RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
20 DICEMBRE 2021
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Una cosa, per essere studiata, deve essere almeno un pò scritta.
DIEGO DE SILVA, Le minime di Malinconico, Einaudi, 2021, Pag. 16
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SOMMARIO
Deep State, il Nemico in casa
Tutto, tranne la nostcoscienza: ci resta solo quella
Lockdown per tutti? Quando potrebbe scattare e quanto durerà: il piano segreto di Draghi
Assemblea dei medici. Quello che è successo veramente (e che vi hanno censurato)
Uscire dall’illusione
SCONTRO TRA MEDICI ALL’ASSEMBLEA DELL’ORDINE – VIDEO
Il nuovo grande gioco è in corso – Con tutti noi “sotto i piedi”
Washington scatena la guerra biologica in Siria
L’espansione indo-pacifica della NATO per affrontare la Cina
Al di là dei simulacri e degli spettri politici
Decostruzione urbana
ANALISI VIBRAZIONALE AVANZATA (AVA): UN ALGORITMO INNOVATIVO PER L’ESECUZIONE DI INTERCETTAZIONI AMBIENTALI
LA POLITICA DELLA LOUISIANA INTESA A RIFORMARE IL CONFINAMENTO SOLITARIO LASCIA ANCORA LE PERSONE IN UN BLOCCO
A TEMPO INDETERMINATO
LA VITA DOPO GUANTANAMO: “NON TI LASCIA”
Edward Bernays: Propaganda e colpo di stato guatemalteco del 1954 sostenuto dagli Stati Uniti
La Fed farà crollare i mercati finanziari globali per favorire il Grande Reset?
Comunicazioni da remoto: esigenze di Privacy e di Pubblica Sicurezza
MALTA RESPINGE ONG TEDESCA IN ITALIA CON 233 CLANDESTINI: VARIANTE AFRICANA
I greci commemorano il massacro del 1973 da parte della giunta sostenuta dagli Stati Uniti
L’impatto sociopolitico ed economico della pandemia
Il nuovo JFK Revisited di Oliver Stone smentisce la storia ufficiale: rivela il coinvolgimento dell’intelligence
statunitense nell’assassinio
IN EVIDENZA
Deep State, il Nemico in casa
Tutto, tranne la nostcoscienza: ci resta solo quella
«La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi», scrisse Karl von Clausewitz nel saggio “Della guerra”. Il conflitto bellico «non è dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi». Questo potrebbe contribuire a spiegare la natura squisitamente politica della guerra in corso, mentre si minacciano gli ultimi cittadini liberi: li si potrebbe braccare, stanandoli “casa per casa”, se ancora si ostinassero a resistere a un ricatto imposto con la più spudorata delle menzogne, quella della fanta-pozione che arginerebbe il fanta-morbo incontenibile. Sotto questo aspetto è persino irrilevante, ormai, l’atteggiamento di chi seguita a discorrere di politica (come se fossimo ancora in tempo di pace), magari calandosi – come fanno tutti i partiti – nelle gustose, amene trame quirinalizie.
Diversi anni fa, oscuramente presagendo un’incombente catastrofe, Giulietto Chiesa scomodava a sua volta la storia, naturalmente a modo suo: avete idea, ripeteva, di cosa dev’esser stato il più impensabile degli eventi antichi, cioè il crollo dell’Impero Romano? Perché si cada rovinosamente in una calamità di tale portata, deve occorrere un mosaico complesso di condizioni. Non che ne manchino più molte, oggi. Basta ascoltare il primo ministro italiano che sciorina numeri a caso, tra gli applausi, riguardo all’ultima terribile “variante” (sempre omettendo di citare le terapie negate, come in una recita sinistramente surreale). L’ipnosi è quasi assoluta, quasi totalitaria. Molti fondamenti-cardine del vecchio mondo, repubblicano, sono praticamente crollati o sono stati svuotati. Un silenzio livido emargina la verità, lasciando sole milioni di persone. La parola tradimento può suonare persino eufemistica, mentre l’economia minuta – nel frattempo – non fa che franare nel caos e nella paura generalizzata.
Leggendo il libro “L’altra Europa”, di Paolo Rumor, si apprende che Paolo di Tarso – considerato “l’inventore” della successiva narrazione cristiana – agiva per conto del network occulto (“La Struttura”) a cui obbediva, ad esempio, anche lo storico giudeo-romano Giuseppe Flavio, che avrebbe contribuito a trasferire nell’Urbe il nuovo “format”, destinato infine a scardinare lo stesso impero dei Cesari. Se Costantino sdoganò ufficialmente quella narrativa, per poi arrivare a imporla fu comunque necessario il successivo, drastico editto di Teodosio: credo obbligatorio, religione di Stato. Durissime sanzioni, nell’anno 380, furono poste sul capo della stragrande maggioranza dei cives: solo il 15% di essi – si calcola, infatti – aveva aderito al monoteismo di San Paolo. Guerra generalizzata contro i cittadini, Grande Reset ante litteram. Guerra ideologica, persecuzioni, esercizio violento del potere. Tutto, oggi come allora, è nelle mani dei decisori. Tutto, tranne la nostra libera coscienza.
FONTE: https://www.libreidee.org/2021/12/tutto-tranne-la-nostra-coscienza-ci-resta-solo-quella/
Lockdown per tutti? Quando potrebbe scattare e quanto durerà: il piano segreto di Draghi
29 Novembre 2021
“Dobbiamo salvare il Natale”. Una frase che ricordiamo bene e che ha riniziato a circolare forte. Così come ha riniziato a circolare forte l’altra parola, quella bruttissima di cui pensavamo di esserci liberati per sempre: lockdown. E invece no, il “governo dei migliori” l’ha rispolverata ed è pronto a rilanciarla. Ma c’è davvero il rischio che l’Italia piombi in un altro lockdown per tutti? Quindi – badate bene – non solo per quei cattivoni dei non vaccinati, ma per tutti, anche per quelli che in queste ore stanno facendo la terza, quarta, quinta o sesta dose. Dovrebbe essere l’ipotesi più remota, ma pare che il governo di Mario Draghi ci stia già pensando.
Lo rivela un retroscena di Affari italiani, secondo cui quanto sta accadendo adesso in altri Paesi d’Europa, come l’Austria, potrebbe presto diventare realtà anche da noi in Italia. Una chiusura generalizzata per tutti, vaccinati e non vaccinati. “La politica, in particolare, si starebbe interrogando su cosa succederà dopo il 15 gennaio, quando scadrà il decreto sul Super green pass. Un provvedimento comunque prorogabile, come detto dal premier in conferenza stampa”.
Le preoccupazioni maggiori circolerebbero in Parlamento, tra i deputati della maggioranza: “L’idea è che, laddove dopo l’Epifania la situazione sia nettamente peggiorata e simile a quella di Germania e Austria, l’esecutivo dovrà adeguarsi adottando misure pesanti. Fonti di governo, comunque, avrebbero escluso l’imposizione della vaccinazione obbligatoria per tutti. Il risultato potrebbe essere solo un enorme caos, soprattutto per quel che riguarda la gestione delle sanzioni. L’unica soluzione, insomma, resta quella del lockdown, che tutti comunque vogliono evitare”. Quanto durerebbe?
“Almeno tre o quattro settimane”, stando a quanto scrive Alberto Maggi su Affari italiani. “Una zona rossa nazionale, quindi, che avrebbe non poche ripercussioni sulle casse di tutte le attività costrette alla chiusura, come bar, ristoranti e negozi, oltre a palestre, piscine, teatri, cinema. In quel caso, però, bisognerebbe capire se si tratti di chiusura totale o limitata alle ore serali e soprattutto se verrà reintrodotto il tanto odiato coprifuoco”.
FONTE: https://www.ilparagone.it/attualita/lockdown-piano-segreto-draghi/
Assemblea dell’Ordine dei medici. Quello che è successo veramente (e che vi hanno censurato)
Agata Iacono – 19 12 2021
Cosa è successo davvero all’assemblea dell’ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Roma? I TG e i media riferiscono scenari da black bloc, da violenti senza mascherine che avrebbero fatto irruzione all’hotel Pineta Palace di Roma costringendo il presidente Magi ad interrompere l’assemblea e chiamare la polizia.
Ma è andata davvero così?
L’associazione di medici Contiamoci, che in questi due anni ha portato avanti le terapie domiciliari, salvando tante vite dal famigerato protocollo Tachipirina e vigile attesa verso la morte, racconta uno scenario totalmente differente.
I medici non hanno “fatto irruzione” semplicemente perché erano membri dell’assemblea e dell’ordine, quindi presenti fin dall’inizio.
L’assemblea doveva approvare vari punti all’ordine del giorno, tra cui il bilancio.
Ma il primo punto (l’approvazione del verbale di aprile) è stato bocciato, con 119 contrari e 83 favorevoli.
A questo punto il presidente dell’ordine ha mutato i microfoni e insieme ai favorevoli è uscito, impedendo il proseguimento dell’assemblea, la discussione sugli altri punti all’ordine del giorno e la stessa approvazione del bilancio.
Un punto all’ordine del giorno prevedeva anche discussione e la votazione su una dichiarazione (una lettera) dei medici di “ContiamoCi!” per chiedere l’abolizione dell’obbligo vaccinale e il rispetto della Costituzione.
I video sono eloquenti.
Nessuna irruzione, nessuna violenza e tutti i medici con le mascherine.
I medici di ContiamoCi hanno ugualmente letto la missiva chiedendo che fosse messa a verbale e inserita agli atti.
La polizia, senza alcuna autorizzazione, ha fatto irruzione con lo stesso impeto richiesto dalla ricerca di Matteo Messina Denaro…
Scrive ContiamoCi! sul suo sito:
Oggi, 19 dicembre 2021
Hotel Pineta Palace – Roma
Assemblea OMCEO
Ordine Provinciale di Roma dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri
Dopo che è stato bocciato il primo punto dell’ordine del giorno con 119 NO e 83 SI non si sono portati a votazione gli altri punti all’ordine del giorno che prevedeva anche la messa ai voti di una lettera dei medici di ContiamoCi! per l’abolizione dell’ obbligo della vaccinazione e il rispetto della Costituzione.
Il presidente Magi, in minoranza ha sciolto immediatamente l’assemblea con una scusa, ha chiamato la polizia e ha fatto spegnere i microfoni, non appena i delegati dell’associazione di Medici di ContiamoCi! ha preso la parola per la lettura di tale comunicato ufficiale.
La lettera a firme congiunte è stata comunque inserita agli atti!
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Ed ecco il testo della lettera:
Roma 19 dicembre 2021
Egregio Sig. Presidente, Egregi Colleghi Tutti,
Siamo qui, oggi in rappresentanza dell’Associazione ContiamoCi!, che annovera migliaia di iscritti tra operatori sanitari e cittadini e che nasce per affermare la tutela dei diritti costituzionalmente garantiti, dal diritto al lavoro a quello sulla libertà di scelta terapeutica e di trasparenza nell’ambito della ricerca scientifica.
L’Associazione ContiamoCi! non fa propaganda anti-vaccinale. Alcuni di noi sono vaccinati volontariamente, mentre altri sono stati costretti a farlo. Tutti, però, si sono interrogati sull’efficacia e sicurezza dei vaccini anti SAR-COV-2, come dovrebbe fare ogni buon medico che agisce secondo scienza e coscienza. Tutti i MEDICI, in questo momento storico, sono chiamati dunque a compiere scelte che comportano sin da ora enormi ricadute a livello sanitario, sociale e politico.
L’Associazione ContiamoCi! vuole rimarcare ad ogni medico che qualunque sperimentazione clinica di vaccini prevede per norma di legge una fase di sorveglianza attiva fino ai 5 anni, soprattutto allorquando vi sia un obbligo vaccinale. Pertanto richiede con forza, all’OMCEO di Roma, e al suo Presidente, che esiga, da AIFA e ISS, organi competenti e deputati alla sorveglianza, di istituire immediatamente la Sorveglianza Attiva, nel rispetto della più rigorosa metodologia scientifica e della normativa vigente.
L’Associazione ContiamoCI! richiede con forza all’OMCEO di Roma e al suo Presidente, di farsi promotori di un dibattito scientifico serio e trasparente, finora assente, sulla frequenza e gravità di fenomeni avversi, spesso non segnalati e sottovalutati, benché riconosciuti anche dall’AIFA.
L’Associazione ContiamoCI! chiede all’OMCEO di Roma, e al suo Presidente, di far rispettare i seguenti articoli del Codice Deontologico:
– art. 20 (rispetto dei diritti della persona)
– art. 30 (conflitto di interesse)
– art. 48 (ricerca biomedica e sperimentazione sull’ uomo), che si ispira all’articolo 1 del Codice di Norimberga che dichiara: “Il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente essenziale … la persona coinvolta dovrebbe avere la capacità legale di dare il consenso … in modo tale da poter esercitare il libero potere di scelta, senza l’intervento di alcun elemento di forza, frode, inganno, costrizione, sopraffazione o altra forma ulteriore di costrizione o coercizione”.
L’Associazione ContiamoCI! chiede all’Ordine dei medici più grande d’Europa, e al suo Presidente, di non farsi complice di obblighi privi di base scientifica e giuridica che stanno minando la credibilità della categoria medica e portando alla fame valenti ed integerrimi professionisti.
L’Associazione ContiamoCI! esige che l’OMCEO di Roma e il suo Presidente, sollecitino il CTS ad accettare il confronto con la Commissione Medico Scientifica indipendente, appoggiata anche dall’Associazione, che opera sulla base dei principi basilari della EBM, ignorati in modo deplorevole dal CTS.
L’Associazione ContiamoCI! chiede che L’OMCEO di Roma e il suo Presidente si facciano promotori dell’abolizione dell’obbligo vaccinale in favore della libertà di cura.
L’Associazione ContiamoCI! chiede all’OMCEO di Roma e al suo Presidente, che si metta fine alla vergognosa procedura di segnalazione, sospensione e radiazione di medici di provata esperienza, professionisti liberi che operano secondo scienza e coscienza in osservanza del Giuramento d’Ippocrate ma che si vuole ridurre a meri esecutori di direttive governative infondate dal punto di vista scientifico e giuridico a maggior ragione per quanto riguarda la popolazione pediatrica e dell’età evolutiva.
Altresì risulta ormai acclarato che sia soggetti vaccinati che non vaccinati possano ugualmente contagiare venendo così a cadere il presupposto scientifico su cui poggia l’impianto normativo alla base delle politiche sanitarie del Governo a partire dalla formulazione del DL 44/21.
COME ASSOCIAZIONE CONTIAMOCI! RIVENDICHIAMO pertanto l’AUTONOMIA DECISIONALE DELL’ORDINE DEI MEDICI più grande d’Europa, che non può limitarsi ad assecondare supinamente le decisioni governative ma che, al contrario, deve garantire gli interessi della cittadinanza e dei propri iscritti dei quali ha il compito di tutelare i valori etici e professionali.
Per tutti questi motivi mettiamo a votazione quanto segue:
L’assemblea degli iscritti dell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Roma chiede al Parlamento di non convertire e di far decadere gli articoli 1 e 2 del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172, e di abrogare gli articoli 4 e 4 bis del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, e chiede altresì al signor ministro della Salute on. Roberto Speranza di dar seguito, senza indugio, alla richiesta di confronto avanzata da docenti e ricercatori il 25 novembre 2021 e ribadita in Commissione affari costituzionali del Senato il 7 dicembre 2021.
In rappresentanza dei Medici Romani dell’Associazione ContiamoCi!
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Uscire dall’illusione
Pubblicato il 19 dicembre 2021 – Andrea Zhok
Nel valutare la presente crisi credo sia giunto il momento di abbandonare l’approfondimento degli aspetti sanitari. Ciò che è necessario sapere per farsi un’idea è oramai disponibile per chiunque voglia ricercarlo, al di là della fabbrica di menzogne rappresentata dall’informazione mainstream. Esistono gruppi e siti che hanno pubblicato documentazione ufficiale e studi scientifici più che sufficienti per districare i punti più controversi. Chi non abbia ritenuto di cercarli e di riflettervi sopra ha fatto una scelta politica, anche se crede di essersi “affidato alla scienza”. Chi di fronte alle infinite giravolte e contraddizioni di questi mesi, ha deciso comunque di fidarsi degli esperti filogovernativi promossi da TV e giornali, ha preso una decisione di carattere politico, non scientifico: ha scelto che delegare il proprio giudizio al potere costituito sia di per sé una cosa buona, raccomandabile.
Cercare di convincere queste persone sul piano dell’argomentazione scientifica è inutile, perché è all’opera un bias cognitivo che assume la voce ufficiale come comunque maggiormente accreditata, quale che sia il contenuto. E questo, di nuovo, è qualcosa che non c’entra nulla con la scienza o con la ragione, ma con una preliminare delega all’autorità costituita.
È perciò giunto il momento di uscire dall’illusione che ci troviamo in una condizione di “vincolo sanitario”, perché la centralità del problema sanitario è oramai manifestamente solo un pretesto e una copertura.
Chi ha retto l’attuale narrativa lo ha fatto assumendo che la situazione sanitaria giustificava, anzi obbligava, certe soluzioni politiche. Ragionando in questi termini si è finito per immaginare che la politica qui fosse assente, e che tra la descrizione dei “fatti sanitari” e le scelte politiche non ci fosse nessun passaggio rilevante: i primi dettavano le seconde, senza alternative possibili.
Il primo passo fatto in questa direzione – il “peccato originale” per così dire – è stato quello di giustificare il paternalismo autoritario implicito nella proposta iniziale della certificazione verde. Si è accettata senza colpo ferire l’idea che per ottenere un certo risultato come copertura vaccinale (risultato indefinito, vago e mutevole) l’unica strada fosse quella del ricatto, della pressione punitiva e non della spiegazione o della persuasione. Nonostante la risposta spontanea della popolazione all’opportunità di vaccinarsi fosse stata ampia nella prima metà dell’anno, si è deciso che era necessario abbandonare la persuasione e passare alla coazione. Nessuno si è preso la briga di considerare la possibilità di convincere con ragioni e argomenti chi fosse dubbioso. Si è data per scontata la visione elitista e antipopolare – che i media alimentano e le istituzioni sottoscrivono (si veda l’ultimo rapporto Censis) – per cui la gente sarebbe “irredimibilmente irrazionale”, “irrecuperabile al buon senso” e che per indurla a fare la “cosa giusta” bisognasse sottoporla ad un ricatto.
Così, le stesse istituzioni politiche che per anni hanno demolito la pubblica istruzione, e le stesse televisioni che per anni hanno addormentato le coscienze, si sono sentite in obbligo di concludere che il gregge umano poteva essere condotto alla “cosa giusta” solo con spintoni e intimidazioni.
È un’ironia beffarda che quest’opera coercitiva sia stata promossa nel nome della scienza, laddove la “scienza” sarebbe rappresentata non dal confronto con altri scienziati dissenzienti, ma dal principio d’autorità, di cui sono stati investiti personaggi politicamente lottizzati, o in clamoroso conflitto di interesse. La “scienza” cui ci si richiama è quella cosa che usa l’autorità per mettere a tacere le voci altrui, che rifiuta il confronto, e che sostiene la censura e la coercizione (un po’ come se Galileo manovrasse i supplizi della Santa Inquisizione).
Gli “scienziati” governativi hanno avuto semplicemente il compito di rassicurare il gregge e spingere per l’implementazione di un progetto predeciso a livello europeo, e che implicava da un lato la vaccinazione di massa come unica arma risolutiva, e dall’altro nessun rafforzamento significativo del servizio sanitario nazionale. Sul piano argomentativo e critico non si è mai davvero scesi, semplicemente perché gli argomenti scientifici a favore di quella scelta unilaterale non ci sono mai stati. L’unica vera certezza era che non si sapeva pressoché nulla né dell’efficacia nel tempo, né della sicurezza di quei preparati. E che perciò non si poteva né doveva discutere sul piano propriamente scientifico con i critici, ma li si doveva semplicemente travolgere con la pressione propagandistica.
E così è stato.
Questo è il quadro iniziale, quadro eminentemente politico, che è stato accettato e glorificato da milioni di “sinceri democratici”.
Così, si è messo in campo il ricatto della certificazione verde con l’intento ufficiale, di “mettere in sicurezza” gli ambienti (lavoro, svago, sport, trasporti, insegnamento, ecc.) e con il secondo intento (dichiarato, anche se spurio dal punto di vista giustificativo), di spingere i diffidenti a vaccinarsi.
Quanto alla pressione a vaccinarsi, il ricatto si è esercitato in modo efficace nei confronti di quei gruppi che non c’era alcun interesse sanitario a far vaccinare, ovvero le fasce più giovani. E in effetti era impossibile ricattare con le minacce messe in campo dal Green Pass le fasce più anziane, prevalentemente fuori dal circuito del lavoro, le uniche per cui la raccomandazione a vaccinarsi era ben motivata.
Un primo brillante risultato è stato dunque di spingere a vaccinarsi adolescenti (ed ora bambini) – nonostante il profilo di scarsa sicurezza dei preparati attualmente in uso – senza riuscire, se non marginalmente, a smuovere le fasce più anziane – irrigidite nei propri dubbi dal comportamento pressorio del governo.
Quanto alla giustificazione ufficiale, di “mettere in sicurezza” gli ambienti, chiunque si fosse informato sapeva dall’inizio che si trattava di un’operazione impossibile, perché non avevamo a disposizione prodotti immunizzanti rispetto al contagio. Ma per vendere la propria propaganda il governo, le istituzioni, i media e gli “esperti” hanno dovuto spacciare per mesi la menzogna che i vaccinati non contagiavano, per passare infine alla versione morbida, e parimenti falsa, che “contagiavano un pochino, ma niente di che”.
Questa menzogna era necessaria per giustificare l’idea che tra vaccinati e non si potesse tracciare una chiara separazione in termini di pericolosità per gli altri. Intorno a questa separazione si gioca infatti tutta la costruzione giustificativa del GP e tutta la sua retorica in termini sociali. L’aver alimentato questa tesi ha prodotto nei vaccinati una falsa sicurezza, che unita alla maggiore libertà di movimento, ha fatto del Green Pass a tutti gli effetti una licenza di contagio. E questo, sempre per la ragione di spingere alle inoculazioni, si è unito alla creazione di ostacoli verso il ricorso ai controlli attraverso i tamponi.
In tutto questo contesto, l’univocità dello sforzo concentrato sulla sola inoculazione vaccinale ha lasciato sguarnita la componente terapeutica, sia relativa al Covid, sia relativa ad altre patologie (spesso assai più gravi). Gli ospedali, che andavano in grave affanno in era pre-Covid durante i picchi influenzali, sono in grave affanno anche oggi. La lentezza della macchina sanitaria fa sì che spesso i pazienti vengano ospedalizzati prima di riuscire ad avere una conferma della propria positività. (E purtroppo ciò accade in sempre maggior misura anche per soggetti vaccinati).
In sintesi, sul piano sanitario la certificazione verde ha:
1) spinto a vaccinarsi i gruppi più giovani e ricattabili, irrigidendo invece nella diffidenza i gruppi più anziani e meno ricattabili;
2) creato le condizioni per una circolazione accresciuta del virus, allentando le cautele tra i soggetti “certificati” e riducendo l’accessibilità generale ai test (tamponi).
3) sospeso l’attenzione al servizio sanitario nel suo complesso, e alla capacità di intervento terapeutico precoce nello specifico.
Sul piano sociale il disastro è, se possibile, assai superiore. La certificazione verde ha infatti:
1) creato una davastante spaccatura sociale tra presunti “buoni” e presunti “reprobi”, “altruisti” ed “egoisti”, spaccatura del tutto immotivata sul piano scientifico, ma funzionale all’obiettivo di implementare una politica sanitaria predecisa.
2) sospeso libertà e diritti primari in una parte della popolazione, istituendo una sorta di cittadinanza di serie B;
3) Introdotto un micidiale precedente nella storia giuridica del paese, per cui il cittadino ha ora l’onere della prova di dimostrare di poter accedere ai diritti comuni.
Fin qui arriva l’analisi teorica, l’unica che ci compete.
Ora, in quanto potere autonomo come da dettato costituzionale, da qui in avanti credo dovrebbe essere compito della magistratura.
FONTE: https://sfero.me/article/uscire-illusione
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
SCONTRO TRA MEDICI ALL’ASSEMBLEA DELL’ORDINE – VIDEO
Probabilmente il caso dei medici è uno di quei pochi casi in cui l’obbligo vaccinale può essere comprensibile, visto che lavorano a contatto con i malati. E’ un caso davvero particolare.
Non si capisce perché si continuino con queste iniziative in presenza nel pieno di una pandemia.
FONTE: https://voxnews.info/2021/12/19/scontro-tra-medici-allassemblea-dellordine-video/
BELPAESE DA SALVARE
SCONTRO TRA MEDICI ALL’ASSEMBLEA DELL’ORDINE – VIDEO
«A questo punto, considero realistico che si possa verificare lo scenario peggiore: e cioè che l’attuale “stato d’assedio” si protragga per tutto il 2022, visto che l’élite di Davos punta essenzialmente sull’Europa, dove può contare su governi “amici” per condurre a termine i suoi piani». Previsione pessimistica firmata da Matt Martini, co-autore con Nicola Bizzi del bestseller “Operazione Corona”. Lo stesso Super Green Pass non lascerebbe molte speranze: «Andranno avanti per questa strada e per molti mesi: tutto sembra lasciarlo presagire». Nella trasmissione “L’Orizzonte degli Eventi”, condotta insieme a Tom Bosco e allo stesso Bizzi, Martini insiste: «E’ evidente che sono caduti dei diaframmi, che fino a ieri tenevano in piedi la possibilità di un progressivo abbandono della narrazione pandemica: qualcosa è cambiato, a quanto pare, vista l’improvvisa accelerazione degli eventi». Meno disperante l’analisi di Bizzi, secondo cui sarebbe ormai imminente l’approvazione, da parte dell’Ema, dei farmaci monoclonali: cosa che farebbe decadere l’attuale campagna “vaccinale”, basata su farmaci ancora formalmente “sperimentali” fino a tutto il 2023, quindi scartabili non appena emergesse un’alternativa terapeutica ufficiale.
Beninteso, Bizzi non risparmia critiche feroci all’establishment nazionale. «Ai miei occhi – scandisce lo storico, editore di Aurora Boreale – lo Stato italiano ha perso ogni legittimità: è ormai in guerra contro una parte consistente dei propri cittadini, in spregio a qualsiasi diritto costituzionale, a qualsiasi legge, a qualsiasi normativa civile». Rincara la dose Bizzi: «Li considero criminali: chi segrega milioni di cittadini in maniera nazista, distopico-orwelliana, non merita più alcuna legittimazione». Un appello ai cittadini: «Quand’è che vi deciderete ad aprire gli occhi? Vi stanno prendendo il giro da due anni, ormai». Lo stesso Bizzi, all’inizio della scorsa primavera, aveva anticipato una previsione: in base a un accordo riservato, si sarebbe verificata una graduale de-escalation dell’emergenza a partire da metà aprile. Evento puntualmente confermato dagli allentamenti attuati a cominciare dalla Gran Bretagna. «Poi evidentemente l’accordo si è rotto, qualcuno non è stato ai patti». Possibile motivo? «Al terrore del Covid non sono riusciti a sostituire in modo altrettanto efficace l’altro terrore emergenziale, quello climatico».
Per Bizzi, infatti, siamo ai “tempi supplementari” della narrazione-1. Ribadisce l’analista: «Tutto sarebbe dovuto finire il 31 dicembre 2021. E il piano era stato svelato con largo anticipo agli ambienti della politica che conta, cioè ai segretari dei partiti». Insieme a loro, aggiunge Bizzi, erano stati informati «i dirigenti dei sindacati e i direttori dei grandi media, ma anche i responsabili delle grosse catene di supermercati, i dirigenti delle Poste, i vertici di Confindustria, Confcommercio e Confesercenti». Tutti “sapevano” che l’emergenza “pandemica” sarebbe stata sgonfiata, gradualmente, nei mesi scorsi. «A loro, fin dall’inizio, avevano spiegato che tutta questa pagliacciata, in Italia, sarebbe dovuta finire entro quest’anno. Già da settembre – avevano detto – le mascherine sarebbero state eliminate anche dai luoghi al chiuso, mentre la campagna “vaccinale” si sarebbe esaurita già entro il mese di agosto». Non è andata così, come s’è visto, se siamo davvero arrivati ai “tempi supplementari” della storia politico-mediatica inaugurata all’inizio del 2020 dal primissimo lockdown, quello di Wuhan.
«Se siamo ancora nei guai – dice Bizzi – è perché non riescono a sostituire, in maniera soft, la narrazione-1 (il Covid) con la narrazione-2, cioè l’emergenza climatico-ambientale. E sono nel panico: perché c’è una buona metà del mondo che si sta rifiutando di innescare un’emergenza permanente motivata da ragioni climatico-ambientali». Verissimo: vi si oppongono larga parte degli Stati americani, senza contare grandi potenze come l’India, il Brasile e tanti altri player mondiali, inclusa la Russia. «I gestori dell’emergenza sono con le spalle al muro», aggiunge Bizzi: «Per quanto mi riguarda, hanno già perso. E infatti, per continuare la narrazione-1, hanno fatto pressioni stratosferiche per rimandare all’infinito – da settembre a ottobre, poi da ottobre a novembre, e oltre – l’uscita delle terapie basate sugli anticorpi monoclonali. Farmaci finora approvati solo dalla Gran Bretagna e dalla Svizzera, che però sono fuori dall’Ue». Ma attenzione: «Se un singolo paese dell’Unione Europea – uno solo – li approvasse, costringerebbe tutti i paesi Ue ad archiviare definitivamente la campagna sperimentale in corso», quella basata sui “non-vaccini” genici.
«Lo sanno molto bene, ed è per questo che sono andati avanti con i “tempi supplementari”. Ma non potranno spingersi oltre l’inizio del 2022 – sostiene sempre Bizzi – perché l’Ema ormai è prossima all’approvazione di quei farmaci, nell’area Ue. E Stati come la Germania e la Spagna (probabilmente anche la Polonia) sono in dirittura d’arrivo per l’approvazione. La stessa Francia, come anche la Germania, ne sta già acquistando enormi quantitativi». Per contro, Matt Martini si sforza di mettere a fuoco lo scenario peggiore: quello che, per ora, si sta manifestando in tutta la sua devastante virulenza. Sta infatti ripartendo – in quasi tutta l’Europa, in particolare l’Eurozona – il vecchio refrain del 2020 (quello dei lockdown) con in più le imposizioni “vaccinali” cui viene condizionata la residua possibilità di circolazione delle persone. Esistono eccezioni importanti come la Spagna e la Danimarca, oltre alla Svezia, ma il trend sembra preoccupante: e allinea anche paesi come Israele e Sudafrica.
Dell’Italia, sottoposta alla Premiata Macelleria Draghi, non è nemmeno il caso di parlare. «A proposito: se si fosse creduto convintamente nella possibilità del referendum per abrogare il Green Pass, per il quale andava presentato mezzo milione di firme entro il 30 ottobre, non credo che oggi ci ritroveremmo in una situazione così buia». Secondo Martini, «il governo non avrebbe osato premere sull’acceleratore». Se lo ha fatto – è la tesi – è anche perché non è stato fronteggiato, sul piano politico, da una massa visibile di cittadini. Cosa aspettarsi per l’immediato futuro? Niente di buono, purtroppo, secondo la previsione più pessimistica. «Come da copione, ora il mainstream racconta che le “varianti”, in sostanza, “bucano” i vaccini attualmente disponibili. Il primo a lasciar capire come sarebbe potuta andare a finire, questa storia, è stato Bill Gates: disse che, per chiudere il capitolo Covid, avremmo avuto bisogno di “vaccini di nuova generazione”. Non mi stupirei se fossero in arrivo: vorrebbe dire tornare al piano iniziale della gestione “pandemica”, quello che allarma chi teme che l’operazione comprenda anche il proposito di “depopolare” parte del pianeta».
FONTE: https://www.libreidee.org/2021/11/bizzi-e-martini-litalia-e-in-trappola-come-ne-usciremo/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Il nuovo grande gioco è in corso – Con tutti noi “sotto i piedi”
17.12.2021 Autore: Phil Butler
Le élite occidentali hanno finalmente spinto Cina e Russia troppo oltre. Una rete commerciale indipendente tanto attesa e valute alternative andranno sicuramente avanti mentre Washington spingerà la NATO più a fondo nell’Eurasia. I presidenti Xi Jinping e Vladimir Putin hanno ora deciso di accelerare i tentativi di creare un sistema che non possa essere influenzato da “terze parti”.
Mentre centinaia di media aziendali occidentali fanno propaganda sulle reali intenzioni della Russia, sulla situazione nell’Europa orientale e sul potenziale per sanzioni contro la Russia, la realtà di un mondo più polarizzato incombe. La globalizzazione è stata comunque smascherata dal COVID-19 come un errore, quindi sembra che le linee di demarcazione finali a venire siano una progressione naturale.
Da mesi ormai una narrativa del fronte di guerra è emessa dagli Stati Uniti e dagli alleati sulle “linee rosse” che la Russia ha messo in atto riguardo alla marcia senza fine dell’alleanza militare della NATO verso Mosca. Ora, tutta l’Eurasia è minacciata mentre le grandi potenze si scontrano nel gioco di strategia definitivo. I sostenitori del presidente americano Joe Biden gli hanno dato il “via libera” per forzare la mano della Russia in Ucraina. Promettendo sanzioni massicce, l’amministrazione Biden ha stabilito una rotta che era stata sicuramente pianificata anni fa.
D’altra parte, i presidenti Xi Jinping e Vladimir Putin hanno sicuramente anticipato lo scontro in arrivo. Da alcuni anni si sono avvicinati sempre di più alla fortificazione del territorio finanziario e commerciale dell’Eurasia, e ora rimane solo una grande domanda. Con quale parte decideranno di allearsi le terre di confine?
Se la prossima mossa dell’ordine liberale è tentare la determinazione della Russia nell’Europa orientale, i russi saranno costretti ad attutire i loro confini. Una volta che ciò accadrà, Biden e i suoi contemporanei in Europa dovranno fare la loro mossa. Una volta iniziata la nuova Guerra Fredda, i paesi di confine come Grecia, Turchia, Giappone, i giocatori del Medio Oriente ora dominati dagli israeliani, e in particolare il sud-est asiatico, saranno in una situazione difficile da scegliere. Inoltre, tutta l’Africa e l’America Latina saranno in palio per ovvie ragioni. Mentre l’influenza degli Stati Uniti e il potere del dollaro continuano a prevalere, i tentativi di globalizzare l’economia mondiale hanno creato una disperata interdipendenza. Siamo nel bel mezzo di un nuovo “Grande Gioco” descritto da Ariel Cohen nel 2006 nel suo rapporto per la Heritage Foundation ( poi rimosso) “Il nuovo “grande gioco”: la politica petrolifera nel Caucaso e nell’Asia centrale:
“Il controllo sulle risorse energetiche [dell’ex Unione Sovietica] e sulle rotte di esportazione dall’entroterra eurasiatico sta rapidamente diventando una delle questioni centrali nella politica del dopo Guerra Fredda”.
In questa versione del gioco della conquista del mondo, come minimo, possiamo aspettarci che ogni mercato del pianeta crolli se Xi Jinping e Vladimir Putin finiscono costretti a questo stallo. Che il conflitto alle frontiere della Russia si espanda o meno, il mondo dovrà affrontare un’età buia economica di durata sconosciuta. Sicuramente Cina e Russia stanno valutando questa eventualità. È interessante notare che la loro regione del mondo sarà preparata per tempi difficili meglio dell’America o dei nord europei. E questo aspetto geo/sociale potrebbe essere quello che fa pendere gli equilibri in tutto l’ex blocco orientale. La democrazia, dopo tutto, non ha esattamente trasformato ogni rumeno o bulgaro in un sognatore americano della classe media.
Sulla situazione della NATO con l’Ucraina, il presidente Xi Jinping ha concordato in una videoconferenza con il suo omologo russo Vladimir Putin che la NATO garantisca che non si espanderà in Ucraina né collocherà truppe e armi nel paese. Dopo l’incontro, l’agenzia di stampa statale cinese Xinhua ha riferito che il presidente cinese ha sottolineato la necessità per Mosca e Pechino di “salvaguardare” i loro interessi di sicurezza. In altre parole, le linee di battaglia sono tracciate economicamente e militarmente. C’è un vecchio detto nel profondo sud dell’America, da dove vengo. “Puoi inseguirmi fino a quando non sarò a casa, dopodiché non avrò nessun posto dove correre.” La NATO e gli Stati Uniti sono stati su una spinta continua dalla seconda guerra mondiale, e ancora di più dopo il crollo dell’Unione Sovietica. I think tank di Washington chiamano la spinta una “ricerca per espandere la democrazia, ma ormai tutti sanno che è una ricerca capitalistica aziendale. L’America ei suoi fornitori di petrolio sono finiti. Il supercapitalismo ha prosciugato il mondo e le terre di confine trattengono ciò che resta. Il New York Post ha citato il presidente Xi Jinping dicendo:
“Attualmente, alcune forze internazionali con il pretesto di ‘democrazia’ e ‘diritti umani’ stanno interferendo negli affari interni di Cina e Russia e calpestano brutalmente il diritto internazionale e le norme riconosciute delle relazioni internazionali”.
La Russia, compartimentata dall’occidente da prima di Napoleone, ha alzato la testa una volta che Putin ha preso il comando, energizzata dalla richiesta delle sue immense risorse naturali. E questo non faceva parte del grande piano. Una situazione simile ha elevato la Cina al posto che le spetta nella comunità economica mondiale. L’avidità delle società occidentali ha messo il paese comunista nel circuito commerciale, ma sembra che nessuno che detenesse azioni Walmart di Apple abbia considerato cosa sarebbe successo quando i cinesi poveri sarebbero emersi come la più grande classe media del mondo.
“In Russia, la Gran Bretagna, almeno per un secolo, era stata considerata dalla massa del popolo come l’unica Potenza sempre in primo piano nel respingere ad ogni congiuntura le aspirazioni nazionali e nel bloccare il naturale sviluppo ed espansione della Russia”. – Ministro degli esteri russo Vladimir Nikolaevich Lamsdorff, 1902
Infine, il Cremlino ha presentato bozze di documenti che delineano gli accordi di sicurezza che ritiene debbano essere attuati con gli Stati Uniti e i suoi alleati della NATO in mezzo a tensioni a spirale. Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha detto ai giornalisti che un alto rappresentante russo era pronto a partire immediatamente per i colloqui in un paese neutrale sulla proposta. Ma sembra che lo stallo non possa essere rotto a meno che non accada qualcosa di imprevisto.
Questa sorpresa potrebbe entrare in gioco se un vertice di Russia, India e Cina si svolgesse presto. Se l’India dovesse trascinare il padre nell’orbita dei suoi vicini, la situazione dell’America diventerebbe disastrosa. La posta in gioco da sola fa sì che qualsiasi persona sana di mente si chieda perché qualcuno dovrebbe sognare di espandere la NATO ora. E questo potrebbe essere il punto. Questi tempi folli ci hanno insegnato una cosa, non dipendono da nient’altro che da più momenti WTF.
Phil Butler, è un investigatore e analista politico, politologo ed esperto dell’Europa dell’Est, è autore del recente bestseller “ Putin’s Praetorians ” e di altri libri. Scrive in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook” .
FONTE: https://journal-neo.org/2021/12/17/the-new-great-game-is-afoot-with-all-of-us-underfoot/
Washington scatena la guerra biologica in Siria
Vladimir Danilov New Eastern Outlook 26.11.2021
I crimini statunitensi in Siria sono già stati ripetutamente riportati dai media occidentali, dall’agenzia SANA, nonché da varie organizzazioni internazionali. Gli attacchi aerei sulle città siriane, effettuati da Stati Uniti e coalizione da loro guidata in violazione del diritto internazionale e con conseguenze disastrose per i civili, sono stati più volte portati all’attenzione della comunità internazionale da Amnesty International. Uno dei suoi rapporti del 2018 affermava esplicitamente che l’attacco fu effettuato alla cieca e senza le necessarie precauzioni, provocando numerose vittime civili nella città. Tuttavia, anche con la recente cessazione da parte degli Stati Uniti di attacchi militari simili che uccisero centinaia di civili in Siria, i crimini di Washington nel Paese non sono diminuiti. Agendo come palese forza di occupazione, le forze statunitensi presenti illegalmente sul suolo siriano continuano a saccheggiare la Siria, rimuovendo idrocarburi dalle province nordorientali ricche di petrolio causando perdite economiche allo Stato siriano e al suo popolo.
Inoltre, SANA già ripetutamente riferiva al mondo di camion militari che trasportano grano dalla Siria all’Iraq attraverso il valico di frontiera di Samalqa sul confine iracheno-siriano. Un’attenzione particolare fu richiamata sul fatto che le truppe statunitensi intrapresero tali azioni per molto tempo sullo sfondo di una crisi alimentare ampia causata dalla guerra nella Repubblica araba siriana. Sulla la colpevolezza degli Stati Uniti nella catastrofe umanitaria in Siria, SANA forniva informazioni complete sull’estrazione da parte dell’esercito statunitense dal territorio siriano occupato all’inizio del 2021 di 38 camion con grano siriano rubato, e poi altri 18 dai silos del grano nel vicino Iraq.
Nel frattempo, come riportato da SANA il 23 novembre, il Ministero dell’Agricoltura e Riforma agraria rilevava pericolosi parassiti nei semi di grano forniti dagli Stati Uniti come “aiuti umanitari” dall’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (USAID, organizzazione vietata in Russia). Le autorità siriane esaminarono campioni di quei semi di granturco consegnati dall’USAID alle fattorie vicino Qamishli, sotto il controllo di Stati Uniti e loro alleati, dopo di che un funzionario siriano, Said Hajji affermò che il Ministero dell’Sgricoltura e della riforma agraria nella provincia di Hasaqah inviò campioni di semi di grano forniti da USAID ai laboratori del Ministero dell’Agricoltura, che riscontrarono che non erano adatti alla coltivazione. I semi contengono un gran numero di vermi parassiti nematodi, arrivando al 40%. Rappresenta un pericolo significativo per l’agricoltura della regione, principalmente perché i suoi effetti causano molti danni peggiorando nel tempo. Il funzionario avvertì gli agricoltori di non piantare ma distruggere tali semi, i cui effetti distruttivi sono i evidenti da anni. L’Unione degli Agricoltori di al-Hasaqah aveva precedentemente esortato gli agricoltori a non coltivare questi semi poiché non adatti all’agricoltura e contenenti parassiti agricoli. Tale invio di semi di grano da parte dell’USAID a Damasco non è altro che un tentativo di compiere un attacco biologico alla Siria, già colpita dalle operazioni militari statunitensi.
L’ex-funzionario dell’intelligence statunitense Edward Snowden aveva affermato in un videomessaggio che gli Stati Uniti avvelenano da tempo i cittadini di Paesi oppositori con armi biologiche. In particolare, notò che oltre l’80% di prodotti, merci, fertilizzanti e medicinali importati dagli Stati Uniti in Russia, ad esempio, rappresenta un pericolo per la popolazione. Secondo Snowden, tutti i prodotti che provengono dagli Stati Uniti sono una bomba a orologeria, con un tipo speciale di parassita: “C’è da tempo una ricerca su larga scala negli USA sugli effetti devastanti dei parassiti sul corpo umano. I soggetti sono infettati da forme appositamente allevate di elminti. Rilevarne la presenza nel corpo è quasi impossibile. Questo è il biomateriale più pericoloso, il cui scopo principale è letteralmente divorare e distruggere le persone dall’interno!” Queste sono micro-specie speciali. Una volta nel corpo umano, migrano nel corpo. Spesso l’accumulo di parassiti in un particolare organo umano viene rilevato solo dopo l’autopsia. L’ambiente migliore in cui vivere, riprodursi e funzionare è il fegato umano, il tessuto muscolare, i bulbi oculari e, naturalmente, il cervello, che i parassiti raggiungono entro 10-12 anni. Questo è un grado estremo di infezione da cui una persona non potrà mai più riprendersi. La distruzione del corpo avviene lentamente e una persona non ha nemmeno il tempo di sentirla. La mortalità si verifica in 9 casi su 10.
Come ha affermato Snowden, “È inutile combatterlo. Il meccanismo è già in atto. Gli USA comprendono il fallimento delle loro azioni nell’arena politica e sono pronti a usare qualsiasi metodo per mettere in ginocchio i Paesi avversari, distruggerli dall’interno nel senso letterale!” Gli Stati Uniti sono l’unico Paese al mondo che blocca ancora in modo aggressivo la creazione di un meccanismo per monitorare l’attuazione della Convenzione del 1972 sulla proibizione dello sviluppo, produzione e stoccaggio di armi batteriologiche (biologiche) e tossiche e sulla loro distruzione a livello ufficiale e non ufficiale.
Secondo una dichiarazione della Coalizione internazionale per continuare la lotta e lanciare il nuovo movimento internazionale per vietare sviluppo e proliferazione delle armi biologiche, il Pentagono fu costretto ad ammettere nel 2000 che i programmi segreti del Progetto 112 avevano testato armi biologiche in Egitto, Liberia, Corea del Sud e Giappone. Anche Porto Rico e Hawaii furono siti dei test. Successivamente, l’esercito nordamericano ampliò il lavoro su modifica, produzione e test di nuovi tipi di malattie mortali, stabilendo più di 1500 laboratori biologici segreti nel mondo sotto il controllo del Pentagono. Malattie pericolose modificate in tali laboratori sono già utilizzate per minare l’agricoltura e le popolazioni di Stati ostili alle politiche di Washington, in particolare Russia, Cina e Iran. E ora contro la Siria, come dimostra l’ultimo incidente coll’invio di semi nocivi di granturco dall’USAID, il cui collegamento con la CIA fu più volte confermato dai media occidentali.
Vladimir Danilov, osservatore politico, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook”.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
FONTE: http://aurorasito.altervista.org/?p=21089
L’espansione indo-pacifica della NATO per affrontare la Cina
13.12.2021 Autore: Salman Rafi Sheikh
La più recente decisione degli Stati Uniti di fare un “boicottaggio diplomatico” delle Olimpiadi invernali di Pechino ha causato un nuovo minimo nelle relazioni bilaterali USA-Cina. La decisione di boicottare ha stabilito con fermezza il drastico fallimento del vertice USA-Cina che Biden aveva convocato solo di recente per risolvere alcune delle questioni in sospeso che devono affrontare i loro legami bilaterali dall’inizio della “guerra commerciale” degli Stati Uniti contro la Cina nel 2016 -17. Ora che Washington sta boicottando Pechino, resta poco da dire che la traiettoria in avanti dei legami Washington-Pechino sia la lotta piuttosto che la cooperazione o la coesistenza di superpotenze. Allo stato attuale, l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) guidata dagli Stati Uniti si sta preparando ugualmente a fare la propria parte per affrontare la Cina e prevenire la sua rapida espansione globale, sebbene permangano dubbi sulla sua effettiva capacità di lanciare una sfida efficace in considerazione sia della riluttanza dell’UE ad affrontare la Cina attraverso un quadro simile alla Guerra Fredda, sia del fatto che la NATO non ha una presenza territoriale nell’attuale teatro della lotta tra Stati Uniti e Cina, ovvero l’Indo -Regione del Pacifico. Tuttavia, la NATO rimane un alleato chiave degli Stati Uniti per costruire una coalizione globale contro la Cina.
Articolando la visione globale della NATO e le sue prospettive verso il 2030 e oltre, il 30 novembre il suo segretario generale Jens Stoltenberg ha dichiarato che la Cina rappresenta una “minaccia alla sicurezza” per la NATO in tutto il mondo, perché la Cina “avrà presto la più grande economia del mondo. Hanno già il secondo più grande budget per la difesa. Hanno la marina più grande. Stanno investendo pesantemente in nuove e moderne capacità militari, inclusi veicoli plananti ipersonici, ampliando significativamente il loro arsenale di missili balistici intercontinentali. E, naturalmente, questo è un problema globale: può raggiungere tutto il territorio della NATO”.
Sebbene la Cina non abbia mai posto alcuna minaccia militare diretta alla NATO o all’UE, l’espressione sfacciata della NATO delle proprie paure nei confronti della Cina ha una certa geopolitica collegata ad essa. Proiettando eccessivamente la Cina come una “minaccia alla sicurezza globale”, la NATO, in alleanza con gli Stati Uniti, sta cercando di ridefinire la sua rilevanza in un ambiente globale in rapida evoluzione da un ordine unilaterale a una configurazione multilaterale. All’interno del mutevole ordine mondiale, la NATO sta attivamente cercando di espandere la sua capacità militare oltre le sue tradizionali terre europee per stabilire un’impronta militare nell’Indo-Pacifico. Questo, secondo i funzionari della NATO, è necessario per proteggere i “valori occidentali”, che non è altro che una parola in codice per l’egemonia occidentale. Gli Stati Uniti, allo stato attuale, stanno attivamente cercando di spianare la strada a questo.
Nel suo recente discorso all’annuale Reagan National Defense Forum, il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin ha affermato che Washington, pur non cercando di costruire una nuova NATO per l’Asia, stava cercando modi per stabilire solidi meccanismi di coordinamento tra gli alleati degli Stati Uniti in Asia e in Europa per bloccare gli sforzi cinesi per dominare l’Asia e l’Africa. Austin ha accennato all’espansione della politica della NATO oltre l’Europa quando ha affermato che stavano “rafforzando la nostra impareggiabile rete di alleati e partner con un impegno condiviso per un Indo-Pacifico pacifico e prospero, una regione in cui tutti i paesi sono liberi dalla coercizione e dove le regole che rafforzano la stabilità ed espandono la libertà sono rispettate”.
La motivazione dell’espansione politica della NATO nell’Indo-Pacifico è stata fornita in un rapporto del novembre 2020 intitolato ” NATO-2030: Uniti per una nuova era “.
Ha affermato che “Guardando al 2030, la NATO dovrebbe sfruttare i suoi forti partenariati non solo nel vicinato della NATO ma più lontano nell’Indo-Pacifico in un’era di intensificazione della concorrenza geostrategica e minacce globali”, aggiungendo che “la NATO deve sfruttare e sviluppare partenariati in un modo più deliberato e proattivo per modellare attivamente l’ambiente di sicurezza e promuovere gli obiettivi della NATO a sostegno dei suoi compiti e missioni fondamentali”.
La NATO, in altre parole, non sta semplicemente cercando di costruire legami con alcune potenze indo-pacifiche – in particolare, con Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda – ma sta anche cercando di coltivare attivamente la propria mentalità di “Guerre Fredde per sempre”. a questi stati come un mezzo per ciò che Austin chiamava “sostegno” della missione occidentale.
Dal momento che, per citare Austin, la Cina è “sempre più assertiva e autocratica”, la sua ascesa deve essere sfidata armando una coorte di valori a cui la NATO apparentemente aspira. A questi valori è stata data un’espressione istituzionale dal segretario generale della NATO nelle sue più recenti osservazioni del 30 novembre, quando ha affermato che “la NATO è stata creata per difendere la democrazia, la libertà e lo stato di diritto. Questi valori definiscono chi siamo. Non sono opzionali. E devono continuare a guidarci in un mondo più complesso».
Poiché l’ascesa della Cina rappresenta l’ascesa di un sistema politico che non aderisce ai “valori occidentali”, diventa automaticamente una minaccia che mina la NATO e l’Occidente. Come ha ulteriormente affermato Stoltenberg, dal momento che “il Partito Comunista Cinese sta usando la sua potenza economica e militare per costringere altri paesi e controllare il proprio popolo, [e] espandendo la sua impronta globale dall’Africa all’Artico, nello spazio e nel cyberspazio”, è imperativo che la NATO si alzi per “difendere” se stessa ei valori che presumibilmente rappresenta.
Mentre la NATO deve ancora rispondere del disastro che i suoi “valori” hanno creato in Afghanistan in un periodo di due decenni, rimangono anche interrogativi sulla sua effettiva capacità di proiettare potenza oltre l’Europa.
Entra nelle Divisioni
Nonostante la nuova narrativa anti-cinese, la domanda è: la NATO può tradurre la sua narrativa in una serie di azioni concrete?
La NATO, così com’è oggi, non è mai stata così divisa internamente come lo è oggi. La rissa tra Stati Uniti e Turchia da un lato, e tra Turchia e Francia/Grecia dall’altro, mostra che il trattato manca di sufficiente omogeneità interna.
Allo stesso tempo, dall’uscita del Regno Unito dall’UE, si è aperto lo spazio per la creazione di un’organizzazione di difesa eurocentrica. Allo stato attuale, il Regno Unito è stato uno degli ostacoli più ostinati sulla strada per l’Europa di realizzare il suo sogno di lunga data di autonomia militare e strategica dagli Stati Uniti. Sin dalla Brexit, tuttavia, la spinta a stabilire una forza europea ha preso slancio , gettando la NATO in uno stato di disordine che lascerà un forte impatto negativo sulla sua capacità di proiettare potere all’interno dell’Europa, per non parlare della regione indo-pacifica.
Infine, mentre la NATO crede che rappresenti valori universali, le domande sulla volontà dei paesi dell’Indo-Pacifico di saltare sul carro anti-cinese rimangono poco chiare anche per gli stessi funzionari della NATO. Mentre la NATO può trovare molti paesi nella regione indo-pacifica che hanno problemi con la Cina, non c’è ancora nessun paese disposto a lanciare una sfida militare a Pechino. All’interno di un ambiente di complessa interdipendenza nell’Indo-Pacifico, la NATO ha poche possibilità di sfruttare per fare spazio ai suoi “valori” e alle sue missioni.
Salman Rafi Sheikh, ricerca-analista di relazioni internazionali e affari esteri e interni del Pakistan, in esclusiva per la rivista online “ New Eastern Outlook ”.
FONTE: https://journal-neo.org/2021/12/13/nato-s-indo-pacific-expansion-to-tackle-china/
CULTURA
Al di là dei simulacri e degli spettri politici
– aforismi contro il PD e non solo –
I piddini sono la perfetta sintesi degli altri schieramenti: sono incapaci come i grillini (ma con molta più prosopopea e presunzione) e corrotti come i forzisti. Trovo allucinante che si considerino “di sinistra” e che la gente (la borghesia) creda a questa cazzata… Sono la caricatura di una caricatura (che è poi quella confluita nell’accozzaglia di finto-sinistri della Lista Tsipras).
Ma come fanno a perdere così tanto tempo a fingere di prendersi sul serio?
Ma come fanno codesti “elettori“a non sputarsi addosso invece di discutere di nulla sul nulla, quando per esempio parlano di Renzi, di “fiducia”, di “speranza“?
C’è da aggiungere che corruzione e incapacità sono caratteristiche assolutamente adeguate al sistema borghese vigente… che opera in buona parte al di là delle sue stesse leggi formali e sempre più spesso con il precipuo scopo di disfunzionare… D’altro canto, gli opposti valori del rigore morale e della competenza tecnica (di certi altri bacchettoni) sono solo delle coperture ideali di leggi formali e regole informali tutte protese a modulare vizi e virtù, dépense e produttività, e continuare di fatto a proteggere (proprietà, divisione del lavoro, rendite, profitti, interessi, ovvero) l’accumulazione, l’espropriazione, il ricatto… lo stupro, l’avvelenamento, ecc… la violenza strutturale (la mercificazione di ogni cosa e di ogni vivente e la sua correlata passione sadomasochista), garantita dalla milizia, dalla minaccia del carcere, della tortura, ecc…
Ma davvero c’è gente che crede che il lavoro dematerializzato, cognitivo (nel senso di cultural-impiegatizio) sia più indispensabile di quello legato alla produzione, all’industria, all’agricoltura? Ma davvero c’è gente che pensa che la legalità, la Costituzione o Papa Francesco siano il rimedio di una società (solo!) moralmente corrotta?
Ecco si incontrano troppo spesso queste due specie di prototipi umani: il feticista della tecnologia (che fa finta che i computer siano fatti d’aria), fiducioso nell’automazione e nel progresso basato sugli impiegati e sul lavoro fine a se stesso, e il “religioso” che crede nella bontà universale della violenza strutturale su cui poggia il suo culo borghese…
La “sinistra” è letteralmente infestata da questi due prototipi… Poi ci sono quelli che rivendicano più diritti individuali (continuando a privilegiare l’astratto sul concreto, essendo loro stessi “astratti”), più lavoro (abbattendone il valore per eccesso di domanda), un reddito di base (vendendosi per due spicci ad un sistema prostitutivo e mercificante che tutto sommato accettano), ecc… equamente distribuiti tra entrambe le categorie… Sono le infinite trasformazioni di una stessa cosa mostruosa (vagamente sintetizzabile nella parola “borghesia”, ma non è solo quella ad essere mostruosa…).
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Poi dovrebbero spiegare la cazzata che occorrono riforme politiche (la composizione del Senato, i criteri elettorali… ma cosa c’entrano???) per contrastare la competizione al ribasso dei prodotti asiatici e la difficoltà crescente (per motivi bellici e per trattati transnazionali e interessi egemonici statunitensi) di reperire risorse energetiche a basso costo… Come se non bastasse, vogliono risolvere il problema locale dell’oggettiva convenienza delle merci asiatiche con la Speranza, la Fiducia, con il “made in Italy”, la ricerca e l’innovazione con le stampanti 3D? Almeno questo è quanto di miserabile e patetico propagandano per coprire di luccichii (si fa per dire…) intenzioni evidentemente reazionarie e impopolari (quelle del “ce lo chiede l’Europa”).
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Un partito totalitarista che si rispetti deve governare e indire scioperi contro il governo, polarizzando la pantomima dello “scontro” su temi secondari e poco significativi (e ovviamente deve propagandarsi come “democratico”, magari inserendo tale dicitura nel logo).
L’opposizione “capitale/lavoro” che rivela la sua storica complementarità con stile auto-caricaturale (vedi Bersani: “Siam sempre quelli lì, eh!”).
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3 Novembre 2014. Ha persino peggiorato quanto già detto da Poletti, il Rensi: “Non esiste una doppia Italia, dei lavoratori e dei padroni: c’è un’Italia unica e indivisibile e questa Italia non consentirà a nessuno di scendere nello scontro verbale e non solo, legato al mondo del lavoro”. Curioso che il giovane vecchio reazionario, rottamatore dell’eventuale e improbabile “nuovo”, che tenta di spegnere il conflitto capitale/lavoro (che tanto serve al Capitale, comunque…), lo rinfocoli in realtà ogni giorno che passa… (proprio in quanto funzionale alla governance violenta dell’estensione e dell’intensificazione dello sfruttamento, appunto… “Come te la ficco la carota nel culo, se non ti bastono prima?”).
FONTE: https://valeriomele.wordpress.com/2014/12/06/al-di-la-dei-simulacri-e-degli-spettri-politici/
Decostruzione urbana
All’orizzonte non poteva vedere altro che il metallo esteso in un grigio uniforme contro il cielo. L’urbanizzazione di Trantor aveva raggiunto il limite massimo. L’intera superficie del pianeta. Due chilometri sopra e sotto terra. Quaranta miliardi di abitanti (cfr. Isaac Asimov, Cronache della Galassia).
Arresto delle costruzioni di case e luoghi di lavoro intorno alle città grandi e piccole, come avvio alla distribuzione uniforme della popolazione sul territorio. Riduzione della velocità e del volume del traffico (cfr. punto “g” del “Programma rivoluzionario immediato”, Riunione di Forlì del Partito Comunista Internazionale, 1952).
OGGI
Fenomeni costruttivi e distruttivi
Va detto in anticipo che useremo spesso il termine costruzione in senso lato e non solo nel senso di edificare. L’edificazione è solo una parte dell’attività costruttiva dell’uomo. D’altra parte non è detto che per costruire occorra una forma di vita superiore: piccolissimi organismi strutturati in colonie sono in grado di formare con i loro sedimenti piattaforme rocciose di notevoli dimensioni; molti insetti costruiscono da sé mirabili complessi in cui vivono, producono e si riproducono; così fanno gli uccelli, più raramente i mammiferi. A differenza degli animali, l’uomo lo fa però secondo uno scopo di cui è cosciente, e quindi secondo un progetto. Non sempre l’uomo ha costruito. Il suo percorso, dalla simbiosi con l’ambiente al progetto per sfruttarlo, è stato lunghissimo. La peculiare natura del lavoro di questa specie intraprendente si è anzi manifestata in tutta la sua potenza solo per una piccola frazione della sua vita complessiva.
La città, in tutte le sue forme storiche, è la più alta rappresentazione visibile della produzione sociale. Tuttavia nel capitalismo, la forma sociale più evoluta raggiunta sino ad oggi dall’uomo, c’è una contraddizione stridente fra la produzione in generale e la costruzione nel senso di edificazione. Mentre la produzione di manufatti è completamente razionale, cioè condotta secondo un piano, e socializzata al massimo, in un ciclo entro il quale la proprietà è un fattore ormai superfluo (cfr. Operaio parziale e piano di produzione), la costruzione legata ai luoghi della produzione e della riproduzione è cambiata poco rispetto – poniamo – all’antica Roma. Nella nostra costante ricerca degli invarianti per capire le trasformazioni, in questo caso troviamo che i primi sembrano predominare sulle seconde: anche nella città moderna, come in quella antica, ci sono strade, piazze, centri del potere statale e religioso, quartieri residenziali, laboratori, mercati, botteghe, giardini, zone sepolcrali, trasporti, amministrazione, ecc. Vi si produce, vi si circola con mezzi vari, vi si accumula denaro, vi si amministra la legge. La tentazione di leggere con occhio moderno una vivace descrizione antica della vita in città è forte, tanto l’ambiente è simile, a parte la tecnica. In pratica: l’uomo ha raggiunto una forza produttiva sociale immensa, proiettandosi verso una società completamente nuova anche per quanto riguarda i rapporti di classe, ma apparentemente, contraddittoriamente, incapsula tutto questo in un modello invariante di forma urbana.
Marx ha messo in guardia, nel suo discorso sul metodo, dal trattare con leggerezza gli elementi invarianti della storia. Essi vanno osservati in base allo sviluppo della società, quindi attraverso la loro trasformazione. Il denaro non è sempre stato capitale; il lavoro è stato libero nel comunismo primitivo, schiavistico nella società antica ed è vendita generalizzata di forza-lavoro nella società moderna; il nucleo isolato della famiglia d’oggi non ha nulla a che fare con la familia (l’unità di tutti coloro che vivevano sotto lo stesso tetto, compresi gli schiavi) e tanto meno con la gens antica (famiglia allargata, stirpe), ecc. ecc. In origine è il cittadino (cives) a dare il nome alla città, mentre in seguito, quando si consoliderà il termine “città”, sarà cittadino colui che vi abita, perciò poco per volta la trasformazione influenzerà anche il linguaggio. La borghesia rivoluzionaria utilizzerà giustamente il termine con marcato significato politico.
La differenza sostanziale sta nella dinamica della produzione sociale che permea la città e la costruisce a sua immagine e somiglianza nelle relazioni fra i suoi abitanti. Ogni costruzione è, nello stesso tempo, distruzione: in senso lato il materiale con cui si costruisce proviene dalla distruzione di qualcosa, si toglie per mettere secondo un nuovo ordine. Quando il capitalismo erompe e domina definitivamente la campagna, anche la città cessa di essere un luogo separato dal territorio che la circonda. La rivoluzione industriale abbatte le mura di tutte le capitali, distrugge il loro cuore antico, apre viali fiancheggiati da nuove e più imponenti strutture e fa dilagare la massa del costruito sulla campagna. Lo sventramento hausmanniano interno ed esterno provoca un prolungamento tentacolare delle prospettive urbane verso nuovi spazi, fino a collegare altri nuclei urbani, spesso inglobandoli senza soluzione di continuità. La megalopoli moderna simula allora sempre più un corpo vivente, con i suoi organi, i flussi che li alimentano, le diramazioni nervose che distribuiscono ordini e informazione.
In realtà l’integrazione organica degli spazi comuni tipica della città antica e anche medioevale sparisce del tutto con l’affermarsi della città moderna, frutto dell’ipercostruttivismo capitalistico, del trionfo del quantitativo sul qualitativo. La forma città si diffonde sempre più fino a dissolversi nel territorio, così come si dissolve la forma specifica della proprietà privata con la vittoria del capitale azionario e finanziario. L’antropomorfizzazione della crosta terrestre procede con l’affermazione del Capitale diffuso. Non c’è più contadino che non dipenda in pieno dal ciclo capitalistico, non c’è più cittadino che possa fare a meno dell’apparato di servizi. La città che distrugge e costruisce sé stessa in continuazione diventa un magma molecolare dove le costruzioni singole perdono i legami armonici con il tutto. L’aggregazione, anche in presenza di piani regolatori, avviene per contiguità ma non per continuità, gli edifici sorgono con criteri utilitaristici e speculativi immediati, gli spazi e le arterie che li collegano finiscono per subire flussi di traffico incontrollabile: “Muri scialbati di tetraggine, fiancature senza finestre, l’alto e il basso, il va e il vieni, il tira e non l’imbrocchi, e soprattutto ‘el tri e cinquanta’, ‘el düu e votanta’ e ‘l’ah! già che l’è vera! gh’avevi minga pensàa!’… Così venne creato l’ordine detto R.R. cioè del Rettangoluzzo Razionale… il Gran Cordone del Bolli d’estate e Trema d’inverno”, come scrisse Gadda. Ogni estetica è legata a qualche ordine soggiacente: distruzione cieca e costruzione casuale sono la negazione dell’estetica; o, se si vuole, il caos è l’estetica del capitalismo. La scienza e la tecnica d’oggi potrebbero senza dubbio risolvere i problemi dell’urbanistica, ma il fatto sociale impedisce che nella simulazione del corpo vivente l’ordine prevalga sul caos. L’ordine è quindi solo una potenzialità che attende di potersi manifestare così come si manifesta il piano razionale di produzione dell’industria. Nel frattempo la sempre teorizzata, tentata e mai riuscita umanizzazione del territorio, il dominio su di esso dell’attuale forma di produzione e riproduzione sociale, porta alla totale disumanizzazione della vita.
Anche l’uomo primitivo, quando usciva dal suo rifugio ed entrava in relazione con l’ambiente, era biologicamente portato al dominio, al possesso vittorioso, quindi alla distruzione e all’annientamento di ciò che poteva essere consumato per sopravvivere. Aveva strumenti e li adoperava collettivamente, a differenza degli altri primati. Nelle sue espressioni “estetiche” disegnate su ossi e pareti di caverne – in realtà parte integrante della sua “produzione” – la lancia si confondeva con i simboli della fertilità maschile, e le ferite inferte alla cacciagione con quella femminile. La conquista del territorio e l’azione svolta su di esso era dunque un tutto organico, un processo vitale. Mentre la conquista progressiva dello spazio da parte dell’uomo civilizzato, fino all’ultimo lembo di terra da “scoprire”, è stato un processo di morte, di annientamento degli antichi equilibrii. È questo processo che dovrà essere riscattato: non da un ritorno impossibile al paradiso perduto bensì da una nuova forma di esistenza umana, organica e vitale. La città moderna, coprendo lo spazio disponibile con le sue metastasi tentacolari, distrugge non solo il passato, ma, per i suoi abitanti, la possibilità stessa di collegare organicamente il movimento di espansione con le necessità della vita: l’immane processo di distruzione-costruzione produce una vita bestiale in una riedizione ben peggiorata della giungla.
Fino alla rivoluzione industriale borghi e città erano ancora costruiti entro limiti compatibili col normale passo umano e il cittadino poteva quindi sentirsi in sintonia fisica con un ambiente facilmente fruibile e conoscibile. La gran massa contadina imponeva, col solo fatto di esistere, il riconoscimento di una differenza sostanziale, e il cittadino si sentiva parte specifica di una realtà urbana che era effettivamente un altro mondo. Si era al culmine di un’evoluzione urbana paragonabile a quella biologica dell’uomo stesso. Nel passaggio dal primate all’uomo, il nostro corpo si è evoluto molto presto verso la statura eretta, gli arti conseguentemente snelli, il tronco diritto; solo la testa si è sviluppata tardi, perdendo le caratteristiche scimmiesche; e il cervello ancora più tardi, con l’aumento del volume e soprattutto delle sue connessioni interne. Da un certo momento in poi, l’evoluzione sociale dell’uomo è stata molto più veloce della sua evoluzione biologica. Memoria, intelligenza, connessioni, comunicazione, si sono espanse dal cervello all’ambiente che circondava l’uomo, si sono proiettate all’esterno della sua capace scatola cranica. E hanno incominciato a funzionare autonomamente, come un risultato della specie, per la specie, con una possibilità di elaborazione superiore. Da Marx in poi, tutto questo lo chiamiamo “cervello sociale”, evoluzione/negazione che è nello stesso tempo affermazione della società futura. La Sinistra Comunista non fece che confermare in via sperimentale osservando i caratteri del capitalismo ultramaturo.
La forma urbana è comparsa molto presto, almeno cinque, seimila anni fa. Da allora, per tutto questo tempo tranne che per l’ultimo paio di secoli, ha mantenuto più o meno le stesse caratteristiche. Se la città tradizionale era assimilabile al corpo umano e alla sua scatola cranica che non poteva contenere il cervello sociale, la sua espansione “all’esterno” era altrettanto inevitabile. La megalopoli risponde a quest’esigenza, ma è un tentativo mutante dell’evoluzione, una neoplasia, un cancro che continua la sua attività ipercostruttiva di cellule e che per adesso si barcamena fra errori e correzioni genetiche. Il suo futuro è la sua propria soppressione, cioè la morte in quanto concentrazione e la rinascita attraverso l’espansione razionale, armonica, organica, sul territorio. Non era possibile due secoli fa, non c’erano scienza e tecnologia sufficienti, non era abbastanza sviluppata la forza produttiva sociale, non c’era l’armamentario teoretico adatto. Adesso siamo pronti, ma prima di affrontare il domani, approfondiamo ancora alcuni punti sul limite raggiunto oggi.
Città e politica
La rottura rivoluzionaria è sempre stata un fatto politico e la politica è sinonimo di vita urbana. Presso i greci era l’arte di essere cittadino ed ogni attività connessa era negata ai non greci. La politica è quindi strettamente legata all’evoluzione della città-stato, di cui la radice del termine (polis) conserva il ricordo; legata perciò all’evoluzione delle forme cittadine e del dominio classista sul territorio circostante. Sviluppatasi come arte o scienza del governo, all’inizio la politica non si occupava che di uomini, dato che questi amministravano le cose da sé; la politica non derivava ancora dal possesso o dal comando sulle cose. Il “capo” coordinava l’attività di un ristretto gruppo tribale, e le cose erano possesso dei singoli o dell’unità famigliare. Nella forma micenea, quando la polis non esisteva ancora, il “capo” (wanax, guasileus) lo troviamo sia come rappresentante supremo della comunità che come coordinatore di un gruppo, ad esempio, di vasai o di pastori. In Omero il basileus è “re”, ma nella struttura del racconto emerge ancora che si tratta del semplice responsabile di un’unità sociale o produttiva. Il poeta è cantore di storie che precedono di mezzo millennio il suo tempo, ancora impregnate di tradizione micenea. Perciò il termine sopravvive nei versi per indicare una funzione diversa da quella del re come lo s’intenderà successivamente. A Itaca egli cita molti basilees. Alcinoo, “re” dei Feaci, era in compagnia di ben dodici basilees.
In quali tipi di forme urbane abitavano i personaggi omerici? Negli scavi dei “palazzi” del mondo egeo sono state trovate tavolette che si riferiscono a un gran numero di “città”, la cui esistenza non è mai stata provata. Forse erano altri “palazzi” e quindi bisognerà riconsiderare le traduzioni dei termini arcaici e non separare il wanax miceneo dal domos (la comunità), cioè considerare tutt’uno il capo di qualcosa e l’essere comune, destinatario della maggior parte della terra (nella Grecia classica sarà demos, popolo).
Fino a poco prima di Omero (e ancora più indietro nel tempo in altri luoghi) la forma urbana è stata funzionale alla vita di specie, dovendo servire semplicemente a raggruppare un’unità sociale organizzata. Perciò il disegno della “città” è stato determinato dall’attività che, da primitiva, si è trasformata, ha avuto bisogno di coordinamento, razionalizzazione, centralizzazione. In alcune aree popoli semi-nomadi e pastori si sono sedentarizzati circondandosi di recinti fortificati, all’interno dei quali sorgevano solo edifici comuni al centro di sparse abitazioni famigliari, ovili e orti. In altre aree si sono formate comunità urbane non fortificate, semplici aggregazioni casuali di case. In altre ancora sono nati quasi di colpo tessuti urbani complessi apparentemente costruiti secondo un progetto unitario. In ogni caso tutte queste proto-città si sono evolute quasi sempre in vera forma urbana crescendo su sé stesse per millenni, aumentando di poco in estensione e stratificandosi, spesso fino a formare una collina, come nei tell medio-orientali. In nessun caso la città antica andava ad occupare il territorio circostante, diversamente dalla città moderna. Persino Roma imperiale, quella della speculazione edilizia, dei suburbi, della selvaggia espropriazione delle terre da parte del latifondo e dell’espansione delle sue mura, per secoli e fino al medioevo aveva tenuto sgombro il pomerio, la vasta area sacra oltre le fortificazioni che non poteva essere contaminata da edifici o sepolture.
In tutta l’antichità pre-classica la politica è ancora soprattutto il far parte di una comunità urbana, il praticare l’arte del cittadino, e il “governo” della vita comune è caratterizzato dalla semplice necessità di amministrare le cose. L’autorità è quindi un bisogno collettivo derivato dalla maggiore organizzazione produttiva e, di conseguenza, dalla maggiore complessità sociale. Non vi sono classi propriamente dette perché la divisione del lavoro è in gran parte divisione di compiti, spesso temporanea, e non divisione sociale del lavoro. L’archeologia ha svelato che le attività venivano svolte in costruzioni e ambienti predisposti, templi, palazzi, laboratori, magazzini, separati da spazi appositamente lasciati vuoti, scenografie progettate affinché fossero liberamente fruibili dalla comunità.
In questa fase l’autorità politica deve soprintendere ai lavori di interesse comune e soprattutto alla contabilità sociale. Le tavolette d’argilla cotte da incendi antichi ci ricordano che addirittura con la contabilità nasce la scrittura, per designare le cose, numerarle, immagazzinarle e scambiarle. Specifici oggetti e persone vengono spostati o si muovono da un luogo all’altro, spesso in seguito ad uno “scambio” pattuito, ma vengono contabilizzati nella loro specificità, non ancora come valori intercambiabili. La parola “contabilità” è ovviamente tarda ed ha assunto un significato ben diverso dal semplice “numerare”; in effetti in antico si hanno semplici inventari e il “contabile” non è altro che un elemento della politica: attraverso la sua funzione, la comunità, cioè l’essere comune wanax-domos, memorizza la propria attività produttiva e distributiva. La politica nasce con l’entità urbana, come sovrastruttura ad essa necessaria, perché l’uomo non produce più immediatamente per sé stesso e per il suo nucleo famigliare ma per l’altro uomo, per la comunità. Il prodotto non viene subito consumato ma ammassato; quindi deve essere inventariato, perché, così come l’uomo deve conoscere sé stesso, anche la comunità deve conoscere sé stessa. Questo nella storia varrà fino alle estreme conseguenze, fino all’immane complessità della società capitalistica moderna; la quale, con le sue mostruose metropoli, sarebbe completamente “ingestibile” se essa stessa non producesse al suo interno dei meccanismi di autoregolazione per sopperire al caos.
Se nell’intero arco della società pre-classica la politica consistette nel fare i conti utili alla vita dell’essere comune, più tardi consisterà nel fare i conti in tasca all’individuo, posto di fronte a uno Stato, incarnato a sua volta in un altro individuo o in pochi rappresentanti della società. La contabilità sarà in valore e la politica avrà il compito, definitivamente, di regolare i flussi di valore nella società, più precisamente fra le classi. Risultato che sarà spinto al massimo livello dal capitalismo; e la forma urbana ad esso congeniale sarà disegnata da questi flussi. Templi, fabbriche, palazzi e spazi comuni assumeranno un significato ben diverso. Oggi che la fabbrica tende a diffondersi sul territorio e che la città è mera quinta per il business, lo spazio comune più significativo è l’ipermercato!
Il trapasso dalle forme arcaiche della politica a quella attuale avviene sulla base materiale del trapasso dalle forme urbane primitive alla forma sviluppata, capitalistica. In origine, l’autorità era determinata da necessità primordiali, per quanto organizzate, e ad essa corrispondeva una forma urbana disegnata da un’esistenza ancora di tipo comunistico. Oggi l’autorità si è completamente separata dalle determinazioni che l’avevano generata, conosce solo termini di valore, e la politica, mentre esalta la persona, la schiaccia sotto un interesse di classe, e si riduce a volgarissimo mezzo per spillare quattrini.
Dalla politica alla tecnica
Dall’armonia primitiva con la natura alla formazione dell’autorità coordinatrice, dall’arte di essere cittadino all’arte del governo della città (politiké, tekhné) e al suo perfezionamento, il passaggio prese millenni, ma dall’arte del governo dello Stato come Assoluto hegeliano a quella del dominio totale del valore sull’uomo il capitalismo impiegò meno di cent’anni.
Il percorso dovrebbe essere ben conosciuto dai comunisti e non lo descriveremo qui ulteriormente. Basti accennare al fatto che esso si accompagna al passaggio dalla sussunzione formale del lavoro al Capitale alla sua sussunzione reale, dal rapporto dell’operaio con il capitalista alla forza-lavoro che perde la sua individualità e si riconduce al Capitale inteso come totalità sociale. Ciò significa a grandi linee e in termini meno ostici che, dopo millenni, nel corso di un secolo scarso l’umanità è passata da una società punteggiata di manifatture che impiegavano operai nella produzione di merci, ad un sistema integrato d’industria dove ogni singola fabbrica, ufficio, podere, apparato organizzativo, ideologico e militare, è parte inscindibile della complessiva produzione di plusvalore.
In un testo della nostra corrente, Politica e costruzione, il passaggio storico viene descritto per mezzo di una critica alla filosofia del potere, il quale si manifesta attraverso fasi in cui il generale interesse si rivela per quello che è: la patina ideologica di ogni interesse di classe. Un “generale” ben famoso, commenta il testo, per aver perso tutte le sue battaglie. Non c’è interesse comune nella società di classe, non c’è quindi “città radiosa” capitalistica, né può esservi, nonostante le elucubrazioni dell’urbanista moderno che, con la maschera dell’assessore, dell’architetto e dell’ingegnere, rappresenta il prodotto più specifico della putrefazione ideologica, lo sventratore della città storica a vantaggio dell’alta e bassa speculazione, dell’affarismo sfrenato in un campo, quello della rendita, che per lo stesso capitalista sarebbe vantaggioso combattere. La rendita è plusvalore che, invece di diventare sovrapprofitto, finisce nelle tasche del proprietario immobiliare, il quale, parassita supremo, riesce, per la semplice esistenza della proprietà, a succhiare valore dalla società intera.
Sbaglia di grosso chi crede che la teoria marxista della rendita fondiaria abbia perso d’importanza al giorno d’oggi, nella società della scienza e della tecnica, delle città immense e dei grattacieli, dell’agricoltura ridotta a servizio pubblico dell’alimentazione sociale. Mai la teoria della rendita è stata più importante, proprio perché sulla crosta terrestre si è estesa a dismisura la rete delle sterminate metropoli. La forza-lavoro viene sfruttata nel tempo, si rinnova; il capitale industriale entra in un ciclo dinamico di valorizzazione, si rinnova anch’esso. La rendita invece è accumulo di lavoro morto. Essa assorbe valore dal salario dell’operaio e dal profitto del capitalista vendendo i prodotti della terra e impedendo l’accesso al suolo e ai fabbricati se non dietro pagamento della tangente-rendita, sempre più spesso aumentata dalla frenesia speculativa.
Il ciclo di rinnovo del suolo (fertilità) e dei fabbricati è dunque infinitamente più lento di quello del rinnovo del capitale e del lavoro nella produzione, tanto che nelle metropoli più antiche convivono testimonianze edilizie di ogni epoca. A Roma, l’esempio più aberrante, molti abitano in case le cui strutture risalgono all’Urbe antica, in un tessuto urbano di mura, archi e rovine classiche brutalmente violati da massicciate ferroviarie, autostrade su sopraelevate d’acciaio, antichi splendori ridotti a spartitraffico negli incroci tra i viali ricavati dagli incongrui sventramenti dell’urbanista e coperti d’automobili. Come si osserva nel testo citato, l’autorità dell’uomo sociale ha impiegato millenni per far posto alla razionalità borghese, poi tutto è precipitato velocissimamente e quest’ultima è diventata idealità, proiezione del cervello capitalistico nel tessuto urbano, quindi, più velocemente ancora, economicità ed infine, prodotto estremo del pensiero moderno, tecnicità. La città come museo, meglio, cimitero della conoscenza passata e come grande expo permanente della tecnica capitalistica.
La speculazione urbana, il trionfo della rendita moderna, non consiste in particolar modo nell’umiliare un chiostro bramantesco facendone l’atrio di un condominio di lusso, né nell’affiancare un supermercato ad una pieve romanica o nello sventrare un intero quartiere antico per farne tronfie scenografie che inneggiano al Capitale. In fondo ogni società in ogni epoca ha distrutto e ricostruito come sapeva fare. Era rivoltante la spudorata ipocrisia del ministro francese della cultura che, di fronte alla furia talibana contro i budda di Bamian, affermava: l’Occidente non si è mai macchiato di delitti simili. Vero, non simili: la distruzione delle città dell’antichità classica è stata industrializzata dai cristiani per secoli, durante i quali cave e miniere erano superflui, dato che c’erano monumenti in abbondanza cui attingere pietra e marmo per le chiese e i palazzi del nuovo potere, e sufficienti sculture pagane in marmo calcareo per far funzionare a ciclo continuo le fornaci da calce. Ma tutto ciò è nulla in confronto agli scempi del capitalismo.
L’epoca borghese è molto più distruttiva dei cosiddetti secoli oscuri del cristianesimo in ascesa e anche della furia cieca di residui sociali antichi (nel caso dei Taliban oscurantisti fin che si vuole, ma figli chiarissimi della gran civiltà del dollaro e suoi strumenti finché ha fatto comodo). Il capitalismo rende l’Uomo Pubblico suo schiavo, condottiero o legislatore che sia ne compra il cervello portandolo all’ammasso dell’omologazione, lo asservisce allo Stato come strumento della sopravvivenza del Capitale. Tutto, nella nazione, nel suo territorio e nella forma urbana moderna, dev’essere regolato a misura del Capitale, tramite la legge dello Stato. Washington e Kabul pulsano con lo stesso sangue, quotato a Wall Street come a Tokyo. Scienza, tecnica, finanza, sono prodotto e fattore del capitalismo ed è naturale che tutta la società ne sia permeata. La vita degli uomini è ormai talmente scandita dall’accumulo di scoperte, invenzioni, macchine, comunicazioni, velocità, conoscenze ecc. che ogni attività, anche semplicemente fisiologica come il mangiare, il bere, il dormire, l’abitare, il parlare, è condizionata, influenzata, modificata dall’ambiente tecnologico-urbano. Ormai comunicazioni e trasporti tagliano lo spazio, lo accorciano, facendo aumentare ovunque la densità relativa della popolazione, e anche la più sperduta cittadina è diventata un semplice nodo della rete che avvolge il pianeta.
È un risultato storico del capitalismo, perché il meccanismo della rendita porta a fissare sempre più capitale nell’immensa quantità di manufatti che coprono il territorio. Essendo il ciclo produttivo un fattore dinamico del capitalismo, mentre il suolo e gli immobili sono elementi che si rinnovano molto lentamente, sempre più valore, proveniente da profitto e salario, si deve fissare in rendita. La rendita diventa l’intero scenario su cui si muovono i singoli capitali, su cui si deve modellare l’azione dello Stato e dell’Uomo Pubblico. E la politica nazionale diventa politica del territorio su cui si muove il Capitale. La scienza diventa parte integrante di questa simbiosi. La politica estera degli stati diventa la politica del territorio da rendere terreno fertile per i capitali altrui. Quando cadde il Muro di Berlino, il fenomeno dell’unificazione tedesca assunse aspetti straordinari: alla vista di chi si aggirava nel grigiore dei quartieri dell’Est si offriva una quantità spropositata di nuove insegne colorate e stridenti; i big del capitalismo mondiale, come cani che segnano il territorio, avevano velocemente tappezzato la città col loro marchio, utilizzando persino i tralicci delle gru, diventate presto una vera e propria selva. E sotto ogni gru un cantiere, prima ancora di sapere che cosa costruire, mentre un esercito di architetti e urbanisti si dava da fare… per il nuovo, strabiliante, luccicante centro direzionale europeo, una nuova capitale per il Capitale. Arte urbanistica, tanta da riempire le riviste specializzate per vent’anni buoni. Eppure l’architetto è bravo, i materiali e le tecniche sono superlative, l’organizzazione è scientifica, l’energia sociale è altissima: perché il risultato finale è sempre un freddo monumento alla disumanizzazione sociale?
Tecnica, velocità, capitale: una miscela distruttrice di vita comune e di ambiente biologico, costruttrice di angosce esistenziali e di ambiente asettico, la cui bellezza, quando ne ha una, è come quella di un minerale tolto dalla roccia e messo in vetrina. Interi paesi non sono più nazioni ma servizi al capitale mondiale. L’Olanda non solo ha costruito e costruisce, ma ha pure ridisegnato la terra su cui costruisce, ha rifatto la sua stessa mappa. Hong Kong e Singapore nel loro piccolo han fatto lo stesso. L’Irlanda è stato l’ultimo esempio e la vecchia Dublino di Joyce non esiste più, è stata distrutta, anch’essa ridisegnata e ricostruita dal Capitale in pochi anni come nessun urbanista avrebbe saputo fare. I centri nevralgici della vita preistorica riproducevano le stelle, quelli del potere religioso nelle città medioevali riproducevano la Gerusalemme Celeste, le capitali storiche della borghesia rivoluzionaria erano monumenti alla Ragione, le innumerevoli Dublino odierne adescano capitali come fossero discinte professioniste stazionanti agli incroci del traffico finanziario mondiale.
Città-lucciola, quindi; armate di tecniche sofisticate e di strumenti profilattici e terapeutici. Città-macchina come servizio al Capitale, così come l’agricoltura mondiale è diventata servizio pubblico all’alimentazione degli abitanti delle metropoli. Città-scenografia, come neppure il più kitsch degli spot pubblicitari potrebbe immaginare (la nuova illuminazione del Castello Sforzesco a Milano è la visione onirica di una casalinga intossicata da merendine supercaloriche). Si tratta di un intreccio mostruoso, perché è chiaro che, se questa complessità va coordinata, governata, è altrettanto chiaro che non lo si può fare che attraverso i risultati tecnici raggiunti dalla società complessa. E più la tecnica si impadronisce dell’uomo, più egli diventa “costruttivista”, più ha bisogno di macchine, strutture, infrastrutture, comunicazioni, reti, ecc. in un circolo vizioso perverso che contribuisce a disegnare la città. Ecco perché anche il recupero del vecchio tessuto urbano, delle architetture, dei monumenti, pur eseguito con capacità di lettura dell’oggetto e con tecniche di restauro un tempo inimmaginabili, è ormai un’operazione museale all’aperto, dove oggetti completamente decontestualizzati servono solo da quinta al movimento di uomini-macchina intenti a rincorrere il Capitale. Ma non è detto che al Capitale sia utile investire ovunque in immagine: l’opera degli sventratori storici d’Europa impallidisce di fronte allo scempio che sta avvenendo in Cina, dove intere città millenarie stanno scomparendo a velocità inaudita, mura, palazzi, tombe, monumenti, inghiottiti dalla voracità insaziabile di Mammona. Nei nuovi distretti industriali cinesi il ritmo di costruzione è tale per cui un decimo della popolazione mondiale lì concentrata sta utilizzando la metà di tutte le attrezzature edili del pianeta. Intorno al progetto delle Tre Gole, il sistema di dighe sullo Yang-tse, è nata quasi dal nulla una municipalità (Chongqing) con più di trenta milioni di abitanti, di cui sei milioni modernamente urbanizzati. Al Capitale piacerebbe un sacco cinesizzare, trantorizzare il pianeta con una simile intensità di costruzione e urbanizzazione.
Da più di mezzo secolo ripetiamo, non solo a proposito delle città, che non è più il caso di costruire, ma di incominciare a pensare che la follia costruttivistica ha raggiunto limiti che occorre bloccare. Decostruire, smeccanizzare, diselettrificare, demineralizzare, insomma, ri-naturare l’intera società e l’ambiente in cui vive l’uomo, ecco la parola d’ordine veramente futuristica d’oggi (Politica e costruzione cit.). Questo non significa affatto rinunciare alla scienza e alla tecnica, significa semplicemente fare a meno una volta per sempre del loro dominio, o meglio, del dominio che il Capitale esercita anche attraverso di esse. Al solito, dialetticamente, come lo Stato servirà all’uomo per liberarsi dello Stato, così scienza e tecnica gli serviranno per liberarsi dalla schiavitù di scienza, tecnica e Capitale.
La tecnica e il piano
Il capitale agisce concentrato, si valorizza meglio là dove c’è altro capitale. Quindi tende a concentrare uomini e mezzi in aree ristrette, su cui deve costruire gli ambienti che contengano uomini e mezzi. La metropoli moderna è verticale non solo per mitigare la speculazione della classe fondiaria sui terreni fabbricabili, ma soprattutto perché è figlia della storica e irreversibile concentrazione di capitale. Deve espandersi, ma lo spazio gravita attorno ai centri d’accumulazione e l’altezza degli edifici ha dei limiti. La tecnica costruttiva verticalista costa moltissimo; e poi non si può costruire un’acciaieria-grattacielo, né la si può impiantare nelle city; dove rimangono dunque gli “uffici”, cioè le arterie dove pulsa il Capitale. L’uomo, una volta terminati i suoi compiti è allontanato; si moltiplicano le città-satellite e s’ingrandiscono in orizzontale. La città, negata alla vita umana, nello stesso tempo diventa essa stessa una forma artificiale di vita: un corpo di acciaio e cemento con i suoi organi, la sua circolazione, il suo metabolismo, i suoi nervi, la sua intelligenza, la sua crescita. Dalla sua struttura, così com’è, verrà la sua metamorfosi in forma naturale di vita.
Quando il Capitale non c’era e il lavoro coincideva in gran parte con la vita, cioè non era pagato e tantomeno pagato a tempo, la città era quasi esclusivamente fatta di imponenti opere pubbliche in grado di sfidare il tempo. La città moderna è abbandonata al rifacimento continuo delle opere private, la manutenzione è un costo passivo, meglio demolire. All’intervento pubblico è lasciata l’infrastruttura, cioè lo spazio e l’attrezzatura di servizio al capitale privato. Quest’ultimo intasca il profitto, mentre il passivo è scaricato sulla collettività.
Pubblica, meglio, collettiva, fu l’edificazione delle città più antiche, fino a quando lo schiavismo esasperato dalla “sete di pluslavoro” del tardo ellenismo, e soprattutto di Roma, non portò alla costruzione di metropoli che anche le cronache di allora descrivono come invivibili. Il collasso dell’impero coinvolse le città, ma sopravvisse la loro tradizione, e con essa, almeno in Italia, si produsse un tipo di società comunale che non conobbe mai il pieno feudalesimo. La ripresa economica e sociale a cavallo tra il primo e il secondo millennio fu caratterizzata in tutta Europa dalla moltiplicazione di città e borghi che costellarono il territorio di cantieri, riempiendo i vuoti lasciati dai secoli barbarici. Nacque una rete di cattedrali e di abbazie che, nella loro unità di stile, trasmisero un messaggio universale in tutta Europa. Nell’immane slancio costruttivo si formarono maestranze specializzate e con esse nacquero le prime forme di lavoro salariato. Questo fu il motore possente per l’ulteriore esplosione produttiva che, tra il ‘200 e il ‘300, si manifestò attraverso l’affinamento della tecnica costruttiva, nello slancio verticale che le opere assunsero in brevissimo tempo. L’unione dell’uomo con il suo dio diveniva più che mai visibile nella materia terrena e il mastro costruttore caricò di nuovi significati mistici ed esoterici non più l’ornamento ma la costruzione stessa. Il lavoro dell’uomo era giunto a sfidare molto pragmaticamente la legge di gravità innalzando archi e guglie con arte che darebbe del filo da torcere a maestranze moderne dotate di strumenti tecnicamente più efficaci. L’architetto scoprì e introdusse nel progetto l’intreccio di spinte e controspinte che la pietra, senza il nuovo criterio progettuale, non sarebbe stata in grado di sopportare. Il vuoto e la luce del gotico ebbero la meglio sul pieno e sulla penombra del romanico.
In ogni caso il maestro costruttore era ingegnere-architetto ma non ancora urbanista, almeno nel senso che diamo oggi al termine. Era in qualche modo pagato, primus inter pares, ma non per raccontare balle al popolo su fantasmagoriche “città radiose”. La città era in gran parte oscura, sporca e puzzolente, ma a nessuno passava per la testa di idealizzarla come un qualcosa di diverso. Le classi c’erano e nessuno pensava che si fosse tutti uguali su questa terra. La piazza era il luogo in cui si manifestava la vita, perché vi pulsavano la produzione e il commercio benedetti da Dio, il luogo dove andava nascendo e sviluppandosi la nuova classe rivoluzionaria. Su di un lato la chiesa, casa di Dio e porta dell’aldilà, unico tramite universale fra gli uomini. Sull’altro, il palazzo del governo e la loggia dei mercanti in un insieme che ricordava la vita comune del cittadino (e “Comune” si chiamerà la città con i suoi abitanti e le sue prerogative). L’unità del tessuto urbano, il suo stile, era l’unità del borghigiano, futuro borghese, con la sua funzione di classe, contrapposta alla condizione del contadino che era invece portatore di reazione. La città era civiltà, identità e appartenenza, non barbarie contadina, né alienazione e mistificazione come oggi. Per questo in ogni periodo della storia essa venne spesso fondata, disegnata, progettata, ampliata secondo un fine comune.
Nell’epoca della tecnica e della massima capacità progettuale e organizzativa, la città della borghesia morente è disegnata mille volte sulla carta secondo idee grandiose, ma lasciata miseramente a sé stessa sul terreno pratico. La nostra corrente ha scritto pagine feroci sull’urbanista, simbolo vivente della contraddizione fra produzione sociale e appropriazione privata, che nella città si manifesta come contraddizione fra necessità di un piano urbanistico ed effettivo sopravvento del caotico agire dell’interesse privato. Che guida l’attività di costruzione, che disegna l’architettura e il tessuto urbano, che toglie alle opere ogni contenuto comunitario.
Di piante urbanistiche e di costruzioni ardite l’uomo ne ha disegnate tante per le sue tante città, ma la differenza fra le varie epoche non è solo di stile, è di sostanza. L’urbanistica e l’architettura moderne sono per lo più speculazione edilizia allo stato puro. Quando hanno pretese diverse, alla pura speculazione si aggiungono aspetti individualistici di performance estetica e tecnica, il cui scopo è di imprimere sull’opera, se si riesce, la firma dell’autore. La pubblicazione, cioè la reiterazione pubblica della firma di bottega, è l’unica via per guadagnar punti, per aumentare le cifre che si scrivono sulla parcella.
L’America fu esempio eclatante di speculazione nonostante gli spazi immensi. Le sue abbondanti foreste furono base materiale per un’architettura di città in legno e la corsa alla “frontiera” fu troppo fulminea per sviluppare qualcosa di più che il balloon frame (struttura-pallone), una casa di legno fatta con travetti prefabbricati autoportanti. È uno sviluppo di quella che si vede nei film western, ma così furono costruite Chicago, dove nacque come standard a metà dell’800, e tutte le altre città americane; il nome le fu dato dai costruttori tradizionalisti per spregio, ma rappresentò una piccola rivoluzione tecnica che permise di costruire in breve tempo abitazioni per un paese intero. Queste città costruite ex novo su terreno vergine non conobbero i problemi di quelle antiche d’Europa, alle prese con la Storia che intralciava l’Espansione, e perciò la speculazione fu più brutale. Al culmine dell’espansione, furono lottizzate persino le invivibili paludi della Florida. E Miami, la “Venezia d’America”, ebbe le case più care del mondo.
Di storia l’America bianca non ne aveva, ma per crearsela edificò la sua nuova capitale in marmo, come un gigantesco memorial urbano. A corto di idee, o meglio con le idee che offriva il mercato, la borghesia latifondista e affarista assoldò (1791) un costruttore francese di New York, ufficiale dell’esercito, che disegnò una mappa ispirata a Versailles. Nel volgere di un secolo vari architetti sparsero ovunque sul nuovo tracciato colonne doriche, lesene rinascimentali, pantheon romaneggianti e facciate neoclassiche. Nel 1845 uno di loro innalzò fino a 150 metri un obelisco di marmo in onore di George Washington. Non potendo ovviamente costruirlo di granito pieno, come gli egizi, usò l’acciaio, rivestendo di marmo un traliccio. Come capitale comunque non doveva essere riuscita troppo bene se cento anni dopo sorse un movimento cittadino per la sua beautification.
Verso la metà dell’800 tutte le capitali d’Europa entrarono in fermento edilizio: la rivoluzione industriale aveva fatto moltiplicare gli abitanti di due, tre, quattro e più volte e le case stavano aumentando di conseguenza. In mezzo secolo si costruì più di quanto si fosse costruito in tutta la storia precedente e nuovo plusvalore si fissò irreversibilmente in rendita fondiaria e immobiliare. A partire dal 1854 Parigi fu sottoposta ad una beautification tutta europea: memore della rivoluzione del ’48 (e delle nove sollevazioni con barricate avvenute dal 1830), il prefetto-urbanista Haussmann ricavò dal cuore antico della metropoli una pianta barocca con grandi viali diagonali come a Washington, diminuì l’estensione degli isolati diradandoli, eresse monumentali prospettive e impedì per sempre le barricate (tranne che per i sessantottini, un po’ in ritardo sulla storia). La medioevale Ile de la Cité passò da 14.000 abitanti a 5.000. I nuovi tracciati stradali, proiettati verso la periferia dove furono spinti gli operai, disegnarono grandi lotti triangolari edificabili. La più grande speculazione edilizia della storia si accompagnava alla più grande trasformazione della casa urbana continentale: dalla tipologia medioevale con cucina e servizi al piano terra e camere sovrapposte, si passò in massa all’alloggio con camere in piano, più funzionale per l’inquilino, ma anche per la grande proprietà immobiliare.
Nel 1871 un grande incendio distrusse la Chicago di legno e per la ricostruzione furono imposti materiali antincendio. Una manna per l’attività edilizia e ovviamente per la speculazione. Nel 1879, proprio a Chicago, l’acciaio fu protagonista di un’altra rivoluzione urbana: la casa, già diventata alta e torriforme nelle nuove metropoli americane, si sganciò definitivamente dai limiti d’altezza e per la prima volta incominciò a diventare “grattacielo”. Involucro per attività miste, per viverci, lavorarci, far traffici, vero modulo frattale della città che lo circondava, con le sue arterie, le sue piazze, i suoi trasporti disposti in verticale. Modulo a sua volta suddiviso in sotto-moduli, perché oltre un certo limite è impossibile far circolare in verticale l’acqua, il calore, la gente, senza una ripartizione delle strutture. Persino l’aria, l’energia e l’informazione devono essere fatti circolare a blocchi nei moderni mostri che raggiungono altezze prossime al mezzo chilometro.
L’età dell’acciaio non poteva rimanere senza il suo monumento specifico, inutile e grandioso. E fu per una grande manifestazione del Capitale, l’esposizione mondiale del 1889 a Parigi, che la borghesia lo elevò facendone il simbolo della produzione, l’inno alla concezione della vita nel capitalismo moderno, cioè l’antenna mondiale della finanza e del commercio, servizi alla produzione di plusvalore. Eiffel, un chimico divenuto costruttore e ingegnere, aveva dimostrato che l’acciaio si presta a innalzare strutture prefabbricate, leggere, facilmente progettabili e assemblabili, perfettamente aderenti al secolo della rivoluzione industriale. Aveva costruito ponti e viadotti mirabili: ora aveva accostato quattro enormi ponti in quadrato issandovi sopra un ardito traliccio: trecento metri di esaltazione del capitalismo ingegneristico, di simbologia produttiva non solo nell’oggetto in sé, ma soprattutto nel modo di realizzarlo: putrelle, flange, rivetti, erano tutti elementi producibili come merce generica nelle fabbriche, pronti per essere trasportati e montati ovunque. Come nel vecchio meccano o nel moderno Lego, il disegno del particolare non dipendeva più dall’insieme e quest’ultimo poteva scaturire, anche estremamente differenziato, da poche parti tutte uguali. La siderurgica meraviglia simboleggiava così perfettamente il significato celebrativo immediato (l’esposizione mondiale capitalistica), quello storico (gli spettacolari sventramenti urbanistici di Haussmann su cui dominava) e quello produttivo (l’operaio parziale dedito alle singole fasi che confluiscono nel prodotto ultimo dell’operaio globale) che colpì l’inconscio di classe borghese e, da attrazione provvisoria, divenne monumento perenne, soppiantando come emblema di Parigi l’antica Notre Dame.
La tecnica autonomizzata domina il pensiero degli uomini altrettanto efficacemente del Capitale autonomizzato. Attraverso il suo utilizzo pratico, come abbiamo visto, essa permea la città e quest’ultima diventa metropoli gigante, complessa come il capitalismo che l’ha generata. Allo stesso modo del capitalismo essa contiene tutte le fasi che hanno preceduto la sua condizione attuale: fondamenta antiche nel sottosuolo, monumenti di epoche passate in superficie, copie moderne dal vecchio e dall’antico, accumuli di costruzioni in contiguità e in strati ai quali si mescola ogni genere di infrastrutture capitalistiche in continua lavorazione. La citazione dell’antico nel moderno, il suggerimento fantasioso da epoche irripetibili non è rispettoso omaggio a grandezze ammirate ma simbolo di esausta fantasia sociale, becero sfruttamento venale, prevaricazione individualistica: a San Francisco, a Tokyo e a Chicago ci sono grattacieli-piramide; piramidali sono il nuovo municipio di Northampton, un progetto per la biblioteca di Harvard, un ipermercato di Abidjan e l’ingresso del Louvre. La piramide è una forma architettonica che non ha giustificazione razionale nel contesto urbano capitalistico: a differenza del “rettangoluzzo” gaddiano, spreca spazio; è un oggetto autonomo, partorito con un processo intellettualoide, fatto apposta per essere “originale” e poco riproducibile. L’ego dell’architetto famoso non gli permetterà di disegnare un’altra piramide dove se ne erge già una del suo concorrente; tutt’al più possono proliferare anonime piramidine nei supermercati, nei distributori di benzina, nelle pensiline alle fermate dei tram e nelle portinerie delle fabbriche.
La moltiplicazione di unità autonome urbane, accostate casualmente e mai organicamente congiunte, è la confessione di aver accettato nel profondo il principio del caos, dell’anarchia, dell’anti-organicità. Eppure la città non può non contenere anche la sua antitesi, il motore della sua estinzione e superamento, la chiave del trapasso in una società nuova. L’inusitata quantità di materiali, tecniche, soluzioni edilizie e strumenti produttivi è la chiave per superare non solo il plurimillenario modo di costruire case e città, ma anche il modo di tenere coesa la società che vi abita.
DOMANI
Scienza, tecnica, edificazione, abbattimento
È ovvio che la società di domani avrà come primo compito il recupero dell’esistente, nel senso che non potrà togliere di mezzo tutto ciò che sarebbe desiderabile né riedificare tutto e subito secondo nuovi progetti. Il suo sarà un compito immane, ma nello stesso tempo facilitato proprio dall’assetto capitalistico del territorio e dalla standardizzazione spinta dei processi produttivi. Le moderne tecniche di recupero, oggi applicate solo ai restauri di monumenti o di edifici di lusso che permettono un “ritorno” economico, potranno essere applicate anche alle abitazioni normali.
La stessa demolizione di edifici irrecuperabili seguirà criteri completamente diversi. Oggi si demolisce per convenienza anche ciò che sarebbe tecnicamente recuperabile; sarebbe impensabile, per via dei costi, demolire le vecchie abitazioni riciclandone le parti utili. Eppure ogni città è un accumulo del lavoro di generazioni e generazioni, fissato in materiali che, con un minimo di lavoro aggiuntivo, mantengono la loro utilità. Si son viste buttar giù vecchie case dei centri cittadini con rovina completa di travi, tegole, mattoni e serramenti, vetri. Son finiti nelle discariche anche il marmo e la pietra lavorata di zoccoli, conci, ballatoi, stipiti ecc. Domani, con lo stesso criterio che già adottano poche amministrazioni cittadine per l’arredo e la pavimentazione litica, saranno creati magazzini di materiale edilizio di recupero, come elementi del ricambio nel metabolismo della città.
L’antitesi della città capitalistica è quindi già nella sua struttura, nei suoi materiali e soprattutto nella tecnica che nel tempo si è affinata per costruirla e restaurarla. Per esempio, il cemento armato è oggi trattato con spregio dagli ecologisti: ma il materiale in sé non ne può nulla dei disastri ambientali; è il risparmio sul valore del capitale costante che produce “rettangoluzzi”. Il binomio cemento-acciaio può anzi agevolmente dar luogo alle forme più ardite in tecnica ed estetica. Liberando materiali e tecnologia dalla legge del valore sarà liberata la città e la vita di chi vi abita (cfr. “Il criminale cemento armato”, in Politica e costruzione cit.).
Dicevamo che sarà un lavoro immane. Maggiore di quello che fu necessario per far diventare le città quel che sono. Nel Manifesto Marx afferma che ben altri portenti ha compiuto la borghesia rispetto alle piramidi d’Egitto, agli acquedotti di Roma e alle cattedrali medioevali. Essa ha ucciso definitivamente il mondo della conservazione, ha avuto e ha bisogno di rivoluzionare continuamente ciò che esiste, ha reso cosmopolita il mondo della produzione. L’ha fatto con le sue concentrazioni urbane, con la tecnica e con le comunicazioni, che mettono le città in rapporto fra loro. “Una circolazione e un’interdipendenza multilaterale fra l’una e l’altra delle nazioni sostituiscono l’antica autosufficienza e l’isolamento locale e nazionale… La borghesia ha sottomesso la campagna al potere della città”. Anzi, non esiste più la campagna. Lo spazio fra le città è al servizio dell’uomo metropolitano, la terra è la banca del cibo, della pietra e del metallo. Il trasporto di uomini e merci, la comunicazione in genere attraversa questo spazio ma non lo integra, lo sottomette, lo plasma alle esigenze cittadine. Anche se tale spazio viene invaso dalle immense periferie, esso non diventa mai autonomo, rimane soggetto a forze centripete che lo fanno gravitare attorno al nucleo dove maggiore è la concentrazione di capitale. E gli stessi borghesi annotano che, come si parla di numero di abitanti per chilometro quadrato, così si può parlare di ammontare di capitale per unità di superficie. La specie umana dovrà drasticamente diminuire il primo parametro e cancellare per sempre il secondo. Su tutto il pianeta.
La città è un attrattore di capitale; un Paese-città attira capitale rendendo i Paesi-campagna periferia di servizio. Non è colonialismo, faceva già notare Lenin, non c’è dominazione politica, c’è estensione mondiale del lavoro socializzato, della divisione internazionale del lavoro. La colonia presuppone i coloni, uomini o truppe che siano. Adesso si muovono piuttosto i capitali (le truppe si trovano sul posto) e interi paesi assumono funzione di metropoli. Come l’effetto frattale si notava con uno zoom sul grattacielo-modulo (una città verticale nella città orizzontale), così lo stesso effetto frattale si osserva con uno zoom sulla città: che è modulo di un paese, e quest’ultimo è modulo di un insieme capitalistico più vasto.
In tale contesto la parte che conta della borghesia mondiale perde persino interesse nel coltivare direttamente la sua arma più potente, l’ideologia di classe. La sua vocazione internazionale, in un mondo ormai globalizzato, le fa dimenticare il vecchio armamentario ideologico il cui maneggio è tranquillamente lasciato alle mezze classi, zeppe di intellettuali in cerca di stipendio. Persa da tempo la sua carica propulsiva, la borghesia che conta lascia che l’ideologia come strumento di dominio continui a dominare attraverso un processo di auto-fertilizzazione all’interno della massa umana asservita nel suo complesso al Capitale. La borghesia come classe storica ha smesso così di assumere come fondamento ideologico un’etica e si appoggia sulla tecnica in tutte le sue forme. Democrazia, libertà, diritti, uguaglianza, benessere, diventano per essa categorie insignificanti, o perlomeno impregnate di significati dei quali si è ormai disfatta, puro mangime per l’anima del popolo. Abbandonato il terreno dello spirito e delle sue qualità, per la borghesia non ha più senso insistere sulla giustificazione morale della proprietà, degli interessi economici e del profitto. Essa è diventata completamente a-morale e vede ormai il suo mondo come un modello al computer, con input-output sensibili ai meccanismi regolatori interni, la cui taratura non richiede altro che particolari tecniche. La sua scienza è pragmatica, e quindi ottusa come un termostato: se fa caldo spegne l’interruttore, se fa freddo lo accende; le conseguenze “al contorno” sono irrilevanti, meri “danni collaterali”, come i bombardamenti americani fuori bersaglio; il resto dell’universo si arrangi. Si prendono certi provvedimenti piuttosto che altri perché sono i mercati “caldi” o “freddi” che lo impongono, i bisogni degli uomini non fanno parte del modello, che obbedisce a un solo comandamento: l’output, il valore che ne esce, deve essere maggiore dell’input, il valore che ne era entrato. La politica della borghesia non può quindi che essere legata ad entità esterne agli uomini; la città, l’intera rete di città, che della politica è sede, non può che essere fatta crescere di conseguenza.
Per l’economia è ancora necessario fare bilanci, stendere scartoffie che registrino le entrate e le uscite. Ma per il “bene generale” ciò diventa un fattore secondario, quel che importa è la crescita globale; il mondo non è regolato da una serie di bilanci ma da un modello globale stabilito dalle metropoli (e sempre di più da una metropoli), dove le entrate e le uscite sono sostituite da flussi di valore che devono dirigersi verso i luoghi in cui sono maggiori le garanzie di valorizzazione. Non importa in quale area del mondo essi si trovino, quel che importa è che la produzione del valore si sposi con il controllo dei flussi. Non importa più il banale calcolo economico di chi “guadagna” e chi “perde”: quel che importa è il Prodotto Interno Lordo, o meglio, il Prodotto Mondiale e il suo derivato pro-capite. Non importa se il risultato è la media fra classi separate da abissi. Confrontate con le vecchie unità di misura del benessere, fatti ad esse i conti in tasca, anche l’economista borghese ogni tanto sbotta: il Capitale è cresciuto a dismisura, al suo confronto la miseria ancora di più.
Noi comunisti lo sapevamo già, ovviamente, che più la società capitalistica vede accresciuta la massa di valore, più la classe lavoratrice ci rimette. La legge della miseria relativa crescente è la legge assoluta della società capitalistica. Ma adesso la nuova religione data in pasto al popolo è che solo nella crescita c’è la salvezza, e crescita vuol dire costruzione. Non costruzione di qualcosa di specifico, di utile, ma costruzione e basta. Non si creda che sia solo una follia berlusconiana tracciare schemi di trafori, ponti, autostrade, ferrovie e infrastrutture varie. È certo ridicolo vedere un ometto che crede di ridisegnare il mondo col pennarello in una trasmissione televisiva, ma non è poi così strano se teniamo conto che, prescindendo da ciò che l’individuo pensa di sé stesso, è in ultima analisi il Capitale a tirare i fili del burattino facendolo brutalmente parlare con la lingua dell’ideologia corrente: costruire, costruire, costruire…
A livello di uno scenario ben più vasto il presidente americano, un altro che in quanto a finezza personale non scherza, ha tracciato lo schema delle infrastrutture mondiali, delle arterie attraverso cui il flusso mondiale di valore si dovrà indirizzare. Per gli USA, bombardare l’Afghanistan è come far brillare le mine per la massicciata di una tangenziale, redigere un piano mediatico anti-islamico è come progettare una nuova metropolitana. E il popolo, credendo fervidamente alla crociata, sentitamente applaude.
“Mai il ciarlatanismo, il corbellamento del proprio simile, il gabellamento più sfrontato delle menzogne, hanno attinto così alto livello, come in questa epoca in cui siamo scientificamente governati giusta i canoni della tecnica” (Politica e costruzione cit.). Scienza e tecnica sono neutre, si dice, vanno al sodo e risparmiano le chiacchiere. Quando la scienza si accoppia contro natura col concretismo costruttivista noi drizziamo le orecchie perché lì c’è la fregatura. Il capitalismo, avendo fin troppo costruito, è preso nella morsa dell’alternativa: costruire ancora di più o distruggere. È difficile costruire e ricostruire oltre certi limiti nelle metropoli; ma non si può coprire l’intera superficie del pianeta di costruzioni e popolazioni; quindi non rimane che distruggere. Anche la rivoluzione distruggerà, ma nel senso di abbattere barriere per liberare e far avanzare la forza sociale dell’uomo, liberarlo dalla schiavitù della crescita e della tecnica asservita. Mentre l’autodistruzione necessaria alla sopravvivenza del capitalismo cancella non solo le cose ma anche la vita umana, la nostra “distruzione” riguarderà le strutture utili alla conservazione del capitalismo, sia quelle innalzate dai cantieri edili sia quelle, soprattutto, ideologiche, politiche, armate. “Occorre per questo uno studio della moderna tecnica, fatto con vastità di visione, senza nulla chiedere al singolo chiericozzo cui è affidato un banco nello spaccio della bestia trionfante” (id.).
Rivoluzione costruttivista?
Decenni di stratificazioni politiche hanno prodotto una percezione falsata della Rivoluzione russa. Oggi è abbastanza comune accettare il fatto che essa non è stata ciò che la storiografia stalinista ha voluto far credere; ma non è altrettanto comune la consapevolezza di ciò che è veramente stata, la consapevolezza che autentici sprazzi del domani l’avevano rischiarata. Ciò che la rivoluzione ha detto di sé stessa negli anni immediatamente successivi alla vittoria del ’17 non offre elementi sufficienti per la comprensione del fenomeno. Gli uomini che la stavano materialmente vivendo avevano ovviamente preoccupazioni diverse dal resoconto ragionato, e i loro scritti registrano più la battaglia sul campo che non lo sconvolgimento sociale dal punto di vista storico, dialettico, materialistico, anche se era questa la visione che, in quanto acquisito armamentario teorico, determinava il loro agire.
Sta di fatto che vi era rivoluzione non solo in Russia ma in Europa e nel mondo, ed essa coinvolgeva masse enormi di uomini, obbligandoli ad esprimersi con linguaggio molto più coerente di quanto fosse coerente la politica dei capi e dei partiti. E per linguaggio intendiamo la comunicazione in senso lato, il comportamento, l’azione, l’espressione artistica. Quando il motore della rivoluzione è unico – ricaviamo da un nostro classico testo – unico è lo stile che essa manifesta, indipendentemente dagli attori sulla scena e persino dai suoi militi.
La rivoluzione di quegli anni fu dunque mondiale e, a dispetto delle leggende, ebbe uno stile straordinariamente unitario. Fu una rivoluzione costruttivista, quindi ancora immatura, aperta alle influenze mortifere di una società che, benché decrepita, aveva ancora qualcosa da aggiungere. Le rivoluzioni mature liberano un futuro già pronto e hanno da sbarazzare la strada, da togliere di mezzo, da demolire ostacoli che impediscono il cammino verso la società nuova. Il paradosso russo è nel paradigma costruttivo, edificatorio, che contraddistinse persino i discorsi di Lenin: “Soviet più elettrificazione!”, una vera parola d’ordine che non sarebbe sfigurata in bocca al futurista Marinetti. A riprova dell’origine materiale delle espressioni e dei comportamenti, più unitario ancora fu lo stile della controrivoluzione che seguì: cancellando tutto lo straordinario fervore precedente, l’arte fascio-nazi-rooseveltiano-stalinista ebbe il sopravvento.
“Costruttivismo” non a caso è anche il nome di un movimento di avanguardie artistiche russe, che fu prima tollerato e poi spazzato via dallo stalinismo. Si trattò di un fenomeno parallelo ad altre correnti artistiche come il cubismo e soprattutto il futurismo. Se ci soffermiamo su di esso in particolare, è perché il suo nome è di per sé significativo, ma fu l’insieme del movimento artistico del primo quarto di secolo ad essere costruttivista. Certo, voleva demolire il vecchio modo di concepire l’arte, ma l’intento non era quello di andare da un’altra parte, era quello di costruire un’arte nuova.
I costruttivisti vollero progettare un nuovo linguaggio estetico basandosi sull’uso di nuovi materiali e sul riferimento alle tecnologie e ai metodi dell’industria. Si opposero alla separazione fra le arti e tentarono di impostare un lavoro unitario che le comprendesse tutte, che comprendesse anche la vita di tutti i giorni, il lavoro. La Rivoluzione d’Ottobre diede loro, ovviamente, energia ed entusiasmo.
Nel 1914 lo scrittore e critico letterario Sklovsky aveva cercato di dimostrare che le ricerche esplose con il futurismo facevano parte, o seguivano le stesse leggi, dell’evoluzione generale del linguaggio. Ora il linguaggio riceveva impulso dalla rivoluzione, doveva integrarsi con le “masse”, rompere le barriere che impedivano a queste ultime l’accesso all’arte. Ogni progetto artistico doveva avere la sua realizzazione pratica, ogni prodotto doveva risolvere un bisogno di consumo. Del resto – si affermava basandosi in modo meccanico sul binomio distruzione/costruzione – non era forse il vecchio mondo già distrutto dalla rivoluzione? Ecco perché rimanevano i compiti costruttivi. Così, nel 1919, mentre nasceva la nuova Internazionale, nasceva anche il progetto costruttivista per il suo monumento: una spirale di acciaio e vetro alta più di 300 metri, intersecata da un cubo, una piramide e un cilindro, quest’ultimo proiettato verso il cielo come un telescopio. L’ingenuo progettista, emulo di Eiffel, non si rendeva conto che le rivoluzioni innalzano monumenti a sé stesse solo quando hanno reso vittoriosa una classe che succede al potere di un’altra. La rivoluzione comunista non ha bisogno di costruire, tantomeno monumenti a sé stessa. La classe che demolirà la vecchia forma sociale, a parte la fase di transizione, non sostituirà un altro potere di classe, abolirà ogni classe, compresa sé stessa e darà luogo a ben altre imprese “monumentali” che un traliccio celebrativo in più.
Non vi era solo ingenuità nell’ideologia (ché di questo si trattava) costruttivista. La rivoluzione la spingeva comunque verso mete confuse ma proiettate nel futuro. Mentre nel Bauhaus tedesco si sviluppavano forme razionalistiche accompagnate da progetti per la produzione di oggetti d’uso comune da realizzare nelle fabbriche, nel 1920 a Mosca si cercava di non rimanere limitati ad una corrente “artistica” ma di integrare ancor più il movimento, il suo prodotto e la vita della gente comune (che non era ancora “l’eroico popolo rivoluzionario e patriottico” di Stalin): la fabbrica non doveva solo ricevere i disegni ma essere la vera sede dell’elaborazione artistica e della conseguente realizzazione.
L’arretratezza sociale della popolazione, per lo più ancora dedita all’agricoltura, sarebbe stata superata mediante la generalizzazione degli esperimenti comunistici, cui il progetto costruttivista avrebbe fornito le stutture e gli ambienti. Le elaborazioni architettoniche (solo in minima parte realizzate) sono, con gli oggetti d’uso comune (disegnati ed effettivamente prodotti), l’aspetto più interessante del costruttivismo russo. Accanto ad espressioni del tutto idealistiche vennero alla luce progetti dettati dalla necessità reale di superare non solo le condizioni esistenti in Russia, ma anche quelle del capitalismo occidentale. I volumi abitati e gli spazi prospettici dei razionalisti vennero in alcuni casi superati dalla compenetrazione di spazi, dove il gioco del pieno e del vuoto rifletteva l’esigenza di superare il concetto borghese di città. Vi sono assonometrie che sembrano effettivamente disegnate dalla società futura nel presente; vale a dire che non appaiono come progetti per un’utopia da realizzare, ma anticipazioni sulla carta di ciò che sarà l’effettivo bisogno umano di abitare e produrre. Il Wright “organico” urbano e il Le Corbusier “razionalista”, inscatolatore di uomini come sardine, sono superati per sempre da uno sprazzo di futuro, in un paese arretrato, su carte miracolosamente salvatesi dalla distruzione staliniana. Con buona pace degli odierni ambientatori di compromessi fra la produzione sociale e l’appropriazione privata (e delle parole in libera uscita sull’organicità e sul razionalismo architettonici).
La tipologia edilizia dei nuovi centri abbozzati dai costruttivisti supera nello stesso tempo il falansterio utopistico (unità integrata abitativo-produttiva) e la concezione tradizionale della “città del futuro”, una pedestre rielaborazione estetica e tecnologica delle città attuali, con tanto di fabbriche, case in condominio, automobili, parcheggi sotterranei o pensili, ecc. (l’espressione massima di queste idiozie si trova nei progetti di città-stazioni-spaziali orbitanti degli anni ’60, dove veniva racchiusa in gusci autosufficienti e proudhoniani una porzione della reazionaria società tipica della provincia americana).
Le strutture della futura comunità urbana saranno spazi e volumi organizzati per la vita sociale, dove non sopravviveranno, neppure sotto metamorfosi, le categorie della vecchia società (denaro, famiglia, scuola, azienda). Date le terribili condizioni in cui si trovava la Russia rivoluzionaria, gli spazi sociali urbani dei costruttivisti avrebbero dovuto svolgere la funzione di “condensatori sociali” in grado di accumulare l’energia potenziale della società in fermento e far scoppiare le potenti scintille dell’avanzata ulteriore. Anche se in questi progetti c’era un residuo di utopia (costruire le condizioni per la vera rivoluzione sociale), il loro disperato tentativo d’imporsi, il loro successo iniziale nonostante fossero alieni in un mondo primitivo, li innalza rispetto a molte correnti ben più radicate nella storia dell’architettura e dell’urbanistica. Sappiamo che questa esperienza finì, e che questo misto tra utopia ed effettiva anticipazione lasciò il posto ai teorici e costruttori del “socialismo in un paese solo”. Alla presentazione del primo piano quinquennale, nel 1928, i costruttivisti furono definitivamente sconfitti con l’accusa di bloccare i grandi piani per l’economia sovietica. Questo fu il vero, terribile problema: mentre in Occidente l’economia era da distruggere, in Russia doveva ancora essere costruita.
Verso la città organica o la non-città
Architettura organica: anche questo un aggettivo, come molti altri, ormai rubato. Generalmente sotto questa definizione vanno le architetture che esaltano la coerenza tra il disegno delle costruzioni, l’uso dei materiali e soprattutto il contesto topografico (suolo, paesaggio ecc.) in modo da valorizzare l’individualità psicologica di chi le abita. Esse si contrapporrebbero a quelle razionalistiche, che invece privilegiano la semplificazione della forma, il ricorso all’essenziale, l’aderenza alla realtà della produzione industriale come sistema sociale completo.
Non si tratta qui di appoggiare, confutare o comunque entrare nel merito delle diverse correnti. D’altra parte, nel contesto qui trattato, è impossibile non accorgersi che questa società ipersviluppata costringe persino architetti e urbanisti (ed è tutto dire) a scagliarsi contro alcuni aspetti del capitalismo. Dall’esplosione edilizia della rivoluzione industriale in poi sono esplose anche le critiche all’inurbamento incontrollato del territorio e con esse sono apparsi disegni, proposte, progetti che non sempre sono utopie o semplici opere letterarie. La Londra nera e miserabile di Dickens deve produrre come antitesi la “città giardino” di Howard (1898), un’unità urbana di 30.000 abitanti al massimo, di cui non più di 2.000 addetti all’agricoltura in grandi spazi che separano abitazioni e centri storici già consolidati.
Tuttavia in architettura e in urbanistica, più che in altri campi, abbiamo a che fare con correnti che inneggiano comunque alla riproduzione della società capitalistica, al massimo suggerendo espedienti per mitigarne alcuni difetti. Si tratta perciò di correnti che, lungi dall’essere illuminate da sprazzi del domani come quelle prima citate, sono plasmate esclusivamente dal presente in cui sono nate, vere forme di esistenzialismo architettonico e urbanistico. Anche se alcuni fanno risalire il razionalismo dei Gropius e dei Le Corbusier al fermento futurista, o l’organicismo di Wright al naturalismo poetico di un Whitman (ma come la mettiamo con il progetto del “grattacielo alto un miglio”?), si tratta di correnti perfettamente adatte all’ideologia della borghesia democratica industriale e non hanno nulla a che fare con alcuni caratteri distruttivi che si accompagnano a quelli costruttivistici tipici del futurismo e di altri movimenti analoghi. Tolto il quasi dimenticato (e un po’ sgangherato) esempio russo che abbiamo ricordato, l’architettura e l’urbanistica moderne si vendono senza speranza sulla strada della conservazione, anzi, essendo espressione di ipercostruttivismo, nel senso di “più cantieri ci sono, meglio è” (così cresce anche il PIL), rappresentano uno degli aspetti più reazionari della presente forma sociale, l’ultima ratio keynesiana cui ricorre il potere borghese quando è in crisi nera. Capaci di inneggiare persino al ponte sullo stretto di Messina e a tutto ciò che ne consegue.
La prova decisiva del fatto che gli edificatori dei nostri giorni sono meno progressivi di un monaco del Monte Athos, è nella loro assoluta cecità di fronte al fenomeno della de-costruzione capitalistica industriale. Insistendo nella costruzione forsennata di città sempre più estese, con conseguente sempre più difficile razionalizzazione dei problemi che ne derivano, vanno in retromarcia rispetto al veloce processo di distribuzione territoriale e di riduzione della densità operaia nel mondo della produzione. Ora, non c’è città al mondo e nella storia, come abbiamo visto, che non abbia seguito le vicende della produzione sociale nelle diverse epoche. L’odierna, forsennata concentrazione abitativa capitalistica è seguita alla concentrazione del Capitale, riportando alla scala urbana ciò che succedeva nella fabbrica. Se si continua a pensare in termini di concentrazione degli uomini nelle città nonostante l’avvento della centralizzazione del controllo su elementi decentrati della produzione, vuol dire che un potente fatto economico e ideologico blocca i cervelli. Mentre la realtà della produzione è già una nuova espressione del cervello sociale, la realtà urbanistica è ancora abbondantemente espressione di vecchi, vecchissimi rapporti sociali.
L’attrattore urbano di masse contadine è stata la fabbrica, dove il nuovo operaio era stato messo a collaborare con altri operai fino a che, col passaggio dalla manifattura al sistema d’industria, l’insieme degli operai parziali era venuto a formare l’operaio globale. L’accrescimento del lavoro combinato fu una conquista storica che portò al ciclo di produzione verticale e all’azienda concentrata. Quando i mezzi di comunicazione, le nuove tecnologie e soprattutto il nuovo assetto finanziario del capitale portarono alla formazione di holding che riunivano sotto un solo controllo molte fabbriche differenziate, la vecchia concentrazione diventò obsoleta e la grande industria padronale fu sostituita da una più snella rete produttiva diffusa sul territorio, fatta prevalentemente di piccole e medie unità produttive fra loro collegate. Nello stesso tempo proprio le città, sempre più congestionate e inquinate, avevano contribuito al processo espellendo la produzione dai centri e relegandola nelle periferie. La “zona industriale” rappresenta il paradigma del nuovo assetto produttivo: tante fabbriche dedite a non importa quale produzione, dislocate su aree attrezzate e connesse fra loro mediante infrastrutture, il tutto fornito dalla finanza pubblica a vantaggio del capitalismo privato.
Perciò oggi, mentre la densità di capitale (il controllo unico su molteplici attività) tende ad aumentare, la densità di unità produttive tende a diminuire, e con essa tende a diminuire la densità operaia per unità produttiva. In poche parole, nel mondo la produzione risulta distribuita in un numero sempre più alto di fabbriche, più piccole, più automatizzate e più orientate a una produzione specifica. Persino le nuove dottrine militari della borghesia, e il suo comportamento sul campo di battaglia, corrispondono a questo nuovo assetto della produzione e del suo controllo: unità combattenti più snelle, tecnologicamente più attrezzate, con un volume di fuoco maggiore, più collegate e informate, più distribuite sul territorio, in un campo di battaglia che non conosce più fronti ma che permea tutto il territorio e la popolazione.
Come si vede, l’assetto urbanistico moderno, nato e cresciuto a immagine e somiglianza del Capitale fino all’epoca della sua concentrazione massima, non corrisponde più né alle esigenze del capitalismo stesso né alla sua intima struttura. Ormai le mostruose megalopoli stanno perdendo addirittura abitanti e attività, dimostrando anche in ciò che il ciclo storico borghese è al tramonto. Fin da ora si potrebbe accelerare enormemente il processo, sfoltire la densità dei centri urbani e redistribuire più razionalmente la popolazione sul territorio. Invece la popolazione tende a rimanere comunque concentrata intorno alle strutture esistenti; spostandosi semplicemente nella fascia suburbana, segue la nuova dislocazione dell’industria e fa aumentare spaventosamente sia il traffico che il tempo sprecato in esso. Già, perché le strutture esistenti non si possono spostare a piacimento, si possono soltanto smantellare. E siccome la rendita aborre lo spazio edificabile vuoto, ecco che si edificano case di lusso o uffici sulle aree delle vecchie fabbriche centrali, cacciando gli operai in periferia.
La rottura rivoluzionaria avrà come primo effetto quello di iniziare il processo di ricondizionamento ad uso abitativo di tutti i volumi oggi adibiti alla gestione del valore e della proprietà, di dare il via alla sistematica demolizione di tutti gli edifici costruiti con metodi e materiali scadenti, perciò dissipatori di energia, bisognosi di eccessiva manutenzione e non durevoli nel tempo. Analogamente inizierà lo sfoltimento delle metropoli e la loro trasformazione in più unità urbane meglio vivibili: sia con lo spostamento spontaneo della popolazione verso luoghi un tempo fiorenti e attualmente quasi disabitati, in cui si trasferiranno produzioni adatte e si ristruttureranno i volumi abitativi esistenti; sia con la demolizione degli edifici sorti da ondate speculative e con la realizzazione, al loro posto, di aree verdi, in modo che sia avviata l’integrazione della città con la campagna anche tramite spazi che si compenetrano e armonizzano.
Tutto il moderno sistema produttivo è ormai in grado di rispondere perfettamente alle esigenze della nuova società; già oggi unità produttive con pochi operai rispetto a quelle dello storico periodo delle concentrazioni sono collegate a grandi distanze per mezzo di organismi coordinatori unici, all’interno della stessa proprietà industriale o fra proprietà diverse, senza che la generale disciplina produttiva abbia a soffrirne, anzi, al contrario. Domani, fermo restando il lavoro coordinato in relazioni sempre più vaste, e scomparsa l’inutile proprietà, sarà possibile accentuare al massimo le esigenze umane, con la dislocazione razionale dei mezzi di produzione, delle persone e delle abitazioni, con lo studio scientifico e quindi con la progettazione dell’intero assetto del pianeta, compreso quello delle zone da lasciare disabitate per armonizzare l’esistenza della specie homo con quella di tutte le altre specie animali e vegetali: “Allora il verticalismo bruto dei mostri di cemento sarà deriso e soppresso, e per le orizzontali distese immense di spazio, sfollate le città gigantesche, la forza e l’intelligenza dell’animale uomo progressivamente tenderanno a rendere uniforme sulle terre abitabili la densità della vita e la densità del lavoro, resi ormai forze concordi e non nemiche” (cfr. Spazio contro cemento).
Letture consigliate
- Partito Comunista Internazionale, Politica e costruzione, “Prometeo”, II serie, n. 4, luglio-settembre 1952. Spazio contro cemento, “Il programma comunista” n. 1 del 1953. Ora entrambi in Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale, Ed. Quaderni Internazionalisti.
- Partito Comunista Internazionale, Riunione di Forlì, dicembre 1952, Il programma immediato della rivoluzione proletaria, Opuscolo “Sul filo del tempo”, 1953. Ora in Per l’organica sistemazione dei principii comunisti, Ed. Quaderni Internazionalisti.
- Il cervello sociale; Operaio parziale e piano di produzione. Rispettivamente su n+1 del maggio e del settembre 2000.
- Isaac Asimov, Trilogia galattica, Mondadori, 1961.
- Carlo Emilio Gadda, Le meraviglie d’Italia, Einaudi, 1964.
FONTE: https://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/08/decostruzione_urbana.htm
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
ANALISI VIBRAZIONALE AVANZATA (AVA): UN ALGORITMO INNOVATIVO PER L’ESECUZIONE DI INTERCETTAZIONI AMBIENTALI
di Francesco Rundo, Sebastiano Battiato, Sabrina Conoci e A. Luigi Di Stallo
[vc_row] [vc_column width=”5/6″] Decreto legislativo 29 dicembre 2017, n. 216
Con decorrenza Gennaio 2018, entra in vigore la riforma della disciplina delle intercettazioni attuata con il decreto legislativo 29 dicembre 2017, n. 216: “Disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83 e 84, lettere a), b), c), d) ed e), della legge 23 giugno 2017, n. 103”.
La riforma rafforza il ruolo delle intercettazioni come indispensabile strumento di indagine ed investigazione forense. Nell’ambito di questa riforma, gli autori intendono illustrare nel presente articolo, una innovativa pipeline di elaborazione dati che consente, sotto opportune ipotesi, la ricostruzione delle conversazioni tra due o piu’ soggetti, dal solo filmato video (a risoluzione e frame-rate tipici di uno dispositivo di acquisizione video di ultima generazione) senza avere accesso alla relativa traccia audio associata.
DOCUMENTO QUI: https://www.sicurezzaegiustizia.com/wp-content/uploads/2018/04/SeG_I_MMXVIII_RUNDO.pdf
Panoramica sulla normativa in merito alle intercettazioni ambientali. Criticità dei sistemi attuali
Recentemente è stata approvata la riforma della disciplina delle intercettazioni attuata con il decreto legislativo 29 dicembre 2017, n. 216. Il decreto, recante “Disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83 e 84, lettere a), b), c), d) ed e), della legge 23 giugno 2017, n. 103”, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 8 dell’11 gennaio scorso. La riforma conferma il ruolo delle intercettazioni come fondamentale strumento di indagine e mira a creare un giusto equilibrio tra la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione e il diritto all’informazione. Pertanto, alla luce del suddetto riassetto normativo, appare certamente idoneo discutere di nuovi approcci per l’esecuzione delle intercettazioni, nello specifico, quelle ambientali, considerate peraltro le nuove disposizioni in tema di utilizzo dei cosiddetti “trojan horse” .
Le intercettazioni ambientali sono realizzate in una moltitudine di modi, impiegando le più svariate tecnologie. Prevalentemente vengono utilizzati microspie, microregistratori, microfoni direzionali, tracciamento GPS, ecc. Ad ogni modo il posizionamento di questi dispositivi è operazione rischiosa e complessa che può in alcune ipotesi rallentare o addirittura vanificare le attività investigative, soprattutto quando le controparti intercettate, ipotizzandone la presenza, operano opportune bonifiche ambientali volte a vanificare l’operato degli inquirenti. Dunque, una tecnologia che permetta di acquisire una conversazione tra due soggetti (ed il relativo filmato video), senza il posizionamento di microspie o altri captatori elettronici equivalenti, può certamente migliorare il lavoro degli investigatori, in questa delicata fase di indagine.
AVA: Analisi Vibrazionale Avanzata per l’esecuzione di intercettazioni ambientali
Quando un’onda sonora (vibrazione meccanica) investe un oggetto, genera delle micro-vibrazioni superficiali nell’oggetto stesso, spesso impercettibili all’occhio umano. Un team di ricercatori del prestigioso MIT di Boston, guidati dal Prof. Freeman, ha messo a punto un sistema algoritmico-matematico che analizzando esclusivamente informazioni video ad alto frame-rate, dell’oggetto investito dall’onda sonora, è in grado di estrarre micro-vibrazioni e recuperare con buona approssimazione il suono che originariamente, le ha prodotte. Tutte le informazioni su tale ricerca si trovano in [1]. Questo algoritmo, pertanto, è in grado di ripristinare i suoni da filmati “high speed” riferiti ad una varietà di oggetti con proprietà fisiche-chimiche diverse.
In questo articolo gli autori, tuttavia, propongono una piccola modifica all’algoritmo originario, integrando recenti tecniche di machine learning. Il metodo di seguito illustrato, rileva visivamente piccole vibrazioni in un oggetto, che rispondono al suono che lo sta investendo superficialmente, convertendo queste vibrazioni in un segnale audio verosimilmente prossimo a quello originario, trasformando pertanto, oggetti visibili di tutti i giorni in potenziali microfoni. Per recuperare il suono dalle micro-vibrazioni prodotte sull’oggetto a cui è diretto, preliminarmente è necessario acquisire un video senza audio, anche a distanza, in cui è presente l’oggetto ed il suono da recuperare, utilizzando una videocamera con alto frame-rate. Oggigiorno, i dispositivi video di ultima generazione sono dotati di sensori di acquisizione capaci di registrare video con elevata risoluzione e ad alto frame-rate, per cui l’algoritmo proposto può essere riprodotto anche a costi sostenibili. Una volta ottenuto il video, le informazioni di movimento vengono estratte attraverso una tecnica nota come “Complex Steerable Pyramid” descritta in [2].
Questi segnali di moto (micro-vibrazioni opportunamente processate) saranno dunque, allineate e mediate ulteriormente in un singolo segnale di movimento 1D (monodimensionale) che è correlato al movimento globale dell’oggetto nel tempo. Alla fine, questo segnale sarà uleriormente filtrato in frequenza e depurato dal rumore, al fine di ricostruire il suono originario correlato alle informazioni di movimento (micro-vibrazioni). La ricostruzione del segnale di partenza dai segnali di moto, oltre che dal metodo sopra esposto, viene parallelamente ricostruita da un sistema di “Stacked Autoencoders(SAEs)“ con Softmax layer di output, opportunamente addestrato, che si occuperà di ricostruire il suono originario mediante algoritmi di apprendimento di tipo “Error Back Propagation” con “Regularized Empirical Risk” al fine di evitare problematiche di overfitting del sistema [3]. Questo metodo, proposto dagli autori, rende piu’ accurato e robusto il procedimento di ricostruzione e stima del suono di partenza, rispetto al metodo originariamente proposto dal team dell’MIT. Si osservi che la propagazione delle onde sonore in un materiale dipende da vari fattori: la densità del materiale, la comprimibilità del materiale, la forma, ecc.. In [1]-[2] è riportato uno studio ampio e particolareggiato in cui si analizzano le risposte analitiche di diversi oggetti e materiali. La seguente figura mostra la pipeline che gli autori propongono per la ricostruzione del segnale audio:
Di seguito alcuni richiami matematici dell’algoritmo sul quale si basa la piattaforma AVA (Analisi Vibrazionale Avanzata) che viene proposta nel presente contributo. Il suono in ingresso s(t) (il segnale che vogliamo recuperare) è composto da fluttuazioni o onde meccaniche che esercitano una certa pressione sulla superficie di alcuni oggetti, nello specifico, riferendoci alla Figura 1, ci concetriamo, ad esempio, all’oggetto in plexiglass che si trova tra i due soggetti che stanno conversando e la cui conversazione (segnale s(t)) vorremmo ricostruire dal solo segnale video V(x,y,t), ripreso dal sistema di acquisizione posto in alto nella scena.
Le suddette fluttuazioni o onde meccaniche, generano delle micro-vibrazioni nell’oggetto (impercettibili ad occhio nudo), determinando una dinamica vibrazionale nel tempo che sebbene apparentemente invisibile, è di fatto presente e dunque lo sarà anche nel filmato video che stiamo acquisendo. Nello scenario di figura 1,ad esempio, le micro-vibrazioni generate dalla conversazione dei sue soggetti, nell’oggetto in plexiglass che si trova tra di loro, saranno incluse nel video che sta filmando l’intera dinamica reale. A questo punto, elaboriamo il video registrato con il nostro algoritmo per ricostruire il suono s’(t).
Dunque, schematizzando la pipeline: l’input del nostro sistema è un video V(x,y,t) di un oggetto, acquisito tipicamente con un frame-rate nel range 1kHz-20kHz. Assumiamo che in questo video sono incluse implicitamente le micro-vibrazioni legate ad un suono s(t) che ha investito la superficie di questo oggetto. Il nostro obiettivo è ricostruire s(t) da V(x,y,t) stimandolo con un segnale ricostruito s’(t).
Procediamo in tre passi. Per prima cosa, scomponiamo il video di input V(x,y,t) in sottobande tempo-spaziali corrispondenti a diversi orientamenti θ e scale r. Quindi calcoliamo i segnali di motion locali e per un sotto-insieme di pixel, di orientamento e di scala. Combiniamo questi segnali di motion attraverso una sequenza di operazioni di media e allineamento per produrre un singolo segnale 1D correlato al movimento globale dell’oggetto. Parallelamente, i suddetti segnali di moto, andranno in input ad un sistema di SAEs opportunamente addestrato, il quale ricostruira il segnale s’(t). Infine, applichiamo delle tecniche classiche di denoising audio e tecniche di filtraggio in frequenza del segnale, per migliorarne la qualità.
Per calcolare, nel primo passo, le sottobande spaziali corrispondenti a differenti orientamenti e scale, applichiamo il metodo Complex Steerable Pyramid [2] usando funzioni-basi Gabor-like wavelets. Per il filtraggio e la separazione di ampiezza e fase, nella trasformazione wavelet, usiamo filtri seno e coseno. Pertanto, ad ogni scala r ed orientamento θ possiamo associare un’immagine complessa che può essere espressa in termini di ampiezza A e fase φ:
Ciò premesso, prendiamo i valori di fase locali φ come sopra calcolabili e vi sottraiamo il valore della fase locale riferita ad un frame di riferimento t0 (in genere il primo frame del video) per calcolare le variazioni assolute di fase:
È stato dimostrato che in ipotesi di micro-movimenti (o movimenti infinitesimali), queste variazioni di fase sono approssimativamente proporzionali a micro-spostamenti nella struttura dell’immagine sorgente lungo la direzione corrispondente l’orientamento θ e la scala r [4].
Nel metodo Complex Steerable Pyramid, per ogni orientamento θ e scala r, calcoliamo una media spaziale-ponderata dei segnali di motion locali al fine di ottenere un unico segnale di movimento Φ(r,θ,t) per ciascuna coppia (θ, r). Questa operazione ci permette di compensare alcuni drawbacks del suddetto approccio[2], riscontrabili principalmente nelle aree di immagini dove non vi è sufficiente contenuto informativo (textures) il che produrrebbe, inevitabilmente molto rumore nel calcolo delle variazioni di fase, come da equazioni sopra riportate. Applicando il suddetto approccio, la variazione di fase unica per ciascun motion signal i-esimo, può essere calcolata facendo riferimento ad una misura media dell’ampiezza A (correlata al contenuto informativo della relativa texture), tipicamente, il suo valore quadratico pesato opportunamente dalla corrispondente variazione di fase assoluta(rispetto al frame t0):
Prima di calcolare la media di Φ(r,θ,t) su scale e orientamenti diversi, gli autori in [2] suggeriscono un allineamento temporale per evitare distorsioni nel segnale risultante dalla media. Pertanto, il segnale unico ottenuto da questo allineamento temporale e dalla media pesata lungo ciascun orientamento e scala i-esimo, potrà essere calcolato risolvendo un problema di ottimizzazione come di seguito esposto:
Dove con Φ0(r0,θ0,t) si rappresenta un segnale motion di riferimento, scelto arbitrariamente durante il procedimento di averaging(media). A questo punto, il nostro segnale audio stimato s’(t) correlato al segnale unico di motion, come sopra calcolato, sarà cosi determinato (opportunamente normalizzato):
Gli autori suggeriscono, altresì, di abbinare in parallelo, un apprendimento di tipo “Error Back Propagation” sui dati con target s(t) mediante l’utilizzo di sistemi SAEs con un layes neurale hidden ed uno strato di uscita Softmax per la ricostruzione del segnale. Il segnale cosi stimato sarà denominato sn’(t) e potra essere opportunamente mediato con s’(t) al fine di migliorarne la qualità. Infine, il segnale audio stimato s’(t) sarà ulteriormente processato al fine di migliorare il Signal to Noise ratio(SNR) ovvero il rapporto segnale-rumore. In [2] i ricercatori che hanno validato estesamente questa pipeline, hanno notato la presenza di una intensa componente di rumore alle basse frequenze, dell’audio ricostruito. Per risolvere questo problema, molti autori suggeriscono l’utilizzo di un filtro Butterworth passa-alto con frequenza di cutoff nel range 20-100Hz o in generale, pari ad 1/20 della frequenza di Nyquist, del segnale ricostruito. Talvolta, questo filtraggio è stato applicato al segnale , prima del procedimento di media ed allineamento sopra descritto. Una possibile limitazione della tecnica presentata finora è correlata alla necessità di acquisire un video con un frame-rate alto, sebbene l’hardware oggi disponibile permette di superare agevolmente questo constraints, a costi peraltro sostenuti. Ad ogni modo in [2] gli autori suggeriscono diverse tecniche per eliminare questo limite. L’esecuzione delle suddette post-elaborazioni può essere eseguita su un framework che gli autori propongono composto da microcontrollori a 32 bits [5] con elevate capacità computazionali che si potranno occupare di eseguire l’algoritmo Complex Steerable Pyramid ovvero il pre-processing temporale ed il post-processing e filtraggio in frequenza , sopra descritto.
Per la parte relativa all’apprendimento SAEs, gli autori propongono l’utilizzo di sistemi hardware ad-hoc capaci di eseguire il learning previsto per i suddetti modelli. I sistemi descritti in [6] ben si addicono a questo genere di computazioni in quanto presentato un ottimo trade-off tra capacità di calcolo e velocità di esecuzione. Nel video riportato in [7] e nella pagina descrittiva del team di ricercatori dell’MIT [1], sono riportati degli esempi applicativi che mostrano la validità del metodo ivi illustrato.
Conclusioni e visione prospettica
Nel presente contributo gli autori hanno mostrato come la piattaforma AVA basata sull’analisi delle micro-vibrazioni di oggetti, di uso comune, in risposta al suono (onda meccanica) che li investe in superficie, può essere usata efficacemente per recuperare il relativo audio, trasformando pertanto questi oggetti in “microfoni visivi”. L’ulteriore layer di ricostruzione intelligente, proposta dagli autori e basata su sistemi SAEs rende più efficace il metodo proposto sicchè quest’ultimo può essere valutato come valido strumento per l’esecuzione di intercettazioni ambientali a costi sostenibili e con metodiche di altissimo spessore scientifico. Ovviamente, esistono dei punti su cui la suddetta tecnologia può essere ulteriormente migliorata, tuttavia rimane un buon punto di partenza per innovare questo settore di cruciale importanza nell’indagine forense.
Bibliografia
[1] http://people.csail.mit.edu/mrub/vidmag/
[2] Abe Davis, Michael Rubinstein, Neal Wadhwa, Gautham J. Mysore, Fredo Durand, William T. Freeman, “The Visual Microphone: Passive Recovery of Sound from Video” , ACM Transactions on Graphics (Proc. SIGGRAPH), 2014, Vol. 33(4) pag. 79:1–79:10.
[3] Bishop, C. M. Pattern Recognition and Machine Learning. Springer, New York, NY, 2006.
[4] Gautama, t., and Van Hulle, “A phase-based approach to the estimation of the optical flow field using spatial filtering”. IEEE Transactions on Neural Networks, 2002, 13, 5 (sep), 1127 – 1136;
[5] http://www.st.com/en/microcontrollers/stm32-32-bit-arm-cortex-mcus.html , 2018
[6] http://www.st.com/content/st_com/en/about/media-center/press-item.html/t4010.html , 2018
[7] https://www.youtube.com/watch?v=FKXOucXB4a8. ©
FONTE: https://www.sicurezzaegiustizia.com/analisi-vibrazionale-avanzata-ava-un-algoritmo-innovativo-per-lesecuzione-di-intercettazioni-ambientali/
DIRITTI UMANI
LA POLITICA DELLA LOUISIANA INTESA A RIFORMARE IL CONFINAMENTO SOLITARIO LASCIA ANCORA LE PERSONE IN UN BLOCCO A TEMPO INDETERMINATO
I funzionari affermano che il numero totale di persone in alloggi restrittivi è diminuito, ma lo stato non conserva dati sufficienti per corroborare tale affermazione.
IL 24 LUGLIO 2021, Kermit Parker, noto anche come detenuto n. 129332, non si sarebbe messo in ginocchio.
Gli agenti stavano cercando di trattenere Parker, che, insieme a decine di altre persone incarcerate, era in sciopero della fame per protestare contro le condizioni di isolamento presso il David Wade Correctional Center della Louisiana a luglio.
Quando non si è inginocchiato, gli ufficiali hanno urlato, spruzzato di pepe e incatenato, e lo hanno scritto.
La carica? “Disobbedienza aggravata”.
La punizione? Un mese e mezzo in isolamento.
Le pareti soffocanti, l’oscurità inquietante e il pavimento duro come la roccia della cella di 3,5 piedi per 8,5 piedi erano familiari a Parker. Un anno e mezzo prima, nel gennaio 2020, Parker era stato accusato di aver colpito un altro prigioniero con un manico di scopa all’Elayn Hunt Correctional Center. Parker ha negato le accuse, ma è stato dichiarato colpevole in un’udienza disciplinare ed è stato condannato a 90 giorni di segregazione disciplinare, una forma di isolamento in cui sarebbe stato rinchiuso nella sua cella per 23 ore al giorno.
Per scontare il suo tempo, è stato trasferito a David Wade, che è stato utilizzato come campo disciplinare nel sistema carcerario della Louisiana ed è attualmente oggetto di un’azione legale collettiva secondo cui le persone incarcerate sono tenute in alloggi restrittivi per lunghi periodi di tempo, ha rifiutato un’adeguata assistenza sanitaria mentale e regolarmente deriso e umiliato dalle guardie. (Gli avvocati del Dipartimento di Pubblica Sicurezza e Correzioni della Louisiana, o DPSC, hanno sostenuto in documenti legali che fornisce un’adeguata assistenza per la salute mentale e utilizza alloggi restrittivi “appropriatamente” per “garantire la sicurezza pubblica” a David Wade.)
A Parker è stato detto che sarebbe stato trasferito di nuovo a Elayn Hunt alla fine dei suoi 90 giorni.
Ma invece, ha trascorso oltre 18 mesi in isolamento, dove afferma che gli sono stati negati i farmaci per le sue condizioni mediche, spogliato dei suoi beni – compresa la sua fede nuziale – e spruzzato al pepe e abusato dalle guardie.
“Il dolore faceva parte della mia frase”, ha scritto Parker in una lettera condivisa con The Intercept e The Lens, aggiungendo che gli aveva messo a dura prova. “A differenza dei detenuti che hanno paralizzato dalla paura”, ha continuato, “sarò una voce per gli spaventati, i picchiati, i distrutti, i dimenticati!”
Sebbene il suo tempo a David Wade sia durato molto più a lungo della sua sentenza disciplinare, il fatto che a Parker sia stata persino data una condanna specifica in primo luogo è il risultato di una nuova “matrice di sanzioni disciplinari” intesa a fornire una rubrica trasparente per la punizione in tutta la Louisiana sistema carcerario. In precedenza, i prigionieri potevano essere condannati a quello che veniva chiamato “blocco esteso” per periodi di tempo indefiniti. Ora la matrice impone una serie di punizioni per infrazioni disciplinari specifiche e presumibilmente fissa limiti massimi all’uso della segregazione disciplinare. La riforma, sviluppata in collaborazione con il Vera Institute of Justice, un’organizzazione nazionale per la riforma della giustizia penale, è stata sperimentata in due strutture a partire dal 2018 e introdotta in tutto il sistema all’inizio del 2020. È diventata la politica ufficiale del dipartimento nel marzo 2021. Nonostante le nuove politiche, molti prigionieri, come Parker, stanno ancora affrontando un blocco a tempo indeterminato.
Interviste con 17 persone in quattro carceri della Louisiana, revisioni di record disciplinari individuali e analisi di dati limitati forniti dal DPSC mostrano che il caso di Parker non è un’anomalia. Nonostante i limiti all’isolamento delineati nella matrice, il sistema carcerario ha continuato a mettere le persone in isolamento per periodi di tempo indefiniti per reati minori e definiti ambiguamente, spesso non violenti. Nelle lettere condivise con The Intercept e The Lens, più di una dozzina di persone che sono state trasferite a David Wade da Elayn Hunt per scontare le accuse disciplinari hanno scritto di essere state tenute in isolamento per molto tempo dopo la loro condanna, in condizioni disastrose. La matrice ha permesso al DPSC di continuare a fare ciò che ha sempre fatto, hanno sostenuto, ora all’insegna della riforma.
I registri del DPSC, ottenuti tramite richieste di registri pubblici, mostrano che le persone venivano tenute in segregazione a tassi simili a prima dell’implementazione della matrice – spesso per accuse non violente – e spesso per mesi interi. Mostrano anche che, piuttosto che essere rilasciate alla popolazione generale, le persone a volte vengono spostate dalla segregazione disciplinare alla “segregazione preventiva”. Questa forma di alloggio restrittivo non viene utilizzata in risposta a una specifica infrazione disciplinare, ma piuttosto quando una commissione di classificazione determina che un detenuto è “un pericolo per il buon ordine e la disciplina dell’istituto”. In pratica, c’è poca differenza tra i due.
Il DPSC ha risposto in modo intermittente alle domande relative alle accuse fatte da persone incarcerate e sostenitori riguardo alla matrice. In una e-mail, un portavoce del DPSC ha definito Parker un “problema disciplinare continuo”, osservando che ha ricevuto 280 verbali e ha difeso l’uso dello spray al peperoncino da parte degli agenti se necessario per “sedare un disturbo”. Seth Smith, capo delle operazioni del DPSC, ha concesso un’intervista a The Intercept e The Lens a marzo, durante la quale ha risposto alle domande sulla matrice.
L’agenzia non ha risposto a un elenco dettagliato di domande relative ai risultati di questa indagine, inviato loro il mese scorso, fino a poco tempo dopo la pubblicazione di questo articolo. In una e-mail, Ken Pastorick, un portavoce, ha affermato che il dipartimento “ha ridotto drasticamente l’uso generale di alloggi restrittivi” e che il suo obiettivo “è sempre stato e rimane quello di ridurre l’uso di alloggi restrittivi”.
Ma ha affermato che ci sono stati “dolori crescenti” nel processo, citando Covid-19 e “sfide di risorse su alloggi e operazioni”. Ha anche rifiutato di commentare ulteriormente le accuse specifiche fatte da persone incarcerate.
Pubblicamente, il DPSC ha ammesso che, nonostante l’intento della matrice di fornire linee guida chiare sulle sanzioni, i prigionieri sono spesso tenuti in isolamento al di là di quanto richiesto a causa della mancanza di spazio letto in altri contesti meno restrittivi e di personale inadeguato.
Tuttavia, i funzionari della prigione suggeriscono che la politica ha ridotto complessivamente il numero di persone in alloggi restrittivi. Tale affermazione, tuttavia, è difficile da misurare. I funzionari indicano uno studio del 2020 che mostra che il numero di persone detenute in alloggi restrittivi in Louisiana nel 2019 era drammaticamente inferiore a quello del 2017 – dati auto-riferiti dal DPSC e definiscono “case restrittive” solo come periodi di isolamento della durata di 15 giorni o più.
Inoltre, nonostante un accordo con Vera, la Louisiana ha fornito dati sull’uso di alloggi restrittivi solo in due delle otto strutture da quando è stata implementata la matrice disciplinare. Queste due strutture rappresentano meno della metà della popolazione detenuta nelle carceri statali. I record coprono anche solo una parte del tempo in cui la matrice era in vigore.
In un rapporto successivo al completamento della partnership nel dicembre 2020, Vera ha affermato che le carceri della Louisiana hanno compiuto “notevoli progressi” nel ridurre l’uso della solitaria, ma non hanno fornito alcuna misura quantitativa che mostri se o quanto sia effettivamente diminuita. (In un rapporto simile nello stato di Washington, Vera ha descritto la diminuzione percentuale nell’uso di alloggi restrittivi, la durata media del soggiorno e i dati demografici delle persone poste in segregazione.)
Alla richiesta di approfondire l’affermazione sul “progresso”, un portavoce di Vera ha affermato che le riforme attuate finora forniscono “un percorso” verso la riduzione dell’isolamento, ma che sono necessarie ulteriori riforme per “ottenere una riduzione sostanziale e sostenibile della segregazione”. In risposta a una domanda sulla scoperta che le persone sono tenute in segregazione oltre la quantità di tempo a cui sono state condannate secondo la matrice, il portavoce ha ribadito che il DPSC potrebbe “continuare ad attuare le riforme”.
Alcuni sostenitori sono stati a lungo scettici sull’impegno della Louisiana per la riforma. Haller Jackson, un ex avvocato che è stato rilasciato dal Penitenziario di Stato della Louisiana nel giugno 2020 dopo aver scontato una condanna a cinque anni, ha descritto la politica come “uno sforzo di rebranding”.
La matrice è stata pubblicizzata come uno sforzo per “correggere un processo che era pieno di abusi del giusto processo e tribunali canguri”, ha detto. “Ma in pratica, non è cambiato niente.”
Una “visione audace” per le riforme
La Louisiana è stata definita la “capitale carceraria del mondo”, che incarcera più persone pro capite di qualsiasi altro stato in un paese che imprigiona più cittadini che in qualsiasi altra parte del mondo. La sua struttura di punta è il famigerato penitenziario statale della Louisiana, un’ex piantagione di schiavi meglio conosciuta come “Angola” in riferimento alla patria dei suoi avi contadini.
All’interno delle mura di queste carceri, tassi “enormi ed estesi” di isolamento per ragioni arbitrarie e incoerenti hanno portato a richieste di riforma locali e nazionali all’inizio degli anni 2010.
Nel 2017, DPSC ha collaborato con Vera per “sviluppare una visione audace” per ridurre l’isolamento. L’organizzazione ha rilevato che tra il 2015 e il 2016, l’isolamento era quasi quattro volte più comune in Louisiana rispetto alla media nazionale, spesso utilizzato per “periodi di tempo indeterminati e prolungati”, con condizioni “spesso dannose per la salute e la sicurezza” dei detenuti. e processi disciplinari “definiti in modo vago” e “applicati in modo incoerente”. La collaborazione è stata supportata da una sovvenzione di 2,2 milioni di dollari dall’Ufficio di assistenza alla giustizia del Dipartimento di Giustizia per sostenere gli sforzi di Vera per la riforma carceraria in 10 stati, inclusa la Louisiana.
La partnership mirava a “ridurre l’uso della segregazione del 25%, eliminarne l’uso per specifiche popolazioni vulnerabili, ridurre il tempo che le persone trascorrono in segregazione, migliorare le condizioni in queste unità e affrontare eventuali disparità razziali ed etniche nell’uso del sistema di segregazione.”
Questo sforzo è culminato nella matrice, un denso documento di 29 pagine che enumera 30 categorie di accuse che possono comportare il collocamento in “segregazione disciplinare” o altre conseguenze, come la perdita di visite, salari, giorni di riposo e perdita di “buoni volta.” (Il tempo buono, una forma di “credito meritorio” che spetta ai detenuti che evitano le sanzioni comportamentali, può portare a pene ridotte e liberazione anticipata.)
Smith, del DPSC, ha affermato che il sistema precedente portava a esiti di punizione molto diversi per la stessa violazione in diverse carceri della Louisiana: “Erano possibilità molto aperte di ciò che potrebbe accadere”.
“La gente non aveva idea del motivo per cui erano in isolamento o di quanto tempo sarebbe passato prima che uscissero”.
Un altro problema, ha detto Smith, era che “il regolamento non aveva limiti massimi sulla segregazione, quindi i ragazzi potevano essere messi lì a tempo indeterminato”.
Sotto quel sistema, il solitario potrebbe essere usato per “davvero vicino a qualsiasi cosa”, ha detto l’ex socio senior del programma Vera, David Cloud, aggiungendo che il processo disciplinare era “un disastro”. (Cloud era l’autore principale di Vera per un rapporto del 2019 che descriveva la collaborazione.) Non c’era nemmeno trasparenza, ha osservato Sara Sullivan, l’ex capo del progetto Vera: “La gente non aveva idea del perché fossero in isolamento o di quanto tempo sarebbe passato prima che uscito.” Cloud e Sullivan non lavorano più a Vera.
L’obiettivo della matrice, ha affermato Sullivan, “era quello di aggiungere un po’ di coerenza e trasparenza a quel processo, nonché di ridurre la quantità di tempo che le persone trascorrevano in alloggi restrittivi”.
Ma anche Vera era preoccupata per le specificità della matrice. Nel suo rapporto del 2019, ha osservato che la matrice “non riservava esplicitamente la segregazione disciplinare come ultima risorsa solo per atti di violenza gravi e consentiva mesi di segregazione per una serie di comportamenti minori e non violenti”.
I primi dati suggerivano che la nuova politica “potrebbe non ridurre le entrate nella segregazione in modo significativo come previsto”, ha avvertito Vera.
“Matrix mi ha detto di farlo”
Lauren Brinkley-Rubinstein, sociologa dell’Università del North Carolina, ha affermato che l’intento della politica è lodevole. “Sulla carta, la matrice potrebbe essere buona”, ha detto, osservando che nella maggior parte dei sistemi carcerari, “non possiamo analizzare una rubrica sul motivo per cui le persone vengono mandate in isolamento e per quanto tempo”.
Ma in pratica, molti dei reati elencati sono mal definiti, soggetti a un’ampia interpretazione. Questi includono “reati sul lavoro”, come la mancata “esecuzione dei compiti assegnati con velocità ed efficienza ragionevoli” e “pratiche antigieniche”, definite come il mancato rispetto di “una condizione il più presentabile possibile nelle circostanze prevalenti”. L’ultima categoria, “comportamenti vietati in generale”, è un catchall che include “qualsiasi comportamento non specificamente elencato qui”.
L’ampiezza delle categorie crea un ampio margine di discrezionalità – e potenziale di abuso – nel processo disciplinare, ha affermato Brinkley-Rubinstein. “Puoi alzare le mani e dire: ‘La matrice mi ha detto di farlo.'”
Nelle interviste, le persone condannate alla segregazione disciplinare secondo la matrice hanno descritto come ha funzionato nella pratica.
Dominick Imbraguglio è stato condannato a due giorni di isolamento in Angola nel febbraio 2020 dopo essere stato catturato con quello che gli ufficiali credevano fosse un grimaldello. Inspiegabilmente, quei due giorni si sono trasformati in più di un anno. Quindi, nel maggio 2021, la sua reclusione è stata rinnovata per “motivo originario di blocco”, secondo la sua cartella disciplinare. Ora ha trascorso 22 mesi in segregazione disciplinare, ha detto sua moglie, Krystal Imbraguglio, anche se la matrice prescrive un massimo di 365 giorni per il tempo trascorso in isolamento.
Imbraguglio ha una storia di ansia, depressione e ADHD, e assume quotidianamente una combinazione di farmaci di antidepressivi, sedativi e antipsicotici. Negli ultimi mesi, è stato tormentato da voci fantasma e allucinazioni visive – sintomi che possono derivare da un isolamento prolungato – ma dice che gli è stato negato il trattamento. “È una tortura mentale, pura e semplice”, ha detto Krystal. “Il dolore di Dom sta solo grattando la superficie su un mucchio molto più grande di ingiustizia e corruzione qui.”
Frederick Ross, incarcerato in Angola, è stato condannato a tre giorni di isolamento nel marzo 2020 per essersi masturbato nella sua cella (condannato ufficialmente per “reati sessuali” o “condotta disordinata”, definita come “tutti i comportamenti turbolenti”). Ma nonostante sia “sopraffatto dalla segregazione”, Ross – che soffre di depressione e una storia di autolesionismo – ha detto che gli è stata negata l’assistenza sanitaria mentale mentre era in isolamento. (A marzo, un giudice federale ha trovatoche i funzionari della prigione della Louisiana avevano violato i diritti costituzionali delle persone con disabilità, comprese le malattie mentali, non fornendo cure sanitarie adeguate in Angola.) Invece, è stato messo da solo in una “serbatoio di sospensione” sotto sorveglianza video. Più tardi, ha detto Ross, ha iniziato a “volare fuori controllo”, combattendo con altre persone. La sua segregazione è stata successivamente estesa a 395 giorni, ha detto.
Anche dopo che la sua condanna è stata formalmente conclusa, Ross ha affermato che le sue accuse sono state “rinnovate” a causa della mancanza di spazio per il letto. (Le unità della popolazione generale dell’Angola erano oltre la capacità per tutto il 2020. Non sono disponibili dati del 2021.) Al momento della stesura di questo documento, ha trascorso oltre 600 giorni consecutivi in segregazione. Alla domanda sulle accuse di Ross, il DPSC ha ammesso che in realtà era tenuto in alloggi restrittivi a causa dello spazio limitato del letto.
Aljerwon Moran è stato condannato a 15 giorni di segregazione disciplinare dopo un violento alterco con un’altra persona detenuta in Angola lo scorso novembre. Era la prima volta che veniva punito per un reato violento; ha detto che la lotta è stata avviata dall’altra persona in quella che crede essere una ritorsione per mesi di autodifesa contro quelle che ha definito condizioni “pericolose di morte” dovute a Covid-19. Ufficialmente, è stato condannato per “sfida” (definita come sforzi per “ostacolare, resistere, distrarre o tentare di eludere il personale”) e “disobbedienza aggravata”.
In segregazione, è stato messo in una cella con biancheria sporca e un bagno traboccante, ha detto. Dopo aver chiesto una mossa, ha detto che le guardie carcerarie lo hanno messo sotto una doccia, gli hanno spruzzato Mace, lo hanno fatto cadere a terra, lo hanno quasi soffocato mettendogli un ginocchio sul collo e trascinandolo per le manette. Successivamente è stato accusato di $ 16,55 per il Mace e una tuta strappata, apparendo in tribunale una settimana dopo con un occhio nero e lividi sul viso.
Le persone incarcerate dicono anche che sotto la matrice, sono state mandate in isolamento senza che gli sia mai stato detto perché.
All’inizio della pandemia di coronavirus, Quierza Lewis ha parlato contro l’amministrazione dell’Angola in merito ai problemi di sicurezza del Covid, tra cui la mancanza di maschere, le precauzioni di allontanamento e i test. Nell’agosto 2020, Lewis è stato tenuto in isolamento per oltre un mese: i funzionari gli hanno detto che era sotto inchiesta come “minaccia terroristica”, ha detto. Ha avuto quattro udienze disciplinari, risulta dai suoi precedenti, ma ha detto di non aver ricevuto un avviso prima di nessuna di esse; che non gli era permesso rappresentarsi o testimoniare; e che non conosceva né ascoltava mai i suoi consigli, le persone incarcerate nominate dal consiglio per agire per suo conto. Ad oggi, non ha ricevuto alcuna documentazione che spieghi il suo confinamento, contrariamente alla politica del DPSC.
“È disumano, è incostituzionale ed è una trappola mortale”, ha detto Lewis della matrice.
Mancanza di visibilità
Secondo il contratto della Louisiana con Vera, il DPSC avrebbe dovuto consegnare i dati a livello statale sull’uso della segregazione da aprile 2019 a settembre 2020 in modo che l’organizzazione potesse analizzare l’efficacia della nuova politica. The Intercept e The Lens hanno fatto più richieste per questi dati; in risposta, Pastorick, il portavoce del DPSC, ha affermato che il dipartimento “non ha un documento che contenga tali informazioni e non creiamo rapporti con quello”.
L’incapacità del DPSC di mantenere registrazioni coerenti ha creato ostacoli per il team Vera. Sullivan, l’ex capo del progetto Vera, ha affermato che l’organizzazione è stata “molto difficile da ottenere dati amministrativi” dal dipartimento quando la matrice è stata implementata. “Le procedure di raccolta dei dati della Louisiana non sono realmente centralizzate: sono principalmente a livello di struttura e non sono particolarmente coerenti tra le strutture. Abbiamo ottenuto dati da alcuni, ma non da altri”, ha detto. “Ha notevolmente limitato la nostra capacità di valutare il successo delle riforme”.
Alla fine, il DPSC ha fornito a Vera i dati di solo due strutture: Angola e Raymond Laborde Correctional Center, o RLCC. I dati forniti coprono da luglio 2019 a dicembre 2020 in Angola e da giugno a novembre 2020 a RLCC. Ma lo stato non ha rilasciato alcun dato dell’anno precedente che potesse consentire ai ricercatori di vedere se le cose erano cambiate in quelle strutture. Pastorick ha attribuito l’incapacità del DPSC di riportare i numeri alla pandemia di Covid-19, ” che ha limitato tempo e risorse per rispondere”.
The Intercept e The Lens hanno ottenuto quei documenti attraverso una richiesta di documenti pubblici e hanno scoperto che oltre i tre quarti dei collocamenti in segregazione disciplinare presso RLCC erano dovuti a reati non violenti. Mostrano anche che la percentuale di persone in alloggi restrittivi in quella prigione si è mossa a malapena durante i cinque mesi catturati dai registri – e il numero di persone arretrate è rimasto lo stesso. Quelli messi in segregazione in genere sono rimasti tra i tre ei cinque mesi, mostrano i registri.
I documenti dall’Angola, nel frattempo, rivelano che era estremamente comune per le persone essere trattenute in alloggi restrittivi oltre il tempo a cui sono state condannate secondo la matrice.
Tra gennaio 2020 (quando la matrice è stata sperimentata per la prima volta in Angola) e ottobre 2020, il numero di persone che avrebbero dovuto essere trattenute in alloggi restrittivi in base alle loro condanne disciplinari delineate nella matrice è diminuito di circa 70, ma il numero di persone detenute in solitario effettivamente aumentato. A ottobre, oltre la metà delle persone detenute in alloggi restrittivi in Angola – quasi 200 persone – erano trattenute oltre le loro condanne disciplinari. (Dopo che questa storia è stata pubblicata, il DPSC ha affermato che il numero di persone attualmente arretrate in Angola è sceso a 35.)
La maggior parte degli arretrati era in attesa di essere trasferita alla segregazione preventiva, dove sarebbero stati ancora tenuti nelle loro celle per oltre 23 ore al giorno.
I numeri supportano le accuse fatte da Kermit Parker e altri: i soggiorni in isolamento erano funzionalmente indefiniti.
Eppure diverse persone incarcerate che hanno cercato ricorso per le loro esperienze sotto la matrice – e per la presunta violazione dei loro diritti – hanno affermato di non aver avuto fortuna. Moran, Lewis, Ross e altri hanno affermato di aver presentato lamentele e ricorsi che sono stati ignorati o respinti per una serie di motivi (tra cui “non aver fornito alcuna prova chiara e convincente per corroborare la tua accusa di punizione crudele e insolita”) o per nessuna ragione chiara a tutti.
Inoltre, le persone incarcerate nominate per fornire consulenza legale ai loro coetanei hanno affermato di aver subito ritorsioni per aver presentato denunce formali attraverso la procedura di ricorso amministrativo del carcere, o ARP . Il 15 marzo 2021, tre persone – Lawrence Kelly, Ned Biagas e Warren Holmes – sono state messe in isolamento dopo che un funzionario di alto rango “si è precipitato [all’ufficio del patrocinio] per sapere chi aveva aiutato a presentare somre [sic] ARP che teneva in mano”, ha scritto Kelly in un’e-mail. L’ufficio di assistenza legale è stato successivamente chiuso del tutto, ha detto Kelly.
Nel suo rapporto alla fine della sua collaborazione con DPSC, Vera ha scritto che i dati che ha ricevuto “non riflettono in alcun modo la segregazione nel sistema”. Il rapporto continuava: “Il dipartimento può affrontare i problemi di segregazione solo se sa come sta usando la pratica”. Il rapporto rileva inoltre che, in base alla matrice, “diverse infrazioni frequenti e non violente possono ancora far sbarcare le persone incarcerate in condizioni di segregazione”.
Cloud, che ha lasciato Vera nel dicembre 2019, ha affermato che sentire che molto è rimasto lo stesso “ti fa sentire che i problemi sono molto più grandi di qualsiasi modifica burocratica che possiamo apportare”.
“Immagino di non essere così scioccato”, ha aggiunto. “È come quello stupido adagio: la merda è cambiata, ma non è cambiato nulla”.
Aggiornamento: 15 dicembre 2021
Questo articolo è stato aggiornato per includere i commenti del Dipartimento della sicurezza pubblica e delle correzioni della Louisiana forniti dopo la pubblicazione.
LA VITA DOPO GUANTANAMO: “NON TI LASCIA”
Un ex detenuto di Guantanamo è scomparso in Yemen, mentre il Congresso chiedeva di chiudere la prigione militare.
MARTEDÌ, con 39 uomini rimasti a Guantanamo Bay, la Commissione Giustizia del Senato ha tenuto un’udienza sulla chiusura della famigerata prigione militare. Questa settimana su Intercepted: l’editor di foto di Intercept Elise Swain racconta l’orribile storia di un uomo yemenita dopo essere stato rilasciato da Guantanamo. Dopo 20 anni di detenzione arbitraria, l’ex detenuto di Guantanamo Abdulqadir al Madhfari è stato rilasciato da una prigione degli Emirati Arabi Uniti alle cure della sua famiglia in Yemen. La sua libertà durò meno di una settimana . Subendo l’impatto mentale della detenzione e della tortura a lungo termine, al Madhfari è fuggito dalla sua stessa famiglia ed è stato catturato e detenuto dai ribelli Houthi nello Yemen. Swain discute le conseguenze della vita dopo Guantanamo con Mansoor Adayfi, ex detenuto e autore del libro di memorie”Non dimenticarci qui .” Mansoor chiede responsabilità e risarcimenti agli uomini detenuti e torturati, descrivendo come la sua vita e quella degli altri ora assomiglino a “Guantánamo 2.0”.
[Musica introduttiva.]
Elise Swain: Immagina di essere preso dalle forze statunitensi, torturato, tenuto a Guantanamo per 14 anni, rilasciato per iniziare una nuova vita, torturato di nuovo nel paese che ha promesso di aiutarti, poi mandato a casa nello Yemen devastato dalla guerra – e poi , finalmente libero, sei scomparso dai ribelli Houthi che ti vogliono morto. Questo è quello che è successo ad Abdulqadir.
[Crediti musicali a tema.]
Jeremy Scahill: Questo è stato intercettato.
ES: Sono Elise Swain, editor di foto di The Intercept. Da anni lavoro nel settore multimediale per The Intercept, coprendo una varietà di argomenti ma tenendo d’occhio gli sviluppi con Guantanamo Bay.
Il mese prossimo sarà il 20° anniversario del giorno in cui uomini in tuta arancione sono arrivati, incappucciati e incatenati, al centro di detenzione.
Dal 2002, quasi 800 uomini sono stati detenuti nella prigione militare, compresi i 39 che vi rimangono oggi.
E proprio questa settimana la Commissione Giustizia del Senato ha tenuto un’audizione sulla chiusura del carcere militare:
Maggiore Generale Michael R. Lehnert: Ci sono alcuni che devono pagare il prezzo dei loro crimini. Ma quello che abbiamo ora non è giustizia. Non c’è giustizia per i detenuti, ma, cosa più importante, i parenti delle vittime dell’11 settembre e di altri attacchi terroristici meritano giustizia, e meritano la chiusura, e non la ottengono.
ES: Parleremo oggi di cosa è successo a un uomo quando ha lasciato Guantanamo.
Ho riferito di una storia che ancora non riesco a credere che sia reale: è stato impossibile avvolgere la mia testa su ciò che quest’uomo ha passato e ciò che ha passato la sua famiglia.
Si chiama Abdulqadir al Madhfari ed è il detenuto numero 40 di Guantanamo.
Subito dopo l’11 settembre, durante la retata della CIA in tutto il Medio Oriente, Abdulqadir è stato prelevato dal Pakistan. Probabilmente è stato venduto alla CIA prima di essere trasportato in aereo nel 2002 a Guantanamo Bay.
Ma Abdulqadir non era un membro di Al Qaeda. Era l’assistente di un giovane medico. Ma la CIA, credendo che fosse un terrorista, lo ha torturato durante gli interrogatori e poi lo ha trattenuto per i successivi 14 anni, senza alcuna accusa.
La speranza per Abdulqadir è arrivata nel 2016, quando il mandato di Obama si è concluso, ed è stato concordato un accordo per 18 yemeniti per lasciare la prigione. Invece di tornare a casa nello Yemen devastato dalla guerra – che all’epoca avrebbe violato il diritto umanitario internazionale – sono stati inviati negli Emirati Arabi Uniti. Lì, è stato promesso loro la riabilitazione e il reinsediamento.
Giornalista (EuroNews): Quindici detenuti del carcere di Guantanamo sono stati inviati negli Emirati Arabi Uniti nel più grande trasferimento di detenuti durante l’amministrazione del presidente Obama. L’allontanamento di 12 cittadini yemeniti e tre afgani porta il numero dei prigionieri a 61, ma non mantiene ancora la promessa di Obama di chiudere la struttura.
ES: Invece, Abdulqadir e molti altri sono stati imprigionati nelle carceri degli Emirati Arabi Uniti, notoriamente piene di torture. Gli yemeniti, come Abdulqadir, sospettati di essere Al Qaeda sono particolarmente presi di mira, anche oggi.
Giornalista (AP News): Per ben cinque anni, 18 detenuti yemeniti sono rimasti imprigionati negli Emirati Arabi Uniti, dopo oltre un decennio nella struttura di detenzione degli Stati Uniti senza essere accusati.
ES: Mentre Trump era in carica, questi uomini languono nelle carceri degli Emirati Arabi Uniti. Quindi, dopo più di un decennio imprigionati inutilmente a Guantanamo, questi uomini furono inviati negli Emirati Arabi Uniti, dove ancora una volta furono imprigionati, torturati e tenuti in isolamento senza quasi alcun contatto con il mondo esterno.
Le loro famiglie continuavano ad aspettare, chiedendosi se i loro figli e fratelli fossero ancora vivi.
Entro la fine del 2020, in mezzo alla pandemia, gli Emirati Arabi Uniti hanno accettato di trasferire gli uomini e inviarli nello Yemen, nonostante gli avvertimenti umanitari. Un paese ancora coinvolto nella guerra civile, che sta vivendo la più grande crisi umanitaria del mondo.
Newscaster (Vice News): Per quasi sei anni, il paese più povero della regione è stato bloccato in una guerra intrattabile che ha ucciso 100.000 persone, spinto milioni sull’orlo della fame e causato la più grande epidemia di colera della storia.
Newscaster (SkyNews): l’ Arabia Saudita, supportata da una coalizione di paesi, tra cui Regno Unito, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti, bombarda lo Yemen dal 2015.
ES: Il mese scorso, Abdulqadir è riemerso in una base di sicurezza degli Emirati in Yemen. Alla sua famiglia è stato semplicemente detto: “Vieni a prenderlo”.
Quando suo fratello e suo zio sono arrivati, Abdulqadir era così traumatizzato mentalmente che non li ha nemmeno riconosciuti. Ci sono voluti cinque giorni per convincerlo a partire con la sua stessa famiglia. Le forze degli Emirati hanno dovuto bendare Abdulqadir anche solo per farlo salire in macchina.
Un giorno dopo essere arrivato a casa della sua famiglia, Abdulqadir ha convinto la sua famiglia, che ancora non riconosceva, a portarlo fuori a fare una passeggiata. E poi è scappato, scappando da loro nelle strade di Sanaa.
La sua famiglia non aveva idea di cosa gli fosse successo per giorni, fino a quando non hanno finalmente saputo che i militanti Houthi lo avevano portato a un posto di blocco.
Ora questo è particolarmente grave perché Abdulqadir, in quanto ex detenuto di Guantanamo, è ad alto rischio di rapimento, tortura, imprigionamento e persino assassinio da parte degli Houthi sostenuti dall’Iran.
Ora, la famiglia di Abdulqadir teme il peggio. Suo fratello Ameen mi ha detto che la notizia è stata così devastante, un fratello è finito in ospedale per una settimana e un’altra sorella è rimasta scioccata.
Ho appreso per la prima volta della storia di Abdulqadir da Mansoor Adayfi. Anche lui è un ex detenuto. Mansoor ha trascorso 14 anni senza accusa a Guantanamo. Ora è coordinatore del progetto Guantanamo per CAGE, un’organizzazione indipendente per i diritti umani.
Mansoor ha recentemente pubblicato un bellissimo e urgente libro di memorie intitolato “Non dimenticarci di noi qui”, e ho parlato con Mansoor del caso di Abdulqadir, della sua esperienza con Guantanamo e della vita dopo la detenzione.
Mansoor Adayfi: Sai, Elise, in generale, se parliamo di Guantanamo stessa, come sai, il mondo sa cosa sia Guantanamo.
Guantanamo è sinonimo di oppressione, tortura, illegalità, ingiustizia, abuso di potere e detenzione a tempo indeterminato. Immagina quegli uomini: abbiamo passato anni e anni a Guantanamo, quasi 10, 15 o 20 anni. Quindi, quando sei stato rilasciato, il governo degli Stati Uniti voleva sbarazzarsi della gente di Guantanamo, quindi hanno trovato alcuni paesi ospitanti. E hanno chiesto loro di riabilitarli e di integrarli. Hanno chiesto.
Sei fortunato se sei andato, almeno, in un paese come l’Europa occidentale, il Qatar, l’Oman. Sarai fortunato perché [se sei andato in] quei paesi, sei riuscito a integrarti e sei riuscito a diventare membri produttivi della società.
Ma, nel mio caso, il Kazakistan, gli Emirati Arabi Uniti e molti casi, poiché abbiamo ricercato e studiato questi casi negli ultimi anni, sono casi devastanti. Abdulqadir, solo uno dei casi recenti.
ES: Mansoor, anche tu sei dello Yemen. Abdulqadir era dello Yemen. Il tuo paese all’epoca del 2016 era in una guerra civile quando sei stato rilasciato da Guantanamo. Quindi parla del perché Abdulqadir è finito negli Emirati Arabi Uniti e perché sei finito dove sei ora.
MA: Nel 2009, il Congresso ha stabilito una moratoria e nessuno yemenita dovrebbe essere rilasciato da Guantanamo e tornare in Yemen.
Quindi nel 2013, abbiamo ottenuto l’approvazione per essere rilasciati, ma non per lo Yemen. Così gli Stati Uniti hanno cercato di trovare un paese terzo che ci ospitasse. Ed è stato come un programma di reinsediamento. Ma quando i detenuti sono arrivati negli Emirati Arabi, sono stati portati in prigione. E sono stati sottoposti ad abusi e torture, e hanno trascorso cinque anni in prigione.
ES: Quindi, quando hai scoperto che questi yemeniti stavano lasciando gli Emirati Arabi Uniti il mese scorso e che venivano rimandati in Yemen contro la volontà di tutti, qual è stata la tua reazione alla notizia?
MA: Primo, l’anno scorso, hanno cercato di liberare con la forza e inviare quegli uomini nello Yemen. E, come sai, la crisi del paese, la guerra, la fame, e penso una delle crisi più umanitarie della storia moderna. Quindi non era sicuro rilasciare quegli uomini nello Yemen.
I media hanno seguito il caso e gli Emirati Arabi Uniti hanno bloccato il rilascio.
Allora, cos’è successo? Quest’anno gli uomini, i prigionieri yemeniti nel carcere degli Emirati Arabi Uniti, hanno contratto il coronavirus, sono stati ricoverati in ospedale e alcuni di loro sono stati ricoverati in terapia intensiva. Quindi gli Emirati Arabi Uniti, credo, non vogliono che nessuno muoia in prigione. Quindi quello che hanno fatto, volevano sbarazzarsi di loro.
Quando abbiamo appreso la notizia che gli uomini sarebbero stati rimandati in Yemen, le famiglie mi hanno contattato perché ho iniziato a lavorare con il CAGE come coordinatore del progetto Guantanamo, ho contattato il CICR, ho contattato gli avvocati negli Stati Uniti e Ho parlato loro del caso e ho detto loro: questo non dovrebbe succedere. Gli uomini dovrebbero essere trasferiti in un paese terzo dove saranno al sicuro e dovrebbero ricevere anche un trattamento adeguato.
Ma l’avvocato ha parlato con il Dipartimento di Stato, ma non c’è stata risposta. E così a luglio il primo gruppo è stato rimandato in Yemen. Poi il mese scorso, il secondo gruppo.
ES: Mansoor, conoscevi Abdulqadir quando eravate entrambi a Guantanamo. Allora, com’era come uomo prima che la sua salute mentale si deteriorasse negli ultimi cinque anni?
MA: Sai, Elise, la storia è iniziata, l’uomo è andato in Pakistan per studiare medicina, uno studente intelligente e brillante. Come molti altri casi, è stato rapito in Pakistan e venduto alla CIA.
Ho incontrato Abdulqadir a Guantanamo. Un ragazzo tranquillo, ben educato e pulito, a cui piaceva molto leggere. Ma negli ultimi anni, ho notato che aveva dei problemi mentali, perché era davvero sottoposto a interrogatori e torture intensi. E a Guantanamo, i sintomi sono iniziati quando ha cercato di isolarsi tutto il tempo: parlare meno, interagire, passare giorni senza uscire, mangiare o altro. E abbiamo cercato di capire cosa gli sta succedendo, prendendoci cura di lui e così via.
A Guantanamo faceva le telefonate con la sua famiglia, parlava con loro, andava tutto bene. Quando è stato trasferito negli Emirati Arabi Uniti, è stato uno shock per tutti perché gli avvocati e il Dipartimento di Stato hanno detto a quei detenuti: Sarai inviato negli Emirati Arabi Uniti come reinsediamento. Ti verrà dato uno stipendio, una casa, ti verrà dato un programma, studi, ti sposerai e così via.
Il trasferimento è arrivato dagli Emirati Arabi Uniti senza alcun coordinamento con nessuno. Non con le loro famiglie, non con gli avvocati, non con le organizzazioni per i diritti umani, con nessuno. Imbarcano semplicemente gli uomini su un aereo, li gettano nella loro base della milizia a Mukalla
Quindi la famiglia ha ricevuto messaggi: vieni a prendere tuo figlio da qui.
Devono firmare, tipo, un foglio ed è così semplice.
Quando la famiglia arrivò a Mukalla per prendere Abdulqadir, si rifiutò di lasciare la prigione. Disse loro: No, questo è un gioco. Non riconobbe suo fratello, suo zio, nessuno.
ES: In Yemen, abbiamo molti attori diversi all’interno della guerra civile. Ci sono i ribelli Houthi, c’è il governo yemenita del presidente Hadi, c’è il Consiglio di transizione meridionale, che sono separatisti dello Yemen del sud. Spiega come tutti questi gruppi considerano gli ex detenuti di Guantanamo. Quali sono le ipotesi? E perché è così pericoloso essere accusati di essere al Qaeda dagli Stati Uniti nello Yemen in questo momento?
MA: Tutto va allo stigma della vita dopo Guantanamo.
Quindi Guantanamo non ti lascia appena dici: ciao, arrivederci. No, non è ancora finito con te. Quindi viviamo ancora a Guantanamo 2.0.
Quindi, come vedi nella situazione in Yemen, ci sono molte fazioni e molti gruppi pazzi che combattono l’uno contro l’altro. Il governo yemenita ha vissuto negli hotel dell’Arabia Saudita negli ultimi sette anni. Non l’ho visto in vita mia, che il governo dorme da qualche parte in qualche paese in hotel lì, mentre la gente combatte e muore di fame, coronavirus, guerre civili e così via.
Quindi, essendo un detenuto di Guantanamo, sarai preso di mira da tutti, perché tutti direbbero: stiamo combattendo contro il terrorismo. Quindi, quando guardi la situazione lì, non c’era alcun tipo di giustizia o diritti umani e così via. Come sapete, gli Emirati Arabi Uniti secondo il direttore della SAM, Tawfik al Hamidi, hanno documentato 18 carceri segrete negli Emirati Arabi Uniti proprio ad Aden e Hadhramaut E immaginate cosa c’era stato. È anche peggio dei siti neri: torture, abusi, alcune persone sono scomparse, alcune persone sono scomparse. Alcuni sono scomparsi per sempre.
E ho seguito alcuni dei rapporti e così via. È scioccante quello che è successo lì. È davvero scioccante. E gli Stati Uniti facevano parte dell’interrogatorio lì. Non sono solo gli Stati Uniti, altri paesi, anche il governo britannico è stato coinvolto in quegli interrogatori. Quindi stiamo parlando di essere un detenuto di Guantanamo e tornare in Yemen, sarai preso di mira da tutti. Quindi essere accusato di essere al Qaeda o di essere un terrorista e tornare in Yemen, benvenuto allo spettacolo!
Quindi è quello che è successo. Quando ho parlato con due dei fratelli rilasciati, hanno detto: abbiamo davvero paura e tutto può succedere in qualsiasi momento, e non ci sentivamo al sicuro. La nostra famiglia non si sente al sicuro. E non sappiamo dove altro andare.
Se parliamo di noi, in alcuni paesi, quei paesi hanno raggiunto un accordo con gli Stati Uniti e siamo monitorati, presi di mira, molestati; veniamo interrogati e arrestati, per cosa?
ES: Per essere chiari qui, Mansoor, quello che stai dicendo è che una volta che questi uomini lasciano Guantanamo, ovunque vengono mandati è con l’esplicito permesso e il contratto scritto del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e del governo degli Stati Uniti, essenzialmente.
MA: Sì! Sì! Deve passare attraverso un accordo tra il governo degli Stati Uniti e il paese ospitante; anche gli avvocati sono coinvolti in questo. Gli avvocati ne fanno parte.
Così, per esempio, quando ero a Guantanamo, la delegazione serba è venuta da me. Hanno detto: sarai trattato come un serbo qualsiasi, ma non potrai votare. Così ho detto loro che non volevo venire. Sono stato rilasciato contro la mia volontà in Serbia. Non ho scelta. Mi hanno detto: non hai scelta.
ES: Quindi cosa è successo ad Abdulqadir e al suo orribile destino ora di essere nuovamente imprigionato una volta andato negli Emirati Arabi Uniti, torturato di nuovo, rilasciato nello Yemen, finalmente libero dopo 20 anni di detenzione arbitraria. Ha quindi 72 ore praticamente libere e poi viene rapito e scomparso all’interno del sistema carcerario Houthi.
Io e te siamo ancora in contatto con Ameen, suo fratello. Non abbiamo aggiornamenti. Quando andrà in onda questo podcast, saranno passate tre settimane da quando è scomparso. Cosa sai degli altri uomini che sono stati rilasciati da Guantanamo?
MA: L’anno scorso mi sono laureato alla mia università, ho finito la mia laurea — ah! Felice per me!
Comunque, quindi la mia tesi: potevo scegliere se fare una tesi sulla chiusura di Guantanamo, o sulla riabilitazione e il reinserimento degli ex detenuti di Guantanamo nella vita sociale e nel mercato del lavoro. Quindi scelgo di fare la mia tesi sulla riabilitazione e il reinserimento degli ex detenuti di Guantanamo nella vita sociale e nel mercato del lavoro. E questa è la prima ricerca [che] è stata fatta su questo argomento. Quali sottogruppi? Ho iniziato a contattare tutti: ex detenuti, famiglie, avvocati, autori, attivisti per i diritti umani, ONG, funzionari — tutti. Mi ci è voluto molto, molto, molto tempo perché non ci sono risorse o non puoi cercare al riguardo.
Così ho iniziato a intervistare tutti. Non c’era nessun tipo di programma di riabilitazione o reintegrazione, semplicemente. E ci sono diverse categorie di detenuti: i detenuti che sono riusciti a integrarsi nella società ea diventare membri produttivi nella loro vita, dipende dal paese di reinsediamento o dal paese di accoglienza. Per la Germania, l’Inghilterra, o Londra, o il Qatar, o l’Oman, stanno andando bene. Hanno famiglie, lavoro e le persone sono andate avanti con la loro vita.
Ma il secondo gruppo in cui le persone vivono in paesi con restrizioni di confine, la parte peggiore di tutto ciò che gli Emirati Arabi Uniti, il Senegal e il Kazakistan, li hanno imprigionati lì, torturati e abusati di loro peggio di Guantanamo. E vengono devastati mentalmente e psicologicamente.
In Kazakistan, in realtà, hanno chiesto alla gente di vivere lì. Due di loro sono stati trasferiti. Uno dei casi in Kazakistan, nel 2015, solo dopo sei mesi, uno dei fratelli, che viveva in Kazakistan, è morto perché si erano rifiutati di portarlo in ospedale per un problema ai reni. Hanno detto che non ha l’autorizzazione per andare in un’altra città.
Anche il secondo fratello è morto quest’anno in Mauritania perché aveva bisogno di un documento di viaggio per essere operato al cuore. Il suo paese si è rifiutato di dargli un documento di viaggio; Il CICR si è rifiutato di fornire il documento di viaggio; La Mauritania non ha il sistema sanitario in grado di operare nel suo cuore perché aveva bisogno di un intervento chirurgico davvero sofisticato. Allora il dottore gli disse: hai solo sei mesi o morirai.
L’uomo ha aspettato e l’organizzazione CAGE ha effettivamente cercato di aiutare. Hanno raccolto soldi per lui. Aveva bisogno di $ 3.000. Sono riusciti a ottenere il fondo e l’operazione, ma la sua vita sarebbe dipesa da un pezzo di carta e sapevano che non aveva molto tempo. Allora, cos’è successo? Lascialo morire. Ed è morto.
Lo contattavo. Gli stavo parlando. Ci abbiamo provato con gli avvocati, con tutti. Ma, sai, siamo impotenti.
ES: Quindi stiamo parlando di una completa mancanza di attenzione e di un seguito da parte degli Stati Uniti per correggere un torto storico che è stato fatto a nostro nome, giusto? Quindi questi uomini sono stati sostanzialmente abbandonati completamente dagli Stati Uniti e da qualsiasi due diligence per dare loro la riabilitazione.
Cosa si potrebbe fare per te, in questo momento? Cosa vorresti che facessero gli Stati Uniti, con il tuo caso, in particolare, in Serbia, come esempio?
MA: Se parli del mio caso, sai, ho bisogno di essere trasferito in un posto dove posso iniziare la mia vita. Dove posso costruire la mia vita e andare avanti con la mia vita, dove posso essere libero e continuare – questo è il mio sogno, sposarmi e così via. Perché una delle cose qui: non potevo sposarmi — ho trovato una donna, ho parlato con la famiglia, tutto andava bene — a causa di un documento di viaggio.
ES: Non ce l’avevi?
MA: Mi ha lasciato devastato. No, non avevo un documento di viaggio.
Ad esempio, ora, se viaggio in qualsiasi paese, molti detenuti incontrano molte difficoltà quando si recano in paesi: vengono fermati negli aeroporti, viene negato loro il visto, alcuni vengono arrestati, ad alcuni viene addirittura chiesto di lasciare il paese subito quando scoprono di essere a Guantanamo.
Nella mia tesi sui programmi di riabilitazione e reinserimento ho fatto alcune raccomandazioni. Prima di tutto, come hai chiesto, dovrebbe esserci una sorta di riconoscimento. Dovrebbe esserci anche una sorta di scusa e compensazione. Semplice come quella. Questa è giustizia. Abbiamo chiesto giustizia. Sai?
Ci hanno portato a Guantanamo e ci hanno torturato in nome della giustizia e hanno scoperto che non siamo colpevoli. Non abbiamo fatto niente. Quindi ora chiediamo giustizia. Hai devastato le nostre vite, ci hai messo anni e anni della nostra vita, abbiamo solo bisogno di costruire le nostre vite. Abbiamo bisogno di aiuto. Abbiamo bisogno di essere liberi. Non devi vivere nello stigma. Perché ti ritroverai a vivere a Guantanamo 2.0.
ES: Mansoor Adayfi, grazie mille per esserti unito a me su Intercepted. Sei un grande amico per me e anche un’ispirazione. E sono orgoglioso di te. Grazie molte.
MA: Grazie mille, Elise, e spero che il governo degli Stati Uniti possa fare qualcosa per questi casi.
ES: Quello era Mandsoor Adayfi, coordinatore del progetto Guantanamo presso CAGE. Il libro di memorie di Mansoor è appena uscito ed è un documento storico incredibilmente importante che si chiama “Don’t Forget Us Here: Lost and Found at Guantanamo”.
[Crediti musicali.]
ES: E questo lo fa per questo episodio di Intercepted. Seguici su Twitter @Intercepted e su Instagram @InterceptedPodcast.
Questo è il nostro ultimo episodio dell’anno. Grazie mille per l’ascolto durante il 2021. Ci prenderemo una pausa e torneremo il 12 gennaio.
Intercepted è una produzione di First Look Media e The Intercept. Questo episodio è stato prodotto da José Olivares e Truc Nguyen. Il produttore supervisore è Laura Flynn. Betsy Reed è caporedattore di The Intercept. E Will Stanton ha mixato il nostro spettacolo. La nostra colonna sonora, come sempre, è stata prodotta da DJ Spooky.
E io sono Elise Swain.
Un enorme grazie a tutti coloro che hanno dato il Giving Tuesday, e se non l’avete fatto e volete supportare il nostro lavoro, andate su theintercept.com/join — la vostra donazione, indipendentemente dall’importo, fa davvero la differenza.
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Grazie mille. Fino alla prossima volta.
Edward Bernays: Propaganda e colpo di stato guatemalteco del 1954 sostenuto dagli Stati Uniti
ECONOMIA
La Fed farà crollare i mercati finanziari globali per favorire il Grande Reset?
di F. William Engdahl – 19/12/2021
Fonte: Come Don Chisciotte
Sembra sempre più probabile che la Federal Reserve degli Stati Uniti e i poteri globalisti useranno il drammatico aumento dell’inflazione come scusa per far crollare i mercati finanziari statunitensi e, con essi, azzerare la più grande bolla finanziaria della storia. L’enorme aumento dell’inflazione dopo i dannosi lockdown e i trilioni di dollari in spese di emergenza da parte sia di Trump che di Biden, insieme alla continuazione delle politiche senza precedenti della Fed di offrire tassi d’interesse vicini allo zero e i miliardi spesi in obbligazioni per mantenere la bolla gonfia ancora per un po’, hanno posto le basi per un imminente crollo del mercato. A differenza di quello che ci viene detto, questo crollo è voluto e gestito.
Le interruzioni della catena di approvvigionamento dall’Asia, insieme ai problemi che affliggono il trasporto su gomma in tutto il Nord America, stanno alimentando negli Stati Uniti la peggiore inflazione degli ultimi quarant’anni. Tutto è pronto perchè le banche centrali possano abbattere l’attuale sistema economico, gonfio di debiti, e preparare il Grande Reset del sistema finanziario mondiale. Tuttavia, questo non è un problema di inflazione e non è causato da qualche processo misterioso o “temporaneo.”
Il contesto è fondamentale. La decisione di far crollare il sistema finanziario è stata preparata nel bel mezzo delle misure pandemiche globali che stanno devastando l’economia mondiale dall’inizio del 2020. È in arrivo, mentre le potenze della NATO, guidate dall’amministrazione Biden, stanno rischiando di far precipitare il mondo in una possibile guerra mondiale per un errore di calcolo. Stanno inviando armi e consiglieri in Ucraina e vogliono provocare una risposta da parte della Russia. Stanno intensificando le pressioni sulla Cina su Taiwan e portano avanti guerre per procura contro la Cina in Etiopia, nel Corno d’Africa e in innumerevoli altre località.
L’incombente collasso del sistema basato sul dollaro, che trascinerà con sé la maggior parte del mondo a causa dei legami del debito, avverrà quando, nell’UE, negli USA e oltre, le maggiori nazioni industriali entreranno completamente nella fase di autodistruzione economica provocata dal cosiddetto Green New Deal. Le ridicole politiche delle Zero Emissioni per eliminare gradualmente il carbone, il petrolio, il gas e persino il nucleare quest’inverno hanno già portato la rete elettrica dell’UE sull’orlo di catastrofici blackout, dato che la percentuale di energia prodotta dall’inaffidabile eolico e solare costituisce una parte importante della rete. Il 31 dicembre, il nuovo governo “verde” tedesco ordinerà la chiusura forzata di tre centrali nucleari, che producono l’equivalente di energia elettrica consumato dall’intera Danimarca. L’eolico e il solare non possono in alcun modo colmare queste lacune. Negli Stati Uniti le politiche di Biden, chiamate erroneamente Ricostruire Meglio, hanno spinto i costi del carburante a livelli record. Aumentare i tassi d’interesse in questa congiuntura devasterà il mondo intero, il che sembra essere precisamente il piano.
I falsi dati sull’inflazione statunitense
Fin dai primi anni ’70, quando il presidente Nixon aveva chiesto al suo amico Arthur Burns, allora capo della Federal Reserve, di trovare un modo per sbarazzarsi dei dati mensili sull’inflazione al consumo, politicamente dannosi, che riflettevano l’impennata dei prezzi del petrolio e del grano, la Fed ha usato quella che viene definita “inflazione di base,” [core inflation] cioè l’aumento dei prezzi al consumo MENO quelli dell’energia e dei generi alimentari. All’epoca l’energia costituiva un significativo 11% dei dati sull’inflazione. Il cibo aveva un peso del 25%. Subito dopo, nel 1975, nonostante un aumento del 400% dei prezzi del petrolio da parte dell’OPEC e un aumento del 300% dei prezzi del grano a livello mondiale a causa dei fallimenti dei raccolti nell’Unione Sovietica, l’”inflazione di base” era scesa notevolmente. Questo, nonostante il fatto che i consumatori americani dovessero pagare molto di più per la benzina e il pane. Le persone reali non possono vivere senza energia o senza cibo. L’inflazione di base è una truffa.
Nel 1975 la Fed di Burns aveva eliminato il costo delle abitazioni ed altri fattori, lasciando un indice dei prezzi al consumo che era solo il 35% del paniere originale delle materie prime misurate. A quel punto, l’inflazione reale quotidiana era fuori controllo. Tornando al mondo reale di oggi, negli USA la benzina è più cara del 58% rispetto al 2020 e, negli ultimi 12 mesi, i prezzi dei prodotti alimentari sono saliti in media di oltre il 6%. Oggi l’indice dei prezzi al consumo USA non include il costo di acquisto e di finanziamento delle case, nemmeno le tasse di proprietà, la manutenzione o il miglioramento della casa. Nell’ultimo anno, questi costi hanno subito un’impennata in tutta l’America. Ora l’unica cosa che manca è una dichiarazione della Fed che dica che l’inflazione è più grave del previsto e che occorrono aumenti aggressivi dei tassi per “spremere l’inflazione fuori dal sistema,” un mito comune delle banche centrali, diventato dogma sotto Paul Volcker negli anni ’70.
L’ipertrofico mercato azionario degli Stati Uniti
I mercati di Wall Street, oggi con le azioni ai massimi storici, sostenuti da tassi Fed vicini allo zero e da 120 miliardi di dollari di acquisti mensili, anche di obbligazioni, da parte della Fed, sono ad un punto in cui un’inversione di politica da parte della Fed, prevista per l’inizio del 2022, potrebbe scatenare una fuga frenetica dal mercato azionario per “uscire finché si può.” Questo, a sua volta, scatenerà probabilmente una corsa frenetica alle vendite e un crollo a valanga del mercato, che farà sembrare una bazzecola il recente crack immobiliare e azionario di China Evergrande.
Dalla crisi finanziaria globale del settembre 2008, la Federal Reserve e le altre grandi banche centrali, come la BCE nell’UE e la Banca del Giappone, hanno seguito l’inaudita politica dei tassi di interesse zero e, spesso, quella degli acquisti obbligazionari (quantitative easing) per salvare le principali istituzioni finanziarie e le banche di Wall Street e dell’UE. Una politica che poco ha a che fare con la salute dell’economia reale. Si è trattato del più grande salvataggio della storia di banche e di fondi d’investimento praticamente cadaveri. Il prevedibile risultato di queste politiche senza precedenti della Fed e delle altre banche centrali è stata la creazione della più grande bolla speculativa azionaria della storia.
Come presidente, Donald Trump aveva continuamente indicato i nuovi rialzi record delle azioni dello S&P 500 come prova del boom dell’economia, anche se come esperto uomo d’affari sapeva essere una bugia. Lo S&P 500 saliva a causa della politica dei tassi d’interesse zero della FED. Le aziende stavano prendendo in prestito a tassi bassi non tanto per espandersi investendo in impianti e attrezzature ma per riacquistare le proprie azioni dal mercato. Questo ha avuto l’effetto di far salire il prezzo delle azioni di aziende come Microsoft, Dell, Amazon, Pfizer, Tesla e centinaia di altre. È una manipolazione molto amata dai dirigenti aziendali, che ricevono come benefit milioni in azioni delle proprie aziende. In alcuni casi hanno guadagnato miliardi, pur non creando alcun valore reale economico o di mercato.
Quanto è grande l’attuale bolla del mercato azionario statunitense? Nell’ottobre 2008, subito dopo la crisi Lehman, le azioni statunitensi erano quotate ad un totale di 13 trilioni di dollari di capitalizzazione. Oggi sono a più di 50 trilioni di dollari, un aumento di quasi il 400% e più del doppio del PIL degli Stati Uniti. La sola Apple Corp. è quotata 3 trilioni di dollari.
Eppure, con le massicce carenze di manodopera, i lockdown in tutta l’America e le enormi interruzioni delle catene di approvvigionamento commerciale, specialmente dalla Cina, l’economia sta affondando e la fasulla legge di Biden sulle “infrastrutture” farà poco nella ricostruzione delle infrastrutture economiche vitali, come le autostrade, la manutenzione del territorio, gli impianti di trattamento delle acque e le reti elettriche. Dopo il crollo immobiliare del 2008, per milioni di Americani l’acquisto di azioni era stata la migliore speranza di un reddito pensionistico. Per il 2022, la FED ha preparato un crollo delle azioni, solo che questa volta sarà usato per inaugurare una vera Grande Depressione, peggiore di quella del 1930, in cui decine di milioni di normali cittadini americani si vedranno spazzar via i risparmi di una vita.
Il gioco del riacquisto delle proprie azioni
Negli ultimi quattro trimestri, le società di S&P 500 hanno riacquistato 742 miliardi di dollari di proprie azioni. Il quarto trimestre del 2021 vedrà probabilmente un aumento record di quella cifra, dato che le aziende si affretteranno a ricomprare il più possibile le loro azioni in vista di una tassa di Biden sui riacquisti di azioni aziendali. Dall’inizio del 2012, le aziende di S&P 500 hanno riacquistato quasi 5,68 trilioni di dollari di azioni proprie. Questa non è una bazzecola. La dinamica è talmente folle che, il mese scorso, dopo la decisione di Microsoft di riacquistare ancora più azioni, il CEO di Microsoft, Satya Nadella, ha scaricato, in un giorno solo, oltre il 50% del suo pacchetto Microsoft. Ma il valore delle azioni non si è praticamente mosso perché Microsoft stessa era impegnata a riacquistarle. Questo indica il livello di irrealtà del mercato statunitense di oggi. Gli addetti ai lavori sanno che sta per crollare. Elon Musk di Tesla ha appena venduto 10 miliardi di dollari di sue azioni, in teoria per pagare le tasse.
A rendere il mercato azionario ancora più vulnerabile nei confronti di una corsa alle vendite innescata dal panico, una volta che sarà chiaro che la Fed aumenterà i tassi di interesse, c’è quasi 1 trilione di dollari in margin debt (il debito per coloro che comprano azioni con denaro preso in prestito dai loro broker), secondo i dati di ottobre. Una volta iniziata la grande svendita del mercato, probabilmente all’inizio del 2022, i broker chiederanno il rimborso del loro debito di margine, il cosiddetto margin call. Questo, a sua volta, accelererà le vendite forzate per aumentare le disponibilità di liquido.
Tapering?
Si discute molto su quando la Fed ridurrà i propri acquisti di titoli del Tesoro USA e di obbligazioni ipotecarie legate al governo. Questi acquisti sono enormi. Dall’inizio dell’isteria legata alla pandemia Covid, nel febbraio 2020, le partecipazioni totali della Federal Reserve in tali titoli sono più che raddoppiate, da 3,8 trilioni di dollari a 8 trilioni di dollari alla fine di ottobre 2021. Questo ha mantenuto i tassi dei mutui per la casa artificialmente bassi e ha alimentato l’acquisto frenetico di case, dal momento che la gente ha capito che i tassi bassi stanno per finire. La riduzione a zero degli acquisti mensili di obbligazioni e, contemporaneamente, l’aumento dei tassi di interesse più importanti, è chiamato “tapering” dalla FED, un doppio colpo mortale.
Questa è una cosa enorme e, all’inizio del 2022, il sangue scorrerà a Wall Street quando il tapering della Fed prenderà slancio, insieme all’aumento dei tassi di interesse.
Già a novembre la Fed aveva iniziato a ridurre i suoi acquisti mensili in supporto al mercato. “Alla luce dei sostanziali ulteriori progressi che l’economia ha fatto verso gli obiettivi del Comitato di massima occupazione e stabilità dei prezzi,” secondo quanto dichiarato dal FOMC (Federal Open Market Committee) nei suoi recenti verbali. Il comitato ha inoltre annunciato di voler diminuire in novembre e dicembre la quantità di acquisti di titoli garantiti da mutui ipotecari e dal Tesoro.
Dall’epoca della guerra del Vietnam, con l’amministrazione Johnson, il governo degli Stati Uniti ha continuamente manipolato i dati sull’occupazione e sull’inflazione per dare un quadro migliore di quello esistente. L’economista privato John Williams di Shadow Government Statistics, stima che l’attuale disoccupazione USA, ben lontana dal 4,2% riportato per novembre, sia, in realtà, ad oltre il 24,8%. Come nota Williams, “l’impennata dell’inflazione riflette l’enorme creazione di offerta monetaria, l’incredibile deficit federale e l’espansione del debito federale, le perturbazioni pandemiche e la scarsità dell’offerta; non riflette un’economia in surriscaldamento.” Il deficit del bilancio federale sta raggiungendo la cifra record di 3 trilioni di dollari l’anno, senza una fine in vista.
Aumentare i tassi in questo frangente precario farà crollare il fragile sistema finanziario statunitense e globale, aprendo la strada ad una crisi in cui i cittadini potrebbero implorare un aiuto di emergenza sotto forma di denaro digitale e di un Grande Reset. Vale la pena notare che ogni grande crollo del mercato azionario statunitense dall’ottobre 1929, compreso quello del 2007-8, è stato il risultato di azioni deliberate della Fed, mascherate sotto la pretesa di “contenere l’inflazione.” Questa volta il danno potrebbe essere epocale. A settembre l’Istituto di Finanza Internazionale, con sede a Washington, ha stimato che i livelli di debito globale, che includono il debito del governo, delle famiglie, delle imprese e delle banche, erano aumentati da 4,8 trilioni di dollari a 296 trilioni di dollari alla fine di giugno, 36 trilioni di dollari sopra i livelli pre-pandemici. Ben 92 trilioni di dollari sono dovuti dai mercati emergenti come Turchia, Cina, India e Pakistan. L’aumento dei tassi d’interesse innescherà crisi di default in tutto il mondo, dato che i prestatari non saranno in grado di ripagare il debito.
Questo era stato deliberatamente pianificato dalle banche centrali, guidate dalla Fed, dopo la crisi del 2008, spingendo i tassi di interesse a zero o addirittura in territorio negativo.
Fonte: journal-neo.org
Link: https://journal-neo.org/2021/12/15/will-fed-crash-global-financial-markets-for-their-great-reset/
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
FONTE: https://www.ariannaeditrice.it/articoli/la-fed-fara-crollare-i-mercati-finanziari-globali-per-favorire-il-grande-reset
GIUSTIZIA E NORME
Comunicazioni da remoto: esigenze di Privacy e di Pubblica Sicurezza
In tema di “Acquisti per lo sviluppo di sistemi informativi per la diffusione del lavoro agile e di servizi in rete per l’accesso di cittadini e imprese … le amministrazioni aggiudicatrici … sono autorizzate, sino al 31 dicembre 2021, ad acquistare beni e servizi informatici, preferibilmente basati sul modello cloud SaaS (software as a service) e, soltanto laddove ricorrono esigenze di sicurezza pubblica ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2018/1807 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, con sistemi di conservazione, processamento e gestione dei dati necessariamente localizzati sul territorio nazionale”.
L’11 marzo 2020 l’OMS ha ufficializzato come “pandemica” la situazione che aveva descritto in precedenza come emergenza di sanità pubblica derivante dalla diffusione del virus covid-19. L’Italia ancor prima, il 31 gennaio 2020, aveva dichiarato uno stato di emergenza generale per sei mesi (fino al 31 luglio 2020) che purtroppo poi è stato prorogato più volte fino ad oggi.
Per far fronte rapidamente all’emergenza il nostro paese è ricorso al decreto-legge come strumento. Sono stati quindi emanati molti decreti, alcuni hanno costituito la base legislativa per l’emanazione dei diversi D.P.C.M. che hanno disciplinato le misure di contenimento e la loro progressiva (e sperata) eliminazione. Altri invece hanno dettato misure per fronteggiare e gestire le emergenze sanitarie, ma soprattutto le conseguenze economiche e sociali derivanti dall’adozione delle misure che, nella pratica, sono andate nella direzione di restringere e ridurre ogni attività, lavorativa ma anche personale.
1. Il decreto-legge “Cura Italia” ed le comunicazioni da remoto
Il Decreto Cura Italia ha cambiato il testo del decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020 rubricato “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, che è stato il primo provvedimento emanato per rispondere all’emergenza con strumenti economici.
Convertito con modificazioni dalla Legge n. 27/2020, il decreto ha introdotto molte novità:
– potenziamento delle risorse umane e strumentali del servizio sanitario nazionale;
– estensione delle misure di carattere fiscale, introdotte inizialmente per la cd. zona rossa di Lombardia e Veneto, a tutto il territorio nazionale;
– equiparazione del periodo trascorso in quarantena alla malattia;
– riconoscimento di congedi e vari bonus, tra cui quello per baby sitter;
– sospensione delle procedure di licenziamento collettivo e dello svolgimento delle procedure concorsuali per l’accesso al pubblico impiego.
La misura più importante, che ha cambiato anche il futuro del modo di lavorare, è rappresentata sicuramente dal ricorso al lavoro agile o c.d. smart working, introdotto per qualsiasi rapporto di lavoro subordinato e che ha costituito di fatto la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa delle pubbliche amministrazioni, oltre a quella del privato, con limitazione della presenza sul posto di lavoro esclusivamente per assicurare attività indifferibili e non altrimenti erogabili.A tal proposito, è proprio nel settore della Giustizia, che più di ogni altro si sono resi evidenti gli effetti del lavoro agile. Vediamo alcuni esempi.
Le misure di distanziamento previste dalla legislazione emergenziale hanno reso difficoltoso a clienti e avvocati incontrarsi per firmare la procura alle liti, quindi è stato introdotto un emendamento affinché la sottoscrizione della procura potesse essere apposta dalla parte anche su un documento cartaceo trasmesso al difensore via email. Nei procedimenti civili innanzi alla Corte di Cassazione il deposito degli atti e dei documenti da parte degli avvocati è stato autorizzato anche in modalità telematica nel rispetto della normativa sulla sottoscrizione, trasmissione e ricezione dei documenti informatici.
Un altro emendamento ha previsto che nel corso delle indagini preliminari il pubblico ministero e il giudice potessero avvalersi di collegamenti da remoto, individuati e regolati con provvedimento del Dgsia, per compiere atti che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, del difensore, di consulenti, di esperti o di altre persone. Il 10 ed il 20 marzo 2020 la Dgsia ha pubblicato due decreti, pressoché simili, che hanno attuato i Decreti Legge n. 11/2020 e 18/2020, prevedendo per le udienze civili (art. 2) e quelle penali (art. 3) l’utilizzo di due soli programmi, entrambi della Microsoft, Skype Business e Teams, specificando che i collegamenti utilizzano infrastrutture dell’amministrazione o aree di data center riservate in via esclusiva al Ministero della Giustizia. Il provvedimento della Dgsia non specifica tuttavia la localizzazione geografica (se in Italia oppure altrove) delle aree riservate. Se il riferimento è al cloud, allora i servizi sono forniti tramite i data center Microsoft di Dublino e Francoforte, riferimento per l’Europa.
Il problema attuale dei servizi in cloud non è più la sicurezza dei collegamenti da e verso di essi poiché tutti ormai usano protocolli sicuri, piuttosto è quello di comprendere dove risiedono i dati. Queste perplessità sono abbastanza diffuse, tanto che lo stesso Garante della privacy il 16 aprile 2020, quasi 30 giorni dopo il provvedimento della Dgsia, ha scritto di suo pugno una lettera al Ministro della Giustizia ponendosi seri interrogativi sulle caratteristiche tecniche delle piattaforme indicate dalla Dgsia, nonché sull’opportunità della scelta di un fornitore del servizio in questione stabilito negli Usa e, come tale, soggetto tra l’altro all’applicazione delle norme del Cloud Act, “Clarifying Lawful Overseas Use of Data (Cloud) Act “, che consente al governo Usa di chiedere ad organizzazioni americane di accedere ai dati ospitati anche su server presenti all’estero.
Il Garante ha lamentato anche l’eccezionalità (ovvero non era mai accaduto prima) con cui l’Autorità non è stata investita di alcuna richiesta di parere sulle norme emanate in merito, con decretazione d’urgenza, né sulle determinazioni della Dgsia in ordine alla scelta della piattaforma e dell’applicativo da indicare, ai fini della celebrazione da remoto del processo penale. Il timore è quali tipologie di dati sono memorizzati da Microsoft per finalità proprie, del servizio o commerciali e sull’eventualità che Microsoft o un amministratore di sistema (anche figura interna all’amministrazione pubblica) possa desumere, dai metadati nella sua disponibilità, alcuni dati “giudiziari” particolarmente delicati quali, ad esempio, la condizione di soggetto sottoposto alle indagini.
2. Le applicazioni SaaS ed il modello di cloud
Un’applicazione che consente una comunicazione da remoto, che può essere un video/audio meeting, oggi è di fatto un’applicazione in cloud. Il paradigma alla base del suo utilizzo è cambiato rispetto al passato, non si paga più per la licenza ma in base all’utilizzo effettivo ovvero solo per le risorse usate. Le applicazioni, o meglio i software, così utilizzati in cloud sono indicati con Software as a Service (SaaS) e presentano molti vantaggi:
- costi ridotti per la configurazione e l’infrastruttura;
- accessibilità con possibilità di accedere da qualunque parte del modo;
- scalabilità perché l’utilizzo può essere organizzato per numero di postazioni con accesso e per un tempo prestabilito;
- aggiornamenti automatici e frequenti;
- standard di sicurezza comuni a tutti gli utenti, quindi si evita la possibilità che qualche utente possa rappresentare l’anello debole della catena.
Il modello tradizionale del SaaS ha tuttavia degli svantaggi, in parte richiamati proprio nella lettera del Garante della privacy prima citata. Tra tutti probabilmente quello maggiormente sentito è la cessione dei dati al provider, ovvero i nostri dati non sono fisicamente in nostro possesso. Questa è la ovvia conseguenza di come sia evoluto il modello di vendita, che è passato da un servizio costoso in cui tutto era in nostro possesso, ad uno economico a discapito però del possesso del bene più prezioso, i nostri dati.
Nel caso specifico dei collegamenti da remoto quali potrebbero essere i dati che conserva il cloud provider? Ipotizzando una funzionalità completa di servizi per la comunicazione a distanza, avremmo i dati identificativi dell’utente (username univocamente attribuibili), i dati relativi al chiamante e al chiamato, la durata della conversazione, l’IP utilizzato, i messaggi inviati nella chat di gruppo o personale con i loro allegati (foto, documenti, link, ecc.). Se poi sono presenti altri servizi, come la email oppure il calendario, allora le informazioni sono maggiori, più complesse e con la possibilità anche di correlarle tra loro.
Il servizio fornito per effettuare un collegamento da remoto dipende dal tipo di provider scelto, dal ruolo che svolge nell’erogazione del servizio stesso. In genere le figure coinvolte sono tre:
il provider dell’applicazione, che è la componente che permette effettivamente di poter stabilire la connessione e di gestire le funzionalità previste, nonché di curare gli aspetti relativi alla privacy e alla sicurezza;
il provider del cloud o dello spazio fisico dove risiede l’applicazione;
il provider del media service, che è la componente che permette esclusivamente di codificare/decodificare il dato affinché sia trasmesso ad esempio per una video chiamata, la cui complessità dipende dal numero di connessioni contemporanee consentite (si pensi ad esempio a meeting con oltre 200 partecipanti).
Fino ad oggi sono esistiti solo due modelli architetturali, quello che segue ancora il vecchio paradigma del pagamento della licenza per avere l’applicazione ed il media service in casa, molto costoso, e quello a cui ci si affida ad un unico provider che assume i tre ruoli visti in precedenza, molto economico.
Infatti, sia l’applicazione che il media service si abbinano molto bene con il cloud: un’applicazione può essere su cloud, allora è un SaaS, mentre il media service generalmente è sempre su cloud perché quest’ultimo consente di gestire dinamicamente le risorse necessarie.
Oggi però si sta presentando al mercato una terza soluzione, grazie alla presenza di provider che offrono la possibilità di scegliere l’utilizzo separato dello spazio in cloud da quello del media service, sempre in cloud. Questa nuova soluzione è nata proprio per venire incontro alle sempre più evidenti esigenze stringenti di privacy, quindi ha consentito di riportare in casa la gestione dei propri dati, ma sfruttando le potenzialità del media service in cloud e di fatto sollevando le pubbliche amministrazioni e le aziende private da pesanti adeguamenti architetturali e costosi investimenti dovuti all’approvvigionamento di hardware, software e connettività di larga banda richiesti dal tipo di servizio.
Nella tabella in alto abbiamo provato a schematizzare la tipologia di servizio che consente di effettuare comunicazioni da remoto, e che il mercato oggi può offrire, in funzione delle tre figure di provider prima elencate, evidenziandone vantaggi, svantaggi e costi.
3. Pubblica sicurezza e l’art. 75 del Decreto-legge “Cura Italia”
Il Regolamento UE 2018/1807 del 14 novembre 2018, relativo a un quadro applicabile alla libera circolazione dei dati non personali nell’Unione europea, prevede al “considerando” n.19 la nozione di “pubblica sicurezza” come, ai sensi dell’articolo 52 TFUE nell’interpretazione datane dalla Corte di giustizia, la sicurezza sia interna che esterna di uno Stato membro, come pure le questioni di incolumità pubblica, in particolare al fine di agevolare le indagini, l’accertamento e il perseguimento di reati. Inoltre al considerando n.18 prevede che “è opportuno che gli Stati membri possano invocare unicamente la sicurezza pubblica come giustificazione per gli obblighi di localizzazione dei dati”, infatti l’art. 4 comma 1 prevede che “gli obblighi di localizzazione di dati sono vietati a meno che siano giustificati da motivi di sicurezza pubblica nel rispetto del principio di proporzionalità”.
L’articolo 75 del decreto-legge “Cura Italia” regola gli “Acquisti per lo sviluppo di sistemi informativi per la diffusione del lavoro agile e di servizi in rete per l’accesso di cittadini e imprese” ed ha disciplinato l’acquisto di beni e servizi informatici, preferibilmente basati sul modello cloud SaaS (software as a service) e, soltanto laddove ricorrono esigenze di sicurezza pubblica ai sensi del già ricordato articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2018/1807, con sistemi di conservazione, processamento e gestione dei dati necessariamente localizzati sul territorio nazionale, nonché servizi di connettività.
Come beni e servizi informatici, l’articolo 75 rappresenta una deroga all’obbligo di ricorrere al sistema Consip/Mepa (art. 1, comma 450, legge 27 dicembre 2006, n. 296 e s.s.m.m.- art. 1, commi 510 e 512, Legge 28/12/2015, n. 208), per cercare la soluzione migliore che risponda alle specifiche esigenze della PA. Inoltre, non essendo previsto niente al riguardo, sembra che l’articolo 75 del “Cura Italia” si applichi a contratti di qualunque importo (sopra o sotto le soglie comunitarie).
Il Decreto Milleproroghe del 31 dicembre 2020 ha poi modificato l’articolo 75 del Decreto “Cura Italia”, spostando l’autorizzazione ad operare in deroga alle precedenti disposizioni di legge fino al 31 dicembre 2021. Restano ferme le necessità di rispettare le disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione della corruzione, nonché di acquisire software presenti nel marketplace cloud della PA gestito da Agid (https://cloud.italia.it/marketplace/). ©
FONTE: https://www.sicurezzaegiustizia.com/comunicazioni-da-remoto-esigenze-di-privacy-e-di-pubblica-sicurezza/
IMMIGRAZIONI
MALTA RESPINGE ONG TEDESCA IN ITALIA CON 233 CLANDESTINI: VARIANTE AFRICANA
Le autorità maltesi hanno rifiutato la richiesta della Ong tedesca Sea-Eye di sbarcare 233 migranti che sono stati salvati in quattro operazioni nell’area di ricerca e salvataggio maltese.
Ci prendono tutti per il culo. Dalle Ong a Malta, il governo Draghi ha trasformato l’Italia nella puttana del Mediterraneo. Tampone per i turisti, clandestini a raffica.
Da notare che non ci sono stata partenze dalla Libia fino al ritorno delle ong nell’ultima settimana.
FONTE: https://voxnews.info/2021/12/19/malta-respinge-ong-tedesca-in-italia-con-233-clandestini-variante-africana/
PANORAMA INTERNAZIONALE
I greci commemorano il massacro del 1973 da parte della giunta sostenuta dagli Stati Uniti
La storia ci ricorda la malvagia ingerenza straniera degli Stati Uniti e la necessità di un forte movimento antimperialista
Ero ad Atene, in Grecia, all’inizio di questo mese e ho avuto la possibilità di partecipare per la prima volta alla marcia annuale del 17 novembre sull’ambasciata degli Stati Uniti.
Quando lavoravo come ufficiale della CIA ad Atene tra il 1998 e il 2000, eravamo soliti evacuare l’ambasciata ogni anno il 17 novembre, per non essere oggetto di violenza da parte della folla, che contava sempre decine di migliaia e a volte rompeva finestre e lanciava palloncini pieni di vernice rossa all’ambasciata.
L’evento annuale commemora la data del 1973, quando la dittatura militare greca di estrema destra, la Giunta, attaccò studenti disarmati e pacifici al Politecnico di Atene che manifestavano per un ritorno alla democrazia.
Decine di studenti furono uccisi, la giunta fu universalmente condannata e l’evento portò al lento crollo della dittatura l’estate successiva.
Allora perché manifestare all’ambasciata degli Stati Uniti?
È perché il governo degli Stati Uniti è stato da solo responsabile dell’installazione della dittatura nel 1967. Il colpo di stato ha portato a un periodo di sette anni di violenza ufficiale, tortura e dolore che è ancora così tanto in cima alla mente della maggior parte dei greci, che un greco ha bisogno di dire solo “i sette anni”, την επταετία, affinché letteralmente tutti sappiano di ciò che sta parlando.
La causa del colpo di stato non era affatto complicata. Era un’ossessione degli Stati Uniti per il comunismo.
Il primo ministro greco George Papandreou, padre e nonno dei futuri primi ministri, fece una visita ufficiale a Washington nel 1967, durante la quale il presidente Lyndon Johnson gli disse: “Se non gestisci il tuo problema comunista, lo faremo per te”.
Papandreou era un politico centrista. All’epoca non c’era alcun problema con il comunismo in Grecia. La guerra civile greca tra forze di sinistra e di destra era finita 15 anni prima, il Partito Comunista di Grecia (KKE) era formalmente bandito e l’opinione pubblica favoriva fortemente il re di centro-destra.
Questo non era abbastanza buono per Washington, però. Un mio ex collega della CIA, Gust Avrakotos, che in seguito fu interpretato da Philip Seymour Hoffman nel film Charlie Wilson’s War e che era una figura importante nella Grecia dell’era della giunta, mi disse che aveva preso il vento di un colpo di stato pianificato la notte prima che i carri armati scendessero in strada il 21 aprile 1967.
Nonostante fosse uno stridente anticomunista, Gust convocò un incontro con un colonnello anziano per avvertirlo di non rovesciare il governo di Papandreou. Il colonnello negò qualsiasi conoscenza di un colpo di stato, ma ore dopo, era uno degli alti ufficiali che comandavano quei carri armati per le strade.
Quello che Gust non sapeva era che la Casa Bianca, il Consiglio di Sicurezza Nazionale e il Dipartimento di Stato avevano già preso la decisione di rovesciare il governo e installare i colonnelli. La democrazia era morta nel luogo in cui era nata.
Dalla caduta della giunta nel 1974, il KKE è stato legalizzato nel 1981 e la Grecia è stata governata da socialisti per 21 anni, conservatori per 20 anni e persino comunisti per quattro anni.
Le relazioni tra Grecia e Stati Uniti oggi sono strette. La Grecia è un membro attivo della NATO e un membro dell’Unione Europea. L’economia è forte dopo anni di privazioni economiche e i greci sono noti per essere amichevoli, ospitali e generosi.
Ad ogni greco, però, viene insegnato a scuola che sono stati gli Stati Uniti a uccidere la democrazia del paese. Sono stati gli Stati Uniti, apparentemente il “protettore” del paese, che hanno eliminato il governo liberamente eletto della Grecia e installato una brutale dittatura militare. Ai bambini greci vengono insegnate esperienze simili tra cileni, vietnamiti, kenioti e altri.
Le azioni segrete degli Stati Uniti non sono perse dalla maggior parte dei greci. Sono un popolo che perdona, ma non vogliono essere come gli Stati Uniti. Hanno imparato alcune lezioni dall’oppressione e vogliono assicurarsi che le loro esperienze non si ripetano.
Ad esempio, a causa degli eccessi della polizia durante la giunta, la polizia non è autorizzata a perquisire le case delle persone o ad effettuare arresti durante le ore notturne. La giunta era solita inviare la polizia nelle case della gente nel cuore della notte per sfondare la porta e fare arresti. Non più. Se ci sarà un arresto, o anche una perquisizione legale, deve essere fatto durante le ore diurne.
La polizia inoltre non è ammessa nel campus di alcun college o università per nessun motivo. Mai.
Hanno causato così tanto dolore con la loro violenza contro manifestanti pacifici e disarmati a favore della democrazia il 17 novembre 1973 che i greci sono determinati a non permettere mai più che ciò accada.
Le università occasionalmente diventano rifugi sicuri per arci-criminali come artisti di graffiti e jaywalker, ovviamente, ma la società lo ha accettato. E l’esercito è stato permanentemente bandito da qualsiasi ruolo interno. Non ci saranno mai più carri armati nelle strade, a meno che non sia per difendere il paese da un’invasione turca.
Tutti possiamo imparare dalle esperienze dei greci. L’ingerenza straniera è sbagliata. Non finisce mai bene. Non è mai qualcosa di cui essere orgogliosi. Non genera mai ringraziamenti.
Al contrario, è un miracolo che gli Stati Uniti e la Grecia ora abbiano relazioni strette. Ci sono volute tre generazioni per superare la rabbia. Ma ogni greco sa cosa Washington ha fatto loro, e nessuno lo dimenticherà mai, specialmente il 17esimo di novembre.
FONTE: https://covertactionmagazine.com/2021/12/01/greeks-commemorate-1973-massacre-by-u-s-backed-junta/
L’impatto sociopolitico ed economico della pandemia
18.12.2021 Autore: Vladimir Danilov
Due anni di pandemia di coronavirus hanno seriamente cambiato il mondo che ci circonda economicamente e politicamente. La pandemia ha dimostrato che qualsiasi epidemia di massa è una sfida generica per la società tanto quanto la guerra, un cambiamento nelle epoche geologiche o nelle fasi economiche. In questo momento difficile per tutti, tutte le strutture di potere e le istituzioni pubbliche hanno dovuto far fronte alla necessità di dimostrare di essere ancora capaci e di avere un futuro. Sfortunatamente, molte di queste strutture non hanno resistito alla prova del tempo, perdendo credibilità e autorità.
Ad esempio, la Commissione europea e il Parlamento europeo si sono dimostrati incapaci di consolidare gli sforzi di tutti i membri dell’UE per sviluppare e attuare misure antiepidemiche efficaci. Inoltre, soprattutto nel periodo iniziale dell’epidemia, Bruxelles ha dimostrato una completa paralisi della leadership e una totale riluttanza ad assumersi responsabilità, costringendo così i governi nazionali a cercare la salvezza da soli, in modalità “ognuno per sé”. Ciò è particolarmente evidente nel forte aumento della concorrenza tra gli Stati per medicinali, attrezzature mediche e materiali di consumo essenziali, come maschere mediche e guanti sanitari.
Come affermano i media europei , la pandemia ha avuto un effetto notevole sui paesi dell’Europa centrale e orientale, che hanno dovuto affrontare un forte aumento dell’inflazione e dei prezzi. Così, secondo l’Istituto nazionale di statistica, ad ottobre l’indice dei prezzi al consumo in Romania è aumentato del 7,9% su base annua, raggiungendo il livello più alto degli ultimi dieci anni. Nello stesso mese l’inflazione in Repubblica Ceca è aumentata del 5,8%, in Ungheria del 6,5% e in Polonia del 6,8%. Complessivamente, secondo le previsioni di Oxford Economics, l’inflazione nell’Europa centrale e orientale dovrebbe aumentare del 7% quest’anno. In confronto, il suo aumento è previsto solo del 3,7% in tutta la zona euro. Come sottolinea Liam Peach della società britannica Capital Economics, “Questa regione ha il maggior rischio di aumenti sostenuti dei prezzi nei prossimi anni”.
La fuga di cervelli in Occidente aggrava questo problema per l’Europa centrale e orientale, riducendo la popolazione in età lavorativa a causa del basso tasso di natalità.
Nemmeno la democrazia in stile americano è sopravvissuta all’esame pubblico, dimostrando il suo egoismo sotto lo slogan “America first”, il desiderio di Washington di utilizzare la crisi pandemica come strumento per riconquistare la leadership mondiale sulla scena internazionale, anche influenzando il mercato per la produzione e distribuzione di vaccini contro il coronavirus. Sebbene gli Stati Uniti continuino a posizionarsi come l’economia più sviluppata, ricca e sostenibile del mondo, l’epidemia di coronavirus ne ha risentito pesantemente. Secondo l’economista di Harvard David Cutler e l’ex segretario al Tesoro americano Lawrence Summers, questo danno ha già superato qualsiasi perdita prevista legata al cambiamento climatico sul pianeta nei prossimi 10-15 anni. In particolare, rilevano che, considerando gli effetti a lungo termine,
Il Covid ha cambiato il modo in cui le persone negli Stati Uniti pensano al lavoro: nonostante l’aumento dei prezzi, gli Stati Uniti hanno registrato un record di 4,4 milioni di licenziamenti a settembre, riporta la CNN . Come spiega il canale, la percezione del lavoro da parte delle persone è cambiata a causa della pandemia. Inoltre, le aziende ora cercano disperatamente persone e riempiono tutti i loro posti vacanti. Tutto ciò complicherà solo la ripartenza economica, le catene di approvvigionamento e l’inflazione a breve termine.
Come conseguenza della pandemia, c’è stato un aumento della violenza scolastica e del vandalismo in tutti gli Stati Uniti. Alcuni incidenti hanno portato ad arresti e persino alla chiusura temporanea di istituti scolastici. Secondo le autorità scolastiche, il picco di violenza è legato alla prolungata interruzione della scuola in presenza, ai disagi della pandemia e ai cattivi esempi degli adulti.
Le perdite per l’economia mondiale dalla pandemia di coronavirus vanno da $ 4 trilioni a $ 10 trilioni, ha affermato Alexei Kudrin, capo della Camera dei conti della Russia, in un discorso video ai partecipanti al Terzo Forum municipale internazionale dei BRICS.
La Johns Hopkins University stima che il numero totale di decessi per Covid-19 in tutto il mondo sia ora superiore a 5,3 milioni, paragonabile alla popolazione di Roma e Parigi messe insieme. La maggior parte dei morti sono registrati negli USA, più di 640.000 persone. In Brasile, più di 580.000 persone. In India i morti sono più di 440.000. Sorprendentemente, solo negli ultimi cinque mesi, il numero di morti per Covid-19 in tutto il mondo è aumentato di 1,5 milioni! Come ha sottolineato il presidente russo Vladimir Putin alla 18a riunione annuale del Valdai Discussion Club, le perdite dovute alla pandemia di coronavirus superano quelle della prima guerra mondiale.
La pandemia di coronavirus ha spinto 100 milioni di bambini al di sotto della soglia di povertà, osserva il canale televisivo svizzero SRF . La pandemia ha spazzato via tutti i progressi compiuti negli ultimi decenni contro la povertà infantile. Oggi, più di un miliardo di bambini è senza cure sanitarie e nutrizione sufficienti, senza pieno accesso ai servizi igienico-sanitari, all’acqua pulita e, soprattutto, all’istruzione. Sono aumentati anche i tassi di lavoro minorile: oggi 160 milioni di minori devono lavorare. L’UNICEF stima che entro la fine del prossimo anno saranno necessari altri 9 milioni di bambini per sfamare le proprie famiglie.
Né il mercato aperto ha resistito alla prova della pandemia di coronavirus: le chiusure delle frontiere dovute alle restrizioni di quarantena hanno fatto crollare intere industrie e reciso un’intricata rete di collegamenti commerciali, produttivi e logistici. Le chiusure delle frontiere hanno colpito particolarmente il turismo, costringendo i dirigenti delle compagnie aeree a riconsiderare radicalmente i piani per l’acquisto di nuovi aeromobili, causando un calo delle vendite dei produttori di aeromobili e una radicale riduzione del portafoglio di ordini futuri.
Un’analisi dell’impatto della pandemia in diversi paesi ha rivelato e approfondito molti dei problemi emergenti. Primo, geopoliticamente il mondo ha perso la sua unità monolitica. Le organizzazioni internazionali, comprese quelle di primo piano come l’ONU, l’OMS, l’OMC e i principali blocchi geopolitici, in particolare l’Unione Europea, nel combattere i fattori negativi sono stati inescusabilemente lenti e francamente incapaci di assumere il ruolo di coordinamento attivo che era stato loro precedentemente attribuito. I governi nazionali sono stati costretti a salvare da soli le proprie economie, il che ha creato una frattura politica significativa nel mondo.
Vladimir Danilov, osservatore politico, in esclusiva per la rivista online “ New Eastern Outlook ”.
FONTE: https://journal-neo.org/2021/12/18/the-socio-political-and-economic-impact-of-the-pandemic/
STORIA
Il nuovo JFK Revisited di Oliver Stone smentisce la storia ufficiale: rivela il coinvolgimento dell’intelligence statunitense nell’assassinio
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