RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 20 SETTEMBRE 2019
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Quando il dito indica la luna, lo stupido guarda il dito.
(proverbio cinese)
MARCO TAISA, Aforismi sulla stupidità umana, Barbera Ed., pag. 60
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SOMMARIO
D’Alema disse “Renzi è un uomo del Mossad” 1
Marco Carrai, il suo amico è “una spia del Mossad”. L’inchiesta della Cia che imbarazza l’Italia. 1
Mattatoio – Come venivano asportati gli organi in Kosovo? Parte 2
L’USO DELLE DONNE – DA EPSTEIN A MOSE’ 1
Fallimento della difesa USA: perché Washington accusa l’Iran degli attacchi ai sauditi 1
LIBERTA’, SOVRANITA’, DEMOCRAZIA. 1
DON GIANNI BAGET BOZZO: “L’Anticristo” 1
La verità sul Boeing malaysiano abbattuto il 17 luglio 2014 1
“False Flag – Sotto falsa bandiera” – Recensione 1
STRAPPATO IL CIELO DI CARTA. 1
5 Stelle, l’inganno mortale taglia le gambe al cambiamento 1
Banca Popolare del Lazio, doppio macigno sull’istituto di credito – (L’inchiesta 10 parte) 1
La Costituzione più bella del mondo. 1
Migranti, nella notte ennesimo sbarco a Lampedusa
SERBIA: Pronta ad aderire all’Unione eurasiatica. Mal di pancia a Bruxelles 1
EUROPA: Il problema è il nazionalismo tedesco (anche se nessuno lo dice) 1
Casaleggio sul Corriere. Parte 1 di 7: la rappresentanza 1
Tribuni della Plebe, per completare la Democrazia Mafiosa. 1
Magaldi: Vox Fusaro e Renzi-2, niente di nuovo per l’Italia. 1
Elon Musk svela Neuralink, il microchip che collegherà mente umana e computer 1
IN EVIDENZA
D’Alema disse “Renzi è un uomo del Mossad”
Marco Carrai, il suo amico è “una spia del Mossad”. L’inchiesta della Cia che imbarazza l’Italia
Leeden e il fedelissimo di Renzi in corsa per consulenza al coordinamento 007 si frequentano da anni. L’americano al centro di un’indagine del Pentagono. Coinvolto anche l’ambasciatore di Israele a Roma
di Antonio Massari e Davide Vecchi |23 APRILE 2016
Sono legati da anni, si sono frequentati tra Washington e Firenze, scambiandosi visite e conoscenze. Ma ora l’amicizia con Michael Ledeen può mettere in difficoltà Marco Carrai e il suo prossimo incarico: la consulenza al Dis (l’organismo di coordinamento dei Servizi segreti) per Palazzo Chigi. Perché se sino a oggi Ledeen era ritenuto vicino all’intelligence statunitense con legami con uomini della P2, adesso un’inchiesta svolta dal Pentagono fotografa nel dettaglio chi è stato e chi è davvero Ledeen, definito dalla Cia “spia di Israele” e per questo allontanato da Washington. Il Fatto è entrato in possesso dei fascicoli d’indagine ed è in grado di raccontare perché il legame di amicizia tra i due rischia di mettere in imbarazzo i Servizi segreti, il governo e le diplomazie.
Non è bastato il no del Colle a fermare Renzi: il premier vuole portare nel Palazzo l’amico Carrai e così, dopo aver tentato di imporlo a capo della cyber-security, gli sta ora cucendo un abito su misura al Dis. E se per avere la licenza da 007 Carrai avrebbe dovuto spogliarsi dei suoi tanti conflitti di interesse, indossando il mantello della consulenza il problema svanisce.
[…]
Ledeen
Un rapporto coltivato negli anni. E allargato all’attuale premier nel 2006 quando la Provincia di Firenze pagò un viaggio a Ledeen, da Washington al capoluogo toscano, organizzato da Carrai, all’epoca capo gabinetto di Renzi, per
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Marco Carrai, il suo amico è “una spia del Mossad”. L’inchiesta della Cia che imbarazza l’Italia
Leeden e il fedelissimo di Renzi in corsa per consulenza al coordinamento 007 si frequentano da anni. L’americano al centro di un’indagine del Pentagono. Coinvolto anche l’ambasciatore di Israele a Roma
di Antonio Massari e Davide Vecchi | 23 APRILE 2016
Sono legati da anni, si sono frequentati tra Washington e Firenze, scambiandosi visite e conoscenze. Ma ora l’amicizia con Michael Ledeen può mettere in difficoltà Marco Carrai e il suo prossimo incarico: la consulenza al Dis (l’organismo di coordinamento dei Servizi segreti) per Palazzo Chigi. Perché se sino a oggi Ledeen era ritenuto vicino all’intelligence statunitense con legami con uomini della P2, adesso un’inchiesta svolta dal Pentagono fotografa nel dettaglio chi è stato e chi è davvero Ledeen, definito dalla Cia “spia di Israele” e per questo allontanato da Washington. Il Fatto è entrato in possesso dei fascicoli d’indagine ed è in grado di raccontare perché il legame di amicizia tra i due rischia di mettere in imbarazzo i Servizi segreti, il governo e le diplomazie.
I conflitti di interesse del “fratello Marco”
Non è bastato il no del Colle a fermare Renzi: il premier vuole portare nel Palazzo l’amico Carrai e così, dopo aver tentato di imporlo a capo della cyber-security, gli sta ora cucendo un abito su misura al Dis. E se per avere la licenza da 007 Carrai avrebbe dovuto spogliarsi dei suoi tanti conflitti di interesse, indossando il mantello della consulenza il problema svanisce: Carrai potrebbe portare con sé l’ingombrante bagaglio. Che non contiene solo gli incarichi pubblici come la presidenza di Aeroporti Firenze o le poltrone nei cda tra cui quella nella fondazione Open – la cassaforte del premier – con Luca Lotti e Maria Elena Boschi. Né si limita alle aziende esterovestite in Lussemburgo e Israele come la Wadi Venture con soci che hanno legami con l’esecutivo tra cui nominati in Finmeccanica e imprenditori con appalti pubblici, come raccontato dal Fatto settimane fa. Il conflitto di interessi di Carrai si estende anche ai suoi legami, a partire da quello con Ledeen.
Le visite a Firenze pagate dalla Provincia
In Italia di lui si sa poco, nonostante Ledeen abbia superato i 70 anni. Meno ancora si conosce del suo legame con il 40enne Carrai, che definisce il premier “mio fratello”. Si sa che i due sono molto legati. Tanto che Ledeen è arrivato da Washington a Firenze nel settembre 2014 per partecipare al matrimonio dell’amico di cui Renzi era testimone. Un rapporto coltivato negli anni. E allargato all’attuale premier nel 2006 quando la Provincia di Firenze pagò un viaggio a Ledeen, da Washington al capoluogo toscano, organizzato da Carrai, all’epoca capo gabinetto di Renzi, per far conoscere a suo “fratello” l’amico statunitense. Nell’autunno 2008, sempre a spese della Provincia, Renzi assieme a Carrai fa il tragitto inverso e ricambia la visita.
In Italia Ledeen ha altri buoni amici, condivisi con l’amico aspirante 007. In particolare Noar Gilon, dal 2012 ambasciatore d’Israele a Roma. Da allora il diplomatico è apparso più volte al fianco del futuro consulente del Dis. Nella Capitale e a Firenze. Insieme hanno organizzato un convegno con Confindustria sponsorizzato anche da Aeroporti Toscani (società presieduta da Carrai). Ma soprattutto hanno pianificato la visita del premier israeliano Benjamin Netanyahu a Firenze lo scorso
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Mattatoio – Come venivano asportati gli organi in Kosovo? Parte 2
Di Anastassia Galanina – 19 settembre 2019
La prima volta non sapevo cosa stesse succedendo. La seconda volta pensai che si trattasse di prostituzione. Ma la terza volta capii esattamente cosa fosse e rimasi terrorizzato. Volevo solo scappare.
“La prima volta non sapevo cosa stesse succedendo. La seconda volta pensai che si trattasse di prostituzione. Ma la terza volta capii esattamente cosa fosse e rimasi terrorizzato. Volevo solo scappare. Dopo essere tornato in Kosovo dissi al comandante di avere la polmonite. Così fui sollevato dall’incarico”, ricorda un albanese che collaborava con l’UÇK e si occupava del trasporto dei prigionieri dal Kosovo in Albania dopo la fine della guerra in Kosovo.
Che cosa mai poteva terrorizzare un autista dell’Esercito di Liberazione del Kosovo che aveva visto la guerra? (Le sue testimonianze si possono trovare nel rapporto dell’UNMIK sotto lo pseudonimo “testimone #1”).
Va ricordato che questo rapporto del 30 ottobre 2003, redatto da Eamon Smith, capo della Missione ONU (UNMIK) a Pristina e Skopje, e indirizzato a Patrick Lopez-Terres, capo della Direzione Indagini del TPIJ, fu il primo documento e uno dei più informativi nel suo genere ad essere dedicato al presunto traffico di organi umani in Kosovo e Albania tra il 1999 e il 2000.
Un odore dolciastro e nauseabondo
Il rapporto redatto in lingua inglese contiene le dichiarazioni di 8 testimoni anonimi i cui nomi per questioni di sicurezza sono stati sostituiti da numeri in successione e da lettere: fonti #1, 2, 3, 4 e fonti N, P, C, B. Tutti caratterizzati come di etnia albanese. Tuttavia, nella copia disponibile del rapporto sono presenti solo le dichiarazioni di quattro testimoni, mentre quelle degli altri sono citate nella conversazione allegata al rapporto, da cui emerge che le testimonianze rese dalle prime quattro fonti, corrispondono parzialmente a quelle degli ultimi quattro.
“Mi dissero che avrei dovuto portare il camion da Pec (città kosovara) a Prizren (città kosovara al confine con l’Albania. PA (iniziali) mi disse di fare quello che mi era stato detto, di non aprire la bocca e di dimenticarmi di quella missione, così avrei potuto vivere fino alla vecchiaia”, ricorda il “testimone #2”.
Un’altra fonte, le cui testimonianze sono riportate nella relazione, racconta
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ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
L’USO DELLE DONNE – DA EPSTEIN A MOSE’
Maurizio Blondet 19 Settembre 2019
Il (forse) defunto Jeffrey Epstein andava considerato un sarto su misura, e d’ alta gamma, nella grande industria di massa dello sfruttamento sessuale? Un rapporto di Amnesty International pubblicato nel 2000 ha denunciato che Israele funziona come “hub” del traffico di ragazze – anche giovanissime – dall’Est Europa che, ignare, venivano attratte da promesse di lavoro e poi invece violentate, ridotte in schiavitù, e avviate alla prostituzione in Usa ed Europa, o nei paesi arabi.
https://www.amnesty.org/download/Documents/140000/mde150172000fr.pdf
Al colossale traffico internazionale si dedica quella che viene chiamata “la mafia russa” per non dire “ebraica”. In Francia circola il saggio di Hervé Ryssen “La Mafia Juive, Les grands prédateurs internationaux”, dove afferma che 500 mila giovani donne dell’Est sono state asservite dalla criminalità giudaica dagli anni ’90 (aiutando il collasso economico e sociale degli stati ex sovietici), cifra che coincide con quelle di Amnesty.
Ryssen essendo un militante d’estrema destra, vien ovviamente bollato come antisemita. Ma che dire del professor Nathan Abrams, docente di storia americana dell’Università di Aberdeen? In uno studio pubblicano nel 2004 su Jewish Quarterly, ha documentato la parte, più che maggioritaria, totale, che gli ebrei hanno nell’industria della pornografia in America. Fin dal 1890, quando immigrati ebrei di origine tedesca assunsero la guida dell’editoria “specializzata” (romanzi pulp sessualmente espliciti, pseudo-manuali di sessuologia, raccolte di barzellette con immagini sporche) che vendevano da ambulanti, fino agli imperi del film e adesso video porno dove sono protagonisti incontrastati. Fra questi ha un posto speciale Reuben Sturman, nato nel 1924, “Il Walt Disney del Porno” (sic), che ad un certo momento possedette 200 librerie per adulti; inventò il “peep-show”, una minuscola cabina buia in cui il singolo spettatore può guardare un film o una donna reale e masturbarsi.
La “narrativa” solita della lobby è che gli ebrei hanno dovuto dedicarsi ad una attività come quella, perché le altre, oneste, gli erano precluse.. Ma un rabbino, Samuel H. Dresner, ha tuttavia chiamato in causa “lo spirito di ribellione ebraico, che esplode a vari livelli” fra cui “il ruolo di primo piano degli ebrei come fautori della sperimentazione sessuale”.
http://www.jewishquarterly.org/issuearchive/articled325.html?article
“Non si può negare”, conclude Abrams, “ che gli ebrei secolarizzati hanno svolto (e continuano a svolgere) una parte senza proporzione in ogni settore dell’industria del film per adulti in America. L’investimento ebraico nella pornografia ha una lunga storia negli Stati Uniti; gli ebrei hanno contribuito a trasformare una sottocultura marginale in una componente maggiore della cultura americana”.
Ebrei secolarizzati, sottolinea la narrativa: non veri e pii ebrei religiosi. “Agiscono in maniera contraria a tutto ciò che è ebraico, la Torah, Israele, Dio, tutto ciò che la tradizione ebraica considera sacro”, ha scritto un pornogiornalista, Luke Ford, autore di “ A History of X : 100 Years of Sex in Film”.
E’ vero? Nella Torah – sottolineo: non nel Talmud, ma nella Torah – ci sono
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https://www.maurizioblondet.it/luso-delle-donne-da-epstein-a-mose/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Fallimento della difesa USA: perché Washington accusa l’Iran degli attacchi ai sauditi
da aurorasito
Finian Cunningham, RT 16 settembre 2019
Il devastante blitz all’industria petrolifera dell’Arabia Saudita ha portato a una raffica di accuse dai funzionari statunitensi all’Iran. Il motivo è semplice: lo spettacolare fallimento di Washington nel proteggere l’alleato saudita. L’amministrazione Trump deve fare un capro espiatorio l’Iran per l’ultimo attacco all’Arabia Saudita, perché riconoscere che i ribelli huthi abbiano montato un attacco così audace nel cuore del regno petrolifero sarebbe un’ammissione dell’inadeguatezza nordamericana. L’Arabia Saudita ha speso miliardi di dollari negli ultimi anni acquistando sistemi di difesa missilistica Patriot dagli Stati Uniti e una tecnologia radar apparentemente all’avanguardia dal Pentagono. Se i ribelli yemeniti possono far volare droni da combattimento per 1000 chilometri sul territorio saudita e distruggere i siti di produzione di punta dell’industria petrolifera del regno, allora sarebbe di enorme imbarazzo per i “protettori” statunitensi. La difesa nordamericana dell’Arabia Saudita è fondamentale alla loro relazione storica. Le esportazioni di petrolio saudita in dollari, le più grandi del pianeta, sono fondamentali per mantenere il mercato globale del petrodollaro, cruciale per il potere economico nordamericano. In cambio, gli Stati Uniti sono obbligati ad essere il protettore della monarchia saudita, col lucroso vantaggio aggiuntivo di vendere armi al regno per miliardi di dollari ogni anno. Secondo l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma, l’Arabia Saudita ha il terzo budget militare al mondo, dopo Stati Uniti e Cina. Con una spesa annuale di circa 68 miliardi di dollari, è la prima al mondo per percentuale del prodotto interno lordo (8,8 per cento). La maggior parte delle armi saudite proviene dagli Stati Uniti, coi sistemi missilistici Patriot in particolare come recente oggetto di grande valore. Eppure, nonostante tale generosità finanziaria e la migliore tecnologia militare nordamericana, il regno petrolifero ha appena subito un’ondata potenzialmente paralizzante di assalti aerei sulla propria industria
http://aurorasito.altervista.org/?p=8335
CULTURA
LIBERTA’, SOVRANITA’, DEMOCRAZIA
18 Settembre 2019 – Andrea Cavalleri
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Di Andrea Cavalleri
Comedonchisciotte
Questa riflessione non punta a disquisire sul dettaglio dei singoli termini, ma, una volta chiarita la sostanza degli stessi, a mostrare la loro correlazione.
Dato che queste parole sono diventate pane quotidiano del dibattito politico, è essenziale approfondirne il significato, perché l’alternativa che si presenta al cittadino è fra prenderne coscienza o esserne preso per il naso.
Libertà.
La parola più difficile da comprendere è senza dubbio la prima.
L’istinto e la memoria di discussioni adolescenziali possono riportare alla mente frasi come “libertà è fare ciò che voglio” (e senza che nessuno possa impedirmelo), oppure “la tua libertà finisce dove inizia quella degli altri” e simili amenità dallo scarso significato.
Poiché il ramo predominante della filosofia politica ha diffuso l’idea (o “l’état d’esprit”) che la libertà è il diritto di fare ciò che le leggi permettono, in questa direzione vanno le suggestioni che provengono dai libri.
La definizione in corsivo è del Montesquieu, poi ripresa dallo Joly e dall’ignoto autore dei Protocolli dei Savi di Sion (cioè da due belle serpi e un povero illuso loro vittima che sta nel mezzo) e questa paternità dovrebbe far riflettere su quanto poco sia neutrale un simile modo di intendere la libertà.
Anzi, sono gli stessi Protocolli a mostrare uno dei maggiori inganni di questa posizione quando parlano del popolo incatenato nella schiavitù della miseria: [si istituiscono] molti diritti che per le masse sono puramente fittizi. Qual vantaggio deriva ad un operaio del proletariato curvato dalle sue dure fatiche e oppresso dal destino, dal fatto che un ciarlone ottiene il diritto di parlare, od un giornalista quello di stampare qualunque sciocchezza (o diritti che interessano praticamente a nessuno, come quello per un omosessuale di “sposarsi” o per un depresso di suicidarsi, vorrei vedere come punirebbero il cadavere per aver trasgredito a un eventuale divieto… NdA)?
Da questo punto di vista l’economista Silvio Gesell fa un’importante affermazione di filosofia politica scrivendo: è veramente libero solo l’uomo che possa modificare la sua posizione economica col suo lavoro e in funzione delle sue necessità.
E un contributo da non dimenticare proviene da Aldo Moro, quando parla della libertà individuale (teorica) che può diventare libertà pratica solo se si traduce anche in libertà di associazione.
Tuttavia queste osservazioni, pur importanti, sono ancora troppo particolari e incentrate sull’aspetto materiale della libertà.
E dato che le moderne ricerche socio filosofiche sulla felicità hanno mostrato che questa dipende poco dal possesso di beni materiali e molto dalla capacità di attivare relazioni positive (cosa che dovrebbe risultare abbastanza ovvia considerando la natura relazionale della persona umana), conviene ripartire dalle basi per giungere ad una visione il più possibile sensata del concetto di libertà.
Ebbene il punto di partenza, che proviene dall’esperienza personale e universale, è che l’uomo ha facoltà di operare delle scelte.
Di fronte a un menù al ristorante posso scegliere pizza o arrosto o insalata e chissà quante altre voci;
di fronte alla giornata di lunedì posso decidere se presentarmi al lavoro in orario, oppure marcare visita e andare a giocare a biliardo; di fronte a una bella ragazza di nome Pamela posso offrirle dei fiori, scriverle una lettera romantica e invitarla a una cena a lume di candela, oppure posso darle della droga e mentre è intontita sottoporla a uno stupro di gruppo per poi accoltellarla al fegato, mangiarle il cuore, sezionarla e riporre le fette in una valigia.
In generale il progresso tecnologico e sociale ha prodotto nel tempo un grande ampliamento delle nostre possibilità di scelta, che chiamiamo…. e qui casca l’asino: si chiama libero arbitrio e NON libertà.
Per capire che la moltiplicazione delle opzioni possibili non coincide con la libertà basta pensare al caso di un condannato a morte per iniezione letale a cui si offre la possibilità di essere fucilato, impiccato,
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https://comedonchisciotte.org/liberta-sovranita-democrazia/
DON GIANNI BAGET BOZZO: “L’Anticristo”
Maurizio Blondet 17 Settembre 2019
Una vecchia recensione di un magistrale volume di Don Gianni Baget Bozzo che io lessi tanti anni fa e che si sta dimostrando sempre più attuale nell’odierna situazione intra ed extra ecclesiale.
Un invito ai nostri lettori alla lettura: da leggere e da regalare.
QUI Magister sul testo.
QUI l’audio libro su Amazon e QUI per l’acquisto cartaceo.
Luigi
http://blog.messainlatino.it/2019/09/don-gianni-baget-bozzo-lanticristo.html?m=1
4\2002 Una Vox
È stato pubblicato da poco il nuovo saggio di DON GIANNI BAGET BOZZO: L’Anticristo.
Scritto con il caratteristico stile dell’Autore, tra l’indagine e la provocazione, anche questo libro presenta le riflessioni su alcuni aspetti della modernità e della moderna crisi della Chiesa. Crisi che, come scrive l’Autore, non c’era prima del Vaticano II: “è il Concilio che ha determinato la crisi. […] il Concilio ha distrutto un ordine cattolico che non voleva distruggere e ha provocato una crisi dottrinale che prima non c’era” (p. 12).
Velocemente, ma incisivamente, l’Autore pone in evidenza gli aspetti principali che caratterizzano questa moderna crisi nata dal Concilio. “Sino al Concilio il tema fondamentale della spiritualità della Chiesa era «la salvezza delle anime come suprema legge». … Ciò significava che l’occhio della Chiesa era diretto alla vita oltre la morte, … Non vi è dubbio che questa non è piú la predicazione della Chiesa di oggi. La vita eterna è oggi assente dall’annuncio.” (p.24).
Il cambiamento di tendenza della predicazione cristiana è tale che “dopo il Concilio [la Chiesa] ha scelto la via della secolarizzazione e ha rivestito gli ultimi panni del moderno: l’utopia.” “Questa utopia nasce dalla rimozione assoluta dal pensiero cristiano del tema del male in tutte le sue forme… Il pensiero cattolico sceglie la via della innocenza del pensiero cosí come quella dell’innocenza del cuore. Questa è la fine del cattolicesimo come cultura.” (p. 26).
Questa smania di adeguarsi al mondo e alle sue moderne utopie, fa si che “Su Dio scenda il silenzio. Egli viene presentato non come il Mistero, ma come un aspetto del mondo.” (p. 29). Cosí che non v’è piú alcun bisogno di adorare Dio, perché “Il Dio compassione, il Dio ecclesiastico di oggi, non richiede adorazione.” (p. 29).
E questo spiega bene perché si sia giunti cosí insistentemente alla nuova liturgia: “Uno dei risultati della riforma liturgica è stato quello di distruggere l’adorazione.” (p. 29). “Tutto è stato pensato, a cominciare dalla trasformazione dell’altare in mensa, con l’accento passato dalla rinnovazione del Sacrificio della Croce alla comunione dei fedeli con il Corpo del Signore. […] La Chiesa diviene cosí comunità in cui il sociale supera il personale, in cui l’unione tra i cristiani non avviene piú tra persone nella Persona divina, nello Spirito Santo, ma nella comunità umana. Tutto diviene prassi e comunità, la socializzazione del personale avviene con detrimento delle vitali radici teandriche del Cristianesimo. E cosí avviene l’evento disastroso centrale nella vita della Chiesa; un evento non voluto, non previsto, non desiderato: la sostituzione della Chiesa a Cristo. Una volta si diceva: Cristo si la Chiesa
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CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
La verità sul Boeing malaysiano abbattuto il 17 luglio 2014
Dopo 5 anni, non la sappiamo tutta, ma una sì: la Commissione d’inchiesta ufficiale sul volo MH17 è stata costruita per ingannare il mondo. Noi lo avevamo già previsto e provato
6 agosto 2019megachip.info
di Giulietto Chiesa.
Non la sappiamo ancora, a cinque anni di distanza. Non la sappiamo tutta. Ma molte cose già le sappiamo a sufficienza. Una di queste la conosciamo perfettamente e possiamo documentarla: che la Commissione d’inchiesta ufficiale sulla tragedia, che ha sede in Olanda, ha mentito, ha truccato o ignorato le informazioni disponibili, ne ha nascosto di essenziali, ha svolto un ruolo politico vergognosamente di parte. Insomma, non è una commissione d’inchiesta ma uno strumento di diversione, costruito per ingannare l’opinione pubblica internazionale. Vedremo più avanti a quali scopi.
Posso dirlo con cognizione di causa perché ciò che stava per accadere lo sapevo in anticipo, sulla base di documenti che non sono mai stati smentiti e che pubblicai (insieme a Pino Cabras) sul sito www.Megachip. info , e li replicai con un chiarissimo editoriale della web tv che dirigo, www.pandoratv.it, alla fine del mese di agosto del 2014. Potete ritrovare tutto ciò nell’allegato che qui pubblico (https://www.huffingtonpost.it/pandora-tv/volo-mh17-la-verita_b_5741394.html).
Torniamo dunque a quei tempi, di cinque anni fa, che succedettero al disastro, avvenuto nei cieli dell’Ucraina in guerra contro i “ribelli” del Donbass, dopo il colpo di Stato di “Euromaidan” del febbraio di quello stesso anno, guidato dalla CIA e che portò alla destituzione del legittimo presidente ucraino, Viktro Janukovic.
Ricordiamo le date. Il Boeing MH17 della Malaysian Airlines fu abbattuto il 17 luglio 2014. L’intera stampa e tutte le televisioni occidentali — senza eccezione alcuna — non esitarono nemmeno un secondo a additare la Russia e, personalmente, Vladimir Putin, come autrice e/o mandante del massacro.
Pochi giorni dopo l’Unione Europea e gli Stati Uniti fecero scattare le sanzioni economiche contro la Russia, proprio facendo leva sull’emozione internazionale, e solo su di essa. Non è un’esagerazione affermarlo, poiché a quel momento non potevano esservi prove conclusive: l’inchiesta sulle responsabilità dell’incidente, in cui persero la vita 298 persone, non era ancora nemmeno cominciata.
Noi, invece, eravamo giunti a conoscenza di singolari avvenimenti che
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“False Flag – Sotto falsa bandiera” – Recensione
Nell’universo editoriale italiano, fatto di soggetti che per vendere una copia in più ucciderebbero a sangue freddo la madre e che, per pubblicare, non esitano a scrivere tutto e il contrario di tutto, purché piaccia al padrone di turno, la figura di Enrica Perucchietti si staglia per anticonformismo e prolificità. Non so quanti libri questa giovane studiosa riesca a pubblicare in un anno, ma so che sono sempre numerosissimi e – ed è la cosa che vale di più – mai banali.
Questo è il caso di un agile saggio, uscito nel mese di giugno per i tipi di Arianna Editrice, dal titolo False Flag – sotto falsa bandiera. Strategia della tensione e terrorismo di Stato. In circa 250 pagine, l’Autrice delinea un sintetico ma non superficiale quadro delle False Flag Operations, vale a dire di quelle operazioni che vengono concepite da un soggetto A affinché, una volta portate a compimento, la colpa delle medesime venga fatta ricadere su un soggetto B e non su colui che le ha concretamente realizzate e portate a termine. Si tratta di operazioni la cui genesi affonda le sue radici nel più lontano passato, ma ovviamente la Perucchietti parte dalla fine dell’Ottocento, in particolare dalle modalità con cui gli Stati Uniti diedero il via al conflitto inteso a smantellare gli ultimi resti dell’impero coloniale spagnolo (1898), per arrivare fino ad oggi.
Lo studio è estremamente documentato, ricco di riferimenti bibliografici e sitografici che tendono sempre a supportare concretamente le affermazioni fatte dall’Autrice, la quale, dando spazio alla narrazione di eventi
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https://derteufel50.blogspot.com/2016/07/false-flag-sotto-falsa-bandiera.html?spref=fb
ECONOMIA
18 Settembre 2019 di Roberto PECCHIOLI
Nel Fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello è famoso il brano dello strappo del cielo di carta nel teatrino delle marionette meccaniche. L’episodio svela la falsità convenzionale che ci circonda, la dolorosa scoperta della realtà da parte del protagonista, assalito da vertigini e capogiri. Tale deve essere lo stato d’animo di numerosi italiani, specie tra i sostenitori della tramontata sinistra “sociale”, dinanzi al governo giallo rosso, o meglio fucsia e arcobaleno. Scoprire l’entusiasmo di Mario Monti, il proconsole dei poteri forti internazionali, prendere atto della gioia dei mercati testimoniata dalla salita della Borsa e dal calo dello spread, ascoltare il giubilo non celato delle istituzioni europee, bastione dell’ordoliberismo e delle oligarchie, deve essere stata una doccia gelata per molti illusi.
La sinistra ha definitivamente abbandonato il popolo al suo destino, mentre la destra si lecca le ferite sognando la rivincita. E’ in pieno svolgimento la controffensiva dei padroni del vapore, appoggiati dalle vecchie, immortali burocrazie e clientele del PD, il partito ossimoro che perde ma continua a comandare. La guerra, culturale prima che politica e sociale, tra l’alto e il basso, il centro e la periferia, élite contro popolo, segna un punto assai pesante a favore di lorsignori. Il cielo di carta si è strappato, è più evidente il conflitto mortale tra servi e padroni, per usare un’espressione di Hegel, con i ruoli invertiti rispetto al passato. La sinistra tradizionale si è rinserrata nella politica delle identità minoritarie – razziali e sessuali innanzitutto – accontentandosi di patrocinare i cosiddetti diritti individuali- in realtà i capricci dei ceti dominanti – abbandonando i diritti sociali e la rappresentanza di quelle che una volta chiamavano classi subalterne.
Una perfetta rappresentazione di tale deriva è stato il caso di Carola Rackete, capitana di una nave dedita al trasporto di clandestini africani in Italia. Divenuta un’eroina della sinistra globalista, la giovane tedesca è tuttavia la classica figlia di papà, con casa a Londra e amicizie influenti tra i leader europei cosmopoliti. Una perfetta esponente della Generazione Erasmus sradicata, globalista, preda del nichilismo edonista, frutto dell’egemonia del liberalismo neoprogressista.
Il primo a comprendere la torsione neoborghese della sinistra fu Pier Paolo Pasolini negli anni 70. In un articolo del 7 gennaio del 1973 pubblicato sul Corriere della Sera con il titolo Contro i capelli lunghi, poi raccolto negli Scritti corsari, Pasolini sostenne che la foggia della capigliatura dei contestatori provenienti da famiglie borghesi rappresentava un messaggio, espresso in un linguaggio privo di lessico, di grammatica e di sintassi. “Noi non apparteniamo al numero di questi morti di fame, di questi poveracci sottosviluppati, rimasti indietro alle età barbariche. Noi siamo dei borghesi: ed ecco qui i nostri capelli lunghi che
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5 Stelle, l’inganno mortale taglia le gambe al cambiamento
Scritto il 19/9/19
Alzi la mano chi non ha mai pensato, neppure per un attimo, che i grillini potessero fare sul serio. A prima vista, la loro sembrava una rivolta democratica genuina: che infatti ha attratto migliaia di sinceri attivisti, prima ancora che milioni di elettori. C’è chi ricorda che, in Italia, la discesa in campo di Grillo ha rotto l’equilibrio stagnante dei finti avversari, centrodestra e centrosinistra, imponendo un nuovo tipo di lessico nuovista (senza il quale, per dire, non sarebbe mai nato nemmeno il populismo rottamatore di Renzi, a sua volta erede del populismo paternalistico di Berlusconi). Non mancarono però le voci profetiche come quelle di Paolo Barnard, fin dall’inizio avverso ai pentastellati: servì loro su un piatto d’argento l’agenda della Modern Money Theory di Warren Mosler per il recupero della sovranità nazionale, ma li vide fuggire atterriti non appena i loro padroni Grillo e Casaleggio mostrarono di non gradire l’idea che qualcuno potesse affrontare davvero i nodi della tragedia economica nazionale. In piccolo, il parmense Federico Pizzarotti – cacciato a pedate – fornì per primo, a sue spese, un bel compendio della democraticità del MoVimento, al di là del mitico “uno vale uno” fischiettato dai ragazzi del coro. E questo, quando ancora non avevano cominciato a deludere nel modo più sfacciato i loro elettori, imboccando il viale del tramonto che li ha portati oggi a diventare gli sparring partner di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, insieme al loro finto premier osannato dagli anti-italiani di tutta Europa.
L’ingloriosa agonia del Movimento 5 Stelle – 17% alle europee, votato da meno di un italiano su dieci e letteralmente sparito dai radar alle regionali – è da ascrivere all’impietoso confronto tra le mirabolanti promesse del 2018 e l’incresciosa cronachetta gialloverde, impregnata di codardia verso Bruxelles e costellata di tradimenti sfrontati. Leggasi obbligo vaccinale, F-35 e spese militari, Muos di Niscemi e Ilva di Taranto, gasdotto Tap, trivelle petrolifere in Adriatico, Tav Torino-Lione in valle di Susa. «Avete mai avuto la sensazione di essere presi per il culo?», domandò il rocker Johnny Rotten. «Affermativo», rispondono oggi i milioni di italiani che – dall’Alpe al Lilibeo – hanno smesso di votare 5 Stelle. Perché lo fecero, nel 2018, pur vedendo benissimo che le iperboliche fanta-promesse di Di Maio non sarebbero mai state realizzabili, se non in minima parte? Probabilmente speravano proprio in quella “minima parte”, non immaginando che si sarebbero invece ridotte a zero. C’era un equivoco, alla base dell’epocale malinteso. Ovvero: la speranza che, da qualche parte, i soldi necessari alle riforme sociali (le famose coperture) potessero spuntare. Dove? Nell’unico posto possibile: in un deficit adeguato, strappato in un energico negoziato con Bruxelles. Sarebbe stato il minimo sindacale, per avvicinare l’Italia alla generosissima flessibilità concessa alla Francia. Per non parlare del debito-fantasma cui attinge la Germania, truccando i bilanci alla faccia dell’austerity altrui.
Di che pasta fosse, la fermezza grillina, lo si è visto con Di Maio, Conte e Tria. Ma c’erano precedenti allarmanti: come il trasloco tentato da Grillo nel 2016 per trasferire il gruppo europarlamentare pentastellato tra gli ultra-euristi dell’Alde, gli amici di Mario Monti, dopo aver sbandierato in Italia lo spauracchio di un referendum sull’euro. Acquattato nel suo apparente buen retiro di Genova, l’Elevato si sveglia sempre al momento opportuno per impartire i suoi diktat indiscutibili: l’idea di piazzare Conte a Palazzo Chigi, l’ordine di far eleggere Ursula von der Leyen alla Commissione Europea e lo sdoganamento improvviso del Pd renziano come alleato di governo. Un atto politico violento, quest’ultimo, come di consueto imposto dal centralismo di stampo
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https://www.libreidee.org/2019/09/5-stelle-linganno-mortale-taglia-le-gambe-al-cambiamento/
Jeffrey Sachs è in Italia a fare prediche. Nessuno che gli presenti il conto del disastro in Russia
L’economista americano Jeffrey Sachs è in Italia. Il suo intervento, quasi interamente incentrato su “Trump incompetente” ed i cambiamenti climatici, viene esaltato. Il neoministro dell’Istruzione Fioramonti su twitter ce lo presenta così:
“Oggi mi è venuto a trovare il mio collega e amico Jeffrey Sachs, uno dei più noti economisti al mondo. Abbiamo discusso di come fare dell’Italia un pioniere globale dello sviluppo sostenibile applicato al processo di formazione e ricerca in tutti i settori”
Io, invece, che alla figura dell’economista americano ho dedicato diverse righe nel mio libro su Putin, preferisco ricordare a tutti cosa ha combinato in Russia in qualità di consulente economico negli anni Novanta. Eccovi l’abstract
Il Presidente Boris Eltsin nel suo discorso di commiato nel 1999 chiese di essere perdonato per le sofferenze patite dal popolo russo nel corso degli anni ’90, e, riguardo al processo di transizione economica che lui stesso aveva guidato, disse:
“Siamo bloccati a metà strada tra un’economia pianificata e di comando e un’economia normale, di mercato. E ora quello che abbiamo è un brutto modello, un incrocio dei due sistemi”.
Il senso di colpa doveva allora essere molto forte in Eltsin, responsabile di aver peggiorato sensibilmente il tenore di vita dei russi a fronte dell’occasione storica che si era presentata a lui e al suo gruppo dirigente con la fine del comunismo. Quello che Eltsin senza dubbio non ammise, tuttavia, era che le riforme successive al 1993 non avevano nulla di ibrido, e che lo Stato aveva perso qualsiasi controllo economico a favore degli oligarchi; quindi, non vi era stato nessun incrocio dei due sistemi. Molto più semplicemente, il sistema economico russo non aveva sperimentato né il capitalismo sociale dei paesi scandinavi, né il capitalismo monarchico anglosassone, né il capitalismo borghese dell’Europa continentale novecentesca. I russi avevano saggiato subito il turboliberismo teorizzato dai professori dell’Università di Chicago per i quali se le risorse vengono utilizzate a esclusivo vantaggio dei pochi imprenditori privati che ne detengono il controllo, tale uso produrrà una effettiva prosperità economica. Naturalmente, aggiungevano Friedman e i Chicago Boys, affinché ciò si realizzi il processo deve avvenire senza alcuna ingerenza dello Stato.
Ecco allora che si spiega molto meglio la paura dei neoliberisti di scuola americana per la nuova Russia di Putin, che è stata in grado di uscire dalla sacca nella quale gli oligarchi l’avevano ficcata e di migliorare le condizioni economiche dei russi utilizzando le risorse in modo adeguato, con l’ausilio dell’intervento statale. E tutto questo è avvenuto dopo il totale fallimento dell’intervento americano in Russia.
L’obiezione secondo la quale il modello industriale capitalistico ha portato benessere in gran parte dell’Occidente sarebbe pertinente se il modello applicato poi in Russia durante la lunga fase di transizione fosse stato quello della seconda rivoluzione industriale caratterizzata dal fordismo; oppure se in Russia si fosse tentata un’applicazione del modello
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FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Banca Popolare del Lazio, doppio macigno sull’istituto di credito – (L’inchiesta 10 parte)
20 Settembre 2019
Riprendiamo la nostra inchiesta giornalistica sulla Banca Popolare del Lazio. Nell’arco delle precedenti nove puntate, grazie alle indagini giornalistiche effettuate, abbiamo messo in luce molteplici casi che riteniamo essere contaminati dai conflitti d’interesse.
Siamo partiti da una lettera di “soci” che si autodefiniscono coraggiosi i quali in forma anonima hanno evidenziato situazioni in cui sono stati concessi affidamenti temerari e senza garanzie a personaggi “amici di…”.
Avevamo detto che rispetto tutta questa situazione c’erano stati dei controlli di Banca d’Italia alla sede centrale di Velletri della Banca Popolare del Lazio e che era stato stilato un verbale che bacchettava la governance.
La sanzione di Banca d’Italia a Banca Popolare del Lazio
Ebbene la Banca d’Italia ha sanzionato la Banca Popolare del Lazio per 49mila euro a causa di carenze nell’organizzazione, nei controlli interni e nel processo del credito mettendo però a carico di tutti soci il costo delle responsabilità dei singoli amministratori.
Nessuno dei singoli amministratori è stato chiamato a rispondere personalmente delle proprie azioni benché rilevate sia nell’ultima ispezione di Banca d’Italia che nell’indagine giornalistica che abbiamo fatto. Ma
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GIUSTIZIA E NORME
La Costituzione più bella del mondo
Marcello Veneziani – 20 settembre 2019
Quella sì, fu davvero “la più bella Costituzione del mondo” e non per modo di dire. Per i contenuti, lo stile, la prosa, l’idealità che sprigionava. La Carta del Carnaro di cent’anni fa non fu scritta da pur insigni costituzionalisti e rivista da politici, come la nostra Costituzione; ma fu scritta da un grande sindacalista e rivista da un grande poeta-soldato. Parlo di Alceste De Ambris e di Gabriele d’Annunzio. Fu animata dal confluire di tre grandi energie: l’amor patrio, lo slancio poetico e lo spirito sindacalista rivoluzionario.
All’articolo 2 della parte generale, scritta da De Ambris sono condensate tutte le parole chiave della Carta, ancor oggi attualissime: democrazia diretta, sociale, organica, fondata sulle autonomie, sul lavoro produttivo e sulla “sovranità collettiva di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di classe e di religione”. È d’Annunzio a parlare nella sua stesura di “perpetua volontà popolare”, di “fato latino”, a evocare il Carnaro di Dante, estremo confine della civiltà latina, e il culto dantesco della lingua; a sostituire il riferimento alla Repubblica con quello più classico alla Reggenza, intesa come “governo di popolo”. Fu lui a richiamarsi ai “produttori” e agli “ottimi”. E fu lui a indicare nella bellezza della vita, del lavoro e della virtus, “le credenze religiose collocate sopra tutte le altre” che avrebbero guidato lo Stato.
La forte impronta sociale e popolare della Carta non impediva il culto aristocratico dell’eccellenza e la tutela delle arti più nobili.
Nella Carta erano garantite tutte le libertà dei cittadini, il voto universale e la parità dei diritti tra uomo e donna; era poi ribadita la funzione sociale della proprietà privata ed era disegnato l’assetto della Corporazioni di arti e mestieri. Nove corporazioni raccoglievano i lavoratori nelle loro articolazioni (terra, mare, operai, impiegati, liberi professionisti, intellettuali); la decima era enigmaticamente riservata “alle forze misteriose del popolo in travaglio e in ascendimento”, al “genio ignoto”, all’”uomo novissimo”, a colui che “fatica senza fatica”. Era risolto il dilemma tra Parlamentarismo e Presidenzialismo, riconoscendo
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https://www.marcelloveneziani.com/articoli/la-costituzione-piu-bella-del-mondo/
IMMIGRAZIONI
Migranti, nella notte ennesimo sbarco a Lampedusa
Nella notte scorsa è avvenuto l’ennesimo sbarco di migranti nell’isola di Lampedusa, con quindici migranti che dopo una lunga traversata hanno raggiunto la città italiana.
I quindici clandestini sono arrivati a bordo di un barchino e sono stati notati da una motovedetta della Guardia di Finanza, che si è accorta della piccola imbarcazione solo quando questa stava ormai già entrando in porto.
I migranti, tutti in buone condizioni di salute, sono stati trasferiti al centro di prima accoglienza di contrada Imbriacola.
L’hotspot lampedusano continua a vivere in questi giorni una situazione di assoluta precarietà dovuta al sovraffolamento causato dai continui sbarchi di migranti nell’isola. Per rendersi conto, in una struttura che potrebbe ospitare un massimo di 90 persone, si è arrivati al punto di doverne mantenere più del doppio.
Per questo motivo nei giorni scorsi il Viminale è stato costretto a firmare un decreto di emergenza per trasferire una parte dei migranti verso altri lidi.
Ocean Viking, nella notte nuovo salvataggio
Intanto nella notte Ocean Viking, l’imbarcazione di SOS Mediterranee e Medici Senza
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https://it.sputniknews.com/italia/201909208111884-migranti-nella-notte-ennesimo-sbarco-a-lampedusa/
PANORAMA INTERNAZIONALE
SERBIA: Pronta ad aderire all’Unione eurasiatica. Mal di pancia a Bruxelles
La Serbia potrebbe presto entrare nell’Unione economica eurasiatica (UEE) guidata da Mosca. Secondo quanto dichiarato dallo stesso presidente serbo Aleksandar Vučić, la firma dell’accordo è prevista per il prossimo 25 ottobre. L’Unione Europea ha già fatto sapere che una cosa esclude l’altra: o con Mosca o con Bruxelles.
Il presidente della commissione Esteri del parlamento europeo, David McAllister, ha dichiarato che: “La Serbia dovrà rescindere l’accordo commerciale con l’Unione economica eurasiatica nel momento del suo ingresso ufficiale nell’Unione europea” e quindi “il testo dell’accordo di libero scambio con la Russia dovrebbe avere una clausola di uscita, cosa che garantirebbe che la Serbia può ritirarsi nel momento del suo ingresso in UE”.
Cos’è l’Unione economica eurasiatica
L’Unione economica eurasiatica (UEE) mira a costruire un’area di libero scambio tra i paesi che gravitano attorno all’orbita di Mosca. Si tratta di un’organizzazione a guida russa e che ha, come scopo evidente, quello di ampliare l’influenza economica e politica russa. Non è quindi un’organizzazione i cui contraenti siedano al tavolo da pari. Al momento ne fanno parte la Russia, la Bielorussia, l’Armenia, il Kazakhstan e il Kirghizistan. La UEE è l’evoluzione della Comunità economica eurasiatica (EurAsEC), un’unione doganale che comprendeva Russia, Bielorussia e Kazakhstan e che rappresentava l’embrione di un progetto molto più ambizioso: quello di creare uno spazio economico armonico tra i paesi dell’ex-repubbliche sovietiche. La Moldavia ricopre attualmente lo status di osservatore, mentre l’Ucraina resta uno spazio economico conteso con l’UE. Le due organizzazioni, UEE e UE, sono in evidente competizione. L’Ucraina, la Moldavia e i Balcani sono le aree di maggiore frizione.
Belgrado e la stabilità dei Balcani
La prossima adesione all’UEE da parte della Serbia rende la partita ancora più complessa. In gioco c’è la stabilità dei Balcani, la normalizzazione dei rapporti con il Kosovo, la costruzione di un equilibrio istituzionale in Bosnia Erzegovina e l’integrazione europea di Macedonia e Albania. La decisione di Belgrado porta con sé molti interrogativi: la Serbia proseguirà nell’impegnativo cammino di integrazione europea? Quali saranno i rapporti tra Belgrado e il Kosovo dopo l’adesione allo spazio eurasiatico?
Le tensioni tra Serbia e Kosovo hanno registrato, negli ultimi mesi, un pericoloso incremento. Il governo di Pristina, guidato da Rasmush Haradinaj, già accusato per crimini di guerra, ha recentemente deciso di dare vita ad un proprio esercito. Il paese, che ospita la più grande base militare americana in Europa, è stato accusato da Vučić di voler minacciare la pace nella regione. Lo stesso Vučić, all’indomani di una serie di arresti, ha accusato il governo kosovaro di persecuzione ai danni della minoranza serba. Pristina ha infine deciso l’applicazione di dazi al 100% per i beni prodotti in Serbia, colpendo
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https://www.eastjournal.net/archives/99622
EUROPA: Il problema è il nazionalismo tedesco (anche se nessuno lo dice)
Matteo Zola – 14 settembre 2019
Da molto tempo i tedeschi non si permettevano un livello di nazionalismo come quello che siamo stati costretti a osservare, con crescente preoccupazione, nell’ultimo decennio. E non s’intende solo il nazionalismo espresso dai partiti dell’estrema destra tedesca, sempre più protagonisti della politica locale, ma di un nazionalismo istituzionale, diffuso tra le élites politiche, economiche e finanziarie del paese. Un tipo di nazionalismo che non indossa camicie brune, che non è revisionista o nostalgico, che non coltiva ambizioni pangermaniste. Un nazionalismo che però, alla revanche populistica, patriottarda, euroscettica dell’estrema destra ha spianato la strada, inoculando all’interno dell’animo tedesco i germi del male antico.
L’agone dove tale nazionalismo ha dato miglior mostra di sé è l’Unione Europea, che Berlino afferma di sostenere ma che di fatto ha piegato ai propri interessi minando la “casa comune” alle fondamenta.
È stata ed è la politica tedesca ad aver proclamato il principio secondo cui i problemi dei singoli stati membri, si tratti di quello greco, portoghese, italiano, non sarebbero problemi europei. È stata ed è la politica tedesca ad aver fatto del Consiglio europeo un organo di tutela dei propri interessi nazionali, piuttosto che il luogo dove tali interessi vengono messi in secondo piano, abbassando sistematicamente l’asticella dell’integrazione europea e riducendo l’UE a un mero spazio di rivendicazione di interessi nazionali. L’UE, almeno in teoria, non dovrebbe essere questo: anzi, dovrebbe essere il luogo dove l’interesse nazionale viene tutelato in un’ottica di cooperazione post-nazionale. La tutela dei propri interessi a scapito di quelli altrui è invece stata la cifra della politica europea tedesca, alimentando frustrazioni e opposti nazionalismi negli altri paesi membri.
La Germania ne ha certo ricavato un vantaggio immediato, la sua industria è uscita quasi indenne dalla crisi iniziata nel 2009, aprendo anzi spazi di penetrazione negli stati limitrofi, specialmente quelli dell’est Europa. La Germania è oggi il primo partner economico della Polonia, dell’Ungheria, della Repubblica Ceca, della Croazia, dell’Ucraina, dei paesi baltici, e questo significa influenza politica su quella parte di continente che, salvo qualche rara sparata propagandistica, ha sempre appoggiato la linea di Berlino in Europa. Una linea che blocca regolarmente lo sviluppo di politiche condivise. Una linea di fatto
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https://www.eastjournal.net/archives/99384
POLITICA
Casaleggio sul Corriere. Parte 1 di 7: la rappresentanza
Casaleggio sul Corriere sostiene che la delega sia meglio della rappresentanza. Non è vero: la democrazia diretta è una truffa ideologica che va smascherata.
Il 17 settembre 2019 il Corriere della Sera pubblica una lettera di Davide Casaleggio dal titolo “I paradossi della democrazia”.
Non è un’intervista, non è accompagnata da riflessioni di intellettuali, giuristi o giornalisti. Casaleggio scrive, il Corriere pubblica. È importante replicare, raccogliere la sfida di Casaleggio perché, credetemi, è semplice vincerla. Davide Casaleggio non è interessato alla politica o alla democrazia. È un pensatore intellettualmente timido, che infatti rifiuta e teme il confronto. Gli vanno però riconosciute due qualità: capacità di adattamento e pazienza. Pubblicare una lettera simile sul Corriere serve a ribadire il suo ruolo apicale nel Movimento e a guidare un dibattito che, in realtà, nemmeno esiste. Casaleggio vuole creare uno spazio tutto suo per poter essere, al suo interno, il dominus.
Vi segnalo alcuni commenti prima di aggiungere il mio, che sarà lungo: per ogni “paradosso” – Casaleggio ne ha elencati sette – farò un post e un video. Li trovate su Next Quotidiano, sul Foglio, sull’Huffington Post e su U&B.
Davide, dicevo, vuole creare uno spazio di discussione per dominarlo. È quello di un tema sostanzialmente inesistente che dichiara nell’incipit: l’era della cittadinanza digitale ci farebbe precipitare in un dilemma, cioè se sia opportuno utilizzare la tecnologia per soppiantare i processi democratici che abbiamo costruito in centinaia di anni di evoluzione sociale.
In realtà il dilemma è già stato risolto, almeno in buona parte del mondo: stiamo già usando la tecnologia per migliorare i servizi di cittadinanza. L’Italia certamente ha molto da fare ancora, ma in molti paesi il rapporto dei cittadini con lo Stato e i suoi servizi è quasi completamente digitale. Io vivo nel Regno unito e non ho mai dovuto mettere piede in un ufficio pubblico, eccezion fatta per la richiesta dell’equivalente del codice fiscale, per cui è prevista la presenza fisica al Job Center.
L’uso della tecnologia semplifica e razionalizza i processi e i servizi, ma l’anagrafe è sempre l’anagrafe, una denuncia rimane tale anche quando si fa per via telematica, prendere appuntamento sul sito del comune o al telefono non cambia la sostanza dell’esigenza.
Il perimetro della rappresentanza
Casaleggio vuole andare oltre: cambiare dalle fondamenta la struttura della nostra democrazia, del concetto di rappresentanza e di responsabilità. In ogni settore, dai consigli di amministrazione ai parlamenti. Dice: “Il rappresentato dovrebbe decidere sempre, salvo quando lo può fare solo il suo rappresentante”.
Perché Casaleggio pone questo problema? Perché possiede un ente commerciale, l’Associazione Rousseau, che opera in questo settore: la digitalizzazione dei processi decisionali. Non è un soggetto economicamente neutrale, ha l’interesse a promuovere la necessità di digitalizzare i processi decisionali, il voto per esempio, per il proprio tornaconto economico.
Ciò detto, cosa significa “quando lo può fare solo il suo rappresentante”? Chi decide, qual è il discrimine? Tutti possono votare su tutto, sempre?
La tesi di Casaleggio è che la rappresentanza sia stata necessaria perché risolveva il problema dell’efficienza decisionale “non all’incompetenza nel saper decidere cosa è meglio”. È falso. La teoria dei giochi, il dilemma del prigioniero, la teoria economica ci spiegano che una decisione ottima può essere presa solo quando il decisore può accedere alla totalità delle
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https://www.marcocanestrari.it/2019/09/20/casaleggio-sul-corriere-parte-1-di-7-la-rappresentanza/
Tribuni della Plebe, per completare la Democrazia Mafiosa
Scritto il 20/9/19
“Democrazie mafiose”: mezzo secolo fa, il giurista Panfilo Gentile (che aveva aderito al “Manifesto degli intellettuali antifascisti”, redatto da Benedetto Croce) pubblicò un affilato pamphlet sull’involuzione oligarchica delle democrazie. I partiti? Progressivamente ridotti a «circuiti chiusi e autoreferenziali di stampo mafioso». Volume pubblicato nel 1969 dall’editore Volpe, nella ristretta cerchia dei lettori di destra, ma poi “sdoganato” da Indro Montanelli sul “Corriere della Sera”. Lo ricorda Marcello Veneziani su “Panorama”: «Ci aveva visto giusto, Gentile, sull’involuzione mafiosa e partitocratica delle democrazie». Sua, tra l’altro, l’invenzione dell’espressione “sottogoverno”. Ma Gentile, aggiunge Veneziani, non aveva ancora visto l’Italia (e l’Europa) dei nostri anni, cioè «la spaccatura verticale tra popolo e notabilato, tra sovranità nazionali e potentati interni e internazionali, l’esproprio del voto fino al disprezzo per la volontà popolare e gli interessi nazionali». Osserva Veneziani: con la nascita del grottesco Conte-bis, «è la quarta volta consecutiva che la sinistra in Italia si affaccia al governo non legittimata direttamente dalle urne». Dopo l’orrore del governo Monti-Fornero, costato carissimo al paese (disastro sociale e perdita del 25% del potenziale industriale italiano) si sono succeduti Letta, Renzi e Gentiloni, senza mai la convalida delle urne. E ora il Conte-bis, «nato con lo scopo evidente di evitarle».
«Per adeguarsi al tono e al livello delle accuse che lancia la sinistra a chiunque governi senza il suo benestare – dittatura, ritorno al nazismo e al fascismo, leader anti-sinistra trattati tutti come delinquenti comuni – si potrebbe dire che la sinistra è un’associazione politico-culturale di stampo mafioso che elimina gli avversari con sistemi non democratici, mette a tacere i dissidenti con forme di omertà e discriminazione, s’impossessa del potere con metodi non democratici e impone un protettorato antipopolare funzionale ai codici ideologici e politici della cosca», accusa Veneziani su “Panorama”. Tralasciando per un attimo «il terreno melmoso» delle polemiche italiane, sosa sta succedendo alle democrazie europee? «Le classi dirigenti si sentono assediate a nord dal modello Brexit, a sud dal modello Salvini, a est dal modello Orban e a ovest dal modello Le Pen». Secondo Veneziani «sono i quattro punti cardinali del sovranismo, ma sono anche quattro forze maggioritarie nei loro paesi, tutte criminalizzate». Dietro di loro «vengono esorcizzati gli spettri di Trump, di Putin, di Bolsonaro, di Modi, di Abe, e si potrebbe continuare: forme diverse di primato nazionale e identitario rispetto al modello liberal-radical-dem della sinistra».
Per trovare un modello diverso di rifermento, continua Veneziani, si ricorre al modello cinese. Recensioni entusiastiche del “Corriere della Sera” e della “Repubblica” hanno accompagnato la traduzione del libro di Daniel Bell “Il modello Cina”, che ha un sottotitolo indicativo: “Meritocrazia politica e limiti della democrazia” (Luiss, prefazione di Sebastiano Maffettone). «Il modello cinese non è una democrazia, ma è un regime liberista, oligarchico e comunista, col doppio
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Magaldi: Vox Fusaro e Renzi-2, niente di nuovo per l’Italia
Scritto il 20/9/19
Tanti anni fa, il sociologo inglese Anthony Giddens vaticinava le “magnifiche sorti e progressive” della Terza Via, a metà strada tra socialismo e capitalismo. Traduzione pratica: negli ultimi decenni, la sinistra s’è messa a completo servizio della destra economica neoliberale. Capoclasse Tony Blair, seguito da Bill Clinton e Massimo D’Alema. Ultimi della fila, Matteo Renzi e Carlo Calenda, che è una specie di Renzi-bonsai «regolarmente “bruciato” e battuto sul tempo dal Renzi originale», osserva Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. «Peraltro, al clamore del mainstream per l’annuciato divorzio di Renzi dal Pd non corrispondono certo numeri entusiasmanti: le previsioni oscillano fra il 3 il 5% al massimo». In altre parole: un modo come un altro per non andare da nessuna parte, «non avendo niente di nuovo da offrire agli italiani, per giunta dopo averli malgovernati». Nessuna novità, secondo Magaldi, neppure dall’altra notizia che – in piccolo, su “ByoBlu” – si è affacciata nell’agenda politica: la nascita di Vox Italia, esperimento firmato da Diego Fusaro. «Peccato – dice Magaldi – che un intellettuale così colto non proponga altro che un “rossobrunismo nazionalsocialista”: a che serve bocciare l’imperante neoliberismo, se poi si prospetta un ritorno al tradizionalismo nazionalista e illiberale?».
Renzi e Fusaro? Strano tandem involontario, in una settimana piuttosto strampalata. «Se questo governo durerà venti giorni, non sarò tra quelli che piangono», dice Vittorio Feltri a “La7”. Renzi? Dal referendum che gli costò la perdita di Palazzo Chigi ha “imparato” molto: infatti «ha messo in pratica gli insegnamenti che ha tratto, riuscendo a sfasciare un partito che può diventare polvere». Su Twitter, sempre il direttore di “Libero” aggiunge: «Quella di Renzi non è una secessione, bensì una maxi-rottamazione: in un colpo solo ha distrutto Conte, Zingaretti e Di Maio». Me se il grillo parlante Feltri si diverte a cantare fuori dal coro dei colleghi, Magaldi – in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – va decisamente più a fondo: la triste verità, dice, è che le ultime news non sono neppure vere notizie. La fuga in solitaria di Renzi non aggiunge nulla all’offerta politica di
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SCIENZE TECNOLOGIE
Elon Musk svela Neuralink, il microchip che collegherà mente umana e computer
26 agosto 2019 di Simona Politini
Dove la mente umana non può arrivare ci pensa la macchina, e se questa macchina è inserita nel nostro stesso cervello è ancora meglio!.È questa l’ultima frontiera tecnologia nei piani del miliardario Elon Musk che ha l’ambizione di permettere al cervello di caricare e scaricare pensieri direttamente dal computer.
Neuralink, l’azienda di neurotecnologie fondata da Elon Musk
Non bastavano le auto elettriche e la conquista dello spazio, il ceo di Tesla e SpaceX punta a collegare il cervello con le macchine e lancia Neuralink, un’azienda specializzata in neurotecnologia, ovvero quell’insieme di metodi e strumenti che consentono una connessione diretta di componenti tecnici (elettrodi, computer o protesi intelligenti) con il sistema nervoso.
L’idea di un’interfaccia cervello-computer non è nuova. Questi dispositivi sono spesso usati in circostanze di lesioni cerebrali e aiutano il cervello a svolgere compiti. Ora, tuttavia, la relazione tra neurotecnologie e reti neurali
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