RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
17 SETTEMBRE 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Il potere è la trama della storia. Il massimo che può fare un uomo è l’attività politica.
senza Lorenzo il Magnifico non ci sarebbe stato Botticelli,
senza Giulio II non ci sarebbe stato Michelangelo.
L’arte è la dimostrazione del potere
VITTORIO SGARBI, Il bene e il bello, Bompiani, 2002, pag. 49
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SOMMARIO
OMS-FMI CORROMPONO I GOVERNI: LOCKDOWN PER BLOCCARE LE ECONOMIE
La strategia della tensione e la battaglia per il potere in Italia
Così eliminano la scuola – Che è lo scopo vero
Dittatura: nella religione sanitaria, la mascherina è il burka
L’inferno: microchip obbligatorio e vaccini imposti col Tso
È tempo di revisionismo! Aboliamo il festival di Venezia
IL TRANS ETERO – ultima geniale invenzione napoletana
Magaldi: Pompeo a Roma avvisa i ‘cinesi’ Conte e Bergoglio
A Monti la “poltrona Covid”: cosa deciderà per l’Europa
Il Deep State golpista scatena Antifa per rovesciare Trump
Cosi il culturalismo ha ridotto la cultura ad oggetto (innocuo)
La società distanziale: agorafobia e smaterialità
Abolire la verità: la nuova religione del potere modello Cina
La Francia si spacca sui certificati di verginità per le ragazze. I medici: “Sbagliato vietarli”
Viganò tifa Trump: Covid e rivolte, è l’inferno firmato Nwo
TREDICI MILIONI DI POVERI ASSOLUTI E RELATIVI MA L’M5S ESULTA PER IL SUCCESSO
Le strutture del finanzcapitalismo
I tassi di interesse: che cosa sono e quali effetti hanno
GDPR, quel registro dimenticato
C’è già un giudice a Bibbiano anche se non c’è un processo
La norma invisibile
Prete sgozzato, Bergoglio: “Don Roberto Malgesini ucciso da una persona bisognosa”
Decrescita
Il Secolo Cinese inizia oggi
Esclusivo: ecco il documento che può smontare l’inchiesta sulla Lega
Dott. Stefano Scoglio: Tamponi Fake e Virus Mai Isolato
DALLA RESISTENZA AL NAZIFASCISMO ALL’ANTIFASCISMO DEI TRADITORI
Petizione: ricordiamo Petrov, che salvò il mondo da una guerra nucleare
IN EVIDENZA
OMS-FMI CORROMPONO I GOVERNI: LOCKDOWN PER BLOCCARE LE ECONOMIE
Nicola Bizzi, che di mestiere fa lo storico ed edita il periodico Aurora, ha accusato Oms e Fmi d’aver finanziato sottobanco i costi per la gestione dell’ordine pubblico dei paesi in lockdown. Notizia che può destare scalpore ed incredulità solo in chi non consce il ruolo dell’Onu, dell’Oms e dell’Fmi (Fondo monetario internazionale), strutture che hanno anche il compito di frenare economie e produzioni (quindi crescita) per evitare che si creino scompensi, desertificazioni e prevaricazioni di vario genere. Per raggiungere i loro obiettivi dispongono di enormi quantitativi di danaro (reale ed elettronico): di fatto possono mettere in crisi governi ed aree geografiche sensibili a carestie ed instabilità d’ogni tipo. Oggi l’occhio (lasciatemi il doppio senso massonico) di Oms, Onu ed Fmi non è puntato solo su terzo e quarto mondo ma (vera novità) anche sull’Occidente, dove vorrebbero cagionare sconvolgimenti socioeconomici che dalla green economy possano arrivare sino alla “povertà sostenibile” (un reddito universale di cittadinanza uguale in Francia come in Italia, Germania Nigeria e Brasile). Quest’ultima utopia viene cavalcata dalla Fondazione di Bill Gates, a cui prestano ascolto Onu, Oms ed Fmi. Il mondo è davvero piccolo, e mai come in questo momento la rivoluzione la sta capitanando il potere contro i popoli: e fu Karl Marx a preconizzare come le guerre un giorno non sarebbero più state tra popoli diversi, ma del potere contro il proletariato dell’intero pianeta. Sappiamo bene che nessuno partito, di destra come di sinistra o di centro, potrebbe mai dirsi lontano dal filosofo di Treviri, e perché il socialismo è la malta di tutti i corpi intermedi, sindacali, politici e corporativi per categoria.
Sotto lockdown avevamo svelato ai lettori de L’Opinione che, solo in piccolissima parte le nostre tasse servono a pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici. In Italia solo i dipendenti delle strutture consortili, nate per parcheggiarvi chi assunto dalle ex Provincie come negli ex consorzi bonifica (l’elenco degli enti è lunghetto), vengono pagati con quanto in cassa (presso banche con tesoreria) nel consorzio, e con soldi racimolati dalle ex tasse provinciali su bolli auto e passaggi di proprietà (nonché competenze varie su collaudi, ricorsi in materia agraria) e dal pagamento del “contributo obbligatorio di bonifica”, che dagli enti provinciali è passato alle Regioni in quasi tutto lo Stivale. Per tutti i restanti dipendenti pubblici lo stipendio viene pagato con danaro creato elettronicamente dalla Bce, perché s’è rafforzata negli anni una camera di compensazione perequativa che permette non manchi mai ossigeno a chi lavora nel pubblico impiego di tutta l’Ue. I funzionari ministeriali lo sanno bene, per questo non erano affatto preoccupati dalla chiusura di negozi o di botteghe artigiane, come della morte generalizzata delle libere professionisti. Il dipendente pubblico è consapevole che a livello europeo l’unico commercio a norma Ue è quello esercitato dalla grande distribuzione, e nei centri commerciali: ecco perché diciassette milioni di disoccupati in più non turbano affatto i sonni di chi ha vinto un concorso o amministra lo Stato. L’unica preoccupazione d’ordine sociale (anzi di ordine pubblico) investiva ed investe il Viminale. Questo perché circa venti milioni d’italiani (come di cittadini di altre nazioni) potrebbero non accettare venga imposta l’inedia. Rassegnarsi all’esclusione sociale, secondo i 5 Stelle, potrebbe agevolare l’erogazione d’un reddito di cittadinanza più ampio: il famoso “reddito d’emergenza” come primo pilastro d’una “povertà sostenibile”.
In Italia non sarà necessario ricorrere al un nuovo lockdown, perché il Belpaese da circa un trentennio ha gradualmente dismesso quasi il 70 per cento della sua funzione manifatturiera e primaria (produzione agricola). L’Italia è un paese con l’economia bloccata, oggi ad Fmi e Oms interessa fermare (imponendo il lockdown) i paesi che continuano a produrre e crescere. Metodiche del potere mondiale che hanno creato una profonda frattura tra chi comunque e sempre si vedrà accreditato uno stipendio (moneta elettronica) e quei cittadini che stentano a fatturare, a fare cassa, a mantenere nella marginalità l’impresa. Il corona virus ha dimostrato che la creazione di moneta elettronica nel pubblico impiego prescinde da qualsivoglia crisi. Ma veniamo all’accusa di Nicola Bizzi che dice “l’esecutivo Conte è totalmente eterodiretto da forze e poteri molto pericolosi che hanno messo in scena un vero e proprio colpo di Stato globale, finalizzato alla progressiva riduzione e cancellazione della democrazia, della libertà e dei diritti civili, alla repressione di qualsiasi dissenso e all’instaurazione di una dittatura mondiale tecnocratico-sanitaria che definire di stampo orwelliano sarebbe un complimento…in alcuni paesi (in Scandinavia, Svizzera, Croazia e in parte anche in Germania) questa operazione si è scontrata – continua Bizzi – con la solidità dei sistemi democratici, mentre in altri paesi, come Italia, Spagna, Francia, Serbia e Bulgaria, l’operazione è stata invece portata avanti con maggiore forza e violenza”. Bizzi dichiara d’attingere a fonti d’intelligence, ed aggiunge “tutti i governi europei erano stati messi al corrente già dal mese di settembre del 2019 di cosa sarebbe successo, e hanno ricevuto enormi finanziamenti clandestini (nel senso di non ufficialmente dichiarati): una vera e propria pioggia di denaro, destinata a dichiarare il lockdown e garantirne la tenuta attraverso un massiccio potenziamento delle forze dell’ordine”.
Le parole di Bizzi trovano non poche conferme nelle dichiarazioni di Aljaksandr Lukashenko (presidente bielorusso). Contrario a lockdown e “distanziamento sociale”. Lukashenko ha dichiarato d’aver ricevuto dell’Oms l’offerta di 92 milioni di dollari, a patto d’operare in Bielorussia un lockdown all’italiana. Al rifiuto di Alexander Lukashenko l’Oms ha decuplicato l’offerta a 940 milioni di dollari: e questa volta con garanzia dell’Fmi. “Dopo questa coraggiosa presa di posizione – scrive Bizzi – Lukashenko è stato demonizzato dalla comunità internazionale ed accusato di brogli elettorali”: l’operazione “rivoluzione colorata”, tesa a rovesciare Lukashenko, sarebbe stata finanziata dal Fondo monetario internazionale. Finanziamenti segreti per adottare il lockdown? Bizzi parla di “Operazione Corona”, concretizzatasi nel “colpo di Stato globale”, attraverso lockdown e costruzione d’un collegamento mondiale tra forze di polizia e security.
“È accaduto in Canada, Australia, America Latina, Medio Oriente, Asia e Africa. Molti leader africani, in particolare i presidenti della Tanzania, del Burundi e del Madagascar – aggiunge Bizzi – hanno pubblicamente denunciato questi tentativi di corruzione e hanno preso le distanze dall’Organizzazione mondiale della sanità, dimostrandosi così molto più liberi e coraggiosi dei leader europei”. La denuncia di Bizzi, e questo allarma non poco, fa il paio con l’obiettivo di moneta unica elettronica globale che oggi persegue l’Oms (lo ha detto anche Mario Monti, coordinatore Oms per l’Ue): e cosa c’entra la pandemia con la moneta? Forse la moneta elettronica è una cura contro i virus? Qui in conti non tornano. Soprattutto sorge il dubbio che, il potere multinazionale abbia approfittato del corona virus per trasformare i vecchi stati in agenzie del potere finanziario planetario. Qualche capo di stato non ci sta, qualcuno se la canta, comunque la denuncia di Bizzi ha un fondamento. Lo si vede da come i sindacati evitino di difendere i lavoratori dalla dilagante schiavitù siamo il pieno evo medio cibernetico, stiamo accettando il ruolo di tecnologici servi della gleba.
FONTE: http://opinione.it/economia/2020/09/15/ruggiero-capone_oms-fmi-onu-lockdown-autora-bizza-francia-italia-germania-nigeria-brasile-marx-l-opinione-bielorussia-operazione-corona/
La strategia della tensione e la battaglia per il potere in Italia
La strategia della tensione e la battaglia per il potere in Italia
Vorremmo rivolgere la nostra attenzione alla conclusione del saggio di Marco Dondi intitolato “L’eco del boato. Storia della strategia della tensione 1965-1974” (Editore Laterza, 2015).
Infatti, riteniamo le conclusioni dell’autore – tanto quanto quelle di Aldo Giannuli relative al saggio sulla strategia della tensione siano di estrema rilevanza sia sotto il profilo storico che sotto il profilo politico per comprendere chiaramente la storia del nostro paese.
In linea di massima la strategia della tensione si concretizzò con la guerra non ortodossa formulata fin dal 1965 che fu impiegata contro il partito comunista, il partito socialista, i sindacati e i movimenti sorti dal 1968 e, più in generale, contro il centrosinistra. All’interno della strategia della tensione il ruolo del golpe fu molto importante: infatti il vero scopo del colpo di Stato non era di farlo ma di servirsi di esso come una minaccia psicologica verso la classe dirigente e verso la pubblica opinione.
La prima osservazione compiuta dall’autore è quella relativa al fatto che ben cinque organizzazioni e i loro atti criminosi furono coperti dall’istituzione come per esempio Ordine Nuovo. Infatti la protezione dello Stato svolse un ruolo di acceleratore dei processi di destabilizzazione. Infatti i Nuclei di difesa dello Stato, la rosa dei venti e la P2 erano veri e propri vasi comunicanti con i servizi informazione difesa, con l’Uaar, con gli uffici informativi dell’esercito e infine con il Noto servizio. Secondo l’autore i nuclei, la Rosa dei Venti e la P2 volevano mutare la struttura costituzionale della Repubblica e la loro pericolosità risiedeva proprio nel fatto di essere composti da personalità che avevano alti incarichi all’interno dello Stato in ambito politico, militare e nel contesto della intelligence.
A rendere il quadro ancora più drammatico è il fatto che queste tre strutture non soltanto hanno inciso in modo funesto attraverso attentati terroristici sulla vita del nostro paese ma hanno influito in modo considerevole sulle nomine delle forze armate, degli apparati di sicurezza e hanno profondamente condizionato l’esito dei processi.
Passiamo adesso ad una seconda considerazione fatta dall’autore. Se tutto ciò fu possibile è perché un gruppo ristretto di uomini politici non solo conosceva l’esistenza di queste strutture, anche se non le dirigeva, ma ebbe modo di sfruttarne politicamente l’azione.
Per quanto riguarda il ruolo complessivo delle forze armate e delle forze dell’ordine queste – ed è la seconda considerazione – erano in gran parte favorevoli ad una svolta autoritaria che le indusse a tradire il giuramento di fedeltà verso la costituzione.
Per quanto riguarda il ruolo della CIA – ed è la terza considerazione – questa svolse una forma di controllo e di assenso delle operazioni collegate per esempio all’attività di ON, funzione analoga svolta anche dalla Nato. Inoltre, entrambe le istituzioni sovranazionali, si serviranno dei gruppi di estrema destra anche come una sorta di manovalanza per porre in essere la guerra non ortodossa.
Vediamo adesso alla magistratura e alla quarta riflessione di Dondi. Una delle ragioni – ma certamente non la sola – che ha rallentato in modo considerevole le indagini della magistratura sono state le reticenze, le ritrattazioni e i depistaggi posti in essere anche dai servizi di sicurezza.
Un’altra ragione è da individuare nel tentativo di neutralizzare le indagini in corso attraverso la centralizzazione a Roma di più indagini, centralizzazione che ha contribuito “a disinnescare i pericoli di delegittimazione su una parte il mondo politico” come afferma l’autore (pag.402). Ma anche i contrasti di natura tecnica in merito alla competenza territoriale tra tribunali hanno contribuito in modo rilevante ad ostacolare l’accertamento della verità. Un altro strumento – sempre nel contesto della magistratura indubbiamente sospetto – fu quello dei trasferimenti come nel caso dei giudici di Treviso Giancarlo Stiz e di Aldo Vittozzi.
Più volte abbiamo fatto riferimento al ruolo dei servizi segreti. Ebbene sia le indagini giudiziarie che quelle della Commissione sul terrorismo e sulle stragi hanno sottolineato come le trame stragiste furono sempre note ai vertici dei servizi di sicurezza che hanno fatto di tutto per negare le informazioni date alla magistratura creando nuove piste -ovviamente false – producendo masse di documenti depistanti o facendo emergere nuovi testimoni che poi hanno in un secondo momento ritrattato.
Fondamentale è stata la manipolazione fatta dai servizi della stampa con nuove rivelazioni che hanno enormemente rallentato le indagini della magistratura facendo nascere “un ginepraio di carte, personaggi, ipotesi false o verosimili che hanno reso più ardua ricostruzione della verità“ (pag. 404). Se pensiamo per esempio all’inchiesta sull’Italicus sia i servizi che la P2 hanno spesso devastato i processi portando a non raccogliere determinati elementi o a nasconderne altri. E certamente quest’opera di depistaggio è durata fino agli anni Ottanta.
Ma è certamente la quinta riflessione quella che riveste un ruolo di particolare significato .Il ruolo dei servizi è stato per certi versi ancora più grave quando hanno contribuito alla fuga di importanti testimoni senza naturalmente poi trascurare il fatto che molti testimoni sono morti, vi sono stati suicidi inspiegabili e addirittura ricoveri in manicomio tutti episodi questi sui quali – sottolinea l’autore – i servizi sono intervenuti. Se pensiamo a Piazza Fontana di casi simili ce ne sono circa una decina come ha dimostrato Marco Sassano. Ma la responsabilità più grave,sotto il profilo giuridico, penale e morale è il fatto che i servizi sono stati i principali fautori della eversione al punto che il servizio segreto italiano ha certamente giocato un ruolo fondamentale sia nella nascita del terrorismo che nella sua caduta.
Pensiamo per esempio che Vito Miceli, dopo essere divenuto deputato per il Movimento Sociale nel 1976, fu invitato due anni dopo negli Stati Uniti a partecipare ad un incontro riservato con uomini dell’entourage di Henry Kissinger a dimostrazione ulteriore degli stretti legami internazionali che ebbe sempre la strategia della tensione.
Numerosi magistrati hanno infatti sottolineato che lo sviluppo del terrorismo di destra non sia stato una deviazione ma un vero e proprio normale esercizio, per quanto criminoso, di una funzione istituzionale svolta non solo dai servizi ma anche da gran parte dei corpi militari dello Stato, dalla mafia, dalla ‘ndrangheta e dalla loggia P2.
Se, ad esempio, rivolgiamo la nostra attenzione al ruolo svolto da Umberto D’Amato e dal suo ufficio: questo svolse vere e proprie funzioni di polizia politica come durante gli anni del fascismo. Ma se tutto ciò fu possibile – ribadisce l’autore opportunamente – dipese dalla complicità e dalla connivenza – oltre che dalla convenienza – delle più alte cariche dello Stato e cioè del Ministero della Difesa e degli interni, del Presidente del consiglio e della Repubblica. E quando i servitori dello stato non servivano più venivano liquidati o scaricati come fecero anche Andreotti e Taviani.
Ora, alla luce di queste drammatiche considerazioni che procedono di pari passo con quelle di Giannuli e di Fasanella, supporre che nel nostro paese la conclusione della strategia della tensione abbia posto termine ad intrighi e complicità legate anche alla sovranità limitata del nostro paese sarebbe una pericolosissima illusione. Basterebbe fare due soli esempi: le vicenda di Pollari, Pio Pompa e Mancini del Sismi e Robert Seldon Lady della Cia legate anche ad Abu Omar – ancora una volta, guarda caso, proprio la CIA è direttamente coinvolta – e quelle della P4 con Luigi Bisignani, personaggio questo che, per certi versi, ricorda Francesco Pazienza.
FONTE: http://osservatorioglobalizzazione.it/progetto-italia/la-strategia-della-tensione-e-la-battaglia-per-il-potere-in-italia/
Così eliminano la scuola – Che è lo scopo vero
Posto qui la deuncia di Enrico Galoppini, dal sito Nazione Futura:
“A leggere le “linee guida” redatte dal Comitato tecnico-scientifico di cui si avvale Governo ed alle quali gli istituti scolastici ed i docenti si atterranno, si ha l’impressione di misure pensate più per un carcere o un sanatorio piuttosto che per ambienti adeguati per i bambini. “Distanziamento”, mascherine ogni tre passi, sanificazione di tutto e tutti. Il bambino teorizzato e trattato come presunto “untore”, e panico innescato al primo starnuto. Il tutto mentre i famosi “numeri” dei “contagi”, delle “terapie intensive” e dei “morti” testimoniano tutto l’opposto di una catastrofe sanitaria in atto.
Ora, se la scuola, in questa società moderna, dovrebbe rappresentare un importante momento della formazione della personalità umana, oltre che essere veicolo di competenze e nozioni, questa scuola, la scuola della “nuova normalità”, è l’esatto contrario di un luogo atto a che ciò possa realizzarsi.
Per quanto riguarda le classi d’età più giovani, queste “linee guida” è assai probabile che si rivelino fonte di stress e di vere e proprie psicosi in una fase cruciale dello sviluppo cognitivo e comportamentale del bambino. Un bambino che – sin dall’inizio di questa “pandemia” dichiarata da un’organizzazione finanziata perlopiù da privati che ha praticamente affermato tutto e il contrario di tutto e che non si capisce come mai certi governi seguono come l’oracolo – è stato il grande assente sulla scena mediatica sulla quale si sono esibiti “esperti” dalle dubbie intenzioni e professionalità.
Del bambino e delle sue esigenze, parliamoci chiaro, non è interessato né interessa niente a nessuno di questi “esperti” in quota politica: a simbolo di tutto ciò si prenda il disquisire, grottesco, sulla possibilità – mentre i proprietari di cani uscivano anche dieci volte al giorno – di consentire la “passeggiata genitore-figlio”. Solo chi ha dei figli sa che cosa ha significato sentire certe affermazioni e vedere certe scene.
Ed oggi che i numeri della cosiddetta “pandemia”, con le terapie intensive vuote ed i morti che si contano su una mano, sono da prefisso telefonico, a scuola, complici gli allarmismi sui “positivi” ai tamponi, si vuole mandare avanti ancora uno spettacolo indecoroso sulla pelle dei bambini, sfruttando l’inizio del nuovo anno scolastico.
Quale occasione per inscenare “l’efficienza del governo” e la sua “sollecitudine” nel predisporre tutte le misure a protezione e del personale scolastico e dei suoi utenti! Persino l’acquisto di tutti questi banchi “monoposto” o con le rotelle, che comporta una spesa pubblica stupefacente in un comparto nel quale mancava tutto, dalla carta igienica alle risme di carta, s’inserisce in questa farsa che è stata messa su con la scusa della “ripartenza della scuola”.
Ma regole così (“non possono abbracciarsi, né toccarsi, né prestarsi oggetti eccetera”), impossibili da rispettare a meno che non si voglia mandare tutti al manicomio, o sono state pensare “all’italiana” per essere trasgredite o sono il parto di menti distorte, che intendono perseguire degli obiettivi nemmeno troppo nascosti.
Tra questi, la distruzione della scuola pubblica, o quanto meno il suo abbandono da parte di quelle famiglie che non hanno ancora mandato il cervello all’ammasso e che non si abituano al pensiero di un figlio praticamente in carcere. Ma c’è dell’altro, di più inquietante, perché nemmeno troppo velatamente si caldeggia l’osservanza delle “regole della scuola” anche al di fuori di essa, per cui non si esagera se si afferma che l’ambizione di questi ideologi al servizio della “pandemia” è quella di trasformare tutta la vita del fanciullo secondo i loro schemi paranoici.
Come se tutto ciò non bastasse, su tutte le famiglie che mandano i figli in questa scuola incombe lo spauracchio di “quarantene” e “tamponi” a catena. Sì, perché quella che i media riversano nelle case degli italiani è oramai una “pandemia di tamponi”. Tamponi che diagnosticamente sono inaffidabili ma che vengono fatti in numero crescente perché questo governo ha un estremo bisogno di “malati” inventati di sana pianta. E tutto questo, ignobilmente, sulla pelle dei bambini e delle loro famiglie.
Che dire poi della “didattica a distanza”? Se già non è il massimo per gli studenti delle superiori (costretti pure alla mascherina al banco!), com’è possibile pensare di aggiogare per ore un bambino al computer senza che quello abbia a patirne pedagogicamente ed emotivamente? Avrà o no bisogno dell’assistenza d’un adulto? Pensiamo un attimo perché si potrebbe rendere “necessario” il ricorso alla “didattica a distanza”.
Di nuovo per dei tamponi “positivi” e conseguente chiusura di classi e/o intere scuole. Ma anche nella malaugurata ipotesi di nuovi “lockdown” che un governo disperato potrebbe dichiarare sempre a colpi di “decreti d’urgenza” dalla più che dubbia legittimità ed opportunità, pur di salvare la propria nave che affonda sotto il peso delle catastrofi che ha provocato.
Ultima – ma solo in ordine di tempo perché ne combinerà altre – quella dell’acquisto di milioni di banchi mentre quelli vecchi, ci fanno pure vedere senza vergogna, vengono lanciati prima dalla finestra e poi nella discarica. Ci sarà pure un giudice che vorrà indagare per danno erariale? Si appelleranno, questi demolitori della Nazione italiana e dello Stato, alle magnifiche sorti e progressive garantite dai “fondi europei” (andare alla voce “indebitamento”)?
Ma qui andremmo oltre lo scopo del presente scritto, anche se è evidente che questa “pandemia”, alla quale i governi aderiscono in maniera entusiastica quando sono in sintonia coi poteri che hanno in odio le Nazioni per favorire un “Nuovo ordine mondiale”, ha molto a che fare con la svendita dello Stato e la ristrutturazione in senso “globalista” delle nazioni, da riprogrammare, sin dalla più tenera età, finanche nei modi di pensare.
La scuola, che già da troppi anni è diventata la prateria nella quale scorazzano i fautori delle varie “teorie” contro natura, è il campo di battaglia nel quale il pensiero “conservatore” e/o “sovranista” ha l’imperativo categorico di dare battaglia, fino alle barricate. Perché di guerra si tratta. Una guerra dichiarata dai cosiddetti “progressisti” adepti della “rivoluzione permanente”. “Avanguardie dell’inferno” per le quali la preda più ambita e succulenta è l’innocenza del bambino.
Dal Messaggero:
Scuola, il 118 a scuola per i casi sospetti di covid: subito test rapido, febbre misurata in classe
“Un caso sospetto di coronavirus a scuola impone la chiamata immediata alla centrale operativa del 118, il triage telefonico, l’invio di un mezzo di soccorso dedicato e il test rapido. In classe durante le lezioni gli studenti si proteggeranno con la visiera para-droplets e indosseranno la mascherina solo quando il distanziamento sarà impossibile.
[…]
Quando l’equipaggio del 118 arriva a scuola provvede, nella stanza dedicata al temporaneo isolamento dei casi sospetti, alla rilevazione dei segni vitali, alla valutazione clinica complessiva del soggetto (eventualmente inclusiva di ecografia polmonare) ed alla effettuazione di test rapido molecolare mediante tampone naso-faringeo. Se non si dispone di tecnologia in grado di effettuare diagnosi in loco, il tampone viene portato nel laboratorio dell’asl competente con obbligo di risposta entro 120 minuti. In caso di riscontro positivo alla infezione, il 118 provvederà ad accompagnare in condizioni di elevato biocontenimento, la persona positiva al proprio domicilio se asintomatico o paucisintomatico (nel caso di uno studente eventualmente insieme con il genitore) o al trasporto protetto in ospedale Covid se è sintomatico «maggiore».
«È di assoluta importanza strategica assicurare le 3 fasi di intercettazione precoce, isolamento precoce, terapia precoce dei casi affetti da Covid-19 e garantire la più tempestiva esecuzione del test rapido molecolare».
Impedire l’educazione è la finalità ideologicamente perseguita da tutti questi carcerari divieti, controlli, quarantene – non un effetto collaterale della “pandemia” da combattere
Abbiamo già dimenticato Guenther Anders, che vi ha letto Montesano?
“Per soffocare in anticipo ogni rivolta, non bisogna essere violenti. I metodi del genere di Hitler sono superati. Basta creare un condizionamento collettivo così potente che l’idea stessa di rivolta non verrà nemmeno più alla mente degli uomini.
L’ ideale sarebbe quello di formattare gli individui fin dalla nascita limitando le loro abilità biologiche innate.
In secondo luogo, si continuerebbe il condizionamento riducendo drasticamente l’istruzione, per riportarla ad una forma di inserimento professionale. Un individuo ignorante ha solo un orizzonte di pensiero limitato e più il suo pensiero è limitato a preoccupazioni mediocri, meno può rivoltarsi.
Bisogna fare in modo che l’accesso al sapere diventi sempre più difficile e elitario. Il divario tra il popolo e la scienza, che l’informazione destinata al grande pubblico sia anestetizzata da qualsiasi contenuto sovversivo.
Ridurre drasticamente l’istruzione, riportarla ad una forma di inserimento professionale
Niente filosofia. Anche in questo caso bisogna usare la persuasione e non la violenza diretta: si diffonderanno massivamente, attraverso la televisione, divertimenti che lusinghino sempre l’emotività o l’istintivo. Affronteremo gli spiriti con ciò che è futile e giocoso. È cosa buona, con chiacchiere e musica incessante, l’impedire lo spirito di pensare.
Il divario tra il popolo e la scienza, che l’informazione destinata al grande pubblico sia anestetizzata da qualsiasi contenuto sovversivo
Metteremo la sessualità al primo posto degli interessi umani. Come tranquillante sociale, non c’è niente di meglio.
In generale si farà in modo di bandire la serietà dell’esistenza, di ridicolizzare tutto ciò che ha un valore elevato, di mantenere una costante apologia della leggerezza; in modo che l’euforia della pubblicità diventi lo standard della felicità umana E il modello della libertà.
Il condizionamento produrrà così da sé tale integrazione, che l’unica paura – che dovrà essere mantenuta – sarà quella di essere esclusi dal sistema e quindi di non poter più accedere alle condizioni necessarie alla felicità.
L’ uomo di massa, così prodotto, deve essere trattato come quello che è: un vitello, e deve essere monitorato come deve esserlo un gregge.
Tutto ciò che permette di far addormentare la sua lucidità è un bene sociale; tutto ciò rischia di causare il suo risveglio deve essere ridicolizzato, soffocato, combattuto.
Ogni dottrina che mette in discussione il sistema deve prima essere designata come sovversiva e terrorista e coloro che la sostengono dovranno poi essere trattati come tali.
Günther Anders
Nicolas Bonnal, a commento della foto:
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/cosi-eliminano-la-scuola-come-diceva-anders/
Dittatura: nella religione sanitaria, la mascherina è il burka
Da sei mesi siamo entrati nell’era globale della mascherina e non sappiamo quando ne usciremo. Siamo in pieno conflitto etico, epico ed estetico sul suo uso e il suo rifiuto. La contesa va al di là delle ragioni sanitarie e riguarda un modo di intendere la vita e i rapporti umani; è diventata infatti una questione politica, simbolica e ideologica. La battaglia per il suo uso o il suo rifiuto, nel nome della sicurezza o della libertà, lo scontro tra chi dice di non voler rischiare la salute e chi invece non vuol perdere la faccia, ha assunto ormai toni ideologici che vanno al di là della profilassi, dell’effettiva efficacia della mascherina e dei rischi di contagio. Per dirla con Giorgio Gaber la mascherina è di sinistra, il viso scoperto è di destra. Abbiamo sentito in questi mesi accusare di negazionismo irresponsabile e di fasciosovranismo smascherato coloro che ostentavano il rifiuto della mascherina. Trump, Bolsonaro, Johnson e da noi Salvini, Briatore, Sgarbi. In effetti nell’atteggiamento ribelle verso le mascherine c’è qualcosa d’intrepido e temerario che ricorda gli arditi e i fascisti, dal me ne frego al “vivi pericolosamente”; e c’è pure qualcosa di libertario e liberista che rifiuta lacci e lacciuoli, regole e bavagli.
Un atteggiamento che in sintesi potremmo definire fascio-libertario. Il superuomo nietzscheano può accettare il distanziamento sociale, e perfino auspicarlo, anche se detesta l’imposizione; ma la mascherina no, è una schiavitù umiliante, una coercizione all’uniformità. Ma perché non cogliere pure sull’altro versante l’ideologia serpeggiante che unisce gli apologeti della mascherina, e il suo forte significato simbolico e metaforico, al di là del suo uso sanitario e della sua effettiva utilità? Per molti fautori della mascherina si tratta di qualcosa di più che una semplice profilassi; quasi un bisogno inconscio, una coperta di Linus, un istinto di gregge, il retaggio di un’ideologia. La mascherina è una livella ugualitaria e uniformatrice, la protesi della paura che accomuna la popolazione in semilibertà vigilata; la mascherina sfigura i volti e cancella le differenze in una specie di comunismo facciale, anche se esalta gli occhi e nasconde le brutture; genera isolamento pur restando in una prospettiva ospedaliero-collettivista, rende più difficile la comunicazione, evoca il bavaglio e la museruola, ha qualcosa di inevitabilmente angoscioso e orwelliano.
Lo spettacolo di folle in mascherina sarà confortante per il senso civico-sanitario ma è deprimente, ha qualcosa di umanità addomesticata e impaurita, ridotta a silenzio e servitù dal terrore della malattia e dal relativo terrorismo sanitario. Ma non solo. Il politically correct è la mascherina ideologica per non vedere in faccia la realtà e non farsi contagiare dalla verità nuda e cruda. Quando non vuoi chiamare le persone, le cose, i comportamenti col loro vero nome ma li mascheri in un linguaggio paludato; quando correggi la realtà, la natura, la storia e l’esperienza con i canoni dell’ipocrisia e della rettificazione; quando copri le statue e i simboli della civiltà e della storia patria, nascondi i crocifissi, per non urtare la suscettibilità di qualcuno cosa fai se non costringere il mondo a indossare la mascherina? Se per tutelare le donne e i gay, i migranti e i rom, i disabili e i neri, devi mascherare il linguaggio, la vita reale, i rapporti umani, le forme espressive cosa fai se non calare una gigantesca mascherina sul mondo? Non conta più il mondo ma la sua rappresentazione, non il volto ma la maschera. Viviamo nel tempo mascherato.
La mascherina è inevitabilmente associata al totalitarismo sanitario imposto nei mesi scorsi, con le sue restrizioni della libertà più elementari e dei diritti primari: la prigionia domestica, il coprifuoco e la segregazione precauzionale. La mascherina è come una prigione portatile, la gabbia da asporto o la prosecuzione del domicilio coatto con altri mezzi. Sul piano geoetnico la mascherina evoca altri mondi diversi dal nostro, italiano, europeo e occidentale; cancella la bellezza sfacciata dei volti che è stata la gloria della nostra arte figurativa, i ritratti, i sentimenti che si leggono in viso, l’umanità dei volti. Anche se persona in origine significa maschera, da noi la maschera ha una connotazione negativa o al più grottesca. Mascherato è il rapinatore, il killer o il carnevale. S’incappucciano gli ordini esoterici, le confraternite religiose.
La mascherina è in uso nelle popolazioni asiatiche, i bavagli profilattici dei cinesi in fila e le protezioni sanitarie dei giapponesi da raffreddori e inquinamento. Ma evoca soprattutto i veli imposti dall’Islam alle donne, dal chador al burka. La mascherina è il burka della salute, perché la nostra è ormai una religione sanitaria. Il nuovo comandamento è ricordati di sanificare le feste. Poi c’è la realtà. Al di là della contesa simbolica e ideologica di cui è stata caricata la mascherina vale l’utilità pratica di indossarla, magari il minimo indispensabile, evitandola laddove siamo soli, nelle nostre auto o all’aperto, lontani da ogni assembramento. E cercando di ridurre al minimo il tempo di permanenza in luoghi o situazioni che la richiedono. Perché la mascherina non la sopportiamo, fisicamente e psicologicamente, ce ne vogliamo liberare il più presto possibile, e rifiutiamo l’ipotesi inquietante che il nostro futuro sia quello di vivere mascherati, in seguito a un osceno baratto, dopo quello tra convivialità e salute: la pelle in cambio della faccia.
(Marcello Veneziani, “L’ideologia mascherata e il burka della salute”, dal numero 38 di “Panorama“, settembre 2020).
FONTE: https://www.libreidee.org/2020/09/dittatura-nella-religione-sanitaria-la-mascherina-e-il-burka/
L’inferno: microchip obbligatorio e vaccini imposti col Tso
Il vaccino è soltanto un passaggio intermedio. L’obiettivo finale non è il vaccino: perché, per quanti soldi si possano fare vaccinando 60 milioni di italiani, non è questo l’obiettivo finale. Certo i vaccini sono una cosa bellissima, per Big Pharma, perché non c’è niente di meglio che curare i sani, nella storia della medicina. Curare a pagamento dei sani è il meglio di qualsiasi business legato alla medicina post-ippocratica. Ma il vero problema è che il vaccino è soltanto una tappa intermedia, verso il pieno controllo bio-tecnologico e bio-politico dell’umanità, con tecnologie che mettano insieme la biologia e la biochimica con l’elettronica. Questo è l’orizzonte di senso a cui personaggi come Bill Gates e le sue aziende lavorano, ormai da molti anni. L’arricchimento della grande élite è secondario, è quasi un effetto collaterale. Il problema fondamentale è il controllo del sistema. Noi dobbiamo fare attenzione, per non cadere nella trappola e non apparire dei dietrologi, dei paranoici deliranti; dobbiamo vedere le cose, ognuna, “iuxta propria principia”. Quando gli Achei salpano per distruggere e conquistare Troia, sono mossi – come ci spiega bene Omero – da una gamma di desideri diversi.
Agamennone vuole affermare la sua supremazia su tutti i regni della Grecia. Menelao vuole vendicare il tradimento della moglie, Elena, e recuperarla. Aiace vuole far vedere che è il più forte. Ulisse si piega, pure alla partenza, dovendo realizzare un suo progetto, che non si si risolverà neanche nell’Odissea. E Achille deve riaffermare la sua natura divina-umana. Cioè: sono tutti mossi da finalità diverse, come in fondo ci spiega questa grande epopea psicologica che è l’Iliade; ma tutti convergono su un obiettivo, che è la conquista e la distruzione di Troia. Anche nel nostro caso, evidentemente, ci sono molti interessi, diversi ma convergenti. L’interesse su cui convergono è il fatto di mettere l’umanità sotto controllo. Le ragioni per cui diversi soggetti debbano mettere l’umanità sotto controllo sono svariate, ovviamente. Qualcuno dovrà vendere i microchip per metterli sotto la pelle di tutti, qualcuno dovrà vaccinare tutti, qualcuno dovrà avere un sistema monetario che non risenta di capricci come quelli dei titoli-spazzatura e del problema della monetazione delle monete sovrane. Qualcuno dovrà distruggere ogni principio di sovranità nazionale, alla luce di un diabolico governo globale.
Questi interessi convergono: così come nel caso dell’Iliade la distruzione di Troia, in questo caso l’interesse convergente è la distruzione di tutte quelle libertà (costituzionali, civili, giuridiche, individuali e collettive) su cui è nata la grande epopea sorta con la Pace di Westfalia, attraversando poi la Rivoluzione Inglese (quella delle Teste Rotonde), la Rivoluzione Americana di Washington, Franklin e Madison, la Rivoluzione Francese con i suoi esiti, arrivando fino ai Risorgimenti nazionali dell’800, per creare invece un ecumene tecnologico iper-controllato, governato da un’élite platenaria in cui si entra per cooptazione. E’ un disegno luciferino, che sembra marciare con un’agenda implacabile. Anche perché, su questo, convergono molti interessi inconfessabili. Quando oggi si dice, per esempio, che l’unico principio ispiratore, l’unico attrattore strano del caso, l’unico principio organizzatore generale di una società con 9 miliardi di uomini non può che essere la scienza, si perde di vista il fatto che non solo non esiste, una scienza con la S maisucola, neutrale, e non solo gli scienziati non sono gli efori, i sacerdoti della verità metafisica; ma ci sono mille interessi che convergono: quelli delle Big Pharma, di chi vuole mettere sotto controllo il mercato della salute, in tutte le sue implicazioni (il mercato della vita e della morte).
E quindi è chiaro che, in questa situazione, non è del tutto scontato che non si possa prendere atto che il dottor Fauci, denunciato anche da sue collaboratrici, non sia guidato soprattutto dal tema dei brevetti dei vaccini o dalle case farmaceutiche, piuttosto che dagli interessi comuni della popolazione degli Stati Uniti d’America. Però, questo blocco storico (uso un termine gramsciano) è saldato in modo talmente forte, che queste idee – che possono sembrare un po’ dietrologiche e paranoiche – in realtà si saldano con un processo storico che è molto forte e molto chiaro. Nel piano della globalizzazione, del mondo senza frontiere, della finanza globalizzata dei Rothschild, dei Rockefeller, dei Soros e dei Bill Gates, è stata già stabilita una divisione internazionale del lavoro. All’estremo Oriente, alla Cina deve andare tutta la manifattura, che con la sua plusvalenza accumulata deve comprarsi il debito americano e la potenza anche militare degli Stati Uniti. L’Europa dev’essere ridotta a qualcosa che è una via di mezzo tra quel po’ di industria che rimane in Germania e un gerontocomio (o una pizzeria) come l’Italia; e comunque, essendo un continente invecchiato, l’Europa deve essere destinata all’afro-islamizzazione demografica, come già aveva preconizzato Oriana Fallaci una trentina d’anni fa.
E in questo quadro, chiunque rappresenti un ostacolo dev’essere spazzato via come una formica, e spiaccicato. Non esiste più nessuna libera informazione: c’è un mainstream implacabile. Siamo arrivati al ricorso al Tso, per chi contesta il lockdown? Del trattamento sanitario coatto è sempre stato fatto un uso dovizioso in tutti i regimi, a partire da quello staliniano: se si rifiuta una società “perfetta”, o si è criminali o si è matti, perché si rifiuta il proprio bene. Quella del Tso “per il bene comune” è l’idea che sta alla base di questa filosofia del diritto. In Italia ci sono due modi per costringere qualcuno a subire il trattamento sanitario coatto: uno è psichiatrico e l’altro – guardacaso – è epidemiologico, infettivologico. L’isolamento e la quarantena obbligatoria per chi rischia di propagare una malattia è un intervento coatto, esattamente come il Tso psichiatrico, che viene applicato in modo arbitrario. Il Tso psichiatrico viene prescritto da un medico psichiatra, dipendente pubblico, e confermato da un secondo collega che ne recepisce la diagnosi. Poi deve essere ratificato entro 24 ore dal sindaco, quindi dal giudice tutelare.
E’ chiaro che tutto questo implica qualsiasi arbitrio possibile: le ragioni per cui un soggetto possa essere considerato pericoloso a sé e agli altri sono infinite. Potrebbe essere qualcuno che brandisce un’ascia e vorrebbe fare a pezzi la nonna, ma potrebbe essere qualcuno che vuole suicidarsi gettandosi dalla finestra. O qualcuno che non vuole sottoporsi a una terapia, che a quel punto gli viene imposta con la forza. A Testimoni di Geova sono state imposte trasfusioni, col pretesto di salvare una vita. Se lo psichiatra arriva perché il paziente non vuole ricevere quello che è “buono, santo e giusto” per lui, siamo entrati in questa fattispecie. Ed è quella che, credo, verrà usata in modo sistematico: nel nome del pietismo, della filantropia, del benessere individuale e collettivo, e del bene supremo della salvezza della vita – che diventa qualcosa di assoluto, ipostatizzato e mitizzato, anche al di fuori di qualsiasi valutazione razionale. Cioè: se noi abbiamo un vaccino con cui ti puoi salvare da una malattia incombente e tu non te lo vuoi fare, tu non stai facendo il tuo bene; e quindi noi saremo costretti a ricoverarti in ospedale, foss’anche per 48 ore, praticarti il vaccino e poi dimetterti.
Ho fatto il primario di psichiatra per tanti anni, e ho visto imporre trattamenti coatti a schizofrenici cronici: rifiutavano la terapia farmacologica, non gliela si poteva praticare in casa, e allora lo psichiatra del territorio (con la copertura dello psichiatra direttore del dipartimento ospedaliero di salute mentale) confermava il Tso anche con un ricovero tipo day hospital, lì veniva praticata l’iniezione – che ha una durata d’efficacia di tre settimane – e dopodiché il paziente veniva dimesso. Ecco: questo è il futuro che si prepara, per noi. Quindi, anche dentro la psichiatria, occorrerà una battaglia serrata. Ma purtroppo ho un’opinione veramente bassa dei miei colleghi, ormai per lo più ridotti a propagandisti di case farmaceutiche, pronti a vendersi anche la nonna per farsi una settimana di vacanza alle Maldive; pur di non perdere il primariato e i premi che ricevono da Big Pharma, saranno pronti a dire: «Ma come, non vuole fare il vaccino? Lei forse non sta bene, è depresso, ha un disturbo ossessivo-compulsivo; noi la ricoveriamo (anche soltanto per 48 ore), le facciamo il vaccino e poi la dimettiamo». Vedrete che finirà così.
Conoscendo i miei mediocri colleghi, il Tso sarà uno strumento fortissimo. Su questo, bisognerà organizzare una linea di difesa anche giuridica, da subito, cominciando a castigare i primi che si prestano a fare i “bravi”, i poliziotti di questo sistema. Io mi candido a fare il perito d’accusa della parte civile. Sono a disposizione, gratuitamente, per colpire il primario di quel reparto, cercare di farlo destituire e mettere in galera, se possibile. Sul caso di Agrigento, facciamo subito un esposto in Procura e alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. O sinceriamoci che lo stiano già facendo: bisogna attaccare preventivamente, perché questi personaggi, che si mettono a disposizione del propagandista delle case farmaceutiche, non è che siano dei cuor di leone. Io li conosco bene, è gente che tiene famiglia: se capisce che il potere è da una parte, si schiera; ma se capisce che dall’altra parte c’è un contropotere, si defila. Perché sono “minuta gente” manzoniana: è un “popol disperso” che non ha pace, non ha dignità. Basta fargli un “bau”, a volte, per spaventarli.
Il problema però non è nemmeno il vaccino, in questo caso. Ci verrà inoculata una qualche sostanza nel momento in cui il Covid non farà più paura neanche a un gatto, perché avrà esaurito la sua funzione e la sua dimensione patogenetica. A un certo punto, per non andare in galera, non finire in manicomio o per non perdere il nostro lavoro, potremmo anche accettare di metterci nel corpo un po’ di acqua sporca, sperando che non ci faccia troppo male. Ma non è questo, l’obiettivo finale, credetemi: fosse tutto qui, sarebbe ancora poca cosa. L’obiettivo finale è la moneta unica platenaria, veicolata da un microchip, collegata alle nostre condizioni di salute. Microchip che tutti dovranno mettersi, come il segno dell’Apocalisse: l’elettrodo sulla fronte, o sotto la pelle della mano, senza il quale nessuno potrà né comprare né vendere (il Segno della Bestia, il 666). Non voglio apparire un mistico pazzo, ma credetemi: quello che si sta delineando è proprio questo. Moneta unica, sistema giuridico unico, salute unica. Tutto questo, per una società filantropica governata da quello che Soloviev definisce l’Anticristo: pacifico filantropo macrobiotico, vegetariano, ecologista, con Greta Thunberg come consulente.
E’ un potere pervasivo, perfetto: che non ha bisogno dei nostri soldi, perché li stampa. Il problema è che, perché un sistema di controllo funzioni, di fronte a un capitalismo tradizionale, servono nuove soluzioni: intanto deve ridurre la popolazione mondiale, e poi ha bisogno di una società divisa in caste, come nel “Nuovo mondo” di Huxley, dove c’è un’élite di Alfa che non si vedono neppure. Serve una castizzazione della società che metta gli uomini in condizioni giuridiche, psicologiche e antropologiche diverse. Sotto gli Alfa invisibili ci sono i Beta che si vedono (i Soros, gli Zuckerberg, i Bill Gates), poi ci sono i Gamma, che sono gli esecutori politici (tipo il povero professor Conte, avvocato dello studio Alpa), e poi sotto ci sono i carabinieri, i lavoratori, gli impiegati dell’Agenzia delle Entrate, gli operai. E ancora più sotto ci sono gli Epsilon, che devono vivere con 600 euro al mese prendendosi solo il Soma, che è la droga dell’inebetimento.
Questo, credetemi, è il disegno complessivo. Ed è un disegno ben pensato, perché tiene conto dell’ingovernabilità della complessità. L’unica forza che abbiamo non è l’opposizione consapevole, perché in questo siamo sicuramente perdenti. Dobbiamo sperare nelle leggi universali del caos. Il grande imperatore Carlo V, sul cui impero non tramontava mai il sole, dal Messico ai Balcani, dopo aver lasciato le colonie d’America e la Spagna al figlio Filippo II e l’impero asburgico a Ferdinando, si ritirò in un convento benedettino in Germania, dove la sua passione era far funzionare una trentina di orologi meccanici. E passò gli ultimi giorni della sua vita dicendo: «Quanto sono stato pazzo, a pensare di controllare tutti i popoli del mondo, quando non sono riuscito a far marciare insieme nemmeno 30 orologi». E’ su questo, che i luciferini del controllo potrebbero cascare. Una cellula impazzita è Trump, un’altra è Putin, altre ancora siamo noi che facciamo questi discorsi, facendoci passare per pazzi, contro i nostri interessi materiali, accademici, categoriali. Siamo noi stessi delle schegge impazzite: siamo sfide nella complessità. Mattoidi, quasi pronti per il Tso.
(Alessandro Meluzzi, dichiarazioni rilasciate il 16 marzo 2020 nel dibattito “Alla ricerca della verità”, in diretta web-streaming sulla pagina Facebook di Leonardo Leone, con la partecipazione di Ugo Mattei e Massimo Mazzucco; il video è ora disponibile anche su YouTube. Notissimo psichiatra, nonché criminologo, saggista e accademico, Meluzzi – di formazione comunista – è stato poi deputato e quindi senatore eletto con Forza Italia nel 1994 e nel 1996. Massone, ha fatto parte del Grande Oriente d’Italia. Approdato al cristianesimo, è stato diacono cattolico di rito greco-melchita e poi presbitero della Chiesa ortodossa italiana autocefala, divenendone primate).
FONTE: https://www.libreidee.org/2020/05/linferno-microchip-obbligatorio-e-vaccini-imposti-col-tso/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
È tempo di revisionismo! Aboliamo il festival di Venezia
Sull’onda dell’isteria revisionista, neppure l’ultima Mostra del Cinema è scampata a critiche e interrogativi morali
Quest’anno anche la Mostra del Cinema di Venezia, inspiegabilmente giunta incolume alla 77^ edizione, sull’onda di un revisionismo sempre più dilagante è stata oggetto di critiche e interrogativi morali.
Solo ora ci si è accorti che la manifestazione cinematografica più antica al mondo dopo l’Oscar è stata istituita nel 1932, in pieno ventennio fascista e che, oltre al Leone d’oro, contempla un premio dedicato niente pò pò di meno che al fondatore, Giuseppe Volpi di Misurata, mecenate con il guaio di essere stato governatore della Tripolitania dal 1922 al 1925, presidente della Biennale per molti anni e ministro delle finanze di Mussolini.
Scandalizzata si è pronunciata dapprima Francesca Melandri, sceneggiatrice e scrittrice finalista al Premio Strega, per poi essere seguita dalla sorella maggiore, la più famosa Giovanna, che è andata oltre.
Nel ripercorrere, infatti, la vita di Volpi, ipotizza con tratto ironico che da ‘pacificatore della Cirenaica’ non fu lui ad inventare i campi di sterminio, ad organizzare le rappresaglie contro i civili, ad usare bombardamenti all’iprite a ordinare gli stupri di massa, crimini questi attribuibili a Rodolfo Graziani. Volpi ‘ fu solo il Ministro delle finanze che finanziava le azioni di Graziani’, sottolinea l’ex ministra che dichiara di non volere parlare di Volpi (sic!) ma del fatto che nel 2020 in Italia ancora si sta discutendo se sia il caso di intitolare il più importante premio cinematografico internazionale del nostro Paese a una figura storica di questo tipo.
Coglie l’occasione per aggiungere che ‘la ben poco edificante storia italiana coloniale, fatta di crimini di guerra e genocidi, è stata attivamente, deliberatamente messa a tacere’ e che aldilà della Coppa Volpi ‘il punto è che siamo nel 2020 e ancora in Italia c’è “controversia” se sia opportuno o no smettere di intitolare ai responsabili di crimini di guerra (o firmatari di leggi razziali) le nostre più importanti istituzioni culturali’.
Stavolta il revisionismo storico incappa nel festival di Venezia e, in linea ad una sorta di ipocrisia di alcuni paladini del pensiero ‘giusto’, porta a richiedere la rimozione di un premio innominabile, destino che ha riguardato di recente le statue di Cristoforo Colombo e Indro Montanelli, la revisione di capolavori cinematografici del calibro di ‘Via col vento’, la politica di Churchill.
Le sorelle Melandri non saranno d’accordo, ma la storia non può essere processata perché è un insieme di fatti ed eventi che devono essere collocati nell’epoca in cui si sono svolti e anche i protagonisti, a meno che non siano dei criminali di guerra, vanno valutati non con la ‘lente ‘ di oggi e ricondotti all’ideologia dominante del tempo.
Basti pensare ai capolavori presenti agli Uffizi, al Louvres o al Prado finanziati dalla Chiesa in periodi alquanto discutibili o più di recente a Pasolini, accusato di gesti ignobili, ma sicuramente stimato dalle Melandri quale grande poeta e scrittore.
Volpi nel dopoguerra fu giudicato per le sue responsabilità durante il regime fascista, ma anche grazie alle testimonianze a suo favore di autorevoli personalità antifasciste, fu prosciolto da ogni accusa. Contribuì anche a finanziare la resistenza veneta, con una notevole somma e, soprattutto, non venne mai accusato di crimini di guerra.
Forse è sfuggito alle Melandri che anche il Codice Penale con cui viene tuttora amministrata la giustizia nel nostro Paese è stato emanato nell’ottobre 1930 e prende il nome dal Guardasigilli che lo ha elaborato: Codice Rocco. Per coerenza facciano allora una petizione per abolirlo al più presto!
FONTE: https://www.infosec.news/2020/09/17/news/guerra-dellinformazione/e-tempo-di-revisionismo-aboliamo-il-festival-di-venezia/
ATTUALITÁ SOCIETÀ COSTUME
IL TRANS ETERO – ultima geniale invenzione napoletana
“Amore mio…, oggi sono esattamente 3 anni di noi, 3 anni. A prenderci e lasciarsi in continuazione… avevo la mia vita come tu avevi la tua.. ma non abbiamo mai smesso di amarci.. dopo 3 anni ti stavo vivendo ma la vita mi ha tolto l’amore mio più grande la mia piccola. Non posso accettarlo, perché Dio non ha chiamato me? Perché proprio a te amore mio.. non riesco più a immaginare la mia vita senza te.. non ci riesco”.
Così il “trans di Caivano”, col cuore spezzato, saluta – ovviamente su Istagram – la fidanzata Paola Gaglione, 18 anni, uccisa dal fratello che non voleva che si fidanzasse col trans.
Immediata l’alt accusa dell’Arcigay di Napoli, devotamente raccolta da Repubblica:
“Chiaro ed evidente che si tratta di un’azione che ha portato una ragazza innamorata di un ragazzo trans a subire la condanna di una cultura patriarcale inevitabilmente assoggettata al predominio, una forma di padronanza della donna, e a Ciro di essere vittima di transfobia. In questa situazione confluiscono due concetti fondamentali e purtroppo violenti. Uno è il femminicidio e l’altro è la transfobia”. Così parla Daniela Falanga, “presidente dell’Arcigay Napoli e prima donna transessuale a presiedere il circolo”.
Repubblica commenta: “Ora più che mai si è giunti ad un punto di non ritorno, dove la legge contro l’omolesbobitransfobia, è diventata necessaria.
Sicuramente il governo varerà la legge così invocata. Il fratricidio, per così dire, è stato provvidenziale per la Causa LGBT. Al punto che si sta mettendo tra parentesi il fatto veramente rivoluzionario:
in tutto il mondo, un transessuale è uno che concupisce i maschi; che prende ormoni femminili per farsi crescere il seno, e mette da parte i soldi per farsi operare e dotarsi di una falsa vagina. A Caivano, abbiamo il trans che ama, concupisce, si fidanza con una donna. Insomma il trans eterosessuale. Un’altra geniale invenzione napoletana, pari solo al turco napoletano dell’immortale principe De Curtis.
Il fatto è stato ritenuto increscioso solo da Arcilesbica Nazionale, la quale ha postato: “La transessualità non si autocertifica, ci sono passi da fare ben precisi. Il fatto al momento non smentito è che Cira Migliore non ha mai iniziato alcun percorso di transizione. In caso questo venga ufficialmente rettificato, provvederemo a chiamarlo Ciro, trans ftm, da femmina a maschio”.
Lasciamo volentieri la polemica a loro, e ci chiniamo invece su Ciro: cosa lo ha indotto a considerarsi trans benché etero, ad essere accettato come trans dalla famiglia, e tale anche dal fratello della sua ragazza? E dalla povera ragazza stessa , che ha postato immagini di sé seduttiva da discoteca?
Senza atteggiarci a psichiatri, ci pare di notare qui una confusione generale a Caivano: un”trans” è uno che va cogli uomini. Per definizione. Punto. Oso ipotizzare che Ciro e l’intera Caivano non siano capaci di un mnimo di analisi logica; abbiano quel minimo di cultura generale che occorre anche per vivere in questa modernità perverso-polimorfa; che siano stati suggestionati dal discorso pubblico totalitariamente pro-LGBT che echeggia da tutti i media progressisti, e che loro non hanno i mezzi intellettuali per capire davvero. Come la maggioranza degli italiani crede davvero che il virus li minacci perché lo ripetono i media, e accetta confinamenti disastrosi per il suo benessere economico e sanitario, così non è strano che una comunità ai margini della propaganda ideologica LGBT la beva e se ne “senta parte”. Della propaganda, Ciro ha colto questo: che dichiararsi trans dà dei diritti, e quindi li ha rivendicati. Magari lo anima la speranziella napoletana di poter fare richiesta, in futuro, per un reddito-gay che i 5Stelle possono benissimo decretare per la categoria
Un mio recente a casuale conversare con una quindicenne mi ha mostrato che è proprio così: nel piccolo branco, si parla molto del tema, e improvvisamente ci sono molti maschietti che si fidanzano con le ragazze, ma si dicono omosex, ed esigono rispetto per “la mia scelta di vita”, o “la mia identità”o cose del genere. La quindicenne, benché intelligente , non coglieva la falsità della situazione, e ovviamente ha difeso i suoi compagni “omosessuali” contro le obiezioni di papà e del sottoscritto, accusandoci di nutrire pregiudizi, di essere omofobi … come è inevitabile in gente “così vecchia”.
Impressionante la permeabilità di una propaganda che dovrebbe essere, semplicemente, inaccessibile ad adolescenti in difficoltà-rivolta puberale. L’effetto, purtroppo, è quello descritto crudamente da D’Agostino, in uno sfogo certo sorprendente da parte dell’autore del sito porno-soft:
LA PEGGIO GIOVENTÙ – DAGO: “SI DÀ IL CASO (MA NON È UN CASO) CHE L’ANNO DEL COVID HA MESSO IN SCENA LA GIOVINEZZA PIÙ STRONZA; TALMENTE VILE E IDIOTA CHE FA VENIRE VOGLIA DI GETTARLA NELL’OLIO BOLLENTE, COME UN SOFFICINO FINDUS. COME MAI, DA ELVIS A GINSBERG, DAI BEATLES A FRANK ZAPPA, SIAMO FINITI A QUESTI CRETINI SENZA PASSATO NÉ FUTURO – ROMPIBALLE DI GIORNO, INSOPPORTABILI DI POMERIGGIO, PERVERSI DI NOTTE, CAPACI SOLO DI AVERE I “NASI COMUNICANTI’’ PER UN TIRO DI COCA?”
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Roberto D’Agostino per VanityFair.it
Che comincia con una citazione di Vasco Rossi, il cantante per sentire il quale i “giovani” s’agglomerano in 250 mila pagando 50 euro a testa, da cui si sentono interpretati nel loro nulla :
“A un giovane fan che l’aveva perculato su Instagram (“Da ‘vita spericolata’ a vita in mascherina che tracollo che hai fatto. Brutta fine”), il 68enne Vasco Rossi ha replicato a martellate: “Io la mascherina la metto anche sulle mani e pretendo che la indossino tutti quelli che per qualsiasi motivo mi avvicinano. A tutti gli squilibrati, negazionisti, terrapiattisti, complottisti e socialmentecatti vari impegnati a insultarmi quotidianamente sul web dico di nuovo di andare allegramente a farsi fottere!’’
Giovani che Carlo Verdone descrive così: “Mi fa incazzare l’omologazione che avvolge i giovani. Sono tutti uguali: nei capelli, nei tatuaggi, nel gergo. Nessuno riesce a distinguersi davvero”.
Ragazzi che “s’imbottigliano in discoteca a mezzanotte, e si mettono a nanna alle otto del mattino, “strippati” e lessi. – rompiballe di giorno, perversi di notte, insopportabili di pomeriggio, capaci solo di avere i “nasi comunicanti’’ per un tiro di coca?”
Al di là del fatto che anche D’Agostino crede alla realtà del contagio (è un obbligo se non vuoi essere bandito dai salotti cafonal dei Ricchi di Stato romaneschi), mi sento di sottoscrivere la sua proposta rieducativa:
Dopo averli mandati a svacanzare in Sardegna o a Panarea, ora portateli a visitare gli ospedali. La repressione del vociare e dell’allegria sarebbe automatica, fin dall’entrata. Fategli vedere, per gradi, a seconda dell’età, tutto: sale operatorie, obitorio, oncologia, aids, parto, grandi ustionati, bambini, pronto soccorso, rianimazione. Imparino che la gioventù non è una stagione della vita, è solo uno stato mentale.
Sulla sessualità dei due presunti maschioni tatuati che hanno massacrato “l’innocente Willy”, si legga con profitto anche questo gossip:
Sui diritti che certi gay sanno di poter reclamare usando “l’omofobia”, si legga qui:
Per favore, un minimo di cultura. Perché l’ignoranza e la pochezza ha già prodotto un fratricidio . Per un eqquivoco.
Post scriptum. Appena postato il pezzo, ricevo questa mail tutta affannata:
Segnalo clamoroso errore.
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/il-trans-etero-ultima-geniale-invenzione-napoletana/
BELPAESE DA SALVARE
Magaldi: Pompeo a Roma avvisa i ‘cinesi’ Conte e Bergoglio
«Benvenuto a Mike Pompeo, al “fratello” Mike Pompeo, segretario di Stato americano, che sta venendo in Italia anche a spiegare – al Vaticano e agli ambienti politici – che deve finire, la vicinanza al partito “cinese”, trasversale e sovranazionale, che in Italia si è allargato un po’ troppo». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del network massonico progressista, usa parole più che esplicite per accogliere nel nostro paese il “ministro degli esteri” statunitense, atteso a Roma nei prossimi giorni. A Pompeo, Magaldi rivolge un benvenuto «sincero e affettuoso», nonché «fraterno», a rimarcare la comune identità massonica. Con questa visita, il braccio destro di Trump «segnerà una soluzione di continuità con tante cose sbagliate, che riguardano anche la politica vaticana verso la Cina ma soprattutto l’infiltrazione del partito “cinese” (orientale e occidentale), che purtroppo ha forti addentellati in diverse, cosiddette democrazie occidentali». Magaldi lo definisce «un partito trasversale che vuole proporci un nuovo paradigma politico-sociale, ed è un partito che va sconfitto: Mike Pompeo – sottolinea Magaldi – verrà a dirlo chiaro e tondo, a tutti i principali rappresentanti della classe dirigente italiana».
Autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) che svela il ruolo occulto delle superlogge mondiali nella sovragestione del potere, Magaldi ha ammesso che, nel 2016, le Ur-Lodges progressiste appoggiarono Trump, contribuendo al suo successo. «Uno dei grandi meriti della vittoria di Trump, anzitutto alle primarie repubblicane – dice oggi Magaldi – fu quello di aver impedito che Jeb Bush arrivasse alla nomination: già di questo, il mondo dovrebbe essere grato, a Trump». Nel suo saggio, Magaldi accusa i Bush di aver promosso – attraverso la superloggia “Hathor Pentalpha” – la strategia della tensione basata sul terrorismo internazionale avviata con gli attentati dell’11 Settembre contro le Torri Gemelle. «Una filiera dell’orrore che si è prolungata con l’Isis, che ha potuto seminare il terrore in Medio Oriente durante la presidenza Obama». Magaldi ricorda che lo fu lo stratega Zbigniew Brzezinski – “l’inventore” di Obama – a reclutare in Afghanistan un certo Osama Bin Laden, allora in funzione anti-sovietica. «Iniziato alla superloggia “Three Eyes”, poi Bin Laden passò coi Bush nella “Hathor”, tra lo sconcerto e la delusione dello stesso Brzezinski.
Grandi giochi del passato, che probabilmente aiutano a leggere meglio quelli di oggi, che vedono in primissimo piano l’Oms “cinese” e personaggi come Bill Gates. I supermassoni della “Three Eyes” (come appunto Brzezinski e soprattutto Kissinger, patron della Trilaterale) diedero sostanza all’ideologia del neoliberismo, come motore dell’attuale globalizzazione finanziaria, scommettendo sulla Cina come possibile modello alternativo per un Occidente meno democratico e meno libero, in un futuro non lontano. A quanto pare, quel futuro è arrivato: solo che, sal 2001 in poi, è stato accelerato dal terrorismo internazionale promosso dalla “Hathor”, superloggia che ha reclutato – accanto ai Bush – politici di rango come Tony Blair, Nicolas Sarkozy e il turco Erdogan. «Il loro obiettivo – riassume Magaldi – era una progressione anche violenta del programma neoliberista, fondata sul ricorso alla guerra, alla strategia della tensione, allo svuotamento della democrazia, all’imposizione dell’austerity europea incarnata da personaggi come la “sorella” Angela Merkel». Nel frattempo, questa élite ha permesso alla Cina di crescere a dismisura, grazie a regole truccate: niente democrazia e zero libertà, nessun sindacato, niente norme anti-inquinamento. Risultato: la Cina è diventata la nuova manifattura del mondo, a basso costo, mettendo in crisi il lavoro – come da copione – in tutto l’Occidente.
Poi, nel 2016, il programma ha subito un imprevisto di portata storica: l’inattesa vittoria, del tutto “accidentale”, di Donald Trump. Letteralmente: un alieno, rispetto al potere neoliberista. Che infatti ha saputo risollevare l’economia anche in modo “rooseveltiano”, cioè aumentando il deficit, per raggiungere la piena occupazione, restituendo fiducia e sicurezza ai lavoratori statunitensi precarizzati da decenni di delocalizzazioni selvagge. Sulle imminenti presidenziali di novembre, Magaldi è ottimista: «Io credo che gli americani sceglieranno ancora Trump. Non bisogna temere la vittoria di Biden: la sua sarebbe una presidenza debole, affidata a un uomo che non ha grandi capacità, ma attorno a Biden ci sarebbe comunque un collegio di amministratori che, in termini di geopolitica, proseguirebbe sulla scia tracciata da Trump». Vale a dire: mantenere l’impegno ad arginare l’espansione dell’influenza cinese in Occidente, almeno fin tanto che la Cina non accetterà di competere alla pari, adottando un regime democratico. «Io credo che Trump meriti una riconferma – sostiene Magaldi – perché ha fatto cose buone, con tutti i limiti del personaggio. E credo che gli americani andranno in questa direzione».
Severo, invece, il giudizio di Magaldi su Giuseppe Conte, uomo vicinissimo al Vaticano. L’ex “avvocato del popolo” si è rivelato una sorta di docile strumento del partito “cinese”: lo si è visto nel modo in cui Palazzo Chigi e il Comitato Tecnico-Scientifico hanno imposto all’Italia un lockdown ultra-repressivo, modello Wuhan, ben sapendo che avrebbe fatto precipitare l’economia. Analoghe critiche a Bergoglio: imperdonabile, per Magaldi, la decisione di Papa Francesco di concedere al governo di Pechino il potere di designare i vescovi cattolici in Cina. Uno squillante avvertimento all’establishment italiano e vaticano – Conte e Bergoglio in primis – verrà ora direttamente da Pompeo, impegnato (con Trump) a preservare l’Italia dall’insidiosa influenza del “partito cinese”, cioè il gruppo di potere – largamente atlantico – che oggi avversa Trump negli Stati Uniti, e che negli anni ‘70, soprattutto attraverso un massone reazionario come Kissinger, sdoganò la Cina per farne un modello economico – di successo, ma non democratico – da proporre poi anche in Europa e in America. Magaldi (e lo stesso Pompeo) individuano l’ombra del partito “cinese” persino nell’attuale gestione “psico-terroristica” del coronavirus, emergenza gonfiata dai media e utilizzata per comprimere la libertà e rendere permanente la riduzione dei diritti sociali e civili.
Dopo la visita di Pompeo – destinata a lasciare il segno – Magaldi annuncia che il Movimento Roosevelt presenterà il suo “ultimatum” al governo Conte: un pacchetto di proposte per alleviare immediatamente le sofferenze economiche provocate dal lockdown. «Sarà anche calendarizzato l’esordio della Milizia Rooseveltiana», formazione che scenderà in piazza nel caso in cui l’esecutivo non dovesse rispondere, in modo adeguato, alle sollecitazioni “rooseveltiane”. «Finora, l’ultimatum a Conte non è stato ancora presentato, a causa della fluidità della situazione, molto complicata ma anche molto feconda», spiega Magaldi, riferendosi alla tornata elettorale del 20-21 settembre. La visita romana di Pompeo, ribadisce Magaldi, contribuirà a rimescolare ulteriormente le carte, in uno scenario dominato dal caos: governo fragilissimo e in fibrillazione per le elezioni regionali e il referendum, mentre il paese – fermato da Conte per quasi tre mesi – paga un prezzo altissimo, in termini di perdita economica, senza che l’esecutivo abbia saputo indicare una via d’uscita credibile.
Il grande problema – l’emergenza sanitaria globale, declinata in modo catastrofico in Italia grazie a Conte – viene letto, da Magaldi, in termini geopolitici: e se è stato proprio il partito “cinese” a trasformare un virus in tragedia globale, esponendo l’Italia a pericoli gravissimi per la tenuta del suo sistema socio-economico, la risposta può venire oggi da Mike Pompeo (e domani da Mario Draghi, che ha proposto un Piano-B già a marzo, sul “Financial Times”: emissione illimitata di denaro, che non si trasformi in debito). Dando per probabile la riconferma di Trump, all’orizzonte il progressista Magaldi individua «quel Robert Francis Kennedy Junior, che col suo discorso a Berlino ci ha scaldato il cuore, ricordando che ogni vera soluzione, per l’umanità, non può prescindere dalla libera partecipazione democratica». Per Magaldi, il figlio di Bob Kennedy «rappresenta una speranza di un “upgrade” significativo, nei prossimi anni, anche nella conduzione della grande democrazia americana».
A Monti la “poltrona Covid”: cosa deciderà per l’Europa
L’Oms ha incaricato Mario Monti di presiedere la Commissione per la Salute e lo Sviluppo sostenibile. Il suo compito? Ripensare le priorità inerenti alle politiche da attuare “alla luce della pandemia”
Mario Monti presiederà la Commissione per la Salute e lo Sviluppo sostenibile istituita dall’ufficio regionale per l’Europa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
L’obiettivo della nuova commissione, si legge nell’annuncio, è quello di ripensare le priorità inerenti alle politiche da attuare “alla luce della pandemia” provocata dal nuovo coronavirus. Monti, presidente dell’Università Bocconi di Milano nonché ex premier italiano, ha detto di essere “onorato” per l’incarico.
Il ruolo di Monti
“Questa pandemia ha aggravato le disuguaglianze e le divisioni che stanno paralizzando le nostre società e impedendo il progresso verso lo sviluppo sostenibile“, ha sottolineato Monti. “Considero la decisione dell’Oms di istituire questa Commissione indipendente di alto livello come un passo progressivo verso la formazione di un approccio più efficace e integrato alla salute e al benessere, come una base per lo sviluppo sostenibile“, ha aggiunto il Professore.
Monti, ricordiamolo, è stato un grande paladino dell’austerity. Le sue politiche restrittive, in Italia, sono arrivate in una “particolare situazione” dove “non si poteva fare altrimenti“: queste le parole usate in un’intervista dall’ex premier per giusitificare il suo modus operandi. Eppure gli italiani si ricordano ancora dei vari disastri economici scaturiti dal suo governo. Ecco: il rischio è che Monti possa usare molto presto lo stesso iter anche nel guidare questa commissione. O peggio, che il Professore possa compiacere l’Europa consigliando ai vari governi raccomandazioni potenzialmente letali in un contesto così complicato.
Al netto della singolare idea di piazzare Monti a capo di una commissione del genere, qual è il ruolo della nuova creatura partorita dall’Oms? Per cercare di rispondere alla domanda dobbiamo leggere la nota pubblicata dalla stessa Organizzazione.
La commissione formulerà “raccomandazioni” sugli investimenti e le riforme “per migliorare i sistemi sanitari e di protezione sociale” dei vari Paesi europei. In altre parole, Monti e i suoi avranno il compito di esaminare gli elementi più rilevanti dai quali trarre delle conclusioni “dai mezzi posti in essere dai sistemi sanitari dei diversi paesi per rispondere alla pandemia Covid-19“. L’ex premier, incoronato dall’Oms, dovrà quindi consigliare all’Europa intera le mosse da attuare per uscire dalle sabbie mobili.
Entusiasta il ministro della Salute italiano, Roberto Speranza, che all’Agi ha spiegato come questa commissione potrà dare un “contributo al rafforzamento di politiche sanitarie pubbliche e al coordinamento internazionale di queste azioni“. Il fatto che a guidarla ci sia Monti, non poteva che essere una “buona notizia“.
La composizione della commissione
Al di là dell’ex premier, la commissione sarà formata da ex capi di Stato e di governo, oltre che da scienziati, economisti, direttori di organismi sanitari e sociali, protagonisti del mondo economico e delle principali istituzioni finanziarie. Già fissata la prima riunione: il prossimo 26 agosto.
I lavori di apertura sono affidati a Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms, e al direttore regionale per l’Europa dell’Oms, Hans Henri P. Klug. “Il nostro scopo – ha affermato Kluge –è mettere la salute in cima all’agenda politica nell’ambito degli obiettivi dello Sviluppo sostenibile e rafforzare la resilienza dei sistemi sanitari e sociali nei 53 Stati membri della Regione europea dell’Oms“.
Dopo aver toppato clamorosamente all’inizio della pandemia, e aver contribuito a creare enormi disagi al mondo intero alternando consigli contraddittori, l’Oms, già nel mirino per il suo contributo alla causa Covid, ha provato a rimediare istituendo una commissione sui generis. La sensazione è che il rimedio ideato dall’Organizzazione di Zurigo avrà lo stesso effetto di un buco dell’acqua.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/mondo/monti-poltrona-covid-cosa-decider-leuropa-1882908.html
CONFLITTI GEOPOLITICI
Il Deep State golpista scatena Antifa per rovesciare Trump
Il caso di George Floyd non è in alcun modo legato ad una presunta emergenza razziale negli Stati Uniti. I risultati autoptici per ora hanno escluso che l’afroamericano, con un Cv ricco di condanne penali per rapina e aggressione, sia morto soffocato o strangolato. Resta da capire quali sono le circostanze che hanno portato alla morte di Floyd, ma ci sono prove che quanto sta accadendo era già stato ampiamente preparato con più di un anno di anticipo. I rivoltosi che stanno devastando – e uccidendo, come nel caso dell’ufficiale di polizia di Saint Louis – le strade degli Stati Uniti sono principalmente coordinati da due gruppi: Black Lives Matter e Antifa. Entrambe queste organizzazioni sono finanziate da George Soros ed hanno una missione specifica. Alimentare le tensioni razziali per destabilizzare il paese e rovesciare la presidenza Trump. Non si tratta di una semplice deduzione ricavata dall’analisi di quanto sta accadendo. E’ quanto dichiarato da uno di questi due gruppi. Il “New York Times”, tra i quotidiani più ostili a Trump assieme al “Washington Post”, mise a disposizione nel 2017 una intera pagina di giornale per Antifa. L’organizzazione finanziata da Soros lanciò una vera e propria chiamata alle armi invitando chiaramente a riunire migliaia di ribelli nelle città per arrivare ad un solo obbiettivo: porre fine alla presidenza Trump.
Antifa è quindi molto di più di un semplice gruppo politico. E’ il braccio armato sostenuto finanziariamente dal Deep State che arruola e paga rivoltosi utilizzati per destabilizzare le amministrazioni nemiche, in questo caso quella di Donald Trump. Quella che si sta vedendo quindi non è altro che una strategia per portare avanti un colpo di Stato. Una strategia che Soros ha portato avanti nel mondo quando architettò e sostenne finanziariamente la rivoluzione ucraina dell’Euromaidan. I gruppi al soldo del magnate di origini ungheresi erano già attivi anche all’epoca della presidenza Obama e un altro documento firmato da “Friends of Democracy”, gestita da suo figlio Alexander Soros, spiegava dettagliatamente, nel 2015, come indirizzare le proteste per la morte di Freddie Gray, un afroamericano morto in seguito a un infortunio alla spina dorsale occorso dopo che era stato arrestato dalla polizia di Baltimora. All’arresto parteciparono anche ufficiali di colore e quindi, definire questo episodio come motivato dall’odio razziale, è semplicemente un controsenso, ma al Deep State non importava. Il razzismo era ed è solamente la cartina al tornasole per arrivare ad un altro scopo.
“Friends of Democracy” pubblicò dettagliate istruzioni per i rivoltosi ai quali si diceva chiaramente che l’obbiettivo finale delle loro proteste era «l’attuazione di politiche di legge marziale». L’obbiettivo era dare alla presidenza Obama gli strumenti per reprimere qualsiasi forma di dissenso negli Stati Uniti e arrivare alla sua militarizzazione, mentre l’obbiettivo è ora di destabilizzare completamente il paese per rovesciare la presidenza Trump. La ragione per la quale il Deep State non può più permettersi che Donald Trump si assicuri un altro mandato alla Casa Bianca è perfettamente spiegata in un articolo intitolato “Benedetti siano i portatori di pace” del settimanale britannico “The Economist”, di proprietà, tra gli altri, della famiglia Rothschild. I Rothschild sono una famiglia di banchieri tedeschi di origini askenazite fondata dal capostipite Mayer Amschel alla fine del’700. Sono coloro che probabilmente più di tutti hanno avuto un ruolo determinante nel decidere il corso della storia europea degli ultimi 200 anni, dal momento che hanno finanziato praticamente ogni guerra scoppiata sul continente europeo dai tempi di Napoleone in poi.
Le guerre sono il business più proficuo dei Rothschild, dal momento che hanno consentito loro di arricchirsi a dismisura accumulando una enorme ricchezza già nell’800. Quando “The Economist” scrive, occorre prestare particolare attenzione. Nell’articolo in questione si fa l’elogio esplicito del Nuovo Ordine Mondiale, la dottrina politica delle élite globaliste che vede assegnare un ruolo di primo piano alle istituzioni internazionali considerate gerarchicamente superiori agli Stati nazionali. Il Nuovo Ordine Mondiale, per arrivare alla sua definitiva realizzazione, ha bisogno di strappare agli stati i loro residui poteri per creare una unica struttura globale governata dalle élite della finanza internazionale, come hanno spiegato anche i Rockefeller, un’altra importante famiglia di banchieri americani molto vicina ai Rothschild. Dalla seconda guerra mondiale in poi, gli Stati Uniti sono stati senza dubbio il paese che più ha portato avanti questo piano. Il Deep State di Washington, la palude di interessi militari-industriali che ha governato tutte le amministrazioni presidenziali, si è fatto garante indiscusso di questo progetto, intestandosi il compito di punire e attaccare i leader dei paesi che non si allineavano a questo progetto.
Salvador Allende e Slobodan Milosevic sono solo due tra i numerosi esempi di leader di paesi stranieri che sono stati rovesciati e destituiti dalla macchina di intelligence e militare costituita dalla Cia e dalla Nato. Ma per la prima volta, dal 1945 ad oggi, alla Casa Bianca ha messo piede un presidente che non ha interesse a delegare la sovranità degli Stati Uniti verso le istituzioni sovranazionali né tantomeno al Deep State di Washington. Scrive su questo “The Economist”: «L’internazionalismo liberale è ora sotto attacco da molti fronti. La dottrina di Donald Trump “Prima l’America” lo ripudia esplicitamente». Senza la superpotenza americana è praticamente impossibile pensare che si possa arrivare alla realizzazione finale del Nuovo Ordine Mondiale che auspica la nascita di un unico Governo Globale. Washington è stato il perno principale di tutta l’impalcatura e senza il suo sostegno l’intero disegno crollerebbe definitivamente. Ecco perchè, per i Rothschild, Donald Trump è una minaccia più mortale persino dello stesso Putin e di Xi Jinping.
«Il più grande pericolo al momento è l’incombenza di un presidente americano che disprezza le norme internazionali, che denigra il libero commercio e che flirta continuamente con l’idea di abbandonare il ruolo essenziale nel mantenimento dell’ordine globale legale». Se Trump si aggiudicasse un secondo mandato, le élite globaliste come i Rothschild e i Rockefeller perderebbero definitivamente la possibilità di fare l’ultimo passo verso il totalitarismo globale – che vuole il controllo completo della popolazione mondiale. Ecco perchè in questo momento il presidente americano è il nemico numero uno di questi poteri ed ecco perchè gli Usa sono stati messi a ferro e fuoco. Il Nuovo Ordine Mondiale vuole riprendersi la presidenza degli Stati Uniti senza la quale non si può pensare ad una governance globale. Non c’è quindi in corso una protesta a sfondo razziale nel paese. E’ in corso un vero e proprio colpo di Stato che sta dando vita ad una guerra civile per impedire a Trump di conquistare un secondo mandato alla Casa Bianca. Trump è l’ultimo bastione. Se cade lui, cade probabilmente l’ultima grande barriera che può impedire il compimento di questo piano. Se cade Trump, il Nuovo Ordine Mondiale farà un passo decisivo verso la sua definitiva realizzazione.
(Cesare Sacchetti, “Soros e i Rothschild vogliono rovesciare Trump per arrivare al nuovo ordine mondiale”, da “La Cruna dell’Ago” del 4 giugno 2020).
FONTE: https://www.libreidee.org/2020/06/il-deep-state-golpista-scatena-antifa-per-rovesciare-trump/
CULTURA
Cosi il culturalismo ha ridotto la cultura ad oggetto (innocuo)
In una serie di saggi, ora tradotti, l’autore giapponese fustica la società globale e l’ideologia che la controlla.
Q ualcosa si è interrotto. La ricchezza del timbro musicale non è più piena poiché a un certo punto si è spezzata una corda. Poi, di pari passo con questo inaridirsi della creatività, una sorta di ideologia della cultura è divenuta un fattore importante per la formazione della pubblica opinione.
Il culturalismo, appunto, va per la maggiore. La sua mano umidiccia rimane appiccicata a qualsiasi fenomeno culturale. Detto in poche parole, si tratta della tendenza a giudicare la cultura nei termini di una gratificante conquista umana, separandola dalla vitalità della sua matrice sanguinosa e dal suo atto riproduttivo. Così essa rappresenta un patrimonio comune dell’umanità, qualcosa di bello e inoffensivo, come una di quelle fontane posticce dei centri commerciali.
Di ogni forma d’arte che raffiguri così com’è l’essere umano divenuto frammento, per quanto possano essere truci i temi che affronta, viene in soccorso proprio quella frammentazione, ed essa finisce per essere simile proprio a una fontana posticcia.
Questo perché la disgrazia dell’umanità nella sua interezza non viene dimostrata da una somma di frammenti.
Noi ci rassicuriamo pensando di essere solo un frammento. E infatti, anche la disgrazia, per quanto grande possa essere, non va al di là dell’ambito di uno spezzone: la via di fuga è al di fuori delle nostre capacità, ma lì grandiosamente rimane, la difesa della cultura e l’euforia per la nostra impotenza coincide con l’euforia per la fuga.
Dopo la fine della guerra alla questione di cosa sia la cultura è stata fornita una risposta assolutamente precisa ad opera dei burocrati incaricati degli affari esteri e delle questioni culturali. In conformità con la politica delle forze di occupazione, essa ha consistito nel troncare la connessione da sempre esistita tra spada e crisantemo. La cultura dolce dell’arte dei fiori e del tè, propria di un popolo amante della pace, e poi anche quella di un’architettura senza tratti minacciosi e tuttavia in grado di arrivare a configurazioni audaci si sono ritrovate a rappresentare la cultura del Giappone.
In quel contesto erano state adottate misure di contenimento idrico in campo culturale. Intendo dire che la sorgente da cui la cultura scaturisce e la sua continuità furono compresse nell’alveo di una diga, con una serie di provvedimenti e norme legali e, poiché considerate utili solo per la produzione di elettricità o per l’irrigazione, si è impedito in quel modo che straripassero. In altre parole, fu troncata la connessione tra spada e crisantemo e fu sfruttato solo quanto risultava efficace per la formazione di una morale civica, reprimendo, invece, la parte nociva. Il divieto dei drammi di vendette nel teatro Kabuki o i film di samurai imposto nel primo periodo dell’occupazione è stata la manifestazione più primitiva e diretta di questa politica. Con il passare del tempo le misure hanno cessato di essere così primitive. Revocati i divieti, la considerazione per la cultura ha preso il loro posto. Forse perché si è ritenuto che le tendenze alla regressione verso la sua sorgente fossero state bloccate, dato che nel medesimo periodo una serie di cambiamenti radicali in campo politico e sociale erano stati portati a compimento con successo. È allora che ha avuto inizio il culturalismo. Cioè quando non c’era più niente che potesse essere pericoloso. Questo culturalismo consiste in una ideologia che pone l’arte al di sopra di tutto, abbracciata da fruitori benevoli che apprezzano la cultura in primo luogo nei termini di opere, di oggetti. Naturalmente senza che nulla ostacoli intromissioni a tempo perso di idee politiche. Della cultura, gestita in sicurezza sotto forma di oggetti, è stato favorito lo sviluppo in una direzione pacifica che la rendesse patrimonio culturale dell’umanità. Il ragionamento semplicistico che conduce al legame tra cultura e tutela sociale è divenuto la base di una ideologia di attenzione ad essa solo simulata, la quale affonda le sue radici in un umanitarismo di massa.
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Inutile dire, peraltro, che è proprio la cultura nella sua creazione a subire forme pesanti di controllo e rigida sorveglianza da parte del socialismo. Su questo esso non perdona, e la storia lo dimostra. Il governo rivoluzionario sovietico ha impiegato cinquant’anni ad accettare Dostoevskij e anzi si ha pure l’impressione che ancora non ci sia arrivato. Poi, al di là delle voci meravigliose che corrono su questa liberalizzazione l’oppressione prosegue: si dice che Yevtushenko sia agli arresti domiciliari, tre scrittori (Vladimir Bukovskij, Yevgeny Kushev e Vadim Delaunay) sono stati messi sotto processo, e in Polonia, con la motivazione che sarebbe anti-sovietico, è stata vietata la rappresentazione del dramma Gli avi, che critica la Russia e lo Zar, provocando moti studenteschi. Accettare come pretesto che una qualche forma di controllo politico serva ad evitare l’indebolimento della cultura è una contraddizione implicita in quest’ultima, l’eterna contraddizione tra cultura e libertà.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cultura/cosi-culturalismo-ha-ridotto-cultura-ad-oggetto-innocuo-1889697.html
La società distanziale: agorafobia e smaterialità
Se il clima culturale di un momento, se la visione di una frazione maggioritaria o egemone fossero un terreno fertile, assisteremmo a un prodigio botanico: che tutti i semi che vi si gettano partorirebbero la stessa pianta. Se fossero uno spartito, gli eventi ne eseguirebbero il tema con ogni timbro, ma sempre fedeli alla parte. C’è una simmetria perfetta tra l’illusione che i fatti plasmino le civiltà e la realtà, che siano invece le civiltà a produrre i fatti e che li digeriscano e li raccontino, li invochino e persino li fabbrichino per vestire le proprie visioni. Che, in breve, gli avvenimenti siano «epocali» se esaudiscono le aspettative di un’epoca.
Ho scritto qui, qui e più in generale anche qui che l’oggetto di questi mesi, una malattia che starebbe cambiando il mondo, è diventata essa stessa il cambiamento, la metafora a cui il mondo si affida per raccontarsi la direzione intrapresa, fingerne la necessità ed evitarsi così lo spavento di smascherarne i pericoli. Con le parole della medicina scrive il proprio mito rifondativo e lo fa in tempo reale, senza cioè darsi il tempo di distinguere l’allegoria dalla cosa.
Il «distanziamento sociale» è insieme uno dei precetti più radicali, apparentemente inediti e rivelatori di questa trasfigurazione sanitaria. L’espressione è in sé già curiosa nel suo proporsi come esempio raro di sineddoche inversa, dove cioè il tutto indica una parte. Se all’atto pratico vi si intende infatti prescrivere una piccola distanza fisica tra le persone per evitare la trasmissione di un un microbo, non è chiaro in che modo debbano perciò risultarne distanziati i rapporti di una società i cui membri già normalmente agiscono tra di loro da luoghi lontani e solo in casi particolari de visu. La licenza retorica sarebbe difficile da spiegare se non, appunto, assumendovi la volontà di portare gli obiettivi di questi provvedimenti dal dominio della fisiologia a quello dell’organizzazione dei rapporti sociali.
Per sgarbugliare l’equivoco va innanzitutto osservato che la prossimità fisica non è una parte o una modalità speciale del relazionarsi, ma ne è la matrice sempre sottesa. Le comunicazioni scritte, telefoniche o via internet alludono sempre all’interezza dei comunicanti e ne riproducono una parte o funzione affinché il destinatario se ne raffiguri la presenza intera completando con l’immaginazione le rappresentazioni mancanti. Così, ad esempio, indoviniamo la mimica dell’interlocutore al telefono, riproduciamo con la mente la cadenza di chi scrive, ci emozioniamo di fronte a persone viste su un monitor, immaginiamo i profumi e le risate del partner in una chat.
L’idea apparentemente moderna che la parte pensata possa invece non solo mantenersi intatta, ma più ancora nobilitarsi se emancipata dal suo sarcofago (σήμα) di carne (σῶμα), fa eco alla ferita platonica che da secoli tenta l’Occidente e si perpetua nella promessa gnostica di un’anima che può e deve scrollarsi di dosso le catene della materialità corrotta. Nella sua declinazione odierna sfocia nei riti della videoconferenza, della didattica a distanza, del lavoro smart e, quindi, nella norma generale del «distanziamento sociale» che si salda in perfetta continuità con l’antecedente precetto della «dematerializzazione». Insieme, muovono spavaldamente guerra al demiurgo Yaldabaoth del mondo sensibile e alla sua ultima effige in ordine di tempo, un virus della polmonite. La parabola tracciata – dal solido all’imponderabile, dal vero all’immaginato, dal visibile all’invisibile – tende alla sua unica meta possibile: la progressiva esautorazione dell’involucro umano e quindi dell’umano tout court, per inseguire il sogno di un’intelligenza pura e libera dalle passioni e dal decadimento delle membra. Nasce da qui, da queste visioni antiche, la fiaba moderna di una «intelligenza artificiale» che pretende di vivere senza e nonostante i suoi creatori.
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Il fastidio dei singoli corpi produce quello plurale delle masse e da lì, per breve analogia, il fastidio di classe. I poveri si ammassano nelle banlieue e nei tuguri, la classe media negli uffici, sulle spiagge e nei supermercati. Solo i ricchissimi, rari nantes in gurgite vasto, preservano sé stessi e gli altri disperdendosi nella salubre spaziosità delle loro magioni. L’idea ventilata da alcuni governatori, di tradurre con la forza pubblica i positivi al virus in strutture protette, si applicherebbe solo a chi non ha case sufficientemente ampie per metterli in isolamento: cioè agli indigenti. In termini decisamente più espliciti, sul Corriere della Sera del 28 luglio scorso un editorialista rabbrividiva al pensiero delle «turbe (sic) di giovani» che «dalle invivibili periferie, dagli sperduti quartieri dormitori, dalle strade male illuminate che finiscono nel nulla» si riversano nelle vie centrali della movida quasi mossi, nientepopodimeno, che dal «torbido proposito di seminare il contagio, d’infettare la società “per bene” insieme ai posti che essa abita. Di distruggere quanto non possono avere». Come nella fiaba di Fedro, il contagio risale la corrente dagli scantinati agli attici: mai in senso contrario, mai tra gli stessi ottimati. Nelle poche immagini che trapelano dai loro consessi abbiamo visto una Maria Elena Boschi abbracciata agli amici al largo di Ischia senza protezioni, o ancora un ricevimento nella tenuta di un giornalista televisivo i cui illustri ospiti – incluso quello stesso presidente di regione che malediceva gli untori dello spritz – si accalcavano liberi dalla mascherina. Unica, macroscopica eccezione: i camerieri, sui cui volti spiccava come un marchio castale.
Il nesso popolo-massa-malattia si attiva quasi spontaneamente nel richiamare a sé gli stereotipi di pestilenze antiche, baraccopoli da terzo mondo e promiscuità semi-bestiali. Scrivendo del «disprezzo del popolo» (Le mépris du peuple, Éditions Les Liens qui libèrent, 2015) che allignerebbe in modo sempre più scoperto tra i vertici politici contemporanei, il giornalista francese Jack Dion commentava già nel 2015 che «questa democrazia malata ha messo il popolo in quarantena», senza immaginare che di lì a poco lo avrebbe fatto anche letteralmente. Per il politologo canadese Francis Dupuis-Déri, la «paura del popolo» delle élite occidentali (La peur du peuple: Agoraphobie et agoraphilie politiques, Lux, 2016) sarebbe una forma di «agorafobia», cioè precisamente «la paura e il disprezzo del popolo riunito (assemblé)» nell’agorà per coltivare gli interessi comuni. Questa ultima intuizione rivela meglio di ogni altra la progettualità politica che si fa schermo dell’allegoria sanitaria e demateriale.
Sotto qualsiasi regime, la politica è un’attività collettiva perché è collettivo il suo oggetto. Accanto ai collegi istituzionali c’è la libertà dei cittadini semplici di riunirsi e di associarsi (Cost., artt. 17 e 18), una libertà la cui compressione è sempre il segnale di uno sbilanciamento in senso autoritario e di una conflittualità non altrimenti gestibile tra la base e i vertici. Storicamente, l’unione e l’emancipazione dei cittadini meno rappresentati è maturata proprio nei luoghi che si vuole oggi sterilizzare dagli «assembramenti»: le fabbriche, gli uffici, le piazze, i circoli, le università. E la concentrazione dei propri corpi, da (secessio plebis) o verso lo spazio dell’ordine avversario, era l’ultimo strumento di lotta politica per chi non disponeva di eserciti e patrimoni. In un’ottica di controllo sociale è perciò facile applicare all’espediente della dispersione fisica di una cittadinanza scontenta e irrequieta la massima antica del diviser pour régner, tanto più efficace se la si inculca nei destinatari educandoli allo schifo reciproco delle proprie membra pestilenziali. Uno schifo di sé dove a ciascuno è data l’ebbrezza di ergersi aristocratico – se non per censo, almeno per intelligenza e civismo – sulla sottostante marmaglia degli «irresponsabili».
È quasi certo che già oggi una così estrema destrutturazione dell’agglomerato civile non sarebbe tollerabile senza l’anestetico di una relazionalità surrogata e immateriale, come è quella riprodotta dalle moderne tecnologie di comunicazione a distanza. Ciò spiegherebbe, tra l’altro, l’ossessività con cui le si promuove anche là dove non portano evidentemente alcun vantaggio. Perché questa sostituzione, mentre offre con una mano una valvola di sfogo simbolica e mutilata, con l’altra rinforza il dispositivo del controllo fino a renderlo totale. Una piazza in tumulto, un capannello o una riunione a porte chiuse non si spengono con un click. Lo si può invece fare con un sito, un blog, un social network, un account o persino con l’intera rete internet, anzi lo si fa già, esiste già la «grande muraglia di fuoco» cinese che si vorrebbe replicare anche in Europa. In alternativa o in aggiunta si possono censurare, riposizionare o ingigantire i contenuti che viaggiano sulla rete, così da allestire nel virtuale la sceneggiatura di uno spazio pubblico verisimile ma deformabile al bisogno, per orientarne gli attori. In tutti i casi, la reductio ad digitum di ogni singola interazione o condizione – attività, conversazioni, spostamenti, acquisti, redditi, gusti, affetti, voto, salute ecc. – ne archivia ordinatamente i contenuti in un solo vaso per squadernarli alla consultazione di chi controlla le infrastrutture, chiude ogni spiraglio di segretezza e trasforma gli individui in flussi di dati da assoggettare al governo degli algoritmi, cioè di chi li programma. I big data diventano imago hominum e degli uomini promettono di sciogliere il mistero e l’arbitrio riducendoli alla disciplina panoptica di un database e alla trasparenza degli automi. Per (ri)scoprire l’ovvio: che senza libertà non c’è peccato, senza vita non c’è morte.
Continua nella seconda parte.
FONTE: http://ilpedante.org/post/la-societa-distanziale-parte-prima
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Abolire la verità: la nuova religione del potere modello Cina
Se i simboli e i riti vogliono dire qualcosa e raccontano la realtà più dei fatti e delle parole, quei pugni chiusi, quelle città messe a ferro e fuoco dagli antifa, quella parodia di religione con la genuflessione e la stola arcobaleno al collo e i minuti di penitenza in ginocchio, vogliono dire che una nuova religione fanatica e un nuovo comunismo stanno sorgendo in Occidente. Una religione preterintenzionale, al di là delle intenzioni di chi l’abbraccia: per tanti che si sono inginocchiati in favore di telecamera e hanno simulato un rito religioso, c’era un obbiettivo più basso: schiacciare sotto un ginocchio, il Nemico, la Bestia, Donald Trump. Tutta una messinscena mondiale perché si avvicinano le elezioni. Si rovescia su Trump un brutale assassinio di cui non ha alcuna colpa, un assassinio come tanti della polizia americana, sotto amministrazioni democratiche e repubblicane. Altrettanti, va pure detto, ne subisce la polizia americana, ad opera della delinquenza. Perché l’America resta una società violenta, a tratti selvaggia, sotto la crosta di progresso, tecnologia, ciccia e lattine. Inginocchiarsi per una vittima, quando ogni giorno la delinquenza comune, la persecuzione religiosa e le dittature ne uccidono migliaia, è solo malafede.
Ma una religione si va formando nelle società occidentali intorno al catechismo politically correct. Quella religione è il supporto morale di qualcosa di colossale che sta avvenendo nei nostri giorni, sopra le nostre teste e sotto i nostri occhi. Quel che per anni è stato definito Pensiero Unico sta diventando Potere unico. Come ogni sistema totalitario si fonda su un assoluto: nel nostro caso è l’assoluto sanitario, l’imperativo di salvarci la pelle a ogni costo. Proteggerci dal male, amen; il male è il contagio. Ma la pandemia si presenta in due forme: il covid e il fascio, cioè il virus e l’insubordinazione in forma di assembramento, protesta sociale, obiezione di coscienza al vaccino, alle restrizioni più assurde, al tentativo di renderle permanenti e alle profilassi più fanatiche e insensate. I dogmi imposti dalla scienza e dai virologi sono usati dal potere per allargarsi e durare il più possibile. Il modello implicito è la fonte stessa del virus, di cui ogni giorno si scoprono le gravi responsabilità: la Repubblica totalitaria cinese. Contagio e omertà, restrizioni conseguenti e durature, popolazioni militarizzate, controllo totalitario e molecolare, divieto di manifestazione, repressione del dissenso, uso totalitario della scienza e della tecnologia, dominio commerciale globale; e sullo sfondo il comunismo come orizzonte.
Il modello cinese diventa il paradigma in Italia e in alcuni settori progressisti occidentali. Dopo decenni di collusioni tra capitalismo e radical-progressismo, ora si delinea, a viso aperto, quel connubio: il ponte tra capitalismo e comunismo è l’uso imperativo della scienza e l’applicazione totalitaria del controllo. Il fine, come nel comunismo, è sempre il bene dell’umanità, il mondo migliore, l’uomo nuovo, magari transumano per essere più nuovo. Di dittatura sanitaria ne parlai agli inizi di marzo, quando si stava appena profilando. L’Italia stava candidandosi a diventare il paese pilota, la cavia di laboratorio per l’esperimento. Oggi, dopo tre mesi di pratica, le analisi e le denunce in questo senso sono tante. Vorrei citare due filosofi diversi tra loro e ambedue lontani dal pensiero reazionario, cattolico-tradizionalista o addirittura fascista. Mi riferisco a Giorgio Agamben che denuncia l’inquietante connubio tra religione medica e capitalismo, alla base di un nuovo sistema totalitario, incline a sospendere la libertà e la democrazia; la religione cristiana e in particolare la Chiesa di Francesco soccombe ai loro diktat sanitari e ritiene la salute prioritaria rispetto alla salvezza.
Da altri versanti, un giovane filosofo, Michel Onfray, che teorizzò l’ateismo e criticò la religione, denuncia ora, sulla scia di Orwell, l’avvento di una dittatura globale fondata su sette comandamenti: distruggere la libertà e ridurre a fascisti tutti i dissidenti e gli insubordinati; impoverire la lingua per manipolare le menti; abolire la verità tramite il bipensiero; sopprimere la storia e riscriverla per gli usi del presente; negare la natura, a partire dalla natura umana; propagare l’odio e fondare l’Impero, progressista e nichilista. Non resta, per Onfray, che darci all’ateismo sociale per non “inginocchiarsi” davanti ai nuovi dei arcobaleno. Usa proprio il verbo inginocchiarsi, non sapendo dell’uso mistico-elettorale di questi giorni, scimmiottando la religione (il diavolo, per la Bibbia, è simia dei, scimmia di dio). Entrambi, Agamben e Onfray, denunciano la matrice teologica del nuovo totalitarismo, il tentativo di sostituire dio con una nuova divinità.
I nuovi fanatici si chiamano antifa, contrazione global di antifascisti; e il fatto che l’elemento di odio – anti – sopravviva al sostantivo, la dice lunga. Il nemico globale è Trump, il nemico complementare è Putin, il nemico ideologico è tutto ciò che viene definito sovranismo. Il piano prevede tre sostituzioni: la fede medico-progressista al posto della fede in Dio, sacra e trascendente; la popolazione mobile dei migranti al posto di popoli o nazioni restanti; il postumano secondo scienza e volontà al posto dell’uomo secondo natura e procreazione. Non c’è un piano globale prestabilito e non ci sono pianificatori; alcuni vi concorrono consapevolmente, molti inconsapevolmente. L’Italia per la sua fragilità, la sua teatralità, il trasformismo e il servilismo, l’impreparazione del governo, il residuo ideologico depositato dal comunismo e dall’antifascismo, è il tampone esemplare. Da noi la cialtroneria, come già scrivevamo, tempera il totalitarismo nell’inefficienza e nella comicità. Ma il pugno chiuso è nemico della mente aperta.
(Marcello Veneziani, “Pugni chiusi e genuflessi”, da “La Verità” del 12 giugno 2020).
FONTE: https://www.libreidee.org/2020/06/abolire-la-verita-la-nuova-religione-del-potere-modello-cina/
DIRITTI UMANI
La Francia si spacca sui certificati di verginità per le ragazze. I medici: “Sbagliato vietarli”
Gli attestati sono richiesti da genitori o futuri mariti: il governo vorrebbe abolirli nell’ambito di un progetto contro il “separatismo”, in particolare islamico. Ma secondo molti operatori la legge rischia di mettere in pericolo le giovani più fragili
dalla nostra corrispondente ANAIS GINORI
“No alla legge che vieta i certificati di verginità”. Il sorprendente appello viene da un gruppo di ginecologi e medici francesi schierati contro la decisione del governo di approvare una legge per vietare questa pratica sessista, umiliante, rendendo penalmente responsabili i dottori che si prestano a rilasciare i certificati. Secondo i firmatari del testo pubblicato su Libération la proposta dell’esecutivo, che fa parte del progetto più ampio contro il “separatismo” in particolare islamico, rischia di mettere in pericolo le ragazze che vivono in famiglie integraliste.
I certificati di verginità vengono rilasciati dopo un controllo dell’integrità dell’imene e vengono di solito richiesti da giovani, o piuttosto da genitori e futuri mariti. I medici firmatari sottolineano che si tratta di un fenomeno minoritario. “Siamo decisamente contrari ai test di verginità” precisano. “È una pratica barbara, retrograda e totalmente sessista. In un mondo ideale, tali certificati dovrebbero naturalmente essere rifiutati”.
Poi però aggiungono: “Ci capita di dover fornire questo certificato a una giovane donna per salvarle la vita, per proteggerla perché è indebolita, vulnerabile o minacciata”. Secondo i firmatari approvare un bando con reato penale significa abbandonare le ragazze a pratiche clandestine, o a viaggi all’estero per ottenere comunque gli attestati, mentre oggi la consultazione è l’occasione di aiutare le ragazze “a prendere coscienza e a liberarsi dal dominio maschile o familiare”.
L’appello è sottoscritto tra gli altri dal direttore del reparto ostetricia-ginecologia dell’ospedale parigino Bicêtre, dalla presidente del collettivo femminista Cfcv Emmanuelle Piet e dal presidente di Gynécologie Sans Frontières (Gsf) Claude Rosenthal. Il ministro dell’Interno Gérard Darmanin, accompagnato dalla sottosegretaria alla cittadinanza Marlène Schiappa, aveva annunciato la settimana scorsa la misura appoggiandosi su una decisione dell’Ordine dei Medici.
“Tale esame – ha scritto il consiglio nazionale dell’Ordine nel 2017 – non ha alcuna giustificazione medica e costituisce una violazione del rispetto della privacy di una giovane donna, in particolare quando minorenne”.
L’idea che nella Francia del 2020 ci siano ancora donne (e medici) che si occupano certificati di verginità, con nessun valore legale, sembra incredibile. Ma la soluzione, dicono i medici promotori dell’appello al governo, non è una legge. “Significa attaccare gli effetti trascurando la causa che affonda le sue radici nell’ignoranza e nella paura. Solo l’educazione – concludono i firmatari – permetterà l’emancipazione di queste giovani donne”.
FONTE: https://www.repubblica.it/esteri/2020/09/16/news/francia_medici_no_alla_legge_che_vieta_i_certificati_di_verginita_-267504136/
Viganò tifa Trump: Covid e rivolte, è l’inferno firmato Nwo
Signor Presidente, stiamo assistendo in questi mesi al formarsi di due schieramenti che definirei biblici: i figli della luce e i figli delle tenebre. I figli della luce costituiscono la parte più cospicua dell’umanità, mentre i figli delle tenebre rappresentano una minoranza assoluta; eppure i primi sono oggetto di una sorta di discriminazione che li pone in una situazione di inferiorità morale rispetto ai loro avversari, che ricoprono spesso posti strategici nello Stato, nella politica, nell’economia e anche nei media. Per un fenomeno apparentemente inspiegabile, i buoni sono ostaggio dei malvagi e di quanti prestano loro aiuto per interesse o per pavidità. Questi due schieramenti, in quanto biblici, ripropongono la separazione netta tra la stirpe della Donna e quella del Serpente. Da una parte vi sono quanti, pur con mille difetti e debolezze, sono animati dal desiderio di compiere il bene, essere onesti, costituire una famiglia, impegnarsi nel lavoro, dare prosperità alla Patria, soccorrere i bisognosi e meritare, nell’obbedienza alla Legge di Dio, il Regno dei Cieli. Dall’altra si trovano coloro che servono se stessi, non hanno principi morali, vogliono demolire la famiglia e la Nazione, sfruttare i lavoratori per arricchirsi indebitamente, fomentare le divisioni intestine e le guerre, accumulare il potere e il denaro: per costoro l’illusione fallace di un benessere temporale rivelerà – se non si ravvedono – la tremenda sorte che li aspetta, lontano da Dio, nella dannazione eterna.
Nella società, Signor Presidente, convivono queste due realtà contrapposte, eterne nemiche come eternamente nemici sono Dio e Satana. E pare che i figli delle tenebre – che identifichiamo facilmente con quel deep state al quale Ella saggiamente si oppone e che ferocemente le muove guerra anche in questi giorni – abbiano voluto scoprire le proprie carte, per così dire, mostrando ormai i propri piani. Erano così certi di aver già tutto sotto controllo, da aver messo da parte quella circospezione che fino ad oggi aveva almeno in parte celato i loro veri intenti. Le indagini già in corso sveleranno le vere responsabilità di chi ha gestito l’emergenza Covid non solo in ambito sanitario, ma anche politico, economico e mediatico. Scopriremo probabilmente che anche in questa colossale operazione di ingegneria sociale vi sono persone che hanno deciso le sorti dell’umanità, arrogandosi il diritto di agire contro la volontà dei cittadini e dei loro rappresentanti nei governi delle Nazioni. Scopriremo anche che i moti di questi giorni sono stati provocati da quanti, vedendo sfumare inesorabilmente il virus e diminuire l’allarme sociale della pandemia, hanno dovuto necessariamente provocare disordini perché ad essi seguisse quella repressione che, pur legittima, sarà condannata come un’ingiustificata aggressione della popolazione.
La stessa cosa sta avvenendo anche in Europa, in perfetta sincronia. È di tutta evidenza che il ricorso alle proteste di piazza è strumentale agli scopi di chi vorrebbe veder eletto, alle prossime presidenziali, una persona che incarni gli scopi del deep state e che di esso sia espressione fedele e convinta. Non stupirà apprendere, tra qualche mese, che dietro gli atti vandalici e le violenze si nascondono ancora una volta coloro che, nella dissoluzione dell’ordine sociale, sperano di costruire un mondo senza libertà: Solve et coagula, insegna l’adagio massonico. Anche se può apparire sconcertante, gli schieramenti cui ho accennato si trovano anche in ambito religioso. Vi sono Pastori fedeli che pascono il gregge di Cristo, ma anche mercenari infedeli che cercano di disperdere il gregge e dare le pecore in pasto a lupi rapaci. E non stupisce che questi mercenari siano alleati dei figli delle tenebre e odino i figli della luce: come vi è un deep state, così vi è anche una deep Church che tradisce i propri doveri e rinnega i propri impegni dinanzi a Dio. Così, il Nemico invisibile, che i buoni governanti combattono nella cosa pubblica, viene combattuto dai buoni pastori nell’ambito ecclesiastico. Una battaglia spirituale della quale ho parlato anche in un mio recente Appello lanciato lo scorso 8 maggio.
Per la prima volta gli Stati Uniti hanno in Lei un Presidente che difende coraggiosamente il diritto alla vita, che non si vergogna di denunciare le persecuzioni dei Cristiani nel mondo, che parla di Gesù Cristo e del diritto dei cittadini alla libertà di culto. La Sua partecipazione alla Marcia per la Vita, e più recentemente la proclamazione del mese di aprile quale National Child Abuse Prevention Month sono gesti che confermano in quale schieramento Ella voglia combattere. E mi permetto di credere che entrambi ci troviamo compagni di battaglia, pur con armi differenti. Per questo motivo ritengo che l’attacco di cui Ella è stato oggetto dopo la visita al Santuario nazionale San Giovanni Paolo II faccia parte della narrazione mediatica orchestrata non per combattere il razzismo e per portare ordine sociale, ma per esasperare gli animi; non per dare giustizia, ma per legittimare la violenza e il crimine; non per servire la verità, ma per favorire una fazione politica. Ed è sconcertante che vi siano vescovi – come quelli che ho recentemente denunciato – che, con le loro parole, danno prova di essere schierati sul fronte opposto. Essi sono asserviti al deep state, al mondialismo, al pensiero unico, al Nuovo Ordine Mondiale che sempre più spesso invocano in nome di una fratellanza universale che non ha nulla di cristiano, ma che evoca altresì gli ideali massonici di chi vorrebbe dominare il mondo scacciando Dio dai tribunali, dalle scuole, dalle famiglie e forse anche dalle chiese.
Il popolo americano è maturo e ha ormai compreso quanto i media mainstreamnon vogliano diffondere la verità, ma tacerla e distorcerla, diffondendo la menzogna utile agli scopi dei loro padroni. È però importante che i buoni – che sono in maggioranza – si sveglino dal torpore e non accettino di esser ingannati da una minoranza di disonesti con fini inconfessabili. È necessario che i buoni, i figli della luce, si riuniscano e levino la voce. Quale modo più efficace di farlo, pregando il Signore di proteggere Lei, Signor Presidente, gli Stati Uniti e l’umanità intera da questo immane attacco del Nemico? Dinanzi alla forza della preghiera cadranno gli inganni dei figli delle tenebre, saranno svelate le loro trame, si mostrerà il loro tradimento, finirà nel nulla quel potere che spaventa fintanto che non lo si porta alla luce e si dimostra per quello che è: un inganno infernale. Signor Presidente, la mia preghiera è costantemente rivolta all’amata Nazione americana presso la quale ho avuto il privilegio e l’onore di essere stato inviato da Papa Benedetto XVI come Nunzio apostolico. In quest’ora drammatica e decisiva per l’intera umanità, Ella è nella mia preghiera, e con Lei anche quanti La affiancano nel governo degli Stati Uniti. Confido che il popolo americano si unisca a me e a Lei nella preghiera a Dio onnipotente. Uniti contro il Nemico invisibile dell’intera umanità, benedico Lei e la First Lady, l’amata Nazione americana e tutti gli uomini e le donne di buona volontà.
(Carlo Maria Viganò, “Siamo nella battaglia tra figli della luce e figli delle tenebre”, lettera che l’arcivescovo, già Nunzio apostolico negli Stati Uniti, ha fatto consegnare personalmente a Donald Trump. La pubblica il 7 giugno 2020 il sito “UnUniverso“, rinviando al blog di Aldo Maria Valli per la versione integrale della missiva).
FONTE: https://www.libreidee.org/2020/06/vigano-tifa-trump-covid-e-rivolte-e-linferno-firmato-nwo/
ECONOMIA
TREDICI MILIONI DI POVERI ASSOLUTI E RELATIVI MA L’M5S ESULTA PER IL SUCCESSO
FONTE: https://www.rassegnastampa.eu/sociale/tredici-milioni-di-poveri-assoluti-e-relativi-ma-lm5s-esulta-per-il-successo/
Le strutture del finanzcapitalismo
Le strutture base del finanzcapitalismo sono oggi presentate nella nuova analisi di Giuseppe Gagliano.
Come funziona il finanzcapitalismo e quali sono le sue strutture? Il braccio operativo del finanzcapitalismo è il sistema finanziario di cui si è dotato, formato da alcune componenti strutturali: le prime sono le grandi banche, intese come grandi società che operano in almeno una dozzina di settori di attività differenti e in ciascuno di questi controllano numerose società. Siamo quindi dinnanzi a immense reti societarie nelle quali si intrecciano inestricabilmente sia le funzioni che i titoli di proprietà. Questa componente “bancocentrica” del sistema finanziario, per quanto complessa, è composta da entità visibili ed opera in larga misura alla luce.
Una seconda componente del sistema finanziario chiamata finanza ombra risulta, al contrario della prima, praticamente invisibile alle autorità, quindi di fatto non regolabile. Le sue dimensioni, in termini di attivi, superano di molte volte gli attivi delle società finanziarie che di essa tengono i fili, sebbene sia arduo stabilire quale sia alla fine il totale degli attivi o dei passivi che sono in capo a ciascuna di esse. Una terza componente del sistema finanziario che sta a cavallo tra il sistema bancocentrico e la finanza ombra è costituita dagli investitori istituzionali (fondi pensione, fondi comune di investimento, compagnie di assicurazione, fondi comuni speculativi, detti hedge founds ovvero “fondi copertura”). Gli investitori istituzionali sono una delle maggiori potenze economiche del nostro tempo, gestiscono un capitale enorme e influenzano le sorti delle grandi corporation e dei bilanci statali.
La principale ragione per cui è corretto affermare che gli investitori finanziari si muovono a cavallo tra le altre due componenti del sistema finanziario è che tutte queste componenti sono collegate da scambi quotidiani di denaro e capitale che avvengono attraverso molteplici canali. In forza di queste tre componenti, fortemente interdipendenti, la mega-macchina del finanzcapitalismo è giunta ad asservire ai propri scopi di estrazione del valore ogni aspetto come ogni angolo del mondo contemporaneo. La politica ha finito con l’identificare i propri fini con quelli dell’economia finanziaria, adoperandosi con ogni mezzo per favorirne l’ascesa, abdicando così al proprio compito storico di migliorare la convivenza umana, governando l’aspetto economico e non viceversa.
Le strutture del potere globale
In questo modo il finanzcapitalismo è stato elevato a sistema politico dominante a livello planetario, unificando tutte le civiltà preesistenti e svuotando di sostanza il processo democratico. Un’intera civiltà è stata asservita alla finanza dalla politica: nel corso del 2010, ad esempio, l’Unione Europea ha rischiato più volte un crack a causa dell’attacco che i gruppi di operatori della finanza ombra avevano sferrato al debito pubblico dei suoi stati e alla sua moneta. Basterà qui ripercorrere sommariamente i momenti salienti della crisi economica in atto, per comprendere l’enorme responsabilità che ha avuto la mancata regolazione del finanzcapitalismo: il debito pubblico e i deficit di bilancio erano cresciuti di parecchi punti percentuali a causa dei costi sopportati dagli stati per far fronte alla crisi del sistema finanziario, con rilevanti effetti depressivi sull’economia reale, iniziata nel 2007. Si può riassumere così l’andamento di questo primo periodo della crisi iniziata nel 2007: a causa di politiche economiche gravemente difettose, il sistema finanziario è incorso in una grave crisi, nei primi tre anni gli stati hanno impegnato un’ingente quantità di denaro per salvare le banche e le compagnie di assicurazioni e stimolare la ripresa economica. Non appena ritornato in forze, per esattezza nel 2009, il sistema finanziario è ripartito all’attacco a danno degli Stati che si erano indebitati per sostenerlo, riparandone i guasti. In questo gioco erano a rischio i risparmi delle famiglie, le condizioni di salario e di lavoro, la sicurezza e la sanità, la previdenza sociale e i diritti umani, l’istruzione e la ricerca, la qualità della vita e i rapporti interpersonali, le istituzioni e la democrazia. In altre parole, il senso di un’intera civiltà. Pertanto la crisi economica è diventata la crisi di civiltà, intesa come particolare modo storicamente determinato di strutturare la politica, l’economia, la cultura e la comunità, esteso a numerose società o stati.
La civiltà-mondo
Si impone a questo punto una riflessione sul concetto di civiltà: oggi classificare le civiltà è diventato sempre più difficile poiché dagli ultimi trent’anni a questa parte si è verificata un’accelerata occidentalizzazione del mondo. Tuttavia non si può semplicisticamente considerare la nuova civiltà emergente una civiltà occidentale allargata. Occorre piuttosto considerarla come una civiltà dai caratteri originali che è possibile definire “civiltà-mondo”, caratterizzata da una forte intreccio tra politica ed economia, senza confini di alcun genere, nonché da una interconnessione che è stata creata tra quasi tutte le società del mondo, cosicché qualsiasi evento accada in una di esse ha effetti ravvicinati sulle altre.
La civiltà-mondo che si è determinata presenta numerosi aspetti estremamente problematici e su cui vale la pena riflettere: anzitutto l’immane squilibrio tra le potenzialità tecnologiche ed economiche e le effettive condizioni di vita della popolazione del pianeta: a fronte di immensi mezzi, la civiltà mondo assicura una vita decente a circa 1,5 miliardi di persone nei paesi più sviluppati, mentre costringe a una vita classificabile come indecente gli altri 5 miliardi.
Sullo sfondo di tali dati v’è una situazione per un certo verso altrettanto drammatica: l’elevato grado di insicurezza socio-economica che attanaglia migliaia di persone, che la crisi ha accresciuto nei paesi sviluppati. Persone che si chiedono con angoscia se avranno ancora un lavoro, un reddito, una casa o la possibilità di avere dei figli. Un altro aspetto problematico ed estremamente preoccupante che riguarda la civiltà-mondo riguarda il genere di esistenza umana, insieme con la personalità o il carattere della persona, che la civiltà in questione, basata sul capitalismo finanziario o finanzcapitalismo, è orientata a produrre: l’individuo si trova in una società in cui le motivazioni, l’identità, il riconoscimento sociale, i percorsi di vita sono stati costruiti attorno al lavoro, in specie attorno al lavoro dipendente salariato, nell’età in cui questo viene fatalmente a mancare; pertanto la civiltà mondo produce senza posa giovani dal costume decomposto, adulti rimasti o ricondotti in uno stadio infantile, e cittadini che hanno introiettato il vangelo del consumo in luogo delle regole della democrazia.
Sulla circostanza che la sistematica produzione in massa di simili caratteri umani rifletta non un mero mutamento di costumi, ma una drammatica degradazione politica aveva attirato l’attenzione Marcuse sin dagli anni ’60, descrivendo i tratti dell’uomo a una dimensione. Quello che risulta totalmente distorto è il processo formativo che dovrebbe avere come esito la personalità dei cittadini consapevoli, determinati a far valere in ogni ambito il principio di libertà e partecipazione alla gestione e al governo della cosa pubblica, mentre in luogo di tale esito la civiltà basata sul consumo, nel tentativo di ristabilire un equilibrio tra l’eccesso di produzione e il deficit di consumatori, produce individui per i quali la libertà consiste nella possibilità di scegliere dei prodotti.
La privatizzazione è espressione di questa filosofia che predilige e antepone l’individuo alla collettività. Infine altro aspetto critico della civiltà-mondo riguarda il moltiplicarsi dei segni attestanti che l’attuale rapporto tra uso delle risorse naturali e il modello economico fondato sullo sviluppo senza fine non è sostenibile, e che il tempo per cambiarlo a fondo si sta facendo drammaticamente breve. Ciò getta una luce critica sulla civiltà della crescita economica senza limiti che provoca la trasformazione delle risorse rinnovabili in risorse non rinnovabili, utilizzate fino all’esaurimento definitivo, e il verificarsi di improvvisi mutamenti non lineari del progresso economico, con possibili esiti catastrofici. La crisi economica odierna che perdura ormai dal 2007 e minaccia di continuare, se non di aggravarsi, ha contribuito a portare alla luce l’insostenibilità sistemica della civiltà-mondo. Poiché non esistono altre civiltà esterne con le quali la civiltà-mondo possa confrontarsi o entrare in conflitto a livello planetario, è possibile che le sue varie forme di insostenibilità diano origine nel prossimo futuro a conflitti endogeni. Ai parlamenti e ai governi del mondo resta dunque la possibilità di incivilire in qualche misura il finanzcapitalismo.
1 – Il finanzcapitalismo secondo Luciano Gallino
2 – Le strutture del finanzcapitalismo
3 – Ascesa e declino del neoliberismo
4 – La Grande Crisi: il fallimento del neoliberismo
5 – Sinistra e neoliberismo: l’abbraccio mortale \
6 – I presupposti teorici del finanzcapitalismo secondo Gallino
7 – La finanza degli apprendisti stregoni
8 – La solitudine dell’uomo economico
9 – Il finanzcapitalismo all’assalto dell’ambiente
FONTE: http://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/ascesa-e-declino-del-neoliberismo/
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
I tassi di interesse: che cosa sono e quali effetti hanno
Tassi di riferimento Euribor Irs Tan e Taeg: sono concetti con i quali fare i conti ogni volta che si stipula o si concede un prestito. Ecco che cosa sono.
Il mondo finanziario è orientato dai tassi d’interesse. Si tratta della remunerazione che un prestatore percepisce e il costo che un debitore sostiene. Un concetto semplice, che però spesso sfugge inseguendo gli acronimi e i tecnicismi degli indici. Ecco quelli più importanti, per orientarsi meglio tra mutui e politica economica.
- Il tasso della Banca centrale europea
Il tasso della Bce è l’indicatore generale dell’intero sistema. E proprio per questo motivo è detto “tasso di riferimento”. Un tempo, quando i tassi erano nazionali e a deciderli era la Banca d’Italia, era detto Tasso ufficiale di sconto. La sostanza non cambia: i tassi della Bce sono il parametro principale per la definizione delle principali operazioni di rifinanziamento. In altre parole, determinano il costo del denaro che, passando attraverso le banche, si ripercuote sul credito concesso a famiglie e imprese. La Bce ha quindi il ruolo di regolatore: se l’economia rallenta, i tassi bassi stimolano investimenti, consumi e (in generale) una maggiore circolazione della liquidità; se l’economia accelera, i tassi vengono ritoccati verso l’alto, per impedire una inflazione eccessiva.
- Euribor
Euribor sta per Euro Inter Bank Offered Rate. Come dice il nome, è il tasso d’interesse medio delle transazioni tra le banche europee. Gli istituti, infatti, non prestano solo denaro a famiglie e imprese ma si scambiano liquidità. Le banche che ne dispongono in abbondanza fanno prestiti di breve termine a quelle che ne sono a corto. L’Euribor, quindi, influenza il costo del denaro sostenuto dagli istituti e rappresenta il punto di riferimento per i mutui a tasso variabile, cui la banca aggiunge uno spread più o meno elevato. Eonia Anche in questo caso, molto si spiega sciogliendo l’acronimo. L’Eonia è l’Euro OverNight Index Average. È in pratica l’Euribor dell’overnight, cioè il tasso di interesse medio al quale le banche concedono e richiedono prestiti per un periodo di un giorno. Cioè nello spazio di una notte (overnight, appunto).
- Libor
Il Libor, ossia il London Interbank Offered Rate, è il corrispettivo britannico dell’Euribor. Si tratta quindi del tasso di riferimento con il quale si scambiano denaro gli istituti sul mercato interbancario londinese. È un tasso variabile, calcolato e pubblicato ogni mattina dalla British Banker’s Association. Il suo impatto però non si esaurisce nella City: se l’Euribor è il tasso di riferimento per le operazioni in euro, il Libor svolge solitamente la stessa funzione per gli scambi in altre valute.
- Irs (Eurirs)
Se chi ha contratto un mutuo a tasso variabile deve guardare principalmente all’Euribor, chi ha scelto il tasso fisso dovrà fare riferimento all’Irs (Interest Rate Swap), detto anche Eurirs. È il tasso medio al quale le principali banche europee stipulano swap a copertura del rischio. Rappresenta la base (cui si aggiungerà sempre uno spread) per il calcolo degli interessi sui mutui.
- Tan e Taeg
Spesso, anche durante una pubblicità, si sente parlare di Tan e Taeg (detto anche Isc). Meglio dire subito che conviene prestare più attenzione al secondo. Tan sta infatti per “Tasso Annuo Nominale” ed esprime (sempre in percentuale) la differenza tra l’importo avuto e quello rimborsato in un anno. Neppure il fortunato caso di avere un Tan dello 0%, quindi, implica che il prestito sia a costo zero. Ci sono infatti altre spese, come commissioni, istruttoria, assicurazioni escluse dal Tan ma incluse nel Taeg (Tasso Annuo Effettivo Globale). È quest’ultimo a esprimere la reale differenza tra l’importo ottenuto e quello da versare al prestatore.
FONTE: https://www.am.pictet/it/blog/articoli/guida-alla-finanza/i-tassi-di-interesse-che-cosa-sono-e-quali-effetti-hanno
GIUSTIZIA E NORME
GDPR, quel registro dimenticato
Negli adempimenti da GDPR, troppo spesso si trascura la tenuta del registro sia nella fase di progettazione che nelle attività di riesame
Nella predisposizione dei sistemi per la gestione degli adempimenti da GDPR, fin troppo spesso si trascura il ruolo del registro delle violazioni tanto nella fase preliminare di progettazione delle misure da implementare per garantire la conformità normativa quanto nella successiva attività di riesame.
La fonte dell’obbligo di redazione di tale documento si trova all’interno della disposizione dell’art. 33.5 GDPR, secondo cui “Il titolare del trattamento documenta qualsiasi violazione dei dati personali, comprese le circostanze a essa relative, le sue conseguenze e i provvedimenti adottati per porvi rimedio”. I contenuti essenziali del documento sono pertanto già puntualmente indicati dalla norma, ovverosia: evento di violazione, circostanze, conseguenze, provvedimenti adottati. Ovviamente, è possibile per ciascun titolare aggiungere ulteriori informazioni secondo le proprie esigenze organizzative e in coordinamento con le procedure interne.
L’opportunità di arricchire il registro declinando i contenuti prescritti ed inserendo ulteriori campi, al fine di renderlo quanto più completo e funzionale possibile alle esigenze dell’organizzazione, reca due principali vantaggi.
Prima di tutto, con la raccolta all’interno del registro delle evidenze e dei riscontri utili a rendicontare gli adempimenti svolge un’importante funzione di accountability per la corretta gestione degli obblighi relativi alle violazioni di dati personali, come richiamato dalla chiosa del già citato art. 33.5 GDPR secondo cui “Tale documentazione consente all’autorità di controllo di verificare il rispetto del presente articolo.”. In caso di attività ispettiva, dunque, rientra nel novero dei documenti da esibire e produrre, soprattutto se l’attività di accertamento deriva da un evento di violazione dei dati.
Inoltre, inserire campi ulteriori può consentire di avere una traccia dell’evento occorso e dei processi decisionali del titolare del trattamento, raccordando il documento con la procedura di data breach. Dal momento che la decisione circa la notifica della violazione all’autorità di controllo deve essere adottata entro 72 ore dalla rilevazione dell’evento, avere già all’interno del registro una valutazione degli impatti per le persone fisiche e i contenuti indicati dall’art. 33.3 GDPR, non può che portare giovamento alla tempestività dell’adempimento e va letto ed interpretato dunque come un presidio di conformità adottato dal titolare.
Le organizzazioni che si sono dotate di un DPO, inoltre, all’interno dei moduli, della procedura e del registro di data breach riservano un campo al parere del DPO circa il corretto adempimento degli obblighi di cui agli artt. 33 e 34 GDPR proprio nell’ottica di documentare le decisioni del titolare del trattamento oltre che di dimostrare l’effettivo coinvolgimento del proprio DPO. Un’analisi delle violazioni occorse in un determinato arco temporale è funzionale alla verifica di efficacia di un remediation plan o, più generalmente, all’attività di valutazione e riesame delle misure di sicurezza predisposte.
FONTE: https://www.infosec.news/2020/09/15/news/riservatezza-dei-dati/gdpr-quel-registro-dimenticato/
C’è già un giudice a Bibbiano anche se non c’è un processo
Nessun rinvio a giudizio, anzi, nessuna udienza preliminare si è ancora svolta. Ma a Reggio Emilia le udienze del processo – dato per certo – “Angeli e Demoni” hanno già un giudice. Il tutto nonostante non sia dato sapere, ancora, se e quante persone verranno rinviate a giudizio e chi sceglierà riti alternativi a quello ordinario
Nessun rinvio a giudizio, anzi, nessuna udienza preliminare si è ancora svolta. Ma a Reggio Emilia le udienze del processo – dato per certo – “Angeli e Demoni” hanno già un giudice. Il tutto nonostante non sia dato sapere, ancora, se e quante persone verranno rinviate a giudizio e chi sceglierà riti alternativi a quello ordinario. A stabilirlo un documento, firmato dal presidente del Tribunale Cristina Beretti, che ha spinto uno dei difensori dell’assistente sociale Federica Anghinolfi, figura principale dell’indagine, ad annunciare l’istanza di rimessione del processo, a causa delle eccessive pressioni ambientali. E ad associarsi all’indignazione di Mazza e della collega Rossella Ognibene è anche l’Unione delle Camere penali italiane, convinta come i due penalisti che tale documento costituisca «l’ennesima» violazione di due principi sacri: «la presunzione di non colpevolezza e la precostituzione del giudice naturale».
«Non voglio comprendere quali siano i motivi – spiega Mazza al Dubbio – ma questo provvedimento è un atto grave, in quanto dà per scontato che gli imputati siano colpevoli e che verranno rinviati a giudizio, considerando praticamente inutile l’udienza preliminare». Il documento, che rappresenta una «proposta di variazione tabellare provvisoriamente esecutiva», riorganizza le assegnazioni, compresa quella relativa ad “Angeli e Demoni”. Che, oltre tutto, viene anche indicata in maniera alquanto semplificata come il «complesso procedimento riguardante i noti fatti di Bibbiano». Bibbiano, città amministrata dal sindaco Andrea Carletti, coinvolto nella vicenda per un’accusa di abuso d’ufficio e una di falso. Nulla a che vedere, dunque, con quel presunto rapimento di bambini per mano di assistenti sociali senza scrupoli. Una cittadina violentata da partiti e media durante le regionali in Emilia, dunque, per una sola “colpa”: essere il Comune capofila dei servizi sociali della Val d’Enza.
La scelta del presidente del Tribunale per il “caso Bibbiano” cade sul giudice Simone Medioli Devoto, «in violazione del principio costituzionale che impone la precostituzione per legge del giudice», affermano Mazza e Anghinolfi. Il tutto senza esser passati per il via: l’udienza preliminare è fissata il 30 ottobre, mentre il documento a firma del presidente Beretti è datato 7 settembre, quindi quasi due mesi prima. «In questo modo – prosegue Mazza – viene condizionato, magari in maniera non voluta, anche il giudice dell’udienza preliminare, perché viene dato per scontato l’esito che ci si attende da quell’udienza, non prevedendo nemmeno che qualcuno possa decidere di scegliere riti speciali». Secondo Mazza ciò è sintomo di una situazione ambientale tale da riflettersi anche sull’operato della magistratura. Ed è per questo che già il 30 ottobre presenterà la richiesta di spostare il processo ad Ancona, sede naturale in casi di rimessione. Anche perché questo, sottolinea, «è solo l’ultimo dei provvedimenti giudiziari anomali su questo caso». Il riferimento è, ad esempio, all’indagine avviata dalla procura su denuncia della difesa Anghinolfi, che ha lamentato la violazione del segreto investigativo, relativamente alla diffusione in tv delle intercettazioni del caso prima ancora che le stesse venissero depositate. «Ebbene – spiega Mazza -, il procuratore Marco Mescolini ha assegnato la titolarità di questa indagine allo stesso pm del procedimento, ovvero la dottoressa Valentina Salvi. Un’altra anomalia è la notifica dell’avviso di conclusione indagini una settimana prima delle elezioni in Emilia, nonostante le stesse fossero state chiuse da tempo». Insomma, a Reggio Emilia mancherebbe «la serenità necessaria per celebrare il processo. E nella sua abnormità – continua Mazza – questo provvedimento ne è la prova».
E sul punto anche l’Ucpi è d’accordo: «Questo provvedimento presidenziale non solo ci fornisce la notizia che un processo non c’è ancora stato, ma che sicuramente ci sarà, al punto che il Presidente del Tribunale ha preparato quanto necessario perché ci siano i giudici del caso. Il problema, però, è che nessuno degli imputati è ancora stato rinviato a giudizio». Un provvedimento, continua la Giunta dell’Ucpi, fonte «di grave imbarazzo il giudice dell’udienza preliminare, il quale ora conosce quali siano le aspettative del capo dell’ufficio giudiziario al quale appartiene». Ma non solo: l’Unione evidenzia come «nella prassi quotidiana i più rilevanti principi a cui deve ispirarsi il processo penale siano in concreto ignorati. Ritenere che una udienza preliminare possa sfociare unicamente in un decreto che dispone il giudizio e non invece in una sentenza di non luogo a procedere, evidenzia non solo una concezione formalistica e sostanzialmente abrogativa di tale momento processuale – conclude la Giunta -, ma soprattutto l’assenza della minima considerazione per la funzione della difesa ed in ultima analisi della presunzione costituzionale di innocenza». Ma la replica di Beretti non si è fatta attendere: «Il provvedimento a mia firma datato 7 settembre 2020 è una proposta di variazione tabellare, provvedimento imposto dalla circolare del Csm sulla formazione delle tabelle dell’ufficio ogni qualvolta si presenti la necessità di una riorganizzazione – spiega -. La variazione del 7 settembre specifica solo che non è ad oggi possibile stabilire la composizione di questo eventuale collegio posto che uno dei suoi membri è in astensione per maternità e non è prevedibile la data del suo rientro in servizio». E aggiunge: «Non si comprende quale sarebbe la situazione “di grave imbarazzo” del giudice dell’udienza preliminare posto che quel giudice già da tempo era a conoscenza della data e dell’ora dell’eventuale udienza dibattimentale poiché da lui stesso richiesto ex art. 132 disp. att. c. p. p.». Un versione che Mazza smentisce: «Le indicazioni del Csm prevedono che il gup chiede la data dell’udienza dibattimentale all’esito dell’udienza preliminare. Se fosse vero che il gup ha chiesto in anticipo la data del dibattimento sarebbe ancora più grave, in quanto anticiperebbe il giudizio».
FONTE: https://www.ildubbio.news/2020/09/15/ce-gia-un-giudice-bibbiano-anche-se-non-ce-un-processo/
La norma invisibile
Nel merito della proclamata epidemia di questi mesi sono state spese parole autorevoli ma finora poco o per nulla definitive, sempre atteso che possa darsi un «definitivo» nelle cose della scienza. In quanto al metodo è stato invece più facile identificarvi l’ultima metamorfosi di una crisi ininterrotta che da almeno vent’anni reclama deroghe ai precedenti etici e giuridici per risolvere emergenze ogni volta inaffrontabili con gli strumenti del prima. Se tentassimo una tassonomia delle eccezioni condensatesi in questo breve periodo, quella attuale ricadrebbe nella fattispecie dell’attacco terroristico. Non tanto per il terrore che integra già la fenomenologia dell’emergenza, quanto più per i prodotti propri del collegato momento riformante: instillare la paura del prossimo come latore di rischi invisibili e mortali → rinforzare i dispositivi di sorveglianza → limitare le libertà che attengono alla sfera fisica.
Le misure straordinarie di volta in volta adottate nell’evo della crisi perpetua lasciano sempre un sedimento irreversibile nella legge e nella percezione di ciò che è ordinario. E in questo loro spingere ogni volta più in alto la piattaforma su cui si innesteranno le eccezioni successive, in questo qualificarsi non già degli eventi, ma delle reazioni agli eventi come incrementalmente «senza eguali», anche nella loro versione sinora ultima non sfuggono alla regola di ogni ultima versione, di superare cioè le applicazioni pregresse in ogni dimensione possibile.
Il primo prodotto in elenco si specchia oggi, direi in maniera radicale, nel dispositivo del «distanziamento sociale» che fa della negazione della prossimità e del suo comandamento (Mt 22,39) una norma generale. L’aumento della sorveglianza (secondo prodotto) si è tradotto in un dispiegamento di forze pubbliche per la prima volta indirizzato a sanzionare i movimenti quotidiani ovunque e di tutti. Entrambi i prodotti convergono strumentalmente sul terzo, più ampio e in fieri, della segregazione e del controllo dei cittadini nello spazio fisico.
L’assuefazione ai miti della dematerializzazione digitale ed economicistica, di una realtà cioè sempre riproducibile senza vincoli di spazio e di velocità nel numero elettronico (digit, cfr. fr. numérique) e monetario ha affievolito nei contemporanei la consapevolezza del primato corporeo sulle produzioni ideali. Le parole che oggi esprimono la sede dei pensieri e delle emozioni — spīrĭtŭs, ănĭma (gr. ἄνεμος), psiche (gr. ψυχή) — indicavano tutte in origine il medium fisiologico della respirazione. La moderna radice pneu- era invece per gli antichi il πνεύμα: anima, soffio vitale, Spirito Santo (ebr. רוח, soffio). È rilevante osservare come le emergenze dell’ultima stagione si siano particolarmente accanite su questo crocevia metafisico, criminalizzando prima lo scarto gassoso del movimento respiratorio (CO2) e poi ribaltando lo spiraculum vitae divino (Gen 2,7) in un soffio mortifero da incarcerare e nascondere dietro a una maschera, come un affronto osceno alla vita. Nelle proteste che scuotono oggi le piazze la sua negazione è diventata uno slogan da recitare in ginocchio: «I can’t breathe».
Quando il corpo muore ed esala l’ultimo respiro, l’anima fugge e «si rende» al cielo, cessa di esistere nell’immanenza e trascende, senza però sciogliere la dialettica che la rende viva e possibile nelle membra. La storia cristiana della salvezza culmina con il farsi carne della stessa divinità e la resurrezione del suo corpo che si dona nella memoria eucaristica, preconizzando la «resurrezione della carne» del Symbolum. Spiega Tertulliano nel De resurrectionis mortuorum:
La carne è il cardine della salvezza. Infatti se l’anima diventa tutta di Dio è la carne che glielo rende possibile. La carne viene battezzata, perché l’anima venga mondata; la carne viene unta, perché l’anima sia consacrata; la carne viene segnata della croce, perché l’anima ne sia difesa; la carne viene coperta dall’imposizione delle mani, perché l’anima sia illuminata dallo Spirito; la carne si nutre del corpo e del sangue di Cristo, perché l’anima si sazi di Dio. Non saranno separate perciò nella ricompensa, dato che son state unite nelle opere.
Le rappresentazioni astratte vivono e muoiono nello spazio fisico degli organismi che le producono e le trasmettono agli altri organismi. Procedono dalle percezioni degli organi sensori e tradiscono di continuo la loro ascendenza strutturandosi secondo le metafore del mondo fisico (Lakoff, Johnson). Sicché gli apparecchi elettronici e le reti, al pari delle concettualizzazioni filosofiche, politiche ed economiche — in primis il denaro — non scalfiscono i vincoli fisici della realtà né quelli della percezione, che sul lato ricevente dell’imbuto cognitivo rimane la stessa di cento o cinquantamila anni fa. Non creano nuove antropologie ma sono alla meglio pròtesi, in certi casi utili, in altri d’impiccio, o invalidanti.
Umanità e corpo si pongono dunque in un rapporto di identità ontologica per così dire primaria, che si allarga secondariamente alle restanti realtà nella misura in cui si manifestano agli uomini attraverso i sensi. È perciò necessario che i dispositivi di governo dell’essere umano, come singolo o in comunità, tendano in ultima istanza a governarne la corporeità. O, per dirla al contrario, che le garanzie della persona in corpore precedano ogni altra garanzia per l’ovvia ragione che non può darsi un diritto immateriale senza la materialità di un titolare e le condizioni materiali affinché possa essere goduto. Ovunque nel mondo le leggi più importanti si impongono con i deterrenti del confinamento fisico o anche della soppressione fisica del reo. L’«habeas corpus» della Magna Charta Libertatum (1215), uno dei cardini delle civiltà costituzionali moderne, garantisce l’integrità fisica dell’imputato e la legalità della sua carcerazione: non un valore, un ideale o un progetto, ma il suo corpo.
La tendenza dei moderni all’astrazione e allo sprezzo già gnostico della materia è paradossalmente antispirituale perché li trascina nel vicolo cieco delle loro fantasie, di ciò che è morto e quindi non ha spiritus, non respira. La tendenza a farsi guidare dagli -ismi, dai sistemi di pensiero, dalle etichette, dagli idoli buoni o cattivi, dai «veri» significati delle parole e della storia, dai modelli scientifici, dall’economia, dal valore di scambio applicato all’uso e alla misura del creato, dai simboli che diventano cosa e delle tessere che diventano tutto, questa tendenza può anche spiegare l’avvento odierno di un potere che va diretto alla radice fisica dei suoi soggetti senza quasi incontrare resistenze. Che usa i corpi, li scruta e li denuncia per ghermirli ed estendervi il suo dominio oltrepassando le stazioni intermedie della sussistenza economica, del patrimonio e della qualità della vita, per puntare alla vita tout court.
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Torniamo alle cronache. Alla fine di marzo ha suscitato polemiche il passaggio di un’intervista rilasciata dal direttore esecutivo del Programma emergenze sanitarie dell’OMS dove si suggeriva la necessità di «andare a guardare nelle famiglie per trovare le persone che possono essere malate, rimuoverle e isolarle in un maniera sicura e dignitosa» (corsivo mio). Trascorso un mese da quelle dichiarazioni, il presidente della Provincia di Trento Maurizio Fugatti annunciava di avere sottoposto al ministro della Salute il problema della scarsa adesione dei «positivi ai quali chiediamo di uscire dalla propria famiglia» per trascorrere la quarantena in una struttura di ricovero e, quindi, di valutare l’introduzione di uno strumento normativo che li obbligasse a farlo. Pochi giorni più tardi anche il presidente della Toscana Enrico Rossi avrebbe auspicato «un intervento del governo» per superare il rischio di incostituzionalità di un’ordinanza «che stabilisca un quasi-obbligo [?] di isolamento in albergo sanitario» per i contagiati lievi o asintomatici. Ancora, una settimana dopo il conduttore di una nota trasmissione televisiva chiedeva a Stefano Bonaccini (Emilia Romagna) se intendesse assumere «tracciatori che vadano a vedere i contatti dei positivi e [se avesse] dei luoghi dove tenere in quarantena contagiati». Risposta: «noi andiamo a scovarli casa per casa… abbiamo più di 70 unità mobili specializzate che girano in tutta la regione, provincia per provincia, per andare a cercare chi magari, in quella condizione abitativa, non è in grado di tutelare i propri familiari o i conviventi». Casa per casa.
Nel frattempo a Roma si raddoppiavano i «detective del virus» con il compito di rintracciare i sospetti positivi e i loro contatti, anche con sopralluoghi nelle case e interrogatori senza testimoni («la prima regola che dico ai miei collaboratori»), per metterli in quarantena in attesa della diagnosi. Non sorprendentemente, cresceva e continua a crescere in Italia il numero di coloro che si rifiutano di sottoporsi ai test per non finire nel limbo di una detenzione senza garanzie. Lo stesso copione si ripeteva all’estero. In Inghilterra, ad esempio, «alle persone venute a contatto [con un positivo] verrà… imposta una quarantena di due settimane, anche se non hanno sintomi e anche se si è già contratto e superato il Coronavirus» (corsivo mio), con una semplice telefonata delle autorità e anche su segnalazione anonima.
È naturale l’inquietudine di una popolazione che in queste dinamiche ritrova intero il repertorio proprio della giustizia penale: dai sospetti alle indagini, dagli interrogatori all’arresto, fino alla detenzione in carcere o ai domiciliari. Senza però capire quale sia il reato e chi il giudice, né come si possano quindi applicare le garanzie dell’habeas corpus. Per interpretare questo salto di dominio non basta riconoscervi il risultato di un’applicazione particolarmente severa della quarantena sanitaria ma occorre chiedersi il perché di quell’estensione e se, nel suo produrre i frutti tipici di un metodo di governo delle persone più che delle malattie, non stia sconfinando in ambiti molto più cardinali e profondi di quello sanitario.
Nella «medicina penale» si è tutti colpevoli fino a prova contraria, e anche al di là di ogni di prova contraria. Sul nodo così centrale ma scientificamente controverso dei portatori sani si è eretto il postulato di un’umanità naturaliter malata e perciò sempre candidabile al sospetto, alla repressione e alla custodia cautelare. Giacché il pericolo si annida negli uomini in quanto uomini, allora solo un intervento extraumano, che provenga cioè da processi estranei ai loro corpi condannati, lo può disinnescare. La vaccinazione invocata, per quanto ugualmente controversa nella realtà scientifica, diventa nella proiezione simbolica l’unica liberazione possibile, la «soluzione definitiva» (così il nostro ministro della Salute), «il sacramento medico corrispondente al battesimo» (Samuel Butler) da somministrare preferibilmente alla nascita per aggiustare la creazione e mondare il vizio originale dell’essere fatti di carne, cioè uomini. È così ribaltato il riferimento biblico in cui il corpo ad similitudinem Dei factum diventa per gli abitatori dell’Eden un oggetto di vergogna solo dopo avere commesso la colpa originale. Non perché peccato, ma a causa del peccato (Gen 2,25; 3,7).
Tra i sottoprodotti più tossici di queste applicazioni normative e coattive del movente sanitario preoccupa l’inversione del ruolo dell’arte medica nella società, e quindi il suo destino. Accanto alla concezione storica e naturale di una medicina ricercata dagli uomini per conservarsi e migliorare le proprie condizioni di vita, si fa strada l’idea che i suoi rimedi e le sue nozioni debbano invece essere imposte al popolo recalcitrante. L’inversione implicata non è di tipo tecnico, ma antropologico, perché sottende una visione dell’essere umano distruttiva e autodistruttiva, innaturale e grottesca se non demenziale come può esserlo l’idea che una persona con la febbre alta voglia mettersi in costume da bagno per prendere il sole in spiaggia, e la si debba quindi intercettare con i termoscanner. È una visione che gronda disprezzo dell’essere umano, lo squalifica al rango di una bestia incapace di discernere il proprio bene, pericolosa per sé e per gli altri e perciò sempre bisognosa di un padrone severo che la mortifichi fin nelle pulsioni più elementari, dalla socialità agli affetti, dalla mobilità agli svaghi. Se il dèmos non può sopravvivere senza catene, se non è neanche in grado di prendersi cura della propria singolarità anatomica, allora qualsiasi ipotesi di democrazia è negata alla radice. E se il rapporto medico-paziente si conflittualizza sovrapponendosi al dominio a sé estraneo della coercizione legale, la naturale alleanza terapeutica si spezza e la medicina smette di essere una risorsa desiderabile per diventare una minaccia a cui sottrarsi, come ci si sottrae oggi ai test sierologici. Il risultato di questa perdita di fiducia è un allontanamento progressivo della popolazione dai rimedi della scienza medica almeno nelle sue forme autorizzate e ufficiali, come sta già in parte avvenendo, con conseguenze sulla salute incalcolabilmente più gravi di quelle che si dice di voler scongiurare.
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Sul piano politico giova riferirsi al più ampio concetto di biopotere teorizzato da Michel Foucault, che imprime la sua forza normativa sulle vite dei cittadini facendo leva proprio sui cardini della salute collettiva (médecine sociale) e dei dispositivi di controllo e confinamento dei corpi (Surveiller et punir, 1975). Nei fatti odierni si assiste alla convergenza o quasi-sovrapposizione dei corpi biologici con il corpo sociale affinché la patologizzazione indiscriminata e indefinita dei primi renda normale la prassi di immobilizzare il secondo e di sottoporlo allo scrutinio perpetuo del panopticon. L’emergenza non è più emergenza: diventa omeostasi e le libertà sono deroghe da rilasciare per grazia («noi autorizziamo»). Utilizzando i termini di una famosa dialettica husserliana, i Leiber dei cittadini, le loro identità fisiche e intellettuali (Eigenheiten) e le loro esperienze del mondo si comprimono e tendono ad annullarsi in un sottostante Körper biologico indistintamente cagionevole e dunque sempre minaccioso per il bene sociale.
In appendice alle riflessioni del filosofo francese, Nikolas Rose ha osservato come la «molecolarizzazione» della vita (The Politics of Life Itself, 2007) abbia spostato nel nostro secolo l’oggetto della governamentalità biopolitica nelle cellule e negli atomi dei corpi e, così facendo, li abbia insieme trascesi per la trasmissibilità propria dei microorganismi e dei corredi genetici. Lo ha reso cioè invisibile, o ancora meglio lo ha astratto in un sistema di modelli descrittivi e previsionali. Nel nostro caso è ancora una volta la «positività asintomatica» il punto scientifico-retorico che sottrae del tutto la norma dal controllo e dalla verifica dei soggetti. Diversamente dalle altre condizioni socialmente escludenti — povertà, devianza, crimine, appartenenza a etnie discriminate, malattie conclamate ecc. — quella che giustifica oggi la repressione generale può marchiare i suoi soggetti senza lasciare alcun marchio. Può manifestarsi nella chimica ma non nella clinica, sul display del termociclatore ma non nell’esperienza dei corpi, nel sotto-mondo molecolare ma non in quello dei sensi, nascondersi e andare «in sonno» da una stagione all’altra come le cellule dei terroristi. La sede del suo pieno rivelarsi non possono quindi essere le corsie ospedaliere ma piuttosto il numero dei bollettini, delle previsioni e delle simulazioni. Liberato dai requisiti della percezione sensibile si diffonde più duttile nei grandi dati e nella loro selezione e rappresentazione che, come tutte le sintesi statistiche, non sono né neutre né accessibili al riscontro della massa.
Chiunque può avere commesso il reato virale senza saperlo e soprattutto senza poterlo sapere, se non al costo di avvilupparsi nelle spire di una «giustizia» sanitaria kafkiana che centralizza e centellina gli strumenti diagnostici, li rende inaccessibili ai cittadini privati, li concede o li nega senza razionalità apparente, ne ritarda l’esecuzione, non scioglie i dubbi sulla loro affidabilità, autorizza al commercio test di cui poi non riconosce la validità, crea insomma una cortina fumogena attorno alle prove con cui incarcera gli imputati senza processo, né difesa, né appello. E chiunque può commettere quel reato inavvertitamente, in qualsiasi momento e in modi altrettanto incerti perché annunciati, ritrattati, aggiornati e smentiti di continuo dalla comunità degli esperti, quasi su ogni tema: dalla sopravvivenza del virus extra corpore alle distanze raccomandate, dalla contagiosità di chi non ha sintomi all’utilità dei dispositivi di protezione, dall’effettivo sussistere del pericolo alle probabilità del suo ritorno. Il reato invisibile sottende la norma invisibile per proteggersi da un nemico invisibile che, se non è materialmente accessibile ai sensi, va nel novero delle rappresentazioni spirituali (qui anche nell’etimo, trasmettendosi con lo spiritus). È un tentatore scaltro che inganna le coscienze e le perverte con la promessa di piaceri effimeri — la «movida», una stretta di mano, un amplesso, una grigliata tra amici — e va perciò ricacciato negli inferi con l’arsenale ascetico dell’astinenza, della clausura, della rinuncia agli averi, del rispetto delle liturgie (distanziamento, abluzioni, paramenti igienici), del disciplinamento di sé e degli altri.
Che un sistema del genere crei le condizioni dell’arbitrio non è né un’illazione né una previsione di chi scrive, ma risulta dai fatti. Tra le maglie larghe delle sue contraddizioni può starci il divieto di correre e di celebrare un funerale ma non quello di assembrarsi per commemorare la Liberazione. Si può vietare la distribuzione del pane azzimo in chiesa ma non di quello arabo al banco del supermercato (cfr. Mt 4,4). Si possono riaprire le discoteche ma non le università, distribuire tamponi ai VIP ma non ai medici, puntare il dito contro i contanti (che non contaminano), mettere in gabbia i bambini (che non si ammalano), gabellare un vaccino contro l’influenza per diagnosi differenziale. Nell’incertezza galoppano le inclinazioni ideologiche e l’agenda cara a chi tiene le briglie, con il vantaggio aggiunto di segregare tutto ciò che vi si oppone.
FONTE: http://ilpedante.org/post/la-norma-invisibile
IMMIGRAZIONI
Prete sgozzato, Bergoglio: “Don Roberto Malgesini ucciso da una persona bisognosa”
“Voglio ricordare in questo momento don Roberto Malgesini, sacerdote della diocesi di Como che ieri mattina è stato ucciso da una persona bisognosa che lui stesso aiutava, persona malata. Mi unisco al dolore e alla preghiera della sua famiglia e della comunità comasca e come ha detto il vescovo di quella diocesi, rendo lode a Dio per la testimonianza di martirio di un testimone della carità per i più poveri. Preghiamo in silenzio per tutti i preti, le suore, i religiosi, i laici che lavorano con le persone bisognose e scartate dalla società”.
Il ricordo del parroco Roberto Malgesini è venuto ieri da Papa Francesco che ha voluto ricordare il suo estremo sacrificio al termine dell’udienza generale del mercoledì nel saluto ai pellegrini di lingua italiana.
È quanto riporta Rai News.
FONTE: https://stopcensura.org/prete-sgozzato-bergoglio-don-roberto-malgesini-ucciso-da-una-persona-bisognosa/
LA LINGUA SALVATA
Decrescita
decrescita s. f. Modello di sviluppo localistico basato su riduzione dei consumi, autoproduzione e autoconsumo dei beni, teorizzato dall’economista e filosofo francese Serge Latouche (n. 1940), in contrasto con l’idea universalistica secondo cui la crescita trainata dalle economie sviluppate produce sempre e per tutti effetti positivi a lungo termine; in senso concreto, diminuzione, riduzione della crescita, rinuncia alla crescita. ◆ Una decrescita sostenibile – e, se si potesse, felice – significa comunque una serie di rinunce che dovrebbero essere decise spontaneamente da quella parte del mondo che si avvantaggia dell’attuale situazione, ragione per cui appare una possibilità piuttosto remota. (Mario Tozzi, Stampa.it, 7 giugno 2007, Opinioni) • Nella riflessione di Latouche sono assemblati materiali diversi, dall’ecologismo al feticismo della merce di marxiana memoria, dall’uomo unidimensionale di Herbert Marcuse fino al localismo. Il risultato è che viene vagheggiata un’umanità che prenda la strada della decrescita, rinunciando ai frutti del lavoro e della creatività, e nemmeno vi è il sospetto che, se tale idea fosse accolta, larga parte del genere umano scomparirebbe. (Carlo Lottieri, Giornale.it, 14 febbraio 2010, Cultura) • E quando si arriva all’insostenibilità bisogna, per forza, che ci sia una contrazione. Questa può avvenire per un collasso e quindi in maniera non gestita, oppure può essere programmata, in una sorta di “declino gestito” che l’umanità può realizzare. Nel tempo queste teorie hanno avuto a disposizione molte parole nuove, dalla decrescita allo sviluppo sostenibile, ma il senso è sempre quello: l’insostenibilità di una situazione è – per definizione – qualcosa che non può durare. (Carlo Petrini, Repubblica, 1° marzo 2012, p. 31, ).
Derivato dal s. f. crescita con l’aggiunta del prefisso de-, sul modello del francese décroissance.
Già attestato nella Stampa del 14 dicembre 2005, p. 27, Cultura e Spettacoli (Mario Baudino).
FONTE: https://www.treccani.it/vocabolario/decrescita_%28Neologismi%29/
PANORAMA INTERNAZIONALE
Il Secolo Cinese inizia oggi
FONTE: http://micidial.it/2020/09/il-secolo-cinese-inizia-oggi/
POLITICA
Esclusivo: ecco il documento che può smontare l’inchiesta sulla Lega
Nel pieno della campagna elettorale per le regionali irrompe una nuova inchiesta giudiziaria che investe la Lega di Matteo Salvini. Agli arresti sono infatti finiti tre commercialisti, vicini al Carroccio, il che ha inevitabilmente politicizzato la questione, anche se sul leader leghista non pende nessun capo d’imputazione.
VIDEO
L’accusa riguarda la Lombardia Film Commission, che avrebbe acquistato con soldi pubblici, provenienti dalla Regione a guida leghista, un immobile a un prezzo di gran lunga superiore a quello di mercato. Quarta Repubblica ha però mostrato un documento esclusivo che mette in discussione l’intera impalcatura sulla quale si regge l’inchiesta.
Dalla puntata del 14 settembre 2020
FONTE: https://www.nicolaporro.it/esclusivo-ecco-il-documento-che-puo-smontare-linchiesta-sulla-lega/
SCIENZE TECNOLOGIE
Dott. Stefano Scoglio: Tamponi Fake e Virus Mai Isolato
Da intervista a Byoblu
Del Dott. Stefano Scoglio
Il candidato Premio Nobel alla Medicina nel 2018, Dott.Stefano Scoglio, rilascia un’intervista a Byoblu che scansa equivoci di ogni sorta sul tema dei tamponi e dei test sierologici con tanto di documentazione scientifica da lui redatta:
LA PANDEMIA INVENTATA, LA NUOVA PATOLOGIA DELL’ASINTOMATICITÀ, E LA NON VALIDITÀ DEL TEST PER IL COVID-19
Dr. Stefano Scoglio, Ph.D.
Orma, le morti attribuite al Covid-19 sono ridotte a numeri ridicoli (per ancora pompate e sfruttate il più possibile dai media corrotti). Quindi, il problema per i “pandemisti” è diventato come estendere la finta pandemia? L’obiettivo principale è possibilmente di estenderla almeno fino alle prossime elezioni presidenziali americane, con l’auspicio che la falsa pandemia e la conseguente crisi economica indeboliscano il presidente Trump e la sua possibilità di essere rieletto. Il loro sogno sarebbe quello di estendere la pandemia a tempo indeterminato, perché ci consentirebbe loro di rimodellare la società nella direzione di una civiltà politica tirannica senza libertà e con le masse che vivono nella paura costante. E così hanno inventato la nuova patologia dell’asintomaticità, che consiste nel risultare positivo al tampone Covid-19, anche se si è perfettamente sani.
In effetti, la realtà è stata anche peggiore, poiché il CDC, lo scorso maggio, ha fatto circolare una nuova definizione di “caso probabile” di Covid-19: basta vivere in uno Stato etichettato dal suo governatore come Stato di emergenza Covid-19 (criterio epidemiologico) e avere anche solo un po’ di tosse o una combinazione di altri due sintomi, come mal di testa e brividi, o rigidità e mialgia, per essere definiti come “caso probabile” di Covid-9, ed essere così immediatamente equiparato a un caso di Covid-19 confermato. Dopodiché, il numero dei positivi viene moltiplicato coinvolgendo tutte le persone con cui è stato in contatto il “probabile” caso Covid.
Al centro del progetto pandemico c’è il tampone Covid, che si basa sulla RTPCR (Reverse Transcriptase- Polymerase Chain Reaction o Trascrittasi Inversa – Reazione a Catena della Polimerasi): un campione di materiale organico viene prelevato dalla gola, o più raramente dal fluido bronco-alveolare, dell’individuo testato, e viene poi sottoposto a una procedura RT-PCR per verificare la presenza del virus SARS-Cov-2 nel campione. Questa è la stessa metodologia RT-PCR utilizzata per “isolare” originariamente il virus dal paziente zero. Pertanto, il test Covid dipende essenzialmente dall’avvenuto o non avvenuto isolamento originale del virus SARS-Cov2, perché l’isolamento originale PCR del virus costituisce il golden standard necessario per convalidare i successivi successivi test Covid.
I problemi con l’isolamento del virus originale, e quindi con il conseguente test del tampone, sono tanti, e tutti puntano alla verità che il virus SARS-Cov2 non è mai stato isolato e mai testato per la sua patogenicità. Come è noto, alla base della microbiologia ci sono i famosi Postulati di Koch, che stabiliscono principi di buon senso della ricerca microbiologica: per determinare che un microrganismo è causa di una malattia bisogna procedere attraverso 4 passaggi fondamentali:
a) isolare fisicamente i microrganismi, attraverso metodi di filtraggio, da un paziente malato;
b) crescere i microrganismi isolati in un brodo di coltura;
c) Iniettare questo brodo di microrganismi in una cavia, e valutare se i sintomi generati da quell’iniezione sono simili ai sintomi del paziente originale;
d) isolare di nuovo il microrganismo dal paziente appena infettato e coltivarlo in un brodo di coltura.
Questi postulati sono stati applicati a microrganismi vivi come batteri, ma poiché sono postulati logici si applicano anche a “non organismi” non viventi come i virus, che sono particelle non viventi costituite da un filamento di RNA (o DNA) ricoperto da un involucro (capside) lipoproteico.
Ebbene, anche se è stato pubblicato almeno un articolo in cui si afferma che i postulati di Koch’s sono stati soddisfatti, la realtà è che il virus SARS-Cov2 non è mai stato isolato e testato. Ho esaminato tutti gli studi che affermano di aver isolato e persino testato il virus, ma tutti hanno fatto qualcosa di molto diverso: hanno preso il liquido faringeo o bronco-alveolare dei pazienti, quindi lo hanno centrifugato per separare le molecole più grandi e pesanti dalle molecole più piccole e più leggere, come appunto i presunti virus; hanno poi preso il surnatante (la parte superiore del materiale centrifugato) e hanno chiamato quella matrice estremamente complessa ‘“ virus isolato” a cui poi hanno poi applicato la RT-PCR.
È una cosa piuttosto tecnica, ma cercher di semplificare: il surnatante contiene diversi tipi di molecole, miliardi di diverse micro e nano particelle, comprese quelle che vengono chiamate vescicole extracellulari (EVs) ed esosomi, particelle utili prodotte dal nostro corpo e assolutamente indistinguibili dai virus:
“Al giorno d’oggi, è una missione quasi impossibile separare vescicole extracellulari e virus attraverso i metodi canonici di isolamento delle vescicole, come quello della ultra-centrifugazione differenziale, perché sono spesso co-pellettati (raccolti assieme) a causa della loro dimensione simile.“
Quindi, come si fa a isolare un virus specifico da questa enorme miscela di miliardi di particelle indistinguibili, che include esosomi benefici?
Ebbene, non si fa, è impossibile, e quindi si “ricrea” il virus tramite la RTPCR: prendi due primers, due sequenze genetiche già esistenti disponibili in banche genetiche, e li metti in contatto con il brodo del surnatante, finché non si attaccano (annealing) ad un qualche frammento di RNA nel brodo, creando così una molecola di DNA artificiale, che è poi moltiplicata con un certo numero di corse di PCR: ogni corsa raddoppia la quantità di DNA, quindi in teoria più corse maggiore è la quantità di DNA prodotta; ma maggiore è il numero di corse, minore è l’affidabilità della PCR, ovvero la sua capacità di “produrre” effettivamente qualcosa di significativo dal supernatante, qualcosa che abbia minimamente a che fare col virus che si cerca: oltre le 30 corse il risultato è essenzialmente privo di significato (come affermato anche da uno dei massimi esperti mondiali di PCR, il prof. Stephen Bustin). Tutti gli studi, così come gli attuali test con tampone, utilizzano sempre tra le 35 e le 40 corse.
La prima domanda senza risposta è: i primer sono costituiti da 18-24 basi (nucleotidi) ciascuno; il virus SARS-Cov2 è presumibilmente composto da 30.000 basi; così il primer rappresenta solo lo 0,07% del genoma del virus. Come è possibile selezionare il virus specifico che stai cercando sulla base di un primer così minuto, e inoltre in un mare di miliardi di particelle simili a virus? Sarebbe come cercare un elefante utilizzando piccolissimi peli di colore grigio della coda: cercando con tali peli di colore grigio si possono trovare gatti grigi, cani grigi, esseri umani ingrigiti e così via.
Ma c’è di più. Poiché il virus che stai cercando è nuovo, chiaramente non ci sono primer genetici pronti che si abbinino con la frazione specifica del nuovo virus; quindi si prendono i primers che si ritiene possano assomigliare alla struttura del virus ipotizzata, ma è una mera supposizione, e quando applichi i primers al brodo del surnatante, questi possono attaccarsi a una qualsiasi dei miliardi di molecole presenti, e non si ha nessuna certezza che quello che hai così generato è il virus che stai cercando. Si tratta, infatti, di una nuova creazione artificiale realizzata dai ricercatori, che viene poi chiama “virus SARS-Cov2”, ma non c’è alcun collegamento con il presunto virus responsabile della malattia.
La metodologia RT-PCR standard è afflitta da problemi fondamentali, e questa è la ragione per cui ora stanno cercando di sviluppare una nuova tecnologia, chiamata NGS (new generation sequencing), che è per anch’essa piena di limitazioni, limitazioni di cui sono consapevoli i ricercatori più onesti:
“Le metodologie basate sulla PCR più comunemente utilizzate richiedono la conoscenza delle sequenze genomiche del microrganismo; tuttavia, questa conoscenza non è sempre a disposizione. Un caso tipico è rappresentato dai focolai di patogeni emergenti …
Perché l’amplificazione casuale / imparziale amplifica gli acidi nucleici dell’ospite insieme a quelli microbici, cercare gli acidi nucleici microbici è come cercare un ago in un pagliaio. “
E questo, che corrisponde a quanto detto finora, riguarda sia RT-PCR che NSG. Questo anche perché molti studi hanno dimostrato che fino al 95% delle particelle simili a virus presenti nel corpo dei pazienti appartengono al genoma del paziente stesso:
“L’identificazione degli acidi nucleici dei patogeni nei campioni clinici è complicata dalla presenza del solito preponderante background ospite … Nello studio di Brown e colleghi, è stato possibile non assegnare al genoma umano solo lo 0,4% delle letture totali.”
Il che conferma la mia metafora del liquido faringeo o bronco-alveolare del paziente come un mare di miliardi di particelle simil-virali, la maggior parte delle quali, come vescicole extracellulari e esosomi, appartengono al genoma del paziente.
E questo solleva la domanda successiva: se non hai idea di cosa sia il virus, di come sia fatto, come puoi dire che è responsabile di qualcosa? Tuttavia, i ricercatori cinesi hanno anche cercato di dimostrare la patogenicità del virus. In uno specifico studio cinese , hanno preso il supernatante del liquido faringeo (spacciandolo per virus isolato), e l’hanno iniettato nei topi, confrontandolo con un placebo. Ora, anche se non è stato isolato, se ci fosse davvero un virus responsabile della malattia, esso sarebbe comunque presente in quantità rilevanti nel surnatante del liquido patologico del paziente. Perci , una volta iniettato nelle cavie dovrebbe ancora produrre effetti devastanti sugli animali.
Ma l’effetto peggiore che ha prodotto è stato un po di “setole irte” e una minima riduzione di peso dell’8% (forse il virus dovrebbe essere suggerito come aiuto per la perdita di peso?); ma anche questi minimi effetti sono stati ottenuti solo sui topi geneticamente modificati, mentre non c’è stato assolutamente nessun effetto sul topi naturali, non geneticamente modificati o “wild” (WT). Questo significa che il virus, ammesso che ci sia, è incapace di fare il benché minimo danno sui topi normali, e dunque su individui umani normali.
I topi sono stati geneticamente modificati per iper-produrre lo speciale enzima ACE2, la cui iperproduzione potrebbe spiegare alcuni dei sintomi leggeri riscontrati nel topi geneticamente modificati.
Quel che è certo è che nessun effetto di sorta è stato prodotto dal cosiddetto virus su topi normali (persone normali). E questo è lo studio più importante che dimostra la patogenicità del virus Covid-19, l’articolo per eccellenza pubblicato suila più importante rivista scientifica, Nature!
Poiché questo virus non è mai stato realmente isolato, e quindi non esiste un gold standard per supportare ulteriori studi o tests, nessuno standard che li guidi, chiunque è libero di costruirsi il proprio virus SARS-Cov2 privato! Questo è il motivo per cui ora ci sono, in GISAID genome bank, l’organizzazione che raccoglie e archivia tutte le sequenze genomiche, oltre 70.000 sequenze geniche del virus SARS-Cov2, ciascuna delle quali dichiara di essere quella reale.
Per adattarsi a questa follia, ora ci dicono che il virus muta, ed è per questo che ci sono tante sequenze diverse. Ma è credibile che 70.000 diverse strutture geniche tutte corrispondano allo stesso virus? Sarebbe come se avessi un John, di cui sono 70.000 immagini diverse, in ognuna delle quali sembra un uomo, poi una donna, poi un cane, poi un serpente, e così via, eppure vorresti convincermi che sono tutti e sempre John!
Questo, tra l’altro, solleva un’ulteriore questione molto importante: se il presunto virus muta tanto da aver prodotto oltre 70.000 sequenze genetiche diverse, quale di questi sarà selezionato per il vaccino? E come pu il vaccino coprire qualcosa se gli altri 69.999 sequenza non sono coperti e il virus, in ogni caso, continua a mutare costantemente?
Ed eccoci al problema del tampone, il vero motore di questo pseudopandemia. Come abbiamo spiegato all’inizio, il test del tampone utilizza la stessa tecnica che abbiamo visto sopra per lo pseudo-isolamento, a partire dal liquido presuntivamente infetto del paziente. Questo liquido viene centrifugato, quindi inserito nel test prestabilito che dovrebbe avere lo standard virale, cioè il virus isolato, incorporato. Ma se il virus non è mai stato isolato, qual è lo standard utilizzato?
Vari studi hanno trovato molte mutazioni e variazioni tra i diversi ceppi geografici: un articolo, che include anche Robert Gallo tra gli autori, ha riscontrato decine di mutazioni crescenti nel tempo in parallelo con la presunta diffusione del virus dall’Asia all’Europa agli USA ; mentre un altro autore ha analizzato 85 diverse sequenze genomiche SARS-Cov2 disponibili presso GISAID, e ha trovato ben 53 divers ceppi SARS-Cov2 provenienti da varie aree della Cina, dell’Asia, dell’Europa e degli Stati Uniti.
Quindi, quale di questi ceppi virali sta cercando il tampone? Se il virus muta costantemente (ammesso e non concesso che il virus ci sia), allora il test è inutile, perché va a cercare un virus sempre precedente rispetto a quello attualmente in circolazione. Basterebbe questo da solo per capire che il tampone Covid-19 il test è completamente, al 100%, fallace!
Questo è davvero ci che accade nella realtà. Il “Drosten PCR Test” e il test dell’“Institute Pasteur”, i due test considerati i più affidabili (sebbene nessuno dei due lo sia stato convalidato esternamente), entrambi utilizzano un test del gene E, anche se il test di Drosten lo utilizza come test preliminare, mentre l’Institut Pasteur lo utilizza come test definitivo. Secondo gli autori del Drosten test , il test E-gene è in grado di rilevare tutti i virus asiatici, essendo così al contempo molto aspecifico (tutti i ceppi viruali) e limitato ad un’area geografica (Asia). Ancora, il test Institut Pasteur, uno dei più adottati in Europa, utilizza il test E-Gene come a test finale, anche se è ormai noto che il virus (o virus) SARS-Cov2 che si ritiene circolino in Europa sarebbero diversi da quelli asiatici. E poi ad aprile, l’OMS ha cambiato l’algoritmo “… raccomandando che da ora in poi un test pu essere considerato positivo anche se solo il dosaggio del gene E (che probabilmente rileverà tutti i virus asiatici!) dà un risultato positivo”.
Chiaramente tutto questo è buono solo per alimentare falsi positivi e il panico sociale associato con l’esplosione della “malattia” dell’asintomaticità Covid! Che il test del tampone Covid-19 sia destinato a produrre molti falsi positivi lo era già trovato all’inizio in Cina, quando un articolo è stato pubblicato il 5 marzo 2020 (quindi riferendosi ai test effettuati a febbraio) e riportando un numero dell’80,3% di falsi positivi. È interessante notare che, dopo l’esplosione della “pandemia”, il giornale cinese ha ritirato l’articolo!
Ma la sanzione ufficiale dell’inefficacia e della totale inaffidabilità del test Covid-19 è arrivato da un ambito inaspettato, quello dell’Unione Europea. Nel Working Document della Commissione Europea del 16 aprile scorso, cioè dopo il picco della pseudo-pandemia , la Commissione Europea afferma:
“I test COVID-19 tempestivi e accurati sono una parte essenziale della gestione della crisi COVID-19 … dopo essere stati immessi sul mercato le performance dei dispositivi possono essere convalidate, vale a dire confermate da test aggiuntivi che confermino le specifiche del produttore, ad es. nei laboratori di riferimento, nelle istituzioni accademiche o nelle agenzie nazionali di regolamentazione. Tale convalida non è legalmente obbligatoria ma altamente raccomandata per il processo decisionale di sanità pubblica ”.
Ci si aspetterebbe che ci fosse uno standard, una metodologia di test fondamentale che sia validata e pre-autorizzata. Qui non si tratta di un prodotto voluttuario lasciato alla gestione del libero mercato, ma di uno strumento che è stato essenziale per giustificare il potere dei governi di imporre la peggiore chiusura dittatoriale dei diritti civili ed economici che si possa ricordare a memoria d’uomo! Invece, questa è la situazione descritta dalla stessa Commissione EU:
“In totale, 78 dispositivi basati su RT-PCR… 101 per la rilevazione di anticorpi e 13 per la rilevazione degli antigeni sono stati valutati. “
Di questi 78 dispositivi, alcuni importati dalla Cina, nessuno è mai stato controllato o ispezionato, figuriamoci convalidato, in anticipo. Solo 3, “… quelli dell’Institut Pasteur, l’Hong Kong Faculty of Medicine e la Charité sono state convalidate internamente ”, cioè certificate come valido dal produttore stesso, il
che equivale a dire che anche quelli non sono mai stati convalidati o autorizzati da un qualsiasi organismo indipendente o governativo. Inoltre:
“Le informazioni più cruciali in relazione ai metodi di RT-PCR per la rilevazione di SARS-CoV-2 sono le sequenze degli oligonucleotidi (primers e probes) utilizzati per l’amplificazione del cDNA…ad eccezione di pochi casi, non abbiamo potuto trovare nessuna informazione sulle effettive sequenze dei primers e dei probes utilizzate nei dispositivi.”
In altre parole, i dispositivi in circolazione potrebbero contenere qualsiasi tipo di cosa, per quel che ne sanno le autorità.
E lo stesso livello di inaffidabilità si applica anche ai test sierologici o anticorpali non solo perché, come abbiamo visto sopra, ne circolano oltre 100 tipi diversi senza nessuna preventiva valutazione o autorizzazione, ma perché alla base del test sierologico sta lo stesso fondamentale limite che affligge il tampone, ovvero l’assenza di uno standard affidabile a causa del mancato isolamento del virus. Quando si parla di sierologico si parla di anticorpi, e tutti probabilmente pensano che esistano anticorpi specifici per ciascun virus. Niente di più lontano dalla realtà: gli anticorpi che si ritrovano con il sierologico sono solo due, e solo sempre quelli, le IgG e le IgM, quest’ultime risposte immunitarie precoci, mentre le igG si generano più tardi. Ora, se sono sempre e solo due, come si fa a capire se si riferiscano al SARS-Cov2 e non a un raffreddore, o uno stress emotivo, a una contusione, e così via? In teoria, si estraggono tali anticorpi dal siero, e li si sottopone alla stessa metodologia PCR usata per il tampone, per vedere se si attivano a contatto del SARS-Cov2. Ma poiché, come abbiamo visto, il SARS-Cov2 non è mai stato isolato, ed è solo una costruzione artificiale di laboratorio, il risultato del sierologicvo è un mero terno al lotto, che probabilmente si attiva o non si attiva in modo casuale, senza nessun vero rapporto con il presunto virus che è presunta causa del Covid-19.
Insomma, abbiamo affidato la fine della nostra libertà a tali non controllati, mai convalidati e mai autorizzati test, siano essi tamponi o sierologici!
Tutti i media del mondo gridano al fatto che questa presunta pandemia ha già causato più di 750.000 morti. Sappiamo che anche questo numero è stato molto gonfiato: le morti di persone molto anziane (80+ anni) e molto malate (2-3 patologie fatali), morte di qualunque patologia grave da cui erano affette, sono state attribuite al Covid-19 solo perché i pazienti, anche dopo l’autopsia, sono risultati positivi al test inaffidabile, o addirittura anche senza nessun test.
Tuttavia, fossero anche realmente 750.000 decessi per COVID-19, sarebbero chiaramente nella norma del numero di di decessi per malattie respiratorie, come mostrato dal grafico seguente:
Ogni anno, come mostrano queste statistiche ufficiali, nel mondo muoiono quasi 7 milioni di persone patologie respiratorie. Le 750.000 morti attribuite al Covid-19 negli ultimi 6 mesi, anche se dovessero essere raddoppiati (cosa improbabile, poiché l’attuale mortalità per Covid-19 è in netta diminuzione in tutto il mondo), comporterebbe circa 1,5 milioni di morti, ancora ben al di sotto dei quasi 7 milioni di morti all’anno per problemi respiratori (e certamente le morti dichiarate per Covid sono state tutte morti che negli anni Passat sarebbero state classificate come morti per malattie respiratorie).
E infine, anche le statistiche dell’UE confermano che l’attuale livello di mortalità è assolutamente normale:
Alla fine di Luglio 2020, secondo EuroMoMo, l’agenzia ufficiale che supervisiona la mortalità all’interno dell’UE, in tutta Europa, ad eccezione di un leggero aumento in Spagna e Portogallo, e compresi i paesi in teoria molto duramente colpiti dalla pandemia, come l’Italia e il Regno Unito, non c’è stato nessun aumento della mortalità. Tutto bene, quindi, se non fosse per le devastanti e dittatoriali decisioni politico-economiche.
VIDEO QUI: https://m.youtube.com/watch?v=v-VsVp2mfGg
Ultimo studio scaricabile in pdf:
FONTE: https://comedonchisciotte.org/dott-stefano-scoglio-tamponi-fake-e-virus-mai-isolato/
STORIA
DALLA RESISTENZA AL NAZIFASCISMO ALL’ANTIFASCISMO DEI TRADITORI
leggete questo articolo scritto nel 2009 (anno in cui sono entrato in FB ma non l’ho pubblicato allora, almeno non ricordo). Allora ero anche fresco delle fonti che cito e che oggi non avrei ricordato. Ho un po’ corretto qua e là, ma poco. Ho però aggiunto brevi riflessioni odierne. Tenete conto di queste prima di chiedermi l’amicizia. Non amo il cancro né la cura Di Bella.
DALLA RESISTENZA AL NAZIFASCISMO ALL’ANTIFASCISMO DEI TRADITORI
[riflessioni di più di 10 anni fa; correva l’anno 2009. Vi ho apportato una serie di integrazioni, ma nella sostanza le affermazioni risalgono a quei tempi]
L’antifascismo ha cambiato segno nel corso degli ultimi 70 anni. C’è stato un antifascismo “nobile”, quello degli uccisi e dei perseguitati, del carcere e del confino, quello che ha iniziato a resistere in anni (i Trenta) in cui non si vedeva la luce in fondo al tunnel, in cui le sconfitte si susseguivano. L’ossatura di questo antifascismo fu comunista. Non voglio generalizzare la mia esperienza limitata ad una certa area geografico-sociale; comunque, ricordo bene che anche gli anticomunisti avevano un notevole rispetto per i partigiani comunisti, mentre più volte, parlando degli altri, li chiamavano ironicamente “spartiroba”; dove la roba spartita non era la loro, e nemmeno sempre di fascisti, incarcerati o eliminati. Non nego affatto che ci furono i Giacomo Matteotti e i fratelli Rosselli (e non semplicemente perché uccisi dal fascismo) e altri ancora di orientamento differente. Non nego la grandezza dei Ferruccio Parri, dei Piero Calamandrei, dei Guido Calogero, degli Emilio Lussu, ecc. Si tratta di stimabili personaggi che figurano nei libri di storia. L’ossatura fu però costituita da artigiani, contadini e operai, in massima parte forgiati dal comunismo, saldi, inattaccabili e resistenti in senso proprio. Gente del popolo né nota, né ricca, né dotata della cultura per scrivere libri e restare nella storia con il loro nome; eppure, senza l’appoggio di questi gruppi sociali, non è possibile modifica di scenario politico alcuna, anche se nei libri di storia entrano con un breve cenno cumulativo, mentre poi si tornano a leggere le imprese e le belle frasi dei “colti” che riempiono pagine e pagine.
Anche Cossiga ha recentemente ammesso che l’80% della Resistenza al nazifascismo era costituita da comunisti. Senza voler fare dell’anticlericalismo, è stata dunque una piccola “distorsione” storica, promossa anche da film peraltro notevolissimi come Roma città aperta, mettere il “partigianesimo” (mi si passi l’orrendo termine) cattolico sullo stesso piano di quello comunista. La Resistenza non poteva comunque vincere da sola, e oltre a tutto ha interessato solo una parte (il nord soprattutto) del territorio italiano. Come nei paesi est-europei fu decisiva l’Armata Rossa, così in Italia lo furono le truppe “alleate”, cioè statunitensi e inglesi. Ciò nonostante è del tutto assurdo considerare la Resistenza come semplice “Liberazione” dal nazifascismo. In primo luogo gli statunitensi, per la funzione svolta nel dopoguerra, vanno considerati più invasori che “liberatori”. In secondo luogo, non vi è dubbio che, data la spartizione del mondo in aree di influenza geopolitica decisa a Yalta, i veri resistenti antifascisti (all’80% comunisti) non poterono realizzare i loro obiettivi: una trasformazione dei rapporti sociali in Italia o, quantomeno, impedire la restaurazione del tipo di capitalismo divoratore di risorse prima esistente (parlo di quello privato, e della FIAT in primo luogo).
L’ANTIFASCISMO DEI CAPITALISTI VOLTAGABBANA
Il capitalismo privato italiano divenne “antifascista” solo a guerra perduta, appoggiando il colpo di Stato monarchico del 25 luglio 1943 ed il relativo cambio di alleanze, per ottenere, a guerra finita, il sostegno ad una restaurazione. Questo fu l’antifascismo “dell’ultima ora”, fino a quella data un’accolita di tracotanti fascistoni, che mostrò il suo viso pienamente reazionario subito dopo la caduta del “governo di unità nazionale” (1947) e le successive elezioni del 18 aprile 1948; e che condusse la sua opera nefasta per tutti gli anni Cinquanta. Dopo il 1962-63 cambiò la sua “struttura” interna di potere (decaddero rapidamente i Volpi di Misurata, i Pesenti, i Faina, ecc.) e dovette convivere con un settore di industria “pubblica” (l’IRI) decisamente rafforzato da ENI ed ENEL. Dato il coacervo di forze che governò l’Italia fino al crollo del regime DC-PSI, il settore “pubblico” funzionò sia come supporto del capitalismo privato, quello dell’“antifascismo” detto impropriamente laico e azionista – in realtà quello del tradimento e della totale sottomissione allo straniero, assolutamente privo degli ideali della Resistenza, interessato a tutelare solo i propri privati e individuali vantaggi parassitari – sia soprattutto come base di potere di alcune porzioni del corpo governativo in grado di condurre, ma sempre di soppiatto e con defatiganti raggiri, una politica estera di minima autonomia.
Chi tentò di liberarsi con maggior chiarezza e vigoria del giogo straniero (Mattei) fu soppresso. Gli altri continuarono il gioco con minore efficacia e chiarezza, con estenuanti compromessi e complicità che infine impedirono loro di resistere quando negli anni Novanta, finito il bipolarismo geopolitico, i poteri stranieri (diciamolo con chiarezza: statunitensi), promossero la svendita delle partecipazioni statali, abbattendo una importante base del potere DC-PSI, con le sue propaggini in certi settori privati, come il Berlusconi favorito da Craxi. In ciò ancora una volta appoggiati all’interno dall’“antifascismo” del “25 luglio” (FIAT e Mediobanca in testa con i settori politici ad essa legati) che profittarono pure, almeno in un primo momento, della svendita di banche e industrie statali (specialmente durante la presidenza Prodi dell’IRI).
Queste oligarchie hanno goduto dell’importante appoggio mediatico del ceto intellettuale “di sinistra” (importante il ruolo di Repubblica, fondata nel 1976), che ha perso ogni funzione cultural-egemonica per fungere da vera congrega di ringhiosi cani da guardia dei “poteri forti”, dei dominanti economici ormai distruttori del tessuto sociale e produttivo del nostro paese, e che diede all’antifascismo un significato non resistenziale e di semplice appoggio alla “liberazione” da parte degli “alleati”. Tali falsi antifascisti, ribadisco, non si riallacciavano affatto ai grandi, ma ormai isolati, nomi dell’antifascismo azionista. Puramente e semplicemente erano gli eredi dei finti antifascisti del “tradimento” perpetrato il 25 luglio 1943, quelli che poi restaurarono pienamente il capitalismo (privato) italiano più reazionario, che sostennero le sanguinose repressioni alla Scelba, che istaurarono i reparti confino alla FIAT, arrivando fino al Governo Tambroni e al luglio 1960. Non siamo insomma in presenza degli eredi dei veri resistenti, di quelli delle commoventi e nobili Lettere dei condannati a morte della Resistenza (europea e italiana), libri che non vengono più, non a caso, propagandati, diffusi, letti. Chi ha in mano stampa, editoria, ecc., preferisce ignorarli perché ogni loro riga sarebbe una denuncia di questi mentitori e usurpatori del blasone di resistenti, esagitati e interessati eversori al servizio di Washington, che ha preso nel dopoguerra il posto della Germania anni Trenta.
L’IRRESISTIBILE INVOLUZIONE DEL PCI. IL “COMPROMESSO STORICO” E IL GRANDE CAPITALE
Eliminati giudiziariamente il PSI e gran parte della DC (fu risparmiata ad esempio la “sinistra democristiana” dei De Mita, Prodi, Andreatta…), per creare il nuovo regime totalmente subordinato agli USA era già pronto il sostituto: il PCI. Per comprendere il processo degenerativo, non ci si può limitare a inveire contro i rinnegati e traditori. Sia chiaro che questi ultimi esistono, nessuno va alleggerito della sua responsabilità individuale, personale; ogni processo oggettivo ha sempre bisogno di portatori soggettivi, e questi devono quantomeno essere apertamente criticati. Tuttavia, in sede di analisi, non ci si esime dal considerare, quale causa fondamentale del degrado e marcescenza, l’oggettività del fenomeno.
Sarebbe necessario risalire indietro ai patti di Yalta, per cui la Resistenza, organizzata e combattuta per l’80% dai comunisti, dovette rinunciare ai suoi reali obiettivi di trasformazione sociale, riconsegnando tutto nelle mani dei gruppi dominanti che rimisero in sella la sedicente democrazia sotto la vigile e determinata supervisione dei vincitori (gli Stati Uniti). La scelta fu forse obbligata, come dimostra la fine dei comunisti greci, ma il PCI di Togliatti vi mise del suo; e questa specificità, sempre presa per un vantaggio e una superiorità di tale partito rispetto agli altri dell’Occidente, è stata invece il prodromo della sua degenerazione. In effetti, il PCI non fece la fine degli altri partiti comunisti per il semplice motivo che si era già ben preparato alla mutazione del dopo 1989.
Quello che allora giudicammo come revisionismo togliattiano preparò un terreno fertile a quanto accaduto decenni dopo. Si pensi alla cosiddetta “svolta di Salerno”, avvenuta nell’aprile del 1944, con cui l’allora segretario del PCI, in (non proprio dimostrato) accordo con l’URSS, proponeva di rinviare la soluzione dell’assetto istituzionale italiano – la deposizione della Monarchia sostenuta dalla “base”– a dopo la guerra, appoggiando ed entrando nel governo provvisorio Badoglio II (che si insediò proprio a Salerno fino alla “liberazione” di Roma nel giugno 1944), rappresentativo di tutti i partiti antifascisti; ed assicurando che l’azione del PCI era tesa essenzialmente a combattere i tedeschi ed i fascisti, non al mutamento dei rapporti sociali (in cui predominava un capitalismo particolarmente becero e arretrato). La svolta fu di grande rilevanza storica in quanto spostò il centro della politica italiana dal Comitato di Liberazione Nazionale al governo, ed allontanò i militanti ed i partigiani del PCI da qualsiasi ipotesi di insurrezione o presa del potere nel corso della Resistenza antifascista. Togliatti dirà espressamente che il PCI non si poneva l’obiettivo di fare come in Russia. Da qui partirono le concezioni del “partito nuovo”, della “democrazia progressiva” e della “via italiana al socialismo” (approvata dal quinto congresso del partito, gennaio 1946), concezioni che nella realtà celavano l’integrazione subalterna del PCI e del suo “agglomerato” economico – le cosiddette “cooperative rosse” – nel sistema politico ed economico italiano, alimentando ulteriormente nell’anima rivoluzionaria del PCI i rimpianti per la “rivoluzione mancata”.
Nell’assetto geopolitico fuoriuscito da Yalta, Togliatti mirava ad accreditare il PCI – che da meno di seimila iscritti nel 1943 era passato a quasi due milioni nel 1946– come forza politica “responsabile” e fondatrice della “democrazia” italiana, che partecipò ai governi di coalizione del dopoguerra, insieme agli altri partiti del CLN, fino al maggio del 1947 quando, in seguito al viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti (dove costui prese i “dovuti” ordini), fu buttato fuori dal governo. Si confuse la tattica, legata all’inevitabile accettazione degli accordi di Yalta e della divisione del mondo colà stabilita, con la strategia di una presunta rivoluzione morbida, attuata per via democratica, quella democrazia che era la malattia apportata al mondo – e sempre tramite invasioni, colpi di Stato, massacri e via dicendo – dagli Stati Uniti. Si accettò quindi senza vera intelligenza la predominanza delle lobby e cosche del capitalismo USA; ci s’immise a un certo punto in un gioco di banditismo, di subdola infiltrazione nei gangli delle istituzioni (in alcuni corpi speciali “in armi”, nella magistratura, nella burocrazia ministeriale, nei Servizi in particolare, ecc.) nonché di accordo trasformistico con il capitalismo italiano peggiore. Tuttavia, quel primo periodo del dopoguerra non va considerato alla stessa stregua di quest’ultimo processo, la cui effettiva incubazione, a occhio e croce, si trova nella direzione di Berlinguer (1972-84), tutta intrisa di fondamentalismo “moralista cattocomunista”.
Già prima della svolta della Bolognina di Occhetto (1991) e del totale asservimento del PCI-PDS a favore degli USA e dei “poteri forti” confindustriali e bancari, ritengo infatti che sotto la direzione di Berlinguer (il quale promosse l’ascesa nel partito dei vari Occhetto, Veltroni, D’Alema, ecc.) si è avuto un netto spostamento politico e ideologico ad Occidente, cioè in senso sempre più prono agli USA (perché questo era ed è “l’Occidente!”). Se sino al 1969 il PCI chiedeva l’uscita immediata dalla NATO (cfr. lo stesso Berlinguer, l’Unità, 16 febbraio 1969), già il 15 marzo 1972, nella sua relazione introduttiva al XIII Congresso del partito, Berlinguer esprimeva una valutazione più sfumata, considerando la lotta alla NATO efficace solo nel quadro di «un movimento generale per la liberazione dell’Europa dall’egemonia americana». Poi venne il 1973, con il colpo di Stato di Pinochet in Cile e riflessioni di cedimento opportunistico allo schieramento “occidentale” (monocentrismo statunitense). Berlinguer scrisse per Rinascita tre famosi articoli intitolati “Riflessioni sull’Italia”, “Dopo i fatti del Cile” e “Dopo il golpe del Cile”, in cui abbozzava la proposta del “compromesso storico” come possibile soluzione della “crisi italiana” che lasciava paventare svolte golpiste stile sud-America.
Rilevo a questo punto che proprio nel 1973 – con linguaggio tipico dell’epoca – feci un’analisi, pubblicata sulla rivista Che fare, delle “due anime” del PCI: semplificando, l’“amendoliana” e l’“ingraiana”. Dissi che avrebbe vinto la prima, preparando il partito alla rappresentanza della “grande borghesia monopolistica” (solo in parte coincidente, nel linguaggio odierno, con quella che spesso indico quale Grande Finanza e Industria Decotta); mentre l’altra frangia avrebbe coperto “sulla sinistra” la trasformazione e il passaggio di campo, come sempre ha fatto l’ala sinistra della socialdemocrazia (si pensi al ruolo svolto da Rifondazione comunista nei due governi Prodi…). Credo che, per l’essenziale, la previsione di 36 anni fa si sia ampiamente realizzata, e già da un pezzo.
Nel dicembre 1974 Berlinguer ufficializzò la linea di piena accettazione della NATO, pur nella prospettiva di un futuro dissolvimento dei blocchi (cfr. Enrico Berlinguer, Per uscire dalla crisi, per un’Italia nuova, in Antonio Tatò, La questione comunista, Editori Riuniti, 1975). Al Corriere della Sera Berlinguer giunse a definire la NATO «uno scudo utile per la costruzione del socialismo nella libertà, un motivo di stabilità sul piano geopolitico ed un fattore di sicurezza per l’Italia» (15 giugno 1976). Successivamente Sergio Segre, responsabile dell’ufficio esteri del PCI, citerà in un articolo le parole di Gianni Agnelli che accordava fiducia all’accettazione dell’economia di mercato proferita dal PCI: «Io personalmente, in quanto industriale, non ho motivo di dubitarne». L’allora presidente FIAT, personaggio ascoltato nelle alte sfere di Washington, diede persino semaforo verde ad un più diretto coinvolgimento dei piciisti: «Se il PCI è pronto a dare il suo consenso ad un programma realistico, perché rifiutarlo?» (La “questione comunista” in Italia, Foreign Affairs, luglio 1976). Nel 1975 era stato d’altro canto siglato l’accordo tra Agnelli e Lama (rispettivamente capo della FIAT e Confindustria e della CGIL) sulla scala mobile, cavallo di Troia per trasformare CGIL e PCI in effettivi, pur se non nella forma ufficiale, apparati dello Stato; mantenuti da esso tramite mille fili e “mangiatoie” varie.
A concludere emblematicamente queste dichiarazioni, nell’ottobre del 1977, prima in Senato e poi alla Camera, il PCI votava una risoluzione in cui si dichiarava la centralità dell’allora CEE e della NATO. In tale contesto, enunciando l’idea dell’“eurocomunismo”, che dal 1976 coinvolse i tre partiti comunisti più grandi d’Europa – italiano, francese, spagnolo – il gruppo dirigente berlingueriano provò a dare basi teoriche al consociativismo con la DC e all’accettazione dell’“ombrello NATO” senza comunque recidere del tutto il cordone con l’URSS.
Alle aperture di Berlinguer non corrisposero immediatamente quelle della NATO verso il PCI (ma semplicemente perché nel partito c’era un’ala minoritaria più legata all’URSS e non si potevano dunque rischiare contatti stretti tra elementi piciisti e l’organizzazione atlantica). Quando Giorgio Amendola, rappresentante dell’area moderata del partito, proclamò che l’ora era scoccata per «far parte a pieno titolo del governo», nel febbraio 1977 Ugo La Malfa dichiarava pubblicamente la necessità di un governo di emergenza comprendente i comunisti, ma la proposta cadde nel vuoto. Nell’aprile dello stesso anno, l’ambasciatore statunitense Gardner incontrò Eugenio Scalfari, il quale gli avrebbe confidato la sua impressione che «soltanto quando Berlinguer assumerà il controllo della polizia, ci sarà pace civile in Italia». Gardner raccontò poi di analoghe indicazioni ricevute dal mondo economico e finanziario, mentre Giulio Andreotti gli avrebbe dichiarato che credeva nella sincerità della “svolta occidentale” della dirigenza comunista, ma nutriva dubbi sul sostegno a questa svolta da parte della base del partito (si vedano a tal proposito le informazioni contenute nell’archivio online della Fondazione Cipriani). Da una ricerca pubblicata nel gennaio 1979 da il Mulino, risultava d’altronde che solo il 13% dei militanti approvava il “compromesso storico”. In ogni caso i tempi non erano maturi per l’ingresso nel governo del PCI (verso cui, nonostante le ripetute prese di distanza del PCUS, l’URSS destinava finanziamenti di importo rilevante), e bisognerà attendere la caduta dell’URSS per l’arruolamento del PCI-PDS nelle file atlantiche.
L’ascesa di un piciista a primo ministro coinciderà con uno dei più smaccati atti di servilismo italiano agli USA: l’attacco alla Jugoslavia, con la successiva creazione dell’immensa base militare USA di Camp Bondsteel in Kosovo. L’ex ministro della Difesa Carlo Scognamiglio (cfr. Corriere della Sera, 7 e 9 giugno 2001, ed Il Foglio, 4 ottobre 2000) e ancora Cossiga (cfr. Corriere della Sera, 10 giugno 2001 e Sette, 25 gennaio 2001) hanno sostenuto, mai smentiti, che il governo D’Alema, costituitosi il 22 ottobre 1998, «nacque per rispettare gli impegni NATO» di guerra contro la Jugoslavia. Cossiga diede un decisivo contributo alla caduta del governo Prodi, che a suo dire non sarebbe stato in grado come D’Alema di affrontare la guerra. Il governo dimissionario di Prodi aveva infatti sì approvato l’Activation Order della NATO ad attaccare la Jugoslavia, ma secondo le ricostruzioni dei succitati politici l’assenso si limitava all’uso delle basi e non anche alla costituzione di una forza d’attacco aereo con mezzi italiani, secondo la formula della “difesa integrata”. D’Alema rivendicherà successivamente che «quanto a impegno nelle operazioni militari noi siamo stati, nei 78 giorni del conflitto, il terzo Paese, dopo gli USA e la Francia, e prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi, hanno fatto molta politica ma il loro sforzo militare non è paragonabile al nostro: parlo non solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi. L’Italia si trovava veramente in prima linea». Volete infine capire che cosa erano ormai divenuti gli ex piciisti? I più servi fra i servi degli Stati Uniti!!!
Che il centrosinistra fosse la forza politica più affidabile per gli USA venne confermato a chiare lettere dall’alto stratega USA Edward Luttwak: «Nel 1999 il governo di Massimo D’Alema ha combattuto nel Kosovo (…) davanti alla sua porta di casa (…) ed è rimasto lealmente al fianco degli americani dal principio fino alla fine della guerra. Nel 2003 il governo di Silvio Berlusconi non ha partecipato all’intervento in Iraq. Questa è l’unica vera differenza che Washington ha notato fra il centrosinistra ed il centrodestra, sul piano della strategia militare (…) gli Stati Uniti hanno già lavorato col centrosinistra, e si sono trovati meglio che con gli altri governi ostentatamente filoamericani». Luttwak esprimeva in quell’occasione anche delusione per il comportamento di Berlusconi, che in Iraq mandò truppe «dopo, a cose fatte (…) la delusione c’era già stata nel 2003, quando aveva rifiutato di partecipare attivamente all’intervento. Quello è stato il momento della rottura, almeno su questo piano». (La Stampa, 2 novembre 2005).
DIETRO LA COMMEDIA DEL “CONFLITTO D’INTERESSI” E DEL NEOFASCISMO
L’antifascismo è così stato egemonizzato dai voltagabbana e dai servi degli USA: i “fu piciisti”. Una riprova è costituita dal rinnovato vigore dell’antifascismo condotto da grande stampa e dall’establishment italiano a partire dalla discesa in politica di Berlusconi, contro cui, in particolare adesso, è partito un attacco da più fronti. L’importuno è accusato di perseguire interessi personali, il ben noto conflitto di interessi, che invece sparisce non appena i gruppi imprenditoriali privati perseguono i loro, soddisfacendo anche quelli degli USA, servendosi però a tale scopo di date forze politiche (al primo posto quelle che portarono a lungo la falsa etichetta PCI) prone ai loro voleri. Basta separare formalmente l’economia dal suo apparato di servizio politico, e il conflitto di interessi sparisce. Basta pagare bene una serie di studiosi di diritto, economia, politologia, ecc., mettendo a loro disposizione media, editoria – e logicamente cattedre universitarie, posti in consigli di amministrazione di imprese o in istituzioni statali, seggi parlamentari nazionali o regionali, ecc.– e tutti costoro spiegheranno che ogni cosa (in realtà sporca) è trasparente, onesta, lecita.
Il capitalismo mal tollera la “confusione” tra sfera economica e politica. Le sedicenti classi dirigenti (dominanti) devono stare dietro le quinte e far agire sul palcoscenico i loro attori politici. Con Berlusconi la struttura della recita saltava. Da qui tutta la pantomima del “conflitto di interessi”. Per mezzo secolo, la FIAT ha ottenuto una bella quantità di aiuti di ogni genere, ma nessuno ha parlato di conflitto di interessi per quando riguarda la sua famiglia proprietaria. E ogni volta che sono saltate fuori, anche ultimamente per questioni ereditarie, “strane cose”, l’azione giudiziaria si è sempre impantanata e dispersa. Anzi, si è sempre raccontata la menzogna che gli interessi italiani coincidevano con quelli della FIAT, a causa dell’occupazione che “dava”: per gli ideologi dei dominanti i capitalisti sono “datori di lavoro”, con “simpatica” inversione della realtà dei fatti che vede i lavoratori offrire la loro merce a chi ha i capitali e la domanda per impiegarla al fine di ottenere un profitto dalla propria impresa; come vedete non entro nemmeno nella discussione intorno all’estrazione di pluslavoro/plusvalore. Quando poi la FIAT ha ridotto drasticamente l’impiego di “mano d’opera” (altro termine edulcorato) nell’azienda, si è però detto che, nell’indotto, “dava lavoro” ad almeno sette persone per ognuna di quelle impiegate direttamente. Resta il fatto che le scelte governative dettate da quell’azienda, e che ad essa portavano vantaggi e profitti, non sono mai state considerate “conflitto di interessi”. Guai, però, se si entra di persona in politica; si contravviene alle regole della recita e se ne pagano perciò le conseguenze (anche in termini di attenzioni da parte di settori della magistratura).
Questi antifascisti si sono messi ad urlare all’ascesa di un nuovo fascismo. Ora, mi sembra evidente che noi viviamo sotto un regime solo formalmente democratico (e con quante limitazioni…) che coinvolge tanto il centrosinistra quanto il centrodestra, in un regime cioè bipartisan totalmente asservito al modello economico neoliberista e alle mire geostrategiche statunitensi. Ma l’idea che il governo berlusconiano possa avere caratteri fascisti è una tesi priva di fattivi riscontri, basata su una idea piuttosto nebulosa di cosa sia stato il fascismo. In quale altro paese e momento della storia un fascismo, dopo 16 anni di ascesa, non si è ancora installato saldamente al potere, eliminando le opposizioni perentoriamente affinché non si sentano più le loro urla stentoree? Quando mai un fascista si è fatto buttare giù da un “ribaltone”, dopo aver vinto le elezioni, e abbia accettato di perderne due, rimanendo tranquillamente all’opposizione? In quale altro regime fascista conosciuto un capo di governo si è fatto insultare, dileggiare, spiare nella sua vita privata, minacciare da settori della magistratura? Inutile porre simili domande alla “sinistra” del grande capitale parassitario e del servaggio verso gli USA. E nemmeno a quella detta “radicale”, con Paolo Ferrero, segretario della Federazione della sinistra, oltre che di Rifondazione, che si dichiara «pronto ad allearmi anche con il diavolo» (la Repubblica, 21 dicembre 2009) pur di battere Berlusconi, vale a dire pronto a fungere da ultima ruota di un eventuale carrozzone elettorale che, da Di Pietro a Fini passando per Bersani e Casini, provi a battere il Cavaliere nero. Opzioni politiche alternative e strategiche: zero. Non c’è più nemmeno quella patina di illusorietà PRC-bertinottiana di voler condizionare da sinistra il governo di centrosinistra di turno. Si ripropone l’antiberlusconismo, in forma peggiore della già pessima “desistenza” del 1996, per veicolare, con soggetti e accenti diversi, la solita politica atlantista di centrodestra e centrosinistra.
RIFLESSIONE FINALE ODIERNA
Se i fu comunisti sono i peggiori rinnegati (e servi dello straniero) di tutta la storia italiana, per definire coloro che ancora speculano sul fascismo, da una parte, e sulle “feroci dittature comuniste”, dall’altra, non trovo le parole più adeguate. Comunque ribadisco almeno la sintetica frase: la “sinistra” è il cancro della nostra società, la “destra” è una sorta di cura Di Bella. Sia chiaro, questa “destra” non è migliore della “sinistra”. Solo che, per ragioni storiche ben precise e “oggettive”, quella ancora definita “sinistra” (di cui una buona parte origina dal ’68 e ’77, anni decisivi dell’inizio della parabola discendente della nostra società) ha occupato il 90% dei gangli del potere e dei mezzi di informazione; e dilaga nelle pubblicazioni, nell’insegnamento di ogni ordine e grado. Per questo è lei il cancro e non la “destra”; non certo perché quest’ultima sia migliore come visione politica e servaggio verso gli USA. In ogni caso, non si curerà questo cancro con quella menzogna chiamata “democrazia” e “voto del popolo”. Contro il cancro solo due cure sono possibili: asportazione chirurgica e chemioterapia. Entrambe però richiedono la FORZA NUOVA, sulla cui formazione al momento solo ipotetica dovrebbe a breve uscire il libro di Petrosillo e mio.
FONTE: http://www.conflittiestrategie.it/dalla-resistenza-al-nazifascismo-allantifascismo-dei-traditori-glg
Petizione: ricordiamo Petrov, che salvò il mondo da una guerra nucleare
Punto focale dell’appello rivolto agli attivisti ecopacifisti: ricordiamo Petrov, che salvò il mondo da una guerra per errore, intitolandogli vie o piazze per sensibilizzare sul crescente rischio nucleare.
Serve disarmare, proibire giuridicamente gli ordigni nucleari, rimuovere le armi nucleari tattiche dall’Europa, tagliare le spese militari: non affidare la “deterrenza” all’Intelligenza artificiale e al 5G!
26 settembre 2020: forse festeggeremo le 50 ratifiche statuali del Trattato di proibizione delle armi nucleari che lo faranno entrare in vigore: un po’ di luce nel buio della corsa agli armamenti e alle guerre che sta riprendendo con grande impeto! Addirittura negli ambienti militari si parla di affidare le decisioni fondamentali sulla deterrenza nucleare all’intelligenza artificiale (appoggiata anche all’uso militare della tecnologia 5G), come attestato non dai soliti “pacifisti allarmisti”, ma dall’ex segretario alla difesa USA Robert Work.
Un altro passo sciagurato che abbassa la soglia nucleare è quello di ammodernare e potenziare le armi nucleari tattiche, che servono per la guerra “di teatro” in Europa: per essa la NATO teorizza ufficialmente il “first use”. Qui siamo in violazione assoluta dell’articolo 11 della nostra Costituzione pacifista.
26 settembre 1983: quella notte trovammo “un uomo giusto, al posto giusto, al momento giusto”. Stanislav Petrov riuscì a capire che le tracce di missili americani in avvicinamento apparse sui computer del centro di avvistamento vicino Mosca erano in realtà un falso allarme (onde elettromagnetiche del sole riflesse dalle nuvole, abbiamo saputo poi); non avvisò allora i superiori evitando che si innescasse il meccanismo della risposta nucleare.
Il militare, rischiando gravi sanzioni, seppe usare la testa ed il cuore obiettando a folli procedure burocratiche e a stupidi regolamenti eretti a presidio della “deterrenza”. Possiamo ben qualificarlo come “The man who saved the world”: lo documenta il film di Peter Anthony visionabile su You tube alla URL:
VIDEO QUI: https://youtu.be/8TNdihbV5go
L’ONU lo ha riconosciuto istituendo ufficialmente, proprio il 26 settembre, la “giornata contro le armi nucleari”. Da qui nasce il nostro preoccupato appello agli attivisti ecopacifisti: senza indugio diamoci da fare, costituendo comitati ad hoc, perché piazze e vie nei vari Comuni d’Italia possano essere intitolati a Stanislav Petrov. (Bisogna chiedere deroghe alle prefetture perché Petrov e’ morto il 19 maggio 2017, meno di 10 anni fa). E’ nostro dovere celebrare un uomo alla cui intelligenza e coraggio vivi e “naturali” dobbiamo la nostra stessa sopravvivenza; e soprattutto ricordare una vicenda che, aprendo dibattiti nei consigli comunali e quindi nell’opinione pubblica, serve efficacemente a sensibilizzare sul rischio nucleare che incombe e si aggrava. L’umanità deve essere salvata dalla catastrofe. Per questo serve sottolineare ed esaltare una vicenda che può simboleggiare come l’amore per la vita, radicato nella natura umana, possa prevalere sull’istinto di morte e sulla paura che si illude di trovare sicurezza negli strumenti di morte.
Promotori:
Disarmisti esigenti – Alfonso Navarra
Primi firmatari:
Alex Zanotelli – Alfonso Navarra – Michele Carducci – Andrea Grieco – Luigi Mosca – Vittorio Bardi – Mario Agostinelli – Antonia Baraldi Sani – Francesco Lo Cascio- Adriano Ciccioni – Laura Tussi – Fabrizio Cracolici – Antonio Mazzeo – Sabina Santovetti – Marco Palombo – Patrick Boylan – Oliviero Sorbini – Ennio La Malfa – Roberto Brambilla – Floriana Lipparini – Manlio Giacanelli – Marinella Correggia – Tiziano Cardosi – Renato Napoli – Vittorio Pallotti – Giuseppe Farinella – Antonio Marraffa – Alessandro Capuzzo – Patrizia Sterpetti – Riccardo Bovolenta
FONTE: https://comedonchisciotte.org/forum/notizie-dallitalia/petizione-ricordiamo-petrov-che-salvo-il-mondo-da-una-guerra-nucleare-per-errore/
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