocci, Roma, 2021), sottolinea la necessità di promuovere una sicurezza plurale, integrata, dove migranti, donne, Lgbtqi+, rifugiati e gli altri gruppi sociali, contribuiscano in modo decisivo a definire le politiche di sicurezza. Libertà, diceva Giorgio Gaber, è partecipazione. E vera sicurezza, ci viene da aggiungere.
*Vincenzo Scalia è Professore Associato di Sociologia della Devianza all’Università di Firenze. Si occupa di carceri, polizia, criminalità organizzata, minori. Ha insegnato in Italia, UK, America Latina. Suoi lavori sono tradotti in quattro lingue.
FONTE: https://jacobinitalia.it/la-societa-piatta/
DOSSIER GAS: Solo il GAS DELLA RUSSIA può salvare l’ EUROPA ?
Per evitare un crollo catastrofico del PIL e il rischio di una depressione economica prolungata, la spesa pubblica complessiva dei Paesi europei destinata a mitigare il collasso energetico dovrà superare i mille miliardi di euro!
Una crisi di questa portata provocherebbe altri fallimenti e un effetto domino nel settore finanziario, il ridimensionamento dei programmi di investimento delle imprese e un calo della domanda dei consumatori. Il principale effetto negativo sarà la perdita di competitività di alcune industrie ad alta intensità energetica a causa della carenza di gas e dell’aumento dei costi energetici. A seconda dello scenario che si presenterà, tali industrie saranno costrette a ridurre la produzione fino al 60% rispetto al 2021. A sua volta, la chiusura comporterebbe una riduzione dei posti di lavoro che potrebbe interessare fino a 2,5 milioni di persone.
In queste circostanze, l’obiettivo n. 1 per l’Europa è quello di uscire al più presto dalla crisi energetica e trovare per il mercato dell’UE fornitori di gas che non siano colpiti dalle sanzioni antirusse imposte dagli stessi Europei.
otto le pressioni di Washington, l’Europa ha abbandonato le forniture di gas sicure e a basso costo garantite dai gasdotti Nord Stream 1 e 2.
In queste circostanze, l’UE è stata costretta a rivolgere la sua attenzione ai fornitori globali di GNL, nella speranza di migliorare la sua disastrosa situazione di approvvigionamento energetico aumentando la cooperazione con loro.
Il Qatar è notoriamente il primo mercato mondiale del GNL, con il 26,5% di tutte le spedizioni via mare. L’Australia è al secondo posto con il 26%, mentre gli Stati Uniti (14,7%) e la Russia (10%) sono rispettivamente al terzo e al quarto posto.
Tuttavia, gli Stati Uniti, nonostante all’inizio della guerra del gas con la Russia avessero pomposamente dichiarato che avrebbero fornito gas all’Europa, dopo che gli Europei avevano espulso la Russia dal loro mercato avevano fatto marcia indietro, asserendo che, in realtà, non potevano fornire gas all’UE. Gli investitori statunitensi nell’estrazione da scisto hanno ammesso che la quantità di gas e petrolio ottenuta finora è tutto ciò che possono sperare. Pertanto, come riporta il Financial Times, i produttori statunitensi di petrolio e gas di scisto hanno già avvertito che non saranno in grado di aumentare la produzione per aiutare l’Europa ad affrontare la crisi energetica di quest’inverno.
Per quanto riguarda il Qatar, questo piccolo Stato del Medio Oriente preferisce vendere il proprio gas all’Asia piuttosto che all’Europa per tutta una serie di motivi. In primo luogo, perché la distanza delle spedizioni è minore. In secondo luogo, la leadership qatariota è molto sensibile alle richieste politiche dell’UE in merito agli esportatori di energia. Inoltre, bisogna tenere conto che la Cina, il principale consumatore di gas del Qatar, paga un premio per ogni 1.000 metri cubi di GNL.
In questo contesto, oltre all’imposizione di sanzioni contro la Russia e alla significativa riduzione delle forniture di combustibile russo, il costo del gas in Europa continua a crescere a ritmi galoppanti. Per ovviare a questo aumento, l’UE ha preso l’utopica decisione di ridurre il consumo di gas del 15% dal 1° agosto 2022 alla fine di marzo 2023, anche se molti Europei rifiutano di farlo. Inoltre, il capo della Commissione europea, Ursula von der Leyen, completamente avulsa dalle leggi economiche in vigore nel mondo, ha annunciato che l’UE prenderà in considerazione l’introduzione di un prezzo massimo per il gas russo importato nel contesto della crisi energetica. Tuttavia, come ci si poteva aspettare, finora gli Stati membri dell’UE non sono riusciti a trovare un accordo su questa misura, che è contraria a qualsiasi scambio commerciale e alle regole dell’OMC.
In queste circostanze, i leader europei hanno raddoppiato i tentativi di raggiungere, almeno a livello di singoli Paesi, un accordo con il Qatar su possibili forniture aggiuntive di gas. Per questo motivo, negli ultimi sei mesi alcuni politici europei di vario rango hanno già effettuato ripetute visite in Qatar.
Persino gli Stati Uniti hanno cercato di convincere il Qatar a fornire più gas all’Europa, anche a scapito dei suoi impegni nei confronti dell’Asia. Secondo gli “strateghi di Washington,” non dovrebbe essere difficile per gli Stati Uniti esercitare pressioni sul Qatar, considerando che nel Paese si trova la più grande base militare statunitense di tutto il Medio Oriente.
Inoltre, è con l’obiettivo di legare completamente il Qatar agli Stati Uniti che, durante la visita dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani alla Casa Bianca all’inizio di febbraio di quest’anno, il presidente statunitense Joe Biden ha definito il Qatar un “importante alleato non-NATO” e l’emiro un “buon amico e un partner affidabile e capace.” Inoltre, il leader statunitense ha promesso che al Qatar verrà presto assegnato lo status di “importante alleato non-NATO.”
Attualmente il Qatar vende all’Europa circa 5-10 milioni di tonnellate di GNL. Nei prossimi 5-10 anni, come ha promesso Saad al-Kaabi, Ministro dell’Energia del Qatar, alla conferenza Energy intelligence forum di Londra, 12-15 milioni di tonnellate di gas naturale del Qatar affluiranno costantemente in Europa se la situazione rimarrà invariata e se i Paesi europei continueranno a lottare con altre fonti di energia. Da parte sua, tuttavia, il Qatar chiede che l’UE firmi un contratto a lungo termine per le forniture di GNL, cosa che Doha è stata incoraggiata a fare da un recente accordo di 15 anni firmato dalla Germania per le forniture di GNL dagli Stati Uniti. Doha è stata anche persuasa dai piani dell’Europa per un’alternativa al gas proveniente dalla Russia, alternativa di cui il Qatar, con i suoi piani di investimento di decine di miliardi di dollari per aumentare la produzione nei prossimi cinque anni, potrebbe essere una parte fondamentale. Allo stesso tempo, il Qatar impone condizioni piuttosto rigide, dando agli acquirenti poco spazio per deviare le forniture, a differenza dei contratti con gli Stati Uniti. Tuttavia, i leader dell’UE hanno chiesto contratti più brevi, giustificando demagogicamente la loro posizione con il desiderio di ridurre l’inquinamento, cosa che aveva già portato i negoziati sulle scadenze delle importazioni ad un punto morto fin dal mese di marzo. E, per quanto riguarda la “volontà di ridurre l’inquinamento” dell’UE, questa demagogia dei leader europei è a dir poco esilarante, dato che sempre più Paesi dell’UE stanno passando attivamente all’uso del carbone.
Nel tentativo di raggiungere un accordo sul gas con l’Europa, il 5 ottobre l’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad Al Thani, si è recato nella Repubblica Ceca su invito ufficiale del presidente Miloš Zeman. L’incontro con l’emiro del Qatar era importante per le autorità ceche ed europee in generale, in quanto l’UE sperava che, se i negoziati fossero andati a buon fine, si sarebbero potute stabilire vie alternative per le forniture di gas in un momento di crisi energetica, alternative alla Russia, ovviamente. A questo proposito, il 7 ottobre il leader del Qatar avrebbe dovuto prendere la parola in un incontro informale con i leader degli Stati membri dell’UE e la visita sarebbe dovuta durare diversi giorni. Tuttavia, l’incontro si è trasformato in un grande scandalo: il 5 ottobre lo sceicco ha avuto solo il tempo di incontrare Miloš Zeman subito dopo il suo arrivo nel Paese e il Primo Ministro Petr Fialla, prima di riprendere l’aereo e lasciare Praga. Come hanno spiegato fonti diplomatiche ceche, “la parte qatariota ha avanzato richieste che la parte ceca non può soddisfare.”
Per chiarire ulteriormente la situazione, va ricordato che la posizione geografica del Qatar lascia al Paese un margine di manovra in termini di canali di approvvigionamento del gas. Oggi, il 68% della produzione di GNL del Qatar è destinato all’Asia e il 27% all’Europa. L’Europa consuma circa 450 miliardi di metri cubi di gas all’anno e la Russia ne forniva circa la metà. Pertanto, la proposta degli Stati Uniti di 15 miliardi di metri cubi di GNL (a prezzi più alti rispetto al gas russo dei gasdotti) come alternativa al gas russo, avanzata al momento dell’inizio della guerra del gas sul mercato europeo, può essere considerata solo una presa in giro e una chiara offerta non competitiva per il mercato europeo del gas.
Non è un segreto che la Russia faccia arrivare il proprio GNL tramite navi cisterna proprio a Klaipeda, in Lituania, che sostiene di ricevere il gas del Qatar. In realtà, Russia e Qatar hanno un accordo molto semplice: la Russia fornisce il GNL tramite il gasdotto Yamal alla Lituania, e questo gas viene considerato qatariota, mentre il Qatar fornisce il suo GNL alla Cina, e questo è considerato russo. Lo schema è vantaggioso per il Qatar perché consente di risparmiare sui costi di trasporto e, in queste circostanze, Doha certamente non lo abbandonerà per la “nobile idea” di salvare l’Europa (!!!)
Inoltre, non bisogna dimenticare che il volume medio delle navi metaniere standard utilizzate per il trasporto di gas liquefatto su lunghe distanze è di 145.000 metri cubi. Da questo volume di GNL, dopo la rigassificazione, vengono prodotti 90 milioni di metri cubi di gas. Per sostituire almeno i 55 miliardi di metri cubi di gas persi dalla Germania dopo il blocco del Nord Stream, sarebbero necessari 611 viaggi, ognuno dei quali dura fino a 14 giorni. Tuttavia, una nave metaniera può effettuare solo un viaggio al mese e il trasporto in sé costa diverse centinaia di migliaia di dollari, che comprendono il carburante, gli stipendi dell’equipaggio e l’affitto della nave (!!!)
In linea di principio, gli Stati Uniti non dispongono di un numero così elevato di navi cisterna specializzate da poter almeno compensare l’UE per la perdita del Nord Stream(!!!).
… … Omissis … …
333-7431385
FONTE: https://www.facebook.com/groups/707490519287382/
DIRITTI UMANI
BERGOGLIO: DIO NON VUOLE PORTI CHIUSI!
Axel White è con Axel White.
ECONOMIA
IL LIBERISMO ACCENTUA LA CRISI ENEGETICA
Pubblicato il 11 ott 2022
di Guglielmo Forges Davanzati * –
(pubblicato sul “Nuovo Quotidiano di Puglia”, 4 ottobre 2022). –
Il liberismo è fondato sul dogma per il quale il privato funziona sempre meglio del pubblico. La riduzione al minimo dell’intervento pubblico in economia, dunque, è considerata essenziale per conseguire obiettivi di efficienza: libero di operare in assenza di interferenze esterne, il mercato – si sostiene – crea ricchezza e la diffonde. Questa posizione, oltre a essere assai discutibile sul piano teorico, è palesemente fallimentare nei fatti. Come è mostrato, nei tempi più recenti, dalla seguente circostanza. Come ho rilevato in un precedente articolo (“Nuovo Quotidiano di Puglia”, 10 settembre 2022), l’accelerazione dell’inflazione dipende soprattutto dall’incredibile aumento del prezzo del gas, e quest’ultimo, a sua volta, si è verificato soprattutto dopo l’imposizione – anche da parte nostra – delle sanzioni alla Russia.
ARERA, l’autorità di regolamentazione del mercato, a luglio scorso, ha stimato che le bollette del gas subiranno un aumento del 100 per cento a partire dal primo di ottobre. La riduzione dell’offerta di gas da parte di Gazprom è senza dubbio all’origine della situazione attuale.
L’ex Presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha recentemente dichiarato che “non prevedere che lo scollamento dell’intero occidente dai rapporti commerciali con la Federazione Russa avrebbe avuto conseguenze catastrofiche anzitutto e soprattutto sui nostri standard abituali di benessere, fa pensare a una forma di miopia particolarmente grave, che ci porta a confondere completamente la realtà coi nostri desideri.”
Vi è di più. È ormai ampiamente noto che il prezzo del gas che consumiamo viene determinato nel mercato di Amsterdam, dove un numero ristretto di operatori stipula contratti di acquisto e vendita sulla base delle aspettative di guadagno. Si chiama speculazione (dal latino “specula”, ovvero vedere nel futuro) e non è né moralmente censurabile né buona, né ha un significato deteriore. La speculazione non è un evento eccezionale: è pienamente connaturata a un’economia capitalistica di mercato e ne è parte integrante. La decisione di liberalizzare quel mercato, a partire dal 2003, rientra a pieno titolo nella visione liberista della conduzione della politica economica ed è una delle cause più importanti dei nostri problemi attuali.
Si osservi che ben difficilmente l’ipotesi del cosiddetto price cap (la fissazione di un tetto massimo di prezzo all’acquisto) potrà dare gli esiti sperati in un lasso di tempo ragionevolmente breve. Ciò soprattutto a ragione del fatto, affinché il tetto al prezzo sia una misura efficace, occorre l’accordo di tutti i Paesi europei. Ed è sufficiente una breve riflessione per giungere alla conclusione che questa proposta – salutata positivamente dal pensiero economico dominante – è in radicale contraddizione con quest’ultimo, segnalando l’ipocrisia dell’esaltazione (a parole o nei libri) delle virtù del mercato (e, dunque, della libera fluttuazione dei prezzi) e invocando, di fatto, dispositivi di controllo del mercato stesso.
Per fuoruscire dalla crisi in atto, occorrerebbe innanzitutto rivalutare la produzione pubblica – soprattutto ma non solo, di energia – o almeno non esserne pregiudizialmente contrari. Per contro, ENI persegue l’obiettivo del profitto prima ancora di svolgere un servizio pubblico. È stata privatizzata definitivamente nel 1995, è quotata in Borsa e risponde prioritariamente ad azionisti privati. Il richiamo all’intervento pubblico di produzione diretta di beni e servizi è motivato anche dalla considerazione che è da almeno trent’anni (in particolare dal 1992, anno di smantellamento dell’industria pubblica, a partire da IRI) che l’Italia insiste sulla reiterazione di politiche di liberalizzazione dei mercati e di incentivo alle imprese private.
Il XXI Rapporto INPS stabilisce che, nel 2021, le agevolazioni alle imprese private in Italia sono costate al bilancio pubblico circa 20 miliardi di euro, a fronte degli 8 miliardi circa necessari per l’erogazione del reddito di cittadinanza.
Gli effetti sulla crescita economica, come è visibile a tutti, sono stati irrisori, mostrando, peraltro, tutte le ipocrisie del liberismo praticato: libero mercato nella teoria, aiuti statali nella prassi.
E soprattutto dando ragione ad Albert Einstein, che ammoniva che “è follia ripetere lo stesso errore aspettandosi risultati diversi”.
*Aderente alla rete culturale Carta di Venosa
FONTE: http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=51642
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Gal Luft: gli Stati Uniti, la guerra nucleare finanziaria contro la Russia e il nuovo ordine finanziario globale
16 04 2022
Gal Luft, consulente senior del Consiglio per la sicurezza energetica degli Stati Uniti, ha rilasciato un’intervista alla testata cinese Guancha, traducibile come (“L’Osservatore”). Nell’intervista, Luft affronta tematiche di grande attualità come le sanzioni contro la Russia, la fine del dominio del dollaro come valuta di riferimento e la nascita di un nuovo ordine finanziario, sottolineando anche i reali interessi degli Stati Uniti in Europa. Di seguito la traduzione dell’intervista.
Gli Stati Uniti hanno raggiunto un accordo con i principali alleati europei per rimuovere diverse banche russe dal sistema SWIFT, in quelle che sono state definite sanzioni “a livello di bomba nucleare finanziaria“. Il sistema SWIFT è stato creato dagli Stati Uniti, ma l’allargamento delle sanzioni alla Russia dimostra che Europa e Stati Uniti stanno indebolendo il sistema internazionale da loro stessi stabilito. Che impatto avrà questo sull’ordine economico e finanziario mondiale?
Nell’estate del 2019 ho pubblicato un libro intitolato De-dollarization: The Revolt Against the Dollar and the Rise of a New Financial World Order (“Dedollarizzazione: la rivolta contro il dollaro e l’ascesa di un nuovo ordine finanziario”, ndt). Molti degli eventi che stanno accadendo oggi sono stati predetti nel libro, ma devo dire che anche io sono piuttosto stupito dalla velocità del cambiamento. Stiamo letteralmente assistendo a una trasformazione del sistema finanziario globale annunciata dalle potenze occidentali dopo la seconda guerra mondiale alla conferenza di Bretton Woods. Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti ei loro alleati hanno infranto diversi tabù: hanno disconnesso una grande economia da SWIFT; hanno sequestrato beni privati ??di cittadini russi che chiamano oligarchi senza alcun procedimento legale e, peggio di tutto, hanno congelato le riserve della Banca Centrale. Questa è stata in realtà la seconda volta in otto mesi che Washington ha messo le mani sulle riserve di una banca centrale. La prima volta è stata l’estate scorsa quando gli Stati Uniti hanno congelato miliardi di dollari della Banca Centrale Afgana. Il congelamento dei beni della banca centrale nella guerra economica è un atto di pirateria sponsorizzato dallo Stato ed equivalente all’uso di bombe nucleari in un conflitto militare. Ma è anche un atto controproducente che indebolirà solo la fiducia che i banchieri centrali di tutto il mondo hanno nel sistema del dollaro USA e nell’ordine internazionale basato sulle regole dell’America. Dal momento che l’America vuole scrivere le regole e farle rispettare, ogni Paese che non accetta i dettami di Washington potrebbe trovarsi nella stessa situazione della Russia. Questo è un campanello d’allarme per molti Paesi. Al momento, un Paese su dieci nel mondo è soggetto alle sanzioni statunitensi. Non ho dubbi che gli eventi dell’ultimo mese segnino uno spartiacque nella storia della finanza globale, che passerà alla storia come la peggiore ferita autoinflitta nella storia dell’economia. Lo status del dollaro come valuta di riserva è ciò che dà all’America il suo potere sulla scena mondiale, ed è ciò che consente agli Stati Uniti di avere deficit di trilioni di dollari e accumulare 30 trilioni di debiti. Nel corso della storia ci sono state numerose valute di riserva. La loro vita media è stata di 80-100 anni. Il dollaro è stato una valuta di riserva all’incirca per lo stesso periodo di tempo. Se ha fatto il suo corso, è solo a causa delle azioni del governo degli Stati Uniti che si è scatenato nell’applicare sanzioni e altre misure punitive economiche senza vederne l’impatto cumulativo.
Il debito totale del governo federale degli Stati Uniti ha superato i 30 trilioni, e l’anno scorso ha ampiamente superato il PIL degli Stati Uniti di circa 23 trilioni di dollari USA. Vedremo aumentare gradualmente il pagamento degli interessi sul debito pubblico. È possibile per il governo federale invertire il continuo aumento del debito? In caso negativo, ciò innescherà una crisi di insolvenza del debito ancora più forte, anche con rischi finanziari globali?
Per ridurre un debito così enorme deve succedere una di queste due cose: o il governo aumenta le sue entrate attraverso una robusta crescita economica e una maggiore tassazione o riduce le sue spese, ad esempio tagliando il budget della difesa. L’ideale sarebbe una combinazione delle due. Tuttavia, non sembra che l’amministrazione Biden abbia il potere o la volontà di fare nessuna delle due. In vista delle elezioni di midterm e con l’aumento dell’inflazione, aumentare le tasse è un suicidio politico. Biden parla di tassare i ricchi, ma sarebbe una battaglia in salita con il rischio di fuga di capitali dagli Stati Uniti verso vari paradisi fiscali. Dopo aver versato trilioni di dollari nell’economia in vari programmi di ripresa dal Covid e dopo aver mantenuto i tassi di interesse vicini allo zero per quasi un decennio e mezzo, la Fed sta esaurendo gli strumenti per stimolare l’economia. Quanto alla riduzione della spesa pubblica, ciò è altrettanto improbabile. In effetti, con 10.000 baby boomer che vanno in pensione ogni giorno, le spese sembrano solo crescere. Il budget per la difesa di Biden per il 2023 riflette un aumento di 79 miliardi di dollari, che è maggiore dell’intera spesa militare della Russia. Con la classe politica riluttante a compiere alcun passo doloroso nella direzione del taglio del disavanzo, il debito continuerà a crescere e con l’aumento dei tassi di interesse il costo del servizio del debito potrebbe diventare entro la fine del decennio la spesa numero uno del governo degli Stati Uniti: più grande del budget della difesa. I Paesi che acquistano obbligazioni statunitensi guardano questo spettacolo con orrore e si chiedono: “Dove porterà tutto questo?“. Gli Stati Uniti potranno mai ripagare tale debito o sono la madre di tutte le trappole del debito? Penso che questo plasmerà le decisioni delle banche centrali su quanto debito statunitense continuare a detenere.
L’Arabia Saudita sta valutando l’utilizzo dello yuan invece dei dollari USA nelle vendite di petrolio alla Cina, secondo recenti rapporti dei media statunitensi. Secondo i media indiani, il governo Modi ha recentemente approvato una proposta russa per consentire alle entità russe di investire in obbligazioni di società indiane. Nel contesto delle sanzioni finanziarie contro la Russia da parte dei Paesi occidentali, questo meccanismo può consentire il proseguimento del commercio India-Russia. Tutto ciò può essere considerato una rivolta contro il dollaro e l’egemonia finanziaria statunitense? È troppo presto per dire che questo è il sorgere di un nuovo ordine finanziario mondiale?
Non c’è dubbio che una vera e propria rivolta è già in atto contro l’egemonia del dollaro. In molti si chiedono: se il dollaro non è più valuta di riserva, cosa lo sostituirà? L’euro? Lo yuan? Questo è il quadro sbagliato per esaminare il problema. Non è il caso di un re che succede a un altro. Non esiste una moneta unica che possa sostituire il dollaro. Invece, stiamo passando da un’era di unipolarità valutaria a un’era di multipolarità valutaria in cui diverse valute, inclusi oro e criptovalute, competono l’una contro l’altra per una quota maggiore nelle riserve delle banche centrali. Nel nuovo ordine finanziario i Paesi effettueranno sempre più transazioni tra loro in valute diverse dal dollaro. Il dollaro perderà gradualmente la sua presa sul mercato delle materie prime multimiliardario e la domanda per la valuta statunitense diminuirà. Una volta che ci sarà meno domanda di dollari, gli Stati Uniti non saranno in grado di vendere i loro strumenti di debito denominati in dollari con la stessa facilità con cui hanno fatto per quasi un secolo. Paesi come la Cina riconsidereranno la saggezza di acquistare il debito statunitense allo stesso ritmo di prima. Con la domanda per il suo debito in calo, gli Stati Uniti dovranno aumentare i tassi di interesse sulle loro obbligazioni e questo significa che il costo del servizio del debito aumenterà, lasciando meno soldi per la difesa, la salute, l’istruzione, le infrastrutture, ecc. Ciò influenzerà la capacità degli Stati Uniti di fornire aiuti esteri, sostenere le organizzazioni internazionali, proteggere i suoi alleati e investire in progetti infrastrutturali all’estero. Di conseguenza, sempre più Paesi rimarranno delusi dagli Stati Uniti e cercheranno partner economici e di sicurezza alternativi. Sul piano interno, man mano che sempre meno denaro verrà destinato ai servizi sociali, il pubblico diventerà sempre più infelice e questo potrebbe portare a un sistema politico ancora più instabile.
Il 24 marzo Biden ha partecipato a tre vertici consecutivi, il vertice della NATO, il vertice del G7 e il vertice dell’UE. Di fronte alla crisi umanitaria causata dall’attuale conflitto russo-ucraino e al recente aumento dei prezzi dell’energia in tutto il mondo, gli Stati Uniti e l’Europa hanno ancora espresso che continueranno a esercitare pressioni sulla Russia e a fornire supporto militare all’Ucraina. Sembra che l’incontro non abbia avuto luogo per “spegnere il fuoco” o per la pace, ma augurare che il ciclo bellico possa essere prolungato. In qualità di consulente senior del Consiglio per la sicurezza energetica degli Stati Uniti, cosa pensi che siano le considerazioni degli Stati Uniti dal punto di vista della sicurezza energetica e del panorama energetico globale?
Quando Donald Trump era presidente, coniò il termine “American Energy Dominance” (“Dominio energetico americano, ndt) che essenzialmente richiedeva un aumento della produzione di petrolio e gas nordamericani e l’utilizzo di queste risorse energetiche come strumenti di politica estera per soppiantare l’influenza dell’OPEC e della Russia sull’America e sui suoi alleati. Biden, che è molto più legato al movimento ambientalista, si è astenuto dall’usare questo termine, ma le sue intenzioni sono simili nel senso che come Trump vuole emarginare il Medio Oriente, che non è più una priorità assoluta per gli interessi globali degli Stati Uniti, così come la Russia. La guerra in Ucraina è un modo conveniente per gli Stati Uniti di rendere l’Europa vincolata all’energia nordamericana. L’Europa è un pasticcio burocratico economicamente indebolito, governato da un’élite politica sempre più divorziata dai bisogni della sua gente. Gli Stati Uniti hanno capito che l’Europa è matura per un’acquisizione economica. Tutto quello che deve fare è disconnettere l’Europa dall’energia russa. Questo spiega l’ossessione dei politici statunitensi per il gasdotto Nord Stream 2. Ad un certo punto tutte le nomine di Biden sono state sospese al Senato fino a quando Biden non avesse sanzionato il gasdotto. Perché l’America era così ossessionata da un unico gasdotto? La risposta è che il gasdotto avrebbe impedito all’America di diventare il principale fornitore di energia per l’Europa. Una volta che gli Stati Uniti prenderanno il controllo dell’approvvigionamento energetico europeo, l’Europa diventerà un vassallo dell’America nel perseguimento del suo prossimo obiettivo di sfidare la Cina. La dipendenza dell’Europa dal gas americano avrà un prezzo molto alto. Il GNL sarà sempre più costoso del gas russo e questo significa che i prezzi europei dell’energia ora diventeranno molto più alti con implicazioni negative per la produzione europea e il costo della vita. Purtroppo, gli europei non sono in grado di vedere nulla di tutto ciò e, quando lo faranno, sarà troppo tardi.
Lo scoppio della crisi russo-ucraina ha fatto salire alle stelle i prezzi dell’energia in una certa misura e il prezzo dei futures europei sul gas naturale una volta si è avvicinato a $ 3.900/mille metri cubi. Otto anni fa, Cina e Russia hanno firmato un accordo di fornitura di gas naturale della durata di 30 anni, che costava solo 350 dollari per 1.000 metri cubi di gas naturale. Al momento, di fronte all’impennata dei prezzi del petrolio e del gas in Europa e alla pressione dell’inflazione globale, gli Stati Uniti e l’Europa hanno annunciato al vertice della NATO appena concluso che continueranno ad esercitare pressioni sulla Russia e a fornire supporto militare all’Ucraina. Con il prolungarsi della guerra, le persone in Ucraina non saranno le uniche in Europa a soffrire. Per l’Europa, quello americano è davvero un alleato affidabile e degno di fiducia?
Henry Kissinger una volta disse che “l’America non ha amici o nemici permanenti, solo interessi“. Penso che questo sia un buon modo per giudicare le relazioni USA-Europa. Molti politici affermano che le relazioni sono fondate su “valori condivisi“, il che è generalmente vero, ma ciò che mantiene davvero intatta l’alleanza transatlantica sono gli interessi condivisi. Per l’America, un’Europa debole è un’enorme opportunità strategica, che consente a Washington di raccogliere molti vantaggi economici per le sue società e di forgiare un’alleanza occidentale economicamente e militarmente potente che può successivamente espandere per includere gli alleati indo-pacifici. In qualità di leader di un’alleanza così ampia e con una Russia indebolita, gli Stati Uniti potranno spostare gli occhi sul loro concorrente strategico numero uno, la Cina, e stabilire un dominio permanente sulla regione del Pacifico. Ma nel lungo periodo questa alleanza potrebbe diventare una responsabilità per l’America. L’economia europea è in rapido declino, di fronte a debiti pesanti, crescita lenta, disoccupazione in aumento e ondate di milioni di rifugiati. Il pericolo per gli Stati Uniti è che se l’Europa crolla sotto il proprio peso, gli Stati Uniti dovranno investire risorse crescenti per mantenerla a galla e l’Europa potrebbe trasformarsi da risorsa in passività.
Ricordo ancora ciò che lei ha detto rivolgendosi a un panel cinese prima del Summit della Democrazia degli Stati Uniti, “la promozione della democrazia è stata un appuntamento fisso della politica estera degli Stati Uniti per più di un secolo”. Recentemente hai menzionato sul tuo account Twitter: “un nuovo termine è nato nel blob per descrivere i membri onorari del West+: Advanced Industrial Democracy“. Lo dice in modo vivido come: India, non sei abbastanza democratica. Turchia, non sei abbastanza industriale. Devi anche essere “avanzato” per entrare nel club d’élite. L’impostazione delle regole è un privilegio autodichiarato degli Stati Uniti da molti anni. Ci saranno più seguaci nel gioco, visto l’ampliamento del gioco “noi e loro”? Perché o perché no?
Il mondo è diviso in tre gruppi di Paesi. Il primo gruppo è l’ovest più alcuni membri onorari come Giappone, Singapore e Corea del Sud. I secondi sono i cosiddetti revisionisti guidati da Cina e Russia, che spingono senza scusarsi per un sistema internazionale più equo in cui il “resto” non viva più sotto i dettami dell’”Occidente”. Il terzo gruppo è dove si trova la maggior parte dei Paesi: i non allineati. I Paesi non allineati traggono il massimo beneficio dal sistema globalizzato e vogliono che sopravviva senza essere soggetti a grandi pressioni di potere, senza che gli venga detto con chi possono commerciare, quale valuta dovrebbero usare o quale tecnologia dovrebbero adottare. La guerra in Ucraina ha affilato i confini tra i tre gruppi. Su quasi 200 Paesi circa 100 sono nel campo dei non allineati mentre gli altri 100 sono divisi a metà tra l’Occidente e i revisionisti. Questa è più o meno la nuova architettura del potere globale. I prossimi anni saranno una lotta epica tra i due schieramenti con i Paesi non allineati sempre più schiacciati nel mezzo, come un pezzo di formaggio preso tra due fette di pane. Per me, l’India è il Paese più interessante da tenere d’occhio, non solo perché sta per diventare il Paese più popoloso, ma anche perché è anche la più grande democrazia del mondo, ma non sembra disposta ad allinearsi con l’Occidente. L’approccio dell’India alla guerra in Ucraina ha scioccato Washington, che pensava che gli indiani fossero nelle loro tasche. Gli eventi delle ultime settimane, con l’India non solo riluttante a condannare la Russia e ad aderire alle sanzioni, ma che in realtà ha intrapreso misure attive per indebolire le sanzioni, determineranno se gli Stati Uniti possono o meno fare affidamento sull’India per le sue ambizioni indo-pacifiche, se l’India diventerà il perno di un nuovo movimento non allineato o se si unirà a Cina, Russia e forse Brasile nella creazione di un blocco revisionista ancora più grande guidato dai BRICS.
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-gal_luft_gli_stati_uniti_la_guerra_nucleare_finanziaria_contro_la_russia_e_il_nuovo_ordine_finanziario_globale/5694_45969/
GIUSTIZIA E NORME
“Tutto illegittimo”: la storica decisione del tribunale, uno schiaffo in faccia a Conte, Draghi e Speranza
di tommaso Pubblicato il 15/10/2022
Una sentenza che potrebbe passare alla storia, quella pronunciata dal Tribunale di Frosinone e firmata dal giudice Luigi Petraccone: “L’istituzione dei Dpcm durante la pandemia del Covid 19 è da ritenersi illegittima”. Un primo passo verso la possibile revisione di tantissimi provvedimenti assunti dal governo Conte prima e Draghi poi per affrontare, come ci avevano detto, la pandemia. Per effetto del pronunciamento, tutti i decreti ministeriali che limitavano la libertà personale potrebbero essere impugnati, a partire dal Green pass e fino ad arrivare all’obbligo vaccinale, sconfessando così le strategie adottate dai precedenti esecutivi e dal ministro della Salute uscente Roberto Speranza.
A riscostruire la vicenda che ha portato alla storica sentenza è il Gazzettino: “La storia nasce il 4 aprile 2020 (primo lockdown) quando un giovane frusinate venne fermato dalla Polizia stradale mentre era alla guida della sua auto. Non adducendo motivazioni giustificate e previste dal Decreto, l’uomo venne multato per 400 euro. L’automobilista, assistito dall’avvocato Giuseppe Cosimato, presentò ricorso al giudice di pace che in data 15 luglio 2020 accolse il ricorso. A questa sentenza però si appellò la Prefettura di Frosinone che richiamava il rispetto del Dpcm emesso il 9 marzo 2020”.
A distanza di oltre due anni è arivata ora la chiusura del secondo grado di giudizio: il 6 ottobre il Tribunale di Frosinone ha rigettato l’appello dichiarando di fatto illegittimo il Dpcm. Il passaggio chiave del provvedimento è quando si sancisce “l’inviolabilità di un diritto inviolabile quale la circolazione e che di fatto provvedimenti restrittivi di questo tipo sono da ritenersi anti costituzionali anche se emanati a difesa di un altrettanto diritto inviolabile quale quello della difesa della salute pubblica”.
Disposizioni che limitano in maniera così pesante la libertà possono essere emanate “solo davanti ad eventi di calamità naturale per definiti periodi di tempo”, mentre come si legge dal disposto del Tribunale situazioni di rischio sanitario non sono inclusi in questa previsione. La stessa Carta Costituzionale ammette poteri speciali al Governo salvo in caso di guerra. Altro passaggio chiave della sentenza è quello dove si afferma che “la delibera del consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 è da ritenersi illegittima per essere stata emanata in assenza dei presupposti legislativi. In quanto non è rinvenibile alcuna fonte avente forza di legge che attribuisca al consiglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario”. È la delibera dalla quale, poi, hanno preso il via i vari Dpcm, anch’essi ritenuti illegittimi.
FONTE: https://www.ilparagone.it/attualita/tutto-illegittimo-la-storica-decisione-del-tribunale-uno-schiaffo-in-faccia-a-draghi-e-speranza/
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Ansaldo Energia, la lotta degli operai (censurata) paga
Il Paese reale e il Paese mediatico-istituzionale mai così lontani. Mentre Letta e Calenda manifestano per la “pace” chiedendo più armi al regime di Kiev, il neo presidente del Senato Ignazio La Russa strappa applausi a favore dei “patrioti ucraini” e improvvisati pacifisti cercano di scipparsi la bandierina senza toccare i punti salienti (armi e sanzioni), neanche una parola sulla lotta che da giorni si sta svolgendo ad Ansaldo energia.
Da due giorni i dipendenti di Ansaldo energia sono in mobilitazione, con blocchi e scontri con la polizia catalogati dal governatore Toti “teppismo”. Oggi hanno occupato l’aeroporto, al grido di “la gente come noi non molla mai” e sbandierando le insegne di Fiom CGIL.
In serata, circa alle 18, arriva la (seconda) lettera di CDP: “Stiamo valutando la ricapitalizzazione”
“Cdp Equity – si legge nel documento – conferma che lo sviluppo della situazione attuale di Ansaldo Energia viene seguito con la massima attenzione e priorità per tutelare l’interesse della società e di tutte le parti coinvolte. In questa prospettiva, stante la strategicità della partecipazione in Ansaldo energia, evidenzia che è stato già avviato un percorso per assicurare il rilancio della società”. Cdp aggiunge che “Ansaldo Energia sta rapidamente finalizzando la revisione del nuovo piano industriale di rilancio che terrà conto del mutato contesto macroeconomico, degli impatti geopolitici e delle mutate esigenze del settore. In parallelo, la società sta definendo con i soci e le banche finanziatrici la manovra finanziaria necessaria a garantirne l’implementazione. Immediatamente a seguire, Cdp Equity, nel rispetto delle previsioni statutarie, sottoporrà ai competenti organi deliberanti la partecipazione alla manovra, percorso che si auspica possa concludersi entro la fine del corrente anno”.
La classe lavoratrice europea non ha nulla da guadagnare dalla guerra
Clare Daly, gruppo della sinistra al Parlamento europeo, 5 ottobre 2022
“Signor Presidente, la guerra in Ucraina si sta rapidamente trasformando in un orrore più ampio. E da quello che posso vedere, praticamente nessuno in quest’Aula sta facendo nulla per impedirlo. In effetti, la maggior parte delle persone sembra eccitarsi per il fatto che l’orrore sta crescendo. E in questo preciso momento, naturalmente, come al solito, le voci che sfidano la corsa alla guerra vengono attaccate e messe a tacere, infangate come traditori, compari, burattini di Putin, tirapiedi del Cremlino, agenti russi.
Francamente, è patetico. E non faccio il paragone alla leggera, ma la crudezza e il cinismo di questi insulti provenienti dai principali partiti dell’UE potrebbero anche essere stati scritti da Hermann Göring, il famigerato detto che anche se le persone non vogliono mai la guerra, possono essere portate in guerra con minacce e diffamazioni. Ha detto che tutto ciò che devi fare è dire loro che vengono attaccati, denunciare i pacifisti per mancanza di patriottismo ed esporre il loro paese al pericolo – funziona allo stesso modo. Voi state seguendo la sua linea.
Quest’Aula dovrebbe vergognarsi di questo dibattito. Le parole vengono distorte, i significati sovvertiti e la verità capovolta. Contrastare l’orribile follia della guerra non è anti-europeo, non è anti-ucraino, non è filo-russo: è buon senso. La classe operaia europea non ha nulla da guadagnare da questa guerra e tutto da perdere. E trovo ridicolo che coloro che chiedono armi all’Ucraina non chiedano mai armi per il popolo palestinese, o per il popolo dello Yemen. A differenza di voi, io mi oppongo a tutte le guerre. Voglio che sia fermata. Non mi scuso per questo. E non sarò nemmeno un capro espiatorio e nemmeno etichettata per questo”.
FONTE: https://www.facebook.com/thomasfazi?__cft__[0]=AZXxj_UHd5i21Pe7QiV6mZALYcdsYXlq4Ae_NVMlSe1oNJYFgSZlvpDP1TdGUlrej2dlHdtn7XCBFVvqpidu-3QIiktlHtfzrQpffhzEnHsT3a6dTpIPqonn9t2HmhDezY4VJwYMQB7Vg9h-zLvFgfuBUh1z1meSJHozjIIfIfWEaZg1vOiXHBRnVkJBu7pk5Tg&__tn__=-UC%2CP-y-R
PANORAMA INTERNAZIONALE
Partenariato Orientale: la scommessa geopolitica dell’Ue che sta inabissando l’Europa
16 10 2022
La cooptazione di sei paesi ex-sovietici da parte dell’Unione Europea li ha trasformati in un campo di battaglia per la guerra ibrida contro la Russia e ha fondamentalmente minato l’architettura della sicurezza europea.
di Laura Ruggeri
Nel febbraio 2007, alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, Vladimir Putin pronunciò un discorso molto incisivo che segnalava la ritrovata fiducia in se stessa della Russia e annunciava il desiderio e la disponibilità di Mosca a svolgere un ruolo di primo piano nelle relazioni internazionali. In quella sede il presidente russo criticò come pericolosi e futili i tentativi degli Stati Uniti di creare un ordine mondiale unipolare in un momento in cui stavano emergendo molti nuovi poli. Sottolineò anche con forza che l’espansione della NATO e il dispiegamento di sistemi missilistici nell’Europa orientale costituivano una minaccia per la sicurezza della Russia. Gli Stati Uniti ritennero il suo discorso un atto di sfida: le relazioni USA-Russia diventarono più fredde, più tese e Washington iniziò ad elaborare nuovi piani per contenere le legittime aspirazioni della Russia. L’attuazione di questi piani richiedeva una più stretta collaborazione tra la NATO e l’Unione Europea: spinta dagli USA, l’UE decise di intensificare il suo coinvolgimento nello spazio post-sovietico.
Ovviamente, l’UE aveva sempre avuto un interesse per i paesi situati fuori dai propri confini. Ad esempio, la strategia di sicurezza europea (ESS) del 2003 aveva già raccomandato un “impegno preventivo” attraverso la promozione di “un anello di paesi ben governati a est dell’Unione europea”(1), ma mancava un quadro istituzionale per coordinare gli sforzi. Il cambio di passo fu sollecitato dagli Stati Uniti dopo il discorso di Monaco.
Nel maggio 2008, al Consiglio Affari Generali e Relazioni Esterne dell’UE a Bruxelles, Polonia e Svezia presentarono la proposta di un partenariato speciale con Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldova e Ucraina. Durante il vertice di Praga del maggio 2009, il concetto venne ufficialmente tradotto nel Partenariato Orientale (EaP).
Apparentemente il Partenariato Orientale fu lanciato per rafforzare la cooperazione economica e politica tra l’UE e i paesi ex sovietici parallelamente alla cooperazione con la Russia, ma presto divenne chiaro che i suoi obiettivi reali erano piuttosto diversi: strappare questi paesi alla Russia, trascinarli nella sfera di influenza occidentale, dove ci si aspettava che contribuissero alla politica di sicurezza e difesa comune dell’UE e, ultimo ma non meno importante, la loro trasformazione in una piattaforma di lancio per la guerra ibrida che sarebbe stata condotta contro la Russia.
Non sorprende che gli “architetti” del partenariato orientale fossero due noti russofobi, entrambi ben inseriti nella rete di influenza anglo-americana.
Radoslaw Sikorski, un ex membro del think tank neocon American Enterprise Institute, due anni prima aveva rinunciato alla cittadinanza britannica, ma non alla sua fedeltà al Regno Unito, per diventare prima ministro della Difesa e poi ministro degli Affari Esteri nel suo paese natale, la Polonia. Il suo amico e collaboratore, Carl Bildt, impopolare Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri in Svezia, aveva ricoperto posizioni di rilievo in influenti think tank atlantisti. In veste di entusiasta lobbista della guerra, anche lui aveva mantenuto relazioni molto strette con i neocon americani che lo utilizzavano per portare avanti i loro programmi in Europa: nei cablogrammi diplomatici statunitensi pubblicati da Wikileaks, Carl Bildt è stato descritto come “un cane di taglia media con l’atteggiamento di un cane di grossa taglia”, una descrizione poco lusinghiera ma calzante per chi ha il compito di tutelare gli interessi del suo padrone. Il tradimento della neutralità formale del suo paese e la collaborazione con una potenza straniera risale agli anni ’80, quando passò documenti governativi riservati ad un addetto dell’ambasciata statunitense.(2)
Il partenariato orientale fu inaugurato dall’Unione Europea a Praga il 7 maggio 2009, mentre l’Europa soffriva ancora della sua peggiore recessione economica. Il giorno dopo, nella stessa città, il vertice “Southern Corridor — New Silk Road” esaltava i vantaggi di una rotta di approvvigionamento di gas naturale dal giacimento dell’Azerbaigian Shah Deniz (gestito da BP, che risulta essere anche il maggiore azionista) verso i mercati europei. Il Southern Gas Corridor da 33 miliardi di dollari, non solo sarebbe diventato uno dei progetti di infrastrutture energetiche più grandi e costosi al mondo, ma avrebbe anche lasciato dietro di sé una scia di devastazione ecologica, scandali e corruzione. Tuttavia venne elogiato dagli Stati Uniti come una pietra angolare della politica dell’UE di diversificazione delle fonti energetiche per emanciparsi dalla dipendenza dal gas russo.
Non solo l’EaP e il Southern Gas Corridor sono indissolubilmente collegati, ma le impronte angloamericane sono visibili in entrambi i progetti. L’inclusione dell’Azerbaigian — geograficamente, culturalmente e convenzionalmente considerato parte dell’Asia — nel Partenariato Orientale serviva anche ad altri scopi strategici: cementare il corso filo-occidentale di un paese alleato con Israele, Turchia e Stati Uniti, strumentalizzare Baku per interferire nell’Iran settentrionale, far deragliare qualsiasi progetto di connettività eurasiatica.
Tra retorica e realtà
Il Partenariato Orientale è stato presentato ai membri dell’UE come un forum istituzionale per discutere accordi sui visti, accordi di libero scambio e accordi di partenariato strategico, evitando al contempo il controverso tema dell’adesione all’Unione Europea. In quel momento l’Europa doveva fare i conti con la sua più profonda recessione dagli anni ’30, diversi stati membri dell’UE si stavano adoperando per salvare le banche e ripagare il loro debito pubblico, le misure di austerità e i tagli alla spesa avevano ulteriormente ridotto il PIL, e aumentava la povertà e il risentimento contro gli eurocrati. Sarebbe stato inopportuno discutere apertamente di un dirottamento delle risorse verso paesi che non erano nemmeno membri dell’UE. Eppure Bruxelles decise di dare avvio a programmi di aiuto e finanziamento in tutti e sei i paesi del Partenariato Orientale in coordinamento con le agenzie statunitensi. La maggior parte di questi programmi serviva a creare o consolidare relazioni clientelistiche e reti di influenza in settori quali legislazione, informazione, sicurezza, istruzione, cultura ed economia, con il pretesto di promuovere la democrazia, i diritti umani e lo stato di diritto, oltre all’integrazione politica ed economica, ecc.
Al vertice inaugurale del Partenariato Orientale, Radoslaw Sikorski caratterizzò l’iniziativa come una prova del soft power dell’UE, la capacità di ottenere ciò che si desidera attraverso l’attrazione piuttosto che la coercizione e il denaro. In altre parole, proiettare un’immagine, un “marchio” e plasmare la percezioni al fine di ridurre i costi in termini di “bastoni e carote” per garantire i risultati politici desiderati.
La fase precedente del processo di allargamento dell’UE aveva mostrato che i paesi che si adattavano gradualmente all’apparato legislativo dell’UE e alla sua normativa politica sarebbero finiti per diventare parte dell’unione. Ma l’UE, dopo il 2008, non solo aveva perso il suo sex appeal, ma difficilmente poteva accogliere nuovi membri senza implodere.
Ben presto si capí che il soft power da solo non sarebbe bastato: milioni di euro vennero diretti nei paesi del Partenariato Orientale per finanziare vari progetti sulla base della condizionalità: il finanziamento sarebbe stato trattenuto se non si fossero compiuti progressi verso la “democratizzazione” (cioè l’elezione dei candidati controllati e approvati da USA-UE) e per combattere la corruzione (vale a dire indagare, e spesso incastrare, politici filo-russi mentre si corrompevano i loro oppositori).
Gli “indici di democrazia” sono costantemente diminuiti anno dopo anno, ma finché i governi di questi paesi avessero mostrato lealtà al blocco occidentale e implementato le riforme ideate dagli eurocrati, avrebbero continuato a ricevere sostegno finanziario e politico.
Ben presto l’Unione Europea divenne il principale donatore degli stati del partenariato orientale, commercializzando l’Europa in termini di grandi obiettivi idealistici piuttosto che di risultati economici tangibili che nessuno poteva ottenere.
Sebbene i paesi del Partenariato Orientale siano estremamente diversi tra loro, hanno anche molto in comune: l’uso diffuso del russo come lingua franca, un passato e una memoria storica condivisi, legami di lunga data con la Russia di tipo commerciale, culturale e sociale. Il compito dell’UE era assistere gli Stati Uniti nel dipingere questo patrimonio condiviso come lascito dell’ “imperialismo e totalitarismo sovietico” al fine di distruggerlo, cancellare l’uso del russo, demonizzare qualsiasi forma di cooperazione con la Federazione Russa. Contrariamente alle aspettative di sicurezza, stabilità e sviluppo socioeconomico che molti associavano ad una maggiore integrazione sotto l’egida dell’UE, l’interferenza occidentale alle porte della Russia ha portato guerra, povertà, spopolamento, fuga di cervelli e instabilità.
Non sorprende se si pensa al vero scopo del Partenariato Orientale: sostenere gli obiettivi geopolitici degli Stati Uniti nella regione mostrando alcune carote ai vicini orientali dell’UE e colpendoli con un bastone se deviavano dal precritto percorso anti-russo.
Prima della creazione del Partenariato Orientale, gli Stati Uniti avevano già orchestrato e finanziato due rivoluzioni colorate che avevano portato al cambio di regime in due paesi strategicamente significativi sulla scacchiera eurasiatica, la “rivoluzione delle rose” in Georgia e la “rivoluzione arancione” in Ucraina, ma mantenere il controllo dello spazio post-sovietico diventava sempre più costoso e prosciugava troppe risorse. Gli Stati Uniti non avevano altra scelta che affidare alcuni compiti e funzioni al loro vassallo, l’UE. Il Partenariato Orientale ha fornito il quadro normativo per erodere lentamente la sovranità e l’autonomia degli Stati membri, aumentando così la loro dipendenza dall’UE.
Invece di riconoscere le legittime preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza e cercare una soluzione pacifica delle controversie, l’UE ha alimentato tensioni e conflitti nei paesi del Partenariato Orientale. Per quanto riguarda le promesse di pace e stabilità nella regione, cinque dei sei membri originari del Partenariato Orientale hanno dispute territoriali; l’Ucraina ha subito un secondo colpo di stato guidato dagli Stati Uniti nel 2014 e da allora è in guerra grazie al supporto cruciale di USA-NATO-UE; la Bielorussia, l’unico paese senza dispute territoriali, ha visto una rivoluzione colorata nel 2020, è riuscito a prevenire un colpo di stato e ha saggiamente lasciato il partenariato. Nel caso in cui si nutrano ancora dubbi su chi abbia sostenuto e parzialmente finanziato il colpo di stato, l’UE elenca ancora la Bielorussia come membro del Partenariato Orientale riconoscendo Svetlana Tikhanovskaya e la “società civile bielorussa” come suoi rappresentanti.
Sebbene il Partenariato Orientale sia praticamente sconosciuto tra i cittadini europei, da oltre un decennio gli emissari dell’UE e i loro clienti locali promettono ai membri del Partenariato Orientale vari vantaggi e un’ulteriore integrazione nell’UE, in cambio della rottura di tutti i legami con la Russia e dell’aumento di volume della loro russofobia.
Qualsiasi cosa viene usata come leva, anche la liberalizzazione dei visti, o la minaccia della sua sospensione. Finora solo tre paesi su sei, Georgia, Moldova e Ucraina, sono stati premiati con accordi di liberalizzazione dei visti in cambio di “progressi verso la democrazia”. E chi potrebbe valutare i loro progressi meglio di un’organizzazione statunitense che si dedica al “regime change”?
Tra i suoi numerosi “servizi”, il National Endowment for Democracy (NED) fornisce consulenza all’UE in materia di visti. (3)
Un’altra leva utilizzata è lo status di “candidato all’UE”, che non è altro che un passo verso il nulla: la lista d’attesa per l’adesione all’UE è così lunga che le possibilità che i membri del partenariato orientale aderiscano è inferiore alla possibilità che l’UE si sciolga.
Al momento in cui scriviamo solo due paesi, Moldova e Ucraina, hanno ricevuto lo status di candidati. L’Ucraina se l’è guadagnato pagando un tributo di sangue: i suoi soldati vengono usati come carne da cannone nella guerra per procura contro la Russia. Il governo fantoccio della Moldova è stato premiato per la sua posizione anti-russa, anche se è improbabile che la promessa di adesione all’UE in un lontano futuro possa alleviare il dolore e la rabbia dei cittadini moldavi che stanno affrontando le conseguenze del collasso economico, la criminalizzazione degli oppositori politici e la povertà energetica.
Se in passato l’UE ha propagandato l’adesione al suo “club per ricchi” come un percorso verso la prosperità e la crescita economica, dopo il crollo finanziario del 2008 e la persistente crisi sistemica, quella narrazione ha iniziato a suonare falsa sia all’interno che all’esterno del club. Ed è per questo che il controllo della narrazione è diventato una priorità. Nessuna spesa viene risparmiata per manipolare l’”infosfera”, quel regno metafisico di informazioni, dati, conoscenza e comunicazione che modella la percezione a discapito dell’osservazione empirica. Nei paesi del Partenariato Orientale i cittadini hanno subito il peso maggiore delle riforme neoliberiste e delle politiche suicide di Bruxelles: in milioni sono stati costretti a emigrare per sfamare loro stessi e le loro famiglie. Questi paesi erano legati strettamente al mercato russo e il riorientamento delle esportazioni verso i mercati dell’UE non solo ha richiesto costose riforme strutturali, ma non ha mai mantenuto le sue promesse.
Pochissimi vincitori e molti perdenti
Poiché tutti e 5 i rimanenti paesi del Partenariato Orientale restano fragili, ben poco democratici, economicamente depressi, lacerati da conflitti o tutte e quattro le cose contemporaneamente, l’idea che intere società avrebbero goduto ad essere penetrate dall’UE è chiaramente assurda.
Ma, come sempre, ci sono alcuni vincitori tra i milioni di perdenti. C’è chi ha beneficiato del sistema di relazioni clientelari che ha contribuito a costruire la maggior parte dell’infrastruttura sociale, politica, economica e culturale sottesa alla penetrazione dell’UE nello spazio post-sovietico.
Gli affiliati dell’UE ei beneficiari degli aiuti europei hanno ottenuto l’accesso a potenti reti e fonti di finanziamento che hanno consentito loro di accumulare capitale politico, potere e status creando la propria clientela. Una conoscente georgiana che gestisce un’agenzia di marketing e pubblicità mi ha detto che l’80% del suo fatturato proviene da campagne di marketing sociale per organizzazioni no profit sponsorizzate dall’UE. Non sorprende che lei e il suo staff sostengano attivamente tutte le cause progressiste che la sua agenzia aiuta a promuovere: attivismo e affari si rafforzano a vicenda in un redditizio ciclo di feedback.
La maggior parte dell’assistenza dell’UE va a coloro che promuovono il simulacro della democrazia occidentale e dello “stato di diritto”, i diritti umani (solo alcuni), l’agenda LGBT, il “new deal verde” e la transizione digitale, e a coloro che “combattono la disinformazione”, che è solo una parola in codice per produrre e diffondere narrazioni occidentali e propaganda anti-russa, censurare il dissenso, cancellare i media russi e filo-russi.
Concentrarsi su alcuni mitici valori occidentali è più facile che portare prosperità.
Anche secondo i suoi parametri, l’Unione Europea ha fallito come entità economica. La performance dell’UE è stata pessima rispetto ad altre grandi economie. La stagnazione, l’elevata disoccupazione, l’eccessiva regolamentazione dell’attività economica e un deficit di democrazia hanno portato a un diffuso risentimento. I critici puntano il dito contro l’elaborazione di politiche e normative sovranazionali, poiché essa avviene in organismi piuttosto tecnocratici, opachi e chiusi come comitati o agenzie che non sono eletti e sfugono pertanto al controllo pubblico.
L’esternalizzazione a società di consulenza gestionale ha portato alla perdita di responsabilità e ha prosciugato il significato stesso della democrazia.
È proprio a causa di un deficit democratico e di una crisi di legittimazione che la retorica democratica è stata gonfiata e grandi risorse sono state investite nel marketing dell’UE come bastione di democrazia, libertà e diritti umani.
L’UE assomiglia ad un gigantesco schema piramidale: il benessere dei partecipanti a questa frode dipende molto dalla possibilità di attrarne di nuovi. I membri più attivi nelle attività di evangelizzazione sono invariabilmente quelli che vi hanno aderito in tempi relativamente recenti, come gli stati baltici. La loro adesione all’Unione europea si è rivelata deludente, piuttosto diversa dalle promesse ricevute nel 2003-2004. Gli investimenti diretti esteri negli Stati baltici sono crollati durante la crisi del debito del 2008-2009, oggi rimangono deboli e si trovano nella “trappola del reddito medio” con redditi che equivalgono a circa il 70% del reddito medio registrato nell’UE. L’UE, come un vampiro, li ha risucchiati economicamente e demograficamente, ma avendo investito nello schema piramidale devono trovare altre vittime per aumentare il loro profilo a Bruxelles. Cittadini di Lituania, Lettonia, Estonia e paesi dell’Europa orientale con lauree inglesi spiccano nei luoghi prescelti per il “regime change”, nei think tank, nelle ONG, nelle reti di influenza online e offline, nell’intelligence e nelle psyop. In qualità di emissari dell’UE, forniscono “assistenza tecnica” ai paesi del Partenariato Orientale, condividono la loro esperienza, soprattutto nel settore pubblico, per facilitare l’attuazione di riforme politiche, economiche e sociali e continuano a difendere in modo aggressivo gli interessi angloamericani sia nell’UE che negli Stati post-sovietici. I valori e le norme occidentali e liberali sono promossi come tutti i beni di consumo: sfruttando le paure recondite di inadeguatezza e rifiuto sociale, promettendo status e un senso di superiorità morale, inducendo desideri che oscurano i bisogni materiali di base.
Spesso è difficile distinguere tra schemi piramidali, clientelismo transnazionale, marketing evangelico e marketing da affiliato, poiché tendono a sovrapporsi. Se inizialmente si può osservare una distinzione, gli evangelisti credono in ciò che promuovono mentre gli affiliati traggono vantaggio dalla promozione, alla fine gli evangelisti più ambiziosi e abili diventano affiliati. Se trasponiamo questo modello di marketing nella sfera politica, gli attivisti svolgono la funzione di evangelisti. Non appena costruiscono una notevole influenza, viene offerta loro l’opportunità di diventare affiliati e quindi ricevere incentivi come finanziamenti per le loro campagne, maggiore visibilità sui media, una spinta sui social media, inviti a conferenze internazionali, opportunità di istruzione superiore e carriera, un libro, un tour internazionale, ecc. Qualunque cosa li renda contenti. Una volta completata la transizione da “attivista/evangelista” ad “affiliato”, i promotori dell’UE entrano a far parte di un sistema che può essere descritto come clientelismo transnazionale: l’invio di ordini a broker e intermediari attraverso una distribuzione asimmetrica dei benefici. Nella politica clientelare una minoranza organizzata o un gruppo di interesse (lobby) beneficia a spese del pubblico con conseguenze negative sulla democrazia.
Le politiche dell’UE generalmente riflettono gli interessi delle lobby transatlantiche e, man mano che il loro potere cresce, aumenta anche la repressione del dissenso.
La capacità dell’UE di attrarre semplicemente basandosi sul suo soft power si è rapidamente rivelata un’illusione. La cooptazione dei vicini orientali richiedeva sia il pagamento che la coercizione.
I membri del Partenariato Orientale hanno presto scoperto che non c’è nulla di “libero” negli accordi di libero scambio con l’UE: le valutazioni di conformità di prodotti agricoli o industriali vengono concesse o negate sulla base di fattori esterni non correlati, come ad esempio il sostegno alle misure anti-russe. E una volta che i prodotti sono ritenuti idonei per i mercati dell’UE, il paese esportatore si rende conto che deve applicare gli stessi standard dell’UE anche alle sue importazioni, comprese quelle per gli appalti pubblici. Questo requisito è un fattore vincolante per le importazioni a basso costo di beni industriali da determinati mercati come la Cina o il CSI(4), porta a prezzi più elevati per i consumatori, a una gamma più ristretta di prodotti e all’emergere di monopoli. Il sogno di accedere a un mercato ricco può facilmente trasformarsi in un incubo, poiché il mercato interno è posto sotto la sorveglianza dell’UE e tenuto in ostaggio dagli esportatori occidentali e da standard dell’UE che cambiano in continuazione.
Il mito della superiorità degli standard UE ha portato anche a un diffuso senso di inadeguatezza tra coloro che non possono ottenere l’ambito certificato di conformità, un fenomeno psicologico che regola tipicamente i rapporti tra colonizzato e colonizzatore. Dopotutto, non ci sarebbe colonialismo senza una proiezione di superiorità.
I paesi del partenariato orientale si troveranno ad essere sempre un po’ “carenti”, non soddisferanno mai tutti i requisiti, perché sono utili solo nella misura in cui si auto-percepiscono come inadeguati e accettano di essere istruiti, consigliati, tirati per la giacca da quelli che ne “sanno di più”. Per compensare il loro complesso di inferiorità, le élite dei paesi orientali progettano status abbracciando le ultime mode occidentali con uno zelo che spesso rasenta il ridicolo… e invariabilmente scelgono un’educazione anglo-americana per la loro prole. Adesso anche chi ha meno mezzi, ma i giusti contatti, può mandare i propri figli in una scuola straniera. Nel 2018, con il sostegno attivo dell’UE, è stata lanciata a Tbilisi, in Georgia, la prima scuola europea per studenti dei paesi del Partenariato Orientale. Ma l’invasione dei modelli educativi occidentali non si limita a poche scuole per privilegiati con i contatti giusti. Nei paesi del Partenariato Orientale sono state avviate ampie riforme per trasformare il loro sistema educativo in un vettore di influenza occidentale. Nel campo degli scambi, il principale contributo dell’UE è attraverso il programma Erasmus+, che aveva un budget totale per l’UE più paesi terzi di 4,7 miliardi di euro per il 2014-2020.
L’istruzione è uno degli elementi chiave di questo progetto di colonizzazione poiché i programmi educativi europei vengono utilizzati come un cavallo di Troia per demolire i quadri di riferimento esistenti, abolire lo studio del russo, sostituire norme, credenze e percezioni culturali. Cancellano il passato e riscrivono la storia nazionale come una lotta contro “l’invasione sovietica e il totalitarismo” – e si arriva persino alla celebrazione di un collaboratore nazista, come nel caso di Bandera. Questi programmi esaltano le virtù di un’identità europea comune (fittizia) e producono invariabilmente una nuova generazione di adoratori dell’Occidente pronti per la migrazione o la guerra (sia ibrida che convenzionale) contro la Russia, il il loro vicino demonizzato. Le ONG sono un altro canale cruciale dell’influenza e della pressione occidentale negli stati orientali.
Nel 2009, la Commissione Europea ha istituito, insieme al Partenariato Orientale, un Forum della società civile (CSF), apparentemente perché “gli attori della società civile fungono da correttivo alla politica statale negli stati meno democratici e autoritari in cui l’opposizione parlamentare non è in grado di svolgere questo ruolo”(5).
“Potenziare” la società civile con gli aiuti dell’UE è stata una caratteristica del progetto di Partenariato sin dall’inizio.
È anche degno di nota che lo stesso testo descriva un’organizzazione creata dalla Commissione Europea come “iniziativa della società civile”. Ancora un altro esempio di offuscamento della realtà, qualcosa che l’UE ha imparato a fare molto bene.
Il Forum non fa mistero delle sue attività: “Il CSF ha organizzato piattaforme nazionali per avere maggiore influenza a livello di governo negli stati del Partenariato. In una certa misura, la Commissione europea funziona anche come una sorta di mecenate nei paesi con deficit democratici e costituzionali che consente ai gruppi della società civile di formulare critiche pubbliche e offre loro maggiore libertà d’azione. Ad esempio, la piattaforma bielorussa ha sfruttato questa libertà d’azione per trasformarsi in un’organizzazione filoeuropea”.(6) Sappiamo tutti cosa è successo in Bielorussia nel 2020.
Come spesso accade con questo tipo di iniziative della cosiddetta “società civile”, l’organizzazione statunitense NED fornisce esperienza e supporto.
Nel 2012 il CSF ha istituito un Segretariato, rendendo così ancora più chiaro che l’attivismo nella società civile è diventato una professione. Le ONG locali possono candidarsi per partecipare al Forum annuale ma… sono selezionate dal Servizio Europeo per l’Azione Esterna! Non sorprende che il CSF sia pieno di attivisti, membri dello staff e beneficiari della Open Society di Soros et similia. In questo schema fraudolento l’UE paga le operazioni di influenza di Soros e garantisce un ritorno ai suoi investimenti.
Ma ovviamente CFS e Open Society Foundations non sono le sole organizzazioni. I paesi del Partenariato Orientale pullulano di ONG. Quando si tratta di armare la società civile, uno degli attori più attivi nel Partenariato è l’European Endowment for Democracy (EED), istituito nel 2013 dall’UE sul modello del suo più noto omologo statunitense NED.
EED e NED non hanno risparmiato sforzi nel plasmare il panorama mediatico, culturale e politico dei paesi post-sovietici. Potrei citare dozzine di esempi, ma questo va oltre lo scopo di questo articolo, quindi invito il lettore a dare un’occhiata ai rapporti annuali di NED ed EED.
In Moldova, solo per limitarmi ad un esempio, hanno sostenuto testate giornalistiche, programmi radiofonici e televisivi in ??lingua russa e rumena che hanno svolto un ruolo fondamentale nell’elezione di Maya Sandu attaccando e screditando i suoi oppositori politici. L’ironia è che queste testate giornalistiche sono descritte come “indipendenti” nei documenti dell’EED. Da uno di questi rapporti apprendiamo che influencer e musicisti famosi come Pasha Parfeny, che aveva rappresentato la Moldova al concorso Eurovisione 2012 con la sua canzone Lautar, erano stati cooptati e finanziati dall’EED.(7)
Un tragico esito
Nel corso degli anni il Partenariato è notevolmente cambiato poiché la realtà trova sempre il modo di farsi largo. Ora è composto da cinque paesi membri, la Bielorussia essendo di fatto uscita.
Dal momento che l’Armenia e l’Azerbaigian non hanno mai chiesto l’adesione all’UE e l’Armenia è entrata a far parte dell’Unione Economica Eurasiatica nel 2015, l’UE ha meno influenza lì rispetto a paesi desiderosi di aderire all’UE, come Ucraina, Moldova e Georgia. Solo i primi due hanno ricevuto lo status di paese candidato all’UE come forma di compensazione per i servizi resi. Non sorprende che mostrino indicatori socioeconomici di gran lunga peggiori rispetto ai paesi che hanno mantenuto un certo grado di autonomia dall’Occidente: Ucraina e Moldova erano i paesi più poveri d’Europa quando è stato lanciato il Partenariato Orientale, e lo sono tuttora. Gli ucraini, dopo essere stati oggetto di una propaganda molto aggressiva e psy-op per quasi un decennio, hanno finito per combattere una guerra per procura per la NATO. Che è esattamente ciò per cui erano stati condizionati e addestrati.(8) Molto prima dell’inizio dell’operazione militare speciale della Russia in Ucraina, gli Stati Uniti avevano stabilito una base importante nel paese, pompando miliardi di dollari in armi in Ucraina. Per anni il paese ha ospitato personale militare e di intelligence americano ed europeo, specialisti della guerra dell’informazione e squadre di supporto tecnico.
Di fatto, altri paesi del Partenariato sono stati designati dagli Stati Uniti come potenziali agnelli sacrificali. Oltre all’Ucraina, gli Stati Uniti e la NATO hanno istituito centri per coordinare le strategie di guerra ibrida in Georgia e Moldova.
Su imbeccata degli USA, nel febbraio 2019 il Parlamento Ue ha annunciato l’istituzione di un’assemblea parlamentare regionale che comprende Ucraina, Moldova e Georgia per stringere una cooperazione più stretta su “questioni strategiche come la guerra ibrida e la disinformazione”. È stato creato un gruppo di lavoro informale sulla disinformazione con il sostegno del Parlamento dell’UE e dell’Istituto Nazionale Democratico (NDI), uno dei componenti principali del NED.
Dopo l’Ucraina, anche la Moldova e la Georgia hanno espresso il desiderio di unirsi al Centro Europeo di Eccellenza per il Contrasto delle Minacce Ibride (Hybrid CoE) con sede a Helsinki, una joint venture UE-NATO impegnata nella guerra ibrida. Sebbene non siano elencati come partecipanti, collaborano già con Hybrid CoE.
Come se non bastasse, una lobby transatlantica travestita da think tank, nel 2020 chiedeva un Security Compact al Partenariato: un’iniziativa che creerebbe una cellula di supporto e coordinamento dell’intelligence all’interno del Ministero degli Esteri e della Difesa dell’UE, per facilitare lo scambio di intelligence tra l’UE e i paesi del Partenariato. Tbilisi e Chisinau sono state suggerite come sedi per gli uffici di collegamento dei servizi segreti.(9)
L’idea che i paesi ex sovietici si sarebbero gradualmente allontanati dalla Russia sotto l’influenza del soft power occidentale e della promessa di un’ulteriore integrazione nell’UE, aveva senso quando l’UE rappresentava un modello di successo da emulare ed era un motore di crescita. Ma quell’idea era pericolosamente peregrina nel 2009, quando il crollo finanziario aveva già fatto crollare il castello di carte. L’UE, invece di risolvere i suoi problemi sistemici, ha escogitato nuovi schemi stravaganti e fraudolenti nel tentativo di rimanere rilevante.
Nel frattempo il baricentro economico e geopolitico si stava spostando a est verso l’Asia e l’ordine mondiale unipolare emerso negli anni ’90 mostrava segni di declino. Questa tendenza si è rafforzata nell’ultimo decennio e ora sta emergendo un ordine multipolare. Mentre l’Occidente si aggrappa alle sue manie di grandezza e superiorità morale, l’unico soft power che può proiettare è basato su bugie, doppi standard e vuote promesse. I bugiardi possono creare un’illusione di verità… finché non crollano sotto il peso delle loro menzogne.
Ma poiché estrarre ricchezza da una periferia di nazioni assoggettate e concentrarla nel nucleo imperiale richiede molto più delle capacità di marketing, gli imperi sono sostenuti e di solito imposti con la forza militare. L’impero statunitense non fa eccezione e la militarizzazione dell’Europa da parte della NATO e la sua espansione verso est hanno accompagnato la retorica ipocrita di “libertà, democrazia e diritti umani”.
Considerando che l’iniziativa del Partenariato Orientale è stata venduta ai membri dell’UE come un modo “per proteggere i fianchi orientali dell’Europa”, che per inciso sono anche i fianchi occidentali della Russia, il conflitto in Ucraina e il suo impatto devastante sulla stabilità politica ed economica dell’UE mostrano chiaramente che l’esito di tale spinta espansionistica è stato tragico non solo per i paesi del Partenariato ma anche per l’UE.
Note
(1) European Council, ‘A Secure Europe in a Better World: European Security Strategy’, Brussels, 12th December 2003, p. 8.
(3) https://eap-csf.eu/wp-content/uploads/Compendium.pdf
(4) Commonwealth of Independent States. Include Armenia, Azerbaijan, Belarus, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Moldova, Russia, Tajikistan, and Uzbekistan.
(5) https://dgap.org/en/research/publications/eastern-partnership-civil-society-forum
(7) https://www.democracyendowment.eu/en/our-work/firstpersonstories/1581-pasha-parfeny-and-lautar.html
(8) https://strategic-culture.org/news/2022/03/31/is-russia-losing-the-information-war/
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-partenariato_orientale_la_scommessa_geopolitica_dellue_che_sta_inabissando_leuropa/45289_47609/
Russia e mondo
I contenuti di questo articolo sono tratti dal blog Edward Slavsquat, che invito i lettori a leggere e a sostenere con una sottoscrizione, se interessati.
In questi giorni molti nostri connazionali si sforzano di spiegare ai loro interlocutori stranieri che no, dopo le ultime elezioni non è tornato il «fascismo» in Italia. E neanche sta per insediarsi, con ogni evidenza, un governo «disobbediente» che darà filo da torcere ai poteri atlantici e sovranazionali mettendosi a capo di una qualche controrivoluzione mondiale. Giudizi così iperbolici e semplificati non colpiscono solo il nostro Paese. La Russia di Vladimir Putin, complici l’informazione e la controinformazione martellanti degli ultimi mesi, è forse il Paese che più di tutti ha eccitato in chi non ci vive un’immaginario estremo degno di una titanomachia antica: ora è demone, ora redentore; ora minaccia per la coesistenza pacifica dell’umanità, ora ultimo trattenitore dei progetti di un’elite malvagia. È difficile per chi segue dall’esterno cogliere nel chiasso delle opposte tifoserie una voce ponderata e documentata.
Tra queste voci, una delle più originali è quella di Riley Waggaman, in arte Edward Slavsquat, che da un paio d’anni si dedica a ridimensionare il mito buono o cattivo, secondo i punti di vista, di un Cremlino schiettamente avverso all’Occidente e alle sue agenzie globali, riportandolo nei termini della più sfumata realtà. Nato in California e cresciuto in Massachusetts, Waggaman incomincia a scrivere come commentatore politico per Huffington Post e Wonkette. Nel 2013 si trasferisce in un sobborgo di Mosca e lì lavora per Russia Insider, l’iraniana Press TV e soprattutto Russia Today (RT), il network televisivo in lingua inglese controllato dal Cremlino oggi oscurato in molti Paesi, di cui diventa senior editor. Sempre più deluso dalla linea editoriale dei nuovi committenti, dopo alcuni anni si dimette, apre il blog Edward Slavsquat e collabora come opinionista e autore ai portali di informazione alternativa Off-Guardian, Anti-Empire e altri. Vive tuttora a Mosca con la moglie e un figlio, entrambi di cittadinanza russa.
La tesi di Waggaman, sostenuta da fitti rimandi alla stampa locale e a documenti ufficiali, è che ad oggi il governo russo non avrebbe i requisiti per definirsi ostile o anche semplicemente estraneo al «Grande Reset», il progetto di rinnovamento socioeconomico teorizzato dai tecnici del World Economic Forum e simultaneamente abbracciato nei suoi principi da quasi tutti i governi del mondo. Né si sia sempre preoccupato di difendere in casa propria quella libertà dai diktat dei decisori globali tante volte invocata nei trascinanti discorsi pubblici del suo presidente. Che, come minimo, certi poteri che incombono sul mondo contemporaneo non si lascino così nettamente imbottigliare dai confini amministrativi e dagli schieramenti ufficiali. Per giungere a questa conclusione il blogger adotta un criterio che tutti gli analisti dovrebbero fare proprio, di non concentrarsi cioè sulle divergenze e i conflitti tra i contendenti, già fin troppo esasperati dai rispettivi organi di stampa, ma piuttosto su ciò che li accomuna. La prima di una serie di stonature che lo ha colpito è stata la sostanziale indistinguibilità delle politiche russe e occidentali nella controversa gestione dell’epidemia di Covid-19. Considerate da molti come fatti tecnici privi di rilevanza politica, le contromisure adottate per arginare la nuova malattia hanno in realtà sortito un impatto senza precedenti sulla struttura giuridica e sociale delle comunità introducendo limitazioni ai diritti più elementari, sistemi elettronici di premialità e sorveglianza di massa e la sinistra novità di una «scienza di Stato». La sincronia e la ripetitività di questi provvedimenti nei più diversi luoghi e contesti del pianeta ha rappresentato a ogni effetto il tentativo sinora più riuscito di imporre un prodromico governo globale.
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Slavsquat demolisce senza pietà (e non senza un certo piacere) le aspettative di chi si immaginasse una Russia scettica e defilata nelle fasi più estreme di questo esperimento recente. «I media alternativi hanno creato una realtà alternativa sulla Russia», scrive, ma in realtà «il Cremlino ha adottato le stesse misure traumatizzanti di “salute pubblica” che stanno terrorizzando i Paesi occidentali». Le cronache del blog restituiscono in effetti una dettagliata fotocopia in cirillico di tutto ciò che abbiamo vissuto nel nostro Paese e altrove. Raccontano una storia dove cambiano gli attori, ma non i personaggi e le trame.
Durante la prima ondata della malattia anche il governo russo sarebbe diventato un «discepolo zelante del Culto Ermetico della Capacità Ospedaliera, la nuova religione esoterica che ha conquistato il mondo» in cui «il significato della vita è quello di preservare i letti d’ospedale». Allora e in seguito gli ammalati furono isolati nelle «zone rosse» dei nosocomi nazionali dove alcuni di loro, secondo quanto riportato dai parenti e dalla stampa locale, sarebbero stati maltrattati o lasciati morire nell’incuria. «In Russia», spiega il blogger, è consuetudine che i parenti portino bende e altri beni necessari ai famigliari ricoverati. Quindi che cosa può accadere quando non si può più fare visita ai propri cari che non possono badare a sé stessi? Sembra che qui abbiamo la risposta». Nella gestione ospedaliera dell’epidemia non ha nemmeno aiutato il fatto che nel quinquennio precedente il numero dei giovani medici sarebbe «diminuito del 64%: da 687 a 265 mila». Mentre i rappresentanti della categoria e alcuni politici puntano il dito contro i continui tagli al servizio sanitario, Waggaman fa notare che paradossalmente i fondi destinati alla sanità sono invece raddoppiati tra il 2019 e il 2020 e si chiede: «dove è andato a finire questo denaro? Non siamo sicuri di volerlo sapere [you don’t want to know]».
Come ha documentato l’agenzia Nakanune, nel 2020 (l’anno dell’emergenza) e più ancora nel 2021 (l’anno delle vaccinazioni) l’eccesso di mortalità in Russia ha raggiunto livelli inauditi. Nello stesso periodo più di un quarto dei russi nati prima della seconda guerra mondiale è scomparso facendo precipitare una crisi demografica già in corso. Sempre secondo gli analisti interpellati da Nakanune, siccome solo una piccola parte di questi decessi è direttamente correlabile alla nuova malattia, molti di essi sarebbero da attribuire al fatto che durante l’emergenza «le ospedalizzazioni dei pazienti non-Covid sono state rimandate con il pretesto di un aumento dell’incidenza del Covid» ottenendo come risultato di «lasciare senza assistenza medica programmata coloro che ne avevano davvero bisogno». Più in generale, si sarebbe avverato ciò che l’epidemiologo Igor Gundarov denunciava da tempo, che cioè la gestione terroristica e politicizzata dell’emergenza avrebbe reclamato un tributo abnorme di vite: «ictus, infarti, diabete, tumori… stress terribile, panico, isolamento, disperazione: tutto ciò influisce sulle riserve di salute e sulla mortalità…. La sanità è nel caos più totale. Gli scienziati sono stati messi da parte, i politici governano su tutto, non ci sono dati affidabili sulla cui base sarebbe possibile prendere decisioni giuste».
Nell’agosto 2021 il Ministero russo della Salute depositava il brevetto dello Sputnik V, il primo vaccino al mondo contro il nuovo Coronavirus. Waggaman dedica molte pagine a questo farmaco e alle sue implicazioni sanitarie, politiche, diplomatiche e industriali. Sviluppato a tempo di record nei laboratori del centro di ricerca statale Gamaleya, lo Sputnik V è stato salutato da molti come il prodotto «anti-imperialista» e «sovrano» par excellence da contrapporre agli intrugli della Big Pharma «globalista». Nella realtà, spiega e documenta il blogger, sono innumerevoli i fili che collegano l’impresa russa alla concorrenza occidentale. Innanzitutto ad Astrazeneca, produttrice di un vaccino la cui tecnologia adenovirale è stata definita dallo stesso direttore di Gamaleya, Aleksader Ginzburg, «molto simile» a quella della sua invenzione. Il colosso farmaceutico russo R-Pharm, che dal giugno 2020 ha fornito supporto al governo russo per lo sviluppo e la messa in produzione dello Sputnik V, è lo stesso che un mese dopo avrebbe stretto un accordo con Astrazeneca per la produzione e l’esportazione del futuro vaccino anglosvedese, sicché da più di un anno l’azienda fabbrica e commercializza entrambi i vaccini nei suoi stabilimenti russi. Nel dicembre dello stesso anno Astrazeneca e Gamaleya siglavano un memorandum di collaborazione per testare la possibilità di combinare il vaccino russo con quello britannico. L’accordo fu salutato da Vladimir Putin come «un esempio convincente di integrazione di forze scientifiche, tecnologie e investimenti in vista di un obiettivo comune». Ancora un anno dopo, alla vigilia dell’operazione in Ucraina, l’ex presidente e oggi vicepresidente del Consiglio di sicurezza Medvedev deplorava il «nazionalismo vaccinale» in un lungo documento che è una summa theologica di tutto il credo covidista e vaccinista globale.
Nel corso del 2021 il fondo di investimento sovrano RDIF (Russian Direct Investment Fund) da cui dipende finanziariamente l’istituto Gamaleya ha promosso studi congiunti anche con Pfizer e Moderna per indagare l’efficacia della somministrazione combinata dei rispettivi prodotti con lo Sputnik V. L’amministratore delegato di RDIF Kirill Dmitriev, già borsista della Fondazione Soros a Harvard, già Young Global Leader del World Economic Forum e già banchiere in McKinsey e Goldman Sachs, non aveva dubbi: «si tratterà di una combinazione molto ben riuscita». Per chiudere il cerchio, è di pochi giorni fa la notizia che l’istituto Gamaleya svilupperà un proprio vaccino a mRNA made in Russia. Dopo avere lodato l’efficacia dei prodotti di Pfizer e Moderna, il vicedirettore dell’istituto ha spiegato ai giornalisti della TASS che «i vaccini con tecnologia a RNA messaggero hanno un vantaggio molto importante: di poter essere somministrati una volta al mese».
Anche in Russia, come nel resto del mondo, l’efficacia delle vaccinazioni contro il Covid è un dogma. Anche in Russia, come altrove, i medici che non aderiscono al dogma rischiano sanzioni e punizioni esemplari . E anche in Russia il dogma si può aggiustare alla bisogna:
Il governo russo – scrive Waggaman – continua a sostenere che lo Sputnik V è altamente efficace nel prevenire i casi gravi della malattia. Nell’aprile 2021 Ginzburg diceva che avrebbe conferito un’immunità senza limiti. Un mese dopo ha corretto il tiro spiegando che la protezione sarebbe durata due anni. In giugno ha annunciato che i russi avrebbero avuto bisogno di un booster sei mesi dopo la vaccinazione. Infine, il 19 dicembre raccomandava di rivaccinarsi un numero «infinito» di volte ogni sei mesi.
Per nulla scoraggiato dal fatto che anche le persone vaccinate contraevano il Covid in forma grave, in ottobre ribaltava l’accusa sulle vittime dichiarandosi certo che almeno l’ottanta per cento di loro si fosse procurato un certificato di vaccinazione fasullo. Nella stessa occasione rivelava ai giornalisti che lo status vaccinale delle persone poteva essere verificato grazie a non meglio specificati «marker farmaceutici» inclusi nel preparato.
Aleksander Ginzburg, il Fauci delle steppe, non è che l’esponente più illustre di un pantehon di virostar che spopolano anche nei palinsesti russi. Un po’ scienziato, un po’ imprenditore e un po’ riformatore sociale, ha sostenuto tutte le proposte più drastiche per castigare i nemici delle sacre fiale, dalla radiazione dei medici dubbiosi alla segregazione sociale dei renitenti mediante un passaporto elettronico che «delimiti rigidamente le opportunità di interazione tra vaccinati e non vaccinati». Dopo una vita spesa nei laboratori di Gamaleya, il cui «padiglione vaccini» è descritto dal blogger come una topaia squallida e pericolante («a condemned rape dungeon») e i cui tentativi passati di fare approvare all’estero un proprio vaccino sarebbero finiti nel nulla o peggio, ha trovato gloria e ricchezza dopo l’immissione in commercio della sua ultima creatura. Nel novembre dell’anno scorso Putin gli ha appuntato la croce dell’Ordine di Aleksandr Nevskij e negli stessi giorni il Congresso russo ebraico lo ha insignito dell’onorificenza Global Influence Award perché «come Mosè, ci aiutati a uscire dalla quarantena e a tornare liberi».
Anche il percorso di approvazione del vaccino russo è stato segnato da numerose forzature concesse o condonate sotto il pungolo dell’emergenza. Ma anche in Russia ciò non inficia il secondo dogma: quello della sua sicurezza. Lo stesso Putin ha garantito che «i servizi sanitari non hanno registrato un singolo esito letale in seguito all’utilizzo di questo farmaco». Il che, concede Waggaman, è tecnicamente vero perché a differenza di Stati Uniti, Italia e altri Paesi, la Russia non ha una piattaforma di segnalazione degli eventi avversi e quindi… non li registra. L’osservazione del fenomeno resta affidata a canali informali dove medici e cittadini raccolgono testimonianze di malesseri, invalidità e decessi sospetti. Ma siccome per il ministro della Salute la pubblicazione di questi dati è «inappropriata» e «può provocare un atteggiamento negativo nei confronti della vaccinazione», il gennaio scorso le autorità hanno oscurato uno di questi canali, il sito Стоп Вакцизм («fermate il vaccinismo», comunque consultabile sul dominio di backup stopvaczism.org). Dati più ufficiali sulla sicurezza dello Sputnik V sono pubblicati dalle autorità sanitarie di alcuni Paesi che lo hanno adottato, come ad esempio quella argentina, nella cui ultima informativa di vigilanza sulla sicurezza dei vaccini (giugno 2022) il prodotto russo risulta essere quello di gran lunga caratterizzato da una maggiore incidenza di «eventi presumibilmente attribuibili alla vaccinazione».
Waggaman è particolarmente esasperato dal «negazionismo» di chi in Occidente ritiene che in Russia la vaccinazione anti-Covid non sia mai stata obbligatoria o che, comunque, lo sia stata solo in teoria. Nella realtà, durante lo scorso autunno e inverno la federazione asiatica ha adottato le stesse ricette «persuasive» a base di ricatto lavorativo, segregazione e lasciapassare digitali già praticate in Italia e altrove. Pur scontando l’iniziale e poi più ondivaga contrarietà del Cremlino, la regione di Mosca apriva le danze dell’obbligo già all’inizio dell’estate 2021 con una legge che imponeva a una lunga serie di categorie lavorative «a rischio» (commercio, ristorazione, istruzione, sanità, trasporti, spettacolo, uffici pubblici ecc.) di raggiungere una copertura vaccinale del 60% (poi portata all’80%) per azienda. Negli stessi giorni il ministro del lavoro Anton Kotyakov autorizzava i datori di lavoro a sospendere i dipendenti non vaccinati per tutta la durata dell’obbligo. Di lì a qualche mese tutti gli oblast della Federazione e persino le repubbliche di Donetsk e Luhansk avrebbero seguito l’esempio moscovita e introdotto obblighi analoghi o più stringenti, in molti casi avvalendosi di un «QR code» del tutto identico al nostro green pass sia negli usi (posto di lavoro, università, luoghi pubblici ecc.) sia nei modi per ottenerlo (vaccinazione, guarigione entro sei mesi, PCR entro settantadue ore).
A livello federale, in giugno il Ministero della Difesa aveva già reso obbligatoria la profilassi per il proprio personale e i coscritti, quello della Salute lavorava per introdurre la vaccinazione anti-Covid tra quelle obbligatorie previste dal piano nazionale di immunizzazione e il Parlamento discuteva l’approvazione di un testo unico nazionale sul QR code. Una legge che, per la forte avversione di quasi tutti i cittadini russi e anche di molti deputati, non avrebbe mai visto la luce e il cui disegno sarebbe stato ritirato nel gennaio di quest’anno. Forse, ipotizza Waggaman, per far ricadere la sua impopolarità sulle regioni che l’avevano già implementata a livello locale e riservare al governo la successiva integrazione delle piattaforme con un più semplice intervento tecnico. All’inizio dell’operazione ucraina anche in Russia, come più o meno ovunque nello stesso periodo, le restrizioni, gli obblighi e i lasciapassare digitali sono stati revocati quasi del tutto lasciando aperto lo stesso interrogativo valido ovunque circa la possibilità, i tempi e le forme del loro ritorno. L’ultimo colpo di coda segnalato sul blog è stata la notizia che tutti i cittadini richiamati alle armi per la «grande mobilitazione» in Ucraina avrebbero dovuto essere obbligatoriamente vaccinati contro il Coronavirus. Successivamente il Ministero della Difesa ha tuttavia chiarito che «sulla base della situazione epidemiologica attuale» l’immunizzazione contro il Covid non è tra quelle richieste ai cittadini mobilizzati.
Non manca proprio nulla nel fotoromanzo appena concluso (o sospeso) della covidmania in salsa russa raccontato da Riley Waggaman. Ci sono i guru in camice bianco come il primario della rianimazione del Kommunarka di Mosca Denis Protsenko, che nel 2020 denunciava le troppe morti da sovrainfezioni ospedaliere falsamente attribuite al Coronavirus, ma nel 2021 diventava un aedo della vaccinazione obbligatoria e subito dopo riceveva da Putin l’invito a candidarsi nel suo partito. Ci sono le pasionarie dell’informazione come Margarita Simonyan, la caporedattrice di Russia Today che accusava i non vaccinati di uccidere i bambini e si augurava di vederli morire strisciando. Ci sono i parlamentari che danno il buon esempio, come il leader ultranazionalista Vladimir Zhirinovsky che il dicembre scorso annunciava la sua ottava dose in poco più di un anno (quattro mesi dopo è morto di Covid). Ci sono i tecnici bene introdotti come Veronika Skvortsova, già ministro della Salute e oggi direttrice dell’Agenzia federale medico-biologica (l’equivalente russo del nostro Istituto superiore di sanità), ma al tempo stesso membro con Anthony Fauci e Chris Elias (Bill & Melinda Gates Foundation) del Global Preparedness Monitoring Board che nel 2019 aveva annunciato «una minaccia molto concreta di una pandemia altamente contagiosa e letale di tipo respiratorio». E ci sono i governatori regionali più zaristi dello zar che fanno a gara a chi discrimina meglio e di più, come il pietroburghese Alexander Beglov che ha «tormentato» i suoi concittadini estendendo ovunque l’uso del QR code e promettendo loro che la città «non tornerà alla vita di prima».
***
Sì, i vertici russi cantano nello stesso coro di Speranza e Trudeau, di Fauci e del miliardario di Seattle. Ma quanto sono stati capaci di convincere o costringere la popolazione a seguirli? Qui i pareri discordano. Per il più pessimista Waggaman, che si concentra su notizie e dichiarazioni ufficiali, molto. Eppure i numeri dimostrano che quello russo resta tra i popoli più diffidenti e più allergici ai dettami sanitari globali. Mentre scrivo, i russi che hanno completato il ciclo vaccinale prescritto sono poco più della metà del totale interessato, contro ad esempio l’ottanta per cento degli italiani: un numero ufficiale già ben al di sotto delle aspettative delle autorità ma che a sua volta potrebbe essere sovrastimato, se è vero che nel periodo pandemico «la vendita di falsi certificati vaccinali è stata la forma di truffa online più diffusa» in Russia. Che, detto nella patria dell’hacking, darebbe una certa idea del fenomeno.
Alcune persone che risiedono o hanno recentemente viaggiato nel Paese riferiscono al sottoscritto che anche i controlli per imporre l’uso dei dispositivi di protezione, l’isolamento e i lasciapassare digitali sono stati decisamente più «rilassati» che altrove. Queste testimonianze sembrano confermate da ciò che scrive Slavsquat sull’insofferenza quasi universale dei russi verso le nuove politiche sanitarie e dai sondaggi che cita, dove ad esempio emerge che oltre il 90% dei cittadini sarebbe stato contrario all’introduzione di un green pass nazionale. In pratica, riassumeva il blogger, «Russia Unita [il partito presidenziale promotore del QR code] e il suo asse di leccapiedi stanno votando contro la volontà dell’intero Paese». Percentuali di avversione così esorbitanti devono evidentemente includere non solo i controllati, ma anche buona parte dei controllori – forze dell’ordine, funzionari, esercenti, datori di lavoro ecc. – con ricadute prevedibili sui livelli di enforcement.
L’alterità del caso russo così energicamente smentita da Slavsquat si riaffaccerebbe dunque nella verticalità dei rapporti di potere e si salderebbe con il pur più debole dissenso di altri popoli, attraversando e rendendo labili le contrapposizioni tra blocchi politici. L’analisi così integrata restituirebbe la cronaca di un esperimento di globalizzazione al limite che deve scontare non solo la resistenza fuori dal comune di un popolo già vaccinato – quello sì – dagli eccessi di un totalitarismo recente, ma anche l’esigenza di reggere il ruolo dell’antagonista, dell’eccezione che dannerà o salverà il mondo. La stessa ambivalenza di Putin rifletterebbe lo sforzo di tenere insieme gli opposti poli di un vertice inzuppato dai globalisti e di un’aspirazione nazionale identitaria e multipolare, replicando in scala più estrema gli affanni di altri leader «sovranisti». La guerra e la successiva chiamata alle armi, come già le sanzioni, leniranno anche questi attriti con i balsami del patriottismo e dell’odio straniero. Resta da capire se offriranno anche l’occasione di una resa dei conti interna segnando l’inizio di un’emancipazione non solo retorica o se, al contrario, serviranno a coprire sotto il fracasso delle armi e lo sventolio delle opposte bandiere un’accelerazione delle convergenze in corso. Per rispondere occorrerà ancora una volta distogliere gli occhi dalla confusione del fronte e tenerli fissi sulle direttrici comuni, ignorare l’albero e considerare i frutti di cui la vicenda virale e i suoi corollari di biosecurity non sono gli unici esempi.
FONTE: http://ilpedante.info/post/russia-e-mondo
Passaparola di Putin al mondo.
Condividere e diffondere..
• La lettera di Vladimir Putin • al mondo:
Cari abitanti del nostro meraviglioso pianeta Terra!
Io, Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, ho deciso di rivolgermi a tutti voi direttamente, scavalcando i diplomatici, i vostri leader e giornalisti. In Russia esiste il cosiddetto “passaparola”, dove è vietato mentire, ingannare ed esagerare. Pertanto, parlerò molto francamente in modo che tutti possano essere convinti della veridicità delle mie parole.
La Russia è un paese grande e ricco. Il suo valore più importante sono più di 146 milioni di persone che vivono in un territorio dove la giustizia viene prima di tutto. Non abbiamo bisogno di nuovi territori, abbiamo l’energia e tutte le altre risorse sono in abbondanza.
Dai tempi del Grande Tartaro e dei Grandi Mongoli, i popoli dell’Eurasia settentrionale si sono sviluppati non per le incursioni delle Crociate e la colonizzazione dell’America, dell’Africa, dell’India o della Cina, ma per la loro operosità e pacifismo.
Coloro che conoscono la lingua russa capiscono che “russo” è un aggettivo che denota tutti i popoli del nostro paese. Slavi russi, tartari russi, ebrei russi, pari russi, ecc. tutti i russi nel cuore, anche se la loro cultura, la loro lingua e il loro modo di vivere possono essere diversi. Accogliamo con favore questa diversità di unità.
Ancora una volta, i popoli russi della Russia sono costretti a sacrificare la propria vita per proteggere il mondo dal nazismo e dal fascismo. Abbiamo scambiato 50 dei nostri prigionieri di guerra con 50 soldati ucraini. I soldati ucraini hanno ricevuto cure mediche nei nostri ospedali, hanno ricevuto tre pasti completi al giorno e sono tornati a casa.
Abbiamo ricevuto soldati russi a cui sono state tagliate le dita e i genitali. Nemmeno i nazisti lo fecero nell’ultima guerra.
Presenteremo questa prova in un processo futuro.
Sarà un peccato per tutti coloro che ora supportano questi mercenari dell’odio.
I vostri leader negli Stati Uniti, in Europa, in Giappone, in Australia e altrove si sono schierati dalla parte di questi sub-umani che mettono i civili, le donne incinte e i bambini al di sopra di se stessi in combattimento e mutilano deliberatamente i prigionieri di guerra.
Ed i vostri Biden, Scholz, Macron e altri democratici dell’oscurantismo non solo proteggono i criminali, ma li armano attivamente, forniscono loro il denaro che non permette di ridurre i prezzi nei vostri paesi.
I prezzi stanno aumentando, il mondo sta crollando, ma non perché i russi stiano liberando l’Europa dal male nazista, ma perché tu taci e sostieni persino una nuova ondata di nazismo.
Questa volta non andremo a Berlino. Ci fermeremo ai nostri confini storici, e tutti gli spiriti maligni nazisti, ai quali i vostri leader apriranno le loro porte, vi daranno una nuova vita “cristallina”, come fecero i nazisti, aggiungendovi la circoncisione degli organi riproduttivi.
Faccio appello a tutti coloro che vogliono vivere e lavorare nel mondo, crescere figli e fare amicizia con persone di tutto il mondo. Aiuta la Russia a far fronte a un nuovo cancro: il nazismo ucraino. Non l’Ucraina, dove vivono persone pacifiche e laboriose, ma il nazismo, alimentato dalle vostre tasse dai falchi degli Stati Uniti e della NATO.
Se i tuoi leader supportano il nazismo, spingili al limite, prendi il potere nelle tue mani.
I nazisti ucraini sono protetti dai proiettili dai civili, i tuoi governanti, con il pretesto della terribile Russia, hanno anche deciso di trasferire sulla popolazione il peso dei prezzi elevati e delle difficoltà future. In Ucraina, come nel vostro paese, i nazisti vivono bene dietro le spalle dei cittadini comuni e i cittadini comuni devono soffrire: questi sono gli stessi crimini in Ucraina come in Occidente.Non abbiamo infranto nessuna delle nostre promesse ed i vostri leader hanno rubato 300 miliardi di dollari ed euro al popolo Non abbiamo infranto nessuna delle nostre promesse ed i vostri leader hanno rubato 300 miliardi di dollari ed euro al popolo russo.
Rubano la proprietà dei cittadini del nostro paese in tutto il mondo, mutilano deliberatamente i nostri soldati, bandiscono la lingua russa e attaccano la Chiesa di Dio.
Vedo come nei paesi in cui i leader stanno inasprendo le sanzioni contro la Russia, la consapevolezza di ciò che sta accadendo sta crescendo e l’ondata di proteste si sta espandendo.
Dovresti pensare e sostituire i politici che si nascondono alle tue spalle con proiettili e premi. E non indugiare più. Se ci uniamo, in una prossima settimana non ci saranno più nazisti in Ucraina, la vita normale sarà ripristinata in Europa, negli Stati Uniti e in altri paesi, e insieme citeremo a giudizio i nazisti ucraini e tutti i leader che sostengono il nazismo in un nuovo tribunale. .
La nostra causa è giusta.
Sconfiggeremo il nazismo.
Voglio condividere questa vittoria con tutti, insieme e il prima possibile.
Vladimir Putin
Presidente della Russia.
FONTE: https://sadefenza.blogspot.com/2022/10/passaparola-di-putin-al-mondo.html?m=1
Sì, la Russia è complice del Grande Reset
Ma se non sei d’accordo con me va bene.
Ciao amici.
Recentemente ho avuto il privilegio di partecipare a una tavola rotonda, “Russia & the Great Reset – Resistance or Complicity?”, ospitata da OffGuardian e Unlimited Hangout.
Potete seguire la discussione qui. Grazie a Kit Knightly e Whitney Webb per aver moderato. L’evento è stato ispirato in parte dal video stimolante di James Corbett sulla Russia e il suo rapporto con il World Economic Forum.
Un ostacolo inevitabile a qualsiasi discussione come questa è come definire il Grande Reset, e cosa significa essere “complici” di esso?
Personalmente, non penso che tu possa separare la truffa del virus dal grande ripristino. Come ha notoriamente dichiarato Herr Schwab, “la pandemia rappresenta una rara ma stretta finestra di opportunità per riflettere, reimmaginare e resettare il nostro mondo”.
La Russia ha approfittato di questa “opportunità”? Certo che sì. La Russia ha usato questa falsa “crisi sanitaria” per distruggere il contratto sociale tra governo e cittadini e perseguire una sorveglianza digitale e un controllo senza precedenti sulla sua popolazione.
Le politiche anti-umane COVID della Russia hanno distrutto innumerevoli aziende, causato gravi interruzioni dell’istruzione e privato le persone delle cure mediche di routine. Nel mezzo della più grande catastrofe socioeconomica che ha colpito la Russia dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, Sber e altre grandi aziende russe hanno collaborato con il World Economic Forum per accelerare la quarta rivoluzione industriale del paese. L’organizzazione che ospita il Centro russo per la quarta rivoluzione industriale (che esiste ancora ma ha rimosso il logo del WEF dal suo sito web), ANO Digital Economy, continua a elencare “WEF e cooperazione internazionale” come una delle sue principali missioni.
Le sanzioni hanno costretto il WEF a tagliare i legami formali con la Russia, ma cosa significa in realtà questo “divorzio”? La Russia avrà ancora una valuta digitale della banca centrale, una griglia di controllo del riconoscimento facciale, passaporti vaccinali e ID genetici. Il “reset” sociale ed economico è ancora in corso. È un grande reset senza il logo del WEF.
L'”operazione speciale” in Ucraina non è una ribellione contro la tecnocrazia ispirata dal virus e il teatro della biosicurezza. In realtà, dovremmo aspettarci nuovi controlli draconiani e irreggimentazioni (in Russia e in tutto il mondo) in nome della salute pubblica, della sicurezza nazionale e della stabilità economica. Perché si preoccupano davvero di noi.
E, naturalmente, la truffa COVID continua senza interruzioni. Il 1 ° aprile, la Russia ha registrato il “primo vaccino intranasale al mondo” basato su un impasto genetico non provato; Il 30 marzo è stato annunciato che Russia e Kazakistan firmeranno presto un accordo sul riconoscimento dei passaporti di vaccinazione COVID; Alexander Gintsburg, l’Anthony Fauci della Russia, ha recentemente rivelato che avrebbe iniziato a testare il suo Sputnik-M non provato e non necessario su bambini di età compresa tra 6 e 11 anni. Ha anche detto che i bambini russi dovrebbero essere rivaccinati ogni sei mesi. E così via. Tutto questo è inutile, depravato e anti-umano.
Nel frattempo, alcuni dei principali tecnocrati russi e truffatori COVID sono stati nominati in una commissione di nuova formazione incaricata di proteggere l’economia del paese dalle sanzioni occidentali. I membri di questo comitato includono: la psicopatica Tatyana Golikova, Dmitry Chernyshenko (il vice primo ministro che dirige l’economia digitale ANO collegata al WEF) e Sergey Sobyanin, l’uomo che vuole far indossare ai moscoviti dispositivi impiantabili che calcolano i pagamenti dell’assicurazione sanitaria.
Come ho sostenuto durante la tavola rotonda, credo che stiamo assistendo alla formazione di almeno due blocchi distinti che useranno lo stesso tipo di tecnocrazia e biosicurezza per rendere la vita intollerabile.
Il 22 marzo, TASS ha riferito sull’apertura del nuovo Centro BRICS per la ricerca e lo sviluppo dei vaccini, che sarà utilizzato per “rispondere rapidamente alle minacce biologiche e garantire la protezione dei paesi partecipanti”.
Il ministro della Salute russo Mikhail Murashko (che ha paragonato i passaporti dei vaccini a un “nuovo stile di abbigliamento”) ha elogiato la nuova iniziativa.
“I primi vaccini contro COVID-19 sono stati sviluppati e testati proprio nello spazio BRICS, e questo sottolinea quanto sia importante continuare a lavorare attivamente in questa direzione”, ha affermato.
Mi dispiace, ma questo non è rassicurante. Soprattutto se hai familiarità con la stretta collaborazione del governo russo con Big Pharma. Non dimenticate: AstraZeneca e altre compagnie farmaceutiche occidentali amichevoli hanno promesso di rimanere in Russia mentre il Cremlino affronta i globalisti.
Un ultimo commento prima di andare a prendere il mio booster nasale Sputnik V.
Tom Luongo a quanto pare ha sentito il bisogno di ammonire il vostro umile corrispondente da Mosca e collega Iain Davis per aver espresso opinioni che non gli piacciono:
A mio parere, sono il peggior tipo di utili idioti in un momento come questo, permettendo ai loro pregiudizi personali e, francamente, alle nevrosi di dominare il loro lavoro pubblico che, alla fine, non fa altro che portare acqua per le stesse persone di cui hanno così completamente paura.
Tom… perché? Sei sicuro di voler dare lezioni alle persone sull’essere “utili idioti” e permettere ai “pregiudizi personali” di “dominare il loro lavoro pubblico”? Sei sicuro di volerlo fare?
In un podcast di settembre 2020, Tom ha sostenuto che lo Sputnik V “rappresenta una minaccia per i piani della folla di Davos per effettuare un Grande Reset sul mondo attraverso la distruzione economica e sociale … Invece di accogliere con favore il vaccino, che si basa su altri vaccini sicuri ed efficaci per MERS ed Ebola, la nostra leadership politica è arrabbiata e imbarazzata con la sua ignoranza e il loro reazionarismo istintivo”.
Qual è stata la fonte di Tom per questi fatti ermetici?
Ha citato un editoriale di RT scritto da Kirill Dmitriev, un giovane leader globale del WEF.
È un pessimo editoriale, tra l’altro. Ho esaminato le fantasiose affermazioni di Dmitriev in un articolo pubblicato dal Brownstone Institute:
Il Cremlino ha respinto le critiche allo sviluppo e al lancio ipersonico dello Sputnik V evidenziando i precedenti successi del Centro Gamaleya con lo sviluppo di vaccini a vettore virale.
Ad esempio, Kirill Dmitriev, l’ex banchiere di Goldman Sachs istruito ad Harvard che dirige il Russian Direct Investment Fund (che fornisce finanziamenti per Sputnik V), ha affermato in un editoriale del settembre 2020 che “la Russia ha beneficiato della modifica per COVID-19 di una piattaforma di vaccino a due vettori esistente sviluppata nel 2015 per la febbre Ebola, che ha attraversato tutte le fasi degli studi clinici ed è stata utilizzata per aiutare a sconfiggere l’epidemia di Ebola in Africa nel 2017”.
In realtà, solo circa 2.000 persone in Guinea hanno ricevuto il vaccino Ebola di Gamaleya nel 2017-18 come parte di uno studio clinico di fase III. In genere, gli studi di fase III coinvolgono decine di migliaia di partecipanti e spesso richiedono mezzo decennio o più di meticolosa raccolta e monitoraggio dei dati. La modesta portata del processo è stata completata dalla sua tempistica molto curiosa. La Guinea è stata dichiarata libera da Ebola nel giugno 2016 ed è rimasta tale per quasi cinque anni. Contrariamente alla prosa creativa di Dmitriev, non c’era alcuna epidemia di Ebola da “sconfiggere” quando gli scienziati di Gamaleya sono arrivati in Guinea nel 2017 per iniziare i test su piccola scala del loro vaccino sperimentale.
Il vaccino contro l’Ebola di Gamaleya è attualmente registrato solo presso il ministero della salute russo, che gestisce l’istituto. In un’intervista di settembre con Forbes Russia, Inna Dolzhikova, che ha contribuito a sviluppare Sputnik V, ha sostenuto che non c’era motivo di chiedere l’approvazione internazionale per il vaccino Ebola di Gamaleya perché non ci sono stati “grandi focolai” che richiedono l’inoculazione contro il virus mortale.
Non proprio. L’ebola è riemersa in Guinea nel febbraio di quest’anno, spingendo la nazione africana a sottoporsi a un programma di vaccinazione di emergenza. La piattaforma vettoriale virale “provata” di Gamaleya era vistosamente M.I.A., suggerendo che il suo vaccino contro l’Ebola aveva raggiunto un vicolo cieco.
Prima di lanciare lo Sputnik V in orbita, Gamaleya ha ripetutamente omesso di inviare un farmaco approvato oltre i confini della Russia. Il primo tentativo dell’istituto di un vaccino adenovirus vettore, AdeVac-Flu, ha provocato uno scandalo di appropriazione indebita multimilionaria.
Mi dispiace di essere un idiota così utile, Tom. Andando avanti prometto di seguire il tuo esempio e ottenere tutte le mie informazioni sullo Sputnik V dalla propaganda russa scritta dal finanziatore legato al WEF del coagulo russo.
— Riley
FONTE: https://edwardslavsquat.substack.com/p/yes-russia-is-complicit-in-the-great
LA MEDIAZIONE MULTIPOLARE
Pierluigi Fagan 13 10 2022
Così pare che Erdogan presenterà ad Astana a Putin una ipotesi di mediazione attiva che ha tutta l’aria di esser già stata presentata in vie ufficiose e considerata accettabile base per iniziare a discutere. La questione ha una sua banalità che s’è persa volutamente in questi mesi di guerra delle analisi e dei giudizi per conquistare cuori e menti occidentali, noi ne parlammo giusto nella prima settimana del conflitto, inutilmente. Bastava che Biden alzasse il telefono e chiamasse il Cremlino per arrestare immediatamente la mattanza che andava profilandosi. Ma a Biden, quella telefonata non conveniva.
La questione banale e davvero semplice è considerare che il format che deve discutere i vari problemi connessi alla guerra in Ucraina è fatto ovviamente da russi ed ucraini, ma anche da europei e soprattutto dagli americani. S’è voluto occultare che il problema di fondo dei russi fosse con gli americani, non con gli ucraini, se era per il semplice Donbass, così come la Russia non ha invaso l’Ucraina per otto anni dal 2014, avrebbe potuto continuare per altri otto o più.
Molta gente che davvero non capisce proprio nulla di questo argomento e s’è trasformata in “geopolitico da social” quando al massimo è commentatore di serie tv, ed è stata presa dal fuoco passionale di lanciare strali e giudizi, gente che prima dello scorso febbraio collegava Ucraina a badanti e signorine un po’ leggere o alla Shakhtar Donetsk, è stata sapientemente mobilitata a creare una realtà parallela in cui discutere quanto malato di mente fosse Putin, quanto fosse reincarnazione di qualche zar, quanto malati di delirio di potenza fossero i russi in generale ed altre sciocchezze senza alcun senso compresi olocausti nucleari prima di cena ed altre amenità. Tra cui un profluvio di ipocriti buoni sentimenti ed indignazione un tanto al chilo. Uno spettacolo davvero ignobile.
Gli USA, sono il competitor naturale della Russia, è semplice, basta leggere qualche libricino di storia degli ultimi settanta anni, guardare l’arsenale atomico, un mappamondo, non serve altro. La condizione competitiva è reciproca e se è ovvia in via immediata dal punto di vista russo, lo è poi anche dal punto di vista americano vista la capacità militare ed energetica di penetrazione russa in molti quadranti del mappamondo. Zone “sensibili” come il centro-Asia, il Medio Oriente, l’Africa. L’uno, gli USA, sono molto più forti dell’altro, la Russia, indubbiamente. Ma a volte può capitare anche che l’Inter butti fuori il Barcellona dalla Champions.
L’Europa poi, non solo è il vicino immediato dei russi, non solo è con-condomino dell’Europa geografica, non solo è (o era) il suo maggior partner commerciale multidimensionale, ma era anche il garante degli accordi di Minsk, una ragionevole mediazione tipo Alto Adige che, applicata, avrebbe deviato il corso della storia su un altro esito. Perché i due garanti dell’accordo, Francia e Germania, non hanno detto e fatto nulla quando ci si è accorti che l’accordo veniva sistematicamente sabotato? Solo da qualche mese, l’Europa ha scoperto che c’era il problema ucraino, mobilitandosi su azioni ed atteggiamenti in parte comprensibili ma in altra parte assai poco comprensibili, perché non ha mostrato la stessa presenza nel difendere ed obbligare al rispetto dei patti che avrebbero evitato questo immane casino? Dov’erano l’Europa e gli europeisti da operetta, i difensori della libertà e della democrazia, prima?
Come si vede, i “nazisti di Kiev” sono l’ultimo dei problemi e così l’ultimo a cui chiedere soluzioni.
I sabotatori dell’intelligenza collettiva, quella intelligenza collettiva che il povero Pagnoncelli per serietà professionale non può esimersi dal quotare al 60% della popolazione italiana bombardata da quasi otto mesi di propaganda assurda, che chiede “trovate una soluzione e fatela finita”, oggi vengono a dirti “ah sì? Allora dimmi secondo te quale sarebbe un equo accordo di pace”.
A parte il fatto che pretendere equità in questi casi è pura chimera, anche perché non si sa equità tra chi e chi, tra cosa e cosa, un eventuale accordo che sarà congelamento del conflitto più che soluzione di pace stabile dovrà trovarsi tra tutti questi attori su un numero di variabili che i più neanche conoscono. C’è, ad esempio, un grosso problema sul recesso americano unilaterale sul precedente trattato sui missili a medio raggio, una insidia potenzialmente vitale per i russi. I russi mandarono agli americani una lettera chiedendo di poter discutere urgentemente e seriamente questo ed altri punti due mesi prima l’inizio del conflitto e poiché la risposta fu “no”, ne hanno tratto le conseguenze. Cosa ne sa la gente normale di questa e tante altre cose? Perché dovrebbe trasformarsi in Talleyrand o Kissinger e venirti a spiegare come si fa la pace se quello che viene mostrato è solo una scandente serial con uno scadente commediante di cui si chiede “dimmi come va a finire”? Ma che ne sanno come va a finire, molti non sanno neanche perché è cominciata.
Erdogan sta occupando la nicchia di rappresentanza del mondo che è altamente disturbato da tutto questo casino, in un mondo già incasinato di suo. Erdogan è NATO ed ha ancora in mano la carta del via libera o meno all’entrata degli scandinavi. Ma può giocare anche molti altri ruoli su molti altri tavoli. Quello che si appresta a tentare è una sua idea o al massimo una idea sino-indiana-mediorientale? O c’è anche un sostanziale via libera franco-tedesco?
E questa notiziola di un eventuale nuovo gasdotto russo-turco volto all’Europa in sostituzione del Nord Stream, in pratica il redivivo South Stream che ci avrebbe beneficiato e che molti “lungimiranti” del Nord hanno impedito si facesse, che senso ha?
Staremo a vedere, presto per dire, ma molti segnali dicono che questa storia sta probabilmente prendendo una nuova piega.
FONTE: https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/pfbid0m1pPwUzu6U5sTKSSXAFQXwnmqqsi63KhZdJTe2D7SQZFFo8UXcgjZP8oef3L9evwl
“320 milioni di euro per la sua società”. Si mette male per la von der Leyen e ora la magistratura indaghi. Scoppia il caso
“A pensar male degli altri si fa peccato… ma spesso si azzecca!” recitava così la celebre frase di Andreotti. Ebbene questa perla di saggezza potrebbe ben adattarsi alla notizia che sta circolando e su cui non possiamo non spendere qualche riga. A voi il giudizio.
Il caso scoppiato e riportato da La Verità riguarda proprio lei, la Von Der Leyen, presidente della Commissione europea, finita recentemente sotto i riflettori per l’accordo che ha portato all’acquisto di 1,8 miliardi di dosi di vaccino anti-Covid-19, che è stato stipulato tramite messaggi privati con il capo di Pfizer, Albert Bourla.
Questa volta l’ingente somma di denaro sarebbe pari a 320 milioni e coinvolgerebbe il marito della presidente. Gira voce che uno dei progetti che dovrebbe essere finanziato con l’attuazione del Pnrr, è stato affidato a una società nel cui board figura proprio il marito della presidente von der Leyen.
Il centro per le terapie geniche di Padova – si legge sulla Verità – si è aggiudicato oltre 320 mln per lo sviluppo della tecnologia a mRna. Ai vertici di questa società, però, c’è Heiko von der Leyen, il compagno di chi quei soldi in pratica li eroga.
Il conflitto di interesse della famiglia von der Leyen pertanto risulta palese. La Verità riferisce anche che già nel 1999 la Commissione europea, guidata da Jacques Santer, fu travolta da uno scandalo di corruzione e nepotismo che costrinse il governo europeo a dimettersi.
FONTE: https://www.ilparagone.it/attualita/320-milioni-di-euro-per-la-sua-societa-si-mette-male-per-la-von-der-leyen-e-ora-la-magistratura-indaghi-scoppia-il-caso/
POLITICA
TULSI GABBARD, DIMISSIONARIA DAL PARTITO DEMOCRATICO USA
Lisa Stanton 12 10 2022
SCIENZE TECNOLOGIE
Un banchiere amichevole vuole trasformare i russi in cyborg
Herman Gref rivela il segreto per “rimanere rilevanti” nel 2022
C’è un uomo di nome Herman Gref. Gli piacciono le rivoluzioni industriali e i clot-shot e lo sviluppo sostenibile.
È il banchiere più amichevole della Russia e, per coincidenza, anche l’amministratore delegato della banca più amichevole della Russia, Sber, che non è solo una banca, ma piuttosto un intero “universo di servizi per la vita umana”. ← è qualcosa che direbbe un banchiere amichevole che non è sicuramente un robot proveniente dallo spazio, sì?
Ad ogni modo, ci stiamo immergendo in SberMetafisica quando dovremmo davvero discutere di SberNews.
Gref ha partecipato a una conferenza la scorsa settimana in cui ha rivelato il segreto a lungo nascosto per rimanere SberRelevant:
Il presidente di Sberbank Herman Gref ha nominato sette tecnologie chiave del futuro: intelligenza artificiale, Internet ad alta velocità (5G / 6G), cloud computing, web 3.0, realtà virtuale e aumentata, calcolo quantistico e biotecnologie.
Parlando alla maratona educativa della Società russa “Conoscenza”, Gref ha osservato che queste tecnologie saranno della massima importanza per la vita delle persone in futuro. “Il più sviluppato di questi è il cloud computing e l’intelligenza artificiale (AI) sta fornendo il massimo beneficio alle imprese e alla società di oggi”, ha affermato, tenendo una conferenza su “Tecnologia e persone: come rimanere rilevanti”.
Herman Gref ha anche sottolineato che le soluzioni utilizzate nel campo dell’IA vengono costantemente migliorate. Questo vale per settori come i prestiti, l’assistenza sanitaria, i veicoli senza equipaggio e la sicurezza informatica.
Immagina le possibilità. Presto avremo il privilegio di ricevere istantaneamente un prestito predatorio di realtà aumentata da un algoritmo nel cloud 6G.
(I nostri amici di Katyusha.org hanno scritto in modo superbo la performance di Gref e incoraggiamo tutti a leggerlo.)
Alla fine della presentazione di Gref, un giovane ammiratore gli ha chiesto: “Quale dei tuoi risultati consideri il più significativo?”
Il CEO di Sber ha risposto: “Non ho ancora raggiunto il mio risultato più significativo”.
Oh, giorni felici.
Edward Slavsquat si scusa per non aver pubblicato nulla per sei giorni interi. Stiamo lavorando giorno e notte su diversi rapporti innovativi. Grazie per la pazienza. SberLove.
FONTE: https://edwardslavsquat.substack.com/p/friendly-banker-wants-to-turn-russians
Eccovi la “Bistecca stampata 3D” degli israeliani. Vi piace?
Ottobre 17, 2022 posted by Giuseppina Perlasca
L’azienda israeliana Redefine Meat sta entrando in campo in Europa con un metodo per la stampa 3D di bistecche coltivate in laboratorio come alternativa a hamburger e bistecche da animali vivi. Oltre all’aspetto grottesco e innaturale del processo, è altamente improbabile che un sostituto della pasta di carne possa avvicinarsi al sapore di una vera bistecca, anche perché le proteine sono di bae vegetale. Chiedetevi: lo mangereste volentieri? Comunque eccovi un video esplicativo nel processo di produzione di questa carne stampata che sembra più che altro una sorta di strana mortadella
Nonostante il crollo dell’interesse e dei prezzi delle azioni, diverse aziende in tutto il mondo stanno ancora cercando di promuovere sostituti della carne finti in un mercato molto limitato che non li vuole. Impossible Burger e Beyond Meat sono stati gli ultimi tentativi falliti di utilizzare proteine di soia, fagioli e piselli per simulare l’esperienza dell’hamburger, arrivando a collaborare con franchising di fast food come Burger King e McDonald’s, per poi veder cancellati questi programmi per mancanza di vendite.
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