RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
25 SETTEMBRE 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Nuota dietro lo squalo.
Troverai gli uomini
STANISLAW J. LEC, Pensieri spettinati, Bompiani, 2006, pag. 119
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SOMMARIO
Dubitare sempre
Gli EuroSpilorci hanno instaurato la spirale della morte
Recovery-Conte: tutti prigionieri, via il cash e 5G dal cielo
La via del post-totalitarismo
Il processo di Julian Assange: l’Impero ha gettato la maschera
Lamorgese confessa: “Spostati 8.400 migranti dalla Sicilia in tutto il resto d’Italia”
Cuties, un terribile specchio
Concita, Rula e il sessismo immaginario
Avellino, alunni divisi in classi di “bravi” e “meno bravi” per permettere distanziamento
Enrico Ruggeri: l’emergenza Covid sfruttata per tenerci zitti
L’età del conflitto
Cosa muove al disprezzo il sinistrese
Le guerre di Obama
Discorso di Lukashenko al popolo: “Siamo gli unici ad aver sconfitto una rivoluzione colorata”
Chi non compra libri è “Rinnegato e bastardo”. Parola (arrabbiatissima) di Giovanni Papini
Giovanni Papini aveva presagito i Social?
Il sito porno dell’ambasciata di Bruxelles mortifica YouPorn
I fallimenti aumentano nonostante trilioni di nuova liquidità
PIL Italia: S&P è ottimista, riviste le stime
Perché Deutsche Bank rottamerà il 20% delle filiali
Ecco come Mediobanca offre Mps a Unicredit, Bpm e non solo
No al vaccino antinfluenzale obbligatorio. Lo dice il Tar della Calabria
Niente processo alle toghe: seppellite le verità di Palamara
A un anno dall’insediamento, il Governo cambia i decreti immigrazione di Salvini
Così vogliono far ripartire il business dell’accoglienza
Proroga dello stato di emergenza, primo via libera della Camera alla conversione del DL 83/2020
Prorogare
Smart working, allarme capitale umano
Medio-oriente: accordi di pace e premi Nobel
I tre errori principali di Obama (soprattutto in Medioriente)
Una vittoria di Pirro
Coronavirus: terza ondata sarà il morbo di Parkinson, avverte uno studio
La violenza di Minneapolis è anche la risposta ai mandati di Obama, il presidente nero che ha amplificato le paure dell’America bianca
ARGOMENTI
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EDITORIALE
Dubitare sempre
Manlio Lo Presti – 25 settembre 2020
Fino a poco tempi fa erano esclusi giovani e bambini. Gruppi di esperti ripetevano che il caldo avrebbe ucciso il vairuss.
Adesso la megamacchina disinformativa comunica che molti ragazzi e bambini piccoli, perfino appena nati saranno contagiati.
Prossimamente saranno contagiati anche i feti …
Prossimamente saranno appestati anche i non-nati …
Prossim ……..
Eppoi, come dice la infernale Agatha, non ne rimase nessuno!
L’operazione degli specialisti del terrore è quello di coinvolgere nel piano di sovversione farma-terroristico i ragazzi e i bambini perché colpiscono nel profondo delle coscienze e perché fanno tenerezza.
Inoltre, estendere ai ragazzi la cosiddetta pandemia significa creare le prove che giustificheranno la imminente chiusura con i contagi che si verificheranno nelle aule.
Ma allora, a cosa servirebbe il distanziamento di un metro?
Ma allora, a cosa servirebbero i tavolini a rotelle (grande occasione di corruzione)?
Ma allora, a cosa servirebbero le mascherine?
È TUTTO UN COLOSSALE RAGGIRO che pochi percepiscono, purtroppo.
Vengono diffusi valanghe di dati contraddittori.
Lo scopo? La gente non deve capirci nulla!
Il virus fra i ragazzi è un altro tassello della strategia di demolizione della resistenza delle persone…
Ho sempre più dubbi sulla montagna di dati martellati 75 ore al giorno da una torma selvaggia di “esperti” che sono fra loro in disaccordo su tutto!
TUTTO CIÒ PREMESSO
La MEGAMACCHINA distribuisce dati che NESSUNO di noi è in grado di verificare. Ritenerli autentici è un vero e proprioATTO DI FEDE che fanno soprattutto i cosiddetti laici globalisti, il cui fideismo può definirsi fanatismo accecato dalla convinzione di essere sempre dalla parte giusta ed avere ragione ab aeterno …
P.Q.M.
Non faccio atti di fede con questi assassini psicopatici cocainomani serial kilkers screditati corrotti e, soprattutto, ricattati.
Fate come volete, ma almeno dubitate sulla veridicità dei dati diffusi con ossessivo martellamento che desta sospetto.
Il piano di sottomissione e di terrore continua
DUBITIAMO…. SEMPRE!!!
IN EVIDENZA
Gli EuroSpilorci hanno instaurato la spirale della morte
“L’Europa langue mentre l’economia americana avanza”: così titola Ambrose Evans-Pritchard, il miglior giornalista economico del Telegraph. E spiega che l’”Europa” sta ripetendo lo stesso (criminale) errore che commise Jean Claude Trichet, l’allora governatore della BCE, che nel 2008 aumentò i tassi mentre doveva abbassarli, regalando agli stati europei il quindicennio di gelo, disoccupazione strutturale e austerità da cui non riusciamo a uscire.
Trichet dimostrò allora (a chi voleva capire) che i tecnocrati, ammantati di pseudo oggettività “scientifica”, sono incompetenti come la casalinga di Voghera; e gli eurocrati ancora di più, visto che si son fatti dare l’impunibilità legale per non pagare i loro misfatti. Sono, per la scienza monetaria, quello che è Palamara per la “giustizia”.
Perché allora, nel 2008, la Federal Reserve americana i tassi li abbassò, come necessario, e sarebbe bastato a Trichet imitarla. O almeno chiedere consiglio: perché la Fed in questo gioco ci capisce.
Si dia per scontato il rischio altissimo che il pompaggio senza limiti di denaro operato dalla Fed fa correre; ma finché il capitalismo terminale è in corso, il gioco “è” quello, e non quello che vuole il tedesco Weidmann, con la sua tirchieria ottocentesca.
A forza di pompare per contrastare l’effetto del lockdown, informa Evans-Pritchard, “i rischi di una doppia recessione in America stanno diminuendo, con ordini alle imprese in aumento al ritmo più rapido in due anni. Le famiglie americane stanno ancora attingendo a $ 1,6 trilioni di risparmi in eccesso accumulati durante il blocco. Le vendite di case hanno raggiunto il massimo da 14 anni ad agosto.
“Gli Stati Uniti sono ancora in convalescenza, ma la spesa per le vendite al dettaglio ha retto meglio di quanto si temesse quando il Congresso [in odio a Trump] ha permesso che il pacchetto di aiuti da 600 dollari a settimana per 30 milioni di persone cessasse (temporaneamente) alla fine di luglio.
In USA, dollari in tasca per tutti
Oggi, ravveduto, “il Congresso si sta avvicinando a un accordo bipartisan del valore di $ 1.5 trilioni [da distribuire ai consumatori]: $ 500 miliardi per i governi statali e locali, un assegno settimanale di $ 450 per coloro che non sono in grado di lavorare e un pagamento di stimolo aggiuntivo di $ 1.200 per tutti . La Federal Reserve si impegnata a evitare qualsiasi ripetizione delle passate “impuntature”, mantenendo i tassi di interesse bloccati a zero e facendo funzionare l’economia fino al 2023, anche se l’inflazione supera il 2%”.
Come si sa, la Fed ha come mandato, prima della “stabilità” della moneta, di sostenere l’occupazione, mentre la BCE , per mandato, se ne frega dei disoccupati e deve impedire solo “inflazione”. Oggi, dice Ambrose, “ la Fed ha persino ridefinito il suo obiettivo occupazionale promulgando una fantasia massimalista: quello stimolo durerà fino a quando ogni uomo o donna senza salario non tornerà nella forza lavoro”.
E l’Europa? Sotto l’imperio degli Spilorci, “la ripresa dell’Europa stava già svanendo prima che la seconda ondata di Covid-19 colpisse: una “V” tronca, gravida di traumi economici, sociali e politici a venire. I servizi sono di nuovo in contrazione, anche in Germania. L’indice Stoxx 600 delle banche europee questa settimana è sceso al di sotto dei livelli visti durante la svendita panica di marzo, o addirittura quelli durante la crisi bancaria della zona euro.
La Banca di Spagna ha appena abbassato di nuovo le sue previsioni, prevedendo una contrazione del PIL fino al 12,6% quest’anno, con la piena ripresa solo fino al 2023. La Francia ha alzato leggermente le sue previsioni quest’anno a meno 10% (da meno 11%), ma potrebbe aver sparato a salve.
L’Italia? Anche senza secondo lockdown, “ i danni al di sotto della linea di galleggiamento delle aziende sono già gravi. La Review of Corporate Finance Studies – The Covid-19 Shock and Equity Shortfall – ha rilevato che il 17% delle 81.000 aziende italiane campionate avrà un patrimonio netto negativo entro un anno. Lo stesso modello vale probabilmente per l’intera Europa meridionale.
I leader dell’UE non hanno alcun margine economico con cui giocare. Si sono messi in “una lenta spirale di morte, aggravata dall’eccesso di regolamentazione e dai tassi negativi che erodono i loro modelli di prestito bancario tradizionale. Boston Consulting afferma che il margine di interesse netto delle banche è stato ridotto da 250 punti base a quasi zero. Gli istituti di credito dovranno presto affrontare il colpo di martello delle insolvenze di massa da Covid-19 quando cesseranno le garanzie sui prestiti statali. La Oliver Wyman Consulting stima che le perdite bancarie potrebbero raggiungere gli 830 miliardi di euro in tre anni, con metà del sistema di prestito europeo che sopravvive a malapena, incapace di generare abbastanza da utili non distribuiti per ricostruire le proprie difese. Stanno già agendo preventivamente per rafforzare le loro riserve di capitale, restringendo le linee di credito alle imprese vulnerabili, minacciando di innescare un circolo vizioso”.
E perché questa spirale della morte? Perché il Recovery Fund di 750 miliardi, esaltato dagli europeisti subalterni che ci governano come una pioggia d’oro immensamente generosa, è invece – per volontà degli Spilorci – una miseria, tragicamente insufficiente. E non basta: il denaro non si vedrà fino alla metà del 2021 e verrà poi distribuito come un velo sottile in tutta l’UE nell’arco di cinque anni, con vincoli politici annessi. Alcuni di essi sostituiscono la spesa già esistente. “L’impatto aggiuntivo è irrilevante”.
(“Volete sapere quanto pigliamo noi? Lo 1,9% del Pil su sette anni: lo 0,27% del PIL ogni anno manco ce ne accorgeremo“ (Cit. Musso)
La Ue entra in deflazione irreversibile, “ la giapponesizzazione. L’inflazione di fondo è scesa al minimo storico dello 0,4%. L‘inflazione complessiva è scesa a meno 2,1% in Grecia, meno 0,6% in Spagna e meno 0,5% in Italia, accumulando problemi per la dinamica del debito. Non c’è quasi nulla che la BCE possa fare per combattere questo congelamento deflazionistico o per rilanciare la crescita economica, a parte diventare una Reichsbank monetaria e finanziare direttamente i deficit. Tale azione, però”, è vietata dagli Spilorci: “ La Corte costituzionale tedesca è già sul sentiero di guerra, accusando la BCE di impegnarsi in salvataggi di stati insolventi”.
La Germania dice che, per lei, l’inflaziione è già salita oltre il 2% e la BCE deve smettere di pompare..
Una ottusità persino autolesionista, perché “l’Associazione europea dei costruttori di automobili ha emesso un avvertimento a tutto campo di una Brexit senza accordi porterà ” un disastro da 110 miliardi di euro” per il settore.
Ciò, nonostante non ci sia “alcuna pressione immediata sui mercati del debito dell’UE. Gli acquisti di titoli [pubblici e privati] della BCE coprono tutti i peccati. Gli spread di rischio si comportano magnificamente, restando bassi. Ma questo non è un equilibrio stabile. I rapporti del debito sovrano raggiungeranno livelli estremi in gran parte del blocco Club Med quest’anno, raggiungendo il 160% del PIL in Italia. Il problema è che l’economia europea è incapace di generare una crescita autosufficiente ed è in crisi fondamentale. E che ci piaccia o no, noi inglesi ne facciamo parte”. Figuratevi noi italiani. .
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/gli-eurospilorci-hanno-instaurato-la-spirale-della-morte/
Recovery-Conte: tutti prigionieri, via il cash e 5G dal cielo
«Abbiamo trovato e analizzato il documento che contiene le linee-guida del governo su come utilizzare i soldi del Recovery Fund», annuncia Massimo Mazzucco, su “Contro Tv“. Scopriamo così che i nostri stessi soldi verranno, fra le altre cose, utilizzati per «facilitare la transizione verso una cashless community» (cioè: abolizione del contante), e soprattutto per «potenziare i sistemi di video-sorveglianza sui cittadini». Non solo: i soldi in arrivo dall’Ue sarebbero impiegati per «mettere in orbita una costellazione di satelliti 5G» (senza alcuna garanzia per la nostra salute, aggiunge Mazzucco). Si va verso un regime di polizia sanitaria permanente: il Recovery verrebbe usato per «realizzare la schedatura sanitaria dei cittadini». L’esecutivo dell’ex “avvocato del popolo” intendere «studiare differenti stili di vita delle persone», e ovviamente «impostare politiche di prevenzione, quando la gente dovesse decidere di non seguirli». Il governo Conte propone inoltre di «potenziare il contrasto alle “fake news”» (ovvero, secondo Mazzucco, «regalare altri soldi ai delatori di regime»). E c’è anche un miliardo di euro per il Vaticano: «Noi abbiamo le scuole che crollano, però diamo un miliardo alla Chiesa per rimettere a posto le sue strutture».
Sono 557 i progetti finanziabili dal Recovery Fund: ne parla il blog “Luogo Comune“, curato da Mazzucco, sulla base delle anticipazioni fornite dal “Corriere della Sera” il 17 settembre. Un pacchetto da 80 miliardi di sussidi a fondo perduto («di tasseanche nostre, già versate») e 120 miliardi di prestiti «che andranno restituiti nel resto del corso della nostra vita». Come è stato proposto di spendere questi soldi, dal governo il cui premier assicura di non lavorare affatto “col favore delle tenebre”? L’elenco è molto lungo: 28 pagine e 557 progetti. “Luogo Comune” mette a fuoco quelli più eclatanti. «Sebbene ci siano anche progetti di rilancio, propri di una fase post-pandemica – scrive Riccardo Pizzirani, su “Luogo Comune” – la maggior parte dei progetti infatti si potrebbe catalogare in una di queste due categorie: progetti inquietanti, e progetti di sperpero». Quelli “inquietanti” sono davvero tali. Il primo è il cosiddetto “Piano Italia Cashless”. Ammontare: 10 miliardi di euro. Durata: 3 anni. Tema: realizzare «un piano nazionale avente l’obiettivo di accompagnare la transizione verso una “cashless community”».
Lo si vorrebbe attuare «attraverso meccanismi di incentivo all’utilizzo di mezzi di pagamento elettronici, sia per i consumatori che per gli esercenti», collegandosi all’infrastruttura digitale per le certificazioni fiscali (fatture elettroniche e corrispettivi telematici), «favorendo la precompilazione delle dichiarazioni fiscali e la pre-determinazione dei versamenti dovuti». La digitalizzazione dei pagamenti, secondo il documento, comporta anche «effetti benefici in termini di sicurezza (meno contante, meno reati socialmente odiosi)», in termini di igiene («particolarmente rilevante in questa fase»), e di lotta all’evasione fiscale, al netto di «investimenti per aumentare il livello di sicurezza cibernetica». Osserva Pizzirani: salta all’occhio il fatto che una “rivoluzione” così fondamentale per la nostra società venga proposta in questo modo, cioè “sottobanco”. Silenzio assoluto sugli svantaggi: per esempio, il costo esorbitante (10 miliardi) e le commissioni che saranno da pagare alle banche. A monte, una colossale ipocrisia: la grande evasione fiscale «è compiuta dai grossi gruppi economici ed industriali, e quindi non sarebbe minimamente intaccata da questa norma». Domanda: «Possiamo chiedere chi ha dato il mandato politico al governo Pd-M5S di trasformare la società italiana abolendo interamente il contante?».
Altro capitolo allarmante, la “vigilanza cibernetica per edifici pubblici ed aree sensibili”. Costo: 200 milioni. «Numerose aziende italiane si occupano di ricerca, sviluppo e produzione industriale in ambito Computer Vision tramite Deep Learning», è la premessa. «Le tecnologie Deep Learning italiane possono risolvere alcune criticità del paese», acrescere la sicurezza nelle strade intercettando «pacchi sospetti, automezzi in aree pedonali, persone che litigano, persone che impugnano armi da fuoco, persone con passamontagna». E soprattutto, «possono essere anche molto utili in periodo Covid-19 perché possono segnalare persone troppo vicine tra loro, assembramenti, ingresso in edifici di persone senza mascherina». Traduce “Luogo Comune”: «Questi 200 milioni verrebbero spesi per potenziare i sistemi di videosorveglianza: avremo quindi sistemi informatici di intelligenza artificiale che tracciano costantemente stadi, cinema, piazze, parchi, e che lanciano allarmi automatizzati se ci sono persone giudicate troppo vicine tra loro, assembramenti, nonché l’ingresso in edifici di persone senza mascherina».
In altre parole, è l’isolamento sociale che diventa permanente: «O pensano di tenere in piedi le norme di distanziamento sociale e delle mascherine per anni, e allora avremo il tempo di impostare e realizzare questo progetto; oppure si vuole potenziare la videosorveglianza pervasiva e costante della cittadinanza e quello delle norme Covid-19 è solo una scusa. Scegliete voi quello che fa meno ribrezzo». Costa invece “solo” 170 milioni di euro il progetto “5G Space Based”, letteralmente: “Costellazione satelliti bassa latenza per garantire banda larga”. Nel giro di un anno, Conte e colleghi contano di realizzare una “costellazione modulare” di satelliti (3 famiglie di 12 esemplari ciascuna) al fine di garantire capacità 5G a banda larga (e bassa latenza) con «copertura del territorio nazionale, europeo e globale». Motivazione ufficiale: la difesa. Ragiona Pizzirani: sarebbero 170 milioni per realizzare entro un anno 36 satelliti 5G da mettere in orbita per irradiare l’intero territorio nazionale, «con buona pace del principio di precauzione che non viene valutato nemmeno per il 5G terrestre, e con una bella pietra tombale per tutte le discussioni intentate dal comitato dei 500 comuni anti-5G: spiacenti, il Comune non ha competenza sullo spazio sopra di esso».
Densissimo il capito sanità, trasformato anch’esso in vigilanza e controllo. Il progetto 156, realizzabile in 5 anni al costo di un miliardo e mezzo, parla di “Evoluzione del Fascicolo Sanitario Elettronico e potenziamento della capacità di raccolta, elaborazione e analisi delle informazioni relative al cittadino”. Promette di «favorire la digitalizzazione documentale, secondo standard europei, l’armonizzazione e l’estrazione dei dati; facilitare informazione e accesso al Fse e la sua completa alimentazione; potenziare i sistemi di protezione per la consultazione sicura; realizzare una App per la raccolta di dati clinici individuali in autocontribuzione del cittadino; potenziare la capacità regionale di raccolta, analisi e interoperabilità dei dati». Commenta Pizzirani: «Ecco qui un bel progetto da un miliardo e mezzo che scopre l’ennesimo altarino della App Immuni, e che la porta ad essere un sistema non limitato al Covid-19, ma tramite il quale il cittadino può inserire, ed informare lo Stato, di tutti i suoi dati clinici. In libera autocontribuzione, s’intende, cioè con il solito ricatto già usato più volte: “O lo fai di tua liberissima scelta, oppure a questo servizio pubblico tu non puoi aderire”».
Della stessa famiglia il progetto numero 157, “Governance del dato e modelli predittivi” (140 milioni, in 5 anni). Obiettivi: «Potenziamento di strumenti e capacità previsionali e simulative attraverso strumenti di business intelligence; potenziamento di strumenti di analisi per la definizione di politiche di prevenzione e governo degli stili di vita attraverso la definzione di un modello di riferimento; potenziamento delle capacità tecniche e digitali del Ministero della Salute, anche mediante supporto consulenziale strategico e operativo». Con questo progetto, annota “Luogo Comune”, stiamo autorizzando e finanziando il ministero della salute «a studiare i differenti stili di vita delle persone», ovvero a «definire quali sono gli stili di vita di riferimento», e quindi «a impostare politiche di prevenzione quando la gente dovesse decidere di non seguirli». Qui, aggiunge Pizzirani, «la speranza è francamente di aver capito male». George Orwell? Un dilettante. Ed è pienamente orwelliano anche il progetto 154, targato “Trasparenza delle informazioni per il cittadino in logica opendata”. Costo: 9 milioni e 600.000 euro, spendibili in 6 anni. Missione: «Potenziare la comunicazione istituzionale attraverso la promozione della corretta informazione orientata all’utente, il contrasto alle fake news, la promozione del diritto alla salute e l’innovazione digitale in sanità; promuovere la cultura della trasparenza e dell’accountability attraverso i dati sanitari aperti e valorizzare le pratiche di riuso dei dati».
Annota Pizzirani: «Ci volevano, altri 10 milioni di euro a debunker e ad informatori istituzionali! Con la potenziale minaccia di questa fantomatica “accountability attraverso i dati sanitari aperti”, sinistramente affine al famoso tormentone dei pro-vax “se scegli di non vaccinarti allora se vai in ospedale devi pagarti le spese mediche”. Anche qui, la speranza è francamente di aver capito male». L’altro insieme di progetti, quelli che “Luogo Comune” definisce “di sperpero” e che ri riserva di analizzare più a fondo, «realizza il più classico magna-magna all’italiana, anche con interventi che sono spudoratamente incompatibili con la crisi Covid-19». Esempi: 100 milioni per la formazione al ministero della difesa, 55 milioni alla Sogei per studiare come cambiare il modo di lavorare dei dipendenti, 4 miliardi per i dottorati industriali per la transizione “verde” e digitale, 4,5 miliardi per mettere “in cloud” i dati delle pubbliche amministrazioni. «Ma anche piccole cose, come spendere 11 milioni per l’acquisto di computer all-in-one nelle ambasciate, con la scusa che hanno casse audio e webcam integrata». In altre parole: «Buon appetito, a tutti gli interessati. Nessuna paura, paga Pantalone».
FONTE: https://www.libreidee.org/2020/09/recovery-conte-tutti-prigionieri-via-il-cash-e-5g-dal-cielo/
La via del post-totalitarismo
Tratto da: Il potere dei senza potere, di Václav Havel, 1978
Fra le intenzioni del sistema post-totalitario e le intenzioni della vita c’è un abisso profondo. Mentre per sua natura la vita tende al pluralismo, alla varietà dei colori, a organizzarsi e costituirsi in modo indipendente, tende, insomma, a realizzare la propria libertà, il sistema post-totalitario esige monolitismo, uniformità, disciplina.
Questo sistema è al servizio dell’uomo solo nella misura in cui ciò è indispensabile perché l’uomo sia al servizio del sistema. Tutto «il di più», quindi tutto ciò con cui l’uomo va oltre la sua condizione predeterminata, viene valutato dal sistema come un attacco a se stesso, e a ragione: ogni trascendenza di questo tipo – come principio – lo nega.
Perciò in esso la vita è percorsa in tutti i sensi da una rete di ipocrisie e di menzogne.
Il potere è prigioniero delle menzogne e pertanto deve continuamente falsificare. Falsifica il passato. Falsifica il presente e falsifica il futuro. Falsifica i dati statici. Finge di non avere un apparato poliziesco onnipotente e capace di tutto. Finge di rispettare i diritti umani. Finge di non fingere.
L’uomo non è obbligato a credere a tutte queste mistificazioni ma deve comportarsi come se ci credesse, o per lo meno sopportarle in silenzio o se non altro comportarsi bene con quelli che con esse operano.
Pertanto è costretto a vivere nella menzogna.
Non deve accettare la menzogna. Basta che abbia accettato la vita con essa e in essa. Già così ratifica il sistema, lo consolida, lo fa, lo è.
La «vita nella menzogna» può funzionare come pilastro del sistema solo mediante la premessa della propria universalità: deve abbracciare tutto, penetrare in tutto. Non sopporta alcuna coesistenza con «la vita nella verità»: ogni uscita da essa la nega come principio e la minaccia nella sua totalità.
Se il fondamento del sistema è la «vita nella menzogna» non c’è da stupirsi che «la vita nella verità» diventi la sua fondamentale minaccia. Essa deve essere perseguita più duramente di qualsiasi altra cosa.
From Lockdowns to “The Great Reset”, di Antony P. Mueller, 2020
I lockdown decisi a seguito della diffusione su scala globale del coronavirus hanno accelerato l’applicazione di piani a lungo termine per stabilire un cosiddetto nuovo ordine mondiale. Sotto gli auspici del World Economic (WEF), i responsabili politici mondiali stanno sostenendo un ”Great Reset” con lo scopo di creare una tecnocrazia globale. Non è un caso che il 18 ottobre, 2019, a New York City, il WEF abbia partecipato al cosiddetto “Event 201” un’esercitazione pandemica di “alto livello” organizzata dal John Hopkins Center for Health Security.
Questa tecnocrazia implica una stretta collaborazione tra i capi dell’industria digitale e i governi. Con programmi come il reddito minimo garantito e l’assistenza sanitaria per tutti, il nuovo tipo di governance combina un rigido controllo sociale con la promessa di una giustizia sociale globale.
Tuttavia, la verità è che questo nuovo ordine mondiale viene fornito con un sistema totalizzante di credito sociale. La Repubblica popolare cinese è la pioniera di questo metodo di sorveglianza e di controllo di individui, società ed entità socio-politiche.
Per l’individuo, la sua identità è ridotta a un’applicazione o a un chip che registra quasi tutte le attività personali. Al fine di ottenere alcuni diritti individuali, o anche solo per viaggiare in un certo luogo, una persona deve bilanciare questi apparenti privilegi con la sua sottomissione a una rete di regolamenti che definiscono in dettaglio cosa viene considerato ”buon comportamento” e utile per l’umanità e l’ambiente. Ad esempio, durante una pandemia, questo tipo di controllo si estenderebbe dall’obbligo di indossare una mascherina e praticare il distanziamento fisico fino ad avere vaccinazioni specifiche se si vuole fare domanda per un lavoro o per viaggiare.
È, in breve, un tipo di ingegneria sociale che rappresenta l’opposto di un ordine spontaneo. Come l’ingegnere meccanico con una macchina, l’ingegnere sociale – o tecnocrate – tratta la società come se fosse un oggetto. A differenza delle brutali soppressioni del totalitarismo dei tempi passati, il moderno ingegnere sociale cercherà di far funzionare la macchina sociale da sola secondo il progetto. A tale scopo, l’ingegnere sociale deve applicare le leggi della società nello stesso modo in cui l’ingegnere meccanico segue le leggi della natura. La teoria comportamentale ha raggiunto uno stato di conoscenza che rende possibili i sogni dell’ingegneria sociale. Le macchinazioni dell’ingegneria sociale non operano attraverso la forza bruta, bensì in maniera subdola, per spinta.
Secondo l’ordine previsto dal Great Reset, il progresso della tecnologia non è inteso a servire il miglioramento delle condizioni delle persone, ma per sottoporre l’individuo alla tirannia di uno stato tecnocratico. “Gli esperti sanno meglio” è la giustificazione.
L’agenda
Il piano per una revisione mondiale è opera di un gruppo d’élite di uomini d’affari, politici e del loro entourage intellettuale che si riunisce a Davos, in Svizzera, a gennaio di ogni anno. Venuto alla luce nel 1971, il World Economic Forum è diventato da allora un mega-evento globale. Più di 3.000 leader da tutto il mondo hanno partecipato all’incontro del 2020.
Sotto la direzione del WEF, il programma del Great Reset afferma che il completamento dell’attuale trasformazione industriale richiede una revisione completa dell’economia, della politica e della società. Una tale trasformazione globale richiede l’alterazione del comportamento umano, e quindi il “transumanesimo” fa parte del programma.
Il Great Reset sarà l’oggetto del 51° incontro del World Economic Forum di Davos nel 2021. La sua agenda è un impegno a guidare l’economia mondiale verso “un futuro più giusto, sostenibile e resiliente”. Il programma chiede “un nuovo contratto sociale” che si concentri sull’uguaglianza razziale, la giustizia sociale e la protezione della natura. Il cambiamento climatico ci impone di “decarbonizzare l’economia” e di portare il pensiero e il comportamento umano “in armonia con la natura”. L’obiettivo è costruire “economie più eque, inclusive e sostenibili”. I promotori del WEF affermano che questo nuovo ordine mondiale va attuato “con urgenza” e che la pandemia “ha messo a nudo l’insostenibilità del nostro sistema” e la mancanza di “coesione sociale”.
Il grande progetto del WEF è l’ingegneria sociale ai massimi livelli. I suoi fautori sostengono che le Nazioni Unite non sono riuscite a stabilire l’ordine nel mondo e non sono state in grado di far avanzare con forza il proprio programma di sviluppo sostenibile, noto come Agenda 2030, a causa di un modo di lavorare burocratico, lento e contraddittorio. Al contrario, le azioni della commissione organizzativa del World Economic Forum sarebbero veloci e intelligenti. Quando un consenso è stato formato, può essere implementato dall’élite globale in tutto il mondo.
Ingegneria sociale
L’ideologia del World Economic Forum non è né di sinistra né di destra, né progressista né conservatrice, né è fascista o comunista, ma apertamente tecnocratica. In quanto tale, include molti elementi delle ideologie collettiviste precedenti.
Negli ultimi decenni, gli incontri annuali a Davos hanno raggiunto un consenso sul fatto che il mondo ha bisogno di una rivoluzione e che le riforme hanno richiesto troppo tempo. I membri del WEF prevedono profonde turbolenze a breve termine. Il lasso di tempo dovrebbe essere così breve che la maggior parte delle persone difficilmente si renderà conto che è in corso una rivoluzione. Questo cambiamento rivoluzionario deve essere così rapido e scioccante da non dare tempo a coloro che lo riconoscono di mobilitarsi contro di esso.
L’idea di base del Great Reset è lo stesso principio che ha guidato le trasformazioni radicali delle rivoluzioni francese, russa e cinese. È l’idea del razionalismo costruttivista incorporato nello Stato. Tuttavia, progetti come il Great Reset lasciano senza risposta la questione di chi governa lo Stato. Lo Stato stesso non governa, è solo uno strumento di potere. Non è lo Stato astratto che decide, ma i leader di certi partiti politici e di certi gruppi sociali.
I precedenti regimi totalitari avevano bisogno di esecuzioni di massa e di campi di concentramento per mantenere il loro potere. Ora, con l’aiuto delle nuove tecnologie, si ritiene che i dissidenti possano essere facilmente identificati ed emarginati. I disaccordi saranno messi a tacere squalificando le opinioni divergenti classificandole come moralmente abiette.
I lockdown del 2020 intuibilmente offrono un’anteprima di come funziona questo sistema. Questi lockdown hanno funzionato come se fossero stati orchestrati, e forse lo erano. Come se seguendo un unico ordine, i leader delle nazioni grandi e piccole, e di diversi stadi di sviluppo economico, hanno attuato misure quasi identiche. Non solo molti governi hanno agito all’unisono, ma hanno anche applicato queste misure con scarso riguardo per le terribili conseguenze di un blocco globale.
I mesi di stasi economica hanno distrutto la base economica di milioni di famiglie. Insieme al distanziamento fisico, i lockdown hanno prodotto una massa di persone incapaci di prendersi cura di se stesse. In primo luogo, i governi hanno distrutto i mezzi di sussistenza, poi i politici si sono presentati come salvatori. La richiesta di assistenza sociale non è più limitata a gruppi specifici, ma è diventata una necessità delle masse.
Una volta, la guerra era la salute dello Stato; adesso è la paura della malattia. Ciò che ci aspetta non è uno Stato sociale benevolo e comprensivo con un reddito minimo garantito, assistenza sanitaria e istruzione per tutti. I lockdown e le sue conseguenze hanno portato un assaggio di quello che verrà: una condizione di paura permanente, un rigido controllo del comportamento, una massiccia perdita di posti di lavoro e una crescente dipendenza dallo Stato.
Con le misure attuate sulla scia della diffusione del coronavirus su scala globale, è stato compiuto un grande passo per resettare l’economia mondiale. Senza la resistenza popolare, la fine della pandemia non significherà la fine dei blocchi e del distanziamento fisico. Al momento, gli oppositori del nuovo ordine mondiale della tirannia digitale hanno ancora accesso ai media e alle piattaforme social per dissentire. Tuttavia, il tempo sta scadendo. Gli autori del nuovo ordine mondiale hanno annusato il sangue. Dichiarare la pandemia è stato utile per far avanzare l’agenda del Great Reset. Solo una massiccia opposizione può rallentare e infine fermare la diffusione della presa di potere di questa tecnocrazia.
Conclusioni di: un potente senza potere, 2020
Non ci possono essere incertezze sulle intenzioni del WEF: un ordine mondiale in stile 1984 di Orwell, basato su tecnologia come mezzo di rigido controllo sociale, la strumentalizzazione dei mass-media, su segnali che aiutino l’essere umano a nascondere i bassi fondamenti della sua obbedienza e quindi anche i bassi fondamenti del potere, nascondendoli dietro la facciata di qualcosa di elevato.
In tal senso, è sufficiente andare a leggersi le parole contenute nel sito web del WEF alla sezione “l’opportunità” del Great Reset in cui si afferma:
“Mentre entriamo in una finestra di opportunità unica per plasmare la ripresa, questa iniziativa offrirà spunti per aiutare a informare tutti coloro che determinano lo stato futuro delle relazioni globali, la direzione delle economie nazionali, le priorità delle società, la natura dei modelli di business e la gestione di un bene comune globale. Attingendo alla visione e alla vasta esperienza dei leader impegnati nelle comunità del Forum, l’iniziativa Great Reset ha una serie di dimensioni per costruire un nuovo contratto sociale che onori la dignità di ogni essere umano“.
Da queste affermazioni si dovrebbe chiaramente comprendere che i fautori del Great Reset mentono, che il loro obiettivo dichiarato è in contrasto con i loro mezzi, dato che qualsiasi contratto sociale (e tralasciamo l’analisi di questa definizione) che voglia onorare la dignità di ogni essere umano non può che costruirsi spontaneamente, organicamente, attraverso le preferenze e le decisioni non obbligate e/o non condizionate degli individui.
Ciò che attraverso il Great Reset si vuole fondare è un sistema che Václav Havel non esiterebbe, con tutta probabilità, a definire post-totalitario; con quel “post” non si intende sostenere che non è più totalitario, ma solo che esso è totalitario in modo sostanzialmente diverso rispetto a quello a cui normalmente si lega nelle nostre coscienze il concetto di totalitarismo.
Questi fautori, infatti, sono comunque dei collettivisti: parlano del punto di vista della società, il che è solo il mascheramento della loro volontà la quale, a sua volta, deve però portare a un sistema nel quale tutti i membri della società diventano meri strumenti di un’unica mente direttiva.
Lo scopo ultimo dell’operazione Great Reset non è quindi la pura e semplice conservazione del potere nelle mani del gruppo dominante, ma una specie di cieca auto-cinèsi del sistema: in sostanza, l’essere umano, anche se detiene un qualche alto posto nella gerarchia del potere, per questo sistema non è niente in sé, ma soltanto quello che deve sostenere e servire questa auto-cinèsi e pertanto anche il suo desiderio di potere può realizzarsi solo fintanto che il suo orientamento è coerente con questa auto-cinèsi.
L’ideologia tecnocratica deve, invece, funzionare da alibi-ponte fra il sistema e l’essere umano, cioè deve coprire l’abisso che sussiste fra l’intenzione del sistema e le intenzioni della vita, deve far sembrare che le pretese unicamente proprie del sistema siano il frutto di un’evoluzione organica; il suo compito è pertanto quello di spacciare un mondo dell’apparenza come se fosse il mondo della realtà.
ll sistema lavora così per alienare l’essere umano ma, allo stesso tempo, l’essere umano ormai alienato da questo sistema o fintanto che ne è alienato lavora per appoggiarlo come suo progetto involontario.
Di conseguenza, i fautori del Great Reset sono pronti a fornire l’opposto di quello che promettono: l’idea, infatti, che un ristretto gruppo di tecnocrati possa progettare e costruire un ordine che onori la dignità di ogni essere umano è semplicemente una contraddizione in termini e quindi un’operazione avversa ai singoli essere umani e alla loro dignità.
Abbiamo già in qualche modo “respirato” le caratteristiche di quest’ordine durante questi ultimi mesi, attraverso una strategia su coronavirus-Covid-19, dai lockdown alla tirannia delle mascherine passando per un’informazione opaca, confondente, inesatta e terrorizzante, che ha inflitto un rigido controllo sociale con la maschera della scienza; un uso politico-burocratico della scienza, in grande deficit di senso rispetto ai fini apertamente dichiarati, irriguardosa nei confronti della migliore convivenza tra le persone e inibente della dignità umana.
FONTE: https://gerardospace.wordpress.com/2020/08/31/la-via-del-post-totalitarismo/
Pepe Escobar
unz.com
Parlando dello straordinario servizio pubblico svolto dallo storico, ex diplomatico britannico e attivista per i diritti umani Craig Murray, bisogna dire che il concetto stesso di “evento storico” è stato portato agli estremi.
Murray, letteralmente e a livello globale, è ora il nostro uomo fra i banchi del pubblico, perché sta documentando minuziosamente e in vividi dettagli quello che potrebbe essere definito il processo del secolo riguardante la pratica del giornalismo: il processo farsa a carico di Julian Assange all’Old Bailey di Londra.
Concentriamoci sui tre articoli di Murray di questa settimana, in modo particolare su due tematiche interconnesse: il vero scopo perseguito dagli Stati Uniti e come i media maistream occidentali ignorino il procedimento giudiziario.
Qui, Murray riporta il momento esatto in cui la maschera dell’Impero è caduta, non con un botto, ma con un gemito:
“Martedì si è veramente aperta la partita, perché il governo degli Stati Uniti ha esplicitamente affermato che tutti i giornalisti sono accusabili ai sensi dell’Espionage Act (1917) per la pubblicazione di informazioni riservate.” (Il grassetto è mio).
“Tutti i giornalisti” indica ogni giornalista legittimo, di ogni nazionalità, operante in qualsiasi giurisdizione.
Analizzando l’argomentazione, Murray ha aggiunto, “il governo degli Stati Uniti sta ora affermando nell’aula di un tribunale e in modo assolutamente esplicito che questi giornalisti potrebbero e dovrebbero andare in prigione ed è così che agiremo in futuro. Il Washington Post, il New York Times e tutti i ‘grandi media liberali statunitensi’ non sono in tribunale ad ascoltare tutto questo e non ne parlano (il grassetto è mio), a causa della loro attiva complicità nella ‘marginalizzazione’ di Julian Assange come un qualcosa di subumano, il cui destino può essere ignorato. Sono davvero così stupidi da non capire che saranno loro i prossimi?
Ehm, sì.”
Il punto non è che gli autoproclamati paladini dei “grandi media liberali” sono stupidi. Non stanno coprendo la farsa in corso all’Old Bailey perché sono codardi. Devono mantenere il loro leggendario “accesso” alle viscere dell’Impero, quel tipo di “accesso” che aveva permesso a Judith Miller di “vendere” la guerra illegale all’Iraq in innumerevoli prime pagine e che consente al super-opportunista pupillo della CIA, Bob Woodward, di scrivere i suoi libri “da addetto ai lavori.”
Qui non c’è nulla da vedere
In precedenza, Murray aveva già spiegato in dettaglio che “i media mainstream stanno ignorando la cosa. C’erano tre giornalisti nella tribuna stampa, uno di loro era uno stagista e un altro rappresentava la NUJ, [la National Union of Journalists]. L’accesso del pubblico continua ad essere limitato e le principali ONG, tra cui Amnesty, PEN e Reporter Senza Frontiere, continuano ad essere escluse, sia fisicamente che dalla visione online.”
Murray ha anche spiegato come “i sei di noi ammessi nella galleria aperta al pubblico, per inciso, se vogliono arrivarci devono salire 132 gradini, più volte al giorno. Come sapete, ho un cuore molto malmesso, sono con il padre di Julian, John, che ha 78 anni e un altro di noi ha il pacemaker.”
Allora, come mai è proprio lui “l’uomo fra i banchi del pubblico“? “Non sottovaluto minimamente i meritevoli sforzi altrui quando dico che mi sento obbligato a scriverne, e con tutti questi dettagli, perché altrimenti i fatti fondamentali del processo più importante del secolo (e come viene condotto) sarebbero quasi del tutto sconosciuti al pubblico. Se fosse un processo autentico, vorrebbero farlo vedere a tutti, non ridurrebbero al minimo la partecipazione, sia fisica che online.”
A meno che la gente di tutto il mondo non legga i rapporti di Murray (e ne esistono pochissimi altri, con molti meno dettagli), ignorerà gli aspetti più importanti [di questo processo], oltre allo spaventoso contesto generale di quanto sta realmente accadendo nel cuore di Londra. Il fatto principale, per quanto riguarda il giornalismo, è che i media mainstream occidentali lo ignorano completamente.
Verifichiamo, ad esempio, la copertura giornalistica del nono giorno di processo nel Regno Unito.
Non c’era nessun articolo sul Guardian, che non può assolutamente parlare del processo perché il quotidiano è stato impegnato, per anni e senza esclusione di colpi, nella diffamazione e nella totale demonizzazione di Julian Assange.
Non c’era niente sul Telegraph, molto vicino all’MI6, e sul Daily Mail solo un pezzo scarno, ripreso dall’AP.
C’era un breve articolo sull’Independent, solo perché uno dei testimoni, Eric Lewis, è uno dei direttori della Independent Digital News and Media Ltd, che pubblica il quotidiano.
Per anni, il processo di svilimento di Julian Assange per portarlo ad un livello subumano si è basato sulla ripetizione di un mucchio di bugie, così frequente da farle diventare verità. Ora, la cospirazione del silenzio su questo processo ha fatto miracoli nello smascherare il vero volto dei “valori” liberali dell’Occidente e della “democrazia” liberale.
Parla Daniel Ellsberg
Murray ha fornito un resoconto assolutamente imperdibile di ciò che Daniel Ellsberg, l’autore dei “Pentagon Papers,” ha espresso molto chiaramente dal banco dei testimoni.
I resoconti sulla guerra in Afghanistan pubblicati da WikiLeaks erano abbastanza simili ai rapporti di basso livello che lo stesso Ellsberg aveva scritto sul Vietnam. Il quadro geopolitico è lo stesso: invasione e occupazione, contro gli interessi della maggioranza assoluta degli invasi e degli occupati.
Murray, riferendosi ad Ellsberg, scrive che “i resoconti di guerra avevano rivelato un vero e proprio schema di crimini di guerra: torture, omicidi e squadroni della morte. L’unica cosa diversa dai tempi del Vietnam è che tutto questo è diventato ormai talmente normale da non essere neanche classificato top secret.”
Questo è un punto molto importante. Tutti i Pentagon Papers erano infatti top secret. Ma, cosa ancora più significativa, i rapporti divulgati da WikiLeaks non erano top secret: erano infatti ad un livello inferiore del top secret, non soggetti a distribuzione limitata. Perciò non erano documenti segreti, come ora sostiene il governo degli Stati Uniti.
Per quanto riguarda l’ormai leggendario video Collateral Murder, Murray descrive in dettaglio l’argomentazione di Ellsberg: “Ellsberg ha affermato che [il video] mostra chiaramente degli omicidi, compreso il deliberato mitragliamento di un civile ferito e disarmato. Che si trattasse di un omicidio era fuori di dubbio. Il termine dubbio era ‘collaterale,’ che significa accidentale. Ciò che è stato veramente scioccante è stata la reazione del Pentagono, secondo cui questi crimini di guerra erano compresi nelle regole di ingaggio. Che consentono l’omicidio.”
L’accusa non riesce a spiegare il motivo per cui Julian Assange aveva trattenuto più di 15.000 file, come mai aveva impiegato molto tempo per redigere quelli pubblicati e perché sia il Pentagono che il Dipartimento di Stato si erano rifiutati di collaborare con WikiLeaks. Sempre Murray: “Dieci anni dopo, il governo degli Stati Uniti non è ancora in grado di nominare un singolo individuo che sia stato effettivamente danneggiato dalle rivelazioni di WikiLeaks.”
Il nuovo Prometeo 2.0
Agli atti ci sono le due note affermazioni del presidente Trump su WikiLeaks: “Amo WikiLeaks” e “Non so nulla di WikiLeaks.” Ciò potrebbe non rivelare nulla su come si comporterebbe un’ipotetica amministrazione Trump 2.0 se Julian Assange fosse estradato negli Stati Uniti. Quello che sappiamo ora è che le fazioni più potenti del Deep State lo vogliono “neutralizzato.” Per sempre.
Mi ero sentito obbligato a parlare della situazione di Julian Assange e lo avevo fatto raffigurandolo come un novello Prometeo.
In questa struggente tragedia postmoderna, la sottotrama principale è incentrata su un colpo mortale al vero giornalismo, quello che osa dire la verità in faccia al potere.
Julian Assange continua ad essere trattato come un criminale estremamente pericoloso, come lo descrive in un tweet la sua partner, Stella Moris.
Craig Murray entrerà probabilmente nella storia come il personaggio centrale di un coro molto piccolo che ci mette in guardia sulle ramificazioni di questa tragedia.
È abbastanza appropriato che questa tragedia sia anche la cronaca di un’era precedente, un’epoca che, a differenza del poema di Blake, ci ha fatto vedere un matrimonio tra due inferni: GWOT e OCO (Global War on Terror, sotto George W.Bush, e Overseas Contingency Operations sotto Barack Obama).
Julian Assange è stato condannato per aver rivelato i crimini di guerra imperiali in Iraq e in Afghanistan.
Nonostante ciò, alla fine, tutto il furore e il bellicismo del dopo 11 settembre non ha portato a nulla. Si è in realtà metastatizzato nel peggior incubo imperiale: la materializzazione di un pericoloso e paritario duplice concorrente, il partenariato strategico russo-cinese.
“Non qui le tenebre, in questo mondo gorgheggiante” (T.S. Eliot, Burnt Norton). Un esercito di futuri Assange è lì che aspetta.
Pepe Escobar
Fonte: unz.com
Link: https://www.unz.com/pescobar/the-julian-assange-trial-the-mask-of-empire-has-fallen/
FONTE: https://comedonchisciotte.org/il-processo-di-julian-assange-limpero-ha-gettato-la-maschera/
Lamorgese confessa: “Spostati 8.400 migranti dalla Sicilia in tutto il resto d’Italia”
Lamorgese: trattato Dublino va superato. Sul tema dell’immigrazione, secondo la ministra dell’Interno Lamorgese, occorre “il superamento completo degli accordi di Dublino”, che “ruota intorno alla responsabilità dello Stato d’ingresso”.
“Abbiamo dato rifugio alla Alan Kurdi” ad Arbatax. Lo sbarco sarà autorizzato “se il mare peggiora” e solo 25 migranti rimarranno in Italia, spiega. Entro domani, sarà svuotato l’hotspot di Lampedusa.
Trasferiti dalla Sicilia, dopo la quarantena, 8.400 migranti.
Da ottobre, voli aggiuntivi per i rimpatri in Tunisia: da qui in un anno 9.200 arrivi.
È quanto riporta oggi Rai News.
FONTE: https://stopcensura.org/lamorgese-confessa-spostati-8-400-migranti-dalla-sicilia-in-tutto-il-resto-ditalia/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
Cuties, un terribile specchio
Claudio Chianese – 24 SETTEMBRE 2020
Nonostante si sia parlato moltissimo intorno a Cuties, si è parlato relativamente poco di Cuties. La scelta di non guardare il controverso film di Netflix ha assunto contorni morali, una protesta in sé, dunque chi lo attacca quasi mai entra nel merito. Si sente, allora, il bisogno di scavare più a fondo e parlare dell’opera lasciata sola, senza il fardello della polemiche. Evitando, però, di scadere nella contro-polemica: gli indignati hanno ragione se consideriamo tutto il pulviscolo che offusca il nucleo narrativo del film. Due premesse sono assolutamente necessarie. Primo: le attrici di Cuties sono ragazzine ingaggiate per vestirsi da cubiste e fare twerking davanti alla macchina da presa. Un elefante nella stanza che si può aggirare camminando in punta di piedi, ma che non si può ignorare del tutto. Lolita parla di pedofilia – o meglio, ninfofilia – e Storia dell’occhio di erotismo allucinato e violento, ma un romanzo non provoca gli eventi che narra; in Cuties, invece, la sessualizzazione delle bambine si racconta sessualizzando per davvero alcune bambine. Non possiamo, in coscienza, biasimare chi ha deciso di tracciare qui la linea del Piave, per quanto l’intransigenza non contribuisca al discorso e non renda giustizia al pensiero della regista.
E poi, una seconda premessa: Cuties è stato venduto al pubblico in una maniera vergognosa. La locandina, il trailer, la sinossi: non sono solo eticamente discutibili ed esteticamente brutti, ma sembrano presentare tutt’altro film. Netflix ha sacrificato, oltre al rispetto verso gli utenti, anche l’integrità artistica dell’opera, purché se ne parli. Una strategia pubblicitaria così amorale da incarnare uno stereotipo, qualcosa che ci si aspetterebbe dalla caricatura dei capitalisti americani in un cinegiornale sovietico: eppure è successo davvero, e forse i cinegiornali sovietici non avevano tutti i torti. Il titolo italiano, poi, è atroce. Donne ai primi passi lascerebbe intendere una sorta di bildungsroman, una storia di crescita che dall’infanzia conduce, passo dopo passo, al meraviglioso mondo del meretricio: il film implica esattamente l’opposto. Nell’ultima scena, Amy, la protagonista, gioca a saltare la corda e ritorna, simbolicamente, bambina, dopo aver sperimentato la deriva patologica della società adulta di cui desiderava far parte. Il film francese è finito in un’infelice terra di nessuno: a quelli che lo diffondono non interessa capirlo, a quelli che lo criticano non interessa guardarlo. Un peccato, perché così non è emersa dal dibattito la tesi davvero coraggiosa di Cuties: la famiglia islamica integralista di Amy e l’Occidente, libero e libertino, che la circonda sono meccanismi opposti ma equivalenti di dissoluzione dell’individuo. Se lo si scorre superficialmente Cuties può sembrare ammiccante, ma i personaggi non esistono per strizzare l’occhio allo spettatore. Al contrario, trasmettono un costante disagio: le ragazzine che, in qualche scena isolata, appaiono come ninfette attraenti sono, per tutto il resto del film, figure odiose, crudeli e inconsapevoli della propria crudeltà, assorbita per osmosi da un ambiente sociale psicotico di per sé. Si rivelano al pubblico non nel momento in cui ballano mezze nude sul palco, ma quando, già dopo poche scene, prendono a sassate l’ingenua Amy che le ammira incantata.
VIDEO QUI: https://youtu.be/M0O7lLe4SmA
Se Cuties fosse pensato per far soldi sfruttando pre-adolescenti in pose soft porn sarebbe deprecabile, ma anche futile. Il mercato della pedopornografia esiste e traffica in cose ben peggiori di questa. La pellicola, invece, scardina direttamente la leggenda dell’innocenza. Mostra, con dolorosa onestà, undicenni che non scoprono una dimensione sessuale attraverso esperienze esistenziali, ma la ricevono già impacchettata, si ritrovano addosso un ruolo cucito per loro dai pubblicitari e amplificato dalla cassa di risonanza delle aspettative altrui. E alla sessualizzazione si accompagna il degrado morale, tanto peggiore perché a degradarsi sono persone che non hanno avuto nemmeno il tempo di pensarla, una morale. Per quanto sia sgradevole ammetterlo, le ragazzine finite così non sono poche: prendersela con Cuties significa sparare al messaggero. Se abbandoniamo questa leggenda consolatoria, allora, il problema diventa universale: la sessualizzazione delle bambine è solo il corollario della sessualizzazione del corpo umano, soprattutto di quello femminile. È disgustoso il voyeurismo quando l’oggetto è una undicenne, ma, in effetti, è disgustoso tutto il complesso iconografico nel quale la donna diventa un sesso decorativo, offerta all’occhio maschile: nella teoria femminista, il concetto si chiama male gaze. Non solo il Panopticon della cultura di massa è costruito intorno a un sorvegliante maschio, ma le donne stesse hanno introiettato il suo sguardo. Si realizzano come individui solo nel piacere del piacere di essere guardate:
Fantasie maschili, fantasie maschili, tutto riguarda le fantasie maschili? Su un piedistallo o in ginocchio, sono sempre fantasie maschili […]. Anche far finta di ignorare le fantasie maschili è una fantasia maschile: far finta di non essere osservata, di avere una vita tua, di poterti lavare e acconciare i capelli senza pensare all’onnipresente osservatore che ti spia dal buco della serratura […]. Sei una donna con dentro un uomo che guarda una donna. Sei il voyeur di te stessa.
Margaret Atwood
Fra le desolanti implicazioni di questa consapevolezza c’è il fallimento concettuale di gran parte del femminismo contemporaneo. Le studentesse che reclamano il diritto alla minigonna, le Femen che si spogliano in nome della scollatura libera, sono, come del resto quasi tutti i rivoluzionari wannabe del nostro tempo, comicamente allineate al sistema. Utili idioti: perché fra il maschio a cui “cade l’occhio” e la femmina che scopre le cosce c’è un rapporto simbiotico, rappresentano gli ingranaggi di un dispositivo di sessualità, nei termini di Foucault, fabbricato dal potere. Come le ragazzine di Cuties, fanno esattamente quello che ci si aspetta da loro: il velo islamico di Amy e la minigonna delle nostre “donne ai primi passi” sono entrambi strumenti di disciplinamento del corpo. Oriana Fallaci definisce il velo cencio da medioevo, e in un certo senso ha ragione: in un senso, però, che svergogna l’etnocentrismo illuminista della giornalista liberale e dei suoi epigoni conservatori, uniti nella bruttura del pensiero borghese. Ad essere medievale è la tecnologia disciplinaria del velo: gli abiti che usiamo in Occidente per costruire l’identità femminile sono, invece, il prodotto tipico di un’economia post-industriale che ha imparato a nascondere gli ingranaggi – dunque, passano per libera scelta.
FONTE: https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/cinema/cuties-femminismo-pornografia/
ATTUALITÁ SOCIETÀ COSTUME
Avellino, alunni divisi in classi di “bravi” e “meno bravi” per permettere distanziamento
Per garantire il distanziamento ed evitare il sovraffollamento la scuola elementare Palatucci di Avellino (V circolo) ha scelto di dividere gli alunni in classi di “bravi” e “meno bravi”, in base alla pagella conseguita alla fine dello scorso anno scolastico. La decisione del consiglio di istituto e della dirigente scolastica sta facendo discutere.
“Una scuola pubblica ha un valore assoluto che è quello di essere eterogenea e non omogenea per questo ritengo del tutto sbagliata l’impostazione della preside di Avellino”, ha scritto in una nota il segretario provinciale della Cgil, Franco Fiordellisi. “I criteri adottati sono stati condivisi dai genitori che fanno parte del consiglio di istituto. E soprattutto non rappresentano alcuna discriminazione”, ha replicato la preside. tgcom24.mediaset.it
FONTE. https://www.imolaoggi.it/2020/09/21/avellino-alunni-divisi-in-classi-di-bravi-e-meno-bravi-per-permettere-distanziamento/
Concita, Rula e il sessismo immaginario
24 09 2020
Tre donne di sinistra, divise da un dettaglio: due di loro inventano insulti maschilisti per svicolare da un dibattito in cui stanno perdendo; solo una di loro viene veramente offesa (da un uomo di sinistra, peraltro), eppure è anche l’unica a non gridare al sessismo.
Il primo esempio sta spopolando in rete: Concita De Gregorio, volto da martire, accusa Alessandro Sallusti di averla addirittura… Chiamata per nome! Imperdonabile: qui si rasenta la molestia. Le donne non si toccano nemmeno con un fiore, figuriamoci se le possiamo chiamare per nome (al di fuori degli aperitivi a Capalbio).
Il secondo esempio è quello dell’insulto vero: Mauro Corona, certo non noto per la sua sobrietà (decidete voi in che senso), dà della “gallina” a Bianca Berlinguer. La quale, però, non si scompone, non fa la vittima e mantiene dritta la barra della trasmissione.
E infine ci sono io, “uomo bianco che urla addosso” a una donna di colore. Povera Rula Jebreal, anche in tv patisce l’atavica oppressione del maschio eterosessuale, tant’è che al Festival le avrebbero dato solo 16.000 euro – e metà li ha devoluti in beneficenza.
Sì, forse un bianco come me la turba. Ma la Bianca (Berlinguer), professionalmente, la surclassa…
Nicola Porro, 24 settembre 2020
FONTE: https://www.nicolaporro.it/concita-rula-e-il-sessismo-immaginario/
Enrico Ruggeri: l’emergenza Covid sfruttata per tenerci zitti
Ho vissuto con difficoltà questo momento, nel quale una società che si vuole vedere e raccontare come evoluta, ha deciso di barattare la libertà con la salute, o, peggio, con una rassicurante idea di salute. Giuro di dire la verità: anche se mi trovassi in punto di morte per Covid-19 sarei disposto a ripetere quanto sto per dire. Ho più volte rischiato la vita, negli anni, e sono sempre rimasto lucido, come lo sono ora: credo che l’uomo sia per sua natura propenso a ricercare la libertà. Altrimenti saremmo come lo scarafaggio della “Metamorfosi” di Kafka, un essere che pensava di colpo solo a mangiare e a salvarsi, pronto a nascondersi nel caso si accendesse la luce nella stanza. Noi non siamo fatti così: siamo uomini. E nello specifico io sono un artista, e l’idea di arte che ho non è certo quella di dover cercare il consenso per il consenso, tanto più se a repentaglio c’è l’idea stessa di libertà. Lo slogan #IoRestoACasa? I dittatori hanno sempre imposto regole, anche assurde, che negavano ogni fondamento di libertà, sempre spacciandole come decisioni fatte per il bene del popolo. Neanche Stalin ha mai detto che faceva quel che faceva per cattiveria o tirannia, ma per amore del popolo russo.
In questo, credo, ci siamo trovati di colpo a vivere in una condizione dittatoriale, seppur una dittatura che non è passata per un esercito ma attraverso una comunicazione di tipo vagamente terroristico. Ci mettevano paura e poi ci offrivano la scappatoia per salvarci, rinunciare alla nostra libertà, appunto. Intendiamoci: non voglio mica dire che qualcuno, magari i dieci potenti della Terra di cui cantavamo nella canzone “L’Anticristo” dei Decibel, da qualche parte ha deciso tutto questo. È successo, c’è stata un’emergenza, ma mi sembra evidente che l’emergenza è stata abbondantemente sfruttata a livello globale da chi ci guida e ci comanda per tenerci sotto, buoni e zitti. E gli artisti, in questo, si sono ancora una volta dimostrati tutti molto impauriti e pronti a seguire la scia: ce ne fosse stato uno che, a rischio di prendersi critiche, si sia esposto. Guarda, alzo il tiro: dopo aver citato Stalin vado oltre. Pensiamo ai partigiani, quelli per ricordare i quali, il 25 aprile, in tanti hanno cantato “Bella Ciao” dal balcone, perché durante il lockdown usava così: pensate che quei giovani sarebbero andati sui monti a rischiare di morire, in alcuni casi proprio a morire se avessero messo la loro salvaguardia, la loro salute, prima del valore sacro della libertà?
Io non sono esperto di virus, quindi non ambisco a poter dire la mia riguardo la pandemia né riguardo la gestione medica della pandemia, anche se da quel che sta emergendo è chiaro che si sono fatti tanti passi falsi, errori anche molto gravi; ma mi sembra evidente che il coronavirus sia stato preso come una palla al balzo per tenerci ulteriormente sotto, più di quanto già non si facesse in precedenza. Se affacciandoti alla finestra, durante il lockdown, ti è capitato di vedere un’ambulanza a sirene spiegate che procede con calma a quaranta all’ora in una strada deserta, magari, il dubbio che ci sia una volontà di terrorizzarci c’è. Non sono in grado di dire chi ha deciso che tutto ciò dovesse accadere: parlo del tenerci tutti sotto, zitti, ma che sia accaduto mi sembra evidente. Se poi pensate che, in tutto questo, gli unici ambiti rimasti ancora al palo (dopo le discoteche piene, la movida, le spiagge disposte esattamente come l’anno scorso e quello prima ancora) sono l’istruzione e la cultura. lo spettacolo, qualche domanda devi per forza fartela.
Perché i miei colleghi se ne stanno tutti zitti? Perché non c’è una presa di coscienza comune di quel che sta accadendo e di come questa situazione potrebbe davvero portare all’implosione di tutta la filiera? È così da tempo, diciamo da quando esistono i social. Sono tutti conformi, omologati: hanno paura di dire la propria perché altrimenti perdono followers, ricevono critiche pubbliche, rendono esiguo il proprio pubblico. E dire che l’arte dovrebbe essere per sua natura sovversiva, porre domande – volendo, dovrebbe essere anche oltraggiosa. Sono anni che veniamo visti, e di conseguenza trattati, con accondiscendenza, come si potrebbe parlare di un bambino, di un animale da compagnia. Nessuno ha provato mai a fare qualcosa per tutelare il nostro mondo prima, figuriamoci se ha senso farlo ora, che tutto sta crollando a pezzi. Solo che a vedere quelle fotografie, le discoteche piene zeppe di persone, le spiagge dove si fatica a trovare la sabbia tanta è la gente che ci sta, viene da chiedersi davvero se il tenerci tutti zitti, anche quelli che comunque direbbero qualcosa di rassicurante e assolutamente integrato, non sia parte di un discorso più ampio nel quale, ahinoi, non siamo altro che contorno.
(Enrico Ruggeri, dichiarazioni rilasciate a Michele Monina per l’intervista “L’emergenza coronavirus sfruttata da chi comanda per tenerci zitti”, pubblicata da “Tpi” il 20 luglio 2020).
L’età del conflitto
«Un decennio di politiche tese a valorizzare le diversità, a creare nelle imprese e nella società un ambiente favorevole alla espressione delle individualità, ha prodotto gli anticorpi culturali che sono oggi all’origine di un sentimento crescente di fastidio, se non di odio per il diverso», spiega Domenico Fucigna, presidente di Tea Trends Explorers, laboratorio di ricerche predittive sulle tendenze del mercato, ed esperto di innovazione di prodotto. «Questo sentimento è un portato, tra l’altro, della consapevolezza che l’attuale situazione economica occidentale, e forse anche planetaria, non consente più di modificare il proprio status sociale nativo», aggiunge.
Questa nuova consapevolezza, prosegue Fucigna, «dà luogo a una forma di turbolenza sociale di fondo e alimenta la possibilità che questa si trasformi in aggressività». Nell’interpretazione di Emanuele Severino, osserva, «viviamo un periodo in cui gli interessi delle persone, (della moltitudine), gli interessi della politica e gli interessi dell’economia sono in conflitto e viaggiano su binari destinati a scontrarsi».
«Le condizioni sociali sono definitivamente stabilite e il sistema è di fatto organizzato in “caste chiuse”», conclude l’esperto sottolineando che «i conflitti sociali possono essere letti quindi come conflitti tra caste e destinati ad evolvere, in una prossima prospettiva, in lotta tra “élite” e “dropout”».
FONTE: https://blog.ilgiornale.it/wallandstreet/2020/09/18/leta-del-conflitto/
BELPAESE DA SALVARE
Cosa muove al disprezzo il sinistrese
Ma che cosa spinge un accademico di prestigio ad augurare la morte a un nemico politico ricoverato in ospedale? Cosa muove un rapace finanziere di sinistra a dettare un necrologio feroce a un imprenditore malato ma vivo? Cosa frulla nella testa di un attore di successo a negare l’accesso a un festival del cinema a uno spettatore pagante che è leader nei consensi degli italiani?
Raffaele Simone è un pregevole linguista e uno spregevole odiatore. Non dimentichiamo nessuna delle due cose quando esprimiamo un giudizio. Mai dimenticare il testo, mai dimenticare il contesto. Mai ridurre un uomo a una frase infelice, mai ridurre un uomo ai suoi soli studi. Si può essere meschini benché illustri. Il veleno di una frase non appartiene alla follia di un momento; è il disprezzo assoluto e costante verso chi non la pensa come lui. La sua e-mail ostenta il seguente biglietto da visita: Emeritus Professor HC Lund University, Member of Academie Royale de Belgique, Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres.
Con Simone ho fatto parte per un paio d’anni di un ristretto gruppo impegnato a elaborare idee e progetti per l’avvenire; ne ho apprezzato l’intelligenza, abbiamo lavorato bene insieme, in buona sintonia, credevo che fosse nata perfino un’amicizia. Perciò gli proposi di presentare un mio libro appena uscito; lui ritenne la mia proposta “politicamente scorrettissima”, disse che ci avrebbe pensato dopo aver ricevuto il libro, poi ci ripensò prima di riceverlo e mi scrisse che aveva deciso di non presentarlo. Non perché avesse altri impegni o altri interessi di studio, o perché non avesse apprezzato un libro che non aveva neanche visto. Ma perché, evidentemente, ero di un’altra razza, inferiore e maledetta, “di destra”. Niente dissensi da esprimere in libertà; solo apartheid. Non mescoliamoci.
Quando Carlo De Benedetti era in affari con Berlusconi, l’odore dei suoi soldi non puzzava; ora che Berlusconi è in ospedale per il Covid, gli fa una lapide in cui lo definisce un imbroglione nocivo all’Italia. E se Berlusconi si fosse comportato con lui seguendo l’antica massima: a brigante, brigante e mezzo? E Pierfrancesco Favino in rappresentanza sindacale der glorioso popolo de li attori antifascisti de sinistra, non si è sentito la solita sciacquetta conformista da parata nel ringhiare alla Mostra di Venezia contro Salvini intimandogli di non andare a vedere il suo film? Solo i politici di sinistra, i veltronici, possono andare alla mostra del cinema, all’opposizione è vietato anche se paga il biglietto?
Lasciamo i casi clinici o cinici e cerchiamo di capire quale molla muove tre personaggi così diversi che esprimono lo stesso disprezzo, lo stesso odio razzista nei confronti di chi non è dalla loro parte. C’è un livore, un odio militante che è la sublimazione pacifista, vigliacca e borghese di una pulsione becera e animalesca: eliminare il nemico, toglierlo di mezzo. Non riconoscerlo come avversario e magari criticarlo e avversarlo nelle forme legittime della politica; ma abolirlo, negarlo, per giunta quando il nemico è in ospedale per una malattia che ha meritato, come suggerisce l’intellettuale neo-illuminista tornato alle fatture di morte e all’antica stregoneria. Dio non esiste ma il Diavolo si; che se lo porti lui all’inferno il Cavaliere Maledetto.
Ricordo tanti anni fa su una rete berlusconiana da Maurizio Costanzo, nei tempi mai rimpianti in cui andavo nei talk show televisivi. Costanzo a un certo punto lanciò l’ennesima sottoscrizione per Il Manifesto in difficoltà, di cui erano presenti i direttori, e mi chiese a bruciapelo se avrei sottoscritto anch’io per far sopravvivere “il quotidiano comunista”. Senza esitazione risposi di sì, ma aggiunsi una domanda ai direttori del Manifesto: avreste fatto altrettanto voi per un giornale di destra? No, fu la risposta risoluta e secca di costoro. Ecco la differenza di stile, di civiltà, di libertà tra uno “di destra” e loro che si definivano comunisti. Ma la stessa risposta avrebbero dato i tre succitati esemplari della sinistra intellettuale, cinematografica e finanziaria.
La stessa cosa si è ripetuta per decenni in svariate situazioni: a ogni apertura di dialogo, di rispetto e d’attenzione nei confronti di chi la pensa in modo opposto, ho ricevuto spesso – non sempre ma più di frequente – porte chiuse, facce ostili, rifiuti schifati come quello del prof. Simone. Capite qual è la ragione per cui sono e resteranno sempre una minoranza sterile, sdegnosa e antipatica, corrosa dall’astio e dal complesso ingiustificato di superiorità? Capite perché poi il sentire comune propende per l’altra parte? Da una parte è la vita reale, il comune sentire, con tutti i suoi difetti e il buon senso e dall’altra è l’arcigna, acida correzione della realtà, fino alla soppressione del nemico, o in tempi di pace, alla certificazione di morte civile e d’indegnità del medesimo.
Voi direte che a questo punto è meglio ripagarli con la stessa moneta e ricambiare disprezzo con disprezzo. E invece no: meglio non rispondere al male col male; chi fa del male sparge male, anche se lo ha subito. Non lo dico per buonismo e non rinuncio alle polemiche, ma si vive meglio senza rancori, a testa alta. Chi è civile e rispettoso lo è anche se ha davanti un incivile intollerante; la sua condotta non si adegua al livello del suo interlocutore; meglio farsi scivolare le loro maledizioni, meglio farsi superiori agli insulti, sorridenti. E se facessimo come il Mahatma Gandhi che in India sconfisse con la sua umiltà, disarmante e disarmata, la spocchia coloniale degli inglesi, il loro complesso di superiorità, il loro disprezzo razzista? Pensateci, anche se è più duro mantenere la calma che reagire con rabbia. Torneremo sull’argomento, cercando di capire quali meccanismi muovono la chiusura della mente sinistrese.
MV, La Verità 9 settembre 2020
FONTE: http://www.marcelloveneziani.com/articoli/cosa-muove-al-disprezzo-il-sinistrese/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Le guerre di Obama
Che presidente è stato, dal punto di vista militare, quello che ha vinto prematuramente il Nobel per la pace e viene accusato di aver bombardato troppo e troppo poco?
DOMENICA 12 FEBBRAIO 2017
Una delle critiche che circolano di più su Barack Obama, anche in Italia, è quella che lo definisce un “guerrafondaio”: il presidente che nonostante il premio Nobel per la Pace e la pubblica opposizione al ricorso della forza armata si è avventurato in molte operazioni militari in paesi che non erano in guerra con gli Stati Uniti. È un argomento che è stato in parte usato nelle ultime settimane per mettere le mani avanti di fronte a possibili nuovi interventi militari decisi dall’amministrazione di Donald Trump, ma anche legato alle più ampie critiche di chi non condivide l’idea che Obama ha voluto lasciare di se stesso, cioè quella di un presidente riluttante a usare la violenza. È un tema interessante, che non si può però liquidare solo contando i paesi che Obama ha bombardato durante la sua presidenza (spoiler: sette), ma deve essere pensato guardando a molte altre cose, per esempio a come è cambiato il modo di fare la guerra negli ultimi quindici anni e a come sono cambiate le minacce che devono affrontare oggi gli Stati.
Per esempio potrebbe sorprendere che questa critica a Obama è tanto diffusa tra certa stampa e i commentatori online, ma quasi per niente tra gli analisti ed esperti di sicurezza nazionale e di politica estera, di qualsiasi settore: anzi, Obama viene criticato da molti di loro per avere ridotto il ruolo dell’esercito, per avere usato la forza militare con timidezza e per avere parzialmente ritirato i soldati americani da paesi che avevano bisogno di essere stabilizzati dopo interventi militari precedenti, cioè l’Iraq e l’Afghanistan. Quindi, a voler tirare le fila: Obama è stato un guerrafondaio o un presidente riluttante a fare la guerra? Dove ha deciso di attaccare, e in che modo? Partiamo dall’inizio: da quello che sappiamo dell’idea di guerra che ha formulato Obama prima della sua elezione e durante i suoi due mandati presidenziali.
Obama sulla guerra, dall’inizio
Un buon punto di partenza per capirci qualcosa è L’audacia della speranza (PDF), il libro uscito nel 2006 e scritto dall’allora senatore dell’Illinois Barack Obama. L’audacia della speranza conteneva alcuni dei temi che sarebbero diventati parte della campagna elettorale di Obama del 2008, tra cui diverse riflessioni sulla guerra e sull’uso della forza. Per esempio, parlando del mondo post-Seconda guerra mondiale, Obama diceva:
«Analogamente era nell’interesse dell’America lavorare con altri Paesi per dar vita a istituzioni e norme internazionali: non sull’ingenuo presupposto che sarebbero stati sufficienti leggi e trattati internazionali per mettere fine ai conflitti tra nazioni o eliminare la necessità di un intervento militare americano, ma perché più le norme internazionali venivano rafforzate e l’America si dimostrava disposta a esercitare con moderazione il proprio potere, minore sarebbe stato il numero di conflitti che sarebbero sorti; e più legittime sarebbero apparse agli occhi del mondo le sue azioni quando fosse stata costretta a fare uso delle armi.»
Obama riconosceva l’importanza delle istituzioni internazionali non solo come strumento per mantenere la pace, ma anche come mezzo per garantire la supremazia statunitense nel mondo occidentale. Allo stesso tempo non disconosceva il ricorso alla forza, e questo è un punto importante: lo limitava perlopiù a situazioni di estrema necessità.
Per capire cosa significa tutto questo nella pratica, si possono prendere come esempio due guerre iniziate dall’amministrazione di George W. Bush e che Obama si ritrovò tra le mani una volta insediato come presidente: i conflitti in Afghanistan (2001) e in Iraq (2003). Obama parlò di queste due guerre durante l’importante discorso pronunciato all’Università di Azhar, al Cairo, nel giugno 2009. Nel discorso – che girò attorno all’idea di promuovere nuovi e migliori rapporti tra Occidente e mondo islamico dopo i complicati anni dell’amministrazione di George W. Bush – Obama definì quella combattuta in Afghanistan contro i talebani e al Qaida una “guerra di necessità”, a cui gli Stati Uniti non si sarebbero potuti sottrarre. La guerra rispondeva a una precisa minaccia alla sicurezza nazionale americana, rappresentata dagli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 a New York e Washington.
Per Obama era stata una guerra necessaria, perché minacciava direttamente gli Stati Uniti e perché era un’operazione approvata dalla NATO (quella fu anche l’unica volta in cui fu invocato l’articolo 5 del trattato istitutivo della NATO, che prevede l’intervento automatico di tutti i paesi NATO a seguito dell’aggressione di un paese terzo contro un membro dell’alleanza). Per Obama era diverso il discorso sull’Iraq. L’invasione in Iraq fu annunciata due anni dopo l’inizio delle operazioni in Afghanistan, ma fu giustificata sulla base di informazioni d’intelligence che si rivelarono poi false: Stati Uniti e Regno Unito dissero che l’allora presidente iracheno Saddam Hussein era in possesso di un arsenale di armi chimiche e aveva legami con al Qaida. Inchieste successive dimostrarono che non era vero. Per Obama quella in Iraq fu una “guerra per scelta”, non una “guerra per necessità”, oltretutto iniziata senza alcuna autorizzazione internazionale; Hussein non minacciava la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e per questo, diceva Obama, la guerra non andava fatta.
FONTE: https://www.ilpost.it/2017/02/12/le-guerre-di-obama/
Discorso di Lukashenko al popolo: “Siamo gli unici ad aver sconfitto una rivoluzione colorata”
FONTE: http://micidial.it/2020/09/discorso-di-lukashenko-al-popolo-siamo-gli-unici-ad-aver-sconfitto-una-rivoluzione-colorata/
CULTURA
Chi non compra libri è “Rinnegato e bastardo”. Parola (arrabbiatissima) di Giovanni Papini
Torna un testo ironico e furente sulle “disgrazie” della lettura in Italia
La domanda è antica come la stampa a caratteri mobili. Ma perché nessuno di noi, di voi, di loro, si sognerebbe mai di chiedere gratis una cravatta a un negoziante, o un Dry Martini a un barman, o un chilo di pere Guyot – per dire – a un fruttivendolo: Ma moltissime persone, anzi: troppe, non si imbarazzano nel chiedere un libro omaggio all’autore o peggio all’editore?
Già, perché?
Ce lo chiediamo sempre tutti, noi autori ed editori. E se lo chiese, in modi particolarmente furiosi e ironici, anche Giovanni Papini (1881-1956), spirito ondivago ma formidabile polemista, in un pamphlet che sembrerebbe scritto oggi, e perciò giustamente ripubblicato ora, nel momento più disgraziato, appunto, per l’editoria – titolo: Le disgrazie del libro in Italia – (LB edizioni, pagg. 36, euro 5). In realtà, per quanto riguarda lo stato di salute del lettura in Italia (sempre pessimo), una differenza fra la visione di allora e quella di oggi, c’è. Ai tempi di Papini ci si basava sull’osservazione diretta, oggi sulle statistiche. Il risultato però è lo stesso: nel nostro Paese, tolto uno zoccolo duro ma minuscolo di lettori forti, il libro è un oggetto sconosciuto.
A proposito. Piccola nota introduttiva. Andrea Kerbaker, nella introduzione, fa notare che sì, è vero: Le disgrazie del libro in Italia fu pubblicato da Vallecchi nei primi anni ’50 del ‘900. Ma l’autore in quel momento era già anziano, il suo sarcasmo smussato e la prosa appesantita da una spaventosa conversione a «U» al cattolicesimo. Invece le pagine che stiamo leggendo sono brillanti, veloci, vere staffilate. Possibile quindi che fossero state scritte molto tempo prima, nella fase dell’arrabbiatura futurista, e poi rimaste in un cassetto.
Comunque sia, leggere la lamentatio di Papini è molto divertente. Da una parte. E dall’altra lascia un sapore amarognolo in bocca.
Esempi del primo caso: l’elenco degli espedienti cui ricorrono gli italiani – definizione dell’autore: «parassiti» – per accaparrarsi un libro gratis (il più usato ovviamente è chiederlo in prestito a un amico per non restituirlo); l’elenco delle categorie che NON comprano libri (analfabeti, «imbecilli, mentecatti e dissennati», «marrani arricchiti», «mondani ottusi», «piccoli borghesi e proletari» che spendono migliaia di lire per un film o una partita di calcio ma non ne hanno una quando si tratta di entrare in libreria…); l’«inventario squallido» dei libri che si trovano nella maggior parte delle case italiane (libri di cucina, «qualche libro di scuola», la cabala del Lotto, qualche opera classica, «ma non sempre», «e infine l’elenco del telefono»: cioè esattamente come oggi, solo con qualche Camilleri in meno).
Un esempio invece dei misteri dolorosi, è lo sconforto nel vedere un popolo un tempo faro del Sapere diventato indifferente ai libri e alla lettura: «Quegli italiani che posseggono e leggono e studiano buoni libri sono i salvatori e mallevadori di quella grande tradizione, di quella gloriosa e necessaria civiltà. Tutti gli altri sono eredi senza onore – attenzione: gran finale, ndr – e rinnegati bastardi».
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/chi-non-compra-libri-rinnegato-e-bastardo-parola-1891963.html
Giovanni Papini aveva presagito i Social?
In Italia è esistita una generazione di Giornalisti che ha attraversato momenti anche molto bui di storia, mantenendo sempre la lealtà prima di tutto verso loro stessi e, poi, anche nei confronti delle loro idee, partendo dal presupposto che anche queste possono essere cambiate e non sono certo eterne. A quel punto diverrebbero ideali; e non è detto che siano né giusti né sempiterni.
E’ probabilmente il caso di Giovanni Papini (Firenze 1881-1956), giornalista e scrittore ma non solo, che ha attraversato con l’acume della sua penna un periodo molto travagliato della storia d’Italia portando la sua personalità e le sue incertezze che erano, probabilmente, quelle del Paese che stava vivendo e gli umori mutevoli di un popolo troppo avvezzo al cambio di bandiera. Insomma un tipico italiano.
Papini visse questi momenti: nato da padre garibaldino, ateo e repubblicano, morì ricevendo l’estrema unzione: si era convertito negli anni del primo dopoguerra rendendo a sé stesso efficace il battesimo che la madre gli aveva fatto ricevere all’insaputa del padre.
Visse, come molti italiani, all’inizio del primo conflitto mondiale, una fase di deciso interventismo cambiando decisamente rotta e opinione, probabilmente consapevole della carneficina cui si stava andando incontro, rompendo con l’ambiente dei Futuristi cui aveva aderito e che era per lui “forsennato amore dell’Italia e della grandezza d’Italia (…) odio smisurato contro la mediocrità, l’imbecillità, la vigliaccheria, l’amore dello status quo e del quieto vivere, delle transazioni e degli accomodamenti”.
Verosimilmente, tuttavia, pur abbandonando il movimento non cambiò tanto presto idea su alcuni dei principi, tant’è che, successivamente aderì al fascismo e firmò addirittura il “Manifesto della razza”, salvo poi, in seguito, prendere le distanze da quella forma di razzismo che era probabilmente frutto di una decisione istintiva e non ponderata.
Altri evidenti indizi di come Papini fosse soggetto ad emozioni e momenti, si possono ricavare non solo dal fondare e chiudere testate giornalistiche in epoche in cui scrivere e stampare non erano semplici come oggi, quando basta una tastiera e chiunque si può sentire o improvvisare un novello Biagi o Montanelli. Aprì e chiuse “Il Leonardo”, con Giuseppe Prezzolini e, successivamente stesso destino ebbe anche la rivista “L’Anima”, fondata con Giovanni Amendola. Passò poi a “La Voce” con Giuseppe Prezzolini, ed in tutte le sue esperienze che portarono ad un arricchimento della cultura italiana. Tuttavia la frase che probabilmente rivela la complessa personalità di Papini è la celebre “Dio è ateo”, che oltre ad aprirsi a una quantità innumerevole di possibili interpretazioni, può dare un’idea della camaleontica personalità di chi l’ha pronunciata.
Ma nelle sue opere si trova anche una frase che, oltre a dimostrare l’acume di Papini, rende l’idea di quella che fosse la sua consapevolezza della difficoltà del mestiere di scrivere e, più ancora, di essere un libero pensatore, frase molto cara agli intellettuali e non di allora. Papini sosteneva che viviamo in un mondo in cui per esprimere un pensiero, è necessario avere già pronto un salvacondotto di scuse.
Si tratta di un’osservazione che porta a riflettere non tanto sul senso di responsabilità di chi si lancia in un’affermazione e deve essere pronto a difenderla e sostenerla ma anche, rapportando la frase ad oggi, nell’epoca di internet e dei social, sul fatto che si deve essere pronti e disposti a difendere il proprio pensiero non solo da chi, legittimamente, lo contesta in quanto portatore di una diversa istanza: è legittimo. Oggi si deve giustificare ogni nostra parola davanti ad un popolo che si sente portatore di verità e legittimo portabandiera del politically correct: i depositari della verità assoluta che sentono dentro di loro solo per avere in mano lo strumento che glielo permette. Un esercito contro cui combattere e che meriterebbe la penna di Papini dall’altro lato della barricata.
Ma l’arguto fiorentino, sembra già avesse previsto e preannunciato questa generazione di scrittori da tastiera e lo si può leggere in un suo aforisma: “In principio erano i mezzomini, cioè mezze bestie che però, con l’andar del tempo, diventarono, almeno in parte, grandiuomini, cioè eroi. Nei tempi moderni sono spariti viavia i gentiluomini, i galantuomini, e finalmente son quasi scomparsi perfino gli uomini. Ora son rimasti sulla scena i sottomini che stanno fantasticando intorno ai superuomini”.
Non è una perfetta descrizione della Rete in cui i sottomini, sono il gran pubblico della Rete che cerca di fantasticare essere il superuomo che, ben lungi dall’essere quel gentiluomo o galantuomo di una volta, è soltanto l’influencer di turno? Che aspetta di essere soppiantato, a breve, da quello successivo?
Forse nella sua esperienza di vita e letteraria, Papini già aveva applicato i principi che oggi vediamo sui Social.
FONTE: https://www.futuro-europa.it/33347/corner/giovanni-papini-aveva-presagito-i-social.html
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Il sito porno dell’ambasciata di Bruxelles mortifica YouPorn
Possibile che nessuno si sia accorto di quel che sta succedendo?
Preoccupazione sul mercato telematico a luci rosse per la significativa perdita di utenti che nelle ultime 48 ore hanno scelto di indirizzare la propria frequentazione online sul sito www.ufficioscolasticobruxelles.eu collegato all’Ambasciata italiana in Belgio.
In tempi di dispersione scolastica è incredibile l’interesse che la struttura per l’insegnamento tricolore a Bruxelles è riuscita ad instillare nel più diverso pubblico, calamitando l’attenzione anche di soggetti che da tempo hanno soddisfatto l’obbligo scolastico e completato cicli didattici di ogni ordine e grado.
Il richiamo – complici Infosec.news e Dagospia che ha ripreso il nostro articolo – è stato irresistibile e gente plurilaureata e con tanto di dottorato non ha potuto fare a meno di rivolgersi all’ufficio italiano all’estero maggiormente gettonato per avere lumi sui piani di formazione e sui calendari delle lezioni.
Qualche malalingua ha repentinamente immaginato che l’iniziativa online sia ricompresa nel programma governativo di riapertura delle scuole, che senza dubbio potrebbe attribuire all’insediamento in territorio belga una funzione trainante (la storia della coppia di buoi è subito stata oggetto di citazione anche in contesti dal linguaggio forbito).
YouPorn e altri siti storicamente leader del settore stanno probabilmente già lavorando per contrastare l’inaspettata concorrenza della nostra diplomazia. Il fronte del web a tripla X sta pensando di riconquistare terreno ripubblicando con brevi video estratti dalle lezioni di UniNettuno e di Rai Scuola nella speranza che il mercato possa premiare una così lodevole iniziativa.
Sorprende che il Ministero per gli Affari Esteri e l’Ambasciata non abbiano reagito alla ricorrente espressione degli utenti che – all’apertura del sito in questione – non hanno esitato ad esclamare “che gran pezzo di feluca”.
ECONOMIA
I fallimenti aumentano nonostante trilioni di nuova liquidità
Di: Daniel Lacalle
I blocchi sconsiderati hanno distrutto l’economia globale e l’impatto dovrebbe durare per anni. L’errore dell’argomento “vite o economia” è evidente adesso che vediamo che paesi come Taiwan, Corea del Sud, Austria, Svezia e Olanda sono stati in grado di preservare meglio il tessuto imprenditoriale e l’economia mentre svolgono un lavoro molto migliore nella gestione della pandemia rispetto ai paesi che hanno adottato blocchi più severi.
Uno dei fatti più allarmanti di questa crisi è il ritmo con cui crescono i fallimenti. Nonostante un’iniezione di liquidità di 11 trilioni di $ e aiuti governativi nel 2020, azioni e obbligazioni ai massimi storici e rendimenti sovrani e societari ai minimi storici, le società stanno crollando al ritmo più veloce dalla Grande Depressione. Perché? Perché una crisi di solvibilità non può essere mascherata dalla liquidità.
Trilioni di liquidità stanno dando agli investitori e ai governi un falso senso di sicurezza, perché i rendimenti sono bassi e le valutazioni sono alte, ma è un miraggio guidato dagli acquisti della banca centrale che non può mascherare la velocità con cui le aziende stanno entrando in problemi di solvibilità a lungo termine. Questo è importante perché l’impennata dei fallimenti e l’aumento delle aziende zombie significano meno occupazione, meno investimenti e una crescita più bassa in futuro.
La liquidità nasconde solo il rischio; non risolve i problemi di solvibilità causati dal crollo dei flussi di cassa mentre i costi rimangono elevati.
Secondo il Financial Times, le dichiarazioni di fallimento di grandi società statunitensi stanno ora procedendo a un ritmo record e dovrebbero superare i livelli raggiunti durante la crisi finanziaria nel 2009. Al 17 agosto, un record di quarantacinque società, ciascuna con un patrimonio di oltre 1 miliardo di $, hanno presentato istanza di fallimento del Capitolo 11. In Germania, circa cinquecentomila aziende sono considerate insolventi e sono state zombificate da un’inutile “legge sull’insolvenza” che semplicemente estende il dolore delle imprese tecnicamente fallite. In Spagna, la Banca di Spagna ha avvertito che il 25% di tutte le società è sull’orlo della chiusura per insolvenza. Secondo le stime di Moody’s, oltre il 10% delle imprese nelle principali economie sono in grave stress finanziario, molte in bancarotta tecnica.
Come è potuto accadere? Dalla crisi del 2008, tutte le azioni politiche sono state mirate a mantenere bassi i rendimenti dei titoli di Stato, a salvare la spesa pubblica gonfiata e i deficit; e le massicce iniezioni di liquidità hanno avvantaggiato le grandi società quotate che hanno utilizzato il denaro per proteggere le loro valutazioni attraverso riacquisti e debiti a basso costo. Tuttavia, il denaro a buon mercato ha anche innescato malinvestimenti, scarsa allocazione del capitale e livelli di debito superiori al normale. Le piccole imprese non hanno visto i presunti benefici dei massicci programmi di liquidità e deficit, mentre le grandi aziende si sono sentite troppo a loro agio con livelli elevati di debito, scarso ritorno sul capitale impiegato e indici di solvibilità che erano semplicemente troppo bassi in un’economia in crescita.
Soldi a buon mercato e massicci salvataggi hanno gettato i semi di una crisi di solvibilità innescata dalla decisione irresponsabile di alcuni governi di chiudere intere economie. Se hai un’economia che è altamente indebitata e con indici di produttività e solvibilità bassi, chiudere l’economia per due mesi è l’ultimo chiodo nella bara. E le ramificazioni dureranno per anni.
Salvare le aziende zombie non farà che peggiorare le cose e nuovi blocchi potrebbero essere letali. La soluzione è ciò che nessun governo vuole fare perché non cattura i titoli dei giornali né dà l’impressione che i politici stiano salvando il mondo: misure dal lato dell’offerta che attivano i meccanismi di rifinanziamento, ristrutturazione e miglioramento dell’efficienza.
Più politiche dal lato della domanda, inutili piani di stimolo volti a costruire qualsiasi cosa a qualsiasi costo e più iniezioni di liquidità non faranno altro che peggiorare le cose e spingeranno l’economia verso una crisi di stagflazione dove il prossimo problema sarà l’ingresso in una crisi finanziaria, mentre i fallimenti aumentano e le valutazioni degli attivi delle banche scendono come palloncini di prestiti non-performing nonostante la massiccia azione della banca centrale.
I governi preferiranno seguire la strada del Giappone: più debito, più salvataggi e massiccia spesa pubblica. Tuttavia, ciò porterà solo alla stagnazione e al perpetuarsi di squilibri che non potranno essere nascosti quando gli errori del Giappone saranno attuati dall’Eurozona, dalla Cina e dagli Stati Uniti. Non c’è modo con cui evitare che grandi spese e abbuffate di liquidità finiscano per generare altro che un debito più elevato, una crescita più debole e salari reali più bassi.
Per porre fine al problema delle imprese zombie e al rischio di ulteriori salvataggi, abbiamo bisogno di un mercato più aperto, meno burocrazia e meccanismi di ristrutturazione più flessibili. Qualsiasi altra cosa produrrà semplicemente la stagnazione.
FONTE: https://gerardospace.wordpress.com/2020/09/08/i-fallimenti-aumentano-nonostante-trilioni-di-nuova-liquidita/
PIL Italia: S&P è ottimista, riviste le stime
24 Settembre 2020 –
PIL Italia: qual è l’ultima valutazione di S&P? L’agenzia di rating promuove il nostro Paese con un miglioramento delle stime sulla crescita.
PIL Italia sotto la lente di S&P.
L’agenzia di rating ha aggiornato le previsioni sulla crescita economica dell’Eurozona per la fine del 2020 e il prossimo anno.
A sorpresa, arrivano dati incoraggianti per il futuro del nostro Paese. Le valutazioni di S&P sul PIL dell’Italia sono migliorate.
Sorpresa S&P sul PIL Italia: le stime
S&P ha diffuso gli aggiornamenti sulle previsioni economiche dell’Eurozona, dove la stima sul PIL di quest’anno è di una contrazione del 7,4%, con un +6,1 nel 2021.
C’è più ottimismo per l’Italia. Le prospettive sono di un miglioramento del Prodotto Interno Lordo, che passerà dalla precedente stima a -9,5% a quella attuale pari -8,9% per l’anno in corso.
Il 2021, secondo le previsioni S&P, vedrà una crescita del PIL italiano del 6,4%, con una variazione del +1,1% rispetto alla precedente valutazione.
Infine, il picco per la disoccupazione del 2021 sarà pari al 9,1%.
FONTE: https://www.money.it/PIL-Italia-S-P-ottimista-riviste-stime
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Perché Deutsche Bank rottamerà il 20% delle filiali
di Chiara Rossi
Deutsche Bank ha annunciato che chiuderà un quinto delle sue filiali in Germania motivando la decisione con l’accelerazione della digitalizzazione post pandemia.
Una filiale su cinque di Deutsche Bank chiuderà i battenti in Germania. “Vogliamo ridurre il numero di filiali da 500 a circa 400 il più rapidamente possibile”. Lo ha annunciato Philipp Gossow, responsabile del retail banking del gruppo, in una conferenza organizzata dal quotidiano Handelsblatt a Francoforte.
In questo modo il colosso creditizio tedesco proverà a risparmiare sui costi e capitalizzare le abitudini mutevoli dei clienti durante la pandemia di coronavirus. Come ha riferito un dirigente a Reuters.
Il nuovo ciclo di chiusure di filiali segue un’iniziativa simile lanciata nel 2016 quando Deutsche ha ridotto il numero di filiali da più di 700 a circa 500.
Le chiusure avverranno “il più rapidamente possibile” ha sottolineato Gossow.
IL PIANO DI DEUTSCHE BANK
I piani della banca devono ancora essere ancora discussi con il comitato aziendale e i posti di lavoro che andranno persi nelle agenzie interessate fanno parte dei 18mila tagli di posti di lavoro già annunciati dal presidente del consiglio di amministrazione, Christian Sewing, nel luglio 2019 nell’ambito della nuova strategia del gruppo.
LA RISTRUTTURAZIONE PARTITA NEL 2019
Dal 2019 Deutsche è stata nel bel mezzo di una ristrutturazione che comporta un parziale ritiro dalle attività di investment banking, una radicale contrazione del suo bilancio e il taglio di 18.000 posti di lavoro entro il 2022. Nella fase iniziale della crisi Covid-19, Deutsche aveva temporaneamente sospeso i licenziamenti.
PASSAGGIO AL MOBILE BANKING
I clienti di Deutsche Bank potranno in futuro effettuare operazioni più ordinarie nella rete di circa 800 filiali della controllata Postbank, dopo un lungo progetto di integrazione con la capogruppo. Secondo Gossow ora i clienti accettano di più l’online e il mobile banking rispetto al passato.
“Il coronavirus ha ulteriormente modificato le esigenze dei servizi di consulenza e delle filiali”, ha precisato Gossow.
Gossow ha riferito inoltre che i servizi di consulenza più complessi si stanno svolgendo sempre più tramite telefono o videochiamata e la banca avrebbe investito una somma (non comunicata) per sviluppare tali servizi digitali.
D’altronde, come sottolinea il Financial Times, l’unità di vendita al dettaglio di Deutsche, che ha più di 22 milioni di clienti a livello globale e rappresenta più di un terzo delle entrate, ha generato 269 milioni di euro di perdite nel 2019.
COME LA RIVALE COMMERZBANK
La decisione segue una mossa della rivale domestica Commerzbank. Quest’estate l’istituto ha annunciato che non avrebbe riaperto 200 — delle 1000 filiali — chiuse durante la pandemia.
FONTE: https://www.startmag.it/economia/perche-deutsche-bank-rottamera-il-20-delle-filiali/
Ecco come Mediobanca offre Mps a Unicredit, Bpm e non solo
Secondo Mediobanca, chi si fonderà con Mps potrà beneficiare di crediti fiscali legati alle pesanti perdite della banca senese. Unicredit o Banco Bpm si faranno convincere da Mediobanca e Mef? Fatti, nomi, numeri e indiscrezioni
Grandi manovre, e grandi preoccupazioni, per il futuro del Monte dei Paschi di Siena. Ecco tutte le ultime novità sul gruppo che sarà in perdita fino a tutto il 2022, come hanno sottolineato i vertici di Mps (qui l’approfondimento di Start Magazine)
IL PUNTO SUL MONTE
Il destino di Mps torna sotto i riflettori con il ministero dell’Economia retto da Roberto Gualtieri (Pd) per trovare un futuro all’istituto senese, come promesso alla Ue, visto che il Tesoro dovrà scendere nell’azionariato del Monte.
I RUMORS DI BLOOMBERG E REPUBBLICA SU MPS
Le voci, riportate ieri da Bloomberg e Repubblica, di contatti tra gli uomini del Mef e Unicredit, candidato ideale per una collocazione di Siena, hanno avuto l’effetto ieri di far decollare il titolo del Monte dei Paschi di Siena (+3,9% a 1,34 euro) e zavorrare quello di Unicredit (-1,9% a 6,96 euro).
LA POSIZIONE DI UNICREDIT
Il gruppo bancario guidato dall’ad, Jean-Pierre Mustier, ha opposto come al solito un “no comment” ai rumor, limitandosi a ricordare come Mustier abbia sempre escluso dall’orizzonte del suo piano l’M&A.
LA NEUTRALITA’
Non si sa se il capo azienda di Unicredit, alla luce anche del blitz di Intesa Sanpaolo su Ubi Banca, possa tornare sui suoi passi. Ma condizione imprescindibile perché ciò possa accadere è che un’eventuale operazione sia neutra sulla posizione di capitale di Unicredit, ha scritto l’Ansa.
LA DOTE DI MPS?
Per assicurare alla banca il mantenimento di un “cet1 superiore al 13%”, secondo Equita, Mps avrebbe bisogno di una dote di “circa 4 miliardi”, cifra che non include il necessario incremento degli accantonamenti sui rischi legali, pari a 600 milioni su un petitum di 10 miliardi (qui l’approfondimento di Start Magazine sulle cause legali). A pagare sarebbe ancora una volta il Tesoro (il Mef infatti controlla il Mps), in un’operazione che ricalcherebbe la cessione delle banche venete (Popolare di Vicenza e Veneto Banca) a Intesa Sanpaolo.
LE STIME DI EQUITA
Equita ha calcolato che, a fronte di 2 miliardi di euro di costi di integrazione, la neutralità sul patrimonio (Cet 1 ratio pro forma del nuovo gruppo che si verrebbe a formare superiore al 13%), rende necessaria una ricapitalizzazione di 4 miliardi, “ma senza considerare la copertura dei rischi legali”.
I CALCOLI DEGLI ANALISTI
Per la Sim – ha scritto Radiocor – l’ipotesi le risorse già stanziate dal Mef per 1,5 miliardi sono sufficienti per procedere con lo spinoff dei crediti deteriorati (Npe) ad Amco e completare il processo di derisking, ma potrebbero risultare non sufficienti per rendere ancora più appetibile la banca in un’ottica di M&A, anche ipotizzando un intervento da parte di Unicredit.
COSA FA MEDIOBANCA SECONDO IL CORRIERE DELLA SERA
Comunque secondo Mediobanca – come riporta oggi il Corriere della Sera – chi si fonderà con Mps potrà beneficiare di un «patrimonio inespresso» di 3,6 miliardi (in termine tecnico «Dta», attività per imposte differite), ovvero crediti fiscali legati alle enormi perdite della banca senese. È questo uno dei punti forti del dossier Mps portato avanti dal Tesoro, socio al 68%, dall’advisor Mediobanca e dallo stesso ceo dell’istituto, Guido Bastianini.
DEFICIT DI CAPITALE
Secondo altri analisti, il deficit di capitale, tenendo conto della situazione al secondo trimestre, sarebbe di 1,4 miliardi, che salirebbero a 2 miliardi considerando lo scorporo degli 8,1 miliardi di crediti deteriorati lordi (cessione ad Amco) e circa 3 miliardi con i costi di ristrutturazione all’operazione. I conti escludono la tutela dalle cause legali.
IL REPORT DI AKROS
Banca Akros ieri ha messo in evidenza che la questione delle cause è un rischio “giudicato come ostacolo significativo a qualsiasi tipo di accordo”. Con la conseguenza che senza uno scudo totale da parte del governo non vi sarebbe matrimoni con un’altra banca. Se Unicredit acquisisse Mps, per i broker di Banca Akros riuscirebbe pareggiare la differenza rispetto a Intesa Sanpaolo in termini di quota di mercato bancario italiano (circa il 4% nella raccolta diretta e il 5% nel credito alla clientela) e offrirebbe potenziali sinergie di costo stimate in 500 milioni di euro (run-rate), con un valore effettivo di circa 2,3 miliardi. “Ma con significativi rischi di esecuzione”, chiude Akros.
COSA SCRIVE MILANO FINANZA
Tra le condizioni poste dalla Bce per autorizzare la scissione una è di difficile realizzazione: trovare investitori disponibili a sottoscrivere il 30% dei bond At1 che la banca dovrà emettere e che non pagano la cedola in caso di perdite (Mps ha ammesso che sarà in rosso fino al 2023). Da qui – ha scritto Mf/Milano Finanza – la risolutezza con cui il Tesoro sta perlustrando, con l’advisor Mediobanca, la strada di una fusione (per cui circolano anche i nomi di Banco Bpm, Bper, Agricole) in modo da sistemare una volta per tutte il dossier Siena.
L’OPERAZIONE HYDRA
Se l’operazione Hydra dovesse saltare, infatti, i crediti deteriorati di Mps dovrebbero fare i conti con le svalutazioni automatiche del calendar provisioning della Ue, di cui anche Bastianini ha auspicato un rinvio “assolutamente positivo per il sistema”. Solo grazie alla scissione, infatti Mps “sarebbe impattata molto meno” delle altre banche italiane, in un contesto in cui, causa Covid, “è ragionevole prevedere una crescita del tasso di default”. Anche per affrontare questi nodi Mps sta lavorando a testa bassa al nuovo piano industriale che potrebbe vedere la luce “tra qualche settimana, qualche mese” con l’obiettivo di dare alla banca “una prospettiva di sviluppo e crescita”.
Nel frattempo Mediobanca per conto del Tesoro offre Mps a destra e manca.
FONTE: https://www.startmag.it/economia/mps-ecco-come-mediobanca-offre-il-monte-a-unicredit-banco-bpm-e-non-solo
GIUSTIZIA E NORME
No al vaccino antinfluenzale obbligatorio. Lo dice il Tar della Calabria
Gioia Locati – 16 09 2020
No al vaccino antinfluenzale obbligatorio per medici e over 65enni. Lo ha deciso ieri il Tar della Calabria accogliendo il ricorso presentato a giugno da associazioni di professionisti e cittadini. Non spetta alle Regioni decidere a riguardo. Il tribunale amministrativo dice chiaro che il provvedimento regionale è in contrasto con la Costituzione (art.32, comma 2). La Carta prevede infatti che i trattamenti sanitari obbligatori “siano coperti da riserva di legge statale”. Cliccate qui.
Significa che per istituire un obbligo vaccinale ci vuole una legge nazionale. E un parlamento che la discuta, con i tempi necessari e le dovute correzioni.
Ne avevamo parlato qui a proposito dell’ordinanza “fotocopia” emessa dalla Regione Lazio. Il Tar laziale si pronuncerà il 29 settembre nel merito di sei ricorsi, uno dei quali aveva chiesto anche una sospensiva in attesa dell’udienza che però due giorni fa non è stata concessa.
Il Tar calabrese ha perciò accolto il ricorso di medici e cittadini. Si legge nella sentenza che “data la natura assorbente del vizio riscontrato, il giudice amministrativo si asterrà dall’esaminare i successivi motivi di ricorso”.
E ancora: “In particolare, deve essere sottolineato come non verrà esaminato l’ultimo motivo di ricorso, con cui si contesta la logicità e la ragionevolezza dell’imposizione dell’obbligo vaccinale, e più in generale si contesta l’efficacia del vaccino antinfluenzale”.
Già. I medici di Calabria e Lazio sono insorti anche per vari motivi di merito. Il primo e più importante riguarda la cosiddetta diagnosi differenziale addotta come unica motivazione scientifica. Gli amministratori regionali che vorrebbero imporre l’obbligo del vaccino (vincolando la puntura al diritto al lavoro e alla socialità, “senza, non si può nè lavorare nè partecipare a centri di aggregazione”) avevano motivato l’obbligo dicendo che “se ci si vaccina contro l’influenza e poi si è colti da febbre questa è sicuramente Covid”.
Luca Speciani, presidente dell’associazione AMPAS (Medici per un’alimentazione di segnale) aveva così commentato:
“Se uno studente di Medicina dicesse una castroneria simile a un esame, non solo sarebbe bocciato, ma verrebbe invitato a non presentarsi per i successivi due anni. È un’affermazione senza fondamento che può rivelarsi pericolosa”
Viste le motivazioni del ricorso, già il 4 agosto il tar del Lazio aveva chiesto al Comitato Tecnico Scientifico, CTS, di spiegare il legame con l’influenza stagionale e il Covid. “L’istruttoria chiarificatrice sarà tuttavia stilata da un comitato indipendente avendo noi citato in giudizio i membri del CTS” ha precisato Speciani.
I ricorrenti hanno poi allegato studi sul vaccino contro l’influenza. Si tratta di un vaccino protettivo verso 4 virus stagionali, tuttavia ogni anno sono centinaia i virus responsabili delle sindromi influenzali (ecco perché i vaccinati si possono comunque ammalare di influenze).
È riportato, inoltre, che questo tipo di vaccinazione, pur proteggendo di più i vaccinati contro i 4 virus (rispetto ai non vaccinati) rende i vaccinati più sensibili alle polmoniti e alle malattie respiratorie da coronavirus. Cliccate qui.
Tornando al Tar della Calabria
Alessandro Gaetani, uno degli avvocati che ha curato entrambi i ricorsi regionali assieme alle colleghe Samanta Forasassi e Sara Forasassi, è soddisfatto anche di un altro aspetto. “Il Tar della Calabria ha ribadito il diritto della persona a essere curata efficacemente secondo i canoni della scienza e dell’arte medica (si citano varie sentenze della Corte Costituzionale). Le condizioni di uguaglianza devono essere rispettate in tutto il Paese attraverso una legislazione generale dello Stato basata sugli indirizzi condivisi dalla comunità scientifica nazionale e internazionale. Non si parla dunque di una scienza migliore delle altre ma di una condivisione di indirizzi”.
Conclusioni. Non esiste una “miglior scienza”. Non esiste un podio scientifico. Non esiste un portavoce dell’unica scienza.
Esistono i lavori condivisi.
Cliccate qui per leggere il COMUNICATO STAMPA COLLEGIO DIFENSIVO
FONTE: https://blog.ilgiornale.it/locati/2020/09/16/no-al-vaccino-antinfluenzale-obbligatorio-lo-dice-il-tar-della-calabria/
Niente processo alle toghe: seppellite le verità di Palamara
La Procura generale della Cassazione è intervenuta pesantemente nel processo del Csm a Luca Palamara e ha chiesto che siano tagliati via 127 testimoni della difesa su 133. Comunque che non sia chiamato a testimoniare nemmeno un magistrato. Eppure tutta la difesa di Luca Palamara, si sa, consiste nel far raccontare ai suoi colleghi come funzionavano le nomine e il controllo della magistratura da parte delle correnti e del partito dei Pm. È chiaro che queste cose non possono raccontarle i cinque ufficiali della Finanza ammessi al banco dei testimoni. Non possono perché loro non sanno niente di come si nomina un procuratore, o un aggiunto, o un presidente di tribunale, ed eventualmente di come si patteggia una sentenza favorevole al Pm in cambio della nomina di un giudice. La Procura generale ha chiesto al Csm di affermare un principio che resti saldo come il cemento. Il principio che nessuno può processare la magistratura, nemmeno la magistratura.
Il Csm ha accolto la tesi del procuratore generale e ha seppellito il processo a Palamara. Il processo non ci sarà, a nessuno interessa sapere come vanno le cose in magistratura, Palamara deve essere condannato ed espulso dalla magistratura perché solo così si salva il silenzio e l’onore. A questo punto sarebbe giusto e normale, in un normale paese democratico, che intervenisse il Parlamento, nominasse una commissione di inchiesta con tutti i poteri di indagine, e iniziasse a interrogare tutti e 127 i testimoni chiesti da Palamara e rifiutati dalla Procura generale e dal Csm. Il Parlamento ha questo potere. Non possiede nessun altro strumento per contrastare o almeno contenere le arroganze e le sopraffazioni della magistratura, e difendere i cittadini. Lo farà? Non credo.
Intanto il povero Luca Palamara, capro espiatorio di professione, dopo essere stato per anni il punto di riferimento delle correnti dei Pm, è costretto ad affrontare un processo di tipo sovietico. Nel quale è evitato qualunque tentativo di accertare la verità, sono cancellati tutti i diritti della difesa, e il massimo a cui può aspirare è la richiesta di clemenza della Corte. In Unione Sovietica la clemenza della corte non ci fu mai. Non ci sarà neppure questa volta. C’è da tremare – tutti noi: tutti noi – di fronte a questa prova di forza, di autoritarismo, di totalitarismo, che la magistratura italiana sta offrendo al Paese e al mondo. Ps: Ma la stampa? La stampa protesta, critica, denuncia? Oh beh, la stampa: che domanda cretina…
(Piero Sansonetti, “Il processo a Palamara non si farà: nessuno ha il diritto di processare la magistratura, neanche la magistratura”, dal “Riformista” del 20 settembre 2020).
IMMIGRAZIONI
A un anno dall’insediamento, il Governo cambia i decreti immigrazione di Salvini: ecco la bozza del testo
Stop multe per i soccorsi, accoglienza diffusa e più permessi di soggiorno. I decreti immigrazione sul tavolo di Palazzo Chigi
La legge sull’immigrazione sta per subire diverse modifiche. La maggioranza aveva annunciato questo cambio di passo da tempo e da un mese il testo del nuovo dl che modifica i decreti sicurezza di Salvini è a Palazzo Chigi, pronto per essere messo in discussione in CdM. Si tratta di nove articoli con disposizioni urgenti in materia di migrazione, protezione internazionale e permessi di soggiorno.
Le correzioni ai decreti Salvini le aveva chieste un anno e mezzo fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel momento della promulgazione del secondo decreto fortemente emendato dal Parlamento con le maximulte per le navi umanitarie che fossero entrate in acque italiane senza il permesso. Ma cosa cambierà esattamente nel testo voluto da Pd e M5S e trasmesso dalla ministra Lamorgese?
Niente più sanzioni per i soccorsi
Innanzitutto, le multe sono state riportate alla cifra iniziale, da 10 a 50.000 euro. Ma viene specificato che “il divieto di transito e sosta nelle acque territoriali non può essere applicato nell’ipotesi di operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e soccorso in mare”.
Vietati i respingimenti verso i paesi pericolosi
Nel testo del decreto si legge: “Non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani”. Questo significa esplicitare che i recuperi in mare di migranti da parte della guardia costiera libica stridono con il diritto internazionale.
Protezione e permessi di soggiorno: casi ampliati
Verrà fortemente ampliata la casistica dei nuovi permessi di soggiorno. Non è un ritorno in toto alla protezione umanitaria, ma viene assicurata la protezione speciale a tutte le categorie vulnerabili e la conversione in permessi di lavoro di molte tipologie di permessi di soggiorno. E ancora, l’articolo 5 bis ripristina il diritto all’iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo a cui viene rilasciata una carta d’identità di validità limitata al territorio nazionale e della durata di tre anni. (Ne avevamo parlato con un’intervista a Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, un anno fa. Proprio quando Salvini vietò la registrazione all’anagrafe dei richiedenti asilo).
Verrà anche dimezzato il periodo di trattenimento nei centri per il rimpatrio dei migranti in attesa di essere rimandati nel Paese d’origine, da 180 a 90 giorni “prorogabili per altri 30 qualora lo straniero sia cittadino di un Paese con cui l’Italia abbia sottoscritto accordi in materia di rimpatri”.
Ritorna il sistema di accoglienza diffuso
L’articolo 4 del nuovo decreto è quello che riforma integralmente il sistema di accoglienza ora chiamato “Sistema di accoglienza e integrazione”. Ritornando al sistema diffuso (simile a quelli che erano gli Sprar) e ripristinando una serie di servizi anche per i richiedenti asilo a cui Salvini aveva sostanzialmente tolto ogni diritto. Nei centri “sono erogati, anche con modalità di organizzazione su base territoriale, oltre alle prestazioni di accoglienza materiale, l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e psicologica, la mediazione linguistico-culturale, la somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio”. Ai titolari di protezione internazionale, ai minori non accompagnati e ai titolari di protezione speciale vengono poi forniti “l’orientamento al lavoro e la formazione professionale”.
Leggi anche: 1. Se la Corte Costituzionale arriva prima del Pd a bocciare i decreti sicurezza di Salvini (di G. Cavalli) / 2. Migranti, sbarchi in Italia: dati alla mano, ecco come stanno davvero le cose
FONTE: https://www.tpi.it/politica/decreti-sicurezza-immigrazione-salvini-cosa-cambia-nuovo-testo-20200924670370/
Così vogliono far ripartire il business dell’accoglienza
Spunta il nuovo decreto sull’immigrazione. Tolte le multe alle Ong, pronto di nuovo il sistema di accoglienza diffusa
Più che una riforma sull’immigrazione sembra un colpo di penna con cui si è deciso di stravolgere definitivamente i decreti sicurezza. Si può sintetizzare così il testo che il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha già inviato a Palazzo Chigi per la discussione interna al governo giallorosso.
Lo aveva annunciato del resto lo stesso presidente del consiglio nei giorni scorsi, non a caso a poche ore dai risultati delle regionali: “I tempi sono maturi per una riforma del decreto sicurezza”, ha dichiarato Giuseppe Conte alla stampa. Su Repubblica sono uscite le prime indiscrezioni.
Via le sanzioni alle Ong, allargata la base della protezione internazionale
La riforma dei decreti sicurezza, le norme cioè volute tra l’ottobre del 2018 e l’agosto del 2019 dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, era sul tavolo da tempo. Più volte, quando un anno fa si è formato il Conte II, da sinistra sono arrivate indicazioni volte a dare una certa discontinuità alle politiche di sicurezza e di immigrazione. Ufficialmente per conformarsi ai rilievi mossi dal Quirinale subito dopo la conversione in legge dei decreti, in realtà probabilmente per fare uno sgarbo politico al leader della Lega.
Infatti non ci sono soltanto i rilievi della presidenza della Repubblica sotto i riflettori delle modifiche. Mattarella aveva evidenziato l’incongruità delle somme previste per le multe alle navi Ong, richiamando al rispetto degli impegni presi dall’Italia a livello internazionale e dunque, in questo caso, nell’ambito dei salvataggi in mare. Nel testo di riforma firmato dalla Lamorgese, sono per l’appunto previste multe molto meno esose per le navi cosiddette umanitarie: la cifra varia dai 10.000 ai 50.000 Euro. Ma, come spiegato da Alessandra Ziniti, difficilmente le sanzioni verranno realmente applicate “nell’ipotesi di operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e soccorso in mare”.
Ma oltre al discorso relativo alle multe contro le Ong, nel testo riformato c’è spazio anche per altre modifiche. Come quella ad esempio relativa alla protezione speciale. Quest’ultimo è un istituto introdotto dai decreti sicurezza e che è andato a sostituire la protezione umanitaria. Nella bozza del nuovo testo non c’è un ritorno al passato ma un ampliamento della casistica per la quale un migrante può chiedere la protezione speciale. Spazio anche alla reintroduzione del diritto di iscrizione all’anagrafe per i richiedenti asilo, circostanza quest’ultima che dà loro accesso ad alcuni servizi precedentemente tolti. Ai richiedenti inoltre verrà rilasciata una carta d’identità valevole per tre anni nel nostro territorio nazionale.
Così come nelle intenzioni originarie della Lamorgese, nel nuovo testo sull’immigrazione è previsto un ritorno al sistema di accoglienza diffusa: “ Nei centri sono erogati – si legge nell’articolo 4 del nuovo decreto – anche con modalità di organizzazione su base territoriale, oltre alle prestazioni di accoglienza materiale, l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e psicologica, la mediazione linguistico-culturale, la somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio”. In totale, il nuovo piano sull’immigrazione conterrà nove articoli e verrà sottoposto quanto prima all’esame dell’intero governo.
Un obiettivo politico inseguito da un anno
Era dall’insediamento del Conte II che la cancellazione o riforma dei decreti sicurezza veniva considerata prioritaria. A rallentare i lavori sono stati i grillini, i quali hanno approvato i precedenti decreti voluti da Salvini e che avevano timore di perdere definitivamente contatto con una parte del loro elettorato. Così Luciana Lamorgese ha presentato solo a febbraio una prima bozza di riforma, il coronavirus ha dato un altro stop al progetto. Adesso il governo giallorosso ci vuole riprovare. Ma i risultati non sono affatto scontati: tra un Movimento Cinque Stelle con molti mal di pancia e una sinistra del Pd che vorrebbe un’eliminazione totale delle norme di Salvini, trovare una sintesi non sarà semplice e anzi è forte il rischio di spaccature.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/politica/immigrazione-ecco-nuovo-decreto-niente-sanzioni-ong-soccorso-1892272.html
Proroga dello stato di emergenza, primo via libera della Camera alla conversione del DL 83/2020
Smart working, tracciamento dei contatti, reclutamento di personale sanitario, misure per contrastare la ripresa dei contagi. Il provvedimento passa al Senato per l’approvazione definitiva
Con 219 voti favorevoli, un voto contrario e un astenuto, la Camera ha approvato con il voto di fiducia la conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 luglio 2020, n. 83 (testo in calce), recante misure urgenti connesse con la scadenza della dichiarazione di emergenza epidemiologica da COVID-19 deliberata il 31 gennaio 2020. Il testo ora passa al Senato per l’esame e l’approvazione definitivi.
L’adozione del decreto di proroga, il cui testo nel corso del primo passaggio parlamentare di conversione è rimasto pressoché invariato nel suo assetto fondamentale, si è resa necessaria in considerazione della scadenza al 31 luglio della dichiarazione dello stato di emergenza.
Molti degli interventi straordinari adottati in questi mesi dal Governo per contenere gli effetti dell’epidemia sulla salute collettiva e sull’economia reale del Paese sono infatti strettamente legati, nei loro presupposti di efficacia, alla dichiarazione dello stato di emergenza disposta per il periodo 31 gennaio-31 luglio.
Al cessare dello stato di emergenza sarebbero venute meno anche le misure adottate con i decreti-legge fin qui emanati. Per questa ragione, con delibera adottata nella seduta del 29 luglio, il Consiglio dei Ministri ha disposto la proroga dello stato di emergenza fino al 15 ottobre 2020, e ha contestualmente emanato un nuovo decreto-legge per estendere fino a tale data gli effetti di una parte delle misure precedentemente adottate.
In particolare, il decreto-legge n. 83/2020 proroga le disposizioni elencate nell’allegato 1, contenute nei decreti-legge n. 18, 22, 23, 28 e 34, nei testi modificati dalle rispettive leggi di conversione. Vediamo quindi quali sono le misure più significative introdotte dal decreto-legge.
L’ARTICOLO CONTINUA QUI: https://www.altalex.com/documents/news/2020/08/03/decreto-legge-proroga-stato-emergenza
LA LINGUA SALVATA
Prorogare
prorogare v. tr. [dal lat. prorogare, comp. di pro–1 e rogare «interrogare»; propr., in origine, «interrogare il popolo se debba essere concessa una proroga a qualche magistrato»] (io pròrogo, tu pròroghi, ecc.). – Prolungare oltre il termine stabilito o accordato (cioè concederne il prolungamento); differire nel tempo la scadenza di qualche cosa: p. i termini di consegna o d’invio dei documenti, delle domande d’iscrizione o d’esame; p. il tempo di apertura di una mostra; p. una licenza; p. un contratto per sei mesi, per un anno; p. il comando a un ufficiale; p. il potere di un magistrato; p. la durata delle Camere legislative.
FONTE: https://www.treccani.it/vocabolario/prorogare/
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Smart working, allarme capitale umano
Dallo scorso marzo le vite lavorative e sociali di molti cittadini hanno assunto una forma diversa. Fino ad oggi si è sempre e solo parlato di come lo smart working abbia rappresentato un cambiamento che ha permesso a molte aziende di risparmiare sul costo degli uffici e di ottimizzare il lavoro. Eliminando proprio quello “spazio-tempo” lavorativo tanto da riuscire a farci “teletrasportare” da Dubai a New York per un meeting di lavoro. Come? Semplicemente pettinandoci un po’, mettendoci un filo di rossetto, coprendo le occhiaie, chiudendo la porta della stanza e connettendoci ad un portatile. Et voilá! Certo, le riunioni virtuali esistono ormai da diversi anni, ma con il lockdown forzato sono diventate uno strumento necessario ed indispensabile.
Senza dubbio, tutto ciò ha reso, a livello pratico, molto più semplice il lavoro delle grandi e medie imprese, soprattutto quelle definite “digitalizzate”, ma ha causato una forte regressione e scompenso per quelle che invece sono le relazioni sociali ed umane tra i lavoratori.
Immaginiamo, ad esempio, la vita di una qualsiasi persona. Madre, padre, moglie, marito ed insieme lavoratore o lavoratrice, che aspettava il lunedì per potersi dedicare al suo lavoro e, quindi, anche a sé stesso per “staccare” dalla vita personale, quella che si vive fuori dall’ufficio. In che modo? Anche solo scendendo dieci minuti a prendere un caffè con un collega. Perché, oltre alle responsabilità legate alle dinamica del lavoro, c’è anche una componente “umana”, che non va dimenticata e che rappresenta una parte integrante dello stesso lavoro che si sta svolgendo.
Ma il cosiddetto “ambiente sociale”, caratteristico del luogo di lavoro, dov’è finito? Si è digitalizzato anch’esso come il lavoro in sé che si è trasformato in “smart working” e quindi anche in parte appiattito.
Tutte queste dinamiche social ed intangibili sono sparite, si sono trasformate in chat di gruppo o in videochiamate, che non possono di certo essere paragonate ad una vera e propria pausa pranzo passata insieme tra colleghi, in cui la maggior parte delle volte si trattava di un’occasione per poter condividere le proprie vite e non vedersi solo come “colleghi”, ma anche come individui che hanno esigenze sociali di relazionarsi gli uni con gli altri e di confrontarsi. Del resto, l’essere umano è un animale sociale e non riesce a stare da solo.
Probabilmente, questo cambiamento repentino della routine lavorativa non è stato così positivo come invece può essere stata l’ottimizzazione dei tempi e degli spazi aziendali. Molte aziende, soprattutto le multinazionali, hanno deciso di eliminare completamente il luogo fisico di lavoro ed hanno preferito fornire l’attrezzatura necessaria ai dipendenti per lavorare “comodamente” da casa.
Questo ha determinato che le case siano diventate ormai un unico luogo. Il luogo in cui viene accumunata prima di tutto “la casa”, quindi il nostro spazio familiare, la nostra intimità e zona di confort, ma (da qualche mese a questa parte) anche “il lavoro”, quindi l’ufficio e di conseguenza anche impegni, scadenze e responsabilità: problematiche e stress aggiuntivi oltre a quelli anche banali già presenti all’interno delle mura domestiche e nelle nostre vite quotidiane.
C’è chi ha la fortuna di avere una stanza in più che è quindi riuscito ad adibire a “studio-ufficio”, ma c’è anche chi (in tanti) è stato costretto ad arrangiarsi, a ritagliare uno spazio della sua casa, come il salotto, la cucina o la camera da letto per potersi ricreare una postazione di lavoro accettabile. Sono disagi, non solo a livello di spazio, ma soprattutto in termini relazionali e sociali anche nell’ambito dei nuclei familiari.
Quanti di noi hanno affermato “beh, si sta bene a lavorare da casa, ma in effetti un po’ mi manca prendermi un caffè con i colleghi!”. Il rischio è di rinchiudersi sempre più nelle nostre nuove “fortezze”, le nostre case, che da alcuni mesi sono diventate il nostro unico spazio sociale, il nostro “tutto”.
Soluzioni? Certo non possono trovarle i lavoratori da soli e sarebbe invece utile che le aziende valutassero questa problematica e che si attivassero per incentivare le relazioni sociali tra i dipendenti. Ad esempio, organizzando riunioni sporadiche (sempre nelle doverose misure di sicurezza anti-Covid) oppure organizzare almeno una giornata di lavoro “in presenza a turni” in ufficio, come già alcune aziende stanno facendo.
L’ambiente sociale lavorativo è un’importante componente aziendale e per evitare l’alienazione è quindi fondamentale non trascurare i lavoratori come “esseri sociali” abbandonandoli a sé stessi e percependoli solo come “forza lavoro”.
Ora più che mai, il capitale umano non deve essere trascurato, poiché è uno dei pilastri portanti della “struttura-organizzazione-funzionamento” di un’azienda. Al di là delle differenze tra piccole e grandi imprese.
FONTE: https://www.futuro-europa.it/34586/economia/smart-working-allarme-capitale-umano.html
PANORAMA INTERNAZIONALE
“L’Accordo di Abramo” è stato firmato a Washington il 15 settembre. Donald Trump l’aveva annunciato qualche giorno prima, dopo una telefonata a tre proprio con il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il Re del Bahrain Hamad bin Isa Al Khalifa. “Storico giorno per la pace in Medio Oriente” twitta Donald Trump per la firma alla Casa Bianca da parte dei leader di Israele e Bahrein degli accordi “che nessuno pensava fossero possibili” dopo quelli con gli Emirati di agosto. ” Altri cinque o sei Paesi arabi firmeranno presto accordi con Israele per la normalizzazione dei rapporti” ha aggiunto il presidente Usa. Su queste importanti iniziative per la Pace pubblichiamo l’intervento di N.W.Palmieri.
“Gli dettero perfino il Premio Nobel per la Pace. Povero Nobel. Povera pace”1
Il Deputato conservatore norvegese Christian Tybring-Gjedde2 annunciò a metà settembre 2020 che avrebbe sostenuto la candidatura di Trump per il Nobel per la pace 2021. Tybring-Gjedde non fa parte del Comitato che delibera sull’assegnazione. La propaganda repubblicana americana diramò il messaggio: “President Trump Nominated for the Nobel Peace Prize” (DonaldJTrump.com). In parole chiare, Trump è stato indicato come candidato (ve ne sono oltre 300). Il Parlamento di Oslo deciderà, in consultazione segreta. A dicembre 2021 si saprà. Questo a grandi linee il suo profilo come candidato. Il 31 agosto 2016, in campagna elettorale in Arizona, Trump promise: “Se sarò eletto, vieterò l’ingresso negli Stati Uniti a tutti i musulmani”. Con ordine esecutivo 13769 del 27 gennaio 2017 fece seguire il Muslim Ban. Il 7 aprile 2017, rispondendo a un attacco di gas in Siria (la cui responsabilità non è mai stata stabilita), Trump si improvvisò giudice e reggitore delle cose umane e fece lanciare 59 Tomahawk contro una base governativa siriana. “Uccidi prima, fai domande dopo” è un vecchio detto del West. Il 9 agosto 2017, Trump scrisse un messaggio breve: “Il mio primo ordine da Presidente è stato di rinnovare e modernizzare il nostro arsenale nucleare. È ora di gran lunga più forte e più potente di quanto non sia mai stato”.3 Dopo avere minacciato fuoco, furia e totale distruzione della Corea del Nord, Trump incontrò diverse volte il Presidente coreano e proclamò, dopo un incontro a Singapore, che l’arsenale atomico della Corea non poneva più pericolo. Infatti, la Corea del Nord continua a portare avanti i suoi programmi atomici. Il 5 settembre 2017, Trump annunciò la rescissione dei programmi a favore dei dreamer (DACA e DAPA).4 In aprile 2018, Trump lanciò la Direttiva “zero tolerance” in base alla quale chi entrava, o tentava di entrare, clandestinamente negli Stati Uniti, doveva essere imprigionato e, se accompagnato da figli, questi dovevano essere separati dai genitori, qualunque fosse la loro età. Molti di questi bambini andarono persi e non si sono più ritrovati. La First Lady e quattro ex-First Ladies insorsero, e Trump fece marcia indietro. L’8 maggio 2018, Trump promulgò il National Security Presidential Memorandum di unilaterale ripudio americano dell’accordo Joint Comprehensive Plan of Action con l’Iran e re-istituì le sanzioni. Il 9 ottobre 2019, Trump ordinò il ritiro di 2.000 soldati dalle basi al nord della Siria. La Turchia approfittò per conquistare una larga fetta di territorio siriano lungo il confine meridionale, e per scacciare i curdi che lo abitavano pacificamente. Trump minacciò distruzione dell’economia turca, ma inviò il suo vice il quale ratificò l’operato turco. Il 3 gennaio 2020, Trump, di sua iniziativa e senza procedimento giudiziale, fece sopprimere il Generale iraniano Qasem Soleimani.5
Non è la prima volta che un Premio Nobel per la Pace va sprecato. Nel 1973, Oslo conferì il Premio a Henry Kissinger e Lê Ðú’c Tho, negoziatori degli accordi di pace di Parigi per la fine della guerra del Vietnam. Kissinger lo accettò, Lê Ðú’c Tho lo rifiutò perché “non c’era ancora pace”. La guerra continuò fino al 10 aprile 1975 – Fall of Saigon Day – quando l’America, sconfitta da una piccola armata di uomini di incrollabile fede e tenace valore, abbandonò in disordine e senza speranza la terra che aveva con orgogliosa sicurezza attaccata e occupata. Nel 2009, il Premio venne conferito a Barack Obama per i suoi “sforzi straordinari nel rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli”. Obama aveva da meno di un anno assunto la presidenza degli Stati Uniti d’America e non aveva ancora ottenuto alcuno dei successi per i quali venne premiato. Se, cosa improbabile, il Premio venisse assegnato a Trump, la motivazione sarebbe verosimilmente: “Per il contributo alla creazione di un Nuovo Medio Oriente (la pace fra Israele e gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein)”.
Sarebbe motivazione misera. Un Nuovo Medio Oriente sarà realizzato solo se gli accordi di pace includeranno i Palestinesi. E questo presuppone restituzione di terra da parte di Israele.6
Nicola Walter Palmieri
1 Oriana Fallaci, riferendosi a Kissinger.
2 Tybring-Gjedde aveva sostenuto Kim Jong-un come candidato allo stesso premio.
3 Donald J. Trump, @real DonaldTrump, August 9, 2017.
4 Deferred Action for Childhood Arrivals e Deferred Action for American Parents of Americans and Lawful Permanent Residents.
5 Gli USA non sono in guerra con l’Iran.
6 V. Peter Münch, “Frieden gibt es nicht zum Nulltarif”, SDZ, 15 settembre 2020.
FONTE: http://www.civica.one/accordi-di-pace-in-medio-oriente-e-i-premi-nobel/
I tre errori principali di Obama (soprattutto in Medioriente)
Il caos in Iraq. La situazione in Siria fuori controllo. Il proliferare delle armi e delle sparatorie negli Usa. Dove Obama non è riuscito
Il 9 ottobre 2009, a meno di 9 mesi dal suo insediamento alla Casa Bianca (20 gennaio) il democratico Barack Obama, succeduto al repubblicano George W. Bush, colui che aveva aperto il vaso di pandora del terrorismo internazionale dando il via sulla base di bugie (le fantomatiche armi di distruzione di massa mai trovate) all’invasione dell’Iraq, ricevette quasi per reazione il premio Nobel per la Pace. Riconoscimento che molti analisti battezzarono alle “buone intenzioni” perché non aveva matrialmente avuto il tempo di fare nulla se non prendere le distanze da Bush e ricorrere alla sua magistrale ed ineguagliabile abilità di retore per ‘sedurrè il mondo e convincerlo che con lui le cose sarebbero cambiate. Sarebbe stato l’inizo di alcune grandi soddisfazioni e cocenti delusioni.
Vediamo i dossier più sconttanti che lascia in eredità al suo successore l’uomo che al suo esordio venne definito “amato da tutti, temuto da nessuno”.
1. Scarsi risultati nel risolvere la situazione in Palestina
Per far capire che a differenza del suo predecessore l’amministrazione Obama non intendeva “esportare la democrazia” con la forza in Medio Oriente, il presidente con un gesto di grande forza ed intensità si recò il 4 giungo 2009 all’università cairota di al Azhar, la massima autorità dell’Islam sunnita, dove parlò con il cuore in mano e spiegando la sua propensione “ad una riduzione dell’impegno americano a livelloglobale”.
Parole econmiabili di buona volontà ma interpretate dai nemici degli Usa – non la maggioranza silenziosa ma a minoranza che parla con il crepitare dei kalasnhikov – come l’annuncio di un disimpegno dell’America dalla rdgione del grande Medio Oriente.
L’impegno a riavviare i negoziati con Israele
Dopo che Bush aveva ignorato i negoziati di pace israelo-palestinesi, tranne il tentativo fallimentare nel 2007 al summit di Annapolis, Obama manifestando forse un eccesso di ottimismo si impegnò personalmente a rilanciare le trattative. In un’intervista al Washington Post, pochi giorni prima dell’inaugurazione, Obama promise di “creare uno spazio dove si possa costruire la fiducia” tra le parti per mediare un accordo di pace arabo-israeliano, che possa soddisfare le aspirazioni sia dei palestinesi che degli israeliani.
Simbolicamente la prima telefonata di Obama con un leader straniero fu prorio con il Presidente dell’Anp Abu MazenMahmoud cui promise di “mettere in atto ogni possibile sforzo per ottenere la pace”. Evidenziando la sua scelta per il dialogo Obama dichiarò:
“Quanti si aggrappano al potere con la corruzione e l’inganno e mettendo a tacere il dissenso, sappiano di essere dal lato sbagliato della storia; ma noi porgeremo la mano a chi si mostrerà incline a schiudere il suo pugno”.
Obama poi a diffrenza di Bush iniziòa criticare Israele per la Guerra – l’ennesima – del 2008 contro Hamas a Gaza facendo capire che l’era dell’assegno in bianco Usa allo ‘Stato ebraicò era finita.
Riconobbe che se Israele ha il diritto di difendersi espresSe il suo dolore per la perdita di civili, quasi tutti, palestinesi. Iniziò a mediare ma dopo l’arrivo nel 2009 dell’attuale premir Benjamin Netanyahu i rapporti tra i due si deteriorono fino a rotture alternate a tentativi di ripresa.
A novembre 2009 Obama ottiene il congelamento di dieci mesidegli insediamenti ma il 10 marzo2010 il vicepresidente Joe Biden viene accolto in Israele con l’annuncio di nuove costruzioni a Gersualemme Est. Il 23 settembre Obama annuncia uno Stato palestinese entro la dfine del 2011. Netanyahu risponde 3 gionri dopo riprendendo la colonizzazione della Cisgiordania.
La sfiducia nell’idea “Due popoli due stati”
Rieletto nel 2012 Obama iniziò a disimpegnarsi e, malgrado le dichiarazioni di facciata, ad essere meno fiducioso nella una soluzione bastata sul principio di Oslo del 1993 “due popoli, due stati”, respinto di fatto da Netanyahu. Premier che con uno sgarbo senza precedenti sostenne apertamente il rivale Gop di Obama, Mitt Romney.
Il presidente iniziò sempre più da gennaio 2013 a delegare le trattative al generoso ed infatiabile segretario di Stato John Kerry che iniziò a rilanciare il processodipace il19luglio 2013 salvo arrendrsi il 23 aprile 2014. Il 3 marzo 2015 senza consultare la Casa Bianca Netanyahu è invitato a parlare al Congresso dove critica duramente la politica di Obama sul programma nucleare iraniano (coronato da successo per Obama il 14 luglio 2015).
La ‘via crucis’ negoziale israelo/palestinese si arena definitivamente e quella pace che Obma sperava di riuscire a raggiungere, dove altri avevano fallito, è rimasta un sogno vago. Da ultimola cesura completa tra Usa e Israele quando il 23 dicembre 2016 per la prima volta dal 1980 Washington si astenne irritualmente al Consiglio di Sicurezza Onu, senza ricorrere al suo diritto di veto, facendo così approvare una risolzuione che condannava gli insediamenti israeliani in Cisgiordania.
2. L’incapacità di stabilizzare e pacificare l’Iraq
Dopo che tra il 2007 ed il 2009 la politica del “Surge” (l’invio di 30.000 soldati extra) nella provincia sunnita di Anbar, la più pericolosa del general David Petraesu si era rivelata efficacia, Obama iniziò a dimostrare insofferenza per i troppi soldati Usa nel Paese ed inizio a programmare il ritiro. Ritiro che troppo precipitosamente si concluse nel 2011 che lasciò un Iraq fragile e senza strutture statuali solide ed innescòil caos. Contemporaneamente arrivo al potere il premier sciita Nouri al Maliki che alimentò le tensioni interconfessionali tra la maggioranza sciita, vittima sotto Saddam Hussein, e la minoranza sunnita, al potere durante gli anni del raiss. Questo diede il via a regolamenti di conti sanguinari, aumentò paradossalmente – una sconfitta per gli Usa che negli anni ’80 sostennero Saddam, contro gli Ayahatollah – l’influenza dell’Iran, culla dello sciismo a Baghdad. Unica area parzialemte tranquillla la regione autonoma del Kurdistan iracheno.
La comparsa dell’ISIS, in Iraq
Ma a inizo del 2014 fece la sua comparsa la formazione terroristica che il mondo ha imparato a conoscere e temere: Isis (il cosidetto ‘Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, la Siria, ndr) guidata dal sedicente califfo Abu Bakr al Baghdadi a gennaio conquista Falluja e Ramadi. All’epoca in un’intervista che Obama rimpiangera fino alla fine dei suoi giorni definì Isis rispetto ad al Qaeda come “la riserva di una squadra giovanile di basket”. Si dovette ricredere il 29 giugno del 2014 quando Isis o Daesh (nel suo acronimo arabo) conquistò Mosul, la seconda città irachena, e proclamò la nascita del Califfato. Da allora Isis avanzò verso Baghdad – con le truppe dell’esercito regolare che si sciolsero come neve al sole abbandonando a Isis carri armati M1-Abraham modernissimi americani – e arrivò fino a 80 km dalla capitale.
A quel punto l’8 agosto del 2014 gli Usa formano una coalizione di forze aeree che iniziano bombardare Isis e inizia ad inviare “consiglieri militari”, una dizione che ricorda tristemente il Vietnam, ed ora ha centinaia di uomini delle forze speciali (i”boots oh the ground” che ha sempre vissuto come un incubo) che combattono a Mosul per riconquistarla insieme alle forze irachene ed i peshemerga curdi. Ma l’Iraq non èancora pacificato e stabile. Altra eredità negativa.
2. Gli errori (gravi) in Siria
A metà marzo del 2011 a Daraa nel sud del Paese inizia la guerra ivile con una semplice manifestazione di protesta.Quell’elemento innesca una guerra civile per procura – in cui combattonoper interposta persona con finanziamenti Paesi come Arabia Saudita, Turchia, Qatar, Iran e da ultimo Russia – che dopo quasi sei anni ha causato oltre 310.000 morti.
Obama inizia ad attaccare Bashar Assad ripetendo come un mantra che si trova “dalla parte svbagliata della storia” e che “la sua caduta è questione di tempo”. L’allora segretario di Stato Hillary Clinton il 16 luglio 2011 autorizza l’ambasciatore Usa a Damasco Robert Ford ad andare ad Hama teatro di scontri per manifestare con la sua presenza il sostegno degli Usa ai ribelli anti-Assad. Issieme a lui c’è l’ambasciatore francese Eric Chevalier. Così facendo Washington autorizza anche l’allora premier turco Recep Tayyip Erdogan ad aprire la cosidetta “austtostrada della jihad” per far affluire in Siria migliaia di combattenti stranieri (foreign fighters) perchè la priorità era far cadere Assad ad ogni costo anche affidandosi a tagliagole, come si vedrà dopo con la decapitazione degli ostaggi occidentali ad opera di personaggi come ‘Jihadi Jones’.
La pericolosa indecisione di Obama
L’irrisolutezza e la pericolosoa indecisione di Obama emerge quando inizia il 20 agosto 2012 ad intimare ad Assad di non osare di superare la cosidetta “red line” rappresentata dall’uso di gas contro la sua popolazione, pena un’immediata rappresaglia Usa.
Il 21 agosto 2013, però, Assad usa i gas sui civili nel quartiere orientale di Damasco uccidendo 1.429 persone. A quel punto Assad ha sfidato apertamente Obama ignorando la linea che non avrebbe dovuto oltrepassare. Siamo a fine agosto, Obama chiede al Congresso di poter bombardare Assad (la settimana prima l’alleato britannico era stato bloccato da un voto contrario dei Comuni). Con lui è solo il francese Francois Hollande che aveva già ordinato ai caccia-bombardieri di preprarsi a colpire la Siria quando il 31 agosto a sorpresa, Obama, dopo una passeggiata con il capo di gabinetto Dennis McDonough nel giardino della Casa Bianca, rientra e da il controdine annullando i raid e avvertendo in extremis Hollande.
Fu il presidente russo Vladimir Putin a togliere le castagne dal fuoco ad Obama convincendo Assad a consegnare tutte le sue armi chimiche all’Organizzazione per la Proidizione delle Armi Chimiche (Opac) per distruggerle. Opac che vinse anche lei il Nobel perla pace.
A quel punto Assad era andato a vedere il bluff di Obma e imparò a temerlo di meno. L’amministrazione Obama inizia intanto a cercare di
individure dei riblli moderati da finanziare, dopo che erano emersi come gruppi piu’ forti i qaedisti del fronte Jubath al Nusra e poi lo stesso Isis. L’operazione si rivela un totale fallimento.
500 milioni per addestrare 70 soldati
Infatti il Pentagono spende ben 500 milioni di dollari – dopo 4 anni di ‘verificà dei ribelli meritevoli di fiudicia e non estremisti addestrati in Turchia – ma riesce ad addestrarne solo 70 invece dei 5.400 previsti. Sessanta combattenti foraggiati dagli Usa che consegnano il grosso delle armi al secondo scontro a settembre dopo che circa 56 vennero massacrati ad agosto per un attacco dei qaedisti di al Nusra.
Dopo aver iniziato a bombardare l’8 agosto 2014 Isis in Iraq, convintosi a quel punto che non erano “la riserva di una squadra giovanile di basket” maunnemico terribile Obama ordina raid dal 23 settembre in Siria dove il Califfato ha conquistato sempre piu’ terreno con la roccaforte a Raqqa. Coalizione che procede nei raid, inizia a schierare truppe speciali, ma dove la situazione non cambia fino a quando il detestato da Obama – i rapporto tra i due sono stati in 8 anni inesistenti se non gelidi – Vladimir Putin il 30 settembre 2015 ordina ai suoi aerei da guerra e alle sue truppe di schierarsi al fianco delle truppe di Assad, sostenute dagli iraniani (uniti dalla comune fede sciita per Teheran, Alauita per il presidente siriano).
Intervento russo che ribalta la situazione sul campo e che ha visto la riconquista – a caro prezzo – di Aleppo e ora l’avvio di negoziati di pace ad Astana il 23 gennaio cui gli Usa (si vedrà dopo il20 se cambierà qualcosa con Trump) e l’Onu non sono stati invitati.
3. Il proliferare delle armi negli Usa
Gli Stati Uniti, nazione nata dalla rivolta contro la Gran Bretagna e con ilmito della ‘frontierà e del west, ha tra i suoi fondamenti l’anacronistico II emendamento della Costituzione (venne approvato nel 1791 ma è tuttora perfettamente in vigore) che consente a tutti gli amricani di girare armati, tanto che ngli Usa ci sono 357 milioni di armi su 310 milioni di americani.
Non inizia ma si acuisce proprio negli anni di Obama la piaga delle sparatorie che seminano morte negli Usa: il giorno in cui in America qualcosa si rompe è il 14 dicembre 2012 (c’erano stati altri massacri, il piu’ celebre il 20 aprile 1999 alla Columbine High School du Denver in Colorado incui 2 studenti massacraono 12 studenti per poi suicidarsi) quando un ragazzo di 20anni con problemi mentali, Adam Lamza, con un fucile d’assalto AR-15 Bushmaster (versione ‘civilè dell’M-16 della Guerra del Vietnam) massacraò 20 bambini della scuola elementare Sandy Hook di Newton in Connecticut e sei adulti, tra cui lamadre che insegnava nell’istituto. L’episodio commosse il mondo e gli Usa spingendo Obama a compiere il tentativo piu’ concreto di effettuare un giro di vite
sull’acquisto di armi.
Affidò al presidente Joe Biden a gennaio del 2013 l’incarico di formare una commissione di studio che definì nuove regole a partire da controlli piu’ severi prima di comprare una pistola. A causa della potenete lobby bipartisan delle armi, la National Riffle Association (Nra) tutto si impantanòal Congresso e soprattutto nelle assemblee dei singoli Stati essendo la materia competenza locale. Dopola strage di Sandy Hook ed i 20 bimbi massacrati a compi di mitra le sparatorie si susseguirono con decine di morte ma Obama da allora si limitò a tenere decine di toccanti e commossi discorsi colmi di dolori ma non tentò piu’ di cambiare le cose, temnendo il peso sotto elezioni della lobby delle armi.
Da ultimo si è visto il 6 gennaio scorso dove un folle Esteban Santiago massacro 5 persone all’aroporto di Fort Lauderdale con un arma che deteneva legalmente, che aveva imbarcato regolarmente nel bagaglio da stiva nell’aereo che aveva preso in Alaska, che aveva ritiato all’arrivo per andare in bagno, caricare l’arma, tornare nell’area recupero bagagli e sparare ad alzo zero contro chiunque gli si pararasse accanto. Santiago si scoprì che a novembre era stato
all’Fbi di Anchorage in Alaska denunciando disentire delle voci che gli dicevano di agire per conto di Isis. Portato in un’ospedale psicahitrico non venne trattenuto e la pistola, quella con cui ammazzo 5 persone e ne ferì sei, gli fu riconsegnata.
FONTE: https://www.agi.it/estero/i_tre_errori_principali_di_obama_soprattutto_in_medioriente_-1384422/news/2017-01-19/
POLITICA
Tanti hanno vinto la battaglia del 20-21 settembre, pochi l’hanno persa e anche il governo Conte ha trovato un pretesto per gioire. Gli italiani dopo il lungo lock-down hanno fatto sentire la loro voce, un po’ roca, che è stata interpretata come pro maggioranza di governo dai principali giornali. E’ così?
La risposta è nei voti, occorre leggere i numeri e capire bene i risultati, che sono complicati e volutamente mascherati. E’ comprensibile che i grandi media cantino le lodi agli occupanti dei Palazzi romani, fuori dal coro c’è solo una consistente fronda del M5S – Di Battista, Lezzi ecc… – che parla di sconfitta storica per il Movimento. Non resta che armarsi di pazienza e scorrere le cifre del sito Eligendo del Ministero degli Interni, che contiene quasi tutti i dati. Va sottolineato che il 20-21 settembre ci sono state quattro differenti competizioni elettorali, che hanno fornito varie indicazioni, che difficilmente possono essere sintetizzate in uno slogan. Per sapere come sono andate veramente le cose occorre osservare le singole sfide, che hanno regole e punti di riferimento differenti: il referendum, le regionali, le comunali e le suppletive del Senato. Partiamo da quest’ultima, che è la più significativa da un punto di vista politico, che è stata quasi coperta dalle altre.
1° elezione – elezioni suppletive per il Senato
Due grossi collegi uninominali al voto: Villafranca di Verona in Veneto e Sassari in Sardegna. Le suppletive di solito non sono considerate, perché il livello di partecipazione al voto spesso è bassissima. Non così stavolta, oltre il 60%, per cui sono un caso politico da analizzare con cura, osservando il M5S rispetto al 2018, dopo due anni di governo:
- in Veneto aveva il 24%, ha presentato un proprio candidato che ha preso il 9%, in contemporanea il candidato alle regionali M5S ha ottenuto il 3,2%;
- in Sardegna nel 2018 il M5S da solo aveva ottenuto il seggio con il 41% ora, insieme al PD e altre liste, ha preso il 28,9% e perde il seggio.
I risultati nei due collegi sono netti: il Movimento 5 Stelle perde sia da solo che alleato con il PD. Interessante l’alto livello della rappresentanza nella sfida per il collegio uninominale Sardegna3, dove ha vinto Carlo Doria – primario ortopedico a Sassari – sul candidato M5S-PD Lorenzo Corda – ingegnere, presidente dell’Ordine ingegneri.
2° elezione – il Referendum costituzionale
Oltre 24 milioni di italiani sono andati a votare (circa 54%): per il SI poco più di 17 milioni per il NO oltre 7 milioni circa. Risultato netto, 69% contro il 31%. Alla Camera la legge costituzionale era stata approvata con il voto di quasi tutti i parlamentari, solo il 2% contrari. Dal 2% in aula al 31% nel Paese si rileva una differenza significativa, da non sottovalutare. Su questo Referendum c’è stata una subdola disinformazione, secondo Franco Cardini “una risposta, più che democratica, populista: una risposta emozionale, dinamica, acritica (oggi si direbbe ‘di pancia’) al reiterato battage sui parlamentari in numero eccessivo e dotati di preparazione e di onestà al contrario carenti.”
Infatti, gli elettori del SI hanno pensato che ci fosse una effettiva riduzione dei parlamentari. Falso. Se ne riparlerà nel 2023, alla scadenza della legislatura, quando il taglio diventerà operativo se ci saranno ancora queste regole. Quindi per ora nessun risparmio e nessun taglio. Si segnala che siamo entrati in una zona grigia, della durata di 60gg., di congelamento delle norme approvate. In teoria, se ci fosse una crisi parlamentare, si potrebbe andare alle urne con le vecchie norme ed eleggere ancora 945 parlamentari come nulla fosse. La finestra si chiuderà a fine novembre. Dopo di che si apre una stagione di riforme quasi obbligatorie, per adeguare tutte le norme connesse e il trenino delle riforme costituzionali compensative, con l’aggiunta della nuova legge elettorale. Nessuna di queste proposte prevede un effettivo miglioramento della rappresentanza politica.
3° elezione – le Regionali
Le Regionali hanno confermato lo schema politico visto per le suppletive, con la fortissima aggiunta della personalizzazione dei candidati governatori, che ha amplificato tutti i risultati. Ora sono 15 le Regioni passate al centro destra, una situazione ribaltata rispetto al 2015. In Veneto, Liguria, Puglia e Campania hanno ri-vinto con decisione i governatori uscenti. In Toscana ha vinto sulla Ceccardi il candidato del centro sinistra Giani, che ha riproposto la politica classica (bussando con pazienza casa per casa, circolo per circolo) e i voti gli sono arrivati. Il M5S è al 3% in Veneto, al 7,8% in Liguria, 6% in Toscana, al 9,9% in Campania e 11% in Puglia per cui mantiene una presenza significativa solo al sud. La prova per l’IV di Renzi è stata deludente, con Scalfarotto in Puglia che non riesce nemmeno ad prendere un seggio con un misero 1,7%. Qualche voto in più per l’Italia Viva quando è in coalizione con la sinistra, in Toscana, a casa sua ottiene un 4,5%.
Lo studio sui flussi elettorali dell’Istituto Cattaneo di Bologna ha evidenziato che i governatori in carica hanno saputo tenere i loro voti e sono andati con successo alla caccia di voti grillini (sfruttando la mancata copertura dei governativi M5S). Le Regioni interessate al voto casualmente sono state quelle forti sia per la sinistra che per la destra, per cui alla fine, Marche a parte, si è avuta un’idea di equilibrio, di forze che si compensano, ma non è così. Se si togliesse De Luca o Emiliano è difficile pensare che i loro voti possano essere nella disponibilità di Zingaretti. Come anche per Salvini, i voti aggiuntivi di Zaia sono suoi e basta. In uno schema bipolare centrodestra-centrosinistra, il M5S è diventato accessorio, ha dimostrato di essere ininfluente, per cui fine del sistema tripolare. Il PD ha perso un’altra regione storica della sinistra, le Marche, ma questo poco importa, basta ripetere con convinzione di avere tenuto bene con la faccia felice.
(immagine tratta da Repubblica.it)
4° elezione – le Comunali
Una sostanziale continuità delle amministrazioni, con un pareggio tra centrosinistra e centrodestra. Per ora solo il comune di Macerata è stato perso dalla sinistra. Tra dieci giorni dopo il ballottaggio si potranno fare i conti completi.
Conclusioni
Come accade oramai da alcuni decenni, in questo turno intermedio c’è stata una mezza rivoluzione politica: i dati evidenziano che il sistema politico italiano è ritornato ad essere bipolare, centrodestra contro centrosinistra, conseguenza diretta dell’alleanza tra M5S e PD. Il PD romano festeggia i voti ripresi nei vari territori, dove non ha avuto alcun merito, con un parziale recupero dei voti grillini. C’è stato un evidente crollo di consensi al M5S, che lo rende marginale nelle future competizioni. Mantiene però il controllo dei due maggiori gruppi alla Camera e al Senato, frutto del voto del 2018.
Qui sta l’inganno del Referendum, che ha fatto credere che ci sarebbe stato un “taglio” effettivo alle poltrone fin da subito. Invece, se ne parlerà nel 2023, al termine di questa legislatura, intanto i grillini rimangono sulle poltrone, visto che hanno scoperto che sono molto comode. Il Movimento 5S si intesta la vittoria nel referendum per il taglio delle poltrone ma è quello che ora sopravvive praticamente solo nei palazzi romani. E’ diventato beffardamente un movimento di “poltronari professionisti”: presidenti e vice-presidenti, ministri, sottosegretari, alcune centinaia tra senatori e deputati, incarichi a iosa nel grande sottobosco dello Stato. Tutti a libro paga del contribuente che domenica scorsa ha creduto alle promesse elettorali senza tenere conto della scaltrezza dei veri “populisti”.
FONTE: http://www.civica.one/una-vittoria-di-pirro/
SCIENZE TECNOLOGIE
Coronavirus: terza ondata sarà il morbo di Parkinson, avverte uno studio
24 Settembre 2020
La terza ondata della pandemia sarà il parkinsonismo? Uno studio australiano spiega perché il coronavirus può causare morbo di Parkinson.
Gli effetti “silenziosi” del coronavirus potrebbero causare una terza ondata devastante e inaspettata. A lanciare l’allarme è una nuova ricerca condotta in Australia in cui si afferma che il Covid-19 può aumentare il rischio che si sviluppi il morbo di Parkinson, spiegando perché.
Già uno studio israeliano ha messo in luce il possibile legame tra coronavirus e Parkinson, dopo il caso di un paziente che ha manifestato tremori e sintomi simil-parkinson dopo aver contratto l’infezione.
Diversi studi in tutto il mondo hanno inoltre segnalato che il virus non colpisce solo i polmoni ma può arrecare danni seri anche a cuore, cervello e altri organi.
Covid: si teme una terza “silenziosa” ondata
I ricercatori del Florey Institute of Neuroscience and Mental Health di Melbourne stanno cercando di indagare se una terza ondata di coronavirus possa essere rappresentata da un boom del Parkinson, che già colpisce 80.000 persone in Australia ma che si stima potrebbe raddoppiare entro il 2040.
I ricercatori hanno scoperto che il SARS-CoV-2 colpisce il cervello e il sistema nervoso centrale e rischia di far sviluppare malattie neurodegenerative. Nello studio, intitolato “Parkinsonism as a Third Wave of the COVID-19 Pandemic?”, gli studiosi immaginano le conseguenze del Covid-19 come un’onda silenziosa.
Perché il coronavirus può causare Parkinson?
È noto che il Covid-19 provoca perdita o alterazione dell’olfatto, e anche se all’apparenza questo può sembrare un sintomo poco preoccupante, in realtà ci dice molto su come il virus è in grado di colpire il cervello e causare una risposta infiammatoria acuta.
“Riteniamo che la perdita di olfatto rappresenti un nuovo modo per rilevare precocemente il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson”, ha detto la dott.ssa Leah Beauchamp, principale autrice dello studio. “Il Parkinson può essere il risultato di impatti ambientali o genetici, e il coronavirus può aumentare il rischio ambientale”.
L’esperta ha spiegato: “Un agente patogeno come un virus ottiene una risposta infiammatoria nel cervello per cui, nel momento in cui in futuro l’organismo sarà esposto a pesticidi, ad altri virus o all’invecchiamento, ucciderà le cellule cerebrali vulnerabili portando, così, a conseguenze come il Parkinson”.
I ricercatori hanno guardato ciò che è successo con l’influenza spagnola: a 5 anni dalla sua sconfitta, le diagnosi di Parkinson sono aumentate di 2-3 volte.
Stiamo vivendo due pandemie
La ricercatrice ha affermato che è difficile prevedere l’impatto della terza ondata sotto forma di malattia di Parkinson, ma pensa che assisteremo a un aumento dei casi. “In realtà stiamo vivendo due pandemie: il Covid-19 da una parte e il Parkinson dall’altra”. Negli ultimi 20 anni i malati sono raddoppiati e si pensa che raddoppieranno di nuovo nel prossimo ventennio. “Ciò è molto preoccupante”, dice la studiosa, che avverte: “dobbiamo seriamente monitorare i pazienti Covid-19 per avere un’idea della gravità delle possibili implicazioni neurologiche a lungo termine”.
FONTE: https://www.money.it/Coronavirus-terza-ondata-morbo-Parkinson-studio-spiega-perche
STORIA
La violenza di Minneapolis è anche la risposta ai mandati di Obama, il presidente nero che ha amplificato le paure dell’America bianca
Mario Del Pero, professore di Storia americana all’Università Sciences Po di Parigi, commenta a TPI gli scontri esplosi a Minneapolis dopo l’uccisione di George Floyd. E spiega perché il razzismo di oggi è una risposta all’elezione del primo presidente nero degli Stati Uniti, che ha preparato il terreno all’America di Donald Trump
Era l’estate del 1989 quando Michelle Robinson e Barack Obama, due avvocati dello studio legale Sidley & Austin di Chicago, uscirono per il loro primo appuntamento. Andarono a vedere Fa’ la cosa giusta, il film del regista afromaericano Spike Lee sulle tensioni razziali a Brooklyn nell’America degli anni ’80. Dopo 20 anni sarebbero diventati i primi inquilini neri della Casa Bianca. Negli Stati Uniti ancora segnati da forme consolidate di razzismo, e dalla violenza della polizia bianca e militarizzata contro uomini neri, Barack e Michelle rappresentarono per molti la speranza di un’America “post razziale”, in cui la gerarchia sociale tra bianchi e neri sarebbe stata riequilibrata in nome dei diritti civili.
Eppure nel 2016 a Dallas, dopo l’uccisione di cinque agenti di polizia nel corso di una protesta della comunità afroamericana contro la morte di due uomini neri, Obama, a pochi mesi dalla fine del suo ultimo mandato, si trovò a consolare gli Stati Uniti dall’ennesima ferita provocata dalla violenza razziale. Nulla o quasi era cambiato, e l’America si preparava a votare Donald Trump. L’elezione del primo presidente nero della storia americana aveva esacerbato le divisioni, che sarebbero esplose con più forza negli anni a venire, aiutate dal linguaggio del tycoon.
Lo spiega a TPI Mario Del Pero, esperto di storia americana e professore di Storia Internazionale all’Università Sciences Po di Parigi, autore, tra gli altri, del saggio “Era Obama, dalla speranza di cambiamento all’elezione di Trump” (Feltrinelli, 2017).
Sono trascorsi pochi giorni dalla morte del 46enne afroamericano George Floyd e le proteste contro la violenza della polizia sui neri infiammano il Paese. In una recente intervista Spike Lee ha affermato che il razzismo e la violenza di oggi “sono la risposta della rabbia bianca ai due mandati di Obama”, è così?
La violenza che vediamo oggi della polizia contro gli afroamericani si collocano in una storia, la storia della frattura razziale, un marchio che la democrazia americana ha fin dalla sua nascita, che nella cultura del 20esimo secolo, superata la schiavitù e superata de iure la segregazione, si manifesta nelle frequenti violenze delle forze di polizia locale soprattutto sui giovani afroamericani, che scatena riots urbani. Dalla seconda guerra mondiale a oggi le dinamiche sono state sempre le stesse, da Detroit nel 67 a St Louis nel 2014. Sono quelle di un Paese caratterizzato da tassi di violenza molto elevati, molto superiori a quelli del mondo ricco, in cui l’elemento razziale incide pesantemente, unita a una storia di polizia che usa con molta più facilità la violenza, in risposta alla violenza. Dagli anni 80 c’è stata una politica di tolleranza zero, il messaggio era “avete mani liberi per rispondere alla microcriminalità urbana”.
Poi arriva Obama
Poi arriva Obama con aspettative elevatissime, troppo elevate per essere realizzate, in un contesto di polarizzazione politica che paralizza l’attività legislativa: al Congresso non si riesce a far passare le leggi, Obama arriva in un contesto di crisi economica devastante. La sua elezione alimenta un certo risentimento bianco e certe paure bianche. Obama è vittima di una caccia alle streghe, il massimo esempio è quella al suo certificato di nascita, il cui principale protagonista è proprio Donald Trump, che nel 2011 lo accusava di non essere nato negli Usa e che ha un chiaro sub testo razzista. L’idea è ‘tu nero non puoi stare alla Casa Bianca’. Infatti non sei americano, infatti sei nato in Kenya, infatti sei segretamente musulmano. Su quello Spike Lee dice una cosa giusta, il paradosso è che il primo presidente nero amplifica le paure bianche e la violenza di oggi è la risposta anche estrema di un certo pezzo di America bianca. Una risposta estrema che Trump cavalca.
Il popolare slogan elettorale di Trump “Make America great again” era la promessa di un ‘ritorno’ della supremazia bianca?
L’America che ha in testa Trump e tanti suoi elettori è quella fintamente idilliaca dei sobborghi anni ’50. L’America bianca è l’America dove le gerarchie socio razziali sono definite e immutabili, dove i neri stanno all’ultimo gradino. Ma il tweet di ieri in cui Trump usa la crisi di Minneapolis per attaccare il sindaco democratico, “se non risolve la situazione mando io la guardia nazionale”, to get the proper job done, perché faccia il lavoro come si deve, usa un linguaggio da vigilantes. E questo non c’entra con i convincimenti politici, perché lui governa come qualsiasi altro repubblicano governerebbe, con la stessa politica fiscale, le stesse nomine alle corti, stesso tipo di deregulation rispetto ad ambiente o finanza. Il problema è che Trump infiamma le divisioni che sono oggi divisioni razziali, riaccende quel marchio che lacera e polarizza l’America.
Ma sono due facce della stessa medaglia, perché anche Obama per ciò che rappresentava scavava nel solco di quella polarizzazione
Sì, e credo che Trump sia il portato di quella polarizzazione, ma anche di un abbrutimento e di un degrado del discorso politico. Ma la Casa Bianca non ha in alcun modo educato istituzionalmente Trump, è lui che ha ‘trumpizzato’ la presidenza. Non è colpa di Trump quello che è successo a Minneapolis, è accaduto con George Bush nel 92, con Carter nell’80, però Trump non fa nulla per dare una risposta, cavalca le divisioni. Nixon costruì la sua campagna elettorale sulle parole “legge e ordine”, “law and order“, Trump sta facendo lo stesso, ma il sub testo è anche “i neri stiano a loro posto”. Obama alla Casa Bianca ha contestato quell’ordine, in una forma estrema di rovesciamento, e ha scatenato una reazione di cui Trump è il prodotto. Trump non è la causa, ma il prodotto di questa reazione violenta. Ora, stando alla Casa Bianca, ne è diventato agente primario.
Michelle Obama ha scritto nella sua biografia che già durante la prima campagna elettorale, quando nel 2008 venne accusata dai bianchi di “odiare l’America”, aveva capito che gli Stati Uniti non erano pronti per Barack Obama
Tra Barack Obama e Michelle, se uno guarda al loro percorso di studi, quella più radicale era Michelle, eccellente studentessa di Princeton che scrive paper sulle parole d’ordine del radicalismo nero americano, e viene presa di mira ancor più pesantemente del marito, intanto perché (é brutto da dire), lei è nera “a tutto tondo”, figlia di due neri della working class di Chicago, che ha lasciato nel suo curriculum di studi tracce di maggior radicalismo. Il radicalismo di Obama si lega invece a quello del pastore della chiesa dove gli Obama andavano, autore di filippiche durissime contro l’Impero americano. La ricordo bene la campagna, e gli Obama non dicono che l’attacco al loro radicalismo nero veniva già nelle primarie democratiche da alcuni sostenitori di Hilary Clinton. Anche la polemica sul certificato di nascita era promossa da qualche sostenitore della Clinton.
Obama sperava che la sua figura rappresentasse gli occhi di tutti gli americani, che la sua persona fosse il segnale che la storia di razzismo negli Usa fosse finita, invece alla fine del suo mandato, prima che Trump fosse eletto, ai funerali dei poliziotti morti a Dallas si leggeva in lui la delusione di un uomo sconfitto
Obama di risultati ne ha portati a casa e il tempo lo ha dimostrato, ma ha subito una sconfitta rispetto alla sua visione unificatrice, di pacificazione nazionale. Il verbo che usava tantissimo era to heal, curare, doveva essere una figura di sintesi da un punto di vista della frattura razziale, un nero che però è anche mezzo bianco che arriva alla Casa Bianca, ricompone questa frattura e porta l’America verso un’era post razziale. Doveva essere l’uomo che riunificava l’America rossa e quella blu, repubblicana e democratica. La sua riforma sanitaria è copiata da modelli repubblicani dell’epoca di Romney, tant’è che da sinistra e dal mondo nero viene criticato anche per questo: troppo moderato, troppo bipartisan. Ma di fatto lascia in eredità un Paese ancora più diviso e polarizzato. Fallisce come simbolo di unificazione, ma non per sua responsabilità. L’America è ancor più divisa e ancora più lacerata dai mandati di Obama per quel che Obama simboleggia e rappresenta, non per quello che fa o non fa. Presidente nero figlio di un kenyano, di nome fa Barack Hussein Obama, rappresenta e simboleggia un’America che esce ancora più divisa.
Non c’è presidente che possa curare l’America da violenza e razzismo?
Se fossi in grado di dirlo prenderei la cittadinanza, diventerei senatore degli Stati Uniti. Ma il razzismo è una ferita che sta all’origine della democrazia americana, fondata sulla schiavitù. Tutt’oggi un giovane nero ha tre volte più possibilità di un bianco di subire una violenza poliziesca, che Trump ha nuovamente sdoganato. Quando ci furono i disordini a Ferguson nel 2014 ci fu grande polemica, perché le forze di polizia si presentarono conciate come le truppe americane che andarono all’assalto di Falluja in Iraq, con mini carri armati: vi era un programma di Bush Junior di trasferire alle forze di polizia il materiale dismesso dai militari. Una militarizzazione estrema che ha fatto sì che le forze di polizia fossero meno capaci di gestire questi momenti di crisi, in cui invece è necessaria capacità di dialogo. Obama intervenne con un ordine esecutivo bloccando questo programma. Uno dei primi ordini esecutivi di Trump è stato di ripristinarlo: un messaggio simbolico. “Polizia, voi siete apparati militari, liberi di agire come tali”. La violenza non la causa Trump, però oggi lui butta benzina sul fuoco.
FONTE: https://www.tpi.it/esteri/george-floyd-minneapolis-razzismo-risposta-obama-ha-provocato-america-bianca-20200531611462/
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