RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
20 OTTOBRE 2021
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Finché ho fiato, ho speranza
(Dum spiro, spero)
FLORES SENTENTIARUM, Hoepli, 1949, pag. 300
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SOMMARIO
Intervento del Prof. Giorgio Agamben al Senato sul certificato verde ‘Green Pass’
“Una nuova Norimberga”. Il comizio choc del magistrato No Vax
Forza Italia appoggia la revisione dei valori catastali? Segnatevelo, perchè vi asciugheranno
Renzi chiede le dimissioni del presidente Consob Paolo Savona.
Fate attenzione al vostro contatore del gas
Contatori del gas, attenti: potete spendere anche senza consumare
Arrivano le case “invisibili”, costano un decimo e sono bellissime
‘Dammi il sangue, avrai il Passaporto Digitale’: oltre il Green Pass, spot transumanista del Forum Economico Mondiale
CINA,XI:”TAIWAN SARA’ RIUNIFICATA”
Per una critica della società dell’Apocalisse permanente
Spengler, il tramonto dell’Occidente
Il ventennio dell’euro: i dati sul disastro economico italiano
GREEN PASS E STATO PUNITIVO: IL GRANDE FRATELLO DELL’ECONOMIA
Avete bollette super? Colpa della “Responsabilità verde” dei grossi investitori
La Cina è ad un punto di svolta?
Draghi: limiti al diritto di manifestare. E anche l’articolo 17 della Costituzione se ne va.
MURI ANTI-MIGRANTI IN UE: PRESTO REALTÀ?
Eloquente
Uberizzazione del lavoro e trasformazioni del lavoro
Bergoglio nominato guida morale dalla fondazione dei Rothschild
Folla tenta di linciare Bill Gates, salvato dal tempestivo intervento delle forze dell’ordine
Dichiarazione del primo ministro Mateusz Morawiecki al Parlamento europeo
La violenza di Schrodinger
Sul significato politico del Green Pass
Covid, la nuova religione della sinistra
Che cosa faceva il Britannia, panfilo della regina Elisabetta, nel porto di Civitavecchia il 2 giugno 1992?
IN EVIDENZA
Intervento del Prof. Giorgio Agamben al Senato sul certificato verde ‘Green Pass’
Alle odierne “Audizioni in videoconferenza sul ddl n. 2394 (d-l 127/21 – estensione certificazione verde COVID-19 e rafforzamento screening)” tra gli altri è stato audito dalla Commissione Affari costituzionali del Parlamento il professor Giorgio Agamben, filosofo e scrittore. Di seguito l’intervento.
Mi soffermerò soltanto su due punti che vorrei portare all’attenzione dei parlamentari che dovranno votare sulla conversione in legge del decreto.
Il primo è l’evidente, e sottolineo la parola evidente, contraddittorietà del decreto in questione.
Voi sapete che il Governo con un apposito decreto legge, il numero 44 del 2021 detto scudo penale (ora convertito in legge), si è esentato da ogni responsabilità per i danni prodotti dal vaccino. E quanto gravi possono essere gravi questi danni risulta dal fatto che l’articolo 3 del decreto in questione menziona esplicitamente gli articoli 589 e 590 del Codice Penale che si riferiscono all’omicidio colposo ed alle lesioni colpose.
E possibile, chiedo, immaginare una situazione giuridicamente e moralmente più abnorme?
Come autorevoli giuristi hanno notato, questo significa che lo Stato non si sente di assumere la responsabilità per un vaccino che non ha terminato la fase di sperimentazione e tuttavia allo stesso tempo cerca di costringere con ogni mezzo i cittadini a vaccinarsi escludendosi altrimenti dalla vita sociale ed ora, con il nuovo decreto che siete chiamati a votare, privandoli persino della possibilità di lavorare.
E possibile, chiedo, immaginare una situazione giuridicamente e moralmente più abnorme?
Come può lo Stato accusare di irresponsabilità chi sceglie di non vaccinarsi quando è lo stesso Stato che per primo declina formalmente ogni responsabilità in merito alle possibili gravi conseguenze (ricordate gli articoli 589 e 590, Morte e Lesioni) del vaccino.
Ecco, vorrei che i parlamentari riflettessero su questa contraddizione che a mio avviso configura una vera e propria mostruosità giuridica.
Il secondo punto sul quale vorrei attirare la Vostra attenzione non riguarda il problema medico del vaccino ma quello politico del green pass, che non deve essere confuso con il primo. Abbiamo fatto tantissimi vaccini senza che questo ci obbligasse ad esibire un certificato per ogni nostro passo.
E’ stato detto da scienziati e da medici non ha in se nessun significato medico ma serve ad obbligare la gente a vaccinarsi.
Io credo invece che si possa e si debba dire il contrario e cioè che il vaccino sia il mezzo per costringere la gente ad avere un green pass, cioé un dispositivo che permette di controllare e tracciare in misura che non ha precedente i loro movimenti.
I politologi sanno da tempo che le nostre società sono passate dal modello che un tempo si chiamava ‘società di disciplina’ al modello delle ‘società di controllo’: società fondate su un controllo digitale virtualmente illimitato dei comportamenti individuali che divengono così quantificabili in un algoritmo.
Ci stiamo ormai abituando a questi dispositivi di controllo ma vi chiedo fino a che punto siamo disposti ad accettare che questo controllo si spinga. E’ possibile che i cittadini di una società che si pretende democratica, si trovino in una situazione peggiore dei cittadini dell’Unione Sovietica sotto Stalin?
Voi sapete forse che i cittadini sovietici erano obbligati ad esibire un lasciapassare per ogni spostamento da un paese all’altro. Ma noi siamo obbligati ad esibire un green pass anche per andare al ristorante, anche per andare in un museo, anche per andare al cinema, e ora -cosa ancora più grave col decreto che si sta per convertire in legge- anche ogni volta che si va a lavorare.
Inoltre com’è possibile accettare per la prima volta nella storia d’Italia dopo le leggi fasciste del 1938 sui non ariani, si creino dei cittadini di seconda classe che subiscono restrizioni che dal punto di vista strettamente giuridico (ovviamente i due fenomeni non hanno nulla a che fare, parlo strettamente di un’analogia giuridica), identiche a quelle che subirono i non ariani, che come sapete concernevano soprattutto la possibilità di lavorare. Ma i non ariani potevano circolare, potevano andare al ristorante.
Tutto fa pensare cioè che i decreti legge, che si susseguono l’uno dopo l’altro quasi emanassero da una sola persona, vadano inquadrati in un processo di trasformazione delle istituzioni e dei paradigmi di governo della società in cui ci troviamo. Trasformazione che è tanto più insidiosa perché, com’era avvenuto per il fascismo, avviene senza che ci sia un cambiamento del testo della costituzione ma avviene surrettiziamente.
Il modello che viene così eroso e cancellato è quello delle democrazie parlamentari, con i loro diritti, con le loro garanzie costituzionali, e al loro posto subentra un paradigma di governo in cui in nome della biosicurezza e del controllo, le libertà individuali sono destinate a subire limitazioni crescenti.
La concentrazione esclusiva dell’attenzione sui contagi e sulla salute mi pare impedisca infatti di percepire quale sia il significato di questa grande trasformazione che si sta compiendo nella sfera politica, impedisce di rendersi conto del fatto che -come gli stessi governi del resto non si stancano di ricordarci- la sicurezza e l’emergenza non sono fenomeni transitori ma costituiscono la nuova forma di governabilità.
Credo che in questa prospettiva sia più che mai urgente che i parlamentari considerino con estrema attenzione la trasformazione politica in corso, che non si soffermino solo sulla salute, che alla lunga del resto è destinata a svuotare il parlamento dei suoi poteri riducendolo, come sta ora avvenendo, ad approvare semplicemente in nome della biosicurezza decreti che emanano da organizzazioni e persone che col parlamento hanno ben poco a che fare.
Grazie
VIDEO QUI: https://youtu.be/_IWO9unA3BE
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/21368-giorgio-agamben-intervento-al-senato-sul-certificato-verde-green-pass.html
“Una nuova Norimberga“. Il comizio choc del magistrato No Vax
12 Ottobre 2021 – 10:37
Così il giudice della Corte d’Appello di Messina Angelo Giorgianni ha arringato la folla durante una manifestazione in piazza San Giovanni a Roma
Le immagini dell’intervento del magistrato Angelo Giorgianni, tenuto il 9 ottobre scorso in piazza San Giovanni a Roma, in occasione di una manifestazione contro il Green pass, sono pubblicate sul suo profilo Facebook. Un video di un minuto e trentacinque secondi in cui il giudice della Corte d’Appello di Messina ha arringato la folla dal palco, prendendo le distanze dalle istituzioni. “Oggi – ha detto incitando i presenti – il popolo italiano ha dato il preavviso di sfratto a coloro che occupano abusivamente i palazzi del potere. Noi per loro vogliamo un processo, una nuova Norimberga”. Parole forti, che faranno certamente discutere, anche se Giorgianni non è la prima volta che si rivolge in maniera dura nei confronti dei governanti.
Il magistrato, che nel 1996 è stato sottosegretario del governo Prodi, è autore del libro “Strage di Stato: Le verità nascoste della Covid-19”, in cui sono evidenziate le diverse teorie complottiste sulla pandemia. Giorgianni è in magistratura dal 1977 e ha operato nelle procure prima di Caltagirone poi di Reggio Calabria fino al 1985, quando è tornato a Messina, dove in seguito è diventato sostituto procuratore della Repubblica. La sua posizione sul Coronavirus è ormai nota e alimenta continue polemiche. Lo stesso saggio ha creato malumori, soprattutto perché a firmare la prefazione è stato il suo collega e amico, il giudice Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaro. “In questo libro – ha scritto Giorgianni – tratteremo di omicidi, di sequestri di persona, di violenze private. Nella consapevolezza di usare le parole come macigni. Lo facciamo per rendere onore alla verità, perché solo la verità può renderci liberi. Una storia in pieno svolgimento, che vede istituzioni rispettabili agire in senso opposto agli obbiettivi conclamati”.
Sulla vicenda Gratteri, come riportato da ilgiornale.it, l’ex magistrato Carlo Nordio era stato molto duro. “Per l’accesso in magistratura – aveva spiegato – manca l’esame fondamentale: quello psichiatrico”, riferendosi alla contestata prefazione al libro di Giorgianni. Il giudice della Corte d’Appello di Messina, in ogni caso, ha annunciato di aver rassegnato le proprie dimissioni dalla magistratura, che, comunque, non avranno effetto immediato. “L’ho fatto – ha dichiarato al quotidiano Il Giorno – perché voglio essere libero di poter esprimere liberamente le mie opinioni”. Giorgianni non si definisce no vax, anche se sono frequenti le sue partecipazioni a incontri organizzati da coloro che sono nettamente contrari al vaccino anti Covid-19. “Sono per la libertà di decidere se vaccinarsi o meno – ha sottolineato – quindi contro il Green pass. Ho fatto i precedenti vaccini, ma questo no. C’è stata troppa fretta, ingiustificata dal fatto che ci sono le cure precoci, come ho più volte segnalato anche al governatore della Sicilia Nello Musumeci e all’assessore alla Salute, Ruggero Razza”.
Il giudice ha chiarito che dal prossimo 15 ottobre, quando sarà obbligatorio il Green pass anche per entrare in tribunale, farà un tampone ogni tre giorni. “Non credo – ha evidenziato – sia un problema per me, ma per chi non se lo può permettere. Per chi lavora a 700 euro al mese, spendere soldi tre volte a settimana è pesante. Sarebbe stato auspicabile, trattandosi di una misura per garantire la sicurezza sul posto di lavoro, che il costo dei tamponi fosse a carico dei datori di lavoro”. Sull’attacco alla sede della Cgil di sabato scorso Giorgianni ha commentato: “I fatti dimostrano che qualcosa non ha funzionato in termini di prevenzione. In questo momento bisogna solo prendere senza se e senza ma le distanze, perché la violenza contrasta con gli interessi della piazza. Si rischia di inquinare l’immagine di manifestazioni democratiche, inclusive e non ideologizzate”.
VIDEO QUI:
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cronache/governo-vogliamo-nuova-norimberga-anche-magistrato-sul-palco-1981494.html
Forza Italia appoggia la revisione dei valori catastali? Segnatevelo, perchè vi asciugheranno
Ottobre 11, 2021 posted by Guido da Landriano
Gli italiani vivono per 80% in case di proprietà, e il valore dei loro immobili, secondo Banca d’Italia, è paria circa sei mila miliardi di euro, costituendo circa il 50% della ricchezza delle famiglie. Quindi, se un esecutore degli ordini europei può essere spinto a colpire questa ricchezza, appunto perché obbedisce a ordini esterni e non democratici, una forza politica nazionale che desiderasse distruggere la ricchezza delle famiglie sarebbe destinata al suicidio.
Ci è riuscito Mario Monti, perché telecomandato da Bruxelles e perché non aveva un governo democratico, eletto dal popolo. Non appena provò a presentarsi alle elezioni è stato completamente trombato. Ci riesce il PD, perché è la sublimazione dei poteri non democratici di questo paese, di cui si nutre e da cui è nutrito. Ci è riuscito Mario Draghi, almeno per ora, perché anche lui non risponde a nessuno, ennesimo vulnus a quel poco di democrazia rimasto.
Incredibile è che chi si pone come obiettivo la difesa di quella che, un tempo, era la classe media, ora l’ha tradita per l’ennesimavolta.
Prima Forza Italia, i vari Carfagna, Vito, Tajani, la pensavano così:
Poi, come per miracolo, o meglio per non perdere qualche posto ministeriale, per mettere in teorica difficoltà il resto del centrodestra, la posizione è diventata la seguente
Renzi chiede le dimissioni del presidente Consob Paolo Savona.
Quindi Savona aveva ragione
Ottobre 12, 2021 posted by Guido da Landriano
Paolo Savona aveva evidentemente ragione quando, come già scritto su Scenari economici, denunciava il clima dittatoriale in Italia, in una lettera privata filtrata per errore. Ha talmente ragione che il più dittatoriale di tutti, Matteo Renzi, giunge a chiederne le dimissioni. Nel suo podcast Metropolis Matteo Renzi dice : “Il presidente di un autorità indipendente in una Repubblica italiana, che non è la Repubblica delle banane, non dice quelle cose lì. Dire quello che Savona ha detto porta immediatamente a chiedere, e io lo faccio nelle mie vesti da parlamentare, le dimissioni di Savona dalla Consob: dovrebbe andare a casa stasera. È folle ed è una ferita alle istituzioni italiane”.
Se il professor Savona si fosse sbagliato, tra l’altro in una lettera privata, perchè prendersela. Sarebbe evidente. peccato che l’Italia non sia più una democrazia, o meglio sia una democrazia decaduta, proprio per i comportamenti dei vari Renzi insieme al PD.
FONTE: https://scenarieconomici.it/renzi-chiede-le-dimissioni-del-presidente-consob-paolo-savona-quindi-savona-aveva-ragione/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Fate attenzione al vostro contatore del gas
VIDEO QUI:
FONTE: https://www.facebook.com/watch/?v=1144278075720754
Contatori del gas, attenti: potete spendere anche senza consumare
Alcuni esemplari dei nuovi tipi di contatori digitali segnano consumi anche se abbiamo chiuso il gas. Controllate tutti, è meglio: vi spieghiamo come e vi lasciamo l’email contatoridelgas@gmail.com per segnalarci eventuali anomalie
Guarda la puntata del 7 ottobre
Cappuccio da terrorista, voce dissimulata, Fabio (il nome è di fantasia) ci ha raccontato i rischi per le nostre tasche che arrivano dai nuovi contatori elettronici digitali del gas.
La nostra “talpa” ci ha portato uno di questi contatori, difettoso come pare ce ne siano molti in giro. In pratica, con questi esemplari, se si chiude il gas, alcuni contatori segnano del consumo inesistente, facendocelo pagare.
Abbiamo fatto il test, fatelo anche voi. Perché abbiamo a che fare con più casi”, per spese inesistenti da 15 euro al mese, come ci racconta il nostro informatore mascherato, secondo cui il problema è noto tra chi lavora nel settore.
Il problema non sarebbe voluto, ma c’è chi ci guadagna senza comunicarlo agli utenti. Ognuno può fare una verifica come spiega Matteo Viviani. Se, facendo un test, capitano anche a voi anomalie del genere, segnalatecele sull’email, come vi spiega la nostra Iena: sull’email contatoridelgas@gmail.com.
FONTE: https://www.iene.mediaset.it/video/viviani-contatori-gas-elettrici-digitali-consumi_191228.shtml
Arrivano le case “invisibili”, costano un decimo e sono bellissime
Strutture “mimetiche” con design così belli da finire sulle riviste specializzate, eppure stando ad alcuni casi recenti costano meno dei normali appartamenti.
Da fuori sembra una piccola baita incastrata tra le rocce e la macchia mediterranea, una casa sicuramente piccola, magari addirittura umile. Invece si tratta di una grande villa mimetizzata. Com’è possibile?
Villa la Grintosa è un’opera architettonica senza possibilità di paragoni: il cemento utilizzato dai costruttori crea ambienti che si sposano perfettamente con l’ambiente circostante, cioè quello della natura della costa della Sardegna. Ma il design e la bellezza della casa sono finiti fotografati, e pubblicati, da riviste del settore, libri di architettura e importanti studi sull’armonia tra casa e ambiente.
Ma l’aspetto più incredibile di Villa la Grintosa è l’estrema funzionalità della casa: c’è una piscina ricavata tra le rocce, che sembra a tutti gli effetti un piccolo lago artificiale con l’acqua trasparente. C’è una veranda tutta costruita in legno e pietra che sembra quasi sia stata scavata dal vento, e invece è artificiale. Insomma, tutta la casa è sorprendentemente mimetizzata.
Ma la bellezza e la funzionalità, insieme alla mimetizzazione, hanno fatto sorgere una domanda a esperti e architetti: cosa succederebbe se tutti d’ora in poi costruissimo case mimetizzate? Diminuirebbe l’impatto ambientale? E, soprattutto, diminuirebbero i costi?
La risposta è che sì, succederebbe. Perché? Il motivo è apparentemente semplice: se vogliamo costruire una casa mimetizzabile occupiamo meno suolo, usiamo meglio gli spazi, utilizziamo molti più materiali riciclati e provenienti direttamente dalla natura circostante.
Come si vede da altri esempi di architetture mimetizzabili e con un uso importante di legno e materiali naturali e riciclati, il costo di queste case può essere bassissimo. Non si tratta sempre di case piccole – la stessa Villa la Grintosa non lo è per nulla – eppure i costi di costruzione in media scendono e di tanto.
Non sappiamo quanto costi Villa la Grintosa, probabilmente tanto visto quanto è diventata celebre tra gli addetti al settore, eppure le case del suo tipo anziché tanto costano pochissimo.
Diverse case costruite secondo questo principio infatti possono costare anche soltanto un decimo del prezzo che siamo abituati a pagare per una casa. Proprio così: un decimo. Come se una casa, anziché 300 mila euro (come un appartamento in una grande città italiana) costasse solo 30 mila, come un’auto o un camper.
FONTE: https://www.esquire.com/it/lifestyle/viaggi/a37962557/case-invisibili-mimetiche/
‘Dammi il sangue, avrai il Passaporto Digitale’: oltre il Green Pass, spot transumanista del Forum Economico Mondiale
‘Dammi il tuo sangue, riceverai il Passaporto Digitale con QR Code su Smartphone, strumento con cui accedere ad aventi, manifestazioni, viaggiare in aeroporti, partecipare a conferenze e pellegrinaggi’. Oltre il Green Pass, le nuove libertà sono racchiuse nello spot targato Uplink e Forum Economico Mondiale.
“Innovazioni per plasmare il futuro della salute e dell’assistenza sanitaria‘ è la mission di Uplink, una start up di raccolta fondi come piattaforma digitale “per il crowdsourcing di soluzioni per i problemi più urgenti del mondo” legata al Forum Economico Mondiale di Davos (Svizzera), la più potente lobby che professa la fusione transumanista tra biologico, fisico e digitale.
CLICCA SOTTO – GUARDA IL VIDEO
Manifesto contro il Transumanesimo e l’Intelligenza Artificiale (del 5G), l’elogio all’Uomo naturale degli accademici tecnoribelli
Lo spot transumanista segue la campagna pubblicitaria lanciata dal gruppo bancario HSBC, The Hongkong and Shanghai Banking Corporation Limited: “il tuo DNA sarà il tuo dato“, da Londra recitava nel 2013 la cartellonistica partorita ad Hong Kong dal primo istituto di credito europeo per capitalizzazione (157,2 miliardi di euro). Quindi sangue e DNA come banca dati tracciabile su reti e strumenti di nuova tecnologia: è questa la nuova frontiera su cui stanno investendo non solo le multinazionali.
Maurizio Martucci: vi spiego cos’è il
Transumanesimo e cosac’entra col 5G
FONTE: https://oasisana.com/2021/10/16/dammi-il-sangue-avrai-il-passaporto-digitale-oltre-il-green-pass-spot-transumanista-del-forum-economico-mondiale/
CONFLITTI GEOPOLITICI
CINA,XI:”TAIWAN SARA’ RIUNIFICATA”
Il presidente cinese Xi Jinping ha promesso di realizzare la “riunificazione” di Taiwan, senza però fare cenno all’uso della forza.
Parlando nella Grande Sala del Popolo di Pechino in occasione dell’anniversario della rivoluzione, Xi ha detto che la Cina ha una “gloriosa tradizione” nell’”opporsi al separatismo” e che il separatismo di Taiwan “è l’ostacolo più grande per raggiungere la riunificazione alla madre patria e il più grave pericolo nascosto per il ringiovanimento nazionale”.
Xi ha affermato che “la riunificazione con mezzi pacifici è quella più in linea con l’interesse generale della nazione cinese, compresi i compatrioti di Taiwan”, aggiungendo che Pechino proteggerà la propria sovranità e unità. “L’obiettivo storico di completare la riunificazione alla madre patria deve essere raggiunto e sarà certamente raggiunto”, ha detto ancora il presidente cinese.
Le parole di Xi giungono dopo settimane di forti tensioni tra Pechino e Taipei, con sullo sfondo il confronto più ampio tra Cina e Stati Uniti.
Il presidente cinese ha poi lanciato un monito: “Nessuno dovrebbe sottovalutare la solida determinazione del popolo cinese, la sua ferma volontà e la sua forte capacità di difendere la sovranità nazionale e l’integrità territoriale” della Cina. “La questione di Taiwan – ha aggiunto – è una questione puramente interna per la Cina, che non tollera interferenze esterne”.
FONTE: https://www.internationalwebpost.org/contents/CINA,XI:-quot;TAIWAN_SARA%E2%80%99_RIUNIFICATA-quot;_23440.html#.YW-YSRpBzIV
CULTURA
Per una critica della società dell’Apocalisse permanente
di Sandro Moiso
Francesco “Kukki” Santini, Apocalisse e sopravvivenza. Considerazioni sul libro «Critica dell’utopia capitale» di Giorgio Cesarano e sull’esperienza della corrente comunista radicale in Italia (nuova edizione riveduta e accresciuta), Edizioni Colibrì, Milano 2021, pp. 176, 15,00 euro
Costoro sono nati per una vita che resta da inventare; nella misura in cui hanno vissuto, è per questa speranza che hanno finito con l’uccidersi (Raoul Vaneigem, Banalità di base)
Tornato per un momento dall’esilio sull’isola di Patmos e costretto a posare i piedi nella realtà attuale, l’evangelista Giovanni si stupirebbe certamente nel constatare come l’umanità contemporanea si sia assuefatta a vivere, anche se sarebbe forse meglio dire sopravvivere, in una apocalisse continua: climatica, economica, politica, militare, sanitaria, sociale e ambientale.
Un autentico inferno che, colui che è ancora rappresentato nell’iconografia cristiana come l’aquila, per la sua lungimiranza e profonda capacità visionaria, non avrebbe saputo anticipare nemmeno nei suoi incubi più terribili.
Questa Apocalisse terrena, che non si è ancora sviluppata in alcuna lotta definitiva tra il Bene e il Male, anche se nel corso dei secoli milioni di persona sono morte a causa di crociate politico-militari e religiose che promettevano, da vari e contrastanti punti di vista, il trionfo del primo sul secondo, ha avuto, però e fin dai primi anni Settanta del ‘900, un suo anticipatore, seguito da un ristretto numero di seguaci, in Giorgio Cesarano.
Come afferma Francesco “Kukki” Santini nel riassumerne l’opera di Giorgio Cesarano (1928-1975) intitolata, appunto, Apocalisse e Rivoluzione (con Gianni Collu, come attestava il frontespizio del manoscritto, Dedalo, Bari 1973):
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/filosofia.html
Spengler, il tramonto dell’Occidente.
17 Giugno 2021 by Roberto Pecchioli
Ciascuno di noi è influenzato da tutti i libri che ha letto. Altra cosa sono i testi – e gli autori- che ci hanno formato, le opere che diventano l’imprinting della nostra personalità e della visione del mondo alla quale aderiamo. Per chi scrive, si tratta di Dante, Tommaso d’Aquino, Cervantes, Tocqueville, Ortega y Gasset, Dostoevskij e pochi altri. Se c’è un autore che ha forgiato in profondità il nostro spirito, quello è Oswald Spengler. Tedesco della Sassonia, dunque prussiano, ma poi bavarese di residenza sino alla morte, avvenuta nel 1936 a soli 56 anni, ingegnere per studi, storico, filosofo, morfologo della storia per attitudine e scelta, fu forse la voce più potente, singolare e solitaria della Rivoluzione Conservatrice, il fenomeno culturale che attraversò la Germania nella prima parte del XX secolo, tra Weimar, la sconfitta dell’Impero guglielmino e la temperie che portò al potere il nazionalsocialismo.
Spengler ammise negli anni Venti di aver votato per Hitler, poi fu un avversario tenace del nazismo, che lo emarginò, lo mise nel mirino con attacchi feroci e la consegna del silenzio. Alla sua morte, causata da un infarto, ci fu chi ipotizzò la responsabilità del partito di Hitler, una voce mai corroborata da prove.
L’opera che ne consacrò la fama fu Il tramonto dell’Occidente, uscito nel 1918, nel momento della sconfitta tedesca, della fine degli imperi e all’alba della consapevolezza, per alcuni grandi spiriti, che la Grande Guerra , i suoi massacri, le sue trincee insanguinate, la guerra chimica e di materiali potentemente descritta da un altro grande tedesco, Ernst Juenger , fu la tomba dell’Europa, del suo spirito e della sua civiltà, come lo era stata, per quattro lunghissimi anni, della sua gioventù. Contemporaneamente a Spengler, dall’altro lato del Reno, si levava la voce di Paul Valéry: “noi, le civiltà, ora sappiamo di essere mortali”. Analoghi concetti, analizzati prevalentemente sotto il profilo geopolitico e dal punto di vista dell’impero britannico, sarebbero stati poi espressi da Arnold Toynbee nel monumentale “Civiltà al paragone”. In Italia, Il Tramonto fu letto e apprezzato da Mussolini in lingua originale, ma pubblicato solo nel 1957 nella scintillante traduzione di Julius Evola.
In tempi ancora successivi, il tema della decadenza della civiltà europea e occidentale diventerà un filone del nichilismo, ad esempio nell’opera del franco rumeno Emil Cioran. Tuttavia, nessun intellettuale indagherà tanto a fondo le civiltà storiche, né elaborerà una teoria generale, una vera e propria morfologia delle civiltà umane, quanto l’arcigno ingegnere tedesco. In più, esprimerà in anticipo su Heidegger, sullo stesso Juenger, su Ellul e molti altri una profonda riflessione sulla tecnica come elemento centrale della civilizzazione moderna.
Spengler esercitò altresì un’influenza rilevante su numerose correnti culturali, storiche e scientifiche, oltrepassando il pur variegato recinto della Konservative Revolution e di quella “cultura del pessimismo” di cui fu appartato, ma significativo esponente. Il tramonto dell’Occidente, gigantesco affresco di filosofia della storia, fu il simbolo di una stagione caratterizzata dalla messa in discussione della tradizione liberale. Spengler era un conservatore, un elitario a tutto tondo, e certamente la sua polemica contro la repubblica di Weimar fornì un armamentario ideologico di prim’ordine a correnti e suggestioni che confluirono poi nel nazionalsocialismo.
La sua concezione, espressa nel Tramonto dell’Occidente, ma anche in Anni della Decisione, nell’ Uomo e la Tecnica e nel suo testo più “politico”, Prussianesimo e Socialismo, può essere definita naturalismo storico, una teoria che interpreta la storia come espressione di leggi biologiche. “Le civiltà sono organismi e la storia universale è la loro biografia complessiva”. Niente di più materialistico, in apparenza, ma Spengler non può essere iscritto frettolosamente al campo materialista. Per lui, ciò che distingue la storia dalla natura è il suo carattere “organico”. Natura è tutto ciò che è dominato da una necessità meccanica, storia ciò che è dominato da una necessità organica. Pertanto, le civiltà- che egli analizza in un complesso, erudito percorso in cui si intrecciano archeologia, spiritualità, filosofia, storia, antropologia, etnologia- vanno concepite e studiate come organismi che nascono, crescono e muoiono. Realtà uniche e irripetibili, radicate in un tempo, un luogo, un popolo o un gruppo di popoli.
Un passo del Tramonto illumina sulla concezione spengleriana. “Una cultura nasce nell’attimo in cui una grande anima si desta dallo stato psichico originario dell’eternità eternamente fanciulla e se ne distacca, come una forma da ciò che è privo di forma, come qualcosa di limitato e di perituro dall’illimitato e dal permanente. Essa fiorisce sulla base di un territorio delimitabile in modo preciso, al quale rimane vincolata come una pianta. Una cultura perisce quando quest’anima ha realizzato l’intera somma delle sue possibilità sotto forma di popoli, di lingue, di dottrine religiose, di arti, di stati e di scienze, ritornando quindi nel grembo della spiritualità originaria. “.
L’idea di tramonto dell’Occidente fa pensare all’esaurimento delle energie vitali ma anche all’insorgere di altre civiltà: declino di un mondo e alba di un altro. Ognuna è caratterizzata da un proprio sistema di valori che la impronta e diventa, dentro di essa, un assoluto che si relativizza se analizzato nel complesso delle distinte civiltà. La storia, dunque, non va interpretata secondo lo schema illuministico del progresso, ma come successione di grandi civiltà indipendenti l’una dell’altra, il cui movimento è circolare, similmente alle stagioni della vita: nascita, sviluppo, maturità, invecchiamento, morte.
In polemica con Kant, portò al massimo livello la contrapposizione tra Kultur e Zivilisation, presente nella cultura tedesca sin dal secolo XVIII. Kultur, per Spengler, è la civiltà, mentre Zivilisation, civilizzazione (o società) è il suo stadio ultimo, manieristico, degenerativo. Nel suo percorso organico, ogni Kultur-civiltà attraversa vari stadi. L’iniziale slancio creativo porta alla maturità, alla pienezza, ma sfocia ineluttabilmente in una sorta di irrigidimento, sintomo di vecchiaia e tramonto. La Zivilisation è caratterizzata da norme e valori meramente esteriori, convenzionali, il cui esito è lo scetticismo diffuso e poi il materialismo, ultima tappa prima del definitivo tramonto.
Se questa è la cornice, l’Occidente- Abendland – terra della sera o del tramonto nel titolo, quasi un’endiadi se abbinata a untergang, che significa tramonto, ma anche caduta – è solo l’ultima in ordine di tempo delle grandi civiltà storiche. Il suo percorso si è concluso, ha perduto forza, dinamismo: il tempo di Spengler è quello del declino, che un secolo dopo ha definitivamente compiuto il suo ciclo. Il destino è quello di diventare storia, passato, e lasciare il campo a civiltà nuove, giovani, le civiltà “di colore” di cui aveva previsto l’avvento. I sintomi della decadenza per Spengler erano evidenti nella crisi della morale e della religione, nel prevalere delle democrazie e del socialismo, nel potere crescente del denaro che si fa potere politico.
Nel contempo, si spengono i grandi stili artistici – approfondirà il tema nella generazione successiva l’austriaco Hans Sedlmayr– l’arte si riduce a moda, l’umanità si concentra in poche grandi metropoli, gli alveari disumanizzanti di cui parlerà, ad esempio, lo scrittore spagnolo Camilo José Cela. Dilaga un atteggiamento sentimentale di fondo, o meglio un’emotività immediata, priva di profondità. Per Spengler, tutto ciò condurrà al “cesarismo” – il potere di un uomo solo – e poi alla barbarie, su cui nascerà una nuova civiltà, che egli chiama “russa”, più per orrore del bolscevismo che per disprezzo verso il vicino slavo. L’avvicinamento tra Germania e Russia fu anzi uno dei temi della Rivoluzione Conservatrice (i popoli dal “sangue giovane”), in particolare di Arthur Moeller Van Den Bruck, che infatti accolse con scetticismo l’opera di Spengler.
L’ingegnere sassone fu influenzato soprattutto da due giganti della cultura tedesca, Goethe e Nietzsche. Dal grande letterato- che egli considerava soprattutto un pensatore- trasse l’interesse per la figura archetipica di Faust, l’uomo che non vuole limiti, disposto a tutto per sapere, avanzare e penetrare i segreti della natura e dell’essere. Uomo “faustiano “è la definizione che Spengler dà dell’idealtipo occidentale, animato da una febbrile volontà di potenza che lo porta alla scoperta, alla conquista, all’amore per il rischio e l’ignoto. Ma l’universalizzazione della civiltà e del carattere faustiano, per Spengler, sono l’inizio della sua fine, poiché “una civiltà fiorisce su una terra esattamente delimitabile, alla quale resta attaccata come una pianta. “La nostra, come le altre civiltà-kultur inizia il suo declino che diventa civilizzazione, poi tramonto e infine caduta nel momento del suo apogeo. “Una volta che lo scopo è raggiunto e che l’idea è esteriormente realizzata nella pienezza di una tutte le sua interne possibilità, la civiltà d’un tratto s’irrigidisce, muore, il suo sangue scorre via, le sue forze sono spezzate, essa diviene civilizzazione.” La Kultur perde, per così dire, la sua “forma”.
Concetti che Spengler esprimeva in piena euforia progressista, con una straordinaria capacità di anticipo sui tempi. Fu il primo a cogliere i segni di quello che nei decenni successivi diventerà il progetto cosmopolita dell’Occidente, indizi di una volontà di potenza che – paradossalmente – si rovescia in tramonto per la perdita dei caratteri originari. Si è spesso parlato di pessimismo spengleriano: il declino è fatale, non vi sono vie d’uscita alla luce del grande affresco dipinto nel Tramonto. Tuttavia, il suo è un pessimismo attivo, che invita a tenere duro, a non essere passivi, respingendo con fermezza, ad esempio, le contaminazioni. Inevitabile è il rifiuto del cosmopolitismo e di quella che oggi chiamiamo multiculturalità. L’avvertimento di Splengler è impietoso: culture radicate in tradizioni differenti non si possono mescolare. La conseguenza dell’innesto è l’accelerazione del declino dell’Occidente ad opera di popoli “giovani” che credono nella loro tradizione e identità culturale. Popoli ancora ricchi di simbolicità, non disposti a farsi “contaminare”, e che in tale determinazione esprimono la potenza ascendente di una civiltà contrapposta a quella al tramonto.
Il globalismo porta con sé la perdita di ogni riferimento simbolico, che per Spengler rappresenta invece l’energia vitale di ogni civiltà. Perdere i simboli significa tramontare, per cui la globalizzazione –occidentalizzazione malata del mondo- non è il segno di una vittoria, ma la prova irrevocabile del declino. Un tramonto che Spengler individua in modo speciale nell’umanità sradicata delle metropoli, scettica, folla solitaria, trasformata da persona in essere collettivo, nomade e monade, incapace di pensiero, un soggetto che si lascia vivere senza un domani, privo di slanci, obiettivi, bandiere.
La preferenza – o la nostalgia- di Spengler per un mondo di piccole comunità, per la vita rurale, paragonata alla meccanica impersonale dell’universo metropolitano, destò l’ammirazione del sociologo e urbanista Lewis Mumford, autore del Mito della Macchina e de La cultura delle città, analista d’eccezione dell’epoca ingegneristica che stava compiendo il passaggio da una società biologica a una meccanica. Un passaggio epocale in via di completamento che ha comportato la svendita dell’anima dell’uomo faustiano, schiavo degli apparati da egli stesso inventati dopo aver scoperto e utilizzato molti segreti fisici e aver fatto di Techne uno strumento di dominio planetario.
La storia, sulle tracce di Goethe, è per Spengler “natura vivente”, un impianto culturale che non poteva che essere inviso alla filosofia hegeliana e marxista, così come il suo radicale anti egalitarismo, esposto soprattutto in Anni della decisione. “La società si fonda sulla diseguaglianza degli uomini. Questo è un fatto naturale. Ci sono nature forti e nature deboli, caratteri inclini e caratteri inadeguati a comandare, temperamenti creativi e temperamenti privi di talento: rispettabili e disprezzabili, ambiziosi e modesti. Quanto più ha un senso e un significato, tanto più una Kultur assomiglia al processo formativo di un nobile corpo animale o vegetale, per cui tanto maggiori risultano le diversità tra gli elementi costitutivi: le diversità, non i contrasti, i quali infatti vengono introdotti soprattutto per calcolo.”
Profetica è l’analisi della civilizzazione stremata, estenuata, nella quale “il significato di maschio e femmina va perduto, e la volontà di perpetuarsi viene meno. Si vive solo per se stessi, non per l’avvenire delle generazioni. Per il contagio diffuso dalla città, la Nazione in quanto società – all’origine il plesso organico di famiglie – minaccia di dissolversi in una somma di atomi privati, ciascuno dei quali mira a trarre dalla propria vita e da quella degli altri la massima quantità di piaceri: panem et circenses.” E ancora “I popoli bianchi, fino a che punto si sono inoltrati in questo pacifismo? Il chiasso contro la guerra esprime una posa intellettuale, un atteggiamento astratto, oppure rivela la consapevole abdicazione alla storia, a prezzo della dignità, dell’onore, della libertà? Ma la vita è guerra. Il bisogno di una quiete da fellah, di un’assicurazione contro tutto ciò che disturba la piatta quotidianità, contro il Destino in ogni suo aspetto, sembra aspirare a questo esito: una sorta di mimetismo dinanzi alla storia mondiale, il fingersi morti di insetti umani di fronte al pericolo, l’happy end di un’esistenza priva di significato, segnata da una noia sulla quale musica jazz e balli negri intonano la marcia funebre della grande Kultur. Gli uomini di colore non sono pacifisti. Non sono attaccati a un vivere il cui unico valore è la lunga durata. Se noi la deporremo, saranno loro a raccogliere la spada. Una volta essi temevano l’uomo bianco, ora lo disprezzano.”
Ne L’uomo e la tecnica affronta un tema che il Terzo Millennio ha reso ulteriormente urgente: che cosa significa tecnica? Qual è il suo senso nella storia, il suo peso nella vita dell’uomo, il suo posto morale o metafisico? La risposta di Spengler è duplice, forse contraddittoria: nel Tramonto dell’occidente è la pianta malata di cui si ciba la decadenza, ne L’uomo e la tecnica, anticipando pensatori come Heidegger e Hannah Arendt e scrittori “filosofici” come Ernst Juenger (L’ Operaio), diventa motrice della storia. Oltre Kultur e Zivilisation, la tecnica è connaturata all’uomo, è parte della stessa essenza umana. In questo si avvicina ad Arnold Gehlen, l’antropologo per il quale l’uomo è l’essere che – attraverso intelligenza e razionalità tecnica, si “esonera” dai gesti materiali e supera la dimensione istintuale. La tecnica, dunque, è insieme strumento e destino della specie umana, sino all’ardito accostamento di tecnica e metafisica.
Nel Tramonto, Spengler tenta per primo un esperimento di portata tellurica, esposto chiaramente dall’autore: “in questo libro viene tentata per la prima volta una prognosi della storia. Ci si è proposti di predire il destino di una civiltà e, propriamente, dell’unica civiltà che oggi stia realizzandosi sul nostro pianeta, la civiltà euro-occidentale e americana, nei suoi stadi futuri”. La diagnosi è severa, la prognosi infausta: l’Occidente cade per consunzione, né può trovare sbocchi di sopravvivenza, giacché ha concluso il suo ciclo vitale. Spengler contesta il percorso lineare della storiografia secondo il quale gli eventi seguirebbero un andamento teso a un fantomatico progresso, riagganciandosi piuttosto a concetti come l’eterno ritorno e la nicciana volontà di potenza- oggi definitivamente risolta nel suo contrario, al di fuori del titanismo tecno scientifico – e al mito di Faust.
Essenziale, in largo anticipo sui tempi, è la consapevolezza di vivere in un’epoca di crisi, in particolare intellettuale e valoriale, l’esaurirsi delle certezze che il Novecento ereditava dall’ottimismo del secolo precedente, il cui apice fu il positivismo. Vide il progresso anche nella sua tendenza inesorabile a tagliare i ponti con il passato. “Quello che ci appare più chiaro nei suoi contorni è il tramonto dell’antichità, mentre già oggi avvertiamo chiaramente in noi e intorno a noi i primi indizi di un avvenimento ad esso del tutto analogo per corso e durata, che appartiene ai primi secoli del prossimo millennio: il tramonto dell’Occidente.”
Il percorso immaginato dall’ingegnere prussiano si è compiuto. La prognosi si è rivelata esatta; del resto Spengler non aveva prescritto alcuna terapia. Se ogni civiltà è un organismo e ha quindi una nascita, una crescita, una decadenza e una morte, come ogni organismo biologico il ciclo è ineluttabile, determinato dal corredo di possibilità di cui dispone all’inizio del suo sviluppo. In linguaggio contemporaneo, ogni civiltà ha un proprio codice genetico e una scadenza. E’ la logica organica della storia. Una specie di destino, una categoria estranea alla razionalità, un amor fati delle civiltà che non spiega la decadenza, ma ne prende atto e, in qualche maniera, la attribuisce all’inesorabile legge dell’inizio e della fine.
La civiltà occidentale seguirà il cammino di tutte quelle che l’hanno preceduta. L’anamnesi, i sintomi della decadenza sono rintracciati da Spengler nei fenomeni economici e politici del mondo a lui contemporaneo, e li scorge nell’affermazione della borghesia, nel primato dell’economia sulla politica, nella democrazia avvinta dal denaro, nella crisi dei princìpi religiosi e nella inesistente libertà di pensiero. “Non esiste una satira più tremenda della libertà di pensiero. Un tempo non si poteva osare di pensare liberamente; ora ciò è permesso, ma non è più possibile. Si può pensare soltanto ciò che si deve volere, e proprio questo viene percepito come libertà “. Riflessioni che sembrano riferirsi, con un secolo di anticipo, all’odierna “cultura della cancellazione” di provenienza americana, ma di matrice francese e francofortese.
Un altro aspetto assai interessante è il singolare relativismo spengleriano, in parte mutuato da un pensatore storicista come Wilhelm Dilthey. Ogni civiltà rappresenta un mondo a sé, elabora un proprio linguaggio formale, un simbolismo, una specifica concezione della natura e della storia. La comprensione è dunque reale solo dentro la medesima civiltà, orizzonte primario e intrascendibile. La conseguenza è l’affermazione che non può esistere una filosofia o una morale universale-assoluta, e nessun principio teorico o pratico può ambire a una validità non contingente.
Vi è dunque un dualismo natura – storia. La prima è il dominio della necessità causale espressa nelle formule e nelle leggi della scienza. La storia è il regno della vita e del divenire vitale, in cui il protagonista non è tanto l’uomo, quanto la “cultura”, un tema caro al romanticismo tedesco, da Herder sino a Burkhardt. Il destino prevede inesorabilmente il tramonto, ovvero la Zivilisation, prodromo della fine. Nessuna speranza, quindi, se non in un radicale sovvertimento di tutti gli pseudo-valori della civilizzazione che riconduca l’Occidente al rinnovamento attraverso la riscoperta delle sue origini. Lo spiraglio chiuso dallo Spengler del Tramonto è riaperto, o almeno lasciato socchiuso nella formula suggestiva di Anni della decisione, il libro della maturità e della proposta: “L’unica cosa che promette la saldezza dell’avvenire è quel retaggio dei nostri padri che abbiamo nel sangue. Idee senza parole”.
L’Occidente ha rinunciato anche a quello e muore in un deserto di idee e in un’alluvione di parole che significano il contrario di ieri e di sempre. La profezia dell’ingegnere filosofo della storia si è avverata, al tramonto segue la notte. Spengler ne fu consapevole nell’ultima parte della sua vita, in cui, isolato dal nazismo “plebeo”, raccoglieva appunti e idee che non poté mai organizzare e tanto meno pubblicare. Immaginò un titolo, drammatico ma aperto alla speranza: Sentiero nel buio. E’ quello che, faticosamente, quasi tragicamente, deve percorrere il tramontato Occidente per sperare, chissà come, dove e quando, in un nuovo ciclo di Kultur, forse l’eterno ritorno immaginato da Friedrich Nietzsche.
FONTE: https://www.qelsi.it/2021/spengler-il-tramonto-delloccidente/
ECONOMIA
Il ventennio dell’euro: i dati sul disastro economico italiano
Nel 2019 si chiudeva il peggior decennio della storia dell’economia italiana, ma visto che al peggio non c’è mai fine è arrivata la crisi del coronavirus a portarci ulteriormente indietro. In attesa di riprenderci (forse) dall’ennesima crisi, il primo gennaio 2022 ricorrerà il 20° anniversario da quando l’euro divenne moneta a corso legale e il conseguente “pensionamento” della lira.
Per essere pronti ad affrontare qualsiasi discussione sul tema, ecco una carrellata dei principali indicatori macroeconomici italiani da tenere a portata di mano. Che cosa è cambiato dopo quasi vent’anni di euro? Scopriamolo insieme.
LA STAGNAZIONE VENTENNALE DEL PIL
Il prodotto interno lordo misura i beni e servizi finali di una nazione. Prima della pandemia, l’economia italiana non si era mai ripresa dalla doppia recessione del 2008-13. In termini reali (cioè depurati dalla variazione dei prezzi), il PIL del 2019 era rimasto sui livelli del 2004, ma dopo la crisi covid è tornato indietro ai valori del 1998.
Nel 2019 il PIL reale era inferiore del 3,9% rispetto al 2007, mentre nel 2020 questo gap è salito al 12,4%. Mai esistita dall’unità d’Italia una crisi così lunga, guerre mondiali incluse. E non è una battuta, basta osservare la serie storica del PIL dal 1861 per rendersene conto.
Infatti, dopo la devastazione della seconda guerra mondiale, i valori prebellici del 1939 furono recuperati nel 1949 (maggiori dettagli in questo articolo). Mentre oggi stiamo ancora raccogliendo i cocci di tre crisi economiche e la luce in fondo al tunnel è ancora lontanissima.
PIL PRO CAPITE DA “ANNI 90”
Rapportando alla popolazione i dati visti prima del prodotto interno lordo, si ottiene il PIL pro capite. E qui diventa ancora più chiaro il pressoché costante impoverimento degli italiani all’indomani dell’introduzione della moneta unica, però per i “negazionisti dell’euro” non c’è correlazione.
Dopo la crisi finanziaria globale del 2008, il nostro pil pro capite reale si è sempre mantenuto sotto i valori del 2000. Nel 2019 l’indicatore si attestava ai livelli del 1999, ma dopo la crisi covid è tornato leggermente sotto ai valori del 1995.
LA DISTRUZIONE DELLA DOMANDA INTERNA
Escludendo dal conteggio del PIL il saldo della bilancia commerciale (che vedremo verso la fine), si ottiene la domanda interna. Probabilmente è l’indicatore che mostra al meglio tutte le legnate che abbiamo subìto durante le crisi economiche.
Dopo il severo crollo fra il 2008 e il 2013 e la successiva lenta ripresa, nel 2019 la domanda interna era rimasta ai valori reali del 2001 (-6,7% rispetto al 2007), mentre dopo il crollo record del 2020 – di oltre otto punti – è tornata ai livelli del 1998 (-14,5% rispetto al 2007).
PERSO UN QUARTO DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE
Negli ultimi vent’anni la “deindustrializzazione” è stata la regola, infatti nel 2019 la produzione industriale si attestava ai livelli reali dei primi anni 90. Nel 2020 c’è stato un ulteriore balzo indietro a quota 1985, che si traduce in un -25,4% di produzione persa rispetto al 2001.
Un po’ a sorpresa, la caduta della produzione industriale registrata lo scorso anno (-11,1%) rimane ben lontana dal record negativo del 2009 (-18,6%), pur classificandosi al secondo posto “all times”.
SALARI REALI INDIETRO DI TRENT’ANNI
Arriviamo quindi alla “corsa prezzi salari”, che consiste nel mettere a confronto la variazione percentuale annua delle retribuzioni nominali con quella dei prezzi. Se i salari nominali crescono più velocemente dell’inflazione il potere d’acquisto aumenta, viceversa diminuisce.
Con la tanto vituperata “liretta” erano rari i momenti in cui i salari non riuscivano a tenere il passo dei prezzi, di questi soltanto una volta è successo in ambiente di alta inflazione (il 1982).
Mentre con l’eurone abbiamo avuto la peggior perdita del potere d’acquisto nel 2012, un record nuovamente battuto l’anno precedente, quando il salario nominale è crollato di quasi 6 punti a fronte di un’inflazione inesistente (-0,1%).
Volendo si possono convertire le retribuzioni da nominali in reali deflazionandole con l’indice nazionale dei prezzi al consumo. Ecco quindi la serie storica espressa ai prezzi del 2020.
Se nel 2019 i salari reali viaggiavano sui valori del 1999 (-4,5% rispetto al 2007), dopo il crollo del 2020 siamo tornati ai livelli di fine anni 80 (-10% rispetto al 2007). Non vi sentite tutti più competitivi adesso?
REDDITI E RISPARMI DELLE FAMIGLIE
Vediamo ora il reddito disponibile delle famiglie, cioè l’ammontare di risorse destinate o al consumo o al risparmio, sempre in termini reali (in questo caso deflazionato con l’indice dei consumi privati) e al netto degli ammortamenti.
La perdita subìta nel 2020 si classifica come la terza peggiore degli ultimi 30 anni, dietro quella del 1993 e del 2012. Questo perché lo scorso anno son state fatte massicce politiche di sostegno al reddito, che hanno mitigato l’impatto della crisi covid.
Questo indicatore inoltre mette ben in luce il cambio di paradigma economico attuato da Maastricht in avanti. L’altra cosa interessante da segnalare è che, dopo il “salvataggio” di Monti, il potere d’acquisto delle famiglie è rimasto costantemente sotto il livello del 2001.
Per quanto riguarda il tasso di risparmio – cioè la quota del reddito disponibile netto che non è finita nei consumi – dal 1971 fino al 1991 si è sempre mantenuto almeno al 20% dopodiché una costante diminuzione fino a raggiungere i minimi storici della passata decade.
Nel 2019 il risparmio delle famiglie si attestava a poco più del 2%, mentre nel 2020 è risalito al 10% ma c’è poco da festeggiare, visto che è stato il risultato delle ben note restrizioni ai movimenti (infatti si tratta di un trend internazionale).
IL “PROBLEMA” DELLA PRODUTTIVITÀ
Quante volte abbiamo sentito in TV che il problema dell’Italia è la produttività? Tantissime volte, vediamo dunque un paio di grafici a riguardo.
Cominciamo dal PIL per ora lavorata che, dal 1970 al 2001, mostra un trend complessivo di crescita. Tuttavia possiamo notare dei “segnali di cedimento” che iniziano dal 1996 (chissà che cosa era successo), mentre a partire dal 2002 la curva della produttività oraria diventa piatta.
Nel 2020 si è interrotta questa stagnazione semplicemente perché la contrazione delle ore lavorate (-11% rispetto al 2019) è stata superiore a quella del PIL (-8,9%), si tratta dunque di un’anomalia statistica. La produttività del lavoro si può anche misurare dividendo il PIL reale con il totale degli occupati.
Osservando la serie storica, anche in questo caso i problemi sembrano cominciare nella seconda metà degli anni 90. Con la differenza che il PIL per occupato, dopo l’introduzione dell’euro, mostra un lento ma inesorabile declino. Molto marcato poi il crollo dello scorso anno – di quasi 7 punti – che ha riportato l’indicatore ai livelli del 1992-93.
MENO LAVORO E PIÙ PRECARIETÀ
Si definisce tasso di occupazione (inattività) il rapporto fra occupati (inattivi) e la popolazione dai 15 anni in su, dunque andremo ad analizzare il totale economia.
Negli anni che “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità” occupazione e inattività hanno conosciuto il loro massimo e minimo storico, rispettivamente nel 1980 (occupazione al 46,7%) e nel 1987 (inattività al 49,1%).
Quasi inutile sottolineare che la performance peggiore del tasso di occupazione è stata nel precedente decennio con il 42,8% del 2014, idem per l’inattività che ha visto il suo massimo storico nel 2011 (51,9%).
Facendo un passo indietro, gli anni 90 furono un pessimo momento per occupati e inattivi, erano i primi risultati del “morire per Maastricht” e per rimediare entrano in gioco le “riforme strutturali“. Infatti la risalita dell’occupazione dal 1997 (Pacchetto Treu) riguardava il lavoro precario, anche quella dal 2015 (Jobs Act) ci fu per lo stesso motivo.
Negli ultimi anni l’incidenza del tempo determinato (sul totale degli occupati dipendenti) ha toccato valori record! La discesa dal 17% del 2019 al 15,1% del 2020 è dovuta semplicemente alla perdita di quei posti di lavoro, interrompendo così la ripresa dell’occupazione, scesa dal 44,9% del 2019 al 44,1% dell’anno precedente.
Arriviamo dunque al più famoso tasso di disoccupazione, cioè il rapporto fra i disoccupati e la forza lavoro (data dalla somma fra occupati e disoccupati). Nonostante i tentativi di aumentare la quantità dell’occupazione – a discapito della qualità – la disoccupazione tocca ugualmente il suo massimo storico nel periodo 2013-16, con il record del 12,7% nel 2014.
A quelli invece che “grazie all’euro abbiamo avuto la disoccupazione minima”, la discesa dal 2003 al 2007 non ha riguardato – come avete visto prima – un significativo incremento dell’occupazione, bensì quello dell’inattività.
Anche nel 2020, a fronte dicevamo di un calo dell’occupazione, la disoccupazione è scesa dal 10% al 9,2% perché si è impennato il tasso di inattività dal 50,1% del 2019 al 51,5% dell’anno scorso.
LE VITTORIE DI PIRRO
In tutta questa storia ci sono pure dei successi, ma che ben difficilmente possono realmente considerarsi tali. Per esempio, il saldo della bilancia commerciale – la differenza fra esportazioni e importazioni di beni e servizi – che dal 2012 è costantemente in attivo.
Com’è stato ottenuto e mantenuto quell’attivo? Con quella macelleria sociale che abbiamo visto fino ad ora: distruzione della domanda interna, crollo dei salari, svalutazione del lavoro e disoccupazione in doppia cifra. In tal modo siamo diventati “competitivi” (perché nella neolingua così si chiamano i poveri) e si è potuto mantenere un livello di esportazioni elevato.
Inoltre tutti questi fattori hanno fatto sì che il livello dei prezzi rimanesse molto basso, infatti dal 2013 ad oggi l’inflazione è stata da “codice binario” (1-0-0-0-1-1-0-0), a fronte ribadiamolo dei peggiori risultati macroeconomici della nostra storia repubblicana, crescita economica in primis.
Del resto lo stesso Mario Draghi ha sempre detto che l’euro è una moneta nata per lottare all’inflazione in assenza di inflazione, che poi è esattamente il mandato della BCE.
E spero che qualcuno in parlamento abbia il coraggio di sbattere in faccia questi risultati all’attuale presidente del consiglio, che ricordiamo nella sua tesi di laurea (del 1970) definì l’ipotesi di una moneta unica come “una follia, una cosa assolutamente da non fare“. Questo perché oggi stiamo pagando a caro il prezzo questa follia.
IL VENTENNIO DELL’EURO IN SINTESI
Infine ecco una tabella che ricapitola gli indicatori visti prima, con i dati del 2019 e del 2020 paragonati a quelli del 2001 e del 2007 in termini di variazione percentuale. Per esempio il PIL reale nel 2019 è cresciuto dell’1,95% rispetto al 2001, cioè con una media annua dello 0,12%.
Per pura coincidenza nel 2001 il PIL crebbe proprio dell’1,95% (rispetto al 2000), tradotto ci sono voluti 18 anni di euro per crescere quanto nell’ultimo anno di liretta, ma più in generale il 2% è stata la crescita media annua del PIL fra il 1980 e il 2001.
INDICATORE IN TERMINI REALI |
Variaz. % 2019/2001 |
Variaz. % 2020/2001 |
Variaz. % 2019/2007 |
Variaz. % 2020/2007 |
PIL | +1,95 % | -7,09 % | -3,86 % | -12,39 % |
PIL pro capite | -3,72 % | -11,85 % | -6,33 % | -14,24 % |
Domanda interna (incluso scorte) |
-0,25 % | -8,59 % | -6,67 % | -14,48 % |
Produzione industriale |
-16,12 % | -25,40 % | -18,52 % | -27,53 % |
Retribuzione lorda per dipendente |
-1,23 % | -7,00 % | -4,52 % | -10,10 % |
Reddito disponibile netto delle famiglie |
-2,63 % | -5,44 % | -7,48 % | -10,16 % |
PIL per ora lavorata |
+0,60 % | +2,97 % | +1,12 % | +3,50 % |
PIL per occupato | -6,13 % | -12,66 % | -4,61 % | -11,25 % |
Alla fine della fiera dopo quasi vent’anni di euro, l’economia italiana non solo non ha mai recuperato i valori pre-crisi del 2007, ma è addirittura rimasta ai livelli antecedenti all’euro (in buona compagnia della Grecia).
Quindi oltre al danno la beffa e con buona pace di quelli che “fuori dalla moneta unica ci sarebbero le piaghe d’Egitto”. Però potete stare tranquilli, che tanto quest’anno arriva l’ennesima ripresa! Ma se poi in autunno il governo richiuderà tutto, potremmo dire addio anche al rimbalzo del gatto morto…
FONTE: https://canalesovranista.altervista.org/il-ventennio-delleuro-i-dati-sul-disastro-economico-italiano/
GREEN PASS E STATO PUNITIVO: IL GRANDE FRATELLO DELL’ECONOMIA
Nelle scorse settimane è giunto dai giornali tedeschi un suggerimento al fisco italiano, ovvero utilizzare il Green pass per tracciare gli spostamenti degli italiani ed interfacciarli col reddito ed eventuali movimenti di valuta. Un suggerimento che di fatto invita a violare la privacy dei cittadini, per certi versi s’ispira a quanto era emerso durante l’estate 2021: ovvero che venivano tracciati gli spostamenti su treno ed aereo dei vacanzieri italiani, ma in più del 50 per cento dei casi il fisco perdeva le tracce dei villeggianti. Ovvero la metà dei cittadini si sottraeva alla tracciatura alberghiera od al momentaneo affitto d’immobili, soprattutto non risultavano tracciati pagamenti a pensioni, ristoranti e lidi. Quindi s’è aperto un rimpallo (anche di competenza) tra Agenzia delle entrate e Garante della privacy. E su green pass, tracciatura elettronica dei pagamenti e diritto alla privacy è da mesi aperto uno scontro istituzionale.
Doveroso rammentare che a giugno c’era stata la decisione dell’Autority della privacy in merito alla gestione del Green pass per le vaccinazioni, che aveva portato alla momentanea sospensione dell’applicazione “Io” sui telefonini degli italiani, a causa del trasferimento sospetto dei dati sensibili dei cittadini su piattaforme di stati extra-Ue: ne erano derivati problemi al sistema di pagamento elettronico “PagoPa”. Parallelamente, il direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, puntava il dito contro la privacy, incolpando l’autorità d’aver “azzoppato gli esiti sperati per la fatturazione elettronica: l’Agenzia delle entrate non può utilizzare la banca dati della fatturazione elettronica in maniera piena perché non sono superati del tutto i problemi di privacy”.
Avevamo già reso edotti i lettori sul fatto che l’Unione europea sta spingendo sulla tracciabilità e profilatura totale dei suoi cittadini: una sorta di regolamentazione tridimensionale, che obbligherebbe enti di controllo (pubblici e privati) a profilare e tracciare ogni movimento logistico, bancario, sanitario, produttivo, giudiziario ed amministrativo del cittadino europeo. Per quest’ultimo, qualora si sottraesse (od eludesse di farsi tracciare) come e quando scatterebbe il reato di eluzione dalla tracciabilità? Dall’Ue di fatto sta arrivando un nuovo impulso ad una nuova fattispecie di reato, teso a punire come abusivo ogni movimento del cittadino che miri a nascondere aspetti della propria vita, da quella lavorativa al tempo libero. Un segnale politico, che mirerebbe ad abrogare la privacy: entrando a piè pesante nella vita domestica, od addirittura intima dell’individuo. Il nuovo reato lo consumerebbe chi non aggiorna alle normative europee i mezzi tecnici della propria azienda, come gli elettrodomestici di casa (i primi ad essere monitorati dopo l’incentivo del 110 per cento sarebbero i condomini, forse i proprietari di case indipendenti possono ancora nascondersi), o l’auto ed altri vettori di locomozione. Nel mirino soprattutto chi vive abusivamente attraverso prestazioni d’opera artigianali e può essere solo pagato per contanti: meccanici, carrozzieri, falegnami, idraulici, muratori, facchini, commercianti occasionali.
Norme già in vigore in Belgio, dove il pagamento di ogni prestazione medica (dal tampone all’acquisto d’un farmaco) deve essere obbligatoriamente tracciata bancariamente: e non si può pagare in contante, pena non ricevere la prestazione. Dettaglio non secondario è che il pagamento (e la tracciabilità bancaria) deve riguardare esclusivamente chi riceve la prestazione medica od acquista un farmaco: quindi per amicizia non si può assolutamente pagare con carta elettronica la prestazione da erogare ad una persona priva di tracciabilità bancaria. Le norme Ue non prevedono generosità ed elemosina, né qualsivoglia aiuto amicale che depisti la tracciabilità. Le norme europee stanno già influenzando la strategia italiana del fisco e dell’economia circolare?
“Bisogna concepire il diritto alla privacy con i diritti altrettanto sacrosanti di ricevere l’assistenza sanitaria o l’istruzione – afferma alla stampa Ernesto Maria Ruffini (direttore dell’Agenzia delle entrate) – altrimenti s’immolano sull’altare del diritto alla privacy tutti gli altri diritti che vengono lesi. Le banche sanno quanto guadagniamo e quanto spendiamo, le carte di credito sanno cosa facciamo, i social media sanno tutto di noi. Quindi – chiosa Ernesto Maria Ruffini – ai privati cediamo i nostri diritti alla privacy e poi ci difendiamo dallo Stato che siamo noi stessi”. E mentre l’ex ministro dell’economia Vincenzo Visco bollava come “demenziale l’opposizione del Garante della privacy”, dai sindacati dell’artigianato ricordavano come la tovagliata di norme Ue, introdotte dieci anni fa dal governo Monti, abbiano mandato nel sommerso un buon trenta per cento di officine, carrozzerie, falegnamerie ed altri lavori artigianali. E sembra davvero arduo spiegare alla burocrazia come la sottocapitalizzazione e la giungla normativa e fiscale abbiano sancito la morte di tantissime attività familiari.
Oggi sembra che il fisco dovrà attenzionare il tempo libero degli italiani, ed in questo il Green pass si rivelerebbe un parziale strumento d’indagine. Anche perché la Guardia di Finanza dovrebbe seguire i cittadini che raggiungono località amene, quindi scoprire se pagano a nero (ed in contanti) l’affitto d’un appartamentino. Oppure perquisire le abitazioni di chi per hobby restaura mobili, moto ed auto, e per scoprire eventuali paradisi domestici (danaro sotto il mattone). Ergo chiedersi come faccia una bella donna disoccupata a vestire bene, alloggiare in dimora decorosa e pagarsi il parrucchiere: in questo caso la privacy accenderebbe un bel faretto rosso. Il problema diventa anche politico–filosofico, investe le libertà individuali ed il giudizio etico–morale sulle condotte dei singoli cittadini. È forte il sospetto che possa sintetizzarsi tutto in una visione unica e preclusa al confronto, alla dialettica. E si stenta a credere che, un Grande Fratello che ci spii continuamente possa darci l’appagamento dei bisogni (la felicità) quale fine dello stato aristotelico. Piuttosto la giungla di norme e divieti spinge l’uomo ad evadere, a non obbedire al potere.
FONTE: http://www.opinione.it/editoriali/2021/10/15/ruggiero-capone_green-pass-estate-2021-agenzia-delle-entrate-garante-della-privacy-applicazione-io-pagopa-ruffini/
Avete bollette super? Colpa della “Responsabilità verde” dei grossi investitori
Ottobre 8, 2021 posted by Leoniero Dertona
Lo stratega del credito di DB, Jim Reid, è intervenuto sulla crisi energetica esaminata dal punto di vista degli investimenti, scrivendo che “forse nel tempo l’impennata d’investimenti nel settore estrattivo tra il 2010-2015 sarà considerato l’eccezione piuttosto che la norma e che, in un mondo in rapida evoluzione e sempre più sensibile ai fattori ESG, sarà sempre più difficile estrarre il petrolio. La determinazione dei prezzi delle esternalità del cambiamento climatico più in generale potrebbe rendere le cose più costose nel tempo. Siamo sull’orlo di un altro cambiamento nelle aspettative di inflazione dovuto al petrolio e all’energia, uno che è in gran parte dovuto ESG.”
Ora che gli effetti diretti di questa politica catastrofica stanno diventando fin troppo evidenti, e da nessuna parte più che in Europa, dove i prezzi del gas sono esplosi a livelli sbalorditivi. Estrarre in modo “Verde” petrolio e gas costa molto di più, richiede molti più investimenti, costa molto più caro e quindi il prodotto viene a costare di più.
Secondo John Authers di Bloomberg, la baste dell’iperinflazione europea del gas risiede proprio nel tentativo di “decarbonizzare ” e passare dai combustibili fossili alle fonti di energia rinnovabile, “il problema è assicurarsi che rimanga disponibile energia da carbonio sufficiente fino a quando le rinnovabili non saranno in grado di sostenere il carico. Ciò non è accaduto“. Gli europei sono stati frettolosi, ideologici e approssimativi, e ora ne paghiamo le conseguenze.
Quel che è peggio è che mentre più capitali affluiscono alle rinnovabili, meno capitali vanno alle fonti di combustibili fossili esistenti, che, anche se forse in via di estinzione (nei prossimi 4-5 decenni) hanno ancora bisogno di centinaia di miliardi per mantenere un livello soddisfacente di produzione di base, e gli investitori che vogliono “Segnalare il proprio impegno” come Blackrock non vorrebbero investirvi nulla
Mettendo tutto insieme, durante la notte Moody’s Investors Service ha pubblicato un rapporto che ha rilevato che le società petrolifere petrolio devono aumentare gli investimenti nella perforazione del 54% a più di mezzo trilione di dollari per prevenire un significativo deficit di offerta nei prossimi anni. Deficit dell’offerta significa prezzo alle stelle, dato che le fonti alternative energetiche latitano.
Gli estrattori di greggio e di gas naturale – castigati dal crollo senza precedenti della domanda e dei prezzi dello scorso anno, nonché dallo stigma del capitale in corso associato a tutto ciò che non è “verde” – non hanno risposto al recente rimbalzo del mercato come fa di solito il settore espandendosi la ricerca di campi non sfruttati. Mentre il greggio internazionale e il gas statunitense sono aumentati di oltre il 50% e il 120% quest’anno, rispettivamente, si prevede che le spese di perforazione aumenteranno solo dell’8% a livello globale, hanno scritto gli analisti di Moody’s Sajjad Alam.
Inutile dire che è troppo poco per sostituire ciò che quelle aziende pompano da terra nel 2022, ponendo le basi per scenari con forniture ancora più scarse e prezzi ancora più stellari. Questo manderebbe i prezzi alle stelle per le economia europee e asiatiche ancor più di quanto non stia avvenendo ora.
“L’industria dovrà spendere molto di più, soprattutto se la domanda di petrolio e gas continuerà a salire oltre i livelli pre-pandemia fino al 2025”, hanno scritto gli analisti di Moody’s.
Ed i prezzi vanno alle stelle
Si prevede che le compagnie petrolifere e del gas spenderanno $ 352 miliardi in trivellazioni e attività correlate quest’anno, ha affermato Moody’s, citando le stime dell’Agenzia internazionale per l’energia. Se aumentassero fino ai 542 miliardi di dollari raccomandati dalla società di rating del credito, sarebbe il più alto a livello mondiale dal 2015. Purtroppo molti investitori temono di essere stigmatizzati dalla potente lobby verde, dell’energia ESG, per cui ci dovranno essere dei premi molto alti per far partire nuovi investimenti. Però questa condizione si sta per avverare.
FONTE: https://scenarieconomici.it/avete-bollette-super-colpa-della-responsabilita-verde-degli-grossi-investitori/
La Cina è ad un punto di svolta?1
di Michael Roberts
Questa settimana si sono aggravati i problemi del debito che affliggono il mercato immobiliare cinese dopo il default di un’altra agenzia immobiliare causato dalle sue obbligazioni e dopo che Evergrande, il gruppo immobiliare più fortemente indebitato al mondo2, ha protratto per un secondo giorno la sospensione delle sue azioni senza dare spiegazioni. Fantasia Holdings, un’agenzia di medie dimensioni, che solo poche settimane fa ha rassicurato agli investitori di non avere “problemi di liquidità”, ha dichiarato in una presentazione effettuata in Borsa che lunedì “non ha effettuato il pagamento” di un’obbligazione da 206 milioni di $ in scadenza quel giorno, innescando formalmente un default formale. L’insolvenza si aggiunge ai timori che la crisi di Evergrande possa diffondersi includendo un numero elevato di agenzie immobiliari cinesi, che rappresentano gran parte del mercato obbligazionario asiatico ad alto rendimento.
Il 23 settembre Evergrande non ha pagato degli interessi su un’obbligazione off-shore, innescando una proroga di 30 giorni prima di un default formale, e non ha ancora fatto alcun annuncio in merito. Ma anche prima che la crisi del debito del China Evergrande Group mandasse in tilt il settore immobiliare del paese, le società immobiliari cinesi erano impegnate nel riuscire a guadagnare abbastanza per pagare gli interessi sul loro debito. Alla fine di giugno, secondo i calcoli di Reuters basati sui dati Refinitiv, la quota aggregata di copertura degli interessi dei 21 grandi gruppi immobiliari cinesi quotati a Hong Kong è sceso a 0,94, il peggior risultato da almeno un decennio3.
Quota di copertura degli interessi dei gruppi immobiliari cinesi quotati a Hong Kong
In altre parole, il settore immobiliare privato cinese è ora composto da società “zombie” proprio come il 15-20% delle società nelle principali economie capitaliste4. La domanda ora è se le autorità cinesi consentiranno a queste aziende di fallire. All’inizio di quest’anno le azioni di Huarong, il più grande gestore di crediti inesigibili della Cina, sono state sospese per mesi dopo che la società ha ritardato i suoi rapporti finanziari prima di svelare finalmente una perdita record ad agosto. I ritardi hanno acceso un dibattito sulla misura in cui Pechino interverrà per aiutare le aziende in difficoltà.
Il settore immobiliare subisce pressioni da Pechino per ridurre la leva finanziaria dopo decenni di espansione guidata dal debito che ha contribuito ad alimentare la rapida crescita economica del paese. Le autorità finanziarie del governo hanno fissato tre “punti fermi” che le società finanziarie e immobiliari non possono superare. Nel 2020, la People’s Bank of China e il Ministero dell’edilizia abitativa hanno annunciato di aver redatto nuove regole per l finanziamento destinato alle società immobiliari. I gruppi immobiliari che intendono rifinanziarsi vengono valutati rispetto a tre soglie: 1. un tetto del 70% delle passività sugli asset, esclusi gli anticipi su progettati contratti di vendita ; 2. un massimale del 100% sull’indebitamento netto del patrimonio netto; 3. un rapporto tra liquidità e indebitamento a breve termine pari ad almeno uno. Le agenzie verranno classificate in base a quante soglie saranno violate e di conseguenza verrà limitato l’aumento del loro debito. Attualmente sono molte le grandi società immobiliari che si trovano in quella situazione.
Il governo si trova di fronte a un dilemma. Se consente ad Evergrande e ad altre società immobiliari di fallire, allora potrebbero non essere costruite milioni di case per le famiglie e le perdite subite dai finanziatori e dagli investitori in queste società potrebbero avere un effetto a cascata su tutta l’economia. D’altra parte, se le autorità dovessero salvare le società, allora la speculazione potrebbe continuare poiché il settore immobiliare potrebbe pensare di avere il sostegno del governo per tutti i loro progetti speculativi essendo “troppo grandi per fallire” – questo è il cosiddetto ” rischio morale’5; lo stesso dilemma che hanno dovuto affrontare le autorità statunitensi nel 2008, quando i mercati immobiliari andavano a gonfie vele e gli istituti di credito ipotecario e le banche andarono a rotoli.
Molto probabilmente, il governo farà una cosa intermedia. Garantirà che le case promesse a 1,8 milioni di cinesi da agenzie del calibro di Evergrande saranno costruite rilevando i progetti; già le autorità locali si sono mosse per rilevare i progetti di Evergrande a livello locale. Allo stesso tempo, il governo centrale e la Banca Popolare Cinese consentiranno ad Evergrande di spostare il default sugli investitori e i detentori delle obbligazioni (in una certa misura). Se queste perdite si ripercuotono sul settore finanziario, il governo cinese avrà molto da fare per assorbire il colpo, come ha fatto in passato. Ad esempio, il debito di Evergrande pari a 300 miliardi di $ dovrebbe essere messo a confronto con il credito totale in essere della Cina pari a 50 trilioni di $, una cifra non molto grande. Inoltre, se il conto finale dovesse ricadere sullo stato e sulle banche statali, le riserve potrebbero digerire facilmente le perdite.
Il vero problema è che negli ultimi dieci anni (e anche prima) i leader cinesi hanno permesso una massiccia espansione degli investimenti improduttivi e speculativi da parte del settore capitalistico dell’economia. Nel tentativo di costruire abbastanza case e infrastrutture per la popolazione urbana in forte aumento, il governo centrale e quello locale hanno lasciato il lavoro ai gruppi privati. Invece di costruire case in affitto, hanno optato per la soluzione del “libero mercato” dei gruppi privati che costruiscono per la vendita. In Cina, uno sviluppo simile a quello di Evergrande non era solo un capitalismo che faceva il suo mestiere, ma un capitalismo favorito dai funzionari governativi per i loro scopi. Pechino voleva case e i funzionari locali volevano guadagnarci, così i progetti di edilizia abitativa hanno contribuito a garantire entrambe le cose. Il risultato fu un aumento enorme dei prezzi delle case nelle principali città e una massiccia espansione del debito. In effetti, il settore immobiliare ha ormai raggiunto oltre il 20% del PIL cinese.
Questa crescita del settore immobiliare e di altre attività improduttive nella finanza e nei media di consumo ha caratterizzato il tasso di crescita annuale ufficiale della Cina. Poiché il settore produttivo dell’industria, della manifattura, delle comunicazioni hi-tech, ecc. cresceva più lentamente, le autorità si illudevano di poter affermare che erano stati raggiunti gli obiettivi di crescita del PIL reale del 6-8% annuo, ma ciò era dovuto sempre più al mercato immobiliare. Certo, le case devono essere costruite, ma come ha affermato tardivamente il presidente Xi, “le case sono per viverci, non per speculare”.
Il settore immobiliare della Cina in miliardi di Remimbi (prezzi 2010)
Non c’è modo di sottrarsi al fatto che verrà inferto un colpo immediato alla crescita a causa di Evergrande e dalle ripercussioni ad essa associate. La ripresa della Cina dalla crisi provocata dalla pandemia era già traballante, in parte a causa delle nuove epidemie della variante COVID che hanno causato mini blocchi, ma principalmente perché la crescita degli investimenti e del commercio è stata limitata dalla ripresa irregolare nelle principali economie capitaliste. Quindi la Cina sarà fortunata se raggiungerà un tasso del 2% per il resto di quest’anno.
Cina, previsioni del PIL reale, in percentuale
Ancora più preoccupante, anche se una spirale più caotica nel mercato immobiliare potrebbe essere evitata, è la fine del modello immobiliare alimentato dal credito (o anche una sua riduzione) significherà una crescita inferiore. Questo è il problema. Gli “esperti occidentali della Cina ” sono convinti o che la Cina stia per avere finalmente un’implosione finanziaria (qualcosa che si prevede quasi ogni anno negli ultimi 20 anni); o che l’economia entrerà in una fase di crescita bassa del 2-3% all’anno, di poco superiore alle economie capitaliste “mature”.
Una delle ragioni che vengono avanzate è che la popolazione attiva sta diminuendo6 (anzi, viene affermato che il tasso di fecondità della Cina sia ora inferiore a quello del Giappone) al punto che la popolazione si potrebbe dimezzare entro la fine del secolo. Un altro motivo molto diffuso tra gli esperti è che si sia esaurito il modello di crescita cinese guidato dagli investimenti e dalle esportazioni. Invece degli investimenti, la Cina dovrebbe ora fare affidamento sull’aumento dei consumi di massa, come negli Stati Uniti e nella maggior parte del G7, cosa che comporta una riduzione delle dimensioni dello stato attraverso le privatizzazioni ed aprire maggiormente l’economia ai “mercati di consumo”. Inoltre, le esportazioni potrebbero non garantire più un grande contributo al tasso di crescita della Cina a causa delle barriere commerciali e tecnologiche erette dagli Stati Uniti e dai suoi alleati per isolare e frenare i progressi della Cina. Il governo cinese7 ne è consapevole. Per questo la dirigenza di Xi parla di un modello di sviluppo a “doppia circolazione”8, dove il commercio e gli investimenti all’estero si fondono con la produzione per il grande mercato interno.
Come ho sostenuto in un articolo precedente: “Dal 2009 gli investimenti lordi hanno superato in media il 47% del PIL; ma la crescita del PIL reale sta rallentando, quindi sta diminuendo il rendimento della produttività cinese sui nuovi investimenti (o la produttività dell’input di capitale). Già nel 2006, prima della crisi globale, occorrevano 2,9 unità di investimento per aumentare di 1 unità il PIL reale. Nel 2014, ora ce ne vogliono 6,6 unità, per cui la Cina, per sostenere una crescita del PIL reale del 7%, deve tornare al suo tasso medio della TFP [produttività totale dei fattori] di lungo termine di oltre il 2,5% all’anno “. Negli articoli precedenti9 ho attaccato le argomentazioni degli esperti occidentali secondo cui la Cina sta per avere un crollo finanziario come quello del 2008 nelle maggiori economie capitaliste; o che il suo tasso di crescita si ridurrà quasi a zero a causa dei fallimenti del suo modello economico guidato dallo stato.
L’aumento del PIL reale dipende da due fattori: aumento delle dimensioni della forza lavoro e aumento della produttività della forza lavoro esistente. Se il primo rallenta o addirittura diminuisce, una crescita abbastanza rapida della produttività può compensare o addirittura superare il primo. La crescita della produttività dipende principalmente da maggiori investimenti di capitale in tecnologia; una tecnologia superiore che consente di risparmiare tempo di lavoro e una forza lavoro meglio addestrata in grado di fornirne di più in meno tempo. Il problema per la Cina da quel momento in poi è che al suo settore capitalista è stato permesso di espandersi (in modo “disordinato”, afferma Xi) al punto in cui le contraddizioni della produzione capitalista stanno iniziando a danneggiare l’ascesa in precedenza spettacolare della Cina10.
In effetti, l’appello di Xi alla “prosperità comune”11 è un riconoscimento che il settore capitalista, tanto promosso dai leader cinesi (e dal quale ottengono molti vantaggi personali,) è sfuggito di mano a tal punto da minacciare la stabilità del controllo del Partito Comunista. Prendiamo il commento del miliardario Jack Ma prima che venisse “rieducato” dalle autorità: “In Cina i consumi non vengono spinti dal governo ma dall’imprenditorialità e dal mercato”… Negli ultimi 20 anni, il governo era molto forte. Ora si stanno indebolendo. È la nostra opportunità; è arrivato il nostro momento di entrare in scena, per vedere come l’economia di mercato, l’imprenditorialità, possano sviluppare il consumo reale.” —The Guardian12, 25 luglio 2019.
La profittabilità del settore capitalista è in calo da tempo, così come nelle maggiori economie capitaliste. Quindi i capitalisti cinesi hanno cercato maggiori profitti in settori improduttivi come quello immobiliare, il credito al consumo e i media: è lì che si trovano i miliardari. Questi settori oggi stanno esplodendo in faccia ai leader cinesi.
Cina: saggio di profitto interno
Dal grande balzo in avanti, alla “rivoluzione culturale”- dalla crisi industriale alla riforma di Deng- Dalla privatizzazione di alcune imprese statali alla Depressione globale
In Cina gli investimenti del settore statale sono sempre stati più solidi degli investimenti privati. La Cina è sopravvissuta, anzi ha prosperato, durante la Great Recession, non a causa di un aumento della spesa pubblica in stile keynesiano13 verso il settore privato, come sostenevano alcuni economisti, sia in Occidente che in Cina, ma a causa degli investimenti diretti dello stato. Questi hanno svolto un ruolo cruciale nel mantenere la domanda aggregata, prevenire le recessioni e ridurre l’incertezza per tutti gli investitori. Quando in Cina rallentano gli investimenti nel settore capitalista, e di conseguenza rallenta o diminuisce la crescita dei profitti, interviene il settore statale.
Gli investimenti delle imprese statali sono cresciuti in maniera particolarmente rapida nel 2008-09 e nel 2015-16, quando è rallentata la crescita degli investimenti delle imprese non statali. Come ha mostrato David Kotz in un recente articolo14: “La maggior parte degli studi più recenti ignora il ruolo delle imprese statali nella stabilizzazione della crescita economica e nella promozione del progresso tecnico. Sosteniamo che le imprese statali stanno svolgendo un ruolo nel favorire la crescita in diversi modi. Le imprese statali stabilizzano la crescita nei periodi di recessione economica effettuando massicci investimenti, promuovono inoltre importanti innovazioni tecniche investendo in aree più a rischio del progresso tecnico. Inoltre, le imprese pubbliche adottano un approccio di alto livello nel trattare i lavoratori, che si dimostrerà favorevole alla transizione verso un modello economico più sostenibile. La nostra analisi empirica indica che in Cina le imprese statali hanno promosso la crescita a lungo termine e compensato l’effetto negativo del declino economico“.
Crescita annuale nominale degli investimenti delle imprese statali (linea punteggiata %) rispetto agli investimenti di quelle non statali (linea scura %) 2004-2017
Fonte NBS (2018)
Nota La crescita annuale nominale degli investimenti è la crescita degli investimenti mensili rispetto agli investimenti operati nello stesso mese dello scorso anno. Il grafico rappresenta l’andamento medio trimestrale della crescita annuale nominale.
Ciò che occorre non è un’ulteriore espansione del settore dei consumi aprendoli al “libero mercato”, ma investimenti statali in tecnologia per stimolare l’aumento della produttività. Inoltre che gli investimenti del settore statale vengano diretti verso obiettivi ambientali e lontano dall’espansione incontrollata delle industrie di combustibili fossili che emettono carbonio. Come ha affermato Richard Smith: “I cinesi non hanno bisogno di uno standard di vita più elevato basato su un consumismo senza fine. Hanno bisogno di uno stile di vita migliore: aria, acqua e suolo puliti e non inquinati, cibo sicuro e nutriente, assistenza sanitaria pubblica completa, alloggi sicuri e di qualità, un sistema di trasporto pubblico incentrato sulle biciclette urbane e sui trasporti pubblici anziché su auto e tangenziali”. L’aumento dei consumi personali e la crescita dei salari seguiranno, come sempre, tali investimenti.
Ma ciò significa che è tempo per il governo cinese di tornare indietro verso investimenti statali e la pianificazione degli alloggi, della tecnologia e dei servizi pubblici coinvolgendo in tale pianificazione i lavoratori industriali e urbanizzati altamente qualificati della Cina. Sfortunatamente, i leader cinesi non vogliono alcun cambiamento in questa direzione, quindi continuerà a permanere il pericolo di un declino economico di lungo periodo.
Note
1 Tradotto da Antonio Pagliarone
2 https://thenextrecession.wordpress.com/2021/09/19/not-so-evergrande/
3 https://www.reuters.com/world/china/chinese-property-developers-ability-repay-debt-hits-decade-low-2021-10-04/
4 https://thenextrecession.wordpress.com/2017/01/23/beware-the-zombies/
5 Ossia la tendenza a perseguire i propri interessi a spese della controparte, confidando nell’impossibilità, per quest’ultima, di verificare la presenza di dolo o negligenza.
6 https://thenextrecession.wordpress.com/2021/05/23/china-demographic-crisis/
7 https://thenextrecession.wordpress.com/2021/08/08/chinas-crackdown-on-the-three-mountains/
8 Explainer: What we know about China’s ‘dual circulation’ economic strategy
https://www.weforum.org/agenda/2020/09/chinas-dual-circulation-economic-strategy/
9 https://thenextrecession.wordpress.com/2020/10/28/chinas-growth-challenge/
10 https://thenextrecession.wordpress.com/2021/08/08/chinas-crackdown-on-the-three-mountains/
11 https://thenextrecession.wordpress.com/2021/09/11/china-and-common-prosperity/
12 https://www.theguardian.com/world/2019/jul/25/china-business-xi-jinping-communist-party-state-private-enterprise-huawei
13 https://thenextrecession.wordpress.com/2018/08/06/chinas-keynesian-policies/
14 The Impact of State-Owned Enterprises on China’s Economic Growth https://thenextrecession.files.wordpress.com/2021/10/kotz-on-state-enterprises.pdf
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/crisi-mondiale/21405-michael-roberts-la-cina-e-ad-un-punto-di-svolta.html
GIUSTIZIA E NORME
Draghi: limiti al diritto di manifestare. E anche l’articolo 17 della Costituzione se ne va.
Ottobre 11, 2021 posted by Guido da Landriano
Sotto la spinta di cinque o sei giornaloni cneh, alla fine rappresentano solo qualche lobby economica e nulla più, il Governo Draghi decide l’ennesima stretta reazionaria e repressiva e si accinge a restringere il diritto di manifestazione. Secondo quanto riassunto da Affaritaliani il Presidente del Consiglio, invece che riprendere il ministro Lamorgese che ha lasciato infiltrare una manifestazione massimamente pacifica, avrebbe deciso una stretta al diritto di manifestazione, richiedendo un’analisi stretta di dei rischi ed in ogni caso le manifestazioni anche statiche potranno essere autorizzate solo con garanzie reali da parte degli organizzatori del rispetto delle regole. Questo perchè secondo repubblica, l’intenzione di un gruppo di manifestanti era violare Palazzo Chigi.
In questo clima, con questo spirito aizzato da Corriere e Repubblica si mette in soffitta l’articolo 17 della Costituzione, già depotenziato e a questo punto completamente cancellato. L’articolo che recitava: I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non e` richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità , che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.
Un altro tratto di penna, di cui si vanteranno gli “Antifascisti”, cioè, in questo momento, l’ala più dittatoriale della politica italiana. Per quanto riguarda la richiesta di scioglimento di Forza Nuova da parte del PD, potrbbe essere un’ottima, idea, soprattutto se seguita dallo scioglimento e dallo sgombero di quei centri sociali esperti nell’organizzazione delle manifestazioni violente.
Però questo non accadrà mai. E poi ha ragione il Ministro Savonarola:
FONTE: https://scenarieconomici.it/draghi-limiti-al-diritto-di-manifestare-e-anche-larticolo-17-della-costituzione-se-ne-va/
IMMIGRAZIONI
MURI ANTI-MIGRANTI IN UE: PRESTO REALTÀ?
Dodici Paesi dell’Unione chiedono di costruire barriere fisiche alle frontiere
Dodici paesi Ue, di comune accordo, hanno chiesto alla Commissione europea la possibilità di ricevere dei finanziamenti con lo scopo di edificare dei veri e propri muri alle loro frontiere, così da evitare l’entrata irregolare dei flussi migratori provenienti da Africa, Medio Oriente e dalla Bielorussia, soprattutto considerato il notevole aumento, dopo l’insediamento talebano, di sfollati in fuga dall’Afghanistan.
Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Slovacchia hanno dichiarato: “Le barriere fisiche sembrano essere un’efficace misura di protezione che serve gli interessi dell’intera Ue, non solo dei Paesi membri di primo arrivo. Questa misura legittima dovrebbe essere finanziata in modo aggiuntivo e adeguato attraverso il bilancio Ue come questione prioritaria“.
Ylva Johansson, commissaria agli affari interni della commissione Von Der Leyen, al suo arrivo all’incontro in Lussemburgo ha invitato la Grecia a svolgere indagini approfondite viste le accuse relative ai respingimenti violenti avvenuti al confine croato e anche alla frontiera greca: “Nella mia discussione con il primo ministro della Grecia ho chiarito che non accetterò che il Paese non svolga indagini su tali accuse. Dobbiamo proteggere le nostre frontiere esterne ma dobbiamo anche preservare i nostri valori e i diritti fondamentali. Tutti gli Stati membri hanno la responsabilità di agire in linea con la reputazione di tutta l’Europa. La Croazia ha fatto la cosa giusta aprendo le indagini e mi aspetto che la Grecia faccia la stessa cosa”.
Da Atene ha replicato il ministro alla Migrazione, Notis Mitarachi, dicendo che sono molto preoccupati per la situazione in Afghanistan e per le possibili migrazioni. Il Paese, infatti, ha dato sostegno e accoglienza su base volontaria, ma sostiene fermamente che bisogna trovare una soluzione comune a livello europeo, sollecitando anche un Patto su migrazione e asilo. “I flussi sono una sfida per tutta l’Unione e devono essere condivisi in modo equo da tutti gli Stati membri” ha fatto sapere. Innegabile è il fatto che l’Europa “ha bisogno di adeguare il quadro giuridico esistente alle nuove realtà“.
La Johansson ha poi ribadito più volte: “Bisogna rafforzare la protezione dei nostri confini esterni, alcuni Stati membri hanno costruito recinzioni e strutture di protezione e ne hanno il diritto. Se occorre utilizzare i fondi Ue per fare questo, devo dire no“. Della stessa idea il ministro svedese alla Giustizia e Immigrazione, Morgan Johansson, che non ha firmato la lettera: “Non ci sono norme che impediscano agli Stati Ue di aumentare la propria protezione fisica alle frontiere. Se i governi lo vogliono fare, sta a loro decidere”, ha dichiarato apertamente.
Il ministro dell’Interno spagnolo, Fernando Grande-Marlaska, ha sottolineato la necessità che ha l’Europa di “una cooperazione trasversale, dove non sia solo considerato l’ambito della sicurezza”.
FONTE: https://www.internationalwebpost.org/contents/MURI_ANTI-MIGRANTI_IN_UE:_PRESTO_REALT%C3%80_23420.html#.YW-ZLBpBzIV
LA LINGUA SALVATA
Eloquente
e-lo-quèn-te
SIGNIFICATO Che sa parlare con efficacia; chiaro, espressivo
ETIMOLOGIA voce dotta recuperata dal latino eloquens, participio presente di eloqui nel senso di ‘parlare con arte’.
Questo è un termine di importanza eccezionale. Esprime dei significati precisi e intensi, e si fa notare per una ricercatezza disinvolta: la sua parabola si stende con un’eleganza speciale, che scaturisce tutta dal parlare.
L’eloquente, in effetti, è un ‘parlante’ particolare; il verbo latino eloqui ha specializzato il suo valore di ‘parlare’ in un ‘pronunciare, parlare con arte’. Così l’eloquente diventa chi o ciò che parla — o più in generale comunica — in maniera efficace, espressiva.
Una persona eloquente è una persona faconda, persuasiva, chiara; una persona che che sa esprimersi bene, maestra nell’arte del dire. Così possiamo raccontare di un ragazzino eccezionalmente eloquente, di come l’oratrice eloquente abbia rapito la platea per tutto il tempo del suo intervento, ma anche dell’ufficiale che celebra il matrimonio e purtroppo è eloquente come un cinghiale.
Già così è una parola dal grande vigore rappresentativo; ma il suo punto poetico sta nell’attitudine a portare questi caratteri di efficacia anche al di là della parola. Non solo investe ogni altra semiosi, ogni altro caso in cui qualcosa si fa segno ed esprime un contenuto, ma tutta la galassia dei fatti da cui possiamo desumere qualcosa con chiarezza.
Sono eloquenti i gesti del mimo che rappresenta una scena inconfondibile, ed è eloquente l’occhiolino che due personaggi si scambiano in scena; sono eloquenti gli sguardi che ci lanciamo mentre l’altra gente al tavolo parla; sono eloquenti i risultati di un rilevamento geologico che non lasciano il dubbio più pallido sulla presenza di un minerale, ed è eloquente il silenzio che segue alla domanda.
Insomma, eloquente non è solo chi o ciò che con arte e chiarezza si esprime (il mimo, l’occhiolino, la schermaglia), ma anche ciò da cui con arte si può cogliere un dato chiaro (il rilevamento, il silenzio). Due significati contigui e speculari — un parlare e un parlare da sé — che ci danno la dimensione della finezza e dell’intelligenza di questo aggettivo.
Parola pubblicata il 15 Ottobre 2021
FONTE: https://unaparolaalgiorno.it/significato/eloquente
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Uberizzazione del lavoro e trasformazioni del lavoro
Le tecnologie digitali ripropongono l’intreccio tra rapporti di lavoro arcaici e moderni con il supersfruttamento del lavoro che articola plusvalore assoluto, plusvalore relativo e bassi salari. L’uberizzazione del lavoro permette la sussunzione del lavoratore cognitivo, del lavoratore uberizzato e del consumatore al processo di valorizzazione del capitale.
di Francesco Barbetta – 24/09/2021
Dalla Rivoluzione industriale, lo sviluppo capitalistico si basa sul binomio scienza e tecnologia, cioè la conoscenza scientifica trasformata in tecnica è focalizzata sulla produzione di beni. Dal punto di vista tecnologico, la Prima Rivoluzione Industriale si è basata sull’utilizzo di macchine a vapore e sulla meccanizzazione. Nella seconda, il fiore all’occhiello è stato l’uso massiccio dell’elettricità e, nella terza, l’uso di computer e automazione. È nella Terza Rivoluzione Industriale che abbiamo visto anche lo sviluppo delle Tecnologie dell’Informazione, che sono alla base dei cambiamenti tecnologici odierni, in cui gli esseri umani hanno un’interazione ancora maggiore con le macchine, cioè l’interazione tra gli esseri umani è mediata da un apparato tecnologico, come per esempio l’uso di computer e telefoni cellulari. I cambiamenti dello standard tecnologico a cui stiamo assistendo si basano su tecnologie informatiche basate sulla microelettronica che hanno avuto inizio negli anni 70, che includono apparecchiature automatizzate e informatizzate da parte della microelettronica e la cui pietra miliare è la creazione del primo computer elettromeccanico nel 1944. Da allora, la tecnologia dell’informazione ha avuto la sua crescita strutturata in quattro periodi distinti: elaborazione dati (1960), sistemi informativi (1970), innovazione e vantaggio competitivo (1980) e integrazione e ristrutturazione aziendale (1990).
In relazione all’organizzazione del lavoro, l’informatica fornisce un nuovo impulso che, insieme all’accumulazione flessibile, intensifica i livelli di precarietà e informalità. Anche se il modello flessibile ha la sua matrice organizzativa rivolta alla produzione industriale, la sua logica si allarga anche al settore dei servizi che, a causa dei cambiamenti in atto, assume una rilevanza crescente per numero di posti di lavoro e partecipazione al Prodotto interno lordo.
Gli attuali cambiamenti in atto fanno parte della cosiddetta Industria 4.0 o Quarta Rivoluzione Industriale, che combina gli elementi delle tecnologie dell’informazione basate sulla microelettronica, in particolare Internet, e l’interazione tra i domini fisico, digitale e biologico.
Anche se siamo solo all’inizio dello sviluppo di Industria 4.0, è già possibile individuare alcune innovazioni riguardanti i suddetti domini – fisico, digitale e biologico – che, in comune, si basano sull’informatica. Per quanto riguarda i domini fisici, abbiamo già veicoli autonomi senza la presenza di un conducente, come camion, droni, aerei, barche e automobili; robotica avanzata, in cui l’uso dei robot non è limitato allo spazio della fabbrica e l’uso di nuovi materiali che sono autoriparanti e autopulenti. Per quanto riguarda i domini digitali, abbiamo l’Internet delle cose (IoT), in cui ogni oggetto è ora connesso a Internet; piattaforme virtuali, come applicazioni che collegano domanda e offerta di servizi e big data che contengono grandi volumi di dati. E, infine, i domini biologici che includono il sequenziamento genico e la biologia sintetica. Tuttavia, le trasformazioni tecnologiche non si limitano solo ai dispositivi tecnologici o ai prodotti sviluppati, poiché i cambiamenti in questo ambiente modificano profondamente sia i rapporti sociali che il rapporto con la natura, cioè i rapporti di produzione, quando alterati, cambiano anche le dimensioni culturali e ideologiche, soggettive, nonché le dimensioni politica e giuridica. C’è ancora un’altra dimensione all’interno di questo quadro su cui abbiamo sempre poco riflettuto, ma che è una parte significativa della nostra vita e dell’espropriazione nel sistema capitalista: il tempo. In questo contesto esiste un’intensificazione dell’espropriazione del tempo con le tecnologie dell’informazione, un’espropriazione che inizia con la prima rivoluzione industriale nella sfera del lavoro, ma che oggi si estende a tutti gli ambiti della vita. Se con il fordismo è stato possibile mantenere la divisione tra tempo di lavoro e tempo libero, gli ultimi cambiamenti tecnologici rendono questa divisione non più possibile.
Tuttavia, espropriare il tempo di vita ha un rapporto diretto con il controllo del tempo altrui. Cioè è impossibile produrre più tempo, ma è possibile appropriarsi del tempo altrui, cosa che avviene per mezzo delle più svariate strategie quali la flessibilizzazione del lavoro, che altro non è che l’allungamento della giornata lavorativa e il ritorno a forme di sfruttamento in cui prevale il plusvalore assoluto, il trasferimento di aziende in altri paesi e continenti, dove possono essere sottoposti vasti contingenti di lavoratori a ritmi infernali e prolungati di sfruttamento quotidiano (orario di lavoro di quindici ore o più) e, soprattutto, l’uso delle tecnologie elettroniche e digitali. Sebbene i cambiamenti tecnologici siano imponenti e non abbiamo una dimensione della loro profondità, mi sento di affermare che tali mutamenti fanno parte di una strategia contemporanea di ristrutturazione produttiva del sistema capitalistico che cerca una maggiore estrazione di valore, e tale strategia non è nuova per noi. In questo senso, le trasformazioni tecnologiche portano con sé anche tecniche e modalità organizzative che mirano a rinnovare i metodi tradizionali di controllo sul lavoro. Se guardiamo al passato, il successo della fabbrica non è legato alla sua superiorità tecnologica, ma alla necessità per i lavoratori di perdere il controllo del processo produttivo, facendo un paragone con l’uberizzazione del lavoro, di cui parleremo in questo saggio, il lavoratore che lavora per le app non ha il controllo sul principale strumento di lavoro, l’applicazione. La ristrutturazione produttiva, quindi, si presenta come una delle risposte alla crisi della produttività, e non a caso Industria 4.0, per esempio, apparve come una strategia del governo tedesco nel 2010, quando i paesi stavano ancora provando a reagire alla crisi del 2008. Questa risposta è una ristrutturazione produttiva articolata, da un lato, da una costante svalutazione del capitale attraverso lo sviluppo tecnologico e, dall’altro, da un supersfruttamento del lavoro anche quando prevale il plusvalore relativo, formando una nuova sintesi storica dell’accumulazione.
Secondo l’economista Ruy Mauro Marini, la categoria di supersfruttamento del lavoro descrive l’espropriazione del lavoro nei paesi a capitalismo dipendente, in cui vi è un maggiore sfruttamento dei lavoratori attraverso l’intensificazione e l’estensione della giornata lavorativa, aggiunta al fatto che il lavoratore non ha le condizioni necessarie per sostituire l’usura della forza lavoro, a causa dei bassi salari. Dato il basso sviluppo tecnologico, vi è una predominanza del plusvalore assoluto, a differenza dei paesi sviluppati, dove vi è l’egemonia del plusvalore relativo. Con la Quarta Rivoluzione Industriale, che non si limita solo alle trasformazioni tecnologiche di Industria 4.0, ma porta con sé un nuovo modo di produrre, segnato da una nuova forma di sfruttamento del lavoro, in cui bassi salari (quasi schiavitù) si mescolano ad alti salari nei settori di punta dello sviluppo capitalistico, la categoria del supersfruttamento del lavoro assume nuovi contorni. C’è ancora una volta nella storia del capitalismo, l’intreccio tra rapporti di lavoro arcaici e moderni, ma ora con il supersfruttamento del lavoro che articola plusvalore assoluto, plusvalore relativo e bassi salari.
Fatta questa doverosa introduzione, analizzeremo un caso particolare di modello di business creato per rispondere alla crisi dell’accumulazione subito dopo il 2008, ovvero l’economia delle piattaforme, facendo riferimento in particolar modo al caso di Uber.
Quando parliamo di piattaforme stiamo descrivendo un punto di produzione distinto e digitale in quanto le piattaforme reindirizzano e isolano le relazioni sociali coinvolte nel lavoro e le trasformano in relazioni di produzione. Come in un luogo di lavoro tradizionale, in cui i lavoratori timbrano il proprio cartellino all’inizio e alla fine del turno, i lavoratori dell’economia delle piattaforme si collegano a un’applicazione e, nel farlo, sono soggetti a un’autorità esterna che organizza la domanda dei consumatori, determina quali compiti devono essere eseguiti, dove, quando, il prezzo e ne controlla direttamente o indirettamente l’esecuzione. Quindi, le piattaforme, grazie ai propri algoritmi, sono responsabili della gestione e dell’organizzazione del lavoro.
Possiamo fare delle distinzioni tra le varie piattaforme ma ai fini del nostro lavoro ne tratteremo solamente due:
1. Piattaforme di lavoro digitali: piattaforme clickwork di microlavoro digitale come Amazon Mechanical Turk, in cui chiunque abbia accesso a Internet può registrarsi, far parte di una linea di produzione digitale (locale e globale) ed eseguire microlavori, sottoprodotti dell’informazione, in gran parte incentrati sulla produzione e il miglioramento dell’intelligenza artificiale.
2. Piattaforme di organizzazione del lavoro in loco: società-piattaforma che controllano e organizzano i lavoratori sul posto come autisti, elettricisti, guardie giurate, infermieri, bidelli, tra i tanti, come Uber.
L’uberizzazione del lavoro è il termine usato per rappresentare la stragrande maggioranza del lavoro offerto dalle aziende nell’economia delle piattaforme. Ha la stessa funzione del lavoro in outsourcing della aziende toyotiste, ovvero, grazie a un lavoro intermittente e informale, i rapporti di forza tra capitale e lavoro sono imposizioni del capitale sul lavoro, senza più alcun conflitto sindacale. L’uberizzazione è una nuova forma di organizzazione, gestione e controllo del lavoro, adatto per un lavoratore just-in-time, sempre disponibile e scartabile.
Il termine uberizzazione del lavoro si riferisce al successo di Uber nell’utilizzo di piattaforme per controllare e organizzare il lavoro di milioni di lavoratori in tutto il mondo.
I fan di Uber e simili attribuiscono il successo di queste aziende alla tecnologia e all’efficienza nel collegare passeggeri e conducenti. Tuttavia, le ricerche già mostrano che la vera differenza di queste compagnie di trasporto rispetto alle compagnie di taxi, che hanno già una tecnologia simile, è il mancato o parziale pagamento di tasse e oneri stabiliti per il settore, la soppressione dei diritti dei lavoratori come le ferie e la tredicesima e l’intensificazione del lavoro.
I ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT), nel 2018 hanno svolto un ampio studio sulla remunerazione del lavoro degli autisti Uber e Lyft. Hanno intervistato 1.100 conducenti negli Stati Uniti, concentrandosi sui costi e sui guadagni legati allo svolgimento di questa attività lavorativa. I risultati mostrano che il profitto medio del conducente è di 3,37 dollari l’ora al lordo delle tasse e che il 74% dei conducenti guadagna meno del salario minimo nel loro stato. Il sondaggio ha anche rivelato che il 30% dei conducenti sta effettivamente perdendo denaro. Il reddito lordo medio del conducente è di $ 0,59 per miglio percorso (circa 1,6 km), ma quando si aggiungono le spese operative del veicolo, il profitto effettivo del conducente scende a una media di $ 0,29 per miglio.
Stanford, nella sua indagine sui conducenti Uber e tassisti australiani, suggerisce che il reddito orario netto effettivo dei conducenti Uber, dopo aver dedotto i costi totali di funzionamento del veicolo e altre spese, sia inferiore alla metà del salario minimo medio specificato per i lavoratori del trasporto passeggeri. Stanford conclude, nella sua ricerca ampia e dettagliata, che se Uber pagasse ai suoi autisti l’equivalente del salario minimo (senza modificare il suo margine) eliminerebbe completamente il suo vantaggio di costo rispetto ai taxi convenzionali. Impiegando lavoratori precari e informali, il capitale può produrre beni con un valore inferiore al loro valore sociale medio perché i loro costi salariali sono inferiori a quelli pagati per lavori formali. Di conseguenza, i beni prodotti contengono meno capitale variabile, ma sono comunque venduti ai prezzi di mercato in modo da poterne ricavare un extraprofitto.
Le società-piattaforma sono responsabili della produzione e riproduzione dell’uberizzazione del lavoro e contribuiscono al processo di impoverimento dei lavoratori. Simboli dei modelli precari di lavoro post-fordisti del recente passato, aziende come Toyota, WalMart, McDonald’s, tra le tante, cedono il passo ai modelli di gestione e controllo del lavoro di società-piattaforma come Uber, Amazon Mechanical Turk, Glovo, TaskRabbit, tra i tanti possibili esempi.
L’uberizzazione del lavoro rappresenta il movimento di espansione della produzione e circolazione delle merci attraverso piattaforme digitali di intermediazione del lavoro, comprendendo nuove contraddizioni nella riproduzione sociale e mediazioni nel movimento del valore. Data la molteplicità di varianti associate al fenomeno tuttora in atto, che già comprende impatti rilevanti in molteplici ambiti, in particolare nei settori del trasporto urbano, del trasporto di prodotti, della sanità pubblica, degli alberghi e del turismo, dei servizi finanziari, dei servizi domestici, dei servizi di bellezza…, infinita sarebbe l’indagine che spiegherebbe tutti i suoi effetti sociali.
Se vogliamo trovare una conclusione di questo lavoro e su questo punto aprire una discussione collettiva è la seguente: l’uberizzazione del lavoro è una sintesi della sussunzione del lavoratore cognitivo, del lavoratore uberizzato e del consumatore attivo al processo produttivo e all’appropriazione privata di valore, facendo parte di un movimento di riarticolazione del capitale che è prodotto e produttore di nuove socialità di rete.
FONTE: https://www.lacittafutura.it/dibattito/uberizzazione-del-lavoro-e-trasformazioni-del-lavoro
PANORAMA INTERNAZIONALE
Bergoglio nominato guida morale dalla fondazione dei Rothschild
È il Bergoglio che non ti aspetti. Ecco Papa Francesco tra imprenditori, manager, banchieri, consulenti, funzionari pubblici. Tutte personalità, circa una settantina, di altissimo livello e di tutto il mondo, divise tra “Advisors” e “Members” (Stewards e Allies) di una (fin qui) misteriosa fondazione nata a dicembre scorso per iniziativa di una brillante signora componente della famiglia Rothschild, Lynn Forester De Rothschild, moglie di Sir Evelyn Robert de Rothschild, un finanziere britannico molto amico di Bill e Hillary Clinton.
Si chiama Council for Inclusive Capitalism with the Vaticano, che discende da Coalition for Inclusive Capitalism, due organizzazioni senza scopo di lucro che sviluppano iniziative che inducano la trasformazione del capitalismo per rendere le economie e le società più inclusive, dinamiche, sostenibili e affidabili. I membri della Fondazione, che nasce sotto gli auspici della Santa Sede, hanno esplicitamente eletto Bergoglio a loro guida morale.
Membro del Partito democratico americano, socia fondatrice e amministratrice di Inclusive Capital Partners, un gestore degli investimenti per lo Spring Fund da 1,5 miliardi di dollari, che cerca rendimenti laddove una parte del valore viene utilizzato per migliorare le prestazioni ambientali e sociali delle aziende in cui si investe, nonché fino a luglio 2020 amministratore delegato del family office E.L. Rothschild LLC, Lynn Forester De Rothschild vanta rapporti solidissimi con il Vaticano, come d’altronde è sempre stato per i diversi rami dei Rothschild.
FONTE: https://grandeinganno.it/2021/10/13/bergoglio-nominato-guida-morale-dalla-fondazione-dei-rothschild/
Folla tenta di linciare Bill Gates, salvato dal tempestivo intervento delle forze dell’ordine
Il miliardario Bill Gates fondatore della Bill e Melinda Gates Foundation, si trovava a cena con Boris Johnson quando una folla inferocita lo ha aspettato all’uscita del locale, solo il tempestivo intervento della polizia ha evitato il peggio. La folla inferocita ha anche tentato di sottrarlo ai poliziotti ma fortunatamente per lui gli agenti sono riusciti a metterlo in salvo facendolo subito entrare nell’auto blindata.
FONTE: https://grandeinganno.it/2021/10/19/folla-tenta-di-linciare-bill-gates-salvato-dal-tempestivo-intervento-delle-forze-dellordine/
Dichiarazione del primo ministro Mateusz Morawiecki al Parlamento europeo
un discorso da sovranista esemplare
Signor Presidente,
Signora Presidente,
Onorevoli deputati,
Sono qui davanti a voi oggi in Parlamento, per esporre la nostra posizione su una serie di questioni che ritengo fondamentali per il futuro dell’Unione europea. Non solo per il futuro della Polonia, ma per il futuro dell’Unione nel suo insieme.
In primo luogo, parlerò delle crisi che l’Europa sta affrontando oggi e che dovremmo affrontare.
In secondo luogo, parlerò di standard e regole – che dovrebbero essere sempre uguali per tutti – e del fatto che troppo spesso non lo sono.
In terzo luogo, presenterò un parere sui principi secondo cui nessuna autorità pubblica dovrebbe intraprendere azioni per le quali non ha una base giuridica.
Il quarto punto del mio intervento riguarderà la sentenza del Tribunale costituzionale polacco e cosa significano per l’Unione questa e altre sentenze simili.
E anche sull’importanza della diversità e del rispetto reciproco.
Quindi, in quinto luogo, presenterò il nostro punto di vista sul pluralismo costituzionale.
Successivamente, indicherò gli enormi rischi per l’intera società derivanti dall’applicazione della sentenza della Corte di giustizia dell’UE, che si stanno già materializzando in Polonia.
Infine, riassumerò tutte le conclusioni e guarderò al futuro con speranza.
Vorrei iniziare dalle basi, dalle sfide cruciali per il nostro futuro comune. Disuguaglianze sociali, inflazione e aumento del costo della vita, che colpiscono tutti i cittadini europei, minacce esterne, aumento del debito pubblico, immigrazione illegale o crisi energetica che aumentano le sfide della politica climatica. Tutti questi portano a disordini sociali e ampliano il catalogo di problemi significativi.
La crisi del debito ha sollevato la questione, per la prima volta dopo la guerra, se possiamo fornire una vita migliore per la prossima generazione.
I nostri confini stanno diventando sempre più stabili. Nel Sud, l’assalto di milioni di persone ha reso il Mediterraneo un luogo tragico. In Oriente ci troviamo di fronte a una politica russa aggressiva, capace di fare la guerra per impedire ai paesi confinanti di scegliere la via europea.
Oggi siamo alle soglie di un’enorme crisi del gas e dell’energia. L’impennata dei prezzi – causata, tra l’altro, dalle azioni intenzionali delle aziende russe – sta già mettendo molte aziende in Europa nella posizione di dover scegliere tra tagliare la produzione o scaricare i costi sui consumatori. La portata di questa crisi potrebbe scuotere l’Europa nelle prossime settimane. Molte aziende potrebbero fallire, la crisi del gas potrebbe spingere milioni di famiglie, decine di milioni di persone, alla povertà e alla privazione a causa di aumenti incontrollati dei costi in tutta Europa. Dobbiamo anche fare i conti con il rischio di contagio: una crisi può innescare una cascata di crolli successivi.
Dico “noi” ogni volta, perché nessuno di questi problemi può essere risolto da solo. Non tutti questi problemi hanno colpito il mio paese in modo così drammatico come in altri stati dell’UE. Ciò non toglie che considero tutti questi problemi “i nostri problemi”.
Dirò ora alcune parole sul contributo della Polonia al nostro progetto comune.
Per noi l’integrazione europea è una scelta di civiltà e strategica. Siamo qui, apparteniamo a questo posto e non andiamo da nessuna parte. Vogliamo rendere l’Europa di nuovo forte, ambiziosa e coraggiosa. Ecco perché non guardiamo solo ai benefici a breve termine, ma anche a ciò che possiamo dare all’Europa.
La Polonia beneficia dell’integrazione principalmente grazie agli scambi nel mercato comune. Molto importanti sono anche i trasferimenti tecnologici e i trasferimenti diretti. Ma la Polonia non è entrata nell’UE a mani vuote. Il processo di integrazione economica ha ampliato le opportunità per le aziende del mio paese, ma ha anche aperto grandi possibilità per le aziende tedesche, francesi o olandesi. Gli imprenditori di questi paesi stanno beneficiando enormemente dell’allargamento dell’Unione.
Basta contare l’enorme deflusso di dividendi, interessi attivi e altri strumenti finanziari dai paesi dell’Europa centrale – i meno ricchi – verso l’Europa occidentale – i più ricchi. Tuttavia, vogliamo che non ci siano perdenti in questa cooperazione, ma vincitori.
È stata la Polonia a promuovere un ambizioso Recovery Fund garantendo che la risposta odierna alle sfide dell’energia, del cambiamento climatico e della trasformazione post-pandemia fosse adeguata alle esigenze. Perché la crescita economica sia forte, dando speranza e garanzia che milioni di bambini, donne e uomini non siano lasciati soli e vulnerabili alla globalizzazione. Su questi temi abbiamo parlato all’unisono con il Parlamento europeo.
La Polonia sostiene fortemente il mercato unico europeo. Vogliamo un’autonomia strategica che rafforzi il 27.
Ecco perché la Polonia o la Germania, la Repubblica Ceca e altri paesi dell’Europa centrale promuovono soluzioni che aumentano la competitività dell’economia europea nello spirito dell’applicazione delle quattro libertà fondamentali. La libertà di circolazione di beni, servizi, capitali e persone. Senza incoraggiare le attività dei paradisi fiscali, ciò che, purtroppo, viene ancora fatto da alcuni paesi dell’Europa occidentale, che in questo modo evitano i loro vicini. Sì, onorevoli colleghi, i paradisi fiscali che tolleriamo nell’Unione europea significano prendere i soldi dai più ricchi. È giusto? Aiuta a migliorare le sorti della classe media o dei meno abbienti? Rientra nel catalogo dei valori europei? Ne dubito molto.
Anche la Polonia e l’Europa centrale sono favorevoli a un’ambiziosa politica di allargamento che rafforzerà l’Europa nei Balcani occidentali. Completerà l’integrazione europea geograficamente, storicamente e strategicamente. Vogliamo le aspirazioni globali dell’Unione e siamo a favore di una forte politica di difesa europea con una struttura pienamente coerente con la NATO!
Oggi, quando il confine orientale dell’Unione è oggetto di un attacco organizzato che usa cinicamente le migrazioni dal Medio Oriente per destabilizzarlo, è la Polonia che dà sicurezza all’Europa fungendo da barriera insieme a Lituania e Lettonia per proteggere questo confine. E rafforzando il nostro potenziale di difesa, rafforziamo la sicurezza dell’Unione nel senso più tradizionale.
Mentre mi trovo qui oggi davanti a voi, vorrei ringraziare i servizi polacchi, lituani e lettoni, nonché tutti i paesi dell’Europa meridionale, le nostre guardie di frontiera e i servizi in uniforme, per gli sforzi e la professionalità nel proteggere i confini dell’Unione.
La sicurezza ha molte dimensioni. Oggi, quando siamo tutti colpiti dall’aumento dei prezzi del gas, è facile vedere quali possono essere i risultati della miopia in materia di sicurezza energetica. La politica e il consenso di Gazprom per Nord Stream 2 stanno già portando a prezzi del gas record.
Mentre oggi nei paesi che hanno fondato le Comunità il livello di fiducia nell’Unione è sceso a livelli storicamente bassi, come il 36% in Francia, in Polonia questa fiducia nell’Europa rimane ai massimi livelli. Oltre l’85% dei cittadini polacchi afferma chiaramente: la Polonia è e rimane membro dell’Unione europea. Il mio governo e la maggioranza parlamentare che lo sostiene fanno parte di questa maggioranza europeista in Polonia.
Ciò non significa che i polacchi oggi non abbiano dubbi e ansie sulla direzione del cambiamento in Europa. Questa ansia è visibile e, purtroppo, giustificata.
Ho parlato di quanto la Polonia abbia contribuito all’Unione. E purtroppo! Si sente ancora parlare di divisione in meglio e peggio. Troppo spesso abbiamo un’Europa dei doppi standard. E ora dirò perché dobbiamo porre fine a questo modello.
Oggi tutti gli europei si aspettano una cosa. Vogliono che affrontiamo le sfide poste da più crisi contemporaneamente, e non l’una contro l’altra, cercando qualcuno da incolpare, o meglio, coloro che non sono realmente da biasimare, ma a cui è conveniente dare la colpa.
Sfortunatamente, vedendo alcune delle pratiche delle istituzioni dell’UE, molti dei cittadini del nostro continente si chiedono oggi: c’è davvero uguaglianza nelle sentenze e decisioni estremamente diverse prese da Bruxelles e Lussemburgo nei confronti di diversi Stati membri in circostanze simili, che di fatto approfondiscono la divisione in Stati membri forti, vecchi e nuovi, in forti e deboli, ricchi e poveri?
Fingere che i problemi non esistano porta a conseguenze negative. I cittadini non sono ciechi, non sono sordi. Se politici e funzionari soddisfatti di sé non lo vedono, perderanno gradualmente la fiducia. E insieme a loro, le istituzioni perderanno fiducia. Sta già accadendo, onorevoli colleghi.
La politica deve essere basata sui principi. Il principio fondamentale che professiamo in Polonia e che è alla base dell’Unione europea è il principio della democrazia.
Pertanto, non possiamo rimanere in silenzio quando il nostro paese, anche in quest’Aula, viene attaccato in modo ingiusto e di parte.
L’insieme delle regole del gioco deve essere lo stesso per tutti. È responsabilità di tutti rispettarli, comprese le istituzioni che sono state istituite in quei trattati. Questi sono i fondamenti dello Stato di diritto.
È inaccettabile estendere i poteri, agire per mezzo di fatti compiuti. È inaccettabile imporre ad altri le proprie decisioni senza una base giuridica. È tanto più inaccettabile usare a tal fine il linguaggio del ricatto finanziario, parlare di sanzioni o usare parole ancora più profonde contro alcuni Stati membri.
Respingo il linguaggio delle minacce, del nonnismo e della coercizione. Non sono d’accordo che i politici ricattino e minaccino la Polonia. Non sono d’accordo che il ricatto diventi un metodo di condotta politica nei confronti di uno Stato membro. Non è così che le democrazie fanno le cose.
Siamo un paese orgoglioso. La Polonia è uno dei paesi con la più lunga storia di stato e democrazia. Per tre volte nel XX secolo, a costo di grandi sacrifici, abbiamo lottato per la libertà dell’Europa e del mondo. Nel 1920, quando salvammo Berlino e Parigi dall’invasione bolscevica, poi nel 1939, quando per primi entrammo in una battaglia omicida con la Germania e il Terzo Reich, che ebbe un impatto sulle sorti della guerra e infine, in 1980, quando “Solidarietà” diede speranza per il rovesciamento di un altro totalitarismo: il crudele sistema comunista. La ricostruzione postbellica dell’Europa è stata possibile grazie al sacrificio di molte nazioni, ma non tutte ne hanno potuto beneficiare.
Onorevoli deputati. Ora qualche parola sullo stato di diritto. C’è molto da dire sullo stato di diritto e tutti capiranno questo concetto in modo diverso in una certa misura. Tuttavia, penso che la maggior parte di noi sarà d’accordo sul fatto che non si può parlare di Stato di diritto senza diverse condizioni. Senza il principio della separazione dei poteri, senza tribunali indipendenti, senza rispettare il principio che ogni potere ha competenze limitate, e senza rispettare la gerarchia delle fonti del diritto.
Il diritto dell’Unione precede il diritto nazionale – al livello degli statuti e nei settori di competenza attribuiti all’Unione. Questo principio si applica in tutti i paesi dell’UE. Ma la Costituzione resta la legge suprema.
Se le istituzioni istituite dai Trattati eccedono i loro poteri, gli Stati membri devono disporre degli strumenti per reagire.
L’Unione è una grande conquista dei paesi europei. È una forte alleanza economica, politica e sociale. È l’organizzazione internazionale più forte e più sviluppata della storia. Ma l’Unione Europea non è uno Stato. Gli Stati sono i 27 Stati membri dell’Unione! Gli Stati sono sovrani europei, sono i “padroni dei trattati” e sono gli Stati che definiscono l’ambito delle competenze affidate all’Unione europea.
Nei trattati abbiamo affidato all’Unione una gamma molto ampia di competenze. Ma non gli abbiamo affidato tutto. Molte aree del diritto rimangono di competenza degli Stati nazionali.
Non abbiamo dubbi sul primato del diritto europeo sulle leggi nazionali in tutti i settori in cui la competenza è stata delegata all’Unione dagli Stati membri.
Tuttavia, come i tribunali di molti altri paesi, il tribunale polacco solleva la questione se il monopolio della Corte di giustizia per definire i limiti effettivi dell’affidamento di tali competenze sia la soluzione adeguata. Poiché la determinazione di tale ambito rientra nella materia costituzionale, qualcuno deve anche esprimere un parere sulla costituzionalità di tali nuove, eventuali competenze , soprattutto quando la Corte di giustizia introduce dai trattati sempre più nuove competenze delle istituzioni comunitarie.
Altrimenti non avrebbe senso inserire nel Trattato sull’Unione europea l’articolo 4, che stabilisce che l’Unione rispetta le strutture politiche e costituzionali degli Stati membri. Non avrebbe senso inserire nel Trattato l’articolo 5, che stabilisce che l’UE può agire solo nei limiti dei poteri conferiti. Entrambi questi articoli sarebbero privi di significato se nessun altro che la Corte di giustizia potesse avere voce in capitolo in materia dal punto di vista costituzionale dell’ordinamento nazionale.
Sono consapevole che la recente sentenza del Tribunale costituzionale polacco è stata oggetto di un malinteso fondamentale. Se io stesso sentissi che il Tribunale costituzionale di un altro paese ha invalidato i trattati dell’UE, probabilmente mi sorprenderei anch’io. Ma soprattutto, cercherei di scoprire cosa ha effettivamente deciso la Corte.
Ed è anche a questo scopo che ho chiesto di intervenire nel dibattito odierno. Per presentarvi qual è il vero oggetto della controversia. Non le favole politicamente motivate su “Polexit”, o le bugie su presunte violazioni dello stato di diritto.
Ecco perché voglio presentarvi i fatti nella prossima sezione del mio intervento. E per fare questo, è meglio presentare direttamente alcune citazioni:
- Nell’ordinamento giuridico [nazionale], il primato del diritto dell’Unione non si applica alle disposizioni della Costituzione: è la Costituzione che si trova al vertice dell’ordinamento giuridico interno.
- Il principio del primato del diritto dell’Unione europea (…) non può ledere nell’ordinamento giuridico nazionale la forza suprema della Costituzione
- La Corte Costituzionale può esaminare la condizione dell’ultra vires (…) cioè stabilire se gli atti delle istituzioni dell’Unione violino il principio di attribuzione quando le istituzioni, gli organi, gli organi e gli organismi dell’Unione hanno ecceduto l’ambito delle loro poteri in modo da violare tale principio.
In conseguenza di tale decisione, gli atti ultra vires non si applicano all’interno del territorio [dello Stato membro].
- La Costituzione vieta il trasferimento di poteri in misura tale da far sì che [uno stato] non possa essere considerato un paese sovrano e democratico.
Tralascerò le prossime citazioni per non occupare troppo del tuo tempo. Passerò agli ultimi due.
- La Costituzione è la legge suprema della Polonia in relazione a tutti gli accordi internazionali che la vincolano, compresi gli accordi sul trasferimento di competenza in determinate materie. La Costituzione godrà del primato di validità e applicazione nel territorio della Polonia
E ultima citazione
- Il trasferimento di competenze all’Unione europea non può violare il principio di supremazia della Costituzione e non può violare alcuna disposizione della Costituzione
Vedo l’agitazione sui vostri volti, capisco che non sia d’accordo, almeno in parte, in quest’Aula. Ma non capisco perché. Perché queste citazioni provengono da decisioni del Consiglio costituzionale francese, della Corte suprema danese, della Corte costituzionale federale tedesca. Ho omesso le citazioni della corte italiana e spagnola.i.
E le citazioni delle sentenze del tribunale polacco riguardano il 2005 e il 2010. Quindi, dopo che la Polonia è diventata membro dell’Unione europea. La dottrina che oggi difendiamo è consolidata da anni.
Vale anche la pena di citare il professor Marek Safjan, già presidente del Tribunale costituzionale polacco e oggi giudice alla Corte di giustizia: «In base alla Costituzione, non vi sono ragioni per la tesi della supremazia del diritto dell’UE in relazione l’intero ordinamento nazionale comprese le norme costituzionali.Non vi sono motivi!Secondo la stessa Costituzione, è la legge suprema della Repubblica di Polonia (articolo 8, comma 1).La citata norma contenuta nel comma 2 dell’articolo 91 prevede expressis verbis per il primato del diritto comunitario in caso di collisione con una norma statutaria, ma non con la norma costituzionale”.
Questa posizione dei tribunali nazionali non è nuova. Potrei citare altre dozzine di sentenze di Italia, Spagna, Repubblica Ceca, Romania, Lituania e altri paesi. Sento anche voci che alcune di queste sentenze si sono occupate di altri casi, di portata minore. È vero: ogni giudizio riguarda sempre qualcosa di diverso. Ma – per l’amor di Dio! – hanno una cosa in comune: confermano che i tribunali costituzionali nazionali riconoscono il loro diritto di controllo. Il diritto al controllo! Tanto e tanto altro! Controllare se il diritto dell’Unione è applicato nei limiti di quanto le è stato affidato. Dedicherò ora alcune frasi all’Unione come spazio di pluralismo costituzionale.
Onorevoli deputati. Ci sono paesi tra noi in cui le corti costituzionali non esistono, e quelli in cui lo fanno. Ci sono paesi che hanno la loro presenza nell’Unione Europea scritta nelle loro costituzioni, e ci sono paesi che non lo fanno. Ci sono paesi in cui i giudici sono scelti da politici democraticamente eletti, e ci sono paesi in cui sono scelti da altri giudici.
Il pluralismo costituzionale significa che c’è spazio per il dialogo tra noi, i nostri paesi e gli ordinamenti giuridici. Questo dialogo avviene anche attraverso le sentenze dei tribunali. In quale altro modo i tribunali dovrebbero comunicare se non attraverso le loro sentenze? Tuttavia, non può esserci consenso a impartire istruzioni e ordini agli Stati. Non è di questo che si occupa l’Unione europea. Abbiamo molto in comune, vogliamo avere sempre di più in comune, ma ci sono differenze tra di noi. Se vogliamo lavorare insieme, dobbiamo accettare l’esistenza di queste differenze, dobbiamo accettarle, dobbiamo rispettarci l’un l’altro.
L’Unione non andrà in pezzi per il fatto che i nostri sistemi giuridici sono diversi. Operiamo in questo modo da sette decenni. Forse in futuro apporteremo modifiche che avvicineranno ulteriormente la nostra legislazione. Ma perché ciò accada, è necessaria una decisione degli Stati membri sovrani.
Oggi ci sono due atteggiamenti che possiamo adottare: o possiamo accettare tutti i tentativi extra-legali, extra-trattati di limitare la sovranità dei paesi europei, inclusa la Polonia, all’espansione strisciante delle competenze di istituzioni come la Corte di giustizia, alla “rivoluzione silenziosa” che avviene non sulla base di decisioni democratiche ma attraverso sentenze dei tribunali – o possiamo dire: “No, miei cari” – se volete fare dell’Europa un superstato senza nazione, guadagnate prima il consenso di tutti gli europei paesi e società per questo.
Lo ripeto ancora una volta: la legge suprema della Repubblica di Polonia è la Costituzione. Essa precede altre fonti del diritto. Nessun tribunale polacco, nessun parlamento polacco e nessun governo polacco possono discostarsi da questo principio.
Tuttavia, vale anche la pena sottolineare che il Tribunale polacco, anche nella recente votazione, non ha mai affermato che le disposizioni del Trattato sull’Unione siano del tutto incoerenti con la Costituzione polacca. Anzi! La Polonia rispetta pienamente i trattati.
Questo è il motivo per cui il tribunale polacco ha affermato che un’interpretazione molto specifica di alcune disposizioni del Trattato, risultante dalla recente giurisprudenza della Corte di giustizia, era incompatibile con la Costituzione.
Per chiarire ciò, passerò ora nella parte successiva del mio intervento a delineare i rischi per l’intero sistema sociale quando lo status di un giudice è contestato da un altro giudice.
Secondo l’interpretazione del Tribunale lussemburghese, i giudici dei tribunali polacchi sarebbero obbligati ad applicare il principio del primato del diritto europeo non solo sulle norme statutarie nazionali – cosa indubbia – ma anche a violare la Costituzione e le sentenze della propria Costituzione Tribunale!
L’adozione di questa interpretazione può conseguentemente comportare il ribaltamento arbitrario di milioni di sentenze emesse dai tribunali polacchi negli ultimi anni e la rimozione dall’incarico di migliaia di giudici. Milioni di giudizi! Ciò può essere contrario ai principi di indipendenza, inamovibilità e stabilità e certezza del diritto a un tribunale, che derivano tutti direttamente dalla Costituzione polacca. Non ti rendi conto a cosa potrebbe portare questo?! Qualcuno di voi vuole davvero introdurre l’anarchia, la confusione e l’illegalità in Polonia?
La conseguenza sarebbe un abbassamento fondamentale del livello costituzionale di protezione giudiziaria dei cittadini polacchi e un caos giuridico inimmaginabile.
Nessuno Stato sovrano può accettare una simile interpretazione. Accettarlo significherebbe che l’Unione cessa di essere un’unione di paesi liberi, uguali e sovrani – e che si trasformerebbe, con il metodo dei fatti compiuti, in un organismo parastatale amministrato centralmente, le cui istituzioni possono imporre alle sue “province “Tutto quello che considerano giusto. Questo non è mai stato concordato.
Questo non è ciò che abbiamo concordato nei Trattati. Vale certamente la pena discutere se l’Unione debba cambiare. Non dovrebbe creare un budget maggiore? Non dovremmo spendere di più per la sicurezza comune? Le spese per la difesa non dovrebbero essere sottratte alle procedure di disavanzo di bilancio? Questo è ciò che propone la Polonia! Non dovremmo rafforzare la nostra resilienza ai pericoli ibridi, alle minacce informatiche? Non dovremmo controllare meglio gli investimenti nei settori strategici dell’economia? Come finanziare in modo equo ed efficace la trasformazione energetica e climatica? Come rendere più efficace il nostro processo decisionale? Cosa possiamo fare per evitare che i nostri cittadini si sentano sempre più alienati nell’UE?
Pongo queste domande perché credo che le risposte a queste domande determineranno il futuro dell’Unione. Dovremmo discutere di tutto questo.
Dedicherò quindi ora alcune frasi alla questione dei limiti delle competenze dell’Unione e delle sue istituzioni.
Non si dovrebbero prendere decisioni importanti modificando l’interpretazione della legge.
Il successo dell’integrazione europea sta proprio in questo: quella legge è stata derivata dai meccanismi che collegano i nostri stati in altre aree.
Il tentativo di ribaltare di 180 gradi questo modello – e imporre l’integrazione attraverso meccanismi legali – è un allontanamento dai presupposti che erano alla base del successo delle Comunità europee.
Il fenomeno del deficit democratico è oggetto di discussione da anni. E questo deficit è andato peggiorando. Mai prima d’ora, però, è stato così visibile come negli ultimi anni. Sempre più spesso, attraverso l’attivismo giudiziario, le decisioni vengono prese a porte chiuse e c’è una minaccia per i paesi membri. E sempre più spesso – viene fatto senza una base chiara nei trattati, ma attraverso la loro reinterpretazione creativa. E – senza alcun controllo reale. E questo fenomeno è in crescita da anni.
Oggi quel processo è arrivato a un punto tale che dobbiamo dire: basta. Le competenze dell’Unione europea hanno i loro limiti. Non dobbiamo più tacere quando vengono superati.
Per questo diciamo SI all’universalismo europeo e NO al centralismo europeo.
Io, come tutti voi in quest’Aula, sono soggetto al controllo democratico. In questo modo saremo tutti chiamati a rispondere di tutte le nostre azioni. Rappresento un governo che è stato eletto nel 2015 e per la prima volta nella storia polacca ha raggiunto una maggioranza unica. Ecco perché abbiamo intrapreso un ambizioso programma di riforma sociale
E il popolo polacco ha deciso: alle prossime elezioni del 2018, 2019, 2020, ha fatto una valutazione democratica del nostro governo. Con la più alta affluenza alle urne della storia, abbiamo ottenuto il mandato democratico più forte della storia. Da 30 anni nessun partito non raggiunge un risultato elettorale simile a Legge e Giustizia. E questo senza il supporto di paesi stranieri, senza il supporto delle grandi imprese, senza nemmeno un quarto dell’influenza sui media come i nostri concorrenti, che hanno plasmato la Polonia dopo il 1989.
Riceviamo paternalisticamente lezioni sulla democrazia, lo stato di diritto, su come dovremmo modellare la nostra patria, che stiamo facendo scelte sbagliate, che siamo troppo immaturi, che la nostra democrazia è presumibilmente “giovane” – è un corso fatale di narrativa proposto da alcuni.
La Polonia ha una lunga tradizione democratica. Anzi anche una tradizione di “Solidarietà”.
Sanzioni, repressione dei paesi economicamente più forti contro quelli che stanno ancora lottando con l’eredità di essere dalla parte sbagliata della cortina di ferro: non è una strada giusta. Dobbiamo tutti ricordare le conseguenze.
La Polonia rispetta i principi dell’Unione, ma non si lascia intimidire. La Polonia si aspetta un dialogo su questo tema.
Per migliorare il processo di questo dialogo, vale la pena proporre cambiamenti istituzionali. Si potrebbe istituire una sezione della Corte di giustizia, composta da giudici nominati dalle corti costituzionali degli Stati membri, per il dialogo permanente, secondo il principio del controllo e dell’equilibrio. Oggi vi presento una proposta del genere. La decisione finale deve spettare ai demos e agli stati, ma i tribunali dovrebbero avere una tale piattaforma per trovare un terreno comune.
In conclusione, onorevoli deputati, dobbiamo anche rispondere alla domanda da dove l’Europa ha tratto vantaggio nel corso dei secoli. Ciò che ha reso la civiltà europea così forte.
La storia risponde così: siamo diventati potenti perché eravamo il continente più diversificato del pianeta.
Niall Ferguson scrive che: “gli imperi monolitici dell’Oriente soffocavano l’innovazione, mentre nell’Eurasia occidentale, montuosa e attraversata dai fiumi, numerose monarchie e città-stato erano in competizione creativa e comunicavano costantemente tra loro”.
Così l’Europa ha vinto trovando un equilibrio tra competizione creativa e comunicazione. Tra competizione e cooperazione. Oggi abbiamo bisogno di entrambi di nuovo.
Onorevoli deputati. Voglio un’Europa forte e grande. Voglio un’Europa che si batta per la giustizia, la solidarietà e le pari opportunità. Un’Europa capace di resistere ai regimi autoritari. Un’Europa che privilegia le soluzioni economiche più recenti. Un’Europa che rispetta la cultura e le tradizioni da cui è cresciuta. Un’Europa che riconosce le sfide del futuro e lavora alle migliori soluzioni per il mondo intero. Questo è un grande compito per noi. Per tutti noi, cari amici. Solo così i cittadini europei troveranno in se stessi la speranza di un domani migliore. Troveranno in se stessi la volontà di agire e la volontà di combattere. È un compito difficile. Ma intraprendiamolo. Intraprendiamolo insieme. Viva la Polonia, viva l’Unione Europea degli Stati sovrani, viva l’Europa, il posto più grande del mondo!
Grazie mille.
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/dichiarazione-del-primo-ministro-mateusz-morawiecki-al-parlamento-europeo/
POLITICA
La violenza di Schrodinger
Gilberto Trombetta – 11 10 2021
Bisogna però condannare tutte le forme di violenza.
Se ci si limita a condannarla solo quando non è quella di Governo – anche quando lo è – allora abbiamo un problema.
Perché non si può fare a meno di notare che mentre le forze dell’ordine erano intente a picchiare manifestanti pacifici e inermi, tra cui molte donne e anziani, le stesse permettevano ai militanti di Forza Nuova – che conoscono molto bene – di arrivare indisturbati sotto e dentro la sede della CGIL.
Questo perché si tratta di una realtà funzionale al mantenimento dello status quo. Molto probabilmente pagata anche in pregiata valuta estera, come le sterline.
Lasciata agire indisturbata – guarda caso – a ridosso dell’inizio degli scioperi nazionali per l’entrata in vigore dell’infame lasciapassare verde.
Non ci si può esimere dal condannare anche la violenza dei sindacati confederati – due facce, insieme agli assaltatori, della stessa medaglia – che da anni lavorano contro gli interessi dei lavoratori.
Sindacati a cui il migliore augurio che si possa fare è che tutti i loro – sempre meno numerosi – iscritti straccino definitivamente la tessera di appartenenza.
Quegli stessi sindacati che non hanno mosso un dito contro la vergogna del green pass e che anzi, a ben vedere, lo hanno appoggiato.
Non ci si deve soprattutto esimere dal condannare la forma di violenza più pericolosa e pervasiva. Cioè quella governativa.
Quella violenza che da decenni è rivolta contro i diritti dei lavoratori e contro i diritti dei cittadini sanciti dalla Costituzione.
Quella violenza che in barba a tutto – Costituzione, evidenze scientifiche e buonsenso – priverà dal 15 ottobre milioni di lavoratori italiani del loro diritto più sacro, quello al lavoro. E quindi del salario con cui vivere (a malapena sopravvivere in molti casi, purtroppo).
Perché indignarsi solo per alcune forme di violenza vuol dire essere ipocriti. O peggio.
Perché se vogliamo tornare a combattere la lotta di classe – e non limitarci solo a perderla senza più combatterla – forse si dovrà mettere in conto anche che il livello dello scontro si alzi.
Perché se davanti alla violenza governativa si fa finta di niente, in fin dei conti di quella violenza si diventa complici.
Dal 15 ottobre sarà necessario un lasciapassare governativo per accedere al proprio posto di lavoro.
Non accadeva, in Italia, dal 1938.
«Non sei mica fascista? – mi disse. Era seria e rideva.
Le presi la mano e sbuffai. – Lo siamo tutti, cara Cate, – dissi piano – Se non lo fossimo, dovremmo rivoltarci, tirare le bombe, rischiare la pelle. Chi lascia fare e s’accontenta, è già un fascista»*.
[* Cesare Pavese – La casa in collina]
Gilberto Trombetta
GILBERTO TROMBETTA
43 anni, giornalista politico economico e candidato Sindaco di Roma con la lista Riconquistare l’Italia del Fronte Sovranista Italiano
Sul significato politico del Green Pass
di Andrea Zhok
Per intendere il significato della protesta contro l’imposizione del GP bisogna comprenderne la natura ibrida.
In questa protesta confluiscono due spinte differenti, anche se compatibili.
1) Il “dissenso cognitivo”
La prima linea di contestazione è quella legata a ciò che possiamo chiamare uno “scandalo epistemico”, cioè la percezione da parte di un limitato numero di cittadini della crassa inadeguatezza delle motivazioni che dovrebbero giustificare l’introduzione della certificazione verde. Questa inadeguatezza è saltata agli occhi ad alcuni sia sul piano delle motivazioni giuridiche che su quello delle motivazioni sanitarie. Di questo gruppo fanno parte prevalentemente persone che avevano ragioni professionali o personali per approfondire autonomamente la questione, ad esempio perché studiosi o perché chiamati a dover decidere della vaccinazione dei propri figli, ecc.
Qui a muovere il tutto era ed è la chiara percezione che la normativa confluita nell’istituzione del Green Pass fosse incongrua con gli effetti che dichiarava di voler ottenere, fosse sproporzionata e discriminatoria, alimentasse un tipo di intervento sanitario (“il vaccino è l’unica salvezza”) che era dimostrabilmente sbagliato e controproducente.
La controparte di questo gruppo è rappresentato da persone che si sono fidate e si fidano della lezione dei media mainstream e dei resoconti delle autorità scientifiche nazionali, nonostante le massive contraddizioni in cui sono incorse.
Per ovvie ragioni il numero dei “dissenzienti cognitivi” è una esigua minoranza: visto che ogni approfondimento richiede tempo e capacità, chi si affida alle voci ufficiali è strutturalmente maggioranza, da sempre.
Questa lettura “cognitiva”, pur essendo quella cruciale dal punto di vista argomentativo, dà conto solo in modo parziale della natura dello scontro in atto.
La seconda linea di spaccatura si sta esplicitando in questi giorni.
2) Gli antefatti
Sulla protesta “cognitiva” nei confronti delle ragioni per l’istituzione del Green Pass si è innestata una protesta sociale, legata ad una dinamica chiara, anche se finora inespressa. Per intenderla bisogna riandare allo sviluppo della situazione a partire dall’inizio della pandemia. L’Italia, come gli altri paesi europei, ma in condizioni più critiche rispetto ad altri, non era mai davvero uscita dalle conseguenze della crisi finanziaria innescata dai mutui subprime. Il paese, già stremato, con elevati tassi di disoccupazione e malaoccupazione, con servizi pubblici in costante ritrazione, a partire dal sistema sanitario, si è ritrovato forzosamente bloccato a causa di un altro “colpo del destino”. L’incapacità delle autorità di tenere sotto controllo la diffusione di un nuovo virus e di tracciarne i focolai, la mancanza di un piano di emergenza pandemica aggiornato, la patetica sottovalutazione iniziale della situazione (chi non ricorda le campagne di Zingaretti e Sala: “Milano non si ferma!”), avevano aperto il vaso di Pandora di un’epidemia fuori controllo, che aveva impattato in modo grave sulla funzionalità del sistema ospedaliero, già in affanno. La risposta fu un lunghissimo lockdown nazionale, che colpiva drammaticamente un’economia reale già in difficoltà. I “ristori” coprirono solo molto parzialmente il danno. Dopo la tregua estiva, in cui il governo si distinse per l’inanità degli interventi (ricordiamo tutti l’imbarazzante tormentone dei “banchi a rotelle”), l’autunno riportò più forte di prima la crisi sanitaria, affrontata questa volta con blocchi meno generali, vista l’insostenibilità conclamata di un blocco come il primo. In tutto questo periodo il settore sanitario che più aveva bisogno di un radicale rafforzamento e di una ristrutturazione rimase sostanzialmente paralizzato. Ci si occupò esclusivamente della fase terminale della malattia, cercando di ampliare le terapie intensive, ed ignorando ogni serio tentativo di intervento tempestivo volto ad evitare di entrarci nelle terapie intensive. Praticamente tutti i passi fondamentali nel riconoscimento e nella cura della malattia, dall’esame molecolare del paziente 1 alle autopsie che avevano rivelato la dinamica trombotica dell’affezione, furono fatti per iniziative personali che andavano contro le indicazioni dei protocolli ufficiali.
Sul piano economico questa situazione ha visto due grandi blocchi di “perdenti”. Quelli che hanno continuato a lavorare, magari in settori considerati strategici, e che lo hanno fatto in condizioni sempre più difficili, spesso senza tutele sanitarie degne di nota, e poi quelli che non sono riusciti neppure a lavorare, perdendo fonti primarie di reddito.
Questa compressione delle condizioni di lavoro e di guadagno era subentrata su una situazione già compromessa dagli anni precedenti e che aspirava a ripristinare condizioni accettabili. L’emergenza pandemica mise non solo a tacere ogni aspirazione a rialzare la testa, ma spinse nel fango molti di quelli che erano rimasti a galla negli anni della crisi finanziaria. In Italia ciò era sfociato in un esito elettorale destabilizzante e che si riteneva ‘antisistema’, mentre in paesi a noi vicini come la Francia il movimento di protesta dei “gilet gialli” aveva messo alle strette il governo Macron. L’emergenza pandemica ha posto fine a tutto ciò, ad ogni ribellione sociale e pretesa rivendicativa.
Per 18 mesi, nonostante il drammatico peggioramento delle condizioni di vita di una buona parte della popolazione ogni protesta sociale è stata sterilizzata alla radice dal carattere straordinario ed emergenziale della pandemia. C’era “ben altro” di cui preoccuparsi.
Naturalmente non c’è nessun bisogno di credere che in qualche modo la pandemia sia stata “creata ad arte” per ottenere esiti così graditi al grande capitale. Di fatto la capacità di riconoscere il profilo di questi stati emergenziali e di utilizzarli a proprio beneficio è da molto tempo una componente distintiva della “governance capitalistica”. La sostanza tuttavia resta la seguente: la condizione emergenziale ha permesso ai settori più dematerializzati dell’economia, a partire dalla finanza, di mantenersi in sella migliorando la propria posizione comparativa, mentre chi viveva del proprio lavoro si è ritrovato sempre più spossessato, impotente, ristretto nelle proprie opzioni e condizioni, mentre nel nome dell’emergenza nessuna contestazione era possibile.
3) La Parousia del Green Pass
In questo contesto, in una fase che appariva declinante della pressione pandemica, è comparsa dal nulla la proposta del Green Pass. Ricordiamo che il GP italiano viene proposto in un momento in cui gli ospedali erano vuoti e in cui il 57% della popolazione si era già spontaneamente vaccinato. Il gesto implicito nell’istituzione del GP è dunque quello di anticipare una possibile nuova crisi.
Il problema, tuttavia, è che tale strategia simultaneamente crea le condizioni perché una crisi si possa verificare, avendo fatto passare il messaggio falso che la vaccinazione preserva sé e gli altri, e che solo la vaccinazione è l’unica arma risolutiva (mentre si mantiene forzosamente il sistema sanitario pubblico sguarnito). Invece di cercare la strada di buon senso di un approccio plurale, puntando su diverse strategie di contenimento, il GP è servito a inviare un messaggio univoco: il vaccino è l’unica via per la salvezza nazionale e chi vi si sottrae è un disertore.
Il GP diviene così un modo per estendere e mantenere lo spirito emergenziale, il senso di minaccia incipiente, e insieme un modo di far sottomettere volontariamente la popolazione ad un mezzo di controllo e di valutazione della propria condotta (una sorta di cittadinanza condizionale alla buona condotta).
In sostanza il GP opera come ponte per un’estensione del controllo sociale, come garanzia che anche in futuro si possa tenere a catena corta ogni eventuale protesta sociale. Dopo tutto, al lavoro si può recare solo chi è accondiscendente. Disattendendo a questa richiesta gli animi tendenzialmente più critici, diffidenti, indipendenti e battaglieri si autodenunciano. Il mondo sociale ci si sgrana davanti agli occhi in ortodossi ed eterodossi, insider e outsider.
Molti hanno obiettato che il GP è una misura temporanea, mirata al conseguimento di un obiettivo specifico. Questo argomento sarebbe stato più convincente se qualcuno avesse messo nero su bianco quali sono le esatte condizioni sotto cui avremmo potuto togliere questo strumento. A fronte dell’idea di uno strumento per un obiettivo specifico, la domanda che bisogna porre è: quale obiettivo? Forse la “sconfitta del virus”? Ma se fosse così, tutto quello che sappiamo ci dice che il virus rimarrà endemico, e dunque non ci sarà mai il giorno in cui festeggeremo l’estinzione del virus. E un virus circolante, con un sistema sanitario latitante, potrà sempre essere fatto giocare come una minaccia latente, rispetto a cui la popolazione viene chiamata a dimostrare la propria affidabilità, magari sottoponendosi a ulteriori condizionalità. Sarà la terza dose del “vaccino”? O forse la quarta di un vaccino “aggiornato”? E perché mai ci si dovrebbe fermare alle inoculazioni?
La verità è che l’unica ragione concreta per cui il GP potrebbe restare una misura temporanea è perché (e finché) c’è una significativa contestazione ad esso, una contestazione che crea un costo economico e politico al suo mantenimento. Il giorno in cui tutti avessero deciso, per quieto vivere, di accettarlo (“Dopo tutto che male fa? Anzi, dai, è uno strumento utile!”) si aprirebbe un’autostrada alla possibilità di estenderne le funzioni (migliorative, eh, s’intende).
4) Percezioni emancipative e percezioni reazionarie
Ecco, io credo che una parte significativa della popolazione, molto più ampia dei “dissenzienti cognitivi” intuisca questo disegno; non lo veda distintamente, ma lo percepisca in forma indistinta e però sufficiente a mettere in allarme. Un sacco di cittadini spremuti dalle crisi, e le cui lamentele sono state ridotte al silenzio dal continuo carattere “emergenziale” delle situazioni, comprendono che sottomettersi ad uno strumento che separa con motivazioni sostanzialmente arbitrarie chi è “in” e chi è “out” è l’arma definitiva per spezzare la schiena ad ogni resistenza. Dopo tutto per scioperare devi essere in servizio, devi lavorare, ma chi non aderisce alle direttive centrali per quanto arbitrarie non potrà essere in servizio, non potrà lavorare. Il problema dei dissenzienti, dei ‘cacadubbi’, può così essere tenuto a bada a monte.
Una parte vitale della popolazione sta percependo che qui si gioca una partita molto più grande, sta capendo che dopo mesi di indifferenza nei propri confronti quest’improvvisa sollecitudine mirante ad una ‘sicurezza sanitaria assoluta’ è una sceneggiata strumentale. Sta capendo soprattutto che a quasi due anni dagli esordi, con diverse armi oramai disponibili contro questo virus, continuare a comportarsi come se il Covid-19 fosse l’unico problema al mondo, cui tutti gli altri vanno subordinati e ammutoliti, è semplicemente una clamorosa manipolazione.
Ma attenzione, anche qui è importante guardare in faccia la controparte. Qui essa è costituita da due gruppi distinti.
Il primo gruppo è rappresentato da quella parte della popolazione che, o per paura fisica o per interesse economico, si è fissata in un solo desiderio: che tutto ritorni come prima, costi quel che costi. Lo spavento, fisico o economico, sedimentatosi nei mesi passati ha generato un impulso che accieca e silenzia ogni altra istanza. L’atteggiamento di fondo di questa (amplissima) parte della popolazione è riassumibile in qualcosa come: “Smettete di rompere i coglioni, fate quel che bisogna fare, inchinatevi se c’è da inchinarsi, inoculatevi se c’è da inocularsi, perché io quello spavento non lo voglio più rivivere!”
Questo atteggiamento, ancorché psicologicamente comprensibile, è pericolosissimo, come sono sempre state le “grandi paure” nella storia, perché una volta posto qualcosa come una sorta di “Assoluto Negativo”, si è disposti a calpestare chiunque, a travolgere qualunque cosa ci venga presentata come ‘favorente’ quell’Assoluto Negativo. Qui la paura crea anche peculiari condizioni di abbassamento delle difese critiche e dunque di schietta ottusità.
Accanto a questo gruppo ce n’è un secondo, piccolo ma assai influente, rappresentato da chi dalle passate crisi è uscito sempre in sella e anzi in posizione di vantaggio, e che alimenta scientemente qualunque tipo di iniziativa possa garantire la preservazione dello status quo, qualunque normativa garantisca la scomparsa del conflitto, la “pace sociale”. Foss’anche quella di un camposanto.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/societa/21367-andrea-zhok-sul-significato-politico-del-green-pass.html
Covid, la nuova religione della sinistra
La Covid ha sostituito il cambiamento climatico come religione della sinistra
La religione è un sistema di credenze basato su una combinazione di logica e fede, per lo più al di là dell’ambito di ciò che può essere dimostrato scientificamente. Una definizione del dizionario è: “La religione è la credenza in un dio o déi e le attività collegate a questa credenza, come pregare o adorare in un edificio come una chiesa o un tempio”.
O in termini più semplici, la religione può creare ordine e significato in un mondo casuale e caotico. La religione è anche fortemente radicata e profondamente personale, non qualcosa che viene messo da parte sulla base delle parole di un governo, di un politico o di una celebrità.
Per molti, la politica è diventata una religione e, come consiglia una regola secolare del galateo, “Mai discutere di politica o religione in cortese compagnia”. Purtroppo, oggi, la scienza è diventata politica ed è entrata nell’ambito della religione.
Per decenni, il comunismo è stato la religione primaria della sinistra. La caduta dell’Unione Sovietica e i fallimenti socio-economici di Cuba, Venezuela e altre dittature comuniste hanno indirizzato la sinistra verso un nuovo dio, la madre terra o, semplicemente, l’ambiente. Questa religione è passata dal raffreddamento globale negli anni ’70 al riscaldamento globale un decennio dopo, ora al cambiamento climatico o al tempo estremo – eventi ciclici normali che fanno parte della vita sul pianeta Terra da molto prima che esistessero gli esseri umani.
Mentre il cambiamento climatico è stato la scusa per massicci schemi di tassazione e spesa per la ridistribuzione della ricchezza e il controllo della popolazione dall’alto verso il basso, il movimento era in stallo man mano che l’allarmismo diventava meno credibile per gran parte della popolazione. È tempo di sostituire un dio dell’ambiente con un virus mortale, il cui trattamento e controllo potrebbe ottenere ciò che il riscaldamento globale e il cambiamento climatico non potrebbero ottenere. La sinistra tratta sia il clima che la Covid con il fervore religioso della jihad.
La religione ha 7 elementi di base. Quanto sono simili la religione del clima e quella della Covid?
Credenze – il pianeta e la civiltà saranno annientati a causa del riscaldamento globale causato dall’uomo o da un virus causato dall’uomo (sempre più probabile). La sinistra ci crede con assoluta certezza. Basta parlare con i vostri amici liberali o ascoltare i notiziari via cavo per averne conferma. Sono necessarie misure immediate e severe, o siamo di fronte a un evento di estinzione, nonostante le ampie prove del contrario.
Organizzazione religiosa – sia il clima che la Covid sono organizzati intorno alla paura, a grandi e potenti organizzazioni governative e ai media che spingono e amplificano tale paura, proponendo nuove burocrazie, o dando potere a quelle esistenti per prendere decisioni totalitarie confiscando sia la ricchezza che la libertà.
Emozioni – la paura è l’emozione primaria per entrambi i sistemi di credenze. Per il clima, è la paura della fame e della fine della vita normale. Per la Covid è la paura della morte per un virus con un tasso di sopravvivenza superiore al 99%. Si usano immagini emozionali, da un orso polare che galleggia su una calotta di ghiaccio a un affollato pronto soccorso o un’unità di terapia intensiva, anche se le foto sono delle messe in scena o hanno poco a che fare con la questione in discussione.
[Rituali e Cerimonie – Tutte le religioni hanno il proprio rituale e cerimonie. Si tratta di pratiche emozionali e cerimoniali. Nell’Islam, sono rituali religiosi, preghiere a Dio, abluzione, digiuno, recitazione del Santo Corano. (N.d.T.)]
Oggetti sacri – il movimento per il clima ha mulini a vento, pannelli solari e veicoli elettrici come oggetti sacri, senza riconoscere che le loro icone religiose stanno facendo poco per risolvere il presunto problema che vorrebbero risolvere. In ambito Covid, gli oggetti sacri sono l’onnipresente mascherina facciale, in gran parte simbolica e precedentemente riconosciuta come inutile, dal dottor Fauci ed altri, contro un virus respiratorio. La siringa del vaccino è un altro oggetto sacro, venerato dagli eccentrici politici di tarda notte come Stephen Colbert che eseguono un’imbarazzante e insulso “ballo del vaccino” con siringhe danzanti. Come se le sciocchezze di Colbert potessero far cambiare idea agli esitanti del vaccino.
Simboli – questi possono essere accomunati agli oggetti sacri. Aggiungete la miriade di “nastri di consapevolezza” (*) mostrati con orgoglio da coloro che si preoccupano di questioni importanti più di voi, e gli adesivi “sono vaccinato” o una collana “vaxed” indossata dal nuovo governatore di New York, mentre sistematicamente manda al collasso il suo Stato.
Sette – all’interno di questi due movimenti esistono diverse sette. Entrambe sono popolate in gran parte da democratici e di sinistra, ma anche da repubblicani virtuosi che vogliono apparire “woke” (svegli), sperando di evitare l’ostracizzazione o la cancellazione. Gli esempi includono il senatore Mitt Romney, una volta un super-capitalista, ora disposto a gettare quantità incalcolabili di dollari in problemi e cause fabbricate per assicurarsi che il Washington Post e la CNN non parlino male di lui.
Ci sono altri punti in comune tra il clima e la Covid, ben elaborati dal fisico John Droz, Jr. Entrambe le pseudo religioni usano la paura di un nemico invisibile, un pianeta che si scalda, o un virus, per rendere il pubblico spaventato e obbediente.
La paura si basa sulla “scienza situazionale” che cambia in base alla narrazione del giorno. Per esempio, il raffreddamento globale è cambiato in riscaldamento globale, poi in cambiamento climatico quando non era possibile certificare o modellare un reale raffreddamento o riscaldamento accuratamente. Con la Covid siamo passati da “15 giorni per rallentare la diffusione” e “le mascherine non sono necessarie” a “i vaccini sono sicuri ed efficaci” e “i vaccini riporteranno la vita alla normalità” con “i vaccinati non hanno bisogno di indossare mascherine” a una “pandemia dei non vaccinati”, ora a “i vaccini non impediscono l’infezione o la trasmissione, e riducono solo il rischio di ospedalizzazione e morte”. Si potrebbe pensare che il mondo stia affrontando il suo primo virus respiratorio e il suo programma di vaccinazione, vista la velocità con cui tutti sembrano imparare sul campo.
Profeti di sventura e di salvezza diffondono il messaggio, da Al Gore ad Anthony Fauci, e il profitto spesso segue il profeta, come fa con alcuni leader incredibilmente ricchi delle mega-chiese. Anche l’ipocrisia abbonda. La bolletta elettrica della casa del verde Al Gore è 20 volte [maggiore del]la media nazionale. Il Dottor Fauci e altri sono senza mascherina quando gli conviene o quando le telecamere sono spente, mentre dicono al resto di noi di indossare due mascherine.
Le organizzazioni scientifiche sono complici nel promuovere le loro religioni, dal NOAA al CDC, e i media si uniscono felicemente al coro in quanto fanno parte delle congregazioni religiose, anche se nella loro vita privata si comportano diversamente. Pensate a Chris Cuomo della CNN come esempio.
I fanatici religiosi propongono soluzioni che sono vantaggiose per i gruppi politici favoriti, dai pannelli solari di Solyndra ai produttori di vaccini di Big Pharma. I vaccini COVID hanno creato 9 nuovi miliardari. La senatrice Elizabeth Warren li sta rimproverando: “Non avete costruito voi questo”?
Le soluzioni proposte sono sperimentali e di beneficio limitato, con effetti negativi significativi, alcuni dei quali peggiorano il problema.
Dai blackout graduali e l’aumento dei prezzi del gas ai generatori eolici che fanno a pezzi gli uccelli sul lato del clima, alle chiusure infinite, agli obblighi vaccinali, alle regole per le mascherine e alle chiusure delle imprese, distruggendo la salute e la vita di tanti sul lato della Covid.
Le soluzioni di buon senso, sicure e poco costose, sono censurate e giudicate severamente, sia l’energia nucleare che l’Ivermectina. Tutte vengono messe da parte in favore di rimedi più costosi e potenzialmente più dannosi che non stanno nemmeno risolvendo il problema che dovrebbero risolvere.
La Cina si trova nel mezzo di entrambe le religioni, come il più grande inquinatore del mondo, che ora si dà alla “pazza gioia per il carbone” e che funge come origine dell’originario coronavirus di Wuhan.
Il già citato governatore di New York Kathy Hochul ha confermato la nuova religione Covid, parlando recentemente in una chiesa di Brooklyn. Ha affermato che i vaccini erano ispirati dalla divinità e che i membri della congrega erano i suoi “apostoli”, prendendo il ruolo di Gesù, esortando tutti a farsi vaccinare. Forse Santa Kathy dovrebbe controllare il Libro di Matteo [n.d.t. 9;12]: “I sani non hanno bisogno del medico, ma quelli che stanno male sì”.
Infine, entrambe le religioni cercano di minare l’America, la sua economia, la Costituzione e lo stile di vita, togliendo agli Americani la libertà, sostituita da un governo di comando e controllo dall’alto che detta ogni nostro comportamento. Il globalismo è l’obiettivo, un grande reset, o un governo unico mondiale, controllato dalle élite autoproclamate che governano sulle masse.
Questo non è certo il messaggio insegnato dalla maggior parte delle grandi religioni del mondo, ma siamo in un nuovo mondo, con una nuova religione di sinistra, il clima e, ora, la Covid. “Gridate Osanna, mettetevi la mascherina, salite sulla vostra auto elettrica e andate al più vicino centro di vaccinazione”.
Brian C. Joondeph, MD, è un medico e scrittore completamente vaccinato che ricicla fedelmente e potrebbe un giorno acquistare un veicolo elettrico.
Scelto e tradotto da NICKAL88 per ComeDonChisciotte
(*) Nota a cura del traduttore
- Con l’espressione nastro della consapevolezza si indicano piccoli nastri ripiegati ad anello, o loro raffigurazioni, usati in Canada, Australia, Regno Unito, Stati Uniti d’America e in molte altre parti del mondo per indicare che chi lo indossa sostiene una particolare causa o problema.[…]
Uno degli esempi più famosi è il nastro rosso utilizzato come simbolo internazionale delle campagne per la lotta contro l’AIDS.
Link: https://it.wikipedia.org/wiki/Nastro_della_consapevolezza
FONTE: https://comedonchisciotte.org/covid-la-nuova-religione-della-sinistra/
STORIA
Che cosa faceva il Britannia, panfilo della regina Elisabetta, nel porto di Civitavecchia il 2 giugno 1992?
– Che cosa accadde il 2 giugno 1992 lungo le coste del Tirreno?
– Che cosa faceva il Britannia, yacht della regina Elisabetta, nel porto di Civitavecchia?
– E cos faceva quell’incrociatore inglese che manovrava in mare aperto mentre il panfilo reale saliva lungo le coste toscane in direzione di Livorno?
– Chi erano quegli anziani signori vestiti eleganti che si scambiavano cenni d’intesa e strette di mano?
– Perché Mario Draghi, direttore generale del Tesoro, salì a bordo, mentre il Britannia era attraccato a una banchina del porto di Civitavecchia, per illustrare agli ospiti il problema delle privatizzazioni che il governo Amato avrebbe affrontato nei mesi seguenti?
– E chi erano infine i «British Invisibles» che avevano affittato lo yacht della regina per organizzarvi un incontro a cui parteciparono i maggiori esponenti delle partecipazioni statali italiane e della finanza internazionale?
Sul «caso Britannia», in apparenza, abbiamo molte informazioni. Conosciamo il nome del proprietario della nave Elisabetta II, regina di Gran Bretagna – e quelli degli ospiti che salirono a bordo la mattina del 2 giugno per una «crociera di lavoro» nelle azzurre acque del Tirreno.
Fra gli italiani che salirono a bordo del panfilo vi furono banchieri pubblici e privati, manager dell’Iri e dell’Efim, rappresentanti di Confindustria. Vi fu anche Mario Draghi, allora direttore generale del Tesoro nel governo di Giuliano Amato. La crociera fu breve e pittoresca, con una orchestrina della Royal Navy che suonava canzoni nostalgiche degli anni Trenta e un lancio di paracadutisti da aerei britannici che si staccarono in volo da un incrociatore e scesero come stelle filanti intorno al panfilo di Sua Maestà.
Ma che cosa ci sono andati a fare su quella nave? In Pagine Libere del febbraio 1994 si sostiene che «il 2 giugno 1992 a bordo dello yacht Britannia i signori dell’usura e della finanza decidessero la strategia d’attacco contro gli “Stati” europei per privarli della sovranità monetaria dopo averli, da lungo tempo, privati della sovranità nazionale». La parola d’ordine, è «privatizzazioni e annientamento. Un colpo della finanza internazionale per distruggere il patrimonio industriale pubblico creato da Giolitti, Nitti, Mussolini, e consolidato dalla democrazia consociativa degli ultimi trent’anni.
E i nemici nell’ombra sono quelli di sempre: l’imperialismo della grandi potenze, gli «interessi forti», il «grande capitale», la finanza ebraica, la massoneria.
Ma chi sono, quei «British Invisibles» che hanno affittato il Britannia per la crociera del 2 giugno?
«British Invisibles» nacque da un comitato della Banca Centrale del Regno Unito e divenne una sorta di Confindustria delle imprese finanziarie. Oggi si chiama International Financial Services e raggruppa circa 150 aziende del settore.
L’ultimo presidente del «British Invisibles» fu il Duca di Kent, cugino di primo grado della regina Elisabetta II, Gran Maestro della Gran Loggia Unita di Inghilterra (UGLE, United Grand Lodge of England), la più antica e prestigiosa obbedienza massonica del mondo.
Uno dei massimi dirigenti del British Invisibles tra il 1991-92 è Sir Derek Thomas.
Sir Derek Thomas è stato tra gli organizzatori del meeting sul Britannia del 2 giugno 1992, fu direttore della Rothschild Italia fino al 1993. Fu ambasciatore inglese a Roma sovraintende agli affari italiani della Rothschild, storicamente interessata al nostro Paese.
L’amb UK Patrick Fairweather minimizza al Sen V. Martelli il seminario sulle privatizzazioni Ita avvenuto sullo Yacht Reale Britannia 2.6.1992..era stato organizzato dai British Invisibles banchieri e specialisti della finanza.. è stato presentato da Mario Draghi DirGen Tesoro
INTERPELLANZA PARLAMENTARE DEL 1997
In uno studio (Eurotropia) pubblicato nel 1992 da Alfred H. Heineken, presidente della multinazionale della birra, concessionaria per l’Africa centrale della Unilever, si proponeva la dissoluzione degli Stati nazionali, ritenuti « invenzioni artificiali » e la divisione dell’Europa in settantacinquemila
ministati organizzati secondo criteri etnico-razziali popolati da cinque a dieci milioni di abitanti.
Ad avviso dell’interpellante tale piano « Eurotropia » coincide nei minimi particolari con quello delle « macroregioni italiane », predisposto dal leghista Francesco Speroni; appare all’interpellante fondato il sospetto che il genocidio in atto nello Zaire sia in qualche modo collegato al cartello mondiale delle materie prime, controllato dalle grandi multinazionali, che puntano alla distruzione degli Stati nazionali per essere facilitate nella realizzazione di un monopolio delle materie prime fondamentali;
tale strategia si accompagna al progetto di acquisire le privatizzazioni delle imprese pubbliche a prezzi stracciati, mediante processi di svalutazione delle monete nazionali;
Nel business delle privatizzazioni spicca per attivismo e dedizione la banca londinese N.M. Rotschild & Son Ltd., tra i promotori del convegno svoltosi il 2 giugno 1992 a bordo dello yacht Britannia, di proprietà della Corona britannica, nel corso del quale esponenti dell’oligarchia finanziaria inglese, tra cui la Warburg, presente anche alla già menzionata riunione del 9 maggio con Kabila, si incontrarono con alti esponenti del Governo, della burocrazia italiana e delle imprese a partecipazioni statali;
in quella occasione il Britannia fu gentilmente messo a disposizione dalla Corona inglese al British Invisibles (BI), ente privato che ha per scopo di curare nel mondo gli interessi della City di Londra su privatizzazioni, globalizzazione e finanze derivate.
Detto ente ha avuto tra i suoi più autorevoli consiglieri sir Derek Thomas, ex ambasciatore britannico a Roma, che lasciò l’incarico nel settembre 1992 quando la lira, aggredita dalla speculazione orchestrata da Soros, venne svalutata del trenta per cento; Soros è titolare del fondo Quantum Fund (QF), registrato nelle Antille Oladesi, il cui consigliere è Richard Katz, che è stato uno dei direttori della Banca N.M. Rotschild di Londra ed è stato, come sir Derek Thomas, direttore della Rotschild Italia -:
se non ritenga che il Governo italiano debba approfondire e verificare tali fatti, circostanze e inquietanti coincidenze, al fine di promuovere una forte azione politica per impedire che gli interessi dei grandi oligopoli finiscano per determinare le scelte di politica internazionale, decretando la divisione e l’estinzione di Stati nazionali, la crisi economico-produttiva di interi paesi, l’esplosione di terribili guerre etnico-razziali e di sanguinose guerre civili, nonché l’impoverimento di nazioni depredate dei loro patrimoni opportunamente « privatizzati »;v
VIDEO QUI:
L’ATTACCO ALLA LIRA DI GEORGE SOROS
Nel ’92 il finanziere di origine ungherese divenuto statunitense contribuì a causare al nostro Paese una perdita valutaria di 14mila miliardi. Da allora in Italia c’è l’Imu. Ora finanzia partiti e Ong.
All’inizio degli Anni 90 la lira era nella banda larga dello Sme e, non si capisce ancora il perchè; l’allora Governatore della banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, decise di spostarla nella banda stretta per darle forza. Per dare forza alla lira, però, lo Stato avrebbe dovuto offrire alti tassi d’interesse.
Subito dopo, l’agenzia di rating Moody’s declassò la moneta italiana e ne conseguì il violento attacco speculativo nel settembre del ’92, che portò il governo Amato a svalutare la lira del 30% con un costo di 14.000 miliardi da parte della Banca d’Italia.
VIDEO QUI:
Il guadagno da parte di Soros fu sconfinato e pure esentasse; egli dichiarò:
“L’attacco alla lira fu una legittima operazione finanziaria”.
George Soros, il cui vero nome è Gyorgy Schwartz, è nato a Budapest, in Ungheria, da una famiglia ebraica ed è divenuto poi statunitense. Nella lista dei 30 uomini più ricchi del Pianeta, ha accumulato il suo patrimonio attraverso abili speculazioni finanziarie. Si è distinto negli ultimi anni per aver finanziato iniziative politiche del partito democratico Usa. Da ultimo avrebbe sponsorizzato per esempio Hillary Clinton, ed è stato da sempre contrario alle politiche di Trump. Ha inoltre sostenuto la cooperazione internazionale e l’accoglienza dei rifugiati. Cosa che ha destato, in Europa e oltre, le diffidenze di molti ambienti poco inclini a credere alla vocazione puramente altruistica di chi si muove in certi ambiti di stampo finanziario.
FONTE: https://grandeinganno.it/2021/10/09/che-cosa-faceva-il-britannia-panfilo-della-regina-elisabetta-nel-porto-di-civitavecchia-il-2-giugno-1992/
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