RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
25 LUGLIO 2019
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
L’esibizione più riuscita è quella che non da il tempo allo spettatore
di soffermare lo sguardo.
Perché è risaputo che le cose più belle sono quelle che se ne vanno.
DIEGO DE SILVA, Sono contrario alle emozioni, Einaudi, 2011, pag. 11
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Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
Tutti i numeri dell’anno 2018 e 2019 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com
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SOMMARIO
25 LUGLIO 1943: LA CADUTA DEL FASCISMO E I SUOI PROTAGONISTI
Integrazione: la chimera che ipoteca il nostro futuro
MAFIA DEI RUBA BAMBINI GIUDIZIARI MAGISTRATI CORREI 1
Anarchici bloccano le ferrovie del Paese: ma il problema non erano i neofascisti? 1
NON POSSIAMO SOSTITUIRE GLI ITALIANI CON IMMIGRATI: VANNO FERMATI 1
Salvini marcia su Bibbiano: «I pm si occupino dei rom». 1
La crisi nello stretto di Hormuz: debolezza iraniana e muro americano. 1
Sapelli: Salvini è la pedina di un attacco all’Eni 1
L’ACCUSA DEL MAGISTRATO: POTENZE STRANIERE USANO ONG CONTRO L’ITALIA. 1
Nuccio Ordine: la buona scuola è quella dove ci sono buoni professori
Distrazioni letali
De Crescenzo e Camilleri. ILCORDOGLIO INVERTITO
DALLA RUSSIA COI SERVIZI (DEVIATI) 1
OGGI, 4 ANNI FA, RENZI FIRMAVA ACCORDO PER SCARICARE TUTTI I CLANDESTINI IN ITALIA 1
EUNAVFOR MED operazione SOPHIA: mandato prorogato fino al 31 dicembre 2018 1
La frenata della Germania porta anche una buona notizia (per l’Italia) 1
Von Der Leyen monitorerà i conti italiani, ma quelli tedeschi? 1
Le società di cartone
Le leggi che cancellano i costumi: è l’ideale totalitario 1
DI MATTEO VOTATELO, CAMBIERA’ LA STORIA DELLE STRAGI 1
Quelle navi ONG al servizio del capitale: il disegno per abbassare il costo del lavoro 1
SHHH… IL NEMICO TI SORVEGLIA. 1
Rivoluzione digitale e letteratura: un’introduzione al problema, senza farsi prendere dal panico. 1
Addio allo spirito europeo senza memoria né figli e in piena crisi identitaria 1
Tangentopoli si fermò davanti al PCI
IN EVIDENZA
25 luglio 1943: la caduta del fascismo e i suoi protagonisti
Il Gran Consiglio vota l’Ordine del giorno di Dino Grandi, che destituisce Mussolini. L’illusione della pace e le conseguenze per i 19 membri favorevoli
Edoardo Frittoli – 25 luglio 2017
L’ultima drammatica seduta del Gran Consiglio del Fascismo si tenne alle ore 17:00 del 24 luglio 1943, mentre gli Alleati procedevano speditamente verso Messina dopo lo sbarco avvenuto due settimane prima sulle coste meridionali della Sicilia.
A Palazzo Venezia l’atmosfera che prelude il più drammatico dei consessi dei vertici del regime è tesissima. Gi ingressi, le scale e le stanze sono presidiate dalla Milizia in armi. Mussolini arriva dopo gli altri, andandosi a sedere sul trono adornato dai fasci littori al centro del tavolo a ferro di cavallo.
È furioso per le cocenti sconfitte militari, e se la prende con i generali italiani lodando invece i vertici militari tedeschi.
Il duce era tornato infatti da poco dall’incontro con Hitler che si era tenuto a San Fermo nei pressi di Feltre (Belluno) appena 5 giorni prima, il 19 luglio. Inizialmente il capo del fascismo aveva rifiutato la richiesta di convocazione straordinaria del Gran Consiglio.
Tuttavia al suo ritorno dall’incontro con il führer si era trovato di fronte al bombardamento di Roma, avvenuto proprio quel giorno, ed alla presa di Palermo da parte degli angloamericani. A malincuore Mussolini accettava la convocazione, avendo notato le crescenti manifestazioni di ostilità al regime in seguito al raid angloamericano sulla Capitale.
A fare l’appello una volta aperta la seduta è il segretario del partito fascista Carlo Scorza, mentre la prima parola spetta al duce che ribadisce immediatamente la sua volontà di onorare il patto con il Terzo Reich.
L’ordine del giorno è presentato da Dino Grandi e riguarda l’articolo 5 dello Statuto Albertino, che prevedeva la facoltà del Re di avocare a sè i poteri di Capo del Governo e delle Forze Armate, da anni saldamente in mano a Mussolini e di ripristinare la funzione del Parlamento e libere elezioni che mancavano da un ventennio.
La spaccatura tra i consiglieri è inevitabile e profonda. Tuona Farinacci il filonazista, minacciando apertamente i promotori dell’ordine. Si oppone il segretario Scorza mentre Mussolini osserva e ascolta scuro e impassibile.
Dall’altra parte il vecchio quadrunviro Emilio De Bono dichiara di non credere ai tedeschi e alle loro offerte di aiuto.
Mussolini cerca di prendere tempo, di rimandare al giorno successivo la votazione. Ma Grandi alle 2 del mattino dichiara che la risoluzione avverrà in un’unica seduta, dopo una breve pausa. Galeazzo Ciano, il genero del duce, è dalla parte di Grandi.
Sostiene che il tradimento tedesco si sia già consumato, avendo Hitler tenuto all’oscuro la diplomazia italiana dei suoi propositi di guerra dopo aver siglato un patto con l’Italia fascista che avrebbe dovuto invece preservare la pace in Europa.
Nel cuore della notte romana i rappresentanti del regime rientrano nella sala del Consiglio, con i volti segnati dalla tensione e dall’ora tarda. L’ultima parola spetta al capo del fascismo, che ribadisce e difende il suo operato vantandosi di essere a conoscenza di certi segreti militari tedeschi che avrebbero presto ribaltato le sorti della guerra. Alla votazione, l’ordine Grandi passa per 19 voti favorevoli e 7 contrari. Mussolini dichiara chiusa la seduta con l’ultima minaccia, esclamando “Voi avete provocato la crisi del regime“, prima di lasciare Palazzo Venezia.
Esattamente 24 ore dopo l’inizio dell’ultimo Gran Consiglio del Fascismo, Mussolini veniva ricevuto dal Re a Villa Savoia. Nonostante il duce avesse cercato di sottolineare il carattere unicamente consultivo del Consiglio, Vittorio Emanuele III comunicava la decisione di volerlo sostituire con il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio.
Alle 17:20 Mussolini veniva arrestato dai Carabinieri e caricato su un’autoambulanza militare, dove cominciava il suo periodo di prigionìa terminato con la liberazione dal Gran Sasso e per gli Italiani il periodo più drammatico di tutta la guerra, con l’ondata dei bombardamenti dell’agosto successivo e l’inizio della guerra civile nell’autunno del 1943.
I membri del Gran Consiglio del Fascismo che votarono l’Ordine Grandi il 24 luglio 1943 e la loro sorte dopo l’8 settembre
DINO GRANDI
Autore dell’Ordine del Giorno che porta il suo nome, il diplomatico bolognese fu uno dei personaggi più importanti del ventennio, essendo stato Presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, Ministro degli Esteri, della Giustizia ed ambasciatore del Regno d’Italia a Londra.
In seguito alla destituzione di Mussolini del 25 luglio, fu inviato in Spagna per cercare un primo contatto con gli Alleati. Sorpreso dall’armistizio dell’8 settembre, si rifugerà in Portogallo dopo la condanna a morte formulata dal governo della RSI. Dopo la guerra sarà consigliere diplomatico per l’Ambasciatrice italiana Clara Boothe Luce. Muore a Bologna all’età di 93 anni.
GIUSEPPE BOTTAI
Considerato il maggior rappresentante degli intellettuali fascisti insieme a Giovanni Gentile, Bottai è squadrista della prima ora. Dopo aver ricoperto varie cariche negli enti creati dal fascismo, diventa alla metà degli anni ’30 Ministro dell’Educazione. Fuggito dalla condanna emanata dal tribunale della RSi, si arruola nella Legione Straniera francese sotto falso nome. Muore a Roma nel 1959.
LUIGI FEDERZONI
Nazionalista amico di Corradini negli anni ’10, fu ministro degli Interni e della Colonie durante il ventennio. Nemico di Farinacci, lavorò con Grandi alla stesura dell’Ordine del giorno. Fuggito in Portogallo con l’aiuto della Santa Sede, fu condannato all’ergastolo dall’Alta Corte di Giustizia italiana nel maggio 1945. Fuggito in America latina nonostante l’amnistia del 1947, nel 1948 è di nuovo in Portogallo. Rientrato in Italia nel 1951 muore a Roma nel 1967.
GALEAZZO CIANO
Il Conte Ciano fu forse il personaggio-simbolo delle drammatiche conseguenze del 25 luglio. Figlio dell’ammiraglio Costanzo, sposò Edda Mussolini, la primogenita del duce. Volontario in Africa durante la guerra coloniale, fu sempre critico sull’alleanza tra fascismo e nazismo. Inviso ai tedeschi, sottoscrisse l’Ordine Grandi sperando invano in un rimpasto dove egli stesso avrebbe potuto prendere il potere. Pietro Badoglio fu invece per Ciano il colpo di grazia. Estromesso da ogni carica dal nuovo capo del Governo, tardò a mettersi in salvo. Si recò a Monaco di Baviera sperando di salire su un aereo per la Spagna, ma fu arrestato ed estradato in Italia dove fu messo sotto processo a Verona dove fu condannato all’unanimità alla fucilazione avvenuta l’11 gennaio 1944.
CESARE MARIA DE VECCHI
Quadrumviro classe 1884, il generale membro del Gran Consiglio sarà Governatore della Somalia italiana e delle isole del Dodecaneso. Già esautorato da incarichi di rilievo allo scoppio della guerra, sottoscrisse l’Ordine Grandi. Fu incaricato da Badoglio della difesa costiera di Piombino, ma il vecchio generale nativo di Casale Monferrato non impedì ai tedeschi di impadronirsi dell’importante porto toscano. Dopo l’8 settembre si nasconde dai Salesiani a Torino. Con un falso passaporto raggiungerà nel 1946 l’argentina per tornare in Italia nel 1948 dopo l’amnistia e morire l’anno successivo per le conseguenze di un grave ictus.
ALFREDO DE MARSICO
L’avvocato salernitano fu durante il ventennio collaboratore nella stesura del codice Rocco. Era stato appena nominato ministro della Giustizia quando firmò l’Ordine del Giorno il 24 luglio 1943. Dopo l’8 settembre si salvò in quanto Salerno fu liberata dagli Alleati. Dopo la guerra sarà deputato monarchico e avvocato di rilievo. Muore quasi centenario nel 1985.
UMBERTO ALBINI
Fascista della prima ora, sarà prefetto in diverse città d’Italia durante il regime. Dopo aver votato l’Ordine Grandi, ripara al Sud dove giungono gli alleati. Morirà nel 1973.
GIACOMO ACERBO
Accademico, è ricordato nel ventennio per la riforma elettorale che porta il suo nome. Ministro dell’Agricoltura e del Tesoro, si oppose alle teorie razziste inimicandosi gli intransigenti Preziosi e Interlandi. Dopo la firma dell’Ordine Grandi e l’8 settembre sfugge a una prima cattura della polizia repubblicana nascondendosi presso contadini nella campagna laziale. E’ condannato nel 1945 a 48 anni di reclusione poi ridotti a 30. Incarcerato a Procida è amnistiato nel 1951. Ripresa l’attività accademica, morirà a Roma nel 1969.
DINO ALFIERI
Bolognese, sarà sottosegretario alle Corporazioni e poi alla Stampa e alla Propaganda. Favorevole alle leggi razziali, sarà ambasciatore in Germania. Firmato l’Ordine Grandi, fugge subito in Svizzera dalla condanna del tribunale di Verona. Ritorna nel 1947 e muore a Milano nel 1966.
GIOVANNI MARINELLI
Coinvolto nel delitto Matteotti, fu organizzatore dei primi nuclei della polizia politica fascista. Quando firmò la deposizione di Mussolini il 24 luglio 1943 era già ai margini della vita politica del regime. Catturato, sarà fucilato a Verona insieme a Ciano e agli altri firmatari dell’Ordine Grandi.
CARLUCCIO PARESCHI
Agronomo, fu ministro dell’Agricoltura e segretario della Confederazione fascista degli agricoltori. Alla firma dell’Ordine del giorno Pareschi era al suo primo Gran Consiglio e fu convinto a votare dalle rassicurazioni di Dino Grandi. Considerandosi un semplice tecnico e non politico restò a Roma dove venne arrestato e condotto a Verona dove sarà fucilato.
EMILIO DE BONO
Militare di carriera, l’anziano Maresciallo d’Italia nato nel 1866 fu capo della Polizia e quindi Commissario dell’Africa Orientale Italiana dopo aver comandato le truppe italiane nella guerra coloniale. Fu il più convinto sostenitore della destituzione di Mussolini, ed il più critico riguardo all’alleanza con Hitler. Odiato da Farinacci, fu ammesso inizialmente da Badoglio. Convinto della sua buona fede rimase a Roma, dove il 4 ottobre 1943 è tratto in arresto mentre passeggiava in bicicletta. Portato a Verona e condannato alla fucilazione, il vecchio generale esclamò “mi fregate di poco, ho settantotto anni”. Cade sotto i colpi del plotone nazifascista l’11 gennaio 1944.
EDMONDO ROSSONI
Ex socialista come Mussolini, avrà un ruolo primario nel sindacalismo corporativo fascista. Ministro dell’Agricoltura dal 1935 al 1939, dopo la votazione del 24 luglio attraverso il Vaticano si nascose a Roma in un piccolo appartamento nei pressi della procura. Spostatosi nell’Appennino con la copertura degli ecclesiastici, nel 1946 fuggirà vestito da prelato statunitense verso il Canada, dove rimarrà fino all’amnistia. Muore a Roma nel 1965.
GIUSEPPE BASTIANINI
Nato a Perugia, parteciperà nel 1922 alla marcia su Roma. Avviata la carriera diplomatica per l’Italia fascista, sarà in seguito nominato Governatore della Dalmazia. Dopo il parere favorevole all’Ordine Grandi, fuggirà in Toscana e quindi in Svizzera. Tornato in Italia dopo la guerra sarà accusato dal Maresciallo Tito di crimini di guerra. Assolto dopo l’amnistia, vivrà a Milano fino alla morte avvenuta nel 1961.
ANNIO BIGNARDI
Sindacalista durante il ventennio, fu presidente della Confederazione fascista degli Agricoltori, come il collega Pareschi. Fuggito alla cattura dopo aver appoggiato Grandi, sarà nuovamente dirigente sportivo dopo che dal 1939 al 1941 ricoprì la carica di presidente della squadra di calcio ferrarese Spal. Muore nel 1985.
ALBERTO DE STEFANI
Fu il cuore dell’economia del ventennio, attuando una serie di riforme atte a snellire le strutture economico-fiscali dello Stato fascista. Si fece molti nemici nel partito per la sua visione eccessivamente liberalista. Rifugiatosi in un convento a Roma dopo la condanna di Verona in contumacia per aver aderito all’Ordine Grandi, sarà amnistiato dopo la fine della guerra per le sue posizioni apertamente critiche riguardo l’alleanza tra Terzo Reich e Italia. Muore nel 1969.
LUCIANO GOTTARDI
Di famiglia modesta, Gottardi ascese al potere essendo stato protofascista. Attivista nei sindacati corporativi, nel 1942 è amministratore di Carbonsarda e poi della Confederazione Lavoratori Industria ed in ragione di ciò fu ammesso al Gran Consiglio. Favorevole all’Odg Grandi, cercherà una riabilitazione tardiva scrivendo a Pavolini motivando il pentimento. Arrestato a Roma da un reparto speciale di polizia repubblicana sarà condotto a Verona e fucilato l’11 settembre dopo aver esclamato “viva il duce!”.
GIOVANNI BALELLA
Economista e imprenditore, Balella fece carriera in Confindustria come pupillo del conte Giuseppe Volpi di Misurata. Condannato per aver votato l’Odg Grandi, riuscì a riparare in Svizzera per intercessione di Buffarini Guidi, ministro della RSI. Ritornato alla sua attività di imprenditore morirà a Ravenna nel 1988.
TULLIO CIANETTI
Ragazzo del ’99, fonderà il fascio di Assisi. Sindacalista, girerà l’Italia per rappresentare la varie corporazioni. sarà sempre critico nei confronti del fascismo acquiescente a livello locale con la corruzione diffusa. L’apice della carriera lo porterà nel 1943 a ricoprire la carica di ministro delle Corporazioni poco prima della firma dell’Odg Grandi. Il giorno dopo il voto, Cianetti era già pentito. Al processo di Verona fu dispensato dalla pena di morte perché Mussolini confermò di aver ricevuto la lettera contenente le sue scuse al duce. Condannato a 30 anni di carcere, sarà liberato dagli Americani. Dopo la guerra fugge in Mozambico dove vivrà fino alla morte nel 1976.
Integrazione: la chimera che
ipoteca il nostro futuro
Di Francesco Lamendola del 18 Luglio 2019
Integrazione: “La chimera che ipoteca il nostro futuro”. Altro che “Nuova Religione” dell’accoglienza è una ideologia che ha ottuso le facoltà mentali di un intero continente. Cosa ci insegna Guido Piovene nel suo “De America”?
Si parla tanto, troppo, di accoglienza, e ovviamente anche del suo logico corollario, l’integrazione. Sono entrambi concetti falsificati e contrabbandati per moneta buona, con un’impudenza che non finisce di lasciare sconcertati, specie in bocca al clero, che in teoria, dovrebbe osservare i Dieci Comandamenti e perciò non dovrebbe mentire, né render falsa testimonianza. L’accoglienza presuppone la condizione di profughi, e nel caso di quanti arrivano via mare, sui barchini o a bordo delle navi delle o.n.g., quella di naufraghi: altre due menzogne. Non è profugo chi parte, munito di telefonino per segnalare la sua posizione, o addirittura avendo già concordato un appuntamento in mare, trovandosi già su un’imbarcazione precaria e passibile di affondare, ma chi viene sorpreso da una disgrazia in mare e, contro la sua volontà, viene a trovarsi in pericolo. Inoltre non è profugo chi emigra per ragioni economiche e, mentendo, si dice vittima di persecuzioni o guerre, ma rifiuta di declinare le sue vere generalità e si fa scudo del buon cuore e del senso di colpa della nazione ospitante. Dunque, se le parole hanno un senso, accogliere i falsi naufraghi e i falsi profughi significa incoraggiare l’invasione dell’Italia e la rapida sostituzione della sua popolazione, che sarà un fatto compiuto nel giro di pochi decenni.
Stiamo costruendo un castello di menzogne e di mezze verità che finirà per crollare e per travolgerci? L’accoglienza e il suo logico corollario dell’integrazione sono entrambi due concetti falsificati e contrabbandati per moneta buona, con un’impudenza che non finisce di lasciare sconcertati, specie in bocca al clero, che in teoria, dovrebbe osservare i Dieci Comandamenti e perciò non dovrebbe mentire, né render falsa testimonianza!
Quanto all’integrazione, i suoi propagandisti non sanno letteralmente quel che dicono: non si sono mai dati il disturbo di vedere se una cosa del genere esista, o quanti secoli, quanti millenni richieda. In India, dove le popolazioni ariane si sono sovrapposte a quelle veda, non è un fatto compiuto nemmeno oggi, visto che le seconde sono scivolati in fondo alla scala sociale e non si sono affatto mescolate ai nuovi venuti: nuovi, si fa per dire: parliamo di circa quattromila anni fa. Gli ungheresi, gli ultimi invasori a giungere in Europa nell’alto Medioevo, hanno avuto oltre un millennio di tempo per integrarsi, e avvalendosi di una serie di circostanze assai favorevoli, comunque non senza prima essersi convertiti al cristianesimo; mentre ciò che predicano i banditori della società accogliente, multietnica e multiculturale, è che ciascun nuovo arrivato conservi felicemente le sue abitudini e tradizioni, a cominciare dalla religione: e sappiamo a quale religione appartengono la maggior parte degli immigrati africani e asiatici, una religione che vieta formalmente le conversioni a un’altra fede. Sempre parlando dei falsi profughi; perché i profughi veri, come i siriani, dopo un anno, due anni, tornano a casa, come è logico e come è giusto che sia: finita la guerra da cui erano fuggiti, non vedevano l’ora di poter riabbracciare i loro amici e parenti, di vedere se le loro case sono ancora in piedi. Se poi prendiamo come termine di paragone un caso più recente, quello degliStati Uniti d’America, possiamo vedere che né gli abitanti originari, quei pochi sopravvissuti al massacro, né i discendenti degli schiavi che vi giunsero per lavorare nelle piantagioni di cotone e di tabacco, e parliamo di quasi trecento anni fa, si sono per nulla integrati. A meno che si consideri integrazione il fatto che uno di questi ultimi sia stato eletto presidente e qualche altro abbia raggiunto posizioni di vertice nella politica, nell’amministrazione e nelle forze armate (non, però, fatto eloquente, nella finanza, nell’industria, nella cultura o nelle professioni liberali), mentre la massa continua a vivere fisicamente separata, in propri quartieri e con il proprio stile, non senza continui attriti con tutti gli altri – si ricordi la rivolta interetnica di Los Angeles del marzo 1991 – e sempre sul piede di guerra contro le forze di polizia.
L’Eurabia è già una realtà, dal caso Colonia, alla Svezia fino a noi: l’Italia non ci risulta in guerra con il Marocco, la Tunisia o la Nigeria, i profughi veri, come i siriani, dopo un anno o due tornano a casa mentre la marea di immigrati islamici sono solo “Immigrati economici” che hanno l’obbiettivo, neanche tanto mascherato, di convertire gli Europei all’Islam!
C’è, nel De America di Piovene – un libro che è stato scritto quasi settant’anni fa, ma la sostanza non è cambiata -, un piccolo episodio incidentale che esprime con plastica evidenza questo concetto, ma è chiaro che gli italiani o hanno la memoria corta, o non hanno mai letto quel libro; in altre parole, che non sono disposti a sottomettersi ai fatti, se questi hanno il vizio di dare torto alle loro convinzioni ideologiche. Comunismo e cattolicesimo di sinistra, le due ideologie che hanno plasmato la mente e l’immaginario degli italiani nei settant’anni successivi alla fine della Seconda guerra mondiale, si basano su una serie di semplificazioni e di mistificazioni, che ora trovano la loro sintesi perfetta nell’ideologia dell’accoglienza e dell’integrazione, e guai a chi gliela tocca. Hanno già perso sia Marx che Cristo; non sono affatto disposti a rimanere orfani per la terza volta. Stiamo parlando dei “puri”, naturalmente, ossia di quelli che ci credono davvero; sorvoliamo, in questa sede, sugli altri, probabilmente assai più numerosi, i quali hanno un preciso interesse a predicare la nuova religione dell’accoglienza, e specialmente ce l’hanno gli uomini della contro-chiesa del signor Bergoglio, in deficit di fedeli e di sovvenzioni, e quelli del Pd: un partito che, dopo essere passato dal comunismo al turbo-capitalismo, non avrebbe più alcuna ragione d’esistere, né un elettorato a cui rivolgersi, se l’Italia non importasse a ritmo frenetico dei nuovi soggetti adatti alla bisogna. Un interesse materiale, vogliamo dire, più che evidente, visto che per loro la cosa si trasforma in un colossale affare economico, l’industria dell’accoglienza, ben ramificata in ogni settore della società, dai salvataggi in mare fino ai finanziamenti pubblici per i comuni o i soggetti privati che si rendono disponibili ad “accogliere”.
Guido Piovene nel suo libro De America fa una osservazione molto attuale: i bianchi sono a disagio di fronte a certi comportati dei membri delle altre etnie, ma non osano dir nulla, perché temono di passare per razzisti. È esattamente quel che sta accadendo oggi: tutti muti come pesci per non essere tacciati di razzismo e, dio non voglia, di fascismo!
Questo terrore di rimanere orfani è alla radice della rabbia, dell’autentico livore con il quale si scagliano contro i loro nemici, cioè contro quanti fanno presente che l’Italia, andando avanti di questo passo, nel giro di due generazioni sarà una provincia dell’Africa. Islamica, naturalmente. A quel punto, non crediamo che le figlie e le nipoti della generazione femminista saranno molto liete della piega presa dalla società, beninteso le poche che esisteranno ancora; come dubitiamo molto che se ne potranno rallegrare gli omosessuali militanti, quelli che sfilano nei Gay Pride e pretendono l’adozione dei bambini. È noto cosa ne pensi l’islam dell’emancipazione femminile, anzi della donna in quanto tale, e ne fanno fede gli stupri etnici di Colonia e tutti gli altri, per esempio di Stoccolma, dei quali i mass-media hanno ordine di non parlare, ma che sono ormai realtà quotidiana. Ed è anche noto cosa ne pensi dell’inversione sessuale e degli invertiti, nonché della loro pretesa di contrarre matrimonio, di essere famiglia e di avere dei bambini da crescere. Senza che la realtà valga ad insegnare qualcosa. In questo senso, gli svedesi sono ciechi quanto e più degli italiani, ormai l’ideologia ha ottuso le facoltà mentali di un intero continente. Dalla Svezia, pochi giorni fa, è fuggito un padre che si è ripreso i suoi figli e ha cercato rifugio in Polonia, lui sì un vero profugo. Il giudice aveva tolto a lui e a sua moglie i bambini, ritenendoli inadatti a svolgere la loro funzione di genitori, per darli in affido a una famiglia islamica di stretta osservanza. I nuovi genitori si sono affrettati a sottoporre i bambini a estenuanti lezioni per imparare a memoria il Corano e il tribunale ha fatto del suo meglio per troncare i legami fra i genitori naturali e i loro figli, mandando questi ultimi in una località a quattrocento chilometri da quella in cui essi vivono e concedendo solo poche ore di visita ogni due settimane. Ora il governo svedese ha chiesto a quello polacco l’estradizione del delinquente, ottenendo, per adesso, un rifiuto: si vede che in Polonia c’è ancora qualcuno che ha una coscienza. Ma di questa brutta storia, chi ha sentito parlare in Europa? Di certo i giornali a grande tiratura e i telegiornali delle principali reti televisive se ne sono scordati. Avrebbe messo qualche pulce nell’orecchio dell’opinione pubblica. Meglio fare silenzio, quando la realtà è sgradita, e amplificare al massimo quei fatti che convengono alla propria tesi: che poi è la tesi del grande potere finanziario, il quale, vedi combinazione, è anche il padrone incontrastato sia dei giornali, sia delle televisioni di quasi tutto il mondo.
Il De America di Guido di Piovene
Dicevamo della pagina di Guido Piovene, viaggiatore intelligente e dall’occhio assai acuto, che ben si presta a chiarire il velleitarismo di quanti predicano dalla mattina alla sera la bellezza della società multietnica. Ci sia permesso di riportarla; precisiamo solo che la scena si svolge presso il Grand Canyon del Colorado, celebre attrazione turistica per la grandiosità del paesaggio naturale (da: G. Piovene, De America, Milano, Garzanti, 1953, p. 343):
Lo spiazzo davanti all’albergo è, come sempre in America, un teatro d’attriti religiosi e razziali. Una compagnia d’indiani danza per i turisti; ma alcune monache sedute su un banco (anche in America le monache sono dovunque), forse per protesta contro danze di origine idolatrica, scattano tutte insieme come a un comando militare e, volta la schiena agli indiani, fissano immobili l‘abisso. “Papà”, chiede un bambino; è incredibile quale suggestione abbiano ancora sui bambini gli indiani e loro guerre coi bianchi; “papà, almeno nel Messico, è permesso ammazzare gli indiani?” La mattina seguente tre negri ricchi e volgarissimi, tre uomini e una donna, giunti su una grande automobile, contemplano il panorama: dentro l’albergo, non potrebbero mettere piede. Una indiana decrepita, sbilenca, piccola, vestita di nero, simile a quelle streghe che nelle favole gettano il sortilegio, ma ancora più vecchia, più piccola, e pronta a dissolversi, traversa lo spiazzo strascicando i piedi. “Fotografala”, ordina la grassa donna negra fastosa a uno dei suoi compagni. L’uomo obbedisce, e insegue la vecchia donna indiana, che prima tenta di sfuggire, poi accondiscende, e infine tende la mano. Gli indiani vendono il diritto a fotografarli. Ma i negri americanisti si scagliano: come osa tendere la mano? È ammissibile che si veda questo in America? Ha dimenticato, la vecchia indiana disgustosa, d’essere una cittadina degli Stati Uniti?” “Meno vergognoso per me chiedere del denaro che per voi aver rubato la mia fotografia”, dice la vecchia, e si dilegua. Alcuni bianchi assistono, evidentemente irritati, ma nessuno interviene. Gli americani tengono alla larga i negri, ma è raro che osino contrariarli pubblicamente, temendo d’essere tacciati di pregiudizio.
Il fallimento Usa sul multiculturalismo, sarà anche un fallimento Europeo? Basterebbe leggere le cronache dei giornali europei, dalla Svezia alla Sicilia per rispondere a questa domanda!
In questa mezza pagina di prosa c’è una miniera di spunti sui quali riflettere: è impressionante come certe situazioni, fotografate quasi sette decenni fa in un Paese di là dall’oceano, siano sovrapponibili a quelle che dobbiamo affrontare qui e ora, in casa nostra, del tutto impreparati sia sul piano culturale, sia su quello legislativo, sia soprattutto su quello psicologico e morale. Stiamo costruendo un castello di menzogne e di mezze verità che finirà per crollare e per travolgerci, e lo facciamo in perfetta cattiva coscienza, perché sappiamo trattarsi di menzogne, ma preferiamo le menzogne alla verità, quando questa è sgradita ai nostri sensibili orecchi. Nel quadretto tratteggiato da Piovene gli attori sono solo tre, i bianchi, gl’indiani e i negri (è lui che scrive così, negri e non neri, il politically correct non dettava ancora legge; noi ci limitiamo a riportare le sue precise parole); mentre adesso, in Italia e in Europa, gli attori sono decine e decine, tutte le etnie possibili e immaginabili, lingue che fra loro non si comprendono affatto, religioni e sette d’ogni tipo, anche se con una forte prevalenza islamica: la meno disposta di qualsiasi altra ad “integrarsi”. Per quel che riguarda il confitto latente fra cattolicesimo e idolatria, adombrato nel contegno di quelle suore davanti alle danze tribali degli indiani, la contro-chiesa di Bergoglio ha trovato una maniera semplicissima per superarlo: adottare in toto il paganesimo, integrare (quelle sì) le danze sciamaniche nella liturgia, i “valori” pagani nel Vangelo, e così via: vedi il prossimo sinodo sull’Amazzonia, che sarà la celebrazione dell’indigenismo. E quando una giornalista ha chiesto a Bergoglio, sull’aereo, come fa a tenersi in forma, lui ha risposto che non va dal medico, ma dalla strega: parole che vanno prese alla lettera, viste le sue frequentazioni. La questione delle tensioni che scaturiscono dalla differenza di mentalità, di gusti, di cultura, resta invece più che mai aperta: i nostri paladini dell’integrazione credono di risolverla proclamando che le differenze sono una ricchezza e un’opportunità di crescita, dunque nessun problema. E se unimam, come avvenuto in questi giorni nella felice cittadina del Nord-Est ove abitiamo, picchia i bambini di cinque o sei anni per insegnar loro il Corano a memoria, e i bambini si presentano alle maestre coi lividi e con segni di trauma, e queste allertano i carabinieri, e l’imam finisce sotto inchiesta, però tutte le famiglie islamiche lo difendono?
Mute le femministe sugli stupri delle donne bianche da parte dei musulmani; muti i militati LGBT sulle condanne a morte degli omosessuali nei Paesi islamici: signora Cirinnà vogliamo divenire sì o no un Paese più civile!
Nessun problema: ogni cultura ha le sue usanze. E noi siamo d’accordo; e, per quel che ci riguarda, non troveremmo nulla da obiettare se, nella loro cultura, si fa così. Il problema sorge per il fatto che non siamo, per adesso, in Arabia Saudita, ma nella Repubblica Italiana, dove ai maestri è vietato metter le mani addosso ai bambini, minacciarli o spaventarli. E allora? Non si sa. Muti come pesci tutti quanti. Ora hanno da parlare della Russia e dei rubli di Putin alla Lega; così non si parla neanche più degli orchi di Bibbiano e della mafia ideologica che garantiva loro l’impunità. L’ultima osservazione di Piovene è anche la più attuale: i bianchi sono a disagio di fronte a certi comportati dei membri delle altre etnie, ma non osano dir nulla, perché temono di passare per razzisti. È esattamente quel che sta accadendo oggi: tutti muti come pesci per non essere tacciati di razzismo e, dio non voglia, di fascismo. Mute le femministe sugli stupri delle donne bianche da parte dei musulmani; muti i militati LGBT sulle condanne a morte degli omosessuali nei Paesi islamici. Muti e inquadrati: vogliamo divenire sì o no un Paese più civile, come sempre invoca la signora Cirinnà?
MAFIA DEI RUBA BAMBINI GIUDIZIARI MAGISTRATI CORREI
24 luglio 2019 Mauro Mellini
Tra le notizie di crimini spaventosi che quotidianamente apprendiamo da stampa e televisione, forse più spaventosa ed allarmante delle altre è quella dell’organizzazione in seno ai “Servizi Sociali” di Reggio Emilia, che, producendo falsi rapporti e “prove” di delitti di genitori contro i loro bambini, ne otteneva il vero e proprio “rapimento” (Kidnapping, lo battezzarono gli Americani al tempo del caso Lindbergh).
Ora la “Magistratura indaga” e pare che già, sottratti dei bimbi così rapiti alle case-famiglia, autentiche case di “deposito” dei rapiti, li sta restituendo ai genitori che, con terribili minacce per la vita dei bambini, erano stati messi in condizione di non poter validamente reagire.
Già. La Magistratura indaga ed il Tribunale dei Minori di Bologna restituisce i piccoli ostaggi (destinati alla “vendita” a coppie in cerca di adozioni) ai genitori.
Evviva il Tribunale dei Minori??
NO! Evviva un cavolo!!! Il rapimento mostruoso, il “kidnapping giudiziario” non è potuto avvenire senza una sostanziale complicità di quel Tribunale.
Se i “Servizi Sociali”, divenuti brutali associazioni a delinquere, hanno potuto mandare ad effetto i loro delitti, ciò è avvenuto perché di fronte a così gravi accuse a quei poveracci ed a così terribili provvedimenti da emettere, il Tribunale dei Minori si è rimesso puramente e semplicemente “come di consuetudine” al rapporto dei delinquenti dei “Servizi Sociali”, ai “desiderata”, cioè, della mafia, senza sentire il bisogno di condurre un’inchiesta propria, di interrogare quei poveretti etc. etc.
Ho già scritto quel che mi capitò quando ero Deputato. Presentai una interrogazione perché, di fronte ad uno dei più naturali episodi di infantile irrequietezza (un bambino si era arrampicato per recuperare il pallone finito sul balcone di un coinquilino) il Tribunale dei Minori, guarda caso, proprio quello di Bologna, aveva “parzialmente condiviso” il parere espresso “a seguito di indagini sulle condizioni famigliari del minore accusato di violazione di domicilio” con il quale si “analizzava il comportamento “criminale” attribuendone l’origine al desiderio di “evasione”. Evasione da che cosa? Dai “rigori militareschi” dell’educazione paterna (il piccolo era orfano della madre) che “evidentemente” gli veniva somministrata da un padre Maresciallo dei Carabinieri.
Come tale il troppo (presuntivamente!) militaresco Maresciallo dell’Arma Benemerita doveva essere privato dell’esercizio della patria potestà con “ricovero” del piccolo in un istituto. Il Tribunale dei Minori, specificando che tale parere “poteva solo parzialmente essere condiviso” (!!!???) limitò il provvedimento all’esercizio “controllato della patria potestà”. Controllato da chi? Dai Servizi Sociali così evidentemente farneticati. Niente altro da dire!!!
Il Ministero della Giustizia rispose, cioè non rispose, alla mia interrogazione, ripetendo l’esposizione dei fatti così come da me fatta e di fronte al provvedimento di “sia pur parziale” condivisione di quelle folli proposizioni, non ritenne che di dover aggiungere: “Il provvedimento è impugnabile” (Grazie! Secondo il Sig. Ministro forse io non lo sapevo…!!!??).
Io non posso sostenere, dato il lungo tempo trascorso che vi sia un “continuum” tra il giudizio sulla pericolosità dell’educazione di un figlio arrampicatore di un Maresciallo dell’Arma (a non dire altro) e l’organizzazione di rapimenti e vendita ai richiedenti l’affidamento e l’adozione di oggi. Sarà, penso, tutto diverso sia ai Servizi Sociali, sia al Tribunale dei Minori. Ma il “continuum”, tuttavia c’è nella correità del rimettersi ai Servizi Sociali, favorendo così il trasformarsi di essi in turpi mafiosi, orribili rapitori e commercianti di bambini.
Non sarebbe male che gli odierni “inquirenti” non dimenticassero quell’episodio e quel che esso può aver significato nella “strutturale” impunità di guasti consumati in nome della Giustizia e di quelli lasciati consumare per non faticare troppo.
http://www.lavalledeitempli.net/2019/07/24/mafia-dei-ruba-bambini-giudiziari-magistrati-correi/
Anarchici bloccano le ferrovie del Paese: ma il problema non erano i neofascisti?
di Gabriele Tebaldi – 24 luglio 2019
L’attentato compiuto da un gruppo di anarchici che ha paralizzato la rete ferroviaria italiana, smaschera ancora una volta l’inadeguatezza della narrazione mediatica, diventata ormai mero megafono di potenti gruppi editoriali.
Siamo a Rovezzano, alle porte di Firenze ed è un lunedì come un altro. Come ogni mattina folti gruppi di pendolari e viaggiatori vari si affidano al treno per arrivare chi a lavoro, chi dalla famiglia e chi in vacanza. Tutti ignari del fatto che un gruppetto ancora non identificato di teppistelli anarchici abbia appena appiccato tre roghi nei pressi di una cabina elettrica dell’alta velocità.
Il risultato: rete ferroviaria bloccata e Italia praticamente tagliata in due. Inutile sottolineare i ritardi, i disagi e i soldi persi a causa di un gesto tipico del bambino viziato ed annoiato che in mancanza di divertimenti, trae giovamento dalla sofferenza altrui.
Non riusciamo a trattenere la nostra emozione nel constatare come questo gigante chiamato Potere abbia sempre e comunque i piedi di argilla. Come sia sufficiente accendersi una sigaretta all’aria aperta in campagna e sotto la luna per mandarlo in tilt. Come tutta la sua esaltata magnificenza, tutta la sua tracotante invincibilità, dipendano da fragili cavi disseminati un po’ dovunque
Si legge sul sito internet Finimondo.org
uno dei tanti portali della galassia anarchica italiana, che cosi rivendica il gesto. Aldilà del pensiero delirante, che ricorda da vicino il folle personaggio del Joker di Batman, l’attentato sarebbe riconducibile in realtà ad uno squallido gesto di vendetta. Nello stesso giorno, infatti, la Corte di assise di Firenze aveva emesso la condanna per 28 anarchici accusati di vari reati. Associazione a delinquere, preparazione di ordigni e tentati omicidi, sono alcuni dei capi d’accusa che hanno portato alla condanna dei 28 delinquenti.
Ora, alla luce di questo grave episodio, stupisce la leggerezza con cui i media italiani hanno divulgato la notizia, relegandola quasi come semplice fatto di cronaca. Stupisce perché avrebbe dovuto essere lo spunto ideale per sottolineare la pericolosità che i gruppi anarchici, largamente presenti nel territorio italiano, rappresentano per lo Stato, le sue istituzioni e il suo corretto funzionamento. Invece il ruolo anarchico nella vicenda è stato posto in secondo piano. Un atteggiamento che stride particolarmente con la modalità di narrazione mediatica adottata a seguito del ritrovamento dell’arsenale di armi nelle mani di gruppi neonazisti. In quel caso infatti i media italiani avevano deciso di enfatizzare, giustamente, l’appartenenza politica, nonché il carattere eversivo dei trafficanti di armi e la loro pericolosità nei confronti dello Stato, invocando lo scioglimento dei gruppi in qualche modo riconducibili all’area dell’estrema destra.
Perché dunque la stessa narrazione
non viene adottata nei confronti degli anarchici, soggetti altrettanto pericolosi e violenti nei confronti dello Stato democratico (come il messaggio di rivendicazione dimostra)? L’impressione, che di giorno in giorno diventa sempre più certezza, è che i media mainstream abbiano del tutto rinunciato all’imparzialità d’informazione, in cambio della sopravvivenza economica di un ristretto gruppo di giornalisti strapagati (circondati da una schiera di stagisti, collaboratori a cottimo e volontari).
Cosi il pericolo neofascista, oltre a far vendere qualche copia in più rispetto alle imprese anarchiche, rappresenta il diktat del gruppo editoriale di turno pronto ad usare sapientemente un episodio per una personale battaglia politica. Sminuire il pericolo anarchico, perché la legge di mercato impone un’altra narrazione, rappresenta cosi l’omicidio premeditato del giornalismo e della sua originaria funzione di informazione indipendente.
BELPAESE DA SALVARE
NON POSSIAMO SOSTITUIRE GLI ITALIANI CON IMMIGRATI: VANNO FERMATI
Marco Bertolini, ex comandante del Coi, comando operativo di vertice interforze spiegò in un’intervista cosa fare contro quella che, anche lui come noi, definiva ‘invasione’, e non ‘immigrazione’.
Generale, in che situazione versa il nostro Paese?
«L’Italia si trova al centro del Mediterraneo e nel Mediterraneo bisogna essere forti, politicamente, economicamente, culturalmente e, perché no, anche militarmente. Il nostro Paese, invece, non vuole esercitare la forza. In quest’area si scontrano gli interessi di altri Paesi fortissimi, che sono i classici vasi di ferro e se noi ci proponiamo come vaso di coccio, perché abbiamo dei confini porosi, perché accettiamo chiunque arrivi, perché siamo passivi nei confronti delle iniziative politiche e militari degli altri, siamo destinati a pagarla molto cara».
Dove pensa arriveremo se dovessimo proseguire su questa strada?
«Se dovessimo andare avanti in questa maniera scompariremo. Si usa il termine sovranità come se fosse una bestemmia dimenticando che, invece, è il valore per cui hanno giurato i militari, ma anche i ministri».
Con la linea suggerita dall’est Europa pensa cambierebbe qualcosa?
«Sicuramente potremmo essere meno passivi nei confronti dell’immigrazione. Il problema va risolto in Africa, ma non possiamo aspettare anni. Come facciamo a ridurre il flusso? Non possiamo costruire un muro in mezzo al Mediterraneo, ma possiamo fermare, ad esempio, le Ong».
A proposito di Ong, che pensa del loro operato?
«Che la devono smettere di prendere i migranti e di portarli da noi, che passivamente li dobbiamo subire, visto che rimarranno qua. Adesso, di fatto, c’è quasi un servizio di traghettamento che non fa sicuramente i nostri interessi».
Cosa si potrebbe fare di più?
«Il dibattito in Italia su cosa fare nei confronti di questo fenomeno è incentrato su come accoglierli e distribuirli, invece dovrebbe essere incentrato su come fermarli».
Pensa ci sia un disegno dietro a questa invasione?
«Non ho elementi, ma ci sono politici che dicono che noi dei migranti abbiamo bisogno perché non facciamo più figli. Dimenticano di dire, però, che i motivi per cui non facciamo più figli sono dovuti alle scelte fatte da loro perché è stata distrutta la famiglia, ci sono state politiche contro la natalità, provvedimenti umilianti per la famiglia naturale a favore di una famiglia sterile che non fanno bene. Abbiamo bisogno di giovani, ma non possiamo importarli e non possiamo sostituire gli italiani con i cittadini acquisiti ai quali si dà un passaporto».
Inutile dire che l’arrivo di Salvini ha cambiato tutto.
Abbiamo ridotto gli sbarchi da una media di oltre centomila a poco più di tremila.
Chiuso i porti alle ong.
Ripreso i respingimenti in Libia.
Ma è soprattutto la narrativa che è cambiata: ora non si parla più di come ricollocarli, ma di come non farli arrivare.
Anche se c’è ancora qualcuno, perfino nel governo, che insiste su questa strada di perdizione. Ma vinceremo noi.
https://voxnews.info/2019/07/23/generale-non-possiamo-sostituire-gli-italiani-con-immigrati-vanno-fermati/
Salvini marcia su Bibbiano: «I pm si occupino dei rom»
Il ministro annuncia indagine su affidi e case-famiglia. «Non avrò pace fino a che l’ultimo bambino non sarà tornato a casa dai suoi genitori»
«Non avrò pace fino a che l’ultimo bambino sottratto ingiustamente alle famiglie non tornerà a casa da mamma e papà». Matteo Salvini arringa la folla dai gradini del municipio di Bibbiano, indagine “Angeli e Demoni”. Parla «da papà, prima che da ministro», promette una commissione d’inchiesta entro agosto e prende le distanze dalle polemiche grilline contro il Pd: «non è una questione di colore politico». Ma rilancia la sua battaglia contro i rom, quelli sì meritevoli di essere allontanati dai propri figli.
La giornata di Salvini
La marcia su Bibbiano del ministro dell’Interno si apre con l’incontro con alcuni genitori, che hanno chiesto a Salvini di poter riabbracciare i propri figli. Perché anche se lo scandalo documentato dall’inchiesta riguarda sei casi – e quattro bambini, proprio lunedì, sono tornati dai genitori naturali su decisione del Tribunale dei minori – i numeri degli affidi in Emilia Romagna, afferma il ministro, sono esorbitanti.
«Solo negli ultimi anni sono 10mila i bambini portati via ai genitori in Emilia Romagna – dice -. È un numero che non esiste, sul quale andremo fino in fondo». Difficile stabilire che lasso di tempo interessi questo dato. Quel che è certo, però, sono gli impegni presi davanti alla folla urlante che invoca giustizia e punizioni esemplari, come «il taglio della pensione per queste persone». Salvini asseconda gli appetiti della gente. «Il posto giusto per certa gente è la galera», afferma e preannuncia le iniziative leghiste: «entro i primi giorni d’agosto verrà approvata una commissione d’inchiesta sulle case famiglia» proposta dalla presidente della Bicamerale Infanzia, Licia Ronzulli.
Pd all’attacco
La presenza di Salvini a Bibbiano, per la vicesegretaria Paola De Micheli il Pd, non sarebbe altro che una «passerella di dubbio gusto». Ma sul punto il capo del Viminale è categorico: «dovrebbero parlare con quelle mamme e quei papà a cui sono stati rubati bambini con false perizie ed elettroshock (elemento smentito dagli inquirenti, ndr)».
Salvini dribbla, però, l’altra polemica politica, quella veicolata, nei giorni scorsi, dal leader grillino Luigi Di Maio, che ha definito il Pd «il partito di Bibbiano». Un collegamento ipotizzato per via del coinvolgimento nell’inchiesta del sindaco Pd Andrea Carletti, ma smentito dal capo della Procura di Reggio Emilia, che ha precisato che Carletti «non è coinvolto nei crimini contro i minori». Insomma, quella del M5s si è rivelata una vera e propria speculazione. Dalla quale Salvini, però, si smarca. «Io spero che su questo la politica si unisca. Non so se c’è un sistema, so che mi arrivano segnalazioni di abusi da diverse parti d’Italia sottolinea – Non mi interessa associare una schifezza come questa a questo o quel partito, perché qua c’è da salvare dei bambini. Mi auguro che tutti i partiti prendano le distanze, quindi non vengo qui per attaccare Renzi o Zingaretti». C’è da agire e promette di farlo in prima persona, rivedendo «personalmente» tutte le pratiche.
La polemica sui rom
La convinzione del ministro è che i casi simili, in Italia, siano molti. E inneggiando alle «tante realtà cattoliche» che davvero si prendono cura dei bambini, il discorso vira sui campi rom. «Mi domando perché quando gli assistenti sociali visitano un campo rom non tolgono loro i bambini sottolinea – Sono implacabili con chi non riesce a pagare le bollette, mentre con chi educa i bambini a rubare non fanno niente. Perché i tribunali dei minori non vanno a salvare quei bimbi?». Un problema del quale, però, annuncia di volersi occupare più in là. La priorità, ora, è rivoluzionare il sistema degli affidi, perché «quando si sbaglia sulla pelle dei bambini si deve pagare il doppio». E «in un Paese civile, prima di portare via un bimbo da casa le devi avere provate tutte».
https://ildubbio.news/ildubbio/2019/07/24/salvini-marcia-su-bibbiano-i-pm-si-occupino-dei-rom/
CONFLITTI GEOPOLITICI
La crisi nello stretto di Hormuz: debolezza iraniana e muro americano
Niram Ferretti – 21 luglio 2019
La partita che si sta giocando in questi giorni nello Stretto di Hormuz dove due petroliere inglesi, la Sienna Impero e la Mesdar (quest’ultima poi rilasciata) sono state sequestrate dai Pasdaran iraniani, è uno dei tasselli della partita più grande che vede contrapporsi Stati Uniti e Iran.
L’uscita dal JCPOA (l’accordo sul nucleare iraniano) da parte dell’amministrazione Trump e la reintroduzione di sanzioni draconiane nei confronti del regime di Teheran che hanno fortemente colpito l’economia iraniana, è la causa di quanto sta accadendo in questi giorni.
C’è un punto fermo della dottrina Trump che va messo in chiaro, ed è l’idea che in un contesto globale di players in competizione per l’affermazione della propria sfera di potere, le potenze in contrasto con gli Stati Uniti (Cina, Iran, Russia, Nord Corea) non solo devono essere frenate, ma “costrette” come nel caso lampante dell’Iran, a negoziati che ne limitino l’aggressività.
La soluzione diplomatica è l’esito a cui mira l’amministrazione in carica, ma, diversamente da quella precedente, facendo sentire tutto il peso della propria potenza. In questo approccio è evidente l’impostazione teorica hobbesiana del Consigliere per la Sicurezza Nazionale John Bolton; l’unica diplomazia efficace è quella che si esercita all’ombra della forza.
Nel suo discorso alla Heritage Foundation del 21 maggio 2018, il Segretario di Stato Mike Pompeo ha dichiarato in modo esplicito le condizioni che gli Stati Uniti pongono all’Iran. Condizioni espresse in dodici punti programmatici, tra i quali, imprescindibili, la cessazione permanente dell’arricchimento dell’uranio, la piena disponibilità ad aprire tutti i siti nucleari alla AEIA per le ispezioni, la cessazione della proliferazione dei missili balistici, la fine della sponsorizzazione di gruppi terroristici come Hezbollah, Hamas e la Jihad islamica (i tre principali avversari di Israele, di cui il più pericoloso è il gruppo integralista libanese). Solo quando queste e altre condizioni verranno ottemperate, le sanzioni americane verranno sollevate.
Alle richieste degli Stati Uniti, l’Iran ha risposto cercando una sponda con l’Europa nel tentativo di trovare il modo di aggirare le sanzioni americane e tenere in piedi l’accordo sul nucleare del 2015 voluto da Barack Obama. Il fallimento di questo tentativo, l’impossibilità dei paesi europei firmatari dell’accordo, tra cui Regno Unito, Francia e Germania, di creare un meccanismo alternativo a sua salvaguardia, ha mostrato che non ci sono alternative reali.
L’Iran si trova dunque oggi con le spalle al muro. L’ala oltranzista vicina alla Guida Suprema Alì Khamenei e rappresentata dalla Guardia Repubblicana, sta mostrando con le azioni che hanno avuto luogo nello Stretto di Hormuz, non solo di non volere cedere alle pressioni americane, ma di essere in grado di rendere problematica la navigazione alle petroliere all’interno dello Stretto. Ma sono azioni di corto respiro e di scarsa intelligenza tattica. Inimicarsi il Regno Unito, uno dei firmatari dell’accordo del 2015 sequestrandone le petroliere rafforza solo la posizione americana e indebolisce quella dialogante europea.
Nel contempo, l’apertura a una soluzione diplomatica da parte del Ministro degli esteri Javad Zarif, e la dichiarazione dell’ex presidente iraniano Ahmadinejad sulla necessità di aprire un tavolo negoziale con gli Stati Uniti, evidenziano che solo un nuovo negoziato può portare l’Iran fuori dall’impasse soprattutto nella prospettiva di una rielezione di Donald Trump alle presidenziali del 2020.
Come ha riassunto il Senatore repubblicano Tom Cotton, “L’Iran si trova in grosse difficoltà. La sua economia sta collassando. Stanno cercando di riportare i soldati a casa perché non possono pagarli. E’ molto facile risolvere la questione così come è molto facile per noi renderla peggiore”
Sapelli: Salvini è la pedina di un attacco all’Eni
18.07.2019 – int. Giulio Sapelli
Il Russiagate è un’operazione politica come quella della vecchia Tangentopoli ’92-94: cambiano i registi, ma lo scopo è lo stesso
Esce allo scoperto il “terzo uomo” dell’Hotel Metropol, nell’ambito dell’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega: è Francesco Vannucci. Dmitri Peskov, portavoce di Putin, nega che il Cremlino possa avere dato fondi al partito di Salvini come ad altri politici o partiti italiani. La procura di Milano delude le attese di M5s e Pd, dicendo che l’audizione del ministro dell’Interno non è necessaria. Sono le novità di ieri sul fronte del Russiagate, che continua a tenere sulla corda tutta la politica italiana. Giulio Sapelli, economista, invita però ad allargare la prospettiva.
Professore, cosa pensa dell’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega?
Va collegata a molte cose. In primo luogo a quello che è successo in Austria, dove il giochetto è servito a liquidare una maggioranza di governo sgradita all’Ue: un patto inedito tra un partito aderente al Ppe e un partito di destra, candidato a trasformarsi e ad assumere maggiore responsabilità politica.
Continui.
Il caso Metropol è esploso dopo che la sindaca di Parigi ha concesso la massima onorificenza della città, la Medaglia Grand Vermeil, alla capitana Rackete. C’è un concerto internazionale – e nazionale – per far fare a Salvini la fine di Craxi. Ovviamente i francesi sono in prima fila.
E in Italia?
La7, di proprietà di un imprenditore che aspira ad entrare in politica e a fare il capo del governo, ha appena fatto uno speciale su Tangentopoli dove Di Pietro, Colombo e soprattutto Davigo hanno dato la linea politica.
Chi è stato secondo lei a raccogliere la registrazione al Metropol?
Non sono stati gli Usa. Mi pare piuttosto il tipico gioco della disinformacija russa: dare a tutti i cani un piccolo bocconcino, in modo che girando qua e là, li diffondano. Ezio Mauro sente “l’odore del sangue dell’animale ferito”. È quello che scrivevano i fascisti quando parlavano degli inglesi o degli ebrei.
Le procure sono sempre al lavoro. Differenze tra ieri e oggi?
Nel ’92-94 si trattò di un di un grande disegno internazionale con a capo la centrale del mercatismo mondiale che era Londra. Adesso la disgregazione dello Stato italiano ha colpito anche la magistratura, come si vede dalla crisi del Csm.
Questo cosa comporta?
Una lotta senza esclusione di colpi. Anche il grande capitalismo finanziario, che aveva le sue cuspidi nelle grandi logge scozzesi, adesso è diviso: tutti fanno quello che vogliono, dalle massonerie francesi a quelle tedesche. L’Ue sta implodendo, tutto è molto più complicato da gestire anche per loro.
Ci vuole dire con più precisione chi o che cosa si tratta di gestire?
Il problema è che certi gruppi puoi farli salire, agevolandone la presa del potere, ma poi le persone fanno quello che vogliono.
Si riferisce ai 5 Stelle?
Certo. Alcuni sono manovrabili, altri no e questo crea grandi problemi. Anche se sono stati scelti con cura per il loro compito.
Qual era?
Continuare il lavoro di Monti. L’esempio più chiaro è sotto gli occhi di tutti: l’accanimento sull’Ilva. Indebolire la seconda potenza industriale europea, già fiaccata dalle privatizzazioni modello Eltsin-Menem-Prodi, fa gola a molti. Non ci vuole un genio per capirlo.
Di quale modello parliamo?
Delle privatizzazioni che hanno distrutto i grandi gruppi statali attraverso gli spezzatini finanziari. Eltsin distrusse il patrimonio russo dandone una parte al notabilato vecchio e nuovo, una parte all’ex burocrazia comunista e un’altra parte ai grandi investitori stranieri. Ha fatto scuola.
E l’Ilva?
Siamo arrivati al colpo finale: se chiudono l’Ilva, i 5 Stelle hanno assolto il loro compito.
A quel punto?
A quel punto M5s non serve più. All’Italia invece serve la Lega. Ma qui Salvini paga il suo più grande errore: invece di corteggiare Orbán, avrebbe dovuto dare battaglia al Fiscal Compact dall’interno del Ppe.
Adesso cosa può fare Salvini?
Per prima cosa deve andare in Parlamento a riferire sulla vicenda. Poi deve fare bene il ministro dell’Interno: in parte lo sta facendo, dando allo Stato il compito di regolare le migrazioni sottraendole al mercato. Farebbe ancora meglio se di tanto in tanto concedesse di più alla misericordia. Però non basta. La Lega deve elaborare in modo più compiuto una politica economica non ordoliberista e approfondire la sua fisionomia di partito dei produttori.
L’incontro con le sigle sindacali e datoriali che tanto ha indispettito Conte e Di Maio non va in questa direzione?
Non lo avrei fatto al Viminale, piuttosto in una sede della Lega. Non è stato ciò che poteva essere: una grande assemblea di profilo più alto, dei veri e propri Stati generali della produzione. Per concepire una cosa del genere però occorre sostituire i social con la politica.
Sta rimproverando a Salvini, il più scaltro animale politico italiano, un deficit di politica. Ci spieghi meglio.
Solo se rappresenta veramente la borghesia nazionale, l’industria, le Pmi la Lega può rafforzare i suoi legami con gli Usa, evitando di cadere nelle braccia dell’imperialismo cinese e salvando così il paese.
Quello che è successo al Metropol va attribuito alla superficialità o a una trappola?
Le trappole per funzionare hanno bisogno della leggerezza delle loro vittime. Se vuoi guidare il paese devi avere la consapevolezza che vogliono eliminarti, proprio come un toro alla corrida.
Secondo lei fa bene o no la Lega ad intrattenere rapporti così stretti come sembra con la Russia?
La domanda è mal posta. Salvini ha ragione a dire che le sanzioni alla Russia sono sbagliate. Anzi: questo è perfettamente in linea con la vecchia politica estera italiana. La Dc, da posizioni atlantiste, ha sempre parlato con Mosca. Oggi la Russia ha rispolverato la teoria di Primakov, maestro di Lavrov: il ritorno nei mari caldi. Mosca vuole giocare un ruolo euroasiatico di primo piano. Salvini lo ha capito, ma serve una politica estera.
In concreto che cosa significa?
Il vassallo ha un suo ruolo: può fare cose che non può fare l’imperatore. Gli Usa non possono avere un rapporto scoperto e destabilizzante con la Russia di Putin, ma è evidentemente interesse dell’America tirare la Russia dalla propria parte contro la Cina. L’Italia deve elaborare e difendere il proprio “interesse prevalente”, come avrebbe detto Dino Grandi. Facendo in modo intelligente da ponte, e combattendo isterismi e ideologie.
Quali ideologie?
Quella della vecchia classe politica obamian-clintoniana, che ancora comanda negli Stati Uniti e si ostina a vedere nella Russia il male assoluto, e le sue filiazioni politico-mediatiche in Italia e in Europa.
Le risulta che l’Eni possa servirsi di mediatori come quelli che c’erano al Metropol di Mosca?
Non scherziamo. L’Eni conosce l’interesse italiano prevalente e lo difende. È ministerialista per definizione. Come tutte le nostre grandi imprese, conduce trattative con tutti i governi, ma non nelle hall degli alberghi. Come si possono fare illazioni così?
Le cronache del Russiagate ci parlano anche di Ernesto Ferlenghi. Lo conosce?
È un dirigente dell’Eni che lavora in Russia. Quelle che lo riguardano sono illazioni che vanno di pari passo con gli attacchi concentrici che vengono sistematicamente condotti contro l’Eni.
Come nel caso della Nigeria.
Sotto la direzione buona e saggia di Descalzi, l’Eni ha deciso di concentrare il suo peso in Africa. In Africa i maggiori stati europei fanno la politica di potenza che non possono fare in Europa. In Africa imperversa la Cina. Del resto l’assassinio di Mattei è stato profetico. Non sono stati gli americani ad eliminarlo, ma i fascisti francesi dell’Oas (Organisation de l’Armée Secrète, ndr), nello stesso mese in cui hanno attentato a De Gaulle. Per il ruolo meritorio che l’Eni aveva svolto in Algeria nella liberazione del popolo algerino.
Che ruolo ha la Francia adesso?
Persegue i propri interessi. Non dobbiamo stupirci, perché ogni paese lo fa, Russia compresa: solo i radical-chic italiani pensano che gli Stati non debbano fare più i propri interessi, che questi possano essere delegati all’Europa tecnocratica e che non esista più la patria. Prima capiamo che abbiamo degli interessi da difendere, meglio è.
Il governo è spacciato?
Non credo. Penso che gli Usa vogliano ancora che una delle poche “provincie ribelli” contro il dominio franco-tedesco sull’Unione Europea continui ad esistere e funzionare. I ribelli partono scamiciati, indossano felpe, ma devono trasformarsi in politici, ancor meglio se riformisti. Altrimenti faremo la fine di Portogallo e Grecia.
(Federico Ferraù)
L’ACCUSA DEL MAGISTRATO: POTENZE STRANIERE USANO ONG CONTRO L’ITALIA
24 luglio 2019
Carlo Nordio è un magistrato che tutti gli innocenti vorrebbero incontrare sulla propria strada.
Subito dopo la vicenda di Carola Rackete, ha scritto che «la concentrazione di imbarcazioni ong diretta alle nostre coste è troppo massiccia per essere casuale, ed anche senza evocar complotti è ragionevole pensare che la strategia per mettere in difficoltà il nostro Paese sia ben più raffinata di quella rappresentata dalla singola capitana».
Ieri, in un’intervista, ha spiegato chi avrebbe interesse ad indebolire la sovranità italiana.
«Una coincidenza è una coincidenza, ma due coincidenze sono un indizio e tre fanno quasi una prova. Vi è stata, in quei giorni, una concentrazione tale di ong e una spavalderia nello sfidare le nostre leggi che è più facile pensare a una strategia pianificata, piuttosto che a una serie casuale. Molti Paesi hanno interesse a destabilizzare il nostro governo, e questo può esser ritenuto un mezzo efficace».
Francia e Germania. Che poi sono i Paesi da cui provengono praticamente tutte le ong. E i finanziamenti alle ong.
La SeaWatch è sotto sequestro. Sostituita dalla nuova nave dei Medici Senza Frontiere ma con portafogli, Ocean Viking in arrivo nel Mediterraneo: si blocchi l’ingresso allo Stretto di Gibilterra per questa nave illegale finanziata dal Comune di Parigi.
La Alan Kurdi, di Sea Eye, è una nave tedesca finanziata da Vaticano e protestanti tedeschi.
La Open Arms è una nave a cui lo Stato di bandiera, la Spagna, ha vietato le attività di soccorso.
Andrebbero abbordate come i Pasdaran hanno abbordato la petroliera britannica e poi affondate. Se possibile senza l’equipaggio.
Insomma, ad oggi abbiamo una flotta di ong franco-tedesche finanziate con capitali francesi e tedeschi (e vaticani) con l’intento di traghettare clandestini in Italia: è una dichiarazione di guerra.
Macron ha del resto chiaramente intimato all’Italia di lasciare sbarcare nei propri porti tutte le navi straniere che raccattano clandestini in Libia:
Voleva farne una politica Ue. Al tempo del Pd ci sarebbe riuscito, visto che Renzi aveva anche firmato in tal senso. Perché tutta la nostra debolezza in Europa nasce dalle politiche arrendevoli dei governi precedenti. In cambio di poltrone per i loro accoliti, quelli che ci governavano aprivano i nostri porti: Mogherini con poltrona e più clandestini per noi.
Ma i tecnici del Viminale inviati alla riunione informale sulle Migrazioni nel Mediterraneo – appendice del vertice dei ministri dell’Interno europei svoltosi ad Helsinki la settimana scorsa – hanno sventato il blitz di Macron, stoppando l’iniziativa della Francia che lavorava ad un documento comune che voleva imporre lo sbarco di tutti i clandestini in Italia. Lo fa sapere lo stesso ministero, ribadendo la richiesta di “meccanismi di distribuzione temporanea di tutti gli immigrati irregolari e rotazione dei porti sicuri di sbarco delle persone rintracciate in mare, in modo che l’accoglienza non pesi solo su Italia e Malta che rischiano così di diventare l’hot spot d’Europa”. In realtà, l’accoglienza non dovrebbe proprio esistere, e infatti l’Italia ha chiesto i rimpatri immediati dei clandestini. La Ue non vuole!
Framania voleva trasformare l’Italia nel campo profughi dell’Europa. Come era sotto Renzi, che aveva firmato:
Come abbiamo visto, ora, in assenza di presunti minori sbarcati, la sinistra sta ripiegando sui bambini italiani per fare business.
L’attacco di Macron è ad ampio respiro. Sta tentando di destabilizzare la Libia attraverso il pupazzo Haftar e ha appena inviato una mega nave ong, finanziata dalle istituzioni pubbliche francesi, che potrà raccattare e traghettare verso l’Italia centinaia di clandestini alla volta:
E’ un atto criminale. Tanto più che, intanto:
E’ un piano di destabilizzazione dell’Italia. Un attacco alla nostra sovranità.
Quella di Macron è una dichiarazione di guerra.
https://voxnews.info/2019/07/24/laccusa-del-magistrato-potenze-straniere-usano-ong-contro-litalia/
CULTURA
Nuccio Ordine: “la buona scuola è solo quella in cui sono buoni professori”
di Aurora Pepa – 19 Febbraio 2018
In un periodo buio, buissimo, per il sistema dell’istruzione nazionale, che sempre più sta gettando nel dimenticatoio la vera essenza dell’importanza della formazione, ci sono ancora – per fortuna – docenti che si rifiutano di concepire quello scolastico come un ambiente dove parcheggiare giovani apatici nel periodo di vita che va dall’infanzia all’adolescenza. Nuccio Ordine è uno di questi: tenta di ribellarsi alla legittimazione smisurata dell’utilizzo degli smartphones in classe, si oppone all’idea che l’alternanza scuola-lavoro possa sostituire le ore di lezione tradizionali, crede ancora con forte convinzione che la cultura sia uno degli aspetti più utili nella vita di un essere umano e di un Paese.
Professor Ordine, l’“utilità dell’inutile”, prima ancora di essere il titolo di un suo libro, è un concetto. Cosa significa?
Si tratta di due termini che, per essere capiti, vanno inseriti in un contesto ben preciso: se noi volessimo sapere cosa è utile e cosa è inutile nella nostra società, basta guardare i bilanci dei governi. Semplicemente, è utile ciò che non viene tagliato. Inutile è invece ciò che viene tagliato: la scuola e l’università, la cultura, le biblioteche e i beni archeologici.
Come è possibile che la cultura sia ritenuta inutile?
Essa non produce profitto ed il vero dramma è che proprio i saperi in senso lato, che dunque non producono profitto, sono invece a mio avviso ciò di cui l’umanità ha più bisogno. La letteratura, la filosofia, l’arte, le biblioteche, gli scavi archeologici … Sono tutti fondamentali per cercare di rendere più umana l’umanità.
Che futuro prevede per il mondo della scuola, dell’università e dell’istruzione in generale?
Di fronte a noi, adesso, abbiamo un quadro disastroso: siamo in un momento in cui la scuola soffre perché non ci sono finanziamenti, in cui si riducono i sostegni alle università e alla ricerca scientifica di base, in cui il numero dei docenti si è ridotto vorticosamente negli ultimi anni a causa dei pensionamenti non rimpiazzabili. La tendenza generale è quella di pensare che la scuola moderna, la cosiddetta “buona scuola”, consista nell’investimento di soldi per la scuola digitale: questa è una follia terribile! Introdurre e legittimare, come è stato fatto negli ultimi giorni, l’uso dello smartphone in classe è una pazzia. Si crede che per leggere Dante e per studiare Kant sia necessario avere il supporto digitale, quando invece tutti sappiamo che la “buona scuola” la fanno solo e soltanto i buoni professori. Anziché investire per la formazione, per la selezione e per la retribuzione dei docenti, ci siamo abituati a pensare che un professore che abbia una classe fornita di smartphone possa far circolare meglio il sapere.
Cioè?
Basterebbe guardare ciò che è accaduto in Paesi che hanno già fatto questi esperimenti, come il Regno Unito: lì, si sono spesi milioni e milioni di sterline per investimenti di tipo digitale e, alla fine, gli ispettori non riescono ancora a comprendere se e in quale modo tali dispositivi digitali siano riusciti realmente a far studiare meglio i ragazzi. Al contrario, numerosi studi dimostrano che, utilizzandoli, gli studenti si distraggono molto più facilmente: un vero e proprio grido d’allarme, perché oggi i nostri giovani passano troppo tempo davanti agli schermi di cellulari e computers. La scuola dovrebbe disintossicarli da questi dispositivi.
E invece?
E invece questa scuola è una scuola costruita male, perché fa credere agli studenti che si debba studiare per imparare un nuovo mestiere: è una scuola che produrrà solamente buoni consumatori che, in maniera sempre entusiastica, acquisteranno
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Distrazioni letali
Neil Postman
Aspettavamo tutti il 1984. Arrivò, ma la profezia non si avverò; gli americani più riflessivi tirarono un sospiro di sollievo, congratulandosi per lo scampato pericolo. La democrazia aveva resistito. Altrove nel mondo forse c’è stato il terrore; a noi sarebbero stati risparmiati gli incubi di Orwell.
Avevamo dimenticato che, oltre alla visione infernale di Orwell, qualche anno prima ce n’era stata un’altra, forse meno nota anche se altrettanto raggelante: quella del Mondo Nuovo di Aldous Huxley. Contrariamente a un’opinione diffusa anche tra persone colte, Huxley e Orwell non hanno profetizzato le stesse cose. Orwell immagina che saremo sopraffatti da un dittatore. Nella visione di Huxley non sarà il Grande Fratello a toglierci l’autonomia, la cultura e la storia. La gente sarà felice di essere oppressa e adorerà la tecnologia
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https://finimondo.org/node/2351
De Crescenzo e Camilleri. Il cordoglio invertito
di Roberto Pecchioli – 23 luglio 2019
De Crescenzo e Camilleri “il cordoglio invertito”: perché l’Italia ufficiale ha preferito tributare un omaggio esagerato e politicamente orientato a Camilleri e lasciare un po’ in disparte uno dei suoi ultimi “veri intellettuali”
In questo torrido luglio in cui le notizie arrivano attutite, assopite anch’esse tra afa e temperatura, due intellettuali novantenni hanno lasciato la vita. Luciano De Crescenzo avrebbe compiuto 91 anni tra un mese, Andrea Camilleri viaggiava verso i 94. Uno, De Crescenzo, si era allontanato dai riflettori già da qualche anno, l’altro ha conosciuto la celebrità in vecchiaia grazie ai gialli sul commissario Montalbano divenuti trionfo televisivo, ammalandosi mentre preparava una performance teatrale nei panni del mitico Tiresia, l’indovino cieco della tradizione greca.
Il rispetto per il mistero della morte, unito all’età grave di entrambi, impone parole di circostanza, pronunciate a bassa voce, mezzi toni che contrastano con il rumoroso cordoglio che ha accompagnato la dipartita di entrambi, specialmente quella di Camilleri. Una volta ancora, la fine di un esponente della sinistra è stata accompagnata dalla sopravvalutazione della sua figura e della sua opera. Lo confessiamo: siamo tra i rari italiani a cui non piace il commissario Montalbano, infastiditi dall’ingombrante presenza del suo autore, che per anni ha accompagnato le serie televisive con le auto recensioni, una sorta di esegesi o interpretazione autentica di Montalbano ad uso dei telespettatori. Apparteniamo invece alla schiera degli ammiratori incondizionati di Luciano De Crescenzo, lo straordinario ingegnere, filosofo, scrittore, divulgatore culturale, personaggio televisivo, attore e tanto altro ancora.
L’omaggio a Camilleri ci è parso esagerato, scomposto, animato dalla consueta autoreferenzialità del milieu culturale italiano, rafforzato per l’occasione da ampi settori della politica e delle istituzioni. Il cordoglio, diciamolo senza infingimenti, ha riguardato soprattutto le idee politiche di Camilleri. Iscritto al Partito Comunista fin da giovane, ma non certo discriminato dalla televisione democristiana in cui lavorò per decenni come autore e sceneggiatore, era il perfetto rappresentante dell’intellettuale organico italiano che ha attraversato l’interminabile dopoguerra. Sinistrissimo, nemico giurato di Berlusconi prima, di Salvini ultimamente ( in una delle ultime dichiarazioni pubbliche affermò che il leghista lo faceva vomitare) , ateo, tanto che è stato sepolto nel cimitero acattolico di Roma, negli ultimi anni appariva come una sorta di vate, un grillo parlante vetero comunista, davvero un’imitazione di Tiresia, in grado di discettare come l’oracolo di Delfi sull’universo mondo, favorito nell’impresa dalla voce profonda, dalla cadenza siciliana arrochita per il fumo e da quella presenza scenica forte, indiscutibile, che riempiva lo schermo.
Eppure, al di là della santificazione della sua parte politica, egemone culturalmente nonostante decenni di sconfitte, non ci sembra un grande. Il personaggio che gli ha dato notorietà e quattrini (si può almeno sfiorare l’argomento, parlando di un monumento, un venerato maestro della sinistra?) non è poi granché. La forza di Montalbano non sta nelle trame, che in televisione appaiono lente e lunghe, né nelle fulminee intuizioni di poliziotto. E’ un misto, un’alchimia tra la prodigiosa prestazione di Luca Zingaretti, l’attore che lo ha impersonato fino a diventare lui steso Salvo Montalbano e la rappresentazione di una Sicilia oleografica, inventata, a partire dal linguaggio e dai nomi delle città. Grande è stata la capacità degli sceneggiatori di scegliere scorci straordinari dell’isola, un mix di Ragusa Ibla, Modica, Scicli, Scoglitti e il suo mare, per ricreare e restituire al pubblico la luce accecante e insieme le penombre di una terra senza mezze stagioni.
In più, alcuni personaggi sono apparsi in televisione ben diversi da come il Camilleri scrittore li aveva descritti nei libri: il povero poliziotto Catarella ridotto a macchietta pressoché analfabeta tra strafalcioni e testate nella porta dell’ufficio dell’ammiratissimo Montalbano, il vicecommissario Augello ridotto a erotomane belloccio, onesto e un po’ tardo. La genialità dei registi, dello stesso Camilleri, esperto uomo di comunicazione televisiva, è stata trovare maschere di contorno che hanno conquistato il pubblico, come il medico legale magistralmente disegnato dall’attore Marcello Perracchio, anch’egli defunto. Almeno due espressioni sono diventate tormentoni popolari, l’immancabile “Montalbano sono”, e l’intercalare seccato del medico Pasquano, “non mi rompa i cabbasisi”, il nome dialettale di ascendenza araba di certe bacche dai frutti ovoidali. Camilleri è stato l’inventore di una lingua che non c’è, ungrammelot dialettale siciliano molto televisivo, immaginifico, splendidamente padroneggiato da Zingaretti e dagli altri attori. Lo scrittore è stato assai inferiore al Camilleri esperto televisivo. Resta però il fastidio per il retrogusto orientato politicamente di tutti gli episodi, tutto il bene da un lato, ogni male dall’altro, la simpatia mai celata per gli stranieri immigrati, il furore moralistico contro la parte politica avversa, dipinta in un continuum di corruzione, malvagità e depravazione. Un manicheismo che adesso, post mortem, ci appare meno negativo, ma che ha appesantito le dichiarazioni dell’uomo e le prestazioni dello scrittore. L’interessato cordoglio “politico” non ha nascosto il rimpianto per l’uomo di parte, più che per l’artista.
Chi avrebbe meritato gli onori riservati a Camilleri è il suo quasi coetaneo De Crescenzo, sintesi perfetta della migliore intellettualità napoletana, unita al respiro universale e alla leggerezza sorridente dei grandi. La sua biografia è di per sé un romanzo: figlio della borghesia partenopea, scelse di studiare ingegneria anziché l’amata filosofia per seguire una ragazza. Si innamorò dell’intelligenza di un grande matematico (il fascino del pensiero astratto!) e fece un’ottima carriera alla IBM. Poi, attraverso Renzo Arbore, geniale scopritore di talenti, approdò alla televisione, quindi alla letteratura e alla saggistica “alta”. Divulgatore di rara sensibilità, disse di sé: “credo di essere una di quelle scalette con soli tre gradini, che si trovano nelle biblioteche e che consentono di prendere i libri dagli scaffali che stanno più in alto.” Sapeva di non sapere, come Socrate, prendeva le distanze anche da se stesso e riusciva a rendere lieve ogni argomento senza ridurlo a caricatura superficiale. L’amore per la Grecia classica, madre della filosofia, ha reso arte il suo talento di divulgatore capace di coniugare alta cultura, vette del pensiero e levità.
Autore di successo internazionale, ha venduto 18 milioni di copie dei suoi libri, tradotti in diciannove lingue. Esordì con un delizioso romanzo-saggio, poi divenuto film di successo interpretato e diretto da lui stesso, Così parlò Bellavista, la storia, velatamente autobiografica, di un saggio professore napoletano e dei suoi ammirati allievi. Vendette in pochi mesi 600 mila copie in Italia
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CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
DALLA RUSSIA COI SERVIZI (DEVIATI)
Pubblicato il 14/07/2019
Un recente sondaggio dice che il 58% degli italiani ritiene grave la storia dei soldi promessi dai russi alla Lega per la campagna elettorale europea di quest’anno. Ciò dimostra ulteriormente che l’inconsapevolezza è la regina della democrazia come oggi praticata.
Infatti, posto che il problema di questo ipotetico e non avvenuto finanziamento è quello dell’interferenza straniera nella politica italiana, cioè della tutela dell’indipendenza politica italiana, allora ogni non-idiota sa che questa indipendenza non esiste dalla fine della II GM:
- a) l’Italia dal 1945 è militarmente occupata dagli USA con oltre 100 basi sottratte al controllo italiano;
- b) gli USA hanno allestito, armato e finanziato in Italia la Gladio, un’organizzazione paramilitare illecita con fini di condizionamento politico;
- c) la DC e il PCI hanno sempre preso miliardi rispettivamente dagli USA e dall’URSS, dati per condizionare la politica italiana; in particolare l’URSS assicurava al PCI percentuali su determinati commerci;
- d) il PCI riceveva questi soldi mentre l’URSS teneva puntati contro l’Italia i missili nucleari;
- e) il PCI, in cui allora militava il futuro bipresidente della Repubblica G.N., accettava la guida del PCUS di Stalin;
- f) diversi leaders politici italiani hanno sistematicamente svenduto a capitali stranieri i migliori assets nazionali;
- g) moltissimi leaders politici e statisti italiani hanno sistematicamente e proditoriamente ceduto agli interessi franco-tedeschi e della grande finanza in fatto di euro, fisco, bilancio, immigrazione; in cambio hanno ricevuto
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http://marcodellaluna.info/sito/2019/07/14/dalla-russia-coi-servizi-deviati/
Durante l’arresto di Julian Assange molti commentatori hanno scritto che oggi la Rete è diventata più libera rispetto al 2010, quando WikiLeaks comincia a rendere pubblici centinaia di migliaia di documenti riservati. Possiamo illuderci che sia così, ma non è vero.
Durante l’arresto di Julian Assange, una vergogna giudiziaria e politica al di là dell’opinione che si può avere sulla sua persona, molti commentatori hanno scritto che oggi la Rete è diventata più libera rispetto al 2010, quando WikiLeaks comincia a rendere pubblici centinaia di migliaia di documenti riservati.
Una delle tesi più diffuse è che i social network sono a loro modo costruiti dal basso, dalle interazioni tra gli utenti. Le bacheche permettono quindi una libertà di espressione e una capacità di diffusione del pensiero, o anche di documenti, sempre maggiore. Una libertà sconosciuta agli albori di internet.
Ok, prendiamo un attimo per buona questa deriva tecno-entusiasta
ingiamo di ignorare che i social network sono incessantemente al lavoro per estrarre valore dalle nostre vite, ovvero per raccogliere i nostri dati, immagazzinarli, confrontarli e poi rivenderli alle agenzie di marketing che ci restituiscono pubblicità sempre più targettizzate.
Oppure per rivenderli a eserciti e polizie, pubblici e privati, di stati democratici o di dittature, tutti impegnati nella costruzione del più imponente sistema di sorveglianza della storia: il panottico digitale dove ciascuno è sorvegliante di se stesso.
Cambridge Analytica è stata solo la punta dell’iceberg di una trama ben più complessa e pervasiva. Non è solo Google o Facebook. È Amazon. È Uber. È Angry Birds. È il surveillance capitalism, fondato sull’estrazione dei dati personali.
Fingiamo di ignorare anche che questi dati personali sono rivenduti alle multinazionali che si dedicano allo sviluppo dell’intelligenza artificiale: il fulcro e nuovo alfabeto del capitalismo estrattivo. Sarebbe assurdo, come discutere di colonialismo premettendo che non ci occuperemo dell’estrazione di materie prime nei territori soggiogati. Ok, ma andiamo avanti lo stesso.
Fingiamo di ignorare anche che il sistema di gratifica e punizione messo in atto dalle notifiche è devastante da un punto di vista psichico, e arriva addirittura a modificare le capacità affettive ed emotive degli utenti in Rete.
Bene, abbiamo finto che tutto questo non accade, e dunque le bacheche dei social network sono veramente un luogo di libertà? Se utilizzate nella maniera giusta, possono portare a cambiamenti positivi per le sorti dell’umanità? La risposta è no: i social network lavorano al mantenimento dello status quo.
Lo dimostra, da ultimo, una ricerca empirica della Northeastern e della Cornell University. Il team di studenti supervisionati dai professori Muhammad Ali e Piotr Sapiezynski ha messo su Facebook una serie di pubblicità a pagamento dove offrivano dei lavori o delle proprietà immobiliari. Queste inserzioni erano pressoché uguali alle solite che si vedono, se non che differivano per piccoli particolari, a partire dal compenso lavorativo o dal budget necessario per l’acquisto della casa, fino al tipo di fotografia o di parole usate per lo stesso annuncio.
La risposta è stata che la machine learning di Facebook, il famoso algoritmo, ha deciso
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https://www.idiavoli.com/it/article/la-rete-non-e-libera
DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI
OGGI, 4 ANNI FA, RENZI FIRMAVA ACCORDO PER SCARICARE TUTTI I CLANDESTINI IN ITALIA
Oggi, quattro anni fa, il governo italiano firmava l’accordo che consentiva lo sbarco in Italia di tutti i clandestini prelevati in Libia da tutte le navi europee, Ong comprese. Era l’architrave della famigerata “missione Sophia”, che infatti è stata pensionata non appena Salvini non ha rinnovato la firma.
Quell’accordo, e ancora prima l’operazione Mare Nostrum, ci è costato centinaia di migliaia di clandestini da ospitare in hotel.
Miliardi di euro buttati al vento.
Anzi:
regalati alle coop del Pd, al Vaticano e alla ‘ndrangheta.
Chi quell’accordo ha firmato, Renzi, come può essere diversamente definito se non anima criminale?
L’ultimo in ordine di tempo ad avere ammesso e rivendicato questo scempio è stato Padoan, ministro dell’Economia dei governi PD, ammette di avere contrattato uno sforamento minuscolo del deficit, in cambio dell’ingresso in Italia del quasi milione di clandestini sbarcati negli anni in cui hanno governato:
VIDEO QUI: https://streamable.com/vx5h4
Padoan non è il primo ex ministro della sinistra ad ammettere questo crimine. Prima di lui era stata Bonino:
VIDEO QUI: https://youtu.be/Y4En-tVTH2E
E proprio la presenza di Bonino ci parla di qualcosa che, probabilmente, viene da molto lontano. Prima l’uccisione di qualche milione di italiani mai nati, così da creare una sorta di ‘vuoto’ (che poi non c’è perché l’Italia è comunque sovrappopolata) da riempire con gli afroislamici.
Ecco il documento ufficiale nel quale si dimostra che è stato il governo italiano guidato da Renzi a chiedere che tutti gli sbarchi di clandestini avvenissero in Italia e firmare l’accordo:
A quando un bel tribunale di Norimberga per chi ha fatto spendere all’Italia 5 miliardi di euro l’anno per mantenere clandestini, in cambio di uno sforamento di poche centinaia di milioni di euro?
Tra l’altro di soldi nostri?
Senza contare lo spaccio e le ragazzine fatte a pezzi.
EUNAVFOR MED operazione SOPHIA: mandato prorogato fino al 31 dicembre 2018
EUNAVFOR MED operazione SOPHIA contribuisce a smantellare il modello di attività della tratta e del traffico di esseri umani.
Il 25 luglio 2017 il Consiglio ha prorogato fino al 31 dicembre 2018 il mandato di EUNAVFOR MED operazione SOPHIA. EUNAVFOR MED operazione SOPHIA è l’operazione navale dell’UE intesa a smantellare il modello di attività del traffico di migranti e della tratta di esseri umani nel Mediterraneo centromeridionale. L’operazione svolge due compiti di sostegno: formare la guardia costiera e la marina libiche e contribuire all’attuazione dell’embargo dell’ONU sulle armi in alto mare al largo delle coste libiche conformemente alle risoluzioni 2292 (2016) e 2357 (2017) del Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Il Consiglio ha inoltre modificato il mandato dell’operazione allo scopo di:
- istituire un meccanismo di controllo del personale in formazione per assicurare l’efficienza a lungo termine della formazione della guardia costiera libica;
- svolgere nuove attività di sorveglianza e raccogliere informazioni sul traffico illecito delle esportazioni di petrolio dalla Libia, conformemente alle risoluzioni 2146 (2014) e 2362 (2017) del Consiglio di sicurezza dell’ONU;
- migliorare le possibilità per lo scambio di informazioni sulla tratta di esseri umani con le agenzie di contrasto degli Stati membri, FRONTEX ed EUROPOL.
“Due anni fa, gli Stati membri dell’Unione europea decisero all’unanimità di affrontare insieme uno dei crimini più abietti dei nostri tempi – il traffico di esseri umani – istituendo l’EUNAVFOR Med – Operazione Sophia. Molti sospetti trafficanti sono stati arrestati e molte vite sono state salvate nel Mediterraneo. A partire dall’ anno scorso le nostre donne e uomini che servono sotto la bandiera europea hanno anche provveduto alla formazione della guardia costiera libica e a far rispettare l’embargo sulle armi in acque internazionali al largo delle coste libiche. Oggi sono particolarmente orgogliosa di annunciare che il mandato dell’operazione Sophia è stato rinnovato all’unanimità e anche con compiti aggiuntivi “, ha dichiarato Federica Mogherini, alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. “In via
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ECONOMIA
La frenata della Germania porta anche una buona notizia (per l’Italia)
25.07.2019 – int. Francesco Daveri
Dall’economia tedesca arriva un altro segnale di rallentamento. Cosa che può aiutare le politiche europee mirate alla crescita
L’economia tedesca non sta attraversando un buon momento e ieri è stato diffuso l’indice PMI di luglio, che per il settore manifatturiero si è attestato a 43,1, in discesa dal 45 di giugno e sotto al 45,1 atteso dagli analisti. In discesa, dal 55,8 di giugno, anche l’indice PMI relativo al settore dei servizi (55,4). «Anche il nostro PMI manifatturiero è al di sotto di 50, soglia che separa la contrazione dall’espansione, da tempo. Qualitativamente le rilevazioni su Italia e Germania sono simili, ma quantitativamente un po’ diverse, perché da loro va peggio il settore manifatturiero e vanno meglio i servizi rispetto a noi», ci dice Francesco Daveri, professore di Macroeconomia all’Università Bocconi di Milano.
L’indice PMI manifatturiero tedesco è però sceso ai minimi da 7 anni…
In realtà, i metodi usati per calcolare questo indice fanno sì che sia difficile confrontare il PMI di oggi con quello di anni fa. Non dimentichiamo che ci si basa su interviste. Il dato indubbiamente continua a essere in calo ed è consistentemente al di sotto di 50 e non può non preoccupare.
Considerando anche il dato di inizio mese sul forte calo degli ordinativi dell’industria tedesca a maggio, quanto dobbiamo preoccuparci del rallentamento di quella che è considerata la locomotiva dell’economia europea?
Bisogna cominciare a chiedersi cosa c’è dietro a questi dati così negativi. Un po’ sono dovuti al fatto che il ciclo dell’automobile, molto positivo per tanti anni, è forse arrivato al suo naturale esaurimento, senza dimenticare il ritardo dell’automotive tedesco sulle ultime regole riguardanti le emissioni. La Germania soffre poi del rallentamento della Cina, tra i paesi europei è quello più esposto agli effetti della guerra commerciale. Sottolineerei comunque un aspetto della situazione che potrebbe non essere negativo.
A cosa si riferisce?
Se il motore dell’Europa va piano, ciò potrebbe portare il Governo tedesco ad ammorbidire le proprie posizioni in tema di rigore di bilancio. Basterebbe che, anziché avere l’equilibrio o l’avanzo di bilancio, facessero un 1% di deficit e staremmo tutti meglio, prima di tutto loro. La Bundesbank potrebbe invece smettere di avere una posizione contrarie alle politiche che ha seguito la Bce di Draghi in questi anni e che continuerà a seguire la Lagarde di aiuto fondamentalmente al credito, alle banche, per poter continuare a far andare l’economia. Quindi dal punto di vista delle policy che potrebbero far bene all’Europa, che la Germania vada peggio degli altri è un buon segno.
Vede possibili contraccolpi per l’economia italiana dalla situazione di quella tedesca?
In effetti una Germania che azzerasse la crescita o entrasse in recessione per noi sarebbe una cattiva notizia. Però c’è da dire che per il momento la Francia e la Spagna hanno continuato a crescere e la somma delle nostre esportazioni in questi due paesi supera quelle che registriamo in Germania. Per ora c’è stata una sorta di compensazione. Poi ci sono anche gli Stati Uniti che vanno piuttosto bene e c’è una buona quota di export dell’Italia diretto negli Usa.
Per tanto tempo lo spread è stato considerato l’indicatore cui guardare per essere più o meno allarmati. Oggi che è tornato sotto i 200 punti base ci può lasciare effettivamente tranquilli?
Uno spread a questi livelli ci dà un po’ più di fiato per impostare una manovra diversa rispetto a
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Von Der Leyen monitorerà i conti italiani, ma quelli tedeschi?
21 luglio 2019
Ha colpito molto l’affermazione di Frau von der Leyen, neo eletta Presidente della Commissione Europea, in merito al debito pubblico italiano: <<Lo monitoreremo attentamente>>.
E già, lo monitoreranno.
Non ha colpito l’affermazione in sé, ci siamo abituati. Ha colpito l’affermazione alla luce di quanto la Signora ha dichiarato il giorno prima nel suo discorso d’insediamento davanti al Parlamento Europeo, dove ha tenuto a precisare che il surplus con l’estero della Germania è fonte di stabilità e forza per tutta l’Unione Europea.
sull’affermazione in sé, davvero azzardata, visto che i disequilibri con l’estero – da che mondo e mondo- come sottolinearono anche i Saggi di Bretton Woods, portano a conflitti armati. Ma ciò che preme è il combinato disposto di queste due affermazioni in relazione all’Italia. Vantando il surplus con l’estero tedesco la Signora ha dimostrato di conoscere la materia, e dunque non può essergli sfuggita la situazione italiana sotto questo aspetto.
La nostra Posizione Finanziaria Netta è in sostanziale pareggio, ciò significa che compensiamo gli investimenti e i prestiti provenienti dall’estero in Italia con altrettanti investimenti e crediti verso l’estero di capitali italiani.
Continuare a battere sul debito pubblico italiano, alla luce di questo fatto, come fa la von der Leyen significa sostanzialmente due cose: primo pretendere di strozzare l’economia italiana, anche quella privata (perché pure il settore privato non può competere senza investimenti pubblici) e secondo significa pretendere che il risparmio italiano continui ad essere impiegato all’estero e dati i tassi di interesse in essere nel Nord Europa significa di fatto sottoporre a patrimoniale reale i risparmi italiani.
In altri termini vogliono razziarci
Senza contare il fatto che se i conti con l’estero sono a posto significa che il nostro debito pubblico è debito nei confronti di noi stessi. Pura partita di giro che non riguarda l’estero. Ma tutto fa brodo per tenerci sotto schiaffo. Questa è malafede, non c’è dubbio, è malafede.
E da qui non si scappa.
I tedeschi da cento anni portano avanti lo stesso progetto che
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Società di cartone
Sisto Ceci 24 07 2019
Vi ricordate di quell’immenso pianeta del malaffare, del clientelismo più sfacciato, della corruzione molecolare, del nepotismo e familismo amorale, dei buchi di bilancio senza fondo, il regno del fancazzismo generalizzato per oltre 800.000 dipendenti, le fabbriche di voti più grandi d’Italia, dell’assistenzialismo più sfrenato, del parassitismo alla luce del giorno, della burocrazia più caotica, la giungla delle partecipate e delle municipalizzate?
Udite udite, sono 1461.
Il 23,8 % del totale di esse non hanno neanche un dipendente, ma hanno il loro CDA, i revisori dei conti, gli organi di controllo, Quindi, se venissero chiuse non manderebbero in strada nessuno se non i beneficiari delle poltrone, ma
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GIUSTIZIA E NORME
Le leggi che cancellano i costumi: è l’ideale totalitario
di Dino Cofrancesco – 24/07/2019
Una giornalista ora in pensione, passata dalla redazione del ‘Manifesto’ a quella di un grande quotidiano ‘borghese’ del Nord-Ovest, tempo fa, ha scritto che lo spettacolo delle ragazze in costume che baciano e offrono fiori al vincitore di una tappa ciclistica è qualcosa di indecente, di umiliante per la donna, che le leggi non possono più a lungo tollerare. La stessa articolista, in un pubblico dibattito, ha difeso con toni aggressivi i suoi amici gay che, sulla scia di Niki Vendola, si erano recati in California per ‘affittare’ l’utero di una emigrata messicana che non aveva altro modo per guadagnarsi da vivere. Una persona ragionevole sarebbe sconcertata da questo doppiopesismo: indipendentemente dalla liceità dell’agire e dai giudizi morali che se ne possono dare , non si riesce a capire perché mostrare le gambe e lasciar intravedere i seni equivalga a un bieco sfruttamento del corpo delle donne mentre portare in grembo, dietro modesto compenso, un figlio che non è il proprio debba essere considerato un diritto assoluto di libertà.
In realtà, non ci troviamo difronte ad alcuna contraddizione, giacché le due fattispecie (oggettivamente molto diverse) sono unite da un comune progetto: quello di sconvolgere la morale borghese, di azzerare quel mondo sempre meno vittoriano sul quale si era riversata la rabbia dei giovani sessantottini ‘di buona famiglia’. Per il papà che assiste all’arrivo della tappa del Giro, lo spettacolo di quelle belle figliole (che peraltro nessuno ha costretto ad esibirsi in pubblico) è esteticamente gratificante mentre è ‘disgustato’ dal pensiero che per nove mesi una poveraccia, per dare da mangiare ai propri figli, debba ospitare dentro di sé un estraneo (al quale, peraltro, si consiglia di non affezionarsi e che può costringerla, per contratto, ad abortire qualora presentasse delle malformazioni: si paga, infatti, per avere un prodotto sano—automobile o neonato che sia—non per averne uno difettoso).
E’ a quel papà che bisogna sbattere in faccia l’insostenibilità dei suoi ‘pregiudizi’, far capire che il suo habitat mentale e spirituale era falso e putrescente, che i diritti degli individui valgono più di ogni codice etico e religioso ereditato dal
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https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=62305
DI MATTEO VOTATELO, CAMBIERA’ LA STORIA DELLE STRAGI
Mauro Mellini 24 luglio 2019
Niente cene, pranzi, conciliaboli per la campagna elettorale per i due posti vacanti al C.S.M. Abolite, anzi, no, “sospese” le “correnti” (come se si trattasse della corrente elettrica per la quale non è stata pagata la bolletta) la propaganda elettorale si fa con le sceneggiate. Niente conciliaboli con i rappresentanti della “Politica” (Dio ne salvi!) ma, al più con l’ubbidiente deposizione di una o più guardie carcerarie che attestino che uno o più boss mafiosi, giunti passeggiando alla loro presenza, hanno alzato il tono della voce per affermare “a quel Di Matteo là bisogna farlo fuori se no ci demolisce Cosa Nostra”.
E, poi, la sceneggiata al C.S.M. dove è stato convocato il Procuratore Nazionale Antimafia a spiegare perché ha rimosso nientemeno che il “condannato a morte” dalla mafia nonché cittadino di cento città, dall’Ufficio stragi, senza nemmeno consultare il Ministro della Pubblica Istruzione ed il Presidente del Comitato di Storia Patria.
Se si riterrà indispensabile esibire e pubblicare almeno qualche intercettazione telefonica potranno essere esibite quelle degli scambi di informazione tra i comitati presieduti, almeno uno o due, dal Guru Bongiovanni per la raccolta delle firme per Di Matteo. Saranno anche portati al Palazzo dei Marescialli gli attestati delle cittadinanze onorarie conferite al “più scortato” dei magistrati italiani con le quali riuscirono ad imporre la sua “vittoria” al concorso al posto alla Procura Nazionale Antimafia a Roma con contemporaneo “distacco” a Palermo “dove stava già”, attestati possibilmente con il conto per le trasferte per lui e per la scorta, aerei speciali etc.
Tutto ciò acquisito, sarà dimostrato che cotanto magistrato non poteva e non può rimanere
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LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Quelle navi ONG al servizio del capitale: il disegno per abbassare il costo del lavoro
24 luglio 2019
Contro ogni diritto del mare, le navi private deportatrici imbarcano esseri umani nelle coste della Libia destabilizzata dall’Occidente e dal suo bieco imperialismo umanitario (2011) e li deportano in massa in Italia.
Dico contro ogni diritto del mare, perché tale diritto prevede che i salvati siano condotti nel porto sicuro più vicino. Il quale, dalla Libia, non può essere in Italia. Perché ciò avviene? Sono navi private e la logica del privato sappiamo qual è: business is business.
Non integrare, ma lucrare. Non accoglienza di vite, ma tratta di nuovi schiavi. A che scopo? Chi ha interesse a questo disumano neocolonialismo postmoderno? I padroni del capitale, la classe dominante turbocapitalistica. Essa deporta nuovi schiavi dall’Africa, forza lavoro docile e supersfruttabile (campi di pomodoro, ecc.). E in tal guisa, abbassa i salari della classe operaia nel suo complesso, autoctona e migrante.
Inoltre, la classe dominante crea scontri orizzontali tra gli ultimi. I quali, anziché lottare
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LA LINGUA SALVATA
cre-pù-sco-lo
SIGNLuce tenue e diffusa prima del sorgere del sole o dopo il tramonto; annebbiamento, confusione; accenno, barlume; termine, tramonto, declino
voce dotta recuperata dal latino crepùsculum ‘crepuscolo, penombra’, derivato di creper ‘oscuro’.
Oggi al crepuscolo, figuratamente, colleghiamo solo il declino, il tramonto, il termine. E questa restrizione è frutto di un’occorrenza particolare — avvenuta nella seconda metà dell’Ottocento e che ha inciso tanto su questa parola quanto sul mondo intero della musica e del teatro: il successo del non sempre simpatico Richard Wagner.
Se leggendo Leopardi ci imbattiamo in un crepuscolo di allegrezza, ciò che intende è un barlume, un accenno. Se leggendo Nievo troviamo fantasmi che vagolano nel crepuscolo del delirio, ciò che intende è un annebbiamento, una confusione. Il che è naturale: il crepuscolo che vediamo ogni mattina (sempre più tardi) e ogni sera (sempre prima) è quello stato celeste in cui la luce solare si diffonde negli strati più alti dell’atmosfera prima del’alba e dopo il tramonto, quando il sole non è a cora o non è più visibile. Sono momenti di penombra, il cui nome latino è derivato da una voce enigmatica, creper, che non ha dato altri frutti, anche se qualcuno nota la parentela con il greco knéphas, che ha il medesimo tenebroso significato (che peraltro giunge a sua volta al crepuscolo). Ma dopotutto, se un termine antico che significa l’oscurità avesse una storia limpida come una mattina di aprile qualcosa stonerebbe, il fatto che essa stessa sia crepuscolare è il minimo. E insomma, con questa ricca, variegata veste il crepuscolo ha attraversato la storia della nostra letteratura. Finché…
È del 1883 la traduzione in italiano della Götterdämmerung, quarto e ultimo capitolo della superba tetralogia de L’anello del Nibelungo, andata in scena nel 1876. La sua traduzione dal tedesco fu ‘Il crepuscolo degli dèi’, una traduzione precisa; ciò nonostante quest’opera non narra di un crepuscolo generico: Odino darà alle fiamme il Valhalla per segnalare l’inizio del Ragnarök, la fine del mondo
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SCIENZE TECNOLOGIE
Taci! Il nemico ti ascolta e sorveglia. Quando non ci sono progressi in campo economico e sociale, il sistema fa ricorso alla minaccia da fronteggiare. La paranoia è totalizzante e viene spacciata per tuo unico alleato. Nel frattempo, il panottico contemporaneo prende forma nei laboratori di psicometria e di raccolta dati.
Taci! Il nemico ti ascolta e sorveglia. Affissioni, locandine, cartelli. In epoca fascista appariva ovunque il geniale slogan che Leo Longanesi aveva immaginato per il duce. Come ogni regime, anche la sanguinaria dittatura di Benito Mussolini aveva necessità di insistere sulla dimensione sociale paranoica per rinsaldare il popolo attorno all’idea.
Quando non ci sono progressi in campo economico e sociale il sistema fa ricorso alla minaccia da fronteggiare. Tutti compatti contro il nemico, che è sempre in procinto di arrivare. Si scruta l’orizzonte lontano sui monti, alla fine del deserto, e ci si guarda la schiena mentre si fa avanti e indietro nella Fortezza Bastiani.
La paranoia è totalizzante. Fuori ci sono: i bolscevichi, gli africani, gli orientali, il complotto plutodemogiudaico. Dentro: le donne, gli invertiti, i barboni, i migranti, gli zingari. I deviati, in generale. Poi ci sono: i padroni, gli industriali, le banche, le lobby di affari. Additati come nemico di cui occuparsi in un secondo momento, sono in realtà i migliori alleati di ogni regime.
La minaccia è talmente pervasiva, sfuggente e nascosta che non è possibile affrontarla. Meglio affidarsi al sistema per rimanere protetti. Il nemico è ovunque e ovunque ti guarda: come a Dunkirk, è il tempo della sopravvivenza.
Quindi taci, china la testa, obbedisci. Alla minima protesta lo stai aiutando, lo favorisci, metti in pericolo l’intera struttura di potere forgiata nel sangue dei tuoi avi per proteggere i tuoi discendenti. Se metti a repentaglio l’idea di dio, di patria e famiglia, sei solo un cospiratore.
Taci! Il nemico ti ascolta. Oggi che la società è più liquida, rarefatta, che si sono dissolti i confini nazionali, che il Capitale gioca su una scacchiera globale, il nemico è ancora più onnipresente. Ha attraversato ogni frontiera, anche quella che separa
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Rivoluzione digitale e letteratura: un’introduzione al problema, senza farsi prendere dal panico
La rivoluzione digitale è la rivoluzione del nostro tempo. Ne siamo consapevoli?
SOCRATE: Dicono che [Theuth] per primo […] abbia scoperto i numeri, il calcolo, la geometria […] e, infine, anche la scrittura. In quel tempo, re di tutto l’Egitto era Thamus […]. E Theuth andò da Thamus, gli mostrò queste arti e gli disse che bisognava insegnarle a tutti gli Egizi. […] Quando si giunse alla scrittura, Theuth disse: «Questa conoscenza, o re, renderà gli Egiziani più sapienti e più capaci di ricordare, perché con essa si è trovato il farmaco della memoria e della sapienza». E il re rispose: «O ingegnosissimo Theuth, […] essendo padre della scrittura, per affetto tu hai detto proprio il contrario di quello che essa vale. La scoperta della scrittura, infatti, avrà per effetto di produrre la dimenticanza nelle anime di coloro che la impareranno, perché, fidandosi della scrittura, si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da sé medesimi. [1]
In questo brano del Fedro di Platone, Socrate avanza alcune critiche non tanto sull’invenzione della scrittura, quanto su un suo uso sconsiderato: la scrittura è una tecnica che deve essere padroneggiata dall’uomo, e non padroneggiare l’uomo. Il rischio infatti è che, affidandosi ad uno strumento per la conservazione della conoscenza, l’uomo dimentichi ciò che sapeva «dal di dentro» e sia costretto a ricorrere sempre a «segni estranei» che stanno fuori da lui.
Da quasi duemilaquattrocento anni di distanza questa riflessione giunge netta e tagliente alla nostra attualità: va a toccare e a far male proprio là dove la ferita è più aperta. Provate a sostituire nel brano la parola “scrittura” con “internet”, oppure, per essere ancora più concreti, con “Wikipedia” o “Google Maps”. Il re egizio Thamus sta parlando di noi: abbiamo l’impressione di essere sapienti ma senza Wikipedia e Google Maps forse oggi molti di noi sarebbero in difficoltà persino a muoversi in una città. Ecco come il sovrano continua il suo discorso all’inventore (si sarebbe tentati di chiamarlo “ingegnere”) della scrittura:
Della sapienza, poi, tu procuri ai tuoi discepoli l’apparenza, non la verità: divenendo per mezzo tuo uditori di molte cose senza insegnamento, essi crederanno di essere conoscitori di molte cose, mentre […] non le sapranno; e sarà ben difficile discorrere con loro, perché sono diventati conoscitori di opinioni invece che sapienti[2].
La descrizione è talmente pertinente al nostro mondo che sembra scritta oggi: il rapporto fra apparenza e verità, lo spettacolo pirotecnico di informazioni, commenti, opinioni a cui assistiamo ogni giorno, l’incapacità di comunicare e di riconoscere il punto di vista degli altri (si rimanda al libro di Tom Nichols, La conoscenza e i suoi nemici: l’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia, recensito qui dal nostro blog): sono i problemi del nostro tempo che siamo chiamati a risolvere, e hanno tutti in qualche modo a che fare (si veda l’originale interpretazione di Baricco in The Game, ecco qui cosa ne pensiamo) con il progresso tecnologico.
Quali le vie praticabili almeno per impostare, se non risolvere, il problema? Sicuramente non il luddismo: il problema non è nelle macchine, è nel nostro livello di attenzione e di consapevolezza. Un punto di vista notevole al riguardo è quello di chi pone dubbi dalla prospettiva degli studi umanistici. Effettivamente, la gestione del progresso tecnologico, in particolare digitale, ha molto a che fare con la letteratura e con alcune delle discipline che da essa sono in vario modo discese.
La rivoluzione digitale sta cambiando il nostro modo di conoscere e percepire il mondo attraverso il linguaggio, e, secondo il linguista e filosofo Raffaele Simone[3], non in meglio. Simone sostiene che stia via via scomparendo l’atteggiamento mentale che proveniva dall’invenzione della stampa, ovvero una mentalità proposizionale, che si fonda su: esprimere pensieri in parole e frasi (proposizionalità); scomporre situazioni e problemi complessi in componenti più semplici (analiticità); strutturare il discorso in modo gerarchico (strutturalità); dare nomi alle cose, in modo da poterle richiamare facilmente (referenzialità).
L’atteggiamento mentale che il web favorisce, grazie a una testualità più fluida e all’enorme peso delle immagini, è del tutto opposto: è generico, poiché non scompone il discorso in elementi distinti e non lo struttura in modo gerarchico; è vago perché non dà nome alle cose ma si limita a alludere tramite concetti generali.
La mentalità proposizionale è propria di un atteggiamento scientifico; la mentalità non proposizionale è propria di un atteggiamento mistico, che mira alla fusione del soggetto con l’oggetto: Simone la ritiene un decisivo allontanamento dalla realtà, e dunque un drastico impoverimento delle nostre capacità di pensare.
Da un punto di vista diverso, quello delle scienze cognitive, Maryanne Wolf imposta la questione in termini di capacità e modelli di lettura. Ciò che leggiamo in digitale è un tessuto di parole, suoni, immagini, video, in continuo movimento, che fa di tutto per attrarre su di sé l’attenzione del lettore a scapito del resto. Il lettore dunque si troverebbe iper-stimolato e spinto a muoversi
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Il libro di Mark O’Connell, “Essere una macchina”, uscito lo scorso settembre è il resoconto di un viaggio del 2016 in America sulle tracce dei transumanisti, un gruppo non sempre identificabile di individui che, in diverse forme e modalità, credono nel superamento della morte grazie all’ausilio della tecnologia avanzata. Ma il volume è anche e soprattutto un’immersione nel mondo delle Big Tech che costellano la Silicon Valley, capace di portare a galla le connessioni profonde tra apparati securitari, piattaforme tecnologiche e mondo finanziario.
Il libro di Mark O’Connell, Essere una macchina, uscito lo scorso settembre (Adelphi, 2018) è il resoconto di un viaggio del 2016 in America sulle tracce dei transumanisti, un gruppo non sempre identificabile di individui che, in diverse forme e modalità, credono nel superamento della morte grazie all’ausilio della tecnologia avanzata.
Potrebbero esser classificati come tecno-utopisti, ma in realtà i personaggi che incontra O’Connell scavalcano questa definizione, in quanto le loro pratiche e studi oltrepassano l’immanenza delle problematiche della vita stessa e sfociano in una trascendenza tecnologica che può essere letta alla stregua di un vero e proprio culto religioso.
Il tono della narrazione assume tinte spesso ciniche e distaccate, ma mai canzonatorie e irriverenti. A un primo approccio potrebbe ricordare Una cosa divertente che non farò mai più di David Foster Wallace, per il sarcasmo di alcune descrizioni grottesche.
Eppure a una lettura attenta è evidente che il tema viene trattato con molta serietà e se alcuni personaggi descritti risultano essere degli outsiders totali – quasi degli strampalati – alla fine l’autore si sottrae dall’intento di un’analisi antropologica (alla DFW) e si concentra più sullo spirito del tempo e lo stato dell’arte in merito alla ricerca tecnologica più accelerata.
Il “viaggio” di O’Connell si svolge ai confini del mondo a noi finora noto, e per fare un parallelo con il secolo scorso le ricerche dei transumanisti sembrano aver sostituito le scorribande spaziali del ‘900, giacché lo spirito utopico non è più declinato nella scoperta di pianeti nuovi da colonizzare, ma è rivolto all’interno del corpo umano, nuova frontiera del sogno di vita eterna, immortalità.
L’indagine, allora, ruota intorno al concetto di “singolarità”, ossia in quello snodo dell’evoluzione del rapporto uomo-macchina nel quale le macchine superano le potenzialità della mente umana e sono in grado di sostituire l’uomo in qualsiasi aspetto pratico della vita.
Pur essendo ancora lontani da quel punto di svolta, è ormai la singolarità il faro al quale guardano i transumanisti, come racconta anche Giuseppe Genna nel suo ultimo romanzo History, un’operazione di fiction che, tuttavia, al pari di O’Connell porta a galla contraddizioni e sorti di questo imminente salto verso la post-umanità.
A fianco a personaggi davvero singolari, nel “viaggio” si incontrano anche molti volti noti dell’industria dell’high tech che negli ultimi anni hanno incrementato in maniera esponenziale i loro investimenti e guadagni con le tante aziende che costellano la Silicon Valley.
C’è Peter Thiel, fondatore di PayPal e finanziatore della prim’ora di Facebook.
E c’è Ray Kurzweil, uno dei grandi ideologi della Silicon e
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STORIA
Addio allo spirito europeo senza memoria né figli e in piena crisi identitaria
«Ora avanza il relativismo culturale e la decomposizione degli stati nazione è possibile, senza ideologie, annegati nel populismo»
Gennaro Malgieri – 24 luglio 2019
Il vuoto che caratterizza la discussione sul destino dell’Europa, testimoniata dal discorso di presentazione della nuova presidente della Commissione europea a Strasburgo, Ursula von der Leyen, invoglia a riprendere tra le mani libri “senza tempo” per fortuna riproposti da case editrici avvedute quanto raffinate. Niente di meglio di questi giorni di asfissia politica più che climatica di un “tuffo” nelle pagine de La genesi dell’Europa di Christopher Dawson, uno dei maggiori storici inglesi del Novecento, meritoriamente riproposto da Lindau ( pp. 409, euro 34,00), nel quale l’introduzione alla storia dell’unità europea dal IV all’XI secolo – davvero cruciali nella costruzione dell’identità continentale viene giustamente considerata come un’età di rinascita dal momento che la complessa integrazione tra Impero romano e Chiesa cattolica, tradizione classica e società sostanzialmente “barbare” eppure soggiogate dalla romanità favorì la nascita di una vitale civiltà, come descrisse magistralmente Gioacchino Volpe nei suoi studi sul Medio Evo e sugli albori della nazione italiana, parte di una nazione europea esistente nonostante tutto come spirito d’intrapresa nella edificazione di un edificio su rovine che non vennero rimosse, ma rivitalizzate grazie anche al monachesimo generatore di fede e di cultura.
Si può discutere sulla politica di Dawson, suscitata da contingenze che andrebbero storicizzate, ma non si può non scorgere nella sua analisi la ricerca delle fondamenta unitarie delle nazioni stesse nel quadro di un’Europa che viveva nell’ambito di un “impero interiore” che ancora attende di essere riportato in vita. Quello stesso “impero” che ha suggerito a Paul Valéry le dense e coinvolgenti pagine sull’Europa sparse nei molti libri dedicati al tema della decadenza della nostra civiltà. Lo smarrimento è tale che una immersione nella saggezza del grande poeta e filosofo
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Tangentopoli si fermò davanti al Pci. D’Ambrosio disse: “Mani pulite è finita”
Il pm del Pool nel ’93 mi confessò: il marcio è già emerso. Ecco perché le mazzette “rosse” non travolsero il partito
Stefano Zurlo – 18/02/2017
A volte modesti dettagli aiutano a capire. A volta la concatenazione precisa degli avvenimenti può sfuggire nel frastuono generale. A maggior ragione se l’epopea di cui parliamo è quella di Mani pulite, oggi sotto i riflettori per il venticinquesimo compleanno.
L’opinione pubblica si è divisa, anzi accapigliata, perché il Pool non riuscì a espugnare Botteghe oscure, così come aveva travolto il ponte di comando della Dc e del Psi. E ciascuno dei protagonisti a distanza di tanto tempo racconta i passaggi di quella storia controversa e cerca di spiegare perché lo squadrone di Mani pulite si arenò davanti alle mura della cittadella rossa.
Dunque, un piccolo episodio può fornire gocce di informazione a chi vuol capire, senza teoremi e tabù. Era la primavera del 1993 e lavoravo per l’Europeo, il settimanale di casa Rizzoli. Il direttore Myriam De Cesco mi aveva chiesto di seguire proprio l’indagine milanese che stava squassando i palazzi del potere. Un pomeriggio arrivai dunque a Palazzo di giustizia. Era la prima volta o una delle primissime occasioni che avevo di entrare nel tempio della giustizia italiana. Com’è sempre stato da quelle parti, a dispetto di mille annunci di cambiamento e razionalizzazione delle abitudini e dei comportamenti, a quell’ora non c’era nessuno o quasi e io mi aggiravo, perplesso, per quei lunghissimi corridoi che mi ricordavano i quadri di De Chirico. Conoscevo a grandi linee l’intricata geografia del Palazzaccio, se non altro perché figlio di avvocati, ma vagavo con un certo disagio in quegli ambienti, sonnacchiosi a quell’ora, in cui si stava riscrivendo la storia d’Italia.
Mi ritrovai nell’interminabile corridoio della Procura, al quarto piano, il punto nevralgico della rivoluzione di rito ambrosiano. Camminavo e qualcuno mi veniva incontro: era Gerardo d’Ambrosio, il procuratore aggiunto, il coordinatore del Pool, in quel momento con Di Pietro, Borrelli, Davigo e Colombo uno degli uomini più famosi d’Italia. Mi squadrò, io mi presentai. Due minuti, qualche battuta con il suo inconfondibile timbro napoletano denso di ironie e umorismo, poi il procuratore mi rifilò la notizia che quasi non entrava nella
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