RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
20 MAGGIO 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
La sola cosa che l’umanità teme veramente è la mente umana.
TRA VIRGOLETTE, Zanichelli, 1995, pag. 215
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SOMMARIO
Il coronavirus e la guerra psichica – vers. 50.0
Che cos’è il jilbab
IL RILASCIO DI SILVIA ROMANO
SUPPLICA e doverosa delazione alla KOMMISSIONE DAVID PUENTE
Lettera di un ex giornalista di cronache di camorra a Saviano: perché non racconti la verità?
La Dolce Vita: il significato del film di Federico Fellini
La rivista della Massoneria italiana promuove il documento del Vaticano sulla “Fratellanza umana”
“Vogliamo dare la caccia ai criminali, non ai pensionati”
OBAMAGATE! Altro che Russiagate…
“Inefficiente e asservita a Pechino”: così Trump vuole rivoluzionare l’Oms
TECNICA, COMUNITÀ, DESTINO. IN DIALOGO CON CARLO SINI
Il filo di mezzogiorno di Goliarda Sapienza
Se hai volato con EasyJet, sono volati via anche i tuoi dati
Così l’ex capo della Cia Brennan ha occultato la verità sul Russiagate
Come ti manovro il mercato al tempo del Covid-19: il caso Moderna
BTP Italia 2020: conviene comprare? «Assolutamente sì»
Migranti, Salvini: sanatoria porterà nuovi sbarchi
LA DITTATURA FARSA DI CONTE: SUB MULTATO E CLANDESTINI ACCOLTI
Un’app per tutelare lo sfruttamento
UNA ALTERNATIVA EUROMEDITERRANEA ALLA GABBIA DELLA UE
Recovery Fund
Manifestazione 2 giugno del centrodestra: motivi, regole e chi ci sarà
Governo è continuamente sottoposto a ricatti
Chi sono i veri complottisti?
La politica degli annunci del governo Conte
Bloccare la Gelmini – e capire chi la manda
Borghi: per quale motivo la “task force per la ripartenza” vuole l’immunità?
L’UFFICIALE E GENTILUOMO DELLA MARINA ITALIANA CHE AFFASCINAVA ANCHE I NEMICI
LA VERITA’ SU MAASTRICHT
EDITORIALE
Il coronavirus e la guerra psichica – vers. 50.0
Manlio Lo Presti – 20 maggio 2020
La presunta epidemia ha tentato di scardinare – fortunatamente senza riuscirci completamente – gli equilibri sociali ed economici in essere per ricondurre la realtà sotto la lente della paura, dell’incertezza del controllo totalitario non solo delle nostre attività, ma perfino delle nostre coscienze e della nostra vita intima.
Si tratta di un ennesimo “déja vu” come spiegherò in appresso…
Venerdì 4 Marzo. La Guerra Psicologica: come la propaganda plasma l’opinione pubblica
Il controllo dei corpi ben descritto dallo studioso Michel Foucault, creatore della biopolitica, è un ottima chiave di lettura per capire tutte le sfaccettature del presente. Controllo dei movimenti delle persone, la loro motivazione, le malattie presunte o reali per impaurire e sottomettere con la creazione di ospedali (prima chiusi e ora costruiti a tamburo battente), carceri, collegi, caserme, ecc.
Ebbene, ad oggi, quelle ricerche complesse continuano ad essere attuali.
A quelle analisi veridiche potrei aggiungere gli studi di Elias Canetti sul Potere giustificato dalla durissima dominazione di una massa informe da sottomettere con appositi rituali collettivi ipnopedici. Canetti pone in agghiacciante evidenza l’odio mortale dei potenti verso la popolazione, verso gli umani che considerano cibo da sfruttare brutalmente in appositi recinti spaziali (scuole, caserme, stadi, palasport, uffici, casamenti pubblici,ecc.) o mentali con il web. Gli umani sono spazzatura da eliminare non appena diventano inutili all’interno dello schema di controllo totalitario e produttivo della megamacchina di sorveglianza.
A questi due colossi del pensiero totalitario con forti riferimenti al controllo repressivo iniziato con il Panoptikon carcerario-concentrazionario di Jeremy Bentham, abbiamo il grandissimo contributo della politologa Hannah Arendt che ha analizzato i presupposti culturali, giuridici e politici del totalitarismo come fase avanzata della dittatura. La dittatura controlla istituzioni esistenti modificandole parzialmente e ricevendone la legittimità. Il totalitarismo procede alla deformazione della realtà alterando i processi percettivi con la disinformazione multilivello: televisione, web, giornali, spettacoli rock (1), cinema, controllo dei rituali delle mode, elicotteri che trasvolano continuamente le città, sirene di ambulanze e della PROTEZIONE CIVILE ALACREMENTE AL LAVORO PER SALVARCI DAL MORBO STERMINATORE, pattuglie nei crocevia, persecuzione con megamulte, irrisione, minacce conferenze stampa a martello che non dicono nulla di importante, 40/50 dibattiti dove i politici-attori si sbracciano e si sbranano senza risparmio (che bisogna fare per guadagnarsi il caviale quotidiano), mutazione dei significati delle parole, immissione di parole straniere, produzione di migliaia di leggi incomprensibili ed inapplicabili, ecc. ecc. ecc.
Insomma, una impressionante sceneggiatura degna del migliore Dario Argento!
Noi stiamo da tempo vivendo la fase totalitaria stile Matrix-Truman-show all’interno della quale ogni significato assume una semantica inversa irrogata, diffusa, inculcata in quadro di fretta ossessiva, di mancanza cronica di tempo per la quali gli umani (superficiali) si fermano al titolo di scatola del giornalone di regime, al pensierino da terza elementare di due righe, al pettegolezzo elettronico dei “post” rilanciati acriticamente da untori involontari e seminatori di confusione e di rabbia da impotenza sociale.
Allora, qui bisogna avere la determinazione ed il coraggio di fermarsi e decidersi a capire “cosa vogliamo fare da grandi”. Cercare quindi di capire quali sono i nostri obiettivi primari inserendo fra essi il diritto-dovere di informarsi, di capire, di leggere CON CALMA le notizie per intero e memorizzarle per poi richiamarle alla meria magari un anno dopo per confrontarle con quelle del momento. Insomma, un lavorone di acculturamento, di ricerca, di selezione, di memorizzazione del senso di quelle ricerche, di raffronto con fonti diverse con lingue differenti, ecc. ecc. ecc.
La sfida non è impossibile perché dipende dall’importanza che ciascuno di noi le darà cercando di infrangere una titanica maggioranza di individui assorbiti dal “tutto e subito”, dalla emozione dello spettacolarismo, della ostentazione, dello stordirsi a 600 watt, dell’apparire invece di “essere”, dalla attrazione delle mode, del seguire l’onda dentro la quale ci si riconosce e si è in tanti.
La ricerca personale invece è lunga, a volte faticosa, impegna gran parte delle funzioni proiettive, analitiche, sintetiche del cervello che rimane giovane, pronto e scattante contro l’ombra letale dell’Alzheimer e della dementia praecox, ma …. C’è un “ma”. Spesso questi percorsi individuali fanno rimanere soli. A tale proposito, filosofo Schopenhauer diceva che il mondo è sorretto e gestito dalla Intellighenzia che però è continuamente insidiata e circondata dalla oceanica presenza della Stupidenzia.
Concludo accogliendo la effervescente esortazione di una persona “strovita” che disse
“Ai POSTER l’ardua sentenza”
IN EVIDENZA
Che cos’è il jilbab
La prima immagine di lei, dopo 536 giorni di prigionia tra il Kenya e la Somalia, nelle mani di al Shabaab, è quella di una ragazza sorridente, stretta in un lungo abito color verde smeraldo che le arriva fino alle caviglie. Silvia Romano, la cooperante milanese rapita nel novembre del 2018 in un villaggio a 80 chilometri da Malindi e liberata vicino a Mogadiscio all’alba del 9 maggio 2020, in Italia è arrivata così. Con lo sguardo provato, mani e piedi protetti da guanti e calzari azzurri e una mascherina bianca a coprirle il resto del volto, per le disposizioni sanitarie anti Covid-19.
Il lungo abito verde indossato da Silvia, insieme al velo sul capo, ha accompagnato ogni momento del rientro e tutte le prime immagini pubbliche di lei dopo il rilascio. Dall’atterraggio a Ciampino al colloquio con il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Dall’audizione con il procuratore di Roma e i carabinieri del Ros, all’arrivo nella sua casa milanese, scortata dalle forze dell’ordine. Ha comunicato di essersi convertita all’islam, nella seconda metà del suo sequestro in Somalia e ha fatto sapere che la sua scelta, frutto di una riflessione importante, è arrivata senza alcuna costrizione da parte dei suoi rapitori. Alla psicologa dei servizi segreti che l’ha ascoltata per prima, avrebbe raccontato di avere anche un nome nuovo. Aisha, figura centrale dell’Islam.
Che cos’è il jilbab?
L’abito, così come il velo sul capo, Silvia non l’ha mai tolto. Si chiama jilbab e, in queste ore, è stato erroneamente attribuito alla tradizione e alla cultura somale, a cui però non apparterrebbe, almeno storicamente. L’abito verde indossato dalla cooperante, infatti, è semplicemente una delle tante tipologie di vestiario possibili e più in uso al momento nel Paese africano. Altri hanno identificato nella tunica della ragazza una abaya (o ibaya), un indumento femminile utilizzato in alcuni Paesi di confessione musulmana, in particolare del Golfo Persico. Solitamente si tratta di un lungo camice scuro, fatto di un tessuto leggero, che copre tutto il corpo, tranne la testa, le mani e i piedi. Per coprire il capo, infatti, le donne utilizzano altri indumenti, le cui forme variano in base alla tradizione cui si sentono di appartenere. Il velo che spesso si sceglie di indossare, per esempio, può indicare l’area geografica da cui proviene la persona oppure il ramo religioso che il fedele ha deciso di abbracciare.
Il velo (e le sue varianti)
Il velo più noto è probabilmente l’hijab, diffuso in tutti i Paesi musulmani (come anche il khimar, una sorta di mantello che copre il corpo femminile dalla testa in giù e che, a seconda della tradizione, può celare anche alcune parti del volto). Si tratta, nella maggior parte dei casi, di un normale foulard che nasconde i capelli e il collo della donna, lasciando però scoperta la sua faccia. Silvia sul capo portava un hijab dello stesso colore della suo vestito (che infatti le ha coperto anche il collo). L’hijab non è da confondere, però, con gli altri indumenti che ammantano integralmente la testa, compresa la faccia. Come, per esempio, accade in qualche circostanza con il niqab, un tessuto che, di fatto, lascia scoperti soltanto gli occhi.
Di solito si compone di due parti, divise fra loro: la prima è formata da un fazzoletto di stoffa leggero e traspirante, che viene collocato al di sotto degli occhi, che va a coprire naso e bocca ed è legato al di sopra delle orecchie, mentre la seconda parte è formata da uno scampolo molto più ampio del primo, che ha il compito di nascondere i capelli e buona parte del busto, e si lega dietro la nuca. Nel Vicino Oriente, questo tipo di indumento è spesso associato al wahabismo (dal nome del suo fondatore, il teologo del XVIII secolo, Mohammed ‘abd al Wahhab, che propugnava un credo di rigore assoluto), una delle correnti più ortodosse dell’islam dell’Arabia Saudita. La maggior parte delle donne musulmane praticanti, in tutto il mondo, tende a indossare più facilmente l’hijab nelle sue diverse varianti.
L’accostamento tunica e velo
Secondo lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, intervenuto su Repubblica proprio sulla vicenda che riguarda la cooperante italiana, la tunica indossata da Silvia accostata al velo posto sul capo rappresenterebbero “uno dei simboli dell’islam più intransigente, duro, protestatario e identitario”. Un simbolo ritenuto dall’autore inequivocabile che l’intellettuale attribuisce agli aspetti più rigidi del rito wahabita, dominante in Arabia Saudita, ma anche in Qatar. La stessa ideologia in nome della quale agisce anche al Shabaab.
“Una divisa islamista”
Come confermato anche dall’antropologa somala Maryan Ismail, la tunica indossata dalla volontaria italiana non appartiene alla tradizione del suo Paese, ma è stato frutto, a suo parere, di una forma di imposizione. “Si tratta di una divisa islamista, che ci hanno fatto ingoiare a forza”, ha scritto nella sua lettera aperta alla ragazza e pubblicata sul suo profilo Facebook e sul sito di Micromega. “Le nostre vesti si chiamano guntino, dirac, shash, garbasar, gareys, kuul, faranti, dheego, macawis, kofi“, ha concluso Ismail.
Lo spartiacque dell’11 settembre
La scrittrice italo-somala Igiaba Scego, intervistata da Fanpage, ha dichiarato che chiunque parli di abiti tradizionali provenienti dal suo Paese è vittima di una specie
FONTE:https://it.insideover.com/donne/che-cose-il-jilbab.html
IL RILASCIO DI SILVIA ROMANO
ORA GLI ITALIANI IN GIRO PER IL MONDO SONO DEI BANCOMAT SU DUE GAMBE
Il presidente del consiglio Giuseppe Conte è un uomo impegnato: scrive quasi tutte le settimane DPCM che regolano tutta la nostra vita e limitano libertà costituzionalmente garantite, ma non riescono a riportare in cella quasi 400 fra boss e gregari delle varie mafie italiane… semplicemente perché noi cittadini abbiamo “l’avvocato del popolo”, mentre i mafiosi hanno avvocati veri e con le palle.
Il premier è stato tanto impegnato con il COVID-19, ma è la persona a cui è spettata la decisione finale che ha permesso la liberazione della cooperante italiana in Kenya, Silvia Romano. È, infatti, “merito” suo se, come scrive il Corriere della Sera: “è arrivata la prova (dell’esistenza) in vita e si è trattato il prezzo del rilascio”1.
Chissà se l’uomo che siede sulla poltrona di De Gasperi, Fanfani e Andreotti sarà dell’umore giusto per comunicare al Paese l’importo pagato ai sequestratori, ai mediatori, alle autorità kenyote per chiudere un occhio e a chissà quanti altri? Dovrebbe farlo perché sono soldi dei cittadini che sono stati distribuiti a pioggia, senza i ritardi dell’INPS e le lungaggini delle Regioni, per finanziare le operazioni di organizzazioni terroristiche o, nella migliore delle ipotesi, lo stile di vita lussuoso di signori della guerra, politici corrotti e funzionari in vendita. Sono soldi che potranno anche essere reinvestiti per rapire altri italiani in Kenya.
Cari connazionali, ricordatevelo: quando sbarcherete per fare le vacanze, la prossima volta, sarete come dei bancomat su due gambe e questo lo vuole chi detiene il potere in Italia. E non da oggi, purtroppo. Solo il premier di turno sa quanto valete o, almeno, lo può calcolare con una bella trattativa commerciale mentre voi o i vostri cari languite nel fango.
Intendiamoci, siamo felici per la famiglia di Silvia e per i suoi amici, ma ci doliamo per tutti gli altri nostri connazionali, che la prossima volta saranno presi, sballottati nella giungla e torturati finché Conte o il suo sostituto avranno la bontà di pagare. Tanto, siamo sempre i soliti italiani.
Mi piacerebbe, una volta, sentir dire: “no, non ci siamo piegati” oppure “abbiamo trattato solo per costruire un ospedale o un acquedotto in cambio della vita della persona”. Invece, a forza di piegarci siamo arrivati fino a terra.
E pensare che la piaga orrenda dei sequestri di persona da noi è stata debellata con la legge numero 82 del 1991 la quale stabilì l’obbligo del “sequestro del beni appartenenti alla persona sequestrata, al coniuge, e ai parenti e affini conviventi”.
All’epoca governavano Andreotti, Craxi e Forlani: loro misero al 41bis quei mafiosi che oggi se la spassano a casa.
Presidente, perché non debelliamo il crimine orrendo dei sequestri di persona a danno dei nostri connazionali impedendo a questo e ai futuri governi, per legge, di trattare per soldi (ma anche diamanti, oro ecc.) con gruppi terroristi o criminali?
1 https://www.corriere.it/cronache/20_maggio_09/silvia-romano-liberata-not…
FONTE:https://www.difesaonline.it/evidenza/editoriale/il-rilascio-di-silvia-romano-ora-gli-italiani-giro-il-mondo-sono-dei-bancomat-su
SUPPLICA e doverosa delazione alla KOMMISSIONE DAVID PUENTE
Siccome i media mainstream che contano – e notoriamente dicono la Verità – hanno titolato che il Recovery Fund è a fondo perduto;
Mi rendo improvvisamente conto che finirò per essere sottoposto io alla condanna per fake news da parte della
Suprema Kommissione David Puente- Repubblica istituita presso la presidenza del consiglio dall’Altissimo Sottosegretario Martella (PD),
cerco di alleviare le mie colpe riportando qui il comunicato originale della UE che mi ha tratto in inganno…” alt=”” width=”631″ height=”50″ data-src=”https://i1.wp.com/www.maurizioblondet.it/wp-content/uploads/2020/05/binding.jpg?resize=1024%2C81&ssl=1″ data-srcset=”https://i1.wp.com/www.maurizioblondet.it/wp-content/uploads/2020/05/binding.jpg?resize=1024%2C81&ssl=1 1024w, https://i1.wp.com/www.maurizioblondet.it/wp-content/uploads/2020/05/binding.jpg?resize=300%2C24&ssl=1 300w, https://i1.wp.com/www.maurizioblondet.it/wp-content/uploads/2020/05/binding.jpg?resize=768%2C61&ssl=1 768w, https://i1.wp.com/www.maurizioblondet.it/wp-content/uploads/2020/05/binding.jpg?resize=600%2C47&ssl=1 600w, https://i1.wp.com/www.maurizioblondet.it/wp-content/uploads/2020/05/binding.jpg?resize=1025%2C81&ssl=1 1025w, https://i1.wp.com/www.maurizioblondet.it/wp-content/uploads/2020/05/binding.jpg?w=1318&ssl=1 1318w” data-sizes=”(max-width: 1024px) 100vw, 1024px” />
che parla di “binding repayment plan” – ossia di vincolo di rimborso.
e a precisa domanda di un giornalista, Macron ha confermato: i fondi non saranno ripagati da beneficiari, ma dagli “Stati membri”.
Quindi, nella speranza di riconquistare la sua benevolenza, espongo la mia doverosa delazione alla Suprema Kommissione David Puente:
accuso Repubblica, 24Ore e gli altri euroinomani che ci stanno dando la notizia che l’Italia non è più uno “Stato Membro”.
Insomma non solo diffondono una bufala, ma alludono maliziosamente al fatto che ci converrebbe uscire dalla sacra gabbia, seminando la malsana idea sovranista nel popolo che è tutto per Giuseppi.
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/supplica-e-doverosa-delazione-alla-kommissione-david-puente/
Lettera di un ex giornalista di cronache di camorra a Saviano: perché non racconti la verità?
27 NOVEMBRE 2018 RILETTURA NECESSARIA
Gentile Saviano,
vogliamo raccontare perché ci sono giornalisti che si occupano di inchieste rischiando sulla propria pelle per pochi spiccioli e nel totale anonimato e poi ci sono quelli celebrati dai media, dalla politica, dal mainstream, per capire una volta per tutte cos’è che fa realmente la differenza.
Mi presento: sono Francesco Amodeo e sono un giornalista pubblicista; blogger e autore di 3 libri di inchiesta. Campano come te. Da qualche anno non più praticante (mio malgrado). Dopo una laurea in scienze della comunicazione e stage negli uffici stampa di Londra e Madrid per imparare entrambe le lingue. Torno nella mia Campania e dal 2002 comincio ad occuparmi di cronache di camorra prima per Dossier Magazine, poi per il famoso quotidiano campano il ROMA e il Giornale di Napoli.
Dal 2004 al 2005 con lo scoppio delle più cruente faide di camorra vengono pubblicati a mia firma oltre 200 articoli in meno di un anno. Alcuni finiti in prima pagina sia sul Roma che sul Giornale Di Napoli. Te ne elenco solo alcuni tra questi, guardando le date capirai gli intervalli di tempo tra un agguato ed un altro e quindi tra un articolo ed un altro e i ritmi e i rischi a cui eravamo esposti noi che facevamo questo lavoro:
• 18 Ottobre 2004 Omicidio Albino
• 29 Ottobre 2004 Omicidio Secondigliano: Scoppia la faida
• 5 Novembre 2004 Carabinieri feriti a Secondigliano
• 13 Novembre 2004 Omicidio Peluso in pizzeria
• 21 Novembre 2004 Ragazza accoltellata a Santa Lucia
• 22 Novembre 2004 Omicidio di Piazza Ottocalli
• 26 Novembre 2004 Omicidio a Secondigliano di Gelsomina Verde (in assoluto il più efferato di tutta la faida)
• 19 Dicembre 2004 Intervista esclusiva alla vittima dell’agguato.
L’ultimo mio articolo apparso sulla prima pagina del Roma riguardava l’Omicidio di Nunzio Giuliano dell’omonimo storico clan.
Sono articoli pubblicati negli stessi anni e riguardanti le stesse faide di quelli ch
e tu hai scopiazzato dai colleghi e ricopiato per intero nel tuo Gomorra e per i quali hai subito la sentenza di condanna per plagio.
A me nel 2005 sono stati corrisposti per tutti gli articoli 2117,70 euro di cui netti 1,800,00 euro. (allego prova documentale). Posso immaginare che più o meno siano queste le cifre che guadagnavano anche i giornalisti campani a cui hai copiato pezzi di articoli per pubblicarli nel tuo libro multimilionario.
Ma andiamo avanti:
Nel raccogliere materiale per gli articoli di cronaca puoi immaginare quante botte io abbia preso, quanti cellulari mi abbiano strappato da mano, quanti registratori distrutto e quante intimidazioni subite. Così decisi che era diventato troppo rischioso e passai alla cronaca politica. Un altro settore che ti interessa.
Ho aperto un blog di inchiesta giornalistica e pubblicato video inchieste sulle organizzazioni della finanza speculativa che nel 2011 aveva rovesciato il Governo in diversi paesi europei tra cui l’Italia analizzando i legami tra queste organizzazioni ed i politici e tecnici arrivati al Governo dimostrando in maniera documentata che avevano fatto Cartello contro i popoli e contro le democrazie con la complicità dei nostri media mainstream. Probabilmente sono proprio le organizzazioni a cui stai facendo appello tu in questi mesi esortandoli a rovesciare nuovamente un Governo democraticamente eletto. Sono rimasto sorpreso della tua visita a Macron. La prima volta che io lo vidi ero nascosto fuori al Marriott Hotel di Copenaghen con un cecchino che seguiva dall’alto ogni mio passo (come dimostra il video postato in rete) e lui stava per fare il suo ingresso alla riunione del Bilderberg 2014. Ossia l’incontro a porte chiuse dei più importanti membri della finanza speculativa. Quelli che scrivono che “la democrazia non è sempre applicabile”; che dovremmo “stracciare le nostre Costituzioni”; che bisogna favorire le tecnocrazie non elette per superare gli “eccessi di democrazia”. In pratica quelli che disprezzano i popoli.
Tutte le mie ricerche sui legami tra politici, media e Cartello finanziario speculativo sono state pubblicate in due libri, l’ultimo dei quali La Matrix Europea è stato definito dal compianto Ferdinando Imposimato, Presidente Onorario della Suprema Corte di Cassazione (Giudice istruttore caso Moro) il miglior libro sull’argomento e citando le sue parole: “ Il tuo libro è importante come strumento di verità e libertà ma è assediato da silenzio e omertà. Mi congratulo con te per la tua ricerca che è preziosa per tutti noi cittadini di una società in cui le ingiustizie e diseguaglianze sono enormi. Il tuo libro mi ha fatto capire molte cose, chiaro, preciso, documentato coraggioso, incisivo. Ma non è facile far capire agli altri la verità.” Il Presidente mi chiese poi pubblicamente di collaborare con lui per una ricerca sul tema ma dovetti rifiutare perché non mi sentivo tutelato.
Stai tranquillo Saviano, non sto facendo uno spot al mio lavoro, immagino che per deformazione professionale penseresti questo. A differenza dei tuoi libri, che ce li ritroviamo davanti anche in Autogrill mentre prendiamo un caffè, il mio dopo una breve apparizione è sparito dai radar. Nonostante abbia un proprio codice ISBN se lo richiedi nelle librerie sembra che non sia mai esistito. Spero sia stato solo un errore dell’editore.
Eppure i temi trattati nel libro sono stati oggetto di alcuni video su you tube. Uno dei quali ormai punta ai 6 milioni di visualizzazioni ( si hai capito bene 5 milioni di visualizzazioni già superate con un video di 18 minuti ossia un tempo assolutamente proibitivo per YouTube). E non è stato un caso. Ho superato ben 4 volte un milione di visualizzazioni anche quando ho dimostrato come vengono manipolate le interviste da parte di alcune note trasmissioni televisive del mainstream per punire chi prova a toccare argomenti che non dovrebbe toccare. Numeri enormi mai raggiunti da nessuno in Italia e forse neanche in Europa per video che trattavano questo tipo di argomenti.
Pensa che il video più visualizzato sul tuo Gomorra Channel ha raggiunto 477.000 visualizzazioni contro i miei 5 milioni. Per intenderci sommando tutti i video caricati sul canale Gomorra Channel si raggiungono meno della metà delle visualizzazioni di un mio solo video. Nonostante Gomorra sia una serie televisiva, un film a cinema e tu, Saviano, sei inseguito da tutti gli editori, gli autori televisivi e sei presente in numerosi programmi in Tv. E allora cos’è che spinge tanta gente a guardare i video di uno sconosciuto ? Sei d’accordo con me che i conti non tornano ?
Te lo spiego subito: tu sei stato molto bravo ad attaccare i criminali comuni, molti dei quali già in carcere con l’ergastolo ma facendo sempre la massima attenzione a non attaccare il sistema dominante in politica (quello che la manovra) né il ruolo dei media, spesso usati come braccio armato da questi poteri forti. Sei diventato il cavallo di Troia che fa comodo ad un certo tipo di sistema per entrare nelle case degli italiani con una voce che possa fingersi amica, credibile, spostando l’attenzione sui criminali comuni senza mai toccare gli interessi del potere dominante né dei media che lo coprono.
Ecco di chi sei diventato voce.
Ecco perché ti celebrano. Ecco perché sei in tutte le Tv.
Una volta ci sono andato anche io in Tv alla trasmissione in Onda di Luca Telese su la 7 ma è stata la prima e l’ultima volta perché tirai in ballo giornalisti, media e politici che partecipavano alle riunioni di organizzazioni del Cartello finanziario speculativo che hanno interessi diametralmente opposti a quelli dei popoli. Sai come intitolarono la trasmissione ? “La web guerra dei blogger antisistema”. Quando dici certe verità non sei un eroe sei un ANTI.
Eppure ti assicuro che la crisi economica – che io dimostravo essere stata indotta dai membri del Cartello finanziario speculativo di cui facevo nomi e cognomi – ha fatto, indirettamente, molti più morti tra imprenditori e lavoratori che si sono suicidati di quanti ne abbia fatti, tra i criminali, la più sanguinosa delle faide di camorra. Ha fatto chiudere molte più aziende lo Stato per eseguire i diktat del capitale che i camorristi con il racket. Ma questo il pensiero unico dominante tra i media non ce lo fa sapere.
E tu sei diventato l’icona di questo pensiero unico. Tu che parli di solidarietà verso i migranti, di accoglienza tout court pur sapendo bene che la maggior parte di quelli che arrivano dall’Africa sono in realtà i nuovi schiavi deportati dal capitalismo per abbassare il costo del lavoro e annichilire i diritti sociali nei paesi dove vengono accolti. Gente disposta a tutto come li definisce un noto filosofo: “merce umana nell’economia globale per le nuove pratiche dello sfruttamento neofeudale” pronta ad essere sostituita ai lavoratori europei che invece richiederebbero diritti sociali e rivendicazioni salariali.
Tu conosci questa pratica infame. Ma la copri, la appoggi. Per questo meriti programmi in Tv.
Poi ti vedo attaccare Salvini indossando la maschera del paladino dei più poveri, e mentre con una mano reggi quella maschera con l’altra tiri acqua al mulino di quella sinistra che ha svenduto i lavoratori e i loro diritti al Cartello finanziario europeo e che è passata “dalla lotta per i lavoratori contro il capitale alla lotta per il capitale contro i lavoratori” che ha sacrificato volontariamente sull’altare dei globalizzatori i lavoratori italiani per gli interessi di una Europa che si è dimostrata il baluardo del capitalismo speculativo contro le classi lavoratrici ed i popoli europei.
Perché queste cose non le racconti ? anzi perché le neghi ?
Taci perché preferisci essere esaltato dai media per interessi commerciali e contribuire al loro asfissiante, martellante, fuorviante lavoro di propaganda a favore del pensiero unico di chi intende dirigere le sorti dei nostri governi.
Oltre Gomorra che ha soltanto fini commerciali, tu sei considerato un “intellettuale” amico dei popoli. E come può un intellettuale del genere, con il tuo seguito, preoccuparsi dei rimborsi trattenuti dalla Lega, senza mai menzionare i miliardi e miliardi di euro che ogni anno finiscono nelle mani di azionisti privati che si sono autonominati creatori e gestori della moneta del popolo.
Tu questi argomenti non li toccherai mai.
Io, invece, ho dovuto subire intimidazioni, ritorsioni, agguati mediatici, censure.
Ed è per questo, che in seguito ad altri episodi che hanno coinvolto me ed i miei colleghi, ho deciso 3 anni fa di chiudere il blog, smettere di scrivere .
Ma il mio è solo un esempio di quello che accade a centinaia di ragazzi che hanno provato a fare questo mestiere senza volersi allineare al pensiero unico dominante.
Per concludere: io non sono un politico, non sono un Ministro, non sono un capopartito; non puoi trovare altri interessi nella mie parole se non la voglia di ristabilire la verità.
Te lo dico da ex giornalista. Da ex scrittore. Per farti capire che parliamo la stessa lingua. E te lo dico nel mio dialetto perché anche quello ci accomuna.
Robè vir e fa l’ommmm.
Francesco Amodeo
FONTE:https://scenarieconomici.it/lettera-di-un-ex-giornalista-di-cronache-di-camorra-a-saviano-perche-non-racconti-la-verita-di-francesco-amodeo/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
La Dolce Vita: il significato del film di Federico Fellini
Riscopriamo insieme il significato di questo classico senza tempo diretto da Federico Fellini.
Nel 1960, Federico Fellini vinceva la Palma d’Oro con La Dolce Vita, classico senza tempo con protagonista Marcello Mastroianni.
Era il 20 maggio del 1960 quando La dolce vita di Federico Fellini vinceva la Palma d’Oro a Cannes. Sessant’anni che sembrano non essere passati per un film che fa da spartiacque, che non è solo una pellicola ma è un vero e proprio manifesto, tanto da essere entrato nel linguaggio comune – come anche il termine paparazzo. L’eleganza stanca e fascinosa di Marcello Mastroianni, la bellezza giunonica di Anita Ekberg, le oniriche notti circensi e sensuali di Via Veneto che accoglie e rigetta il “viandante”, i salotti intellettuali, sono momenti, immagini, situazioni, diventate iconiche e memoria. La Dolce Vita è un film lungo, complesso, pieno di senso, di eventi e personaggi, enigmatico e stratificato.
La Dolce Vita: Marcello, un uomo in crisi
Al centro c’è Marcello, un giornalista partito da Cesena e arrivato a Roma, che vaga in una Roma fulgida e struggente, festaiola e divina, l’uomo è in crisi, non sa dove andare, cosa fare, è affascinante e affascinato da quella città e da ciò che essa gli concede, tra amori e tradimenti, tra lavoro e perdizione. Entra in un gorgo di bellezza e di bramosia, di danze e di cultura, di apparizioni e mondi onirici; incontra donne, uomini, persone che prendono il loro posto nella sua storia, anche se per poco su quel “palcoscenico” e con lui parlano, si divertono, si amano.
Lo spettatore incontra Marcello subito, nei primi minuti, quando assieme all’altro grande personaggio, Roma soleggiata e tentacolare, entrano nella scena: su un elicottero, lui e un altro giornalista seguono il volo di una una statua di Gesù in piazza San Pietro, appesa a cavi. Marcello vede sul tetto di un palazzo delle belle ragazze in costume , perde subito “il centro”. A causa del rumore non riescono a sentirsi; Fellini racconta con questa scena non solo un tratto distintivo del suo protagonista, il suo essere un latin lover – riesce a chiedere il numero di telefono ad una di quelle ragazze -, ma anche l’incomunicabilità umana – le donne e gli uomini parlano, si fanno delle domande ma faticano a capirsi – e anche, attraverso la statua “trasferita”, un differente rapporto con la religione. Le ragazze chiedono “È Gesú… Dove va?”, inevitabilmente in queste parole c’è anche un valore metaforico: gli uomini infatti si dimenticano dell’urgenza e dell’importanza del loro lavoro per flirtare, la scena acquista un senso maggiore dall’immagine successiva di danze eseguite da un uomo che indossa una maschera di una divinità orientale.
“Tu sei tutto! […] Sei la prima donna del giorno della Creazione. Sei la madre, la sorella, l’amante, l’amica, l’angelo, il diavolo, la terra, la casa”
Dice questo Marcello a Silvia (Anita Ekberg), quando lei si affaccia si affaccia da una terrazza di Piazza San Pietro come una papessa. Per lui questa è la sua religione, la Donna che diventa spinta a cui anelare, struggimento della carne e dello spirito. Si perde nella pelle e nella carne di Maddalena (Anouk Aimée), rimane stupito dalla somiglianza con una Madonna di Paola, una giovane ragazzina di origine umbra, estranea alla mondanità, che lavora in un bar su una spiaggia dove Marcello cerca di scrivere. Questa è la sua credenza ma è tutta carnale e reale, lui brama le donne, passa le notti con loro se ci riesce, invece non crede alle apparizioni divine.
La dolce vita: un uomo che non si impegna
Marcello appare già all’inizio in crisi, e, a poco a poco, abbandona il suo dovere per dedicarsi al piacere. Egli è un ragazzo partito con le tante aspirazioni e i tanti sogni di chi tenta l’avventura nella metropoli. Ha le possibilità, ha la cultura, ma non s’impegna mai sul serio; anche con chi incontra è così, inizia con le più buone intenzioni e poi crolla. Con Maddalena non vorrebbe avere un rapporto sessuale sul letto di una prostituta, eppure lo fa. Desidera ardentemente Sylvia, ma non ha intenzioni di avere nessun altro tipo di rapporto con lei. L’unico momento in cui pensa che ci sia una minima speranza è di fronte alla Fontana di Trevi ma poi tutto si disperde.
Cosa accadeva 60 anni fa a Cannes e in Italia
Gli incontri, le amicizie, i rapporti più o meno passeggeri servono a dare il senso di questa vita che aspira ad essere dolce e ogni personaggio converge e si lega proprio a Marcello e con lui costruisce un’unità. La dolce vita, un racconto che sembra circolare (la crisi di Marcello è sempre la stessa, la Città è sempre bellissima, il mondo in cui lui vive è perso e frivolo), non è solo la storia di un giovane uomo ma è anche quella di un vivere, mollemente adagiati, immersi, perdendo le aspirazioni, in Via Veneto, nei salotti in cui i nobili si sciacquano la bocca con belle e colte parole. Di festa in festa, di donna in donna, Marcello è sempre più insoddisfatto del suo presente, inebetito da tutto il bello che gli sta intorno.
La Dolce Vita: un affresco
Come proprio lo definiva Fellini La dolce vita è un affresco, in cui quasi per analogia l’autore lega i vari personaggi che si appoggiano al principale. Lungo le tre ore di film abbiamo seguito Marcello perdersi nella mondanità fino ad arrivare perso dopo la morte del suo migliore amico, l’intellettuale Steiner, suicidatosi dopo aver ucciso i suoi figli. Marcello, alla fine del film, dopo aver partecipato ad una festa orgiastica in una villa vicino al mare, ubriaco, senza freni e disperato vive il punto più basso della sua esistenza. Dopo i balli, le orgie e il divertimento, è in riva al mare e assiste ad un incredibile spettacolo: un mostro marino pescato morto.
“E questo insiste a guardare”
Quel guardare, elemento fondamentale del film che racconta di paparazzi, di pubblicità e di un mondo da guardare e in cui perdersi, colpisce Marcello che incomincia a patire quegli occhi, privi di vita ma giudicanti. Non è solo l’immagine di quella bestia a sconvolgerlo ma è più che altro il fatto che in quello sguardo vede se stesso. Lo spettatore si ritrova al punto di partenza: di nuovo c’è l’incomunicabilità: Paola cerca di parlare con Marcello, la sua voce innocente e pura tenta di riportarlo a sé per salvarlo, ma l’uomo non riesce a decifrare le sue parole, non ne comprende i gesti e si lascia trascinare via dai suoi amici, rivolgendo alla giovane un segno di resa, di cui comprende perfettamente il linguaggio, a volte “corrotto”, falso, tutto apparenze e poca sostanza.
La dolce vita racconta un mondo privato dei miti in cui la donna, la nobiltà, la cultura, la religione cadono e si sgretolano in quanto tali. Fellini riesce a mostrare, con l’ironia che lo contraddistingue, le contraddizioni, i vizi e le virtù dell’uomo, della società e del contemporaneo.
FONTE:https://www.cinematographe.it/rubriche-cinema/la-dolce-vita-significato-film-federico-fellini/
BELPAESE DA SALVARE
La rivista della Massoneria italiana promuove il documento del Vaticano sulla “Fratellanza umana”
(MB: chissà perché, non sono sorpreso)
Il documento sulla fratellanza umana che Papa Francesco e lo sceicco Ahmed el-Tayeb, Grand Imam dell’Università di Al-Azhar, hanno congiuntamente sottoscritto l’anno scorso ad Abu Dhabi, ha ricevuto un’ampia approvazione sulla rivista della più grande fratellanza massonica italiana.
Il documento “Fratellanza umana per la pace nel mondo e per la convivenza comune” è “innovativo” e una “droga a lento rilascio” che potrebbe annunciare una “nuova era” e rappresentare un “punto di svolta per una nuova civiltà”, scrive Pierluigi Cascioli, giornalista di Nuovo Hiram, la rivista trimestrale della loggia massonica del Grande Oriente in Italia.
Aggiunge che il testo “è importante sia per le due autorevoli firme congiunte, sia per i contenuti”.
Il documento (di Abu Dhabi, ndr) di cinque pagine è stato elogiato quando è stato pubblicato come uno sforzo per respingere una deriva verso uno “scontro di civiltà”, ma ha anche ricevuto critiche per i suoi elementi sincretici e un passaggio controverso che affermava che la “diversità delle religioni” è “voluta da Dio”.
Nel suo articolo, Cascioli consiglia di dare al documento una “lettura approfondita”, e sostiene che ha “pagine nobili”, che “dovrebbero essere attentamente considerate” non solo da cristiani e cattolici e musulmani, ma da tutta l’umanità.
Cascioli vede il documento come uno stimolo sia per la Chiesa che per l’Islam a “fare di più per garantire l’effettiva parità tra donne e uomini”.
Riferendosi alla prefazione del documento, chiede se la sua condanna della discriminazione e il suo appello al “rispetto reciproco” porterà al “rispetto delle donne e degli uomini che hanno tendenze omosessuali o bisessuali?”
“Ogni essere umano è unico e inimitabile”, dice, e dovrebbe avere “il diritto (o, meglio, il dovere) di sperimentare il proprio erotismo secondo la propria natura”. Si riferisce poi alle nazioni che criminalizzano l’omosessualità, in particolare nel mondo islamico.
Si chiede inoltre se la struttura “monarchica” della Chiesa sia in contrasto con l’egualitarismo che vede nel documento, e specula sulla necessità di “aggiornare” la dottrina sociale della Chiesa “alla luce dei valori innovativi del documento”.
Papa Francesco e il Grande Imam esprimono “posizioni d’avanguardia”, osserva, e si chiede quanti cattolici e musulmani le seguiranno. “Quanto sono più avanti rispetto alle rispettive “basi” dei due leader?” Cascioli si chiede. “Papa Francesco è lontano dalla sua base; il Grande Imam è molto lontano dalla sua”.
Ma preferisce prendere la visione a lungo termine, credendo che la “Fratellanza umana” sia “come una droga a lento rilascio”. Sarebbe “illusorio aspettarsi un immediato, grande sconvolgimento, ma potrebbe aprire una nuova era”, sostiene. Cascioli dice che Francesco ed el-Tayeb hanno “costruito una pista d’atterraggio per l’aeroporto” per i valori del documento, ma perché i contenuti “decollino”, ci deve essere un “forte impulso”, che permetta loro di “superare la forza di gravità”. La gente dovrebbe avere il “coraggio della fratellanza”, dice, e così “decollare verso un mondo migliore”.
“I massoni, che hanno la fratellanza al loro centro, non potranno evitare di discutere questo documento”, scrive. “Nell’applicare questo principio, i cattolici e i sunniti vorranno dialogare con i massoni?”
La Chiesa cattolica ha a lungo condannato la Massoneria, sottolineando che i suoi principi sono inconciliabili con la fede cattolica, e insegnando che per un cattolico appartenere ad essa è un “peccato grave” che automaticamente lo squalifica dal ricevere la Santa Comunione.
I rituali massonici sono nocivi al cattolicesimo e un forte anticattolicesimo permea anche la Massoneria, secondo padre William Saunders in un articolo del 1996 pubblicato sul sito dell’EWTN. Anche alcuni critici particolarmente forti, come il vescovo ausiliare Athanasius Schneider di Astana, Kazakistan, ritengono che i suoi ranghi superiori siano impegnati ad adorare Satana. (Qualche giorno fa su questo blog abbiamo pubblicato un articolo di mons. Schneider in cui egli spiega l’infiltrazione della Massoneria nella Chiesa, ndr).
Letture consigliate:
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/la-rivista-della-massoneria-italiana-promuove-il-documento-del-vaticano-sulla-fratellanza-umana/
“Vogliamo dare la caccia ai criminali, non ai pensionati”
Il segretario del primo sindacato di polizia SIULP dà voce al disagio delle forze dell’ordine, alle prese, da mesi, coi controlli più assurdi: “Una deriva frustrante, che mina il rapporto di fiducia con la gente perbene”
“Abbiamo sempre fatto il nostro dovere e continueremo a farlo, ma speriamo che questi controlli assurdi possano essere via via abbandonati e che le forze dell’ordine possano tornare a ciò che le caratterizza. Dare la caccia ai veri criminali e dare una mano alle persone perbene”.
Così Paolo Macchi, segretario del principale sindacato di Polizia SIULP, esprime a Rete55 l’esasperazione della categoria, frustrata da 2 mesi di accertamenti che ne hanno messo a repentaglio autorevolezza e fiducia dei cittadini.
FONTE:https://www.rete55.it/notizie/
primo-piano/vogliamo-dare-la-caccia-ai-criminali-non-ai-pensionati/?fbclid=IwAR3PkzyQrfmkiX0b3smN0HL1dJ6ZKxZrLucrD6LL44USI-8oKPbM0B8DexU
CONFLITTI GEOPOLITICI
OBAMAGATE! Altro che Russiagate…
Barak Obama, da presidente uscente, usò le ultime settimane della sua carica, e gli strumenti di potere di cui ancora disponeva pienamente (Cia, FBI ecc.) , per incastrare il generale Flynn, consigliere di Trump appena eletto, onde costruire di sana pianta l’accusa della sua collusione con Mosca: ciò che ha portato al Russiagate contro Trump, causa basata sul nulla ma durata mesi e mesi, e occupato le aperture dei tg e alimentato le prime pagine dei “grandi giornali”.
Adesso, riabilitato Flynn, piovono le prove che incastrano Obama e tutti i suoi complici nella Cia, nell’FBI, nei ministeri, nei media.
Trump twitta tutto allegro: “Mai un presidente ha tramato contro un futuro presidente” Obamagate!”.
Se lo scandalo non viene soffocato (e diventa difficile), si aprono guai anche per gli “amici italiani di Obama” , piddini, gentiloniani e renziani, la loro “università” Link Campus, i loro “servizi” al loro servizio e i loro Mifsud che hanno partecipato a creare le prove false contro Trump e mostrare che era manovrato da Putin.
Le nuove rivelazioni i mostrano che l’ex presidente Barack Hussein Obama è stato direttamente coinvolto in un complotto con abuso di potere e può aver commesso crimini perseguibili in tribunale. (“very serious crimes”, gongola Donald. Non solo Obama fu l’organizzatore della falsa causa di impeachment “Russiagate”, ma adesso si apprende che è anche dietro la campagna di scherno e derisione sul come Trump ha gestito la crisi del coronavirus.
Ricordiamo che nel marzo 2017, Trump segnalato di avere informazioni che l’amministrazione Obama avevasi è avvalsa illegalmente di servizi informatici e aveva intercettato gli uffici del candidato Trump alla Trump Tower di New York. Ora si diverte lui:
Per i particolari, rimando a Scenari Economici:
OBAMA HA PARTECIPATO ALLA CONGIURA PER INCASTRARE FLYNN. Parola del suo avvocato
a a Mittdolcino.com:
LO SCANDALO FISAGATE E’ UFFICIALMENTE ESPLOSO
L’antefatto : il generale Michael Flynn, , già direttore dell’intelligence militare interforze, fu accusato dal Procuratore Speciale Robert Mueller di collusioni con la Russia, per contatti con l’ambasciatore russo a Washington. Fu costretto alle dimissioni da consigliere per la sicurezza nazionale dopo solo 24 giorni di servizio.
I documenti relativi al caso di Michael Flynn desecretati, mostrano che negli interrogatori dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, i funzionari dell’FBI avevano quale obiettivo il “farlo mentire, in modo da poterlo perseguire o farlo licenziare”.
Attraverso il suo legale, Flynn ha da poco fatto sapere che si dichiarò colpevole, patteggiando, solo in quanto l’FBI aveva minacciato di accuse penali suo figlio! L’ammissione di colpa in patteggiamento (legata a presunte false dichiarazioni) probabilmente verrà revocata e Flynn potrebbe anche essere reintegrato nel governo di Trump.
https://www.redstate.com/elizabeth-vaughn/2020/04/28/827051/
Il proscioglimento di Flynn sarebbe già stato un’enormità, poi è arrivato “il” tweet di Trump, che attendevamo da anni, con cui inizia ufficialmente …il diluvio:
“Beccato James Comey, il poliziotto sporco!”, twittò Trump…
Comey era il direttore dell’FBI (dal 2013 al 2017) ed è stato vertice della catena di comando dell’FBI che ha gestito la fabbricazione delle prove
Ormai si moltiplicano segnali di imminente arrivo della tempesta a Roma….questo si comprende bene proprio dal silenzio di tomba dei media mainstream italiani sul FISAgate, anzi questa è la prova regina del fatto che l’Italia è coinvolta appieno nello scandalo.
Se ne facciano una ragione gli amici fraterni dei dem USA che reggono la UE e che controllano ogni articolazione del disastrato Stato italiano….la tempesta è in arrivo.
Per avere qualche spunto, concentriamoci su un nome: PRIESTAP. Lo vedete nell’organigramma di cui sopra, al tempo era direttore del controspionaggio dell’FBI.
E’ il destinatario di questa mail in cui I “dirty cops” dell’FBI riferiscono che Flynnn (identificato come CROSSFIRE RAZOR) si difende bene e non appare perseguibile. Anche se NON CHIUDERANNO LE INDAGINI…
Ecco la trascrizione di un interrogatorio di Priestap presso il Judiciary Committee della Camera dei Rappresentanti, in giugno 2018, quando del FISAgate si parlava pochissimo anche negli USA.
https://www.lawfareblog.com/document-transcript-bill-priestap-interview-house-judiciary-committee
Vediamo la pagina 79 del resoconto, molto interessante perché è un atto pubblico. Esso indica esplicitamente il coinvolgimento di governi stranieri (v. testo in rosso, sotto) come partner di un’operazione che Priestap sovrintendeva (oggi sappiamo che tale operazione era “sporca”, illegale)…. chissà quale è il governo estero coinvolto…FORSE QUELLO DI UN PAESE CON FORMA DI STIVALE AL CENTRO DEL MEDITERRANEO ??? (purtroppo le parti che ci interessano sono ancora classificate…).
Attendiamo gli sviluppi giudiziari che presto arriveranno (dagli USA, dove non ci sarà pietà per le responsabilità italiane….), nel frattempo sui media USA lo scandalo è scoppiato ufficialmente. Per ora, iniziano a parlarne apertamente i media vicini ai Repubblicani. Gli altri, quando non si potrà più nascondere (a causa degli arresti e delle inquisizioni eccellenti), seguiranno.
Chissà se l’attivismo dell’ex premier Matteo “bilderberg” Renzi e la sua “leggera agitazione” di queste settimane….si devono al rischio che il suo amico Joe Biden si frantumi politicamente prima delle elezioni di novembre…..
…..oppure al fatto che una tremenda tempesta sta per abbattersi direttamente sul suo governo….considerato che a fine 2016 era andato proprio alla Casa Bianca in visita da Obama (forse era una visita “organizzativa” ?)
[…]
.infatti gli Stati Uniti sono l’unica entità in grado di salvarci – con l’ITALEXIT – dalla distruzione dell’Italia che l’EU tedesca sta per avviare – in modo ignobile ma sempre nel più perfetto stile tedesco – utilizzando la crisi economica post Covid-19.
I rumors sono già interessanti….
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/obamagate-altro-che-russiagate/
“Inefficiente e asservita a Pechino”: così Trump vuole rivoluzionare l’Oms
Accusata di essere inefficiente da testate come il Wall Street Journal e di essere asservita all’influenza di Pechino, che fece sentire il proprio peso geopolitico nell’elezione del direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus nel maggio 2017, l’Organizzazione Mondiale della Sanità è finita nel mirino degli Stati Uniti e del Presidente Donald Trump, che ora intende rivoluzionare l’istituto fondato nel 1946 con sede a Ginevra. Come altri enti internazionali (la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale), l’Agenzia specializzata dell’Organizzazione delle Nazioni Unite è frutto di quell’ordine liberale internazionale nato dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale a guida statunitense. Un ordine nel quale, con la fine dell’unipolarismo e la transizione – in atto – verso un nuovo ordine multipolare, si è inserita la grande potenza cinese, pronta a sfidare l’egemonia statunitense. Lo scontro in atto presso l’Oms è il riflesso di questo confronto, che segnerà sempre di più le dinamiche geopolitiche mondiali, dalle guerre commerciali alle diatribe nel Mar Cinese Meridionale.
Così Trump vuole rivoluzionare l’Oms
Nelle scorse settimane il presidente Donald Trump ha sferrato il suo attacco contro l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) dopo aver sospeso ii finanziamenti Usa in attesa dall’esito dell’inchiesta di Washington sulla risposta al coronavirus. Il presidente ha accusato l’Oms di essere “uno strumento cinese”, così come l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). “Hanno trattato gli Usa molto male a favore della Cina”, ha rimarcato Trump, e sui finanziamenti all’Oms “decideremo presto”. “Perché l’Oms ha fatto diverse affermazioni sul Covid-19 che erano inesatte o fuorvianti a gennaio e febbraio, mentre il virus si diffondeva a livello globale? Perché l’Oms ha aspettato il tempo necessario per intraprendere azioni decisive?”, ha aggiunto il tycoon.
La prima riguarda il vertice, occupato da Tedros Adhanom Ghebreyesus: “La posizione del direttore generale è esposta a pressioni ed influenze politiche, che condizionano la capacità di agire e fornire una guida tempestiva ai Paesi”. Basti pensare al “ritardo dell’accesso in Cina per la squadra tecnica dell’ Oms, le comunicazioni limitate sul rispetto delle norme da parte del Paese membro, la conferma senza verifica delle sue affermazioni, l’insufficienza delle risorse”. Per favorire l’indipendenza del direttore generale, nella bozza proposta dagli Usa, riporta La Stampa, si propone di “creare un nuovo meccanismo per verificare e garantire il rispetto delle International Health Regulations da parte dei membri, la rapida comunicazione delle crisi, accesso delle squadre di risposta, e condivisione dei campioni. L’ Health Emergencies Program, guidato ora dall’irlandese Mike Ryan, dovrebbe diventare “indipendente dal direttore e rispondere solo all’ Executive Board dell’Oms”.
“Perché l’Oms deve essere riformata”
Come spiegava il Financial Times in un editoriale pubblicato il 6 maggio scorso, l’Oms è “un’istituzione compromessa” perché manca di indipendenza “dai suoi Paesi membri” e “non solo dalla Cina”. Le sfide per la salute globale, infatti, “richiedono che l’Oms superi tali interessi parrocchiali” perché “un’istituzione internazionale indipendente e obiettiva” può servire al meglio “anche gli interessi nazionali”. Il problema non sono solo i ritardi e la malagestione del Covid-19 ma anche, per esempio, nel 2009, la sua “gestione opaca di H1N1”, comunemente noto come influenza suina.
Fughiamo ogni dubbio: l’Oms è un ente politico, non scientifico, influenzato dai Paesi che lo finanziano. Come scrive anche il Financial Times, infatti, sono gli gli interessi geopolitici a “plasmare le sue azioni”. Nel 1955, infatti, fu coinvolta nella lotta ideologica occidentale contro l’Unione Sovietica quando l’Assemblea mondiale della sanità, l’organo decisionale dell’Oms, “votò per un programma di eradicazione della malaria promosso dagli Stati Uniti e dai suoi alleati”. Il vero problema è che, attualmente, l 80% del bilancio dell’Oms “proviene da contributi volontari”. Ciò mina, sottolinea il Ft, “l’integrità istituzionale dell’Oms” e apre “un abisso tra i suoi obiettivi dichiarati e ciò che fa realmente”. Insomma, molta politica e poca scienza, questo è l’Oms, in estrema sintesi: e non occorre sposare la visione parziale di Washington per arrivare a questa conclusione.
FONTE:https://it.insideover.com/politica/inefficiente-e-asservita-a-pechino-cosi-trump-vuole-rivoluzionare-loms.html
CULTURA
TECNICA, COMUNITÀ, DESTINO. IN DIALOGO CON CARLO SINI
Intervista a cura di Giacomo Berengo per Sovrapposizioni.
Giacomo Berengo: La tecnica è l’uomo. Dove c’è uno c’è l’altro e viceversa. In quest’ottica, che pare essere l’unica che guarda ciò chi appare, nei suoi limiti e nelle sue ricchezze, non c’è, di fatto, alcuno spazio per ogni concezione superstiziosa che voglia difendere l’uomo dalla tecnica, vedendo in quest’ultima la radice della “recente” separazione dell’uomo con il mondo cosiddetto della natura. La sfida del sapere è dunque quella di utilizzare a proprio beneficio il supporto che ora ha a disposizione, che ora può supportare tutti i saperi che l’umanità ha, fino a questo momento, raggiunto e conservato. La domanda, che può sembrare ovvia e scontata a prima vista, e che in realtà non lo è affatto è dunque la seguente: come può il sapere filosofico armonizzarsi con il supporto che ora è utile per creare comunità? Quale sapere può emergere, secondo lei, dal supporto che ora abbiamo a disposizione?
Carlo Sini: Distinguere l’uomo dalla tecnica, non vedere che l’essere umano è tale proprio in quanto “tecnico”, cioè in quanto entrato in un orizzonte e in una vicenda di vita che non è più caratterizzata soltanto dalla cosiddetta “nuda natura”, conduce certo a discorsi confusi e problematici. Questo non significa che essi non traggano motivo, però, da qualcosa di reale, da timori e disagi esistenziali che rivestono comunque un senso e quindi una importanza peculiare.
Che una specie vivente possa venir meno dipende dalla modificazione di equilibri ecologici sui quali la specie medesima non ha poteri, oltre a quelli che la natura le ha fornito, secondo il loro limite intrinseco di plasticità. Nel momento in cui l’azione della specie umana si qualifica invece per il ricorso sempre crescente all’uso strumentale, il pericolo, direi, si raddoppia: da un lato, diciamo così, i capricci della natura (le glaciazioni, i terremoti, le eruzioni ecc,); dall’altro i pericoli dello strumento stesso, che ha immesso nella vita naturale della specie “sapiens” (o che sta diventando tale) l’esteriorità al limite indecidibile del mondo cosiddetto esterno: la “materia” della protesi, appunto. C’è ben motivo di temere che lo strumento tecnico sconvolga l’equilibrio necessario dell’ambiente (la cui “regola” è sempre costituita da una complessità di azioni, reazioni e contro-azioni incalcolabile) e addirittura che si rivolga contro la vita dei suoi stessi “utilizzatori”, insegnando all’Homo Sapiens una violenza inedita e infinitamente potenziabile verso di sé. In altre parole, se vedi arrivare un carrarmato non stai tranquillo.
Oltre un certo livello di evoluzione e di pericolosità strumentale, il problema dell’uomo come animale civilizzato diventa la pace. Ricordo in proposito e molto in sintesi una vicenda a suo modo eloquente: l’impero britannico alle prese con popolazioni e tribù “selvagge” dell’estremo Oriente in perenne guerra tra loro. Bisogna educare questi selvaggi. Invio di una squadra di antropologi per studiare la situazione e far cessare l’orribile conflitto. Risultato: le tribù costantemente in guerra provocano due o tre morti l’anno (molti meno di quelli che derivano da incidenti di caccia). Per di più, il divieto ai riti e miti e costumi complicatissimi che accompagnano le attività guerresche nel corso dell’anno, e quindi il divieto della guerra continuativa stessa, produce un decadimento generale della vita collettiva, che risulta, per i “selvaggi”, destituita così di ogni regola, di ogni organizzazione etica, religiosa, economica, familiare, generazionale, sessuale, e quindi destituita di ogni senso e valore. I “selvaggi” non fanno più nulla, non lavorano, si ubriacano, degenerano, diventano aggressivi all’interno della tribù, non riconoscono più autorità alcuna, muoiono come le mosche.
Questa storia insegna che il livello “primitivo” della strumentazione tecnica degli umani non costituisce alcun rischio, come diciamo oggi, per l’ambiente. È anzi una lotta disperata, per migliaia e migliaia d’anni, condotta da una specie molto fragile per riuscire a sopravvivere su questo pianeta.
Poi gli strumenti tecnici si fanno progressivamente molto pericolosi in mano alla bellicosità degli umani e la guerra comincia a diventare, nel corso del tempo, una catastrofe inarrestabile: altro che due o tre morti. Il roussoviano buon selvaggio diviene un barbaro sterminatore. Perché?
Dico anche qui in estrema sintesi. Quando ci riferiamo allo strumento tecnico dimentichiamo regolarmente quello più importante. Esso infatti si nasconde ai nostri occhi e alle nostre orecchie proprio dietro l’uso che costantemente ne facciamo (anche qui). Parlo del discorso o, come per lo più si ama dire (in modo caratteristicamente “superstizioso”), del linguaggio.
L’ufficio del discorso (procedo con gli stivali delle sette leghe) non è affatto quello che siamo soliti credere: dire le cose, dare loro un nome (come se le cose fossero costituite da suoni della voce o tratti di inchiostro sulla carta); il suo ufficio originario o primario è invece quello di chiamare i membri del gruppo vivente (agli inizi, pare, non più di una ventina o trentina di individui in marcia nella savana) a collaborare nell’esercizio delle azioni comuni tramite l’ufficio di gesti vocali che ne scandiscono e analizzano le funzioni operative: non dire le cose come sarebbero “in sé” (questa superstizione illusionistica del linguaggio è solo una conseguenza), ma in quanto poli di interesse per l’uso collettivo. In parole povere, non i sostantivi (diremmo oggi), ma i verbi (come per esempio è illustrato dagli ideogrammi della antica scrittura cinese).
Nato dalla articolazione dell’azione comune, il discorso diviene così anche il luogo dell’auto-riconoscimento dei membri del gruppo: esso veicola e trasferisce all’interno di ognuno la funzione e il ruolo; quindi la coscienza e autocoscienza sociale dei membri del gruppo; quindi la loro intersoggettività vivente e operante; quindi la costituzione di una “storia” mitologica, magica, ritualistica, sacrificale della comunità in cammino: gli spiriti e gli Dei che ne garantirebbero le sorti, la sopravvivenza, il prestigio e la prosperità crescenti; quindi la sua bellicosità verso le altre comunità, che ne minacciano l’esistenza. Platone ha descritto perfettamente tutto ciò nella Repubblica (nel passaggio dalla società frugale delle origini alla società “infiammata” dal lusso, dal possesso, dal consumo, dalle disuguaglianze sociali tra ricchi e poveri e infine dalla necessità di mantenere un esercito per difendere il “proprio” dalla avidità degli “stranieri” e possibilmente impadronirsi dell’“altrui”: una storia che non è più finita).
Dalle Leggi di Platone a Per una pace perpetua di Kant (1795) uno dei compiti principali della filosofia è stato pertanto quello di promuovere la pace, liberando le comunità umane dalla stasis (dalla terribile guerra intestina), quindi dai distruttivi conflitti esterni, e poi per liberare ognuno dalla violenza anzitutto dentro il sé, per proiettarla poi fuori di sé (Freud aveva letto Platone).
Già Platone intuiva che non può esserci pace in una comunità se non vi è pace tra gli Stati; per Kant questo fatto è chiarissimo e lo strumento è quello (come del resto già nelle Leggi) di una nuova educazione degli esseri umani: compito precipuo della filosofia (in Occidente). Non della religione, perché l’origine delle religioni fu quello di consolidare e giustificare ogni singola comunità garantendole i propri protettori celesti, conseguentemente nel suo conflitto con gli Dei delle altre comunità. Si tratterebbe allora di immaginare una sorta di religione universale, ma questo traguardo comporterebbe o la sottomissione di tutte le credenze a una sola; o l’abolizione di ogni credenza religiosa e quindi della religione medesima. Di questo paradosso si faccia carico l’uomo religioso; io non lo sono.
Dopo questa lunghissima introduzione, e poco urbani passi da gigante, quindi con molti legittimi problemi di comprensione, penso nondimeno di essermi aperto la via per arrivare alla domanda: quale sapere (filosofico) può oggi fare uso di supporti, di quali strumenti può giovarsi per creare comunità (e quale comunità)?
Per come personalmente vedo l’esercizio filosofico, la prima cosa che mi sembra importante dire è che bisogna anzitutto liberarsi dalla superstizione dei discorsi (senza peraltro abbandonare i discorsi, evidentemente, se si tratta di “dire”). Quindi bisogna apprendere a non domandare così come si è ricordato sopra. Bisogna imparare a veder chiaro che non si tratta del sapere, non si tratta della filosofia, non si tratta della comunità, perché queste “cose” non esistono: sono da sempre l’effetto illusionistico della pratica e della funzione del discorso, questo straordinario strumento della “socialità”.
Parlando in modo metaforico, potremmo osservare che la continuità delle forme viventi (quelle che per esempio chiamiamo “specie”) esiste solo nella sua ripetizione e trasmissione attraverso la indispensabile strozzatura dei corpi viventi e attraverso le loro azioni particolari e specifiche, attive e passive (ricordo la preziosa distinzione husserliana tra Leib – corpo vivente – e Körper – corpo-cosa). Ora, il medesimo accade con la protesi esosomatica della voce, della parola e del discorso: esso transita attraverso i corpi e non si trova altrove. La sua azione però ha di mira la coordinazione in una azione comune (potemmo dire l’accomunamento: letteralmente ciò che Peirce nominava come “ciò che si è pronti a fare in comune”, Hegel: “il fare di tutti e di ciascuno”, cioè letteralmente lo spirito hegeliano, “l’abito” condiviso di comune risposta: se grido ‘corri’ tu corri!) e per ottenere questa coordinazione l’azione del discorso produce e promuove segni universali, parole-concetto (dirà la filosofia) e, conseguentemente, l’universale credenza nelle “cose” corrispondenti: tratto strutturalmente superstizioso del logos.
La fine del sapere metafisico, la conseguente fine delle illusioni “ontologico-naturalistiche” del senso comune e del senso comune scientifico, suggeriscono una differente “postura” entro i comuni problemi e saperi. Ognuno di noi, in quanto membro di un intreccio sterminato e inestricabile di eredità e di relazioni sistemiche, collocato in una nicchia di nicchie ereditate dall’oltreumano e dalla cultura (che ha modificato anche i corpi cosiddetti naturali), può immaginare di prendere efficacemente la parola solo all’interno della raggiunta consapevolezza di questa sua collocazione, che accade a lui, in modi molto definiti, come accade anche in tutti, nei modi loro. In questo potenziale dialogo con sé e con gli altri, e solo in esso, si possono definire gli strumenti e i supporti, uno per uno e volta per volta disponibili o immaginabili, misurandone l’efficacia, l’opportunità e la destinazione, sino a prova contraria.
Proviamo a prenderne uno e lavoriamo con buona volontà. Qui, direi, ho in sostanza suggerito di lavorare sullo strumento discorso, a partire da come io stesso penso di trovarmene fornito; cerchiamo di mettere in luce perché e a partire da che… esercizio che per tradizione e per molte altre ragioni chiamo “filosofico”. Vediamo le ragioni (le mie per me, le tue per te, ecc.): dopo tutto veniamo da Socrate. Cioè? Ecc. ecc. (Mi sono spiegato?).
GB: La “comunità mondiale” non é né comunità né mondiale. È semplicemente una locuzione composta di belle parole. Parole fondamentali. Ma in ogni caso parole organizzate foneticamente, un discorso, se vogliamo. Ma il discorso, appunto perché alfabetico, è un costrutto storicamente e territorialmente determinato: esso nasce in occidente, nell’antica Grecia solo grazie ad un certo sapere (quello filosofico appunto) ecc. Perciò unire il mondo nell’alfabetizzazione sembrerebbe non solo un enorme imposizione culturale che segnerebbe la supremazia di una cultura contro altre; ma addirittura una violenza, che vorrebbe si parli di cultura – nella sua accezione territoriale, antica, ctonia – solo nel caso della occidentale, solo per quanto riguarda la filosofia e le sue derivazioni e modificazioni. Se questo è vero: come si potrebbe allora concepire una comunità globale? Se bisogna evitare l’errore della comunicazione unicamente dialogica, quali altre strade possono condurci ad una reale comunità universale? Come creare una comunità che non sia un sopruso del discorso su tutti gli altri tratti distintivi delle altre comunità non-occidentali – che sono appunto le lingue? È immaginabile – e auspicabile – una organizzazione di questo genere?
CS: Come concepire una comunità globale che non sia un sopruso del discorso occidentale su tutte le comunità non-occidentali? Come realizzare una reale comunità universale? La lunga risposta precedente mi aiuta a rispondere ora molto più rapidamente. Anche qui è opportuna una riflessione preliminare sulla domanda. Procedo per notazioni molto sintetiche.
Così posto il problema è ovviamente irresolubile. Un discorso evidentemente occidentale chiede, in modi interamente occidentali (e come altrimenti potrebbe mai chiedere), come non essere occidentale; cioè “universale” (che è poi proprio la sua “specialità” storica, la sua nicchia non universale; ma anche il merito – diciamo da Nietzsche? – di averlo compreso in coloro che lo hanno compreso).
Il cammino verso una comunità globale non si è mosso solo per l’influenza “ideologica” dei discorsi (per esempio mitici, religiosi, filosofici, retorici, scientifici, politici); si è mosso per l’intreccio dei discorsi con la natura “oggettivante” dell’azione strumentale. Il martello si usa così e così: tratto pedagogico e tratto operativo universale. Per di più il martello mostra a tutti coloro che hanno imparato a usarlo che l’ambiente nel quale viviamo e lavoriamo (in una parola il mondo) è fatto così e così; ovvero risponde in questi modi oggettivamente universali al lavoro sociale dei martellatori: la conoscenza è in cammino. Quella della scienza moderna ne è la propaggine e la specializzazione (per ora) suprema.
Ovunque le comunità umane, differenziatesi e distanziatesi nei tempi della conquista del pianeta, si siano trovate a reincontrarsi poi (con la rivoluzione oceanica del ‘400 ecc.), si è verificata la tesi di Peirce: che gli esseri umani non possono evitare di influenzarsi reciprocamente; che gli abiti della tenacia e dell’autorità alla lunga inevitabilmente si dissolvono di fronte alla potenza degli strumenti esosomatici che promuovono la conoscenza; quindi che la verità è “pubblica”. Sono questi fatti e processi che innescano l’attuale globalizzazione, non siamo noi a promuoverla per nostra decisione. Diciamo che la forza delle pratiche di vita, delle cose e di ciò che io chiamo potere invisibile delle cose medesime e delle pratiche del lavoro sociale, promuovono noi, le nostre azioni e le nostre decisioni, per quel poco o tanto che possono influenzare l’insieme.
Il problema allora è, mi pare, quello di esibire e produrre (anzitutto a noi stessi) la visibilità e la comprensibilità del nostro modo di essere e di essere stati, come sostanziale contributo alla relazione con gli altri. Si va dalla relazione tra noi qui (è in corso, direi), alla relazione, per esempio, con uno scienziato, con un essere umano di tutt’altra lingua e cultura dalle nostre ecc. Non è il caso di studiarsi di abbandonare i nostri discorsi e le nostre verità (proposito tanto insensato quanto impossibile, anche se la sera facciamo yoga); si tratta anzitutto di ascoltare e ascoltarci e lavorare insieme a creare uno spazio di collaborazioni più ampio di quello disponibile inizialmente per ognuno. (Per esempio alcuni famosi gruppi teatrali già da tempo lo fanno.) Quella collaborazione si tratta di metterla in opera e in esercizio ai fini della cosiddetta comunità globale o universale. Non si tratta di “pensarla” in astratto ma di farla lievitare dalla messa in comune dell’esercizio (a Mechríparliamo, problematicamente, di “laboratorio”), sapendo che resterà comunque diversificata al suo interno, costantemente bisognosa di restaurazione e reinvenzione, soggetta a metamorfosi perenne, anche per gli effetti della sua stessa azione. Si tratta infine di vedere in questa “morte” continua dei nostri abiti e delle nostre credenze il più potente motore di vita e di verità. (È morta la filosofia, viva la filosofia.)
GB: Allora, come ultima domanda, la vogliamo interrogare sul tema del destino. Esso è trattato nei suoi scritti con assoluta concretezza e in un modo che non può non riguardarci tutti, e, nelle nostra domanda, cercheremo di non essere da meno. Domandarsi del destino è in primo luogo domandarsi dei giovani. Domandarsi sulle prospettive di avvenire di coloro i quali, volenti o nolenti (escludiamo il suicidio per non aumentare la complessità), dovranno farsi carico della società attuale e, come dire, esserne differenza e ripetizione. Ma con la mancanza quasi totale di prospettive, di etiche comuni, di sentita collettività, come pensa che dovrebbero muoversi i nuovi arrivati?
CS: La più difficile, la più dolorosa, la più inutile. Che ha da dire un vecchio ai giovani, quanto alla loro vita e al loro destino? Posso sforzarmi di dire come io sono arrivato sin qui (aggiungerci “perché” sarebbe già troppo presuntuoso, se vale ciò che ho detto sopra); ma che cosa è “qui” per me è enormemente in difetto rispetto a quello che è “qui” per voi, salvo sotto il profilo personale della memoria.
Questo indiscutibile fatto ha in sé la sua fortuna e la sua sventura. La fortuna è presto detta: che ogni giovane oggi vede, sente, intuisce, comprende, immagina, suppone cose per me assolutamente fuori portata e a dir poco inesistenti. Dissi una volta a lezione alla Statale: non crediate che Porta Romana sia la stessa cosa per me e per voi; al più può essere un riferimento comune per darci un appuntamento.
Le cose sono infinitamente complesse, mutano di continuo, ed è impossibile che non forniscano qualche occasione per chi sta attento, non si sgomenta e sa che non è irragionevole attendersi ogni tanto una occasione. Quale? Questo, credo, è deciso in ognuno dalle sue reali passioni (“reali”, ho detto, il che si scopre col tempo). Un vecchio ti racconta delle sue, dei suoi errori e di ciò che crede di avere imparato. Per esempio ti ricorda questo detto (che mi è sempre piaciuto): una vita felice è quella che realizza nella maturità e nella vecchiaia il sogno della giovinezza.
Già ma il problema (voi in sostanza dite) è come averli, oggi, questi sogni. E qui la vecchiaia non rende però ciechi alla visione dell’aspetto terribile, sventurato dicevo sopra, della vita odierna, sia per coloro che muoiono sotto le bombe o nelle onde del mare, sia per coloro che vivono nel limbo, abbastanza repellente, della nostra società tryfosa, diceva Platone: infiammata dalla produzione e dal consumo di massa, dai messaggi massificati, dal benessere pagato col senso della vita e così via (è davvero inutile che continui, ma non è realistico pensare che in passato qui da noi fossero tutte rose e fiori).
Questa nostra società (ormai proiettata in dimensione globale) è estremamente accogliente: la scuola per tutti, l’università per tutti, uno straccio di lavoro precario per tutti, tutti insieme felicemente nei luoghi della movida (fuga dalle campagne, dai borghi, dai paesi, per stabilirsi in città, perché là non c’è più vita, non c’è più niente, e qui c’è tutto e anche di tutto). Eppure, comunque la si giri, saranno i giovani oggi, come voi infatti dite, che dovranno farsi carico della società in cammino. Però non ci sono formule vincenti, o almeno io non ne ho. Quello che so è che per me è stato importante portare con me l’immagine di coloro che avevo adottato come padri e maestri spirituali: in certi momenti difficili mi è stato di aiuto. Naturalmente la cosa vera (ho appreso col tempo) non era principalmente la virtù “magistrale” di quelle persone e di quegli incontri (che pure so che furono di grande valore di per sé). Importante fu soprattutto la mia capacità di assumerli come maestri, come modelli: questo ha reso possibile il sogno della mia giovinezza.
Dove sono però i maestri? Anche di questi c’è “penuria”, direbbe Sartre; ma attenzione: per il fine che dico, non è affatto necessario che siano viventi e oggi possediamo strumenti straordinari, mai posseduti prima, per incontrarli sul filo dei segni della memoria e delle opere; per costruire con essi la nostra comunità immaginaria e possibile. Fu per esempio così che, da adolescente, mi innamorai di Bix Beiderbecke (poi ce ne furono altri). Buona fortuna, giovani amici.
Milano, 28 Aprile 2020
Carlo Sini ha insegnato per oltre trent’anni Filosofia teoretica all’università degli studi di Milano. Accademico dei Licei, ha tenuto conferenze e seminari negli Stati Uniti, in Canada, in America latina e in vari paesi europei. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo: L’uomo, la macchina, l’automa (Bollati-Boringhieri, Torino 2009); Il sapere dei segni (ivi, 2012); Dante: il suono dell’invisibile (Orthotes, 2013). L’editoriale Jaca Book sta pubblicando le Opere complete a cura di Florinda Cambria.
FONTE:https://www.sovrapposizioni.com/blog/tecnica-comunit-destino-in-dialogo-con-carlo-sini
Il filo di mezzogiorno di Goliarda Sapienza
Il 2019 si è chiuso con una nuova edizione di Il filo di mezzogiorno di Goliarda Sapienza uscito per La nave di Teseo a distanza di cinquanta anni dalla sua prima edizione, avvenuta nel 1969 per Garzanti, e nel frattempo nel 2003 per La Tartaruga edizioni. È di fatto il suo secondo romanzo, dopo Lettera aperta (vedi qui la nostra recensione) e avrebbe dovuto precedere un terzo volume per formare una trilogia, una sorta di autobiografia in fieri, in costante aggiornamento e rimpinguamento, “un’autobiografia delle contraddizioni”, come Goliarda stessa la chiamava. Il terzo volume non venne mai scritto, o si potrebbe affermare che venne scritto non in forma prevalentemente autobiografica ma in forma romanzata: sarà L’arte della gioia, uscito postumo nel 1998.
Come per molti, o forse tutti, gli scritti di questa autrice il tempo che passa non va a intaccare affatto i suoi testi, le sue idee, la sua scrittura, al contrario: più i decenni avanzano più la contemporaneità sembra il luogo migliore per rileggerla e riscoprila. Oggi più che mai Il filo di mezzogiorno è una profezia del quotidiano, una sorta di breviario della sopravvivenza alla caduta, anzi di più, citando un suo verso, un “discernere nel cadere”. È un verso tratto dalla silloge Ancestrale che Sapienza ha iniziato a comporre proprio la notte dopo la scomparsa della madre, Maria Giudice, con la stesura di “A mia madre”, testo di una potenza sconfinata. Come scrive Angelo Pellegrino nella postfazione alla raccolta: “La notte venne insonne e cominciò la poesia”. La raccolta di versi viene portata a termine dalla sua autrice in poco tempo, editata e con titolo sottoposta a vari critici raccogliendo pareri molto favorevoli. Poi, il silenzio. Come per molte delle opere composte da Goliarda cade il silenzio, escono postume a distanza di molti anni, portando con sé l’incredulità per tutta quella posteriorità che contenevano, per tutto quel reale che sarebbe stato vero e vivo per ancora molti decenni successivi. Ancestrale viene pubblicato nel 2013, a 58 anni circa dalla sua composizione a 41 anni dalla sua morte [qui un articolo sulla sua opera in generale].
Ancestrale è il tentativo di Goliarda di restare in vita mente mette al lutto per la perdita della madre, ma anche al lutto per tutte quelle parti di sé già morte con la morte degli altri e per la parte di sé che non vuole ancora vivere. Il filo di mezzogiorno testimonia la fase successiva, è il libro che nasce dalla vicenda psicoanalitica di Sapienza dopo una depressione importante, un tentativo di suicidio o forse due, il ricovero, gli elettroshock, il terrore di “uscire pazza” come la madre; un’analisi durata oltre due anni nel tentativo di dare fine a “una notte senza fine di veglia e di specchi deformanti”.
In 41 capitoli la storia si dipana in un allargato e slabbrato contemporaneo dentro il quale Goliarda vive la sua infanzia, la sua adolescenza, la sua età matura e il suo presente mescolati in un mondo ottundente ma vivo, in un continuo andare e venire tra giorno e notte. In questa narrazione il tempo non ha un peso specifico, tutto coesiste e vive nello stesso luogo: come un bambino che per mettere ordine sparpaglia tutti i suoi giochi sul pavimento, l’autrice dissemina i suoi personaggi lungo le pagine e li fa convivere nel suo quotidiano.
Dalla foschia che pare non lasciare la sua memoria e la sua mente Goliarda estrae, come da un cilindro, i personaggi che hanno marchiato la propria storia – la madre, il padre, i fratelli, il compagno, le amiche, l’analista stesso – e li fa agire nel palcoscenico della sua stanza, parlando ora con uno e riconoscendone subito dopo un’altra. I piani temporali si intersecano e si diluiscono, la spiaggia e la città, le vie di Catania e quelle di Roma, gli interni si sovrappongono: una continua fuga avanti e indietro negli avvenimenti per tenerli tutti con sé, rincontrare e stringere tutte le persone a sé. Le parole che la narratrice dice al suo medico, parole che sono il sempre aperto teatro della sua mente, costruiscono il canovaccio della storia, il palinsesto della memoria, le battute dei personaggi.
Avanzando nella lettura il lettore può dipanare le vicende salienti della storia della scrittrice, la vita a Catania, la partenza da casa verso Roma, le audizioni per entrare nella scuola teatrale, l’appartamento diviso con la madre e la povertà e la guerra e l’incontro con Citto Maselli e la morte dalla madre. Poi la depressione. La vita narrata tra autofiction e memoir parla di Goliarda e della condizione femminile, del disperato tentativo di riallacciare la sé attuale martoriata dalla sofferenza alle proprie radici, di affermare e confermare la propria estraneità a ogni pregiudizio morale in continuità con il suo essere. Ma le radici sostengono e avviluppano, aggrovigliano e nutrono, le radici “umide di muschio muravano le mie ciglia”.
La terapia avrebbe dovuto dare una giusta collocazione a queste radici, una terapia che Goliarda identificava con un bisturi che andava togliendole strati di buio ma che non si fermava andando a toglierle strati di pelle fino a farla tremare di freddo sempre, fino a mettere in evidenza tendini e vene, fino a farla sentire una carta velina. Quella carta velina che la ricopre lievemente, la scrittrice la paragona alla speranza: “E quelle parole spalancarono un baratro davanti a me e capii come è difficile l’arte di non sperare più… la più difficile delle arti… con quella speranza di carta velina morta ripiegata nel mio petto che vibrava come una foglia secca a ogni sguardo, appena un po’ […]”.
L’analisi finisce bruscamente, Goliarda decide di fare a meno di quel bisturi nel momento in cui le è chiaro il procedimento “[…] capii che quel medico, nello smontarmi pezzo per pezzo, aveva portato alla luce vecchie piaghe cicatrizzate da compensi, come lui avrebbe detto e le aveva riaperte frugandoci dentro con bisturi e pinze e che non aveva saputo guarire… mi ricordai la fretta, quanta fretta di richiudere, ricucire quelle piaghe alla meno peggio… e in quella fretta spastica aveva dimenticato dentro qualche pinza”.
Già a metà analisi uno spiraglio le era parso, un’alternativa alla morte, un modo per afferrare con le dita il bordo, una via per guardare alle cose non solo nella nebbia; lo scrive chiaramente, salvo poi sembrare dimenticarsene: “Sì, oggi quindici aprile 1966 le dico sì, io non solo tendo ma aspiro alla morte come nutrimento, pienezza raggiunta in gioia. Ma devo tornare su nel freddo della stanza, devo finire di compiere questo lavoro del lutto, questa fatica dei panni neri […]. O scrivere una novella su questo tema “fuga dalla realtà”? O una poesia?…”.
Le radici sono tornate sotto terra e tengono saldo l’albero mentre Goliarda torna a risentire il tepore della luce, grazie alla sua strenua volontà e alla sua fiducia nella scrittura che sempre l’ha accompagnata. La parola scritta torna a fare capolino, la storia si dipana e così la nebbia diviene meno fitta. Tutte le persone del passato che si sono mischiate al presente durante la terapia ora riprendono forma accanto a lei, non le lascia più come cadaveri sezionati dall’analisi giacere nella cassapanca ma inizia a ricostruirli, lei gli ridà e si ridà forma e vita. Ecco così che prendono avvio i personaggi che, sotto altre spoglie, entreranno nel grande romanzo.
Goliarda rinasce nella scrittura, laddove da sempre voleva arrivare, e con lei rinascono le persone che avevano affollato la sua analisi, rivestiti di nuovi nomi. Rinasce dalla scrittura che si avvia con la poesia, quella poesia che alla morte della madre non le dà scampo e apre la strada alla narrazione. Citto Maselli, compagno di Goliarda per molti anni, durante il periodo della depressione e della psicoanalisi fa parte di un quotidiano condiviso sia nella realtà sia nella scrittura di Goliarda. Tanto che avranno in comune per un tratto di tempo il medesimo terapeuta con percorsi di analisi parallele. Dopo il secondo tentativo di suicidio di Goliarda, Citto inizia forse a vedere dove sia il bordo a cui lei si deve aggrappare, o lo intuisce, tanto che le sue notti abitate di norma da sonni profondi iniziano a essere più vigili su ogni movimento di lei, scoprendone così la strada: “[…] lui che dormiva sempre profondamente…anche quella notte sentì che accendevo la luce e “Iuzza che fai, scrivi? “Sì”. “Una poesia?” “Sì”. “Bene”.
FONTE:https://www.doppiozero.com/materiali/il-filo-di-mezzogiorno-di-goliarda-sapienza
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Se hai volato con EasyJet, sono volati via anche i tuoi dati
Gli hacker hanno saccheggiato gli archivi elettronici, acquisendo illegalmente anche i dati delle carte di credito
La compagnia aerea britannica EasyJet è stata “dirottata” dagli hacker che, dribblate le misure di sicurezza a protezione dei delicati sistemi informativi, si sono impossessati dei dati personali oltre nove milioni di passeggeri.
Il comunicato stampa della linea low-cost ha precisato che l’incursione digitale ha permesso ai criminali di entrare in possesso anche dei riferimenti (numero, scadenza e codice segreto di validazione) delle carte di credito di duemila e duecento clienti.
Per avere idea di quale sia stato il bottino dei briganti telematici è sufficiente provare ad immaginare quali dati personali vengano inseriti dai viaggiatori al momento della prenotazione e dell’acquisto dei biglietti aerei. Oltre a nome, cognome, orari, partenza e destinazione, sono stati “prelevate” anche informazioni più riservate come quelle relative alla persona con cui si è eventualmente viaggiato, all’eventuale assistenza richiesta per handicap motori, alle preferenze alimentari (dettate da stato di salute, convinzione religiosa o altre scelte personali) per lo snack a bordo, all’eventuale soggiorno alberghiero acquistato insieme al volo e così a seguire.
Secondo la prima ricostruzione pare che i dati dei passaporti e degli altri documenti presentati all’imbarco non siano stati rubati, probabilmente perché conservati su un altro sistema rimasto indenne a seguito dell’attacco.
EasyJet non è, però, ancora in grado di spiegare come l’incidente abbia potuto verificarsi e soprattutto in che maniera i pirati hi-tech siano riusciti a dribblare le misure di sicurezza.
La sgradevole e preoccupante circostanza è stata portata all’attenzione dell’Information Commissioner’s Office (ICO) che in Gran Bretagna assolve al ruolo di Garante per la privacy. E’ la stessa Autorità che lo scorso anno ha fatto a British Airways una multa di 183 milioni di sterline (oltre 205 milioni di euro) per non aver tutelato i dati di suoi 500 milioni di passeggeri.
Adesso EasyJet ha 72 ore di tempo (questi i tempi accordati dalla disciplina stabilita dal Regolamento Europeo 679 in tema di protezione dei dati personali) per avvisare tutte le persone i cui dati sono stati depredati nel corso di questo terribile arrembaggio.
Giò alle prese con la difficile situazione che caratterizza lo scenario del trasporto aereo nell’era del Covid-19, EasyJet dovrà fare i conti con la sanzione che verrà sicuramente irrogata e che sarà di importo multimilionario. I guai però potrebbero assumere dimensioni ancor più catastrofiche se i clienti decideranno (e lo decideranno sicuramente) di far valere i loro diritti in sede civile chiedendo di essere risarciti dei danni anche non patrimoniali…
FONTE:https://www.infosec.news/2020/05/19/news/riservatezza-dei-dati/se-hai-volato-con-easyjet-sono-volati-via-anche-i-tuoi-dati/
Così l’ex capo della Cia Brennan ha occultato la verità sul Russiagate
L’ex capo della Cia John Brennan e acerrimo nemico del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, secondo alcuni documenti recentemente declassificati dal capo dell’intelligence Richard Grenell, avrebbe “occultato” alcune informazioni essenziali sulle presunte interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016. Lo scopo era quello di alimentare la narrativa della collusione fra la Campagna di Trump e Mosca. Come spiega Federico Punzi su Atlantico Quotidiano, Brennan avrebbe nascosto informazioni di intelligence in contraddizione con le conclusioni del gennaio 2017 secondo cui la Russia aveva interferito nel processo elettorale per aiutare Trump e danneggiare Hillary Clinton. A questo si aggiunge il fatto che la società privata incaricata dal Comitato nazionale democratico di esaminare i propri server dopo l’hackeraggio della primavera 2016, non avrebbe in realtà una prova certa che i russi abbiano rubato le email che poi Wikileaks avrebbe diffuso.
“Il più grande crimine nella storia del nostro Paese”
“Il più grande crimine politico nella storia del nostro Paese”. Così il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump definisce l’Obamagate, la controinchiesta dell’amministrazione Trump sulle origini del Russiagate e sulla fabbricazione delle false prove al fine di provare la collusione – poi smentita – fra la Campagna di Trump e il Cremlino all’indomani delle elezioni presidenziali del 2016, potrebbe travolgere i vertici delle agenzie governative di allora – l’ex direttore dell’Fbi James Comey e l’ex vicedirettore Andrew McCabe, l’ex capo della Cia John Brennan, James Clapper, ex direttore dell’intelligence – oltre allo stesso ex presidente Barack Obama e l’ex vicepresidente Joe Biden. Nel mirino dei repubblicani c’è l’incontro del 5 gennaio 2017 a cui parteciparono Obama, Biden e gli ex funzionari citati pocanzi.
“È stato il più grande crimine politico nella storia del nostro Paese”, ha dichiarato Trump in un’intervista a Maria Bartiromo di Fox News. “Se fossi un democratico anziché un repubblicano, penso che tutti sarebbero andati in prigione molto tempo fa. È una vergogna quello che è successo. Questa è la più grande truffa politica, una bufala nella storia del nostro Paese”. Trump ha poi aggiunto: “La gente dovrebbe andare in galera per questa roba e, si spera, molte persone dovranno pagare. Nessun altro presidente dovrebbe passare quello che ho passato io, e vi dirò, il generale Flynn e gli altri sono eroi”. Di recente, il Dipartimento di Giustizia ha affermato di aver concluso che l’interrogatorio di Flynn da parte dell’Fbi era “ingiustificato” e che è stato condotto “senza alcuna legittima base investigativa”. Flynn è stato scagionato da ogni accusa dopo che un giudice federale statunitense ha desecretato documenti del Federal Bureau of Investigation (Fbi) che dimostrano come l’ex consigliere di Trump sia stato vittima di un “piano deliberato” del bureau allo scopo di incastrarlo.
Graham: “Vendetta politica dei funzionari di Obama”
L’influente senatore repubblicano Lindsey Graham, a capo del Comitato giudiziario del Senato degli Stati Uniti e molto vicino al presidente Donald Trump, ha messo in dubbio l’operato dei funzionari dell’amministrazione Obama coinvolti nell’unmasking dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Michael Flynn, affermando che tale azione dovrebbe essere fatta solo per chiari motivi di sicurezza nazionale. “Ecco la preoccupazione: se non hai un motivo di sicurezza nazionale, stai fondamentalmente spiando un avversario politico”, ha detto il repubblicano della Carolina del Sud a Fox & Friends.
“Qual è il motivo della sicurezza nazionale per procedere con l’unmasking di Flynn? Non riesco a pensare a uno. Ma, credo, dato il loro comportamento, stessero cercando di sbarazzarsi di Flynn, e se hanno usato il nostro apparato di intelligence per agire fondamentalmente con una vendetta politica, questo è agghiacciante”.
FONTE:https://it.insideover.com/politica/cosi-lex-capo-della-cia-brennan-ha-occultato-la-verita-sul-russiagate.html
ECONOMIA
Come ti manovro il mercato al tempo del Covid-19: il caso Moderna
Ieri Moderna ha comunicato che i dati sul proprio vaccino sono “Incoraggianti”.Una persona normale a questo punto penserebbe che il vaccino della Moderna ha dato segni di funzionare, di essere in grado di prevenire il Coronavirus e che quindi da un lato sarà una panacea, a portata di mano, e dall’altra sarà il miglior business per una società dall’invenzione della Coca-Cola (nata come farmaco…), peccato che non sia così. Il fatto che il vaccino sia “Incoraggiante” è dovuto al fatto che gli otto, dicasi otto, volontari a cui è stato inoculato stanno bene e non sono morti. Il vaccino non è un veleno, e questo ci rassicura, ma dal provare che prevenga il Covid-19 c’è molta strada da percorrere. Eppure la notizia ha portato a questo risultato:
Moderna di sicuro ha guadagnao da questa comunicazione, con un aumento del 20% del valore delle proprie azioni. Se uniamo che a questa comunicazione ne segue un’altra con la quale la società annuncia ad un aumento di capitale da 1,25 mld di dollari…..
If it walks like a stock promotion, if it quacks like a stock promotion… https://twitter.com/Street_Insider/status/1262477838957060100 …
Streetinsider.com@Street_Insidertapping the markets after monster run…Moderna $MRNA Announces Proposed $1.25 Billion Public Offering of Shares of Common Stock https://www.streetinsider.com/Corporate+News/Moderna+%28MRNA%29+Announces+Proposed+%241.25+Billion+Public+Offering+of+Shares+of+Common+Stock/16900510.html …
Il sospetto che la società abbia manovrato le comunicazioni per poter avvantaggiare nell’aumento di capitale è, per lo meno, forte. Aggiungiamo che c’è anche l’incentivo per i dirigenti aziendali che ora possono vendere le azioni in loro possesso, come del resto hanno già fatto in passato molte volte:
I dirigenti hanno già venduto in passato quando le azioni hanno acquisito valore, quindi hanno un forte incentivo affinchè questo accada. Quindi c’è un forte incentivo a , diciamo “Indorare le pillole”; anche a costo di dare delle comunicazione fortemente distorcenti e superficiali.
Insomma quando sentite una notizia del genere non credeteci, almeno non subito.
FONTE:https://scenarieconomici.it/come-ti-manovro-il-mercato-al-tempo-del-covid-19-il-caso-moderna/?utm_medium=push&utm_source=onesignal
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
BTP Italia 2020: conviene comprare? «Assolutamente sì»
Investire nel BTP Italia di maggio 2020 conviene? Con cedola minima all’1,40% «assolutamente sì» secondo Renato Frolvi, portfolio manager.
Investire nel BTP Italia di maggio 2020 conviene?
Numerosi risparmiatori stanno interrogando sulla possibilità di comprare il titolo di Stato indicizzato all’inflazione, la cui emissione prenderà il via a partire dal 18 del mese.
Numerosi dettagli sul BTP Italia 2020 sono già trapelati: avrà un tasso reale minimo garantito dell’1,40% a 5 anni che, unito al premio di fedeltà di 80 centesimi sul valore nominale di rimborso di 100, porta un rendimento lordo di circa l’1,56% a scadenza, come spiega a Money.it Renato Frolvi, asset manager e gestore di portafogli obbligazionari.
Conviene comprare BTP Italia 2020?
Come annunciato nella giornata di venerdì, la cedola minima garantita del BTP Italia maggio 2020 è dell’1,40% per una durata massima di 5 anni. Al tasso reale minimo garantito va addizionato il premio di fedeltà di 80 centesimi sul valore nominale di rimborso di 100, elemento che fa salire il rendimento lordo dell’obbligazione a circa l’1,56% a scadenza.
Infatti, spiega Renato Frolvi, “80 cents di premio finale spalmati su 5 anni sono circa 16 cents di “plus–rendimento” per annum, che portano il rendimento effettivo lordo a 1,40 + 0,16 = 1,56)”.
Perché, allora, converrebbe comprare? Renato Frolvi, portfolio manager, ha sottolineato a Money.it che “il BTP Italia in offerta dal 18 al 20 maggio sarà molto più competitivo del “classico” BTP 1,45% 5/2025 che sul mercato MOT alle 13.15 di oggi quotava 100,60 e rendeva un 1,33% lordo”. “Ovviamente se le condizioni di mercato rimangono ferme”, specifica il portfolio manager.
Tuttavia, “in più c’è la “call option” sull’inflazione futura per 5 anni che sarà pagata ogni 6 mesi”, prosegue l’esperto.
Analisi: perché investire nel BTP Italia 2020 conviene
Questa l’analisi di Renato Frolvi, in esclusiva per Money.it.
“Innanzitutto bisogna considerare che tra oggi venerdì 15 maggio e la chiusura delle sottoscrizioni del 20 maggio, se i rendimenti di mercato scendessero, il sottoscrittore può comunque sottoscrivere un titolo di stato Inflation Linked sul mercato primario a tassi superiori a quelli scambiati sul mercato secondario dei BTP plain vanilla (cioè quelli non inflation linked).
Non è cosa da poco. In tempi normali, infatti, a parità di condizioni il rendimento cedolare minimo di un nuovo titolo inflation linked esce sul mercato primario su un livello inferiore rispetto al rendimento del titolo “plain vanilla” classico di uguale durata.
Il titolo inflation linked infatti si può permettere di posizionarsi al di sotto della curva dei tassi governativa perché possiede una protezione contro l’inflazione che il BTP classico non possiede. La differenza tra i due rendimenti è chiamata “breakeven inflation” e misura il tasso di inflazione stimato, che rende per un investitore indifferente comprare l’uno o l’altro titolo e tenerselo sino a scadenza.
La breakeven inflation ci dà una inflazione attesa dal mercato in uno scenario futuro di durata pari alla durata del titolo. In questo caso, con cedola all’1,40% minima, il BTP Italia ha un rendimento già di per sé superiore a scadenza al BTP plain vanilla. E quindi possiede addirittura un tasso breakeven negativo (cioè ipotizza deflazione per tutti e 5 gli anni di durata dell’obbligazione, il che può essere vero per i prossimi 12-18 mesi, ma non certamente per tutti e 5 gli anni futuri).
Quindi, dopo la recessione–deflazione del 2020/2021, il titolo inflation linked inizierà a generare un cash flow maggiore del BTP classico. Ma anche nella prima fase di vita del titolo, con inflazione zero o negativa, il BTP Italia, pur avendo generato lo stesso cash flow del BTP classico, è stato comprato a prezzi inferiori rispetto a quest’ultimo. A conti fatti, e stando ai prezzi di oggi pomeriggio, acquistare il nuovo BTP Italia in collocamento è equivalente a detenere il BTP 1,45% 05/2025 con “in regalo” un’opzione gratuita sull’inflazione a 5 anni.
La sovraperformance a 5 anni del BTP Italia rispetto al BTP 05/2025 di mercato secondario è garantita sin da subito, comunque vadano le cose.
Inoltre, il BTP Italia non è un Inflation linked come gli altri. La rivalutazione del capitale infatti è liquidata ad ogni stacco cedola sulla base dell’inflazione semestrale e non può mai essere negativa (in caso di deflazione non viene toccata la cedola o il capitale ma semplicemente non avviene la rivalutazione), mentre i BTPei prevedono la liquidazione in un’unica rata a scadenza del titolo, sulla base dell’inflazione realizzata nell’arco dell’intera vita del titolo, per cui ogni semestre conta, anche quelli negativi.
L’unico rischio è che da oggi 15 maggio e sino al mercoledì 20 maggio i tassi di mercato della curva governativa italiana possano salire, rendendo già «obsoleta» la cedola dell’1,40% sul tratto a 5 anni del nuovo BTP Italia.
Tuttavia, se accadesse una turbolenza del genere, è ipotizzabile che il Ministero del Tesoro, per invogliare comunque la sottoscrizione, possa aumentare il livello della cedola definitiva fino all’1,50%, per esempio, oppure oltre. Questa volta mi sento di consigliare la sottoscrizione del titolo in oggetto. Se non altro per il suo «valore morale», perché servirà a finanziare le spese sanitarie in Italia dopo la catastrofe del coronaVirus. E non è cosa da poco.”
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BTP Italia 2020, le osservazioni del MEF
Nel corso di un’intervista rilasciata al quotidiano di Confindustria, Davide Iacovoni, responsabile debito pubblico del MEF, ha ricordato come lo scopo del titolo di maggio sarà quello di finanziare il deficit di bilancio determinato dall’emergenza coronavirus, che ha spinto il governo a spendere miliardi e miliardi di euro in più.
In pratica, i soldi che lo Stato racimolerà grazie a quanti decideranno di investire sul BTP Italia 2020 verranno utilizzati per finanziare il Decreto Cura Italia e il Decreto Rilancio. In pratica “tutto l’extradeficit provocato dal COVID-19”.
Al momento, ha continuato Iacovoni, i riscontri sembrano buoni. Le banche hanno già iniziato a contattare quanti avevano in portafoglio il titolo di Stato scaduto il 23 aprile scorso e la reazione degli investitori è risultata “interessante”.
La scadenza, inoltre, non è stata portata oltre i 5 anni (nonostante la possibilità di aumentare il rendimento) per rendere appetibile lo strumento in una fase di elevata incertezza.
FONTE:https://www.money.it/BTP-Italia-maggio-2020-investire-conviene-analisi
IMMIGRAZIONI
Migranti, Salvini: sanatoria porterà nuovi sbarchi
LA DITTATURA FARSA DI CONTE: SUB MULTATO E CLANDESTINI ACCOLTI
FONTE:https://voxnews.info/2020/04/28/la-dittatura-farsa-di-conte-sub-multato-e-clandestini-accolti/
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Un’app per tutelare lo sfruttamento
9 MAGGIO 2020 – Davide Viscussi
Coldiretti ha trionfalmente annunciato che è pronta la nuova piattaforma digitale, si chiama Job In Country e darà lavoro a migliaia di cittadini italiani disoccupati, i quali potranno tamponare con letizia la dilagante disoccupazione andando a coprire il turno stagionale nella raccolta degli ortaggi. Anche in questo caso abbiamo un termine anglosassone, a ricordarci, forse, da dove arrivino le direttive, anche in questo caso la solita logica di sfruttamento camuffata come opportunità sociale. Ma questa redazione ha rifiutato da tempo il linguaggio del grande capitale, dunque cerchiamo di vederci chiaro. È ormai da mesi che il Ministero dell’estorsione agricola sta facendo pressioni per regolarizzare la tratta umana degli schiavi: il ministro Bellanova è riuscito niente poco di meno che a minacciare le dimissioni, in caso non vengano regolarizzati, nell’immediato, gli oltre 600.000 migranti irregolari presenti sul territorio.
Tuttavia, regolarizzare ciò che prima era irregolare col solo fine di impiegare manodopera a basso costo nelle multinazionali dell’agroalimentare, ha generato un comprensibile disagio persino nel Parlamento italiano. Dunque, al momento, la pratica è ancora sul tavolo, ma la natura segue i suoi cicli e non si piega alle meschinità di questo secolo. Come accade da tempi immemori, anche quest’anno è arrivato il momento di raccogliere. Come fare? Ebbene, Coldiretti ha semplicemente scavalcato il Governo, che da circa 40 anni ha smesso di occuparsi di politiche del lavoro, dando la possibilità di trovare, online o in comoda app, come si conviene ad ogni buon consumatore, il modulo da compilare per essere arruolato nei campi senza nessun tipo di tutela sociale, senza un CCNL, senza contributi malattia e ferie retribuite, le quali, ricordiamolo, sono le condizioni che i nostri padri, e i padri della nostra Costituzione consideravano essenziali per riconoscere dignità al lavoro. Siamo tutti contenti, quindi? Abbiamo tamponato il problema della disoccupazione? La risposta dipende dal nostro sistema di valori. Se crediamo che il lavoro sia una gentile concessione dei padroni della nostra terra e dei nostri destini, allora possiamo sorridere positivamente, aspettando con ansia gli avanzi di quel gran buffet che viene da troppo tempo consumato ai nostri danni. Per lo meno fintanto che saremo giovani e belli o, come piace alla lingua dei mercati, appetibili per il famelico mercato del lavoro. Dopo di che, in un futuro in cui non avremo più l’appoggio economico della generazione passata, saremo tutti liberi di morire di inedia. Se, invece, sulla scia della cultura costituzionalista dello scorso secolo, quella che ha reso possibile il grande compromesso sociale col capitale, crediamo che il lavoro sia un rapporto sociale che debba assicurare una vita dignitosa sia durante che dopo gli anni lavorativi, allora non possiamo che dissentire con profondo sdegno.
Per i lettori che non riescono ancora a credere che il nostro Ministro dell’Agricoltura, invece di occuparsi della dignità del lavoro, serva come attrezzista nella catena di approvvigionamento neoschiavile, l’invito è leggersi il verbale dei lavori del 16 aprile, di cui riportiamo brevemente una dichiarazione del Ministro: “Il 75 per cento di quei lavoratori sono immigrati, molti africani. O si parte con la raccolta o le aziende faranno marcire i prodotti nei campi. Nessuno vieta agli italiani di presentarsi come raccoglitori, ma la verità è che non lo fanno”. Come darle torto, siamo tutti sdegnati per la viltà dei giovani italiani che non vogliono competere al ribasso con l’immigrato, il quale è disposto a lavorare a 30 euro a giornata perché le sue terre bruciano sotto i bombardamenti etici della NATO. Ma perché si preferisce regolarizzare lo sfruttamento degli stranieri a seguito di timide concessioni, anziché portare tutti i settori lavorativi al di sopra della soglia di povertà ISTAT? La risposta è perfettamente inscritta nelle logiche disarticolanti del neoliberismo: evitare che i nostri giovani possano, anno dopo anno, creare un fronte culturale e occupazionale compatto e in sé cosciente, in grado di rivendicare condizioni contrattuali sempre migliori, ripercorrendo le orme di quelle organizzazioni sociali della tutela del lavoro, che un tempo operavano sotto il nome di sindacati. Dopotutto, che nell’economia dell’opulenza non ci sia la possibilità di occuparsi seriamente delle garanzie sociali del lavoro costituisce, non solo un insulto alla logica, ma anche una menzogna in cui crede sempre meno gente. E voi ci credete?
FONTE:https://www.lintellettualedissidente.it/cartucce/coldiretti-agricoltura-immigrazione-job-in-country-sfruttamento-nei-campi/
PANORAMA INTERNAZIONALE
UNA ALTERNATIVA EUROMEDITERRANEA ALLA GABBIA DELLA UE
Il presente documento presenta la proposta di Eurostop, una piattaforma politico-sociale composta da organizzazioni politiche, sindacali e singoli militanti, che ha come obiettivo fondante la rottura di Unione Europea, l’uscita dall’Eurozona e dalla NATO. Con questo documento si vuole presentare ad organizzazioni di altri paesi il progetto strategico della costituzione di un’unione di paesi alternativa a quelle esistenti, fondata su principi radicalmente diversi e che comprenda le due sponde del Mediterraneo.
Unione Europea. Una gabbia da rompere necessariamente
Riteniamo necessario mettere in campo una alternativa all’Unione Europea in quanto blocco imperialista in costruzione e strumento di cui la borghesia europea si sta dotando per competere contro gli altri blocchi nell’arena globale.
Il ruolo dell’Unione Europea è quello definito dall’ortodossia ordoliberale. Non è nata come luogo dei popoli o per assicurargli una maggiore democrazia.
La struttura che possiamo definire come gabbia europea, è fondata sui trattati che ne rappresentano l’architrave e l’essenza stessa, a partire da quelli di Roma del ’57, passando per Maastricht e Lisbona, fino ad arrivare al famigerato “Fiscal Compact”.
I trattati sono una struttura che ha prodotto un sistema di governo post-democratico negli stati membri con il relativo svuotamento della sovranità democratica e popolare, la distruzione dello stato sociale, la privatizzazione dei servizi pubblici, la precarizzazione e flessibilizzazione del lavoro, distruggendo da un lato quel diritto al lavoro che crea una “vita degna per sé e per la propria famiglia” e dall’altro scaricando sulle fasce popolari i costi di una crisi sistemica, attraverso sia l’abbassamento delle condizioni di vita che l’aumento del lavoro non pagato. Una situazione che ha visto i paesi PIGS (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna) particolarmente penalizzati.
I paesi PIGS sono stati massacrati attraverso la logica del credito-debito che rafforza la sudditanza dei paesi periferici nei confronti dei paesi del centro. La vicenda greca in tal senso è paradigmatica.
Allo stesso tempo la struttura della UE permette ai suoi paesi, congiuntamente ma anche separatamente, di portare avanti le proprie politiche neo-coloniali nei confronti dei paesi dall’altra sponda del mediterraneo. L’imposizione di “accordi quadro” regionali come il trattato di Cotonou o come l’ALECA tra UE e Tunisia sono lo strumento con cui i paesi europei impongono ai paesi africani di “consumare ciò che produce l’Unione Europea e produrre ciò Unione Europea non può o non vuole produrre”, detto con le parole di Mustapha Jouili, economista tunisino. D’altro canto alcuni paesi dell’Africa centrale rimangono tuttora in una condizione di fortissima dipendenza economica e politica dalla zona euro, attraverso le monete coloniali come il franco CFA.
Inoltre l’influenza politica dei paesi della UE in Africa arriva senza problemi all’intervento militare diretto (vedi Libia, ma anche Costa d’Avorio, Mali, Niger etc).
In questa fase del capitalismo in cui la guerra monetaria svolge un ruolo sempre più importante all’interno della competizione inter-imperialista, un architrave della costruzione del polo imperialista europeo è sicuramente costituita dall’Euro.
Si può quindi dire che l’unificazione della politica monetaria e la costituzione dell’Eurozona siano servite a rafforzare il modello esportatore dei paesi centrali dell’Eurozona, debilitare la posizione commerciale e subordinare la dinamica d’accumulazione nei paesi periferici del Mediterraneo alla divisione del lavoro imposta dal centro.
La conseguenza è che i PIGS diventano sempre più delle riserve agricole e di servizi turistici e residenziali sottomesse a processi di deindustrializzazione più o meno accelerati.
I paesi della periferia europea hanno bisogno di un sistema monetario e finanziario alternativo all’Euro e alla globalizzazione capitalista.
Infine hanno bisogno di una politica estera di cooperazione, disarmo nucleare e neutralità attiva che metta fine all’adesione alla Nato e smantelli le basi militari straniere presenti sui nostri territori.
L’esistenza della Unione Europea rimane una gravissima minaccia per i diritti guadagnati dai lavoratori dei paesi che ne fanno parte con le lotte del secolo scorso e una gabbia asfissiante per lo sviluppo degli stessi diritti per i paesi che, pur non facendone parte, vi interagiscono.
Rompere per costruire una area alternativa
Non si può concepire un sistema alternativo in un mercato unico neoliberista come è stato concepito nei Trattati Europei. Le regole di funzionamento di tale mercato impediscono una soluzione che dia stabilità al processo di accumulazione (anche nell’accezione capitalista), ossia un periodo relativamente lungo di crescita in cui si incatenano cicli successivi di espansione e contrazione economica.
Sono i dati concreti che dimostrano come proporre una nuova moneta – per paesi con strutture produttive più o meno simili – sia l’unica alternativa possibile, che permetterebbe sia di mantenere un margine di negoziazione con le istituzioni comunitarie e con la Banca Centrale Europea, sia di stabilire un blocco politico-industriale propenso ad un modello di accumulazione favorevole per i lavoratori.
È utile ribadire che la questione dell’uscita dall’Euro, dall’Unione Europea e dalla Nato, non è da noi concepita in chiave nazionalista, cioè di generica e inadeguata sovranità nazionale, ma ha una dimensione immediatamente internazionalista e di classe perché è un passaggio di rottura della catena imperialista che, se storicamente affrontato da una soggettività politica consapevole e capace, è in grado di porre le basi per una inversione dei rapporti di forza lavoro-capitale nel polo imperialista europeo.
Per questa ragione riteniamo fondamentale l’estensione ai paesi dall’altra sponda del Mediterraneo di questo progetto di area monetaria, economica e politica alternativa all’Unione Europea e alla Nato. Riteniamo inoltre una cooperazione fondata sull’internazionalismo l’unica possibile soluzione alle tragiche crisi migratorie provocate dagli interventi imperialisti occidentali e che tutte le parti politiche in Europa sfruttano come elemento di propaganda.
Una moneta alternativa è possibile?
Cambiare la moneta nei paesi con un forte squilibrio fiscale porta implicitamente ad una svalutazione quasi immediata. Per questo, il cambio della moneta richiede che allo stesso tempo si rinomini il debito esterno ed interno con la nuova moneta, al tasso di cambio che i governi considerano più appropriato.
Ovviamente questo rappresenta un’altra fonte di tensione politica con i creditori in particolare con quelli interni alla stessa UE, dato che gli agenti finanziari europei sono i proprietari della maggior parte del debito della periferia mediterranea.
Ciò che i popoli dell’Europa meridionale e orientale devono considerare è se vogliono continuare a svolgere un ruolo subordinato agli interessi del grande capitale tedesco, francese, europeo o globale, o se sono disposti ad assumersi i rischi della libertà.
Riteniamo necessario, per la sopravvivenza dei popoli e delle classi lavoratrici, che con un’impostazione e con principi di classe vada rilanciato e rafforzato il progetto dell’ALBA Euromediterranea.
Possiamo semplificarlo come un processo rivoluzionario Euro-mediterraneo, un’area di interessi di classe che prende come riferimento, in quanto area alternativa economico—sociale in chiave anti-imperialista, l’ALBA dell’America Latina.
Si tratta di un processo politico di integrazione regionale in cui, pur con tutti i limiti, si è creata la Banca dell’ALBA, la Banca del Sur, si sono messe in campo le Misiones, mezzi di comunicazioni alternativi come Telesur, si è creato il SUCRE, una moneta virtuale di compensazione per gli scambi interni, potenzialmente alternativa al dollaro.
Riteniamo che l’Alba Euromediterranea sia una opportunità per pensare un nuovo spazio geopolitico per un progetto di rottura con il capitalismo globale, sia per ragioni politiche che economiche.
Costruire una area monetaria e di integrazione alternativa all’Unione Europea, tra paesi con configurazioni produttive strutturali più omogenee, è una alternativa possibile per raggiungere l’autonomia politica richiesta da un progetto di costruzione di democrazia partecipativa a carattere socialista, anche in una fase di transizione possibile.
L’alternativa possibile e necessaria richiede la coniugazione immediata di un percorso tattico rivendicativo interno alle lotte e al conflitto sociale con la prospettiva strategica di potere del superamento del modo di produzione capitalista in chiave socialista; un “Programma Economico Sociale di Controtendenza”, quindi una maggiore qualificazione e avanzamento nelle richieste e nelle analisi dei lavoratori, dei cittadini e delle organizzazioni.
Si tratta cioè di distribuire l’accumulazione del valore a chi l’ha creata ed a chi è stato finora impedito di entrare in un mondo del lavoro a pieno salario e pieni diritti.
Un programma per una area alternativa euromediterranea
I nodi centrali del programma si possono riassumere nei seguenti otto punti
1. La costituzione di una moneta comune “Sucre Mediterraneo”, emessa da una Banca Centrale controllata dallo Stato che abbia come obiettivo una politica di piena occupazione e una produzione solidale e eco-socio-sostenibile, può essere uno strumento per un’alternativa per paesi con una base produttiva dipendente e meno sofisticata tecnologicamente che, vista l’esperienza della semi periferia Euro-mediterranea, chiedono immediatamente di non essere intrappolati dall’utilizzo politico-monetario dell’Euro. Paesi che per forza di cose sono sottomessi ad una necessità d’importazione massiccia di prodotti proveniente dai paesi più avanzati del centro e nord dell’Eurozona. Allo stesso modo, se impostata nell’ottica della solidarietà e della complementarità, può essere uno strumento importante nella cooperazione economica e commerciale per i paesi della sponda sud del Mediterraneo, che potrebbero sganciarsi dal dollaro e dall’euro, a cui sono legati (attraverso il franco CFA o meno).
2. La nazionalizzazione delle banche di investimento è la parte più importante del processo generale di uscita dalla finanziarizzazione dell’economia globale. Finché non si sarà realizzato questo obiettivo continuerà il deterioramento della qualità della vita e del lavoro al solo fine di aumentare il tasso di profitto. Rompere la logica del capitale finanziario significa nazionalizzare le decisioni d’investimento per favorire le attività socialmente utili, sottoposte a criteri di rendimento sociale ed ecologico, che sono criteri di medio e lungo termine. Inoltre in una situazione di insolvenza e di dipendenza dall’aiuto pubblico, il controllo del sistema finanziario è anche un requisito per evitare la fuga dei capitali e per eliminare la drammatica e storica tradizione capitalistica di privatizzare i profitti e socializzare le perdite.
3. Il controllo sociale degli investimenti è imprescindibile per dinamicizzare l’attività produttiva, e per orientare il credito in funzione di ottenere il massimo sviluppo dell’occupazione e dell’utilità sociale. È necessario incanalare il risparmio verso investimenti produttivi, capaci di creare lavoro e ricchezza non misurabile esclusivamente in termini di PIL, ma in termini di crescita di socialità, di ricchezza sociale ridistribuita pienamente al lavoro, di civiltà e di umanità. Tali obiettivi sono radicalmente diversi da quelli che si pone la banca privata che è orientata al criterio del massimo profitto a breve termine. In questo modo sarà possibile riaffermare il ruolo di uno Stato garante delle esigenze collettive e degli equilibri sociali, con investimenti frutto delle entrate fiscali che pongano al centro gli interessi dei lavoratori e i bisogni socio-economici dei cittadini.
4. La nazionalizzazione dei settori strategici delle comunicazioni, energia e trasporti può portare le risorse necessarie per realizzare una strategia di rilancio produttivo a breve termine. Una strategia che permetta di creare le condizioni affinché milioni di disoccupati nei Paesi della periferia Europea mediterranea comincino a produrre ricchezza sociale nel minor tempo possibile. Questi settori strategici sono le attività produttive che stanno ottenendo i maggiori benefici dal sistema attuale, come risultato della gestione delle risorse naturali non rinnovabili sulla base di una intensa socializzazione dei costi che non vengono imputati come costi interni (i costi di inquinamento, la distruzione di risorse naturali ecc.). Questi settori inoltre hanno ottenuto forti risultati positivi perché hanno beneficiato della privatizzazione di reti di comunicazione e tecnologie, la maggior parte delle quali si sviluppano con risorse pubbliche.
5. Invertire il flusso delle risorse, dal capitale verso lo Stato e la società, dalle rendite finanziarie verso i salari diretti e indiretti. È fondamentale tassare finalmente nei modi diversi il capitale, fino a giungere anche alla tassazione dell’innovazione tecnologica, redistribuendo gli introiti fiscali alla forza lavoro che va a sostituire. Bisogna capire questo nesso indissolubile fra mutamenti delle linee dello sviluppo e ruolo locale e centrale dell’industria pubblica e dell’economia pubblica in genere. Questo cambiamento radicale nella politica fiscale può stimolare le risorse necessarie in una prima fase per iniziare un vasto programma di rilancio economico e di miglioramento della qualità della vita. Bisogna portare avanti una lotta reale all’evasione fiscale, attraverso appropriati controlli mediante un’anagrafe patrimoniale ed una efficiente anagrafe tributaria. Tutto ciò significa far riappropriare i ceti meno abbienti della popolazione, i lavoratori, composti da occupati e non occupati, di quella ricchezza sociale da loro stessi prodotta e realizzata e che si è sostanziata nel tempo in quegli incrementi di produttività che sono andati fino ad oggi ad esclusivo vantaggio del capitale.
6. Il cambiamento tecnologico in un modello di sviluppo autodeterminato a compatibilità socio-ambientale può rappresentare un progresso tecnico e sociale se è frutto di una decisione collettiva dei lavoratori, maggioritaria, responsabile, aperta al dialogo, negoziata e contrattata. È stata una decisione che si è lasciata sempre in mano degli imprenditori e del capitale. E’ importante il recupero tecnologico in settori tradizionali e lo sfruttamento della adattabilità alle esigenze e alternative che si presentano di volta in volta. Alternative che sono possibili solo con un serio governo pianificato di indirizzo dello sviluppo che non può prescindere dal fondamentale ruolo pubblico nei servizi essenziali e nei settori strategici dell’economia.
7. Una transizione ecologica reale, che rifiuti quindi da un lato il greenwashing del capitale e dall’altro l’imposizione forzata di modelli di sviluppo estranei alla struttura produttiva e sociale di un paese, diventa sempre più un’urgenza globale, e per essere compiuta negli interessi delle classi popolari e dell’umanità nel suo complesso non può che essere portata avanti attraverso una pianificazione pubblica e razionale.
8. Quello di cui hanno bisogno le economie periferiche Europee e del Maghreb per uscire dall’attuale marasma è una politica di creazione massiccia di posti di lavoro a tempo indeterminato, a pieno salario e pieni diritti realizzato anche attraverso la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a 32 ore a parità di salario. Gli enormi bisogni sociali non soddisfatti (dalla casa, ai servizi e attenzioni per le persone a vario titolo non autosufficienti, più in generale l’immenso ammontare di lavoro non pagato che solitamente si scarica in gran parte sulle donne, i servizi sociali centrali e locali, la salute, la formazione, i servizi di gestione e cura dell’ecosistema ecc.) possono essere coperti nel tempo con un programma sostenuto di formazione e creazione di posti di lavoro.
FONTE:http://www.eurostop.info/una-alternativa-euromediterranea-alla-gabbia-della-ue/
Recovery Fund
Lisa Stanton – 18 05 2020
Siamo fuori dai giochi! L’accordo tra Francia e Germania per un recovery fund da 500mld (un fondo del tutto insufficiente e pieno zeppo di condizionalità) conferma l’irrilevanza di Conte e il previsto disastro politico-economico del paese. La potenza di fuoco del bazooka €uropeo non s’è sentita, ma gli italiani hanno percepito sino in fondo l’azione di un governo che ha illegalmente limitato le loro libertà fondamentali come non succedeva dal ventennio fascista.
Facendo bene i conti, le categorie “professionali” cui l’esecutivo ha dato finora pieno supporto sono quattro:
– Mafiosi
– Miliardari
– Terroristi
– Clandestini
L’Italia, unico paese europeo a non aver mai fatto default dalla sua nascita nel 1860, col sistema produttivo a pezzi tra un paio d’anni non potrà più rinnovare i suoi debiti!
A meno che quel miracolo chiamato #Italexit…
FONTE:https://www.facebook.com/lisa.stanton111/posts/3215336941817893
POLITICA
Manifestazione 2 giugno del centrodestra: motivi, regole e chi ci sarà
19 Maggio 2020
Preparativi in corso per la manifestazione del 2 giugno che riunirà il centrodestra. All’insegna del tricolore e senza bandiere di partito, Salvini, Meloni e Tajani si preparano all’evento di protesta contro il Governo Conte
La manifestazione del 2 giugno del centrodestra prende gradualmente forma dopo un fine settimana all’insegna delle polemiche nello schieramento.
Entrambi i leader dell’opposizione, infatti, avevano annunciato via social la stessa iniziativa. Senza, però, essere d’accordo. Anzi, l’impressione era che si fosse aperta una vera e propria competizione su chi avesse per primo pensato all’idea.
L’incontro tra Salvini, Meloni, Tajani, però dovrebbe aver riportato il sereno – almeno temporaneo – sulla possibilità di un evento unitario, dove tutto il popolo frustrato dai ritardi del Governo Conte possa esprimersi. Naturalmente, sotto l’insegna tricolore targata centrodestra.
Per ora, quindi, l’ennesima battaglia interna su chi abbia davvero la leadership nell’opposizione – tra Salvini e Meloni – sembra solo rimandata. Con Tajani a rappresentare l’ala moderata, ma la cui presenza è necessaria se Forza Italia non vuole perdere il treno del centrodestra alle prossime elezioni.
La certezza che giunge, quindi, è che la manifestazione del 2 giugno si farà: di seguito i motivi, le regole e chi ci sarà davvero al grande evento dell’orgoglio italiano contro Conte.
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Manifestazione 2 giugno centrodestra: i motivi
Dare voce all’Italia del dissenso, agli italiani arrabbiati contro le misure inadeguate del Governo Conte, ai cittadini impazienti dinanzi alla crisi economica scatenata dalla pandemia: questa, in sintesi, le motivazioni della manifestazione del 2 giugno annunciata a gran voce dal centrodestra.
Unito, senza bandiere di partito, avvolto dal tricolore, in nome dell’orgoglio italiano: così si presenterà lo schieramento di opposizione nel giorno della Festa della Repubblica.
Matteo Salvini ha spiegato martedì 19 maggio che:
“Su richiesta dei tanti italiani che ci hanno scritto stiamo lavorando per trovarci insieme in piazza il 2 giugno a Roma, ovviamente con tutte le misure di sicurezza. Saremo senza bandiere ma a fianco degli italiani. Non è possibile che il decreto Rilancio ancora non sia stato pubblicato”
Ancora più esplicita nelle motivazioni dell’evento di protesta la leader di Fratelli d’Italia:
“dare voce al dissenso degli italiani. Vogliamo dare voce a quell’Italia che non crede più nelle promesse di questo Governo, che ancora deve pagare la cassa integrazione, che non ha ancora fatto vedere un euro alle imprese e che intanto pensa a regolarizzare gli immigrati clandestini o a far uscire i boss dal carcere, come è accaduto in queste settimane. Noi vogliamo dire che la pazienza è finita.”
Una manifestazione contro l’operato dell’esecutivo, quindi, come ribadisce anche Forza Italia. L’intento è gridare l’incompetenza dell’esecutivo nella gestione della grave crisi da coronavirus. E presentare il centrodestra come alternativa davvero credibile per governare il Paese.
In piazza il 2 giugno: centrodestra unito? Chi ci sarà
Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia: i tre partiti del centrodestra ci saranno senza più tentennamenti nella piazza romana del 2 giugno.
Superate, quindi, le polemiche incrociate interne, che avevano fatto presagire eventi separati, soprattutto in vista di un clima teso tra Salvini e Meloni, i veri leader in competizione tra loro.
Forza Italia non si era pronunciata all’inizio, restando piuttosto cauta in questa delicata fase e mantenendo un atteggiamento meno polemico, come dimostrato anche nei confronti del MES, approvato da Berlusconi.
Alla fine però, in nome di un’opposizione unitaria che viaggia compatta contro il Governo Conte, anche Tajani ha dato il via libera alla piazza.
I parlamentari dei tre partiti, quindi, saranno in prima linea, accogliendo simpatizzanti e seguaci fedeli dello schieramento e tutti gli arrabbiati con Conte in questo momento complesso per l’Italia e per i cittadini.
Modalità e regole della protesta, visto il divieto di assembramento in pubblico, restano da definire.
Protesta in piazza il 2 giugno: quali regole?
Le regole per la sicurezza sanitaria sono fondamentali in questa Fase 2. E manifestazioni in maniera tradizionali non sono ammesse, poiché restano vietati gli assembramenti in luoghi pubblici.
Come si svolgerà, dunque, l’evento del 2 giugno del centrodestra? Le modalità sono ancora tutte da decidere. Giorgia Meloni ha sottolineato che occorrerà lavorare di fantasia, perché comunque il rispetto dei divieti sarà garantito.
La piazza romana dove si svolgerà il nucleo della manifestazione non è ancora stata decisa. In contemporanea, considerando l’impossibilità di spostamenti dei cittadini tra regioni, saranno attive anche altre 100 piazze italiane.
Probabilmente, verrà garantita la distanza sociale di 1 metro, il minimo imposto in tutte le attività sociali in questo momento. Il centrodestra è chiamato a un atto di grande responsabilità sul tema sicurezza. Il rischio, infatti, è di dare un cattivo esempio sulle misure ancora in atto.
Salvini contro Meloni: scontro rimandato?
La ritrovata unità sulla piazza del 2 giugno non ha cancellato del tutto il clima di rivalità tra i leader di Lega e Fratelli d’Italia.
Galvanizzata da sondaggi favorevoli e da una visibilità sempre più ampia su social e media, Giorgia Meloni sembra ormai aver conquistato una certa supremazia nell’elettorato di centrodestra.
Una settimana fa, intervistata da Fabio Fazio, la deputata romana ha voluto chiarire perché è lei la rappresentante verace della destra e non Salvini: Fratelli d’Italia ha una storia politica coerente, che non si è macchiata della partecipazione al Governo con i pentastellati.
Inoltre, i sondaggi offrono dati sorprendenti sulla crescita di consenso del partito della Meloni: è stata superata la soglia del 14%, un traguardo impensabile qualche anno fa.
Dietro la facciata del fronte unito dell’opposizione, quindi, si sta giocando una partita molto importante: la “gara” del 2 giugno ne è la prova. Come il botta e risposta di qualche settimana fa sull’evento di Giorgia Meloni davanti Palazzo Chigi.
Il leader del Carroccio lo aveva subito bocciato: “non si risolvono i problemi con un flash mob da un quarto d’ora.”
La manifestazione del centrodestra il 2 giugno, quindi, sembra solo una parentesi della battaglia politica.
FONTE:https://www.money.it/manifestazione-2-giugno-centrodestra-motivi-regole-chi-ci-sara
Governo è continuamente sottoposto a ricatti
Francesco Erspamer – 19 05 2020
Purtroppo questo governo è continuamente sottoposto a ricatti, a volte effettuati per ottenere qualcosa, più spesso come semplice diversivo per attrarre l’attenzione dei giornalisti e dei milioni che li seguono senza pensare. Spero almeno che quelli che hanno accettato la trasformazione del sistema elettorale rigorosamente proporzionale ideato dai padri costituenti (e che diede all’Italia democrazia e benessere) in una porcheria liberista che avrebbe dovuto assicurare la governabilità (ossia il dominio delle lobby) e neanche ci è riuscita, dicevo, spero almeno che si siano ricreduti. Gli italiani amano i piccoli partiti e non è un male; lasciateglieli; sono infinitamente meglio del bipolarismo all’americana.
Pensateci: se ci fosse il proporzionale Renzi non conterebbe nulla: perché si potrebbe andare tranquillamente a elezioni anticipate, tanto la sua banda prenderebbe un 2-3% come altri cinque o sei partitini, e chi fosse incaricato di fare il governo potrebbe fare shopping e vedere di quanti ha bisogno e quali scegliere. Invece così Renzi può far finta di essere determinante, e comunque se non ci fosse lui ci sarebbe qualcun altro a minacciare la secessione per strappare qualche poltrona o prependa in più o anche soltanto per fare parlare di sé. Per cui non resta che tenere duro e andare a vedere il bluff, pagando la passata imprevidenza.
Bisognerebbe anche cercare di non essere a nostra volta imprevidenti. Come? Un modo semplice è quello di riscoprire l’intransigeza e di cominciare a preparare la rivalsa. Non appena per una qualsiasi ragione Renzi o i suoi gerarchi, anche quelli insignificanti, si trovassero in difficoltà, in una posizione di debolezza, magari perché malati, devono essere distrutti, a freddo, senza pietà, preferibilmente con l’inganno. Lasciamo le massime di Churchill a quelli come lui: ricchi, aristocratici e inglesi. A noi ne serve una versione modificata; eccola: In guerra risoluzione (va bene), nella sconfitta sfida (va bene), nella vittoria vendetta (altro che magnanimità). Solo quando gli stronzi e i furbetti si convincessero che se gli va male verrebbero puniti duramente, anche se si arrendessero o pentissero, solo allora diventerebbero meno arroganti. Non conoscono altro linguaggio che quello della forza, che è la ragione per cui predicano il perdono e la clemenza — sanno che potrebbero averne bisogno. Ma noi dobbiamo ricordarci che il perdono e la clemenza provocano molte più vittime della malvagità.
FONTE:https://www.facebook.com/frerspamer/posts/2887267768056427
Chi sono i veri complottisti?
Periodo pesante quello attuale, per chi è in sofferenza a causa di qualsiasi malattia e difficoltà abbia. Ma anche per l’Italia in reclusione e per la caccia alle streghe e criminalizzazione di chi osi mettere in discussione il “sacro verbo” che ci arriva dal Grande Fratello.
Periodo pesante quello attuale, per chi è in sofferenza a causa di qualsiasi malattia e difficoltà abbia. Ma anche per l’Italia in reclusione e per la caccia alle streghe e criminalizzazione di chi osi mettere in discussione il “sacro verbo” che ci arriva dal Grande Fratello.
In questa caccia alle streghe si etichetta chiunque perché farlo significa circoscrivere qualcuno in una categoria e quindi disarmarlo, disinnescarlo. Non sei una persona con idee od opinioni che possono anche cambiare, ma sei un ambientalista, un alternativo, un no vax, un complottista, un vegano, un questo e un quello. E così con una comoda e semplice etichetta abbiamo risolto tutti i problemi, ti abbiamo messo in un angolo e ti abbiamo impacchettato. Perché l’indefinibile, il complesso, il non scontato, fa sempre paura a chi deve avere tutto sotto controllo, pena la perdita delle poche fragili sicurezze psicologiche che si è faticosamente costruito per poter in qualche modo tirare avanti.
Così viene messo all’indice chi vede i fatti da un’angolatura diversa, e magari si tratta solo di persone che cercano altre spiegazioni anche fantasiose rispetto alle versioni ufficiali, che spesso sono ancora più fantasiose.
Ma ascoltando i vari pareri non possiamo farci una nostra idea, verificare e decidere chi sta dicendo stupidaggini e chi no? Dal periodo attuale si ha la netta impressione che finché le stupidaggini le dicono i grandi media, va tutto bene, ma se la gente ascolta altre campane allora si strepita al complottismo. Crederò pure agli UFO e alla terra che ha forma di cono piuttosto che a chi, fra una pubblicità di un formaggino, un’auto e un prodotto farmaceutico, mi dice la versione che gli suggerisce lo sponsor che gli paga lo stipendio attraverso la rete televisiva, la radio, il giornale per cui lavora…
Inoltre una informazione televisiva, radiofonica o sui media cartacei che annovera come opinionisti qualsiasi specie di soggetto che pontifica in nome di una sua presunta fama, fosse anche solo ottenuta in qualità di calciatore, pornostar o “influencer”, è una informazione per la quale in confronto il cosiddetto complottismo è roba da Nobel.
Se ci si sente investiti da qualche strano dovere di difendere il popolo da determinate informazioni significa che si pensa che la gente sia così stupida da bersi qualsiasi idiozia. E’ di certo una infima considerazione che si ha del popolo, se si ritiene che debba esserci l’Inquisizione perché la gente non sa discernere fra le stupidaggini e le informazioni serie.
Infatti quale è il miglior modo per svelare le stupidaggini? La cultura, il sapere, lo studio, la corretta informazione indipendente, l’ascolto e la possibilità di tutte le opinioni e tesi di esprimersi. Ed è proprio l’informazione prezzolata e un tanto al chilo che ha devastato quella cultura che dovrebbe essere il miglior sistema immunitario contro le stupidaggini, da qualsiasi parte arrivino. Basti pensare come esempio per tutti all’impero Berlusconiano e ai suoi purtroppo tanti emuli, per cui la cultura era ed è una faccenda che ha che fare con parti anatomiche femminili da mostrare a profusione sui propri media. Un modello che tanti hanno seguito senza distinzioni, perché gli sponsor vogliono audience mica cultura, quella vera.
I veri complottisti sono quelli che hanno bisogno di censurare e criminalizzare il prossimo perché le loro tesi sono così inconsistenti da non reggere alcun serio confronto. Confronto da cui praticamente sfuggono sempre; sarebbe infatti assai impietoso magari coglierli sul fatto con le tasche gonfie di quattrini di compiacenti aziende di cui portano avanti gli interessi…
Ma loro lo fanno sempre per il bene del popolo, sia chiaro.
FONTE:https://www.ilcambiamento.it/articoli/chi-sono-i-veri-complottisti
La politica degli annunci del governo Conte
Lisa Stanton – 19 maggio 2020
(AGI) – Roma, 18 mag. – “La politica degli annunci del governo Conte colpisce ancora, gettando nell’incertezza imprenditori e partite Iva che, per la seconda volta in due mesi, non sanno come gestire scadenze fiscali la cui proroga e’ stata annunciata dal decreto rilancio”. Cosi’ i membri del Dipartimento Economia della Lega. “Insomma, si sta ripetendo oggi quanto già successo a marzo col Cura Italia, che venne emesso dopo le scadenze fiscali. Non solo: anche i lavoratori subiscono, oltre ai ritardi nell’erogazione della Cig, ulteriori incertezze, visto che oggi e’ scaduta anche la sospensione delle procedure di impugnazioni dei licenziamenti disposta dall’art. 46 del Cura Italia”. La Lega esprime “solidarieta’ a imprenditori, lavoratori autonomi, lavoratori dipendenti, partite Iva, e naturalmente ai professionisti, anch’essi messi in seria difficolta’ dalle norme confusionarie e dai ritardi e gli scaricabarile di un Governo vittima della propria incompetenza e delle proprie lacerazioni interne. Resta il sospetto che dietro questi ritardi e questa apparente follia ci sia un cinico calcolo: quello di impedire con ritardi e farraginosita’ normative l’accesso alla ‘potenza di fuoco’ millantata nelle tante conferenze stampa. Una austerita’ di fatto, realizzata per obbedire ad ordini altrui, e affiancata da ipocrite dichiarazioni di solidarieta’ e fiducia a chi produce ricchezza nel Paese”.
Tutto previsto, conosciuto e reso inevitabile dal “peggior governo d’Italia dal 1860”. Persino Calenda gli è critico oppositore. Ma la Lega quando e come se l’è intestata la lotta ad un esecutivo di farabutti, egregio prof. #Bagnai?
Bloccare la Gelmini – e capire chi la manda
Lo sterminio del popolo ha trovato altri promotori. Stavolta, nella cosiddetta incredibile “opposizione” del Pompetta.
Mozione Forza Italia alla Camera: “Vaccino antinfluenzale sia obbligatorio per gli over 65”
Presentata dalla capogruppo Gelmini e sottoscritta anche da Andrea Mandelli e altri parlamentari: “Il vaccino obbligatorio per una determinata fascia d’età renderebbe più agevole la certezza della diagnosi in relazione al Covid-19 e darebbe sollievo alle nostre strutture sanitarie.
https://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=85229
Il pretesto, risibile, non è nemmeno proteggere i vecchi dall’influenza stagionale (poco efficace, come vedremo), ma di consentire – questo autunno, quando “certamente” anche per la badante Gelmini, il virus tornerà – di “distinguerli ” dai malati di Covid, perché la badante è stata istruita a dire che i vaccinati d’influenza resteranno sani. ““Stiamo parlando – ha detto – di due malattie che hanno sintomi spesso molto simili, e anche per questo motivo il sistema sanitario è andato in tilt, dovendo riconoscere e trattare in modo adeguato il Covid”.
Il sistema sanitario lombardo è andato “in tilt”, come si esprime la badante, non per quello che lei finge di credere, ma per l’iniziale errore di diagnosi per cui si sono scambiate imponenti micro-embolie per polmoniti interstiziali, sicché le prime vittime sono soffocate nonostante la ventilazione forzata. Adesso, corretto l’errore grazie ai medici di Bergamo, non c’è alcun “tilt”, i reparti Covid sono vuoti perché i malati sono curati a casa e guariscono.
Quello che permane, invece, è il ragionevole concreto sospetto che le vaccinazioni anti-influenzali e anti-meningococco praticate a tappeto sugli anziani della zona abbiano aggravato in loro la concominante infezione di Covid19, trasformando la zona – e solo quella – in quel campo delle morte che sappiamo, mentre per il resto d’Italia la mortalità è stata pari o inferiore agli anni passati.
Il virologo Giulio Tarro condivide questo sospetto. Il dottor Mariano Amici ne è sicuro:
Dottor Mariano Amici: “Un virus che ti contagia nelle prime settimane dopo il vaccino rischia di ucciderti”.
Il medico Amici sottolinea di non esser un “No-vax”; obietta alla scarsa efficacia dei vaccini anti-influenzali (“Ti inoculano un vaccino relativo al virus della stagione precedente e che, pertanto, non può proteggerti dal virus che arriverà) per cui si chiede se vale la pena di correre il rischio aggiuntivo che “ se un altro virus (influenzale o il coronavirus) ti contagia nel periodo in cui stai combattendo contro il virus che ti hanno inoculato con il vaccino, ti trova molto più debole e, se sei pure anziano o hai altre patologie, rischia di ucciderti!“.
Chi è il suo suggeritore?
Ora, la badante Gelmini e i suoi boys del Pompetta – purtroppo essa è capogruppo di Forza Italia – non dà nessun valore a questa posizione, e al principio di precauzione. Perché? Siccome non è nota per profonde conoscenze scientifiche (basta ricordare quando immaginò l’esistenza di un tunnel fra il Cern di Ginevra e il Gran Sasso in cui acceleravano non so che particelle), non basta contrastare il suo progetto di legge: bisogna anche che ci dica da quelli suggeritori ha ricevuto l’idea e il progetto, da quali interessi si faccia portatrice in quel disgraziato parlamento. Anche perché la sua mozione, a firma di Forza Italia avrebbe già l’appoggio di Italia Viva, 5 Stelle e PD, ossia le forze già impegnate nella dittatura della malevolenza – e quindi la mozione avrebbe già la maggioranza pronta a d approvarla.
Contro questo tradimento ulteriore del popolo, occorre una mobilitazione. Dura. Perché è molto grave il rischio a cui la Gelmini e i suoi complici – con l’obbligo della vaccinazione anti-flu – espongono intere categorie di persone indifese al prossimo assalto del prossimo (immancabile?) Coronavirus.
Infatti, il progetto Gelmini pone “ l’obbligo di vaccinazione influenzale per tutte le categorie a cui oggi è soltanto raccomandata, segnala un lanciatore d’allarme sul web, che faccio mio:
Ossia , oltre agli Over 65
- Persone a rischio di complicanze da influenza
- Donne nel secondo e terzo trimestre di gravidanza
- Soggetti dai 6 mesi ai 65 anni affetti da patologie che aumentano il rischio di complicanze da influenza
- Asmatici
- Diabetici
- Cardiopatici
- Obesi
- Malati di tumore
- Immunodepressi (per malattie)
- immunocompressi (da farmaci o HIV)
- Persone con malattie infiammatorie e sindromi intestinali
- Persone che hanno programmato importanti interventi chirurgici
- Persone con epatopatie croniche
- Bambini e adolescenti in trattamento con acido acetilsalicilico o a rischio di Sindrome di Reye
- Obesi con BMI >30
- Ospiti di strutture per lungodegenti
- Medici e personale sanitario
- Familiari e contatti di soggetti a rischio complicanze
- Forze di polizia
- Vigili del fuoco
- Altre categorie socialmente utili (definite su base regionale)
- Lavoratori particolarmente esposti
- Allevatori
- Addetti al trasporto di animali vivi
- Macellatori e vaccinatori
- Veterinari pubblici e libero-professionisti
- Donatori di sangue
Praticamente, una grossa quota della popolazione italiana verrebbe sottoposta all’obbligo vaccinale, e dunque al rischio di prendere il Covid-19 ( o quello che ci daranno in autunno) in forma grave e letale. Chi vuole una estensione della “strage lombarda” a tutta Italia?
La mozione Gelmini prevede anche di
2) introdurre l’obbligo vaccinale, attualmente previsto solo «per medici e personale sanitario di assistenza in strutture che attraverso le loro attività sono in grado di trasmettere l’influenza a chi è ad alto rischio di complicanze influenzali», a tutti gli operatori sanitari indipendentemente dall’età;
3) estendere la raccomandazione oggi prevista per gli ultra sessantacinquenni, ai soggetti con più di sessant’anni.
Vorrei ricordare che:
– le province di Bergamo e Brescia quest’anno hanno avuto campagne vaccinali particolarmente intense;
– secondo studi dello stesso Istituto Superiore di Sanità e della prestigiosa associazione internazionale di medici e scienziati Cochrane (che valuta in maniera indipendente – o almeno lo faceva fino a pochi mesi fa, finchè qualcuno non ha allungato anche lì i suoi tentacoli – l’efficacia dei farmaci) il vaccino antinfluenzale ha un’efficacia che va da molto modesta (protegge in un caso su 52) a nulla o addirittura negativa; – secondo un recente studio effettuato in ambito militare, il vaccino influenzale aumenta del 36% le possibilità di contrarre altri virus respiratori, fra cui i coronavirus; – i neovaccinati con antinfluenzale sono contagiosi (il 630% in più dei non vaccinati)
– il vaccino influenzale è particolarmente INEFFICACE sugli anziani, meno reattivi dal punto di vista immunitario; – alcuni ceppi influenzali nel vaccino (quest’anno, A H1N1 e Yamagata) possono dare. FALSI POSITIVI al tampone Covid, complicando le diagnosi invece che agevolarle come da obiettivo dichiarato di questa mozione.
– come ha denunciato il dr. Mariano Amici, che ha fatto ricorso al Tar contro l’obbligo già imposto da Zingaretti in Lazio, il vaccino influenzale oltre ad avere efficacia molto scarsa, rende chi vi si sottopone immunodepresso per settimane: chi in quel periodo incrociasse il Covid, rischierebbe la vita (https://www.italiasera.it/dottor-mariano-amici-un-virus-che-ti-contagia-nelle-prime-settimane-dopo-il-vaccino-rischia-di-ucciderti/)”.
Chi ferma questo colpo al popolo italiano? Anche perché interessi sempre più discutibili si consolidano sul busines Covid
http://www.imolaoggi.it/2020/04/15/borghi-task-force-ripartenza-vuole-limmunita/
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/bloccare-la-gelmini-e-capire-chi-la-manda/
Borghi: per quale motivo la “task force per la ripartenza” vuole l’immunità?
15, aprile, 2020
Claudio Borghi Aquilini – Intervento sulla cosiddetta “Task Force per la ripartenza” voluta dal governo, non si sa su quali basi e perché, che adesso vuole l’Immunità Per Le Decisioni Che Dovrà Prendere.
LA TASK FORSE DI ESPERTI
FONTE:http://www.imolaoggi.it/2020/04/15/borghi-task-force-ripartenza-vuole-limmunita/
STORIA
L’UFFICIALE E GENTILUOMO DELLA MARINA ITALIANA CHE AFFASCINAVA ANCHE I NEMICI
Cinque gennaio 1941, Oceano Atlantico, tra le isole Canarie e le coste africane. Quando i superstiti britannici del piroscafo armato Shakespeare, appena affondato dopo un furioso duello di artiglieria insieme con 19 loro compagni, vedono la minacciosa sagoma del sommergibile nemico puntare contro la loro lancia di salvataggio, rimangono sconcertati. Qualcosa di incredibile sta accadendo: l’ufficiale in piedi sul ponte si rivolge loro, in un inglese un po’ legnoso ma corretto, e li invita a salire a bordo. Le loro vite sono salve: ora sanno di essersi imbattuti nel Gentiluomo del mare, del quale nelle ultime settimane hanno parlato tutti i giornali d’Europa. Quel giovane capitano di corvetta, dallo sguardo magnetico e indagatore, col mento ornato di una folta barba scura, è Salvatore Todaro, un uomo in grado di sovvertire a modo suo le bestiali leggi della guerra. La sua singolare vicenda è iniziata qualche mese prima, poco dopo lo scoppio del conflitto,
quando ha ottenuto il comando del regio sommergibile Comandante Cappellini ed è stato destinato alla base atlantica Betasom, a Bordeaux, per affiancare gli U-boat tedeschi nella caccia ai convogli alleati.
UN LEADER AMATO INCONDIZIONATAMENTE DAI SUOI UOMINI
Todaro ha appena 32 anni, ma chi lo conosce bene lo descrive come una sorta di asceta, un sacerdote la cui religione ha per tempio il mare. Altri lo vedono piuttosto come un antico guerriero spartano: solitario, persino schivo, dal portamento fiero e l’andatura rigida. In realtà ciò è dovuto al busto, necessario dopo una frattura alla colonna vertebrale rimediata su un idrovolante. Di sicuro, Todaro è un personaggio atipico: colto, interessato alla filosofia e alla letteratura antica ma anche alla matematica e all’astronomia, è affascinato dalla psicanalisi e, in particolare, alle teorie di Jung sull’inconscio collettivo. Ciò contribuisce a creare attorno a lui un’aura di mistero, enfatizzata da una certa qual predisposizione a un’istrionica teatralità. I suoi uomini comunque lo adorano, così come ammirano incondizionatamente le sue carismatiche doti di autentico capo. Il 13 ottobre 1940 il Cappellini intercetta un piroscafo iugoslavo, ispezionato per verificare la natura del carico.
DOPO AVER AFFONDATO UNA NAVE PORTA SEMPRE IN SALVO I NAUFRAGHI
Due giorni più tardi, al largo dell’isola di Madera, Todaro individua un piroscafo armato belga il Kabalo, che sta trasportando pezzi di ricambio aeronautici per gli inglesi e subito apre il fuoco. A conferma della sua originale visione della guerra, il giovane comandante odia l’uso dei siluri, da lui reputati infidi e poco onorevoli: così, decide di attaccare il cargo a cannonate, riuscendo ad affondarlo in pochi minuti. Poi impartisce l’ordine di soccorrere i 26 naufraghi della nave: prende a rimorchio la loro lancia di salvataggio e, navigando in emersione, esposto a eventuali attacchi aerei, li traina per tre giorni e tre notti. Quando il cavo di rimorchio si spezza per l’ennesima volta, Todaro compie un gesto inaudito, facendo salire a bordo i naufraghi, per portarli, sani e salvi, sull’isola di Santa Maria, nell’arcipelago neutrale delle Azzorre. La notizia si diffonde in pochi giorni e le testate giornalistiche fanno a gara nel raccontare l’incredibile storia di questo cavaliere d’altri tempi. L’ammiragliato italiano riceve perfino lettere di ammirazione e di ringraziamento dai congiunti di alcuni sopravvissuti, ma su tutte spicca una missiva inviata da una donna portoghese tramite canali diplomatici e pubblicata da un quotidiano di Lisbona. Oggi può forse parere retorica, ma tocca comunque il cuore: «Vorrei che queste righe fossero trasmesse al comandante del sommergibile italiano che ha affondato la nave Kabalo. Signore, felice il Paese che ha dei figli come voi! I nostri giornali danno il resoconto di come avete agito nei confronti dell’equipaggio di una nave che il vostro dovere di soldato vi aveva imposto di affondare. Esiste un eroismo barbaro e un altro davanti al quale l’anima si mette in ginocchio: questo è il vostro! Siate benedetto per la vostra bontà, che fa di voi un eroe non solo dell’Italia, ma dell’umanità».
AI TEDESCHI NON PIACE LA GUERRA DI TODARO
Il generoso comportamento di Todaro non viene però apprezzato dal comandante in capo dei sommergibili tedeschi, l’ammiraglio Karl Dönitz, che lo critica severamente rivolgendosi ad alcuni alti ufficiali italiani: “Signori, io vi prego di voler ricordare ai vostri ufficiali che questa è una guerra e non una crociata missionaria. Il signor Todaro è un bravo comandante, ma non può fare il Don Chisciotte del mare”. Il commento di Todaro è ben poco diplomatico, ma per certo memorabile: «Per un attimo anch’io ho pensato di far prevalere le ragioni della guerra, ma ho sentito alitare dietro di me qualcosa che altri non possono sentire: il soffio di duemila anni di civiltà». Incurante delle critiche e dei moniti dei suoi superiori (tuttavia, ammirandolo, lo insigniscono della medaglia d’argento al valor militare), il comandante ritorna a far parlare di sé il 5 gennaio 1941, quando attacca, sempre a cannonate, il piroscafo armato inglese Shakespeare, di 5029 tonnellate. Durante il combattimento un marinaio del Cappellini muore a causa della violenta reazione avversaria, ma ciò non impedisce a Todaro di raccogliere i 22 superstiti e di portarli in salvo sull’isola di Capo Verde.
LO SCONTRO CON L’EMMAUS COSTA CARO AL SOMMERGIBILE CAPPELLINI
Il fato, tuttavia, sta preparando un amaro calice: la crociera del Cappellini prosegue infatti al largo di Freetown, in Sierra Leone, quando il sommergibile si imbatte in un grosso trasporto truppe britannico pesantemente armato, l’Emmaus di 7472 tonnellate, col quale ingaggia uno scontro all’ultimo sangue. Todaro questa volta deve lanciare due siluri per finire l’unità avversaria, che cola a picco con tutti gli uomini a bordo. Durante lo scontro un proiettile ha centrato la torretta del Cappellini, ferendo fatalmente il tenente Danilo Stiepovich. A bordo si contano altri morti e feriti gravi e nel frattempo sul posto è piombato un idrovolante inglese, che colpisce l’unità italiana con due bombe. Todaro non può fare nulla per i naufraghi: braccato, ferito, il sommergibile deve eludere il nemico acquattandosi sul fondo dell’Oceano per due giorni e due notti, al buio, sotto milioni di tonnellate di gelida acqua. Alla fine, dopo un’autentica odissea, ripara nel porto neutrale spagnolo di La Luz, a Gran Canaria, dove arriva il 20 gennaio. Todaro riesce a sbarcare i feriti e a far riparare alla meglio i danni più gravi, per poi riprendere il mare e rientrare a Bordeaux, dopo aver eluso ben cinque navi inglesi.
UCCISO DAL RIMORSO E DAI PROIETTILI DI UNO SPITFIRE
Il comando congiunto italo-tedesco questa volta si complimenta con lui, lo insignisce di un’altra medaglia, ma qualcosa dentro gli si è rotto per sempre. Dopo due altre sfortunate crociere atlantiche, sfibrato dal rimorso per tutte quelle vite spezzate, Todaro chiede e ottiene di essere trasferito alla decima Flottiglia MAS. Qui si coprirà ancora di gloria, rischiando sempre in prima persona; ma ormai è diventato un guerriero solitario e disilluso. Il mattino del 13 dicembre 1942, nel porticciolo tunisino di La Galite, da dove sta pianificando una serie di ardite missioni notturne contro la base navale alleata di Bona, uno Spitfire inglese in volo radente mitraglia la piccola imbarcazione sulla quale Todaro sta riposando. I suoi uomini lo trovano sdraiato in cuccetta, con una scheggia conficcata in una tempia. Sembra addormentato, ma il Gentiluomo del mare se ne è andato per sempre. Il giorno prima, in una lettera a un amico e compagno d’armi aveva scritto: «Da mesi e mesi non faccio che pensare ai miei marinai che sono onorevolmente in fondo al mare. Penso che il mio posto sia con loro». Gli algidi dèi del mare lo hanno voluto accontentare; ma forse Graziella Marina, la figlia nata quello stesso giorno, quegli dèi non li ha perdonati mai.
Testo di Fabio Bourbon, pubblicato sul numero 84 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 17 Ottobre 2017 da admin | in Personaggi, Storie | commenti: 1
FONTE:https://www.mareonline.it/la-commovente-storia-di-salvatore-todaro-lufficiale-gentiluomo-della-marina-italiana/
LA VERITA’ SU MAASTRICHT
Gianni De Michelis (1996)
Su Maastricht sono fiorite ormai troppe leggende che ci fanno perdere di vista il senso di quel progetto destinato a cambiare il volto dell’Europa.
È perciò necessario ricostruire criticamente la storia del Trattato sull’Unione Europea, anche per capire quali conseguenze esso avrà per il nostro futuro. E per rendere chiaro a tutti che se Maastricht dovesse fallire, non sarà solo un arretramento parziale: l’intera costruzione europea minaccerebbe di collassare, con effetti che non voglio nemmeno immaginare. A questo scopo vorrei qui portare il contributo della mia testimonianza, come responsabile della politica estera italiana negli anni decisivi (1989-1992) per la concezione e la definizione del Trattato di Maastricht.
Il missile di Delors
Il cuore del Trattato di Maastrichtè senza dubbio la moneta unica europea.
L’idea di Delors, quando nel 1984 diventa presidente della Commissione, è di utilizzare la moneta unica come strumento per l’integrazione politica europea. Delors rovescia il ragionamento di Spinelli: mentre i federalisti classici puntavano tutto sulla costituzione politica – con il risultato di scatenare il fuoco di sbarramento degli Stati nazionali – Delors considera che il modo migliore per avvicinare l’integrazione politica è di approfondire e rendere irreversibile l’integrazione economica e monetaria. Se Spinelli era un massimalista, Delors appare come un minimalista, perché parte dal basso, presenta i progressi nel processo integrativo come completamento del Mercato comune. Ma l’obiettivo è e resta identico: l’Europa unita.
Delors concepisce infatti il progetto di integrazione europeacome un missile a tre stadi, ciascuno dei quali esprime la spinta sufficiente per passare a quello successivo. Primo, l’Atto unico (1986), con la conseguente creazione del Mercato unico; secondo, la moneta unica, sancita dal Trattato di Maastricht (firmato l’11 dicembre 1991), da realizzare per tappe entro il 1999; terzo, l’integrazione politica europea, con una configurazione istituzionale ancora da definire, ma in qualche modo collocata a mezzo fra federalismo e confederalismo. Dunque un processo schiettamente politico, che si presenta come inscritto in una logica economicistica per meglio resistere agli attacchi degli avversari dell’integrazione.
Quando il progetto di unione monetaria viene sottoposto al Vertice europeodi Madrid (giugno 1989), la signora Thatcher scopre il gioco di Delors e apre il fuoco di sbarramento, di cui lei stessa sarà la prima vittima. Del resto, già la direttiva sulla libera circolazione dei capitali, approvata a Hannover nel giugno del 1988, implicava il superamento del Sistema monetario europeo e la sovranazionalizzazione della politica monetaria.
Oltre che dagli inglesi, obiezioni vengono da paesi piccolicome la Danimarca e il Portogallo, mentre Francia, Italia e Germania guidano il fronte del sì. In quel momento, si noti bene, Delors parla solo di Unione economica e monetaria e non di unione politica, ma è evidente a tutti che la messa in comune di uno dei simboli fondamentali della sovranità – la moneta – avrebbe significato un passo quasi irreversibile verso l’Europa politica. Nessuno sa, a questo punto, se le obiezioni degli anti-europeisti o degli scettici potranno essere superate.
Lo scambio geopolitico
Lo scenario cambia completamente nel semestre successivo. Il crollo del Muro di Berlino sconvolge gli equilibri mondiali. Già al Vertice straordinario di Parigi (novembre 1989) si delinea quello che sarà lo scambio geopolitico implicito nel Trattato di Maastricht: l’Europa dà via libera alla Germania per la riunificazione in tempi rapidi, ottenendo come contropartita l’europeizzazione del marco.
Di fatto la moneta unica (poi denominata euro) sarà il marco– nessuno ha interesse a che valga di meno – con la differenza che a governarlo non sarà la Bundesbank, composta solo da tedeschi, ma la Banca europea, del cui consiglio di amministrazione i tedeschi saranno solo una delle componenti. Nessuno, all’epoca, lo dice pubblicamente, ma fra noi è pacifico che questa è la posta in gioco. Senza capirlo, è impossibile ricostruire la vera storia di Maastricht. Soprattutto, non se ne possono vedere le implicazioni geopolitiche.
Dal novembre 1989 fino alla notte di dicembre del 1991, quando nella cittadina olandese di Maastricht variamo il Trattato, la questione tedesca domina i nostri pensieri e i nostri negoziati. La questione è molto chiara: o la Germania resta in Occidente anche dopo essersi annessa la Rdt, oppure slitta verso il Centro e oscilla paurosamente fra noi e la Russia. Alla fine, la Germania accetta di integrarsi più strettamente in Europa, rinunciando persino alla sovranità sul marco a una data fissata (1° gennaio 1999), pur di garantirsi l’appoggio dei partner alla riunificazione.
Vorrei sottolineare questo punto, spesso trascurato, anche perché la vera trattativa si svolgeva al coperto, circondata dal segreto più assoluto: la riunificazione tedesca non sarebbe stata possibile senza il consenso dell’Europa. Non è dunque vero che la partita con la Germania fosse giocata unicamente da Unione Sovietica e Stati Uniti, con l’appendice delle altre due potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, Francia e Gran Bretagna. Non è nemmeno vero che gli americani spingessero per concludere subito l’unificazione.
No, gli unici che avevano fretta erano i tedeschi. I quali sapevano benissimo che noi europei potevamo stopparli. Quanto meno, potevamo ritardare l’unificazione. Per fortuna, siamo stati abbastanza intelligenti da usare il nostro potere contrattuale in modo costruttivo.
Galeotto fu il caminetto
Ho un ricordo personale molto vivoche può illustrare la sorda battaglia fra Kohl e gli altri leader europei, avvenuta al coperto ma non per questo meno esplicita. Nel novembre 1989, su invito di Mitterrand, i leader dei Dodici si ritrovano all’Eliseo per discutere le conseguenze della caduta del Muro. Deve essere solo un incontro di facciata, una dimostrazione dell’unità dei Dodici in una fase tanto agitata, senza nessun impegno per favorire l’unificazione tedesca. Durante la cena, Kohl illustra quello che sarà poi il suo piano in dieci punti per l’unificazione, che si muove però ancora entro la cornice di una confederazione dei due Stati tedeschi.
Dopo cena, ci raduniamo intorno al caminetto per un caffè. Mitterrand al centro, attorno a lui i capi di Stato o di governo disposti a semicerchio, poi una seconda fila con i ministri degli Esteri. Io sono seduto alle spalle di Andreotti e Kohl. Mitterrand parla, e fa subito capire che per lui la questione dell’unità tedesca è un’eventualità storica, da esaminarsi in un futuro abbastanza imprecisato. Sullo stesso tono gli interventi degli altri, da Gonzalez alla Thatcher. Kohl diventa sempre più rosso di rabbia e quando tocca a lui sembra quasi che stia per piangere. Il succo del suo intervento è questo: voi non potete farmi tornare a Bonn, dal mio popolo, senza un messaggio chiaro di appoggio dell’Europa alla riunificazione tedesca.
È emozionatissimoperché capisce che sta rischiando di restare a mani vuote.
Io so che dopo Kohl tocca ad Andreotti. Allora, dalla sedia dov’ero appollaiato, mi chino verso di lui e gli bisbiglio in un orecchio: «Presidente, adesso tutti si aspettano da te la stoccata finale. Sanno benissimo come la pensi sull’unificazione tedesca (per inciso, Andreotti veniva da una riunione della Nato in cui aveva avuto uno scontro molto forte con Kohl, n.d.r.). Ma qui hai un’occasione unica. Qui non bisogna badare alle proprie idee, ma alla politica. Proprio perché tutti sanno come la pensi, se tu apri uno spiraglio a Kohl le tue parole varranno doppio. Io e Fagiolo (diplomatico, all’epoca stretto consigliere di De Michelis, n.d.r.) abbiamo preparato una frasetta per fissare la posizione italiana. Con tutte le cautele diplomatiche, questa frasetta dichiara che l’Europa auspica e promuove l’unificazione della Germania. Niente di definitivo, ma è ciò di cui Kohl ha bisogno per superare l’impasse».
Andreotti coglie al volo l’idea e legge quella frasetta, immortalata poi nel comunicato finale. Gli altri sono presi in contropiede. Se Andreotti, che notoriamente ama tanto la Germania da volerne due, dà via libera a Kohl, è difficile non tenerne conto. Di colpo l’impasseè superata e il vertice si chiude con un esplicito appoggio della Comunità all’idea della riunificazione tedesca. Credo che Kohl non abbia dimenticato quel momento e che il nostro buon rapporto con i tedeschi nasca anche di lì.
È da allora che si comincia a disegnare il compromesso fra Germania ed Europa, che cambia completamente la logica originaria di Maastricht. La moneta unica non basta più, bisogna aggiungervi la parte politica, perché la Germania deve essere integrata sempre più strettamente in Europa. È una conseguenza inevitabile dello stravolgimento degli equilibri internazionali. Una Germania più grande, liberata dai vincoli derivanti dalla sconfitta del nazismo, rischierebbe di squilibrare la costruzione europea.
Ricordo ancora l’impressione che farà a tutti, anche agli americani, il vertice Kohl-Gorbačëv del luglio 1990, nel Caucaso, quando il cancelliere tedesco sembra trattare da pari a pari con la superpotenza sovietica e si presenta dai russi con un ricco assegno e strappa il loro sì alla Germania unificata tutta nella Nato. È finita la Bundesrepublik di Bonn, comincia quella di Berlino. Di questo Delors e noi ci rendiamo perfettamente conto, sicché acceleriamo il passo e modifichiamo sostanzialmente la strategia.
L’11 febbraio 1990, durante il vertice della Csce a Ottawa, viene concepito il negoziato 2+4 (le due Germanie più le quattro potenze vincitrici) sull’unificazione tedesca. Ho uno scontro con Genscher, che strilla: «Voi italiani siete fuori del gioco!». Certo, siamo fuori del 2+4, ma siamo invece dentro, e con un ruolo trainante (dal 1° luglio l’Italia è presidente della Cee) al negoziato parallelo che deve portare la Rdt dentro la Comunità europea.
Una condizione di cui i tedeschi hanno assolutamente bisogno e che dà all’Europa, e anche a noi italiani, un certo peso contrattuale. Si tratta di portare con un negoziato fra i più veloci nella storia un paese di 16 milioni di abitanti dentro a una Comunità che ha impiegato sette anni di trattative per incorporare Spagna e Portogallo, tutto sommato paesi già diventati democratici. Il miracolo si compie tra giugno e settembre del 1990.
Forse non tutti ricordano che per un solo giorno, il 30 settembre 1990, noi siamo stati una Comunità a Tredici, avendo accettato l’ingresso della Germania orientale come entità strutturale a sé stante. Occorre ricordare che ancora all’inizio del 1990, l’anno dell’unificazione tedesca (1°.ottobre), molti non credono che il processo sarà così rapido. Ma già nel febbraio 1990 io traccio su un foglietto, durante il Vertice di Ottawa, i due possibili percorsi dell’unificazione, di cui il più veloce prevede la conclusione entro sei mesi (due meno di quelli poi effettivamente necessari).
Ci rendiamo conto che siccome Kohl deve affrontare le elezioniin ottobre ha un interesse vitale ad arrivarci con la Germania unita. Sicché ora spinge per un’unificazione al galoppo. Noi italiani siamo svelti a capire che il tempo stringe. Bisogna incardinare la nuova Germania in Europa prima che i tedeschi si riunifichino e dettino legge.Il treno che porterà a Maastricht deve correre molto più velocementee portare contemporaneamente all’allargamento (prima la Germania dell’Est, dopo il Duemila altri Stati dell’ex blocco sovietico) e all’approfondimento. L’allargamento lasciando l’Europa com’è significa distruggerla. Vuol dire importare i germi della disintegrazione e lasciare che corrodano le nostre istituzioni comuni e i nostri Stati. Su questo siamo d’accordo con Delors e con gli altri partner, a cominciare dagli stessi tedeschi.
Tanto che già il 20 aprile, al Vertice di Dublino, per la prima volta viene approvato un documento ufficiale del Consiglio dei ministri europei che parla di unione politica. Si comincia a delineare anche la necessità di una politica estera e di sicurezza comune. Gli inglesi, che pure vorrebbero dare priorità all’allargamento dell’Europa, non possono opporsi e si limitano ad alcune eccezioni e riserve nel merito.
È il momento di scattare per l’offensiva finale. Delors, presidente della Commissione, ed io, che in quel momento presiedevo il Consiglio dei ministri degli Esteri europei, siamo in perfetta consonanza. Nasce l’idea di chiudersi in conclave noi due con solo i consiglieri più stretti per definire una prima traccia dei possibili contenuti di quello che poi sarebbe diventato il Trattato di Maastricht. Lo facciamo all’inizio di settembre, nel segreto più totale. I tedeschi in quella fase non c’entrano. Nel week-end trascorso all’hotel Il Pellicano, all’Argentario, riusciamo ad accordarci su un canovaccio che definisce soprattutto la scaletta di argomenti da affrontare e le soluzioni di massima da proporre, nel quadro del negoziato sull’unione politica.
Un’idea abbastanza fedele del risultato dell’Argentariola si può avere rileggendo il testo del documento che la presidenza italiana fece circolare qualche settimana dopo (nel novembre) e che è stato riprodotto in un volume di Rocco Cangelosi. Il risultato più significativo, poi confermato a Maastricht, è rappresentato dall’indicazione di un impianto istituzionale a mezza via fra federalismo (caro soprattutto a Olanda e Belgio) e confederalismo (la nostra preferenza) per l’Europa del futuro.
Ora leggo che Delors critica quella politica esterae di sicurezza comune che è senza dubbio il punto debole di Maastricht. Ma nessuno come Delors conosce le resistenze che incontrammo nel negoziato del 1991-’92, e quindi le ragioni che ci indussero ad accettare un compromesso, in parte insoddisfacente, al fine soprattutto di incassare l’apertura di credito che avevamo nei confronti della Germania. Capisco che oggi Delors, per ragioni soggettive, si sia un po’ disamorato di Maastricht, ma all’epoca eravamo d’accordo su tutte le questioni essenziali.
Carli e i parametri
Negli ultimi mesi di negoziato, nel corso del 1991, si accentua il braccio di ferro con i tedeschi sull’unione monetaria. I pallini di Kohl sono i parametri di convergenza, e l’indipendenza della Banca europea, soprattutto come garanzia della stabilità dei prezzi. È chiaro che la moneta unica non si può fare senza un certo livello di convergenza fra le politiche economiche degli Stati membri. Ma il nostro ministro del Tesoro, Carli, si batte con forza contro un’interpretazione ideologica dei parametri. «Non ci sono numeri magici, per cui il 3,1 è male e il 2,9 è bene», ripete ai tedeschi.
Non è un caso che i quattro parametridi cui oggi tanto si discetta sulla stampa non siano inclusi nel testo del Trattato, ma siano collocati in un protocollo aggiuntivo. Questo vuol dire che gli organi dell’Unione possono interpretarli senza che questo debba comportare una modifica del Trattato e quindi la necessità di passare per una nuova ratifica da parte dei parlamenti nazionali. L’unico criterio rigido, su cui l’accordo è generale, è quello che riserva l’ingresso nella terza fase dell’unione monetaria ai soli paesi che abbiano mantenuto stabile per almeno due anni il rapporto di cambio della propria con le altre monete europee.
Carli ed io siamo convinti, allora, che l’Italia possa entrare da subitonel gruppo di paesi che avranno per primi la moneta unica. Non c’è, insomma, nessun tentativo di escludere a priori nessuno, tanto meno l’Italia. Semmai, fino all’ultimo c’è un tentativo tedesco di rendere non vincolante la decisione sulla moneta unica. Nelle versioni preparatorie del Trattato si lascia aperta la possibilità di cambiare idea all’ultimo momento.
Ma su nostra iniziativa passa invece, nel testo finale, la norma vincolante, che impegna tutti a fare la moneta unica a partire dal 1° gennaio 1999. Questo aspetto oggi viene trascurato, ma è fondamentale. Se qualcuno, ad esempio la Germania, non volesse più fare la moneta unica, dovrebbe rinnegare il Trattato di Maastricht, dovrebbe far saltare per aria l’Unione europea. E verrebbe meno allo scambio, di cui Kohl è sempre stato perfettamente cosciente, fra unificazione tedesca ed europeizzazione della Germania.
Alla prova della Jugoslavia
L’accordo di Maastricht viene siglato pochi giorni primache la Germania, violando le regole del gioco, imponga ai suoi partner il riconoscimento accelerato di Slovenia e Croazia. Si può speculare a lungo sulle ragioni che spingono Kohl e Genscher ad abbandonare la linea di prudenza che loro stessi hanno inizialmente sostenuto, d’accordo con noi europei, con gli americani e con i sovietici. È un duro colpo per l’Europa.
Non è vero però, come sostiene qualcuno, che i tedeschi ci ricattino, minacciando di far saltare Maastricht se non riconosciamo le due repubbliche secessioniste ex jugoslave. La riunione decisiva si svolge a Bruxelles nella notte del 13 dicembre 1991, cioè due giorni dopola firma del Trattato. Genscher annuncia che la Germania riconoscerà in ogni caso entro Natale Slovenia e Croazia, come annunciato pubblicamente da Kohl qualche giorno prima.
Avendo partecipato a quella riunione, ricordo che la mia impressioneè che francesi e tedeschi siano d’accordo a essere in disaccordo. Genscher e Dumas fanno il gioco delle parti, ma in realtà i francesi non hanno nessuna intenzione di bloccare i tedeschi. Devono mantenere una posizione di facciata, in omaggio all’opinione pubblica, ma certo non si battono strenuamente contro i riconoscimenti.
Van den Broek, presidente di turno, e io a nome dell’Italiacerchiamo di rabberciare una posizione comune, per evitare che l’Europa alla prima grande prova si spacchi. E ci riusciamo. Fra l’altro, rinviando di quattro settimane il riconoscimento europeo di Slovenia e Croazia diamo al mediatore dell’Onu Vance il tempo necessario per disinnescare la mina dei territori croati tenuti dai serbi della Krajina. Il compromesso imposto da noi a Tud-man lo costringe a congelare per anni una situazione che vede un terzo del suo territorio in mano serba, in cambio del riconoscimento, fra l’altro condizionato.
Nella riunione di quella notte io spiego che non trovare una posizione comunesarebbe esiziale per l’Europa. Che cosa sarebbe successo infatti, in caso di disaccordo? La Germania, il Belgio, la Danimarca e forse l’Italia avrebbero riconosciuto le due repubbliche, mentre gli altri sarebbero rimasti alla finestra, sancendo una spaccatura verticale fra i Dodici e permettendo alle varie parti ex jugoslave di giocarci gli uni contro gli altri. Maastricht sarebbe morto a due giorni dalla nascita.
La migliore delle Europe possibili
È facile criticare Maastricht con il senno di poi. Ma qual era l’alternativa? Noi decisori non ci muoviamo in uno spazio astratto. Dobbiamo restare con i piedi per terra, calcolare costi e benefici delle diverse opzioni. Resto convinto che il Trattato di Maastricht, con tutti i suoi difetti, fosse la migliore soluzione possibile all’improvviso riemergere della questione tedesca.
Con la dissoluzione dell’impero sovietico noi eravamo a un bivio. Una strada ci riportava indietro all’Ottocento, alla logica dell’equilibrio delle potenze. L’altra, la strada dell’integrazione, ci proiettava verso il Duemila. Abbiamo scelto questa seconda strada, forse più difficile, certo più ambiziosa. Lo scambio geopolitico fra unificazione tedesca e stretta integrazione della Germania in Europa, sancita dall’europeizzazione del marco, era l’unica opzione realistica e coerente con i nostri interessi.
Avremmo forse dovuto rallentare l’unificazione tedesca?Mi pare azzardato sostenerlo. L’opinione pubblica non avrebbe capito. Sarebbe stato inoltre molto pericoloso per il mantenimento della pace. Concretamente: che cosa sarebbe successo se al momento del tentativo di golpe in Urss, nell’agosto del 1991, la Germania fosse stata ancora divisa, con centinaia di migliaia di soldati sovietici pronti a intervenire? Ricordo che quel lunedì 19 agosto ero in Jugoslavia, sul lago di Ocrida, per un incontro con il primo ministro Marković, il quale mi disse: «Stasera devo rientrare a Belgrado. Se il colpo di Stato in Urss riesce, mi fucilano…».
Un altro esempio: la guerra del Golfo, all’inizio del 1991. Se non avessimo risolto la questione tedesca per tempo, difficilmente avremmo potuto costruire quel fronte compatto, compresi in buona misura gli stessi sovietici, che liberò il Kuwait e impedì un’estensione del conflitto all’intero Medio Oriente, mettendo a rischio persino l’esistenza di Israele.
Il successo di Maastricht, e quindi la regolazione definitivadella questione tedesca, sarà deciso nei prossimi anni, quando si tratterà di portare a termine l’unione monetaria per poi proseguire, sullo slancio, verso una più stretta integrazione politica senza di cui l’allargamento a est sarebbe un disastro. L’unificazione europea è un processo. Per sviluppare l’integrazione noi dobbiamo stabilire delle procedure, le quali a loro volta, essendo applicate, creano la consuetudine e hanno un effetto autorafforzante.
Io credo che con Maastricht noi abbiamo messo in moto un meccanismo che rende alla maggioranza dei tedeschi più conveniente stare dentro l’Europa che tentare nuove avventure solitarie. La fuoriuscita dal processo di integrazione europea è diventata per la Germania molto più costosa. Basta questa considerazione, credo, per valutare l’importanza storica di quel Trattato, che prima o poi dovrà sfociare nell’integrazione politica del nostro continente.
FONTE:https://lesfumaturedelgarofanorosso.blogspot.com/2020/04/la-verita-su-maastricht-gianni-de.html
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