RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 2 SETTEMBRE 2020

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

2 SETTEMBRE 2020

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Il mondo moderno non è una calamità definitiva.

Esistono depositi clandestini di armi.

NICOLAS GOMEZ DAVILA, Tra poche parole, Adelphi, 19996, pag, 87

 

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SOMMARIO

Il ritorno degli elicotteri e delle sirene mediche e dei VV.FF.
Le Vaccinazioni forzate ed il codice di Norimberga
Tamponi, Bassetti smonta il governo: “Poi ribloccherete il Paese?”
IL SILENZIO ATTORNO A BEATRICE LORENZIN E MASSIMO ZUPPINI
IL PENTAGONO, BILL GATES, L’OCCIDENTE E LE SUE METASTASI
Derivati di Stato: quando Mario Draghi svendette l’Italia alle banche d’affari
Censura sinistra
UN PAESE IN PREDA AL DELIRIO COLLETTIVO
Galli: gli stadi devono rimanere chiusi! Vietato tornare alla normalità! Continua il terrore!
La lezione di Amatrice e quelle nei banchi a rotelle
La campagna dell’odio contro la Cina – 3a parte
“Ecco cosa vuole la Turchia”
Le pericolose ambizioni turco-pakistano-cinesi
Philippe Daverio, Racconto dell’arte occidentale dai greci alla pop art
Giovanni Verga: vita e opere
LIBERTÀ: LA CONCEZIONE DEGLI ANTICHI E DEI MODERNI
FALSO UMANITARISMO. DIETRO AGLI SBARCHI SOLO TERRORISMO
PIÙ CHE DI PAOLO MIELI SAREBBE INTERESSANTE ARRIVARE A RAGIONARE DI RENATO, SUO PADRE
Il chip sottopelle presto approvato dal FDA
Pil a -12,8%, va peggio del previsto. Il governo si svegli: “Andati indietro di 25 anni”
Perché un nuovo lockdown in Francia può avere ripercussioni sull’Italia
Elon Musk, ossia pensiero magico per Mercati superstiziosi
BCE: è spuntata una nuova bomba a orologeria per Lagarde
50 anni fa nasceva la Dichiarazione di Helsinki
VACCINI: LA SPERIMENTAZIONE UMANA CHE VIOLA IL CONSENSO INFORMATO
Sea Eye schiera la nuova nave (pagata dalla Chiesa cattolica)
Ecco la nuova motovedetta salva migranti. Questa volta non indovinerete mai chi la finanzia
Se le vite dei sostenitori di Trump valgono meno
Kennedy a Berlino: pandemia totalitaria, dal regime del 5G
Australia, un data leak (1) con la patente
Magaldi: la paura (Conte, Monti) o il coraggio, cioè Draghi
VOGLIAMO ESSERE RAPPRESENTATI MEGLIO, NON MENO
I parlamentari italiani da baluardo contro le dittature a spesa da tagliare
L’Intervista: Le verità nascoste sul Covid19
Ex CEO Google critica gestione pandemia: “Persone morte inutilmente”
Tamponi e isolamento: l’Italia contro le evidenze scientifiche
L’ipocrita architetto Albert Speer, ministro degli armamenti del Reich
Una iattura chiamata Sessantotto

 

 

EDITORIALE

Il ritorno degli elicotteri e delle sirene mediche e dei VV.FF.

https://leorugens.wordpress.com/2020/08/25/il-silenzio-attorno-a-beatrice-lorenzin-e-massimo-zuppini/

Il ritorno degli elicotteri e delle sirene mediche e dei VV.FF.
Le Vaccinazioni forzate ed il codice di Norimberga
Tamponi, Bassetti smonta il governo: “Poi ribloccherete il Paese?”
IL SILENZIO ATTORNO A BEATRICE LORENZIN E MASSIMO ZUPPINI
IL PENTAGONO, BILL GATES, L’OCCIDENTE E LE SUE METASTASI
Derivati di Stato: quando Mario Draghi svendette l’Italia alle banche d’affari
Censura sinistra
UN PAESE IN PREDA AL DELIRIO COLLETTIVO
Galli: gli stadi devono rimanere chiusi! Vietato tornare alla normalità! Continua il terrore!
La lezione di Amatrice e quelle nei banchi a rotelle
La campagna dell’odio contro la Cina – 3a parte
“Ecco cosa vuole la Turchia”
Le pericolose ambizioni turco-pakistano-cinesi
Philippe Daverio, Racconto dell’arte occidentale dai greci alla pop art
Giovanni Verga: vita e opere
LIBERTÀ: LA CONCEZIONE DEGLI ANTICHI E DEI MODERNI
FALSO UMANITARISMO. DIETRO AGLI SBARCHI SOLO TERRORISMO
PIÙ CHE DI PAOLO MIELI SAREBBE INTERESSANTE ARRIVARE A RAGIONARE DI RENATO, SUO PADRE
Il chip sottopelle presto approvato dal FDA
Pil a -12,8%, va peggio del previsto. Il governo si svegli: “Andati indietro di 25 anni”
Perché un nuovo lockdown in Francia può avere ripercussioni sull’Italia
Elon Musk, ossia pensiero magico per Mercati superstiziosi
BCE: è spuntata una nuova bomba a orologeria per Lagarde
50 anni fa nasceva la Dichiarazione di Helsinki
VACCINI: LA SPERIMENTAZIONE UMANA CHE VIOLA IL CONSENSO INFORMATO
Sea Eye schiera la nuova nave (pagata dalla Chiesa cattolica)
Ecco la nuova motovedetta salva migranti. Questa volta non indovinerete mai chi la finanzia
Se le vite dei sostenitori di Trump valgono meno
Kennedy a Berlino: pandemia totalitaria, dal regime del 5G
Australia, un data leak (1) con la patente
Magaldi: la paura (Conte, Monti) o il coraggio, cioè Draghi
VOGLIAMO ESSERE RAPPRESENTATI MEGLIO, NON MENO
I parlamentari italiani da baluardo contro le dittature a spesa da tagliare
L’Intervista: Le verità nascoste sul Covid19
Ex CEO Google critica gestione pandemia: “Persone morte inutilmente”
Tamponi e isolamento: l’Italia contro le evidenze scientifiche
L’ipocrita architetto Albert Speer, ministro degli armamenti del Reich
Una iattura chiamata Sessantotto

 

Manlio Lo Presti – 2 settembre 2020

Questa mattina, alle ore 10,30 circa, ho visto svolazzare un elicottero e pochi minuti dopo l’aria è stata squarciata dalla sirena di un’ambulanza.

Forse è stata una coincidenza, ma io non mi fido affatto di questa classe politica che odia così violentemente gli italiani e in una misura che ha una morfologia malata e stupidamente crudele!

Mi è sembrato di rivivere la sceneggiata totalitaria demenziale terroristica allestita da questo governo ignobile di venduti e asserviti alla volontà dell’asse anglofrancotedescoUSA (di parte deep state).

Questo governo di serial killers ha la sua ragione d’essere sulla permanenza dello stato di terrorismo provocato dalla martellante diffusione in rete, per stampa e con le le reti nazionali TV. Non è quindi credibile che tutto ciò cambi.

TUTTO CIÒ PREMESSO

ESSI stanno cercando di prolungare la durata per arrivare ad eleggere il presidente della repubblica, pur rappresentando il 20% massimo del consenso.

ESSI cercheranno di impedire le votazioni regionali (hanno 4 regioni su 20) per evitare il collasso, con l’approvazione della ennesima legge elettorale che provocherà “ritardi tecnici” per le votazioni regionali che, per questo, potranno essere rinviate nella speranza di logorare l’opposizione.

ESSI faranno nomine in fretta di tutti i vertici ancora vacanti.

ESSI rinvieranno gli oltre 200 contratti nazionali di lavoro, per seminare il terrore con disoccupazione indotta.

ESSI non faranno partire la scuola pubblica per farla collassare (Effetto SHOCK ECONOMY per privatizzarla).

ESSI promuoveranno il “REDDITO UNIVERSALE ONLINE” per far indebitare oltre misura la popolazione con crediti su carte di credito (non si può correre agli sportelli con una carta di credito).

ESSI provocheranno il collasso definitivo dell’economia nazionale con un’altra chiusura fino al prossimo MAGGIO 2021. Lo scopo? Quello di far  crollare i bilanci familiari e constringere a svendere i beni di proprietà a finanziarie SVIZZEROTEDESCHEFRANCOANGLOUSA, gestiti da una ben nota ed espertissima millenaria genìa di sacerdoti del danaro …

P.Q.M.

INTANTO, RIPRENDONO I CAROSELLI DEGLI ELICOTTERI, LE SIRENE DI AMBULANZE (vuote? chissà), le sirene di mezzi dei vigili del fuoco

Tutto questo nell’interesse degli italiani, ovvio!!!

GLI AFFARI SONO AFFARI …

 

 

 

IN EVIDENZA

Le Vaccinazioni forzate ed il codice di Norimberga

Il Codice di Norimberga e le Vaccinazioni Forzate

Le leggi illiberali sulle vaccinazioni forzate degli infanti, promulgate dagli ultimi governi italiani, sono addirittura contrarie ai principi del Codice di Norimberga! Occorre ricordare come tale codice sia stato enunciato nella sentenza del tribunale militare americano che, il 19 agosto 1947, condannò 23 medici nazisti (7 dei quali a morte) per gli esperimenti condotti nei campi di concentramento!

Tali principî sono considerati essenziali per la sperimentazione medica su soggetti umani. Il codice aveva lo scopo di controbattere le tesi elaborate dalla difesa dei medici tedeschi. I giudici del tribunale svilupparono il codice in dieci punti, che chiamarono esperimenti medici ammissibili. Il primo criterio, che è anche il più importante, stabilisce che il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente essenziale.

Ciò implicava, nelle parole dei giudici, che «la persona coinvolta deve avere la capacità legale di dare il consenso, e deve quindi esercitare un libero potere di scelta, senza l’intervento di qualsiasi elemento di forzatura, frode, inganno, costrizione, esagerazione o altra ulteriore forma di obbligo o coercizione; deve avere, inoltre, sufficiente conoscenza e comprensione dell’argomento in questione tale da metterlo in condizione di prendere una decisione consapevole e saggia». Il dovere e la responsabilità di garantire le condizioni che rendono valido il consenso spettavano direttamente a chi conduceva l’esperimento.

Da quanto qui sopra esposto, in parte tratto dall’enciclopedia della scienza Treccani, si evince chiaramente come le odierne imposizioni vaccinali siano di stampo dittatoriale e che quindi occorra mettere in atto un’azione diffusa di resistenza umana al fine di veder prevalere le norme antinaziste previste dal Codice Di Norimberga, una pietra miliare nella travagliata storia dei diritti dell’individuo, contro i sistemi totalizzanti e dittatoriali.

Stupisce davvero che oggi ci si debba appellare ad un codice redatto nell’immediato dopoguerra!

FONTE: http://offskies.blogspot.com/2019/01/le-vaccinazioni-forzate-ed-il-codice-di.html

 

Tamponi, Bassetti smonta il governo: “Poi ribloccherete il Paese?”

Il governo pronto a fare i tamponi a tutti gli italiani: “Oltre 300mila al giorno”. Ma fioccano già i dubbi degli infettivologi. Bassetti: “Non so se sia giusto fare il tampone a tutta Italia nei prossimi 6 mesi”

La ripresa di contagi da Coronavirus nel nostro Paese è ormai divenuto un argomento prioritario per il governo. Ogni giorno sempre più tamponi naso-faringei vengono effettuati, col risultato che viene rilevato un considerevole numero di positivi.

Positivi che, come ribadito da medici autorevoli, spesso sono asintomatici e non devono essere considerati soggetti malati.

Per l’esecutivo, tuttavia, è importante rintracciare più contagi possibili, così da monitorlarli e scongiurare una possibile diffusione del Coronavirus. Intervenuto a “Rai Radio 1”, il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri ha dichiarato che l’obiettivo è proprio quello di eseguire più test possibili.“Sui tamponi si sta facendo sempre di più, il numero sta crescendo. Ma durante la stagione autunnale e invernale gireranno altri virus e sarà necessario avere una potenza di fuoco maggiore”, ha infatti affermato Sileri. “Si può arrivare a 300mila test al giorno e forse qualcosa di più nelle prossime settimane, non serve oggi”.

L’opinione del dott. Bassetti

Se da una parte molti ritengono che effettuare più tamponi possa essere la strategia giusta per combattere il Coronavirus, c’è che sulla questione ha delle perplessità. Fra questi anche il direttore della Clinica malattie infettive dell’Ospedale San Martino di Genova Matteo Bassetti, che da tempo sta cercando di riportare la calma fra la popolazione, spiegando che non ci troviamo più nella terribile situazione vissuta mesi fa.

 

Invitato a dare una propria opinione in merito ai tamponi, Bassetti si pone delle domande. “Si potrà arrivare a più di 300mila tamponi al giorno nelle prossime settimane? Io francamente dico che è bene avere una potenza di fuoco importante, ma bisogna anche evitare di fare il tampone a tutti”, ha dichiarato il medico durante la trasmissione “Agorà Estate”, in onda su Rai 3. “Se facciamo 300mila test al giorno vuol dire che in 6 mesi ne facciamo 60 milioni, cioè tamponeremo l’Italia intera e poi quando avremo i positivi che faremo? Riblocchiamo il Paese? È una domanda che pongo ai politici”.

Come affermato sempre dallo stesso Bassetti a Nicola Porro nel corso dell’ultima puntata di “Quarta Repubblica”, infatti, se uno “butta 1.000 reti nel mare il numero di pesci che tira su sarà molto elevato e così è per i positivi quando si fanno più tamponi”.”Noi dobbiamo avere una potenza di fuoco sostenibile per poter trattare i nuovi focolai, per poter fare il tampone a tutti coloro che hanno sintomi compatibili”, ha quindi precisato il medico ad “Agorà Estate”. “Sinceramente farlo a tutta Italia nei prossimi 6 mesi non so se sia giusto”.

A preoccupare Matteo Bassetti, anche il fatto che il test del tampone non può essere considerato perfettamente attendibile. “Oggi io posso essere negativo e positivizzarmi stanotte perché la carica virale oggi è bassa e domani invece sale e posso essere positivo”, ha infatti spiegato il dottore. “Il tampone, quindi, è importante per tracciare nuovi focolai, è importante per chi è asintomatico, per chi arriva da Paesi a rischio, però eviterei di farlo a tutti”.

Il piano 300mila tamponi

Eppure il progetto di effettuare sempre più test su scala nazionale per tracciare più contagi possibili sta diventando sempre più concreto, tanto che il ministero della Salute ha già provveduto ad interpellare il microbiologo Andrea Crisanti. Intervenuto sul “Corriere della Sera”, il docente dell’Università di Padova ha spiegato di aver presentato, su invito del governo, un piano “che conduca a incrementare, fino a quadruplicare su scala nazionale, la capacità di fare tamponi superando le barriere e divisioni regionali”.

Secondo Crisanti, adesso la sfida è proprio quella di individuare i soggetti asintomatici. “Nella fase attuale, consapevoli del fatto che le persone infette possano essere asintomatiche o presentare una sintomatologia lieve, si eseguono test a persone che prima sarebbero state trascurate e quindi i dati sono molto più rappresentativi della reale trasmissione del virus”, ha infatti dichiarato il professore. Proprio per evitare un nuovo lockdown, è necessario intervenire in tempo, mantenendo lo stato di equilibrio attuale “più basso possibile”, così da non raggiungere il punto di rottura.

Al momento si parla del coinvolgimento di 20 laboratori, uno per Regione, con altrettante unità mobili per attuare il progetto. “Si propone poi di creare un tavolo di coordinamento nazionale gestito da Roma. Quello attivo in questo momento ha subìto un frazionamento regionale che non lo ha reso sempre efficace”, ha spiegato il viceministro Sileri, come riportato da “AdnKronos“. “L’importante è non farli a caso, seguire un criterio mirato di screening e tenere sotto controllo i nuovi focolai. Non dobbiamo impressionarci se cresce la curva dei contagi. Il Cts sta lavorando a delle linee guida per indirizzare le Regioni e spero lo faccia anche in base alle categorie di lavoratori”.

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cronache/coronavirus-bassetti-300mila-tamponi-non-so-se-sia-giusto-1886869.html

 

IL SILENZIO ATTORNO A BEATRICE LORENZIN E MASSIMO ZUPPINI

Perché vi meravigliate se ad Hong Kong qualcuno, che già si era ammalato di COVID 19, è nuovamente colpito dal virus? Cosa sapete di questa pandemia? Ve lo dico io: niente. Come sa poco o niente il resto del mondo. Se c’è qualcuno che poteva saperne qualcosa è quel tale Massimo Zuppini, della GlaxoSmithCline Spa, che nessuno ha voluto cercare e intervistare nonostante le mie ripetute ed esplicite segnalazioni. Zuppini sapeva certamente (e lo sapevo anch’io), sin dal 2009, che quel poco che si sarebbe potuto fare per contenere la pandemia lo si doveva mettere in atto lavandosi le mani spesso, usando disinfettanti a fiumi, indossando mascherine, rimanendo a debita distanza gli uni dagli altri. Nessuno lo ha cercato questo dipendente della GSC SPA nel Paese, l’Italietta, viceversa, che riesce a sopportare Pierpaolo Sileri come viceministro della Sanità. Sileri è tutti i giorni in tv e scorrazza nei media. Il povero competente Zuppini nessuno lo convoca? Forse, paradossalmente, ritenendo che neanche esista. Comunque tornando a Zuppini e ad i suoi preveggenti allarmi tenete conto che lo specialista sin dal 2009 segnalava che si sarebbe dovuto tenere conto che il mondo che si preparava ad “accogliere” (e quindi a favorire i virus) era un Pianeta connotato da un fortissimo aumento dei trasferimenti internazionali (si viveva e si dovrà nuovamente vivere di questo) e con il conseguente e inevitabile aumento della velocità di diffusione. Lo spazio e il tempo quindi come terreno di scontro con l’abile avversario. Che è come sapesse della accresciuta dipendenza delle popolazioni (l’oggetto dei suoi desideri aggressivi) da sistemi essenziali centralizzati (quali tutto il mondo IT, comunicazioni, energia) e da sistemi di rifornimento “just in time” che sono particolarmente esposti in caso di significative assenze degli addetti che operano in questi settori strategici.

E poi diciamolo una certa frammentazione dei sistemi sanitari (nazionali e internazionali), con possibili difficoltà di garantire interventi coordinati e rapidi (ancora ci devono spiegare tutto quel traffico di medici provenienti da altri Paesi nei primissimi giorni dell’infezione) per la vera battaglia campale che sarà la somministrazione (quando saranno pronti e testati) di vaccini e antivirali.

Sarebbe stato particolarmente interessante (e doveroso) rintracciare e intervistare (forse in futuro anche “interrogare”) uno che se ne era uscito, fin dal 2009, a dire che “il sistema sanitario già da tempo stava lavorando per la definizione di una serie di misure che dovrebbero essere adottate un caso di manifestazione di una pandemia influenzale”.

Dottor Zuppini ci dice, cortesemente, a cosa si riferiva quando rendeva pubbliche queste frasi?

Cosa intendeva (tanto non è reato aver detto ciò che ha detto) dire quando diceva che si trattava di misure che vengono declinate sia a livello internazionale, che nazionale (vuol dire anche in Italia?) e locale? La Lombardia, ad esempio, è classificabile come “locale” o addirittura si poteva immaginare Brescia, Bergamo, Milano impegnate in queste ipotesi emergenziali? Io continuo a ritenere Zuppini uno da intervistare per fare luce su questi passaggi del suo scritto.

Anche perché non siamo di fronte a ciò che è noto (ed ecco il caso recidivo di Hong Kong) cioè ad un aumento improvviso dei casi, dopo i soliti piccoli focolai iniziali, con un picco dopo 3-4 settimane e una regressione spontanea nel periodo successivo. Qui non regredisce niente spontaneamente e la pandemia è virulenta come non mai. Anzi è letteralmente scatenata e segue un suo disegno che senza prudenze opportune può solo che trarre in inganno. Siamo nel noto (cioè sotto attacco) ma ignoriamo tutto del futuro prossimo venturo. E in una cazzo di situazione di incertezza come questa mi dite perché non si arriva a cercare uno come Massimo Zuppini? Ci costringete a pensare male soprattutto se ci ricordiamo che lo Zuppini è un dirigente di un “membro d’onore” di Big Pharma quale ritengo sia la GlaxoSmithCline.

Anche se fosse uno che nel 2009 si era inventato tutto, quattro domandine gliele vogliamo fare su cosa intendesse dire quando faceva cenno ai piani nazionali antipandemici e del dovere di aggiornarli sistematicamente in attesa dell’evento certo? Possibile che le domande serie in questo Paese alla fine le debba fare solo io che non sono nessuno? Domande di chiarimento per sentirsi rispondere che erano tutte cazzate per farsi bello e che non è mai esistito un tale piano con cui addestrarsi sia a come proteggere la collettività che a mitigare l’impatto sull’economia e sul funzionamento sociale. Impatto sull’economia non credo che sia una frase misteriosa e sul funzionamento sociale credo che anche un cazzone come Matteo Salvini sappia che la scuola fa parte “del funzionamento sociale”.

Buona giornata a tutti. Come state capendo siamo solo all’inizio dell’analisi logica del testo di Massimo Zuppini. Pur da ignorantoni come siamo consapevoli di essere. Voglio arrivare a capire cosa volesse dire quando diceva ciò che diceva. E forse, se trovo soldi, potrebbe essere arrivato il tempo di una denuncia nelle sedi opportune su tanta indifferenza al proprio ruolo politico, amministrativo, culturale che quelli che facevano il ministro (e i loro reggicoda) durante gli anni di avvicinamento alla strage, hanno colpevolmente praticato.

A cominciare da Beatrice Lorenzin, il politico italiano che da quando siamo una repubblica ha ricoperto più a lungo l’incarico di Ministro della Sanità. Tanto che mentre i premier erano Enrico LettaMatteo RenziPaolo Gentiloni, lei, costante e permanente, berlusconiana di ferro un tempo e non si sa cosa oggi, gestiva l’immesso potere della “salute pubblica“. Ma quattro domandine facili-facili in una trasmissione TV (il marito, Alessandro Picardi, è un pezzo grosso nella televisione di Stato e in generale in ambienti che definirei d’ambiente) alla coppia Zuppini-Lorenzin gliele vogliamo, un giorno lontano, arrivare a fare su cosa si sarebbe potuto organizzare  e non si è organizzato? Di mascherine che nessuno ha acquistato in tempo siamo condannanti a parlarne solo con Pierpaolo Sileri e Domenico Arcuri?

Oreste Grani/leo Rugens

FONTE: https://leorugens.wordpress.com/2020/08/25/il-silenzio-attorno-a-beatrice-lorenzin-e-massimo-zuppini/

IL PENTAGONO, BILL GATES, L’OCCIDENTE E LE SUE METASTASI

Il Pentagono, Bill Gates, l’Occidente e le sue metastasiFin dagli ultimi decenni del passato secolo, due primarie aziende informatiche hanno lavorato e fatto consulenze per le più importanti agenzie americane, nonché per lo stesso Pentagono. Al punto che la Microsoft di Bill Gates e la Apple di Steve Jobs (ormai passato a miglior vita) hanno rappresentato un importante, se non fondamentale, apporto alla ricerca e sicurezza informatica statunitense. Anche se va detto che, i sistemi informatici di Jobs e Gates non hanno mai dialogato tra loro, e solo negli ultimi quindici anni s’è instaurata una sorta di compatibilità. Ma le agenzie Usa prendevano ciò che a loro serviva, non preoccupandosi di eventuali sviluppi. Nemmeno ipotizzando che il sistema Bill Gates potesse mai assurgere ad una sorta di Spectre (metafora tratta dalla narrazione di James Bond), una sorta di superagenzia mondiale in grado di controllare altri stati e determinare la stessa politica Usa. Il Pentagono ha al suo interno una importante agenzia, il cui acronimo è DarpaDefense Advanced Research Projects Agency. Attraverso quest’ultima il Pentagono ha sviluppato la realizzazione d’insetti geneticamente modificati.

Ma a cosa servirebbero? Innanzitutto a testare armi chimico-batteriologiche su popolazioni cavia, che da sempre vengono individuate nelle aree più povere del pianeta, ovvero Africa centrale e zone remote (ma non ci sono prove sufficienti) dell’America latina. Ma il Pentagono ha da tempo un importante concorrente nelle aziende di Bill Gates che operano informaticamente per le big pharma, ovvero le multinazionali finanziario-farmaceutiche che avrebbero usato gli insetti robot (ma anche bionici) della Microsoft per testare nuovi patogeni umani ed animali nonché le tecniche d’impollinazione, anticrittogamiche ed antiparassitarie in zone dell’Africa centrale. Per farla breve, il Pentagono non controlla più il potere di Bill Gates e delle big pharma: anzi il connubio tra multinazionali chimico-informatico-finanziario determina le politiche negli stati sia democratici che autocratici. E se per il Pentagono gli insetti modificati e controllati potrebbero servire a distruggere le colture agricole di potenziali nemici, per le big pharma gli insetti sintetici e comandati possono agevolmente rivelarsi vettori massivi di nuove patologie sperimentali, quindi di eventuali cure. Circa una ventina d’anni fa, in concomitanza con l’epidemia di ebola in vaste aree dell’Africa centrale, biologi e ricercatori iniziavano a contestare la bioeticità di queste sperimentazioni, lanciando l’allarme contro l’impiego della “tecnologia Crispr per l’editing genetico”: in pratica veniva smascherato l’utilizzo d’insetti per scopi militari e chimico-farmaceutici. Molti scienziati si sono interrogati sul fatto che l’uomo si fosse sostituito a Dio, usando una nuova piaga biblica, una sorta d’esercito di cavallette sintetiche o geneticamente modificate. Ma l’agenzia Darpa ha secretato ogni documento in materia, negando evidenze ed appellandosi al fatto che si tratti di massimi segreti per la sicurezza occidentale. Ma dove inizia la sicurezza occidentale e dove finisce quella delle multinazionali chimico-farmaceutiche?

Il dottor Blake Bextine è un dirigente della Darpa e si occupa del programma “InsectAllies”, il sito “ComeDonChisciotte.org” ha riportato questa dichiarazione di Blake Bextine che definisce lo “sfruttamento di un sistema naturale ed efficiente di attuazione, in due fasi, per trasferire i geni modificati alle piante: gli insetti vettore e i virus delle piante che essi trasmettono contromisure modulari, facilmente dispiegabili e generalizzabili contro potenziali minacce, naturali e progettate, all’approvvigionamento alimentare, con gli obiettivi di preservare il sistema colturale degli Stati Uniti”. Ma il Pentagono non è l’unico manipolatore chimico-genetico-batteriologico. E non c’è dato sapere se Darpa e big pharma non si siano spartiti il territorio di sperimentazione, soprattutto non sappiamo come si posizioni l’Oms (organizzazione mondiale della sanità) il questi scontri o incontri.

Darpa s’affida a cicadellemosche e afidi per inoculare nelle colture i vari virus selezionati: si tratta di agenti di alterazione genetica, virus introdotti in una data popolazione d’insetti per mutare la composizione genetica delle colture. Ma colture tempestate da virus modificati vanno indubbiamente a mutare la genetica e il sistema immunitario degli umani. Qui ovviamente il Pentagono invade il campo delle big pharma e del loro alleato finanziario e cibernetico Bill Gates. Molti scienziati si domandano se Pentagono e big pharma possano mai allearsi in una futuribile guerra batteriologica. Di fatto il programma “InsectAllies” di Darpa mirerebbe a spargere virus infettivi modificati, progettati per modificare i cromosomi delle colture nei campi. Metodo già noto come “ereditarietà orizzontale”, mentre “l’eredità verticale” è l’alterazione tipica degli Ogm (organismi geneticamente modificati). Con l’Ogm (esempio il mais) si generano nuovi cromosomi in laboratorio, e per creare altre varietà. Ma con lo spargimento d’insetti nell’aria aperta le alterazioni genetiche delle colture avverrebbero in altro modo. Il dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha respinto categoricamente qualsiasi test che condizioni la sicurezza delle piante, impedendo l’uso d’insetti geneticamente modificati sul suolo statunitense. E qualcuno rammenta come 27 milioni dollari dei contribuenti statunitensi siano stati spesi per “InsectAllies” si Darpa.

Lo stesso padre di questa tecnologia, il biologo di Harvard Kevin Esvelt, ha messo in guardia contro l’uso di questi insetti affermando “solo pochi organismi modificati potrebbero alterare irrevocabilmente un ecosistema un gene modificato risultante può diffondersi al novantanove percento di una popolazione in sole dieci generazioni e persistere per più di duecento generazioni”. Ma oggi Bill Gates è uno dei maggiori finanziatori dell’editing genetico. In Cina, gli scienziati hanno utilizzato embrioni umani (in Cina i donatori di embrioni sono ammessi) dai quali non sarebbe derivata la nascita di uomini, ma per il solo di modificare un gene specifico, di creare un organo umano senza che appartenga ad un essere umano. “Le cellule testate non sono riuscite a contenere il materiale genetico destinato – ha detto a Nature il ricercatore cinese Jungiu Huang – ecco perché ci siamo fermati”. Ma la corsa alla creazione di agenti biotecnologici è solo a metà strada, gli inizi sono stati coperti dal segreto e dai vari motivi di sicurezza. Così laboratori di agenzie di stato e di multinazionali collaborano o si combattono, e spesso non è dato sapere il confine del territorio tra sicurezza occidentale e della security d’un colosso finanziario-farmaceutico.

Consulenti e dipendenti di agenzie di stato li si ritrova spesso passare alla sicurezza di colossi multinazionali, farmaceutici, cibernetici e bancari. A dircelo è William Engdahl, già “consulente di rischio strategico” e docente, soprattutto autore di bestseller su petrolio e geopolitica: alla rivista New Eastern Outlook ha rivelato tutti i segreti di questa lobby che ha piedi in stati come in multinazionali. L’ultimo obiettivo delle ricerche è certamente il controllo della vitalità umana, il suo contenimento attraverso la trasmissione mirata di malaria, dengue, agenti patogeni vari. Il tutto perché al mondo possano rimanere risorse e ottima qualità della vita per chi fa parte dell’apparato del sistema interconnesso tra alti poteri statali e strutture finanziarie, tecnologiche sovrannazionali. Non c’è più spazio per i poveri e semplici? A quanto pare si vuole scaricare sugli ultimi la colpa di crisi economiche, climatiche ed epidemiche.

FONTE: http://opinione.it/esteri/2020/08/31/ruggiero-capone_ruggiero-capone_microsoft-bill-gates-apple-di-steve-jobs-pentagono-spectre-james-bond-darpa-africa-centrale-big-pharma-tecnologia-crispr-cina/

Derivati di Stato: quando Mario Draghi svendette l’Italia alle banche d’affari

Mario Draghi, nel suo recente e molto discusso intervento al Meeting di Rimini (che abbiamo già trattato qui), ha ribaltato una delle architravi della narrazione euro-austeritaria dell’ultima decennio (avallata dallo stesso Draghi), quella dell’imperativo assoluto della riduzione del debito pubblico, costi quel che costi in termini economici e sociali (per maggiori informazioni citofonare alla Grecia), sostenendo che l’attuale fase storica «sarà inevitabilmente accompagnata da stock di debito destinati a rimanere elevati a lungo». Insomma, contrordine compagni: il debito pubblico non è più il male assoluto, ma anzi l’aumento degli stock di debito è una necessità impellente per evitare «una distruzione permanente della capacità produttiva e quindi fiscale, [che] sarebbe ancora più dannosa per l’economia», come ha dichiarato qualche mese addietro in un’altra occasione.

Allo stesso tempo, però, Draghi si è affrettato a specificare che bisogna distinguere tra “debito buono” e “debito cattivo”, laddove il primo è quello “produttivo”, quello cioè, se decodifichiamo il gergo draghiano, che piace ai mercati finanziari, ovverosia che genera ritorni economici al capitale privato nel breve periodo, mentre il secondo è quello cosiddetto “improduttivo”, ovverosia quello che, nella migliore delle ipotesi, pur generando rendimenti sociali di lungo periodo potenzialmente molto benefici per la società nel complesso – laddove venisse utilizzato, poniamo, per aumentare le assunzioni e le retribuzioni di medici e insegnanti –, non offre rendimenti economici nel breve termine. Insomma, non siamo di fronte a nessuna conversione sulla via di Damasco, come hanno sostenuto alcuni; più banalmente, cambiano gattopardescamente le parole (“debito” al posto di “austerità”) affinché non cambi nulla: la visione del mondo e della società che sottende le parole di Draghi, e gli interessi che quest’ultimo rappresenta, sono gli stessi di sempre.

Ma il punto che ci preme sottolineare in questa sede è un altro. Fa specie che proprio Mario Draghi si permetta di moraleggiare di debito buono e debito cattivo, considerando che proprio Draghi, negli anni Novanta, quando era direttore generale del Tesoro italiano (carica che ha ricoperto dal 1991 al 2001, per poi andare alla Goldman Sachs), ha sovrinteso all’emissione, da parte dello Stato italiano, di una montagna di titoli di debito tra i più “tossici” e speculativi al mondo, di cui ancora oggi paghiamo – letteralmente – le conseguenze. Stiamo parlando, ovviamente, dei famigerati derivati di Stato.

Di cosa si tratta? I derivati sono degli strumenti finanziari che derivano il loro valore dall’andamento del valore di un’attività sottostante, che può avere natura finanziaria (come ad esempio i titoli azionari, i tassi di interesse e di cambio, gli indici ecc.) o reale (come ad esempio il caffè, il cacao, l’oro, il petrolio ecc.). Ora, se è vero che in alcuni casi i derivati possono servire a ridurre legittimamente i rischi di portafoglio, permettendo per esempio a un investitore di negoziare con un venditore il prezzo di un bene che intende acquistare in una data futura e dunque di tutelarsi rispetto a un aumento del costo del bene in questione, è altresì vero che la maggior parte dei contratti derivati ha una natura puramente speculativa, consiste cioè nell’assunzione di un rischio con l’obiettivo di conseguire un profitto.

Una scommessa, insomma, non diversa da quelle praticate quotidianamente nell’ambiente del gioco d’azzardo. Con la differenza, però, che i derivati finanziari muovono cifre incomparabilmente più grandi (si stima che il valore nozionale dei derivati in circolazione a livello mondiale sia pari a più di trenta volte il PIL mondiale) e, quando le cose vanno male, possono avere ripercussioni molto pesanti anche sull’economia reale; non a caso i derivati hanno giocato un ruolo fondamentale nella crisi finanziaria del 2007-9, tanto che molti al tempo proposero (invano) di metterli fuorilegge una volta per tutte.

Veniamo ora ai contratti derivati sottoscritti dallo Stato italiano ai tempi di Draghi. Siamo alla metà degli anni Novanta e in quel periodo le élite del nostro paese – Carlo Azeglio Ciampi, Giuliano Amato, Romano Prodi e ovviamente lo stesso Draghi, solo per citarne alcuni – avevano un unico obiettivo: aggiustare (letteralmente) i conti pubblici per ottemperare ai criteri di Maastricht e permettere così all’Italia di aderire all’euro. Ed è qui che entrano in gioco i derivati. La maggior parte dei derivati sottoscritti in quegli anni, per un valore di circa 160 miliardi, consisteva in cosiddetti interest rate swap: in sostanza lo Stato riceve da una banca d’affari un flusso di cassa a tasso variabile sufficiente a ripagare un certo numero di titoli in scadenza e in cambio si impegna a pagare alla stessa banca un tasso fisso a lunga scadenza.

Questo ha permesso all’Italia di ridurre artificialmente il proprio deficit di qualche decimale, con il placet della Commissione europea e di Eurostat, l’agenzia statistica europea, le cui regole, successivamente modificate in parte, permettevano al tempo di contabilizzare come un’entrata quello che di fatto è un debito. Nonché, ovviamente, una scommessa: in sostanza, se i tassi fossero cresciuti – come effettivamente è stato fino ai primi anni Duemila – lo Stato italiano ci avrebbe guadagnato; se invece fossero scesi, ci avrebbero perso, a tutto vantaggio delle banche d’affari. Se, dunque, in una prima fase, l’Italia ha effettivamente realizzato dei guadagni sui derivati creditizi, a partire dal 2005, con la riduzione dei tassi, i derivati hanno cominciato a generare perdite sempre più ingenti per lo Stato: qualche anno fa (non ho trovato stime più recenti) è stato lo stesso governo, dopo aver apposto per anni una sorta di informale segreto di Stato sulle perdite relative ai derivati, ad ammettere, in seguito a un’interrogazione parlamentare, che il valore di mercato dei derivati in questione era negativo per circa 35 miliardi di euro (e positivo per un valore equivalente per le banche). Una danno monumentale per l’erario, soprattutto in tempo di austerità (ma non per tutti, evidentemente).

Ma la vicenda non finisce qui. Oltre agli strumenti derivati più tradizionali sopracitati, tra la metà degli anni Novanta e la metà degli anni Duemila l’Italia ha anche sottoscritto operazioni più speculative, note come swaption, inserite nell’operatività del Tesoro proprio quando direttore generale era Mario Draghi. Una swaption consiste nella vendita da parte dello Stato, in cambio di un premio, di un’opzione che attribuisce alla banca acquirente la facoltà di decidere se sottoscrivere o meno, in una data futura, un interest rate swap a un tasso fisso prestabilito. Va da sé che si tratta di un’operazione ancora più rischiosa – o, appunto, speculativa – di un normale swap, poiché comporta il rischio per la parte venditrice, in questo caso lo Stato, di ritrovarsi a firmare un contratto swap che presenta condizioni sfavorevoli già al momento della stipula. Questo è esattamente quello che è successo nel 2005, quando la banca d’affari statunitense Morgan Stanley ha deciso di attivare una swaption sottoscritta l’anno precedente, in virtù della quale lo Stato aveva incassato un premio di 47 milioni di euro. Peccato che, secondo la Corte dei Conti, lo swap in questione aveva già in partenza un valore di mercato negativo di 600 milioni di euro; sarebbe a dire che da lì al 2035 quello swap sarebbe costato al Tesoro 600 milioni di interessi netti.

Ma non finisce neanche qui. Un accordo quadro siglato nel 1994 dal Tesoro sempre con la Morgan Stanley, che doveva regolare tutti i successivi derivati sottoscritti con la banca, includeva una clausola secondo la quale la banca americana avrebbe potuto esigere unilateralmente (a differenza dei contratti con le altre banche, che prevedevano clausole bilaterali) l’immediata chiusura di tutti i derivati, nel momento in cui il valore della propria esposizione nei confronti dello Stato avesse superato una certa soglia, variabile a seconda del rating dello Stato italiano. Nonostante quella soglia sia stata superata nel 2003, però, la Morgan Stanley ha continuato a firmare o a rinegoziare diversi contratti con il Tesoro, vedasi la swaption del 2004, aumentando in misura sostanziale l’esposizione negativa del Tesoro, senza che la banca attivasse la clausola per estinguere i derivati e farsi pagare dal governo italiano il valore di mercato degli stessi, a quel punto già negativo, così come prevedeva l’accordo del 1994. «Non avevamo conoscenza di tale clausola», avrebbero dichiarato in seguito i dirigenti del Tesoro.

La Morgan Stanley ha scelto di esercitare quella clausola solo nel 2011, all’indomani dell’attacco finanziario all’Italia che spianò la strada al governo “tecnico” di Mario Monti – attacco finanziario ordito, curiosamente, sempre dallo stesso Draghi, che «decise di cessare gli acquisti di titoli di Stato italiani da parte della BCE» per far schizzare in alto lo spread e costringere Berlusconi alle dimissioni, come ammesso persino da Mario Monti qualche tempo fa. È a quel punto che la banca d’affari – adducendo come causale il declassamento del rating italiano, pochi mesi prima, da parte dell’agenzia di rating statunitense S&P, tra i cui azionisti figura la stessa Morgan Stanley – decide di chiudere unilateralmente in maniera anticipata tutti i suoi contratti in essere con lo Stato, incassando sull’unghia dal governo Monti, che nel frattempo annunciava misure lacrime e sangue per i cittadini italiani, la colossale cifra di 2,5 miliardi di euro (di cui un miliardo relativo solo all’accordo del 2004, per il quale lo Stato aveva incassato, lo ricordiamo, ben 47 milioni di euro: lasciamo al lettore il calcolo del bilancio finale). Piccola curiosità: fino a qualche anno prima il figlio di Monti, Giovanni, aveva lavorato proprio alla Morgan Stanley.

Una vicenda talmente clamorosa da spingere la procura della Corte dei Conti, nel 2013, a citare in giudizio la Morgan Stanley per danno erariale. Secondo l’accusa, la banca si sarebbe resa responsabile del 70 per cento di un danno complessivo da 3,9 miliardi, commettendo, con la sua decisione di chiudere tutti i suoi contratti, nel 2011, «palesi violazioni dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione contrattuale». Questo perché la banca ricopriva un ruolo particolare, quello di “specialista”: si tratta delle banche che assistono il governo nelle aste dei titoli di Stato e che in quel ruolo devono contribuire alla gestione del debito pubblico anche attraverso un’attività di consulenza e ricerca.

Ancora più sorprendente, però, era la richiesta di risarcimento della Corte del restante 30 per cento dei danni, pari a più di un miliardo di euro, a carico dei dirigenti del Tesoro che per anni non si accorsero della succitata clausola: Maria Cannata, al Tesoro dal 1992 e dal 2000 a capo della direzione del debito pubblico, carica che ha ricoperto fino al 2017; il suo predecessore Vincenzo La Via, nominato alla direzione generale del Tesoro nel 2012 (fino al 2018); e gli ex direttori generali del Tesoro Domenico Siniscalco (2001-2004), poi passato, indovinate un po’, alla stessa Morgan Stanley, e Vittorio Grilli (2005-2011), diventato poi viceministro e successivamente ministro dell’Economia del governo Monti tra il 2011 e il 2013 (cioè nel periodo in cui fu liquidata la somma alla Morgan Stanley), per poi passare infine alla JPMorgan, altra banca d’affari statunitense. L’accusa era che alcuni contratti di derivati evidenziavano chiari «profili speculativi» che non li rendevano idonei alla finalità di ristrutturazione del debito, ossia l’unica finalità ammessa dalla normativa vigente. Né sarebbero state attivate adeguate garanzie. Curiosamente Mario Draghi non figurava tra gli imputati, nonostante ci fosse lui a capo della direzione generale del Tesoro quando fu siglato l’accordo quadro con la Morgan Stanley e quando le swaption furono inserite nell’operatività del Tesoro.

Quel processo si è intrecciato, seppur indirettamente, a un’altra indagine condotta dalla procura di Trani nei confronti delle agenzie di rating S&P e Fitch, accusate di aver deliberatamente generato il panico sui mercati con i loro declassamenti del 2011, alimentando così la speculazione ai danni del nostro paese, nonché di aver offerto il casus belli alla Morgan Stanley – azionista, lo ricordiamo, della stessa S&P – per recedere dal suo contratto con il Tesoro e chiedere la liquidazione dell’attivo in suo favore per circa 2,5 miliardi. Ciò su cui volevano far luce i magistrati era perché il Ministero dell’Economia avesse liquidato la somma «senza battere ciglio» e non avesse ritenuto di chiedere un parere giuridico sulla possibilità di difendersi da quella clausola o quantomeno di prendere tempo in attesa di capire la legittimità e trasparenza di quei declassamenti, considerando i legami azionari tra S&P e Morgan Stanley ma soprattutto il fatto che al tempo il procedimento penale della procura di Trani nei confronto delle agenzie di rating era già in corso. Nessuno dei diretti interessati – né Cannata, né Monti, né altri – si è però sentito in dovere di aiutare a fare luce sulla vicenda, schermandosi dietro alla ragion di Stato, di tutte le cose: mettersi di traverso o anche sospendere il versamento per chiarire la situazione «sarebbe stato reputazionalmente deleterio», dichiarò Cannata, che aggiunse di non essere a conoscenza della partecipazione di Morgan Stanley nella S&P.

Purtroppo entrambi i processi si sono conclusi con un nulla di fatto: nel 2017 i giudici di Trani hanno assolto S&P e Fitch, mentre nel 2019 la Corte dei Conti ha deliberato l’impossibilità di procedere contro gli ex vertici del Tesoro per «difetto di giurisdizione», riconoscendo cioè che i giudici non possono sindacare le scelte discrezionali dei funzionari se queste sono prese nel rispetto della legge. Eppure sono ancora tanti, troppi i punti oscuri in questa assurda vicenda, che riassume molti dei mali dei nostri tempi: la finanziarizzazione del debito pubblico, che da (fondamentale) strumento di politica economica è diventato, soprattutto in virtù della rinuncia dell’Italia alla sua sovranità monetaria, un veicolo per trasferire risorse dal basso verso l’alto e in particolare verso la grande finanza internazionale; il fenomeno delle “porti girevoli” tra politica e finanza (praticamente tutti i protagonisti della vicenda sono poi andati a lavorare per qualche grande banca d’affari o venivano da lì, come nel caso di Monti); l’infimo livello delle nostre classi dirigenti, che ormai da tempo rispondono a logiche che nulla hanno a che vedere con l’interesse nazionale; la spregiudicatezza delle oligarchie internazionali e dei loro lacchè locali, che non si fanno scrupolo di commettere i loro saccheggi alla luce del sole; i limiti del diritto, data la capacità del capitale oligarchico di piegare la legge ai propri interessi.

E al centro di questa trama c’è una persona in particolare, che non a caso ha fatto la carriera più stellare di tutti: l’ex presidente della BCE Mario Draghi. Che oggi, forte probabilmente del consenso pressoché unanime di cui gode nel nostro paese maledettamente smemorato, si permette persino di dare lezioni in materia di debito buono e cattivo. Chissà in quale categoria Draghi collocherebbe i derivati e i contratti capestro siglati dall’Italia all’epoca della sua permanenza al Tesoro, che sono costati al paese – e che continueranno a costarci negli anni a venire – decine e decine di miliardi.

Per concludere, un piccolo quiz. Dove lavorava secondo voi il figlio di Draghi, Giacomo, all’epoca dei fatti relativi alla famigerata swaption con la Morgan Stanley, cioè tra il 2004 e il 2011? Ma che domande: alla Morgan Stanley, ovviamente!

FONTE:  https://www.ilparagone.it/attualita/derivati-di-stato-quando-mario-draghi-svendette-litalia-alle-banche-daffari/

 

 

 

ATTUALITÁ SOCIETÀ COSTUME

Censura sinistra

Ugo Indini – 30 agosto 2020

Statene certi. Avete una posizione netta sui migranti? Vi fiocca addosso l’accusa di razzismo e xenofobia. Criticate le baracconate della sinistra al governo? Vi beccate dei fascisti. Osate pungolare un donna? Ecco che faranno di tutto per farvi passare per sessisti. Che molto spesso i giudizi travalichino in insulti è una drammatica piaga da stigmatizzare e contro cui serve un impegno constante. Ma attenzione: questo non deve diventare il lasciapassare per i soloni del politicamente corretto di decidere cosa si può e cosa non si può dire.

Due esempi recenti.

Il primo, che in quanto assurdità ha dei livelli spaziali, coinvolge in prima persona Matteo Salvini. La Lega lancia un sondaggio. Sceglie quattro ministri: la Fornero (quella della legge sulle pensioni che ha inguaiato non poche persone), la Bellanova (quella della sanatoria che ha regolarizzato un bel po’ di immigrati), la Lamorgese (quella che sta riaprendo i porti e ha promesso di smantellare i decreti Sicurezza) e la Azzolina (quella delle barriere di plexiglas e dei banchi-girello). Ora, i progressisti sono saltati alla gola delle camicie verdi accusandole di sessismo perché tra le scelte non figurava nemmeno un maschio. È vero che quella lista avrebbe potuto annoverare altri ministri pessimi. Che dire di Danilo Toninelli? E Luigi Di Maio? E Alfonso Bonafede? Giusto per citarne alcuni… di sicuro Salvini non lo vede di buon occhio ma le quattro che ha servito su un piatto d’argento ai propri elettori/supporter hanno un valore politico molto forte. Andiamo a ritroso. Contro la Azzolina Salvini sta portando avanti una campagna martellante: vuole pure presentare una mozione di sfiducia per farle scontare il caos in cui ha gettato le scuole a poche settimane dal rientro. La Bellanova e la Lamorgese sono scelte scontate dal momento che la lotta all’immigrazione clandestina è il cavallo di battaglia del Carroccio e che i giallorossi stanno di fatto smantellando quanto fatto da Salvini quando sedeva al Viminale. Dulcis in fundo, con un tuffo nel passato, la Fornero. Una scelta neanche troppo stramba se si considera che, in cambio degli aiuti, Bruxelles starebbe chiedendo al premier Conte di cancellare “quota 100”, introdotta dalla Lega per rimediare ai pasticci dell’ex ministra montiana. Una scelta politica, insomma.

Per anni ci hanno riempito la testa con l’importanza delle quote rosa, un paraocchi inventato dal politicamente corretto per nascondere le vere battaglie che si dovrebbero fare a sostegno delle donne. Ne siamo diventati a tal punto succubi che, in piena emergenza Covid, si è trovato il tempo per accusare Conte di non aver scelto abbastanza esperte tra i 450 cervelloni arruolati nelle task force governative. E il premier, anziché tirar dritto, si è inchinato e ha subito imbarcato un po’ di signore.

Quando poi crediamo di averle viste tutte, ecco essere prontamente smentiti. E veniamo all’ultima follia: le critiche alla modella armena Armine Harutyunyan scelta da Gucci. Qui il sessismo diventa addirittura body shaming. Sui social criticano la maison per aver scelto una “brutta”. Ai più non piace, mentre per i soliti soloni è l’incarnazione della “bellezza non comune”, “splendore della diversità”. Tutto è soggettivo, ma (senza ovviamente scadere nell’insulto) si potrà ben esprime un’opinione a riguardo senza essere linciati? Oggigiorno no. Nelle ultime ore, però, i difensori della modella devono aver rischiato un infarto quando l’hanno vista fare il saluto romano davanti l’Altare della Patria. Forse, forse, a riguardarla bene, non gli piacerà più così tanto?

FONTE: http://blog.ilgiornale.it/indini/2020/08/30/censura-sinistra/

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

UN PAESE IN PREDA AL DELIRIO COLLETTIVO

Un Paese in preda al delirio collettivoIn merito a ciò che io considero da tempo una sorta di delirio collettivo senza precedenti, mi trovo piuttosto in sintonia con lo scrittore e giornalista francese Bernard-Henri Lévy, il quale in un suo recente pamphlet, “Il virus che rende folli”, ha espresso un giudizio impietoso nei riguardi di chi ha vissuto e continua a vivere l’epidemia del coronavirus come una vera e propria guerra mondiale. Scrive infatti il nostro: “Anche io sono rimasto raggelato. Ma ciò che mi ha raggelato di più non è stata la pandemia, ma l’epidemia di paura che ha attanagliato il mondo”.

Ebbene, come mi trovo a sostenere da tempo, si ha l’impressione che l’Italia in questo clima di ritorno globale al Medioevo si trovi ancora in posizioni di avanguardia, soprattutto nei confronti di altri Stati europei in cui la ragionevolezza e il buon senso mostrano di avere ancora un certo spazio.

Basta osservare ciò che da mesi sta accadendo nel mondo della scuola, in cui la confusione regna sovrana, per rendersi conto del disastro sistemico verso il quale un virus opportunista, clinicamente inesistente oramai da mesi, ci sta inesorabilmente trascinando. Proprio in questo settore, così importante per il futuro di qualunque nazione, si stanno concentrando le peggiori idiozie che hanno accompagnato in Italia la lotta al Covid-19. Idiozie deleterie, tanto per la salute che per la socialità dei nostri figli, che un novello Comitato di salute pubblica sta imponendo da tempo, in barba a qualunque garanzia costituzionale. Pur avendo realizzato la più lunga chiusura scolastica dell’Occidente, Governo e Comitato tecnico-scientifico hanno inscenato per mesi un grottesco teatrino sui banchi monouso, spendendo con la massima disinvoltura ben 3 miliardi di quattrini del contribuente per una misura a mio avviso insensata, dal momento che l’evoluzione in atto da mesi del virus ci dice che la stragrande maggioranza di chi lo contrae è asintomatico o paucisintomatico. Non solo, e questo ragionamento vale anche per la follia di far indossare le mascherine in classe, una volta usciti di scuola i ragazzi, così come avviene da tempo per il resto della popolazione, riprenderanno ad assembrarsi, sia al chiuso che all’aperto, bypassando di fatto le scemenze illiberali con cui chi comanda vorrebbe contrastare una malattia che oramai riguarda pochissimi soggetti.

Inoltre, in merito alle medesime mascherine, dal momento che studenti e insegnanti respirano la stessa aria per almeno 5 ore al giorno, pensare di bloccare il virus con un panno davanti alla bocca e al naso equivale al tentativo di tenere le zanzare fuori di casa attraverso una grata. Non bisogna essere scienziati con l’H elevato per comprendere che la mascherina chirurgica serve unicamente a proteggere gli altri dai nostri eventuali schizzi di saliva, il famigerato droplet, ma che non realizza minimamente quell’isolamento biologico verso l’esterno che la martellante propaganda di regime ha dato ad intendere agli sprovveduti e ai paranoici.

Il risultato di questo guazzabuglio di misure di “sicurezza”, le quali comprendono una inverosimile metodologia per gestire i trasporti degli studenti e gli afflussi nei vari istituti scolastici, non potrà che essere estremamente negativo, minando ulteriormente una didattica che ci vede da tempo agli ultimi posti in Occidente e creando non pochi problemi per la salute fisica e mentale dei nostri ragazzi.

Ora, dal momento che il coronavirus fin dall’inizio è stato oggetto di una inqualificabile speculazione politica e professionale, con la quale si continua a spargere terrore allo scopo primario di giustificare l’ingiustificabile, non c’è da aspettarsi che gli artefici principali di questa colossale manipolazione di massa proprio sul tema sensibile della scuola sconfessino quanto fatto e detto finora, adottando una linea ragionevole. Linea che, in estrema sintesi, consenta ai giovani di comportarsi nelle ore scolastiche come nella vita di tutti i giorni, concentrando le principali risorse nella tutela delle fasce più esposte della società: anziani e immunodepressi.

In effetti pretenderemmo troppo da chi, secondo alcune inquietanti indagini giornalistiche, ha avallato la prassi di contare tra i morti per Covid-19 anche chi non risultava più positivo da mesi o che addirittura era deceduto per tutt’altre cause.

FONTE: http://opinione.it/editoriali/2020/08/31/claudio-romiti_coronavirus-italia-covid-misure-illiberali-scuola-cts-pandemia-terrore-mediatico/

 

Galli: gli stadi devono rimanere chiusi! Vietato tornare alla normalità! Continua il terrore!

Vietato tornare alla normalità, alle consuete relazioni tra le persone, la consegna che hanno ricevuto i virologi del terrore della Dittatura Sanitaria Mondiale. Galli è uno degli ultrà dell’allarmismo, uno che sostiene che il coronavirus non è mutato ma quando gli si chiede prove scientifiche di quello che va dicendo, non risponde, citando i dati farlocchi che il ministero della salute su morti e contagiati.

Vietato tornare alla normalità che significa che le scuole non vanno riaperte, le elezioni devono essere rinviate, i concorsi non possono essere svolti, ecc. Ora Galli è tornato alla carica con una nuova affermazione polemica. Secondo lui, gli stadi non devono essere riaperti, altrimenti si ricade nello stesso errore della riapertura delle discoteche. Galli, nella sua infinita saggezza, ha già stabilito che i contagi sono risaliti per colpa delle discoteche e non perché mentre prima i tamponi li facevano solo ai sintomatici, oggi li fanno a tutti proprio perché Galli e compagni sanno bene che in Italia esistono milioni di asintomatici. Basta trovarli e spacciare alla gente l’ennesima bugia: non rispettate le misure restrittive e il virus torna!

Ma mentre gli stadi devono restare chiusi così come le discoteche, i porti devono restare aperti, nonostante il fatto che molti migranti siano positivi e sfuggono ad ogni forma di controllo. Ancora una volta gli scienziati piegano il loro sapere agli interessi di aziende farmaceutiche e sistemi politici.

FONTE: https://scenariquotidiani.blogspot.com/2020/08/galli-gli-stadi-devono-rimanere-chiusi.html?m=1

La lezione di Amatrice e quelle nei banchi a rotelle

Nella triste ricorrenza del sisma torna la questione dell’idoneità dei “banchi mobili” suggeriti dalla ministra Azzolina. Cosa succederebbe se la terra tornasse a tremare?

Nel giorno in cui si celebra l’anniversario del terremoto di Amatrice e dintorni e si consacra l’incapacità istituzionale di affrontare le emergenze e le drammatiche conseguenze, si prova a non pensare a chi vive dimenticato in un container o ancora sogna che qualcuno si occupi di lui.

La sismicità del nostro Paese è tema che – come i peperoni consumati a tarda sera da deboli di stomaco – “torna su” ogni qualvolta ci si ritrova a spegnere le candeline sulla torta (una “sbrisolona”, giusto per aver memoria delle macerie) preparata per ricordare che è passato un altro anno senza che sia successo nulla.

A pochi giorni dalla prevista riapertura delle scuole si guarda serenamente al domani rallegrandosi per le geniali iniziative della titolare del dicastero dell’Istruzione e in particolare per i banchi a rotelle prospettati come la panacea a qualsivoglia problema passato, presente e futuro.

I soliti, immancabili ed implacabili “rosiconi” fanno presente che il termine di consegna delle avveniristiche postazioni didattiche sarebbe slittato dal 12 settembre ai primi di ottobre. Come ribattere dinanzi ad una simile pretestuosa sollecitazione? Vale la pena considerare che quasi certamente la modifica della calendarizzazione della fornitura non è fortuita e anzi c’è da ritenere sia stata studiata per far sì che scolari e studenti – restando in piedi per due settimane – possano anticipare le lezioni di educazione fisica, migliorare la loro postura verticale, acquisire resistenza, rimanere svegli anche nel corso delle lezioni più noiose.

Oggi, però, in occasione della mesta ricorrenza del drammatico evento tellurico salta nuovamente fuori la questione dell’idoneità dei “banchi mobili” nel caso in cui la terra torni a tremare.

Si sa che in caso di emergenza i bimbi devono rifugiarsi sotto tavoli e banchi. Sarà interessante leggere le istruzioni che verranno diramate per chi a scuola avrà a disposizione solo un ripiano pieghevole montato su una seggiola pronta a muoversi a sobbalzi e ondulazioni grazie al suo moderno appoggio rotolante.

FONTE: https://www.infosec.news/2020/08/24/news/cittadini-e-utenti/la-lezione-di-amatrice-e-quelle-nei-banchi-a-rotelle/

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

La campagna dell’odio contro la Cina – 3a parte

Larry Romanoff – 6 agosto 2020

The UNZ Review – https://www.unz.com/lromanoff/the-anger-campaign-against-china/

Bernays – Marketing della guerra

Per quanto riguarda la scoperta della propaganda come strumento di controllo dell’opinione pubblica e il suo utilizzo per il marketing di guerra, vale la pena di dare una rapida occhiata al contesto storico degli sforzi bellici di Bernays. All’epoca, gli ebrei sionisti europei avevano fatto un accordo con l’Inghilterra per far entrare gli Stati Uniti in guerra contro la Germania, a fianco dell’Inghilterra, un favore per il quale l’Inghilterra avrebbe concesso agli ebrei il possesso della Palestina come territorio per una nuova patria [19]. La Palestina non “apparteneva” all’Inghilterra, non era compito dell’Inghilterra concedere né l’Inghilterra aveva alcun diritto legale o morale di fare un tale accordo, ma è stato comunque fatto.

Il presidente degli Stati Uniti Wilson voleva ardentemente assolvere i propri obblighi nei confronti dei suoi “manipolatori” facendo entrare gli Stati Uniti nella prima guerra mondiale come volevano, ma il popolo americano non aveva alcun interesse per la guerra europea e l’opinione pubblica era del tutto contraria a parteciparvi. Per favorire il risultato desiderato, Wilson creò il Comitato per l’Informazione Pubblica (The Creel Commission) [20], al fine di propagandare la guerra attraverso il lavaggio del cervello di massa del paese. Comunque Creel era solo il “fronte” di un gruppo che consisteva di uomini appositamente selezionati dai media, dalla pubblicità, dall’industria cinematografica e dal mondo accademico, oltre che di specialisti in psicologia. I due membri più importanti erano Walter Lippman, che Wilson ha descritto come “l’uomo più brillante della sua epoca”, e Bernays che era il massimo esperto di controllo della mente del gruppo, entrambi ebrei e consapevoli della posta in gioco in questo progetto. Bernays pianificò di combinare le conoscenze psichiatriche di suo zio Freud con la psicologia di massa mescolata alle moderne tecniche pubblicitarie, e di applicarle al controllo di massa delle menti. Furono i notevoli schemi di propaganda di Bernays e la sua influenza nel promuovere la palesemente falsa idea che l’ingresso degli Stati Uniti nella guerra fosse principalmente finalizzato a “portare la democrazia in tutta Europa”, che si dimostrarono tanto efficaci nel modificare l’opinione pubblica in merito alla guerra. Grazie a Edward Bernays, il marketing bellico americano era nato, e non sarebbe mai morto.

Nota per i lettori: una parte del contenuto che segue e che descrive in dettaglio le specifiche della propaganda di Lippman e Bernays per la prima guerra mondiale, non è opera mia. È stato estratto alcuni anni fa da un documento più lungo di cui ora non riesco a trovare la fonte originale. Se un lettore è in grado di identificare tale fonte, sarei grato di riceverne informazione, in modo da poter dare il giusto credito all’autore per le sue approfondite ricerche.

“La creazione del CPI da parte di Wilson è stato un punto di svolta nella storia del mondo, il primo tentativo veramente scientifico di formare, manipolare e controllare le percezioni e le convinzioni di un’intera popolazione”. Grazie all’autorità di Wilson, a questi uomini fu data la possibilità quasi illimitata di compiere la loro “magia”, e per assicurare il successo del programma e garantire l’eventuale possesso della Palestina, questi uomini e il loro comitato realizzarono “un programma di guerra psicologica contro il popolo americano su una scala senza precedenti nella storia dell’umanità e con un livello di successo che la maggior parte dei propagandisti poteva solo sognare”.

Avendo ricevuto via libera e ampia autorità dal Presidente degli Stati Uniti e dalla Casa Bianca per “pilotare l’opinione pubblica verso la guerra”[21] e, con il successo minacciato da un diffuso sentimento anti-guerra tra l’opinione pubblica, questi uomini decisero di progettare quella che Lippman chiamò “la creazione del consenso”. Il comitato si incaricò di “esaminare i diversi modi in cui l’informazione giungeva alla popolazione e di inondare questi canali con materiale pro guerra“. Il loro sforzo fu ineguagliabile in termini di estensione e raffinatezza, poiché il Comitato aveva il potere non solo di censurare ufficialmente le notizie e di nascondere le informazioni al pubblico, ma anche di produrre notizie false e distribuirle a livello nazionale attraverso tutti i canali. In brevissimo tempo, Lippman e Bernays si organizzarono abbastanza bene da iniziare a inondare gli Stati Uniti di propaganda antitedesca composta da letteratura, film, canzoni, articoli mediatici di odio e molto altro ancora.

Secondo Bernays, la chiave era disumanizzare e demonizzare il popolo tedesco riempiendo le menti americane di storie dell’orrore inventate. I media accondiscendenti, in gran parte di proprietà ebraica, diffondevano con obbedienza storie false di caramelle avvelenate che venivano lanciate dagli aerei, soldati tedeschi che infilzavano i bambini come spiedini di shish kebab, stupri di suore e molto altro ancora. Alla fine, le storie furono accettate come vere e la naturale resistenza alla guerra del pubblico fu superata. “Essi [Bernays e il suo gruppo] si esercitavano a divulgare storie inventate di atrocità, false accuse di terrore e brutalità contro qualsiasi nazione o popolo che volevano che l’opinione pubblica considerasse come “il nemico”, poi verificavano e valutavano le reazioni del pubblico così ben manipolato con la falsa propaganda”.

Nel suo libro Public Opinion del 1922, [22] [23] Lippman scriveva: “L’unico sentimento che chiunque può avere su un evento che non sperimenta è quello suscitato dalla propria immaginazione… Perché è abbastanza chiaro che in certe condizioni gli uomini reagiscono tanto alle finzioni quanto alla realtà“. Ed è stata la manipolazione psicologica eseguita da questi uomini a trasformare un’intera nazione di pacifici americani in rabbiosi guerrafondai. La storia di questo processo di anni di menzogne e di odio è stata seppellita piuttosto bene, e la Casa Bianca, il Congresso e il Comitato si sono adoperati, finita la guerra, per distruggere la maggior parte delle prove dei loro crimini, ma credo che sia l’America che gli ebrei un giorno dovranno riconoscere apertamente questo capitolo della storia.

A causa di Bernays, la propaganda delle atrocità, la deliberata diffusione di malvagità inventate e di crimini di guerra inumani, è diventata il presupposto degli sforzi del Comitato. Harold Lasswell ha scritto,

“Sono così grandi le resistenze psicologiche alla guerra nelle nazioni moderne che ogni guerra deve apparire come guerra di difesa contro un aggressore minaccioso e assassino. Non ci deve essere alcun dubbio su chi si deve odiare… se all’inizio la gente non si arrabbia, ricorri alle atrocità. È stata impiegata con costante successo in ogni conflitto conosciuto dall’uomo” [24].

Prossima puntata: Le cause e gli obiettivi della propaganda

https://www.unz.com/lromanoff/the-anger-campaign-against-china/

QUI I PRECEDENTI ARTICOLI DELLA SERIE: Parte 1a – Parte 2a

FONTE: https://comedonchisciotte.org/la-campagna-dellodio-contro-la-cina-3a-parte/ 

 

 

 

“Ecco cosa vuole la Turchia”

I RACCONTI DELL’ERA ATOMICA

Le acque bollenti del Mediterraneo orientale hanno riportato la Turchia al centro delle attenzioni. Quello che sta avvenendo nel quadrante che va dall’Egeo fino ai fondali di Cipro è un susseguirsi di eventi dai lati ancora oscuri. Il governo di Ankara che ha spedito la nave Oruc Reis e la sua scorta di mezzi militari per la ricerca nei fondali marini. La Grecia ha reagito con una serie di manovre militari e attivando un vero e proprio blocco anti turco nel Mare Nostrum che vede nella Francia uno dei partner di primo piano. Una sfida che vede un dispiegamento di forza aeronavali in continua crescita con il rischio che anche una piccola scintilla possa far deflagrare un incendio di cui è difficile prevede i contorni e le conseguenze. Ma quello che conta è capire come mai si sia giunti a questa escalation. Perché l’Egeo e il Levante si sono trasformati in un luogo di tensioni e perché oggi è possibile vedere in azioni navi greche, turche, francesi, italiane e americane fino ai caccia degli Emirati Arabi Uniti?

Per comprenderlo bisogna partire dalla Turchia, Paese che in questi ultimi anni ha visto crescere la sua spinta propulsiva e che ha deciso di dirigere il proprio sguardo al di fuori dei propri confini verso tutte le direzioni per estendere la propria rete di influenza. Prima ha sfruttato e concretizzato la “profondità strategica” ideata di Ahmet Davutoglu. Ora, invece, con la spinta che dalla terra si sposta verso il mare, questo ritorno della Turchia sullo scacchiere internazionale ha un nome che riecheggia con sempre maggiore forza: Mavi Vatan, la Patria Blu. Ne abbiamo discusso con Cem Gürdenizammiraglio della Marina turca, che ha coniato e studiato per primo questo nome, Mavi Vatan, diventato oggi il simbolo delle mosse di Ankara nel Mediterraneo.

Mavi Vatan si fonda su tre pilastri. Il primo pilastro è il simbolo di una marittimizzazione della Turchia nel ventunesimo secolo. La Turchia ha avuto una visione marittima che purtroppo è stata rimossa nel corso dei secoli. Ataturk provò a rivitalizzarla, ma dopo di lui nessuno si è concentrato davvero sullo sviluppo di una marina capace. Noi dipendiamo dal mare per le risorse, per il commercio, per il sostentamento dello Stato. Il governo e il popolo turco hanno cambiato idea solo negli ultimi anni rendendosi conto di come abbiano bisogno del mare. Ecco perché questa dottrina è un simbolo”.

Ma dalla simbologia si passa alla prassi, e sotto questo profilo, gli altri due pilastri sono fondamentali per comprendere cosa vuole la Turchia. Gurdeniz continua la sua disamina. “Il secondo pilastro di Mavi Vatan è una definizione – ci spiega Gurdeniz. Definisce le aree di giurisdizione marittima, ovvero le acque territoriali, la piattaforma continentale e la ZEE. In questo ambito Mavi Vatan è un approccio difensivo per proteggere le nostre aree di giurisdizione marittima, in particolare contro la Mappa di Siviglia preparata per l’UE e imposta alla Turchia”.

Definizione cui corrisponde poi il terzo pilastro, la dottrina. “Per proteggere, salvaguardare e sviluppare i diritti marittimi e gli interessi nazionali, Mavi Vatan sviluppa dottrine secondarie come l’utilizzo della marina, lo sviluppo dell’industria della difesa, l’uso di navi per la ricerca sismica e perforatrici, lo sviluppo di basi di supporto della flotta nazionale e all’estero e strumenti legali e argomenti per la firma accordi di delimitazione con altri Stati rivieraschi”. Il riferimento è al memorandum con la Libia del 27 novembre 2019. Questo è un profilo su cui l’ammiraglio tornerà spesso: la questione del buon vicinato. “Questa dottrina mira ad avere buoni rapporti con i vicini basati su una quota equa del dominio del mare. Mavi Vatan non presuppone necessariamente conflitti, ma piuttosto avere buoni rapporti con altre potenze come l’Egitto, Israele, Malta o l’Italia”.

La domanda a questo punto sorge spontanea, soprattutto per quello che sta avvenendo nel Mediterraneo orientale con Atene.

Ammiraglio Gurdeniz, lei come ritiene che una dottrina come Mavi Vatan possa coesistere con gli interessi degli altri Paesi e con il diritto internazionale?

“Il problema di oggi con l’Unione europea e gli Stati Uniti è un problema di percezione. Per secoli la Turchia è stata vista come una potenza terrestre. La ragione principale di ciò che accade ora è che con Mavi Vatan questa percezione cambia. Siamo rivolti al mare senza alcuna voglia di tornare indietro. Il problema principale per ora è la carta di Siviglia. Se siamo privati di centinaia di migliaia di chilometri quadrati di acque sovrane – secondo questa mappa – con confini che strangolano la Turchia e la escludono dal mare è un problema. Il sistema atlantico impone un sistema che costringe la Turchia a rimanere in Anatolia. Questa mappa impedisce alla Turchia di raggiungere gli oceani. È intenzionalmente progettato per togliere la Turchia dal suo ruolo nel Mediterraneo e nella geopolitica mediterranea. È impossibile per la Turchia accettare la seconda versione del Trattato di Sevres, soprattutto ora che si stanno scoprendo risorse energetiche e le frontiere non lo autorizzano”.

Queste parole, questi concetti, ricordano molto alcuni discorsi del presidente Recep Tayyip Erdogan…

“Io sono un kemalista. Mavi Vatan è qualcosa che protegge gli interessi dello Stato ed è assolutamente estraneo alle visione neo-ottomane, all’espansionismo e all’islamismo. Mavi Vatan è una dottrina difensiva contro le richieste e le imposizioni dell’Ue e degli Stati Uniti basata sulla mappa di Siviglia. Difende le regole internazionali, le giurisprudenze della Corte internazionale di giustizia e della Corte permanente di arbitrato con le precedenti decisioni sui conflitti di delimitazione marittima. Mavi Vatan è al di là della politica, non ha nessun collegamento diretto con qualsiasi partito politico. Tuttavia fornisce indicazioni sulla politica statale…”

Siamo oltre la politica, quindi anche oltre lo Stato e oltre la Turchia

“La Turchia non è sola nel Mediterraneo” spiega Gurdeniz.” La Turchia rappresenta anche il mondo turco: rappresenta i popoli dal Kazakistan ai Balcani che non hanno coste. La Repubblica Turca è l’unico Paese per questo mondo a essere una potenza marittima e consente a questi popoli di collegarsi al mare e ad altre parti del mondo. Dobbiamo pensare a tutti questi popoli e stati. Esiste un’area di interesse, cooperazione e coordinamento che arriva fino al Golfo Persico, Aden e tutto il Mediterraneo fino agli oceani. L’Italia ha portaerei, ad esempio, ed è un’arma fondamentale perché significa che la marina protegge gli interessi economici e politici nazionali. In Italia è stato coniato il concetto di Mediterraneo allargato, che indica il desiderio di proiettarsi al di là delle proprie coste. La Turchia deve estendere la sua area di operazione e in caso di emergenza deve avere basi operative all’estero per far operare la Turchia, come Libia, la Repubblica di Cipro Nord, Gibuti, Albania, Qatar”.

Un concetto che l’ammiraglio Gurdeniz ci sottolinea più volte: “La Marina turca deve espandersi e questa è una reazione naturale alla crescita di un potere regionale e arrivare a un punto di svolta. La Turchia sta crescendo come stato membro del G20, con 83 milioni di abitanti, una grande industria della difesa. Un passaggio fondamentale che non può essere trascurato perché i vicini come la Grecia e Cipro cercano di privare la Turchia della sovranità e dei diritti marittimi. Il mondo sta cambiando, ci sono nuovi poli e ci stiamo muovendo verso il multipolarismo. Cina e Russia stanno cambiando il mondo unipolare basato sulla pax americana. L’Italia stessa ha firmato un accordo con la Cina per la Via della Seta”.

Ecco, ammiraglio, parlando dell’Italia, come ritiene che siano o debbano essere i rapporti tra Italia e Turchia? Alcuni episodi negli ultimi tempi hanno dimostrato fratture tra i due Paesi ma anche forti sinergie in alcuni ambiti

“Parlando dell’Italia, è possibile che la Turchia sia partner o concorrente dell’Italia. Dal punto di vista geopolitico, l’Italia e la Turchia possono essere concorrenti. Sono due paesi fortemente marittimi che hanno o vogliono avere il controllo del Mediterraneo o di parte di esso. L’Italia ha un doppio fronte, il Mediterraneo occidentale e orientale, e si trova in una posizione molto critica e particolare, che ne è anche la sua forza. Francia e Germania premono per un’Italia posizionata in un certo modo, ma il problema parte dal sistema atlantico. L’Italia ha una forte cultura atlantica ma allo stesso tempo ha in sé una spinta eurasiatica e ha la capacità di avere interessi diversi da quelli del sistema che fa capo a Washington. Cosa che la accomuna alla Germania. La Turchia aveva al suo interno una scuola legata a Gulen che era istigata dalla Nato e dal sistema atlantico. Ma una parte del paese non è d’accordo perché la presenza militare statunitense e la politica strategica americana è vista come un problema. La Turchia è vicina alla politica eurasiatica così come sembra essere l’Italia, che è l’unica potenza del G8 sulla Via della Seta e abbiamo interessi comuni in Libia e Nord Africa. Questo è qualcosa che la Francia non vuole e preme per avere una propria forza autonoma nel Mediterraneo, come è accaduto e sta accadendo in Libano”.

La partecipazione alle esercitazioni Eunomia con la Grecia indica però che l’Italia sembra più legata al blocco occidentale. Anche se c’è stato un Passex con la Marina turca

Per quanto riguarda le esercitazioni, la Turchia le fa continuamente ed è una politica di equilibrio: non dobbiamo sorprenderci delle esercitazioni. Possiamo farle con chiunque e tutti le fanno con diverse potenze”.

A proposito di Grecia, di Eunomia e di quello che sta avvenendo tra Atene e Ankara, cosa ne pensa lei, Cem Gurdeniz, ideatore di Mavi Vatan e stratega dell’espansione turca nel mare?

“Il problema tra Grecia e Turchia non è né politico né legale: è geopolitico. La Grecia si comporta come ‘procuratore’ del sistema euro-atlantico che la Turchia ritiene non rispettoso del sistema internazionale e del diritto del mare. La mappa di Siviglia dà l’intera piattaforma continentale dell’Egeo alla Grecia. Kastellorizo (l’isola al centro dell’attuale escalation ndr) ​​prende 40mila chilometri quadrati dalla piattaforma continentale turca nonostante abbia 20 chilometri di costa: la penisola anatolica ne ha 1600. Quindi è contrario alla realtà voluta dal diritto internazionale, è una mappa dettata, calata dall’alto e che la Turchia non potrà mai accettare”.

Ma pensa che possa essere il preludio a una guerra?

“Penso che non ci saranno scontri armati perché se la Grecia, con o senza altri partner dell’Ue e della Nato, attaccasse la Turchia, sarebbe la fine dell’Alleanza atlantica. E senza Turchia ci sarebbe un’accelerazione del nuovo ordine mondiale, con Ankara che si sposta ad est. Penso che il mondo dovrebbe persuadere i greci a rinunciare alle loro affermazioni inaccettabili, irrealistiche e irrazionali sia nell’Egeo che in tutto il Mediterraneo. Lo ripeto: se la Grecia minaccia o compie atti di guerra, ci sarebbero ripercussioni sull’ordine mondiale, non solo sulla regione”.

A proposito di Nato in crisi, questa escalation nell’Egeo e il dinamismo francese riportano alla mente le parole di Emmanuel Macron che definì l’Alleanza in uno stato di “morte cerebrale”. La realtà sembra dargli ragione. Che cosa succederà tra Nato e Turchia?

“La Nato ha abusato della Turchia negli ultimi 70 anni. Allora eravamo il principale baluardo contro la spinta sovietica a sud. Ora la Guerra fredda è finita e la Turchia ha riconfigurato una nuova geopolitica che non si adatta alla visione euroatlantica. Ed ecco che si è arrivati allo scontro. Vogliono il ritiro delle truppe turche da Cipro, vogliono che la Turchia accetti la mappa di Siviglia e imponga uno stato curdo fantoccio nel sud con accesso al mare, hanno utilizzato i gulenisti nell’ultima fase per spezzare la volontà della Turchia di perseguire una nuova geopolitica. Il colpo di stato del 15 luglio 2016 è stato il colpo finale, ma hanno fallito. I gulenisti sono stati perseguiti in Turchia ma alcuni sono andati in America o nei paesi occidentali dove hanno trovato protezione e rifugio”.

Il suo è un attacco importante: ma la Turchia, la nuova Turchia di Mavi Vatan può coesistere con la Nato? Può esserci ancora effettivamente una potenza turca interna all’Alleanza atlantica?

“La Nato è in crisi in questo momento per quanto sta accadendo nel Mediterraneo orientale e non credo che la strategia turca possa coesistere troppo a lungo con il Patto atlantico. Il Mediterraneo sta passando da una pax americana a pax sinica, portata e creata dalla Cina. È un processo molto lungo ma è chiaro che la pax americana, che è venuta dopo la pax britannica, non accetterà l’inevitabile cambiamento senza confronto. Spero che questo cambiamento si concluda senza spargimento di sangue. Ma è chiaro che queste due pax stanno cambiando il Mediterraneo o potrebbero cambiare in futuro.

L’ammiraglio Gurdeniz, su questo punto, sembra avere certezze. “Le relazioni tra Nato e Turchia non saranno più così forti come prima perché l’Ue e la Nato agiscono in modo diverso dagli interessi nazionali turchi”, chiosa il militare. “La visione del sistema euroatlantico nei confronti della Turchia dovrebbe cambiare. Devono nascere nuove alleanze. Dobbiamo fare nuovi accordi e cercare nuovi alleati, ad esempio con la Russia che è sotto assedio e con la quale facciamo accordi in Siria e Libia. Potremmo anche riconoscere la sovranità sull’Abkhazia se Mosca riconosce quella di Cipro del Nord. C’è un equilibrio dei rispettivi interessi. Se l’Ue e gli Usa vogliono privare la Turchia delle risorse di cui ha bisogno per il suo futuro, non c’è possibilità di un compromesso che ci porterà a perdere tutto. Gli americani e alcune nazioni della Nato si stanno alleando con il Pkk e le Ypg per un Kurdistan indipendente che è contro gli interessi turchi. In che modo gli alleati terrestri di un membro della Nato mirano a destabilizzare e fratturare un altro alleato?”

FONTE: https://it.insideover.com/politica/intervista-cem-gurdeniz-turchia-mediterraneo-mavi-vatan.html

 

 

Le pericolose ambizioni turco-pakistano-cinesi

Quando due anni fa Imran Khan divenne primo ministro del Pakistan suscitò subito molte aspettative. L’auspicio era che l’ex capitano della nazionale di cricket, in virtù delle sue storiche amicizie con i giocatori indiani, inaugurasse una stagione di pace e di dialogo col vicino, dando al suo governo un’impronta moderata e tollerante.

Al contrario, Imran Kahn ha portato al parossismo la retorica anti-indiana e ha provocato in tutti i modi Nuova Delhi sulla questione del Kashmir, dando vita a una campagna mediatica durissima, paragonando la regione contesa alla Palestina e provando a coinvolgere su questa linea tutti i paesi arabi e islamici.

Perseverando in questa direzione, il 5 agosto scorso, in occasione del primo anniversario dell’abrogazione dell’articolo 370 della Costituzione indiana – che ha consentito al governo Modi di riorganizzare lo stato di Jammu e Kashmir – il ministro degli Esteri pakistano si è appellato all’Arabia Saudita, in qualità di paladino dell’Islam, affinchè portasse il dossier Kashmir in discussione a una riunione speciale dell’Organizzazione degli Stati Islamici (OIC). Il principe Mohamed bin Salman ha rigettato la richiesta in quanto i sauditi hanno avviato con l’India una stagione di importanti investimenti.

Il rifiuto ha particolarmente irritato Khan, ma l’apparato d’intelligence militare pakistano, consapevole della centralità saudita, ha provato subito a ricucire i rapporti, organizzando la visita a Riad del Capo delle Forze Armate, Jawed Bajwa, e del Capo dei servizi segreti (ISI), il generale Gaiz Hamid. La mossa non ha dato i risultati sperati e si è conclusa con un nulla di fatto, al punto che a entrambi è stato negato l’incontro con il principe. Un esito che sta suscitando preoccupazione ad Islamabad nei circoli militari.

Khan, da parte sua, non sembra condividere lo sconcerto degli alti gradi dell’Esercito e dell’Intelligence, dando l’impressione, al contrario, di andare alla ricerca dello scontro. I comportamenti assunti da quando è alla guida del governo, lo collocano in effetti a pieno titolo nel solco di quella tradizione di leader pakistani che hanno sempre sognato per il loro paese non solo un ruolo centrale nell’ambito del mondo musulmano, ma anche a livello globale. Sulla base di una simile impostazione, nel 1979 il Pakistan cominciò ad addestrare Mujaheddin da impiegare in Afghanistan, sotto la direzione di Stati Uniti ed Arabia Saudita, con l’obiettivo di assumere un ruolo chiave nella Guerra Fredda. Ancora oggi, la maggior parte dei gruppi terroristici di matrice islamista, dai Taleban all’Isis, passando per al Qaeda, affondano le loro origini in quella stagione e traggono ispirazione da quel progetto.

Nella visione di Khan, lo scenario internazionale attuale offre al Pakistan notevoli opportunità. Il programmato ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan potrebbe consentire a Islamabad di tornare a svolgere in quel paese il ruolo di grande burattinaio. Inoltre il completamento del China-Pakistan Economic Corridor e della autostrada Gilgit Baltistan possono rendere il Pakistan crocevia della Belt and Road, piattaforma logistica di collegamento terrestre tra Cina e Iran, Turchia e Medio Oriente.

Proprio i recenti scontri tra India e Cina in Ladakh, hanno reso Pechino e Islamabad più vicini che mai, al punto da arrivare ad aprire un fronte comune contro Nuova Delhi in Kashmir: ci sono prove dei contatti tra militari cinesi e gruppi terroristici filo-pakistani attivi nella regione.

Ma la strategia geopolitica di Khan non si limita a rafforzare i legami di alleanza con la Cina. Ad Occidente egli ha individuato nel presidente turco Erdogan il suo punto di riferimento. Il silenzio di Riad sulla questione Kashmir, l’accordo di pace tra Israele ed Emirati Arabi, gli investimenti messi in campo dai paesi del Golfo in India, hanno contribuito ad avvicinare i due leader, anche in virtù dell’ambizione di Ankara di contendere ai sauditi la leadership sul mondo sunnita. D’altronde, il ritorno del muezzin a Hagia Sophia, la nuova telenovela storica Ertugrul che racconta la vita di Osman, fondatore della dinastia Ottomana, e tante altre iniziative propagandistiche, dimostrano che, per Erdogan, il mondo è tornato al tempo delle crociate.

Eppure il neo-sultano è suadente e sa cambiare registro a seconda delle circostanze e nonostante il suo espansionismo avvenga soprattutto a spese dell’Italia, sono molte le cortesie all’indirizzo di Roma: è grazie alla Turchia se l’ambasciata italiana a Tripoli è stata messa in sicurezza, per non parlare dell’aiuto prestato nella liberazione della cooperante Silvia Romano.

Ma l’ambiguità di Erdogan si esprime in tutta evidenza soprattutto sulla questione migratoria: argine, a seconda dei momenti, della rotta balcanica, egli gioca un ruolo fondamentale anche nel regolare i flussi provenienti dalla Libia, non solo grazie al suo rapporto con Sarraj, ma soprattutto attraverso le milizie legate ad Ankara. E per chi volesse dar credito alle voci che circolano sulle piste del deserto del Sahara, ci sarebbe sempre lui dietro al recente colpo di stato in Mali: in passato, infatti, società turche sono state accusate di armare gruppi estremisti in Mali, Niger e Nigeria e di lucrare sui traffici di migranti, e non solo. Il Mali è anche un paese ricco di oro e di uranio. Quell’oro e quell’uranio di cui tanto abbisogna l’altro alleato-competitor del sultano, l’Iran.

Ma cosa c’entra la Turchia con la rivalità tra India e Pakistan? Secondo l’Hindustan Times, un importante quotidiano indiano, c’entra eccome e il 7 agosto scorso, citando fonti dell’intelligence indiana, ha accusato i turchi di addestrare ed appoggiare gruppi terroristi attivi nel paese. In particolare, secondo i servizi segreti di Nuova Delhi, Ankara, in collaborazione con Islamabad, finanzierebbe l’espatrio e l’addestramento di giovani estremisti indiani da utilizzare in attività terroristiche, attraverso Ong islamiste indiano-turche sponsorizzate dalla famiglia Erdogan.

In un simile scenario le circostante rendono possibili le ambizioni di Imran Khan, che ritiene, a questo punto, scarsamente funzionali ai suoi disegni le buone relazioni coi sauditi, impegnati ad investire nello sviluppo delle infrastrutture indiane. La “strana alleanza” che parte dalla Cina e coinvolge paesi sia Sunniti che Sciiti, realizza una Via (della Seta) in grado di arrivare fino alle porte dell’Europa.

Recentemente lo spessore strategico dell’inedita alleanza Cina-Pakistan-Iran-Turchia-Qatar è stato enfatizzato dai media pakistani, che ne hanno enfatizzato la portata anche sotto il profilo logistico-militare, sempre in relazione alle vie della seta terrestri: truppe ed armi potrebbero giungere dallo Yan Tze sino alle sponde dell’Egeo.

L’accordo tra Israele ed Emirati Arabi ha solo facilitato lo sganciamento di Khan dai paesi del Golfo Persico che, peraltro, già dall’estate avevano deciso di investire miliardi nelle telecomunicazioni, nelle raffinerie e nelle infrastrutture indiane, dando vita, di fatto, a un blocco alternativo al precedente, composto da USA, India, Israele, Emirati Arabi e, sebbene senza enfasi, Arabia Saudita.

Forse siamo all’inizio di un nuovo “Grande Gioco”, simile a quello che contrappose Gran Bretagna e Russia alla fine dell’Ottocento: l’ambito premio dei contendenti resta l’Asia meridionale. All’epoca finì male, ma l’ipotesi di rendere il Pakistan la regina della scacchiera esalta Imran Khan che corre il rischio, però, di pagare un prezzo troppo alto, a tutto vantaggio di Erdogan e Xi Jinping.

FONTE: https://loccidentale.it/le-pericolose-ambizioni-turco-pakistano-cinesi/

 

 

 

CULTURA

Philippe Daverio, Racconto dell’arte occidentale dai greci alla pop art

PHILIPPE DAVERIO Racconto dell'arte occidentalePhilippe DaverioRacconto dell’arte occidentale, dai greci alla pop art. Un viaggio letterario nella storia della cultura e dell’arte europee

È uscito in libreria Racconto dell’arte occidentale – Dai greci alla pop art di Philippe Daverio (edizioni Solferino). In questo nuovo volume di uno dei più amati divulgatori del mondo dell’arte traccia un percorso nell’intricata storia culturale europea, un crogiolo di popoli riottosi che di secolo in secolo si sono combattuti e influenzati.

La cultura occidentale? Un fiume carsico. Da questo concetto parte il viaggio di Philippe Daverio nella storia della cultura artistica che ha agitato l’Europa nel suo divenire. Un viaggio che parte dalla scoperta greca dello spirito scientifico (che già animava gli egizi, ma che i greci seppero codificare trasformando la saggezza in scienza) e prosegue con l’individualismo ebraico, per poi abbracciare le turbolenze delle invasioni barbariche.

Dal sole di Akhenaton al sole del Cristo risorto di Matthias Grünewald, l’autore identifica un percorso – per quanto caotico, ovviamente – che collega il fiume carsico della cultura occidentale, un immenso patrimonio comune – condiviso, ma non omogeneo – nato dal tramonto del mondo antico e sorto dalla lotta per la sopravvivenza delle culture che si sono susseguite fine a oggi. Cosa lega Platone a Michelangelo? E cosa Aristotele a Leonardo? Come le conoscenze etrusche hanno agito sulla cultura prussa?

La cultura non sta mai ferma. In nove capitoli Daverio accompagna il lettore dalle complessità del mondo greco – snodo fondamentale in cui si forma un nucleo culturale, artistico e filosofico che costituisce letteralmente le nostre radici – fino ai tempi delle avanguardie e della globalizzazione dove tempo e spazio vengono sovvertiti e soppressi, quando l’Europa di trova di fronte a una nuova potenza culturale pronta a oscurarla.

PHILIPPE DAVERIO Racconto dell'arte occidentale

Il libro affronta la storia dell’arte non tanto dal punto di vista degli artisti – o delle loro opere d’arte (delle quali comunque abbondano riproduzioni fotografiche e citazioni) – ma concentrandosi (quasi con occhio d’antropologo culturale) sul contesto che ne ha visto la nascita. Una visione globale, ricchissima e sfaccettata, con l’obiettivo di una comprensione più ampia.

La tradizione non esiste. La narrazione si muove su una direttrice cronologica (un ordine serve, certo), ma Daverio – nello stile che lo ha reso amato al grande pubblico – spazia, divaga, salta, anticipa e poi torna indietro: incrocia la storia con i personaggi, le mode, le scienze e le filosofie.
Per parlare di Dante, Giotto e del ‘300 italiano lo storico dell’arte salta a Valori Plastici con Carrà e De Chirico, in un flusso continuo di rimandi e suggestioni che legano indissolubilmente passato e futuro. Daverio costruisce una mappa geografica attraverso i secoli e i protagonisti (dai più illustri ai più oscuri, ma non per questo meno fondamentali negli snodi dell’arte) che hanno animato tutto l’Occidente (e limitrofi).

Tremila anni di storia e di storie sull’arte  mondo alla riscoperta dei grandi maestri e dei loro segreti, da Giotto a Monet, passando per Raffaello, Michelangelo, Modigliani, Bernini, Van Eyck e molti altri: “Questo libro è un viaggio attraverso i secoli che intende fornire al lettore una serie di riflessioni su un vasto patrimonio comune, nato dalle ceneri del mondo antico e plasmato dalle nostre fortune come dai nostri conflitti”.

 

PHILIPPE DAVERIO Racconto dell'arte occidentale

FONTE: https://artslife.com/2020/08/04/philippe-daverio-racconto-dellarte-occidentale/

 

 

 

Giovanni Verga: vita e opere

Giovanni Verga nasce a Catania (o, secondo fonti meno attendibili, a Vizzini, dove la famiglia aveva terreni e

 

proprietà) il 2 settembre del 1840, in una famiglia dell’aristocrazia siciliana. Agli anni della prima formazione sotto la guida di un intellettuale di formazione liberale, don Antonino Abate, fanno seguito i primi tentativi letterari, ancora fortemente legati al modello del romanzo storico: nasce così Amore e patria, completato ma non pubblicato dal giovane scrittore nel 1857. Iscrittosi alla facoltà di Legge dell’Università di Catania per assecondare i desideri del padre (Verga nel 1861 abbandonerà di fatto gli studi), lavora intanto al secondo romanzo, questa volta edito a proprie spese: I carbonari della montagna (1861-1862) in cui vengono raccontate, sempre nel filone del romanzo storico, le vicende dei moti catanesi del 1810-1812. Nel frattempo, arruolatosi nella Guardia Nazionale (chiaro indizio dei suoi sentimenti patriottici), inizia a collaborare a settimanali politici e riviste locali, quali il «Roma degli italiani» e «L’Italia contemporanea», e, più avanti, «L’Indipendente». Tra il 1862 e il 1863, Verga pubblica poi sul periodico fiorentino garibaldino «La Nuova Europa» il romanzo Sulle lagune, ennesima tappa del suo lungo apprendistato letterario.

FONTE: https://library.weschool.com/lezione/giovanni-verga-vita-e-opere-4920.html

LIBERTÀ: LA CONCEZIONE DEGLI ANTICHI E DEI MODERNI

Benjamin ConstantLa libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni (Liberilibri, Macerata 2020, pagine XLI + 66, 8 euro). È opportuna e tempestiva l’iniziativa di una nuova edizione di questi saggi di Constant (la prima è del 2001) con introduzione di Luca Arnaudo. Questo perché in tempi di cambiamenti radicali, di democrazie liberali e illiberali, i saggi inclusi nel volume, soprattutto il primo, famoso, danno un contributo decisivo, tanto alla risposta a cosa sia la libertà politica e, in certa misura, anche la democrazia. Com’è noto Constant distingue la concezione della libertà degli antichi da quella dei moderni, distinzione poco o punto chiara a molti teorici e politici del XVIII secolo e della rivoluzione francese. Quella degli antichi “consisteva nell’esercizio, in maniera collettiva ma diretta, di molteplici funzioni della sovranità presa nella sua interezza, funzioni quali la deliberazione sulla pubblica piazza della guerra e della pace. Ma se tutto ciò gli antichi chiamavano libertà, al tempo stesso ammettevano come compatibile con questa libertà collettiva l’assoggettamento completo dell’individuo all’autorità dell’insieme.

In tal modo, presso gli antichi, l’individuo, praticamente sovrano negli affari pubblici, è schiavo all’interno dei rapporti privati”. Al contrario “tra i moderni, al contrario l’individuo, indipendente nella vita privata, anche negli Stati più democratici non è sovrano che in apparenza”; “Scopo degli antichi era la divisione del potere sociale tra tutti i cittadini di una medesima patria; questo essi consideravano la libertà. Scopo dei moderni è la sicurezza nelle gioie private, ed essi chiamano libertà la garanzie accordate da parte delle istituzioni a tali gioie”. Il crollo delle istituzioni rivoluzionarie, che nella concezione della libertà degli antichi trovano il pilastro, è stato causato proprio0 dalla diversità dalla libertà come condivisa dai moderni. La distinzione tra diritti-libertà di partecipazione al potere politico, e diritti-libertà dal potere politico è stata tra le più fortunate. Riecheggia in tanti teorici successivi del diritto pubblico e della politica: ricordiamo, tra i tanti, quella di Maurice Hauriou tra Droit statutaire e Droit commundi Isaiah Berlin tra libertà di e libertà da, di Carl Schmitt tra principi di forma politica, (democrazia) e principi dello Stato borghese (uno dei quali è quello di separazione tra Stato e società civile). Su come coniugare la libertà degli antichi a quella dei moderni Constant propone la soluzione, debitrice di quella esposta da Emmanuel Joseph Sieyès nel discorso all’Assemblea costituente sul “veto reale”. Alla libertà dei moderni conviene “un’altra organizzazione rispetto a quella che poteva andar bene alla libertà antica all’interno del tipo di libertà di cui noi siamo gelosi, più l’esercizio dei nostri diritti politici ci lascerà tempo per dedicarci ai nostri interessi privati, più la libertà ci diverrà preziosa. Da ciò deriva, Signori, la necessità del sistema rappresentativo.

Il sistema rappresentativo altro non è che un’organizzazione per mezzo della quale una nazione scarica su alcuni individui ciò che non può e non vuole fare da sé”. L’acume di Constant vede anche il pericolo di tale organizzazione del potere “il rischio della libertà moderna è che, assorbiti dal piacere della nostra indipendenza privata e dall’inseguimento dei nostri interessi particolari, noi rinunciamo troppo facilmente al nostro diritto di partecipare al potere politico”; trascurare questo può compromettere quello. Non è vero che i cittadini non sanno decidere sulle questioni politiche “Guardate i nostri concittadini, di tutte le classi e professioni, che staccandosi dalla sfera dei loro lavori abituali e delle loro faccende private si trovano improvvisamente a occuparsi delle importanti funzioni che la Costituzione demanda loro: decidono con discernimento, resistono con energia, sconcertano l’astuzia, sfidano il pericolo, resistono nobilmente alla seduzione”. Per cui Constant conlcude “Ben lungi, signori, dal rinunciare ad alcuna delle due specie di libertà di cui vi ho parlato, occorre piuttosto, come ho dimostrato, imparare a combinarle tra loro. Occorre che le istituzioni si occupino dell’educazione morale dei cittadini. Nel rispetto dei loro diritti, avendo riguardo della loro indipendenza, senza ostacolare le loro occupazioni, esse devono comunque consacrare l’influenza di cui dispongono alla cosa pubblica, chiamare i cittadini a concorrere con le loro decisioni e i loro suffragi all’esercizio del potere; esse devono garantire loro un diritto di controllo e di sorveglianza con la manifestazione delle loro opinioni, e formandoli in tal modo, per mezzo della pratica, a queste elevate funzioni, donar loro al contempo il desiderio e la possibilità di adempierle”.

Altro che tecnocrazia e “ce lo chiede l’Europa”. Il secondo saggio (Note sulla sovranità del popolo e i suoi limiti) verte su un argomento quanto mai difficile dato che, come scriveva (tra i molti) Vittorio Emanuele Orlando la sovranità è per sua essenza assoluta; a farla relativa la si distrugge. E per risolvere tale antinomia Constant sostiene che garante ne è l’opinione pubblica (che intendeva come il common sense di Thomas Paine): “La limitazione della sovranità è dunque esatta, ed è possibile: essa sarà garantita inizialmente dalla forza che garantisce tutte le verità riconosciute dall’opinione, in seguito lo sarà in maniera più precisa dalla distribuzione e dal bilancio dei poteri”. Il che significa che il limite, prima che giuridico, è politico e meta-giuridico. Cosa ancora non compresa da tanti.

FONTE: http://opinione.it/cultura/2020/09/01/teodoro-klitsche-de-la-grange_benjamin-constant-la-libert%C3%A0-degli-antichi-paragonata-a-quella-dei-moderni-ath%C3%A9n%C3%A9e-royal-hauriou-berlin-schmitt-siey%C3%A8s/

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

FALSO UMANITARISMO. DIETRO AGLI SBARCHI SOLO TERRORISMO

Falso umanitarismo, dietro agli sbarchi solo terrorismoLo ha spiegato bene Giorgia Meloni: “Gli immigrazionisti hanno gettato la maschera”, ha dichiarato su tutte le agenzie. Cosa intende segnalare la leader di Fratelli d’Italia? Dopo pochi giorni di seria reazione del presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci, che ha dato l’ultimatum al governo, e le proteste a Lampedusa dei cittadini pronti a occupare il Comune e sdraiati per terra per impedire ai profughi di scendere, dalle navi Ong è partito il grido di guerra: “Il nostro salvataggio in mare non è un’azione umanitaria, ma parte della lotta antifascista”. A lanciare lo slogan dalla nave “Louise Michel”, finanziata e disegnata dal surreale e misterioso artista Banksy, è Pia Klemp, un’ultrà dell’immigrazione irregolare, la punta avanzata di Carola Rackete. Pia Klemp si definisce una specie di “terrorista del mare”. Ricordate quando le prime donne Br lanciavano i loro proclami in quei minutissimi volantini, in cui rovesciavano fiumi di parole esaltate per giustificare le loro azioni violente? Siamo a un pelo. La Klemp è una sorta di “guerrigliera dell’acqua” che diffonde le vere intenzioni degli assalti alle coste italiane. “Pura ideologia”, trasecola perfino Giorgia Meloni.

Fisichetto da “Guerre stellari”, tatuaggi da dura marinaia, Pia è un’attivista di lungo corso dei diritti umani deviata in scorribande nel Mediterraneo e già indagata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina dai magistrati italiani. Ma, come ha ricostruito Il Giornale, le accuse non le hanno fatto né caldo né freddo e si è messa al timone di una nave più veloce: un’ex imbarcazione doganale francese lunga 31 metri che le consente di sfrecciare sulle onde più veloce della Guardia costiera libica. Gliela ha finanziata Bansky, un nome che è una “copertura”, perché cela l’identità di un writer inglese esponente della street art le cui opere hanno uno sfondo satirico e politico militante, il quale ha raccolto tanti soldi da potersi permettere di chiamare l’indomita e offrirle la sua “sponsorizzazione”. Dietro a tutto questo fino a qualche giorno fa c’erano tranquillamente i partiti di sinistra, Pd in testa, le istituzioni alla Laura Boldrini, i 5 stelle e la platea dei buonisti, convinti e imbrogliati che fossero gesti umanitari per salvare vite in mare e dalle guerre. Nulla di autentico, la guerra questi corsari la vengono a portare sulle nostre coste, violando leggi e confini, non in nome dell’immigrazione globale, ma per fini ideologici: “Siamo attivisti antirazzisti e antifascisti a favore di cambiamenti radicali”, ha proclamato Pia Klemp al Guardian, lanciando il suo manifesto insurrezionalista.

Stavolta non è un’ossessione antisociale e neppure una “sciacallata” alla Matteo Salvini. Salvini e Meloni non c’entrano se non che sarebbe ora di ricondurre nell’arco istituzionale la sfida politica, invece di speculare come hanno fatto il Pd decadente e i 5 stelle in picchiata su sentimenti archiviati. Come nacquero le Br, gli anarchici, le stragi? Ma dove si vuole arrivare, dopo anni di clandestini tutti maschi, tutti forzuti, tutti derelitti, tutti rinchiusi in centri, hotspot, navi da quarantena, caserme, pronti a lottare anche a morsi, calci, pugni con una violenza inaudita? Lo Stato, il governo, i partiti, è questo che vogliono portare in Italia oltre al caos e alla crisi già abbondantemente esplosa e allo snaturamento culturale, morale e politico? Ci sono tutti i presupposti per inquadrare il sovvertimento prodotto dall’immigrazione clandestina come un attentato continuo alla sicurezza del paese. L’ultimatum lanciato dal presidente Nello Musumeci non è la solita reazione da contrastare con un Tar compiacente. E quello che già accade ovunque di “fuori controllo” è un fatto a cui il ministero dell’Interno deve porre rimedio. Non sul filo delle elezioni inventando un’altra destra “fascista” da spianare, perché è ora che anche Giorgia Meloni, la Lega e il centrodestra berlusconiano siano richiamati nell’arco istituzionale e che invece siano definitivamente fermati gli ultrà. Fuori legge sono loro!

Se n’è accorto anche Nicola Porro, e quindi anche il Vaticano, che nella “Zuppa” quotidiana ha rilanciato una notizia riportata solo dall’Avvenire, in cui si segnala che sulle navi di salvataggio e nei barconi si nascondono anche ex combattenti siriani del Dash sfuggiti alla polizia tunisina. Le intenzioni sono esplicite. Ieri sera se ne parlava tranquillamente anche a Quarta repubblica di miliardari rivoluzionari estremisti annoiati, che investono i loro soldi per giocare alla guerra. Ma il terrorismo in Italia se per alcuni è stato salotto, per tutti è una stagione di sangue e dolore che niente e nessuno possono giustificare. Oltre tutto c’è un’altra bomba da disinnescare, quella virale.

FONTE: http://opinione.it/politica/2020/09/01/donatella-papi_giorgia-meloni-fratelli-d-italia-matteo-salvini-lega-immigrazionisti-louise-michel-banksy-pia-klemp-carola-rakete-porro-avvenire-pd-m5s/

 

 

 

PIÙ CHE DI PAOLO MIELI SAREBBE INTERESSANTE ARRIVARE A RAGIONARE DI RENATO, SUO PADRE

renato mieli

Da anni e ciclicamente nel WEB  qualcuno chiede se Paolo Mieli sia o meno un massone. Se parliamo della stessa persona, non credo che risulti in nessun elenco comunicato alle Autorità della Repubblica a cui le Logge devono fornire gli elenchi (che non sono quindi segreti) di chi sia o meno affiliato alla massoneria. Paolo Mieli è ciò che è e come la pensi è facile farsene un’idea se lo si ascolta le mille e mille volte che si esprime in pubblico. Ho conosciuto Paolo Mieli, più di mezzo secolo addietro, in quanto non solo sposò un mia compagna di liceo (la bella, raffinata, colta Francesca Socrate) ma era anche compagno di studi classici (al Liceo Tasso) di quella che, a sua volta, divenne la mia prima moglie.  In questo post  lascio detto qualcosa del padre di Paolo Mieli così spero di attenuare un po’ le curiosità insistenti dei navigatori che vogliono sapere di massonerie e appartenenze varie del figlio. Nel WEB Paolo Mieli viene spesso attaccato perché appare, nella sua crociata contro il complottismo, super attivo. Su questo piano, non posso non essere d’accordo con chi lo critica. Direi – anzi – che per uno che ha tentato di divenire uno storico al seguito di Renzo De Felice l’eccessivo negazionismo a cui si dedica è veramente imbarazzante. Per lui ovviamente. I complotti, proprio come ho avuto modo di scrivere in un post a Mieli (figlio) dedicato, non solo sono sempre esistiti ma sembrano proprio, ad opera di ambienti massonici antidemocratici, ancora in pieno sviluppo. Torno a dire che non si può avere certezza se Mieli sia o meno un massone. Fatti suoi e di chi lo ha eventualmente affiliato. Certamente, e questa è storia, è figlio di un grande personaggio che ha saputo anticipare i criteri in base ai quali oggi, anche il sottoscritto nella sua semplicità e marginalità, ragiona di Intelligence Culturale. Il Capitano Meryll (ovvero Renato Mieli) è stato un precursore di come l’Intelligence oggi (ovviamente altre tecnologie a disposizione) tiene sotto stretta sorveglianza il settore della produzione di notizie, vere,false o autentiche che siano. Renato Mieli, nato ad Alessandria d’Egitto, poi emigrato con la sua famiglia a Roma, presa la laurea nella qualificata Padova nel 1935 e poi, alla ratifica delle leggi razziali del 1938, fuoriuscito a Parigi, è stato prima frequentatore di quegli inquinatissimi ambienti della resistenza italiana ricoverata in Francia e poi agente del “non esistente Secret Service inglese”. Tengo a precisare che Renato Mieli non nasce come letterato/giornalista ma come “fisico nucleare” (si laurea, come ho detto, nel ’35) e siamo negli anni determinanti per l’evoluzione di questa scienza e per l’esito della Seconda guerra mondiale.  Successivamente, conoscendo bene l’arabo, l’inglese, il francese oltre che, ovviamente, l’italiano e in più, essendo di famiglia ebrea in diaspora, fu arruolato presso i comandi angloamericani già quando si combatteva nel Nord Africa, in funzione dell’avvicinarsi dell’invasione della Sicilia dell’estate del 1943. Poi, sempre sotto la copertura di capitano Meryll, operò a Napoli dove svolse ulteriormente il suo compito riservato ma al tempo fondando, il 4 ottobre 1943, il quotidiano “Risorgimento“.

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Durante la guerra aveva dato vita, sempre in accordo con gli “alleati”, ad una iniziativa in campo editoriale nella Tripoli occupata dagli inglesi. Un vero giramondo operativo. Dopo Salerno e Napoli rimane in Italia al seguito dell’esercito inglese e risulta, da tutte le sue biografie e fonti aperte mai smentite,  essere stato nominato ufficiale dei servizi d’intelligence inglesi.  Lavora nel Psychological Warfare Branch, l’organismo che concede i permessi di pubblicazione delle notizie (la censura militare) ed assegna la carta per la stampa dei primi giornaliNel 1945, grazie ai buoni uffici del comando alleato in Italia,  per meriti acquisiti e doti professionali , viene scelto come primo direttore dell’ANSA.

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Una parentesi significativa nella carriera di Mieli è la sua collocazione nel Partito Comunista Italiano, durata ben nove anni. Nel 1947 assume, su invito di Palmiro Togliatti, la direzione milanese de «l’Unità». E qui conosce Giangiacomo Feltrinelli, di cui diventa amico. A sua volta è utile ricordare che Feltrinelli, dopo essere stato un giovane entusiasta del fascismo, viene arruolato nella resistenza da Antonello Trombadori  e lo troviamo partigiano nel Gruppo di Combattimento Legnano, organico alla V Armata USA. Cosa voglia dire la frase (divennero amici con Mieli) che compare nelle biografie è la cosa su cui mi sono fermato a riflettere tenendo conto sia della vita di Feltrinelli che di quella di Mieli. Padre e figlio. Renato Mieli nel 1949 viene nominato responsabile del Pci per i rapporti con l’estero, un incarico che permette a Mieli di entrare in contatto con i leader dell’Est europeo. Abbandona il PCI, con altri intellettuali, dopo la rivolta ungherese del 1956.

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Uscito dal PCI, Mieli aderisce alle idee degli economisti liberisti Friedrich von Hayek e Ludwig von Mises, fortemente avversi a qualsiasi forma di socialismo. A Milano crea, con il finanziamento garantito dalla Confindustria, il «Centro ricerche economiche e sociologiche dei paesi dell’Est» (Ceses), organizzando seminari e convegni assieme ai sovietologi occidentali, e fonda la rivista «l’Est», dedicata al blocco sovietico. Il Ceses era la filiale italiana di Interdoc, un istituto con sede all’Aja creato nel 1963 dai servizi d’intelligence della NATO per coordinare l’offensiva anti-comunista in diversi campi (dalla propaganda alle operazioni coperte), attingendo da fonti esclusive e materiale inedito di ex quadri e dirigenti dei partiti comunisti europei. Renato Mieli non ha mai cessato di essere un “agente segreto” e continuo a scusarmi per l’uso semplicistico di questa espressione.

Come si vede, intendendo come giornalista, certamente Paolo è da considerare, in tutti i sensi, un figlio d’arte. Senza il padre che non si limitò come si è visto ad essere il direttore dell’ANSA, Paolo sarebbe rimasto uno dei tanti.

La verità storica (e questo è il primo paradosso nella vicenda di cui marginalmente ci interessiamo essendo Paolo formalmente uno storico) è che non solo Renato Mieli era da sempre un uomo di intelligence (culturale) ma fu in particolare un benemerito della lotta contro un mostro quale Giuseppe Stalin e tutte le diverse forme che il comunismo post bellico assunse. Negli anni, Mieli padre, in quanto esperto di doppi/tripli giochi e di “complotti” arrivò ad essere, contemporaneamente, di assoluta fiducia di Giangiacomo Feltrinelli (quello che di fatto sostenne, non solo economicamente, Potere Operaio dove negli anni avrebbe militato suo figlio Paolo che è quello che oggi nega l’esistenza dei doppi livelli e dei complotti !!!!!!!) e di ambienti che poi decisero, con un colpo di teatro, di invitarlo come relatore, al Convegno sulla Guerra rivoluzionaria, all’Hotel Parco dei Principi, dove Mieli padre (vediamo di non mischiare il sacro con il profano), il 4 maggio 1965, relazionò i presenti su  “L’insidia psicologica della guerra rivoluzionaria in Italia”.

Due giorni dopo avrei compiuto diciotto anni e mi ricordo bene, da giovanissimo (forse, azzardo, il più giovane in assoluto di quegli ambienti), l’emozione di quei momenti e dei ragionamenti che in sedi, anche istituzionali, girarono intorno a quel convegno/spartiacque. Tenete conto che si diventava maggiorenni a 21 anni. Come al solito tendo a scrivere solo cose che posso confermare con un “io c’ero”.  Ed io di quel convegno senti parlare, come si dice, “a caldo” da alcuni che avevano fatto i relatori in quella occasione o da altri che erano stati presenti tra il pubblico. In parole ancora più povere e trasparenti io, fatto anomalo ma vero, ho conosciuto Renato Mieli (e chi fosse in realtà) prima di conoscere suo figlio, mio coetaneo.

Una vita avventurosa, affascinante e rigorosa quella dell’agente Meryll/Mieli, quasi unica. Comunque poco ci manca. Viceversa, di un figlio che nega, in sostanza, negando i complotti, la vita stessa di suo padre, più che chiedersi se sia o meno un affiliato alla massoneria, ci si dovrebbe domandare che razza di persona è.

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Tornado a cose più serie, tenete d’occhio le date in un quadro sinottico ipotetico ma necessario a capire cosa siano i doppi giochi e le operazioni coperte o sotto falsa bandiera e, soprattutto, a chiedersi, più che se Paolo Mieli sia o meno un massone (ma chi se ne frega!!!), come si debba leggere il rapporto fiduciario strettissimo fra suo padre e Feltrinelli alla luce della militanza di “entrambi” (di Giangiacomo e di suo figlio Paolo) in Potere Operaio. Parlo di quella organizzazione eversiva che fu in realtà, tra l’altro, il vero crogiolo della Colonna Romana delle BR (quella di Faranda-Morucci-Pace “trio” proveniente da P.O. e da anni in stretti rapporti con Mieli figlio), banda armata che, una vota organizzatasi, rese possibile (al di là degli scazzi al suo interno o meno) il rapimento e la condanna a morte di Aldo Moro, tragedia politica le cui conseguenze,  ancora perdurano avendo provocato, da quel 16 marzo del 1978 in poi, l’assenza di una qualunque politica estera mediterranea da parte della nostra Italia in quella occasione rimasta orfana. Altro che Giovanni Fasanella inattendibile, caro Mieli: il “complotto inglese” è un’ipotesi plausibile e se fosse in vita tuo padre a lui, esperto di cose britanniche e “rivoluzionarie”, si sarebbero potute rivolgere le domande opportune.  Di queste complessità, irrisolte, vorremmo sentire parlare, con competenza e trasparenza, lo storico negazionista che appari essere. Intendendo, ovviamente, negazionista di complotti, di doppi livelli, di servizi segreti che interferiscono perché che sia avvenuto l’Olocausto spero tu non abbia dubbio alcuno avendo avuto, come famiglia Mieli, tanto per fare un esempio, alcuni fucilati alle Fosse Ardeatine. Altri Mieli deportati e mai tornati. Ad ascoltarti in tv, sembra, che per te i servizi segreti che  agiscono a sostengono di carriere, infiltrazioni, osmosi informative non esitano. O, comunque che non partecipino, con ruoli determinanti, ai complotti di cui sopra. La vita di tuo padre, a me che lo ricordo, sembra tutta una plateale smentita di questa tua posizione “candida”.

Oreste Grani/Leo Rugens

A seguire leggete un esempio di materiali prodotti da Renato Mieli per dare il suo contributo teorico alla Guerra Rivoluzionaria e tenete conto che questi ragionamenti venivano fatti poche stagioni prima dello scoppio del Maggio italiano e francese.

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«Ero piuttosto riluttante a prendere la parola, dopo avere ascoltato interventi per me particolarmente dotti ed avrei voluto astenermi; tuttavia dopo aver inteso la relazione di XXXXXXX, mi sono convinto che anche un mio contributo poteva essere utile in questa sede, benché, ripeto, io mi senta impreparato sia su questo specifico tema, sia sugli aspetti tipicamente militari di esso. La mia attività è di studio, ma non su questi argomenti.
Tuttavia dirò che vi è un assunto sul quale concordo, ossia sulla esistenza nel mondo moderno di un tentativo permanente di sopraffazione, contro il quale non si trova sempre un’adeguata risposta. Ciò malgrado ho qualche dubbio sulla bontà della definizione di «guerra rivoluzionaria» e sull’effetto che tale definizione può produrre in molte persone. Ma, come dicevo, resto fermo nel riconoscere che esiste una unità nell’aggressione (sarebbe, a mio modesto avviso, come dire che esisteva un piano/un complotto ndr O.G.) dalla quale ci sentiamo colpiti. Ed a questo proposito voglio riferire un episodio, non noto, ma reale.
Nella primavera del 1949 il P.C.I. (Renato Mieli era il vero responsabile della politica estera del partito essendo, al tempo, un agente angloamericano) ndr O.G.) inviò un suo rappresentante per prendere contatto con la Repubblica Popolare Cinese, allora non ancora costituita, ma che stava ultimando le operazioni militari. Il rappresentante del P.C.I., incontratosi con Mao-Tze-Tung e felicitandosi con lui delle sue vittorie, gli disse anche che i comunisti italiani riconoscevano che il loro contributo all’espansione del comunismo mondiale era veramente esiguo paragonato a quello cinese. Mao-Tze-Tung rispose: no, noi cinesi e voi italiani ci troviamo di fronte alla stessa tigre e la dobbiamo affrontare insieme; noi l’aggrediamo di petto cercando di spezzarle i denti e voi comunisti italiani intanto le pestate la coda. I dirigenti del P.C.I., quando il loro delegato tornò in Italia, riconobbero la validità del giudizio di Mao-Tze-tung, perché la tigre poteva comunque venire distratta, da un piccolo fastidio e consentire così a chi le voleva spezzare i denti di operare con maggiore facilità.
Ciò significa che in realtà la guerra rivoluzionaria non deve essere necessariamente condotta ovunque nello stesso modo e che perciò ai comunisti italiani tocca un compito diverso da quello dei cinesi. Il comunismo nella sua manifestazione cinese si presenta come un comunismo impegnato in una azione militare, ma ciò non vuol dire che il comunismo in tutto il mondo debba svolgere una azione analoga. La ripartizione dei compiti non è basata sul fatto che prima o poi tutti dovranno passare dalla fase della propaganda e dell’infiltrazione all’azione militare; le fasi sono regolate dalle condizioni delle possibilità esistenti nelle varie zone del mondo e dalla possibilità di operare in una specie di armonia concertata, per cui ad ognuno tocca un mondo specifico. In occidente la guerra guerreggiata, la guerra che qui si è voluto chiamare rivoluzionaria, si presenta sotto forme completamente diverse, particolarmente in Italia. Sicché la teoria di Mao-Tze-tung, certamente molto interessante, non soltanto non è nota alla maggior parte dei comunisti italiani, ma non ha una grande importanza agli effetti delle azioni che si svolgono in Italia. Perciò mi trovo d’accordo con il relatore che mi ha preceduto circa gli elementi fondamentali con i quali il comunismo conduce la sua azione in Italia. Si tratta di una guerra prevalentemente psicologica, il cui obbiettivo non è quello di occupare il territorio o di distruggere un esercito, ma è la conquista di un avversario, ossia la conquista dell’uomo.
Evidentemente parlare di guerra rivoluzionaria, quando la si concepisce in termini di conquista di uomini, può sembrare un eccesso di linguaggio, perché in realtà non è che un’azione politica. La politica ha sempre tentato di conquistare adepti, simpatizzanti e di convertire gli uomini ad una determinata causa e ad una determinata idea. Però vi è un elemento fondamentale che la politica comunista è coordinata in modo organico, anche se non del tutto chiaro, anche se non privo di contrasti sul piano mondiale. Ossia l’azione politica non va intesa nel senso tradizionale perché si svolge sul piano di una conquista legata ad un coordinamento mondiale con la finalità di privare noi tutti di vivere come liberi cittadini. Esiste dunque un legame invisibile per cui la conquista di un voto in più in Italia o la conquista di un’adesione a determinate manifestazioni si collegano con la guerriglia nel Vietnam.
Venendo al problema italiano, è giusto quanto diceva l’oratore che mi ha preceduto che la principale arma dei comunisti è quella d’individuare le contraddizioni o addirittura di farle nascere e poi di sfruttarle in modo da provocare un fatto disgregatore nella società che il comunismo vuole conquistare. L’esempio italiano in materia è di una tale ricchezza che non finiremo mai di parlarne se volessimo portarla come prova per dimostrare questo assunto.
Se questa è l’effettiva linea condotta dal P.C.I., noi dovremmo adottare due contromisure: la prima è quella di preoccuparci di individuare per prime le nostre contraddizioni e di tentare di risolverle, perché questa è l’essenza della democrazia. Ma nel tempo stesso dobbiamo tentare di individuare le contraddizioni dell’avversario per denunciarle a lui stesso, il quale non le conosce o non vorrebbe conoscerle. Non mancano gli elementi per mettere i comunisti di fronte alla constatazione delle loro contraddizioni sul piano internazionale, sul piano interno e, direi, perfino sul piano individuale. lo credo che non dobbiamo sottovalutare l’importanza del contrasto che oggi divide l’Unione Sovietica dalla Cina; esso non può costituire un motivo automatico di controllo del mondo comunista, anzi il comunismo potrebbe trarne vantaggio, perché la presenza di un bicentrismo nel mondo comunista è suscettibile di attirare maggiori consensi al comunismo stesso. Ma questa contraddizione diventa invece un motivo di debolezza se si è capaci di denunciarla e di strumentalizzarla. l fatti, di per sé, non sono mai né positivi né negativi: il comunismo non è invincibile, il comunismo non è così perfetto come si vuoI descrivere. Imperfetta è la risposta. La debolezza delle nostre posizioni, delle nostre repliche, delle nostre iniziative fa sì che questa divisione tra Mosca e Pechino risulti, a conti fatti, più vantaggiosa che svantaggiosa per i comunisti, almeno in Italia.
La seconda contraddizione è quella che riguarda il comunismo italiano all’interno. Quando si manifesta un dissenso nelle file del P.C.I., la voce dissenziente viene soffocata e sommersa dalla forza dell’apparato comunista, perché noi non la raccogliamo. Mentre, qualora vi siano segni anche minimi di dissenso in seno ai comunisti, in seno ai loro alleati o, in seno ai loro ausiliari, noi dobbiamo agire con la stessa prontezza, intelligenza, sensibilità ed efficacia con cui agiscono i comunisti. Siamo estremamente severi anche con coloro che creano gravi difficoltà al movimento comunista soltanto perché costoro dichiarano di essere comunisti o socialisti. Dobbiamo andare più a fondo delle cose. Non è sufficiente fermarsi alla superficie e considerare in blocco chiunque si dichiari di sinistra come una persona ormai perduta e, viceversa, accettare senza nessuna verifica chi dichiara di essere anti-comunista. Se taluni dicono di essere anti-comunisti e giovano ai comunisti noi dobbiamo ugualmente combatterli, indipendentemente da quanto essi affermano.
Vi è infine la questione delle contraddizioni nei singoli individui. Direi che è una questione psicologica. Badate che il comunista riesce a pensare contemporaneamente due cose contraddittorie con la massima tranquillità. E voi non lo troverete mai in imbarazzo, perché, in fondo, la coerenza non è una regola: siamo noi od alcuni austeri e severi intellettuali che pretendono che la coerenza sia un patrimonio di tutti. In generale non è così. Noi dobbiamo dimostrare a queste persone che la loro incoerenza è una manifestazione di contraddizione ed è distruttiva; che essi non hanno nulla da insegnare perché là dove esercitano il potere questa incoerenza si traduce in risultati disastrosi. 
Infine vorrei dire che noi dovremmo adoperarci perché i comunisti conoscano sé stessi. L’esperienza del comunismo porterà il comunismo al suo dissolvimento e possiamo trovare il punto debole del comunismo proprio all’interno del comunismo stesso.
Dobbiamo contrapporre una nostra strategia più efficace alla strategia comunista se vogliamo dissolvere il mondo comunista che si presenta compatto e minaccioso, ma che in verità non è così compatto come si crede, anche se è molto minaccioso.
Noi conosciamo poco il mondo comunista e ci comportiamo come se quel mondo dovesse essere respinto in blocco, eppure la debolezza di quel mondo sta in se stesso. I comunisti sono deboli per quello che dentro essi stessi hanno e se la nostra azione non ci sembra dare risultati cospicui in breve termine, col tempo lo sforzo di persuasione finisce d’indebolire la fibra di quei comunisti che oggi sembrano temibili, impenetrabili a qualsiasi critica ed a qualsiasi processo di revisione.
Il comunismo e la sua guerra non sono tutti di tipo cinese, e per quel che ci riguarda, l’aggressione comunista è molto più sottile articolata e differenziata. Noi qui ci troviamo di fronte alla forma più insidiosa che si manifesta in occidente di questa articolazione, di fronte alla forma più acuta, la quale ha una fisionomia quasi inafferrabile. Dobbiamo essere altrettanto ferrati, altrettanto abili ed altrettanto impegnati, se vogliamo combattere i comunisti con efficacia.»

FONTE: https://leorugens.wordpress.com/2019/01/07/piu-che-di-paolo-mieli-sarebbe-interessante-arrivare-a-ragionare-di-renato-suo-padre/

 

 

DIRITTI UMANI

Il chip sottopelle presto approvato dal FDA

“Perché le pandemie sono così difficili da fermare? Spesso è perché la malattia si muove più velocemente di quanto le persone possano essere testate per essa. Il Dipartimento della Difesa sta contribuendo a finanziare un nuovo studio per determinare se un biosensore sotto la pelle può aiutare i tracker a tenere il passo – rilevando infezioni simil-influenzali anche prima che i loro sintomi inizino a manifestarsi”

A esordire così non è un sito complottista diffusore di fake news, ma “Defense One”, rivista collegata ufficialmente al Pentagono. La rivista annuncia che il “biosensore sottopelle”, detto anche “chip idrogel” iniettabile “con una siringa”, “è sulla buona strada per ottenere l’approvazione del FDA all’inizio del 2021”.

Il FDA, Food and Drugs Administration, è l’ente federale che autorizza i nuovi farmaci.

Apprendiamo che a inventare e produrre il bio-sensore in gelatina la società di Sylicon Valley, Profusa , finanziata e controllata insieme dal Dipartimento Difesa (Pentagono, tramite DARPA) e dalla Fondazione Bill e Melinda Gates con una borsa di studio speciale. La borsa di studio Bill and Melinda Gates Foundation parla infatti dello sviluppo di “Sensori impiantabili multi-analitici per il monitoraggio continuo delle sostanze chimiche del corpo”.

L’amministratore delegato di Profusa, Ben Hwang, ha spiegato che la sua azienda ha ricevuto sovvenzioni dalla Defense Advanced Research Projects Agency, o DARPA, dal 2011. Il DARPA è l’ente scientifico del Pentagono che escogita nuove armi sempre più avanzate. La nanotecnologia intra-corporea  prospetta interessanti applicazioni militari.
Biooptics World
 , una rivista di settore, descrive i sensori Profusa come “biosensori iniettabili che diventano tutt’uno con i tessuti del corpo”. La società afferma che la tecnologia verrà utilizzata per rilevare COVID nella popolazione generale, prima che i sintomi si manifestino. La terribile pandemia che secondo i dati del CDC (l’ufficialissimo Center ford Diseases Control) fa sopravvivere i malati di COVID  del 99,8% , contro il 99,9% per l’influenza comune.

Ora capiamo meglio perché la vaccinazione sarà totale e obbligatoria, e qualunque opposizione individuale inutile – punita come “negazionismo” con l’espulsione dal dibattito pubblico. Il membro del Congresso statunitense Thomas Massie (R-KY) ha affermato di ritenere che i governi stiano agendo per continuare a imporre lockdown agitando “ nuovi casi” fino a quando non sarà possibile introdurre un vaccino obbligatorio. Naturalmente è un complottista da cui ci si deve energicamente distanziare.

Vediamo dunque come Defense One descrive il sensore che, volere o no, ci sarà iniettato.

“Il sensore ha due parti. Uno è un filo di 3 mm di idrogel, un materiale la cui rete di catene polimeriche viene utilizzata in alcune lenti a contatto. Inserito sotto la pelle con una siringa, il filo include una molecola appositamente progettata che invia un segnale fluorescente all’esterno del corpo quando il corpo inizia a combattere un’infezione. L’altra parte è un componente elettronico attaccato alla pelle. Invia luce attraverso la pelle, rileva il segnale fluorescente e genera un altro segnale che può inviare a un medico, a un sito Web, ecc. È come un laboratorio di analisi del sangue sulla pelle che può rilevare la risposta del corpo alla malattia prima della presenza di altri sintomi, come la tosse”.

Così, con questa allusione alla fluorescenza, viene confermato quello che quando lo dicevamo noi era schernito con furia come fake news create dalle nostre fantasie malate: che “Un enzima chiamato Luciferase è ciò che fa funzionare il vaccino impiantabile di Bill Gates”. La Luciferasi è sostanza che rende fluorescenti le lucciole, i gamberetti, gli animali marini degli abissi: il nome ovviamente accende le fantasie di chi vi vede un’allusione a Lucifer. Resta il fatto che la luciferasi sembra diventata una componente fissa dei vaccini.

Chi gestisce l’allarme pandemia non è necessariamente il Pentagono, o una entità identificabile. Domenica, twitter ha per l’ennesima rimosso un twitter del presidente Trump: che aveva girato dati del Center for Diseases Control che correvano sul web: il CDC aveva reso noto che per il 6% dei decessi inclusi nelle sue statistiche, “Covid-19 era l’unica causa menzionata” su certificato di morte della persona deceduta. L’informazione era stata diffusa “da un sostenitore della teoria del complotto infondata QAnon” come l’ammissione che per il CDC solo il 6%” delle persone elencate come morti per coronavirus “è effettivamente morto per Covid”, poiché “l’altro 94% aveva 2-3 altre malattie gravi”.

“Non è quello che ha detto il CDC”, ha sancito il Censore di Facebook. Quindi: “Questo Tweet non è più disponibile perché viola le regole di Twitter. Perché è vietato sminuire la gravità della pandemia. “Almeno 182.885 persone sono morte a causa del coronavirus negli Stati Uniti, secondo i dati raccolti dalla Johns Hopkins University”, dice la CNN.

La John Hopkins University è qeulla che “in partnership con il World Economic Forum di Davos e la Bill e Melinda Gates Foundation ha ospitato, nel novembre 2019, “Event 201”, l’esercitazione che simulava il sorgere e dilagare di una pandemia, e la crisi economica che ne sarebbe seguita.

Dunque è solo per prenderne energicamente le distanze che noi riferiamo di un “collettivo di medici curanti” francesi che dichiara: “Non c’è seconda ondata! I nuovi casi sono benigni. I curanti devono reagire” – e “siamo da molto tempo fuori dalla situazione di epidemia secondo la definizione abituale perl’influenza ( oltre i 150 casi al giorno su 100 mila abitanti.

Oggi ci sono più morti quotidiani per suicidio che per Covid. La realtà è sostituita da una narrazione sospetta. Le “Informazioni” diffuse dai media non hanno più relazione con la realtà sanitaria. I curanti devono reagire. Dobbiamo liberare i nostri concittadini, vegliare sulla loro salute. Abbiamo tutti prestato giuramento”.

C’è stato anche un gruppo di medici tedeschi molto famosi che ha denunciato le stesse cose.

Complottisti.

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/il-chip-sottopelle-presto-approvato-dal-fda/

 

 

 

ECONOMIA

Pil a -12,8%, va peggio del previsto. Il governo si svegli: “Andati indietro di 25 anni”

Il Pil italiano subisce un tonfo clamoroso. Era dal 1995 che non si leggevano numeri così. Gli effetti del lockdown voluto al governo, con il blocco delle attività e della mobilità, hanno fatto registrare un calo del 12,8%, mentre in termini tendenziali del 17,7%. Cifre da capogiro, che vanno a braccetto con quelle della perdita dei posti di lavoro e della chiusura definitiva della attività. L’Istat ha dunque rivisto al ribasso la stima preliminare diffusa il 31 luglio: nei dati di allora l’andamento congiunturale era del -12,4%, quello tendenziale -17,3%. La variazione acquisita per il 2020 diventa pari al -14,7%.

Secondo l’Istat, nel complesso, il Pil dei paesi dell’area Euro è diminuito del 12,1% rispetto al trimestre precedente e del 15% nel confronto con il secondo trimestre del 2019. Come spiega Cristina Casadel nella sua analisi per Il Sole 24 Ore, “nel confronto europeo l’Italia si distingue, ma in negativo, perché ha fatto peggio della media di Eurolandia. In generale è però evidente che a trascinare il Pil verso il basso è stata la domanda interna. Negativa anche la domanda estera, per la riduzione delle esportazioni più decisa di quella delle importazioni. Guardando al trimestre precedente, tutti i principali aggregati della domanda interna sono in diminuzione, con cali dell’8,7% per i consumi finali nazionali e del 14,9% per gli investimenti fissi lordi”.

Le importazioni e le esportazioni sono diminuite, rispettivamente, del 20,5% e del 26,4%. La domanda nazionale al netto delle scorte ha contribuito per -9,5 punti percentuali alla contrazione del Pil, con -6,7 punti dei consumi delle famiglie e delle Istituzioni Sociali Private, -2,6 punti degli investimenti fissi lordi e -0,2 punti della spesa delle amministrazioni pubbliche. “Anche la variazione delle scorte e la domanda estera netta – sottolinea Casadel – hanno contribuito negativamente alla variazione del Pil, rispettivamente per -0,9 e -2,4 punti percentuali”.

Inoltre, “si registrano andamenti congiunturali negativi per il valore aggiunto in tutti i principali comparti produttivi, con agricoltura, industria e servizi diminuiti, rispettivamente, del 3,7%, del 20,2% e dell’11%. Quanto invece alla spesa delle famiglie, ha registrato una diminuzione in termini congiunturali del 12,4%. Sui consumi, ieri, sono intervenute le diverse associazioni imprenditoriali che chiedono di uscire dalla fase emergenziale e un piano di intervento strutturale”. Il presidente di Federdistribuzione, Claudio Gradara, aggiunge che “con il crollo del Pii e l’inflazione in negativo per il quarto mese consecutivo, il Paese è andato indietro di 25 anni. Senza misure per rilanciare i consumi non si riparte.

FONTE: https://www.ilparagone.it/attualita/pil-tonfo-crollo-economia/

 

Perché un nuovo lockdown in Francia può avere ripercussioni sull’Italia

1 Settembre 2020

Gli effetti di un nuovo lockdown in Francia si sentiranno anche in Italia a causa dei rapporti tra i due Paesi. Ecco cosa rischiamo se Macron decide di chiudere tutto di nuovo.

L’impennata di nuovi casi potrebbe costringere la Francia a imporre un nuovo lockdown nazionale. Al momento si tratta solo di una possibilità, che il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato di non poter escludere.

Una soluzione drastica che ci riporta indietro nei mesi più terribili della pandemia e che potrebbe avere ripercussioni anche sull’Italia, nonostante il premier Giuseppe Conte abbia promesso che non ci sarà un secondo lockdown nel nostro Paese.

Lockdown in Francia: quali effetti sull’Italia
Le relazioni tra i due Stati sono storicamente molto forti dal punto di vista economico e commerciale, tanto che la crisi in uno ha conseguenze anche sull’altro. Infatti, Francia e Italia rappresentano l’uno per l’altro il secondo “cliente” delle proprie esportazioni.

Questo volume di affari è sempre cresciuto negli ultimi anni, con l’export italiano nel territorio francese che è arrivato a sfiorare nel 2019 50 miliardi di euro, portando a un bilancio attivo i nostri prodotti di oltre 13 miliardi di euro.

Tuttavia, già nel primo trimestre del 2020 si è registrato un calo del 3,3% rispetto all’anno precedente. Ovviamente si tratta di una diminuzione lieve, ma non si era ancora nel pieno della pandemia e dello stato di quarantena istituito nelle due nazioni.

Calo dei consumi e aumento aiuti UE?
Come abbiamo potuto osservare, al lockdown corrisponde un notevole declino dei consumi che in Italia si è attestato intorno al 16% e in Francia ha superato il 19%.

Questo rivela che in caso di una nuova quarantena stabilita da Parigi, le aziende nostrane rischiano di vedere ancora diminuire le proprie esportazioni, generando un ulteriore impatto negativo sui dati del PIL, crollato ai livelli del 1995 nel secondo trimestre stando all’ultima indagine ISTAT.

La paura legata a una nuova ondata di contagi potrebbe però avere paradossalmente anche effetti positivi. Le istituzioni europee sarebbero costrette a continuare a sostenere gli Stati membri, relegando in una posizione di subalternità i cosiddetti Paese frugali, contrari agli aiuti dell’UE.

In questo modo, quindi, la BCE continuerà ad acquistare i titoli di Stato tenendo bassi i tassi d’interesse per scongiurare un tracollo finanziario delle nazioni più colpite dal coronavirus.

FONTE: https://www.money.it/Nuovo-lockdown-Francia-ripercussioni-sull-Italia

Elon Musk, ossia pensiero magico per Mercati superstiziosi

Elon Musk sta imitando “i guaritori con l’imposizione delle mani e i paranormali al telefono negli anni ‘90”? Se lo domanda con prudenza (per non turbare i “Mercati” che hanno investito tanto nelle proliferanti escogitazioni dell’inventore) il MIT, Massachsetts Insitute of Technology di fronte all’ultimo annuncio del genio: il Neuralink, la sua ennesima startup che fornirà – dice – un impianto cerebrale per collegare direttamente il cervello umano con l’Intelligenza artificiale (AI), e per ora al computer.

“In pratica, si effettua un foro nel cranio, che lascia solo una piccola cicatrice, e si inserisce il dispositivo”, ha dichiarato Musk ai media: “Contiamo di realizzare questi dispositivi entro un anno.. Questa tecnologia potrebbe evolversi in una sorta di interfaccia cerebrale completa, che consentirebbe la ‘simbiosi’ tra uomo e AI. Non abbiamo ancora iniziato ad effettuare i test sugli umani, ma non aspetteremo molto. Potremmo essere in grado di impiantare un collegamento neurale in una persona in meno di un anno. Questo impianto potrebbe riparare lesioni cerebrali potrebbe consentire ad esempio ai paraplegici di camminare di nuovo”, ha promesso Musk.

E’ a portata di mano (e dei mercati) la cura dell’”l’Alzheimer, la demenza e le lesioni del midollo spinale” – e non basta : “ Infine l’umanità sarà fusa con l’intelligenza artificiale” , ha sancito il nuovo Prometeo.

E ha fatto anche una dimostrazione, presentando a San Francisco il maiale Gertrude, nel cui cranio era impiantato l’elettrodo-miracolo, e mostrando sul video del computer “ il grafico in movimento che tracciava l’attività neurale mentre l’animale grufolava nella paglia. I ricercatori di Neuralink hanno già testato il dispositivo su tre maiali, con due impianti ciascuno, monitorati a loro volta mentre si muovevano su un tapis-roulant apparentemente “sani, felici e del tutto simili a un maiale dal comportamento normale”.

E’ su questa “dimostrazione” che il corpo scientifico del MIT ha gettato un dubbio fatale , in un articolo pubblicato domenica sul MIT Technology Review . “L’evento di impianto cerebrale trasmesso da Elon Musk ha fatto promesse che saranno difficili da mantenere; nessuno di questi progressi è a portata di mano, e alcuni è improbabile che si realizzino”, afferma l’articolo, definendo la maggior parte delle affermazioni mediche della società “altamente ipotetiche”.

Notare il fraseggio, per evitare cause milionarie per “turbativa dei mercati”. Tuttavia, prendendo sempre più coraggio, la rivista aggiunge che  “Neuralink non ha fornito alcuna prova che possa (o abbia nemmeno provato a) curare la depressione, l’insonnia o la dozzina di altre malattie menzionate da Musk Durante l’evento, la società non ha rivelato i piani per avviare una sperimentazione clinica, una sorpresa per coloro che credevano che sarebbe stato il suo prossimo passo logico. Non è chiaro quanto sia seria l’azienda nel trattamento delle malattie”.

Ma soprattutto, la dimostrazione del maiale impiantato di Musk non è  “niente di nuovo” per i neuroscienziati. La tecnologia è vecchia di decenni: “sono decenni che sentono nei loro laboratori il ronzio e il crepitio degli impulsi elettrici registrati dal cervello degli animali (e da alcuni umani)”.

Questa è, temo, la vera pugnalata alla schiena del povero-ricco Elon: Rivelare che la cosa “è vecchia” è la sola cosa che spaventa i mercati, che hanno investito miliardi e miliardi sulle “novità” che Musk gli propina mese dopo mese in eventi-stampa affollati di “giornalisti” e tv, dalla fallimentare super-auto elettrica alla dannosa corsa allo spazio privatizzata e adesso, l’incursione nel transumano…

I mercati, ossia gli agenti delle finanziarie speculative, sono giovinotti come lui, febbrili che vanno di fretta, perché pressati a ottenere “rendimenti” eccesivi dai loro “investimenti finanziari”: come lui sono dotti ignoranti, ossia sanno “tutto” su quasi niente. Ma sono stati allevati a credere nella “infallibilità dei mercati” (ossia di loro stessi, giovanotti magari con superlaurea in matematica), e all’inarrivabile superiorità della “iniziativa privata” sul quella pubblica, essi hanno riempito di miliardi il loro beniamino coetaneo: l’ultima volta che ho guardato, l’azione di Tesla era a 498 dollari, cresciuta di 55 dollari (+12,57%) in un giorno.

Ma in realtà i mercati –ossia i giovinotti – non fanno che regolarsi secondo ciò che per loro è “nuovo”. Le categorie di giudizio di tanti giovanotti, “nuovo” o “vecchio”, sono tutto ciò che li guida – più la pressione dei capi (vecchi) a “rendere” nei loro investimenti, altrimenti addio bonus per l’Aston Martin, e magari il licenziamento in tronco con conseguente crisi di astinenza da coca.

Ora si vede – ma loro non lo sanno che i mercati, ossia gli investitori, di scienza capiscono niente; scambiano per nuovo un esperimento vecchio; non vogliono nemmeno studiare il problema, si regolano solo per istinti che credono di avere (gli animal spirits) in quanto “audaci” investitori.

Ora, tutto questo è pensiero magico, coacervo di luoghi comuni, e credulità conformista. E’ peggio che ignoranza. E’ oscurantismo. Nutrito di “convinzioni” e “idee” che sono superstizioni

Quell’oscurantismo che vediamo spirare da ogni tavola rotonda dove si parla di Covid, dove giornalisti e politici, per non parlare di “virologhi” ed epidemiologhi, giurano sull’esistenza di una pandemia pericolosissima, e sulla letalità di un vius spento e che bisogna cercare “moltiplicando i tamponi” e tenere a bada con le mascherine e il “distanziamento sociale”; altrimenti si è “negazionisti” come quelli che “negano l’esistenza dei Lager nazisti” (come ha detto Giamp Casini), e quindi al rogo!

Ogni richiesta d indagine sulla pandemia, ogni domanda sulla opportunità del vaccino obbligatorio e totale, viene respinta come peccato inominabile, Male Assoluto – Negazionismo. E’ ovviamente il contrario dello spirito scientifico che ci ha fatto progredire fino ad oggi, e che consisteva nel “fare domande”, nel porsi questioni. Il divieto di far domande intimato di costoro, è sintomo di arrtetratezza irresponsabile, e della dittatura della menzogna che stanno instaurando sul povero popolo passivo …

La rivista del MIT ha il coraggio di dirlo: “Speriamo che la discutibile dimostrazione di Neuralink di Elon Musk  che è stata data giorni fa fosse legittima” – ossia non sia stato un trucco. “Perché altrimenti, la speranza che Musk sta suscitando nelle persone disperate che soffrono di disturbi gravissimi, e nei loro familiari sarebbe simile a quelle dei guaritori per imposizione delle mani”.

Adesso, il crollo di Musk, infinitamente rimandato dalle sue escogitazioni mediatiche e promesse di “Novità”, mi sembra imminente . E può innescare quel fenomeno ben noto dei “mercati” – dei giovanotti – che dall’audacia di “giovani leoni amanti del rischio” (come sono descritti e si credono), passano al terrore della mandria che sia affolla alle uscite. La reazione di “attacca/fuggi” scoperta da Hans Selye: un fenomeno dominato non dalla mente, ma dalle ghiandole surrenali, peraltro perfettamente adeguato a un gruppo umano che giudica la realtà secondo le profondissime categorie binare “nuovo/vecchio”. I “mercati” hanno rinunciato da anni definitivamente al cervello.

E nemmeno la Fed li può salvare.

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/elon-musk-ossia-pensiero-magico-per-i-mercati/

 

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

BCE: è spuntata una nuova bomba a orologeria per Lagarde

Cambio euro dollaro, politica monetaria e recupero dell’Eurozona: una nuova grande sfida attende la BCE di Lagarde

BCE: è spuntata una nuova bomba a orologeria per Lagarde

Anche la BCE alle prese con il cambio euro dollaro.

Nella giornata di ieri la quotazione è finita sotto la lente del mondo intero e ha messo a segno oscillazioni evidenti riportandosi persino sopra 1,20 per la prima volta in due anni.

Il cambio euro dollaro però non è riuscito a mantenersi sopra la suddetta soglia dalla quale è scivolato, il tutto mentre il chief economist della BCE Philip Lane ha attirato l’attenzione dell’intero mercato confermando quella che sarà la prossima grande sfida per l’istituto di Lagarde: la corsa della moneta unica.

BCE e cambio euro dollaro: cosa ha detto Lane

Negli ultimi cinque mesi la quotazione più monitorata del mercato valutario ha guadagnato ampio terreno mettendo a segno progressioni di oltre il 10% e riportandosi addirittura sopra 1,20.

“Il cambio euro dollaro è importante”, ha tuonato Lane ieri nel pomeriggio, affievolendo la corsa della coppia.

“Se ci sono forze che muovono il tasso di cambio euro dollaro, allora ciò alimenta le nostre previsioni globali ed europee il che a sua volta sostenta la nostra impostazione di politica monetaria”,

ha aggiunto.

Occhi su export e inflazione

In un quadro già complesso, caratterizzato dal crollo dell’inflazione e da un recupero economico ancora lontano, il rafforzamento della moneta unica rappresenta per la BCE una preoccupazione di non poco conto.

L’euro è una moneta ampiamente dipendente dall’export, ma in generale una valuta forte tende a rendere meno competitive le stesse esportazioni e a deprimere la crescita dei prezzi (rendendo le importazioni più economiche).

Bisognerà vedere adesso come si comporterà Christine Lagarde, che nella riunione del prossimo 10 settembre fornirà un aggiornamento delle sue previsioni. Anche in quel caso il cambio euro dollaro sarà il sorvegliato speciale del meeting.

“Quando hai un euro più forte e le attese del mercato sono per una continua salita dello stesso, allora le previsioni di inflazione vengono eventualmente riviste al ribasso,”

ha dichiarato Carsten Brzeski, economista di ING Germania, secondo cui la palla passerà allora alla BCE che dovrà decidere se e come agire.

Per Isabel Schnabel, membro del comitato esecutivo della banca centrale, non è ancora chiaro in che modo la quotazione potrà influenzare l’inflazione.

Quel che è certo, però, è che d’ora in poi per la BCE anche l’andamento del cambio euro dollaro rappresenterà un elemento da monitorare con crescente attenzione rispetto al passato.

FONTE: https://www.money.it/BCE-e-cambio-euro-dollaro-bomba-a-orologeria

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

50 anni fa nasceva la Dichiarazione di Helsinki

Come insegna la storia il 19 agosto del 1947 ventitré medici nazisti furono condannati dal tribunale militare americano per aver condotto esperimenti pseudoscientifici nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale. Secondo quanto riportano gli atti del processo di Norimberga i prigionieri furono sottoposti a esperimenti disumani con farmaci, gas e veleni. Alcuni deportati furono condotti in camere  di decompressione e usati come cavie per studiare gli effetti del volo ad alte quote; altri furono immersi, nudi o vestiti, in vasche di acqua gelata, a temperature polari prodotte artificialmente, con l’obiettivo di analizzare gli effetti del congelamento sul corpo umano; altri ancora furono sottoposti a ustioni con l’iprite, a resezioni di ossa, muscoli, nervi, iniziazioni di vaccini, sieri anticancro, ormoni per cercare di “curare” l’omosessualità e così via, come riporta il Manuale di bioetica di Elio Sgrecci e I medici nazisti. La psicologia del genocidio di Robert J. Lifton.

Ma non fu l’unico caso in cui esseri umani furono usati come cavie, senza il loro consenso, per esperimenti atroci. Sperimentazioni con farmaci e vaccini, batteri e virus furono condotte anche su prigionieri nelle carceri americane e popolazioni di paesi in conflitto prima e dopo il processo di Norimberga. Uno dei primi episodi conosciuti risale agli anni ’30 negli Stati Uniti: il Tuskegee Study, in cui uomini affetti da sifilide (di colore, per lo più poveri e analfabeti) non furono curati (nonostante una cura esistesse) per osservare l’evolversi della malattia su un corpo non curato e infetto. Proprio il processo di Norimberga dette l’input definitivo per la creazione di un codice etico internazionale che avrebbe dovuto guidare la sperimentazione sugli esseri umani, fino a quel momento priva di una legislazione che stabilisse cosa fosse lecito e cosa no.

Il Codice di Norimberga del 1947 fu quindi il primo documento riconosciuto a dare un limite alle sperimentazioni umane. I principî contenuti al suo interno furono elaborati da due medici consulenti del tribunale statunitense, Andrew C. Ivy e Leo Alexander, e sviluppati in dieci punti. Il primo e più importante, su cui si fonda tuttora la ricerca clinica, è il consenso informato, ovvero la volontà e il consenso della persona coinvolta, di partecipare a un determinato studio clinico. Persona che per accettare di partecipare alla sperimentazione deve essere adeguatamente informata e messa in grado di comprendere l’argomento in questione in modo da prendere una decisione consapevole e saggia. «Il fatto che nel codice non si faccia esplicitamente riferimento ai fatti emersi nel dibattimento contro i medici nazisti, ha privato di forza giuridica il documento – scrive Gilberto Corbellini su Treccani.it – che ha comunque ispirato diverse leggi nazionali e documenti internazionali volti a prevenire abusi della sperimentazione umana e a promuovere la dottrina del consenso informato».

Nel giugno del 1964 a Helsinki furono adottati i principî etici della Dichiarazione di Helsinki, sviluppati dall’Associazione Medica Mondiale (World Medical Association, Wma). Nacque così uno dei documenti cardine dei principi etici della ricerca clinica, incorporato poi nelle legislazioni nazionali. La Dichiarazione recepiva e ampliava i punti del Codice di Norimberga. Tra questi venne mantenuto il principio del consenso informato, e introdotto per la prima volta «la necessità che i protocolli di ricerca clinica e le procedure per ottenere il consenso venissero esaminate da comitati etici indipendenti operanti all’interno delle stesse istituzioni in cui vengono condotte le ricerche» scrive ancora Corbellini su Treccani.it.

Nel corso dei cinquant’anni passati dalla nascita della Dichiarazione di Helsinki, il documento è stato sottoposto a ben sette revisioni, l’ultima delle quali nel 2013. Ma le questioni bioetiche, e i dubbi aperti sono ancora tanti.  Jama lo scorso novembre ha pubblicato due diversi punti di vista a proposito della revisione dello scorso anno: quella di Paul Ndebele, del Medical Research Council dello Zimbabwe, che chiarisce i cambiamenti apportati dall’ultima versione; e quella, più critica, di Joseph Millum, David Wendler, e Ezekiel J. Emanuel, che parlano sì di progressi ma anche di molti problemi ancora da risolvere.

Ndebele definisce il documento “vivente”, poiché tiene conto dei temi di attualità nella ricerca medica e spiega che l’ultima revisione del documento si è focalizzata soprattutto sul coinvolgimento nella ricerca clinica di quei gruppi definiti “vulnerabili”. Soggetti che hanno maggior probabilità di subire ulteriori danni in seguito alla sperimentazione e che possono essere coinvolti solo se traggono un beneficio dalla ricerca. Per questo il documento è stato modificato al fine di tutelare soprattutto le popolazioni dei paesi poveri di risorse, dove sempre più spesso vengono condotti gli studi clinici. «L’ultima versione della Dichiarazione rivista affronta alcune delle questioni etiche specifiche per gli studi condotti nei paesi a medio e basso reddito – spiega Ndebele – e richiede, per esempio, che i ricercatori prevedano l’accesso ai trattamenti e alle cure efficaci subito dopo il completamento del trial».

Nell’ultima revisione della Dichiarazioen di Helsinki viene inoltre ribadita e sostenuta la necessità di registrare tutti gli studi clinici in corso in un database pubblico a cui possano accedere sia medici e ricercatori ma anche gli stessi pazienti, per evitare di ripetere ricerche e aiutare medici e pazienti ad avere un quadro più ampio sugli studi in corso, in base a cui prendere determinate decisioni. Nel documento viene anche affrontata  la necessità di pubblicare i risultati di questi studi, anche se negativi,  ma viene fatto in «maniera generica – precisa Garattini in un commento sull’ultima revisione della dichiarazione –non garantendo di fatto,  la possibilità di avere accesso ai dati originali degli studi clinici controllati, ed impedendo a tutti i soggetti coinvolti nella ricerca medica di essere informati circa gli esiti e i risultati dello studio».

Nel secondo documento pubblicato da Jama viene posto l’accento sulle questioni ancora da risolvere, tra cui il placebo, che dovrebbe essere utilizzato come confronto, solo quando non ci sono alternative valide al trattamento in sperimentazione. Su questo punto la Dichiarazione resta ancora ambigua e presenta delle eccezioni che tutto sommato rendono la revisione della dichiarazione del 2013 «un’occasione sprecata» come la definisce Silvio Garattini. «I risultati sono stati deludenti. Ci si aspettava un’importante modifica che potesse evitare molti abusi, alcuni addirittura accettati dall’Autorità Regolatoria, dovuti al fatto che è più facile dimostrare che un nuovo farmaco è meglio del placebo, mentre è più difficile stabilire la sua superiorità rispetto al miglior trattamento già a disposizione per una determinata indicazione terapeutica. Sottrarre ai pazienti un trattamento efficace per usare un placebo non può che essere ingiusto e inaccettabile, perché genera danni per il paziente. Per esempio, in una serie di studi clinici condotti con nuovi farmaci per la terapia della sclerosi multipla contro placebo, si sono verificati circa 600 attacchi di varia natura che sarebbero stati evitati, se si fossero utilizzati alcuni farmaci come l’interferone-β e il glatiramer che si erano già dimostrati attivi contro placebo».

L’ultima revisione della dichiarazione, in conclusione, porta dei miglioramenti, ma alcuni problemi importanti restano a 50 anni dalla sua nascita. «La creazione di un documento internazionale in grado di guidare la ricerca, in modo etico, in tutto il mondo è un compito estremamente difficile e complicato – concludono gli autore del paper su Jama – la guida definitiva per l’etica della ricerca e una protezione ancora migliore per i partecipanti alla ricerca restano le sfide aperte della Dichiarazione di Helsinki».

In collaborazione con RBS-Ricerca Biomedica e Salute

FONTE: https://www.linkiesta.it/2014/01/50-anni-fa-nasceva-la-dichiarazione-di-helsinki/

 

 

 

VACCINI: LA SPERIMENTAZIONE UMANA CHE VIOLA IL CONSENSO INFORMATO

Vaccini: la sperimentazione umana che viola il Consenso Informato
Novembre 10
08:212018

VACCINAZIONE OBBLIGATORIA? LA  SPERIMENTAZIONE UMANA  CHE VIOLA IL CODICE DI NORIMBERGA

ESENZIONI? LO STOP DALL’AMERICA INIZIA AD ARRIVARE ANCHE IN ITALIA

a cura di Vacciniinforma

“SE LE PERSONE LASCIANO CHE IL GOVERNO DECIDA QUALI CIBI MANGIARE E QUALI MEDICINE ASSUMERE, I LORO CORPI SARANNO PRESTO IN UNO STATO TANTO DISPIACIUTO QUANTO LO SONO LE ANIME DI COLORO CHE VIVONO SOTTO LA TIRANNIA.”  

THOMAS JEFFERSON

Come ben sapete, Vacciniinforma segue da anni la situazione della “SB277”  e continuerà a farlo perchè è di vitale importanza che si sappia cosa accade in America. Continueremo a seguire ogni intervento e sopratutto sperare che tutto questo si ridimensioni perchè le famiglie sono molto stanche. Continuano i gravi e devastanti effetti avversi delle vaccinazioni, continuano i decessi .

La situazione è oramai ingestibile e vorremo ricordare come siano stati violati tutti i codici di fondamentali (la convezione di Oviedo la ricordate?) e sacrosanto diritto dell’uomo; uno di questi è il CODICE DI NORIMBERGA.

“Il Codice di Norimberga è la prima pietra miliare nel campo della bioetica della sperimentazione umana. E’ stato redatto nel 1947 in seguito alla sentenza che il Tribunale Internazionale ha emesso in quella città al termine del processo contro i medici nazisti che avevano eseguito criminali esperimenti nei campi di sterminio su prigionieri di guerra ed anche bambini. La sua importanza risiede nel fatto che per la prima volta viene introdotto il concetto del consenso informato di un soggetto a partecipare ad uno studio clinico dopo avere ricevuto informazioni circostanziate sugli scopi, le modalità di esecuzione dello stesso e sui possibili rischi inerenti alla partecipazione”

Ma il CODICE DI NORIMBERGA non è l’unico “accordo bioetico” (definiamolo così) a non essere stato rispettato. Troviamo anche la Dichiarazione di Helsinki , ovvero il documento deontologico sulla sperimentazione clinica stilato dalla World Medicai Associallon (WMA) [Associazione Medica Mondiale] in occasione della 18°assemblea tenutasi ad Helsinki nel 1964. In questo documento vengono enunciati i principi fondamentali cui si deve ispirare la . In primo luogo viene affermato che lo scopo del medico è la salute del paziente, la sperimentazione sull’uomo viene considerata come il mezzo per lo sviluppo della medicina, si afferma che nel corso di questa attività devono essere prese tutte le precauzioni per evitare danni all’ambiente e preservare il benessere degli animali utilizzati nelle ricerche e che deve essere effettuata una attenta valutazione del rapporto rischi/benefici. Viene ribadita, inoltre, l’importanza del consenso informato.

VI RICORDA QUALCOSA? A NOI, TUTTO CIO’ CHE IL GOVERNO MONDIALE NON RISPETTA.

Infatti noi tutti ci troviamo sul precipizio della tirannia medica e abbiamo degli organi di controllo che impongono con la forza ciò che loro chiamano “salute”. L’organo governativo di cui parliamo è il CDC. E’ criminale imporre una obbligatorietà non rispettando la volontà dei pazienti .

In Italia ad esempio la scelta governativa si basa sulle “presunte epidemie”. Nate quelle, la obbligatorietà per tutti sarà giustificata ampliamente e il DDL770 rappresenta tutto ciò senza colpo ferire. Un CRIMINE , non c’è nulla altro da aggiungere. Quando un governo si assume l’onere di imporre ai propri cittadini un trattamento sanitario, senza rispettare soggetto per soggetto e la loro situazione medica, il consenso informato e la inviolablità dei pazienti, significa che commette degli abusi e tutti dovrebbero denunciarlo. I medici coscenziosi oggi cercano di aiutare i loro pazienti battendosi per le esenzioni ma anche qui, il governo ha detto “STOP”.

A Sacramento, CA – Il dott. Richard Pan, pediatra e senatore dello Stato che rappresenta l’area di Sacramento, è co-autore di un commento pubblicato (fine ottobre 2018) su Pediatrics,  giornale dell’American Academy of Pediatrics insieme a Dorit Rubinstein Reiss, un professore di giurisprudenza di UC Hastings.  La SB277 nel 2015 ha sottoposto persino le esenzioni ad un veto impercettibile all’inizioSB277 ha dimostrato di essere un grande successo, con forti aumenti nei tassi di vaccinazione visti in primis negli asili. Per l’anno scolastico 2014-201 ad esempio  -quando si è verificata l’epidemia di morbillo di Disneyland – il tasso di vaccinazione era solo del 90,4%,  , al di sotto del 94%. Dopo il passaggio di SB277, il tasso di vaccinazione per l’anno scolastico 2015-2016 è salito al 92,6%, 2  e dopo l’effettiva implementazione di SB277 nel 2016, il tasso di vaccinazione completa nelle scuole materne è salito al> 95% negli ultimi 2 anni scolastici. 3

“La concessione di esenzioni mediche è una funzione amministrativa, di salute pubblica che lo stato ha scelto di delegare ai medici, tuttavia la pratica di concedere esenzioni non è la pratica della medicina – non esiste trattamento o diagnosi di malattia”, ha detto il dott. Richard Pan .

“Dal momento che lo stato delega questa autorità di salute pubblica ai medici, lo stato dovrebbe anche essere in grado di revocare le esenzioni mediche precedentemente concesse che si basano sull’abuso dell’autorità”.

TUTTO DIVENTA RETROATTIVO INSOMMA, PERFINO IN ITALIA LA SB277 NON SI E’ FATTA ATTENDERE E LE ESENZIONI NON VENGONO ACCETTATE DALLE STRUTTURE IDONEE.

A proposito di questioni etiche sollevate, di seguito un video che  discute l’attuazione della SB277 in California. L’attenzione qui è rivolta alle preoccupazioni di questi genitori  consapevoli della dannosità e effetti avversi dei vaccini  e di come il governo mondiale guadagni su tutto ciò.

I vaccini hanno dimostrato scientificamente di avere effetti collaterali che vanno da lievi a catastrofici. Questi possono includere qualsiasi cosa, da lieve eruzione cutanea, un sistema immunitario compromesso, sterilità, disfunzione cognitiva (danno cerebrale), paralisi, cancro, morte e molti altri problemi “provati” non menzionati qui.

Ci viene costantemente detto dal personale sanitario che la possibilità di danno da vaccino sia “meno di uno su un milione”, tuttavia le statistiche dimostrano continuamente che si tratta di un numero totalmente errato e ampiamente sottovalutato volutamente .

Anche se i casi riportati sono ben al di sopra della citazione ridicola di cui sopra, dobbiamo anche considerare che lo stesso CDC afferma che solo l’ 1 – 10% degli eventi avversi da vaccino sono segnalati come tali, rendendo possibili così dei dati sottostimati per  il Vaccine Adverse Event Reporting System ( VAERS ). Il National Vaccine Information Center ( NVIC ) afferma che le modifiche proposte limitano le segnalazioni di reazione ai vaccini , rendendo ancor più difficili da tracciare o compensare (intenzionalmente) tali incidenze sul danno .

Ora consideriamo che il tribunale dei vaccini ( VICP ) in un paese come l’America abbia già pagato ben oltre 3 miliardi di dollari di indennizzi, quanto può essere “RARO” il danno vaccinale? A noi piace guardare i fatti ed i numeri rppresentano i fatti.

Circa trentamila ( 30.000 ) rapporti VAERS sono archiviati ogni anno, e ancora una volta il CDC afferma che solo il 10%  dei casi reali viene  segnalato.

“Con i numerosi effetti collaterali provati e NESSUNA afficacia comprovata , nessun organo di stato può  avere alcuna pretesa scientifica”, queste le parole del Dr. Russell Blaylock , il quale collega l’industria del vaccino  alle violazioni del Codice di Norimberga .

NOI NON DIMENTICHIAMO

I processi di Norimberga in cui 23 imputati (tutti medici) sono stati accusati di essere coinvolti negli orrori della sperimentazione, delle procedure naziste senza il consenso delle povere vittime. Il processo durò otto mesi, dal 9 dicembre 1946 al 20 agosto 1947. Dei 23 imputati, cinque furono assolti, sette furono condannati a morte e le restanti condanne a pene detentive andarono da 10 anni all’ergastolo. I condannati a morte furono impiccati il ​​2 giugno 1948 nella prigione di Landsberg, in Baviera.

Da ciò derivarono i dieci punti del Codice di Norimberga. Di questi dieci punti i seguenti sono i più pertinenti a questa discussione, quelli che sono:

CODICE DI NORIMBERGA: PUNTO 1

1. Il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente essenziale. Ciò significa che la persona in questione deve avere capacità legale di dare il consenso, deve essere in grado di esercitare un libero potere di scelta senza l’intervento di alcun elemento coercitivo, inganno, costrizione, falsità o altre forme di imposizione o violenza; deve avere sufficiente conoscenza e comprensione degli elementi della situazione in cui è coinvolto, tali da mettere in posizione di prendere una decisione consapevole e illuminata. Quest’ultima condizione richiede che prima di accettare una decisione affermativa da parte del soggetto dell’esperimento lo si debba portare a conoscenza della natura, della durata e dello scopo dell’esperimento stesso; del metodo e dei mezzi con i quali sarà condotto; di tutte le complicazioni e rischi che si possono aspettare e degli effetti sulla salute o la persona che gli possono derivare dal sottoporsi all’esperimento. Il dovere e la responsabilità di constatare la validità del consenso pesano su chiunque inizia, dirige o è implicato nell’esperimento. È un dovere e una responsabilità che non possono essere impunemente delegati ad altri. La necessità del consenso informato s’è estesa progressivamente dalle sperimentazioni cliniche alla pratica medica ordinaria.

RICORDATE CHE

La sperimentazione clinica su esseri umani, in quanto modalità ancora insostituibile per l’avanzamento delle conoscenze e il miglioramento della pratica terapeutica, ha la sua legittimazione in importanti valori tutelati dalla Costituzione, quali la promozione della ricerca scientifica (artt. 9 e 33) e la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività (art. 32, 1° comma). Ma l’attuazione di una sperimentazione clinica ha come condizione necessaria di liceità il previo consenso specifico, libero ed informato della persona che vi partecipa. E ciò in conformità ad altri importanti valori di rango costituzionale, quali l’inviolabilità della libertà personale (art. 13) e l’incoercibilità di qualsiasi trattamento sanitario se non per disposizione di legge (art. 32, 2° comma). Il consenso informato “si configura quale vero e proprio diritto della persona”, “sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute” (Corte cost. 438/2008).

CODICE DI NORIMBERGA: PUNTO 5

Le sperimentazioni cliniche devono essere valide dal punto di vista scientifico, descritte in un protocollo chiaro e dettagliato e guidate dai principi etici in tutti i loro aspetti

CODICE DI NORIMBERGA: PUNTO 7

La sperimentazione deve essere condotta in conformità al protocollo che abbia preventivamente ricevuto il parere favorevole di un comitato etico indipendente e che definisca, tra l’altro, i criteri di inclusione ed esclusione dei soggetti della sperimentazione clinica, il monitoraggio e gli aspetti concernenti la pubblicazione dei dati. Lo sperimentatore e il promotore tengono conto di tutte le indicazioni relative all’avvio e alla realizzazione della sperimentazione clinica espresse dal Comitato etico e dall’Autorità competente

CODICE DI NORIMBERGA: PUNTO 9

Devono essere attuati sistemi con procedure prefissate e da osservare per garantire la qualità di ogni singolo aspetto della sperimentazione.

CODICE DI NORIMBERGA: PUNTO 10

Durante lo svolgimento dell’esperimento, lo scienziato responsabile deve essere preparato a terminare l’esperimento in qualsiasi momento, se ha una probabile causa per credere, nell’esercizio della buona fede, un’abilità superiore e un giudizio accurato richiesto da lui che una continuazione del è probabile che l’esperimento causi lesioni, disabilità o morte al soggetto sperimentale.

MA E’ SOLO IL CODICE DI NORIMBERGA AD ESSERE STATO VIOLATO?

ASSOLUTAMENTE no. Si parla di CONVENZIONE DI OVIEDO, della Dichiarazione di Helsinki e del Rapporto Belmont  (di seguito, qualche informazione storica ).

Gli Ethical Principles and Guidelines for the Protections of Human Subjects of Research sono noti come il Belmonl Report. Esso è il primo documento sulla bioetica della sperimentazione umana edito negli Stati Uniti. Nel luglio 1974 The National Research Acl (il Codice nazionale della ricerca) è stato convertito in legge (Public l.J:rw 93-348), creando la National Commission for the Protection of Human Subjects of Biomedical and Behavioral Research (Commissione Nazionale per la Protezione dei Soggetti Umani della Ricerca Biomedica e Comportamentale) con il compito di ottemperare ai seguenti incarichi:

  • identificare i principi etici fondamentali che devono essere alla base della conduzione della ricerca biomedica comportamentale coinvolgente i soggetti umani
  • sviluppare delle Linee guida che servissero a migliorare i Regolamenti per la protezione dei soggetti umani e assicurare che tali ricerche siano condotte in accordo con questi principi etici.

Al contrario della maggior parte degli altri rapporti detta Commissione, il Rapporto Belmont non porta raccomandazioni specifiche per le azioni amministrative da parte del Secretary of Health, Educalion and Welfare (Ministro del Dipartimento della Salute, Educazione e Benessere) e altre a quell che abbiamo citato, è bene ricordare che sono stati editi altri Codici ;  il più conosciuto è quello della American Psychological Association pubblicato nel1973. Altre linee guida importanti edite da organizzazioni internazionali sono le seguenti:  International Ethical Guidelines far Biomedical Research involving Human Subjects a cura del Council Jor Intemational Organizalions of Medical Sciences (CIOMS) in collaborazione con la World Health Organizalion (WHO); WHO Good Clinical Practice Guidelines; International Conjerence on Harmonization (ICH) Good Clinical Praclice.

I DOCUMENTI LEGISLATIVI?

In molti paesi del mondo la sperimentazione sull’uomo si è avvalsa per lungo tempo dei consigli stilati in apposite linee guida. Gli Stati Uniti sono stati i primi che hanno stilato delle Linee Guida nel 1971 (codificate, nel 1974, nel Federal Register, Gazzetta Ufficiale U.S.A.) edite dal U.S. Department of Health, Education and Welfare (DHEW) [Dipartimento della Salute, Educazione e Benessere]. Altre linee guida importanti sono le seguenti: Nordic Guidelines edite dai Paesi del Nordic Council of Europe (Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca, Islanda); Japanese Good Clinical Practice Guidelines, per il Giappone; Canadian Good Clinical Practice, per il Canada e non finisce qui.

Invitiamo tutti ad informarsi in merito poichè ci troviamo dinnanzi ad una POLITICIZZAZIONE SANITARIA che ha origini ben lontane dai giorni nostri.

E’ arrivato il momento di tutelare la nostra salute e per farlo occorre denunciare l’abuso illegittimo di potere che si protrae a danno dei nostri figli e di un intero mondo.

Tutto ciò di cui abbiamo discusso  si può riassumere in una frase di Thomas Jefferson :

“SE LE PERSONE LASCIANO CHE IL GOVERNO DECIDA QUALI CIBI MANGIARE E QUALI MEDICINE ASSUMERE, I LORO CORPI SARANNO PRESTO IN UNO STATO TANTO DISPIACIUTO QUANTO LO SONO LE ANIME DI COLORO CHE VIVONO SOTTO LA TIRANNIA.”

Popolo, destati, è arrivato il momento.

 

 

Vacciniinforma ringrazia tutte le  fonti estere ed i collaboratori.

 

REFERENCES

  1. ↵ http://pediatrics.aappublications.org/content/pediatrics/142/5/e20182009.full.pdf

FONTE: http://www.vacciniinforma.com/2018/11/10/vaccini-la-sperimentazione-umana-che-viola-il-consenso-informato/5877

 

 

 

IMMIGRAZIONI

Sea Eye schiera la nuova nave (pagata dalla Chiesa cattolica)

L’annuncio dell’Ong tedesca dopo il sequestro della Alan Kurdi. La sfida all’Italia finanziata dalla Chiesa Cattolica

Le Ong non lasciano, anzi raddoppiano. Mentre l’Italia è sempre più in difficoltà per l’aumento degli sbarchi, mentre l’hotspot di Lampedusa scoppia e l’emergenza Covid allarma il Belpaese, la Sea Eye annuncia che presto metterà in acqua un’altra imbarcazione ancora “più grande” da piazzare di fronte alle coste della Libia.

Una vera e propria sfida all’Italia, finanziata dalla Chiesa cattolica.

L’Ong ha presentato il progetto questa mattina, a cinque anni dalla morte di Alan Kurdi, il bimbo trovato riverso sulle spiagge di Bodrum. La nuova nave si chiamerà Ghalib Kurdi, fratello maggiore di Alan, annegato anche lui nella stessa occasione. A sostenere il progetto c’è anche la famiglia dei due bambini: “Non abbiamo potuto salvare la nostra famiglia, salviamo gli altri”, ha detto Tima Kurdi in apertura della conferenza stampa.

L’idea di trovare un nuovo natante (è il quarto per Sea Eye) nasce da lontano, sulla scia delle controversie con la Guardia costiera italiana sulle caratteristiche tecniche della “Alan Kurdi”. “Funzionari italiani avevano criticato la nave per non avere a bordo sufficienti capacità di smaltimento delle acque reflue e dei rifiuti”, spiegano dall’Ong che non condivide (ovviamente) la posizione italiana. Dopo aver recuperato 150 immigrati al largo della Libia, infatti, il 5 maggio scorso la Alan Kurdi era stata sequestrata nel porto di Palermo a causa delle “diverse irregolarità di natura tecnica e operativa tali da compromettere non solo la sicurezza degli equipaggi ma anche delle persone che sono state e che potrebbero essere recuperate a bordo”.

Autorizzata a lasciare l’Italia a fine giugno, la nave è attualmente ferma al porto di Burriana, in Spagna, da dove si appresta a partire. Il timore dell’Ong è che qualora la Alan Kurdi dovesse approdare di nuovo in Italia, potrebbe essere sequestrata per gli stessi motivi “tecnici”. Un timore condiviso anche da Salvamento Maritimo Humanitario, che si è vista bloccare la sua “Aita Mari” a Palermo per lo stesso motivo. Su questo tema Sea Eye ha intentato un ricorso d’urgenza al Tar di Palermo, di cui è attesa la sentenza nelle prossime settimane. Ma intanto gli umanitari tedeschi hanno pensato di muoversi anche in un’altra direzione. “Già a novembre 2019 ci è diventato chiaro che l’Italia cercherà sempre di più di argomentare in questa direzione – dice Gorden Isler, presidente di Sea-Eye – Anticipando questo, un team di progetto sta lavorando da febbraio per trovare una nave più grande che soddisfi tutti i requisiti. Indipendentemente dal fatto che questi siano giustificati o meno. Vogliamo salvare le persone dall’annegamento. L’unico modo per farlo è inviare le nostre navi in ​​mare. Ecco perché abbiamo bisogno del Ghalib Kurdi”.

La storia dell’Ong tedesca Sea Eye

L’imbarcazione dovrebbe salpare entro la fine dell’anno dal porto di Ratisbona, in Germania. Le operazioni sono già a buon punto. La nave è stata trovata e il prezzo fissato: mancano solo l’equipaggiamento e il passaggio di proprietà. I soldi non mancano, grazie ai donatori. Tra gli altri, Sea Eye stavolta ringrazia in particolare la Chiesa Cattolica “grande sostenitrice del progetto”. Presto, quindi, tornerà a salire il numero di imbarcazioni solidali nel Mare Nostrum. In campo già la Sea Watch 4 (che sta per sbarcare a Palermo altri 353 immigrati), la Mare Jonio di Mediterranea, la spagnola Open Arms e la motovedetta-opera-d’arte “Luoise Michel”, finanziata da Bansky e capitana da Pia Klemp. Restano sequestrate a Porto Empedocle la Sea Watch 3 e la Ocean Viking.

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/politica/si-ingrossa-l-esercito-ong-sea-eye-schiera-nuova-nave-1886917.html

Ecco la nuova motovedetta salva migranti. Questa volta non indovinerete mai chi la finanzia

Il finanziatore è inglese, il nome della barca francese, ma le coste rimangono quelle italiane.

In questi giorni una imbarcazione particolarmente singolare di colore rosa shoking, ma non solo per questo singolare, ha iniziato a solcare le acque del Mediterraneo.

La motonave in questione prende il nome da Luoise Micheal, nota femminista anarchica e massona francese, ed è finanziata da Bansky, l’artista inglese tra i maggiori esponenti della street art, da sempre molto attento alle vicende politiche. L’ impresa della Luoise Micheal è quella di seguire, per andare a colpo sicuro, le rotte battute dagli scafisti e recuperare i migranti. Alcune immagini che documentano la sua attività, sono visibili sul canale Twitter.

All’interno di un articolo che compare sul Giornale, Davide Bartoccini accompagnando la presentazione del generoso e nobile intento dell’artista, solleva una questione che mostra il fatto da un’angolazione differente: “È bello che un’artista visionario e milionario come lui, fornisca un contributo concreto con una risonanza mediatica indubbia, ad una causa nella quale crede…Solo su un punto ci si trova in disaccordo con Banksy. Sarebbe fantastico se lui, oltre ad abbellire la motonave e a donare i suoi soldi per salvare vite, si fosse sforzato di distribuirle democraticamente.. Invece di abbandonarle sempre da noi in Italia”.

Noi italiani che abbiamo sentito recentemente aumentare notizie di cronaca che rappresentano la durezza e l’inferno che i migranti vivono, sappiamo quanto siano sovraffollati i diversi hotspot nel territorio nazionale e quanto la situazione sia insostenibile.

“Banksy è cittadino britannico fino a prova contraria. Dunque sarebbe stato altrettanto commovente se questa motovedetta per l’individuazione di natanti alla deriva si fosse impegnata a traghettare i migranti verso i porti posti sotto la giurisdizione del Regno Unito”.

FONTE: https://www.ilparagone.it/attualita/pronta-unaltra-motovedetta-per-salvare-gli-immigrati-nel-mediterraneo-questa-volta-non-indovinerete-mai-chi-la-finanzia/

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Se le vite dei sostenitori di Trump valgono meno

I RACCONTI DELL’ERA ATOMICA

Vi ricordate la – sacrosanta – indignazione per la terribile morte dell’afroamericano George Floyd che ci ha accompagnato in questi mesi? Dimenticate tutto. Ci sono vite che valgono, e altre no. Quella dei sostenitori di Donald Trump sembra valere pochissimo. Ma ricordiamo i tragici fatti. Come riportato dall’agenzia Agi, gli scontri hanno fatto una vittima anche a Portland, in Oregon, e hanno infuocato ancora di più l’accesa campagna elettorale per le presidenziali degli Stati Uniti. Questa volta il decesso è avvenuto tra le fila dei sostenitori del presidente Donald Trump, secondo una prima ricostruzione. La sparatoria è avvenuta ieri sera intorno alle 20.45 (ora locale, le 5.45 in Italia), nel centro della città sulla costa nord-orientale. Gli agenti, intervenuti sul posto, hanno trovato a terra un uomo raggiunto al petto da un colpo d’arma da fuoco. Le circostanze sono ancora poco chiare, resta ancora da stabilire il collegamento dell’omicidio con le proteste. Dalle foto pubblicate dai media, emerge che la vittima indossava un berretto e una maglietta dei “Patriot Prayer”, un gruppo locale che sostiene il Presidente Usa.

Portland, morto un sostenitore di Donald Trump

Come riportato da Fox News, Patriot Prayer è la creazione dell’attivista conservatore ed ex candidato al Senato di Washington Joey Gibson. L’uomo che è stato ucciso a colpi di arma da fuoco a Portland nella schermaglia con i manifestanti Black Lives Matter era un sostenitore di Patriot Prayer, gruppo che non ha grande importanza a livello nazionale ma che è ben noto nel Pacifico nord-occidentale. La vittima della sparatoria è stata identificata da Gibson come Aaron “Jay” Danielson, di Portland, soprannominato Jay Bishop. “Adoriamo Jay e aveva un cuore così grande”, ha scritto Gibson su Facebook domenica. “Dio benedica lui e la vita che ha vissuto”. Aaron “Jay” Danielson però non è George Floyd, non interessa a una certa narrazione, e l’eco della sua morte non conquista le prime pagine dei giornali internazionali. Era un sostenitore di Trump, il presidente repubblicano più odiato dall’opinione pubblica progressista di sempre. Stesso destino anche Tamarris L. Bohannon, l’agente di polizia di St. Louis che è stato colpito alla testa sabato dai manifestanti e morto nelle scorse ore. Lascia la moglie e tre figli. Ma per lui non ci saranno editoriali dedicati né prime pagine: anche se era afroamericano, proprio come George Floyd

C’è chi esulta per la morte del supporter di Trump

“Non sono triste che un fottuto fascista sia morto stasera”. Non solo non indigna la morte del sostenitore di Donald Trump Aaron “Jay” Danielson ma c’è anche chi, fra le fila di Black Lives Matter e Antifa, esulta per la sua barbara uccisione. Alla faccia della tolleranza e di altre belle parole di cui si riempiono la bocca i progressisti. “Era un fottuto nazista. La nostra comunità ha resistito e ha portato fuori la spazzatura”. Lo riporta il New York Post. I video pubblicati dai giornalisti indipendenti Andy Ngo e Ian Miles Cheong mostrano una bandiera americana bruciata mentre la folla festeggia la notizia della morte del supporter del presidente Donald Trump. Cosa ancora più grave, il sindaco dem della città di Portland, Ted Weeler, invece di esprimere le condoglianze alla famiglia del morto, giurando che i colpevoli sarebbero stati assicurati alla giustizia o dicendo che avrebbe finalmente accettato un’offerta permanente di aiuto dal presidente Trump, ha scelto di fare un discorso di campagna politica attaccando il Presidente Usa: “Ora tu voglio che fermi la violenza che hai contribuito a creare. Ciò di cui l’America ha bisogno è che tu venga fermato”. Stiamo assistendo a una situazione esplosiva alimentata da una pericolosissima polarizzazione della società americana che potrebbe portare a nuove tragedie e a ulteriori morti. E anche se tutti scaricano la colpa sul Presidente Donald Trump, i democratici non fanno nulla per fermare le violenze dei manifestanti, alimentando caos e disordine. Verso un punto di non ritorno.

FONTE: https://it.insideover.com/politica/se-le-vite-dei-sostenitori-di-trump-valgono-meno.html

Kennedy a Berlino: pandemia totalitaria, dal regime del 5G

Grazie a tutti. Negli Stati Uniti i giornali dicono che sono venuto qui per parlare con 5.000 nazisti. E domani confermeranno esattamente che io ero qui ho parlato con 3-5.000 nazisti. Quando guardo questa folla, vedo l’opposto del nazismo: vedo persone che amano la democrazia, persone che vogliono un governo aperto, che vogliono leader che non mentano loro e che non assumano decisioni arbitrarie con il fine di orchestrare l’opinione pubblica. La gente non vuole più governanti che inventino leggi e regolamenti arbitrari per orchestrare l’obbedienza della popolazione. Vogliamo politici che si preoccupino della salute dei nostri figli e non del profitto loro e della lobby farmaceutica. Vogliamo politici che non facciano accordi con Big Pharma. Questo è l’opposto del nazismo. Guardo questa folla e vedo bandiere dell’Europa, persone con diverso colore della pelle, di ogni nazione, religione; persone che si preoccupano dei diritti umani, della salute dei bambini, della libertà umana. Questo è l’opposto del nazismo. I governi amano le pandemie, le amano per la stessa ragione per cui amano la guerra, perché permette loro di avere il controllo della popolazione che altrimenti non avrebbero. Le istituzioni si stanno organizzando per orchestrare un’obbedienza imposta.

Vi dirò qualcosa che per me è un mistero: tutte queste grandi e importanti persone, come Bill Gates e Anthony Fauci, hanno pianificato e pensato a questa pandemia per decenni, in modo che saremmo stati tutti al sicuro quando la pandemia Kennedy a Berlinofinalmente sarebbe arrivata. Eppure, ora che ci siamo, non sembra sappiano quello di cui stanno parlando. E vanno avanti così. Diffondo numeri e non sono in grado di dirti qual è il tasso di mortalità per il Covid. Non riescono a fornirci un test Pcr che funzioni realmente. Devono cambiare di continuo la definizione di Covid nel certificato di morte per farlo sembrare sempre più pericoloso. La sola cosa di cui sono capaci è aumentare la paura. Settantacinque anni fa, Hermann Goering testimoniò al Tribunale di Norimberga. Gli venne chiesto: come avete convinto il popolo tedesco ad accettare tutto questo? E lui rispose: «È stato facile, non ha nulla a che fare con il nazismo: ha a che fare con la natura umana». Puoi fare questo in un regime nazista, socialista o comunista, puoi farlo in una monarchia o in una democrazia. L’unica cosa che si deve fare per rendere le persone schiave è spaventarle. E se riesci a trovare qualcosa per spaventarle riesci a fargli fare qualunque cosa tu voglia.

Sessant’anni fa, mio zio John Fitzgerald Kennedy è venuto in questa città perché Berlino era la frontiera contro il totalitarismo globale. Oggi lo è ancora. Mio zio è venuto qui e ha orgogliosamente detto al popolo tedesco: «Ich bin ein Berliner». Oggi tutti quelli che sono qui possono orgogliosamente dire un’altra volta: «Ich bin ein Berliner». Fatemi dire un’altra cosa: non hanno fatto un buon lavoro con la protezione della salute pubblica, ma hanno fatto un ottimo lavoro nell’usare la quarantena per portare il 5G in tutti gli Stati e per portarci verso la moneta digitale, che è l’inizio della schiavitù. Perché se loro controllano il tuo conto in banca, controllano il tuo comportamento. E vediamo tutte queste pubblicità in Tv, che come slogan ripetono: «Il 5G sta arrivando nella tua città, cambierà la tua vita in meglio!». Sono molto convincenti queste pubblicità, devo dire. Perché Kennedy Berlinomentre le guardo penso: è fantastico, aspetto trepidante che arrivi la tecnologia di quinta generazione perché sarò in grado di scaricare un videogioco in 6 secondi anziché 16. È per questo che stiamo spendendo 5 trilioni di dollari per il 5G? No, il motivo è per la sorveglianza e la raccolta dati. Non è per voi o per me: è per Bill Gates, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos e tutti gli altri.

La loro flotta di satelliti sarà in grado di sorvegliare ogni metro quadro sul pianeta, 24 ore al giorno. Ed è solo l’inizio: saranno anche in grado di seguire ognuno di voi attraverso i vostri smartphone, il riconoscimento biometrico facciale, il Gps. Pensate che ‘Alexa’ stia lavorando per voi? Lei sta lavorando per Bill Gates, spiandovi. Dunque la pandemia è una crisi di comodo, per le élite che stanno dettando le loro politiche. Gli dà laRobert Kennedy Jr.capacità di cancellare la classe media, di distruggere l’istituzione della democrazia e di portare tutta la nostra ricchezza nelle mani di una manciata di miliardari, per rendere ricchi loro stessi impoverendo gli altri. L’unica cosa che si interpone fra loro e i nostri figli è questa folla che è venuta in piazza a Berlino. Gli diremo: non cambierete la nostra libertà, non avvelenerete i nostri figli; noi vogliamo indietro la nostra democrazia. Grazie a tutti, e non smettete di lottare.

(Robert Kennedy Jr., discorso pronunciato a Berlino il 29 agosto 2020 nella manifestazione oceanica contro la politica autoritaria intrapresa col pretesto del coronavirus. Il figlio di Bob Kennedy è intervenuto nella capitale tedesca ricordando il celebre discorso di suo zio, John Fitzgerald Kennedy, pronunciato il 26 giugno 1963. Proprio a Jfk, non a caso, Bob Dylan ha dedicato la canzone-denuncia “Murder Most Foul” anticipata sul web a fine marzo, giusto in coincidenza con l’inizio del lockdown universale, per diffondere lo stesso messaggio: la nostra libertà è in pericolo).

Australia, un data leak (1) con la patente

Settore trasporti preso di mira in Australia. Resi pubblici oltre 100mila documenti che rendono possibili furti di identità

(1) In italiano, fuga di dati,  finché questa lingua armoniosa esiste… (Redazione dettiescritti)

Oltre 100 mila documenti esposti, con scansione fronte-retro di 50 mila patenti di guida di altrettanti inconsapevoli interessati australiani per un errore di configurazione del bucket Amazon S3, insieme alle ricevute di pedaggi autostradali degli ultimi due anni. Questo è quanto accaduto nel Nuovo Galles del Sud, sebbene si stia tutt’ora investigando sulla fonte dell’upload e l’agenzia governativa Roads and Maritime Services abbia escluso il coinvolgimento dei propri sistemi nella vicenda.

Quanto accaduto, però, si pone sulla scia di altri incidenti di sicurezza precedentemente occorsi sempre nel settore dei trasporti all’interno dello stato australiano del Nuovo Galles del Sud: a maggio 2020, erano stati infatti compromessi 47 account di un’agenzia governativa (Service NSW) e a giugno 2020 i sistemi di un’altra agenzia (Transport for NSW) avevano subito un’interruzione che secondo alcuni analisti poteva essere ricondotta ad un attacco mirato.

Dal momento che i dati personali che sono stati esposti con il recente data leak riguardano, oltre le patenti di guida, anche indirizzi, date di nascita e numeri di telefono degli interessati, da cui potrebbe essere possibile realizzare dei furti di identità, accedere ad ulteriori informazioni ricorrendo ad altri database violati o esposti e perpetrare così frodi anche nei confronti di soggetti terzi. Infatti, il documento della patente di guida è spesso utilizzato per verificare le identità e dunque può essere già di per sé estremamente appetibile per un impiego illecito da parte di malintenzionati per aprire account “verificati” su varie piattaforme, svolgendo operazioni per conto di inconsapevoli interessasti.

L’incidente impone di riconsiderare le molte prassi diffuse fra gli operatori del settore dei trasporti, che legittimamente chiedono informazioni relative alla documentazione di guida e la copia della patente, ma che forse non hanno affrontato una corretta valutazione della sicurezza dei propri sistemi e un’analisi dei rischi delle attività di raccolta, trasmissione e conservazione dei dati.

Alcuni esempi. Sono state correttamente considerate le implicazioni di sicurezza sottostanti la raccolta sistematica di tali dati? Sono stati definiti i tempi di conservazione, al fine di evitare un’esposizione eccessiva dei dati personali così raccolti? E soprattutto: sono state considerate alternative alla raccolta di una copia scansionata del documento di guida, quali ad esempio la registrazione delle informazioni contenute al suo interno (es. numero patente, data di emissione, scadenza etc.)?

FONTE: https://www.infosec.news/2020/09/02/news/riservatezza-dei-dati/australia-un-data-leak-con-la-patente/

 

 

 

POLITICA

Magaldi: la paura (Conte, Monti) o il coraggio, cioè Draghi

La politica italiana sta platealmente corteggiando Mario Draghi, in veste di ipotetico salvatore della patria, dopo il disastro nel quale Giuseppe Conte ha sprofondato il paese. «Ma lo stesso Draghi – come peraltro richiestogli – sta ben attento a non cedere a nessun compromesso al ribasso: sarà spendibile solo per fare grandi cose, in grado di capovolgere la situazione». Ovvero, liberare l’Italia dalla doppia schiavitù della quale è prigioniera: il ricatto della paura costruito da Conte col pretesto della pandemia e la sudditanza rispetto a un’Ue che, «con i quattro baiocchi del Recovery Fund (neppure investiti in modo strategico, ma sprecati in maniera malamente assistenziale) ci costringerà a pagare il conto, salatissimo, dell’ennesimo “debito cattivo”». Lo ha spiegato al Meeting di Rimini proprio quel Draghi che, a marzo, sul “Financial Times”, «propose un ben diverso orizzonte: e cioè, fronteggiare la crisi planetaria innescata dal virus emettendo miliardi a fondo perduto, destinati a non trasformarsi affatto in debiti da ripagare. Gioele Magaldi fotografa così i giorni convulsi che stiamo vivendo, in bilico tra catastrofe e rinascita: da una parte il nuovo Draghi, conquistato alla causa progressista dopo i lunghi trascorsi nella peggiore élite reazionaria del neoliberismo, e dall’altra un irriducibile nemico della democrazia sostanziale come Mario Monti, sfacciatamente messo a capo delle politiche dell’Oms per l’Europa.

 

«La nomina di Monti è un’autentica vergogna, che denunceremo in ogni sede – tuona Magaldi, massone progressista – fino a quando il “fratello” Mario non avrà rassegnato le dimissioni: è uno scandalo che si affidi l’indirizzo europeo della sanità Mario Montiproprio al personaggio che operò i tagli che, la scorsa primavera, hanno reso il sistema sanitario italiano più debole e vulnerabile di fronte all’esplosione pandemica». In web-streaming su “MrTv”, la web-tv aperta dal Movimento Roosevelt, Magaldi cita i versi di Fabrizio De Andrè: i “buoni consigli” di Monti sono quelli di chi, per raggiunti limiti di età, «non può più dare il cattivo esempio». Vale anche per Sergio Mattarella, sostiene Magaldi, rinfacciando al capo dello Stato la scelta di negare a Paolo Savona, nel 2018, l’accesso a una leva strategica come il ministero dell’economia, «che da Savona sarebbe stato gestito assai meglio, che non da Giovanni Tria». Fu proprio quella mossa, richiesta dalle potenti oligarchie massoniche reazionarie – dice Magaldi – a sabotare in partenza le ambizioni del governo gialloverde, certamente fragile ma capace di spaventare gli eurocrati come il tedesco Günther Oettinger, portavoce della massoneria “neoaristocratica” (la stessa di Monti), che si premurò subito di avvertire gli italiani che sarebbero stati “i mercati” a insegnare loro come votare.

Da allora sembra passato un millennio: i 5 Stelle, che due anni fa erano alle prese con le loro rivoluzionarie promesse elettorali, ora fanno da ruota di scorta a un Pd ridotto in brandelli, che non vede l’ora di liberarsi di Conte ma intanto è impantanato dalla segreteria di Zingaretti, che – dopo aver sprecato 14 milioni di euro in mascherine mai arrivate alla Regione Lazio – ora vorrebbe imporre ai laziali over-65 (e ai sanitari) la vaccinazione antinfluenzale. «Il Movimento Roosevelt – precisa Magaldi, che ne è il presidente – è tra quanti hanno chiesto al Tar di sospendere l’esecutività dell’ordinanza di Zingaretti: l’istanza di sospensione non è stata accolta, ma la battaglia non è finita: a breve, il Tar dovrà pronunciarsi nel merito, valutando cioè l’inopportunità della somministrazione obbligatoria di un vaccino che secondo gli stessi medici non avrebbe efficacia nel quadro del contenimento del Covid». Per molti anziani, addirittura, la vaccinazione antinfluenzale potrebbe Robert Kennedy Junioressere pericolosa per la loro salute: «Se davvero la si volesse imporre, limitando in caso contrario la loro libertà di movimento – avverte Magaldi – si aprirebbe un contenzioso di altro genere, rispetto al quale Zingaretti è bene che si prepari fin d’ora».

Di vaccini inopportuni ha parlato – a Berlino – nientemeno che l’avvocato Robert Kennedy junior, nella giornata di protesta contro il “distanziamento universale” che ha radunato milioni di manifestanti (non solo nella capitale tedesca, ma anche in città come Londra, Zurigo e Madrid). «Robert Francis Kennedy milita nel nostro circuito sovranazionale, quello della massoneria progressista», precisa Magaldi, autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) che svela il ruolo occulto delle superlogge nella sovragestione politica. Al netto di quella che Magaldi definisce «l’ossessione di Kennedy per i vaccini», e senza però sottovalutare «il ricorso troppo disinvolto a determinati vaccini, da parte di una sanità che tende a somministrarli depenalizzando i produttori e proponendo quindi l’immunizzazione piuttosto che la cura delle malattie», Magaldi sottolinea il valore simbolico dell’intervento di Kennedy a Berlino, che ha citato espressamente lo storico discorso di suo zio, John Kennedy, nel ‘61: se il Muro di Berlino era il simbolo del totalitarismo del dopoguerra (quello dell’Urss), oggi – per il nipote – la protesta dei berlinesi è una grande risposta alla nuova tentazione totalitaria, quella di chi sta cavalcando il Covid in modo forsennato, sfruttando la paura.

Per Magaldi, il figlio di Bob Kennedy potrebbe – domani – diventare un player importante, negli Usa, se si volesse ricostruire una prospettiva rooseveltiana e keynesiana, concentrata sul pieno recupero della democrazia e dei diritti sociali che il neoliberismo ha eroso, scolorito e cancellato. Del resto, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, sono eminenti economisti ad ammettere, oggi, che la globalizzazione neoliberale – fatta di solo mercato – è praticamente fallita. L’aveva annunciato già negli anni ‘90 il grande antropologo svizzero Jean Ziegler nel saggio “La privatizzazione del mondo”, spiegando che lo smantellamento del welfare avrebbe impoverito le popolazioni e messo fuori uso i servizi, a cominciare da quello sanitario, in Italia letteralmente devastato da Mario Monti. Insieme a Elsa Fornero (tuttora interpellata in televisione, come se fosse un esempio di governatrice illuminata), lo stesso Monti ha terremotato anche il sistema pensionistico, rendendo più debole la società e aumentando l’insicurezza: problemi che oggi stanno letteralmente per esplodere di fronte alla crisi-Covid, Conterispetto a cui Giuseppe Conte non ha soluzioni: «Molte famiglie stanno esaurendo i soldi, e gli imprenditori – che temono di chiudere i battenti, o di dover vendere la loro casa per salvare l’azienda – sanno che gli spiccioli del Recovery Fund arriverebbero solo a rate e a piccolissime dosi: troppo poco, e troppo tardi».

Al di là degli imbarazzanti proclami di Conte – sonoramente contestato a Catania, nei giorni scorsi, al grido di “buffone” – è infatti proprio la catastrofe incombente (90.000 imprese a rischio, non meno di 5 milioni di posti di lavoro secondo l’Istat) a spingere i nani della politica italiana verso il possibile salvatore Mario Draghi. Persino “Dagospia” ha segnalato «un codazzo di auto blu, sotto la casa romana dell’ex presidente della Bce». Il crollo del sistema-Italia è paventato dalla stessa banca centrale: una famiglia su tre – avverte Bankitalia – a ottobre potrebbe non sapere più come arrivare a fine mese. Se il governo giallorosso sembra quindi avere le ore contate, non è certo da questo Parlamento che potrebbe venire una soluzione: si pensa a un esecutivo di salvezza nazionale, come quello varato da Monti nel 2011 ma di segno diametralmente opposto. Ormai la recita è finita: di che pasta sia fatta, questa Unione Europea, lo hanno capito tutti. Serve una rivoluzione copernicana, come quella evocata da Draghi sul “Financial Times”: ossigeno illimitato, sotto forma di miliardi, fino a quando l’economia non si sarà Mario Draghi con Christine Lagarderipresa. Succederà? Dipende: la partita è complessa, ammette Magaldi, che indica un altro ostacolo ingombrante, ovvero la Cina. Meglio ancora: il “partito cinese” che opera tra le quinte del governo Conte.

«Nei giorni scorsi – dice Magaldi – ho letto su “La Verità” che stanno emergendo gravi responsabilità di Conte, nel ritardo con cui è stata gestita la fase iniziale dell’emergenza, senza contare l’invio – proprio in Cina – di materiali sanitari che, di lì a poco, sarebbero stati preziosi in Italia, dove invece scarseggiavano». Non solo: è di qualche giorno fa la forte irritazione degli Usa nei confronti di “Giuseppi”, che l’8 agosto – con un decreto mantenuto riservato – ha concesso a Telecom un primo via libera per utilizzare la tecnologia Huawei per il 5G, contravvenendo così alle esplicite richieste della Casa Bianca. Per Magaldi, in Italia il clan filo-cinese «include il massone reazionario Romano Prodi, che ambisce al Quirinale». L’ombra della Cina – che omai di fatto controlla l’Oms – si allunga anche sulla scandalosa nomina di Mario Monti, altro esemplare della massoneria oligarchica che ha messo in croce l’Italia utilizzando l’austerirty Ue per i propri inconfessabili scopi di natura privatistica. E’ lo stesso clan, insiste Magaldi, che – a partire dalla fine degli anni ‘70, con Kissinger – ha contribuito a creare la Cina di oggi, un “mostro” bifronte (benessere economico, ma niente democrazia), come modello per un futuro Occidente senza più diritti: come quello che gli strateghi del MagaldiCovid stanno cercando di imporre, a colpi di restrizioni, ben sapendo che in questo modo si lasciano collassare intere economie, come quella italiana.

Magaldi celebra «la grandezza di Mario Draghi», dimostrata dalla capacità di cambiare radicalmente i propri convincimenti, «arrivando così anche a farsi perdonare le tante colpe del passato», cioè gli anni in cui Super-Mario dirigeva dal Tesoro la svendita del Belpaese, e poi – dalla Bce – non muoveva un dito per salvare l’Italia dalla tempesta dello spread. Il ribaltamento dei ruoli è un clamoroso indicatore di quanto sta succedendo, in Italia e nel mondo: da una parte i big come Draghi, convertiti al socialismo liberale e all’economia keynesiana (citata e praticata dallo stesso Donald Trump), e dall’altra gli irriducibili oligarchi che manovrano Conte, in uno scenario in cui galleggiano il silenzioso Mattarella, il mai pentito Prodi e l’impresentabile Monti, legatissimo alla “sorella” Merkel e ora premiato – in spregio all’Italia – dagli oscuri burocrati dell’Oms finanziata da Pechino e da Bill Gates, l’uomo che sogna il microchip obbligatorio per l’umanità. Di fronte al collasso politico planetario imposto dalla gestione della Grande Paura, l’agenda elettorale italiana è risibile: le regionali del 20-21 settembre ripropongo la farsa del finto scontro tra centrodestra e centrosinistra, mentre alla vigilia del referendum che propone di tagliare anche l’ultimo pezzo di democrazia (il Parlamento) si indebolisce di giorno in giorno l’entusiasmo dei “tagliatori”. Se l’orizzonte che conta è quello delle presidenziali Usa del 5 novembre, con il finto progressista Biden opposto a un Trump sostenuto dai massoni progressisti, il paesaggio italiano – in attesa che l’increscioso Conte esca di scena – è dominato da due totem altrettanto contrapposti: da una parte il lugubre Monti, dall’altra l’irriconoscibile Mario Draghi. «Anziché i parlamentari – chiosa Magaldi – sarebbe il caso di tagliare senatori a vita come Monti: quelli sì, sarebbero soldi ben risparmiati».

 

VOGLIAMO ESSERE RAPPRESENTATI MEGLIO, NON MENO

Vogliamo essere rappresentati meglio, non meno Se il vero scopo fosse il risparmio, invece del taglio dei parlamentari si sarebbe potuto, più agevolmente, tagliare un terzo dei loro stipendi. E senza neanche bisogno di una riforma costituzionale, doppie letture e referendum. Insieme al taglio dei parlamentari avremo, assai probabilmente, un proporzionale puro (grazie anche all’assist della sentenza Marta Cartabia contro il referendum pro-maggioritario proposto dalla Lega). Sistema elettorale contro il quale gli italiani si espressero già nel referendum del 1993. Si ricorda che i motivi erano: evitare clientelismivoto di scambio e infiltrazioni delle mafie. Il combinato disposto delle due riforme – taglio dei parlamentari e sistema elettorale – servirà solo a concentrare ancora di più il potere nelle mani dei grandi manovratori di voti. Liste di candidati compilate in base al merito di chi controlla i più grandi (e disciplinati) serbatoi elettorali. Ne risulterà un voto popolare diluito che conterà sempre meno. Perché le decisioni si prenderanno in segrete stanze o cancellerie straniere. O magari, con il pretesto della democrazia diretta in Rete, su opache piattaforme eterodirette.

Le approssimative argomentazioni dei proponenti il Sì al referendum, sovente portano il raffronto con il più ridotto numero dei parlamentari di altre grandi nazioni. Argomentazioni palesemente fallate. Citano ad esempio il caso della Germania dove, peraltro, accanto ai 710 membri del Bundestag – il Parlamento federale – (e sorvolando sul Bundesrat con i suoi ulteriori 70 componenti), ci sono i Parlamenti statali di ciascuno dei 16 Lander. Né si possono paragonare il Lander alle nostre Regioni: le competenze di ciascuno dei 16 parlamenti statali tedeschi sono ben più ampie di quelle del Titolo V della nostra Carta. Infatti, ogni Land della Germania ha la sua Costituzione e ha competenza residuale su tutto ciò che non è materia legislativa esclusiva federale. Per esempio ogni Land disciplina polizia, disposizioni in materia di stampaordine pubblicoesecuzione penale. Oltre ad avere ampi poteri di legislazione concorrente in materie come il diritto ambientale.

Analoghe contro-argomentazioni smontano il raffronto con gli Usa che, accanto ai Congressmen federali conta quasi quattromila membri dei Parlamenti statali. La cui autonomia legislativa ha una latitudine che spazia dal diritto societario a materie come il diritto penale e la pena di morte. Dunque, Parlamenti federali più snelli ma ampia autonomia legislativa di quelli statali. Non casualmente il M5a e vari altri promotori della riforma, sono, peraltro, contrari all’ampliamento delle autonomie amministrative e al federalismo. Vi sono, peraltro, anche in Germania precedenti di riduzione del Parlamento ed esperimenti di centralismo statale: durante il nazionalsocialismo tra il 1933 e il 1945… A valle della riforma, l’Italia avrà il più ridotto rapporto tra parlamentari e numero di abitanti tra le comparabili altre grandi democrazie: uno ogni centomila. Vogliamo essere rappresentati meglio non meno.

FONTE: http://opinione.it/editoriali/2020/08/31/raffaello-savarese_referendum-costituzione-taglio-dei-parlamentari-risparmio-m5s-germania-parlamento-federale-bundestag-bundesrat-lander-regioni-congressmen/

 

 

 

I parlamentari italiani da baluardo contro le dittature a spesa da tagliare

Una volta passato il concetto sarà evidente pensare che anche 400 deputati sono troppi e che il Senato è un lusso insostenibile

L’idea che la democrazia abbia un costo era ben nota a Luigi Einaudi cui si deve la previsione dell’art. 81 della Costituzione, che impone che “ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”.

Un altro costituente liberale, Epicarmo Corbino, si impegnò a inserire nell’art. 33 della nostra Legge Fondamentale il comma che assicura che “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.

Il liberalismo italiano del Dopoguerra era erede diretto della Destra risorgimentale di Quintino Sella, Ricasoli e Menghetti che consentì al neonato Stato Unitario di consolidarsi patrimonialmente e ne fu degno continuatore, tanto che la Lira si rivalutò in pochi anni, ponendo le premesse del “miracolo economico” degli Anni 60.

Nessuno però degli austeri liberali ebbe niente da eccepire in merito al costo del Parlamento, che fu visto concordemente dai Padri Costituenti come il baluardo contro ogni dittatura; del resto era ancora viva l’eco del plumbeo discorso mussoliniano che aveva prospettato di trasformare l’aula “sorda e grigia “ di Montecitorio in un “bivacco di manipoli”.

Fa specie che a distanza di un secolo le più volgari frasi della demagogia fascista contro i “ludi cartacei” elettorali e l’inettitudine del Parlamento siano tornate di moda e che gli emicicli siano stati occupati non da squadracce minacciose ma da dilettanti allo sbaraglio, al grido sanculotto “uno vale uno”.

Dietro l’antipatia per la democrazia rappresentativa non c’è solo il pensiero utopico di Rousseau, ma quello molto più portato all’azione di Georges Sorel, il vero ispiratore di Mussolini.

Sorel creò il mito dell’azione, dei “fatti, non parole”, dell’agire come principio assoluto, contrapposto al metodo dialettico e alla riflessione teorica, considerata ciarpame da gettare nell’immondizia, in nome di un secolo nuovo, veloce e tecnologico.

Sembra il terzo millennio, ma era il 1920. Su quest’onda isterica di esaltazione dell’azione diretta delle masse e dell’individuo protagonista senza estenuanti mediazioni e inutili conciliaboli, arrivò l’impresa dannunziana di Fiume, come schiaffo al parlamentarismo liberale di Giolitti e poi, come diretta conseguenza, la Marcia su Roma , salutata anche da qualche miope esponente della classe dirigente di allora come una salutare scossa all’immobilismo.

Da lì in poi il Parlamento passò di moda: si fece sì, con la Legge Acerbo, di farne semplicemente la cassa di risonanza del governo e poi, una volta che questo divenne Regime, si pensò bene di risparmiare eliminando i deputati eletti, con i designati dalle strutture di Partito ( I fasci) e dalla categorie produttive ( le corporazioni). In questo modo, secondo la pubblicistica fascista, si risparmiavano tempo e soldi che le “demo- masso- pluto- democrazie” sprecavano in inutili elezioni tra partitucoli e listarelle, garantendo la partecipazione effettiva del popolo all’emanazione delle leggi che venivano scritte dai tecnici del settore e approvate in modo unitario dall’assemblea popolare espressione genuina della gente e non delle fazioni.

Non stupisce che simili argomentazioni facciano ancora breccia in tradizioni politiche che direttamente o indirettamente si richiamano all’autoritarismo o che si basano sull’avversione al Parlamento in nome di una fantomatica “democrazia diretta”.

Stupisce invece che le forze che si richiamano al liberalismo, come Forza Italia o che si proclamano continuatrici della sinistra italiana e della democrazia cristiana quali il Pd, si siano accodate in modo avventato al carro folle del “taglio del Parlamento”.

Una volta passato il concetto che il parlamentare non è una risorsa ma una spesa, sarà evidente pensare che anche 400 deputati sono troppi e che il Senato, oltre tutto copia carbone della Camera, è un lusso insostenibile.

In effetti ne abbiamo fatto a meno per una ventina d’anni e qualcosa abbiamo risparmiato; in compenso abbiamo avuto le Leggi Razziali e una guerra che ci è costata molto di più che quelle centinaia di morti per sedersi al tavolo della pace che immaginava il Duce dichiarando la guerra affacciandosi a Palazzo Venezia, senza il fastidio di dover passare da Montecitorio.

Mi sembrano motivi sufficienti per votare NO, che ne dite?

FONTE: https://www.ildubbio.news/2020/09/01/parlamentari-italiani-da-baluardo-contro-le-dittature-spesa-da-tagliare/

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

L’Intervista: Le verità nascoste sul Covid19

Di Comedonchisciotte.org 

Intervista di Andrea Leone

Il Dott.Sergio Resta parte analizzando il suo post divenuto virale che ha fatto un po’ il giro di tutto il mondo. Inizia a parlare dei numeri dei decessi: sostiene che molte morti sono state attribuite al covid19 anche se non è stata la causa primaria o unica. A conferma di ciò, cita lo scandalo scoppiato in Minnesota, dove il Governatore Tim Walz, per altro anche medico, ha sostenuto che il Center for Disease Control and Prevention, gli avessero recapitato dei documenti dove tutti i pazienti di età superiore agli 80 anni deceduti per cause respiratorie, lo fossero stati per covid19, quando in realtà la causa mortis è stata imputabile ad altri fattori eziopatogenetici. Le gravi incompetenze espletate nei riguardi dei pazienti morti in Lombardia,Veneto, Emilia Romagna, non per causa diretta dei medici, ma a causa di certe linee guida che i colleghi hanno dovuto pedissequamente seguire.

Ci sono medici del cabotaggio del Dottor Zangrillo o del Dott.Bassetti che nella maggior parte delle interviste hanno indossato un camice, una tenuta chirurgica, a significare la loro vita continua al ridosso dei pazienti in corsia, a contatto diretto con la reale sintomatologia, il reale vissuto, non solo del paziente, della patologia ,della sua evoluzione clinica e del medico nell’affrontarla. Tanti come loro hanno effettuato delle indagini specialistiche accorgendosi come stesse accadendo qualcosa di grave in pazienti gravi, a livello della vascolarizzazione polmonare e del parenchima.

L’idrossiclorichina, a fronte di effetti collaterali che non sono amplificati come ha sostenuto la stampa, ma molto più rari, insieme all’azitromicina ha determinato in alcuni casi, la remissione sintomatologica delle fasi mediane della malattia.

Sulla citazione del post sull’OMS, afferma che essa ha dichiarato solo verbalmente la pandemia. Non esiste nessun documento redatto a stampa.

Le autopsie sono state generate da un intuizione felice di medici fuori dal coro. Resta ricorda quando sono arrivati i cinesi in Italia, acclamati come i salvatori dell’umanità, accolti da governatori, dai direttori di importanti istituzioni sanitarie, un codazzo di inchini, lo scambiarsi di maschere, guanti, visiere: hanno dimenticato di dirci però degli esiti delle autopsie svolte, che hanno evidenziato la reale causa mortis derivante dalle trombosi diffuse nell’albero polmonare e le ustioni nel parenchima causate dall’immissione pomposa di grosse quantità d’ossigeno tramite le intubazioni.

In Italia il valore che ha avuto l’ecocolordoppler al capezzale del paziente è stato un obbiettivo raggiunto un pochino dopo di essersi resi conto dell’inefficacia dell’intubazione, della ventilazione assistita. Grazie alle autopsie siamo arrivati a capo della situazione. Grazie ad indagini opportune, è stata resa trattabile questa entità, dalla quale si può guarire.

Il Dottore passa al tema delle vaccinazioni, affermando che quelle antinfluenzali eseguite a tappeto a Gennaio svolte in Lombardia sono state sfruttate tramite il ceppo H1N1, coltivate su cellule di cane , noto serbatoio di virus sarscov2. Sappiamo bene che il virus H1N1 è particolarmente virulento, gli anziani sono spesso in trattamento per altre comorbità, patologie importanti. Ed ecco, forse, l’indebolimento post vaccinale delle difese immunitarie di questi soggetti, con l’eccessiva carica virale coronavirus può aver generato una cascata di eventi citochimica che ha portato al decesso di tantissimi anziani al nord d’Italia. Questi cofattori hanno avuto sicuramente un ruolo significativo nella genesi della malattia che in mancanza di conoscenza, di linee guida coerenti, in assenza di autorizzazione alle autopsie da parte del Ministero Della Salute, sono sfociate nella morte di tanti pazienti. In merito a quanto detto, una pubblicazione scientifica del Pentagono raccolta da PubMed, ha sottolineato la causa di interferenze virali da vaccino antinfluenzale H1N1 con covid19. Tale pubblicazione, ora è sparita, forse perché la parola vaccino non si può toccare, non può essere criticata. Ci sono lavori delle forze militari USA che hanno evidenziato come al termine di strategie vaccinali influenzali su militari di leva, si sia riscontrato il cosiddetto shock post vaccinale di cui nessuno parla, anzi, se ne fai cenno, vieni deriso, è un dato costante. Sono soggetti che rimangono temporaneamente sprovvisti di importanti difese immunitarie e possono essere preda di virus, batteri,miceti,parassiti, ecc.ecc.

Passando al tema mascherine e tamponi il Dottor resta rivela: basta girare il web e si trovano notizie di collusioni ,connivenze tra produttori di dispositivi di protezione individuale e coloro che tentano di somministrarceli. C’è stato di recente un importante investimento da parte del nostro governo sulle mascherine, grazie all’accordo con FCA evidentemente. Il Dottore sottoscrive l’osservazione del Professor Montanari: le tramature del TNT (materiale delle chirurgiche) ha una dimensione di circa 200 micron, è una dimensione inusitata per quelle che sono le piccole conformazioni virali capaci di penetrare sia in un senso che nell’altro. La trama della maschera TNT tra l’altro, il polipropilene è insalubre, non solo per adulti e anziani ma soprattutto per un bambino che per tante ore come previsto dalle nuove norme di riapertura della scuola, dovrà indossare. Ci sono tantissime incongruenze, come quella del tampone. Sulla scorta dell’insegnamento che proviene dai colleghi cinesi, nello scoppio epidemico furono sottoposti a tampone nella sola città di Wuhan, oltre 72314 casi, pazienti conclamati sintomatici. Di questi, soltanto il 62% ha presentato una positività al tampone, il rimanente 38% s’è positivizzato  parecchi giorni dopo. Questo ci dice che il tampone ha un indice di predittività basso. Inoltre, il Dott. Franchi, dice Resta, ammette che risulta ancora inaccessibile una documentazione scientifica credibile inerente alla presenza del covid19 nel tampone. Lo stesso Dott. Sergio Resta ha svolto una ricerca nelle librerie scientifiche internazionali senza trovare nulla di evidente sui termini dell’isolamento del virus.

Sono stai pochissimi i professionisti che si sono occupati della prevenzione virale. Da parte dei presidenzialisti dello staff medico del comitato scientifico, nessuno ha speso una lancia in favore del buon vivere, attraverso la cura dell’alimentazione, l’esposizione ai raggi solari, le terapie complementari a base di principi attivi sempre più rari da alimenti prodotti in serra oppure in allevamento. Questa, sostiene, è una gravità non perdonabile, perché come hanno sottolineato i migliori virologi ed epidemiologi del mondo, fattori come l’irradiazione solare genera un decadimento della carica virale. E’ stata negata validità in alcune molecole come la vitamida D3,K2, lo Zinco che hanno realmente un efficacia documentata scientificamente da centinaia e centinaia di pubblicazioni. Per non parlare della vitamina C ! Osannata dai colleghi cinesi durante la fase acuta della pandemia, ha dimostrato a elevatissime dosi di ridurre la sindrome di stress respiratorio acuta nei pazienti portatori di covid19.

Un recente lavoro dell’università dell’Haifa, in Israele, evidenzia un dato molto importante: l’associazione di perbeni  della cannabis medicale uniti ad un certo quantitativo di cannabiolo, hanno un efficienza nettamente superiore rispetto al desametasone. Inizialmente, il desametasone non è stato riconosciuto dal Ministero della Salute come farmaco step fondamentale. Tanti medici italiani, non seguendo il Ministero, l’hanno comunque somministrato ai pazienti riuscendo a tirarli fuori da condizioni estremamente pericolose dal punto di vista metabolico. Il British Medical Journal ha affermato l’efficacia incontestabile del desametasone nel trattamento della sindrome da covid19 da media gravità a notevole gravità. Noi abbiamo dei principi attivi estremamente utili nel controllo del virus, che non hanno impatto negativo sull’organismo come invece possono avere i farmaci. La Dott.ssa Elena Campione del Policlinico di Tor Vergata ha comunicato di recente l’importanza della lattoferrina sull’emoglobina dei globuli rossi. Notizia notevole. Si sapeva che tale integratore è un potente modulatore dell’immunità, infatti i bambini non vengono colpiti da tale virosi proprio perché vengono nutriti dal latte materno che contiene grossi quantitativi di lactoferrina. A domanda sulla mancata campagna di prevenzione e informazione sull’utilizzo di principi attivi da parte del governo, il Dott. Resta si limita a rispondere che il paziente sano non porta denaro. A fine intervista, il medico ringrazia il contributo scientifico che hanno dato sin ora, il Dott. Bassetti,Zangrillo,Clementi,Gismondo,Franchi,De Donno,Di Bacco, Tarro,Trinca,Manera e il Prof. Montanari, hanno apportato a competenze scientifiche e culturali che mirano all’arricchimento professionale ma soprattutto umano.

VIDEO QUI: https://youtu.be/uSHOvpRK5mY

FONTE: https://comedonchisciotte.org/lintervista-le-verita-nascoste-sul-covid19/

Ex CEO Google critica gestione pandemia: “Persone morte inutilmente”

L’ex numero uno di Google Eric Schmidt denuncia quello che ritiene il fallimento del governo statunitense nella gestione del coronavirus. E attacca: “Tante persone sono morte inutilmente”

Ex CEO Google critica gestione pandemia: “Persone morte inutilmente”

“Tante persone sono morte inutilmente”. Queste le dure osservazioni dell’ex CEO di Google Eric Schmidt, tra i più critici nei confronti dell’esecutivo USA e della sua gestione della pandemia di coronavirus.

Schmidt ha esplicitamente parlato di “fallimento della leadership” nella risposta americana all’emergenza sanitaria, e ha previsto ulteriori difficoltà in arrivo a meno di “misure drastiche” che arrestino la diffusione del virus.

In particolare, le dichiarazioni che hanno catturato la maggiore attenzione mediatica – e anche le maggiori critiche – sono quelle relative ai decessi. L’ex numero uno di Mountain View ha infatti definito “morti inutili, senza senso” quelle causate dal COVID-19, in quanto facilmente evitabili se il governo avesse reagito tempestivamente:

“Le persone sono morte inutilmente perché il governo è stato lento a reagire con interventi comuni e semplici, come l’introduzione della mascherina e il distanziamento sociale”.

Eric Schmidt critica Trump

Schmidt, che ha guidato Google tra il 2001 e il 2011, ha dichiarato che il governo si è mostrato “confuso e colto di sorpresa”, con il Paese che “mancava di un sistema in grado di fornire dati integrati”:

“Visto che c’è un fallimento nella direzione, un fallimento della leadership praticamente a tutti i livelli del nostro governo, è stata lasciata alle singole persone l’incombenza di decidere cosa avrebbero dovuto fare”.

Commenti che segnano una delle valutazioni in assoluto più critiche nei confronti dell’amministrazione Trump e della sua gestione della pandemia, e arrivano in un momento cruciale per il tycoon in ottica campagna elettorale.

Schmidt – ora parte del consiglio di amministrazione di Mayo Clinic e consulente tecnico di Google – è uno dei principali sostenitori di Future Forward USA, un comitato di azione politica di stampo democratico.

Nel corso della stessa intervista, si è opposto nettamente all’attuale euforia di Wall Street, tracciando un quadro molto cauto sul percorso futuro di economia e mercati.

Forte di un patrimonio netto che Forbes stima in 16 miliardi di dollari, ha avvertito che se gli americani non si comporteranno “in modo disciplinato” – indossando mascherine ed evitando assembramenti – i focolai potrebbero “continuare fino all’estate del 2021”:

“Questo è da considerare un anno di crescita del PIL del tutto perduto. Economia, sanità, istruzione e un enorme numero di cose che davamo per scontate prima di gennaio sono state rivoluzionate. Se non agiremo presto, perderemo un altro anno”.

Durante lo stesso podcast, l’ex commissario della FDA nominato da Trump, Scott Gottlieb, ha espresso preoccupazione per una “serie di epidemie su scala regionale che si stanno manifestando con insistenza, provando contestualmente a fornire dei consigli alla popolazione statunitense:

“Fate una vita semplice per i prossimi sei mesi. Cercate di restare a casa un po’ di più, di stare con persone che conoscete, così da ridurre il numero di interazioni sociali. Invece di fare la spesa due volte a settimana, provate a condensare i vostri acquisti in un solo viaggio. Dobbiamo pensare a questo tipo di elementi come cruciali per una questione di sicurezza nazionale”.

FONTE: https://www.money.it/ex-ceo-Google-critica-gestione-pandemia-usa

 

 

Tamponi e isolamento: l’Italia contro le evidenze scientifiche

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Mentre il tema del Covid-19 continua a tenere banco, con tutti i rischi di una politicizzazione della vicenda che si rende sempre più palese, l’attenzione sembra focalizzata tra rintracciamento di casi positivi – per la gran parte asintomatici o interessati da forme lievi di malattia – e potenziali rischi legati a tali scoperte.

Così, se da un lato si ignora quasi totalmente la questione dell’endemizzazione del virus – tant’è che molti parlano ancora di “pandemia” – dall’altro non ci si rende conto di quel vero e proprio “calvario” anti-scientifico che debbono affrontare i positivi al tampone.

Infatti, dopo che un test ha segnalato la “positività” al povero infettato che, spesso, stando in perfetta salute, non sapeva neanche di essere entrato in contatto con il virus, bisogna affrontare l’isolamento e la quarantena.

Tale provvedimento sanitario, com’è noto, è finalizzato ad evitare che l’infezione venga trasmessa ad altre persone, e, comportando una limitazione molto pesante alla vita del singolo, deve durare il tempo strettamente necessario.

Il problema è che in Italia questo non avviene, e le persone vengono tenute in isolamento per settimane, pur essendo sane, guarite e comunque non più in grado di infettare nessuno.

Infatti il nostro Paese, contrariamente alle indicazioni dell’OMS e di quanto avviene in quasi tutti gli Stati d’Europa e del mondo, ha scelto di rimanere ancorato al vecchio criterio del c.d. doppio tampone negativo.

In altri termini in Italia un paziente affetto da COVID-19, sintomatico o no, resta, dal punto di vista medico e da quello giuridico, considerato ufficialmente un vero e proprio malato, qualificato per di più come contagioso finché per due volte consecutive l’analisi del tampone nasofaringeo non dia esito negativo.

Questa doppia negatività, però, può risultare persino dopo mesi: il che rende evidente il peso enorme che una persona è costretta inutilmente a sopportare per una scelta di politica ”sanitaria” completamente sbagliata o, comunque, davvero sproporzionata.

Infatti, in base alla crescente e consolidata evidenza scientifica, il periodo di contagiosità si limita in realtà ai primi giorni:  come sottolinea da diverso tempo il Dott. Paolo Spada, Clinical Professor presso Humanitas University  e grande esperto di “numeri” legati al Covid-19, una prolungata positività all’esame del tampone identifica infatti solo eventuali tracce di materiale genetico virale, non virus integro, attivo, in replicazione, capace cioè di trasmettere l’infezione.

In pratica, più o meno dal momento in cui si manifestano i sintomi, si resta contagiosi per un breve periodo di alcuni giorni, che, per sicurezza, l’OMS ha quantificato in dieci. Superato tale tempo, non si è più contagiosi.

Il problema è che il c.d. doppio tampone, rimanendo a volte positivo assai più a lungo, fornisce un’informazione scientifica che non corrisponde alla contagiosità, ma, sia pur in un numero non grandissimo di casi , può semmai andare a rilevare mere tracce di RNA virale per molte settimane o persino mesi.

Il tampone, cioè, dopo i famosi dieci giorni, non va a rilevare virus attivo in grado di replicarsi e, quindi, di infettare.

Si comprende dunque come sia illogico, immotivato, scientificamente infondato e giuridicamente illegittimo costringere all’isolamento centinaia di persone fino all’esito del secondo tampone negativo.

Questa è la ragione per cui quasi tutto il mondo, tranne ripetiamo l’Italia, ha adottato il criterio clinico dei 10 giorni e ha abbandonato da tempo l’uso del tampone per sancire la guarigione del paziente: i pazienti che hanno sviluppato i sintomi della malattia, dai più lievi ai più pesanti (febbre, tosse, difficoltà respiratorie, etc…) possono interrompere l’isolamento dopo dieci giorni dall’inizio dei sintomi più altri tre senza più sintomi. Gli asintomatici, invece, possono lasciare l’isolamento domiciliare direttamente dieci giorni dopo la diagnosi di positività.

E che dire del sierologico? Siccome gli anticorpi si formano, com’è noto, da una maturazione delle cellule B, e richiedono più di una settimana di tempo, va da sé che il test sierologico non è in grado di fornire indicazioni su una malattia attiva, ma, semmai, confermare un’avvenuta guarigione.

In altri termini, se si è negativi al sierologico è possibile che la malattia sia ancora in corso perché gli anticorpi non sono ancora formati, mentre se si è positivi, vorrebbe dire che il virus è già stato messo fuori gioco. Ragion per cui eseguire un sierologico con lo scopo di individuare i portatori di virus attivo non ha senso.

Vi sarebbe poi la complessa questione legata ai linfociti T, e a tutte le persone che sono venute in contatto con il virus e ne hanno debellato la presenza per reazione immunitaria crociata, e di cui nulla sappiamo, mentre la ricerca scientifica sta cercando di indagare su questo aspetto che parrebbe essere fondamentale.

Certo è che le linee guida dell’OMS in tema di guarigione, oggi basate su evidenzia scientifica ampia e su scala mondiale, prevedono il criterio clinico-temporale e, tale criterio è stato adottato, oltre che dai Paesi europei, anche dagli USA.

Tant’è che di recente il Journal of the American Medical Association ha pubblicato un grafico che consente di afferrare visivamente la questione: la linea rossa indica la contagiosità, mentre quella azzurra la PCR che viene fatta sul tampone. La differenza è abissale, è scientificamente provata, e non può essere taciuta.

Vi sono in gioco la verità, la razionalità, e quindi la vita e la libertà delle persone, che non possono essere costrette ad un estenuante isolamento senza motivo. Con il rischio concreto che, se i criteri non dovessero essere da subito cambiati, la gente nasconda i sintomi proprio per il terrore di rimanere in trappola per mesi durante il prossimo autunno.

Non solo: il mero criterio del “tampone”, scevro da ogni evidenza clinica, non consente di distinguere tra guariti  – e quindi incapaci di infettare –  e malati (asintomatici o non). Si pensi, per comprendere la questione, ai test effettuati in un aereoporto: se il tampone  risulta positivo, come facciamo a sapere se quella persona è ancora nella fase di guarigione, o invece ciò che si palesa alle analisi è solo materiale virale ormai “spento”?

Ecco perché occorre rimettere razionalità ed ordine al centro degli interventi, al fine di tutelare davvero la salute come bene in sé, e non, come spesso si è fatto, identificandola o con la “libertà dal contagio” (rivendicata erroneamente da molti scambiandola per il vero diritto alla salute) o con un bene pubblico, ossia un bene privato dello Stato personalisticamente inteso.

Vogliamo continuare a fare errori? L’Italia vuole continuare ad agire contro l’evidenza e contro la realtà? A pensar male, verrebbe quasi da ipotizzare che questo allungamento dei tempi, in modo da continuare a registrare quali “malati” chiunque sia venuto in contatto con il virus, possa servire interessi che esulano dal campo prettamente epidemiologico e medico. Non sarà che c’entri ancora la famosa “politicizzazione” del Covid-19?

FONTE: https://loccidentale.it/tamponi-e-isolamento-litalia-contro-le-evidenze-scientifiche/

 

 

STORIA

L’ipocrita architetto Albert Speer, ministro degli armamenti del Reich

Luca Leonardo D’Agostini – 6 giugno 2020

Una iattura chiamata Sessantotto

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Riflettendo sul degrado in cui versa la società italiana, mi guardo indietro e dei miei anni attivi come giovincello, giovanotto e poi adulto – per intenderci, quelli tra il 1970 e il 1980, in cui sarei stato nelle condizioni di interagire con la società – quel che rimane di quegli anni, dicevo, è un senso di inutilità.

Un periodo di 10 anni che, per fortuna, su quel che ero e che sono non ha infierito, sia per un’istintiva adesione all’avita tradizione, sia per l’educazione impartitami, sia per la convinzione con la quale ho aderito all’anno di leva trascorso presso la Scuola Militare di Paracadutismo (dalla quale ho iniziato, dalla gavetta, una carriera militare che mi ha marcato per la vita).

Ma quel decennio ha infierito negativamente su molti coetanei che non hanno ancora smaltito quella grave sbornia giovanile che obbligava alla contestazione a priori e a tutti i costi e che adesso alberga nei loro cuori ammantata di chissà quale gloria, quando in realtà è stato solo ciarpame di pensieri nemmeno in libertà, perché erano indotti da megafoni gracchianti e obnubilante LSD, che li induceva a declamare un altro dei tanti slogan idioti: “La fantasia al potere”.

Dal ’68 in poi, nessuna idea che sia stata un minimo originale è scaturita da quei giovanotti così impegnati. Solo slogan privi di contenuto urlati col megafono che hanno scandito le giornate di giovani ubriachi di “rossa primavera”, perennemente incazzati con i propri genitori e con tutto quello che costituiva una parvenza di ordine; adepti di una protesta che vedeva il simbolo di un non meglio precisato riscatto nella P38 (da impugnare come la impugnerebbero i peggiori rapinatori) e nella chiave inglese a mo’ di spranga, oppure in quella spinellata marionetta d’uomo che era John Lennon.

Il brutto è che ora, dopo 50 anni, c’è qualcuno, anche tra chi non ha aderito al ’68, che osa sostenere che, almeno in quegli anni c’era qualcosa di vivo che adesso non c’è. Sì, dico io, di vivo c’era solo la morte delle idee.

Pessimi quegli anni che hanno inghiottito leve di giovani nell’inconsistente bla-bla-bla. Un pezzo di vita che, al posto di essere vissuta rispondendo alle istanze che l’imminente età adulta intimamente iniziava a reclamare, ha aderito ad una protesta fasulla e l’ha reiterata fino a concluderla, dopo una generazione, con una patetica domanda cantata “Ti sei salvato dal fumo delle barricate” (…quasi avessero affrontato chissà quali combattimenti), e con un altrettanto triste e patetico “… o sei entrato in banca pure tu?”. E dove doveva finire quel rivoluzionario di cartapesta, che protestava contro la borghesia e pretendeva di “fare l’Italia come la Cina”? Dove poteva andare a finire quel cialtroncello, se non a fare il travet “con le rate e la seicento, mutuo e televisione, salotto e doppio mento” pur continuando la sua patetica e inutile protesta che tanto lo inorgogliva e ancora l’inorgoglisce?.

Senza saperlo, quel brano di un bardo sessantottardo che recitava: “ti sei salvato dal fumo delle barricate o sei entrato in banca pure tu”, ha riassunto l’inconsistenza di quegli slogan e il fallimento di quei mentori invertiti che tutt’ora sostengono come siano stati “formidabili quegli anni”. Bah.

Quegli anni sono stati un inganno, un lungo inganno. Un inganno che urla vendetta, quello del ’68, perché ha privato dell’autenticità umana una stirpe di giovani che nemmeno l’anno della leva – al quale tutti, anche i più rossi, guardano ora con nostalgia, millantando di essere stati “proletari in divisa”, ma comunque uomini che hanno sopportato il disagio della naja (qualcuno arriva addirittura a millantare di essere stato destinato a un battaglione punitivo… E cosa diavolo sarebbe un battaglione punitivo? Una menzogna come quella della rossa primavera) – è riuscito a liberare la loro mente, così plagiata da una satanica ideologia che aveva impedito loro di diventare uomini adulti e li ha condannati a rimanere bambini tonti.

L’impressione che ne traggo è che quei “vagiti” di ragazzi che si apprestavano a farsi giovanotti e poi adulti, sono rimasti solo dei vagiti prolungati di bambini con dei problemi psicologici. Una generazione perduta, cancellata, che quando è andata bene non è stata in grado di interagire con la società, ma più spesso ha interagito creando i peggiori danni etici, morali, sociali, deontologici, financo fisici (basti pensare alla droga, all’abuso dell’alcool, all’aborto, alla “cultura dello sballo”, etc.) che abbiamo adesso sotto gli occhi. D’altronde una generazione ne figlia un’altra e anche quella di giovani quaquaracquà ha figliato.

Una generazione che si è lasciata impapocchiare da fasulli slogan libertari che non hanno liberato nessuno, anzi, più che mai hanno tolto la libertà anche alla donna, la quale, ipnotizzata da quegli slogan, mica ha preteso diritti diversi da quelli dell’uomo, e magari quello di essere rispettata e protetta per il solo fatto di essere donna e generatrice di vita (salvo poi reclamare una legge ad hoc, il femminicidio, quasi la donna non fosse un essere umano come l’uomo e la categoria di omicidio non la tutelasse a sufficienza).

No, obnubilata dalle sirene della liberazione sessuale, ha voluto gli stessi identici diritti, ottenendo così un sovraccarico di responsabilità materiali e morali, affrancando l’uomo dal dovere di rispettarla e di difenderla, e anche dalla responsabilità dell’atto sessuale. Complimenti, una gran bella liberazione. Al grido di “l’utero è mio e lo gestisco io” hanno offerto la loro vagina alla foia più irresponsabile del maschio, come se la vagina e il pene fossero un posacenere e una sigaretta, assumendosi così la donna, liberamente, anche il compito di ripulire il posacenere dalla cenere e dai mozziconi.

FONTE: https://www.rivistapraesidium.it/2020/09/01/una-iattura-chiamata-sessantotto/

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