RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI  21 DICEMBRE 2021

https://www.andreacarancini.it/2012/06/palazzo-montecitorio-la-knesse/

RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 

21 DICEMBRE 2021

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

RICORDI

Sono punti di connessione. Il tempo dilata la trama della nostra esistenza e i ricordi sono come dei punti che servono a tenerla unita al nostro cuore e a far sì che la nostra vita non resti appesa a un chiodo lontano da noi.

Francesca Sifola – Scrittrice

FONTE: http://www.francescasifola.it/flash.html 

 

 

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SOMMARIO

Devono essere pagati davvero bene
POVERTÀ FIGLIA DELLA REPRESSIONE
La Kabbalah invade l’arte È il disegno dietro la bellezza
LE RADICI MASSONICHE DI ISRAELE: L’EDIFICIO DELLA CORTE SUPREMA
Ma allora ditelo che volete il trionfo del complottismo
La scuola progressista è dannosa, e profondamente classista
L’IRAN ACCUSA LA FRANCIA DI “DESTABILIZZARE” LA REGIONE VENDENDO ARMI AL GOLFO
L’islamofobia è spesso alimentata dai media mainstream; l’ho visto
Così in alto come in basso
GILAD ATZMON: LE TEORIE DEL COMPLOTTO DAI SAVI DI SION ALLE BAMBINE DI EPSTEIN
L’asse neoliberista/neocons vuole la vita di Assange
Contro il Green Pass. La posta in gioco: disciplina e sorveglianza
“Non Performing House”
Germania: Pfizer e Microsoft pagano la politica vaccinale
Si scrive concorrenza, si legge monopolio privato
La Polonia difende i confini dell’Europa. E l’Ue la affama
Virus volant, verba manent? Il lessico al tempo del Covid-19
I legislatori statunitensi votano per affrontare l’islamofobia globale, ma Israele sarà indagata?
Quando il gioco si fa duro, monsignor Viganò non si sottrae. USA, tintinnio di sciabole
PALAZZO MONTECITORIO: LA KNESSET ITALIANA?
Draghi incontra il Cancelliere tedesco Scholz: tra le priorità c’è accelerazione dell’integrazione europea
I servizi segreti sapevano in anticipo di Piazza Fontana?
Il Mediterraneo delle Costituzioni.

 

 

IN EVIDENZA

Devono essere pagati davvero bene

Mi è passata la voglia di cercare cose intelligenti da scrivere quando  ho visto questo video. I tre tele-virologi che invitano a  vaccinarsi sul motivetto di jingle bells superano ogni limite. Oltretutto: pensano di aver convinto un solo no vax a vaccinarsi? I loro manovratori devono essere disperati se li fanno ricorrere a questi mezzi.

Crisanti, Bassetti e Pregliasco: coro ‘sì vax’ per Natale – Video

https://www.adnkronos.com/crisanti-bassetti-e-pregliasco-coro-si-vax-per-natale-video_63rF4CC8Bt4MAslmniD2XI

Guardate voi il video, la riproduzione è riservata..

Immunologa Antonella Viola.
Allora, ricapitolando: due dosi non bastano, e molto probabilmente neanche tre, quattro, cinque, sei, sette e più dosi! E questo si chiama vaccino? Con quale sacrosanto ragionamento i doppiamente vaccinati si lasceranno convincere?!
Ha ragione il comico che ha detto: vaccinarsi contro il covid serve per andare al cinema, al ristorante, ecc. Mentre l’unico vaccino contro il vaiolo, la tubercolosi, la poliomielite serviva per non ammalarsi di vaiolo, di tubercolosi o di poliomielite!

e cantano mentre i loro vaccini fanno  questo:

Quotidiano del Canavese

IVREA – A 17 anni trovato morto nel letto di casa. Niente autopsia per chiarire le cause del decesso

La procura di Ivrea non ha disposto l’autopsia per chiarire le cause del decesso

IVREA – Una tragedia ha scosso la comunità cittadina ieri dopo che è stato ritrovato il corpo senza vita di un ragazzo di appena 17 anni. Si chiamava Samuel Paonessa (nella foto tratta dal profilo Instagram) e, secondo i primi riscontri, è morto nel sonno nella notte tra lunedì 4 e martedì 5 ottobre 2021. A trovarlo senza vita sono stati i genitori. Inutile la chiamata al 118.

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/devono-essere-pagati-davvero-bene/

 

 

POVERTÀ FIGLIA DELLA REPRESSIONE

Povertà figlia della repressione

Dove non c’è libertà economica, non c’è libertà

Le emergenze sono sempre state il pretesto con cui sono state erose le libertà individuali (Friedrich von Hayek).

Corsi e ricorsi storici di matrice vichiana, quando lo Stato allunga i suoi parassitari tentacoli sulla strada delle buone intenzioni e della validità delle sue “competenze”, quando impone la “necessità della sua protezione” come neanche il più arrogante guappo proverebbe a giustificare con ipotetiche emergenze o esigenza di ricorrere ai tecnocrati sedicenti esperti che nessuno può confutare, perché detentori della verità assoluta della ragione scientifica. Ebbene, quando si arriva a esautorare completamente il Parlamento, subordinandolo al potere auto-delegato e assoluto dell’Esecutivo, si genera il mostro del totalitarismo. Il problema è che il totalitarismo che si sta delineando è molto più pericoloso di quelli che storicamente conosciamo, perché avallato completamente da un’opposizione inerte e in sudditanza.

Questo Governo però sta riuscendo, con i suoi metodi, con la sua comunicazione e con l’aiuto di drappelli di esperti e giornalisti, a estirpare qualsiasi residuo germe di libertà rimasto in Italia. E la mia non è una “sparata”, qualcosa per “alzare i toni”, ma la semplice constatazione del fatto che il declino di questo Paese sta andando di pari passo con il declino delle sue libertà. Ho parlato di “declino” perché è proprio questa la parola che Friedrich von Hayek, uno dei padri del liberalismo di scuola austriaca, usa nella sua opera La società libera per descrivere la situazione di uno Stato in cui avere opinioni diverse da quella corrente costituisce motivo di riprovazione.

Se pensiamo a quello che succede in Italia, dove a comandare non è più la politica ma l’opinione di questo o quel virologo, stiamo arrivando alla fotografia perfetta del declino. In Hayek c’è tutto: lo Stato che si aggrappa all’emergenza per espandere i propri poteri, il ricorso agli “esperti” che nessuno può contraddire, addirittura (ed è il nostro caso) la totale subordinazione delle assemblee democratiche (in cui dovrebbe risiedere il potere vero, quello emanato dal voto popolare) alle decisioni e al potere dell’Esecutivo e di quelle figure “speciali” scelte per affrontare l’emergenza. È la democrazia che si mangia da sola, cancellando ogni tratto liberale e cedendo ai nuovi valori della “competenza”, della “pianificazione” e del “controllo”. La competenza peraltro è davvero un valore, ma non quando viene sventolato per mettere a tacere gli altri.

Chiunque abbia letto von Hayek e la scuola austriaca potrà dirvi che è un film già visto: è proprio questo il modo in cui lo Stato si avvicina al totalitarismo, ossia su una strada lastricata di buone intenzioni, di “competenze”, di “necessità di protezione”. È lo stesso meccanismo per cui, in economia, lo Stato cresce sempre senza mai fermarsi: trovando di volta in volta un’azienda decotta da salvare, un’ingiustizia da sanare o una disuguaglianza da “riequilibrare”, lo Stato continua a spendere i soldi dei contribuenti e se possibile a ingigantire la mole del debito. Questo è frutto del pericolo di cui parlava von Hayek in La via della schiavitù, una delle sue opere più celebri: scambiare la democrazia per un “fine” politico, quando essa in realtà è solo uno dei molteplici strumenti utilizzabili per arrivare alla libertà. Se la “legittimazione democratica” di uno Stato porta lo Stato stesso a potersi permettere provvedimenti illiberali e a mettere a tacere chi la pensa in modo diverso, la schiavitù diventa un dato di fatto, il totalitarismo una realtà.

Secondo voi è tollerabile questa deriva tecnocratico-plebiscitaria a danno degli stessi principi inviolabili della libertà economica, e di conseguenza della libertà individuale, costituzionalmente garantiti?

FONTE: http://www.opinione.it/economia/2021/12/20/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_repressione-libert%C3%A0-economia-povert%C3%A0-von-hayek/

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

La Kabbalah invade l’arte È il disegno dietro la bellezza

Bastano due cifre in sequenza per far fantasticare combinazioni mistiche, magari con la speranza di riuscire a fare 13 al Totocalcio. Dispiace per i più, ma la Kabbalah non è questo. Non è un gioco. Non è adatta a chi non crede, non è un passatempo da praticare di tanto in tanto, né un argomento da conversazioni in salotto. Non è un libro solo e non si può leggere senza un’adeguata preparazione. Non è una magia, non un pronostico, non assicura una vita migliore. Non è facilmente comprensibile, quindi togliamoci dalla testa la possibilità di metterci all’improvviso a studiare Kabbalah. Se tutto questo è chiaro, iniziamo col dire che la Kabbalah è parte della tradizione esoterica ebraica, è l’atto di ricevere, è spiritualizzare il mondo, è il livello più profondo della tradizione ebraica. E si basa su alcune regole, tra cui la «codifica» di parole-chiavi della nostra esistenza o la Gematria, che è l’arte della numerologia sacra. Ebbene, se la Kabbalah entra come un flusso continuo nella vita e nelle cose di questo mondo, trova la sua espressione anche nel mondo dell’arte. E l’arte italiana è piena di segni, è invasa da misteri kabbalistici, numeri nascosti negli angoli più remoti della scultura, della pittura, dell’architettura del nostro Paese. Trovarli tutti forse è impossibile. Trovarne molti è un lavoro faticoso che richiede l’esperienza di un divulgature del Talmud e quella di profondo conoscitore della storia dell’arte, la capacità di uno scrittore e la fantasia di chi è in grado di saper guardare oltre. È un lavoro adatto a pochi al mondo e in Italia, con grande probabilità, adatto solo a Roy Doliner. Uno studioso che vive tra New York e Roma (o, come dice lui, «tra la Grande Mela e il Grande Carciofo») e che dopo aver svelato «I segreti della Sistina», ha da pochi giorni pubblicato il suo libro «Il disegno segreto» (Rizzoli, pag. 320 euro 22,00), ovvero il messaggio della Kabbalah nell’arte italiana. Apritelo e lasciatevi trasportare, saltando di secolo in secolo, tra le meravigliose opere d’Italia. È un viaggio senza precedenti dove cultura e mistero si fondono lungo una strada di messaggi terreni e celestiali. Come quella tracciata nel 1165 che sorveglia la collocazione delle ultime tessere di un mosaico che copre tutto il pavimento della cattedrale di Otranto. «A lui e ai suoi assistenti – è scritto nel libro – sono occorsi anni per realizzare quell’incredibile, quasi psichedelico pot-pourri di immagini delle Scritture ebraiche, il Nuovo Testamento e perfino la leggenda di Re Artù, che era stata messa per iscritto in Inghilterra solo un quarto di secolo prima. Dopo tanta fatica, lo straordinario mosaico giace in gran parte coperto da banchi, sedie e dalle calzature dei fedeli; cosa ha spinto il monaco a progettarlo e qual è il suo significato?». Quale messaggio contiene lo spiega, ovviamente, Doliner attraverso l’intreccio di Kabbalah, storia e architettura. Gli esempi di misteri celati tra i monumenti italiani e svelati dallo scrittore sono innumerevoli. Roma ne è la culla. Prendiamo la Fontana delle Tartarughe in piazza Mattei. Nel 1584, trent’anni dopo l’istituzione del ghetto ebraico, la famiglia Mattei fece costruire la deliziosa opera. Un piccolo capolavoro di Giacomo Porta, tra gli ultimi collaboratori di Michelangelo. Il monumento non includeva nessun simbolo cristiano (a differenza delle altre fontane che avevano stemmi papali). All’inizio non era chiamata fontana delle tartarughe, perché il progetto prevedeva quattro efebi appoggiati a quattro delfini che alzavano altri quattro piccoli delfini. Ma in quel punto la scarsa pressione dell’acqua non prometteva una buona riuscita dell’opera e gli animali furono eliminati. Per generazioni i fanciulli stettero a braccia alzate in una posa senza senso. Finché nel 1658 non ci pensò il celebre Bernini che scelse di sostituire i delfini con delle tartarughe. Perché? Bernini era spesso consigliato dal più autorevole kabbalista cristiano, il gesuita padre Athanasius Kircher. Fu probabilmente la sua influenza a far scegliere all’artista quelle tartarughe simbolo di perseveranza che rientrano nella sfera kabbalistica di «Hod» e che erano un segno di incoraggiamento nei confronti degli ebrei rinchiusi nel ghetto. Di segni così Roma è piena. La mistica pervade il colonnato del Bernini che porta attraverso il «sentiero dell’illuminazione» alla Basilica di San Pietro. O gioca brutti scherzi all’entrata principale di Santa Maria. Ma ci sono anche esempi di recenti di «invasioni» della Kabbalah nell’arte italiana. Basta guardare la nuova piazza Montecitorio dell’architetto Franco Zagari. All’inaugurazione del 7 giugno 1998 nessuno si accorse del «segno». Eppure basta guardare la piazza dall’alto per accorgersene. Alla base del palazzo che ospita la Camera dei deputati ci sono tre strisce bianche ad anello tagliate in mezzo da una quarta linea bianca. Tutto questo forma un candelabro ebraico a sette bracci, la Menorah, che fa concludere le sue fiammelle all’interno di Palazzo Montecitorio nella speranza che la luce potesse simbolicamente illuminare il tempio della democrazia, conformemente a quanto è scritto nei Proverbi: «Quanto è meglio ricevere la saggezza che l’oro!». Il libro di Roy Doliner è, dunque, un originale e affascinante viaggio nell’arte segreta. Come dice l’autore: «Seguitemi e vi mostrerò lo straordinario disegno che si cela dietro la bellezza».

FONTE: https://www.iltempo.it/cultura-spettacoli/2012/04/10/news/la-kabbalah-invade-l-arte-e-il-disegno-dietro-la-bellezza-801619/

 

 

 

LE RADICI MASSONICHE DI ISRAELE: L’EDIFICIO DELLA CORTE SUPREMA

6 LUGLIO 2011

IL NUOVO ORDINE MONDIALE[1] ISRAELIANO RIVELA IL SUO SEGRETO – SIMBOLOGIA DELLE MIRE DELL’ORDINE MASSONICO NELL’EDIFICIO DELLA CORTE SUPREMA ISRAELIANA[2]

Questo articolo urterà e turberà qualcuno. Ora, è il momento di scriverlo – sapendo che potrebbe essere equivocato come antisemita. Dio non voglia che io, un ebreo, debba mai dire o fare qualcosa che potrebbe anche alla lontana essere considerato come tale, ma devo ammettere che questo articolo non è stato facile per me.

E tuttavia rimane il fatto che a Gerusalemme è stata messa in opera una forza malefica, ed è stata diffusa in tutta Israele, in preparazione della fine dei tempi e della venuta dell’Anticristo. Poiché, se noi dobbiamo credere che l’Anticristo deve assidersi sul Monte del Tempio, allora dobbiamo affrontare certe verità che oggi non vengono predicate.

Una di queste verità è che le basi di questa mossa, da parte del Diavolo, sono già all’opera anche ora che ne parliamo, oppure semplicemente non stiamo nei “giorni finali” di un’epoca. Quest’articolo proverà che tale mossa è in corso e lo è da qualche tempo.

In questo articolo vi sono molte immagini che mostrano la prova – del sistema fondato dagli Illuminati – che c’è un complotto, da parte di coloro cui noi ci riferiamo come i rappresentanti del Nuovo Ordine Mondiale, per mostrare, nei disegni architettonici del nuovo edificio della Corte Suprema israeliana – progettato e pagato dai Rothschild – la presenza in Israele della Framassoneria e degli Illuminati. Io [Jerry Golden] ho scattato tutte, tranne una, le immagini che vedete qui, in modo tale che posso assicurarvi che ciò che vedete è vero e sta davvero lì sul posto.

Le stesse famiglie che possiedono e controllano la Federal Reserve e altre fondamentali istituzioni finanziarie hanno gli occhi puntati sul Monte del Tempio e sulla Città Santa di Gerusalemme. Proprio come dicono le Scritture, l’uomo che sarà rivelato come l’Anticristo siederà lì – prima dell’apparizione del Messia ebraico Yeshua HaMashiach – e molti lo accoglieranno come il loro messia. Come tutto ciò avverrà rimane da vedere, ma di una cosa sono convinto, ed è che non saranno i Santi uomini di Dio a ricostruire il Tempio: saranno gli Illuminati. Perché Dio non invierebbe [qualcuno] in quel luogo a compiere sacrifici cruenti. Il sangue di Suo Figlio è stato il sacrificio perfetto; non c’è più bisogno di versare il sangue di muti animali. Yeshua ha compiuto un’opera perfetta, e l’opera è ultimata. Ma egli tornerà e prenderà il controllo del Nuovo Tempio, che ritengo verrà costruito molto presto. L’Anticristo può essere accettato dalla maggior parte dei “cristiani” come il salvatore, che può portare la pace e l’ordine nel mondo. Ma poi sapete il resto della storia.

A quelli che potrebbero pensare che questo è un articolo antisemita chiedo di leggere un articolo su The House of Satan[3]http://www.thegoldenreport.com/articles.asp?id=00135 ; poiché vi sono quelli che si definiscono ebrei ma che sono la casa[4] di Satana. E molti hanno trovato la strada nella Knesset israeliana e non menzionano neppure né affrontano il Patto di Yahweh.

Ancora una volta, Yeshua entrerà in quel luogo – il Monte Santo di Dio – e lo ripulirà. Ma prima che tutto ciò avvenga l’inferno verrà scatenato a Gerusalemme e nel mondo. Detto questo, ora vi mostrerò quello che finora non è mai stato pubblicato, perché i pochi che ne sono a conoscenza hanno paura di parlarne. Vi prego, pregate per questo servo di Dio affinché sia protetto, mentre ci inoltriamo in queste verità. Queste verità devono essere rivelate affinché il Corpo sappia quanto vicini siamo alla fine di questa era.

L’intero articolo riguarda la costruzione di questo edificio voluto dai Rothschild. Un mio amico scattò questa immagine della Corte Suprema israeliana mentre lui e sua moglie sorvolavano la zona un paio di anni fa. L’edificio della Corte Suprema è situato su un terreno di fronte alla Knesset e vicino al Ministero degli Esteri e alla Banca Centrale di Israele. È importante tenere presente che è situato in linea con la Knesset, perché parleremo della Linea di Forza che passa sotto questa piramide giungendo fino alla Knesset, con altre Linee di Forza che giungono in perfetto ordine al centro di Gerusalemme e al Museo Rockfeller.

Tutto, riguardo a questo edificio, è stato pensato nei più sottili dettagli, ed è diabolico. Il piano del Diavolo è stato messo all’opera prima che ce ne rendessimo conto. Egli sa che la sua battaglia finale avverrà qui a Gerusalemme.

I tecnici scelti per questo lavoro dai Rothschild sono il nipote e la nipote di Ben –Zion Guine, turco, che lavorò per il Barone Rothschild: Ram Kurmi, nato a Gerusalemme nel 1931, e Ada Karmi-Melanede, nata a Tel Aviv nel 1936. Tutto ciò avvenne molto tempo prima della fornitura di materiali e macchine, e quelli erano il genere di persone che non ne avrebbero avuto bisogno comunque. Mi rivolgo a coloro che possono capire qualcosa dai numeri. Era importante, per il costruttore, che ogni cosa venisse realizzata in base ai numeri esatti. Vi furono 1.000 tavole progettuali, 1.200 pilastri di cemento; costoro lavorarono all’edificio per 3 anni o 750 giorni [sic], 20 operai al giorno, per 200.000 giorni lavorativi, 250.000 pietre per l’edificio, ognuna delle quali posta a mano.

La prima cosa che noterete è la piramide con l’Occhio Onniveggente proprio come quella che si vede sul biglietto del dollaro americano: essa è situata in un cerchio a sinistra. Ne riparleremo un po’ più avanti.

Il cerchio più grande che vedete sul fondo dell’immagine è una croce rovesciata concepita per camminarvi sopra. È il solo simbolo religioso concepito per essere calpestato:

Poi, nella parte superiore dell’immagine successiva, c’è un cimitero musulmano e, appena visibile sulla destra, c’è un obelisco egiziano:

E lungo tutto il complesso troverete altari indù:

Tutto ciò acquisterà il suo senso nel proseguio, tenendo presente che parliamo della costituzione di una forma di governo che sfocerà nell’Anticristo.

Vi sono poche tracce nell’edificio stesso della presenza dei Rothschild ma su un muro esterno troviamo questi due reperti:

Volgiamoci al giardino che mostra l’obelisco egizio. Dopo aver oltrepassato la sicurezza la prima cosa che noterete sul muro a sinistra è un grande dipinto:

Nel riconoscere i Rothschild, noterete in alto lo stemma dei Rothschild. È il simbolo del fondatore dei Rothschild e dei suoi cinque figli, che fondarono le banche centrali di tutta Europa. I Rothschild imposero diverse condizioni al governo israeliano prima dell’inizio della costruzione dell’edificio, tra le quali: i Rothschild avrebbero scelto il terreno su cui costruire l’edificio, avrebbero usato i propri architetti, e nessuno avrebbe saputo quanto l’edificio sarebbe costato. Costruire questa struttura, con i molti segreti racchiusi in essa, richiese quattro anni. Da sinistra, potete vedere Teddy Kollek, poi Lord Rothschild; sulla destra in piedi potete vedere Shimon Peres, e seduto in basso sulla sinistra Ytzhak Rabin. E altri che ci hanno condotto al mortifero processo [di pace] di Oslo cui ora siamo posti di fronte.

Ma ecco dove il nostro viaggio ha inizio, mentre iniziamo ad entrare nell’edificio, poiché questo intero percorso ha lo scopo di portare i designati dall’oscurità alla luce, in modo che diventino Illuminati. Dapprima si entra in una zona dall’illuminazione molto fioca…

ma, se guardate i gradini, vedrete la luce intensa proveniente da un’enorme finestra che sovrasta Gerusalemme:

In questo caso è molto importante contare i gradini; vi sono tre serie di 10 gradini, per un totale di 30. Nel salire questi 30 gradini si passa dall’oscurità alla luce. E, in tale condizione, potrete vedere il mondo o, in questo caso, la città di Gerusalemme come non l’avete mai vista prima d’ora. Vale anche la pena di notare che sul lato sinistro vedrete la vecchia Pietra di Gerusalemme: alcuni ritengono persino che queste stesse pietre vennero usate nel Secondo Tempio, ma non sarei in grado di provarlo in nessun modo. Sull’altro lato vedrete il levigato muro moderno. Vi sono sei lampioni che salgono su, che parlano all’uomo nel suo percorso per acquistare la conoscenza e diventare illuminato. Ma, ancora una volta, ritengo necessario dirvi che per coloro che hanno fatto costruire questo edificio ogni cosa doveva essere perfetta, all’interno di un ordine ben preciso, anche dal punto di vista numerico.

Mentre giriamo a sinistra e iniziamo a camminare verso la Piramide, notiamo una striscia di metallo sul pavimento di marmo. Le Linee di Forza attraversano direttamente, nel sottosuolo, la Piramide: da questo luogo giungono in differenti luoghi della città. È il luogo dove i Giudici e altri possono restare per ricevere conoscenza e potere. Restare in un oggetto di cristallo con l’Occhio Onniveggente di Lucifero, il “portatore di luce”, sopra di loro.

Per quelli che non conoscono il termine Linee di Forza, queste demarcano i luoghi che le streghe, gli stregoni e i maghi percorrono rivendicandoli per il Diavolo. Se ci fate caso, in tutte le grandi città vi sono chiromanti e costoro di solito si posizionano su una strada che coincide con una Linea di Forza.

Qui abbiamo una mappa di Gerusalemme: potete constatare come l’edificio della Corte Suprema e la Knesset sono uniti da un’unica linea retta e tale linea è intersecata a metà, con un’angolazione di 90%, da una Linea di Forza che corre perpendicolare. Questa linea corre proprio sotto il mezzo di una strada conosciuta come Ben Yehuda, un luogo dove si incontrano tutti i pazzi, e ogni giorno prestabilito potete trovare almeno uno di costoro che sostiene di essere Elia o Mosè. Gli israeliani chiamano Ben Yehuda lo “spettacolo dei mostri”. La linea suddetta arriva al Museo Rockfeller; e dal Museo Rockfeller, una linea attraversa i quartieri musulmani fino a giungere al Monte del Tempio. Ingrandirò un poco questa mappa per aiutarvi in qualche modo:

Proprio prima dell’ingresso, sotto la piramide, c’è una finestra da cui potete guardare all’insù: noterete la Linea di Forza che corre lungo il centro della piramide:

Per un momento torniamo alla sommità dei 30 gradini, poiché sappiamo che nella Massoneria vi sono 33 gradi ma gli ultimi tre sono quelli di più alta conoscenza, propedeutici all’ingresso negli Illuminati. Così, mentre ci muoviamo dalla sommità dei gradini in direzione della Piramide, potremo vedere una grande biblioteca con tre ordini riservati a quei tre livelli di più alta conoscenza. Essi costituiscono i tre gradini finali della Libera Muratoria e dopo di questi, se si sceglie di passare al livello superiore – e se si viene accettati – si entra nei massimi livelli degli Illuminati. È anche importante osservare in questo edificio che il 33° livello termina alla base della Piramide:

Si tratta di una biblioteca molto grande e costosa, ma c’è qualcos’altro che va detto in proposito. Il primo ordine è riservato ai “soli” avvocati, il secondo ai “soli” giudici in attività. Il terzo e più alto ordine è riservato ai “soli” giudici in pensione. Il che ci parla anche dell’ordine delle cose all’interno degli Illuminati, poiché i novizi devono essere accettati, per salire al livello superiore, prima che la conoscenza propria di quel livello sia resa loro disponibile. E direttamente sopra quel terzo ordine c’è la Piramide con l’occhio onniveggente di Luther [sic]. Così comincia il percorso negli Illuminati.

Direttamente sotto la Piramide potete osservare 6 quadrati. Poiché 6 è il numero che simboleggia l’uomo, e ogni quadrato ha quattro lati che parlano al mondo. Al centro, direttamente sotto la cima della piramide c’è un cristallo, così che quando qualcuno sta lì, lui o lei si trova in corrispondenza diretta tra la cima della piramide e il cristallo sottostante:

Vi sono cinque aule di tribunale, ognuna delle quali ha un ingresso in guisa di tomba ebraica, con un’apertura sopra la porta, in modo che l’anima abbia la possibilità di entrare o uscire. Il muro con gli ingressi nelle aule forma una curva, mentre il muro esterno è dritto. Vi sono due cose da dire su tutto ciò: secondo certuni la linea dritta simboleggia la Giustizia e la linea curva la Clemenza, ma altri riferiscono il tutto all’ordine che nasce dal caos. Che è il motto degli Illuminati. Vi sono tre giudici che siedono in ogni aula, e sopra gli scranni dei giudici vi sono tre piramidi più piccole che emanano luce sui giudici, mentre costoro sovrastano gli imputati portati davanti a loro dalle celle delle prigioni sottostanti. Le camere [di deliberazione] dei giudici sono situate sopra le aule di tribunale: loro vengono giù a portare la luce a quelli che provengono dal basso:

Ho fatto un piccolo taglio dal progetto complessivo dell’edificio per mostrarvi il disegno di un Mishkan[5] ebraico introdotto nel progetto, poiché tutte le altre religioni fondamentali del mondo sono rappresentate, in un modo o nell’altro. Mentre camminate partendo dalla piramide potete proseguire o verso le aule di tribunale o verso le camere dei giudici. Ma ecco come appare questa parte dell’edificio: lo scopo è quello di fare della piramide il santo dei santi di questo malefico “Tempio” Mishkan:

La parte inferiore dell’immagine suddetta è il cortile, e qui troviamo pietre rifinite portate dal deserto vicino Mitzpe Ramon, dove c’è il più grande cratere naturale del mondo. Uno stretto canale d’acqua che corre in modo continuativo divide le pietre. Gli architetti sostengono di essere stati ispirati dalle Scritture, e segnatamente dal Salmo 85:11: “La fedeltà spunta su dalla terra, e la giustizia guarda giù dal cielo”[6]. Poiché i giudici sovrastano questo cortile guardando in giù:

Quando lasciate l’aula di tribunale centrale, o aula principale, dalla parte opposta troverete i gradini che scendono al piano di sotto: alla base dei gradini troverete il simbolo della fertilità sempre presente in tutte le strutture degli Illuminati, spesso nascosto ma sempre lì. Si potrebbe dire molto su questo simbolo e sul simbolo dei massoni della squadra e del compasso con la “G” nel mezzo, ma lascerò tutto ciò per un’altra occasione, o per qualcun altro:

Abbiamo esaminato solo superficialmente il significato di quest’edificio, poiché vi sono lì letteralmente centinaia di particolari che indirizzano agli Illuminati e ai loro piani per il genere umano. Ma la cosa più importante di questo articolo è che esso dimostra la base dell’insediamento di colui che sarà accettato dai più quale messia, prima che Yeshua torni a stabilire il suo regno, e a governare la terra. Non dubito che molti insorgeranno contro questo articolo, e che sarà il messaggero, più del messaggio, ad essere attaccato. Ma ho cercato di esporre prove e fatti: molto di più potrebbe essere detto, e sono sicuro che tutto ciò indurrà altri a parlarne, e forse è questo lo scopo di questo articolo.

NOTE

[1] Nel testo originale: NWO, New World Order.

[2] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.abidemiracles.com/555701.htm

[3] La casa di Satana.

[4] Nota del traduttore: il riferimento è al passo dell’Apocalisse 2:9 (“E so che sei calunniato da parte di coloro che dicono di essere Giudei e non lo sono; ma sono invece sinagoga di Satana”). In tal caso, il termine più appropriato è “sinagoga”, non “casa”.

[5] Mishkan: santuario (http://www.scuola-beitsefer.it/Ebraismo_07/Tora/ParaHome/Shemothome/ShemotPara/Teruma/Teruma.htm ).

[6] Nell’edizione della Bibbia del Ricciotti (Salani editore, 1991), il Salmo in questione è numerato come 84 (Dopo l’esilio. – Ringraziamento e preghiera).

FONTE: https://www.andreacarancini.it/2011/07/le-radici-massoniche-di-israele/

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Ma allora ditelo che volete il trionfo del complottismo

di Andrea Zhok – 20/12/2021

Ma allora ditelo che volete il trionfo del complottismo

Fonte: Andrea Zhok

Qualche giorno fa il rapporto Censis lamentava la crescente irrazionalità degli italiani, di cui, il 67,1% riteneva esistesse uno “Stato profondo”, dove il potere reale è concentrato, “in modo non pienamente democratico, nelle mani di un gruppo ristretto di potenti, composto da politici, alti burocrati e uomini d’affari.”
Mannaggia a ‘sti terrapiattisti.
Ora, il gruppo Black Rock è la più grande società di investimento al mondo, il suo patrimonio è pari a quasi cinque volte il PIL italiano. Possiede: J.P. Morgan Chase, Bank of America, Citibank, Apple, McDonald’s, Nestlé, Exxon Mobil, Shell. È azionista di peso di Deutsche Bank, Intesa Sanpaolo, Bnp, ING, Banco Popolare, Unicredit, Rai Way, Banca Popolare di Milano, Azimut Holding, Intesa Sanpaolo, Telecom Italia. Detiene quote in Atlantia, Fiat S.p.A., Assicurazioni Generali, Merck, Bayer, Allianz, Siemens, Adidas, Lufthansa, Deutsche Telekom, BMW, ecc. ecc.
Da oggi l’ex Presidente della sorveglianza del fondo Black Rock Germania, Friedrich Merz,  è il nuovo successore della Merkel alla guida della CDU.
Ok, ma allora ditelo che volete il trionfo del complottismo.

FONTE: https://www.ariannaeditrice.it/articoli/ma-allora-ditelo-che-volete-il-trionfo-del-complottismo

 

BELPAESE DA SALVARE

La scuola progressista è dannosa, e profondamente classista

di Antonio Catalano – 19/12/2021

La scuola progressista è dannosa, e profondamente classista

Fonte: Antonio Catalano

Ho scritto spesso di scuola, provando a spiegare quali siano i fattori che ne hanno determinato la distruzione, la cancellazione del suo ruolo di crescita intellettuale nella società, con il conseguente approdo a quella che definisco la sua fase post-agonica (l’agonia si è già consumata).
La scuola ha compiuto per intero il processo di trasfigurazione, è diventata, con la compiaciuta approvazione degli apparati istituzionali, mero luogo di socializzazione a base di varie “educazioni” finalizzate a promuovere il “nuovo mondo” prospettato dall’ideologia globalista di marca progressista.
Dopo averla affossata anni fa, è ricomparsa la nuova “Educazione civica” (quella vecchia era deputata a insegnare i rudimenti del diritto costituzionale, ma solo alle superiori), ma la cosa non ci rallegra in quanto si tratta di un vero e proprio cavallo di troia, concepito infatti allo scopo di inculcare nelle giovani menti le idee-chiave tanto care al credo globalista.  Elisabetta Frezza (il cui intervento a un recente convegno si può ascoltare cliccando sul link riportato in basso nei commenti), a proposito della nuova educazione civica, dice delle cose molto interessanti. La Frezza, dopo averci ricordato che questa “nuova” materia è diventata obbligatoria a partire dalla scuola dell’infanzia, ci dice che metodologicamente si comporta come un asso pigliatutto, in quanto entra trasversalmente in ogni altra materia del curriculo, contaminandola. Dal punto di vista del contenuto non è altro che il pacchetto dei dogmi raccolti nel nuovo vangelo universale, l’Agenda Onu 2030. (Tra parentesi, l’anno scorso ho dovuto sudare le proverbiali sette camicie per impedire che tra gli obiettivi di dipartimento venisse inserita l’insidiosa e tanto ideologica “agenda 2030”). Questa agenda, una vera e propria teologia, globalista, ruota intorno alla formuletta dello sviluppo sostenibile che si presenta in veste ecologista, ma di quell’ecologismo contro l’uomo, quello declamato dalla fanciulla scandinava, secondo cui l’uomo è il parassita dell’ecosistema. Teologia che si presenta in veste egualitaria, pacifista, scientista, genderista, omosessualista, pansessualista, trans femminista, integrata in corsa con tutto il pacchetto sanitario legato alla nuova situazione sanitaria. Insomma, la nuova educazione civica, nome d’arte dell’Agenda 2030, dice la Frezza, è il grande carro dentro il quale vengono trasportate tutte le ideologie in voga per addomesticare fin dalla culla il cosiddetto cittadino globale, un’altra etichetta truffaldina, al fine di ipnosi collettiva. Perché il cittadino chi è? È l’abitatore, il difensore della sua polis, e nella cosmopoli globale, che è un non luogo, che a lui è alieno, si tramuta e si dissolve nell’apolide. Il cittadino globale, questo è il cittadino della nuova educazione civica, è semplicemente il non cittadino, l’individuo senza patria e senza identità, proprio come lo vogliono le élite.
Lo ripetono da anni i diligenti dirigenti scolastici che ormai la scuola non è più quella di 30 anni fa, che essa non ruota più intorno alla “lezione frontale” (espressione divenuta dispregiativa), che basta con l’ossessione dei programmi (ieri a Rai Storia la solita esperta progressista parlava col sorrisetto beffardo, di chi esprime sufficienza, dei programmi come retaggio di una scuola del passato). Perché nella scuola contemporanea non si insegnano più i contenuti, ma le competenze, lo spirito del tempo richiede (secondo questi allucinati cultori del progresso a prescindere) adattamento veloce ai frenetici cambiamenti occorsi nella società. Il cardine della concezione progressista: una sorta di frenesia neo-eraclitea (dal filosofo presocratico Eraclito, quello che “tutto scorre”, per intenderci) che pretende che si consideri il cambiamento valore in sé, guai a discuterne i presupposti, perché se no ti rovesciano addosso bagnarole di ingiurie, che vanno dal “bonario” retrogrado all’immancabile fascista. Che i ragazzi arrivati in quinta superiore non conoscano quale siano le regioni d’Italia, quali i suoi capoluoghi, quale il fiume più lungo (lasciamo stare gli affluenti di destra e di sinistra), quali le montagne, quando si è formato lo stato italiano eccetera (tutte nozioni – ah, il nozionismo! – che una volta si possedevano alle elementari), queste sono pinzillacchere, vuoi mettere la loro capacità di adattarsi nel mondo che cambia? La cultura progressista propugna una cittadinanza ideologica, quando la vera cittadinanza si nutre della consapevolezza di essere parte della comunità nella quale si vive, e della conoscenza del tempo e dei luoghi condivisi, presupposti fondamentali per la costruzione, e il rafforzamento, di una identità individuale e collettiva.
Il libro appena pubblicato di Mastrocola e Ricolfi – Il danno scolastico, la scuola progressista come macchina della disuguaglianza – non fa sconti: riconduce il danno scolastico alla cultura progressista che si è andata sviluppando a partire dagli anni Sessanta. Cultura che non si limita al perimetro della “sinistra”, anche se questa si autodefinisce con orgoglio progressista, ma che riguarda anche il campo della “destra” (continuiamo a riferirci a queste attribuzioni per comodità, solo perché ancora testardamente le si usano nel dibattito politico, ma dovrebbe essere ormai chiaro ai più che la loro valenza non è più quella “storica”). La distruzione della scuola imperniata sullo studio e sull’apprendimento di contenuti è stata sostituita dalla scuola “facilitata”, ma non si pensi che il trionfo delle idee progressiste sia il risultato (come si scrive nel libro) di una battaglia in campo aperto, che uno dei contendenti abbia vinto e l’altro abbia perso, la verità è che uno dei due contendenti non si è presentato; essa è il frutto di un paziente, meticoloso e ininterrotto lavoro cui hanno partecipato un po’ tutti, e ciascuno a suo modo, non solo i politici, gli intellettuali e i pedagogisti progressisti. Ci ricordiamo delle tre “I” (internet, inglese, impresa) di berlusconiana memoria (2001)?
Ma perché per gli autori del “Danno scolastico” la scuola progressista è una macchina della disuguaglianza? All’osservatore superficiale può suonare strana la cosa, perché in fondo la cultura progressista ha facilitato il percorso scolastico, lo ha semplificato; quindi, i figli dei ceti popolari hanno avuto la vita più facile, essendo la cultura “alta” appannaggio delle classi agiate. Ma loro ci spiegano che si è trattato di una semplificazione che si è espressa con l’abbassamento continuo della famosa asticella – assenza di apprendimento, assenza di padronanza del linguaggio, assenza di capacità di ragionare, difficoltà (spesso impossibilità) di capire le domande, di produrre autonomamente le risposte (invece che selezionarle tra 5 preconfezionate) – e che questo ha distrutto la capacità di concettualizzare, di esprimersi per concetti, presupposto fondamentale della conoscenza. Distruzione quindi che ha penalizzato in prima battuta proprio i figli dei ceti popolari, in quanto privi di quei supporti compensativi necessari a controbilanciare tale realtà. Come scriveva nel lontano 1998 Lucio Russo, per semplificare le cose si è passati dai segmenti ai bastoncini, dal che il titolo del suo fondamentale libro, prima spietata denuncia del nuovo corso nella scuola.
Mastrocola e Ridolfi, ognuno a suo modo, ci parlano di una scuola che ha distrutto la funzione docente, ormai del tutto svalutata, essendo i docenti ridotti a “facilitatori”, motivo per cui non esprimono più autorità e quindi non esercitano quella necessaria autorevolezza senza della quale non vi è insegnamento; ci parlano di pedagogisti progressisti che considerano del tutto secondario l’insegnamento delle materie; ci parlano insomma di docenti che non esprimono più la loro naturale funzione, di docenti esposti alla disistima sociale (perché la stima sociale non è una variabile dipendente dell’ammontare retributivo, semmai è il contrario).
Secondo i nostri autori, di battaglie contro la vecchia scuola, considerata troppo seria per essere “democratica”, i picconatori ne hanno combattute (e vinte) molte. Ma quelle cruciali, quelle che hanno spianato la strada per il trionfo finale, giunto solo negli anni duemila, si sono svolte nel breve intervallo che va dall’avvio della scuola media unificata (1963) allo scoppio della contestazione studentesca (1968-1969). Un processo che si affermerà, definitivamente, con la riforma di Luigi Berlinguer. Poi proseguita con De Mauro, Moratti, Gelmini, la Fedeli, la Buona scuola…
Come si diceva, il trionfo finale è stato celebrato con la riforma Berlinguer (2000). Me lo ricordo come fosse oggi quel periodo. Nelle scuole si scatenarono i fanatici squadristi sostenitori della riforma, attivisti progressisti della sinistra (in particolare della Cgil scuola) che aprirono una micidiale offensiva a tutto campo contro la scuola “tradizionale”. Era letteralmente impossibile discutere, la loro intolleranza raggiunse picchi impensabili fino ad allora. Se non condividevi le loro idee, con annessa neolingua, ti impedivano di parlare, ti strappavano i microfoni, i manifesti, ti ostracizzavano in tutti i modi possibili. Esprimere semplicemente dei dubbi sul loro verbo progressista rappresentava per questi una dichiarazione di guerra alla quale rispondere con tutti i mezzi necessari.
Ma quali erano gli assi portanti della riforma Berlinguer? Ricordiamoli. Progetti, valutazione, diritto al successo formativo.
Con i progetti si mettevano in ombra le materie curriculari. I progetti trasformarono la scuola in un’ “impresa” che “offre” all’“utenza” attività extrascolastiche. Nasceva il famigerato POF (Piano dell’Offerta Formativa), il menu, il dépliant pubblicitario che presentava alle famiglie (utenza) il prodotto-scuola. Scuole che dovevano muoversi nel mercato della formazione secondo ben precise strategie di marketing, tese principalmente all’accaparramento di quote di mercato, rappresentate dai ragazzini della terza media da invogliare (tramite le rispettive famiglie) a iscriversi in scuole tirate a lucido per la bisogna, e più iscritti maggiori finanziamenti. Iscritti, e famiglie, che diventavano utenti/clienti. E si sa che il cliente ha sempre ragione. Ecco svelato il mistero del “partito delle mamme” che incute timore nei dirigenti. Il “partito delle mamme” (i papà ahimè sempre meno presenti), feroce difensore dei propri pargoli, diventava il tallone di ferro della nuova scuola. E questo è il motivo del perché diventava sempre più inutile condurre un ragazzo maleducato, o che ti mandava a quel paese (o che ti diceva “ti sparo nelle gambe”, come successe al sottoscritto), alla dirigenza scolastica: tu docente hai torto per definizione, come minimo non hai saputo motivare lo studente… quindi come minimo ti meriti quel comportamento. Ed ecco spiegato il motivo di tanti (purtroppo) docenti che si adeguavano mogi mogi e lasciavano fare, tanto ormai… Tenendo presente che i progetti distraevano i docenti dall’insegnamento, per cui “paradossalmente” chi dedicava tutto il suo tempo a insegnare (retrogrado!) era penalizzato retributivamente rispetto a chi impiegava parti considerevoli del tempo lavorativo in suddetti progetti.
La valutazione. Diventava “oggettiva”. Bisognava cioè misurare le competenze acquisite in un esercizio, in un progetto, in un corso, in un’uscita didattica, tutto doveva essere misurabile, tutto doveva rispondere a precisi parametri definiti dal dipartimento disciplinare, secondo una rigorosa tabella, uguale per tutti gli insegnanti.
Ma la perla della riforma Berlinguer era il “diritto” alla promozione e ad arrivare fino in fondo al percorso della formazione. Per cui si cancellava definitivamente quel che rimaneva del dovere e della responsabilità. Se non studi è perché è l’insegnante che non ha saputo motivarti, o è la scuola che non ti ha offerto corsi di recupero adeguati, e se capita che ti bocciano questo rappresenta un chiaro fallimento della scuola. Il fatto che l’insegnante non sa motivare (succede pure) lo studente diventava la giustificazione della mancanza di impegno nello studio. E poi, non bisognava stressare i ragazzi, dare compiti a casa era caricarli di un lavoro eccessivo che toglie loro tempo di vita, bisognava programmare le interrogazioni, non interrogarli per più di una materia al giorno eccetera eccetera; insomma, insistere sul fatto che lo studio è impegno, è fatica, rendeva ostile l’ambiente scolastico agli allievi, che invece devono vedere nella scuola un’occasione di gioco, di incontro, di esperienze… per questo i progetti assumevano nomi strani, strampalati: Senza zaino, Scuola due punto zero, Classi aperte, Classe viaggiante, Cervelli ribelli, Scuola capovolta…
Facilitare, semplificare, azzerare la responsabilità, garantire il “successo” scolastico non hanno reso la scuola più “democratica”, non ha favorito i figli delle famiglie di ceto popolare (basta solo osservare i dati della “dispersione scolastica”), ha solo creato una divaricazione ancora più netta, di classe, tra le famiglie che dispongono di mezzi (non solo economici) di sostegno dei propri figli e famiglie che non dispongono di questi mezzi. La cultura progressista ha creato le premesse di un abbassamento del livello di apprendimento e di conoscenza, ha demonizzato gli insegnanti che si sono opposti all’abbassamento dell’asticella, o semplicemente contrari a rilasciare falsi attestati.
Gli autori, amaramente, ricordano come questi insegnanti resistenti sono siano stati bollati come reazionari, o più benevolmente come nostalgici, di conseguenza liquidati come incapaci di stare al passo con i tempi. La cultura progressista occupa posizioni di potere dalle quali impartisce con arroganza il suo verbo, sgarbatamente e altezzosamente ignorando qualsiasi critica si muova verso una scuola che nell’evidenza dei fatti fa acqua da tutte le parti. Basta, per esempio, leggere la risposta piccata di “Articolo 33” al libro di Mastrocola-Ricolfi. Da leggere la “Lettera a un genitore”, inserita nel libro (la riporto nei commenti).
Concludo questo lungo post con le dure parole finali del libro. «No, cari finti progressisti, su questo avete toppato. È stato uno sbaglio enorme. Il danno che avete inferto al nostro paese è grande, ma il danno che avete inferto ai ceti popolari è ancora più grave, e non scusabile. Perché l’abbassamento degli standard ha aumentato, non ridotto, le diseguaglianze sociali. Ricevere un’ottima istruzione era l’unica vera carta in mano ai figli dei ceti bassi per competere con i figli di quelli alti, cui molti di voi appartengono. Gliela avete tolta, e avete avuto il becco di farlo in nome loro. Imperdonabile.»

FONTE: https://www.ariannaeditrice.it/articoli/la-scuola-progressista-e-dannosa-e-profondamente-classista

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

L’IRAN ACCUSA LA FRANCIA DI “DESTABILIZZARE” LA REGIONE VENDENDO ARMI AL GOLFO

French President Emmanuel Macron (L) is greeted by Abu Dhabi's Crown Prince Mohammed bin Zayed al-Nahyan during his tour of the Emirates pavillion at the Dubai Expo on the first day of his Gulf tour on 3 December 2021. [THOMAS SAMSON/AFP via Getty Images]

L’IRAN ACCUSA LA FRANCIA DI “DESTABILIZZARE” LA REGIONE VENDENDO ARMI AL GOLFO[1]

7 dicembre 2021

L’Iran ieri ha accusato la Francia di “destabilizzare” la regione vendendo armi ai paesi rivali del Golfo, tre giorni dopo che Parigi ha firmato un contratto multimiliardario con gli Emirati Arabi Uniti per la vendita di 80 jet da combattimento Rafale.

“Non dobbiamo ignorare il ruolo della Francia nella destabilizzazione della regione”, ha detto in una conferenza stampa il portavoce del Ministero degli Esteri Saeed Khatibzadeh.

“Ci saremmo aspettati che la Francia fosse più responsabile. La militarizzazione della nostra regione è inaccettabile e le armi che vendono nella regione sono la fonte dell’agitazione”, ha aggiunto.

Venerdì, la Francia ha annunciato la firma di un contratto di 17 miliardi di euro con gli Emirati Arabi Uniti per la vendita di 80 aerei da combattimento Rafale e di 12 elicotteri da trasporto militare Caracal.

Khatibzadeh ha detto: “armi per miliardi di dollari vengono vendute ai paesi arabi” senza suscitare nessuna preoccupazione a livello globale mentre il programma missilistico dell’Iran è condannato dalle potenze del mondo.

Le osservazioni del funzionario iraniano sono giunte mentre il consigliere per la sicurezza nazionale degli Emirati Arabi Uniti Sheikh Tahnoun Bin Zayed Al-Nahyan era in visita a Teheran nel quadro degli sforzi per migliorare i rapporti che erano peggiorati cinque anni fa.

NOTE

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://www.middleeastmonitor.com/20211207-iran-accuses-france-of-destabilising-region-by-selling-arms-to-gulf/

FONTE: https://www.andreacarancini.it/2021/12/liran-accusa-la-francia-di-destabilizzare-la-regione-vendendo-armi-al-golfo/

 

 

 

L’islamofobia è spesso alimentata dai media mainstream; l’ho visto

Stop ai cartelli della War Coalition che dicono "No all'islamofobia. No alla guerra". il 20 novembre 2021 a Londra, Inghilterra. [Hollie Adams/Getty Images]

Stop ai cartelli della War Coalition che dicono “No all’islamofobia. No alla guerra”. il 20 novembre 2021 a Londra, Inghilterra. [Hollie Adams/Getty Images]

Una volta mi è stato detto da qualcuno con cui ho collaborato in rete: “Non hai davvero l’aspetto giusto con il tuo hijab addosso”. La persona era in una posizione di autorità all’interno dei principali media britannici. Non sono la prima donna visibilmente musulmana a cui viene detto questo, né sono l’unica a essere stata discriminata per aver praticato la mia fede. In effetti, conosco molti musulmani che hanno affrontato l’islamofobia, che lavorano nei media mainstream o hanno lasciato l’industria perché sentivano di non essere in grado di progredire.

Dopo aver parlato delle mie sfide nel settore, molti altri musulmani e persone di colore hanno condiviso le proprie esperienze di razzismo, islamofobia e disparità di opportunità. Quindi, non è stata una sorpresa per me quando ho letto i risultati dell’ultimo rapporto del Center for Media Monitoring su “British Media’s Cover of Muslims and Islam (2018-2020)”. Il rapporto di riferimento ha analizzato oltre 48.000articoli e 5.500 clip in onda che hanno rivelato che “oltre il 60 per cento degli articoli sui media online e il 47 per cento delle clip televisive associano i musulmani e/o l’Islam ad aspetti o comportamenti negativi”. Con così tanta negatività all’interno della stampa mainstream, non c’è da meravigliarsi se molti giornalisti e professionisti dei media musulmani affrontano sfide e sono spesso repressi dal gridare all’odio che hanno dovuto affrontare.

Tropi islamofobici, titoli sensazionalistici e testi antagonistici erano solo alcuni dei problemi delineati dal rapporto all’interno di molti organi di stampa britannici che avevano pubblicato e riportato storie che coinvolgevano musulmani o l’Islam. Ci sono innumerevoli esempi che posso ricordare io stesso, come il titolo sensazionalista e fuorviante del Sun che “1 su 5 musulmani britannici” simpatizza con i jihadisti; il titolo del Daily Star che diceva che “La BBC mette i musulmani davanti a te”; e la colonna di Trevor Phillips che è stata citata nel rapporto dicendo che “i musulmani sono una nazione nella nazione “. Ci sono molti altri casi in cui i musulmani sono stati diffamati e presi di mira da titoli, articoli e trasmissioni fuorvianti.

LEGGI: ​​L’ Austria sta prendendo di mira musulmani innocenti per scopi nefasti

La cosa più deprimente per me, come giornalista, è che le parole “islamico” e “musulmano” siano state usate per descrivere gli autori di atti terroristici quando non seguono nemmeno i principi dell’Islam compiendo quei crimini. Non sentiamo mai nessun’altra religione essere usata in modo improprio per descrivere una persona che ha commesso un crimine, e giustamente. Perché lo stesso approccio non può essere concesso ai musulmani? Se le istituzioni dei media continuano ad associare l’Islam ei musulmani con una retorica negativa, non farà che aumentare ulteriormente il livello di odio e paura che già esiste nella nostra società.

I manifestanti tengono in mano un cartello con la scritta "L'islamofobia non è libertà" fuori dall'ambasciata francese a Londra il 25 agosto 2016 [JUSTIN TALLIS/AFP via Getty Images]

I manifestanti tengono in mano un cartello con la scritta “L’islamofobia non è libertà” fuori dall’ambasciata francese a Londra il 25 agosto 2016 [JUSTIN TALLIS/AFP via Getty Images]

Inevitabilmente, non tutte le istituzioni mediatiche britanniche hanno problemi con l’islamofobia nelle loro redazioni. Ho lavorato per molti media nei settori radiotelevisivo, cartaceo e online, e alcuni semplicemente respingono le affermazioni secondo cui il problema esiste quando vengono segnalati problemi di islamofobia.

La radice del problema risiede nel fatto che l’islamofobia è spesso alimentata da coloro che occupano posizioni di rilievo all’interno dei media; quelli che hanno l’ultima parola su ciò che fa notizia. Inoltre, i musulmani con cui ho parlato all’interno dei media mi dicono che i commenti islamofobici che hanno dovuto affrontare tendono a provenire da persone in posizioni di autorità. Questo è uno dei motivi per cui c’è bisogno di una migliore rappresentazione di persone di ogni ceto sociale, compresi i musulmani, le persone di colore e quelli provenienti da altri ambienti sottorappresentati, in posizioni di rilievo all’interno dei media. Ciò aiuterebbe la stampa britannica ad avere prospettive diverse da quelle con esperienze vissute che possono dare forma alle storie in modo equo e accurato.

LEGGI: ​​L’ islamofobia e le brutalità coloniali avveleneranno sempre i legami algerino-francesi

Le istituzioni dei media in Gran Bretagna devono assumersi un certo livello di responsabilità per ciò che pubblicano quando si tratta di incitamento all’odio contro i musulmani. I musulmani britannici sono quelli che devono sopportare il peso della stampa negativa in ogni aspetto della loro vita e all’interno della società in generale. L’islamofobia colpisce i musulmani che lavorano, per strada, al servizio della comunità e in termini di poter praticare la propria fede apertamente mentre si sentono al sicuro quando lo fanno. Ho parlato con donne musulmane che difficilmente escono di casa a causa di incidenti come vedersi togliere l’hijab o subire abusi verbali mentre sono fuori con le loro famiglie; questo è totalmente inaccettabile. La maggior parte delle persone che hanno subito abusi islamofobici, me compreso, credono che i media abbiano un ruolo da svolgere nel perpetuarli. Questo rapporto del Centro per il monitoraggio dei media supporta tale convinzione.

Si spera quindi che il rapporto che fa luce sulla portata dell’islamofobia all’interno dei media britannici possa essere utilizzato anche come invito all’azione affinché i media britannici prendano finalmente atto. Se non vengono apportate modifiche significative, l’islamofobia continuerà a peggiorare.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

FONTE: https://www.middleeastmonitor.com/20211202-islamophobia-is-often-fanned-by-the-mainstream-media-i-have-witnessed-it/

 

 

 

CULTURA

Così in alto come in basso

di Lorenzo Merlo – 19/12/2021

Così in alto come in basso

Fonte: Lorenzo Merlo

La cultura materialista ha soffocato le dimensioni umane considerate inutili alla conoscenza.

 

La tradizione ermetica, attraverso il suo brocardo così in alto come in basso, vuole esprimere che quanto accade nel mondo fisico è un riflesso di quello metafisico, sottile, esoterico.

Da entrambe le dimensioni possiamo osservare, riconoscere ed esperire gli elementi, le entità, le forze che compongono tanto la storia e le sue forme, quanto l’universale, l’eterno, l’assoluto.

È un discorso inaccessibile a chi risiede, per ideologia o per carenza di consapevolezza, nel piano razionalist-positivista e material-meccanicista. Un territorio che, come tutti gli altri, genera le sue verità. Tra queste, la negazione che altro ci sia oltre alla materia. La quale, a sua volta, è separabile e scomponibile fino alle più piccole parti. Fino a non riconoscere il significato per comprendere mali e speranze, caratteri e condizioni. Solo ciò che essa è in grado di riconoscere e misurare diviene vero, insieme di verità impilate in babeliche librerie, fitte di nomi e categorie. La persistenza di questo ordine delle cose ha pervaso la cultura e le menti, la creatività e il pensiero degli uomini che la condividono per inconsapevole adesione allo scientismo, nonché per maturato convincimento. Non a caso, la mitizzazione della tecnologia, quale reale progresso dell’uomo, ne sancisce la potenza, il significato, le politiche. E anche il soffocamento della vita profonda che anima i suoi serial, inarrendevoli killer. Basta chiedere loro cosa sia la coscienza per la scienza o da cosa dipenda il loro innamoramento per piantare il discorso su fondali inesplorati.

Il potere assoluto del razionalismo infarcisce mente e pensiero e intelligenza, impone una lettura inopportuna del linguaggio emozionale, comprime l’umano entro contenitori finiti, ontologicamente inadatti alla conoscenza. Esserne consapevoli torna utile all’ecologia individuale e sociale.

La presenza nelle nostre coscienze di quanto non è misurabile, dell’assoluto, dell’infinito, del mistero o di dio permette di dare verità al motto alchemico, nonché di riscontralo in tutto il fare degli uomini.

Uno dei fare riguarda il principio che nel nostro pensiero esiste il mondo o che il mondo esiste solo nel nostro pensiero. Non solo. Che la loro reciprocità ne è la prova più tangibile, sebbene il fornire prove non sia tra gli argomenti evolutivi dell’uomo. La visione persistente di se stessi, investiti di un certo ruolo, è una forza che tende effettivamente a realizzare quello scopo di sé sempre immaginato e ad alimentarlo una volta considerato raggiunto. Così, a qualunque campione umano con prestazioni sopra la media, si potrà trovare una continuità di allenamento di tutte gli elementi necessari allo scopo del primato.

Motivazione permettendo, l’allenamento mantiene e migliora lo standard del nostro fare. È una verità biologica, che possiamo riscontrare anche attraverso l’osservazione del comportamento del corpo di un essere vivente, in particolare dei mammiferi, con facilità nell’uomo. Purché non considerato alla stregua di una macchina.

Il contatto con un virus nocivo è per il corpo un’informazione, tanto sottile quanto materiale, che mette in essere una reazione delle sue strutture atte a renderlo innocuo. Sottile, in quanto il corpo viene informato dell’esistenza di un aspetto della vita. Materiale, perché la sua azione chiama in causa quegli elementi che, a mezzo della tecnologia, nominiamo, collochiamo e classifichiamo.

Il medesimo contatto indotto da un vaccino, medesimo non è.

Informare, insegnare, formare qualcuno in merito a proprie esperienze e convinzioni, non è come ricrearle. La differenza di stabilità delle due modalità si può esprimere in intellettuale per la prima e incarnato per la seconda. L’esperienza non è trasmissibile, indurla a suon di inoculazioni – di qualunque genere si voglia – fa il pari con l’esportazione della democrazia.

Nella nostra cultura, la modalità intellettuale è ordinaria, nella quale capire pare sia il massimo possibile. Scimmiottare ne costituisce il risultato pragmatico. È un procedere che pone al centro il concetto e lascia l’uomo ai margini, per poi riporlo al centro solo per giudicarlo in funzione della sua dimostrazione di replica del concetto stesso. Il suo valore è quindi relativo alla capacità di replicare senza variazione.

Il medesimo concetto, se ricreato, ovvero, se esperito come culmine di una certa prospettiva effettivamente percorsa, implica la disponibilità di poterlo impiegare in tutte le sue innumerevoli occasioni secondo la condizione creativa del momento.

Ne deriva che senza esperienza diretta non abbiamo la possibilità di aggiornare l’identità anche nella sua dimensione biologica del Dna e delle sue relative espressioni fisiche.

Dunque, il corpo fa conoscenza di un surrogato del virus, e ne risente la resistenza della vita stessa. A questo argomento i materialisti reagiscono celebrando il valore della vita individuale. Non hanno modo di cogliere come stanno indebolendo la specie a favore di un suo campione.

FONTE: https://www.ariannaeditrice.it/articoli/cosi-in-alto-come-in-basso

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

GILAD ATZMON: LE TEORIE DEL COMPLOTTO DAI SAVI DI SION ALLE BAMBINE DI EPSTEIN

LE TEORIE DEL COMPLOTTO DAI SAVI DI SION ALLE BAMBINE DI EPSTEIN[1]

Di Gilad Atzmon, 17 agosto 2019

Dopo il presunto suicidio di Jeffrey Epstein la settimana scorsa siamo stati sommersi da uno tsunami di narrazioni che non aderiscono ai mutevoli rapporti ufficiali sulla sua morte. Presumibilmente alcuni degli intimi segreti delle persone più potenti di questo pianeta verranno sepolti con Epstein. Mentre è logico credere che individui tanto potenti da impoverire continenti o da scatenare guerre mondiali che uccidono decine di milioni di persone possano facilmente organizzare la morte di un singolo accertato criminale sessuale in una cella di New York, chiunque abbia proposto un tale scenario, per quanto plausibile, è stato immediatamente bollato come un “teorico del complotto”.

VIDEO QUI: https://youtu.be/eQmfd-KSJSQ

“Teoria del complotto” è come i media mainstream caratterizzano qualunque narrazione differisca dal loro resoconto della linea ufficiale. Cos’è una teoria del complotto? Può essere definita in termini categoriali? Può una teoria del complotto essere convalidata scientificamente o confutata con mezzi analoghi? Quali criteri possono essere usati per distinguere tra una teoria del complotto e delle riflessioni teoriche?

La bollatura di una teoria come “complottistica” è un tentativo di screditare il suo autore – o i suoi autori – e di negare la sua validità. Una teoria del complotto di solito prevede una tesi esplicativa che indica un complotto malefico che prevede spesso un gruppo interessato segreto. Il termine “teoria del complotto” ha una connotazione peggiorativa: il suo impiego suggerisce che la teoria si appella al pregiudizio e/o richiede una narrazione inverosimile e indimostrata costruita su prove insufficienti.

Quelli che si oppongono alle teorie del complotto sostengono che tali teorie resistono alla falsificabilità e sono rafforzate dal ragionamento circolare, e che tali teorie sono basate principalmente su credenze, contrarie al ragionamento accademico o scientifico.

Ma anche questa critica non è esattamente basata su validi principi argomentativi. Il filosofo Karl Popper, che definì il principio della falsificabilità, sosteneva in modo categorico che la psicanalisi freudiana e il marxismo falliscono per le stesse ragioni. Il complesso di Edipo, ad esempio, non è mai stato provato scientificamente e non può essere falsificato o convalidato scientificamente. Anche il marxismo resiste alla falsificabilità. Nonostante le predizioni “scientifiche” di Marx, la rivoluzione del proletariato non è mai avvenuta. Non mi sono personalmente mai imbattuto in qualcuno che si riferisce a Marx o a Freud come “teorici del complotto”. “Resistere alla falsificabilità” e “rafforzato dal ragionamento circolare” sono caratteristiche delle teorie non scientifiche e non si applicano solo alle “teorie del complotto”.

L’Oxford English Dictionary definisce la teoria de complotto come “la teoria che un evento o un fenomeno accadono come conseguenza di un complotto tra gruppi interessati; specialmente la convinzione che un’agenzia segreta ma influente (tipicamente politica nella motivazione e oppressiva nell’intento) sia responsabile di un evento inspiegato”.

L’Oxford Dictionary non espone i criteri che definiscono una teoria del complotto in termini categoriali. La storia del genere umano è stracolma di riferimenti a complotti segreti guidati da gruppi influenti.

Il problema di confutare le teorie del complotto è che esse spesso sono più eleganti ed esplicative delle concorrenziali narrazioni ufficiali. Tali teorie hanno la tendenza di attribuire la colpa alle potenze egemoniche. Nel passato, le teorie del complotto erano popolari soprattutto presso cerchie marginali: ora stanno diventando comuni sui mass media. Le narrazioni alternative sono largamente diffuse sui social media. In alcuni casi, sono state diffuse da organi ufficiali e persino dall’attuale presidente americano. È possibile che la rapida ascesa nella popolarità delle teorie alternative sia indice di una crescente sfiducia nei confronti dell’attuale classe dirigente, dei suoi ideali, dei suoi interessi e della sua demografia.

La riposta alla storia del suicidio di Jeffrey Epstein è emblematica. La narrazione ufficiale ha provocato una reazione che è stata una miscela di incredulità che si è espressa nella satira e che ha ispirato una pletora di teorie che hanno cercato di spiegare la saga che si è rivelata il più grande scandalo sessuale nella storia dell’America e oltre.

La domanda ovvia è: cosa ha condotto alla crescita di popolarità delle cosiddette “teorie del complotto”? Io passerei oltre e chiederei: perché una società che afferma di essere “libera” è minacciata dall’ascesa delle narrazioni alternative?

In verità, la domanda in sé stessa è fuorviante. Nessuno è realmente spaventato dalle “teorie de complotto” per sé stesse. Voi non sarete arrestati o perderete il vostro lavoro per essere un “negazionista del cambiamento climatico”. Potete congetturare sull’allunaggio e persino negarlo a volontà. Siete liberi di congetturare sull’assassinio di Kennedy fintanto che non menzionate il Mossad. Potete persino sopravvivere come complottista dell’11 settembre ed esporre tutte le narrazioni alternative che volete ma il suggerimento che Israele ha fatto l’11 settembre vi metterà in guai seri. Esaminare “I Protocolli dei Savi di Sion” come un esempio di letteratura immaginaria, per quanto profetica, può portare in alcuni paesi all’imprigionamento. Scavare nella vera origine del bolscevismo e nelle statistiche demografiche della rivoluzione sovietica è praticamente un atto suicida. Dire la verità sull’accordo di Hitler con l’agenzia sionista provocherà definitivamente la vostra espulsione dal partito laburista inglese e sarete accusati di essere come minimo dei teorici del complotto.

Sospetto che venga permesso di deviare dalla narrazione ufficiale e di congetturare su complotti segreti su ogni argomento dato tranne probabilmente quelli relativi agli ebrei.

Qui le cose si complicano perché non vi sono complotti ebraici: tutto viene fatto apertamente. Israele, il sionismo, le istituzioni ebraiche e i singoli ebrei operano sotto i riflettori e non nascondono le loro azioni. L’AIPAC non cerca di nascondere la propria agenda né i politici eletti in America fanno lo sforzo di nascondere la loro vergognosa capitolazione nei convegni dell’AIPAC. Che i Labour Friends of Israel agiscano contro il partito laburista ed il suo leader democraticamente eletto è una notizia del mainstream. I jet israeliani che attaccarono la USS Liberty l’8 giugno 1967 erano decorati con simboli ebraici. Jeffrey Epstein non camuffò la sua “Isola dei Pedofili”. Egli operava apertamente. Temo che non vi siano molte prove di complotti ebraici. Ma vi è un’abbondanza di prove della soppressione istituzionale di ogni tentativo di discutere su tutto ciò. L’agenda dell’AIPAC viene propugnata apertamente; criticare la sua agenda è rigorosamente proibito. Lo stesso si applica alle altre attività della Israel Lobby, ai crimini di guerra israeliani, e persino ai crimini commessi da singoli ebrei. Il potere ebraico, per come lo definisco, è il potere di sopprimere la discussione sul potere ebraico.

Per ovvie ragioni gli ebrei sono allarmati da teorie che si concentrano sulla loro politica, cultura, religione, folklore ecc. Sembra che le istituzioni ebraiche siano state sufficientemente energiche per zittire la maggior parte dei tentativi di criticare le politiche ebraiche e israeliane. Questo ci porta alla domanda del perché gli ebrei, il sionismo, il giudaismo e l’ebraicità siano così spesso oggetto di teorie del complotto. Si tratta di nuovo di pregiudizio antisemita oppure c’è forse qualcosa nell’ideologia, nella cultura e nella politica ebraica che suscita tali teorie? Vale la pena di consultare il libro di Jesse Walker The United States of Paranoia: A Conspirancy Theory. Secondo Walker vi sono cinque tipi di teorie del complotto:

  • Il “Nemico Esterno” si riferisce a teorie basate su personaggi che si ritiene complottino contro una comunità dall’esterno.
  • Il “Nemico Interno” individua cospiratori che stanno in agguato all’interno della nazione, indistinguibili dai cittadini comuni.
  • Il “Nemico dall’Alto” riguarda persone potenti che manipolano gli eventi per il loro interesse.
  • Il “Nemico dal Basso” riguarda le classi inferiori che lavorano per rovesciare l’ordine sociale.
  • I “Complotti Benefici” sono forze angeliche che operano dietro le quinte per migliorare il mondo e aiutare le persone.

È abbastanza facile capire che ognuno dei tipi cospirativi di Walker descrive un aspetto apertamente manifestato della politica, della cultura o della religione ebraica.

Il “Nemico Esterno” potrebbe essere una legittima reazione patriottico-nazionalistica americana alla dominazione straniera imposta alla politica estera americana. Questo genere di argomento è supportato da approfonditi studi accademici come quello di Mearsheimer e Walt o quello di James Petras che hanno studiato la Israel Lobby ed il suo impatto. Questa ostile dominazione straniera è stata esplorata da vari media inclusa la denuncia da parte di Al Jazeera della Israel Lobby sia in Inghilterra che negli Stati Uniti. L’attuale amministrazione americana e la sua politica faziosa a favore delle posizioni israeliane dà credito a quelli che vedono Israele come il “nemico esterno”. Tuttavia, nessuno dei predetti ha complottato dietro le quinte. Tutto viene fatto apertamente. Solo non potete contestarlo apertamente.

Il “Nemico Interno” potrebbe facilmente indicare l’intenso lavoro dei sostenitori di Israele, delle lobby ebraiche (AIPAC, J Street, ecc.) e dei tirapiedi israeliani all’interno della politica americana e di altri paesi occidentali (Inghilterra, Francia, ecc.). Similmente, quelli che difendono profondi valori cristiani possono identificare gli elementi progressisti ebraici come il nemico del loro stile di vita conservatore. Lo stesso si applica ai sostenitori delle politiche anti-immigratorie che vedono i supporter ebrei dell’immigrazione come il loro nemico interno. Il ruolo preminente di Kushner e la sua vicinanza al presidente non aiuta a dissipare i dubbi sul cosiddetto “nemico interno”. Ma la lobby ebraica in America è rumorosa e provocatoria e i supporter ebrei progressisti e pro-immigrazione sono almeno altrettanto rumorosi. Kushner non nasconde la sua affiliazione con Chabbad o le sue simpatie sioniste. Non c’è un complotto segreto, però non potete discuterne apertamente.

Il “Nemico dall’Alto” è un’appropriata descrizione dell’orbita ravvicinata di Epstein e dei suoi rapporti privilegiati con le classi dirigenti internazionali. E, come sappiamo, Epstein non si prendeva il disturbo di nascondere le sue operazioni. Chiamare il suo Boeing 727 il Lolita Express era poco meno che intitolare i suoi voli privati “Pedo Air” o “United PedoLines”. Bernie Madoff ricade nella stessa tipologia. L’uomo che fu ad un certo punto presidente di NASDAQ, non si prese il disturbo di camuffare il suo schema Ponzi: in realtà Madoff ammise di essere rimasto sorpreso dall’incapacità delle forze dell’ordine di scoprire i suoi crimini. Qualcuno potrebbe considerare George Soros come il prototipo del “nemico dall’alto”. Soros è un miliardario ebreo che usa la sua ricchezza per finanziare cause identitarie e cambiamenti sociali che non sono precisamente apprezzati dalla massa conservatrice/nazionalista. Di nuovo, Soros non nasconde nulla. Egli elargisce i suoi finanziamenti attraverso il suo Open Society Institute. Tuttavia, per qualche ragione, le critiche all’agenda di Soros vengono frequentemente denunciate come una perpetuazione delle “teorie del complotto”.

Il “Nemico dal Basso” può essere illustrato dal coinvolgimento ebraico nei movimenti rivoluzionari, nelle campagne per i diritti umani, nella rivoluzione gender, nel movimento femminista, nel sostegno alla causa LGBTQA e così via. Di nuovo niente di tutto ciò avviene dietro una cortina. Gli ebrei spesso si vantano del loro ruolo preminente in queste cause umanitarie e liberali. Ma criticare questi movimenti, e specialmente i loro sostenitori, è assolutamente proibito.

I “Complotti Benefici” sono dimostrati dalla filosofia di Tikun Olam: l’idea che spetta agli ebrei “fermare il mondo e reintegrare la sua etica”. Quelli che si rifiutano di “essere fermati” potrebbero ben vedere elementi ebrei nel cuore di una causa progressista e potrebbero vedere in tale altruismo una forza oscura malefica.

La maggior parte dei gruppi etnici e delle lobby rientrano solo in uno o due dei tipi descritti dal Modello di Teoria del Complotto di Walker; la politica ebraica rientra in tutti. Agli occhi dei nazionalisti europei ardenti e bigotti come Tommy Robinson, gli immigrati musulmani rappresentano un “Nemico Esterno”. I razzisti che odiano le persone di colore potrebbero considerare quelli con la pelle scura come il “Nemico Interno”. Quelli che disapprovano i gay e la loro cultura potrebbero considerarli come il “Nemico dal Basso”. Ma è curioso quanto facilmente tutti e cinque i tipi delle teorie del complotto di Walker si possono ritrovare nella politica, negli individui, nelle istituzioni, nelle reti e nelle campagne d’opinione ebraiche.

Come è possibile che un gruppo etnico relativamente piccolo riesca a incarnare tutti i tipi delle “teorie del complotto”? Nel mio recente libro Being in Time, ho sostenuto che gli ebrei tendono a dominare i discorsi che sono rilevanti per la loro esistenza e per i loro interessi. Lo definisco l’istinto ebraico di sopravvivenza. Gli attivisti e gli intellettuali ebrei tendono parimenti a dominare il dissenso verso i sintomi problematici associati con la loro identità di gruppo: gli ebrei spesso sono, per esempio, associati con il capitalismo, le banche e la ricchezza in generale, e sono parimenti identificati con il marxismo e l’opposizione socialista al capitalismo, alle banche e alla ricchezza. Ovviamente, molti ebrei sono associati con lo Stato ebraico e con il progetto sionista ma non c’è nulla di segreto nel fatto che gli ebrei di sinistra dominano parimenti il discorso e la politica anti-sionisti. Gli ebrei, almeno agli occhi di qualcuno, sono alla guida dei sostenitori dell’immigrazione. Ma alcuni dei più rumorosi attivisti anti-immigrazione e anti-musulmani sono parimenti ebrei. In Being in Time sostengo che il fatto che gli ebrei dominano entrambi i versanti di ogni argomento rilevante per la loro esistenza non è necessariamente “cospirativo”. È solo un fatto naturale per gli ebrei etici e umanisti opporsi al sionismo, o a Wall Street. È parimenti naturale, in base alla loro storia, per gli ebrei come gruppo opporsi all’immigrazione e simultaneamente sostenerla. Per quanto possa essere naturale, la presenza degli ebrei nelle posizioni chiave ideologiche, politiche, culturali e finanziarie è innegabile. È più che probabile che il loro dominio di entrambi i versanti di così tanti dibattiti politici cruciali induca a pensieri complottisti.

L’economista ebreo Murray Rothbard mette a confronto le teorie del complotto “profonde” con quelle “superficiali”. Secondo Rothbard, un teorico “superficiale” osserva un evento e si chiede: a chi giova? Egli o ella giunge quindi alla conclusione che l’ipotizzato beneficiario è il responsabile degli eventi segretamente influenzati. In base a questa teoria, Israele che beneficia degli eventi dell’11 settembre lo ha reso il primo sospettato. Questa è spesso una strategia assolutamente legittima ed è esattamente così che gli investigatori e gli inquirenti operano. Per identificare il colpevole, essi si possono ben chiedersi chi beneficia del crimine. Naturalmente questo è solo un primo passo verso l’accertamento.

Secondo Rothbard il teorico del complotto “profondo” inizia con un’intuizione e poi cerca le prove. Rothbard descrive la teoria del complotto profonda come il risultato di confermare se certi fatti veri quadrino con la “paranoia” iniziale. Questa spiegazione descrive molto bene come lavora la scienza. Ogni data teoria scientifica definisce il regno dei fatti che possono sostenere o confutare la sua validità. La scienza è un processo di ragionamento deduttivo, così che nella scienza, è la teoria che definisce la rilevanza delle prove. Descriverebbe Rothbard la fisica newtoniana come “profondamente complottista”? ne dubito. La mia supposizione è che, tenendo presente Rothbard, attribuire una “natura complottistica” ad una teoria è un tentativo di negare la rilevanza delle prove che essa porta alla luce. Se per esempio, la teoria che Epstein era un agente del Mossad è “complottistica”, allora i fatti che egli era un socio d’affari di Ehud Barak ed era associato ad una compagnia che utilizza le tattiche dell’intelligence militare israeliana diventano irrilevanti. Lo stesso si applica all’ammissione dell’ex procuratore federale Alex Acosta che Epstein apparteneva all’intelligence e questa era la ragione per cui egli fu il beneficiario di un patteggiamento irrisorio. Se, per esempio, la teoria che furono gli ebrei a guidare la rivoluzione bolscevica del 1917 è “complottistica”, allora i fatti riguardanti la demografia che condusse alla rivoluzione e la sua natura criminale sono senza conseguenze. La bollatura di una teoria come complottistica è un tentativo di cancellare prove sgradite ristabilendo la priorità di certi fatti.

Sembra che Rothbard e altri non siano riusciti a produrre criteri categoriali per identificare o definire le Teorie de Complotto. Potremmo dover accettare che per ora non vi è nessuno standard categoriale per definire una teoria del complotto. Potremmo dover imparare a convivere con il fatto che alcune teorie sono superiori; più semplici e più eleganti di altre. Dovremo accettare che alcune di queste teorie mettono assai a disagio poche persone e che costoro esploreranno ogni possibilità per screditare tali teorie e i loro autori. Attribuire una natura complottistica ad una teoria esplicativa è solo uno di questi metodi.

NOTE

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://gilad.online/writings/2019/8/17/conspiracy-theories-from-the-elders-of-zion-tonbspepsteins-youngsters?fbclid=IwAR3J6pKu5gcfRyM-FatB1VN4inDqp9W9Vq9IkFokDVROY5MDbhu_5G-zfdA7

FONTE: https://www.andreacarancini.it/2019/09/gilad-atzmon-le-teorie-del-complotto-dai-savi-di-sion-alle-bambine-di-epstein/

 

 

 

DIRITTI UMANI

L’asse neoliberista/neocons vuole la vita di Assange

La sentenza (10/12/2021) che consente agli Stati Uniti d’America di continuare a lavorare per l’estradizione di Julian Assange, giornalista eroico reo d’aver denunciato i crimini di guerra USA, arriva nell’ultimo giorno del cosiddetto ‘’Summit per la democrazia’’ dove il Segretario di Stato statunitense ha lanciato un bellicoso proclama in difesa della libertà di stampa. Il fascismo dei neoconservatori ha gettato la maschera ‘’progressista’’: l’asse neo-conservatori/neo-liberali ha compattato l’alleanza strategica USA/Gran Bretagna proiettando la dottrina della ‘’guerra eterna’’ contro la Federazione Russa.

E’ una notizia drammatica che arriva mentre il governo nord-americano promette milioni di dollari in sostegno dei ‘’media indipendenti’’ e dopo che è stato rivelato come la Fondazione Gates abbia generosamente finanziato, ben 319 milioni di dollari, il giornalismo eurocentrico per indirizzare l’opinione pubblica dinanzi la gestione militarizzata della pandemia. Lenin era solito ripetere ‘’i fatti hanno la testa dura’’: anche se oscurato, incarcerato e ridotto in fin di vita, Julian Assange continua a far luce sui meccanismi abusivi dell’establishment e sulla costruzione d’una nuova Architettura di potere. Oggi più che mai.

La cospirazione internazionale contro Wikileaks, nei giorni scorsi, ha rimesso in campo le pedine della NATOstan, da Londra a Camberra il peggio del Deep State globalizzato: (a) lo Stato profondo dei ‘’progressisti’’-neocons, a ridosso della sentenza, ha bloccato l’inchiesta della magistratura spagnola riguardante l’operazione di spionaggio coordinata dalla CIA attraverso l’agenzia d’intelligence di David Morales, ai danni del fondatore di Wikileaks(b) la testata WSWS ha rivelato, attraverso una serie di documenti ufficiali declassificati, che l’asse neo-conservatori/neo-liberisti manipolò il governo australiano trasformando Canberra in una appendice neocoloniale dei Cinque (ormai Nove) Occhi teleguidati da Washington. Per il WSWS ‘’soltanto un movimento dal basso’’ 1 costringerà le organizzazioni internazionali (es. ONU) ad intervenire in difesa del giornalismo non allineato, obbligando l’amministrazione Biden a dismettere il proprio intento omicida.

 

La ragioni geopolitiche del massacro di Assange

Il 5 gennaio 2021 con l’articolo “Assange, la ridistribuzione geopolitica della BREXIT e la ‘’sinistra’’ che non capisce, prendevo in esame la natura di classe/geopolitica della persecuzione del giornalista australiano, utilizzando una formula della tradizione marxista ‘’grande non mangia grande’’:

‘’Il marxista italiano Amadeo Bordiga una volta scrisse ‘’Big non mangia Big’’, quindi Biden e Boris Johnson troveranno diversi compromessi calpestando ‘’patriottismo’’, ‘’tradizioni’’ ed istanze sociali: non c’è molto di cui gioire, l’unica cosa che un movimento realmente antimperialista dovrebbe fare è sfruttare intelligentemente le contraddizioni inter-oligarchiche. La difesa del fondatore di Wikileaks è, non solo la punta di lancia della lotta antimperialista, ma una difesa dei valori europei (sicuramente più profondi di quelli anglosassoni) derivanti dagli interrogativi posti dalle due rivoluzioni, russa e francese. La sinistra, anche in questa circostanza, non ha colto la dimensione geopolitica degli eventi: de-globalizzazione (di cui Assange è uno degli attori più importante) o costruzione d’una nuova Architettura di Potere. Il rapporto con la BREXIT, inizialmente conflittuale, verrà regolamentato nei primi mesi dell’amministrazione Biden: una lotta interna al Deep State sulla pelle di Julian.’’ 2

Come avevo previsto, il rilancio della dottrina della ‘’guerra infinita ’’ ha determinato il rientro britannico nella sfera d’influenza statunitense; Londra, utilizzando la celebre espressione del generale Charles De Gaulle, è la ‘’lunga mano’’ dell’imperialismo statunitense.

Il ‘’Summit per la democrazia’’, convocato da Washington contro Russia e Cina, rappresenta l’ennesima prova di forza/strozzinaggio del Potere bianco anglo-statunitense, la cloaca dello Stato profondo che, con cinismo e nella totale indifferenza, sta trascinando l’Europa all’interno d’una nuova Architettura di potere: la ‘’società della sorveglianza’’. Assange potrebbe morire ‘’suicida’’, mentre Washington prepara una aggressione neocoloniale alla Federazione Russa, leggiamo il giornalista d’inchiesta Pepe Escobar:

‘’Quindi cosa vogliono queste persone? Vogliono provocare Mosca con tutti i mezzi disponibili per scatenare “l’aggressione russa”, con il risultato di una guerra lampo che sarà un’autostrada per l’inferno per l’Ucraina, ma con zero vittime per la NATO e il Pentagono. Poi l’Impero del Caos incolperà la Russia, scatenerà uno tsunami di nuove sanzioni, soprattutto finanziarie, e cercherà di chiudere tutti i collegamenti economici tra la Russia e la NATOstan.’’ 3

Una provocazione demenziale che Mosca, forte d’un complesso militar-industriale tradizionale (il miglior esercito del mondo per quanto riguarda la guerra di terza generazione), vanificherà con l’arte della persuasione tipicamente asiatica. Washington è lo strozzino del mondo; Mosca rilancia l’etica dei grandi maestri della persuasione, ciononostante non dismette il rafforzamento del ‘’capitalismo nazionale’’. Il NATOstan (come lo chiama Pepe Escobar), nella scacchiera della geopolitica globale, è come un culturista castrato.

Per i giornalisti John Pilger e Caitlin Johnstone, oggi, ‘’il fascismo s’è spogliato dei suoi travestimenti’’ 4. Joe Biden e Boris Johnson hanno raccolto l’eredità dei fascismi: Europa simulacro di una dittatura.

https://www.wsws.org/es/articles/2021/12/01/assa-d01.html

http://www.linterferenza.info/esteri/assange-la-ridistribuzione-geopolitica-della-brexit-la-sinistra-non-capisce/

https://caitlinjohnstone.substack.com/p/as-fascism-casts-off-its-disguises?fbclid=IwAR0ro2TokBfZVAhiNyuAaBDSHgg9PPEkckU6BKTEMBGG-DANwsH7JO0AHi0

https://comedonchisciotte.org/il-natostan-clown-show/

FONTE: http://www.linterferenza.info/esteri/lasse-neoliberistaneocons-vuole-la-vita-assange/

Contro il Green Pass. La posta in gioco: disciplina e sorveglianza

Giovanna Cracco – 26 10 2021

Gli ultimi studi su vaccini, contagiosità e immunità naturale, la blockchain europea del Green Pass con le ‘condizionalità’ che implementa e l’identità digitale, i corpi docili e la disciplina come pratica di potere

“Il corpo è anche direttamente immerso in un campo politico: i rapporti di potere operano su di lui una presa immediata, l’investono e lo marchiano, lo addestrano, lo suppliziano, lo costringono a certi lavori, l’obbligano a delle cerimonie, esigono da lui dei segni. Questo investimento politico del corpo è legato, secondo relazioni complesse e reciproche, alla sua utilizzazione economica. È in gran parte come forza di produzione che il corpo viene investito da rapporti di potere e di dominio, ma, in cambio, il suo costituirsi come forza di lavoro è possibile solo se esso viene preso in un sistema di assoggettamento: il corpo diviene forza utile solo quando è contemporaneamente corpo produttivo e corpo assoggettato.”
Michel Foucault, Sorvegliare e punire
“Chi non astrae da ciò che è dato, chi non collega i fatti ai fattori che li hanno prodotti, chi non disfà i fatti nella sua mente, in realtà non pensa.”
Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione

Ciò che ruota attorno a Covid-19, vaccini e Green Pass andando a investire le sfere politiche, economiche e sociali, è molto ampio. Circoscrivere un’analisi a un focus è inevitabile. Su ciò che è stata la gestione politica della pandemia abbiamo già scritto ad aprile 2020 (1), e con il passare del tempo la situazione non è affatto cambiata. La novità degli ultimi mesi sono i vaccini. Non si intende qui approfondire l’intricata questione – sperimentazione, produzione, brevetti, effetti collaterali, sviluppo alternativo del protocollo per le terapie di cura ecc. – ma la campagna vaccinale italiana e l’introduzione del Green Pass, con la tecnologia blockchain e la rete europea Gateway che lo caratterizzano.

Partiamo dai punti fermi.

1. Vaccinazione e Green Pass sono due atti differenti. La scelta di vaccinarsi contro il virus Sars-Cov-2 tocca aspetti intimi e personali quali le ataviche paure della malattia e della morte, a cui ciascuno risponde con le proprie, insindacabili, scelte. Quanto la martellante propaganda politica e mediatica abbia alimentato ad arte tutte le possibili paure umane in questi quasi due anni, è un discorso che esula dalla riflessione che si vuole qui affrontare: resta l’esistenza del sentimento con cui ognuno deve scendere a patti, e la vaccinazione è uno dei patti possibili. Il Green Pass è un’altra cosa: pur vaccinandosi, si può decidere di non scaricarlo e di non utilizzarlo. Sulla sua divenuta obbligatorietà di fatto, legata all’università e al lavoro, torneremo più avanti, ma la questione focale è che vaccinazione e Green Pass sono due azioni separate, due decisioni diverse in capo a ogni persona, e la prima non implica per forza la seconda.

2. La libertà individuale non è assoluta: all’interno di una comunità deve fare i conti con la dimensione collettiva, ossia deve limitarsi.

Stabilito questo, si tratta di ragionare.

Il sonno della logica

Due sono gli aspetti che investono la vaccinazione: protezione personale e circolazione del virus (ossia protezione degli altri). Su questi temi, aggiungiamo altri punti fermi.

3. Il vaccino tutela il vaccinato dal contrarre la malattia in forma grave e quindi, in teoria, dal ricovero ospedaliero e, si spera, dalla morte. L’ultimo studio al momento disponibile (21 luglio 2021) dell’Istituto Superiore di Sanità (2) analizza le caratteristiche dei 127.044 pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 (sono lo 0,21% della popolazione italiana, secondo i dati Istat): l’età media è 80 anni e, su un campione rappresentativo di ogni fascia di età, il numero medio di patologie presenti è 3,7. Sono numeri che, a distanza di 16 mesi dall’inizio dell’epidemia, confermano il dato che i decessi colpiscono gli anziani, prevalentemente con patologie, e le persone non anziane già compromesse da patologie.

4. Si moltiplicano studi e dichiarazioni che fissano a sei mesi la protezione degli attuali vaccini, periodo dopo il quale l’efficacia progressivamente diminuisce in modo importante. Una ricerca pubblicata su Lancet e confermata da Luis Jodar, vicepresidente senior e direttore medico di Pfizer Vaccines, afferma che dopo sei mesi l’efficacia di due dosi Pfizer decade dall’88% al 47% e che “le infezioni da Covid-19 nelle persone che hanno ricevuto due dosi di vaccino sono pertanto molto probabilmente dovute alla diminuzione di efficacia e non causate dalla Delta o altre varianti che sfuggono alla protezione del vaccino” (3): da qui l’avvio della campagna per la terza dose.

5. Anche le persone vaccinate possono trasmettere il virus. Al momento non si hanno ancora studi con numeri definitivi, ma la contagiosità sembra essere inferiore rispetto ai non vaccinati. Quello della Oxford University del 29 settembre, pubblicato in preprint su MedrXiv (4) – quindi ancora privo della peer-reviewed – sembra essere l’ultimo e più completo studio sul tema: basato sul tracciamento di un campione di 95.716 casi indice, ha rilevato una minore contagiosità rispetto alla variante Delta del 65% per Pfizer e del 36% per AstraZeneca. Da una parte quindi si conferma che i due principali vaccini non bloccano la trasmissione, dall’altra è comunque positivo, soprattutto per il dato di Pfizer – molto meno per quello di AstraZeneca – poter ridurre la circolazione del virus. Tuttavia il tracciamento operato ha evidenziato anche che dopo appena 12 settimane (meno di tre mesi) non si misura più alcuna differenza tra vaccinati e non vaccinati nella trasmissione della variante Delta. In altre parole, i due vaccini presi in esame proteggono dal contagio per appena tre mesi.

Lo studio rileva inoltre che gli eventi di contatto si sono verificati “prevalentemente all’interno delle famiglie (70%), nei visitatori delle famiglie (10%), in eventi e attività (10%) e al lavoro/scuola (10%)”: ci si contagia dunque all’80% nell’ambiente domestico e solo per il 20% nei luoghi pubblici (dove ora è necessario il Green Pass).

Infine un dato estremamente significativo: la contagiosità degli asintomatici. Il tracciamento ha mostrato che, nel caso dei vaccinati, la trasmissibilità del virus (variante Delta) da parte degli asintomatici era ridotta del 39%; contemporaneamente però si è rilevato che “le cariche virali nelle infezioni della variante Delta che si verificano dopo la vaccinazione sono simili negli individui vaccinati e non vaccinati, anche se la durata dello spargimento virale può essere ridotta. Ciò mette in dubbio che la vaccinazione possa controllare la diffusione della Delta con la stessa efficacia di Alpha (la precedente variante, n.d.a.) e se, con una maggiore trasmissibilità, ciò spieghi la rapida diffusione globale della Delta nonostante la crescente copertura vaccinale”. Ripetiamo che è uno studio recente che attende la peer-reviewed, e quindi dati definitivi sulla questione ancora non esistono, ma indubbiamente i ricercatori sono autorevoli e il campione preso in esame è ampio.

6. L’immunità naturale offre una protezione più duratura rispetto ai vaccini, e la acquisiscono anche gli asintomatici e i paucisintomatici. Il 7 luglio 2021 l’Istituto Mario Negri affronta il tema (5) mettendo a confronto diversi studi internazionali, e aggiunge: “I dati ufficiali riportano che circa il 10% della popolazione italiana ha avuto una diagnosi di laboratorio di positività al SARS-CoV-2. Questa percentuale, in realtà, potrebbe essere molto più alta dato che la maggior parte delle infezioni (si stima tra l’80 e il 90%) rimane asintomatica e non viene quindi diagnosticata”. Per quanto sia una stima, è un numero impressionante; anche fosse solo il 40-50%. Perché significa, dopo 19 mesi di pandemia e tre ondate, che oggi una parte niente affatto irrilevante della popolazione – milioni di persone – è già protetta dall’immunità naturale senza saperlo, e altri milioni di cittadini potrebbero acquisirla entrando in contatto con il virus evitando di ammalarsi. Una immunità a lungo termine, che potrebbe durare addirittura anni grazie alle “cellule della memoria” che si rifugiano nel midollo osseo, e proteggere anche dalle varianti (quelle finora conosciute, ovviamente: non si può studiare ciò che ancora non esiste): si rimanda direttamente al link in nota per i dettagli scientifici. L’Istituto Negri evidenza inoltre che nelle persone già in possesso dell’immunità naturale la vaccinazione aumenta la protezione dal virus, ed è ovvio: produce gli anticorpi a breve – quelli che decadono dopo sei mesi circa – sommandoli alla protezione delle cellule della memoria. Ma il punto è che gli studi effettuati finora mostrano che l’immunità naturale di durata già offre, di per sé, la protezione.

7. Quando ragioniamo in termini di trasmissibilità/circolazione del virus, quindi, la semplice equazione “non-vaccinato = maggiore contagiosità rispetto al vaccinato” è errata: sia perché non tiene conto dell’immunità naturale già acquisita inconsapevolmente da milioni di persone rimaste asintomatiche nelle precedenti ondate, sia perché la minore contagiosità dei vaccinati potrebbe durare appena tre mesi (a fronte di un Green Pass che ne dura dodici). Certo il Pass viene rilasciato anche a chi ha una diagnosi di guarigione dal Covid, dunque a chi ha l’immunità naturale, ma è evidente che un asintomatico non può avere una diagnosi di guarigione da una malattia di cui non ha manifestato sintomi.

Tirando le somme, il vaccino protegge se stessi dalla malattia grave ma non protegge in egual misura gli altri; pur diminuendo la diffusione del virus (forse per appena tre mesi), non ne blocca la circolazione – né l’eventuale creazione di varianti –; milioni di persone hanno inconsapevolmente già acquisito una immunità naturale che li pone sullo stesso piano dei vaccinati ed è durevole (a differenza di quella data dai vaccini, a quanto pare); gli asintomatici vaccinati hanno cariche virali simili a quelle dei non vaccinati, e questo incide nella trasmissibilità del virus; la mortalità per Covid-19 colpisce i ‘fragili’, ossia anziani (prevalentemente con patologie) e non anziani già compromessi da patologie.

La prima considerazione è ovvia: le categorie ‘fragili’ possono proteggersi. Questo è il dato principale e positivo della vaccinazione. E significa anche, parallelamente, che non si pone alcun dilemma etico tra libertà individuale e collettività, perché le conseguenze della scelta di non immunizzarsi con il siero ricadono unicamente sulla persona che opera tale scelta: l’altro, che ha optato per la vaccinazione, è protetto. Dunque, come è insindacabile la decisione personale di vaccinarsi, lo è quella contraria.

È privo di fondamento ribattere che la mancata inoculazione è comunque un atto egoista e irresponsabile in quanto, se si contrae la malattia, si contribuisce a intasare gli ospedali, pesando quindi economicamente sul sistema sanitario e togliendo posti letto ad altre patologie: al di là del fatto che il ragionamento apre a una pericolosa deriva da Stato etico, che impone una condotta sanitaria ai cittadini in nome dell’utilitarismo (non fumare perché il tuo eventuale tumore ai polmoni inciderà sul sistema sanitario, non ingrassare, non bere ecc.), quanti 12enni, 20enni, 30enni, 40enni, 50enni hanno intasato gli ospedali nelle precedenti ondate, occupando posti letto? I dati dell’ISS (6) danno la risposta. Dal 23 febbraio 2020 al 4 ottobre 2021 (19 mesi) i ricoveri totali sono stati 433.835: appena il 17,16% hanno riguardato la fascia di età 12-50 anni (0,91% per 12-20 anni; 2,79% per 21-30 anni; 4,74% per 31-40 anni; 8,71% per 41-50 anni). Se guardiamo alle terapie intensive, negli stessi 19 mesi il totale degli ingressi è stato di 58.950: solo il 10,16% relativo a persone tra 12 e 50 anni (0,25% nella fascia di età 12-20; 0,82% per 21-30 anni; 2,41% per 31-40 anni; 6,68% per 41-50 anni). Numeri che nulla hanno intasato.

La seconda considerazione investe la scelta politica di mettere in atto una campagna vaccinale sull’intera popolazione sopra i 12 anni – mentre si sta studiando anche il siero per i bambini –: sulla base dei dati e dei fattori sopra analizzati, è una decisione che non ha alcun fondamento logico. Una cosa è rendere disponibile il vaccino a tutti i cittadini, dando la priorità alle categorie ‘fragili’: questo approccio consente a ognuno di fare insindacabilmente la propria libera scelta (libera significherebbe informata, l’esatto contrario della propaganda da cui siamo stati martellati, ma è un diverso discorso che qui non affrontiamo); un altro è obbligare di fatto tutta la popolazione a vaccinarsi, con l’introduzione del Green Pass – che vedremo.

A sostegno della inoculazione di massa si continua a portare il rapporto rischi/benefici, ma è una narrazione falsata in partenza perché mistifica i fattori di realtà fino a oggi conosciuti: anche escludendo i recenti dati acquisiti nello studio della Oxford University sopra riportato (soprattutto la decadenza del minor contagio da vaccinazione dopo 12 settimane, poi la questione degli asintomatici), da una parte abbiamo l’immunità naturale duratura già acquisita da milioni di persone e il loro contributo al rallentamento della circolazione del virus, dall’altra c’è l’attuale impossibilità a conoscere gli effetti a lungo termine della vaccinazione; un aspetto che non può essere messo da parte con superficiale rapidità, soprattutto per adolescenti e giovani – per non parlare dei bambini.

Vale la pena ricordare che l’EMA ha rilasciato a tutti i vaccini una “autorizzazione condizionata” (conditional marketing authorization) proprio per l’assenza delle informazioni relative ai rischi a lungo termine: Pfizer, per esempio, prevede di terminare i trial clinici il 2 maggio 2023 (7). Una criticità evidenziata sia dall’OMS (“Non sono ancora disponibili dati sulla sicurezza a lungo termine e il tempo di follow-up rimane limitato” [8]) che dall’EMA (“Al momento della disponibilità del vaccino, la sicurezza a lungo termine del vaccino BNT162b2 mRNA [Pfizer] non è completamente nota […] le informazioni mancanti riguardano: dati di sicurezza a lungo termine; uso in gravidanza e durante l’allattamento; uso in pazienti immunocompromessi; uso in pazienti fragili con comorbilità […] uso in pazienti con disturbi autoimmuni o infiammatori; interazione con altri vaccini” [9]). Ora, detta brutalmente: una persona anziana può a ragion veduta ritenere poco rilevanti gli eventuali effetti a lungo termine del vaccino, a fronte di un rischio molto più concreto di malattia grave Covid-19; un adolescente o un 50enne inverte i fattori dell’equazione.

Certo esiste una parte di popolazione che per ragioni di salute non può vaccinarsi, ma purtroppo è un aspetto che i vaccini non hanno affatto risolto, vista la loro incapacità a bloccare la circolazione del virus. È infatti un ulteriore dato che avrebbe dovuto incentivare investimenti e attenzione sullo studio dei protocolli di cura, rimasti invece al palo: i vaccini ci salveranno è stato l’unico approccio sanitario, fin dall’inizio. E se gettiamo uno sguardo al domani, l’impostazione non sembra cambiare: il 4 ottobre l’Ema ha approvato la terza dose per tutti gli over18 mentre Ugur Sahin, amministratore delegato di BioNTech (in un’intervista al Financial Times), Albert Bourla, amministratore delegato di Pfizer (alla ABC) e Stéphane Bancel, CEO di Moderna (al quotidiano svizzero Neue Zuercher Zeitung) hanno già messo le mani avanti dichiarando in coro che il futuro sarà la vaccinazione annuale (10). Affermazione che è scappata di bocca anche a Draghi, nella conferenza stampa dell’8 aprile scorso: “Dovremo continuare a vaccinarci negli anni a venire perché ci saranno delle varianti, quindi questi vaccini vanno adattati”. Approccio valido per i ricchi Paesi che possono acquistare e pagare alle società farmaceutiche le dosi di vaccino, ovviamente: i cittadini ‘fragili’ dei Paesi poveri possono sperare e attendere (11).

A supporto dell’imposizione di una vaccinazione di massa non può essere richiamato nemmeno l’eventuale fattore ‘long covid’, non essendoci ancora studi in grado di fotografarlo con dati certi, e nemmeno il tema ‘varianti’: gli attuali sieri sono stati sviluppati precedentemente all’individuazione delle varianti. L’apertura della campagna vaccinale in queste condizioni è stata una scommessa: solo dopo infatti i dati hanno mostrato che i vaccini danno protezione anche dalla variante Delta. Una scelta decisamente discutibile sul piano del rapporto rischi/benefici.

In conclusione, la realtà che viviamo è nebulosa e illogica: nebulosa per tutto ciò che ancora non è chiaro, illogica per tutto ciò che già lo è. E anziché agire con cautela, riservare il vaccino alle categorie ‘fragili’ di tutti i Paesi del pianeta, informare adeguatamente i cittadini, rafforzare la sanità di territorio e lo studio dei protocolli di cura, rendere accessibili tamponi gratuiti, l’Unione europea si è inventata il Green Pass e governo e Parlamento italiano l’hanno trasformato in un obbligo vaccinale.

L’obbligo vaccinale del Green Pass

Si parla di “spinta gentile” e di “obbligo surrettizio”, invocando perfino una legge che renda l’obbligo trasparente. Il Green Pass è un ricatto: esteso a università (1 settembre) e lavoro (15 ottobre) si configura come un obbligo vaccinale che discrimina chi non accetta un trattamento sanitario.

È un obbligo perché non lascia scelta a milioni di persone, coloro che non possono permettersi di pagare due/tre tamponi a settimana, operando una discriminazione di tipo economico su un bisogno fondamentale: il lavoro. (E non chiamiamolo diritto perché raggira la realtà: diritto è qualcosa che mi appartiene e posso scegliere se rivendicare o meno, bisogno è qualcosa che non mi lascia scelta. Diverso è ciò che Marx definiva “attività” in una società non capitalistica, ma è un altro discorso…) Il lavoro è un bisogno perché per vivere, pagare il cibo, l’affitto e le bollette, si deve lavorare. Al prezzo calmierato di 15 euro a tampone si sommano 45 euro a settimana, 180 euro al mese. Per una persona. In ottica familiare, magari con figli all’università, la spesa può moltiplicarsi. La scelta che viene data a queste persone, nella situazione nebulosa e illogica in cui ci troviamo, è accettare un trattamento sanitario che non vogliono o non avere i soldi per sopravvivere.

C’è poi l’aspetto della gestione: cercare la farmacia che applica il prezzo calmierato, prenotare il tampone ogni due giorni, calcolare l’orario – compatibilmente con quello lavorativo – per poter sfruttare a pieno le 48 ore… quanto tempo si può resistere prima di cedere al ricatto? Al momento, l’Italia è l’unico Paese al mondo che ha esteso il Green Pass ai luoghi di lavoro, mentre solo quattro Stati hanno imposto l’obbligo vaccinale direttamente per legge: Indonesia, Turkmenistan, Tagikistan e Micronesia.

Per non parlare del paradosso che prende vita: all’interno dei luoghi ‘solo Green Pass’ sono i vaccinati a poter portare il virus; chi sceglie di non farlo ha in mano un tampone negativo e quindi tutela davvero gli altri.

Tamponi e protocolli di cura infatti, accanto alla vaccinazione delle persone ‘fragili’, sono strumenti sanitari; il Green Pass è un lasciapassare politico.

“L’Assemblea esorta gli Stati membri e l’Unione europea” afferma la Risoluzione 2361 del 27 gennaio 2021 del Consiglio d’Europa (12) “a garantire che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno è sottoposto a pressioni politiche, sociali o di altro tipo per essere vaccinato se non lo desidera; a garantire che nessuno venga discriminato per non essere stato vaccinato, per possibili rischi per la salute o per non volersi vaccinare; […] a distribuire informazioni trasparenti sulla sicurezza e sui possibili effetti collaterali dei vaccini […] a comunicare in modo trasparente i contenuti dei contratti con i produttori di vaccini e renderli pubblicamente disponibili per l’esame parlamentare e pubblico” (13). Parole vuote, prive della forza di imporre alcunché ai governi dei Paesi e aggirabili con la fasulla alternativa del tampone.

C’è altro: il Green Pass non rappresenta solo l’obbligo vaccinale. È insieme una tecnologia e una pratica di potere. Partiamo dalla prima.

La blockchain del controllo

Il Green Pass entra in vigore il primo luglio, ed è una creazione europea: il Parlamento Ue lo approva e viene presentato come una “facilitazione” per i viaggi tra Paesi all’interno della Ue, perché elimina quarantene e tamponi. Tutti gli Stati europei lo abilitano: alcuni lasciano i cittadini liberi di scaricarlo, altri (per ora Francia, Irlanda, Austria, Olanda, Portogallo, Grecia, Romania, Danimarca, Croazia) lo legano all’accesso a ristoranti, cinema, musei ecc. Tra il 22 luglio e il 16 settembre il governo Draghi approva una serie di decreti legge – convertiti in legge dal Parlamento con una rapidità che raramente si è vista – che lo rende obbligatorio prima per ristoranti al chiuso, cinema, musei ecc., poi per treni a lunga percorrenza e università, infine per i luoghi di lavoro, pubblici e privati.

Il Green Pass si basa su una tecnologia blockchain a crittografia asimmetrica, ossia a doppia chiave, pubblica e privata (14). Senza entrare in eccessivi tecnicismi, permette di collegare determinate ‘condizioni’ a un individuo, il quale, scaricando il Pass, apre la propria identità digitale sulla relativa piattaforma di rete europea (la DGCG, Digital Green Certificate Gateway, anche detta Gateway, gestita direttamente dalla Commissione Ue: permette l’interoperabilità delle reti nazionali Digital Green Certificate-DGC) (15). Oggi la ‘condizione’ implementata è sanitaria: la vaccinazione o il tampone negativo o la guarigione dal Covid-19 abilitano il soggetto a entrare in determinati luoghi, ottenendo il via libera all’accesso dal software VerificaC19 che controlla il QR code del Pass. Le ‘condizioni’, lo abbiamo visto, sono state decise da governo e Parlamento italiani per via legislativa, e allo stesso modo possono mutare. L’eccezionalità del Green Pass è infatti la sua caratteristica tecnica che lo rende uno strumento dinamico, il cui utilizzo potrà estendersi e arricchirsi nelle forme più diverse: potrà abilitare il soggetto in base a condotte di comportamento (oggi la vaccinazione, domani pagamenti…) o a status (residenza, occupazione, dichiarazione dei redditi, fedina penale… qualsiasi cosa).

Non solo. La struttura a blockchain permette una raccolta dei dati (potenzialmente infinita) che non è aggregata: la blockchain individualizza i dati, legandoli all’identità digitale creata, e come tali li conserva. Il Green Pass quindi sta attuando una schedatura di massa. Nella migliore delle ipotesi sta testando la funzionalità dell’infrastruttura – che potrebbe essere la base del futuro euro digitale – nella peggiore sta già creando le identità digitali dei cittadini e implementando il database di una piattaforma che potrà essere utilizzata per gli usi più diversi. Al Green Pass si affianca infatti un cambiamento legislativo sull’utilizzo dei dati.

Con il decreto legge n. 139 dell’8 ottobre, il governo ha messo mano alla legge 196/2003 sulla privacy: con l’articolo 9, il nuovo decreto stabilisce che “il trattamento dei dati personali da parte di un’amministrazione pubblica […] nonché da parte di una società a controllo pubblico statale […] è sempre consentito se necessario per l’adempimento di un compito svolto nel pubblico interesse o per l’esercizio di pubblici poteri a essa attribuiti. La finalità del trattamento, se non espressamente prevista da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento, è indicata dall’amministrazione, dalla società a controllo pubblico in coerenza al compito svolto o al potere esercitato”. Viene inoltre abrogato l’articolo 2 quinquesdecies del codice della Privacy, che consentiva al Garante di intervenire preventivamente sull’attività della pubblica amministrazione imponendo “misure e accorgimenti a garanzia” dei dati dell’interessato se il trattamento dei dati presentava “rischi elevati”, anche se svolto “per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico”. In altre parole, ora qualsiasi ente pubblico o società a controllo statale potrà decidere autonomamente (“la finalità del trattamento è indicata dall’amministrazione stessa”) di utilizzare tutti i dati personali del cittadino per qualsiasi obiettivo (la vaghezza della dicitura “pubblico interesse”); per di più eludendo il controllo preventivo del Garante della Privacy.

L’accoppiata Gateway/modifica legislativa mette le basi per una nuova realtà. L’incrocio dei dati è infatti sempre stato il principale problema dell’amministrazione pubblica: lo Stato già detiene molte informazioni personali del cittadino, ma su database separati. Il Digital Green Certificate nazionale è la piattaforma nella quale poter trasferire, e poi via via aggiornare, tutti i dati dei cittadini (catasto, motorizzazione, Agenzia Entrate, fascicolo sanitario, dati giudiziari… per non parlare delle informazioni in mano alle diverse società partecipate dallo Stato), collegandoli alle loro identità digitali; il Gateway europeo permetterà l’interoperabilità tra le reti nazionali; la blockchain consentirà l’emissione di Pass ‘condizionati’.

Anche la conservazione dei dati diventa potenzialmente infinita. A oggi, il Green Pass e i dati di contatto forniti (telefono e/o email), così come le informazioni che hanno generato il Pass (vaccino, tampone o guarigione) sono conservate fino alla scadenza del Pass stesso, dopodiché “vengono cancellate”; queste ultime, tuttavia, possono essere conservate nel caso “siano utilizzate per altri trattamenti, disciplinati da apposite disposizioni normative, che prevedono un tempo di conservazione più ampio” (16).

Si aggiunge infine la questione del tracciamento. Oggi la app VerificaC19 lavora offline: la legge raccomanda di connettersi al Gateway almeno una volta nell’arco di 24 ore e aggiornare, in locale, i codici dei Green Pass esistenti. Non potrebbe fare diversamente, la rete non reggerebbe. Ma è facile ipotizzare che quando sarà attivo il 5G il tracciamento diventerà possibile, accanto alla creazione di nuovi Pass, nuove ‘condizionalità’ e nuove app di verifica che lavoreranno online.

Il costante controllo della nostra vita operato da Google, Facebook, Microsoft ecc. a fini economici è divenuto ‘usuale’ e difficilmente aggirabile; anche l’utilizzo dei dati raccolti da Big Tech per obiettivi politici è qualcosa con cui abbiamo già fatto i conti (vedi Cambridge Analytica); ma il controllo da parte dello Stato è un’altra cosa. Non si tratta di scomodare il Grande Fratello di Orwell – anche perché sarebbe piuttosto il “mondo nuovo” di Huxley, vista la remissività con cui il Green Pass è stato accettato dalla popolazione – ma di essere consapevoli che il campo di potere politico è sempre, in potenza, quello dominante: perché detiene il monopolio della violenza e perché emette le leggi, ossia stabilisce cosa è legale e cosa non lo è; a quale condotta corrisponde un reato e quindi una pena, detentiva o meno. Con Gateway, blockchain e Green Pass lo Stato potrà operare un controllo capillare e individualizzato su ogni cittadino, preventivo o a posteriori, e attuare discriminazioni (come già ha fatto). Senza nemmeno la necessità dello smartphone, perché il QR code può essere verificato anche su carta.

Risultava curioso, infatti, il nome scelto per il lasciapassare: Green Pass. Certo oggi tutto si inscrive nella narrazione green perché ciò che è green è cool, ma ora è evidente che non si tratta solo di marketing: il Pass è qui per restare. Il suo nome non poteva richiamare un evento specifico, per di più drammatico, come una pandemia.

È questa la Rivoluzione Tech? La nuova società digitalizzata che ci attende? Non si dovrebbe mai dimenticare che la privacy non è la nostra dimensione privata ma la relazione di potere tra individuo, Stato e mercato.

Corpi docili

In termini di pratiche di potere, dove si inscrive il Green Pass?

“La disciplina fabbrica degli individui”, “fabbrica corpi sottomessi ed esercitati, corpi ‘docili’. La disciplina aumenta le forze del corpo (in termini economici di utilità) e diminuisce queste stesse forze (in termini politici di obbedienza)”. E ancora: “Il potere disciplinare è un potere che, in luogo di sottrarre e prevalere, ha come funzione principale quella di ‘addestrare’ o, piuttosto, di addestrare per meglio prelevare e sottrarre di più. Non incatena le forze per ridurle, esso cerca di legarle facendo in modo, nell’insieme, di moltiplicarle e utilizzarle”; “non è un potere trionfante, che partendo dal proprio eccesso può affidarsi alla propria sovrapotenza; è un potere modesto, sospettoso, che funziona sui binari di un’economia calcolata, ma permanente”. Sono parole di Michel Foucault, tratte da Sorvegliare e punire (17). Non si può non andare al pensatore francese se si vuole ragionare sulle pratiche di potere. Sono diversi i punti di riflessione che il testo apre, nel momento in cui lo si rilegge immersi nella realtà del Green Pass. Proviamo a toccarli.

Primo punto: correggere.

La disciplina, riflette Foucault, produce corpi pronti a eseguire le prestazioni richieste; mentre la legge vieta o impone e i meccanismi di sicurezza gestiscono una realtà, la disciplina prescrive. Essa include la punizione (la sanzione per chi rifiuta il Green Pass, che da pecuniaria arriva fino alla sospensione dal lavoro senza stipendio) ma il suo obiettivo non è punire, bensì correggere: “Il castigo disciplinare ha la funzione di ridurre gli scarti. Deve dunque essere essenzialmente correttivo”; “la punizione, nella disciplina, non è che un elemento di un sistema duplice: gratificazione-sanzione. Ed è questo sistema a divenire operante nel processo di addestramento e di correzione”. Dopo mesi di lockdown e assenza di socialità, il potere ‘gratifica’ il cittadino con la ‘libertà’: non si impone (legge) con una obbligatorietà vaccinale ma prescrive un comportamento. Tutto tranne un altro lockdown è ciò che probabilmente ognuno di noi si è sentito dire da almeno un amico; Il Green Pass è libertà è stato lo slogan politico servilmente riportato dai grandi media.

Una ‘libertà’ – va da sé, o non si porrebbe la necessità del secondo elemento, la correzione – accessibile solo al buon cittadino, colui che è pronto a eseguire la prestazione richiesta: la vaccinazione. Qualsiasi tipo di potere sa che non potrà mai aspirare a imporsi sulla totalità dei cittadini, e infatti la disciplina riduce gli scarti, non li elimina. Chi invoca la persuasione per convincere i no-vax – non operando in malafede alcuna distinzione tra no-vax e no-pass – finge di non sapere che il potere ha storicamente sempre accettato che una parte della popolazione si sottragga al suo dominio, finendo ai margini della società, nei bassifondi di un ‘mondo altro’ – piccola criminalità, sottoproletariato, poveri, stranieri irregolari… Ciò che conta è la dimensione: questa alterità esclusa deve essere quantitativamente minima per non divenire un problema di difficile gestione. La prima sanzione ha colpito la socialità – il Green Pass di agosto – la seconda ha alzato l’asticella all’università, la terza al luogo di lavoro: aumento progressivamente la sanzione per ottenere più correzione e ridurre gli scarti.

Secondo punto: normalizzare.

“L’arte di punire, nel regime del potere disciplinare,” scrive Foucault, “non tende né all’espiazione e neppure esattamente alla repressione, ma pone in opera cinque operazioni ben distinte: […] paragona, differenzia, gerarchizza, omogeneizza, esclude. In una parola, normalizza. […] Appare, attraverso le discipline, il potere della Norma”. Poco importa se la ‘norma’ creata è del tutto illogica, ciò che conta è che sia percepita dalla popolazione come normale. Ed è la lenta progressione della disciplina a farla percepire come tale, il lento spostamento dei punti di riferimento, l’abitudine che si acquisisce alla nuova realtà, dimenticando quella precedente: la costante mancanza di coerenza nella gestione dell’epidemia è divenuta normale, i vaccini che decadono dopo sei mesi sono normali, offrire il proprio smartphone a uno scanner per entrare in un ristorante, al cinema, al lavoro è normale.

Terzo punto: dividere.

Creata la ‘norma’,la disciplina riproduce, costantemente, “la divisione tra normale e anormale”, e quel che rientra in quest’ultima categoria – creata dalla società stessa – è, ovviamente, ciò che la società mette ai margini ed esclude. È un processo talmente evidente che pochi esempi sono sufficienti: “Propongo una colletta per pagare ai no-vax gli abbonamenti Netflix per quando dal 5 agosto saranno agli arresti domiciliari chiusi in casa come dei sorci” (Roberto Burioni, 23 luglio); “È sbagliato considerare l’attacco no-vax come un attacco perseguibile a querela: oggi è un attacco contro lo Stato e come tale dovrebbe essere perseguito” (Matteo Bassetti, 25 luglio); “Criminali no-vax” (Libero, 31 agosto, titolo di prima pagina); “Escludiamo chi non si vaccina dalla vita civile” (Mattia Feltri, Il Domani, 5 settembre).

Quarto punto: sorvegliare.

“[Il potere disciplinare] si organizza come potere multiplo, automatico e anonimo; poiché se è vero che la sorveglianza riposa su degli individui, il suo funzionamento è quello di una rete di relazioni dall’alto al basso, ma, anche, fino a un certo punto, dal basso all’alto e collateralmente. […] La disciplina fa ‘funzionare’ un potere relazionale che si sostiene sui suoi propri meccanismi e che, allo splendore delle manifestazioni, sostituisce il gioco ininterrotto di sguardi calcolati. Grazie alle tecniche di sorveglianza, la ‘fisica’ del potere, la presa sul corpo, si effettuano tutto un gioco di spazi, di linee, di schermi, di fasci, di gradi, e senza ricorrere, almeno in linea di principio, all’eccesso, alla forza, alla violenza. Potere che è in apparenza tanto meno ‘corporale’ quanto più è sapientemente ‘fisico’”. Spazi (luoghi in cui si può accedere solo con il Green Pass), sorveglianza verticale (Gateway e blockchain) e collaterale (il cameriere, il controllore sul treno, il bigliettaio del cinema, l’impiegato adibito al lavoro, a cui bisogna esibire il Pass): una rete di sguardi che quotidianamente controllano. Potere fisico non solo perché si impone sul corpo, ma perché il corpo è il primo ‘oggetto’ che viene investito dalla disciplina del lasciapassare: deve essere sottoposto a un trattamento sanitario (vaccino) o a un esame diagnostico (tampone).

Quinto punto: utilizzare.

“La disciplina è il procedimento tecnico unitario per mezzo del quale la forza del corpo viene, con la minima spesa, ridotta come forza ‘politica’ e massimalizzata come forza utile”. Abbiamo già visto, nel corso della prima ondata, quali sono stati i punti di crisi dell’epidemia, quelli che hanno mosso le decisioni politiche; sappiamo tutti, tolto il velo dell’ipocrisia pelosa ai discorsi ufficiali e alle lacrime da studio televisivo, che per la classe dirigente politica ed economica di questo Paese il problema non è mai stato la morte di migliaia di anziani in pensione, ma il blocco dell’economia e gli ospedali pieni, la pressione di Confindustria da una parte e il conflitto sociale che ne poteva scaturire, dall’altra. Il Green Pass riesce a massimalizzare l’utilità di tutti i corpi: quelli dei cittadini attivi producono e consumano, vanno a lavorare e al ristorante; quelli degli anziani/’fragili’ fanno pressione affinché il resto della popolazione si disciplini: non ti importa che io possa morire? L’umano sentimento della solidarietà viene trasformato in strumento utile alle pratiche disciplinari e in annullamento del pensiero critico.

Tirando le somme, il Green Pass ha corretto, normalizzato, diviso, sorvegliato e utilizzato i cittadini, disciplinandoli. È, a oggi, l’ultimo atto di una serie di pratiche politiche (18) che hanno creato una popolazione docile perché impaurita, prima shockata e poi normalizzata in una nuova abitudine, che si affida al ‘sovrano’ per la sua salvezza, convinta che la propria vita dipenda da un trattamento sanitario a cui è disposta a sottoporsi annualmente, e da un lasciapassare politico che lo attesti e che le garantisca l’accesso a luoghi nei quali possa interagire solo con persone altrettanto verificate e controllate. Una popolazione che ora si sente corroborata dal calo del numero dei contagi e delle ospedalizzazioni (ma attendiamo la stagione fredda per vedere quel che accade, viste le caratteristiche degli attuali vaccini), e non si domanda se la stessa situazione sarebbe stata raggiunta anche vaccinando solo le categorie a rischio e lasciando la libera scelta: perché eliminando la malattia grave tra anziani e ‘fragili’ gli ospedali sarebbero comunque stati vuoti; perché dopo 19 mesi di pandemia, l’immunità naturale dei milioni di asintomatici avrebbe comunque rallentato la circolazione del virus, garantendo anche la diffusione di una immunità di durata. Non si chiede, insomma, se senza il ricatto e la discriminazione del Green Pass non si troverebbe ora nella stessa situazione di salute pubblica, ma in una società molto diversa: dove le persone, e non lo Stato, possono ancora decidere del rapporto rischi/benefici di un trattamento sanitario sul proprio corpo.

Non ci sono risposte. Come sopra già evidenziato, la situazione è nebulosa e illogica. Ma ciò che lascia sconcertati è che non ci siano – e non ci siano state – domande.

Discriminazione

Al 22 luglio, data del primo decreto Green Pass, il 47,6% dei cittadini si erano volontariamente già vaccinati, e arrivavano al 62,4% se aggiungiamo al conteggio l’inoculazione delle prime dosi: quella italiana non si poteva certo definire una popolazione che fuggisse il vaccino. Al 20 luglio erano già stati volontariamente scaricati 36 milioni di Green Pass (19); al 29 luglio, pochi giorni dopo il decreto, erano diventati 41,3 milioni (20). Sorprende che milioni di persone non abbiano battuto ciglio sulla discriminazione che il Pass già operava, accettando supinamente che in alcuni luoghi dove prima tutti i cittadini potevano avere accesso con misurazione della temperatura, mascherina e distanziamento, dal 6 agosto potessero entrare, sempre con misurazione della temperatura, mascherina e distanziamento, solo coloro che avevano acconsentito a un trattamento sanitario o a un esame diagnostico. Poco importa se ristoranti al chiuso, cinema, teatri ecc. non si configurano come diritti o bisogni fondamentali: il principio non cambia. La discriminazione non è qualcosa di quantificabile: è o non è.

Difficile dire se questa arrendevolezza abbia consentito a governo e Parlamento di alzare l’asticella del ricatto al lavoro; sicuramente l’ha facilitato. Incontrando resistenze, forse il potere politico avrebbe abbandonato l’idea (come precedentemente accaduto per la app Immuni) e l’obbligo non sarebbe stato esteso. Il ‘se fosse’ è sempre un gioco inutile perché il filo del tempo non si può riavvolgere, ma nel momento in cui lo si utilizza per un’analisi costruttiva non è affatto una sterile speculazione. L’apertura di un conflitto sociale inizia sempre con una scelta individuale: scioperare, andare in piazza, rifiutarsi, sono innanzitutto scelte – e responsabilità – personali, che solo dopo si trasformano in collettive. Chi lotta sa che l’impotenza e la frustrazione sono sentimenti diffusi, perché nella complessità politica ed economica di oggi è difficile che l’apertura di un conflitto con il potere porti a un cambiamento sociale nel breve termine. Ma il Green Pass, come prima la app Immuni, offriva questa possibilità. Quella di dire NO, di rifiutarsi di avallare con il proprio comportamento – scaricare e utilizzare il Pass – una pratica discriminatoria. Era una scelta politica che, ricordiamo, aveva nulla a che fare con l’insindacabile decisione di vaccinarsi, e non richiedeva certo un gran sacrificio: non andare al ristorante, a teatro, al cinema…

Molti cittadini, in numero maggiore rispetto a quelli che stanno riempiendo le piazze contro il Pass, ora si dichiarano contrari alla sua applicazione al lavoro; eppure, in una incoerenza che sembra non riguardarli, continuano ad avallare la discriminazione utilizzando il lasciapassare per riempire locali serali e ristoranti; non hanno modificato la loro condotta dopo il 16 settembre, quando il governo ha esteso l’obbligo al lavoro a partire dal 15 ottobre e l’asticella della discriminazione si è alzata. Lasciare vuoti ristoranti, cinema, teatri ecc. può diventare un’arma economica di pressione sul potere politico, oltre a rappresentare un atto di protesta collettiva e di coerenza personale.

Non si può né sperare né attendere una chiamata strutturata e organizzata, da sinistra, per questo conflitto: salvo poche realtà o singoli individui, la sinistra movimentista che si riempie continuamente la bocca della parola ‘discriminazione’, dichiarando di volerla combattere, si è appiattita sulle posizioni governative spedendo il cervello in vacanza. Sta, dunque, a ciascuno di noi. Scegliere.

(Articolo chiuso in redazione il 12 ottobre 2021)

 

1) Giovanna Cracco, Covid-19. Lockdown, Paginauno n. 67/2020

2) Cfr. https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-decessi-italia

3) Cfr. Lancet: “Due dosi Pfizer efficaci fino a sei mesi”, Il Fatto Quotidiano, 5 ottobre 2021

4) Cfr. The impact of SARS-CoV-2 vaccination on Alpha & Delta variant transmission, https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2021.09.28.21264260v1.full-text

5) Cfr. Covid-19 ed immunità: quanto a lungo può durare la protezione? https://www.marionegri.it/magazine/covid-19-durata-immunita

6) Per comodità sono stati presi i numeri già elaborati dal gruppo CovidStat dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), basati sui dati acquisiti dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Cfr. https://covid19.infn.it/iss/

7) Cfr. https://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT04368728?term=NCT04368728&draw=2&rank=1

8) Cfr. https://apps.who.int/iris/rest/bitstreams/1327316/retrieve

9) Cfr. https://www.ema.europa.eu/en/documents/rmp-summary/comirnaty-epar-risk-management-plan_en.pdf

10) Cfr. «Varianti, servirà un nuovo vaccino», A. Caperna, Il Giornale, 4 ottobre 2021

11) Vedi Rapporto Oxfam International, pag. 36

12) Il Consiglio d’Europa, nato nel 1949, è un’organizzazione internazionale che promuove la difesa dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto; è composto da 47 Stati membri ed è un organo indipendente dall’Unione europea

13) Cfr. https://pace.coe.int/en/files/29004/html

14) Abbiamo già parlato di blockchain in relazione ai bitcoin: le caratteristiche tecniche restano le medesime. Cfr. Giovanna Cracco, Bitcoin, tra tecnologia e politica, Paginauno n. 56, febbraio 2018

15) Cfr. Disposizioni attuative dell’articolo 9, comma 10, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52

16) Disposizioni attuative dell’articolo 9, comma 10, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, art. 16

17) Tutti i virgolettati di questa parte dell’articolo sono tratti da: Michel Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi

18) La disciplina sui corpi è iniziata con le limitazioni alla libertà di movimento; l’obbligo di certificare per iscritto il proprio essere fuori di casa tramite un modulo da portare con sé e da esibire, se richiesto, alle forze di polizia; l’imposizione di mascherine e di un distanziamento tra persone. Anche il rituale del bollettino giornaliero sul numero dei contagiati e dei morti rientrava nel meccanismo disciplinatorio: dati privi di coerenza sistemica avevano l’obiettivo di continuare a spaventare una popolazione già totalmente disorientata, rendendola ancora più arrendevole alla disciplina. Cfr. Giovanna Cracco, Covid-19. Lockdown, Paginauno n. 67, aprile 2020

19) Cfr. https://www.lastampa.it/cronaca/2021/07/20/news/speranza-vaccino-essenziale-anche-sotto-i-40-anni-36-milioni-di-green-pass-scaricati-fino-ad-oggi-1.40517764

20) Cfr. https://www.adnkronos.com/green-pass-speranza-strumento-anti-restrizioni-gia-scaricati-41-3-mln_4pPX4QasGLTwn7c96t1TiN

FONTE: https://rivistapaginauno.it/contro-il-green-pass-la-posta-in-gioco-disciplina-e-sorveglianza/

 

 

 

ECONOMIA

“Non Performing House”

La nuova repressione finanziaria, dietro il risparmio energetico

14 dicembre 2021

Guido Salerno Aletta

Guido Salerno Aletta
Editorialista dell’Agenzia Teleborsa

Tutto lascia immaginare che si andrà avanti comunque: continuando con la repressione finanziaria in atto da anni sul debito ed estendendola agli immobili.

La transizione energetica non è solo un obiettivo ambientale, volto a salvaguardare il Pianeta, ma è soprattutto uno strumento strategico, indispensabile per indirizzare gli investimenti.
La finanza green non si limiterà solo alla gestione delle aste dei diritti di emissione della CO2, o dei certificati verdi o bianchi: deve mettere le mani anche sul processo di investimenti colossali che diviene necessario per l’efficienza energetica negli immobili.

Con un unico colpo si perseguono due obiettivi: per un verso si evita il progressivo travaso degli investimenti finanziari dal debito alla proprietà immobiliare, e per l’altro si amplia il nuovo mercato finanziario, per l’efficienza energetica.

Se gli immobili non avranno i requisiti energetici richiesti, saranno “beni fuori mercato“, con conseguenze catastrofiche anche per le banche che li hanno presi in garanzia per erogare prestiti o mutui: avremo centinaia di migliaia, se non milioni di “non performing house“. La ricchezza delle famiglie italiane ne sarà devastata.

I proprietari di casa saranno costretti a fare i lavori occorrenti per l’adeguamento ricorrendo ai propri risparmi, oppure dovranno indebitarsi: eccola la finanza green, questa è la nuova repressione finanziaria.

FONTE: https://www.teleborsa.it/Editoriali/2021/12/14/non-performing-house-1.html?p=3#.YcGYOGjMLIV

Germania: Pfizer e Microsoft pagano la politica vaccinale

Da molto tempo il conflitto di interessi ovvero l’esatto contrario della distinzione degli interessi che alla base della democrazia, è diventato così pervasivo da non essere nemmeno più percepito e quando accade esso viene considerato quassi normale. Ecco l’ultimo clamoroso esempio: da quando in Germania  Olaf Scholz è diventato Cancelliere federale, la linea della Spd  sulla pandemia è tristemente nota:  vaccinare, vaccinare, vaccinare. Il Cancelliere federale intende addirittura introdurre un obbligo generale di vaccinazione nonostante il fatto che questi preparati a mRna abbiano ampiamente dimostrato di non servire a nulla e di essere pericolosi tanto che nel Paese quest’anno con tutte le vaccinazioni fatte ci saranno circa 50 mila morti in più rispetto al 2020. Può stupire tanta determinazione nell’ esigere che i cittadini vengano obbligati a diventare cavie  visto che il partito socialdemocratico ha ricevuto generosi contributi per il suo congresso  da Pfizer e da Microsoft , ovvero dal gatto e la volpe della pandemia? No di certo, ma non è questo il fatto centrale: il cuore di questa vicenda è che tali  finanziamenti non vengano nemmeno nascosti anzi è diventato in un certo senso normale che le multinazionali finanzino i partiti.

E pur vero che la presenza di questi ingombranti donatori è stata cancellata ieri dalla pagina del partito, anche se è rimasta probabilmente per poche ore sulla  pagina del congresso dalla quale mi sono precipitato a catturare l’immagine, ma non bisogna farsi illusioni, si tratta proprio di una foglietta di fico perché poi in un documento ufficiale del partito riguardante proprio i finanziamenti dello stesso si legge:  “la sponsorizzazione è una forma ammissibile di finanziamento: in un contesto di calo delle entrate e aumento delle spese, la sponsorizzazione è essenziale per noi. Per sponsorizzazione intendiamo l’offerta di un’efficace veste pubblicitaria ad aziende e associazioni”. Dunque non solo si prevede l’appoggio finanziario, ma anche il do ut des ,sinonimo del massimo marcio possibile, è pienamente previsto. Viene immediatamente da pensare che i partiti stessi non siano altro che aziende le quali  “vendono” un prodotto politico adulterato: siccome i consumatori abituali ormai latitano perché sono ormai sostenuti da pochi cittadini e gli iscritti diminuiscono a vista d’occhio provocando  un reddito in calo ritengono giusto essere sovvenzionati dai lobbisti aziendali affinché questi possano esercitare pressioni e avere qualcosa in cambio del loro sostegno. In realtà la gente si allontana dai partiti avvertendo questo tralignamento dalla loro natura: si tratta di un circolo che più vizioso non si potrebbe immaginare.

Il fatto stesso che una cosa del genere non susciti nemmeno tutto lo scalpore che merita, testimonia che siamo in presenza di una radicalizzazione prepolitica che fa riferimento a una primitivizzazione del discorso pubblico ormai senza alcun rapporto reale con la democrazia ed espressione di una sorta di autoritarismo rudimentale e quasi atavico. In questo contesto fa persino piacere che nell’area di lingua tedesca, quella più investita da questa sindrome vaccinale, l’informazione ormai fa sparire il numero di vaccinati che sono ormai i principali contagiati: dopotutto si pensa che la ragione e l’intelletto contino ancora qualcosa visto che si cerca di nascondere la totale assurdità di usare la popolazione cone un branco di cavie e si voglia continuare nonostante il totale fallimento.

FONTE: https://ilsimplicissimus2.com/2021/12/16/germania-pfizer-e-microsoft-pagano-la-politica-vaccinale/

 

 

Si scrive concorrenza, si legge monopolio privato

Il Consiglio dei Ministri ha recentemente varato il Disegno di Legge per il Mercato e la ConcorrenzaUn altro tassello delle condizionalità europee va così al suo posto. Come abbiamo detto a più riprese, l’elargizione delle risorse messe a disposizione dalle istituzioni europee attraverso il programma Next Generation EU è strettamente subordinata all’adempimento di una lista lunga e dettagliatissima di condizioni. In questo contesto, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvato dal Governo Draghi in primavera, ha rappresentato il cavallo di Troia con cui le condizionalità sono state per la prima volta esplicitate per l’Italia. Adesso, un passo alla volta, i principi generali enunciati nel PNRR vanno tradotti in misure concrete e provvedimenti legislativi, senza i quali si interrompe il flusso di finanziamenti europei, che non a caso vengono erogati a rate semestrali, per garantire che nessun Paese rallenti il ritmo al quale vanno fatti i compiti a casa.

In tale contesto, il DdL Concorrenza è dunque una misura cruciale, che rientra tra le riforme abilitanti previste dal PNRR, “ovvero gli interventi funzionali a garantire l’attuazione del Piano e in generale a rimuovere gli ostacoli amministrativi, regolatori e procedurali che condizionano le attività economiche e la qualità dei servizi erogati”. Il Governo, peraltro, inizia così a mettere in atto quanto la Legge sulla concorrenza – introdotta nel 2009 ma mai davvero attuata – postula, cioè “rivedere lo stato della legislazione e verificare se permangano vincoli normativi alla competitività e al funzionamento dei mercati”, che tradotto in parole semplici vuol dire rimuovere le residue forme di regolamentazione che potrebbero impedire alla ricerca del profitto di esprimersi in maniera piena e senza regole.

Il varo del DdL Concorrenza risponde, infine, alla necessità di adempiere alle Raccomandazioni Specifiche per Paesedella Commissione Europea – secondo cui “l’eliminazione degli ostacoli alla concorrenza gioverebbe a diversi settori, in particolare quello dei servizi”, che sarebbe “oggetto di una regolamentazione eccessiva” – e porre rimedio a diverse procedure d’infrazione a carico dell’Italia, tra le quali possono essere menzionate quelle conseguenti alla mancata applicazione del Regolamento sui servizi portuali e della Direttiva dell’Unione Europea 2006/123/CE (anche nota come Direttiva Bolkenstein), che prevede la liberalizzazione dei servizi nei Paesi dell’Unione.

Ma cosa prevede il DdL Concorrenza? Tra i punti che hanno attirato maggiormente l’attenzione c’è sicuramente la Sezione II, che si occupa di Concessioni e riguarda nello specifico i balneari e gli ambulanti, oltre a settore portuale, distribuzione del gas naturale ed energia idroelettrica.

In particolare, per quanto concerne balneari e ambulanti, l’articolo 2 rimanda ogni provvedimento e misura, delegando il Governo ad avviare entro sei mesi una mappatura in vista di una futura riforma. Una volta definito un quadro chiaro dei beneficiari, della durata e dei rinnovi, dei canoni e della natura della concessione, si potrà procedere a una standardizzazione dei dati e a un’analisi del fenomeno nell’ottica della valorizzazione del bene nell’interesse pubblico, per avviare una discussione sui nuovi meccanismi della messa a gara: insomma, quando si inizierà a fare qualcosa saremo tutti morti di sonno. Nell’unico ambito, quindi, in cui l’introduzione di più ‘concorrenza’ avrebbe comportato una limitazione degli abusi di pochi privilegiati che traggono le proprie fortune dalla messa a profitto delle coste del nostro Paese, tutto è rimandato fumosamente a un futuro non ben specificato.

E poco cambia il fatto che, qualche giorno fa, il Consiglio di Stato abbia sancito che le attuali concessioni marittime potranno continuare fino al 2023, mentre dal 2024 le concessioni saranno assegnate tramite gara alla quale, però, potranno partecipare i proprietari attuali. Ciò che rimane agli atti è che, nell’unico settore in cui si potevano colpire ingiustificati privilegi privati, il Governo ha optato per un compromesso al ribasso dai risvolti inesistenti.

Ma ecco che la ‘concorrenza’ pensata dal Governo Draghi ritrova subito vigore e determinazione, quando si tratta invece di andare ad intaccare i pochi residui di intervento pubblico nell’economia. Con logica in effetti analoga a quella in virtù della si lasciano in pace i possessori di concessioni balneari, cioè la messa a profitto di ogni ambito possibile e immaginabile, ecco la Sezione III del Ddl Concorrenza, che si occupa di Servizi Pubblici Locali e Trasporti.

In particolare, l’articolo 6 delega il governo ad adottare un decreto di riordino della materia (anche tramite apposito testo unico) che preveda l’obbligo di una motivazione anticipata e qualificata a carico degli Enti Locali che vogliano gestire in house – cioè all’interno del perimetro dell’ente pubblico e non affidandoli a privati – i servizi pubblici locali. L’onere della prova, per così dire, passa a carico della gestione pubblica, che va ritenuta fino a prova contraria di per sé meno efficiente e desiderabile. La gestione privatistica, l’esternalizzazione va invece ritenuta la norma, alla quale derogare solamente dopo avere dimostrato preventivamente altrimenti, in maniera rafforzata e inequivocabile. Un onere da ripetere continuativamente, perché la revisione periodica dell’affidamento, già prevista per legge, dovrebbe d’ora in poi considerare le ragioni che giustificano il mantenimento dell’autoproduzione del servizio (un altro modo per dire in house).

Nonostante lo stupore di alcuni, tali disposizioni non sono particolarmente innovative rispetto a quelle già contenute nel Codice degli Appalti in merito all’affidamento in house (articolo 192), ma rafforzano senza dubbio la tendenza all’esternalizzazione dei Servizi Pubblici Locali. In altre parole, il Governo con questa misura frappone ulteriori ostacoli all’affidamento in house, appesantendo fortemente le procedure a carico di quei Comuni che vogliano continuare a gestire in proprio il servizio, i quali dovranno ‘giustificare’ tale scelta, sulla base della presunzione che la gestione privata negli ultimi anni si sia dimostrata intrinsecamente migliore dal punto di vista dell’efficienza e della qualità del servizio.

D’altro canto, stava già tutto scritto nero su bianco nel PNRR (pagina 76) e non è finita qui. La portata dell’intervento si coglie considerando la generalità dei servizi considerati e le loro caratteristiche.

I Servizi pubblici locali ricomprendono infatti settore idrico, rifiuti ed energia, dove l’ulteriore limitazione dell’in house non comporterà l’introduzione della concorrenza, ma la cessione a un singolo privato di un monopolio naturale. Per come è strutturata la filiera di gestione di questi settori, una volta effettuata la gara il soggetto aggiudicatario sarà a tutti gli effetti una società che opera in una situazione di monopolio. Il fortunato monopolista privato dovrà poi fare i conti esclusivamente con la blanda regolazione da parte di un’autorità indipendente – cui la legge affida il compito di regolare le tariffe, la qualità dei servizi e lo stato delle infrastrutture, indipendentemente dalla forma assunta dalla società di gestione (pubblica, mista o privata) – cui compete, a fronte di una capacità di controllo pressoché inesistente, la garanzia dei margini di profitto del gestore privato.

In definitiva, nel settore dei Servizi Pubblici Locali la tanto decantata concorrenza si traduce concretamente in una intensificazione del processo di privatizzazione: non dovremmo stupirci più di tanto, questa misura è in perfetta continuità con i contenuti della lettera del 2011 con cui Mario Draghi invitava il Governo Berlusconi a procedere sulla strada delle indispensabili “privatizzazioni su larga scala”, in particolare proprio nella “fornitura di servizi pubblici locali”. L’accelerazione imposta dal DdL Concorrenza risulta ancora più odiosa nel settore idrico, se consideriamo l’esito del referendum sull’acqua del 2011, che andava in direzione diametralmente opposta. Ma anche qui, le ragioni per stupirsi sono effettivamente poche, poiché già nel PNRR (p. 151) si poteva leggere a chiare lettere quanto fosse prioritario “rafforzare il processo di industrializzazione del settore (si parla qui di servizi idrici integrati) favorendo la costituzione di operatori integrati, pubblici o privati e realizzando economie di scala per una gestione efficiente degli investimenti e delle operazioni”, allo scopo di affermare un modello di multiutility (la natura integrata del servizio si riferisce a questo) che subordina il diritto all’acqua all’accumulazione di profitti e rendite monopolistiche (da qui, invece, l’enfasi sulle economie di scala).

Molto altro si potrebbe dire sul DdL Concorrenza in merito alle disposizioni su trasporto pubblico locale e trasporto non di linea (taxi), servizi portuali e concessioni idroelettriche ma non cambia la sostanza del ragionamento. La linea politica portata avanti dal Governo Draghi è, infatti, perfettamente coerente da questo punto di vista: dietro la cortina fumogena della concorrenza si nasconde sempre e solo la promozione di enormi interessi economici a favore delle classi dominanti e dei pochi, giganteschi attori industriali che si muovono nel business della gestione privatistica dei servizi pubblici. Con il DdL Concorrenza compiamo un ulteriore passo nella direzione della trasformazione strutturale della nostra economia, portata avanti sotto la spinta delle condizionalità imposte dalle istituzioni europee per accedere ai fondi del Next Generation EU.

FONTE: https://coniarerivolta.org/2021/11/13/si-scrive-concorrenza-si-legge-monopolio-privato/

 

 

 

IMMIGRAZIONI

La Polonia difende i confini dell’Europa. E l’Ue la affama

17-11-2021 – Luca Volonté

L’Europa approfitta della crisi ai confini europei e decide di affamare Varsavia. La Bielorussia, deliberatamente, spinge gli immigrati verso le frontiere europee orientali, soprattutto quelle polacche, per rappresaglia contro le sanzioni dell’Ue. Quindi la Polonia sta facendo gli interessi di tutti i membri dell’Unione. Eppure proprio ieri i maggiori partiti del Parlamento europeo inviavano alla Commissione la richiesta di sospendere il Recovery Plan, indispensabile per la ricostruzione dell’economia polacca dopo il Covid. E la causa è sempre la riforma della magistratura che, secondo i partiti europei, “viola lo Stato di diritto”. E la prossima volta toccherà all’Ungheria.

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Polonia, la frontiera

L’Europa approfitta della crisi ai confini europei e decide di affamare Varsavia, come già accaduto nel secolo scorso quando nazisti e comunisti decisero di invaderla. Ieri si è consumata un’altra brutta pagina. Il contesto di questa ultima settimana è ben cambiato, la minaccia di uno sfondamento ai confini europei da parte di ‘orde’ di poveri migranti trafficati come carne da macello e provenienti da Afghanistan, Siria, Pakistan, Iraq è sotto gli occhi di tutti.

A fronte delle richieste di aiuti europei, di costruire ‘barriere fisiche’ di confine, al crescente numero di militari polacchi feriti  e sanzioni verso Bielorussia da parte della Polonia e dei Paesi Baltici, l’Europa decide di rispondere colpendo di nuovo alle spalle i Paesi orientali e paventa di tagliare i viveri ai polacchi. Vergogna è termine troppo gentile per definire il sentimento di disappunto che provocano le decisioni di Bruxelles.

Ieri mattina sulle pagine web di Euractiv spiccava la notizia che nessuno poteva immaginare: i Capigruppo dei partiti di maggioranza del Parlamento Europeo (Popolari, Socialisti, Liberali, Sinistre e Verdi) avevano inviato una lettera urgente alla Commissione Europea con la richiesta di bloccare i fondi del Recovery Plan per la Polonia (23 miliardi di euro in sovvenzioni e 34 miliardi in prestiti a basso interesse). Vi si legge: “Un governo che nega il primato del diritto dell’UE e viola i principi dello Stato di diritto non può essere considerato degno di adempiere agli impegni e agli obblighi previsti… dai piani nazionali di recupero e resilienza… La nostra richiesta non deve essere vista come punitiva contro il popolo polacco, ma come un mezzo per sostenere il ripristino dello stato di diritto in Polonia”.

Chiaro? Affamiamo i polacchi per il loro bene fino a quando non cambieranno il loro governo. Poche ore dopo, la Corte di Giustizia Europea sanciva con una nuova decisione l’’illegittimità’ delle riforme del sistema giudiziario polacco, picconando questa volta gli aspetti relativi al trasferimento dei giudici da un tribunale ad un altro che, secondo i giudici, potrebbero essere motivati politicamente, visto che il Ministro della Giustizia è anche il Procuratore Generale che decide i trasferimenti (Sentenza nelle cause riunite da C-748/19 a C-754/19 Procedimenti penali a carico di WB e altri).

Ovviamente, le sentenze della Corte europea, così come le inaudite richieste dei parlamentari europei delle ultime settimane contro la Polonia, seguono pari passo gli ‘spartiti’ sussurrati da ‘think tank’ ultraliberali finanziati dai soliti filantropi, Soros in testa. L’obiettivo è chiarissimo: non esiste ‘Stato di diritto’ in Polonia, tutti i giudici di qualunque Corte (inclusa quella Costituzionale) sono illegittimi, i governanti eletti devono andarsene se vogliono il bene del popolo che noi, istituzioni europee, ci arroghiamo il diritto di rappresentare in esclusiva.

Nella stessa giornata di ieri, non può essere sottaciuta la decisione della stessa Corte di Giustizia europea che ‘improvvisamente’ ha dato torto alle ragioni dell’Ungheria che la Commissione aveva contestato (Sentenza nella causa C-821/19 Commissione / Ungheria su Configurazione come reato del sostegno ai richiedenti asilo). La legge ‘StopSoros’ del 2018, che criminalizza le Ong che sostengono il traffico umano dei migranti illegali in cerca di ‘asilo’ al confine ungherese, viola le norme europee e deve essere eliminata o cambiata radicalmente.

La risposta del Governo ungherese non si è fatta attendere, “continueremo ad aiutare i migranti nei propri paesi di origine, la migrazione in Europa deve essere fermata e il futuro dell’Europa deve essere basato sulle famiglie. Ci riserviamo il diritto di agire contro le attività delle Ong finanziate dall’estero, comprese quelle finanziate da George Soros, che cercano di ottenere influenza e interferenza politica o addirittura di promuovere la migrazione”.

C’è da attendersi un’escalation della guerra della Commissione Europea anche contro l’Ungheria, non a caso, già appalesata dal Commissario alla Giustizia e Stato di Diritto Didier Reynders, che ha avuto incontri a Budapest nello scorso weekend. Egli ha dichiarato che “non c’è stato alcun miglioramento nello ‘Stato di diritto’ nel paese, il sistema giudiziario è compromesso, la libertà dei mass media è limitata e le persone LGBTI soffrono gravi discriminazioni nel paese”.

Né Polonia, né Ungheria ad oggi hanno avuto disco verde dalla Commissione e dal Consiglio per la approvazione del proprio Recovery Plan. La situazione polacca è ben più grave, viste le circostanze che sta vivendo il Paese, aggredito  frontalmente in una ‘guerra ibrida’ promossa dalla Bielorussia (e tollerata da Mosca) contro le sanzioni che l’Europa aveva deciso, a seguito della repressione post elettorale del governo di Minsk nel settembre dello scorso anno. A tutti è chiaro che la guerra sulla pelle dei migranti condotta da Lukashenko è contro l’Europa, ma l’Europa, che solo ieri ha preso nuove misure contro la Bielorussia, decide di ‘affamare’ Varsavia (e si prepara a tagliare i ponti alle spalle di Budapest).

Nei fatti e per le decisioni prese a Bruxelles si mette sullo stesso piano (sanzioni economiche e blocco dei fondi del Recovery) Bielorussia e Polonia, il tiranno Lukashenko e l’eletto Morawiecki. Nemmeno i colloqui di Merkel e Macron con Lukashenko e Putin, hanno risvegliato il senso di responsabilità nei vertici europei. Solo i Paesi di Visegrad in Europa hanno risposto alla richiesta di Polonia e Paesi Baltici di aiuto e sostegno per costruire muri di confine contro i trafficanti di uomini e donne.

FONTE: https://lanuovabq.it/it/la-polonia-difende-i-confini-delleuropa-e-lue-la-affama

 

 

 

LA LINGUA SALVATA

Virus volant, verba manent? Il lessico al tempo del Covid-19

Elisabetta Groppo – 15 04 2021

Il Leibniz-Institut ha contato 1.200 nuove parole tedesche legate alla pandemia, l’italiano segue: espressioni che toccano le relazioni di potere e portano avanti un sistema di valori. “I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo” scriveva Wittgenstein: sappiamo con cosa stiamo parlando?

La formazione di parole risponde a dei bisogni, pragmatici e cognitivi: serve a denominare le cose e i concetti del mondo. Nel momento in cui un’entità riceve un nome, essa guadagna un posto nel mondo.

La pandemia ha contagiato e contaminato il modo di parlare. Già esistono studi su come il vocabolario quotidiano si è arricchito. Tra questi risalta quello del Leibniz-Institut für Deutsche Sprache di Mannheim (1), centro specializzato in studi sociolinguistici, che tiene sotto osservazione le parole da marzo 2020. Il progetto condotto da Annette Klosa-Kückelhaus, Christine Möhrs e Maike Park ha l’obiettivo di raccogliere e sistematizzare l’onda d’urto delle nuove parole tedesche generatesi in questi quasi quattordici mesi di pandemia Covid-19. Sono stati finora catalogati oltre 1.200 vocaboli, dei quali più di 300 cominciano con Corona- o Covid-, e non dovrebbe sorprendere se si pensa alla lingua tedesca e a quanto il processo composizionale sia in essa produttivo. Ma si può notare come la ‘nostra’ mascherina si sia fatta determinante, ossia significante, di una ventina di parole; praticamente, più di una al mese.

A dire il vero, ben prima del Covid i linguisti tedeschi avevano introdotto una rubrica di parole sotto osservazione, mantenendo comunque separata la catalogazione dei termini relati alla pandemia. Base della ricerca è il Deutsches Referenkorpus che esiste dal 1964 e comprende 50 miliardi di lemmi testuali.

Analogamente stanno lavorando l’Istituto di linguistica applicata dell’Eurac Research di Bolzano (trilingue: italiano, tedesco, ladino) (2), l’Instituut voor de Nederlandse Taal, centro di linguistica olandese (3), e il Translation Centre europeo (4). Nei Paesi Bassi la parola dell’anno 2020 è stata Ander|halve|meter|samenleving (“la vita vissuta un metro e mezzo di distanza gli uni dagli altri”, i separatori sono aggiunti per la comprensione italiana); e vale sottolineare che in questa nuova parola, il contesto in cui la parola stessa nasce è, se non altro morfologicamente, sottaciuto. In questo senso non si può non richiamare Wittgenstein, che nel Tractatus logico-philosophicus scrive: “I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”.

Sappiamo dunque con cosa stiamo parlando?

Premesse linguistiche: il tedesco e l’italiano

Con diversi gradi di produttività, la composizione e la derivazione sono i procedimenti che più contribuiscono ad arricchire il lessico di una lingua di nuovi elementi. Prendendo spunto dalla mole di dati raccolta dalle ricercatrici del Leibniz-Institut für Deutsche Sprache, consideriamo le potenzialità compositive del tedesco e dell’italiano, per cercare di rapportarci in maniera analitica con i nuovi vocaboli di quest’ultimo; senza entrare in dettagli tecnici eccessivi che ci porterebbero fuori strada.

Per ‘composizione’ si intende, secondo la voce del dizionario Treccani a firma di Claudio Iacobini, un procedimento morfologico che permette di formare parole nuove combinando morfemi lessicali, cioè parole autonome. I composti diventano lessemi se entrano nel vocabolario di una lingua. La maggior parte dei vocaboli del lessico tedesco sono parole composte, e questo spiega l’elevato numero di vocaboli (oltre 1.200) trovati dalle tre ricercatrici del Leibniz-Institut.

La composizione forma parole lessicali, cioè adatte a essere immagazzinate nel lessico mentale e a essere reperite poi dall’utente della lingua come singole unità. La composizione sfrutta la vaghezza del significato delle parole e l’indeterminazione della relazione tra gli elementi formativi: l’esperienza del parlante e la convenzione stabilita dicono quale sia il fenomeno materiale di cui si sta trattando.

Esistono diversi tipologie di composti, quello tipico racchiude un rapporto gerarchico di determinazione: il determinante specifica una caratteristiche dell’altro costituente, il determinato, che di norma funge da testa semantica e sintattica. Per individuare la testa semantica si utilizza il test “è un”.

Per esempio, l’annuncio del 6 maggio 2020 del primo Maskomat bavarese: un distributore automatico di mascherine. In italiano potrebbe diventare la “macchinetta delle mascherine”, così come abbiamo creato la “macchinetta del caffè”. Magari divenendo protagonista totemico della giornata lavorativa di una piccola azienda, o di un ufficio o di una sit com, annullando così, attraverso un triste sarcasmo, la sua funzione primaria. Un po’ come è avvenuto nel passaggio a mascherine personalizzate. Da qui, arrivare ad “Automask” – parola di invenzione di chi scrive – non dovrebbe apparire troppo fantascientifico, se immaginiamo una mascherina pluriaccessoriata, magari in grado di donare un massaggio rigenerante alla cute o chissà cos’altro; già esistono mascherine con gli auricolari incorporati, senza addentrarsi nel clownesco.

Nel lessico italiano molte parole composte hanno come origine un sintagma (5) (esempi: “vado via”, “costo della vita”); è inoltre possibile formare nomi da verbi per mezzo della suffissazione e della conversione dai temi verbali del presente o per nominalizzazione delle forme non-finite (esempi: “lavorazione”, “battitore”, “il correre”, “il laureando”); esistono poi le parole polirematiche, come “anima gemella”, “carta di credito”, “acqua e sapone”; infine gli idiomi sono costrutti convenzionali caratterizzati dall’abbinare un significato fisso (poco o affatto modificabile) a un significato non composizionale (che non è ricavabile dai significati dei componenti dell’espressione) (esempi: “tirare le cuoia”, “rompere il ghiaccio”).

Sulla creazione di parole agisce poi la demotivazione, ossia un processo diacronico che oscura il confine tra composti e parole semplici: i costituenti che formano i composti non sono più riconosciuti dagli utenti come morfemi lessicali (ossia come parole autonome combinate fra loro), e il composto viene considerato alla stregua di un’unica parola.

Nell’interpretazione di un nuovo composto, infine, è importante il contesto. Le parole si inseriscono nel co-testo e nel contesto e rimandano alla conoscenza enciclopedica degli utenti. Il contesto incide sulla relazione tra gli elementi formativi anche più delle caratteristiche semantiche dei singoli costituenti, quindi va visto come motore pragmatico del processo creativo delle parole e può polarizzare l’interpretazione di formazioni plurivoche, come “lavapiatti” (la persona addetta a lavare i piatti, ma anche l’apposita macchina).

In italiano le parole composte sono meno numerose rispetto al tedesco; per rendere gli stessi concetti si preferisce la derivazione (“dentista”, da “dente”) e la formazione di strutture sintattiche (“ferro da stiro”). Confrontando le due lingue, dunque, a un unico lessema tedesco corrisponde, nella maggior parte dei casi, un’espressione analitica in italiano. Anche nell’abbinamento verbo-nome, per cogliere il senso del composto italiano nella sua totalità è necessario ‘uscire’ dagli elementi costituenti: a differenza del tedesco, sussiste un rapporto di reggenza sintattica tra verbo e nome a cui bisogna guardare.

Le nuove parole in Covid-19

Impfneid (il senso di invidia che si prova nei confronti di chi è già stato vaccinato); Abstandsbier (la birra bevuta con altri ma con la distanza di sicurezza); Klopapierhamster (chi durante il lockdown fa scorte eccessive di carta igienica); Kuschelkontakt (un contatto, cioè una persona-contatto, qualcuno che si può vedere, nonostante il distanziamento, ‘per le coccole’: da Kuscheln, ‘coccolarsi’); Maskentrottel (chi non indossa correttamente la mascherina: da Trottel, scemo). Sono giusto alcune nuove parole riportate nello studio tedesco del Leibniz-Institut.

Al di là della predisposizione compositiva del tedesco a coniare lessico, la pandemia ha portato molte lingue (tutte?), a creare parole; non in modo altrettanto prosaico ed esplicito, ma, forte anche della velocità con cui si è imposta, ha modellato il patrimonio linguistico già in essere. Non che si possa considerare la pandemia un agente, una sorta di mitologico ente surnatante sulle nostre vite reali: vi si riferiscono piuttosto tutte le possibili relazioni di potere, che ne sono state pesantemente toccate. Relazioni che guidano la costruzione e che in qualche modo portano avanti, venendone a loro volta influenzate, un sistema di valori.

Questo turbamento sembra aver radicato, in questo anno e oltre, il proprio carattere globale, inclusivo e di reclusione. Quindi possiamo considerare i parlanti (Noi, richiamando l’avanguardistico romanzo di Zamjatin) introdotti, in un processo di omologazione, verso un lessico pandemistico, come risultante di un processo storico che ha avuto bisogno di descrittori nuovi. O che ha saputo pescare nella sofferenza di molti, un’infinità di nuovi bisogni o di bisogni più adatti a un determinato modo di vivere, imposto dal virus e dalle istituzioni.

Ma il linguaggio, seppur nuovo e rinnovato, non dovrebbe essere considerato a priori figlio della pandemia. Dovrebbe rimanere abilità creativa dell’uomo che vive il proprio contesto, in termini reali e figurativi. È importante dunque che il contesto non prevalga su quella che è una competenza flessibile e pluripotente, fissandola in un rigore di convenzioni che rispecchia la regolamentazione del comportamento in maniera trasversale.

Esplorando il Neologismenwörterbuch (il dizionario dei neologismi) dell’Istituto Leibniz ci inoltriamo in un bosco di parole regolarmente strutturate ma dal significato poliedrico, soprattutto se decontestualizzato. Perché oltre a un contesto produttivo, dovremmo considerare anche il contesto come campo d’uso di nuove forme di produzione. Tredici parole associate a “party” (per lo più virtuale), un ventina di composti con la parola “distanza” (Distanz) come determinante. Vi si legge dell’Einkaufshelfer (chi aiuta qualcun altro con gli acquisti), dell’agghiacciante e commovente CoronaFußgruß (corona saluto-piede, dove il desiderio di contatto, se è lecito usare questa parola, prova a convivere con l’obbligo di distanza), di Balkonsänger (il cantante del balcone, o dal balcone), di Hamsteritis (urgenza di accumulare cibo, da Hamster, criceto). La poetica arriva a richiamare alla morte invece che aiutare a superarne il trauma: si trova infatti Todesküsschen (bacio della morte) per definire un bacio amichevole sulla guancia, che deve essere ostracizzato in quanto gesto rischioso. Infine la quarantena, Quarantaene, si fa determinante o determinato di circa quindici composti.

Nel vocabolario italiano, appoggiandoci al supporto del Glossario Covid-19 elaborato nell’ambito del progetto di collaborazione fra Eurac Research e l’Ufficio Questioni linguistiche della Provincia autonoma di Bolzano (ConsTerm), balza all’occhio come, anche per ‘limitatezza’ nelle potenzialità compositive dell’idioma, ci siano diverse forme ellittiche, il che di per sé presuppone un’elaborazione psicolinguistica meno diretta di un singolo lessema. Per esempio: “semimaschera” (forma ellittica di “respiratore a semimaschera”), “mascherina chirurgica” (forma ellittica di “mascherina medico-chirurgica”), “isolamento fiduciario” (“isolamento domiciliare fiduciario”), “focolaio” (“focolaio epidemico”), “distanza interpersonale” (“distanza di sicurezza interpersonale”), “autoisolamento” (“autoisolamento domiciliare”).

Come nel dizionario dei neologismi tedesco, anche in quello trilingue sono riportate le definizioni. Quella di “distanziamento sociale”, adottata anche dall’Istituto Superiore di Sanità, suona così: “Misura di salute pubblica consistente in diversi tipi di intervento, che vanno ad aggiungersi ad altri provvedimenti come la promozione di una maggiore igiene delle mani o l’utilizzo di mascherine, allo scopo di prevenire contagi e contenere un’epidemia. Fra gli interventi più comuni si annoverano l’isolamento dei pazienti, l’individuazione e la sorveglianza dei contatti, la quarantena per le persone esposte, la chiusura delle scuole e dei luoghi di lavoro o l’adozione di metodi per lezioni scolastiche/universitarie e lavoro a distanza. Si aggiungono inoltre anche i provvedimenti che limitano l’assembramento di persone, come le manifestazioni sportive, fino ad arrivare alla restrizione dei viaggi internazionali” (6).

Se consideriamo il sintagma nei suoi costituenti, a partire da un dizionario antecedente al 2020, possiamo definire nelle loro funzioni di concetti, e come parti del discorso dotate di specifiche caratteristiche, le parole “distanziamento” e “sociale”. Potremmo poi, senza filtri interpretativi precostituiti, considerare il particolare tipo di condizione che deriva dal fatto che lo stiamo sperimentando da più di un anno, a causa della pandemia da Coronavirus. Invece, con il pacchetto lessicale ci viene fornito anche un pacchetto semantico. Il distanziamento sociale diventa specifico non solo dello spazio tra due corpi ma diventa i corpi stessi, che devono essere rivestiti in un certo modo e adottare determinate relazioni con lo spazio. Ecco che ci viene consegnato anche l’insieme delle relazioni di potere interne ed esterne, sul corpo e tra i corpi.

Giornalisti e linguisti si affacciano con curiosità e una certa dose di simpatia verso la creatività lessicale di questi tempi. Negli interventi, facilmente reperibili sul web, si sottolinea come le persone abbiano traslato, forse per necessità pratica, forse per necessità psicologica a non abbandonare il legame a una realtà pre-pandemia, il campo semantico e d’uso di oggetti comuni, protagonisti di una mediana quotidianità, irrinunciabili: scopa, vestiti, parti del proprio corpo diventano unità di misura, assimilate ai segni che ormai tappezzano le strade su cui camminiamo, le vetrine (buie) attraverso cui cerchiamo un movimento umano. Frecce bidirezionali, linee tratteggiate, figure umane stilizzate le cui posture vitruviane dettano le proporzioni di uno spazio sicuro. Non manca l’ironia: “covida” (movida in epoca Covid), “covidiota”, “coronazi”, “corona-fake”, “coglionavirus”, anche se il procedimento compositivo è meno diretto di quello tedesco, tanto da risultare (per fortuna ancora!) forzato. Ma assieme alle espressioni goliardiche, il nuovo parlato e scritto, anche tecnico in senso lato, pullula di acronimi, composti, polirematiche, sintagmi e locuzioni di vario tipo che denunciano sentimenti negativi, soprattutto se privati di spazio e tempo di elaborazione proattiva: paura, ansia, angoscia, tristezza, rabbia. Si fa credito di significato anche a parole che sono nate prima della pandemia, ma che forse erano sinora rimaste all’interno di nicchie d’uso.

Per esempio, “Fomo”: acronimo di “Fear of missing out” (paura di rimanere escluso), “che si riferisce alla sensazione d’ansia provata da chi teme di essere privato di qualcosa di importante se non manifesta assiduamente la sua presenza tramite i mezzi di comunicazione e di partecipazione sociale elettronici interattivi”, recita la Treccani. Si è giunti a parlare di “vaccine Fomo”, a cui si danno risposte di confortante attesa, il turno arriverà per tutti, con vocazione quasi evangelica. “Vaccine Fomo, we’ve got it bad. People lucking into spare doses. Friends gathering with friends. Family members making travel plans. Other people’s vaccines are making us jealous” (Vaccine Fomo, siamo messi male. Gente che ha la fortuna di avere dosi di riserva. Amici che si riuniscono con amici. Familiari che fanno piani di viaggio. I vaccini degli altri ci rendono gelosi), si legge su The Boston Globe il 15 marzo 2021. “Dopo il Covid arriverà la Fomo. E l’ansia di vivere tutto quello che abbiamo perso. Fomo, Fobo (essere paralizzati di fronte a qualsiasi decisione, n.d.a.) e Foda (restare definitivamente paralizzati, immobili, n.d.a.): sono tutte facce della stessa medaglia. Quella che portiamo addosso da quando abbiamo i social e li usiamo per confrontare ogni attimo della nostra vita con quello che stanno facendo gli altri”, racconta l’Huffington Post (7) citando Patrick J. Mc Ginnis, studioso di Fomo dal 2004.

Mc Ginnis ne vede persino un potenziale risvolto positivo: “La Fomo, se tenuta sotto controllo, può fornire l’ispirazione per crescere, per affrontare un imprevisto, cogliere un rischio o per apportare un cambiamento nella tua vita. Puoi davvero imparare molto dalla Fomo se la ascolti. Dopotutto, ti sussurra costantemente all’orecchio per darti idee e ispirazioni. […] Se ti ritrovi ad avere sempre paura di essere tagliato fuori dalle opportunità o dalle decisioni, forse dovresti ascoltare quella vocina nella tua testa, quella che chiede: «E se?». La tua intuizione potrebbe dirti qualcosa di importante: che dovresti aprire gli occhi, guardarti intorno e provare qualcosa di nuovo. Affrontare un nuovo obiettivo, fare un nuovo passo e spezzare la routine. C’è un modo per canalizzare la tua paura per sempre. Prova a pensare in modo diverso. Smetti di ignorare le possibilità che si presentano, e pensa invece a come potresti effettivamente realizzarle”. Anche per Fobo e Foda si può trovare una soluzione, secondo lo studioso: “La chiave per prendere decisioni più rapide è avere un sistema di priorità (cioè concentrare il tuo tempo e la tua energia su decisioni importanti e non irrilevanti), poi strutturare un processo decisionale basato su fatti e dati, non sulle paure”.

E così, a una paura che abbraccia l’esistenza, fatta di salute corporea e relazioni intraspecifiche, si può pragmaticamente rispondere a suon di dati, di fatti, di strutturazioni di processi. Sars-Cov2 non avrebbe dunque intaccato il nostro globale essere postmoderni e la Fomo potrebbe diventare una risorsa sociale ed economica: gli influencer la pongono tra le opzioni per accelerare la campagna vaccinale (8).

In Lingue e Culture dei Media (9) anche Ilaria Bonomi e Mario Piotti si sono interrogati sui mutamenti e le innovazioni lessicali, e riportano alcuni neologismi costruiti sulla testa “corona”: “coronabond”, “corona-fake”, “corona-shopping”, e composti come “emergenza coronavirus”, “coronavirus economy”. Proliferano anche in italiano gli acronimi (esempio: DAD) e nuove parole nel campo semantico della distanza: “covidarium” o “reparto bolla”, “distanza doplet”, “mantenere il distanziamento” (e non la distanza).

Esiste poi la rivivificazione di parole preesistenti: “quarantena”, a cui si può opporre più modernamente e genericamente “isolamento” per ciò che dovrebbe comunicare al soggetto/oggetto. Empiricamente, si può andare su Google e avviare la ricerca: circa 16 milioni di risultati. E solo dalla seconda pagina si iniziano a trovare definizioni estranee, che di fatto precedono, l’attuale contesto pandemico. Oppure “coprifuoco”: 3 milioni di risultati. Forse perché abbiamo atteso la seconda ondata per rivivificare il vocabolo, la ricerca riporta la definizione di Wikipedia in primis, ma poi seguono Dpcm, multe, zone colorate.

Il neologismo può nascere anche dall’insieme di elementi grafici (lettere) in una sequenza già nota ma la cui concettualizzazione diventa ambigua o addirittura slitta verso altri mondi: “positivo”, “tampone”, “virale”.

Gli anglicismi vengono ben prima del coronavirus Sars-Cov2. L’Unione Nazionale Consumatori (10) riporta dieci termini necessari per spiegare la pandemia, dei quali lockdown: “in italiano si può tradurre con le parole ‘blocco’ o ‘isolamento’. Con l’inizio della pandemia è stato utilizzato in Italia in riferimento alle misure di contenimento (chiusura di attività considerate non primarie, blocco degli spostamenti) attuate dal governo, così come da altri Paesi, per limitare al massimo il contatto tra persone e contenere così il contagio”. Siamo dunque al cospetto di un sostantivo anglofono che abbiamo assimilato non nel suo significato primario e letterale (blocco o isolamento) ma già come risultato di una elaborazione e un’astrazione: in seno a tale sequenza di lettere è descritto un comportamento. Quindi con una sola parola arriviamo diretti a una narrazione, senza necessità di esplicitarne la contestualizzazione, o la specificazione qualitativa o quantitativa delle relazioni agente-azione/agente-agente che la sottendono.

Possiamo anche considerare come la percezione emozionale stia mutando (se non è già completamente ribaltata) rispetto ad alcune parole, ed è evidente nel fatto che nei ‘nuovi vocabolari’ vengono sottolineate le sfumature cangianti dei lemmi. Nella sua lista, Claudia Fiasca su Fondazione Leonardo (11) evidenzia come “abbracciare” sia un atto vietato, come il “bollettino” sia da subito quello dei contagi e dei morti.

Sorte toccata anche a “maschera”, che di per sé traduce finzione, occultamento, de-soggettivazione, alterità. Si definisce antropologicamente come “finto volto, di cartapesta, legno o altro materiale, riproducente lineamenti umani, animali o del tutto immaginari e generalmente fornito di fori per gli occhi e la bocca” scrive la Treccani. Fin dal Paleolitico usiamo le maschere per sdoppiarci: “Significato e funzione variano […] di modo che ogni generalizzazione sarebbe arbitraria. Volendo fissare tuttavia, genericamente, alcuni significati più frequenti, si può dire, anzitutto, che l’atto di portare una maschera implica normalmente il desiderio di cancellare o nascondere temporaneamente l’individualità umana del soggetto, sostituendole un personaggio diverso”. Adesso è metonimia e sineddoche di dispositivi di protezione, di riparo, di difesa, di non-contagio.

Anche l’Esercito cambia ruolo e si mostra un’entità semantica flessibile: ha trasportato le salme della prima ondata, si prepara alla chiamata alle vaccinazioni.

Mentre l’ondata, nella sua accezione fenomenologica, fa acqua da tutti i pori (mi si perdoni la facile battuta). Ormai, nel parlato, va di pari passo al bollettino sopra citato, tenendosi ben lontana dal mare.

Infine, rivivificazioni e slittamenti bene si inseriscono in un continuum di retorica che ha recuperato ampi campi culturali: epica e guerra l’hanno fatta da padrone.

Il marketing cavalca il virus

Negli anni ‘50 lo psicologo Abraham Maslow ha proposto un modello motivazionale dello sviluppo umano. Sussiste in una gerarchia di bisogni, disposti a piramide – da cui la “piramide di Maslow” – in base alla quale la soddisfazione dei più elementari è condizione necessaria per fare emergere quelli di ordine superiore. Dopo i bisogni essenziali fisiologici (fame, sete, sonno, termoregolazione) vengono quelli di sicurezza (protezione, tranquillità, prevedibilità, soppressione di preoccupazioni e ansie ecc.). Tendendo al vertice si incontrano i bisogni più immateriali, fino al compimento dell’aspirazione individuale a essere ciò che si vuole essere sfruttando le facoltà mentali e fisiche.

Non si può negare che gli italiani, ma non solo, abbiano salito i primi gradini della piramide nelle iniziali fasi della pandemia, a primavera 2020, e forse si stiano ora dotando di ‘competenze’ per raggiungere il vertice. Si dovrebbe riflettere se, nel ritornare a guardare ai bisogni essenziali, siamo stati protagonisti attivi o passivi, e se si stanno ponendo le basi, se non altro economiche, per evitare di sentire l’esigenza, al termine di Covid-19, di cambiare piramide. Ma poiché il tempo stringe su molti fronti – economico, dei vaccini, dei contagi e dei morti – è necessario che l’offerta si predisponga ad accogliere le istanze di necessità, anche selezionando, in nome del profitto, alcune di esse a scapito di altre.

In modo confondente vale la pena dunque, da parte delle imprese, far sì che ci sia spazio mentale e volitivo per arricchire le competenze digitali e di pianificazione, in video-pantomime di riunioni di lavoro, di aperitivi, di natali e di capodanni. Condizione necessaria per ottenerlo è aggiornare la propria comunicazione, gli spazi (virtuali), le scelte linguistiche. Al marketing non sono mancate le occasioni di lavorare, insomma, e i brand hanno potuto cogliere un’opportunità di riflessione sulla loro identità (figurata!), sui punti di forza, sulle debolezze, sulla differenziazione al fine di emergere. Perché l’importanza di rimanere in sintonia con il proprio ‘pubblico’ è capitale!

Raffaella Pierpaoli, a giugno 2020, su Network Digital 360 riportava alcuni esempi: “Esselunga ha dimostrato la sua gratitudine verso i suoi dipendenti ma anche verso i suoi clienti con un video, Tesco con #foodlovestories li ha direttamente coinvolti per realizzare uno spot, Paluani ha continuato la sua strategia su Instagram usando l’ironia anche in un momento difficile come il lockdown, mentre Nutella con l’hashtag #vasettochallenge ha coinvolto la sua community nel riutilizzare il vasetto nelle forme più creative, mentre il Paese era costretto a restare a casa. Coca-Cola ha, invece, fatto una scelta diversa sospendendo, ma comunicandolo, tutta la pubblicità e donando in Italia 1,3 milioni di euro a Croce Rossa Italiana assieme a Cesare Cremonini toccando il ‘bisogno di sicurezza’” (12).

Benedetta Gargiulo, a novembre 2020, sottolineava che “il cliente si deve sempre riconoscere in messaggi che parlano il suo linguaggio, che si sintonizzano con le sue emozioni rispondendo ai suoi bisogni consci e inconsci” (13). Ma è anche possibile che sia più facile agire su un cliente fragile e instabile (emotivamente ed economicamente, soprattutto), polarizzarne i bisogni e far sì che i suoi sistemi di riconoscimento dei messaggi siano più direttamente aperti ad assimilarne alcuni, tra i tanti proposti; in modo non casuale, ovviamente.

Sembra inoltre che i brand abbiano dei valori. Francesca Casadei, parlando di strategia di marketing, sottolineava a novembre 2020 che alcune imprese hanno vinto sulla negatività della pandemia sapendo bilanciare “la comunicazione di benefit di natura funzionale con la comunicazione di benefit di natura personale, esattamente come accade nelle relazioni umane. Durante il blocco primaverile 2020 molte aziende hanno offerto servizi e prodotti utili per stare vicini alle persone e altre hanno usato la comunicazione per raccontare una storia” (14). Creare una relazione, una reciprocità con i consumatori, conversazioni multilaterali, più reti di comunicazione e quindi più consumatori, è dunque l’obiettivo a cui dovrebbero puntare i brand.

Con la solita ricerca su Google emerge chiaramente come il marketing sia tutt’altro che depresso e sconfortato dalla diffusione di Sars-Cov2. I nomi dei siti evocano ninja, accelerator, guru, beyond limits, mentre i titoli degli articoli guardano già oltre, after- o post-Covid. Magnifiche sorti e progressive!

Tra le merci più vendute, la mascherina, ovviamente, essendo l’uso obbligatorio per legge. E ben presto sono comparse le “mascherine personalizzabili”. “Tra gli articoli più richiesti in questo periodo ci sono le mascherine personalizzate, non sono soltanto utili ma addirittura necessarie per tutti, dai bambini agli adulti, dagli studenti ai lavoratori. Si tratta inoltre di un gadget aziendale che ha una altissima visibilità perché le scritte o i loghi presenti sulle mascherine vengono notati da chiunque entri a contatto con le persone che le indossano” (15). “La nostra Mascherina Ultra presenta un’area dedicata per la stampa del tuo logo e slogan. Dotato di elastici flessibili e materiale morbido, il modello Ultra è una soluzione comoda ed elegante per le situazioni in cui viene suggerito o richiesto di coprire il viso. Ordina in grandi quantità le mascherine per la tua azienda” (16). “Se stai cercando una mascherina da indossare quotidianamente durante le tue uscite, al supermercato, in ufficio o per strada, Pixartprinting mette a tua disposizione una vasta gamma di opzioni. Scegli tra la Mascherina Basic, la trumask e la Ninja Mask. Personalizza la tua oppure scopri tutti i design disponibili” (17).

Comoda? Elegante? Gadget. Dal campo della salute al merchandising. Per inciso: la mascherina non serve a coprire il viso ma a evitare una trasmissione interindividuale di caratteristici veicoli di microrganismi potenzialmente patogeni. Ed è difficile riuscire a stratificare nella piramide di Maslow le capacità, le funzioni e le competenze che permetterebbero di personalizzare un dispositivo di protezione, che in quanto tale allontana il soggetto da tutto ciò che di comunitario e sociale si vorrebbe attribuire al dispositivo stesso (simpatia, eleganza, comunicazione…).

Conclusioni

Le nuove parole, i mutamenti gergali, saranno destinati a resistere? A restare dopo essersi diffusi, a creare una propria immunità di gregge senza più la necessità di nominare i referenti – la pandemia Covid-19 – a cui rimandano?

Vale la pena riflettere anche sul piano temporale. Una delle trasformazioni più importanti avvenute in Europa dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente fu la rottura dell’unità linguistica, basata sull’uso del latino. Si ebbe il passaggio a numerosi idiomi locali. In Italia, l’esigenza di una lingua unitaria maturò tra il 1200 e il 1300, con la nascita della letteratura in volgare. La linguistica studia le parole come risultanti di processi che viaggiano attraverso i secoli. Ancora oggi si fa riferimento a categorizzazioni che ci riportano alle origini ‘indo’ del parlato ‘europeo’. Quindi il percorso da morfema, a occasionalismo, a lessema è una vera avventura, non un passaggio immediato.

La produttività di un processo di formazione è soggetta a restrizioni a tutti i livelli della lingua, sul piano fonologico, morfologico, sintattico, semantico e pragmatico; per coniare un nuovo termine deve sussistere un concreto bisogno di denominazione. Molti composti morfologicamente motivati non entreranno mai nel lessico, poiché esauriscono il bisogno comunicativo nel preciso contesto in cui vengono formulati. Il linguaggio pertanto non è un fenomeno culturale statico (intendendo con ‘culturale’ anche antropologico e sociale, e perché no, economico); è un epifenomeno dinamico che muta con i cambiamenti del modus vivendi, usi e costumi, a sua volta influenzandoli.

È innegabile che Sars-Cov2 e i suoi riflessi pandemici abbiano stravolto il nostro modo di vivere. Non è tanto questo che dovrebbe sorprendere, ma la rapidità con cui il cambiamento è avvenuto. Il nostro modo di comunicare si è adattato con la stessa velocità.

Parallelamente al linguaggio, in maniera solidale a esso, si modifica il modo in cui pensiamo: in termini di scala di valori, di tempo relativo all’attività cerebrale esplicitata, quanto essa può essere parte di processi cognitivi impliciti (una volta che si impara a guidare o a sfogliare un libro da destra a sinistra, non si ragiona su ciascun singolo passaggio per evitare che l’auto si spenga o per cercare un senso logico a frasi stampate). La rapidità del formarsi e diffondersi di nuove parole, in quest’epoca di pandemia Covid-19, non può dunque essere sottaciuta né può essere accettata come del tutto casuale. Ci dovremmo chiedere quanta lestezza, tempestività, urgenza possano indurre un’inversione di ruoli: quanto l’immissione di queste numerose nuove parole sia in grado di plasmare il nostro modo di pensare; quanto, apparentemente semplici e scontate, costruzioni fonologiche e grafologiche, possano in breve tempo consolidarsi in locuzioni semantiche, in concettualizzazioni di uno status quo che supera la storia in quanto processo in divenire. Se possiamo accettare che la pandemia Covid-19 faccia parte di questa epoca storica, possiamo speculare sul fatto che il nostro modo di comunicare abbia fatto un passo più lungo, andando oltre, ponendo forse le basi perché si costituisca un sur-pensiero (per citare Augé) di un uomo nuovo?

Considerando dunque che la plurifattorialità andrebbe sempre presupposta nel mutamento linguistico, con cosa stiamo parlando? Con un sistema di termini di tipologia ancora morfemica e che possiamo tenere a freno nella soffocante atmosfera della pandemia Covid-19? O stiamo facendo pratica con una prassi comunicativa che ci manterrà distanti, isolati, in trepidante attesa di un vissuto fuori posto ma pervicacemente alla ricerca di un posto nella comunità del silenzio e della paura, nel reale fuor di virtuale, nella fisicità che oggi solo i brand ci consegnano, con le loro merci, per il loro profitto e il nostro consumo?

Per concludere e dissipare qualsiasi imputazione di moralismo, torna utile una precisazione dal Leibniz-Institut für Deutsche Sprache, relativa alla strutturazione di un dizionario: “In media le parole vengono monitorate per due o tre anni prima di essere raccolte in un dizionario. Se il vocabolo è legato a uno specifico settore, lo studio può durare fino a dieci anni”, poiché in questo caso occorre aspettare che la parola passi dal linguaggio settoriale all’uso comune. Anche no.

1) https://www1.ids-mannheim.de/neologismen-in-der-coronapandemie/

2) http://bistro.eurac.edu/

3) https://ivdnt.org/

4) https://cdt.europa.eu/en/news/covid-19-multilingual-terminology-available-iate

5) “Il sintagma è una struttura linguistica costituita o da una sola parola o da una combinazione di (due o più) elementi che formano un’unità costruita intorno a un nucleo (denominato testa del sintagma) e dotata di comportamento sintattico unitario”, cit. da dizionario Treccani

6) https://www.iss.it:24.03.2020/Ralli

7) Nicoletta Moncalero, Dopo il Covid arriverà la Fomo. E l’ansia di vivere tutto quello che abbiamo perso, Huffington Post, 10 marzo 2021

8https://hbswk.hbs.edu/item/how-influencers-celebrities-and-fomo-can-win-over-vaccine-skeptics

9) Cfr. Translation Centre europeo, cit.

10Cfr. Rocco Bellantone, Covid-19, tutte le nuove parole della pandemia, Consumatori.it, 3 novembre 2020 https://www.consumatori.it/emergenza-coronavirus/covid-19-vocabolario-pandemia/

11) https://fondazioneleonardo-cdm.com/it/news/dizionario-del-coronavirus-1/

12) Raffaella Pierpaoli, La piramide di Maslow e la sua attualità nella comunicazione, Network Digital 360, 3 giugno 2020 https://www.digital4.biz/marketing/la-piramide-di-maslow-e-la-sua-attualita-nella-comunicazione/

13) Benedetta Gargiulo, Copywriting perno del marketing online: dà le “parole giuste” alla brand experience, Network Digital 360, 6 novembre 2020 https://www.digital4.biz/marketing/copywriting-seo/

14) Francesca Casadei, Dal Media Planning alla Media Experience: così la pandemia cambia la comunicazione dei brand, Network Digital 360, 12 novembre 2020 https://www.digital4.biz/marketing/brand-purpose-avere-uno-scopo-comune/

15) https://www.stampasi.it/mascherine-personalizzate

16) https://www.flashbay.it/mascherine/ultra

17) https://www.pixartprinting.it/emergenza-coronavirus/dispositivi-protezione/

FONTE: https://rivistapaginauno.it/virus-volant-verba-manent-il-lessico-al-tempo-del-covid-19/

 

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

I legislatori statunitensi votano per affrontare l’islamofobia globale, ma Israele sarà indagata?

A giudicare dal voto serrato di questa settimana sulla lotta all’islamofobia e dalle rivelazioni sensazionali di un importante gruppo musulmano degli Stati Uniti, il tentativo del presidente Joe Biden di portare gli Stati Uniti in un nuovo periodo della storia e di uscire dall’era post-11 settembre pur rimanendo, quasi, il unica superpotenza, dovrà affrontare alcune delle sue più grandi sfide. Ripulire la corrente xenofoba del razzismo anti-musulmano che si è scatenata con la “Guerra al terrore” e indagare sulla collaborazione di Israele con l’industria globale dell’islamofobia sono solo alcune delle salite da scalare.

Biden è arrivato con l’impegno di porre fine alle “guerre per sempre” degli Stati Uniti e riorientare la politica estera degli Stati Uniti dalla sua ossessiva attenzione di due decenni sulla lotta al terrorismo alla preparazione degli Stati Uniti per le sfide del ventunesimo secolo. Questi includono guidare il mondo nella lotta ai cambiamenti climatici, rivitalizzare la democrazia e preparare gli Stati Uniti e i loro alleati a una competizione duratura con la Cina e, in misura minore, la Russia.

Eppure, nonostante la ricalibrazione delle priorità degli Stati Uniti per il futuro, le infrastrutture e il discorso razzista che hanno permesso una guerra apparentemente senza fine in Medio Oriente per due decenni, rimangono al loro posto. La sfida principale per Biden non sarà riorientare l’esagerato complesso militare-industriale, che si trova al centro dell’infrastruttura della Guerra al Terrore. I produttori di armi possono, e lo faranno, trovare nuovi nemici e continuare a raccogliere profitti ancora maggiori.

Altre caratteristiche disfunzionali dell’era dell’11 settembre saranno molto più difficili da risolvere, vale a dire l’accelerazione delle tendenze autoritarie in tutto il mondo, dove la minaccia del “terrorismo musulmano” viene sfruttata per giustificare gravi abusi dei diritti umani e sovvertire la democrazia. Inutile dire che la paura del terrorismo e le teorie del complotto sulla “sharia strisciante” hanno messo radici profonde nella cultura e nella società, non solo negli Stati Uniti, ma anche in tutto il mondo.

Persone come il presidente cinese Xi Jinping hanno adottato il modello della Guerra al terrorismo degli Stati Uniti, così come molti regimi in Medio Oriente. Ricordiamo come Obama ha cercato di chiudere Guantanamo Bay all’inizio della sua presidenza. Aveva in programma di rilasciare alcuni detenuti uiguri per dimostrare che il governo degli Stati Uniti era disposto a fare la sua parte. La proposta di Obama è stata accolta con una dura opposizione, con conseguenti restrizioni che hanno impedito la chiusura della prigione. I politici repubblicani hanno guidato l’accusa contro Obama. Hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che affermava che gli uiguri: “Hanno visioni religiose radicali che rendono difficile per loro assimilarsi alla nostra popolazione”. La loro dichiarazione suonava esattamente come la propaganda schierata dal Partito Comunista Cinese riguardo alle sue azioni nello Xinjiang.

Il tentativo di Biden di sostituire apparentemente l’architettura della Guerra al Terrore che ha animato gli Stati Uniti per così tanto tempo con un diverso progetto generazionale decennale è ancora una volta osteggiato dai repubblicani. Hanno dimostrato che, più di chiunque altro, i membri repubblicani del Congresso sono i più forti oppositori degli sforzi per affrontare le correnti xenofobe che hanno alimentato l’ostilità anti-musulmana negli ultimi due decenni con il loro voto unanime contro un nuovo disegno di legge per combattere l’islamofobia.

Intitolata Combating International Islamophobia Act , la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha votato questa settimana per sostenere un disegno di legge per combattere il razzismo anti-musulmano. Le misure previste nel disegno di legge richiedono che il Dipartimento di Stato istituisca un ufficio guidato da un inviato speciale che pubblicherà un rapporto annuale che registri i casi di islamofobia, comprese le violenze e le molestie contro i musulmani e il vandalismo delle loro moschee, scuole e cimiteri in tutto il mondo.

Oltre a registrare casi di razzismo anti-musulmano, i rapporti evidenzieranno gli sforzi di propaganda da parte dei media statali e non statali: “Promuovere l’odio razziale o incitare ad atti di violenza contro i musulmani”. Un esempio di ciò è stata la campagna di disinformazione anti-musulmana che è scoppiata in India durante lo scoppio della pandemia di Covid-19. Il rapporto includerà anche la documentazione di eventuali casi di lavoro forzato, rieducazione o presenza di campi di concentramento, come quelli che prendono di mira gli uiguri nella regione cinese dello Xinjiang.

Con i legislatori che hanno votato lungo le linee del partito – 219 a 212 – il disegno di legge è passato, ma solo per poco, evidenziando ancora una volta il profondo cuneo negli Stati Uniti quando si tratta di Islam e musulmani. Se i progressisti avessero insistito su una misura per rimuovere la repubblicana Lauren Boebert dai suoi incarichi in commissione per aver fatto commenti islamofobici, avrebbe potuto non essere approvata. La rappresentante del Colorado ha suscitato indignazione con il suo commento secondo cui Ilhan Omar, che è una delle prime donne musulmane elette al Congresso, potrebbe essere una terrorista.

I repubblicani, tuttavia, si sono fortemente opposti al disegno di legge durante il dibattito in aula. Dopo aver perso il voto, alcuni hanno sfogato la loro frustrazione sui social media in tipico modo islamofobo. Marjorie Taylor Greene, una rappresentante repubblicana della Georgia, ha ripetuto i suoi attacchi islamofobici all’autore del disegno di legge Omar in un lungo thread su Twitter, descrivendolo falsamente come di Omar: “Ultimo tentativo di costringere il mondo intero a sottomettersi all’Islam”. Greene è uno dei numerosi legislatori repubblicani che hanno fatto riferimento a Omar come membro della “squadra Jihad”.

La prova del pudding nel reset della politica estera di Biden sarà se l’ufficio istituito per combattere l’islamofobia internazionale sarà autorizzato a svolgere il suo ruolo in modo imparziale. È facile vedere come il lavoro di un tale ufficio possa essere diretto a esporre il razzismo e l’abuso dei diritti umani dei nemici degli Stati Uniti in un futuro stallo con la Cina e fornire la giustificazione retorica per la bellicosa politica degli Stati Uniti contro il Partito Comunista Cinese.

Un rapporto sulla lotta all’islamofobia globale non dovrà solo riferire su Cina, India e Myanmar, ma anche sui più stretti alleati degli Stati Uniti, compreso Israele. Nonostante una grande quantità di prove, è stata prestata pochissima attenzione alla sovrapposizione tra l’aumento dell’islamofobia a livello globale e i gruppi sionisti di estrema destra . L’idea dei musulmani come “altro”, come terroristi in mezzo a noi, ha creato una frattura politica e culturale di cui lo Stato di Israele ha beneficiato molto.

La prova sensazionale di questa sovrapposizione è stata rivelata questa settimana quando il Congresso ha votato il disegno di legge sull’islamofobia. Un importante gruppo per i diritti dei musulmani, il Council on American-Islamic Relations (CAIR), ha annunciato di aver scoperto e interrotto lo sforzo di anni di un gruppo di odio per infiltrarsi e spiare moschee e organizzazioni musulmano-americane.

Il CAIR ha affermato di essere stato informato di questo l’anno scorso quando ha appreso che più individui coinvolti nelle attività della comunità musulmana stavano agendo come spie per il gruppo di odio anti-musulmano, l’Investigative Project on Terrorism (IPT), guidato da Steven Emerson. Il Southern Poverty Law Centre ha descritto Emerson come un attivista anti-musulmano.

Ieri il CAIR ha fornito prove del legame tra il lavoro dell’IPT sull’islamofobia e lo Stato di Israele. Il campione di prove è “ampio”, con circa 100 file, e-mail e documenti che indicano che Emerson stava lavorando in collaborazione con il governo israeliano.

In un caso, il governo israeliano ha chiesto a Emerson di un gruppo di studenti universitari americani e se avesse legami con Hamas. Le prove fornite dal CAIR mostrano che Emerson era stato a Tel-Aviv con funzionari israeliani e che aveva inviato un’e-mail al personale su una richiesta urgente dall’ufficio dell’ex primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. La ricerca intrapresa dall’IPT per conto di Israele ha cercato di collegare Hamas con l’organizzazione terroristica Boko Haram. Emerson ha inoltrato la richiesta al suo staff, informandoli che la richiesta da Israele era urgente.

Per il CAIR, l’incidente ha sollevato diverse domande: “Cosa stava facendo il gruppo anti-musulmano con tutte le informazioni raccolte dallo spionaggio delle organizzazioni musulmane? Stava fornendo le informazioni ai governi stranieri e, in caso affermativo, cosa stava facendo il governo straniero? con quell’informazione?”

Queste sono senza dubbio questioni serie che qualsiasi ufficio installato dagli Stati Uniti per indagare sulla diffusione dell’islamofobia globale dovrà indagare. La domanda, tuttavia, rimane: gli Stati Uniti sono in grado di dare la priorità ai diritti e alle libertà dei loro cittadini musulmani rispetto all’interesse del loro cosiddetto alleato più stretto, che è stato colto in flagrante a collaborare con uno dei principali attori dell’industria globale dell’islamofobia?

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

FONTE: https://www.middleeastmonitor.com/20211218-us-lawmakers-vote-to-tackle-global-islamophobia-but-will-israel-be-investigated/

 

 

 

Quando il gioco si fa duro, monsignor Viganò non si sottrae. USA, tintinnio di sciabole

Tre generali pro-Deep State hanno inviato al Washington Post (proprietà di Jeff Bezos, il miliardario di Amazon, che l’ha comprato per 250 milioni per farne un organo del globalismo ) una scandalosa denuncia a per sventare in anticipo una vittoria elettorale di Trump e dei trumpiani nel 2024, qualunque sia il risultato del voto; non esitando ad accusare nominativamente generali avversi o sospetti di filo-trumpismo. Delineano un altro piano – militare questa volta, con mezzi militari – per sventare in anticipo una vittoria dell’elettorato repubblicano nel 2024. A questa grave provocazione si risponde con una intervista di militari opposti a monsignor Viganò di cui trattiamo alla fine della lettera dei tre :

Il titolo originale non ha bisogno di traduzione:

3 retired generals: The military must prepare now for a 2024 insurrection

i firmatari: Paul D. Eaton è un maggiore generale dell’esercito americano in pensione e consigliere senior di VoteVets . Antonio M. Taguba è un maggiore generale dell’esercito in pensione, con 34 anni di servizio attivo. Steven M. Anderson è un generale di brigata in pensione che ha prestato servizio nell’esercito degli Stati Uniti per 31 anni.

Mentre ci avviciniamo al primo anniversario della mortale insurrezione [dei trumpiani…] al Campidoglio degli Stati Uniti, noi – tutti noi ex alti ufficiali militari – siamo sempre più preoccupati per le conseguenze delle elezioni presidenziali del 2024 e per il potenziale caos letale all’interno delle nostre forze armate, che metterebbe tutti gli Americani a grave rischio.

In breve: siamo agghiacciati al pensiero di un colpo di stato che avrà successo la prossima volta.

Uno dei punti di forza del nostro esercito è che attinge dalla nostra popolazione diversificata. È un insieme di individui, tutti con credenze e background diversi. Ma senza una manutenzione costante, il potenziale per un crollo militare che rispecchi il crollo sociale o politico è molto reale.

I segnali di potenziali disordini nelle nostre forze armate ci sono. Il 6 gennaio un numero inquietante di veterani e militari in servizio ha preso parte all’attacco al Campidoglio. Più di 1 su 10 di quelli accusati per gli attacchi aveva un record di servizio.

Un gruppo di 124 ufficiali militari in pensione, sotto il nome di “Flag Officers 4 America”, ha pubblicato una lettera che fa eco ai falsi attacchi di Donald Trump alla legittimità delle nostre elezioni.

Recentemente, e forse più preoccupante, Brig. Il generale Thomas Mancino, comandante generale della Guardia nazionale dell’Oklahoma, ha rifiutato un ordine del presidente Biden che imponeva a tutti i membri della Guardia nazionale di essere vaccinati contro il coronavirus . Mancino ha affermato che finché la Guardia dell’Oklahoma non è mobilitata a livello federale, il suo comandante in capo è il governatore repubblicano dello stato , non il presidente.

Il potenziale per una rottura totale della catena di comando lungo linee partigiane – dalla cima della catena al livello di squadra – è significativo se dovesse verificarsi un’altra insurrezione. L’idea di unità che illegalmente si organizzano tra di loro per sostenere il comandante in capo “di diritto” non può essere respinta.

Immaginate comandanti in capo in competizioe: un Biden appena rieletto che dà ordini, contro Trump (o un’altra figura per Trump) che impartisce ordini come capo di un governo-ombra. Peggio ancora, immagina i politici a livello statale e federale che installano illegalmente un candidato perdente alla presidenza.

Tutti i membri del servizio prestano giuramento di proteggere la Costituzione degli Stati Uniti. Ma in un’elezione contestata, con lealtà divise, alcuni potrebbero seguire gli ordini del legittimo comandante in capo, mentre altri potrebbero seguire il perdente di Trump. 

Le armi potrebbero non essere protette a seconda di chi le controllava. In uno scenario del genere, una rottura militare potrebbe portare alla guerra civile.

In questo contesto, con le nostre forze armate azzoppate e divise, la sicurezza degli Stati Uniti sarebbe paralizzata. Ognuno dei nostri nemici potrebbe trarne vantaggio lanciando un assalto a tutto campo alle nostre risorse o ai nostri alleati.

La mancanza di preparazione militare per le conseguenze delle elezioni del 2020 è stata sorprendente e preoccupante. Agendo segretario alla difesa di Trump, Christopher C. Miller, ha testimoniato di aver deliberatamente trattenuto la protezione militare del Campidoglio prima del 6 gennaio

Il Gen. Mark A. Milley, il presidente del Joint Chiefs of Staff, s’è affrettato a chiamare la controparte cinese per garantire che la difesa nucleare della nazione le catene erano al sicuro da ordini illegali. È evidente che l’intero nostro esercito è stato colto alla sprovvista.

Con il Paese ancora diviso come sempre, dobbiamo fare i passi per prepararci al peggio.

Primo: bisogna fare di tutto per prevenire un’altra insurrezione. Non un solo leader che l’ha ispirata è stato chiamato a rispondere. I nostri funzionari eletti e coloro che applicano la legge – compreso il Dipartimento di Giustizia, il comitato ristretto della Camera e l’intero Congresso – devono mostrare più dedizione.

Ma i militari non possono aspettare che agiscano i funzionari eletti. Il Pentagono dovrebbe ordinare immediatamente una revisione civica per tutti i membri – in uniforme e civili – sulla Costituzione e l’integrità elettorale. Ci deve essere anche una revisione delle leggi di guerra e di come identificare e trattare gli ordini illegali.

E deve rafforzare “l’unità di comando” per rendere perfettamente chiaro a ogni membro del Dipartimento della Difesa a chi rispondono. Nessun membro del servizio dovrebbe dire di non aver capito da chi prendere ordini durante lo scenario peggiore.

Inoltre, tutti i rami militari devono svolgere un lavoro di intelligence più intenso in tutte le installazioni. L’obiettivo : identificare, isolare e rimuovere potenziali ammutinati; guardarsi dagli sforzi dei propagandisti che usano la disinformazione per sovvertire la catena di comando; e capire come questa e altre disinformazione si diffondono tra i ranghi dopo essere state introdotte dai propagandisti.

Infine, il Dipartimento della Difesa dovrebbe combattere la prossima potenziale insurrezione post-elettorale o tentativo di colpo di stato per identificare i punti deboli. Deve quindi condurre un debriefing dall’alto verso il basso delle sue scoperte e iniziare a mettere in atto misure di sicurezza per prevenire guasti non solo nell’esercito, ma anche in qualsiasi agenzia che lavori a stretto contatto con l’esercito.

I militari e i legislatori hanno avuto il senno di poi per impedire che si verifichi un’altra insurrezione nel 2024, ma ci riusciranno solo se intraprenderanno un’azione decisiva ora”.

Fin qui il Washington Post

Nel quadro di queste manovre dei “generali per Biden”, è avvenuto questo incontro del

The Fortnight Intelligence Briefing: 

(Briefing dell’intelligence quindicinale): intervista. Carlo Maria Viganò

Generale Thomas McInerney, Generale Paul Vallely, Colonnello Lawrence Sellin, l’esperta di medicina Mary Fanning

Un programma speciale in cui monsignor Viganò dialoga con un gruppo di capi militari (e non) cattolici statunitensi di alto livello che si interessano e organizzano la leadership spirituale necessaria in questo momento cruciale. Il  video allegato non è più disponibile: è stato censurato

https://youtu.be/ZKxW0pVXUsM

The Fortnight Intelligence Briefing  è una rubrica del sito American Report, un sito creato dal generale a riposo (classe 1939) Paul Vallely, l’analista militare più importante di Fox News.

https://theamericanreport.org/

Apparentemente, l’appello di monsignor Viganò ad una alleanza “anti-globalista e contro l’elite” non rimane per nulla generico.

Il video censurato da Youtube dell’intervista a Viganò è disponibile su Rumble al seguente link

https://rumble.com/vr17e9-the-fortnight-intelligence-briefing-john-b-wells-live.html

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/quando-il-gioco-si-fa-duro-monsignor-vigano-non-si-sottrae/

 

 

 

POLITICA

PALAZZO MONTECITORIO: LA KNESSET ITALIANA?

19 GIUGNO 2012

Nel forum, sempre interessante, degli amici di “Tradizione Cattolica”

(http://politicainrete.it/forum/religioni-filosofia-e-spiritualita/cristiani-e-cattolici/tradizione-cattolica/)

ho trovato questa interessante discussione, intitolata “La
knesset italiana”:

http://politicainrete.it/forum/religioni-filosofia-e-spiritualita/cristiani-e-cattolici/tradizione-cattolica/151280-la-knesset-italiana.html

da cui riprendo l’intervento introduttivo:

Nella ristrutturazione della pavimentazione di piazza Montecitorio, a Roma, è stata inserita una enorme menorah.
(…) la Kabbalah è parte della tradizione esoterica ebraica, è l’atto di ricevere, è spiritualizzare il mondo, è il livello più profondo della tradizione ebraica … ci sono anche esempi di recenti di «invasioni» della Kabbalah nell’arte italiana. Basta guardare la nuova piazza Montecitorio dell’architetto Franco Zagari. All’inaugurazione del 7 giugno 1998 nessuno si accorse del «segno». Eppure basta guardare la piazza dall’alto per accorgersene. Alla base del palazzo che ospita la Camera dei deputati ci sono tre strisce bianche ad anello tagliate in mezzo da una quarta linea bianca.
Tutto questo forma un candelabro ebraico a sette bracci, la Menorah, che fa concludere le sue fiammelle all’interno di Palazzo Montecitorio nella speranza che la luce potesse simbolicamente illuminare il tempio della democrazia (…)

In effetti, tutto ciò è vero! …

E, del resto, come non ricordare l’assegnazione, nel 2009, del premio “La menorah d’oro” a Gianfranco Fini, presidente della medesima Camera dei deputati, da parte di Sandro Di Castro, presidente della loggia romana del B’nai B’rith …

Quando si dice la laicità dello Stato …

Ma poi, adesso che ci penso … giugno 1998 … si era già nel nuovo corso – ultra atlantista e ultra sionista – della seconda Repubblica: di lì a poco (ottobre 1998), Massimo D’Alema sarebbe giunto alla presidenza del Consiglio, quella passata alla storia soprattutto per i massacri della Nato in Serbia e in Kosovo (Massimo D’Alema
cameriere della Nato
https://www.andreacarancini.it/2010/10/massimo-dalema-cameriere-della-nato/ ).

Ecco cosa scrisse in proposito, nel 2006, il giornalista Trowbridge Ford[1]:

“Fu solo a causa del suo [di D’Alema] sostegno alla campagna di bombardamenti NATO della Jugoslavia … che lo sforzo di Clinton riuscì, poiché l’alleanza militare non avrebbe potuto sostenerlo per più di qualche giorno senza ilsostegno fondamentale dell’Italia. Come Bob Woodward ha indicato in State of Denial, nella Casa Bianca sembrava probabile il suicidio di massa se l’Italia non avesse reso possibile la campagna di bombardamenti durata 78 giorni necessaria per costringere il presidente jugoslavo Slobodan Milosevic a cedere (p. 61). In tal modo, l’Italia guadagnò un nuovo rispetto presso gli israeliani, poiché si ebbe finalmente un paese europeo impegnato ad arrestare la minaccia del terrorismo internazionale[2]

In effetti, non poteva essere trovato simbolo più appropriato di quella che è di fatto una menorah pubblica
per il nuovo corso (e per le conseguenti guerre) della politica italiana:

http://it.wikipedia.org/wiki/Menorah_pubblica

Un’altra immagine di piazza Montecitorio ripresa dal sito di Gianluca Freda: http://blogghete.altervista.org/joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=753:per-chi-lavorano-i-nostri-politici&catid=31:scio-scio-scioa&Itemid=46

[1] https://wikispooks.com/wiki/Trowbridge_H_Ford

[2]
“It was only because of his support of NATO’s bombing campaign of Yugoslavia – what even Silvio Berlusconi and the right opposition opposed – that Clinton’s effort was successful, as the military alliance could not have sustained it for more than a few days without Italy’s ground support. As Bob Woodward has implied in State of Denial, mass suicide seemed likely in the White House if Italy had not made possible the 78-day bombing campaign required to force Yugoslav President Slobodan Milsoevic to cave in. (p. 61) By doing so, Italy gained new-found respect among
the Israelis since it finally got a European country involved in stemming the threat of international terrorism: http://cryptome.org/litvinenko-kill.htm

 

FONTE: https://www.andreacarancini.it/2012/06/palazzo-montecitorio-la-knesse/

 

 

Draghi incontra il Cancelliere tedesco Scholz: tra le priorità c’è accelerazione dell’integrazione europea

20 dicembre 2021 

(Teleborsa) – Prima visita ufficiale in Italia per il nuovo Cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che a Palazzo Chigi ha incontrato il presidente del Consiglio Mario Draghi. Al colloquio bilaterale è seguita una conferenza stampa dei due capi di governo. “Uno dei primi temi è la necessità di accelerare l’integrazione europea”, ha dichiarato Draghi. “Questa visita contribuisce e conferma la profondità del legame tra i due Paesi ed è nostra volontà collaborare per affrontare le grandi sfide europee”. Il presidente del Consiglio ha ringraziato Scholz per gli elogi della campagna di vaccinazione italiana “ma ancora c’è da lavorare e essere attenti: in cabina di regia questa settimana passeremo in rassegna eventuali provvedimenti in vista delle vacanze di Natale. Non c’è ancora nulla di deciso. Aspettiamo fino a mercoledì o giovedì dati di sequenziamento per vedere”, ha sottolineato Draghi.

Tra Italia e Germania c’è “una cooperazione e di lunga data. L’importante è fare progressi per l’Europa e i nostri due Paesi sono fondamentali per la riuscita di questa operazione. Serve una stretta cooperazione tra i nostri Paesi e siamo d’accordo per rafforzarla. Dobbiamo approfondire le nostre relazioni e vogliamo riavviare appena possibile consultazioni intergovernative. Possiamo fare un ottimo lavoro”, ha sottolineato il Cancelliere Olaf Scholz.

Parlando della riforma del Patto di stabilità il premier italiano ha detto: “Credo ci sarà un avvicinamento delle posizioni. La pandemia chiama tutti i nostri Paesi a finanziare progetti senza precedenti e imponenti. E bisognerà vedere come ci si muoverà: è un campo più semplice da affrontare di altri”. “Le regole che abbiamo hanno già la loro flessibilità, sulla loro base possiamo lavorare anche in futuro”, ha dichiarato Scholz. È una linea sulla quale “sono concordi anche i tre partiti che formano il nuovo governo tedesco”, ha affermato.

FONTE: https://www.teleborsa.it/News/2021/12/20/draghi-incontra-il-cancelliere-tedesco-scholz-tra-le-priorita-c-e-accelerazione-dell-integrazione-europea-177.html

 

 

 

STORIA

I servizi segreti sapevano in anticipo di Piazza Fontana?

Un aspetto ancora oscuro della vicenda della strage di Piazza Fontana riguarda le testimonianze di coloro che, presenti all’epoca del fatto, hanno poi riportato notizie che fanno pensare che la data e il luogo della strage fossero conosciute agli organi di sicurezza italiani prima che accadesse.

Una di quelle più interessanti è la memoria di Fusco di Ravello, importante avvocato romano legato al SID, che avrebbe ricevuto notizia della attentato da fonti appartenenti ai servizi la mattina del 12 dicembre, fallendo però nell’impedire la strage. In questo video andremo ad analizzare la sua testimonianza.

VIDEO QUI: https://youtu.be/v0D6kW64ob0

2 – continua

– I misteri di Piazza Fontana

2 – Taviani, i servizi, la strage

– La “pista greca”

4 – La “pista anarchica”

FONTE:

Il Mediterraneo delle Costituzioni.

Dalla Repubblica delle Sette Isole Unite agli Stati Uniti delle Isole Ionie 1800-1817

Rosa Maria Delli Quadri

Milano, FrancoAngeli, 224 pp., € 29,00 2017

Il volume analizza, dalla prospettiva delle Isole Ionie, alcuni temi cruciali che caratterizzano l’età napoleonica e il passaggio dall’ancien régime alla contemporaneità: la rinnovata centralità del Mediterraneo nella ri-definizione della geopolitica europea, la rivalità fra grandi potenze, il conflitto che coinvolge in particolare la Francia e la Gran Bretagna, a cui corrisponde il confronto tra due diversi modelli politico-istituzionali in grado di diffondersi rapidamente, innescando processi di modernizzazione e stimolando la nascita di identità nazionali e istanze autonomiste. Già studiati in relazione alla parte occidentale del Mare Nostrum, questi eventi vengono adesso letti da un punto d’osservazione originale, saldando le vicende dell’Europa postrivoluzionaria agli sviluppi della questione d’Oriente, e restituendo la centralità dell’Eptaneso per le sorti dell’intero Mediterraneo. Lungi dal rappresentare una «periferia », questo territorio si trasforma tra ’700 e ’800 in un laboratorio costituzionale, ma anche in una regione calda su cui si condensano le mire espansioniste di Francia e Gran Bretagna, e degli Imperi asburgico, zarista e ottomano. Una storia affascinante e ben ricostruita che segue la vicenda delle Isole Ionie dal 1797 (fine del dominio veneziano) al 1817. Un ventennio «concitato», in cui l’arcipelago è protagonista di eventi di rilievo che uniscono aspirazioni nazionali e relazioni internazionali: la prima occupazione francese e la sollevazione contro gli invasori in seguito alla pace di Tilsit; la creazione della Repubblica delle Sette Isole Unite – sostenuta da russi e ottomani – che nel 1803, prima fra tutti gli Stati mediterranei, si dota di una Costituzione; la riconquista da parte delle truppe napoleoniche (1807) e il successivo presidio inglese che sfocia infine nel protettorato, sancito dal Congresso di Vienna e coronato dall’emanazione della carta del 1817. Grazie all’uso di un’estesa mole di documenti e di una vasta letteratura, l’a. ricostruisce dettagliatamente il rapporto di protezione/controllo che la madrepatria britannica instaurò con i ceti dirigenti locali: emerge la dialettica fra le istanze di autogoverno delle élite – influenzate dal retaggio marciano – e le ambizioni «coloniali» inglesi, e spicca il ruolo dell’alto funzionario Maitland, che plasma una carta di stampo moderato e «paternalistico » in grado di demandare tutti i poteri al governo di Londra, sancendo «un palese passo indietro rispetto […] alla Costituzione del 1803» (p. 153). Più sintetica e meno esaustiva risulta l’analisi degli eventi precedenti al 1815. La loro collocazione su scala transnazionale avrebbe permesso di definire meglio il ruolo di laboratorio costituzionale assunto dal contesto mediterraneo, restituendo l’importanza del primato ionico, tratteggiando le convergenze con le vicende di altre regioni – si pensi alle «gesta» di Bentinck in Sicilia e in Catalogna, che anticipano quelle di Maitland nell’Eptaneso – e, in ultima analisi, ricostruendo la genesi dei risorgimenti nell’Europa meridionale.

FONTE: https://www.sissco.it/recensione-annale/il-mediterraneo-delle-costituzioni-dalla-repubblica-delle-sette-isole-unite-agli-stati-uniti-delle-isole-ionie-1800-1817/

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