RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
20 GIUGNO 2019
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
La coscienza regna e non governa.
PAUL VALERY, Cattivi pensieri, Adelphi, 2006, pag. 52
https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/
Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com
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SOMMARIO
4,4 miliardi di africani entro fine secolo: ecco la vera questione che non possiamo più ignorare 1
Ma lo sa l’Anpi che Gino Bartali era nella Repubblica Sociale Italiana? 1
Scrittore gay irride il gender. E la Bbc Books manda al macero il suo lavoro 1
Quando il suo “Gesù” fu escluso dalla “Vatican’s list” 1
Relazione Garante infanzia al Parlamento: “Adulti si prendano le loro responsabilità” 1
Enti inutili, un “pozzo” che ingoia 12 miliardi l’anno. 1
Enti inutili, otto leggi per cancellarli dal 1956. Eppure, sono sempre lì 1
Altro che spending review: ecco quanto ci costano gli enti inutili 1
Il misterioso uomo della tensione 1
Trump da il via agli arresti di massa degli immigrati irregolari
The Donald contro Supermario: ecco perché Draghi è l’alibi perfetto di Trump 1
La Teoria Monetaria Moderna: un’illusione che abbaglia 1
La sentenza indigesta del Tar adesso fa infuriare Sea Watch 1
Nomine CSM: si è perso per strada lo scandalo 1
Le cause della crisi europea, in successione quasi cronologica 1
È più facile che un Cammilleri passi per la cruna di un ago….. 1
IN EVIDENZA
4,4 miliardi di africani entro fine secolo: ecco la vera questione che non possiamo più ignorare
16 giugno 2019
I megatrend sono i cambiamenti in corso da molti anni, destinati a durare ancora a lungo, come la crescita demografica. Siccome invertirli è impossibile, bisogna prepararsi a gestirli. Ecco come
Così come disponiamo di strumenti per studiare e ricostruire la storia, analogamente esistono strumenti scientificamente solidi per immaginare e studiare il futuro. La ricerca ha infatti sviluppato strumenti affidabili per tracciare i megatrend che caratterizzeranno i prossimi decenni ed elaborare scenari sufficientemente precisi per guidare le decisioni nel presente. Intelligenza collettiva, tattiche militari, strategie resilienti riempiono la cassetta degli attrezzi di una nuova professione: quella del futurista, per la quale, però occorre un talento particolare, ovvero la capacità di nutrire grandi aspirazioni.
Pubblichiamo un estratto di Lavorare con il futuro. Idee e strumenti per governare l’incertezza di Roberto Poli (edizioni Egea)
Megatrend ed esplorazioni rappresentano previsioni e scoperte on steroids. Entrambi si riferiscono a serie coordinate di cambiamenti in corso da molti anni, tipicamente decenni, che promettono di perdurare ancora a lungo, ed entrambi hanno a che vedere con trasformazioni rilevanti, che influenzano molti altri mutamenti, impattando su diversi settori economici e modificando profondamente forme e meccanismi sociali. La principale differenza fra megatrend ed esplorazioni è che le variabili fondamentali dei primi sono determinate, mentre quelle delle seconde sono aperte e oscillanti.
Uno degli errori più gravi che un futurista possa commettere è proprio quello di confondere un’esplorazione con un megatrend, ovvero considerare qualcosa che tutto sommato si può ancora orientare come qualcosa su cui c’è ben poco da fare.
I megatrend sono così profondamente incassati nel funzionamento complessivo del mondo che la sola idea di provare a invertirne uno appare implausibile. Rispetto a una tendenza di questo tipo c’è ben poco che possiamo fare, se non prepararci a gestirla; la possibilità di deflettere un megatrend è close to nil, praticamente zero, benché non manchino alcune rare possibilità di intervento. A seguire ne presenterò un caso.
I megatrend sono spesso accompagnati da trend secondari che si muovono in direzione opposta. Per esempio, la costante crescita globale delle città è accompagnata da un movimento contrario di fuga dalla città e di ritorno nelle campagne. Il ripopolamento di alcune valli dell’arco alpino esemplifica bene questa controtendenza: dopo decenni di progressiva fuga dalla montagna, assistiamo ora a un flusso contrario di persone che decidono di tornare a vivere in montagna. Prestare attenzione ai controtrend può rivelarsi fruttuoso, poiché non di rado si tratta di indicatori di potenziali nicchie di mercato. L’importante è non confondere gli uni con gli altri, i megatrend dominanti con i controtrend secondari che ne contrastano gli effetti.
Di seguito andrò a illustrare alcuni esempi di megatrend. Tralascerò volutamente altri casi molto dibattuti, quali i cambiamenti climatici o le nuove tecnologie, non certo perché meno rilevanti, ma perché rientrano già stabilmente nel radar di chiunque voglia guardarsi attorno. Le descrizioni a seguire saranno per forza di cose altamente schematiche: ognuno dei temi che
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https://www.linkiesta.it/it/article/2019/06/16/megatrend-libro-roberto-poli-lavorare-futuro/42542/
Bartali nelle tracce della Maturità. Se l’Anpi sapesse che aderì alla Rsi (Repubblica sociale italiana)…
mercoledì 19 giugno 13:44 – di Adriana De Conto
Il nome di Ginettaccio – come era soprannominato Gino Bartali – tra le tracce della maturità 2019 segna il riconoscimento del celeberrimo campione di umanità e di sportività scolpito nell’immaginario popolare degli italiani.
Nella traccia da cui gli studenti partono è riportato un articolo scritto da Cristiano Gatti e pubblicato su Il Giornale del 24 settembre 2013, che rievoca la vicenda degli ebrei salvati da Gino Bartali durante la Seconda Guerra Mondiale, vicenda che gli valse il riconoscimento di Giusto tra le Nazioni. L’amatissimo campione, icona della nostra storia sportiva è stato anche altro.
Ce lo ha raccontato proprio su queste colonne Antonio Pannullo in un bellissimo e documentato articolo dal titolo “Ma lo sa l’Anpi che Gino Bartali era nella Repubblica sociale italiana?” . Visto che l’associazione dei partigiani ancora non
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Ma lo sa l’Anpi che Gino Bartali era nella Repubblica Sociale Italiana?
sabato 5 maggio 20:10 – di Antonio Pannullo
Come direbbe lui: “L’è tutto da rifare…”. In questo Paese si tende, dalla fine della guerra, a riscrivere la storia patria e, in certi casi, addirittura a nasconderla. Come sta capitando in questi giorni in occasione dei sacrosanti festeggiamenti e celebrazioni in onore del campione Gino Bartali, icona italiana se mai ce ne furono, per il suo impegno per salvare le vite di molti ebrei italiani dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Tutto vero, se non fosse per un piccolo dettaglio, che la storiografia dei vincitori ha sempre cercato di occultare: Gino Bartali era un milite della Repubblica sociale italiana. Più precisamente, era un motociclista della Gnr, la Guardia nazionale repubblicana, corpo al quale, tra l’altro, Bartali era onoratissimo di appartenere, come vedremo. Va anche precisato, per amore di verità, che Bartali non era un volontario nella Rsi, come centinaia di migliaia di altri giovani, ma era un coscritto, un richiamato alle armi. Poiché infatti lui era un grande campione che per giunta non si interessava troppo di politica, anche se diversi testimoni affermarono che era fascista, probabilmente avrebbe evitato volentieri la naja. Ma poiché era un italiano perbene e una persona corretta, rispose senza imboscarsi alla chiamata della patria.
Diciamo anche per inciso che è del tutto priva di fondamento la diceria che lo vorrebbe antifascista o che addirittura fosse entrato nella resistenza, voce messa in giro artatamente per dimostrare l’equazione fascista uguale cattivo mentre partigiano uguale buono. Non è ovviamente così, anzi, spesso si è dimostrato il contrario. In verità, moltissimi aderenti alla Repubblica Sociale, quando hanno potuto, aiutarono gli ebrei a sfuggire alle persecuzioni, il caso più noto fu quello di Giorgio Almirante. Se questa verità storica venisse raccontata agli italiani, cadrebbe il castello di menzogne edificato nel dopoguerra sino a oggi dalle sinistre. E si potrebbe finalmente parlare di pacificazione nazionale. Quindi, quando salvava gli ebrei, Bartali non era “travestito” da motociclista della Gnr, ma quella era proprio la sua uniforme. Entrò quindi nella Guardia nazionale repubblicana motociclista, la Gnr, della Repubblica Sociale Italiana, venendo assegnato a Passignano sul Trasimeno come portaordini. Ma giacché lui era Bartali, il suo superiore gli dette il permesso di utilizzare la bicicletta anziché la moto. Successivamente chiese e ottenne il trasferimento, e iniziò appunto l’attività clandestina per salvare quante più vite possibili, e lo fece da par suo, in bicicletta. Faceva 300 chilometri al giorno fino al convento di Assisi e ritorno, e portava nel tubo cavo sotto il sellino documenti e materiale che avrebbero consentito alla rete clandestina vaticana
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Scrittore gay irride il gender. E la Bbc Books manda al macero il suo lavoro
Il testo di Gareth Roberts estromesso dalla serie “Doctor who”
di Giulio Meotti – 18 Giugno 2019
Il Guardian di questa settimana in uno speciale la chiama “cancel culture”.
“I tweet che condannano, gli editori che cancellano o alterano i libri e chiedono agli autori di scusarsi, gli autori che pensano che sia rischioso persino parlare in pubblico di questo argomento”. il caso di uno degli autori della serie “Doctor Who”, Gareth Roberts.
È stato estromesso da una nuova antologia di storie basate sul celebre programma televisivo a causa di quello che l’editore Bbc Books (di proprietà della Penguin Random House e dell’emittente pubblica inglese) ha descritto come “linguaggio offensivo sulla comunità transgender”.
Roberts, che aveva già scritto sia episodi per la tv sia libri di Doctor Who, si era visto commissionare un nuovo racconto e l’aveva presentato. Quando la notizia del suo contributo è trapelata online, alcuni colleghi si sono subito mossi per la sua cacciata, mentre altri collaboratori della serie hanno minacciato di ritirarsi se Roberts fosse rimasto coinvolto.
“La Bbc Books si è piegata immediatamente a queste richieste, e sono stato informato che sarei stato pagato ma la mia storia non sarebbe stata pubblicata, poiché giudicavano, erroneamente secondo me, che un potenziale boicottaggio avrebbe reso il libro economicamente non redditizio”, dice Roberts. Nel 2017 lo scrittore aveva twittato: “Adoro il modo in cui i trans hanno scelto nomi come Munroe, Paris e Chelsea. Non è mai Julie o Bev, è così?”. La decisione ha causato una tempesta su Twitter, con Roberts sostenuto da nomi di peso come la scrittrice Julie Bindel, femminista radicale. Susie Day, autrice di libri per bambini, ha ammesso di essere stata una delle scrittrici a protestare per l’inclusione di Roberts nell’antologia, affermando che “essere coinvolti sembrava un tacito sostegno delle sue opinioni”. Anche Bethany Black, il primo attore trans di “Doctor Who”, ha sostenuto la decisione editoriale di purgare lo scrittore.
Roberts, che è gay, ha detto di non credere nell’identità di genere: “E’ impossibile per una
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ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
Quando il suo “Gesù” fu escluso dalla “Vatican’s list”
Nel 1995 gli «Oscar della Chiesa» lo ignorarono. E la sua ira fu terribile… Ecco il racconto di chi c’era
Claudio Siniscalchi – Mar, 18/06/2019
Nel 1995 il cinema festeggia il centenario. Il Vaticano per l’occasione stila una lista dei 45 film più importanti realizzati da quando i fratelli Lumière hanno presentato a Parigi la loro invenzione.
La lista si divide in tre categorie: religione, valori, arte. A scegliere i film è stata l’autorevole Pontificia commissione delle comunicazioni sociali, presieduta da un possente vescovo americano: John Patrick Foley. Ha fornito il contributo anche la Filmoteca vaticana, retta da un monsignore spagnolo piccolo quanto flemmatico: Enrique Planas. La «Vatican’s list» suscita grande interesse. Gli americani parlano di Oscar della chiesa. Una trovata geniale.
L’entusiasmo cresce di intensità, sin quando non arriva la voce tonante di Franco Zeffirelli. È uno scandalo. Si sono dimenticati del suo Gesù di Nazareth (1977). Nei quindici film di argomento religioso figurano Francesco (1989) di Liliana Cavani, Il Vangelo secondo Matteo (1964) di Pier Paolo Pasolini e Francesco giullare di Dio (1950) di Roberto Rossellini. Gli organismi vaticani provano a mettere una pezza che è peggio del buco: il film non è stato inserito essendo un prodotto televisivo. Il Maestro trasecola, attacca a testa bassa, come suo solito. Mi chiese un intervento riparatore sulla cattolica Rivista del cinematografo. Non solo non lo feci non lo potevo fare, trattandosi indirettamente di una testata vaticana ma peggiorai la situazione. Intervenni ad una presentazione della lista al Centro culturale francese di Roma. Zeffirelli era
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http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/quando-suo-ges-fu-escluso-vaticans-list-1712588.html
BELPAESE DA SALVARE
Relazione Garante infanzia al Parlamento: “Adulti si prendano le loro responsabilità”
di redazione – 19 Giu 2019
Comunicato AGIA – In Italia ci sono nove milioni e 800 mila minorenni. “Non lasciamoli soli”.
È con questo appello alla responsabilità degli adulti – genitori, comunità e istituzioni – che l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Filomena Albano ha introdotto la Relazione annuale al Parlamento, presentata stamattina a Montecitorio alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La presentazione, svolta nella Sala della Regina, è stata introdotta dai saluti del Presidente della Camera Roberto Fico.
“La Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza – ha affermato la Garante Filomena Albano – ha trasformato bambini e ragazzi da oggetto di protezione a soggetti titolari di diritti, ponendo le basi per un cambiamento nella relazione tra generazioni. Ciò però non può significare – come talora accade – che i genitori, la comunità e le istituzioni, senza assumersi le loro responsabilità, rinuncino al ruolo di guida nei confronti dei più piccoli. Quasi che l’aver assegnato loro dei diritti li abbia automaticamente resi capaci di orientarsi da soli nel mondo”.
Il discorso: le responsabilità degli adulti e delle istituzioni
La responsabilità è la parola chiave sulla quale ha insistito Filomena Albano, richiamandola in ogni passaggio del suo discorso. Responsabilità che sorgono, ad esempio, quando la coppia va in crisi. Per questi casi l’Autorità garante ha elaborato la “Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori”, che invita a tener conto del punto di vista dei più piccoli. Oppure responsabilità che entrano in gioco, sempre per gli adulti, quando lasciano i ragazzi avventurarsi da soli nella rete senza un’adeguata consapevolezza.
Ricordate pure le responsabilità delle istituzioni di fronte alle emergenze dell’infanzia. Quasi un minorenne su otto secondo l’Istat vive oggi in condizioni di povertà assoluta, mentre di contro l’offerta di servizi per l’infanzia tra regione e regione è disomogenea e ha bisogno di standard minimi uguali in tutto il territorio. “Servono più asili nido e più mense scolastiche di qualità e spazi gioco accessibili a tutti i bambini e una banca dati sulla disabilità”. È quanto ha chiesto Filomena Albano a Parlamento e istituzioni competenti attraverso la definizione di livelli essenziali delle prestazioni previsti dalla Costituzione.
Sempre alle istituzioni l’Autorità garante ha domandato di rendere effettiva l’applicazione della legge sugli orfani di crimini domestici e di intervenire prima che le tragedie si consumino. “La violenza nei confronti dei bambini è prova che il sistema di protezione non ha funzionato. Sono troppi i casi, registrati anche negli ultimi giorni, di bambini maltrattati e uccisi da chi li avrebbe dovuti proteggere”. È indispensabile intercettare situazioni di fragilità, dare supporto alla genitorialità e far emergere il sommerso: il che significa, per i più piccoli, sapere di potersi sempre rivolgere a una persona di cui si fidano e, per gli adulti, farsi “sentinelle” del loro benessere. Ma significa anche
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Enti inutili, un “pozzo” che ingoia 12 miliardi l’anno
Pubblicato il: 30/08/2017 18:37
Sono la più grande fonte di spreco e potrebbero essere un importante serbatoio di risorse da impiegare per le priorità della politica economica. Non si sa esattamente quanti siano ma possono costare fino 12 mld l’anno. Sono gli enti inutili, che periodicamente finiscono nell’agenda di governo e puntualmente ne escono, quasi sempre senza conseguenze. Dal celebre caso del Cnel, abolito dal governo Renzi ma resuscitato dall’esito fallimentare del referendum costituzionale, fino alla miriade di microenti che continuano a sopravvivere per inerzia.
Un ginepraio fatto di sigle, sedi fantasma e mission improbabili, in cui è difficile muoversi, come testimonia la difficoltà di arrivare a un censimento ‘certificato’ delle strutture che andrebbero soppresse.
Il governo Monti ha elaborato una lista di 500 enti definiti con certezza ‘inutili’ e il Codacons, nel 2015, ha stimato che eliminandoli si otterrebbero 10 miliardi di euro di risparmi l’anno. Ma ad oggi, nonostante gli sforzi messi in campo, la situazione non è cambiata. E, anzi, le risorse da scongelare possono anche crescere. “Dipende dal perimetro che si sceglie e dal tipo di ente inutile che si intende sopprimere, con un intervento drastico si potrebbero liberare anche 12-13 miliardi l’anno”, spiegano all’Adnkronos fonti di governo.
Il problema, si segnala, è che “anche quando si arriva ad abolirne qualcuno, spesso il provvedimento si perde in una lunga sequenza di ricorsi e contro-ricorsi di fronte alla giustizia amministrativa”.
Eloquente anche la fotografia scattata dalla Corte dei Conti, che ha più volte evidenziato “l’ipertrofia di enti e strutture (comprese le autorità indipendenti)”. Si tratta di enti e strutture che, ha segnalato la magistratura contabile, “si reggono dal punto di vista finanziario esclusivamente grazie a contributi o partecipazioni pubbliche”.
Si parte dagli enti più conosciuti, la cui utilità è tutta da discutere, e si arriva a una
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Enti inutili, otto leggi per cancellarli dal 1956. Eppure, sono sempre lì
Le sforbiciate annunciate negli ultimi dieci anni ne hanno eliminati o riordinati solo 37. Per Calderoli prima erano 34mila, poi solo 714. Con Monti, taglio di 353 poltrone tra Agenzie e Autorità, ma solo quando saranno scaduti gli incarichi di chi ci sta seduto oggi
di Marco Palombi | 2 Maggio 2012 RILETTURA OPPORTUNA
Tagliare la spesa e stop a tasse e tariffe che impoveriscono i redditi medio-bassi. A spiegarlo qualche giorno fa dalle colonne del Corriere della Sera è stato Giulio Tremonti, l’ex ministro dell’Economia del governo Berlusconi che nelle sue manovre ha molto agito sulla leva fiscale, colpendo i meno abbienti. Curioso, comunque, che la sua intervista, uscita dopo aver dato alle stampe un altro libro, arrivi nelle edicole lo stesso mese in cui il Servizio per il controllo parlamentare della Camera pubblica un dossier che lo riguarda da vicino. E che ha a che fare con gli enti inutili. Infatti le sforbiciate annunciate negli ultimi dieci anni ne hanno cancellati o riordinati solo 37 – una decina dei quali sotto il governo Monti – ma comunque ne hanno creati quattro nuovi. Poco per la cospicua produzione normativa sul tema.
La prima legge “taglia-enti” pare risalga addirittura al 1956, ma nel nuovo millennio il legislatore non ha badato ad articoli e commi: una legge nel 2002, una nel 2007 (governo Prodi), un paio nel 2008, poi ancora nel 2009 e altre due nel 2010. Fu introdotta anche la famosa “ghigliottina”, così la chiamavano Pdl e Lega: o il governo trova un nuovo assetto meno costoso e con compiti chiari per queste strutture o verranno abolite d’ufficio a data da stabilire (tante le proroghe). Risultato: ad oggi “non risultano casi di soppressione conseguenti ai procedimenti di riordino e soppressione inizialmente previsti dall’originaria norma taglia-enti”, scrivono i tecnici di Montecitorio, “tutti gli enti soppressi lo sono stati mediante specifica norma di legge” e molti sono enti previdenziali alla fine riassorbiti nella nuova super-Inps. Sembra impossibile che i funzionari della Camera parlino della stessa materia su cui – era il 28 ottobre 2009 – l’allora ministro Roberto Calderoli ebbe a dichiarare che “a fine mese succederà una cosa che non è mai successa in Italia: cadrà la ghigliottina sugli enti inutili che non si sono ristrutturati, non hanno chiuso, non hanno ridotto il personale e non hanno tagliato le spese”. Già nel luglio di quell’anno, sul Giornale, aveva dato i numeri precisi, per così dire: “Scompariranno circa 34 mila enti inutili che bruciano risorse solo per sopravvivere”.
L’anno dopo però, secondo Calderoli gli enti inutili si erano ridotti a 714, ma comunque l’ex ministro prometteva la mannaia. Nulla di fatto: era riuscito a scrivere 29 decreti di riordino per altrettanti enti, ma glieli hanno bocciati. Il Consiglio di Stato ha
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Altro che spending review: ecco quanto ci costano gli enti inutili
di Francesco Specchia – 3 OTTOBRE 2015
Altroché spending review: ecco quanto ci costano gli enti inutili
Il paradosso – diciamo- della buona volontà risale al 1998. Quando il Parlamento, fomentato dall’allora Robin Hood civico Raffaele Costa , individuò prima 500 e poi 1000 Enti inutili da cancellare. Per farlo, si istituì un apposito Ente. Inutile, naturalmente. Qualche anno dopo – al momento di lasciare l’incarico- l’ex ministro dell’ Economia Giulio Tremonti estrasse dalle grandi fauci della burocrazia le «carte»: tra «eletti» (parlamento, regioni, province, comuni, municipi e circoscrizioni) nominati alla presidenza di Enti ed aziende pubbliche, in Italia si raggiunge la cifra stratosferica di un milione e duecentomila persone. Solo in stipendi circa 20 miliardi l’anno. Di questi, 10 miliardi potrebbero essere tranquillamente tagliati; lo ventilò Milena Gabanelli in un memorabile Report, in inedita complicità col leghista Borghezio. Nel decennio successivo, governo Berlusconi, fu l’allora ministro della Semplificazione Roberto Calderoli a individuare 1.612 enti da eliminare perché «dannosi». Ma li individuò e basta, dopodiché Calderoli fu narcotizzato. Vivono ancora, infatti, i Tribunali delle acque, i Bacini imbriferi montani, gli Ato e i 138 enti parco regionali oltre alla flotta dei consorzi di bonifica. Perché tagliarli, gli enti, è impresa oltre l’umano. Sembra un racconto claustrofobico di Lovecraft, spuntano dal profondo. La prima legge per distruggerli risale al ’56, ma venne inghiottita da decreti e circolari interpretative, mentre gli enti inutili si moltiplicavano. Mentre si discute di riforma Senato (un doppione, quindi inutile, infatti non sarà soppresso …), gira ora un libello, Enti inutili – la rapina agli italiani di cui si parla poco e si sa troppo poco di Antonio Parisi (Imprimatur) che pare da qualche tempo sia diventato, in modo occulto, per molti dell’entourage del dominus della spending review Yoram Gutgeld, una sorta di Vangelo laico e Lonely Planet del revisore di spesa. Gutgeld, come i predecessori Cottarelli e Bondi, da mesi è alla ricerca disperata di municipalizzate, comitati, consigli, fondazioni, partecipate, comunità montane – inutili- da estirpare. Finora non esisteva uno studio articolato e divulgativo del settore; oggi, nel libro di Parisi, questa gigantesca
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https://codacons.it/altroch-spending-review-ecco-quanto-ci-costano-gli-enti-inutili/
CULTURA
Alla ricerca dell’assoluto attraverso la finitezza umana. Il significato di “Risvegli” di Ungaretti alla Maturità 2019
“Risvegli”, la poesia di Ungaretti protagonista della prima prova della Maturità 2019, è riflessione sulla condizione umana
Adalgisa Marrocco – 19 giugno 2019
Quando l’io diventa noi l’uomo scopre la fragilità, la fratellanza, l’essenza della vita propria e di quella altrui. Con “Risvegli”, lirica protagonista della prima prova della Maturità 2019, Ungaretti cerca l’assoluto, avverte di aver vissuto altre esistenze, in ere recondite. Ungaretti viaggia attraverso queste vite, tra visione onirica e reminiscenza, alla ricerca di un mistero da svelare a sé stesso e all’umanità.
Per comprendere la lirica bisogna citare il contesto storico in cui Ungaretti si ritrovò a comporla, nel 1916. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, il poeta italiano nato ad Alessandria d’Egitto si arruolò come volontario, combattendo prima sul Carso e poi sul fronte francese. Questa si rivelò per Ungaretti un’esperienza tragica, segnandolo per sempre.
La morte, la fragilità della condizione umana, la comprensione dell’inutilità del conflitto divennero fonte di dolente ispirazione poetica per le raccolte “Il porto sepolto” (1916) e “Allegria di naufragi” (1919). In esse la guerra non è mai tema centrale, ma spunto per riflettere sulla finitezza dell’uomo in netto contrasto con la tensione verso l’infinito tipica della poesia.
Riguardo i testi scritti in trincea, Ungaretti dirà: “Da due anni andavo facendo giorno per giorno il mio esame di coscienza, ficcandoli poi alla rinfusa nel tascapane, portandoli a vivere con me nel fango della trincea o facendomene capezzale nei rari riposi, non erano destinati a nessun pubblico. Non avevo idea del pubblico, e non avevo voluto la guerra e non partecipavo alla guerra per riscuotere applausi”.
“Risvegli”, partendo dallo spunto offerto dalla finitezza umana, si proietta verso un altrove che finisce per coincidere con l’assoluto e col divino (“Ma Dio cos’è?”, si legge). La tensione e la ricerca si sviluppano nell’io lirico, come dimostrato dalla ricorsività dell’uso della prima persona singolare.
“Mio momento”, “io l’ho vissuto”, “fuori di me”, “mia memoria”, “mi desto, “mi rammento”, “rincorro le nuvole”: sono queste le formule che dimostrano come Ungaretti tenti “uscire da sé” per rintracciare un mistero da rivelare mediante i versi. Una rivelazione da fare a se stesso ma anche agli altri, terreno tra i terreni.
“Nella mia poesia non c’è traccia d’odio per il nemico, né per nessuno: c’è la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini, nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione. C’è volontà d’espressione, necessità d’espressione, c’è esaltazione, quell’esaltazione quasi selvaggia dello slancio vitale, dell’appetito di vivere, che è moltiplicato dalla prossimità e dalla quotidiana frequentazione della morte. Viviamo nella contraddizione”, scrisse Ungaretti della sua ricerca poetica.
Una ricerca dell’assoluto attraverso la finitezza. Una ricerca del divino attraverso l’umano.
Ogni mio momento
io l’ho vissuto
un’altra volta
in un’epoca fonda
fuori di me
Sono lontano
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https://www.huffingtonpost.it/entry/alla-ricerca-dellassoluto-attraverso-la-finitezza-umana-ungaretti-e-le-altre-tracce-della-maturita-2019_it_5d09ee2fe4b06ad4d2588587?ref=nl-huff
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Il misterioso uomo della tensione
Sconosciuto all’opinione pubblica grazie alla copertura dei servizi segreti, Berardino Andreola compare in tutti gli episodi misteriosi degli anni di piombo: dai delitti Calabresi e Feltrinelli fino a Piazza Fontana e alla morte di Pinelli. Un libro inchiesta rivela la sua storia
DI MONICA ZORNETTA – 24 luglio 2003
Ci sarebbe un unico uomo dietro a tanti dei misteri che hanno messo in ginocchio l’Italia negli anni Sessanta e Settanta. Dietro la strategia della tensione, i delitti Calabresi e Feltrinelli, la morte di Pinelli, il tentato sequestro dell’ex senatore democristiano Graziano Verzotto.
Una abile spia dal passato troppo nero che a un certo punto, protetta dai Servizi segreti tedeschi, difesa da alcuni potenti rappresentanti delle istituzioni italiane e tutelata dal ricorso quasi schizofrenico a travestimenti e ad alias differenti, si sarebbe abilmente mescolata con il rosso al fine di depistare, insabbiare. E uccidere.
Il suo nome è Berardino Andreola, nato a Roma nel 1928 e morto a Pesaro nel 1983, indagato varie volte – con le fittizie generalità, a seconda dei casi, di Giuseppe Chittaro, Umberto Rai, Günter, Giuliano De Fonseca – per le morti di Feltrinelli e di Calabresi e per la bomba alla questura di Milano; e infine condannato – con il nome autentico – per il solo tentativo di sequestro a scopo di estorsione dell’ex presidente dell’Ente minerario siciliano, il veneto Graziano Verzotto, compare d’anello del boss catanese Giuseppe Di Cristina.
A collocare Andreola sotto una luce nuova e più articolata, svelandone l’incredibile storia, alcuni movimenti, collaborazioni, appartenenze e vicinanze inaspettate (l’Ufficio affari riservati, il vertice dell’Ufficio politico della questura di Milano, l’Aginter Press, il segretissimo gruppo Alpha, probabile mandante del delitto Calabresi), illustrandone i numerosi depistaggi e i raggiri e ipotizzando nuovi contatti, è lo studioso padovano Egidio Ceccato nella documentatissima inchiesta da poco pubblicata per Ponte alle Grazie, “L’infiltrato“.
Ceccato, tanto per cominciare: chi è Berardino Andreola.
“E’ un personaggio che ha più volte fatto capolino, con vari alias – penso a Giuseppe Chittaro Job, Giuliano De Fonseca, Umberto Rai, Günter, Francesco Miranda Sanchez, tanto per ricordarne qualcuno – in diverse inchieste di quegli anni, ma che alla fine è stato processato e condannato solo per aver diretto il tentato sequestro ai danni di Verzotto nel gennaio 1975. Proprio a seguito di questo fallito rapimento di natura politica – non estorsiva, come hanno invece stabilito le sentenze -, eseguito da tre soggetti probabilmente arrivati da Berlino, erano emersi per la prima volta il suo vero nome e la sua qualifica: “Agente segreto appartenente ad una organizzazione ideologica d’estrema sinistra (Gruppo Feltrinelli)”.
Agli sbigottiti inquirenti siciliani Andreola aveva spiegato, mentendo, di essere arrivato sull’isola per “infiltrarsi negli ambienti mafiosi” e per “studiare i sistemi operativi della mafia allo scopo di utilizzarli nell’ambito dell’organizzazione di cui faceva parte”. In verità la spia era sbarcata in Sicilia un mese dopo i fatti accaduti alla questura di Milano: con ogni probabilità
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DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI
Trump dà il via agli arresti di massa per gli immigrati irregolari
–dal nostro corrispondente Riccardo Barlaam
18 giugno 2019
EW YORK – Donald Trump con un tweet ha annunciato che dalla prossima settimana gli agenti dell’immigrazione daranno inizio a un arresto di massa dei migranti irregolari nelle principali città degli Stati Uniti. “La prossima settimana comincerà un piano per rimuovere milioni di immigrati irregolari che vivono illegalmente nel nostro Paese. Verranno rimpatriati con la stessa velocità con la quale sono arrivati negli Stati Uniti” ha scritto Trump. Ad aprile il direttore dell’Immigrazione Ronald Vitiello e la ministra degli interni Kirstien Nielsen sono stati licenziati dal presidente su due piedi per la loro esitazione nell’attuare il piano di deportazione di massa e di rientri forzati degli immigrati irregolari.
Trump stasera a Orlando, in Florida, lancerà ufficialmente la sua campagna elettorale per il 2020. La tolleranza zero agli immigrati è una delle promesse che il presidente in questi primi tre anni alla Casa Bianca non è riuscito a mantenere pienamente verso la sua base elettorale più radicale di estrema destra. A partire dall’impegno per costruire il muro al confine con il Messico. Trump
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ECONOMIA
19 giugno 2019
The Donald contro Supermario: ecco perché Draghi è l’alibi perfetto di Trump
Lorenzo Forni professore di economia dell’Università di Padova autore di “Nessun pasto è gratis” (Il Mulino): “Il presidente Usa ha attaccato in modo mediaticamente vincente Draghi per scaricare su di lui la responsabilità di eventuali mancanze e fallimenti dell’amministrazione americana”
19 giugno 2019
Politici ed economisti non vanno d’accordo. I leader promettono miracoli economici ma non si preoccupano delle conseguenze delle loro scelte. Gli economisti fanno il contrario: guardano solo alle conseguenze economiche senza capire il motivo per cui i politici promettono quelle cose. E allora la Bank of England critica la Brexit, Bankitalia e Bce criticano i minibot e mettono in guardia su una possibile Italexit, i premi Nobel statunitensi criticano lo shock fiscale di Trump. Ma i politici continuano imperterriti a proporre ricette, forse non sostenibili nel lungo periodo, ma di sicuro giuste per aumentare il consenso. Tanto il problema lo risolverà il nuovo arrivato, sempre che non prometta altre ricette della felicità. Flat tax, minibot, shock fiscale, reddito di cittadinanza: «È l’economia, stupido», ricordava il consigliere politico di Bill Clinton ai volontari democratici durante la campagna elettorale del 1992. Tutto il consenso gira intorno alla promessa di migliorare la condizione economica delle persone. Però secondo Lorenzo Forni professore di economia dell’Università di Padova che ha lavorato in Banca d’Italia e al Fondo Monetario Internazionale, ogni promessa è debito. E per ricordarlo ha scritto il libro “Nessun pasto è gratis” pubblicato da “Il Mulino“. Quando lo intervistiamo è appena atterrato dagli Stati Uniti.
Forni, Trump accusa il presidente della Banca centrale Mario Draghi di fare concorrenza sleale promettere tassi bassi nell’eurozona. Ha ragione?
È il classico conflitto tra politica ed economia. L’economista Draghi ha fatto quello che un tecnico deve fare: sostenere in un momento di potenziale rallentamento l’eurozona. Trump fa quello che fanno i politici: trovare un capro espiatorio. Ha attaccato in modo mediaticamente vincente Draghi per scaricare su di lui la responsabilità di eventuali mancanze e fallimenti dell’amministrazione americana. La politica monetaria più espansiva della Bce in modo implicito deprezza l’euro più di quanto Trump vorrebbe.
Trump avrà qualche ragione
Il dollaro si apprezza rispetto all’euro. I beni prodotti dai Paesi dell’eurozona diventano più convenienti e quindi gli statunitensi ne importano di più. Questo crea problemi al disavanzo commerciale degli Usa, un pallino di Trump. Ma mi lasci chiarire una cosa.
Prego.
Draghi sta rispettando la prassi consolidata a livello internazionale. Ogni banca centrale cerca di fare politiche monetarie con obiettivi di politica economica domestica e lascia fluttuare il cambio. Anche Draghi lo ha chiarito. La Bce non è intervenuta sul mercato dei cambi, sta semplicemente facendo la politica monetaria che ritiene più adeguata domesticamente.
Perché politici ed economisti non vanno d’accordo?
Ci si deve prima chiedere perché c’è discussione tra politici ed economisti. Non è normale e non è sempre stato così. O hanno ragione gli uni o gli altri. È difficile per l’opinione pubblica orientarsi perché manca il confronto. Ci vorrebbe un Council of Economic Advisors, come negli Stati Uniti. Anche se Trump non lo usa molto.
Trump non è l’unico che fatica a rispettare i vincoli di bilancio.
In questa fase di grande incertezza economica le domande degli elettori sono forti, hanno bisogno di sentirsi protetti. Secondo me la politica risponde in modo sbagliato, promettendo elargizioni, che rischiano spesso di essere insostenibili nel medio e lungo periodo.
Trump non rispetta le indicazioni dei Nobel all’economia, ha fatto uno shock fiscale inutile e ha aumentato dazi, ma comunque il Pil Usa nel primo trimestre del 2019 è aumentato del 3.2%. Come se lo spiega?
Il Pil Usa cresce per due ragioni. A cavallo tra il 2017 e 2018 Trump ha fatto un’espansione fiscale tramite il taglio delle tasse e l’aumento delle spese che ha incrementato il disavanzo americano. Ora oscilla oltre il 4 cento del Pil all’anno. Ma non ce n’era bisogno. Il suo è uno stimolo inutile perché l’economia cresceva già a un buon ritmo.
Cosa succederà all’economia americana?
Di solito l’economia si surriscalda, la disoccupazione scende, i salari salgono, i prezzi salgono. La Banca centrale interviene per contenere l’inflazione. E il rischio è che con una manovra del genere l’inflazione sia maggiore rispetto a quella che ci sarebbe stata senza questo inutile shock. Ma Trump ha una fortuna.
Quale?
I salari crescono ma per varie ragioni l’aumento non si sta trasferendo sui prezzi. C’è una grossa pressione al ribasso sui prezzi che deriva da fattori transitori. Come per esempio la componente estera e alcune revisioni delle statistiche sull’inflazione americana. Anche se non si scontra contro il muro dell’inflazione, Trump sta andando contro il muro del disavanzo fiscale. Il debito è aumentato molto.
Gli Stati Uniti se lo possono permettere.
Sì, possono permettersi una politica imprudente per qualche anno. Ma un problema per l’economia Usa sarà anche la politica dei dazi che stanno già creando rallentamenti nel commercio internazionale. Trump è preoccupato perché ci sono le presidenziali nel 2020 e teme un rallentamento nell’economia americana. I costi veri di questa confusione internazionale li vedremo nel tempo. Se questo atteggiamento protezionista continuerà avremo un sistema commerciale più frammentato, locale e chiuso.
Trump fa quello che fanno i politici: trovare un capro espiatorio. Ha attaccato in modo mediaticamente vincente Draghi per scaricare su di lui la colpa di eventuali mancanze e fallimenti dell’amministrazione americana. La politica monetaria più espansiva della Bce in modo implicito deprezza l’euro più di quanto Trump vorrebbe
Il leader della Lega Matteo Salvini giustifica la flat tax dicendo che con lo shock fiscale Trump ha fatto ripartire gli Usa. Ne abbiamo veramente bisogno? E soprattutto: ce la possiamo permettere?
C’è un problema di eccesso di tassazione in Italia. Al momento non c’è un progetto ben definito di flat tax. Non sappiamo com’è pensata e quali sarebbero i costi. Ma la flat tax è una tassa che per sua natura tende a ridurre la progressività del sistema fiscale e può creare un costo per il bilancio. Se non viene finanziato con altre tasse, il che non avrebbe senso, o con tagli di spesa, troppo complesso, deve essere finanziato con il debito. Bisogna capire se l’Italia può sostenere un livello di debito più elevato.
Qual è il livello di debito che l’Italia può sostenere?
Non c’è un numero preciso: lo Stato italiano finanzia il debito a tassi del 2,5-3% quando la Spagna lo fa sotto l’1%. È evidente che c’è un problema. L’Italia emette sul mercato 380 miliardi di euro di titoli all’anno sia per rifinanziare quelli in scadenza, sia per finanziare una parte del disavanzo, circa 40 miliardi. Quando uno deve rinnovare tanti titoli e la base di investitori è variegata e soprattutto volubile, soprattutto se qualche shock come una recessione internazionale dovesse colpire l’economia, è evidente che non possiamo far salire il debito. Sarebbe insostenibile. Chi ci deve mettere i soldi si preoccuperebbe. E un terzo del nostro debito è detenuto da investitori esteri.
L’ipotesi dei minibot, non rassicura gli investitori esteri.
Non abbiamo bisogno dei minibot. Il modo più naturale di pagare i debiti arretrati della Pubblica amministrazione è di emettere bot normali e dare euro ai fornitori in credito con lo Stato. Quando non si sceglie questa strada sorge il dubbio del perché se ne scelgano altre. Si cercano strade alternative, e anche senza arrivare all’ipotesi di voler uscire dall’euro, sorge il dubbio che non si voglia fare emergere nel debito pubblico questi crediti. Per tenerli sottotraccia. Ma è un altro modo poco trasparente che ha le gambe corte. Siccome la credibilità in economia è tutto, rischiamo di bruciarci la nostra per non raggiungere nessun risultato.
Qual è il rischio principale dei minibot?
Il rischio è che a 5 euro di minibot non corrispondano 5 euro reali. Non si sa esattamente la natura di questi minibot, non si capisce quando e per quanto tempo sarebbe possibile usarli per pagare le tasse. E allora probabilmente nessuno sarebbe disposto a scambiare 100 euro per 100 euro di minibot , ma una cifra inferiore. I fornitori della Pubblica amministrazione si troverebbero minibot con uno sconto rispetto al credito che hanno verso lo Stato. Sarebbe come imporre un costo su di loro. Perché farlo? Oltre alla perdita di
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https://www.linkiesta.it/it/article/2019/06/19/trump-draghi-bce-europa/42571/
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
La Teoria Monetaria Moderna: un’illusione che abbaglia
di Antonio Pagliarone1
Una nota critica alla raccolta di testi di Michael Roberts sulla teoria moderna della moneta in uscita presso la casa editrice Asterios di Trieste – a.delithanassis@asterios.it
La pubblicazione di una serie di testi critici sulla MMT (Modern Monetary Theory), prodotti da Michael Roberts e apparsi nel suo blog, è risultata necessaria in quanto possiamo osservare che negli ultimi anni, come reazione ad una “austerity” prolungata, sono sempre di più coloro che fanno affidamento su politiche economiche definite rozzamente come “sovraniste”. Ma tale “teoria” mescolata ad un keynesismo rinnovato, ha preso piede anche negli ambienti della sinistra progressista, mentre molti intellettuali ultrasinistri sono stati abbagliati dalle contorsioni monetariste, dopo aver sostenuto lo “stimolo della domanda”, e confondono con estrema leggerezza Marx con Keynes. Gratta gratta sotto un marxista troverai sempre un keynesiano.
La Teoria Monetaria Moderna è stata ideata da Warren Mosler2, Bill Mitchell e Randy Wray, mentre James K.Galbraith è uno dei suoi maggiori sostenitori3. La MMT si basa sostanzialmente sull’idea, in passato sostenuta dai cartalisti, che sia lo stato a creare moneta, di conseguenza il denaro circolante è denaro emesso dal governo per cui non occorre la tassazione dei cittadini perché lo stato possa disporre della valuta corrente. Caso mai la tassazione potrebbe contribuire al regolare funzionamento del sistema in quanto permetterebbe di attenuare una eventuale inflazione. Michael Roberts sviluppa inizialmente la teoria dei cartalisti collegandola, giustamente, alla Teoria Monetarista Moderna che ne è l’erede, facendo un raffronto con la teoria della moneta di Marx secondo la quale il denaro è inconcepibile se viene separato dallo scambio di merci. Lo stato non crea moneta dal nulla ma sono “le banche (che) fanno prestiti e di conseguenza vengono creati depositi e debiti per finanziare tali prestiti, non viceversa”. Roberts insiste nel sottolineare le differenze sostanziali tra la teoria marxista e quella cartalista/MMT e dichiara “Per Marx, nel capitalismo, il denaro è la rappresentazione del valore e quindi del plusvalore”. Ma il problema non consiste nel confutare la MMT, e i neokeynesiani che la caldeggiano, sostenendo che: “A meno che i sostenitori della MMT non siano pronti a passare a una conclusione politica marxista: vale a dire l’appropriazione del settore finanziario e il comando del settore produttivo attraverso la proprietà pubblica e un piano di produzione, ponendo così fine alla legge del valore in economia, la politica della spesa pubblica attraverso la creazione illimitata di denaro fallirà”.
Quindi cartalisti, keynesiani e seguaci dell’MMT dovrebbero fare delle “scelte politiche” verso l’abbattimento del capitalismo e non impegnarsi a trasformarlo in qualcosa di più stabile e definitivo, un invito che credo i loro sostenitori non si sognano minimamente di considerare. Alla fine, tutte queste tendenze più o meno nuove nel panorama economico si riducono alla solita proposta di una espansione della spesa pubblica con l’obiettivo di stimolare la domanda. E’ la solita storia che viene continuamente spacciata per una soluzione mentre osserviamo che il deficit gigantesco degli Stati Uniti, per non parlare di quello delle altre economie avanzate, non ha minimamente stimolato i consumi o favorito l’espansione dell’occupazione. Purtroppo, riformare il capitalismo non è possibile. Ma torniamo alla questione di fondo della MMT secondo la quale lo stato può stampare denaro a piacimento.
Vorrei segnalare a tale proposito un intervento descrittivo-critico di Anwar Shaikh sui neo-cartalisti, presente nel volume corposo Capitalism: Competition, Conflict, Crises del 2016, in quanto, a mio avviso, va più a fondo nell’analisi delle Teorie Monetarie Moderne riconoscendo loro una opposizione ben strutturata all’economia classica. A Charles Albert Eric Goodhart, un economista britannico della London School of Economics ed ex funzionario della Banca d’Inghilterra, viene riconosciuto un approccio più approfondito alla teoria del denaro nel quale vi è un approccio alla teoria neoclassica, definita come M Theory (Metallista), secondo la quale il valore di una moneta è dato, intrinsecamente, dal metallo con il quale essa viene coniata e gli agenti economici fanno scelte ottimali soggette ai vincoli di bilancio e il denaro (visto principalmente come mezzo di scambio) facilita il commercio riducendo i costi. Secondo l’approccio metallista “il denaro è una creatura del mercato“, lo stato ha la funzione di garantire la qualità del denaro, la moneta sonante sostenuta dal metallo con cui viene coniata, e l’economia nel suo complesso si “auto-stabilizza normalmente ad un livello ottimale”. Dall’altro lato Goodhart si avvicina alla C Theory (Cartalista) di Knapp secondo la quale “il denaro è una creatura dello stato” emesso dallo stato per fare i suoi acquisti e normalmente accettato dal settore privato, cosa necessaria perché vengano pagate le tasse. Come nella teoria keynesiana e classica anche nella C. Theory il capitalismo viene visto come soggetto a fasi ricorrenti di boom e crisi e pertanto è necessaria una politica fiscale per stabilizzare il sistema ma dato che, in caso di crisi, è improbabile che la politica monetaria (definita come stabilizzazione dei tassi d’interesse) sia sufficiente, allora si focalizza l’attenzione sulla moneta a corso legale, che è ritenuta valida se lo stato è abbastanza forte e la sua continuità assicurata.
Le argomentazioni di Goodhart contengono caratteristiche molto simili a quelle dei cartalisti, una sorta di cartalismo moderno, infatti egli afferma che “lo stato ha generalmente giocato un ruolo centrale nell’evoluzione e nell’uso del denaro”. Ma dal momento che egli fa una distinzione tra “valuta” e “denaro”, quest’ultimo definito come monete o strumenti monetari emessi dallo stato, richiedere il coinvolgimento dello stato nel denaro (statale) è una tautologia (Goodhart 2003, 1). Goodhart non sostiene che lo stato abbia inventato il denaro, infatti ammette esplicitamente che le monete metalliche e le banconote provengono in origine dal settore privato, così come alcuni conii e persino interi sistemi
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GIUSTIZIA E NORME
La sentenza indigesta del Tar adesso fa infuriare Sea Watch
L’ong critica la decisione dei giudici che hanno respinto il ricorso contro il blocco imposto dal Viminale: “Atto gravissimo”
Angelo Scarano – 19/06/2019
Il Tar ha respinto il ricorso della Sea Watch contro il provvedimento del Viminale che impone il divieto di ingresso nelle nostre acque territoriali.
Implicitamente i giudici hanno dunque confermato la mossa di Salvini. E questo, a quanto pare, non è stato digerito da Sea Watch e da Mediterranea. Il tribunale amministrativo ha dunque riconosciuto come legittimo il provvedimento del Viminale. È dunque arrivata la reazione delle ong: “Il Tar del Lazio non ha rigettato nel merito il ricorso presentato dagli avvocati del team legale di Mediterranea Saving Humans in favore di Sea Watch 3. Ciò significa che non si è pronunciato sulla legittimità del provvedimento, il primo a discendere direttamente dal Decreto sicurezza bis, che ad oggi impedisce alla nave di fare ingresso in acque territoriali italiane. Il tribunale amministrativo si è infatti limitato a respingere la richiesta di sospendere temporaneamente gli effetti del provvedimento in questione”.
Le ong mettono nel mirino i giudici e contestano la loro decisione: “Ciò – prosegue la nota – appare comunque gravissimo. Il Tar ha infatti paradossalmente sostenuto che lasciare in mare 43 persone inclusi dei minorenni, più l’equipaggio della nave, per giorni e giorni, non rappresenti quelle condizioni di eccezionale gravità e urgenza che consentono di approntare misure
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Nomine CSM: si è perso per strada lo scandalo
Il sistema inverecondo di nomine del Csm e le lotte corporative nella magistratura. Oltre al merito delle inchieste sui magistrati.
UMBERTO MINOPOLI | 17 GIUGNO 2019
La vicenda Palamara (e delle correnti dei magistrati in lotta tra loro (a colpi di spionaggio, veline e denunce) e’ diventato il caso Lotti. Che continua ad essere bersaglio senza alcun reato contestato. Il merito giudiziario si e’ perduto. Chi lo ricorda piu’? I giornali, attraverso intercettazioni, illegali come sempre (ma chi lo ricorda?), hanno spostato il merito della vicenda: dai fatti giudiziari al gossip, al voyerismo morboso di conversazioni private. In cui continua a non esserci contestazione alcuna di rilievo penale. Come ogni conversazione privata trascritta (peraltro di spezzoni di frasi decontestualizzate), comprensibili ai profani in percentuale irrisoria, resta solo la tecnica odiosa stalinista (e da Ovra): “orientare”, col commento del giornalista di frasi smozzicate dei protagonisti, il povero lettore verso la tesi colpevolista. Lo fanno da decenni. Si e’ sempre detto che era un sistema “sovietico” da cancellare. Tutti lo riconoscono (a partire dai direttori dei giornali) ma si continua come prima. E se lo dici e’ perché vuoi difendere Lotti. E da cosa? Se non e’ accusato di nulla. E’ la decenza e il diritto, calpestati da intercettazioni “orientate” e strumentalizzate, che bisognerebbe avere il coraggio di difendere. Rimpiango un Pannella. In un mondo di scodinzolanti giustizialisti senza giustizia.
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http://www.pensalibero.it/nomine-csm-si-e-perso-per-strada-lo-scandalo/
LA LINGUA SALVATA
ri-sen-ti-mén-to
SIGNSentimento di rancore, desiderio di rivalsa e sdegno provato davanti all’ingiuria e alla provocazione; sensazione dolorosa, disturbo che è conseguenza di un trauma o di una malattia
da sentire, con prefisso ri- con valori differenti.
Davanti al risentimento si deve considerare che spesso basta un solo prefisso a rendere davvero sottile e complessa la parola più semplice e grossa. Qui tocca a ‘sentire’, che alla fine della storia prende una piega scura e tagliente.
Nel risentimento, il prefisso ‘ri-‘ descrive un movimento contrario. È un sentimento di reazione, uno spritz fatto di rancore secco, di desiderio di rivalsa (altri preferiscono l’animosità) e sdegno frizzante: infatti nasce nel Cinquecento come il sentimento provato dinanzi all’offesa, all’ingiuria, alla provocazione, che porta a chiedere soddisfazione. Nella vacanza delle tue scuse rispondo a ogni tua domanda con sibilante risentimento, ammiriamo l’amica che riesce a farsi scivolare addosso ogni meschinità senza risentimento, e nel nuovo gruppo di colleghi, in virtù della nostra neutralità, ciascuno ci svela i propri risentimenti. Una parola forte, che sa descrivere con precisione
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PANORAMA INTERNAZIONALE
Le cause della crisi europea, in successione quasi cronologica
Economia & Lobby | 20 Ottobre 2013 – Roberto Marchesi Politologo e studioso di macroeconomia
Della crisi ne parliamo ormai quasi tutti i giorni e, nei commenti vari, capita di sentire anche molte cose approssimative, o proprio del tutto fantasiose.
Avendo io scritto diversi articoli su argomenti direttamente riferiti alla crisi, ho potuto notare anche che, sui tempi, le cause e gli effetti della crisi americana i giornali hanno scritto moltissimo, mentre su quella Europea, perlomeno relativamente alle cause, se ne è parlato troppo poco.
Comunque, vediamo in po’, in sintesi analitica-cronologica, quali, secondo me, sono le cause della crisi e quali gli errori commessi da chi poteva (e doveva!) evitarla. Non parto però dal 2008, quella cioè che è comunemente considerata la data classica di inizio della crisi, perché quella data si riferisce alla crisi americana. Parto invece da quello che considero il primo “indizio” della burrasca che stava per abbattersi sull’intera Europa, un indizio che ho ampiamente descritto in un mio articolo del novembre 2010 pubblicato su “Rinascita”.
Premessa: Gli Stati Uniti sono, nel novembre 2010, nel secondo anno dall’epicentro della crisi, e la Federal Reserve, per sostenere le banche e mitigare la crisi interna, ha già cominciato ad acquistare “tonnellate” di debito americano (QE1, poi seguito da QE2 e QE3). L’indebitamento pubblico americano schizza in alto, ma la Fed, con una manovra congiunta di riduzione del tasso di rifinanziamento alle banche (portato praticamente a zero) e con l’indebolimento del dollaro sulle principali valute concorrenti, riesce a mantenere una buona liquidità nel paese, favorendo le esportazioni. La Fed quindi, usando tutte le leve di cui dispone, riesce ad evitare che la recessione si trasformi in lunga depressione, come già accadde nella prima metà del secolo scorso.
Partiamo quindi dal novembre 2010.
1) negli Stati Uniti esiste una speciale “clearing house”, tra banche, per facilitare lo scambio dei CDS (Credit Default Swaps) e di tutti gli altri principali derivati finanziari provenienti da tutto il mondo. Questa speciale Clearing house si chiama I.C.E. Trust (Ice sta per “Inter Continental Exchange”). I.C.E. è ovviamente strettamente collegata a Wall Street e alle altre principali piazze finanziarie del mondo. In teoria queste Clearing house, a seguito della riforma “Dodd-Frank” sulle transazioni finanziarie, dovrebbero rendere le operazioni sui derivati più trasparenti. In realtà, almeno per ora, grazie anche al puntiglioso lavoro delle Lobbies nel Congresso, le rendono solo più rapide.
2) Non tutte le banche sono ammesse nell’ aristocratico” consesso di ICE Trust. Ecco quali lo sono: (rigorosamente in ordine alfabetico): Bank of America, Barclays Capital, Citi, Credit Suisse, Deutsche Bank, Goldman Sachs, HSBC, JP Morgan Chase, Merril Lynch, Morgan Stanley, Nomura, BNP Paribas, RBS e UBS. (Ovvero, tutte le più grandi banche d’affari del mondo. Italiane: nessuna).
3) Proprio nel novembre del 2010 ICE ha costituito al suo interno “ICE Clear Europe”. Un ramo specifico della Clearing house madre, realizzato allo scopo di indicizzare i CDS europei. A dicembre 2010 Ice Clear Europe cominciava già ad accogliere le prime trattazioni.
4) Fino all’inizio della primavera 2011 l’Europa, nonostante i suoi debiti, il suo alto costo del lavoro e le altre problematiche poi assunte a causa della crisi, assiste senza particolari problemi ai guai che sta passando l’America. In Europa non ci sono ancora gravi problemi, e nemmeno forti tensioni sul mercato finanziario.
5) La Banca Centrale Europea, guidata da Trichet, nello stesso periodo cosa fa? Fino alla primavera 2011 segue a distanza la politica americana sui tassi, lasciando però apprezzare inopportunamente l’euro fino ad una volta e mezzo il valore del dollaro, poi improvvisamente, ad aprile, aumenta di un quarto di punto il tasso di sconto. Motiva questa operazione come una manovra prudenziale per contenere il rischio di inflazione (rischio in realtà del tutto inesistente). E poi appena quattro mesi dopo aumenta di nuovo di un altro quarto di punto il tasso di rifinanziamento alle banche.
6) Nello stesso periodo cominciano le tensioni internazionali sul debito delle nazioni europee più indebitate. Succede che gli investitori, preoccupati dalle notizie circolanti sull’eccessivo debito di alcuni paesi, si precipitano a vendere in grandi quantità quello che hanno in portafoglio. Così facendo costringono le banche dei paesi indebitati a comprarlo. In questo modo si crea anche una tensione sul tasso di quel debito e naturalmente sullo spread (di riferimento con il debito dei paesi più forti).
7) Ma che cosa ha messo in allarme gli investitori tanto da correre a vendere quel risparmio sul quale avevano investito? Niente di concreto!
8) Ho detto niente di concreto, non niente di niente. In effetti in quel periodo si è messa in moto la speculazione internazionale, che ha individuato nella grassa e impotente Europa l’agnello sacrificale da spolpare scientificamente (cioè senza far morire l’agnello).
9) Ma chi è poi questa speculazione internazionale? Ognuno difende i propri interessi, no? Se io ho investito i miei risparmi nel debito p.es. della Grecia, e vedo che la Grecia è troppo indebitata, corro a venderlo per riprendermi i miei
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POLITICA
Riccardi accusa Monti: “Più dava legnate al paese, più la Merkel era contenta e più lui era soddisfatto”
Segnaliamo, due articoli correlati, il primo comparso su Libero che riprende un secondo da Dagospia.
LIBERO
Il retroscena raccontato da Dagospia. L’ex-ministro tecnico avrebbe confidato anche che il Professore era convinto che bisognava regredire dal troppo benessere
Scelta civica come partito non è mai esistito. Chiunque, già durante le elezioni, avrebbe potuto accorgersi che il partito di Mario Monti era nient’altro che un comitato elettorale che raggruppava diversi interessi: Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo, i cattolici di Andrea Riccardi, le Acli di Andrea Oliviero, i finiani di Fli, noti imprenditori e qualche liberale sciolto. Gli italiani, a dire il vero, sono stati i primi a radiografare la natura di scelta civica, premiandolo (si fa per dire) con un misero 10% o poco più. La conferma è arrivata invece dal giorno successivo al voto, quando molti, persino Pierferdinando Casini, ne presero le distanze in maniera brutale.
Tra i più delusi c’è il ciellino e ministro della Difesa Mario Mauro, che si sta organizzazando un proprio movimento in diverse regioni. Andrea Riccardi, come racconta Dagospia, non perde occasione per scagliare stilettate contro Loden Monti. L’aneddoto preferito dal fondatore della Comunità Sant’Egidio, scrive Dagospia, è questo: “Più Monti assumeva provvedimenti lacrime e sangue, più esodati la Fornero creava, più saliva la protesta e la sofferenza delle classi più deboli, più a Palazzo Chigi erano soddisfatti perché proprio quella era la dimostrazione lampante di credibilità verso la signora Merkel Angela. Cioè, più legnate riuscivano a dare al Paese più pensavano di essere forti in Europa”.
Meglio tardi che mai – Un atteggiamento, questo, che oggi l’ex-ministro Riccardi bolla come follia pura. Monti, avrebbe affermato Riccardi, era convinto che nel Paese ci fosse troppo benessere, per cui bisognava regredire. Sarebbe esagerato, ora, dire che non ce ne siamo accorti. Il fatto che le accuse giungano da un ex-ministro dal governo dei miracoli (miracoli al rovescio, evidentemente) guidato da Monti, seppur a distanza di mesi, conferma la convinzione già ben radicata negli italiani. Come dire, meglio tardi che mai.
DAGOSPIA
Scelta Civica, come una clessidra che lentamente ma inesorabilmente fa scorrere la sabbia del tempo sul profilo già merkeliano di Monti Mario, si avvia davvero a diventare “Sciolta Civica”. Gli ultimi segnali sono due. Il primo: Mauro Mario, ministro della Difesa e ciellino si appresta a dire addio al suo capo partito poiché sta già dando vita ad una iniziativa propria nelle regioni, nel solco tradizionale del Partito Popolare Europeo.
Il secondo: incredibile a dirsi, Riccardi Andrea, l’uomo di S. Egidio, il ministro della cooperazione, l’uomo che aveva in mano le chiavi del partitino, ormai parla apertamente malissimo del suo ex presuntuoso leader in tutte le sedi
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STORIA
È più facile che un Cammilleri passi per la cruna di un ago…
RINO CAMMILLERI non è Andrea Camilleri lo scrittore)
Pubblicato il 24 Dicembre 2003
I MISTIFICATORI – VOL. I PARTE PRIMA di Biagio M. Catalano
I brani in corsivo sono tratti da Rino Cammilleri, Fregati dalla scuola – Breve guida di liberazione ad uso degli studenti (da affiancare al normale manuale scolastico di storia), il cui testo integrale è disponibile online.
Introduzione
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I manuali di storia della scuola dell’obbligo sono, per comodità, divisi in capitoli. Solo che questi non si limitano ad essere numerati, bensì recano dei titoli. E questi titoli, contrariamente a quel che si pensa, non si limitano a descrivere il contenuto del capitolo ma danno anche un giudizio di valore.
Esempio: “Medioevo”, “Rinascimento”, “Risorgimento”, “Resistenza”. Analizziamo i termini. “Medioevo” significa, come tutti sanno, “età di mezzo”, laddove “Rinascimento” sta per “nuova nascita”. Se si rinasce vuol dire che prima si era morti, ma anche che prima di essere morti si era già nati una volta, per cui adesso si “rinasce”. Dunque, il Medioevo, epoca precedente al Rinascimento, era il tempo in cui l’umanità era stata morta. Quanto dura il Rinascimento? Pochi decenni, verso la fine del Quattrocento. Poi? Si ha l’Età Moderna, e tutti tiriamo un respiro di sollievo.
> Dunque: Cammilleri dovrebbe sapere – lo spero per lui – che l’atteggiamento critico insito nel termine “Rinascimento” si fonda su basi non certo prevalentemente demagogiche, com’è propenso a credere e pretendere di poter far credere il nostro, bensì prettamente umanistiche, in termini rivalutativi a riguardo del passato che, nei secoli d’auge della chiesa romana, era stato pressoché cancellato, metabolizzato e riproposto in chiave cristiana. Da ciò siamo portati a considerare che Cammilleri disconosca la storia sin nelle terminologie, o, a voler essere benevoli, faccia finta di disconoscerla.
Anche se, a ben vedere, le guerre e le catastrofi sembrano moltiplicarsi a ritmi parossistici: guerre tra Francia e Inghilterra, tra Francia e Spagna, tra cattolici e protestanti, tra lanzichenecchi e tutti gli altri, guerre di successione, di devoluzione, delle due dame, dei tre imperatori, dei quattro papi e dei cinque eserciti.
> Non sarà certo la giocosa rappresentazione di Cammilleri a stornare l’attenzione dai problemi di fondo ai secoli che seguirono la fine del Medioevo; problemi che, visto il clima e l’andamento storico, non sono certamente da imputarsi a coloro i quali decisero di ridimensionare il privilegio vaticano.
La Riforma: finalmente Lutero spezza le catene del dogma e della Chiesa. Controriforma: l’Italia ricade nell’oscurantismo. Solo a ben guardare si scopre che le guerre di religione stavano tutte nei paesi protestanti, mentre in Italia si stava tranquilli.
> Il che è smaccatamente falso. E vedremo in dettaglio perché, dopo questa pericope.
Solo che tutto ciò nei manuali di storia è dato come positivo. Il motivo si capirà leggendo questa Guida. Ma fin da subito possiamo anticipare che furono i liberali nel secolo scorso a impostare lo studio della storia in questo modo, cioè in senso ideologico. I nostri Padri della Patria statalizzarono la scuola, la resero obbligatoria ed uguale per tutti e cominciarono a mettere in galera quelli che non ci mandavano i figli.
> Primo indizio della “ideologia” cammilleriana: contro la statalizzazione della scuola, contro l’istruzione obbligatoria e uguale per tutti. E chiaramente, contro la cultura in genere, acerrima nemica dell’ignoranza (altrui) su cui hanno
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