RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
2 LUGLIO 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Per vivere ci vuole un alibi
(E. Sottsass)
GINO & MICHELE, Le cicale 2008, Kowalski, 2007, pag. 79
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SOMMARIO
La scomparsa di milioni di bambini, ma tutti zitti!
Bambini scomparsi nel mondo. Dove sono e perché scompaiono
Censura e sistematica eliminazione di dischi con il titolo che ha la parola “bianco”
Bugiardi, spiegateci perché il Covid ha colpito la Lombardia
“BLACK LIVE MATTER”: VIETATI I FILM DI TOTÒ SU TUTTO IL TERRITORIO COMUNALE
IL CINEMA DI SERGEI EISENSTEIN E IL MITO DELLA RIVOLUZIONE
Maldicenza, calunnia, diffamazione
O facciamo l’Irlanda del Mediterraneo, o moriamo di Troika
Assassinii anche nel mondo spietato delle Big Pharma
La libertà fragile.
HEGEL SULLE CONVENZIONI
La Cina pronta ad attaccare con 50mila hacker
Funvax. Controllo mentale tramite i Vaccini.
Quant’è probabile una nuova pandemia?
Gli sciacalli dell’integrazione.
Sapelli: solo prestiti e tasse, così l’Ue farà a pezzi l’Italia
Perché gli altri Paesi non chiedono il Mes?
Quello che il popolo non deve sapere sul dibattito del MES
Scandalo Wirecard: raid della polizia a Monaco (ma non solo). Che sta succedendo?
Calunnia – Articolo 368 Codice penale
Per rispettare il GDPR servono più incidenti, non sanzioni
ATTO ABNORME: IL DIRITTO DI DIFESA NELLA DIALETTICA G.I.P. E P.M.
by Avv. Federico Cola | in Penale
Ok dell’Italia ad accogliere due voli al mese di migranti provenienti dalla Germania
Pandemia
BAMBINI, LA RICREAZIONE È FINITA.
Berlusconi nel governo? Ma per fare cosa?
La mitomania della solidarietà europea
LA MEDICINA INTELLIGENTE DEL DR MASSIMO CITRO
Documenti inediti del governo Tedesco sulla distruzione della Serbia
EDITORIALE
La scomparsa di milioni di bambini, ma tutti zitti!
La ignobile questione è censurata da un muro omertoso di molibdeno: piomba un terrificante e colloso silenzio!
Manlio Lo Presti – 2 luglio 2020
Gli ermeneuti tecnologi della sovversione e, soprattutto, della disinformazione, scaricano sulle menti degli umani valanghe di notizie irrilevanti o deformate. Centinaia di eventi che toccano la emotività e che quindi possono facilmente incendiare l’emotività, la rabbia, la faziosità.
CITTADINI, IL PIANO E’ QUESTO: DEBILITARE IL RAZIOCINIO E ALTERARE LE FUNZIONI COGNITIVE DEGLI UMANI.
TUTTO CIÒ PREMESSO
Ha una sua razionalità affermare che
le notizie non servono per informare ma per minacciare ed avvertire precisi destinatari.
Raramente, però le maglie della diffusione delle distopie collose si allarga e avviene che qualche evento rilevante venga a galla. Lo si vede dalla fretta con cui vengono diffuse smentite, ci sono depistaggi, ci sono 40 o 50 trasmissioni a reti unificate di terra, di mare, di aria che si sbracciano a smentire o più maliziosamente, a inserire una sequenza infernale di “distinguo”, di eccezioni, di silenzi, per arriva fino all’assassinio del diffusore delle notizie mediante incidenti stradali, disgrazie mortali ai loro figli, ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.
Storia vecchia, ma si ripete!
Una di queste storie riguardano la scomparsa di un numero impressionante di bambini nel mondo. Il fenomeno è in allarmante aumento e non ha la risonanza che merita per la sua enorme drammaticità.
I tecnologi della carità quali ONG, Vaticano, ONU, Caschi bianchi, UNICEF, FAO, CIA, NSA. NATO, Corte Internazionale dell’Aja, buonisti, Dem, psicologi, criminologi, sacerdoti, ne parlano a singhiozzo e solamente quando vedono la possibilità che il tema possa portare una valanga di quattrini nelle loro tasche. In caso contrario, piomba un silenzio ferreo sull’uso pedofilo dei bambini e sul lucrosissimo traffico dei loro organi.
C’è quindi qualcosa che sorpassa in termini di silenzio e omertà qualsiasi reato mafioso, storico, di genocidi, di truffe finanziarie, di omicidi, di falsificazioni quotidiane e martellanti della realtà.
Questo “qualcosa” è la pedofilia.
E’ una peste trasversale che tocca i componenti di quasi tutti governi del pianeta, miliardari, Strutture dell’informazione (tv, web, stampa, radio) spioni, funzionari a tutti i livelli di tutte le agenzie internazionali, case regnanti ancora esistenti, esponenti dell’esercito, delle magistrature nazionali, europee, comunitarie e mondiali. La loro omertà è più dura di tutti i segreti mafiosi, nucleari, militari, biochimici, industriali, finanziari. NON PASSA NULLA!!!!!!!!!
Ecco perché nessuno parla seriamente per estirpare veramente la diffusione esponenziale di bambini scomparsi, trucidati, usati sessualmente, smontati per la vendita degli organi.
P.Q.M.
Un tribunale di Norimberga non sarà mai realizzabile …
MEGLIO GIRARE LA TESTA DA UN’ALTRA PARTE
IN EVIDENZA
Bambini scomparsi nel mondo. Dove sono e perché scompaiono
Lisa Stanton – 29 giugno 2020
In Italia 8331 bimbi sono scomparsi nel 2019. In Francia, quest’anno, i bambini spariti sono 1.238. 18000 bambini sono scomparsi in Siria. La U€, nonostante questi numeri, ha richiesto alla Turchia di voler favorire l’ingresso solo di minori non accompagnati.
Dove sono, perché scompaiono?
Sul blog dell’avvocato Franceschetti il dito è puntato contro il satanismo, le multinazionali dei vaccini e le potentissime organizzazioni pedofile: nel mondo si calcola che ogni anno scompaiano circa 100.000 bambini.
Una terribile indagine in Germania ha accertato che dagli anni ’70 «i bambini senzatetto di Berlino Ovest venivano di proposito affidati a pedofili», tra i quali «diversi erano accademici di alto livello»: si sarebbe trattato di un «esperimento».
Colpevoli non sono solo questi alienati, ma una società che produce aberrazioni in misura sempre maggiore. Dalla Siria giunge qualche video, e ciò che viene fatto loro è orribile.
https://twitter.com/andiamoviaora/status/1277253013405663232?s=20
E in Italia?
Il ddl Zan-Scalfarotto-Cirinnà combatterà la pedofilofobia, un nuovo psico-reato che si aggiunge all’odio verso gay e trans: fino a quattro anni di reclusione per gli odiatori.
La finestra di Overton non delude mai:
da quando la pedofilia è stata nel 2013 dichiarata un orientamento sessuale dall’Associazione Psichiatri Americani, ero certa che l’avrebbero equiparata all’omosessualità, la bisessualità, etc… Con la sua approvazione, ad esempio, il comportamento delle assistenti sociali della Val d’Enza sarà perfettamente legale, un assistente sociale potrà accusare chiunque di essere omofobo e portargli via i figli.
Che sia il caso di un aborto al nono mese o di un’eliminazione per averne gli organi; che li si consideri animali domestici con cui trastullarsi; che siano ridotti in schiavitù per soddisfare le più patetiche pretese del padrone, quel che sta succedendo ai bambini del XXI secolo non si era mai verificato nella storia dell’uomo, tranne la parentesi nazista.
Non so voi, ma
io vedo pedofilia ovunque, da vescovi a candidati alla presidenza, da Silicon Valley alla politica italiana, da Hollywood ai produttori di vaccini, il fenomeno è così diffuso che mi sento circondata da mostri per i quali i piccoli sono solo un prodotto.
Il DDL, oltre a ciò che desiderano (fondi per associazioni, medici, psichiatri, assistenti socio-formatori), spinge verso la depenalizzazione del reato di pedofilia (già avvenuta di fatto) e discrimina ulteriormente i minori vittime di violenza. Vorrà dire che una legge antidiscriminazione può discriminare chi gli pare.
FONTE:https://www.facebook.com/lisa.stanton111
Censura e sistematica eliminazione di dischi con il titolo che ha la parola “bianco”
Marco Gervasoni – 27 giugno 2020
Tolto dal commercio:
white Christmas,
White album dei Beatles,
tutti i dischi dei Whitesnakes,
di Barry White,
del David Bowie berlinese (White Duke) sospettato di razzismo
Lou Reed (White light white heat)
gli U2 (white as snow)
e iQueen (White Queen)
Bugiardi, spiegateci perché il Covid ha colpito la Lombardia
Inquinamento, antenne 5G e sovra-vaccinazioni (influenza e meningite). Tutto ciò ha a che fare con la strage Covid che ha devastato la Lombardia? «Soprattutto a causa degli inceneritori, quella tra Bergamo e Brescia è la zona più inquinata d’Europa: e tra fine 2019 e inizio 2020, in quell’area, ci sono stati 180.000 inoculi vaccinali, somministrati agli anziani», dice Marcello Pamio, nutrizionista, presente – fra gli altri – alla grande manifestazione (12.000 persone) organizzata a Firenze il 21 giugno dal Movimento 3V (Vaccini Vogliamo Verità), con oratori come Mauro Scardovelli e la coraggiosa parlamentare ex grillina Sara Cunial, promotrice del progetto di mobilitazione popolare R2020. Il tema: l’emergenza coronavirus nasconde un disegno totalitario. E nessuno, intanto, ci ha ancora spiegato perché la Lombardia è finita nell’occhio del ciclone: 238.000 contagi e oltre 16.500 morti, a fronte dei 4.000 di Piemonte e Veneto. Colpite in misura minore altre Regioni non lontane (1500 vittime in Liguria e 1000 nelle Marche), mentre nel resto d’Italia i numeri oscillano: da qualche centinaio a poche decine di decessi, ben al di sotto del bilancio di una normale influenza stagionale. Cosa c’è, dunque, dietro all’esplosione lombarda del fenomeno Covid? «Non lo sappiamo ancora, perché non ci vengono forniti i dati essenziali», dice un medico rianimatore, Stefano Manera.
Ai microfoni di “ByoBlu“, il dottor Manera – presente alla manifestazione fiorentina – racconta la sua esperienza: «Sono un anestesista che ha aderito all’appello della Regione Lombardia che chiedeva medici per gli ospedali. Sono stato mandato a Bergamo e ci sono rimasto per due mesi. Ho iniziato il 18 marzo, proprio mentre la Tv trasmetteva le immagini dei cortei di camion militari carichi di bare». I morti erano quelli delle valli bresciane e bergamasche: «Si deve assolutamente cominciare a fare delle ipotesi, ma il problema è che i dati non vengono forniti. Servono i dati epidemiologici: le casistiche dei pazienti, le condizioni di inquinamento, i farmaci somministrati prima dell’emergenza. Senza dati non possiamo fare correlazioni», sottolinea Manera. «Sono davvero fondamentali, gli studi epidemiologi: fornirli è un dovere morale, soprattutto nei confronti delle persone che sono morte, di quelle che si sono ammalate e dei medici che hanno sacrificato la loro vita per il bene di altre persone». Il governo che ha finora rifiutato di diffondere i dati è lo stesso che ha classificato come vittime del Covid moltissimi decessi di pazienti già affetti da patologie gravissime, dopo aver scoraggiato le autopsie sulle vittime. L’apparato dell’emergenza aveva persino sconsigliato l’uso del cortisone, farmaco in realtà efficacissimo, come segnalato inutilmente – due mesi fa, da 30 specialisti italiani – al ministro della sanità, Speranza, e ora convalidato ufficialmente dall’Oms.
«Tra Bergamo, Brescia e Milano è successo qualcosa che non è successo nel resto d’Italia», ribadisce la dottoressa Antonietta Gatti, tra i massimi esperti mondiali in bioingegneria. «Quindi – osserva – non si possono imporre vaccini se prima non si conoscono i meccanismi dell’azione di questo virus fino in fondo. C’è stata sovra-vaccinazione, in quelle zone? Bisogna dimostrarlo, e si può». Terreno scivoloso, quello dell’obbligo vaccinale: «Il No-Vax non esiste, è solo un genitore che ha letto con attenzione il foglietto illustrativo del farmaco che si vorrebbe somministrare a suo figlio, scoprendo tante cose», sostiene Marco Teodori, del Movimento 3V. Da non sottovalutare, nel caso-Lombardia, neppure l’elettrosmog: «Negli ultimi decenni la nostra esposizione alle radiofrequenze è aumentata di un miliardo di miliardi di volte, rispetto ai valori di fondo del pianeta Terra», ricorda Paolo Orio, dell’Associazione Elettrosensibili: «Le radiofrequenze causano stress ossidativo, che è il meccanismo alla base di numerose patologie oncologiche e cronico-degenerative». Uno studio dell’Istituto Ramazzini di Bologna è stato finalmente trasmesso dalla Rai, sia pure alle due di notte: sulle cavie di laboratorio, il 5G induce disfunzioni devastanti e persino l’insorgenza di tumori cardiaci, che normalmente sono rarissimi.
Tra le voci in piazza a Firenze anche quella del battagliero Maurizio Martucci, portavoce dell’Alleanza Italia Stop 5G. «La società del 5G corrisponde al modello Cina, con l’introduzione di un’applicazione che gestisce in modo capillare la vita dei cittadini e delle aziende», spiega Martucci, illustrando l’allucinante “credito sociale” introdotto dal regime cinese: «L’app utilizza riconoscimento facciale, gestione degli algoritmi e Intelligenza Artificiale, scalando un “punteggio” fino ad arrivare a quota zero. Se passi col rosso, getti a terra la carta, ritardi il pagamento di bollette o esprimi dissenso verso il governo, perdi punti. Quando arrivi a zero sei totalmente spogliato di qualsiasi diritto: non hai più conto corrente bancario, passaporto, non puoi più prendere un autobus o un treno. Questo è il vero modello 5G». Per Martucci «siamo oltre Orwell: attraverso le smart city, sono andati a prefigurare una società dove la forza lavoro è stata sostituita da robot: una mutazione antropologica della specie umana». Secondo Martucci «il 5G nasconde ben altro, rispetto a un semplice “upgrade”: non è un aggiornamento di innovazione tecnologica, ma una vera e propria aggressione all’umanità».
Su temi scomodi come il recente obbligo vaccinale e il wireless 5G, è impossibile ottenere dati certi: il mainstream si rifugia nel silenzio, limitandosi ad accusare di complottismo gli attivisti che agitano sospetti, esibendo studi scientifici, in un clima da caccia alle streghe. Un reporter come Massimo Mazzucco, che si astiene sempre dal sostenere affermazioni che non siano documentate, sintetizza: prima ancora della psico-tragedia Covid, non c’era alcuna ragione medica per imporre in Italia altri 7 vaccini obbligatori, sapendo oltretutto che le aziende farmaceutiche sono depenalizzate in partenza (e gli Usa hanno già speso qualcosa come 4 miliardi di dollari per risarcire cittadini che hanno dimostrato di aver subito danni fisici dalle vaccinazioni somministrate). Quanto al misterioso 5G, sappiamo solo che non causa danni di origine termica, mentre sull’effetto delle “microonde” esistono studi che dimostrano l’impatto pericoloso sulle cellule del corpo umano. E’ presto per trarre conclusioni, ribadisce Mazzucco, ma il “principio di precauzione” spesso invocato giustamente dalla medicina dovrebbe suggerire – come richiesto da centinaia di scienziati – di attendere l’esito di almeno tre anni di test, prima di adottare una tecnologia che nessuno, oggi, può ancora garantire come sicura, per la salute umana.
Mazzucco – in qualità di giornalista – è stato il primo, in Italia, a dimostrare la correlazione tra la rete 5G e l’improvviso, indiscriminato taglio dei viali alberati italiani, attuato nel 2019 dopo la firma, da parte di Di Maio, del protocollo che trasforma il nostro paese in un’area sperimentale per l’introduzione del wireless di quinta generazione. «Due distinti documenti ufficiali del governo britannico – ricorda Mazzucco – spiegano che le fronde dei grandi alberi ostacolano la trasmissione del segnale, assorbita dall’acqua presente nel fogliame». Inutile aggiungere che lo stesso corpo umano è composto in gran parte di acqua. Il problema? «Perché nascondere il fatto che gli alberi di tante città sono stati abbattuti per rendere efficace il 5G?». Sono oltre 500, i sindaci italiani decisi a opporsi all’installazione delle antenne: e l’ultimissima proposta governativa di Vittorio Colao, grande sponsor del 5G, mira proprio a privare i sindaci del loro potere di interdizione. Il trend è pietosamente evidente: nell’immenso caos che stiamo vivendo, l’unica certezza riguarda l’ostinazione con cui le autorità negano l’evidenza, su tutta la linea. Fa eccezione l’Istituto Superiore di Sanità, secondo cui la letalità del Covid-19 è modestissima: attorno allo 0,3%. Eppure, i medici italiani che hanno trovato risposte efficaci sono stati isolati e silenziati, ignorati, emarginati o addirittura criminalizzati.
A Napoli, l’oncologo Paolo Ascierto ha sperimentato con successo un farmaco contro l’artrite reumatoide dal nome impronunciabile, il Tocilizumab. A Novara, il professor Pietro Garavelli ha curato i malati Covid con l’idrossiclorochina, rispedendoli a casa guariti. Da Mantova ha fatto il giro del mondo il successo della sieroterapia collaudata da Giuseppe De Donno, che ha guarito i malati Covid con normalissime trasfusioni, aiutandoli col sangue dei pazienti guariti, ricchi di anticorpi. La televisione ha invece riproposto alla nausea i virologi nostrani come Roberto Burioni, che ha chiesto alla magistratura di “spegnere” una voce libera come “ByoBlu”, bullizzando un immunologo come Giulio Tarro – allievo di Albert Sabin – colpevole di aver denunciato il lockdown all’italiana come un’inutile sacrificio, devastante per l’economia e per l’equilibrio psico-fisico delle persone. Nei paesi europei che hanno minimizzato il coprifuoco (o l’hanno addirittura evitato, come la Svezia), il bilancio dell’epidemia non è superiore a quello italiano, con la differenza che l’economia non è stata disastrata. Svizzera e Slovenia bloccano la rete 5G in attesa di conferme sul suo impatto sulla salute. In Italia invece di 5G non si parla (se non alle due di notte), anche grazie al Ministero della Verità istituito da Andrea Martella e Giuseppe Conte: silenzio sul mainstream, e decine di video rimossi da YouTube.
E così resta un mistero anche quello della Lombardia: nessuna risposta, ai medici di Bergamo e Brescia che invocano dati per capire come mai il virus ha fatto una carneficina solo in quei territori. Comodo, dare del complottista a chi rileva queste clamorose incongruenze: perché parlare in modo maniacale solo di vaccino anti-Covid (lo stesso Conte ha garantito milioni di euro al progetto vaccinale di Bill Gates), quando ormai quel virus non fa più paura, ai medici che ormai hanno imparato come affrontarlo e sconfiggerlo? I dodicimila italiani scesi in piazza a Firenze con Sara Cunial e Mauro Scardovelli fanno parte di una minoranza agguerrita, che negli ultimi anni ha fondato le sue convinzioni sullo studio di relazioni scientifiche accurate ma tuttora non accolte in modo unanime dalla cosiddetta comunità scientifica. Per capire l’aria che tira, in quell’ambiente, parla da sola la protesta del dottor Denis Mukwege, ginecologo, Premio Nobel per la Pace 2018: ha lasciato la guida della commissione sanitaria per la risposta alla pandemia di coronavirus nella provincia del Sud-Kivu, in Congo. «Non posso sporcare ulteriormente la mia coscienza per denaro: si riprendano pure il Nobel», scrive, su Twitter. «Ci hanno ordinato di dire che ogni morto è deceduto per Covid, e io non partecipo più a questo sporco gioco».
FONTE:https://www.libreidee.org/2020/06/bugiardi-spiegateci-perche-il-covid-ha-colpito-la-lombardia/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
“BLACK LIVE MATTER”: VIETATI I FILM DI TOTÒ SU TUTTO IL TERRITORIO COMUNALE
Il periodo che stiamo vivendo è molto pericoloso tra pandemia, rivolte razziali e attacchi di “perbenismo”. Il nostro sindaco dott. Fabio Buggiani ha quindi deciso di giocare in anticipo vietando la visione di tutti i film di Totò (Antonio De Curtis) poiché l’attore napoletano interpretò il personaggio di Mobutu nel film Tototruffa ’62, macchiandosi indelebilmente di razzismo.
In nessun luogo pubblico sarà pertanto autorizzata la riproduzione dei film di Totò, pena un’ammenda di €74,50 al proprietario del locale (Bar, ristorante, negozio, circolo, scuola, ecc…)
IL CINEMA DI SERGEI EISENSTEIN E IL MITO DELLA RIVOLUZIONE
«Aucun cinéaste sans doute n’a été autant étudié». É con questa forte affermazione che in una manciata di parole Jacques Aumont sintetizza in Montage Einstein la grandezza di uno dei cineasti a cui tutt’ora il mondo del cinema non può che inchinarsi: Sergei Eisenstein.
Disegnatore, uomo di teatro, produttore e scrittore, Sergei Eisenstein nasce il 23 gennaio 1898 a Riga, nell’attuale Lettonia, da genitori russi di origini ebraiche ortodosse. Combattente nell’Armata Rossa al momento dello scoppio della Rivoluzione d’Ottobre, grazie alla collaborazione con il grande cineasta Vsevolod Meyerhold, Eisenstein diventa un regista molto popolare tra le fila del establishment comunista per la sua sensibilità estetica applicata all’esercizio della propaganda, manifestando già dalle prime produzioni la sua ossessione per la fisicità e la plasticità del corpo dell’attore, quasi un Golem plasmato dalla cinepresa.
Eisenstein diventa ben presto simbolo per eccellenze del rapporto tra arte e politica durante il regime sovietico attraverso la produzione di un’ambiziosa Trilogia della Rivoluzione che ancora oggi rappresenta uno dei punti cardini della storia del cinema. Attraverso la realizzazione di film come Sciopero! (Стачка, 1925) Eisenstein si impegna a filmare il processo della Rivoluzione in Russia, a partire dalla prima Rivoluzione del Febbraio 1917, che aveva consentito la rimozione della censura per i lungometraggi, fino alla Rivoluzione di Ottobre con la presa del Palazzo d’Inverno, che vede quindi la destituzione della Duma e la definitiva ascesa al potere del Partito Bolscevico guidato da Lenin e Lev Trockij.
Nelle sue realizzazioni Eisenstein ha l’ambizioso progetto di raccontare la presa di coscienza di un’intera classe operaia con l’intento di stimolare e incitare il proprio spettatore a prendere parte lui stesso al processo rivoluzionario. Le azioni e le immagini hanno un forte impatto su chi guarda, tanto da creare una reazione, ovvero una serie di forze in azione rappresentate in questo caso dagli agitatori delle masse, incaricati di tener viva e far circolare la parola rivoluzionaria per sensibilizzare l’immediata necessità di una nuova azione collettiva in nome della giustizia. Lasciando premonire il servizio che Eisenstein renderà al regime sovietico di Iosif Stalin più tardi, negli anni ’30, già dai suoi primi lungometraggi trapelano i tratti propagandistici di un shock emozionale che il regista genera quasi per eccitare e sedurre lo spettatore in uno stato di estasi e di emotività basati sulla nozione del conflitto.
Sciopero! (Стачка, 1924-1925)
Se Sciopero! rappresenta ancora solo un primo momento del moto rivoluzionario, possiamo però già notare la vigorosa cultura proletaria, Proletkult, di cui è pregno l’intero film. La storia si apre con il suicidio dell’operaio Yakov, eroe-martire che, infangato dall’accusa di furto, decide di togliersi la vita per la vergogna. La sua morte ingiusta scatena l’ira dei suoi compagni di fabbrica che, con un comune moto di rivolta, decidono di ribellarsi indicendo un grande sciopero. La polizia a cavallo e i padroni dello stabile agiscono duramente per sedare la protesta raccontata attraverso un cosiddetto «montaggio delle attrazioni».
Secondo Eisenstein essa è la vera essenza del rapporto tra le immagini, caratterizzato da una successione di energiche e spettacolari scene di lotta per sfociare in uno scontro durissimo che dichiara la sconfitta degli operai, il cui apogeo è sicuramente rappresentato dal crudele martirio di un infante innocente. In questo lungometraggio dai ritmi dinamici e trascinanti, Eisenstein mira a sottolineare il movimento della massa, attraverso la sovrapposizione di corpi e visi di uomini e donne fra di loro quasi intercambiabili proprio perché la loro identità si manifesta nella capacità di organizzare e coordinare le forze della collettività.
La corazzata Potëmkin (Бронено сец «Потёмкин», 1925)
Sempre sull’onda dell’ossessione del cineasta russo per il racconto della vita, del potere della massa intesa come collettività, il dramma in cinque atti de La Corazzata Potëmkin è l’omaggio con il quale Eisenstein celebra il ventesimo anniversario dei primi prodromi rivoluzionari di Kronštadt e del celebre massacro di Odessa che portarono poi alla Rivoluzione Russa del 1905 a seguito della sconfitta dell’impero zarista di Nicola II nella guerra russo-giapponese. Sicuramente le immagini simbolo di questa pellicola, tra cui la scena della carne putrefatta e il volto sanguinante della donna colpita da una sciabolata, evidenziano il trattamento disumano che viene riservato alla nobile figura del lavoratore, incitando alla rivolta e allo sciopero per onorare il sacrifico di coloro che hanno sfidato l’autorità.
Ottobre (Октябрь, 1927)
Nonostante si pensi che il cinema russo degli anni ’20 non abbia avuto nessuno tipo di contatto con il grande sistema di distribuzione che stava nascendo in quegli stessi anni negli Stati Uniti, in realtà fu lo stesso Eisenstein a recarsi oltre oceano per fare suo quell’enorme successo che le superproduzioni firmate David Wark Griffith stavano conquistando.
Nel 1930 viene chiamato a Hollywood dalla Paramount Pictures, uno dei maggiori studios americani, che gli offre un contratto a 100 mila dollari per la realizzazione della versione cinematografica di Una tragedia americana (1925) di Theodore Dreiser, che a causa di numerose divergenze non riuscirà mai a terminare. Lo stesso cineasta russo sarà, inoltre, uno dei più grandi ammiratori di Charlie Chaplin, personalità innovativa e cardine del primo star system a stelle e strisce.
Dopo essersi fortemente interessato alla sperimentazione dell’immagine tipica delle avanguardie artistiche europee degli anni ’20, Eisenstein decide di realizzare con Ottobre una cosiddetta superproduzione, un lavoro grandioso e impegnativo in risposta a capolavori del calibro di Napoleone (1927) di Abel Gance e Nascita di una nazione (1915) di David Wark Griffith. Ottobre ha un ruolo fondamentale in questa trilogia della Rivoluzione in quanto omaggio commissionato dal governo sovietico per il decimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre e della Presa del Palazzo d’Inverno del 1917 attraverso un’interpretazione bolscevica della storia come insurrezione di massa che mira a dimostrare la legittimità popolare della classe operaia a un livello addirittura internazionale. Ripercorrendo i fatti che segnarono gli albori del potere del partito bolscevico di Lenin, Ottobre si dimostra ancora un perfetto esempio del florido periodo tra il 1917 e il 1928 dove Stato e sperimentazione cinematografica convivevano in perfetta sintonia all’interno di un contesto di cinema nazionalizzato che voleva comunque mandare un messaggio significativo al proprio spettatore. Prima ancora di una produzione filmica centralizzata e semplificata nella sua forma perché più controllabile, non dobbiamo infatti dimenticare questo momento di passaggio estremamente ricco e fecondo dove lo stesso artista decideva di prendere parte a un nuovo progetto politico nazionale che lasciava ancora una notevole libertà di espressione alla sperimentazione cinematografica.
FONTE:https://www.frammentirivista.it/il-cinema-di-sergei-eisenstein-e-il-mito-della-rivoluzione/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Maldicenza, calunnia, diffamazione
Hai mai parlato male di qualcuno alle sue spalle? Come ti senti quando scopri che qualcuno parla male di te? E quando qualcuno ti parla male di qualcun’altro a sua insaputa?
Maldicenza, sostantivo femminile: atteggiamento o comportamento ostile che si manifesta col parlar male del prossimo. Discorso malevolo o dannoso all’altrui reputazione.
La maldicenza, come indica la parola stessa, composta da “male” e “dire”, è parlar male degli altri alle loro spalle.
La calunnia è una diceria o una vera e propria accusa che si sa essere falsa e che viene diffusa per screditare o offendere la reputazione di qualcuno.
La diffamazione (parola che deriva dal latino, composta da “dis-” e “fama”) consiste nella diffusione di notizie, vere o false che siano, disonorevoli per la reputazione di qualcuno.
In ambito giuridico, la diffamazione può costituire un vero e proprio reato consistente nel recare offesa all’altrui reputazione comunicando a due o più persone, a voce o per iscritto, e fuori della presenza della persona offesa, oppure diffondendo, per mezzo della stampa, notizie di fatti che possano comunque ledere o diminuire la stima morale o intellettuale o professionale che la persona gode nell’ambiente in cui vive: in questo caso è opportuno dare querela per diffamazione.
Le maldicenze spesso diventano uno strumento di potere e controllo; secondo il semiologo Ugo Volli, i pettegolezzi sono paragonabili a un virus che si trasmette per contatto diretto e per precisa volontà di chi contagia.
La carica virale, poi, aumenta a ogni successiva trasmissione di malignità, a differenza del virus però non esistono vaccini: in particolare le cattiverie sul luogo di lavoro o sui colleghi sono difficili da combattere, avanzano per vie traverse e logorano fisicamente e psicologicamente.
CI VOGLIONO IL TUO NEMICO E IL TUO AMICO INSIEME PER COLPIRTI AL CUORE:
IL PRIMO PER CALUNNIARTI, IL SECONDO PER VENIRTELO A DIRE.
MARK TWAIN, SEGUENDO L’EQUATORE, 1897
Si racconta che Socrate, ad un amico che stava per riferirgli in gran segreto una notizia sul conto di un altro, abbia chiesto: “Hai passato la tua intenzione ai tre colini”?
Interpellato su cosa volesse dire con questa frase, Socrate spiegò:
- Sei sicuro che la cosa che stai per dirmi è vera?
- Sei sicuro che ciò che stai per dirmi sia una cosa buona?
- Sei sicuro che sia proprio utile che io lo sappia?
L’amico comprese e rinunciò al suo proposito.
Alla base della maldicenza c’è sempre un profondo complesso di inferiorità e inadeguatezza che spesso si traduce in vera e propria invidia e competizione e nei casi peggiori, in un desiderio di annientamento dell’avversario.
Come difendersi da questa forma insidiosa di aggressività? Per prima cosa bisogna ricorrere alle proprie risorse psicologiche, per evitare di farsi tormentare dall’ansia o deprimere dalla tristezza.
Ecco qualche consiglio per passare al contrattacco e mettere all’angolo chi ci calunnia.
- Realismo: quando veniamo a conoscenza di un pettegolezzo, dobbiamo accettare il fatto che non possiamo essere amati da tutti.
- Condivisione: mettiamo al corrente gli amici sinceri e i nostri cari dei sentimenti derivanti dalla calunnia; serve a sentirci meno soli e fragili.
- Riflessione: esaminiamo i nostri comportamenti e se troviamo qualche leggerezza o errore, modifichiamoli, senza però cospargerci il capo di cenere.
- Calma: teniamo sotto controllo il più possibile le nostre reazioni.
- Distacco: proviamo a rendere insipido ai maldicenti il boccone che si vogliono gustare.
- Ironia: cerchiamo di sdrammatizzare, affidandoci alla nota legge di Truman: se non puoi convincerli, confondili, magari con una risata.
- Confronto: affrontiamo l’autore del pettegolezzo perché il confronto consentirà di scoprire i giochi psicologici che stanno dietro la calunnia e mettere il calunniatore di fronte alle proprie miserie.
Ulteriori spunti di riflessione sulla maldicenza:
“Nella collera, ci si sente vivere; siccome purtroppo non dura a lungo, bisogna rassegnarsi ai suoi sottoprodotti, che vanno dalla maldicenza alla calunnia, e che comunque offrono maggiori risorse del disprezzo, troppo debole, troppo astratto, privo di calore e di respiro, inadatto a procurare il minimo benessere; quando lo si tralascia, si scopre con meraviglia quanta voluttà c’è nel denigrare gli altri. Si è finalmente sul loro stesso piano, si lotta, non si è più soli. Prima, li si esaminava per il piacere teorico di trovare il loro punto debole; ora, per colpirli. Forse ci si dovrebbe occupare esclusivamente di sé: è disonorevole, è ignobile giudicare gli altri; eppure è quel che tutti fanno: astenersene sarebbe come mettersi fuori dell’umanità.” Emil Cioran, La caduta nel tempo, 1964
“Ironia vuole che non ci sia nessuno più vulnerabile, più suscettibile, meno disposto a riconoscere i propri difetti del maldicente. Basta citargli un’infima riserva che sia stata espressa sul suo conto perché perda il controllo, si scateni e soffochi nella propria bile.” Emil Cioran, L’inconveniente di essere nati, 1973
“Colui che dice male, e colui che ascolta il maldicente, tutti e due hanno il Demonio sopra di sé; ma l’uno l’ha nella lingua, e l’altro nell’orecchio.” François de Sales, Aforismi sacri, 1667
“La maldicenza ci rende più sopportabili le virtù altrui.” Roberto Gervaso, La volpe e l’uva, 1989
“Mi si dice tanto male di una certa persona, e ne vedo in essa così poco, che comincio a sospettare l’esistenza in quella persona di un unico merito importuno, in grado di eclissare quello degli altri.” Jean de La Bruyère, I caratteri, 1688
“La maldicenza è un peccato altrettanto grave dell’idolatria, dell’incesto e dell’assassinio.” Talmud, I-V sec.
“La maldicenza è il piacere degli imbecilli.”
“La maldicenza è il piacere di chi non ne ha altri.”
FONTE:https://www.lacittadellaluce.org/it/notizia/2016/10/21/maldicenza-calunnia-diffamazione
BELPAESE DA SALVARE
O facciamo l’Irlanda del Mediterraneo, o moriamo di Troika
I soldi dall’Ue arriveranno tardi e – tolti quelli che sono prestiti da restituire – saranno meno generosi di quanto si finga di credere. In compenso la volontà di fare spesa pubblica corrente non si estinguerà, e alimenterà la spirale del debito pubblico. Lo scenario più probabile, a mio parere, è che entro la fine del 2021 i mercati o le autorità europee presentino il conto. A quel punto saranno dolori: nel giro di 2-3 anni potremmo ritrovarci come la Grecia negli anni 10 di questo secolo. Mai come in questo caso ho desiderato di sbagliarmi. Una strada per evitare questa fosca prospettiva? Non so se ci riusciremo, perché abbiamo già buttato molto, troppo tempo. O facciamo come l’Irlanda, o si muore. Siamo un paese infestato dalla burocrazia; dobbiamo liberarcene, perché uccide le imprese. Cominciamo con l’eliminare la “presunzione di furbizia” che sta alla base dell’ipertrofia delle norme. Poi serve un taglio drastico delle tasse: serve una imposta societaria al 12,5%. Infine è indispensabile che la pubblica amministrazione paghi i debiti verso le imprese. In una recente intervista ho criticato l’impostazione di tutti i precedenti tentativi, di destra e di sinistra, di diminuire la pressione fiscale. Il punto sta nel voler accontentare la più ampia platea possibile di beneficiari, facendo riduzioni modeste: Iva, Imu, Irpef, contributi sociali.
Invece bisognerebbe intervenire subito sulle tasse che scoraggiano le attività produttive, Irap e Ires. Solo le imprese realmente produttive e competitive possono risollevare la nostra economia. Chi può farci diventare una “Irlanda mediterranea”? Certamente non questo governo. Nell’inerzia governativa potrebbe esserci anche un elemento di calcolo: lasciar marcire i problemi per prolungare la permanenza al governo ed eleggere un presidente della Repubblica di parte (in barba alle affermazioni del passato, secondo cui il Capo dello Stato andrebbe scelto con il concorso dell’opposizione). La cosa fondamentale che manca, a chiunque abbia il compito di governare, è la conoscenza di quale sarà la situazione a settembre: e senza quella conoscenza, formulare linee guida operative è impossibile. Per ora i dipendenti pubblici hanno aggiunto ai loro privilegi classici quello di lavorare poco e quasi tutti da casa. Quanto al futuro secondo me bisogna distinguere nettamente fra due scenari. Nello scenario A, con crollo del Pil ma senza una crisi finanziaria tipo 2011 o peggio, è probabile che i dipendenti pubblici conservino sostanzialmente i propri stipendi, e che un eventuale aggiustamento venga scaricato sulle pensioni medio-alte. Lo scenario B è crollo del Pil più crisi finanziaria drammatica, con i mercati che non ci rinnovano i titoli di Stato.
In quel caso si potrebbe arrivare a una situazione tipo quella della Grecia dieci anni fa: commissariamento da parte della Troika e austerità per tutti, compresi i dipendenti pubblici. Il governo si trova in un’inerzia decisionale preoccupante. È inadeguatezza o calcolo politico? Forse tutte e due le cose. Che i nostri governanti siano gravemente inadeguati, può dubitarne solo chi è accecato dall’ideologia. Il governo Pd-M5S è stato costruito per impedire le elezioni e per evitare che il centrodestra potesse condizionare l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Il prezzo di questa strategia è un ennesimo rinvio dei problemi cruciali, ma soprattutto un aggravamento della situazione economica. Il ritardo con cui si è arrivati al vero lockdown – il blocco degli spostamenti fra comuni – è costato migliaia di morti, che si sarebbero potuti evitare intervenendo ai primi di marzo, come in quei giorni aveva auspicato il professor Andrea Crisanti, anziché tre settimane dopo. Anche all’economia il rinvio è costato molto: se si fosse intervenuti subito e drasticamente, la chiusura delle attività economiche sarebbe durata molto di meno, e anziché perdere 15-20 punti di Pil – come temo succederà – ne avremmo persi parecchi di meno, in linea con i principali paesi europei.
Anche volendo, il centrodestra non riuscirebbe a infliggere all’economia danni maggiori di quelli che le sta infliggendo il governo giallorosso. Ma, pur essendo meno pericoloso per l’economia, anche il centrodestra non ha una visione convincente del futuro dell’Italia, né possiede una strategia economica all’altezza della situazione. Mi riferisco in particolare a quattro punti. Primo, le divisioni sul Mes e l’ambiguità del rapporto con l’Europa: Berlusconi pro-Europa, Salvini che conferisce lo scettro dell’economia ad Alberto Bagnai, economista di valore e convintamente anti-euro. Secondo punto: la sostanziale riproposizione del programma di governo del 2018, con la Flat Tax e il condono fiscale (ossia una misura inattuabile e una inopportuna). Terzo: la mancanza di una strategia convincente sul debito pubblico, e la tendenza a richiedere scostamenti di bilancio ancora maggiori di quelli stabiliti dal governo, come se fare ancora più debito fosse una soluzione. Ultimo rilievo: un’eccessiva concentrazione sul lavoro autonomo e sulle piccole imprese, perfettamente comprensibile in termini di acquisizione del consenso ma largamente inadeguata per un paese che ha un gravissimo problema di produttività.
(Luca Ricolfi, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù nell’intervista “O facciamo l’Irlanda del Mediterraneo o moriamo di Troika”, pubblicata sul “Sussidiario” il 30 giugno 2020. Ricolfi è docente di analisi dei dati all’Università di Torino e presidente della Fondazione David Hume).
FONTE:https://www.libreidee.org/2020/07/o-facciamo-lirlanda-del-mediterraneo-o-moriamo-di-troika/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Assassinii anche nel mondo spietato delle Big Pharma
Lisa Stanton – 28 giugno 2020
Il cadavere trovato all’interno del compattatore di rifiuti in un complesso residenziale di Manhattan è quello di Lara Prychodko, 48enne moglie di David Schlachet, dirigente di Big Pharma e collaboratore di lunga data di George Soros.
Schlachet è manager delle industrie Big Tech & Pharmaceuticals: attualmente direttore di Teldor Cables&Systems Ltd, presidente del consiglio di amministrazione di Cell Cure Neurosciences Ltd, presidente di Taya Investment Co. Ltd, direttore di EZchip Technologies Ltd, direttore di EZchip Semiconductor Ltd, direttore di Syneron Medical Ltd e direttore esterno di BioCancell Ltd.
Le condizioni del corpo di Lara Prychodko renderanno difficile determinarne la causa della morte, ma desta scalpore che in quegli appartamenti abitasse Huma Abedin col marito Anthony Weiner, condannato per pedofilia.
La Abedin fu il braccio destro di Hillary Clinton nel 2016 ed il marito membro del Congresso, prima di cadere in disgrazia.
Un bel giallo, non si comprende come la Prychodko sia entrata nello scivolo del residence 1 Irving Place di Union Square. La sua borsa, piena di soldi, è stata trovata nelle vicinanze mentre i filmati della sicurezza mostrano la donna che entra nell’appartamento di Abedin e Weiner poco prima di finire nel compattatore.
Una fine peggiore è forse toccata al produttore cinematografico Steve Bing, morto a 55 anni probabilmente suicida. In lutto Hollywood, mentre la polizia di Los Angeles ha confermato la morte dell’uomo caduto dal 27mo piano del lussuoso condominio ‘Ten Thousand’ (al civico 10.000 di Santa Monica Boulevard, tra Beverly Hills e Century City). Bing era amico di Jeffrey Epstein e dell’ex presidente Bill Clinton: aveva donato almeno 10milioni di dollari alla Clinton Foundation, scrive il NYT.
Si sospettava della sua pedofilia (per questo l’attrice Elizabeth Hurley l’aveva scaricato) e, dopo la presunta morte in carcere dell’amico Jeffrey, viveva in uno stato di depressione.
Chi tiene i conti mi dice che negli ultimi anni sono morti per suicidio o strani incidenti 77 persone molto vicine ai Clinton e quasi 100 vicine a George. Letta, Renzi e Gentiloni sono letteralmente terrorizzati.
FONTE: https://www.facebook.com/lisa.stanton111/posts/3328336603851259
CULTURA
La libertà fragile.
Una prospettiva antropologica tra Günther Anders e Andrè Leroi-Gourhan.
The problem of technology cannot be separated from the problem of man, his nature and his determination. This essay surveys the nexus man-technology in the philosophical perspective of G.Anders, hybridized with Andrè Leroi-Gourhan’s empiric anthropology. Anders phylosophical concepts such as promethean gap and Weltfremdheit are investigated following the line of human evolution, that setted itself as a process of gradual exoneration from nature in which technology and language play an essential role.
- La tecnica come problema filosofico.
Da circa un secolo la questione della tecnica è divenuta un’urgenza fondamentale per il domandare filosofico. Sin dalle sue origini la filosofia si pone come un sapere interrogante intorno all’ente nella sua totalità, il che vuol dire interrogare “dove gli esseri hanno origine e dissoluzione secondo necessità”[1]. In tal senso filosofare è, tra le altre cose, indagare il criterio dell’ente, il suo principio di individuazione per dire ciò che esso è. Alla luce di ciò, perché e in che senso la tecnica si configura come un problema filosofico di cruciale importanza?
Il “mutamento dei colori di tutte le cose”[2] apportato dal nichilismo, con la consequenziale caduta di ogni ideale di essere e verità, non esaurisce e vanifica sin da principio lo sforzo filosofico, semmai lo pone su basi nuove: nell’impossibilità di determinare univocamente e aprioristicamente l’essere della tecnica, occorre tornare alla cosa stessa analizzandola innanzitutto a partire dalla sua manifestatività e genesi.
Ebbene oggi la tecnica ci appare essa stessa come il criterio di tutte le cose, il loro principio materiale e formale, il luogo in cui esse hanno la loro nascita e soprattutto la loro dissoluzione. Il mondo in cui oggi viviamo è un mondo interamente tecnicizzato.
Il mondo odierno dedivinizzato è quindi un mondo tecnico; “al punto che non possiamo più dire che, nella nostra situazione storica, esiste tra l’altro anche la tecnica, bensì dobbiamo dire: la storia ora si svolge nella condizione del mondo chiamata «tecnica»; o meglio la tecnica è ormai diventata il soggetto della storia con la quale siamo soltanto «costorici»”[3].
La figura dell’uomo superato dalla propria tecnica, che da diversi anni ha caratterizzato non solo la filosofia, ma anche l’immaginario collettivo, il cinema e la letteratura, è sintomo dell’urgenza di una “antropologia filosofica nell’epoca della tecnocrazia”[4]. Nella sua opera principale Die Antiquiertheit des Menschen [Beck Verlag München 1956, 1980], apparsa in due volumi, il primo nel 1956 e il secondo nel 1980, Günther Anders affronta questo spinoso ma ineludibile problema. Per tecnocrazia non si intende il dominio dei tecnocrati che oggi pare andare tanto di moda (questo semmai è un effetto collaterale), quanto “il fatto che il mondo in cui oggi viviamo e in cui tutto si decide sopra le nostre teste è un mondo tecnico”[5].
In questo orizzonte la tecnica diviene un problema filosofico, anzi il problema filosofico principale per tre ragioni fondamentali: in primis perché il mondo in cui oggi viviamo è un mondo tecnico, costituito da immagini e fantasmi; lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa ha radicalmente mutato la nostra esperienza del mondo trasfigurando il cosiddetto mondo reale in immagini pre-interpretate e pre-digerite. Il concetto stesso di esperienza subisce qui una radicale modificazione; se l’esperienza è il risultato di un’elaborazione concettuale di dati sensibili, per dirla con Kant, la tecnica è intervenuta modificando proprio le strutture concettuali e i limiti della nostra percezione sensibile e del nostro immaginario. É il problema del “sovraliminale”, ossia la discrepanza tra il nostro immaginare e rappresentare il mondo e il nostro produrre pro-vocandolo. Fenomeni come la distruzione di massa, ma anche semplicemente la distanza rappresentativa posta dai media tra l’evento e la sua immagine percepita, comportano nell’umano un deficit percettivo ed immaginativo, un vero e proprio dislivello tra le nostre facoltà, che Anders chiama dislivello prometeico, ossia la differenza tra la nostra capacità di produrre (Herstellen) e la nostra capacità di rappresentare (Vorstellen) il prodotto della nostra azione.
In secondo luogo il mondo in cui oggi viviamo è un mondo di apparati (Apparatenwelt), in cui tecnica e progresso costituiscono gli imperativi categorici. Nell’Apparatenwelt come totalità di technei onta, si realizza il rovesciamento ontologico tra mezzi e fini, soggetto ed oggetto; l’uomo si ritrova ad essere il mezzo, una materia prima, per l’indefinito perpetrarsi dello sviluppo tecnico-economico, pertanto se il mezzo nella storia dell’ominazione ha costituito appunto il medium tra uomo e mondo, oggi è l’uomo il medium tra il mondo di apparati e il mondo ‘naturale’. Questo porta la tecnica a divenire il soggetto della storia, al punto che il mondo tecnico è un mondo deideologizzato, in quanto essa è un fenomeno trasversale che eccede e precede la situazione politica; il mondo globale è sempre e sin dall’inizio interamente tecnicizzato.
In terzo luogo, ed è questo l’aspetto principale, l’ideazione e la deflagrazione a Hiroshima della bomba atomica nel ’45, che Anders individua come la cesura fondamentale della storia umana, realizza la possibilità materiale dell’annichilimento globale come esito del nichilismo. La bomba è l’evento che segna la fine della storia e realizza materialmente la prospettiva dell’annullamento dell’uomo e di tutto l’essente da parte delle macchine e quindi della tecnica stessa. La tecnica diviene la ratio essendi dell’Apocalisse, l’immanentizzazione di una tensione escatologica la cui ineludibilità è fondata nel suo carattere specifico. A tal proposito Anders parla di “ineluttabilità della tecnica” per indicare la logica coattiva del progresso tecnico-scientifico. Scrive Anders:
“Il possibile è quasi sempre accettato come obbligatorio, ciò che si può fare come ciò che si deve fare. Gli imperativi morali odierni vengono dalla tecnica a fanno sembrare ridicoli i postulati morali dei nostri antenati, non solo quelli dell’etica individuale ma anche quelli dell’etica sociale”. […] Non solo ciò che si può fare si deve fare, ma anche ciò che si deve fare è ineluttabile”[6].
In poche parole tutto ciò che può essere realizzato tecnicamente deve essere realizzato, è questo l’imperativo categorico dell’epoca della tecnica. Inoltre ogni utilizzazione potenziale del prodotto deve esser messa in atto, poiché la tecnica ‘vuole’ che lo sia; non esistono tecnologie empiricamente realizzabili che non siano state effettivamente impiegate[7]. La realizzazione dell’atomica è già di per sé l’inveramento materiale dell’Apocalisse, è una scadenza: la finis historiae. La scoperta dell’energia nucleare non è semplicemente una novità fisica, ma un evento di portata metafisica a partire da cui il nostro in-der-Welt-sein si dà come un esserci-ancora-appena. L’epoca della tecnica è quindi un tempo ultimo e irreversibile costituente una soglia storica che caratterizzerà le epoche a venire, apportando radicali modificazioni al paradigma antropologico caratterizzantesi come dislivello tra l’uomo e tecnica.
Eppure nonostante la sua portata metafisica, se pensata nella sua origine, possiamo sostenere con Heidegger, e in qualche modo oltre Heidegger, che “l’essenza della tecnica non è affatto qualcosa di tecnico”[8]. Discostandoci con Anders dall’interpretazione heideggeriana, che inquadra la tecnica nella problematica ontologica dell’alethes come un modo del disvelamento dell’essere, la determinazione dello Ursprung di questo fenomeno deve passare, a nostro avviso, per la riproposizione del quesito antropologico del chi e del come dell’anthropos e della sua genesi, nella convinzione che la posizione del problema della tecnica sia indissolubilmente legata alla Bestimmung dell’uomo, che è a un tempo determinazione e destinazione. Pertanto un’antropologia filosofica che voglia realmente liberarsi di ogni fardello metafisico, non può sottrarsi al dialogo con l’antropologia empirica e interrogare l’uomo a partire dalla sua effettiva storia evolutiva, che appare sin da subito caratterizzata da alcune costanti: la libertà, la tecnica e il linguaggio. Su questo terreno tenteremo di instaurare un dialogo tra l’antropologia andersiana e le teorie dell’antropologo francese Andrè Leroi-Gourhan, prospettando una chiara affinità tanto negli esiti quanto nei presupposti della loro speculazione.
- Tecnicamente abita l’uomo.
Per entrambi infatti il tecnicismo, assieme al linguaggio, si configura come la prestazione fondamentale di quel particolare animale scarsamente equipaggiato e privo di vincoli ambientali che è l’homo. Al di là di ogni frattura tra l’essere naturale e culturale, “l’artificialità è la natura dell’uomo”, […] che deve fabbricarsi da sé il mondo che placa i suoi bisogni” come scrive Anders in un breve testo del 1942[9].
Anche per Leroi-Gourhan l’utensile nella sua prima apparizione australantropiana “appare come una vera e propria conseguenza anatomica, unica via d’uscita per un essere diventato del tutto inerme quanto alla mano e alla dentatura, e il cui encefalo è organizzato per operazioni manuali di tipo complesso”[10]. Il ritrovamento di una pebble culture accanto ai fossili di alcuni dei nostri più antichi antenati: lo Zinjantropo e l’Homo Habilis, risalenti a circa 3 milioni di anni fa, è la prova empirica a partire da cui Leroi-Gourhan costruisce la sua argomentazione.
La tecnica, lungi dall’essere in prima battuta un qualcosa di metafisico, è quindi diretta conseguenza di un particolare processo evolutivo di graduale liberazione e distanziazione dai vincoli ambientali che interessa il costituirsi della stazione eretta, l’affrancarsi della mano rispetto alla locomozione e del cervello rispetto alla maschera facciale.
Se tale prospettiva è del tutto inerente all’impostazione dell’antropologia evoluzionista di Leroi-Gourhan, sorprende ritrovarla esplicitamente anche in Anders:
“Certo, l’antropologia ha considerato tutto questo come differenza specifica dell’essere umano; ma la stazione eretta è appunto molto di più: qualcosa di così fondamentale che da essa può semplicemente essere colto l’umano nella sua interezza. […] É la spiegazione di tutto. Innanzitutto è affrancamento dal suolo. Quindi affrancamento di un organo (dell’arto anteriore) da una funzione specifica; ma non affrancamento per una nuova funzione specifica (che corrisponda alla trasformazione della funzione-pinna nella funzione piede) bensì l’affrancamento per tutto il possibile; per il tutto e per il possibile. La mano è ora sospesa «in libertà», libera per la manipolazione del mondo; ossia libera per la com-prensione degli oggetti; dunque: libera per la presa […] libera di fabbricare; dunque: libera per l’idea. Perché cos’altro è l’idea se non l’immagine ideale di ciò che si fabbrica? – Quindi: in un sol colpo d’occhio la stazione eretta si propone come essere-homo faber e come spirito”[11].
Il nesso tra fabbricazione, affrancamento della mano, sviluppo cerebrale, coscienza simbolica e stazione eretta è strettissimo e riconducibile, a nostro avviso, a un minimo comune denominatore che, per usare una categoria gehleniana, guida l’evoluzione umana nel suo ‘esonerarsi’ graduale rispetto al proprio contesto zoologico: la libertà, intesa non come ‘idea trascendentale’ e in senso morale, bensì come fattore inerente in primis all’evoluzione biologica. La tecnica appare innanzitutto come una possibilità fisica, esito di milioni di anni di evoluzione che vede nella libertà di locomozione il suo fatto determinante, per poi svilupparsi nel corso di circa tre milioni di anni come fenomeno socio-culturale dotato di una sua propria autonomia evolutiva. Leroi-Gourhan scandisce tale processo in cinque tappe fondamentali: l’organizzazione meccanica della colonna vertebrale e degli arti, la sospensione cranica con la conseguente spazializzazione della vista dovuta all’esonero della mascella e del collo dalla funzione prensile, il mutamento della dentatura, l’integrazione dell’arto anteriore nel campo tecnico culminante nella mano, e solo in ultima battuta lo sviluppo cerebrale. Si può dire quindi che l’umano inizi dai piedi; non c’è alcun rapporto di priorità tra l’evoluzione del cervello e del dispositivo che esso controlla, anzi è l’evoluzione cerebrale, culminante nell’Homo sapiens con l’apertura del ventaglio corticale e con l’abolizione dello sbarramento prefrontale, che struttura il contatto cosciente dell’uomo con il mondo, ad essere l’ultimo e più tardivo risultato del processo evolutivo[12].
Da questo punto di vista è assai rilevante stigmatizzare come, tanto per Anders quanto per Leroi-Gourhan, la comparsa dell’artificialità non sia legata alla nascita della coscienza, ma sia un fenomeno primario. La comparsa di un pensiero simbolico, della coscienza e dell’intelligenza riflessiva è di gran lunga successiva alla capacità tecnica, la quale scaturisce innanzitutto da un processo di liberazione meccanica piuttosto che cerebrale. “Tra cervello e struttura i rapporti sono quelli intercorrenti tra contenuto e contenente”[13]; è a partire dall’acquisizione di un tipo meccanico determinato che si assiste all’invasione progressiva del cervello, in cui, sebbene la partecipazione cerebrale sia evidente, interessa soprattutto la selezione naturale dei tipi, e nell’uomo, dotato di un artificialità propria, l’edificazione di un mondo artificiale, piuttosto che orientare direttamente l’adattamento fisico. Tuttavia il nesso tra specializzazione corporea e incremento cerebrale non è sempre biunivoco, anzi la paleontologia ci conferma che proprio i gruppi meno specializzati hanno dato vita alle forme cerebralmente più evolute:
“Le specie la cui struttura corporea corrisponde alla maggiore liberazione della mano sono anche quelle il cui cranio è in grado di contenere il cervello più grande dato che la liberazione della mano e riduzione degli sforzi della volta cranica sono i termini della stessa evoluzione meccanica”[14].
La tecnica, intesa come capacità di manipolazione dovuta alla liberazione dell’arto anteriore, è in questo senso sin dall’inizio un dispositivo volto a colmare una mancata specializzazione fisica, a cui fa da contraltare uno sviluppo cerebrale del tutto peculiare. Il cervello di un animale finalmente capace di forgiare utensili è l’esito di un graduale esonero del cranio dagli sforzi meccanici, già compiuto nelle sue condizioni più elementari nei primi australantropi[15]. Appare evidente che, come nel caso dello sviluppo della mano, anche lo sviluppo cerebrale sottostà a un processo di liberazione meccanica; il cervello umano scaturisce da una liberazione posturale interessante direttamente la base di sostegno del cranio con il conseguente regresso dei denti ed espansione cerebrale, piuttosto che da una sua intima forza di espansione. Dai piedi fino alla base del collo gli australantropi non presentano particolari differenze con gli uomini odierni, l’architettura posturale è già direttamente umana, mentre il cervello, che non può essere paragonato al cervello di una scimmia, è ancora corrispondente alla primitività della sua faccia. La struttura cerebrale degli ominidi è già quella di un mammifero dotato di tecnicismo che, seppur grossolano, non è assimilabile a quello dei primati.
L’analisi di questa struttura cerebrale vede un rapporto tra azione della mano e degli organi anteriori della faccia tale da far supporre una coordinazione strettissima tra mano e linguaggio, esprimentesi nel gesto che accompagna la parola e nell’Homo sapiens nella scrittura. Le zone motorie adiacenti preposte a tali funzioni, individuabili nella corteccia nel punto di convergenza tra regione frontale parietale e temporale, stando alle analisi di Leroi-Gourhan, sono l’esito dell’apertura del ventaglio corticale[16] e sono strettamente dipendenti.
“L’espansione prefrontale permane molto incompleta fino all’Homo sapiens, ma si può benissimo supporre la presenza di aree di associazione verbale e gestuale a partire dall’australantropo”[17].
Dalla presenza di un tecnicismo presso lo Zinjantropo, si deduce che anche questi primi australantropi fossero dotati di un linguaggio, o quanto meno di un registro espressivo connaturato al loro sviluppo cerebrale e direttamente proporzionale allo sviluppo tecnico. Si può dire, ricapitolando, che tecnica e linguaggio caratterizzano sin da subito il fenomeno umano e sono la base del suo successo evolutivo originato dalla conquista della stazione eretta e culminante nel sapiens nell’abolizione, che è un’ulteriore liberazione, dello sbarramento prefrontale.
NOTE
[1] Come recita il celebre detto di Anassimandro «Il principio degli esseri è l’infinito… di dove infatti gli esseri hanno origine, lì hanno anche la dissoluzione secondo necessità: essi pagano infatti a vicenda la pena e il riscatto secondo l’ordine del tempo» DK12B1 in H. Dielz e W. Kranz, I presocratici, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2012, p. 197.
[2] Cfr. Friedrich Nietzsche La Gaia scienza, tr. it. F. Masini, Adeplhi, Milano 1977. pp. 152 s.
[3] Günther Anders, L’uomo è antiquato II. Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale, tr. it.. M. Adelaide Mori, Bollati Boringhieri Torino 1992, p. 3.
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] Ivi, p. 11.
[7] Si badi che questo carattere specifico della tecnica non è unicamente circoscrivibile all’industria bellica, ma il vero sostrato di ogni progresso scientifico contemporaneo. L’estensione di tale paradigma a branche quali lo Human Engineering, che intervengono direttamente sulla struttura biologica dell’umano, pongono la tecnica come fattore principale di un’evoluzione definitivamente distaccata dalla cornice biologica. La mera possibilità di realizzare artificialmente esseri umani in laboratorio, se si segue il ragionamento andersiano, implica di per sé la loro realizzazione empirica. In questo senso la tecnica si sostituisce alla zoè divenendo il principale fattore di ominazione.
[8] Martin Heidegger, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, p. 5.
[9] Cfr. G. Anders, Tesi su «bisogni», «cultura», «bisogni culturali», «valori culturali», «valori», in Saggi dall’esilio americano, tr. it. S. Cavenaghi e A. G. Salluzzi, Palomar Bari 2003, pp. 29 ss. A tal proposito si rimanda anche a Id. L’uomo è antiquato. Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale, tr. it. L. Dallapiccola, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 316.
[10] Andrè Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, tr.it. F. Zannino. Einaudi, Milano 1977, p. 107.
[11] G. Anders, Amare, ieri. Appunti sulla storia della sensibilità, a cura di S. Fabian, Bollati Boringhieri, Torino 2004, p. 107. Queste teorie sono molto simili a quando analizza approfonditamente Leroi-Gourhan nella sua opera Meccanica vivente. Il cranio dei vertebrati dai pesci all’uomo (tr. it. R. E. Lenneberg Picotti, Jaca Book, Milano 1984); in particolare si rimanda all’appendice pp. 181 ss.
[12] A questo proposito è interessante notare come tale posizione sia già stata prefigurata filosoficamente da Nietzsche nell’aforisma 11 de La Gaia scienza: “La coscienza è l’ultimo e più tardo sviluppo dell’organico e di conseguenza anche il più incompiuto e il più depotenziato”. Friedrich Nietzsche, La Gaia scienza, op. cit., p. 63.
[13] A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, op. cit., p. 70.
[14] Ivi, p. 71.
[15] Gli studi di Leroi-Gourhan evidenziano come già dallo Zinjantropo il blocco facciale assuma una forma di triangolo basion-prosthion-visiera orbitale, simile a quello delle scimmie ma in cui l’angolo superiore tende a chiudersi dai 60° dello Zinjantropo ai 45° dell’Homo sapiens, causando un ritiro del blocco facciale rispetto alla scatola cranica.
[16] L’apertura del ventaglio corticale non è un processo che interessa solo l’uomo e gli ominidi, ma tutti i mammiferi superiori, scandito, secondo Leroi-Gourhan, in quattro momenti che corrispondo all’evoluzione posturale: “Nel primo tempo, i quadrupedi marciatori presentano, sull’orlo del canale di Rolando, le prime tracce di un’organizzazione sottile delle cellule motorie piramidali, quasi tutte collegate alla motorietà degli organi facciali superiori. Il secondo tempo si concretizza nei quadrupedi prensili, che presentano possibilità di posizione seduta e di temporanea liberazione della mano senza modifiche della sospensione cranica. La striscia corticale motoria è già organizzata e la mano è bene caratterizzata. Il terzo tempo corrisponde alle scimmie nelle quali l’instaurarsi della posizione seduta è legato a una modificazione della sospensione cranica: la striscia piramidale è completata da una striscia pre-motoria e le operazioni facciali e manuali sono spinte a un alto grado di differenziazione. Il quarto tempo è contrassegnato dalla acquisizione della bipedia, con modifiche profonde della sospensione cranica e liberazione della mano: il ventaglio corticale è ben aperto e collegato con centri connessi con i diversi settori interessati del linguaggio” (Ivi, p. 107).
[17] Ivi, p. 106.
CONTINUA QUI: http://www.scienzaefilosofia.com/2018/03/22/la-liberta-fragile-una-prospettiva-antropologica-tra-gunther-anders-e-andre-leroi-gourhan/
HEGEL SULLE CONVENZIONI
ASSIOMI INDIMOSTRABILI E PROCESSI EMPIRICI. MARX E LENIN SULLA FRASE RIVOLUZIONARIA: LA FRASE VERA CHE NON INDICA LA PROCEDURA.
[…] già nell’Enciclopedia Hegel individuava come strumenti necessari alla scienza le convenzioni, cioè il fatto che in un discorso scientifico trovi legittimamente posto un’affermazione, una tesi, che non ha un riscontro empirico, ma che se messa insieme ad altre mi rende la possibilità di spiegare dei processi empirici anche se quella frase non ha un diretto corrispettivo empirico. Mi spiego?
È il discorso degli assiomi. Non per alleggerire, ma ad Hilbert per esempio gli sembra un procedimento della scienza quello che parte da assiomi per definizione indimostrabili e arbitrari nel senso che vengono scelti dallo scienziato, e sulla base delle deduzioni che da quegli assiomi si ricavano, si deve riuscire a render conto dei processi empirici. Allora a questo punto quegli assiomi che non hanno nessun corrispettivo empirico, sono giustificati dal risultato: mi hanno consentito di render conto di…, d’accordo?
Allora, questo problema fondamentale – che vale anche per Marx – è quello di tener presente la grande importanza dell’elemento formale nel discorso scientifico, ma l’obbligo che tutto questo poi alla fine arrivi a render conto del materiale empirico.
Pina Micucci: A questo punto leggerei la parte della forma…
Stefano Garroni: Va bene.
Pina Micucci: “È quindi evidente che, in tutte le società classiste, il sovrapprodotto creato dai produttori immediati viene incamerato dalla classe dominante. Ma quello che importa sapere è se è creato da una forma schiavistica di lavoro, o da una forma servile o salariale, dato che ognuna di queste date forme caratterizza tale o tal’altra epoca economica”.
Stefano Garroni: Certo, appunto: voi sapete – probabilmente – che uno degli obiettivi polemici, costanti di Marx e di Lenin è la frase o la frase rivoluzionaria. Ma che cosa vuol dire la frase o la frase rivoluzionaria? Vuol dire quella proposizione che pretende di spiegare, trascurando però le particolarità determinate del fenomeno in questione, va bene?
Quelli dei CARC ho un po’ di difficoltà a chiamarli compagni perché hanno accoltellato dei compagni a Napoli quindi ho una certa difficoltà, ma quando quelli dei CARC dicono: “L’unica soluzione alla crisi è fare il socialismo”, Lenin si arrabbierebbe perché il problema non è questo, il problema è: come si fa il socialismo in Italia oggi, in questo momento? “Bisogna fare il socialismo”: questa è una frase rivoluzionaria che nasconde – pressoché inevitabilmente – tutto l’opportunismo possibile. Lenin invece no, lui ti dice come lo puoi fare qua, e allora tu sei controllato momento per momento: questa è la strada da seguire e non l’obiettivo generico, ma questa strada determinata, e allora qui non sgarri. O meglio: se qui sgarri, allora sgarri, cioè non puoi giustificare con nulla.
E la frase si ha anche quando si dice, che so: “Il fenomeno A è causa del fenomeno B”. Ma se io non indico le procedure attraverso cui A si rivela essere causa di B, io ho detto una frase scientifica ma non ho mostrato un processo.
Può essere un po’ divertente ma nel ‘600-‘700 si discute molto delle sirene, cioè dell’essere mezza donna e mezzo pesce, e Leibniz nel Seicento dice che le sirene non sono in nessun modo accettabili perché non esiste l’indicazione del processo attraverso cui si può costruire un essere mezza donna e mezzo pesce.
Appunto, il problema è la strada, è la via: “È necessario socializzare”. E grazie al… non lo dico perché è sottinteso, ma il problema è come in questo momento, in questa situazione e in questo contesto.
Ora, Marx e Engels ce l’hanno a morte contro la frase rivoluzionaria, e il compagno che è andato via prima è di formazione bordighista e Bordiga offre a Lenin una miniera di esempi di frasi rivoluzionarie.
Ed è interessante che, come dire, la frase può contenere anche elementi di verità ma che sono inutili perché manca la procedura, la via, la strada, il modo per…
Quando si dice che nel marxismo teoria e prassi sono intimamente legate… ma non solo il marxismo ma anche l’oculistica deve indicare una terapia che si applichi agli occhi insomma. Comunque vuol dire questo: l’obiettivo che tu poni è realmente tale in quanto tu hai dato anche i mezzi per realizzarlo.
È – se ve lo ricordate – quello che Marx chiamava il finish, cioè quando Marx dice: “Un treno, tutto bello e perfetto, ma senza i binari, non è un treno perché gli manca il finish”, cioè il binario che gli consenta di muoversi.
E questo motivo fondamentale della produzione di una teoria che riesca ad indicare i modi– non della mia volontà, non della mia soggettività, ma i modi reali, oggettivi, di movimento del mondo e quindi di cambiamento del mondo, questa è un’istanza fondamentale del ragionare dialettico di Hegel e di Marx.
Ermanno Semprebene: Anche in ogni campo scientifico in generale?
Stefano Garroni: Non è dubbio che purtroppo noi abbiamo la cattiva abitudine che è stalinistica, o meglio ancora è secondo-internazionalista, di dire: “Noi siamo materialisti”, senza sapere che il termine materialismo è un termine che storicamente ha significato tutto e il contrario di tutto. Il problema è invece quello di differenziare un discorso che sia frase da un discorso che indica le procedure per…, mi spiego?
[Ad esempio si dice]: “Gli uomini dovrebbero abbandonare, dovrebbero accontentarsi, non ha senso che un uomo ricco si batta per ottenere ulteriore ricchezza, ma dovrebbe distribuirne un po’ ai poveri”. Si, questo è un bellissimo discorso da ladrone perché non significa nulla ma lascia il tempo che trova e non indica il percorso reale attraverso cui il povero toglie il ricco e quindi toglie anche il povero. […]
VIDEO QUI: https://www.youtube.com/watch?v=hrSlGCUdaVM&list=PL3DFD6FA8DBEEE054&index=3
FONTE:https://www.facebook.com/groups/276130642477707/permalink/3049630698461007/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
La Cina pronta ad attaccare con 50mila hacker
Mentre gli USA mettono al bando Huawei e ZTE, il fronte cyber cinese si prepara alla guerra
La supremazia planetaria si basa sulla forza cibernetica e la superiorità dell’informazione ne è un tassello. Sapere prima, saperne di più, sapere quel che nemmeno i diretti interessati sanno: questi alcuni degli ingredienti, ma certo non gli unici. Bisogna riuscire a far sì che gli avversari non sappiano, non vengano a conoscenza di quel che servirebbe loro, non possano sfruttare le informazioni raccolte, non riescano a decidere per la mancanza di dati e notizie indispensabili per supportare qualsivoglia processo decisionale.
La paralisi dell’avversario può essere provocata con attacchi informatici che bloccano le “macchine” (il DDOS, con il suo sovraccarico di richieste al sistema preso di mira, ne è l’esempio più immediato), con il dirottamento del traffico delle informazioni (impedendo di raggiungere – magari con un assalto mirato ai server DNS – siti ed apparati di elaborazione abitualmente utilizzati oppure portando su “cloni” …avvelenati), con l’inquinamento degli archivi elettronici o l’alterazione dei programmi informatici del nemico.
Lo scenario è spettrale, ben più di quanto si racconti tra una tartina e una croissant nei convegni e nei simposi sulla cybersecurity che il Covid19 fortunatamente ha evitato avessero luogo negli ultimi mesi.
Dopo che la Federal Communication Commission ha dichiarato Huawei e ZTE “minacce alla sicurezza nazionale”, lo scenario internazionale non rassicura. L’Occidente è permeato da apparecchiature di quelle grandi industrie cinesi e le reti di telecomunicazione si reggono sul loro funzionamento e sulla loro affidabilità. Si è parlato spesso di spionaggio, ma poche volte si è immaginato che quei dispositivi sono come rubinetti che possono essere chiusi a proprio piacimento da chi li ha costruiti.
Al timore di un blocco “tecnico” delle reti telematiche si va ad aggiungere lo sforzo istituzionale del Governo cinese che ha strutturato la propria macchina bellica cyber su più livelli, il più elevato dei quali è costituito dalle “forze regolari” degli specialisti di Network Warfare arruolati nell’Esercito Popolare di Liberazione.
Oltre a chi risponde direttamente al Ministro della Sicurezza di Stato, esistono altre realtà – sempre militari – congegnate e ben addestrate per operare attacchi cibernetici e al contempo garantire adeguata difesa in caso di reazione (o di iniziative autonome) dei Paesi avversari.
Poi esiste il cosiddetto “Online Blue Army”, una compagine militarizzata istituita dal Ministero della Difesa per proteggere la Cina da eventuali manovre di intelligence straniero.
Per avere dimensione delle risorse a disposizione di Pechino, si può parlare di oltre cinquantamila hacker pronti al combattimento digitale.
Il cosiddetto “hacking” in Cina è attività “State-sponsored”, ovvero supportata dagli organismi pubblici e dalla politica nazionale. A mio avviso la si può immaginare addirittura “State-controlled”, ovvero diretta, coordinata e controllata dallo Stato.
I gruppi che spiccano nella costellazione di formazioni “combat ready” sono almeno tre.
Gli “Honker Union”, quelli che si identificano negli “ospiti rossi”, sono una vecchia conoscenza di chi bazzica il mondo della cyberwar: la loro costituzione, infatti, risale addirittura al bombardamento americano dell’ambasciata cinese in Yugoslavia. Sono famosi per aver assalito a più riprese siti governativi USA e aver colpito i loro enormi archivi elettronici. In tempi recenti (anche se parliamo del 2012) hanno messo a ferro e fuoco banche, università e organizzazioni statali giapponesi a seguito dell’acquisto di un’isola nelle acque territoriali cinesi.
“APT40” viene considerata la punta di diamante dell’arsenale di Pechino: la centrale operativa si troverebbe nella provincia di Hainan, è la fonte di arruolamento di giovani talenti dalle Università e tra le missioni cardine ha il ruolo di milizia nel quadro della “Belt and Road Initiative” (BRI o B&R, che in precedenza era etichettata One Belt One Road o OBOR) che mira allo sviluppo tecnologico e al sostegno della politica estera di Xi Jinping.
Ci sono poi i “Gothic Pandas” (noti alle cronache anche sotto le sigle “APT3”, “Buckeye”, “UPS Team” e “TG-0110”), il cui impegno è specificamente indirizzato alle azioni di cyber spionaggio. Operativi da cinque o sei anni, sembrano svolgere egregiamente il loro mestiere di ladri di segreti commerciali e industriali in danno di India, Brasile, Giappone, Canada e Stati Uniti.
Probabilmente è il caso di cominciare a valutare questo orizzonte.
Il fatto di aver abbandonato in Italia ogni velleità di ricerca e sviluppo non ci esenta dal rientrare tra i target futuri di qualche formazione hacker che potrebbe fregarsene del nostro “perimetro di sicurezza cibernetica” e – quasi fosse Massimo Decimo Meridio a incitare – “scatenare l’inferno”.
FONTE:https://www.infosec.news/2020/07/02/news/sicurezza-digitale/la-cina-pronta-ad-attaccare-con-50mila-hacker/
Quant’è probabile una nuova pandemia?
David Quammen, nel suo Spillover, aveva previsto la “Next Big One”, una nuova grande pandemia in grado di sconvolgere l’umanità. Ci siamo dentro. Ma in futuro potremmo divenire le vittime di altre pandemie di questo tipo? La domanda non è semplice, ma la sensazione è che i “salti di specie” possano sempre investire la storia dell’uomo. E c’è uno specifico avvertimento su una specifica patologia. Un rischio che potrebbe accompagnarci nei prossimi anni. Anche quando e se risulteremo vincitori nei confronti del Covid-19. Ne abbiamo parlato con il dottor Federico Gobbi, membro dello Steering committee tropnet Europe and quot e dello European Network for Tropical Medicine and Travel Health and quot, e direttore del Global surveillance network of travel and tropical medicin dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Gobbi peraltro sorveglia anche l’insorgenza delle malattie infettive nella e per la Regione Veneto.
Un altro virus ha fatto il salto di specie. Questa volta lo spillover è avvenuto tra il topo e l’uomo. L’epatite E è stata notata ad Hong Kong. Ci dobbiamo preoccupare?
Una nuova pandemia?
Non dobbiamo aspettarci una pandemia di epatite E. Per comprendere il perché, bisogna valutare le vie di trasmissione, che sono centrali. Il Covid-19 è trasmesso per via respiratoria. Quando una malattia si trasmette così, come la Sars-Cov2 – diviene molto molto complesso cercare di ridurre il contagio. Di qui il lockdown e le altre contromisure. L’epatite E, invece, si trasmette mediante cibi contaminati, frutta e verdura non cotta e frutta contaminata e non lavata. Gestire un’epidemia del genere sarebbe più semplice. Vale anche per l’Hiv: trasmettendosi soprattutto mediante i rapporti sessuali, è molto più gestibile rispetto ad una malattia a trasmissione respiratoria.
In Cina si sono messi a studiare gli altri coronavirus che risiedono nei pipistrelli…
Lei ha letto Spillover di David Quammen? Io apprezzo molto quel libro. Nell’ultimo capitolo, Quammen aveva già predetto la prossima grande pandemia, citando due agenti respiratori più problematici: uno era un nuovo tipo di coronavirus (noi sino ad ora avevamo il coronavirus causa della Sars 2003); l’altra grande preoccupazione degli esperti era rappresentata dall’influenza aviaria, un’aviaria particolare. Dovendo citare le future ed eventuali pandemie, potremmo dividerle così: un qualcosa di completamente nuovo, com’è stato il Covid-19; una malattia emergente, ossia una malattia che da noi in Italia non c’è ma che può arrivare da un’altra parte del mondo trasmessa da un vettore, le zanzare per esempio; una malattia riemergente, che noi abbiamo conosciuto ma che non affrontiamo da tempo.
Lei è a conoscenza di qualche altro “nuovo” virus?
Guardi, recentemente in Brasile in un lago artificiale a Belo Horizonte hanno trovato un nuovo virus, lo Yaravirus, che ha dimensioni molto più grandi dei normali virus. Sono virus da tenere in considerazione e da studiare per valutare una possibile trasmissione all’uomo.
Un caso di malattia riemergente di cui dovremmo aver paura?
Una malattia riemergente? Il ritorno della febbre gialla in Europa o negli Stati Uniti. Nel 1800, sono stati notati diversi casi di febbre gialla: negli States, in Francia, in Spagna ed in Inghilterra. La presenza di questa malattia era dovuta alla presenza del vettore, che è la zanzara Aedes aegypti. Poi questa zanzara è scomparsa dall’Europa. Dunque non sono stati più registrati casi di febbre gialla. Ma il cambiamento climatico può divenire un fattore. Se l’aumento delle temperature dovesse consentire a una zanzara Aedes aegypti giunta per caso in Europa di superare l’inverno, noi potremmo assistere a casi di febbre gialla anche in Occidente. Questo potrebbe accadere nei prossimi dieci-venti-trenta anni.
Una patologia emergente?
La febbre West Nile, la febbre del Nilo occidentale. Il primo caso in Italia è stato certificato nel 2008. Ogni anno, da allora, registriamo casi autoctoni da virus del West Nile. Il vettore in questa circostanza è la zanzara comune (Culex). Il virus del West Nile è stato isolato negli anni ’50 in Uganda, ma fino al 2008 non era mai comparso dalle nostre parti. Una malattia presente in altre zone di mondo, che è arrivata pure da noi. Abbiamo già avuto modo di notare la presenza in Italia della zanzara tigre (la cugina della Aedes aegypti), che è arrivata tramite pneumautico dagli Stati Uniti nel 1990. La presenza del vettore comporta la possibile comparsa di malattie. In Italia ci siamo dovuti confrontare con due epidemia di chikungunya: una nel 2007 e una nel 2017.
Gli esperti pensavano che un pericolo potesse derivare dall’aviaria…che fine ha fatto?
L’aviaria è passata in alcuni casi dal pollo all’uomo ma, per una serie di motivi tecnici, non si è mai verificata una performante linea di trasmissione da uomo a uomo. Il pericolo evidenziato da Quammen – quello che sostengono anche gli esperti – dipende dalla possibilità di mutazioni: ecco, se un’aviaria trovasse un buon canale di trasmissione uomo-uomo, allora saremmo dinanzi ad un’altra pandemia simile a quella che stiamo affrontando adesso.
Che fine ha fatto invece il virus della prima Sars? Si nasconde dentro qualche animale serbatoio?
Probabilmente è scomparso. Ma c’è una differenza tra l’attuale Sars-Cov-2 e la Sars del 2003. Quella del 2003 – è necessario ricordarlo – ci ha portato via un grande medico italiano, il dottor Carlo Urbani, che è morto per questa patologia ed ha evitato che creasse un’epidemia in Vietnam. Quel tipo di Sars, all’epoca, fece 800 morti. Un dato imparagonabile con quello del 2020. Come mai questa differenza? La Sars del 2003 ha una mortalità maggiore rispetto a questa, intorno al 10%. La Sars nel 2003, la prima Sars, presentava una caratteristica di questo tipo: il momento in cui si è più contagiosi da quando ci si infetta corrisponde al settimo-ottavo giorno di malattia. Diviene così difficile contagiare qualcuno. Il malato è già isolato. Nel caso del Covid-19 invece, la massima carica virale si raggiunge uno-due giorni prima di avere i sintomi. Posso stare benissimo, ma quella preliminare allo sviluppo dei sintomi è la fase in cui sono più contagioso. Per fare un paragone calcistico: nel caso del Covid-19, il difensore non può rincorrere l’attaccante – colui che ha i sintomi – perché quel centravanti ha già segnato. L’unica maniera di fermare il Covid-19 è giocare d’anticipo. Significa lockdown: evitare di far uscire le persone che sono inconsapevoli di aver già contratto il virus. All’inizio della pandemia abbiamo rincorso il virus, che siamo riusciti a fermare soltanto con il lockdown.
C’è qualche virus particolare che tenete sott’occhio?
Noi in Italia sorvegliamo le arbovirosi, che comprendono anche la West Nile. Ma teniamo sott’occhio anche la Dengue, lo Zika e la Chikungunya: tutte patologie trasmesse dalla zanzara tigre. Quella zanzara fa parte delle nostre zanzare ormai dall’inizio degli anni ’90. Ecco, noi cerchiamo soprattutto di evitare epidemie da questi virus ma, cambiando tipo di virus, cambia tutto lo scenario. Con il Covid-19 dobbiamo stare attenti alla trasmissione respiratoria. Con una epidemia da Hiv, dobbiamo stare attenti soprattutto ai rapporti sessuali. Arrivasse una epidemia di Dengue, Zika o Chikungunya, dovremmo stare attenti a non essere punti dalla zanzara tigre. Con la Zika, le persone più a rischio sarebbero le donne in gravidanza, poiché questo virus causa malformazioni fetali. Con la Chikungunya, le persone più a rischio sarebbero gli anziani, più propensi a sviluppare dolori articolari cronici. Il quadro è diversificato ed è molto difficile fare previsioni.
E questa storia dei virus sepolti nei ghiacciai? Davvero, con lo scioglimento, potrebbero tornare in scena?
Non mi occupo nello specifico di questi aspetti ma mi preme segnalare che il virus dell’influenza spagnola è stato isolato nei cadaveri riesumati in Alaska, dopo lo scioglimento del permafrost. Un fenomeno che deriva dal riscaldamento globale. Sono arrivati in fretta e sono riusciti ad isolarlo.
Gli americani si aspettavano una pandemia. Ma pensavano che sarebbe arrivata dal Sud America, non dalla Cina.
Quando l’uomo, per la ricerca di terreni fertili e nuovi pascoli, invade alcuni ecosistemi particolari, come quello della foresta Amazzonica o quello della foresta equatoriale in Africa, rischia di facilitare gli spillover, alterando cicli a livello animale e vettoriale. Questa, che è una tesi anche di Quammen, è sicuramente vera. Non conosciamo un sacco di patologie. Disturbando gli habitat, ci creiamo dei problemi. Diviene utile citare il caso dell’Hiv: il salto di specie dallo scimpanzé all’uomo si è verificato probabilmente intorno al 1908. Prima di una vera e propria pandemia da HIV sono trascorsi però circa sessant’anni. Quindi fare previsioni è molto complesso. Per ora il rischio maggiore proviene da Oriente. Pensiamo alla questione delle influenze: l’Asiatica, l’influenza di Hong Kong, la Cinese… In Oriente tendono ad avere delle fattorie in cui dimorano sia uccelli sia animali domestici. Continui incontri e continue mutazioni di virus del mondo aviario e del mondo animale contribuiscono allo sviluppo di nuove tipologie di influenze. Tante mutazioni sono prive di significato. Una singola mutazione tra queste può invece divenire molto problematica per noi. Per l’Amazzonia, dire qualcosa di certo rimane molto complesso: non ne sappiamo abbastanza.
Si prospetta il ritorno della malaria?
La malaria è scomparsa dall’Italia nel 1970, come dichiarato dall’Oms. Non tutti tuttavia sanno che fino primi anni 20′ del secolo scorso alcuni casi di malaria sono stati notati in Svezia, in Siberia, in Svizzera ed in Germania…Potrebbe ritornare? Sì. Teniamo conto che esistono diversi tipi di malaria. Le zanzare che sono presenti in Europa trasmettono con più facilità il Plasmodium vivax, che può essere grave ma non come il Plasmodium falciparum, che è il tipo più grave di malaria, quello che provoca il 95% di morti di malaria nel mondo. In linea teorica, i cambiamenti climatici potrebbero assecondare un ritorno della malaria. Bisogna stare attenti alle specie anofele che ci sono in Italia. C’è stato qualche caso in cui qualche soggetto di ritorno da un viaggio con il Plasmodium vivax è stato punto da una zanzara, che ha poi infettato altre persone senza che si siano mosse da casa. Però parliamo di episodi sporadici. Non si può comunque escludere un ritorno di questa patologia. A livello europeo, comunque, sarebbe una malattia riemergente, non emergente.
Si fa un gran parlare di malattie emergenti trasmesse dalle zecche…
Le zecche trasmettono molte patologie. Un tipo che nostra fortuna non abbiamo mai dovuto conoscere da vicino è il Crimean-Congo Hemorrhagic fever. In Spagna c’è stato un caso autoctono. Mi riferisco a qualche anno fa. Un cercatore di funghi, in prossimità del Portogallo, è stato morso da una zecca, ha contratto questa malattia ed è morto in un ospedale di Madrid. La zecca è arrivata in Spagna mediante un uccello migratore. Questo è caso di scuola da far studiare agli studenti, che riguarda i meccanismi di diffusione, le dinamiche, delle malattie. Un’infermiera che ha avuto a che fare con quel cercatore di funghi è stata contagiata, ma si è salvata. Qualsiasi epidemia in una parte del mondo è un rischio per qualunque altra parte del mondo: viaggiano persone, animali, insetti e cibi. Uno qualsiasi di questi quattro fattori può contribuire a far viaggiare anche le epidemie. Questa storia ci fa capire come da un momento all’altro l’umanità possa essere colpita da una epidemia. Ma non c’è niente di nuovo: la storia ci ha già insegnato tutto.
Ci sono nuovi insetti giunti recentemente in Italia?
Qualche anno fa nel bellunese è stata individuata una zanzara, la Aedes koreicus, che è giunta in Italia tramite il commercio di fiori dal sud-est asiatico. Questa zanzara, a differenza di molte altre, ama la media montagna e negli anni si è spinta fino in Lessinia, i monti sopra Verona. Aedes koreicus è in grado di trasmettere l’encefalite giapponese. Recentemente in alcune regioni italiane è stata individuata la vespa velutina, chiamata anche calabrone asiatico, che è molto pericolosa perché attacca e uccide le api. Questo può provocare seri problemi a livello di ecosistemi naturali. Inoltre la sua puntura può provocare una patologia grave anche nell’uomo.
Finito qui?
Molti non lo sanno ma, in Madagascar, ogni anno, vengono diagnosticati dei nuovi casi di peste…quella di manzoniana memoria. Stranamente nel 2017 sono stati registrati più casi rispetto agli anni precedenti e si è arrivati a una vera e propria epidemia.
E l’ebola? Rimarrà circoscritta o dobbiamo temere?
Nel caso dell’Ebola la mortalità è molto alta: siamo attorno al 50%. Anche in questo caso avviene uno spillover: dal pipistrello alla scimmia sino all’uomo. Il contagio umano dipende da uno stretto contatto con una scimmia o dall’aver mangiato carne di scimmia non cotta. L’ebola, a differenza del Covid-19, prevede pure che si debba stare attenti a non toccare la pelle di un malato. E poi si è anche ipotizzata la possibilità di trasmissione sessuale. Per Ebola vi sono alcuni farmaci che sembrano efficaci. Inoltre sono in fase di sperimentazione diversi vaccini. A mio modo di vedere, è molto difficile che un’epidemia di Ebola possa sconfinare in Europa. Si tratta di un’ipotesi possibile, ma molto improbabile. Qualche anno fa, sono stati rimpatriati in Europa e negli Stati Uniti alcuni operatori sanitari e missionari infettati, ma il fenomeno si è limitato a questo. Dobbiamo inoltre ricordare che ebola non è l’unico virus che causa febbre emorragiche. Anche gli hantavirus, trasmessi da urine e feci di topo, possono provocare gravi forme emorragiche. E gli hantavirus li troviamo negli stati Uniti, nei Balcani e in Scandinavia.
Quindi, se lei dovesse pronosticare la prossima “Big One”, direbbe che potrebbe dipendere dall’aviaria?
Sì. Noi consideriamo come “Big One” soprattutto i virus trasmessi per via respiratoria. Sono difficilissimi da contenere. Serve il lockdown. Come con la spagnola nel 1918 e con il nuovo coronavirus adesso. Il “Big One” maggiormente possibile è quello dell’influenza aviaria oppure potrebbe essere un altro coronavirus. Ma nel frattempo, potrebbero esserci altre epidemie: dipende dalla via di trasmissione. Patologie trasmesse da vettori potrebbero dar vita ad una pandemia, ma più difficilmente a un “Big One”.
FONTE:https://it.insideover.com/societa/quante-probabile-una-nuova-pandemia.html
DIRITTI UMANI
Gli sciacalli dell’integrazione.
DA ELENA VIGLIANO 1 luglio 2020
Brandiscono il tema dell’integrazione come una falce sulle periferie e sulle fasce meno abbienti, lo fanno da lontano, nelle loro residenze nei quartieri bene, alle quali giungono in taxi o con l’autista. Non sono veramente preoccupati del degrado delle periferie, che va avanti da anni e per il quale non è stato fatto nulla, non vi hanno mai preso un autobus affollato e non vi tornano tardi la sera, non vi mandano i loro figlia a scuola, sono invece preoccupati che i cittadini che vi abitano si ribellino, vorrebbero che essi assorbissero l’impatto dell’immigrazione illegale e delle sue conseguenze nefaste senza fiatare, magari tributando loro vantaggi politici o economici al livello di business della gestione assistenzialistica dell’immigrazione, che coinvolge mediatori culturali, sindacalisti, psicologi, dipendenti delle Coop, dipendenti delle ONG, traduttori, gestori di alberghi fatiscenti.
Il governo continua a far entrare centinaia di stranieri irregolari: chi paga? L’Italia dal 2013 ha speso oltre 20 miliardi per la sola accoglienza, 5 miliardi l’anno, a carico dei contribuenti italiani.
Le Ong dovrebbero farsi carico dei costi di mantenimento degli immigrati che trasportano illegalmente sul suolo italiano (costi sanitari, alloggio, legali, amministrativi) per l’intero periodo di permanenza sul territorio nonché dei costi per il loro rimpatrio e quelli derivanti da eventuali reati.
E’ bene ricordare che ai datori di lavoro italiani che LEGALMENTE sponsorizzano lavoratori stranieri proveniente dall’estero viene richiesto e fatto obbligo di essere responsabili per alloggio, contributi e spese di viaggio di ritorno.
E sempre sfruttando il tema dell’integrazione vorrebbero introdurrre lo IUS CULTURAE: ma in nessuna nazione al mondo la concessione della cittadinanza è uno strumento di integrazione.La cittadinanza, al contrario, è il riconoscimento finale di un lungo percorso e viene concessa per sancire la avvenuta assimilazione.
Concedere la cittadinanza a chi non è assimilato è un atto tendente a disarticolare una comunità
Chiunque abbia un po’ di buon senso, si rende conto che affinché si realizzi la integrazione di un immigrato che giunge in Italia occorrono due elementi fondamentali: che sia in grado di mantenersi senza gravare sul welfare e che rispetti le regole.
Facciamo un esempio: una famiglia indiana giunge in Italia grazie ad un contratto di lavoro del capofamiglia ingegnere di Nuova Dehli. La moglie ha un contratto a tempo determinato all’ambasciata indiana a Roma. Dopo che hanno ottenuto la residenza iscrivono i loro figli alla scuola di un quartiere semiperiferico ed ottengono anche l’assegnazione del medico di famiglia nello stesso quartiere. Dopo l’iniziale isolamento e disorientamento fisiologico dovuto al trasferimento in una diversa nazione e al “cultural shock” ed alla comprensione della lingua iniziano ad ambientarsi e grazie ai compagni di scuola dei loro figli fanno amicizia con una famiglia italiana con la quale sporadicamente si incontrano. Hanno nostalgia della loro terra e delle loro tradizioni ma tutto sommato hanno cominciato ad ambientarsi e ad apprezzare alcuni nuovi aspetti del loro trasferimento inoltre sono entrati in contatto con alcuni connazionali e questo li fa sentire più a loro agio. Non hanno avuto problemi particolari di integrazione salvo una richiesta del loro vicino che si è lamentato per l’eccessivo odore di spezie che inonda il pianerottolo dovuto alla cucina indiana. Ma si sa i vicini si lamentano sempre…
Cosa accade invece quando chi arriva è senza lavoro, non ha un alloggio, e per sopravvivere deve dedicarsi ad attività illecite? Ovviamene finirà in aree del paese già degradate in alloggi di fortuna o occupati trovando lavori sottopagati dell’economia sommersa o illecita andando ulteriormente a gravare su situazione già degradate rendendo invivibile l’esistenza dei cittadini italiani di quei quartieri che ad esempio vedono deprezzarsi il valore dei loro alloggi e vedono aumentare l’insicurezza delle strade. La reazione sarà il rifiuto di quel tipo di immigrazione per ragioni oggettive che nulla ha a che fare con discriminazione o razzismo. E la soluzione non puó essere l’erogazione di sussidi ed alloggi gratis ma il blocco della immigrazione illegale.
L’unica ricetta per l’immigrazione è quella liberale e libertaria è l’approccio contrattuale preventivo: no alla immigrazione decisa unilateralmente da chi immigra ma una immigrazione che si realizza in un accordo tra chi migra ed i membri del paese che lo accoglie.
Invece di incentivare l’arrivo di stranieri investitori, professionisti qualificati, lavoratori specializzati, ricercatori, scienziati, portatori di patrimoni e di know-how, che avrebbero un effetto positivo sulla nostra economia ed instaurerebbero una competizione positiva basata sulle competenze e sul merito e non sulla concorrenza sleale, stiamo facendo entrare anche ex galeotti e disagiati mentali e li manteniamo anche.
Non è certo questa l’immigrazione che dobbiamo incoraggiare. Ad esempio Gran Bretagna post Brexit chiude le porte a lavoratori non qualificati e a chi non parla inglese, introduce il punteggio minimo richiesto di 70 punti per entrare in Gran Bretagna: si ottengono 50 punti con la conoscenza dell’inglese ed il contratto di lavoro acquisito prima dell’ingresso a cui si possono aggiungere per arrivare al minimo richiesto altri punti se ad esempio il settore lavorativo che si va ricoprire è privo di addetti britannici ed altri elementi come particolari specializzazioni ed abilità.
L’ immigrazione va gestita politicamente, cioè va governata e non subita. E’ necessario affrontare questo tema scottante, senza moralismi e senza osservare il politicamente corretto ma con obiettività e pragmatismo.
L’Italia ha il dovere e diritto di decidere quanti immigrati far entrare e di scegliere chi far entrare.
E il salvataggio in mare non c’entra nulla con l’immigrazione: se trovo un ferito per strada mi fermo lo soccorro lo porto in ospedale, ma non me lo porto a casa per mantenerlo, una volta medicato, torna a casa sua.
ECONOMIA
Sapelli: solo prestiti e tasse, così l’Ue farà a pezzi l’Italia
Se non si comprende che la proposta di Recovery Fund proviene da un’Europa in cui il capitalismo è impegnato in una guerra affannosa per la sopravvivenza per la crisi pandemica, non si comprende il senso della tragedia che si avvicina. Pensate all’acciaio e al destino cui una classe tecnocratica e politica europea (così si autodefinisce) l’ha ridotto. Il caso Ilva ne è l’emblema, con la sua definitiva scomparsa dopo averla affidata all’unico gruppo mondiale che ricercava senza mascheramenti di ridurre la sovrapproduzione in cui era immerso, tanto che andrà chiusa… facendo sì che la siderurgia ad acciai speciali migliore del mondo non possa partecipare alla gara per la futura ricostruzione mesopotamica, grazie alla concorrenza sleale degli acciai cinesi e degli altri produttori turchi ed europei. Il solo Massimiliano Salini, non a caso cremonese e giustamente impegnato nella difesa del suo territorio, l’ha recentemente con coraggio ricordato, questo vero e proprio dramma che non interessa più nessuno e che cova una tragedia umana, sociale, ambientale, politica, terroristica. Ma veniamo al parto del bimbo deforme, poverino, battezzato Next Generation Eu. Frutto del travaglio della Commissione, potrà essere attivato – lo si legge solo sul “Wall Street Journal” – il primo di gennaio del 2021, quando la cenere si sarà posata. Vediamo di fare chiarezza nella tragedia.
L’Ue ricercherà sui mercati mondiali circa 750 miliardi di euro. Li prenderà a prestito. Di questi, come si è detto, 500 saranno erogati come sussidi e garanzie. Altri 250 saranno prestati agli Stati dopo negoziazioni che dilanieranno l’Europa, piuttosto che unirla – purtroppo – come pensano, se pensano, le anime belle. Si dice che l’Italia otterrà, grazie agli accordi informali già stipulati, circa 80 miliardi di sussidi e 90 di prestiti. Quello che non dice nessuno (salvo l’attento e severo professor Perotti a cui vanno resi onore e gloria) è che anche i sussidi saranno raccolti dall’Ue a debito e non saranno regalati a nessuno perché andranno ripagati con finanziamenti degli Stati dell’Ue. Come? Si è ancora incerti, ma le nuove tasse non potranno mancare e saranno parametrate al Pil degli Stati medesimi con proporzionalità alle quote nazionali che concorrono a formare il bilancio dell’Ue. Si dovrebbero ottenere circa 17 miliardi di sussidi (non tantissimi!) nel corso dei quattro anni a partire dall’1 gennaio del 2021, con un esborso molto diluito nel tempo. Certo c’è grande differenza nei tassi: l’Ue emette debito a tassi inferiori a quello di ogni singolo Stato, ma la sostanza dell’indebitamento rimane, risparmiando circa, io credo (con il buon Perotti), un miliardo, un miliardo e mezzo l’anno.
Il problema forse ancora più grande, vista l’incapacità assoluta delle attuali classi politiche di gestire la cosa pubblica, è il fatto che il governo, i governi presenti e futuri, dovranno amministrare una quota non indifferente del Pil in quattro anni con piani in parte indicati dalla Commissione, ma in parte affidati alle classi politiche attualmente incaricate di governarci. Se si pone mente a quale sia lo stato di frantumazione e divisione profonda in cui è caduto lo Stato italiano devertebrato e patrimonializzato sia da gruppi di interessi, sia dagli ordini dello Stato (in primis l’ordine giudiziario trasformatosi in potere che promana da ordinamenti di fatto in continuazione annichilendo la stessa Costituzione repubblicana nel sonno della Corte costituzionale, a differenza di ciò che accade in Germania e in Francia e in Spagna) si comprende quale rischio corra la cosa pubblica per effetto dell’aprirsi di una cornucopia che invece che darci, come si dice, la salvezza, mi pare che ci darà il colpo finale come Repubblica parlamentare, come Stato, come comunità.
La crisi dell’ordoliberismo – del resto – non si ferma. l’Europa rischia scontri tra le nazioni potenti e pericolosissimi se non si ritroverà la saggia meditazione sulla necessità di lavorare per costruire uno stato di diritto in Europa sospendendo i Trattati e ripensando tutta l’architettura dell’Unione. Del resto l’articolo 112 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione del 2012 recita proprio in tal senso quando evoca eventi catastrofici in presenza di cui si possono sospendere tutti i Trattati tra gli Stati che reggono l’Europa funzionalista senza sovranità e senza leggi.
(Giulio Sapelli, estratto dall’intervento “Col Recovery Fund ancora più tasse, così l’Italia va in pezzi”, pubblicato sul “Sussidiario” il 30 maggio 2020. Storico dell’economia, il professor Sapelli ha insegnato alla London School of Economics e nelle università di Barcellona, Buenos Aires, Praga, Berlino, Santiago del Cile, Rosario, Quito, Madrid, Lione, Vienna, South California, Sidney, New South Wales (Australia) e New York. E’ stato ripetutamente direttore della Scuola di Alti Studi in Scienze Sociali di Parigi. Attualmente insegna storia economica all’università di Milano. Ha lavorato nei centrri studi Crt, Olivetti ed Eni, ed è stato consulente per aziende come Fiat, Galbani, Credito Emiliano e Telecom, Tim, Agip, Fs, Finmeccanica e Barilla. Presente nelle fondazioni Ugo Spirito, Giulio Pastore e Giangiacomo Feltrinelli, è presidente del comitato scientifico della Camera di Commercio di Milano).
FONTE:https://www.libreidee.org/2020/06/sapelli-solo-prestiti-e-tasse-cosi-lue-fara-a-pezzi-litalia/
Perché gli altri Paesi non chiedono il Mes?
I veri rischi del fondo e quello che il governo italiano non dice
L’accesso al fondo europeo da 37 miliardi è diventata una battaglia politica dentro e fuori il governo. Ma le questioni aperte sono tante
L’attivazione del Mes sanitario è diventato la nuova linea del Piave della politica italiana, una frontiera che attraversa gli schieramenti politici e spacca gli stessi partiti. Se ne parla con sempre più insistenza e si ipotizzano addirittura maggioranze alternative pur di accedere a questi 37 miliardi a interessi praticamente zero da investire nella sanità, con l’unico caveat di utilizzarli per far fronte alle spese riguardanti l’emergenza Coronavirus.
Il dibattito è altrettanto severo anche tra i commentatori. Chi vuole attivare il Mes tira in ballo il risparmio sugli oneri del debito senza Mes, macigno sulle future generazioni. I contrari sottolineano che il trattato non è stato modificato, che in Grecia è stato un massacro, che il risparmio degli italiani è a rischio e così via. Ma non è il modo più saggio di affrontare la questione.
Come nasce il Mes
Il Mes nasce come fondo di salvataggio per i Paesi che si trovano tagliati fuori dal mercato obbligazionario. In cambio, il fondo richiede un rigoroso controllo sui beneficiari, da molti giudicato umiliante e invadente, per assicurarsi che le condizioni politiche, necessarie ad ottenere i prestiti vengano rispettate. Ciò ha reso il Mes politicamente tossico nei Paesi dell’Europa meridionale.
Il nuovo Mes per far fronte alla crisi pandemica, al contrario, equivale a un prestito incondizionato. Per fare domanda, un Paese deve solo confermare che spenderà il denaro per i costi relativi al Covid-19. La conformità a questo requisito minimo sarà verificata nell’ambito dell’osservazione ordinaria della Commissione europea delle finanze pubbliche di tutti i governi dell’UE, quindi niente Troika.
Il trattato però non è stato modificato, l’assenza di condizioni è il risultato di un accordo politico fra gli Stati membri. I controlli sono previsti sull’attuazione del programma presentato all’atto della richiesta del finanziamento, e questo non è un dettaglio, come vedremo più avanti.
I rischi del sì
Almeno per ora, il Mes sanitario non ha trovato adesioni importanti fra i Paesi dell’Eurozona mediterranea: non interessa alla Spagna, al Portogallo, alla Grecia e tanto meno alla Francia. Soltanto Cipro ne ha fatto richiesta. Secondo i favorevoli a ricorrere al Mes, ciò si deve al fatto che queste economie, a differenza dell’Italia, pagano già tassi d’interesse molto bassi per finanziarsi sul mercato, rendendo il risparmio molto più ridotto.
Tuttavia, attivare il Mes per risparmiare sugli interessi del debito significa comunicare ai mercati e all’Europa la convinzione italiana che da qui ai prossimi anni i nostri interessi sul debito resteranno alti. Si potrebbe obiettare che così i soldi arrivano subito. Ma l’Italia in questo momento non è in una condizione di emergenza sanitaria. Chiedere il Mes durante il mese di luglio non sarebbe non un bel segnale.
Infine, non va sottovaluto il peso strettamente politico della questione: se la Francia e la Spagna mostrano di non avere bisogno di chiedere il Mes, anche l’Italia farebbe meglio a pensarci due volte prima di mostrarsi debole soprattutto in vista di un vertice europeo importante come quello di metà luglio.
Il problema principale però è un altro, riguarda il Mes, il Recovery Fund e tutti gli strumenti che sono stati (e saranno) messi in campo dall’UE: che cosa vuole fare l’Italia con questi soldi?
L’enigma degli investimenti
Mentre si parla di Mes sì/Mes no, facendo i conti su quanto “incassare” dall’Europa, non si discute di che cosa andrebbe fatto con questi 37 miliardi, ed è questa la cosa che lascia più perplessi. Non serviva il Coronavirus per ricordarcelo, ma la differenza qualitativa e organizzativa delle sanità regionali è molto accentuata, con la presenza di forti diseguaglianze che si ripercuotono in maniera sostanziale sulla qualità della vita. Su che cosa si investirebbe, su un sistema più centralizzato o la solita discrezionalità regionale, fonte di eccellenze ma anche dell’opposto?
Al di là delle valutazioni specifiche di convenienza che porteranno poi l’Italia a decidere se utilizzare o meno il Mes, la discussione di queste settimane è importante, perché ci sta dicendo che indipendentemente dalle fonti di finanziamento che il Paese deciderà di utilizzare, quel Paese dovrà fare investimenti sanitari identificando obiettivi chiari, con programmi ben costruiti e tempi di attuazione certi.
Se alla fine il Mes sarà attivato (come probabilmente accadrà), le condizioni saranno determinate dai programmi presentati dal governo. Considerando le differenze tra regioni e gli alti e bassi della politica sanitaria regionale (e in questi mesi abbiamo visto che anche i migliori possono fare disastri) per l’Italia farsi carico di un impegno del genere senza avere le idee chiare e la sicurezza che non ci saranno sprechi o scandali potrebbe essere problematico. Perché con i fondi del Mes non si scherza. Di quei soldi ci verrà chiesto conto.
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- Merkel prende la guida dell’Ue: «Non abbiamo fatto il Mes per non usarlo». La resistenza di Conte
- Informativa di Conte in Parlamento: «In Europa no compromessi al ribasso». Le opposizioni lasciano la Camera. Renzi: «Sì al Mes»
- Le Maire: «La Francia non userà il Mes, ma capirei se lo facesse l’Italia»
- Zingaretti: «Basta perdere tempo: usiamo il Mes per migliorare la Sanità. Abbiamo 10 buoni motivi»
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- Mes, scontro (senza fine) nel governo. Pd: «Siete miopi». M5S: «Rimaniamo contrari»
- Coronavirus, tutte le notizie della notte – Altro giorno nero per gli Usa: più di 47 mila nuovi contagi. Fauci: «I nuovi focolai minacciano tutto il Paese»
FONTE:https://www.open.online/2020/06/30/tutti-i-rischi-del-mes-e-una-domanda-per-il-governo-come-verra-investito/
Quello che il popolo non deve sapere sul dibattito del MES
di Thomas Fazi La battaglia sul MES, se non si fosse capito, ha una valenza puramente simbolica: 30-40 miliardi sono briciole a fronte delle necessità di finanziamento dell’Italia, e comunque parliamo di una cifra che un paese come il nostro, in regime di sovranità monetaria, non avrebbe alcun problema a reperire sui mercati o direttamente dalla propria banca centrale a tasso zero.
Anzi, anche oggi, con l’euro, l’Italia potrebbe tranquillamente reperire quella stessa cifra sui mercati (per quanto al tasso più penalizzante fissato dalla BCE, ma questo fa ovviamente parte del disegno): basti ricordare che a una recente asta dei BTP quinquennali, il tesoro ne ha emessi 14 miliardi a fronte di una richiesta di più di 100 miliardi. Ci sarebbe bastato soddisfare la richiesta che c’era per avere da subito più liquidità di quella offerta dal MES.
E allora perché il governo non l’ha fatto? Perché altrimenti tutta la narrazione sul MES sarebbe crollata. Il messaggio che si vuol far passare – “il futuro della sanità pubblica italiana dipende dalla linea di credito del MES” – è quello secondo cui l’Italia sarebbe spacciata senza l’aiuto finanziario dell’Europa.
Come abbiamo visto, non è affatto vero. Anche col cappio dell’euro, l’Italia potrebbe tranquillamente reperire quei soldi – proprio perché sono relativamente pochi – con le normali aste collocamento dei titoli di Stato; e a maggior ragione potrebbe farlo – a tassi di interesse molto più convenienti e senza subire il ricatto della BCE – nel momento in cui recuperasse la propria sovranità monetaria.
Ma questo il popolo non deve capirlo. Oggi, nel momento in cui il consenso nella popolazione italiana per l’euro e la UE è ai minimi storici, è fondamentale per le oligarchie economico-finanziarie nostrane – di cui il PD è il braccio armato politico – rinsaldare l’ideologia del vincolo esterno, secondo cui l’Italia sarebbe spacciata senza l’Europa, quando ormai dovrebbe essere chiaro che è vero l’esatto opposto.
Il dibattito sul MES – orchestrato ad arte, come detto, attraverso un’asfissia finanziaria auto-indotta dal governo – serve solo a questo. Non ha nulla a che vedere con i soldi in sé, e men che meno, ovviamente, con la salvaguardia del sistema sanitario nazionale, picconato proprio dal PD, su richiesta dell’Europa, nell’ultimo decennio.
FONTE:https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-quello_che_il_popolo_non_deve_sapere_sul_dibattito_del_mes/33535_35885/
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Scandalo Wirecard: raid della polizia a Monaco (ma non solo). Che sta succedendo?
2 Luglio 2020
Scandalo Wirecard: la polizia ha fatto irruzione nel quartier generale di Monaco (e non solo). Cosa sta succedendo? Le ultime notizie
Le ultime notizie sullo scandalo Wirecard ancora sotto i riflettori internazionali.
Nella giornata di ieri, mercoledì 1° luglio, la polizia e i pubblici ministeri hanno fatto irruzione nel quartier generale di Monaco e in quattro proprietà situate sia in Germania che in Austria.
Le indagini si sono ulteriormente ampliate a circa due settimane dall’esplosione dello scandalo che ha messo in imbarazzo l’intera Germania, visto che anche la Bafin tedesca (paragonabile alla nostrana Consob) è finita sotto la lente della Commissione UE. Lo smantellamento di Wirecard potrebbe essere in dirittura d’arrivo.
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Scandalo Wirecard: irruzione della polizia a Monaco. Le ultime notizie
Nella giornata di ieri i pubblici ministeri di Germania hanno dichiarato la loro intenzione di ampliare le indagini sullo scandalo Wirecard per includere – accanto alle accuse di manipolazione del mercato e falsificazione dei conti – anche quelle di sospette frodi.
Nell’occhio del ciclone sono finiti il Chief Financial Officer della tedesca, Alexander von Knoop, il Chief Product Officer Susanne Steidl, l’ex CEO Markus Braun (già arrestato e rilasciato su cauzione) e il capo delle operazioni Jan Marsalek, sul quale è stato spiccato un mandato d’arresto.
Lo scandalo Wirecard (arrivato a lambire persino i confini italiani con migliaia di carte bloccate) sta continuando ad espandersi a macchia d’olio. Da qui la necessità di intervenire e di fare irruzione non soltanto nella sede di Monaco, ma anche in altre proprietà sia tedesche che austriache, per tentare di raccogliere il maggior numero di prove possibili.
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Smantellamento più vicino
In una dichiarazione rilasciata martedì dopo la prima riunione del comitato dei creditori, Michael Jaffé, nominato responsabile della procedura di insolvenza, ha fatto notare come l’obiettivo primario sia al momento mantenere le filiali in attività e stabilizzare le operazioni.
Stando alle ultime notizie trapelate, lo stesso Jaffé chiederà alle banche di investimento di supervisionare la potenziale vendita di alcune unità di Wirecard, che in quanto elaboratore di pagamenti genera entrate tramite le transazioni dei commercianti.
“Molti investitori provenienti da tutto il mondo ci hanno contattato, interessati all’acquisizione del core business o delle unità di business indipendenti”,
ha dichiarato, non escludendo l’ipotesi di fallimento di alcune singole divisioni.
Secondo persone a conoscenza della materia citate dal Financial Times, la cessione delle sussidiarie arriverà nell’arco di qualche settimana. Sarà un’operazione necessaria o l’azienda perderà qualsiasi valore residuo.
“Wirecard ha pochissime risorse fisiche e il rischio è che molti dei suoi clienti passino presto alle aziende rivali.”
Al momento, però, non sono stati fatti nomi di possibili acquirenti interessati alla fintech tedesca. Lo scandalo Wirecard e le ultime notizie in merito continueranno a tenere la Germania e l’intero settore finanziario con il fiato sospeso ancora a lungo.
FONTE:https://www.money.it/scandalo-Wirecard-raid-polizia-smantellamento-vicino-novita
GIUSTIZIA E NORME
Calunnia – Articolo 368 Codice penale
(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)
[Aggiornato al 27/11/2019]
Dispositivo dell’art. 368 Codice penale
Chiunque, con denuncia [c.p.p. 333], querela [c.p.p. 336], richiesta [c.p.p. 342] o istanza [c.p.p. 341], anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale(1), incolpa di un reato taluno che egli sa innocente(2), ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato(3), è punito con la reclusione da due a sei anni.
La pena è aumentata [64] se s’incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave.
La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo; [e si applica la pena dell’ergastolo, se dal fatto deriva una condanna alla pena di morte](4)(5)(6).
Note
Ratio Legis
Per rispettare il GDPR servono più incidenti, non sanzioni
Senza i tanto vituperati “hacker” non ci sarebbe nemmeno quel minimo di miglioramento che le tante azioni dimostrative hanno causato
Scrivo questo articolo in uno di quei rari momenti nei quali mi illudo che la sicurezza informatica sia qualcosa di cui ci si dovrebbe occupare seriamente. Non voglio mancare di rispetto ai tanti professionisti che cercano di lavorare aiutando sul serio clienti e datori di lavoro a “tenere in piedi la baracca”. Nemmeno, però, posso far finta di ignorare cosa sia (diventato?) il mercato della sicurezza informatica e il fatto che senza i tanto vituperati “hacker” non ci sarebbe nemmeno quel minimo di miglioramento che le tante azioni dimostrative hanno causato.
Apologia di reato? Istigazione a delinquere? No, semplicemente constatazione di un dato oggettivo: nel settore della sicurezza informatica non sono le sanzioni a indurre il rispetto delle regole.
Tutti ricorderanno il terrorismo psicologico a base di “sanzioni del 4% del fatturato mondiale” che ha accompagnato l’entrata in funzione del GDPR e che, nelle idee di molti, avrebbe generato una diffusa “messa a norma”. Nei fatti, però, questo deterrente si è rivelato poco più di uno spaventapasseri perchè se escludiamo le sanzioni (peraltro proporzionalmente poco afflittive) irrogate a qualche gigante del settore bancario o delle telecomunicazioni, a livelli “umani” i numeri sono talmente bassi da indurre i “titolari” a rischiare. Non dimenticherò mai le parole di un amministratore delegato di un’azienda che, sanzionato per trentamila Euro, mi disse: “avvocato, se avessi fatto il necessario per gli scorsi vent’anni avrei speso oltre quattrocentomila Euro. In questo modo, con meno di un decimo, me la sono cavata: va bene così e non facciamo nemmeno ricorso”.
Viceversa, in una specie di follia suicida collettiva, gli “incidenti” – o meglio: operazioni chirurgiche o attacchi “a tappeto” a base di exploit, botnet e ransomware frutto di gestione superficiale dei sistemi informativi e dei rapporti con i fornitori – hanno incrementato le segnalazioni di data-breach anche nei casi dove non sarebbe obbligatorio dichiarare di avere accusato il colpo. Quasi che mettere nero su bianco di avere mal-gestito la propria sicurezza fosse un vanto piuttosto che una confessione di fallimento.
Perchè accade tutto questo, e perchè ora e non prima?
Semplicemente, perché grazie all’internet i risultati di queste azioni diventano pubblici e non possono essere nascosti sotto il tappeto, sia perché se gli autori dell’azione hanno finalità politiche diffondo la notizia, sia perché quando si spengono mezza Europa o mezza Italia è abbastanza difficile sostenere che sia colpa di qualcuno che ha staccato inavvertitamente la ciabatta che alimenta il gruppo di continuità del computer della segreteria amministrativa.
Quindi, a differenza del passato, imporre la consegna del silenzio serve a molto poco e la diffusione della notizia di un “incidente” genera inevitabilmente e prima di tutto una gara di velocità nello scaricabarile o nel lasciare il cerino in mano a qualcuno (possibilmente, il fornitore o il consulente). Parallelamente, a fronte della concreta probabilità di una verifica amministrativa e/o di un’azione legale, parte anche la gara a rimettere a posto le “carte”, nella diffusa – ed errata – convizione che i controlli e controversie potranno essere gestite dimostrando di avere fatto la “sicurezza di carta”.
In conclusione e paradossalmente, se l’attenzione sostanziale alla sicurezza delle informazioni e dei sistemi informativi crescerà, questo sarà grazie (grazie, e non “per colpa”) a LulSec, Anonymous e a tante altre persone “colpevoli” di avere dimostrato l’ipocrita fragilità di infrastrutture pubbliche e private. E meritevoli di avere portato a termine dei penetration test reali, i cui risultati sono dimostrati dai fatti e non da report scintillanti e colorati – ma finti e inutili. In questo senso, dunque, nulla è cambiato negli ultimi trent’anni dal momento che questo è lo stesso approccio che guidò il Chaos Computer Club tedesco a denunciare l’insicurezza degli ATM dell’epoca, o tanti altri smanettoni (anche italiani) a pubblicare ingenuamente la scoperta di vulnerabilità di apparati e software, rivecendo in cambio richieste di risarcimento miliardarie (mai messe in pratica, peraltro).
Va anche detto, tuttavia, che le vecchie abitudini sono dure a morire e quindi nonostante lo “sfortunato incidente”, piuttosto che fare qualcosa pe migliorare la propria condizione, tante realtà torneranno al “business as usual” fatto di “definizione di framework di risk assessment basato su algoritmi di AI che implementano funzionalità di threat-prediction in un’ottica di ridisegno evolutivo di un’infrastruttura di cybesecurity ad alta resilienza GDPR-compliant.”
E così, passata la paura della “prima volta”, la giostra riparte come prima: venghino siore e siori, altro giro, stesse emozioni!
FONTE:https://www.infosec.news/2020/07/02/news/sicurezza-digitale/per-rispettare-il-gdpr-servono-piu-incidenti-non-sanzioni/
ATTO ABNORME: IL DIRITTO DI DIFESA NELLA DIALETTICA G.I.P. E P.M.
by Avv. Federico Cola | in Penale
“E’ atto abnorme e quindi ricorribile per Cassazione anche dalla persona sottoposta ad indagine il provvedimento del giudice per le indagini preliminari che, non accogliendo la richiesta di archiviazione, ordini, ai sensi dell’art. 409 c.p.p., comma 5, che il pubblico ministero formuli l’imputazione per un reato diverso da quello oggetto della richiesta.”
È questa la massima che può trarsi dalla sentenza delle SS.UU. penali n. 40984/2018. La Sesta Sezione della Corte di Cassazione, è stata chiamata a decidere sul ricorso per abnormità proposto da un indagato avverso l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari, rigettando la richiesta di archiviazione nei confronti dello stesso per il reato di tentata concussione, disponeva che il pubblico ministero formulasse l’imputazione per i diversi reati di violenza privata ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Le Sezioni Unite, nel dirimere tale contrasto, accolgono l’orientamento sino ad oggi minoritario e affermano che anche la persona sottoposta ad indagini può ricorrere per cassazione avverso il provvedimento che dispone l’imputazione per fatti non contemplati nella richiesta di archiviazione del p.m. E ciò in quanto tale imputazione coatta incide non solo sulle prerogative spettanti alla pubblica accusa, ma anche sul diritto di difesa.
La questione di diritto sottoposta all’attenzione del Collegio presuppone, quale dato ormai non controverso, i risultati dell’elaborazione giurisprudenziale in merito alla nozione giuridica di abnormità e all’atteggiarsi di quest’ultima con riferimento agli atti resi dal giudice per le indagini preliminari nel procedimento di archiviazione. Deve essere qui ribadito che ai fini dell’individuazione dell’atto abnorme si richiede, in negativo, che non si tratti di atto adottato semplicemente in violazione di norme processuali e, in positivo, che l’atto stesso si caratterizzi per contenuti talmente atipici, da renderlo estraneo all’ordinamento processuale ovvero che, pur espressione di una legittima potestà processuale, esso sia adottato al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, tanto da determinare una stasi del processo, la impossibilità di proseguirlo ovvero la sua inammissibile regressione ad una fase processuale ormai esaurita (così, Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, Di Battista, Rv. 209603; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, Magnani, Rv. 215094; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590). I giudici hanno colto l’occasione per tracciare una chiara linea di demarcazione tra l’attività del pubblico ministero ed il potere di controllo del giudice nel procedimento di archiviazione.
Richiamandosi alla giurisprudenza costituzionale, hanno affermato che i confini tracciati dal legislatore sui poteri dei due organi che si occupano delle indagini preliminari sono ben definiti e conformi ai principi costituzionali dell’obbligatorietà dell’azione penale e della sua titolarità in capo all’organo requirente (art. 112 Cost.), riservando al giudice delle indagini la funzione di controllo e di impulso (v. Corte cost. n. 88 del 1991, n. 478 del 1993, n. 263 del 1991, n. 417 del 1991, n. 34 del 1994, n. 176 del 1999, n. 349 del 2002). Il dato saliente – continua la Corte – emergente dall’arresto in parola e che adesso si intende ribadire, attiene alla sfera di valutazione del giudice per le indagini preliminari, non limitata ad un semplice esame della richiesta finale del pubblico ministero, ma estesa al complesso degli atti procedimentali rimessi al giudice dall’organo requirente, nel rispetto, però, sempre delle prerogative del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale.
Si consideri, invero, che, anche nei casi di abnormità, ai fini della legittimazione a ricorrere non basta dedurre un vizio del provvedimento impugnato, ma occorre anche che il ricorrente abbia un interesse pratico e attuale all’annullamento dell’atto del quale deduce l’abnormità e affinchè detto interesse sussista è necessario che l’impugnazione sia idonea a rimuovere un pregiudizio. .
L’esposizione che precede consente di svolgere una serie di considerazioni, dirimenti ai fini della soluzione della questione all’esame del Collegio: – lo schema del rito camerale “archiviativo” non si esaurisce nella dinamica pubblico ministero/giudice (cui si correla la problematica della limitazione delle prerogative del pubblico ministero a garanzia dell’effettività del principio di obbligatorietà dell’azione penale), ma investe anche l’indagato ed il suo diritto di difesa; – l’assenza di tali previsioni avrebbe esposto la norma ad inevitabile censura di illegittimità costituzionale e in questo senso il riferimento all’art. 6 della Convenzione EDU, pur non costituendo disposizione da potere invocare come parametro al fine di affermare l’incostituzionalità delle norme denunciate, dal momento che la stessa costituisce solo norma interposta al fine di accertare la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., non invocato dal giudice a quo (ordinanza n. 163 del 2010), rafforzerebbe la censura di illegittimità costituzionale con riguardo all’art. 111 Cost. (ordinanza n. 286 del 2012); – il mancato riconoscimento, nel caso concreto, delle predette garanzie all’indagato determina una lesione del diritto di difesa e di conseguenza un interesse del predetto alla rimozione del provvedimento a sè sfavorevole.
Continua qui:http://www.salvisjuribus.it/atto-abnorme-il-diritto-di-difesa-nella-dialettica-g-i-p-e-p-m/
IMMIGRAZIONI
Ok dell’Italia ad accogliere due voli al mese di migranti provenienti dalla Germania
Berlino conferma che il Governo italiano accetterà il rimpatrio dei richiedenti asilo che hanno passato illegalmente i confini
Èarrivato l’ok del Governo italiano al rimpatrio dalla Germania di migranti che, dopo essere giunti in Italia, hanno attraversato illegalmente i confini verso nord. Le autorità di Berlino, che già rimandano indietro chi ha lasciato il Belpaese tramite gli aerei di linea, noleggeranno voli charter per trasportare 25 richiedenti asilo alla volta. È quanto rivelato al quotidiano “Die Welt” da fonti del ministero dell’Interno tedesco, dalle quali si apprende che l’Italia accetterà due voli – e dunque 50 migranti – al mese.
Le regole
Il trasferimento dei migranti dal Paese dove hanno presentato domanda di asilo a quello di primo arrivo è previsto dal regolamento di Dublino, che disciplina i rapporti tra Stati di destinazione dei flussi migratori. I richiedenti asilo colpiti dal rimpatrio saranno dunque quelli che sono arrivati prima in Italia, ma che poi hanno attraversato i confini per presentare domanda di protezione internazionale alle autorità tedesche.
I rimpatri avvenivano anche con il Governo gialloverde
Tuttavia, secondo “Die Welt”, il regolamento di Dublino ha subito “una grave battuta d’arresto” a ottobre del 2018. Allora, infatti, il Governo formato da Lega e Movimento cinque stelle, dopo aver accettato quattro aerei di “rimpatriati”, vietò alla Germania di riportare in Italia i migranti facendoli viaggiare a gruppi su voli charter appositamente noleggiati. I rimpatri continuarono tramite i trasferimenti singoli su aerei di linea, e anche mentre Matteo Salvini era ministro degli Interni sono tornati in Italia migliaia di migranti respinti dalla Germania.
Italia e Germania si rimpallano i migranti
Tale modalità di rimpatrio ha però rallentato l’applicazione del regolamento di Dublino, “già mal funzionante”, secondo le autorità tedesche. La testata “Die Welt” osserva infatti che, nella prima metà del 2019, la Germania ha presentato all’Italia 8.146 richieste di trasferimento dei migranti respinti. Di queste, ben 7.118 sono state approvate, ma di fatto i migranti che l’Italia ha accettato di ricollocare sul proprio territorio dalla Germania sono stati solo 1.164.
FONTE:https://europa.today.it/attualita/voli-migranti-germania.html
LA LINGUA SALVATA
Pandemia
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Pandemia dell’influenza spagnola del 1918
Una pandemia (dal greco pan-demos, “tutto il popolo”) è una malattia epidemica che, diffondendosi rapidamente tra le persone, si espande in vaste aree geografiche su scala planetaria, coinvolgendo di conseguenza gran parte della popolazione mondiale, nella malattia stessa o nel semplice rischio di contrarla.[1][2][3] Tale situazione presuppone la mancanza di immunizzazione dell’uomo verso un patogeno altamente virulento. Nella storia umana si sono verificate numerose pandemie, tra cui le pandemie sotto elencate nella sezione “Pandemie nella storia”.
Indice
1 Definizione
1.1 Le classificazioni dell’OMS
2 Pandemie nella storia
3 Note
4 Voci correlate
5 Altri progetti
6 Collegamenti esterni
Definizione
La parola pandemia deriva dal greco “pandemos”, che significa “tutta la popolazione”: demos significa popolazione, pan significa tutti. “Pandemos” è quindi un concetto secondo cui si ritiene che l’intera popolazione mondiale sarà probabilmente esposta ad un’infezione e potenzialmente una parte di essa si ammalerà.[4]
Il termine si applicherebbe solo a malattie o condizioni patologiche contagiose. Di conseguenza, molte patologie che colpiscono aree molto grandi o l’intero pianeta (per esempio il cancro) non sono da considerarsi pandemiche.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, le condizioni affinché si possa verificare una vera e propria pandemia sono tre:
la comparsa di un nuovo agente patogeno;
la capacità di tale agente di colpire gli umani;
la capacità di tale agente di diffondersi rapidamente per contagio[5].
Vi sono state diverse critiche a questa definizione, essendo venuta a mancare la specifica di gravità, pertanto anche virus con bassissimi indici di conseguenze gravi possono essere inclusi nella definizione di pandemia.[6][7]
Nel maggio 2009 il dott. Keiji Fukuda, vicedirettore generale ad interim del settore Qualità, sicurezza e ambiente dell’OMS ha affermato che «Un modo semplice di pensare alla pandemia è dire: […] una pandemia è un focolaio globale. Significa che vediamo sia la diffusione dell’agente infettivo […] che le attività della malattia, oltre alla diffusione del virus».[8]
Gli esperti riconoscono che dichiarare una pandemia possa essere politicamente gravoso perché può scuotere i mercati, portare a restrizioni più drastiche per i viaggi e il commercio, e stigmatizzare le persone provenienti dalle prime regioni colpite, ma al contempo può stimolare i paesi a prepararsi all’eventuale arrivo del virus.[9]
Il dott. Anthony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases degli Stati Uniti, ha dichiarato all’inizio di febbraio 2020 che tuttora non esiste una definizione scientifica e definitiva di ciò che costituisce una pandemia.[4]
Le classificazioni dell’OMS
Le fasi della pandemia come da ultima guida dell’OMS “Guida alla gestione del rischio di influenza pandemica” del 2017.
L’OMS ha utilizzato una classificazione in 6 stadi che descriveva il processo mediante il quale un nuovo virus influenzale procede dalle prime infezioni iniziali nell’uomo arrivando ad una pandemia. Questo processo inizia con un virus che infetta principalmente gli animali (periodo inter-pandemico), seguito da alcuni casi in cui gli animali infettano le persone, quindi passa attraverso la fase in cui il virus inizia a diffondersi direttamente tra le persone (periodo di allerta pandemica) e termina con una pandemia quando le infezioni del nuovo virus si sono diffuse in tutto il mondo (pandemia).
In previsione di una futura possibile pandemia influenzale, nel 1999 l’OMS ha pubblicato un documento guida sulla preparazione alle pandemie, aggiornato nel 2005 e nel febbraio 2009, che definisce le fasi e le azioni appropriate per ogni fase, in un promemoria intitolato “Descrizioni delle fasi della pandemia dell’OMS e principali azioni per fase”.[10]
La revisione del febbraio 2009 comprende le definizioni di pandemia e le fasi che portano alla sua dichiarazione.[11][12] Tutte le versioni di questo documento si riferiscono all’influenza. Le fasi sono definite in base alla diffusione della malattia; virulenza e letalità non erano prese in considerazione nella definizione dell’OMS, sebbene in passato lo fossero state.
Le fasi possono essere così definite:
Periodo Interpandemico
Fase 1: Nessun sottotipo di virus è stato riscontrato negli esseri umani. Un virus che ha causato influenza in qualcuno può essere presente negli animali. Se presente negli animali, il rischio di contagio per gli umani è considerato basso.
Fase 2: Nessun sottotipo di virus è stato riscontrato negli esseri umani. Tuttavia, un sottotipo di virus presente negli animali potrebbe essere potenzialmente pericoloso in caso di salto di specie.
Periodo di allerta pandemica
Fase 3: Infezioni di esseri umani con un nuovo sottotipo di virus, ma nessuna diffusione fra umani stessi, o al massimo soltanto rare istanze causate da stretto contatto.
Fase 4: Limitata trasmissione tra umano e umano ma la diffusione è altamente localizzata, il che suggerisce che il virus non è ancora adattato agli esseri umani.
Fase 5: Trasmissione da umano a umano ancora localizzata ma più semplice, il che suggerisce che il virus si sta adattando agli esseri umani, ma potrebbe non essere ancora pienamente trasmissibile (rischio sostanziale di pandemia).
Periodo Pandemico
Fase 6: Pandemia: trasmissione aumentata e continua fra la popolazione.
La guida del 2009 è stata revisionata nel 2013 con la guida “Gestione del rischio di influenza pandemica: guida intermedia dell’OMS”.[13]
Queste due guide sono state sostituite ed aggiornate dalla “Guida alla gestione del rischio di influenza pandemica” del maggio 2017, che pone come principali aggiornamenti l’allineamento alle altre politiche delle Nazioni Unite per la gestione delle crisi e delle emergenze, e l’inclusione dello sviluppo significativo, degli ultimi anni, delle strategie vaccinali durante l’inizio di una pandemia.[10][13]
In generale, secondo quanto dichiarato da Anthony Fauci, l’OMS evita di dichiarare “pandemie” le situazioni di salute pubblica che non sono pandemie influenzali.[4] Nel febbraio 2020, il portavoce dell’OMS Tarik Jasarevic ha affermato che «non esiste una categoria ufficiale» di pandemia: «L’OMS non utilizza il vecchio sistema di 6 fasi con cui alcune persone potrebbero avere avuto familiarità per il caso dell’H1N1 del 2009».[14]
A marzo 2020, a seguito della Pandemia di COVID-19 del 2019-2020, l’OMS dichiara che per la prima volta si assiste ad una pandemia da Coronavirus.[15]
Pandemie nella storia
La maggior parte dei virus che hanno causato pandemie sono zoonotici, ovvero originati da un contagio interspecie; due esempi tipici sono l’influenza e la tubercolosi. Fra le pandemie più catastrofiche si possono annoverare:
Febbre tifoide durante la guerra del Peloponneso, 430 a.C. La febbre tifoide uccise un quarto delle truppe di Atene ed un quarto della popolazione, nel giro di quattro anni. Questa malattia fiaccò la resistenza di Atene, ma la grande virulenza della malattia ha impedito un’ulteriore espansione, in quanto uccideva i suoi ospiti così velocemente da impedire la dispersione del bacillo. La causa esatta di questa epidemia non fu mai conosciuta. Nel gennaio 2006 alcuni ricercatori della Università di Atene hanno ritrovato, nei denti provenienti da una fossa comune sotto la città, presenza di tracce del batterio.
Peste antonina, 165-180. Una pandemia presumibilmente di vaiolo, portata dalle truppe di ritorno dalle province del Vicino Oriente, uccise cinque milioni di persone. Fra il 251 e il 266 si ebbe il picco di una seconda pandemia dello stesso virus; pare che a Roma in quel periodo morissero 5.000 persone al giorno.
Pandemie di peste:
Morbo di Giustiniano, a partire dal 541; fu la prima pandemia nota di peste bubbonica. Partendo dall’Egitto giunse fino a Costantinopoli; secondo lo storico bizantino Procopio, morì quasi la metà degli abitanti della città, a un ritmo di 10.000 vittime al giorno. La pandemia si estese nei territori circostanti, uccidendo complessivamente un quarto degli abitanti delle regioni del Mar Mediterraneo occidentale.
La Peste nera, a partire dal 1300. Ottocento anni dopo la strage di Costantinopoli, la peste bubbonica fece il suo ritorno dall’Asia in Europa. Nel 1346 fu portata in Europa orientale dai Tartari che assediavano la colonia genovese di Caffa (l’odierna Feodosia), e successivamente in Sicilia dai mercanti italiani provenienti dalla Crimea, diffondendosi in tutta Europa e uccidendo venti milioni di persone in sei anni (un terzo della popolazione totale del continente). Il ricercatore italo-americano Alexander F. More ha dimostrato con dati epidemiologici, glaciochimici e storici che i cinque anni della Peste Nera, con mortalità dal 40 al 60%, causarono una tale crisi economica che l’inquinamento dell’aria causato dal piombo raggiunse il minimo degli ultimi duemila anni.[16][17][18][19] Questo fenomeno si è ripetuto in maniera parziale durante l’epidemia di COVID-19.[20]
Il tifo, chiamato anche “febbre da accampamento” o “febbre navale” perché tendeva a diffondersi con maggiore rapidità in situazioni di guerra o in ambienti come navi e prigioni. Emerso già ai tempi delle Crociate, colpì per la prima volta l’Europa nel 1489, in Spagna. Durante i combattimenti a Granada, gli eserciti cristiani persero 3.000 uomini in battaglia e 20.000 per l’epidemia. Sempre per via del tifo, nel 1528 i francesi persero 18.000 uomini in Italia; altre 30.000 persone caddero nel 1542 durante i combattimenti nei Balcani. La grande armée di Napoleone fu decimata dal tifo in Russia nel 1811. Il tifo fu anche la causa di morte per moltissimi reclusi dei campi di concentramento nazisti durante la Seconda guerra mondiale.
Pandemie di colera:
1816-1826: precedentemente confinata all’India, la malattia si diffuse dal Bengala fino alla Cina e al Mar Caspio;
1829-1851: toccò l’Europa (Londra nel 1832), Canada, e Stati Uniti (costa del Pacifico);
1852-1860: principalmente diffusa in Russia, fece più di un milione di morti;
1863-1875: diffusa principalmente in Europa e Africa;
1899-1923: ebbe poco effetto sull’Europa grazie anche ai progressi nella salute pubblica; la Russia ne fu di nuovo colpita duramente;
1960-1966: l’epidemia chiamata El Tor colpì l’Indonesia, raggiunse il Bangladesh nel 1963, l’India nel 1964, e l’Unione Sovietica nel 1966.
Pandemie influenzali:
L’influenza spagnola, 1918-1919. Iniziò nell’agosto del 1918 in tre diversi luoghi: Brest, in Francia; Boston, nel Massachusetts; e Freetown in Sierra Leone. Si trattava di un ceppo di influenza particolarmente violenta e letale. La malattia si diffuse in tutto il mondo, uccidendo 50 milioni di persone. Sparì dopo 18 mesi.
L’influenza asiatica, 1957-1960. Rilevata per la prima volta in Cina nel febbraio del 1957, raggiunse in seguito l’Europa e gli Stati Uniti. Fece in tutto il mondo circa 2 milioni di morti. [21][22] Il ceppo era l’H2N2.
L’influenza di Hong Kong, 1968-1969. Il ceppo H3N2, emerso a Hong Kong nel 1968, raggiunse nello stesso anno gli Stati Uniti dove fece 34.000 vittime. Un virus H3N2 è ancora oggi in circolazione.
L’influenza A H1N1, 2009-2010. Detta anche “influenza suina” perché trasmessa da questo animale all’uomo. Il suo focolaio iniziale ha avuto origine in Messico, estendendosi poi in soli 2 mesi a quasi 80 Paesi. In Europa e Paesi limitrofi, al 31 agosto 2009 i casi accertati erano 46.016 e le morti accertate 104. Nel resto del mondo i casi di morte accertati furono 2.910[23]. Nel mese di agosto 2010 l’OMS ha dichiarato chiusa la fase pandemica. Attualmente il virus H1N1 si comporta similmente ad altri virus stagionali (cosiddetta fase post-pandemica)[24].
L’epidemia di HIV/AIDS, dal 1981. Si propagò in maniera esponenziale in tutti i Paesi del mondo, uccidendo circa tre milioni di persone (stime UNAIDS). Dal 1996 una terapia farmacologica blocca il decorso della sindrome immunodepressiva (per lo meno in quei Paesi in cui i malati possono accedere ai farmaci), ma non elimina il virus dai corpi degli individui; sebbene la malattia sia oggi cronicizzabile e raramente letale (nel mondo sviluppato), continua il suo contagio, legato a fattori comportamentali.
COVID-19, dal 2019. È una pandemia della malattia respiratoria COVID-19, causata dal coronavirus SARS-CoV-2, proveniente da Wuhan (Cina) e diffusasi rapidamente in tutto il resto del mondo nel 2020.[25] È la prima epidemia ad essere dichiarata pandemia dall’OMS dopo la pubblicazione delle linee guida del 2009. Al 27 giugno 2020, sono stati registrati circa 10 milioni di casi e oltre 500 mila morti.[26]
L’incontro fra gli esploratori europei e le popolazioni indigene di altre zone del mondo spesso fu causa di epidemie e pandemie violentissime. Il vaiolo uccise metà della popolazione di Hispaniola nel 1518, e seminò il terrore in Messico intorno al 1520, uccidendo 150.000 persone (incluso l’imperatore) solo a Tenochtitlán; lo stesso morbo colpì violentemente il Perù nel decennio successivo. Il morbillo fece altri due milioni di vittime tra i nativi messicani nel XVII secolo. Ancora fra il 1848 e il 1849, circa un terzo della popolazione nativa delle isole Hawaii morì di morbillo, pertosse e influenza.
Moltissime sono anche le epidemie di cui restano testimonianze storiche ma delle quali è impossibile identificare l’eziologia. Un esempio particolarmente impressionante è quello della cosiddetta malattia del sudore che colpì l’Inghilterra nel XVI secolo; più temibile della stessa peste bubbonica, questa malattia aveva un decorso esiziale rapidissimo.
Note
^ pandemia – Ganzanti Linguistica online, su garzantilinguistica.it.
^ pandemia – Sapere.it, Enciclopedia on-line De Agostini, su sapere.it.
^ pandemia in “Dizionario di Medicina” – Treccani, su treccani.it.
Jacqueline Howard CNN, What is a pandemic?, su CNN. URL consultato il 9 marzo 2020.
^ WHO | The classical definition of a pandemic is not elusive, su WHO. URL consultato il 7 aprile 2020.
^ (EN) Peter Doshi, The elusive definition of pandemic influenza, in Bulletin of the World Health Organization, vol. 89, 2011-07, pp. 532–538, DOI:10.2471/BLT.11.086173. URL consultato il 22 febbraio 2020.
^ WHO | The classical definition of a pandemic is not elusive, su WHO. URL consultato il 22 febbraio 2020.
^ Transcript of virtual press conference with Gregory Hartl, WHO Spokesperson for Epidemic and Pandemic Diseases, and Dr Keiji Fukuda, Assistant Director-General ad Interim for Health Security and Environment, World Health Organization (PDF), su Organizzazione Mondiale della Sanità.
^ (EN) U.N. Declines to Label COVID-19 as a Pandemic While Outbreaks Multiply, su Time. URL consultato il 9 marzo 2020.
WHO | Pandemic influenza preparedness and response, su WHO. URL consultato il 9 marzo 2020.
^ Wayback Machine (PDF), su web.archive.org, 13 maggio 2011. URL consultato il 9 marzo 2020 (archiviato dall’url originale il 13 maggio 2011).
^ Wayback Machine (PDF), su web.archive.org, 10 settembre 2011. URL consultato il 9 marzo 2020 (archiviato dall’url originale il 10 settembre 2011).
WHO | Pandemic Influenza Risk Management, su WHO. URL consultato il 9 marzo 2020.
^ (EN) WHO says it no longer uses ‘pandemic’ category, but virus still emergency, in Reuters, 24 febbraio 2020. URL consultato il 9 marzo 2020.
^ (EN) Coronavirus Disease (COVID-19) – events as they happen, su www.who.int. URL consultato l’11 marzo 2020 (archiviato dall’url originale l’11 marzo 2020).
^ (EN) Alexander F. More, Nicole E. Spaulding e Pascal Bohleber, Next-generation ice core technology reveals true minimum natural levels of lead (Pb) in the atmosphere: Insights from the Black Death, in GeoHealth, vol. 1, n. 4, 2017, pp. 211–219, DOI:10.1002/2017GH000064. URL consultato il 25 giugno 2020.
^ (EN) The Black Death helped reveal how long humans have polluted the planet, su Popular Science. URL consultato il 25 giugno 2020.
^ (EN) Erin Blakemore, Humans Polluted the Air Much Earlier Than Previously Thought, su Smithsonian Magazine. URL consultato il 25 giugno 2020.
^ (EN) Nicola Davis, ‘We have been poisoning ourselves’: has ice analysis revealed the truth about lead?, in The Guardian, 30 maggio 2017. URL consultato il 25 giugno 2020.
^ (EN) Coral Davenport, Pandemic’s Cleaner Air Could Reshape What We Know About the Atmosphere, in The New York Times, 25 giugno 2020. URL consultato il 25 giugno 2020.
^ Sito della BBC
^ GlobalSecurity.org
^ Copia archiviata (PDF), su ecdc.europa.eu. URL consultato il 9 novembre 2009 (archiviato dall’url originale il 23 novembre 2009).
^ (EN) Pandemic (H1N1) 2009, who.int. URL consultato il 23 febbraio 2020.
^ al 30 marzo 2020 la pandemia ha contagiato 781441 persone e ne ha uccise 37578 Coronavirus, l’Oms dichiara la pandemia – Salute & Benessere, su ANSA.it, 11 marzo 2020. URL consultato l’11 marzo 2020.
^ https://www.worldometers.info/coronavirus/
FONTE:https://it.wikipedia.org/wiki/Pandemia
PANORAMA INTERNAZIONALE
BAMBINI, LA RICREAZIONE È FINITA.
DOMBROVSKIS VALUTERÀ LA REINTRODUZIONE DEI VINCOLI DI BILANCIO IN AUTUNNO
Luglio 1, 2020 posted by Guido da Landriano
“In autunno valuteremo il ritorno del Patto Stabilità”. Queste le parole del vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, nel corso di una conferenza stampa a Bruxelles.
Questo scrive l’agenzia Vista ripresadal Corriere dell’Umbria.
Bambini, la ricreazione è finita !! Dovete tornare alla dura austerità di bilancio. GIUSEPPI IN ULTIMA FILA! Basta cazzeggiare, TORNA A SPREMERE GLI ITALIANI!!! Se no il preside Frau Merkel si arrabbia.
Seriamente, ma credete ancora alle sparate di Conte sulla ripresa? Questo autunno, Massimo la prossima primavera, torneremo ad essere spremuti come dei limoni.
FONTE:https://scenarieconomici.it/bambini-la-ricreazione-e-finita-dombrovskis-valutera-la-reintroduzione-dei-vincoli-di-bilancio-in-autunno/
POLITICA
Berlusconi nel governo? Ma per fare cosa?
2 LUGLIO 2020
VIDEO QUI:https://youtu.be/3-BOiBO3-TM
FONTE:https://www.nicolaporro.it/zuppa-di-porro/berlusconi-nel-governo-ma-per-fare-cosa/
La mitomania della solidarietà europea
di Alberto Bradanini*
La classe dirigente è una derivata dei poteri sovrastanti, non il riflesso del carattere di un popolo, come una sociologia di maniera ci ha fatto credere. La riflessione sui termini e rimedi della crisi italiana è coraggiosa e diversificata solo sui binari della rete esterni al mainstream dell’informazione, per il resto essa è banale e a senso unico. Al pubblico poco incline a far ricorso a un’ermeneutica alternativa o a sfidare sui libri la narrazione del pensiero unico (che si esprime sulle TV, i grandi giornali e una moltitudine di intellettuali/accademici organici) non è consentita una rappresentazione alternativa della scena politica, economica e sociale del Paese.
I pranzi gratis, come mostra l’esperienza, si servono solo in famiglia. L’Unione Europea, quella (de)formazione istituzionale che attende tuttora un’ammissibile definizione, è tutto tranne che una famiglia. L’Europa Federale non vedrà mai la luce. I trasferimenti di ricchezza da un paese ricco a uno bisognoso – principio fondativo di ogni nazione – non sono contemplati da alcun Trattato o documento politico apparso nei 65 anni che intercorrono tra la storica conferenza di Messina e i giorni nostri, non sono mai stati contemplati dai lungimiranti padri fondatori. Diversamente dagli auspici espressi in posizione genuflessa dalle anime euroinomani del Bel Paese, è insieme illegittimo e privo di logica aspettarsi dalla Germania (o dalle sue colonie nordiche, Austria, Olanda e via dicendo) qualche gesto di solidarietà nei riguardi dei paesi sofferenti (Italia, Spagna, Grecia…). Forse nell’animo degli adoratori della gabbia dell’euro alberga il miraggio che i paesi beneficiari, colti da improvvisi sensi di colpa o di pietà, aprano i cordoni della borsa. Anche questo non accadrà mai. Nessuno spalanca la finestra e getta al vento il portafogli pieno.
Evocare a ripetizione quel banale-fondamentale principio che tiene uniti popoli e territori, vale a dire tassare i ricchi per aiutare i poveri, prima di essere una provocazione è un nonsense politico. Se dovessero seguire quella strada, i governi dei paesi nordici, proni alle élite liberiste saccheggiatrici di popoli sprovveduti, sarebbero costretti alle immediate dimissioni per evitare la lapidazione sulla pubblica piazza con l’accusa di voler trasferire risorse nazionali, poniamo, da Amburgo a Catanzaro o da Utrecht a Palermo.
I rapporti tra stati sono dominati dalla cruda legge dell’interesse, e il loro esplicarsi dipende dai rapporti di forza. Talvolta, certamente, le debolezze sono solo apparenti (com’è il caso dell’Italia di oggi), ma in tal caso a questi dirigenti sono richiesti coraggio e competenza (come non è il caso nell’Italia di oggi) per sfruttarne il potenziale.
L’economia italiana viveva una crisi profonda anche prima dell’esplosione della pandemia. Ora, con l’aggravarsi del quadro socioeconomico, le previsioni preannunciano tempesta. Il governo tace sulle condizioni reali del Paese per convenienza o insipienza, preferendo la prosa di una fiaba per bambini, non disponendo di adeguata cultura politica, coraggio etico e conoscenze per gestire gli aggravamenti in arrivo.
Nessuna presunta solidarietà europea farà da principio-guida quando l’Italia nei prossimi mesi dovrà affrontare una drammatica crisi di liquidità, che richiederà pesanti tagli alla spesa pubblica, ai servizi sociali e alle pensioni, aumento delle imposte, una possibile patrimoniale e un’ulteriore svendita del patrimonio collettivo. E la ragione è persino banale: il popolo europeo non esiste. Sono assenti tra i paesi Ue le qualità fondative di una nazione degna di questo nome, qualità riassumibili nella condivisione di sentimenti, lingua, battaglie, sofferenze, sensibilità e persino umanità, la cui genesi è rintracciabile nei fiumi carsici della storia. Si tratta di caratteristiche non improvvisabili, che non si possono far balenare a tavolino a fini strumentali. I cosiddetti aiuti europei (Sure per disoccupati, finanziamenti della Banca Europea per gli Investimenti, Fondi di Ricostruzione, Mes) non saranno altro che prestiti-debiti o una partita di giro: nuove imposte a nostro carico per raccogliere risorse, con un ipotetico minimo vantaggio sui tassi, utilizzabili alle condizioni imposte dall’oligarchia tedesco-centrica che punta ora al saccheggio dei risparmi privati e alle imprese sopravvissute alla deindustrializzazione degli ultimi 12 anni (-25%), dopo la stasi del decennio precedente.
Una volta depennato con un tratto di penna il nulla informativo proveniente dalla narrazione di mainstream, l’Italia, se non andrà peggio e a fronte di pesanti condizioni legali o politiche, dovrebbe ricavarne un beneficio annuale di 1,5 miliardi per un periodo di dieci anni (ma se si considerano le ripercussioni negative sul mercato dei BPT e le retrocessioni alla Banca d’Italia dei BPT oggi acquistati dalla Bce, questo valore si riduce ulteriormente), da utilizzare per interventi selezionati dai padroni nordeuropei e funzionali ai loro interessi. Ancora una volta, la montagna europea partorisce un minuscolo roditore, mentre la devastazione sociale si allarga sempre più, così come il divario tra paesi dominanti e paesi sotto protettorato, in drammatico declino.
Secondo il bizzarro giudizio dei difensori degli interessi italiani in Europa, (commissario italiano, presidente italiano dell’europarlamento, altri funzionari italiani nascosti dietro il sipario …) e di primi ministri e ministri improvvisati si tratterebbe di una svolta storica, mentre è chiaro come il sole che l’eurozona sta distruggendo il benessere e la stabilità sociale che il nostro Paese aveva acquisito ai tempi della gloriosa lira. Diversamente dalla quotidiana narrativa impostaci a rete unificate, la solidità della nostra vecchia moneta, riflesso di un’economia altrettanto solida, aveva reso l’Italia (nel 1990) la quinta potenza economica e la quarta manifattura al mondo. Oggi il cane viene menato per l’aia, mentre la politica del briciolismo (le misere, umilianti e ipotetiche elargizioni della cosiddetta Unione) viene perseguita da un ceto politico ottenebrato e venduta a un popolo dopato dalle falsità. A fronte di un debito pubblico che al 31 dicembre 2019 era di 2409 miliardi di euro (134,8% del Pil) e che a fine 2020 supererà il 180% di un Pil nel frattempo precipitato almeno del 10/12%, una manciata di miliardi, per di più pesantemente condizionati, fanno di tutta evidenza una differenza minima. Essi hanno però una forte valenza politica di accettazione dello stato di minoranza e sostengono l’impalcatura della mistificazione di un Paese privo di speranza, spingendolo verso il baratro della colonizzazione definitiva.
Di fronte a un quadro di tale gravità, l’immobilismo sistemico del governo – le apparenze non devono ingannarci – è da irresponsabili. Sui futuri manuali di storia gli odierni dirigenti saranno dipinti per quello che valgono, decisamente poco.
Eppure, lungo sarebbe l’elenco di quanto si potrebbe fare per aggredire la scena e impedire il crepuscolo del Paese. Nell’assunto che l’uscita dell’Italia dalla moneta comune sarebbe traumatica – economisti e accademici, salvo lodevoli eccezioni, rifuggono tuttavia da analisi serie in proposito, perché figli dell’etica liberista del there is no alternative – e poiché persino i paesi predatori potrebbero un giorno ritenere conveniente tale destino, l’Italia, oltre ad aver elaborato con discrezione le linee-guida del noto piano B, dovrebbe agire, subito, su ambiti immediatamente praticabili.
E a tale riguardo, numerose sono le azioni che, con l’ausilio di menti pensanti alternative e di personalità internazionali, potrebbero essere attuate, ma che singolarmente – nel torpore dei grandi media e della cosiddetta intellighenzia – ricevono pochissima o nessuna attenzione, tra cui: a) istituzione di una o più banche pubbliche, per nazionalizzare il debito e acquisire i finanziamenti Bce che oggi non raggiungono né l’economia reale né il governo, per di più – come fanno tedeschi e francesi – guadagnando sul differenziale dei tassi di interesse, almeno fintantoché tale espediente verrà consentito (il 5 agosto infatti scade l’ultimatum della Corte Costituzionale Tedesca, che diversamente dalla nostra ha conservato il diritto a salvaguardare gli interessi nazionali della Germania); b) emissione di CCF, certificati di compensazione/credito fiscale, consentiti dalle normativa Ue e persino ben visti dalla Bce; c) emissione di statonote a corso legale solo in Italia, consentite dall’art 128 del TFUE, anche se non ben visti dalla Bce, ma pace!; d) formale dichiarazione che le politiche di stampo ciclico, vale a dire tagli alla spesa pubblica, imposte per decenni dalla Commissione tedesco-diretta saranno respinte al mittente (e se questo viola qualche patto di stabilità o fiscal compact, ancora pace!), essendo ormai incontrovertibile che esse distruggono ricchezza, ostacolano la crescita e accrescono il rapporto debito/Pil; e) formale smentita che la fiaba infantile del cosiddetto Next Generation Plan della Commissione da 750 miliardi (o forse 500, o chissà quanti!), ammesso che Austria, Danimarca, Olanda e altri, non si mettano, per conto di Berlino, di traverso – sia la chiave di volta. Tempi di erogazione, consistenza e modalità di utilizzo mostrano plasticamente che si tratta di un’indisponente mistificazione; f) presa di distanza dal Meccanismo Europeo di (de-) Stabilità, uno strumento di dilatazione della finanza privata, attivabile solo (a statuto vigente) a determinate, devastanti condizioni.
L’Italia non può attendere le calende elleniche per disporre di risorse necessarie alla sopravvivenza. La moneta (fiat, vale a dire resa legale per decreto) non è più una risorsa scarsa da quando (nel 1971) il presidente Nixon ha disancorato il dollaro dall’oro, esso sì disponibile in quantità limitate, al quale le altre valute erano indirettamente collegate. Da allora, la moneta è garantita dalle banche centrali e dagli stati cui fanno riferimento, e dunque viene può essere creata in quantità potenzialmente illimitata e a costo zero. La Bce potrebbe emettere tutta la moneta che desidera per sostenere le economie dei paesi che utilizzano l’euro, senza penalizzare nessuno, facendo unicamente attenzione a non generare inflazione, un fantasma questo oggi irreperibile e che, se mai si materializzasse, produrrebbe invero ingenti benefici, facendo crescere l’economia e riducendo il debito, come noto denominato in termini nominali. Solo il sonno della ragione – che genera notoriamente mostri – riesce forse a spiegare come il Paese si sia assuefatto all’intelaiatura euronica distorsiva e ormai fuori da ogni logica ammissibile, mentre le oligarchie sovranazionaliste dei paesi nordici consolidano un arricchimento senza limiti e il predominio politico.
Il quadro è noto alle menti non assonnate, ma repetita iuvant. La casa comune europea è un capitolo della letteratura di fantascienza imposta dal liberismo euro-mondialista con la complicità di quello domestico. Quell’animale mitologico chiamato Unione Europea, un corpus istituzionale tecnocratico, non-democratico, costruito per di più senza un meditato consenso dei popoli del continente, ha prodotto aberrazioni distruttive di benessere, inaridendo la qualità della vita, aggravando l’instabilità sociale e il degrado culturale, e non solo nei paesi gregari e (de-)governati come l’Italia.
Se la dirigenza del Paese non possiede le qualità per progettare una via d’uscita, per individuare un percorso che eviti la decomposizione del Paese, a partire dalla sua uscita dal novero delle nazioni avanzate, occorre una mobilitazione degli animi migliori del Paese, per individuare la strada verso la resurrezione, partendo dalla comprensione delle ragioni che ci hanno condotto sin qui. Ed è ciò che faremo nella prossima occasione di riflessione.
*Alberto Bradanini è un ex-diplomatico. Tra i diversi incarichi ricoperti, è stato Ambasciatore d’Italia a Teheran (2008-2012) e a Pechino (2013-2015). È attualmente Presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea.
FONTE:https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_mitomania_della_solidariet_europea/5871_35848/?fbclid=IwAR34HLft2tGSPs5itQS_tyi9d-Jq9yVG-0mIWcr1vHPwsxjpMsYS_-9wNUU
SCIENZE TECNOLOGIE
LA MEDICINA INTELLIGENTE DEL DR MASSIMO CITRO
DURE CRITICHE ALLA MEDICINA DELLA FRETTA E ALLA MEDICINA FRAUDOLENTA
Dopo la straordinaria esposizione del dr Massimo Citro sulla emergenza Covid, mi sono incuriosito e ho voluto approfondire, scoprendo altre cose interessanti sulla sua Medicina Intelligente che si contrappone alla Medicina della Fretta e alla Medicina Fraudolenta tipica degli spot televisivi. Alcuni punti sintetici meritano davvero di essere citati.
LE INTOLLERANZE NON SONO FRUTTO DI FANTASIA
La Medicina Intelligente presuppone l’esistenza di una medicina intontita e fallimentare, di una medicina che non fa il suo dovere e che è la rovina di se stessa, una medicina asservita all’industria farmaceutica, una medicina che ha la mania del protocollo. Purtroppo le intolleranze alimentari non sono una invenzione da New Age ma esistono. Non so per quale motivo, ma ho osservato che se gli allergologhi tolgono dalla dieta latticini, formaggi, focaccia e birra i pazienti guariscono o migliorano. Punto.
NELLE INFIAMMAZIONI E NELLE INFLUENZE STAGIONALI IL FUOCO SI SPEGNE DA SOLO
Citro muove pesanti accuse a chi spinge in continuazione la gente a temere la febbre e l’influenza e il mal di gola. Febbre che non va mai soppressa nei casi ora citati, salvo che non ci sia di mezzo un’infezione da endocardite o una polmonite o situazioni di reale emergenza. Per risolvere le anomalie stagionali basta mettersi a letto, digiunare e lasciar lavorare il corpo. Non è affatto il caso di buttare sul fuoco un secchio d’acqua farmacologico che fa da anti-infiammatorio. Assai meglio sarebbe capire che tipo e che quantità di combustibile stiamo usando. Basta tirare via della legna in eccesso e il fuoco si spegne da solo, per cui non c’è bisogno di altro. Se uno cerca il vero, il vero è questo. Questo è il tipo di ricerca che si fa in Medicina Naturale.
STORICA POLEMICA TRA LOUIS PASTEUR E CLAUDE BERNARD
Le milieu intérieur est tout, affermava Claude Bernard, in aspra polemica con Louis Pasteur, per dire che il terreno corporale è tutto e il microbo niente, per cui occorre curare e depurare l’organismo anziché silenziare sintomi e sopprimere microrganismi. In effetti è proprio il terreno che c’entra con le malattie, era vero allora come lo è adesso. Pasteur era un tipo orgoglioso e mantenne le sue posizioni sbagliate per decenni. Ma alla fine, sul letto di morte ammise ai medici che lo assistevano che aveva ragione Claude Bernard. Purtroppo la medicina attuale ha sposato in pieno le teorie mediocri e superficiali di Pasteur, quelle che demonizzavano i microrganismi e che comodavano all’industria di farmaci e vaccini, tradendo l’impostazione avanzata e illuminante di Claude Bernard ed anche il ravvedimento tardivo dello stesso Pasteur.
SIAMO NOI I CREATORI DEL NOSTRO STATO DI SALUTE
Da qui nascono tutte le nostre false credenze e le nostre illusorie aspettative, la nostra carenza di responsabilità rispetto alle patologie. Non ci rendiamo conto che occorre pensare a cosa mangiamo, beviamo, respiriamo e pensiamo. Dobbiamo individuare cosa ci dice l’organismo. Se le cose non quadrano si fa sentire e si accende la spia rossa. Se abbiamo un sintomo, non è quella la malattia ma quanto sta dietro ad essa. Quanto più un organismo è intossicato e tanto più ritardata e lenta è la risposta. Si addormenta tutto, anche i sensori.
CINQUE SINTOMI DI INTOLLERANZA
Come fa l’organismo a dirci che questo cibo, questa sostanza è un veleno per noi? Non ci può certo inviare un fax o una mail, ma ci manda un sintomo. Se l’organismo è puro come nei bambini reagisce subito e c’è la crosta lattea, la febbre e la gastroenterite. Ci sono 5 sintomi che sono stati classificati come costanti nelle intolleranze e che vanno comunque testati e sono:
- Astenia, cioè stanchezza infinita e continuata da mattino a sera
- Variazioni ingiustificate di peso
- Gonfiori addominali, edemi, ritenzione idrica e stitichezza
- Tachicardia, aritmia, extrasistole non giustificate da problemi cardiaci pregressi
- Ipersudorazione e disidratazione.
I CASI DI ADOLF HITLER E DI ERNESTO CHE GUEVARA
Cito qui -continua Citro- due noti personaggi storici che avevano intolleranze pazzesche. Uno è Ernesto Che Guevara che soffriva d’asma. Il Che aveva forti crisi d’asma notturna a seguito dei formaggi che gli venivano offerti dai contadini locali nei suoi trasferimenti da guerrigliero nelle montagne di Cuba e dintorni. Hitler rappresenta la colite più importante della storia e fu tormentato a vita da questa condizione. Un meteorismo spaventoso e perenne che lo imbarazzava non poco, mettendo a repentaglio i suoi incontri pubblici.
UN DITTATORE TORMENTATO DIVENTA TEMIBILE
Oltre a questo c’erano i mali di testa, insonnia ed eczemi che gli impedivano persino di calzare gli stivali. Hitler cercava di fare a tratti il vegetariano, ma era ghiotto di gelati e dolci austriaci carichi di latte e non ne veniva a capo, finché un certo dr Theodor Movel gli diede dei probiotici e delle vitamine, risolvendo in parte i suoi problemi e diventando il suo medico personale fino al termine della sua vita. L’avessimo curato prima avremmo forse risparmiato milioni di morti, un olocausto e una guerra mondiale.
VISTA E UDITO PARTICOLARMENTE VULNERABILI
Le patologie correlate alle intolleranze riguardano la vista e le congiuntiviti, sotto l’egida in primis del fegato e in secundis dell’intestino. Riguardano pure l’udito, pruriti, eczemi, sordità, ronzii, vertigini, epilessia, artrite reumatoide, tiroiditi e fibromialgia, praticamente tutto.
LINFATISMO FENOMENO COMUNE FRA GLI ADOLOSCENTI
Bimbi linfatici, pieni di ghiandole infiammate, magri, astenici, soggetti a mal di gola, a stipsi, a sinusiti, ad asportazione tonsille-adenoidi, soggetti ad infezioni al cuore ai reni, al fegato e tutto quel marasma lì. Il tutto da intolleranze alimentari. Quanto dico è confermato da 30 anni di esperienze mie e di migliaia di colleghi. Sono pronto a confrontarmi con chiunque.
ESPERIENZE TRAUMATICHE DEL PASSATO
Questi bambini potrebbero essere curati subito riconoscendo le loro intolleranze. Mi ricordo il calvario che ho vissuto nell’adolescenza senza che nessuno riuscisse a capire perché avessi mal di gola, mal di testa, due interventi alle tonsille, cure di penicillina, stavo sempre male, portato da specialisti vari. Signora, il suo bimbo ha la faringite cronica, che per me suonava come se dovessi morire dopo qualche giorno. Sarebbe bastato solo fare un test accurato.
LE ALLERGIE DANNO EFFETTI ISTANTANEI
Vanno evidenziate le differenze tra allergia e intolleranza. L’allergia implica reazioni immediate che accadono immediatamente dopo l’ingestione dell’alimento critico. L’allergia viene mediata da cellule immunitarie come basofili, neutrofili ed eosinofili, oltre che da immunoglobuline, gli anticorpi che spesso agiscono in modo esasperante nei confronti di certe molecole. Tutte cose misurabili mediante test di laboratorio.
LE INTOLLERANZE VANNO RIFERITE ALLE SOSTANZE PROTEICHE
L’intolleranza è un’altra cosa. Non c’è rapporto causa-effetto immediato e pertanto non si riesce a vedere la correlazione, non è mediata da cellule immunitarie e immunoglobuline. Cos’è allora? L’intolleranza si può definire come incapacità parziale o totale di metabolizzare una determinata proteina. Le intolleranze riguardano le proteine, per cui tali sostanze vengono buttate lì, accumulate, il corpo non riesce a lavorarle e diventano materiale spazzatura, residui tossici o tossine in putrefazione. Fin che l’organismo le accumula può anche non avere alcun sintomo. C’è chi ha la capacità di accumulare per 30-40 anni, pur avendo una intolleranza ignorata fin dalla nascita. Dipende dalla costituzione del singolo e da altri fattori.
LE TOSSINE SI DEPOSITANO NEI VASI LINFATICI
Dove si accumulano le tossine? Soprattutto nei vasi linfatici. Ecco spuntare il famoso linfatismo. Le tossine ce le creiamo noi all’interno, e se ne stanno rintanate nei linfonodi ingrossati. Se poi andiamo ad intasare pure gli spazietti infinitesimali tra le varie cellule, che formano il tessuto unico e più grande che abbiamo, chiamato matrice extra-cellulare da cui arriva nutrimento e ossigeno, compromettiamo il tutto, per cui diventa difficile nutrire ed ossigenare le cellule. Se la linfa si intasa, se i mesenchimi si intasano le cellule continuano a buttar fuori robaccia e cominciano a sbuffare, non respirano più.
INSORGENZA DELLE INCAPSULAZIONI DETTE TUMORI
L’organismo dice che così non si può andare avanti. O portiamo via la spazzatura o la bruciamo. La soluzione arriva creando e sviluppando i tumori che sono vere e proprie incapsulazioni di veleni e di spazzature. Ed è qui che scatta il grande scontro tra Medicina Naturale e Medicina Convenzionale. L’organismo accende un fuoco, una infiammazione locale chiamata gastrite o colite o altro. Oppure fa un grande falò generale con un rialzo di temperatura. Tutti noi bruciamo in continuazione del carburante anche a 37°C e dintorni, è fisiologico. Ma se devo bruciare spazzatura eccedente porto la temperatura a 38-39°C e non devo esagerare col fuoco.
SPEGNERE LE INFIAMMAZIONI CON TERAPIA SHOCK O TOGLIENDO LA LEGNA DAL FUOCO?
Di fronte a un fuoco che brucia, localizzato o generale, cosa fa la Medicina? La Medicina Chimica, o la Medicina della Fretta, butta dell’acqua e spegne il tutto in 3 giorni, con qualche fumo e qualche puzza di bruciato. Paziente contento. Passato il mal di gola. Ma che bravo quel medico lì. Ma come sappiamo le cose non vanno mai lisce come sembra.
LE INTOLLERANZE VANNO RIFERITE ALLE SOSTANZE PROTEICHE
L’intolleranza è un’altra cosa. Non c’è rapporto causa-effetto immediato e pertanto non si riesce a vedere la correlazione, non è mediata da cellule immunitarie e immunoglobuline. Cos’è allora? L’intolleranza si può definire come incapacità parziale o totale di metabolizzare una determinata proteina. Le intolleranze riguardano le proteine, per cui tali sostanze vengono buttate lì, accumulate, il corpo non riesce a lavorarle e diventano materiale spazzatura, residui tossici o tossine in putrefazione. Fin che l’organismo le accumula può anche non avere alcun sintomo. C’è chi ha la capacità di accumulare per 30-40 anni, pur avendo una intolleranza ignorata fin dalla nascita. Dipende dalla costituzione del singolo e da altri fattori.
LE TOSSINE SI DEPOSITANO NEI VASI LINFATICI
Dove si accumulano le tossine? Soprattutto nei vasi linfatici. Ecco spuntare il famoso linfatismo. Le tossine ce le creiamo noi all’interno, e se ne stanno rintanate nei linfonodi ingrossati. Se poi andiamo ad intasare pure gli spazietti infinitesimali tra le varie cellule, che formano il tessuto unico e più grande che abbiamo, chiamato matrice extra-cellulare da cui arriva nutrimento e ossigeno, compromettiamo il tutto, per cui diventa difficile nutrire ed ossigenare le cellule. Se la linfa si intasa, se i mesenchimi si intasano le cellule continuano a buttar fuori robaccia e cominciano a sbuffare, non respirano più.
INSORGENZA DELLE INCAPSULAZIONI DETTE TUMORI
L’organismo dice che così non si può andare avanti. O portiamo via la spazzatura o la bruciamo. La soluzione arriva creando e sviluppando i tumori che sono vere e proprie incapsulazioni di veleni e di spazzature. Ed è qui che scatta il grande scontro tra Medicina Naturale e Medicina Convenzionale. L’organismo accende un fuoco, una infiammazione locale chiamata gastrite o colite o altro. Oppure fa un grande falò generale con un rialzo di temperatura. Tutti noi bruciamo in continuazione del carburante anche a 37°C e dintorni, è fisiologico. Ma se devo bruciare spazzatura eccedente porto la temperatura a 38-39°C e non devo esagerare col fuoco.
SPEGNERE LE INFIAMMAZIONI CON TERAPIA SHOCK O TOGLIENDO LA LEGNA DAL FUOCO?
Di fronte a un fuoco che brucia, localizzato o generale, cosa fa la Medicina? La Medicina Chimica, o la Medicina della Fretta, butta dell’acqua e spegne il tutto in 3 giorni, con qualche fumo e qualche puzza di bruciato. Paziente contento. Passato il mal di gola. Ma che bravo quel medico lì. Ma come sappiamo le cose non vanno mai lisce come sembra.
STORIA
Documenti inediti del governo Tedesco sulla distruzione della Serbia
e sui piani “Euro-atlantici” nei Balcani, a cura di E. Vigna e R.Veljovic
10 LUGLIO 2019
La redazione MIG ha il piacere di ospitare sul suo portale il Forum Belgrado Italia e i collaboratori del Centro Iniziative Verità e Giustizia (CIVG), che in questi anni hanno fornito prezioso aiuto informativo e un grande aiuto umanitario (vero) ai popoli aggrediti dalla macchina bellica occidentale, dalla Jugoslavia\Kosovo, al Donbass e per finire alla Siria.
Questa importantissima documentazione di fonte pienamente DOC ( in senso di occidentale), che abbiamo tradotto e completato, conferma tragicamente quanto detto, ribadito, documentato, da tutti coloro che, senza riserve e tentennamenti, si schierarono da subito contro la “guerra umanitaria” verso la RF Jugoslava, identificandola come una guerra assolutamente di aggressione, con intenti e obiettivi geopolitici e geostrategici, altro che diritti, democrazia, libertà.
Purtroppo questo non fu compreso o molti non vollero capirlo per motivi del “politicamente corretto”, anche grazie al ruolo fondamentale dei “distrazionisti o disturbatori” di professione, ben stipendiati e funzionali alle potenze occidentali, in ogni caso per il movimento della pace italiano e europeo, questa “incomprensione”, segnò l’inizio della fine di un movimento della pace vero e svincolato da logiche istituzionali o partitiche.
In questi venti anni ed oggi, di fronte alle aggressioni ormai continue e criminali contro paesi e popoli semplicemente indipendenti e sovrani ( dall’Afghanistan al Sudan, dalla Libia al Donbass, dalla Siria allo Yemen, da Gaza a al Venezuela…), ne vediamo i risultati. La più assoluta assenza (tranne forze assolutamente minoritarie e purtroppo ininfluenti sulle politiche governative dei propri paesi), di un movimento di concreta e chiara opposizione alle politiche di guerra e capace di far schierare pezzi di società civile e i lavoratori contro le politiche di guerra, estranee e contrapposte ai propri interessi, oltrechè antitetiche.
Nel frattempo i popoli aggrediti vivono in condizioni devastate e spaventose, ma questo importa a pochi nel nostro paese…Ma il loro “nuovo” laboratorio di dominio del mondo, adeguato ai tempi dei “diritti umani”, delle “rivoluzioni colorate”, delle “ingerenze umanitarie”, della “responsabilità a proteggere”, delle “libertà civili”, e via elencando, ebbe il primo esperimento reale in terra jugoslava e serba, oggi è ormai acquisito e utilizzato globalmente. (Enrico Vigna)
Verso fine di aprile 2000 il deputato tedesco Willy Wimmer si recò alla conferenza “NATO” di Bratislava nella capitale della Slovacchia. All’organizzazione della conferenza parteciparono il Dipartimento di Stato USA e l’Istituto di politica estera del Partito Repubblicano.
Il tema era la “strategia euroatlantica” e sull’allargamento della NATO nei Balcani. Erano presenti i più alti funzionari dei paesi NATO (primi ministri, ministri della difesa, degli affari esteri), come pure membri delle elite dei poteri forti: Gruppo Bilderberg, Istituto Carnegie, “Foreign Council” d’America ecc.
Fu anche notata la presenza di un eminente intellettuale albanese e separatista di Pristina, “magnate dei media kosovari” e (in quell’epoca) membro del gruppo Bilderberg (1), Veton Suroi!
Dopo la fine della conferenza, il 2 maggio 2000, il vicepresidente di allora del parlamento europeo e deputato del Bundestag Willy Wimmer scrisse una lettera aperta al cancelliere tedesco Gerhard Schroder in cui lo avvertiva di intenzioni “criminali” dei partecipanti dell’incontro di cui sopra verso la R.F Jugoslavia e il popolo Serbo, cioè dei piani dei leader NATO di “spezzare” e “di fatto” rendere inabile la Serbia di funzionare da stato sovrano e indipendente nei Balcani. Tale posizione l’ha spiegata nei seguenti 11 punti:
Gli argomenti principali che si sono trasformati nella “direzione di realizzazione” di questi creatori del Nuovo Ordine Europeo erano:
1. Per i partecipanti alla Conferenza la priorità era riconoscere la provincia autonoma serba del Kosovo Metohija come uno stato indipendente albanese “kosovaro”, sottolineando di effettuarlo nel tempo più breve possibile. Altresì è stato sottolineato che il nuovo “Stato Kosovo” doveva essere circondato dalla NATO, il che voleva automaticamente sancire lo status di sottomissione alla NATO!
Gli euro atlantisti sapevano che l’unico modo di poter realizzare questo era di portare la Serbia ed il resto del “mondo di buona volontà” davanti al fatto compiuto, dal momento che questo sporco affare era portato avanti contro tutte le norme legali internazionali e morali.
Naturalmente, questo è stato fatto sapendo che in Serbia, nel periodo dopo la caduta (ovvero il colpo di stato delle spie occidentali e il complotto della quinta colonna contro il presidente Milosevic (7)), era al governo una “élite politica” filo occidentale e sottomessa, senza la cui collaborazione non era possibile proclamare lo stato illegale albanese nell’ambito di uno stato serbo riconosciuto al livello internazionale!
2. In contrato con le norme legali e le convenzioni internazionali i partecipanti a questa conferenza euro atlantica hanno proclamato la R.F Jugoslava uno stato illegale, violando consapevolmente l’Atto di Helsinki (4) sulla inviolabilità dei confini statali.
3. Poi, gli euro atlantisti stessi ammisero durante la conferenza che l’ostacolo maggiore nella realizzazione di tale infida intenzione (l’uscita del Kosovo fuori dallo stato serbo) era l’attuale ordine giuridico in Europa, che non permetteva di trasformare tale decisione in un atto legale. Per cui presero la decisione (nel cuore d’Europa), nel caso specifico della Serbia e della sua regione del Kosovo Metohija di applicare il sistema legale americano (un sistema legale da “cowboy”) che contiene parecchi “buchi legali” utili per una cosa del genere.
Qui parliamo di una grave violazione del diritto internazionale e delle convenzioni europee. Per tali violazioni nel passato iniziavano delle guerre mondiali (nota dell’autore).
4. La cosa più sconvolgente, che pure ribadisce il carattere criminale della NATO, è la posizione pubblicamente espressa durante la conferenza (secondo il deputato Wimmer), che la guerra NATO contro la R.F. Jugoslava nel 1999, non era ‘’umanitaria’’ come era falsamente presentata all’opinione pubblica tramite RACAK (8) ed altri ‘’incidenti gravi’’ (attribuiti ai serbi), ma per correggere ‘’l’errore’’ del generale Eisenhower (5) che aveva ‘’omesso’’ di occupare militarmente per sempre la Jugoslavia alla fine della seconda guerra mondiale nel 1945. Ed in tal modo impedire presenza sovietica nei Balcani.
L’autore di queste righe durante le indagini ha scoperto parecchie informazioni credibili che confermano tali affermazioni.
Nel libro di Aleksandar Vojinovic ‘’Il crimine sfuggiva all’occidente’’ (1) (1987) è documentata la collaborazione del comando degli alleati occidentali a Bari con Ante Pavelic, al quale era stato offerto di prendere posizione contro i tedeschi per poi dimettersi volontariamente, garantendo una amnistia a lui e ai suoi criminali ustascia e di lasciare il governo in Croazia al Partito Contadino croato ed ai Domobrani (la Hrvatsko domobranstvo, la Guardia Interna Croata che faceva parte delle forze armate dello Stato Indipendente di Croazia durante la seconda guerra mondiale), per garantire così una continuità con il NDH (Stato Indipendente Croato) e la divisione della Jugoslavia secondo il principio di Germania Est e Ovest.
In tale fase questo piano era supportato attivamente anche dagli inglesi. Per i contatti tra Pavelic e comando dell’Alleanza era incaricato il famoso pittore croato Ivan Mestrovic che a tale scopo era volato più volte in aerei ustascia da Vis a Bari. Queste trattative fallirono perché Pavelic si rifiutò di rivoltarsi contro i suoi padroni tedeschi.
Però in ogni modo, più impressionante di tutto è il documento che rimuove ogni dilemma circa il perché la NATO ha cominciato guerra contro l’intera nazione serba nei Balcani, non solo contro lo stato serbo, è la ‘’Direttiva NSDD 133 (5,9) del presidente d’America’’ firmata da Ronald Reagan nel 1984, dopo un summit con Margaret Thatcher in presenza di Zbigniew Brzezinski, consigliere del presidente USA per la sicurezza militare (massimo odiatore dei russi) e più grande criminale di guerra di tutti tempi (architetto di tutte le guerre Americane e di tutti i colpi di stato illegali nella seconda metà del ventesimo secolo), il segretario di stato statunitense Henry Kissinger.
Furono loro che allora adottarono il concetto di “costituzione permanente della presenza militare americana” in Jugoslavia e della “anti-serbizzazione dei Balcani”.
Naturalmente tutti questi piani sono stati successivamente confermati durante incontri segreti del presidente americano Clinton e il cancelliere tedesco Genscher nel 1997 e nel 1998, quando adottarono il piano “Radici” (12), con l’obiettivo di preparare militarmente lo sgretolamento della R.F. Jugoslava, accentuando provocazioni nelle divisioni etniche, per la guerra civile, particolarmente con gli albanesi in Kosovo; in altre parole erano supportati tutti quelli che si resero disponibili a combattere contro i serbi. Tutti noi abbiamo e avuto l’occasione di vedere dal vivo l’applicazione pratica di questo piano. Il piano “Radici” fu presentato in pubblico dal Partito Socialdemocratico tedesco al Bundestag il 7 Aprile 1999. (12) e fu trasmesso alla televisione ZDF (10, 12).
Qui bisogna anche descrivere l’operazione speciale segreta “Link” del Dipartimento di Stato USA firmata da Bill Clinton in persona nel 1998, che ha dato il via alla collaborazione dei servizi segreti e militari statunitensi con Al Qaeda e con i governi musulmani estremisti allo scopo di reclutare, istruire e portare terroristi mujaheddin in Bosnia ed in Kosovo per effettuare la pulizia etnica del territorio serbo e per garantire la presenza futura della NATO in questi territori. Questo piano è stato pubblicato dal New York Times il 4.maggio 1999. (11)
I due punti d’entrata principali nei Balcani per questi terroristi islamici (che hanno combattuto contro i serbi assieme alla CIA e al SAS) erano il porto dell’Adriatico Ploce e Durazzo. Tutto questo è disponibile per l’opinione pubblica nell’archivio del Comitato repubblicano del Congresso americano. Queste “operazioni’’ dei servizi occidentali sono confermate anche da parte di altri importanti media occidentali come la stazione televisiva americana TBS e “Jane’s Defense Weekly” (12), report del 20 aprile 1999.
5. Secondo Wimmer al congresso è stato pubblicamente ammesso che i paesi NATO sono coscientemente entrati in guerra contro la R.F. Jugoslava per applicare (e mettere in prova) un nuovo “concetto strategico della NATO” dell’aprile 1999 (di fatto per impedire la dissoluzione dell’Alleanza NATO), dopo che era fallito il mandato ONU e OSCE per questa azione criminale e illegale!
6. Nella lettera a Schroeder, Wimmer poi ribadisce che è evidente che la guerra illegale della NATO contro lo stato sovrano della R.F. Jugoslavia, quando la NATO è per la prima volta intervenuta oltre i confini dell’Alleanza, non era, come ribadiscono i suoi creatori, un’eccezione a causa delle circostanze speciali, ma aveva come obiettivo essere un banco di prova, un caso senza precedenti, al quale la NATO successivamente avrebbe fatto riferimento a seconda delle necessità.
Naturalmente non è passato molto tempo per vedere la conferma, ovvero le guerre illegali della NATO contro Iraq, Libia e adesso l’ancora “informale e non ammessa” guerra in Siria. Nel 1999 la Jugoslavia fu in gran parte un poligono di prova per l’applicazione militare del Nuovo ordine globale euroatlantico.
7. In questa conferenza sono stati impostati gli orientamenti per l’allargamento della NATO verso l’est, particolarmente per quanto riguarda la presenza nel “cortile” russo, nella regione tra il Mar Baltico e l’Anatolia. In altre parole la costituzione in versione euro atlantica “dell’impero romano” (parole di Wimmer).
8. Gli euro atlantisti hanno sottolineato che a tale scopo bisognava “circondare” la Polonia dal nord e dal sud con paesi “democratici” (leggi membri della NATO), mentre Romania e Bulgaria avrebbero avuto il “ruolo” di garantire il “corridoio via terra” tra i paesi NATO al nord e la Turchia, paese NATO orientale.
Qui arriviamo alla conclusione “chiave” della conferenza, che smaschera tutta l’ipocrisia e le intenzioni criminali di UE e USA verso la Serbia: che la Serbia deve essere eliminata dallo “sviluppo europeo”.
Wimmer suggerisce che tale conclusione era fatta per poter garantire una presenza militare NATO e USA permanente in Serbia dopo la sua disintegrazione economica e militare.
In favore di questa affermazione c’è l’analisi del noto analitico Mahdi Darius del “Global Research” in “Fronte Balcanico: rovesciamenti in Jugoslavia e Moldavia (6)
Egli spiega dettagliatamente perchè è di importanza chiave per la NATO, di “spezzare” la Serbia totalmente.
Secondo lui la Serbia si trova già in una particolare “quarantena aerea”, in quanto il suo spazio aereo nazionale (corridoio internazionale aereo) viene già di fatto controllato dai paesi NATO limitrofi che praticamente rendono impossibile il traffico aereo senza intralci verso la Serbia.
Con la campagna dei servizi segreti occidentali per il referendum sulla secessione del Montenegro dalla R.F. Jugoslava sono riusciti a sfasciare l’unione di “due nazioni e di uno stesso popolo serbo”, ed in tal modo di “togliere” sbocchi al mare della Serbia, cioè di lasciarla senza un corridoio internazionale libero via mare.
Secondo Darius, attualmente alla Serbia è rimasto solo più un ultimo corridoio internazionale legale, tramite cui essa può collegarsi senza disturbi con altri paesi innanzitutto con la Russia, ed è ‘’il corridoio del Danubio’’ (via fiume internazionale libera). Secondo lui questo è il motivo principale perchè negli ultimi anni si lavora in modo così accanito sulla “kosovarizzazione della Vojvodina e la conseguente secessione di essa dalla Serbia. Questo perchè così, con una Vojvodina indipendente (euro atlantica) oppure con la sua adesione alla Croazia o all’Ungheria più probabilmente, sarebbe stabilito il controllo della NATO anche sulla via del Danubio, cioè sull’ultima via fiume internazionale libera, sotto protezione delle convenzioni internazionali, Così la Serbia sarebbe distaccata completamente dal “mondo esterno” ed concretamente messa nella posizione di una forma di “ghetto internazionale”.
Anche se tale valutazione può sembrare incredibile, tutti noi attualmente possiamo vedere che quasi “tutti gli eventi sul terreno” si sviluppano in questa direzione!
9. Come un’altra priorità (non legata direttamente alla Serbia) è stato deciso che la NATO doveva instaurare il controllo su San Pietroburgo per poter avere un accesso militare totale al mar Baltico.
10. Durante questa conferenza vergognosa, gli euro atlantisti hanno sancito che è corretto violare tutti i principi e regole del diritto internazionale per favorire la secessione dei territori etnici dal paese madre, tenendo conto esclusivamente del cosiddetto “principio di autodeterminazione” (naturalmente non nel caso dei loro stati ma di quelli degli altri).
11. La maggiore ironia che è stata proclamata in questa conferenza dei “fascisti euro atlantici”, è stata la conclusione portata alla fine dell’incontro, con cui i partecipanti hanno concordato che durante la guerra illegale contro la R.F. Jugoslava nel 1999 erano stati violati consapevolmente, quasi tutti i principi del diritto internazionale e delle convenzioni umanitarie!
Probabilmente hanno adottato comodamente tali decisioni, vista la loro posizione di potere secondo il detto “contro la forza ragion non vale”, ma hanno probabilmente trascurato un altro detto “il bastone ha due estremità”. Quale di questi due detti prevarrà, probabilmente ne saremo testimoni noi tutti nel prossimo futuro.
—————————————–
Nella conclusione della sua lettera a Schroder, Wimmer ha ribadito che questa conferenza sarebbe stata ricordata per le gravissime conseguenze delle decisioni lì adottate ed anche per i “partecipanti molto incompetenti” (sue parole).
Egli ha anche avvertito Schroder e l’opinione pubblica, che è evidente che gli americani per ottenere i propri interessi sono pronti a violare tutte le norme internazionali legali, ribadendo che proprio tale comportamento di grandi potenze, aveva portato a due guerre mondiali precedenti.
Wimmer lo ha spiegato con le seguenti parole: “la forza è sopra la legge… E se, nella sua strada si trova qualsiasi tipo di diritto internazionale, esso sarà semplicemente eliminato! Quando una cosa simile è successa con la “Lega dei Popoli’’, causò la 2° Guerra mondiale. Il modo in cui da parte di alcuni (la NATO) gli interessi personali vengono messi sopra tutti gli altri possiamo descrivere solo come totalitarismo!’’
Questa lettera al cancelliere tedesco Schroder è firmata da:
Willy Wimmer, deputato del Bundestag tedesco e già vicepresidente del parlamento d’Europa (assemblea OSCE)
RIFERIMENTI:
1. ‘’Il crimine sfuggiva all’occidente’’, Aleksandar Vojinovic, EDIZIONE ‘’Centro di informazione e pubblicazione’’ Zagabria, 1987.
2. http://www.bilderberg.org/g/Bilderberg.html
3. http://www.medienanalyse-international.de/wimmer.html
4. http://en.wikipedia.org/wiki/Helsinki_Accords
5. https://facebookreporter.org/
6. http://www.globalresearch.ca/balkanski-front-zapadni-prevr…/
7. http://srpskizurnal.wordpress.com/
8. https://facebookreporter.org/
9. http://www.fas.org/irp/offdocs/nsdd/nsdd-133.htm
10. http://globalresearch.ca/articles/BEH502A.html
11. http://srpskizurnal.wordpress.com/
12. http://www.globalsecurity.org/intell/ops/kosovo.htm
Allegato: corrispondenza originale tra Willy Wimmer e Gerhard Schroder.
Da Srbski Reporter
Traduzione di Rajka Veljovic, adattamenti di Enrico Vigna, Forum Belgrado Italia/CIVG
FONTE:https://mondoinformazionegeopolitica.wordpress.com/2019/07/10/documenti-inediti-del-governo-tedesco-sulla-distruzione-della-serbia-e-sui-piani-euro-atlantici-nei-balcani-a-cura-di-e-vigna-e-r-veljovic/
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