RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
27 SETTEMBRE 2022
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
La mente è la somma delle curiosità inutili
E. M. CIORAN, Finestra sul nulla, Adelphi, 2022, pag. 189
https://www.facebook.com/dettiescritti
https://www.instagram.com/dettiescritti/
Precisazioni legali
Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
I numeri degli anni precedenti della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com
www.dettiescritti.com è un blog intestato a Manlio Lo Presti, e-mail: redazionedettiescritti@gmail.com
Il blog non effettua alcun controllo preventivo in relazione al contenuto, alla natura, alla veridicità e alla correttezza di materiali, dati e informazioni pubblicati, né delle opinioni che in essi vengono espresse.
Questo sito offre informazioni fattuali e punti di vista che potrebbero essere utili per arrivare a una comprensione degli eventi del nostro tempo.
Riteniamo che le informazioni provengano da fonti affidabili, ma non possiamo garantire che le informazioni siano prive di errori e interpretazioni errate.
DETTIESCRITTI non ha una posizione ufficiale su alcuna questione e non avalla necessariamente le dichiarazioni di alcun contributore.
Nulla su questo blog è pensato e pubblicato per essere creduto acriticamente o essere accettato senza farsi domande e fare valutazioni personali.
Il materiale presente in questo sito (ove non ci siano avvisi particolari) può essere copiato e redistribuito, purché venga citata la fonte. www.dettiescritti.com non si assume alcuna responsabilità per gli articoli e il materiale ripubblicato.
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.
Le immagini e le foto presenti nel Notiziario, pubblicati con cadenza pressoché giornaliera, sono raccolte dalla rete internet e quindi di pubblico dominio. Le persone interessate o gli autori che dovessero avere qualcosa in contrario alla pubblicazione delle immagini e delle foto, possono segnalarlo alla redazione scrivendo alla e-mail redazionedettiescritti@gmail.com
La redazione provvederà doverosamente ed immediatamente alla loro rimozione dal blog.
Detti e scritti porta all’attenzione le iniziative editoriali di terzi, nell’esclusivo interesse culturale e informativo del lettore, senza scopo di lucro.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
SOMMARIO
RIQUALIFICARE IL DEBITO CON UN NUOVO PIANO DI PAGAMENTI
Dove sono finiti i 12 milioni del governo Draghi inviati a Tripoli? Il libro che apre uno squarcio di verità sulla Libia
“Il Cremlino arruola i manifestanti arrestati” è la nuova fake (quotidiana) di Open
SOGNO UN ESECUTIVO SENZA COLAO
L’offensiva del complesso militare-industriale
Gli anni ’60, la Salita, e il Grand Tour di Richard Serra
“Bastano due rate non pagate”. Allarme bollette. Il caso delle 75 famiglie romane rimaste al gelo
ALCUNE SCORRETTEZZE RILEVATE NEI SEGGI DI SIENA E PROVINCIA DURANTE LE ELEZIONI
Sovraestensione e sbilanciamento della Russia
“GUERRA PER PROCURA” ALL’AFRICANA FINANZIATA DALLE BORSE OCCIDENTALI
IL RAPPORTO DI RAND CORPORATION ANTICIPA QUANTO AVVENUTO IN UCRAINA
Entropia. Per una geopolitica del presente
La lezione dimenticata di Federico Caffè
Suadente e crudele. La dittatura sanitaria anticipata da un racconto di Buzzati
CARRARO SU ILFATTOQUOTIDIANO.IT – GLI UMANI FUTURI SECONDO YUVAL NOAH HARARI
LA FEDERAZIONE RUSSA SI PREPARA ALLE MINACCE USA DI TERZA GUERRA MONDIALE
Fuga di massa di russi in Georgia? Il (piccolo) particolare omesso dai media
I nuovi poteri forti. Come Google, Apple, Facebook e Amazon pensano per noi (Franklin Foer)
In Afghanistan, i cristiani “subiscono torture sistematiche”
GAS: MARGIN CALL!
Debito pubblico, una questione di interessi
Direttiva dell’UE sul salario minimo: cosa prevede e quale è la posizione dei partiti?
Von der Leyen: “Guerra fino alla vittoria totale”
Comunione & Prostrazione. Ovvero, fenomenologia del trinaricielluto
Cina e Taiwan e il mercato dei microchip
ARMI A MICROONDE SULLE PERSONE E SULLE MASSE
E Speranza comanda: adesso la Quinta Dose.
COME L’INTELLIGENCE MILITARE BRITANNICA CREO’ IL FASCISTA MUSSOLINI”
EDITORIALE
RIQUALIFICARE IL DEBITO CON UN NUOVO PIANO DI PAGAMENTI
Ritengo che la rinegoziazione del debito sia una scelta di rapida realizzazione, grazie ad un protocollo di intesa fra il ministero competente, banche, società finanziarie e associazioni di consumatori e organizzazioni sindacali. Si tratta di una concertazione condivisa, che tuttavia potrebbe incontrare l’aperta ostilità dei pretoriani comunitari fedeli alle gelide e macchinose regolamentazioni autoreferenziali, con cui cercano di giustificare la propria spietata indifferenza.
La rinegoziazione potrebbe iscriversi nella logica della surrogazione del debito precedentemente già disegnata per la trasferibilità dei mutui, con l’accorgimento tecnico della contestuale annotazione del passaggio sull’ipoteca o sulla fideiussione collegati. Sarebbe un provvedimento che è in coordinazione con lo spirito della normativa detta antisuicidio, più propriamente Legge 3 del 2012 sul sovraindebitamento aggiornata al 2022 (cfr https://pianodebiti.it/legge-3-2012-le-10-cose-da-sapere/) e con il Codice del consumo (cfr: https://www.mise.gov.it/index.php/it/mercato-e-consumatori/tutela-del-consumatore/codice-del-consumo), con la attuale normativa GDPR (cfr: https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9042678). Alla base di tutto quello che abbiamo appena analizzato, resta la volontà reale delle parti sociali per cercare un accordo condiviso. Il procedimento potrebbe essere quello già sperimentato per la surroga, cioè mediante uno scambio di corrispondenza fra la banca o finanziaria creditrice ed il debitore in difficoltà. Il successo di questa opzione taglierebbe le gambe alla speculazione ignobile, fondata sulla connivenza operativa di strutture finanziarie e di recupero crediti che attualmente prosperano sul collasso economico ed umano dei cittadini caduti in disgrazia. Sarebbe inoltre bloccato anche l’indegno meccanismo delle aste gestite sempre dai soliti cugini della nuora della sorella della nuora dei dirigenti delle società bancarie e finanziarie. Nihil difficile volenti
IN EVIDENZA
Dove sono finiti i 12 milioni del governo Draghi inviati a Tripoli? Il libro che apre uno squarcio di verità sulla Libia
Lo scorso fine luglio, il governo dimissionario Draghi con voto del Senato ha stanziato 11 milioni 884 mila euro per la Guardia Costiera Libica. In realtà diverse voci autorevoli in Libia denunciano come i fondi inviati dall’Italia non siano spesi dal governo di Tripoli esattamente per gli obiettivi ufficialmente stabiliti.
Lo ha denunciato ad esempio il giugno scorso Breka Beltamar, capo della Commissione per la società civile libica e lo ha ribadito recentemente Yousef Al-Aquory, capo della Commissione affari esteri del parlamento di Tobruk: “il governo di Tripoli è un governo de facto – afferma quest’ultimo-, non è soggetto all’autorità del parlamento e quindi non c’è alcun controllo su di esso, e non c’è alcuna garanzia che questi fondi vengano destinati agli obiettivi per i quali sono stati stanziati, ed è molto probabile che questi stanziamenti finiscano a partiti e gruppi armati sospetti”.
In poche parole, il governo insediato a Tripoli, privo della fiducia del parlamento e quindi di legittimità, riceve fondi da governi occidentali che poi non spende secondo quanto dichiarato, ma li reinveste in armi e milizie per difendere militarmente la capitale, essenziale per gestire la Banca centrale libica e il saccheggio del petrolio.
Le testimonianze sopraccitate sono state raccolte da Michelangelo Severgnini, regista e scrittore, autore del film “L’Urlo”, ora diventato anche un libro pubblicato da LAD Gruppo Editoriale, che sarà presentato nei prossimi giorni a Bari, Roma e Milano.
La denuncia contenuta nel libro smaschera 10 anni di politiche di guerra italiane in Libia e indica nei fondi per la Guardia Costiera e più in generale per il contrasto alla migrazione, quei canali attraverso cui i governi italiani hanno finanziato la guerra in Libia al fine di sfruttarne le risorse.
Il libro “L’urlo” è il risultato di una ricerca lunga 4 anni documentata attraverso decine di interviste a libici e migranti-schiavi in Libia, a disposizione anche nella versione originale accessibile attraverso codici QR presenti nel libro.
MICHELANGELO SEVERGNINI
Regista indipendente, esperto di Medioriente e Nord Africa, musicista. Ha vissuto per un decennio a Istanbul. Ora dalle sponde siciliane anima il progetto “Exodus” in contatto con centinaia di persone in Libia. Di prossima uscita il film “L’Urlo”
“Il Cremlino arruola i manifestanti arrestati” è la nuova fake (quotidiana) di Open
Ma è logico che il Cremlino, arruolandoli con la forza, dia un fucile (o qualcosa di più potente) in mano a coloro che manifestavano contro la “guerra di Putin”? Sembra non chiederselo il sito di Mentana Open.online (sulla sua ultima fake news si veda qui) con un articolo dall’inequivocabile titolo “(…) Il Cremlino arruola i manifestanti arrestati: «Non è illegale»” così specificato nel testo dell’articolo “Una pratica denunciata da vari media internazionali, come Bbc, ma che il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, sostiene essere legale.”
Peccato (provare per credere) che il link alla Bbc messo da Open rimandi ad un articolo di questa emittente nel quale non c’è una parola che attesti questa bufala; ancora peggio il link a Dmitry Peskov che rimanda ad una sua fotografia senza nessun altro riferimento.
In realtà questa storia di Peskov, sintetizzata nel titolo dell’articolo con “non è illegale”, probabilmente, si riferisce ad una sua conferenza stampa nella quale una giornalista, richiamandosi a quanto pubblicato dalla ONG Ovd-Info, raccontava che, in una non meglio precisata stazione di polizia dove erano stati fermati i manifestanti, qualcuno aveva mostrato loro il decreto per la mobilitazione parziale del Cremlino (decreto che come già detto riguarda esclusivamente i “riservisti” che hanno già firmato la loro disponibilità ad essere impiegati in situazioni di crisi, non già gli 850.000 soldati in servizio attivo o i 25 milioni di unità richiamabili al fronte). Di fronte alla presunta esposizione, ai manifestanti fermati, di questo decreto, Peskov si è limitato a dichiarare “Non è illegale”.
Un banale disguido nella redazione del “Tempio del Fact Checking” collegare nel titolo “Il Cremlino arruola i manifestanti arrestati” con la dichiarazione di Peskov? Temiamo ci sia di peggio.
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-il_cremlino_arruola_i_manifestanti_arrestati__la_nuova_fake_quotidiana_di_open/6119_47404/
SOGNO UN ESECUTIVO SENZA COLAO
di Ruggiero Capone
La speranza, forse flebile, è che i vincitori delle elezioni possano mettere alla porta Vittorio Colao. Soprattutto non farsi tentare dal superesperto amico della finanza internazionale. Da tempo si cerca di dimostrare ai lettori come la speculazione finanziaria starebbe modificando le carte costituzionali. Del fenomeno è ormai consapevole una grande fetta di cittadini. Alla spicciolata vengono toccati tutti, tutte le attività, tutte le categorie. Oggi c’è una nuova maggioranza pronta ad entrare in Parlamento. Ma non possiamo dimenticare l’assalto a Palazzo Chigi di qualche mesa fa da parte dei tassisti: reazione al progetto di distruzione di una categoria, che ha pagato e s’è indebitata per acquistare una licenza di taxi ed un veicolo con tutte le caratteristiche per adempiere al servizio pubblico. Ma altri progetti stanno toccando e toccheranno ciabattini, falegnami, contadini, carrozzieri, meccanici, idraulici, farmacisti, artigiani, professionisti d’ogni settore ed ambito. Per dirla con lo slogan d’un nota pubblicità dei primi anni del passato secolo “necessita cambiare il modello di business ogni cinque minuti”. Chi ha bocciato il centro-sinistra lo ha fatto per fermare il progetto omicida di Colao e compari. Quella “destabilizzazione” tanto cara ai mercati: una ricetta vecchia, la partoriva George Soros a metà anni ’80 del passato secolo, recitava suppergiù così “per sviluppare i mercati finanziari necessita destabilizzare politicamente le filiere e gli assetti produttivi, togliere le certezze agli individui e contrapporli”. La gente ha dato fiducia alla Meloni reputando possa fermare la voracità ed il caos gradito agli speculatori. Se il Pd fosse stato riconfermato, certamente il governo italiano si sarebbe più o meno coscientemente messo a capo della rivoluzione che crea esclusione sociale, alienazione, povertà e, soprattutto, cancella speranze e lavoro. Non sappiamo quanto Mario Draghi sia stato complice o costretto ad avallare, ma è certo che sappia come Vittorio Colao rappresenti l’elemento di garanzia di molti progetti destabilizzanti. Gli italiani si stavano rendendo conto di come i rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini stessero regredendo alla conflittualità che governa Nigeria, Congo e Mali. Ovvero il non rispetto dei cittadini, del loro lavoro e delle loro proprietà. L’Italia gradita agli esperti dei mercati sarebbe dovuta scivolare in logiche tipiche dei paesi africani: abuso e sopruso da parte di governo e pubblica amministrazione, aumento della pressione debitoria su cittadini ed aziende e distruzione della pace sociale. Torniamo a ricordarvi come il debito mondiale ammonti a circa 253 mila miliardi di dollari, il 322% del Pil globale. Secondo i calcoli del gatto che gioca col topo, il settanta per cento di questi debiti penderebbe sui paesi più poveri. I poveri non pagano mai i debiti e ne mettono sempre di nuovi? Allora il mondo sarebbe sovraindebitato per colpa dei poveri? A questa domanda dovrebbero rispondere esperti come Vittorio Colao, perché hanno studiato forse più di tutti noi la materia, poi perché probabilmente hanno ascoltato le relazioni in materia a Davos, all’Onu, alla Fao, alla Banca Mondiale, e parlando con vari esperti pure della Nato. Ma che avranno mai fatto i poveri con queste montagne di soldi? E’ proprio vero che sono gran scialacquoni, nati per bruciare fortune, per giocarsi in poco tempo una vincita al superenalotto. Ma siamo seri, chi gestisce il potere sa tutto, anzi sa che necessita incrementare la platea dei bisognosi, dei precari, della gente in difficoltà, dei disoccupati. Da qualche anno la cancrena ha preso l’Italia come ieri la Grecia. Ogni giorno in Italia si perdono dai quattrocento ai mille posti di lavoro: Il caso della startup Gorillas che ha licenziato quattrocentocinquanta addetti è di due mesi fa, ma oggi vi sono altri licenziamenti in tutte le aziende (Amazon compresa). Dicono che è cambiato il modello di sviluppo, ma non aggiungono che fino ad una trentina d’anni fa sostenevano che “necessita sviluppare la crescita economica dei paesi poveri e indebitati” (quante volte abbiamo sentito questa tiritera istituzionale). Oggi prevale la linea green: ovvero bloccare, congelare l’economia. Oggi, grazie alla guerra, hanno potuto far impennare i prezzi e lavorano a far salire i tassi d’interesse: quindi l’Africa rimane nella sua inedia economica che fa ricche solo le multinazionali, mentre nuovi scenari speculativi si spalancano in Italia, dove c’è da mettere definitivamente in povertà più della metà della popolazione. I governi occidentali sono tutti tra loro collegati, tutti eterodiretti dal cervellone finanziario di BrackRock. Soprattutto lavorano perché venga garantito il profitto ai grandi speculatori. Il controllo, la profilazione totale del cittadino, gli obblighi alla digitalizzazione, sono tutte ricette partorite dalla medesima cucina politica, la stessa che ha bloccato l’ascensore sociale e scongiurato che nessun normale cittadino possa più godere di tranquillità e vita agiata dal proprio lavoro. Per quanto ci riguarda, i maggiori detentori del debito mondiale hanno pattuito che le economie europee di Italia, Spagna e Grecia rimangano depresse. Torniamo all’esempio dei tassisti: hanno pagato una licenza, sono un segmento sociale autonomo, lavorando riescono a mantenere una famiglia ed acquistare casa. L’esempio dei tassisti è allargabile a tutte le categorie che fino a qualche anno fa andavano a consolidare il ceto medio, la fascia sociale con forte risparmio bancario. L’algoritmo della speculazione finanziaria ha però stabilito che queste categorie debbano oggi essere messe in difficoltà. L’ordine è partito dalla catena di comando finanziaria, e vale per tutto il prossimo decennio. Così chi fino a ieri non aveva problemi economici, oggi dovrà essere lentamente accompagnato verso una politica socio-solidale (povertà sostenibile). In pratica l’esperimento del reddito universale di cittadinanza non è ancora applicabile in Africa o Sud America, quindi verrà fatto decollare nelle zone povere d’Europa. Il progetto di Vittorio Colao prevede, tramite l’identità digitale, si possano controllare i cittadini laboriosi, ovvero coloro che non si piegano al “reddito universale di cittadinanza” o che, furbescamente, lo incassano e poi lavorano in campagna od in officina, o fanno lezioni private. In pratica l’identità digitale è estremamente utile ad indurre i cittadini a non lavorare, a non progettare, a non produrre. I grandi possessori di danaro (quantità smisurate di liquidità) hanno investito su percorsi di disincentivazione del lavoro umano, di riduzione demografica, di denatalità e distruzione della famiglia. Motivo? Sostituire l’uomo con il non sindacalizzato robot. Ecco perché sarebbero divenuti a tal punto filantropi da pagarci per non lavorare. Gli intellettuali prezzolati hanno aggiunto che lo fanno per salvare il Pianeta dal fattore lavoro incontrollato, grande concausa del consumo del Pianeta, dell’inquinamento. La moneta elettronica per pagare la “povertà sostenibile” la creano dal nulla. I poveri di oggi e di domani (ex tassisti, artigiani, professionisti) potrebbero così non dannarsi più l’anima ed accontentarsi di roba da poveri comprata con il sussidio: il mercato di domani, diviso in cattivi compratori (i poveri a cui va lo scarto) ed i buoni compratori (i ricchi a cui vanno i prodotti pregiati). Quando un siffatto sistema si consolida, sortire dalla povertà diventa impossibile: ecco perché è stata coniata l’espressione “povertà irreversibile”. Perché il patto politico con i grandi speculatori è il nuovo “contratto sociale”, e prevede il blocco granitico dell’ascensore sociale. Il progetto era visibile a monte: già nell’epoca Mario Monti era stato azionato il blocco dell’ascensore sociale, in obbedienza a quanto dettato da Davos. Oggi, che la finanza pubblica è gestita in tutto l’Occidente dai privati, bloccare il lavoro per legge è semplicissimo quanto ridurre in povertà intere categorie. I licenziamenti che oggi vediamo in Italia sono frutto di crolli aziendali progettati a monte, studiati per generare povertà. Vittorio Colao è un grande amministratore di fondi (già questo ne segna il conflitto d’interessi) amministra danaro non di sua proprietà, già prima del suo incarico di governo influiva sulla vita di aziende e strutture partecipate da stati: i grandi speculatori sono il suo datore di lavoro. Tramontato il capitalismo tradizionale (fatto di fabbriche, imprese, agricoltura…) è sorto sulle macerie delle industrie il capitalismo di sorveglianza, che guadagna su security, informatica, media. Colao è una sorta di dio egizio Anubi, divide la gente nella valle dei morti. Agisce nell’intento di scongiurare che potere e popolo si mischino: lo fa istituendo la classe media di controllo, fatta non da uomini ma da robot ed intelligenza artificiale in genere. Un segnale buono dal nuovo esecutivo potrebbe essere non dare ministeri a Colao e, soprattutto, fare retromarcia su parecchi obblighi digitali, cibernetici, cervellotici. Insomma lasciamo lavorare in pace gli italiani.
FONTE: https://www.lapekoranera.it/2022/09/26/sogno-un-esecutivo-senza-colao/
L’offensiva del complesso militare-industriale
Sostenendo la guerra ucraina contro le popolazioni russe e provocando la risposta della Federazione di Russia, gli straussiani hanno avuto gli occhi più grandi dello stomaco. Le industrie della Difesa occidentali non riescono più a garantire la quantità di armi necessaria a continuare la guerra. È il momento d’investire nella morte.
La recente avanzata ucraina è stata pianificata mesi fa dagli USA, che hanno fornito alle forze di Kiev in tempo reale le informazioni sugli obiettivi russi da colpire: lo rivela il New York Times in base a fonti ufficiali. Ciò conferma che le forze di Kiev sono di fatto sotto comando USA e operano secondo la loro strategia.
USA e operano secondo la loro strategia.
In tale quadro, il segretario USA alla Difesa Lloyd Austin ha convocato in Germania il “Gruppo di contatto di difesa dell’Ucraina” per accrescere le forniture di armi alle forze di Kiev. Il Gruppo è composto da oltre 50 Paesi: oltre quelli della NATO (Italia compresa), ne fanno parte il Giappone, l’Australia, la Nuova Zelanda, la Corea del Sud, Israele, Qatar. La quantità di armi riversata in Ucraina è tale da rendere necessario un forte aumento della loro produzione. Ad esempio, il Pentagono ha fornito all’Ucraina circa 800.000 proiettili di artiglieria da 155 mm per i 126 obici M777 a lunga gittata che, azionati da personale ucraino, sparano su obiettivi indicati dall’intelligence USA. Gli Stati Uniti hanno però una sola fabbrica che produce tali proiettili, l’impianto della General Dynamics in Pennsylvania, in grado di fabbricarne solo 14.000 al mese. Occorre quindi accrescere immediatamente la capacità produttiva di questo impianto e aprirne altri. Si apre così negli USA e in generale in Occidente un nuovo colossale business delle industrie belliche.
Tra queste l’italiana Leonardo – di cui il Ministero dello Sviluppo Economico possiede il 30% dell’azionariato – salita al 12° posto tra le 100 maggiori industrie belliche del mondo, al primo posto nella UE. Essa ha accresciuto i ricavi del settore Difesa del 24% in un anno, raggiungendo circa 14 miliardi di dollari. Dal settore difesa deriva l’83% del suo fatturato. La Leonardo è integrata nel gigantesco complesso militare-industriale USA capeggiato dalla Lockheed Martin, costruttrice dell’F-35 alla cui produzione partecipa la stessa Leonardo. Cresce in tal modo il potere del complesso militare-industriale, un organismo tentacolare che, per vivere e svilupparsi, ha bisogno come ossigeno della guerra.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article218010.html
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
“Bastano due rate non pagate”. Allarme bollette. Il caso delle 75 famiglie romane rimaste al gelo
La crisi energetica inizia a colpire duro. Tre grossi condomini nei quartieri romani Borghesiana, Torresina e Primavalle rimarranno senza gas. Si tratta di almeno 75 famiglie. Tra i motivi ci sono la morosità dei condomini e la carenza della materia prima. Come riportato da la Repubblica, due rate non saldate bastano per far sì che il contatore del gas venga chiuso senza possibilità di appello. A lanciare l’allarme sono state le stese società fornitrici di energia.
Concetta Cinque, la presidente nazionale di Assiac, l’Associazione amministratori di condominio, ha spiegato che «il 30% dei romani che hanno la caldaia centralizzata quest’inverno resterà senza gas e tra questi anche alcuni consorzi dell’Ater. Sono le prime stime delle compagnie che fanno i conti con l’ammontare delle rate non incassate. Alcune di queste, le più piccole, sono già in crisi perché indebitate e con poco gas a disposizione».
Una situazione a dir poco tragica quella che sta colpendo migliaia di famiglie italiane, e che purtroppo, con l’arrivo del freddo, potrà solo peggiorare. A ottobre sono infatti previsti i controlli delle caldaie centralizzate da parte dei manutentori per essere pronte e funzionanti per novembre, quando in teoria dovrebbero venire accese. Saranno molti i casi in cui gli addetti troveranno il gas staccato. Risolvere il problema non sarà semplice, visto che la procedura prevede che in questi casi il contratto venga passato dal vecchio gestore creditore alla società Fornitura Ultima Istanza. E quando ciò avverrà, le famiglie saranno costrette a pagare i debiti in una unica soluzione, senza possibilità di rateizzare la somma dovuta.
Ma non è tutto, perché ad andarci di mezzo saranno però anche i residenti che pagano nei tempi corretti le fornitura. Infatti, se la caldaia è in comune e la maggioranza dei coinquilini non paga, chi ha pagato in modo regolare le bollette resterà comunque al freddo. Concetta Cinque ha inoltre spiegato che, anche nel caso in cui il debito venga saldato, non è sicuro che il contatore venga riallacciato. Siamo arrivati al punto in cui il gas assume le sembianze del credito finanziario: avendo poco gas a disposizione, le compagnie fornitrici preferiscono darlo ai clienti che offrono maggiori garanzie e sono sicuri pagheranno sempre.
«Le compagnie di gas sono sul piede di guerra. Proprio nei giorni scorsi ho ricevuto una raccomandata da uno dei nostri partner fornitori che annunciava la rescissione del contratto perché non erano riusciti a rifornirsi della materia prima e quindi non potevano garantire il servizio. Avevamo scelto quella compagnia perché consentiva condizioni favorevoli nei pagamenti, dilazionati anche di alcuni mesi. Ora dobbiamo cercare un’alternativa», ha affermato Serguei Mazzini, amministratore di Eco-Condominio che gestisce 43 edifici che vanno da Mattia Battistini, Portuense, Montesacro fino a Monteverde.
FONTE: https://www.ilparagone.it/cronaca/bastano-due-rate-non-pagate-allarme-bollette-il-caso-delle-75-famiglie-romane-rimaste-al-gelo/
BELPAESE DA SALVARE
ALCUNE SCORRETTEZZE RILEVATE NEI SEGGI DI SIENA E PROVINCIA DURANTE LE ELEZIONI
Sovraestensione e sbilanciamento della Russia
Valutare l’impatto di opzioni che impongono costi
Nota dell’editore, aprile 2022: ti invitiamo a esplorare questa breve ricerca e il rapporto completo su cui si basa. Tuttavia, poiché le entità dei media statali russi e gli individui solidali con la decisione di Putin di invadere l’Ucraina hanno caratterizzato erroneamente questa ricerca nelle ultime settimane, ti incoraggiamo anche a esplorare questa utile risorsa sull’approccio alla propaganda della “pompa della falsità” della Russia e la nostra ricerca su “Truth Decay ”, fenomeno in parte trainato dalla diffusione della disinformazione.
Questo riassunto riassume un rapporto che esamina in modo completo le opzioni non violente e costose che gli Stati Uniti e i loro alleati potrebbero perseguire in aree economiche, politiche e militari per sottolineare – estendere e sbilanciare – l’economia e le forze armate russe e la posizione politica del regime in patria e all’estero. Alcune delle opzioni esaminate sono chiaramente più promettenti di altre, ma alcune dovrebbero essere valutate in termini di strategia generale degli Stati Uniti per trattare con la Russia, cosa che né il rapporto né questo documento hanno tentato di fare.
La massima che “la Russia non è mai così forte né così debole come sembra” rimane valida nel secolo in corso come lo era nel 19° e 20°.
La Russia di oggi soffre di molte vulnerabilità : i prezzi del petrolio e del gas ben al di sotto del picco che hanno causato un calo del tenore di vita, le sanzioni economiche che hanno favorito tale declino, l’invecchiamento della popolazione e il declino della popolazione e l’aumento dell’autoritarismo sotto l’attuale regime di Vladimir Putin. -regola continua. Tali vulnerabilità sono accoppiate con ansie profonde (se esagerate) sulla possibilità di un cambio di regime di ispirazione occidentale, la perdita dello status di grande potere e persino un attacco militare.
Nonostante queste vulnerabilità e ansie, la Russia rimane un paese potente che riesce ancora a essere un concorrente alla pari degli Stati Uniti in alcuni domini chiave. Riconoscendo che un certo livello di concorrenza con la Russia è inevitabile, i ricercatori della RAND hanno condotto una valutazione qualitativa delle “opzioni che impongono costi” che potrebbero sbilanciare e sovraccaricare la Russia. Tali opzioni che impongono costi potrebbero imporre nuovi oneri alla Russia, idealmente oneri più pesanti di quelli che sarebbero imposti agli Stati Uniti per perseguire tali opzioni.
Il lavoro si basa sul concetto di concorrenza strategica a lungo termine sviluppato durante la Guerra Fredda, alcuni dei quali originati dalla RAND. Un fondamentale rapporto della RAND del 1972 postulava che gli Stati Uniti dovessero spostare il loro pensiero strategico lontano dal cercare di stare davanti all’Unione Sovietica in tutte le dimensioni e cercare di controllare la concorrenza e incanalarla nelle aree di vantaggio degli Stati Uniti. Se questo spostamento potesse essere effettuato con successo, concludeva il rapporto, gli Stati Uniti potrebbero spingere l’Unione Sovietica a spostare le sue limitate risorse in aree che rappresentano una minaccia minore.
La nuova relazione applica questo concetto alla Russia di oggi. Un team di esperti della RAND ha sviluppato opzioni economiche, geopolitiche, ideologiche, informative e militari e le ha valutate qualitativamente in termini di probabilità di successo nell’estensione della Russia, vantaggi, rischi e costi.
Figura 1. Le esportazioni di petrolio russe sono in calo
Anno | Percentuale del valore totale delle esportazioni |
---|---|
2012 | ~70 |
2013 | ~70 |
2014 | ~68 |
2015 | 63 |
2016 | 47 |
FONTE: Nazioni Unite (ONU), UN Comtrade Database , database elettronico online, 2017.
Misure che impongono costi economici
L’espansione della produzione di energia degli Stati Uniti stresserebbe l’economia russa, limitando potenzialmente il suo bilancio del governo e, per estensione, la sua spesa per la difesa. Adottando politiche che espandono l’offerta mondiale e deprimono i prezzi globali, gli Stati Uniti possono limitare le entrate russe. Farlo comporta pochi costi o rischi, produce vantaggi di secondo ordine per l’economia statunitense e non richiede l’approvazione multilaterale.
L’imposizione di sanzioni commerciali e finanziarie più profonde degraderebbe anche l’economia russa, soprattutto se tali sanzioni sono globali e multilaterali. Pertanto, la loro efficacia dipenderà dalla volontà di altri paesi di partecipare a tale processo. Ma le sanzioni comportano dei costi e, a seconda della loro gravità, dei rischi considerevoli.
Aumentare la capacità dell’Europa di importare gas da fornitori diversi dalla Russia potrebbe estendere economicamente la Russia e proteggere l’Europa dalla coercizione energetica russa. L’Europa si sta lentamente muovendo in questa direzione costruendo impianti di rigassificazione per il gas naturale liquefatto (GNL). Ma per essere veramente efficace, questa opzione richiederebbe che i mercati globali del GNL diventino più flessibili di quanto non siano già e richiederebbe che il GNL diventi più competitivo in termini di prezzo rispetto al gas russo.
Incoraggiare l’emigrazione dalla Russia di manodopera qualificata e giovani ben istruiti ha pochi costi o rischi e potrebbe aiutare gli Stati Uniti e altri paesi di accoglienza e danneggiare la Russia, ma qualsiasi effetto, sia positivo per i paesi di accoglienza che negativo per la Russia, sarebbe difficile da preavviso se non per un periodo molto lungo. Questa opzione ha anche una bassa probabilità di estendere la Russia.
Opzioni economiche imponenti | Probabilità di successo nell’estensione della Russia | Benefici | Costi e Rischi |
---|---|---|---|
Espandere la produzione di energia degli Stati Uniti | ALTO | ALTO | BASSO |
Imporre sanzioni commerciali e finanziarie più profonde | ALTO | ALTO | ALTO |
Aumentare la capacità dell’Europa di importare GNL da fonti diverse dalla Russia | MODERARE | ALTO | MODERARE |
Incoraggiare l’emigrazione dalla Russia di manodopera qualificata e giovani ben istruiti | BASSO | BASSO | BASSO |
NOTA: Per tutte le tabelle di questo riassunto, le classifiche alte e basse per costi e rischi sono invertite in desiderabilità rispetto al resto della tabella; vale a dire, i costi bassi sono buoni nello stesso modo in cui lo è un’alta probabilità di successo. Pertanto, un basso costo è ombreggiato in arancione chiaro mentre una bassa probabilità di successo è ombreggiata in arancione scuro. Tutte le valutazioni elencate nelle tabelle di questo riassunto si basano sull’analisi degli autori del rapporto.
Misure geopolitiche che impongono costi
Foto del sergente. Mitchell Ryan/DoD
Fornire aiuti letali all’Ucraina sfrutterebbe il punto di maggiore vulnerabilità esterna della Russia. Ma qualsiasi aumento delle armi militari statunitensi e dei consigli all’Ucraina dovrebbe essere attentamente calibrato per aumentare i costi per la Russia per sostenere il suo attuale impegno senza provocare un conflitto molto più ampio in cui la Russia, a causa della vicinanza, avrebbe vantaggi significativi.
Un crescente sostegno ai ribelli siriani potrebbe mettere a repentaglio altre priorità politiche statunitensi, come la lotta al terrorismo islamico radicale, e potrebbe rischiare di destabilizzare ulteriormente l’intera regione. Inoltre, questa opzione potrebbe non essere nemmeno praticabile, data la radicalizzazione, la frammentazione e il declino dell’opposizione siriana.
La promozione della liberalizzazione in Bielorussia probabilmente non avrebbe successo e potrebbe provocare una forte risposta russa, che si tradurrebbe in un generale deterioramento dell’ambiente di sicurezza in Europa e una battuta d’arresto per la politica statunitense.
L’espansione dei legami nel Caucaso meridionale, in concorrenza economica con la Russia, sarebbe difficile a causa della geografia e della storia.
Ridurre l’influenza russa in Asia centrale sarebbe molto difficile e potrebbe rivelarsi costoso. È improbabile che un maggiore impegno estenda la Russia in modo molto economico e probabilmente sarà sproporzionatamente costoso per gli Stati Uniti.
Capovolgere la Transnistria ed espellere le truppe russe dalla regione sarebbe un duro colpo per il prestigio russo, ma farebbe anche risparmiare denaro a Mosca e molto probabilmente imporrebbe costi aggiuntivi agli Stati Uniti e ai suoi alleati.
Opzioni geopolitiche che impongono costi | Probabilità di successo nell’estensione della Russia | Benefici | Costi e Rischi |
---|---|---|---|
Fornire aiuti letali all’Ucraina | MODERARE | ALTO | ALTO |
Aumentare il sostegno ai ribelli siriani | BASSO | MODERARE | ALTO |
Promuovere la liberalizzazione in Bielorussia | BASSO | ALTO | ALTO |
Espandere i legami nel Caucaso meridionale | BASSO | BASSO | MODERARE |
Ridurre l’influenza russa in Asia centrale | BASSO | BASSO | MODERARE |
Capovolgere la Transnistria | BASSO | BASSO | MODERARE |
NOTA: Per tutte le tabelle di questo riassunto, le classifiche alte e basse per costi e rischi sono invertite in desiderabilità rispetto al resto della tabella; vale a dire, i costi bassi sono buoni nello stesso modo in cui lo è un’alta probabilità di successo. Pertanto, un basso costo è ombreggiato in arancione chiaro mentre una bassa probabilità di successo è ombreggiata in arancione scuro. Tutte le valutazioni elencate nelle tabelle di questo riassunto si basano sull’analisi degli autori del rapporto.
Misure ideologiche e informative che impongono costi
Foto di Dmitry Vereshchagin/Adobe Stock
Diminuire la fiducia nel sistema elettorale russo sarebbe difficile a causa del controllo statale sulla maggior parte delle fonti dei media. Ciò potrebbe aumentare il malcontento nei confronti del regime, ma ci sono seri rischi che il Cremlino possa aumentare la repressione o scatenarsi e perseguire un conflitto diversivo all’estero che potrebbe essere contrario agli interessi occidentali.
Creare la percezione che il regime non persegua l’interesse pubblico potrebbe concentrarsi su una corruzione diffusa e su larga scala e sfidare ulteriormente la legittimità dello stato. Ma è difficile valutare se la volatilità politica e le proteste porterebbero a una Russia più estesa – meno in grado o incline a minacciare gli interessi occidentali all’estero – o a una Russia più incline a scagliarsi per rappresaglie o a distrarre, rendendo questo un rischio elevato opzione.
Incoraggiare le proteste interne e altre resistenze non violente si concentrerebbe sulla distrazione o sulla destabilizzazione del regime russo e sulla riduzione della probabilità che persegua azioni aggressive all’estero, ma i rischi sono elevati e sarebbe difficile per i governi occidentali aumentare direttamente l’incidenza o l’intensità delle -attività di regime in Russia.
Minare l’immagine della Russia all’estero si concentrerebbe sulla diminuzione della posizione e dell’influenza russa, minando così le pretese del regime di riportare la Russia al suo antico splendore. Ulteriori sanzioni, la rimozione della Russia dai forum internazionali non ONU e il boicottaggio di eventi come la Coppa del Mondo potrebbero essere attuati dagli stati occidentali e danneggerebbero il prestigio russo. Ma la misura in cui questi passi danneggerebbero la stabilità interna russa è incerta.
Sebbene nessuna di queste misure abbia un’alta probabilità di successo, alcune o tutte prederebbero le ansie più profonde del regime russo e potrebbero essere impiegate come minaccia deterrente per diminuire le campagne di disinformazione e sovversione attiva della Russia all’estero.
Opzioni ideologiche e informative che impongono costi | Probabilità di successo nell’estensione della Russia | Benefici | Costi e Rischi |
---|---|---|---|
Diminuire la fiducia nel sistema elettorale russo | BASSO | MODERARE | ALTO |
Creare la percezione che il regime non persegua l’interesse pubblico | MODERARE | MODERARE | ALTO |
Incoraggiare le proteste interne e altre resistenze non violente | BASSO | MODERARE | ALTO |
Minacciare l’immagine della Russia all’estero | MODERARE | MODERARE | MODERARE |
NOTA: Per tutte le tabelle di questo riassunto, le classifiche alte e basse per costi e rischi sono invertite in desiderabilità rispetto al resto della tabella; vale a dire, i costi bassi sono buoni nello stesso modo in cui lo è un’alta probabilità di successo. Pertanto, un basso costo è ombreggiato in arancione chiaro mentre una bassa probabilità di successo è ombreggiata in arancione scuro. Tutte le valutazioni elencate nelle tabelle di questo riassunto si basano sull’analisi degli autori del rapporto.
Misure che impongono costi aerei e spaziali
Foto di Anthony N. Hilkowski/DVIDS
Riposizionare i bombardieri entro un facile raggio d’azione dei principali obiettivi strategici russi ha un’alta probabilità di successo e attirerebbe sicuramente l’attenzione di Mosca e solleverebbe le ansie russe; i costi e i rischi di questa opzione sono bassi fintanto che i bombardieri sono basati fuori dalla portata della maggior parte dei missili da crociera balistici e da crociera terrestri russi.
Riposizionare i combattenti in modo che siano più vicini ai loro obiettivi rispetto ai bombardieri come un modo per ottenere tassi di sortita più elevati per compensare i loro carichi utili più piccoli riguarderebbe probabilmente Mosca ancor più del riposizionare i bombardieri, ma le probabilità di successo sono basse e i rischi sono alti. Poiché ogni aereo dovrebbe effettuare più sortite durante un conflitto convenzionale, i leader russi sarebbero probabilmente fiduciosi di poter distruggere molti caccia a terra e chiudere presto i loro aeroporti di schieramento con poche o nessuna aggiunta al loro inventario missilistico.
Il dispiegamento di ulteriori armi nucleari tattiche in località europee e asiatiche potrebbe aumentare l’ansia della Russia al punto da aumentare significativamente gli investimenti nelle sue difese aeree. Insieme all’opzione del bombardiere, ha un’alta probabilità di successo, ma il dispiegamento di più tali armi potrebbe portare Mosca a reagire in modi contrari agli interessi degli Stati Uniti e degli alleati.
Anche il riposizionamento dei sistemi di difesa missilistici balistici statunitensi e alleati per impegnare meglio i missili balistici russi allarmerebbe Mosca, ma sarebbe probabilmente l’opzione meno efficace perché la Russia potrebbe facilmente saturare i sistemi attuali e qualsiasi aggiornamento pianificato con una piccola percentuale del suo inventario missilistico esistente, lasciando molti missili ancora disponibile per tenere a rischio obiettivi statunitensi e alleati.
Ci sono anche modi per far sì che la Russia si estenda nella competizione strategica . In termini di benefici, tali sviluppi sfrutterebbero la dimostrata paura di Mosca per le capacità e le dottrine della potenza aerea statunitense. Lo sviluppo di nuovi bombardieri a lungo raggio a bassa osservabilità o semplicemente l’aggiunta di molti più tipi già disponibili o programmati (B-2 e B-21) sarebbe preoccupante per Mosca, così come lo sviluppo di velivoli d’attacco autonomi o pilotati a distanza e la produzione loro in numero elevato. Tutte le opzioni probabilmente incoraggerebbero Mosca a dedicare risorse sempre maggiori per rendere i suoi sistemi di comando e controllo più difficili, più mobili e più ridondanti.
Un rischio chiave di queste opzioni è essere trascinati in corse agli armamenti che si traducono in strategie che impongono costi diretti contro gli Stati Uniti . Ad esempio, investire in sistemi di difesa missilistici balistici e armi spaziali allarmerebbe Mosca, ma la Russia potrebbe difendersi da tali sviluppi adottando misure che sarebbero probabilmente notevolmente più economiche dei costi di questi sistemi per gli Stati Uniti.
Per quanto riguarda la probabilità di successo, alcune opzioni sono buone strategie che impongono costi , ma alcune, come investire di più in HARM o altre tecnologie di guerra elettronica, sono chiaramente migliori di altre e alcuni approcci dovrebbero essere evitati, come quelli che si concentrano sullo spazio sistemi di difesa basati su armi o missili balistici.
Gli Stati Uniti potrebbero spingere la Russia in una costosa corsa agli armamenti rompendo il regime di controllo degli armamenti nucleari , ma è improbabile che i benefici superino i costi statunitensi. I costi finanziari di una corsa agli armamenti nucleari sarebbero probabilmente tanto alti per gli Stati Uniti quanto lo sarebbero per la Russia, forse più alti. Ma i costi più gravi sarebbero politici e strategici.
Opzioni che impongono costi aerei e spaziali/nucleari | Probabilità di successo nell’estensione della Russia | Benefici | Costi e Rischi |
---|---|---|---|
Opzione 1: modifica della postura e delle operazioni della forza aerea e spaziale | |||
Bombardieri di riposizionamento | ALTO | MODERARE | BASSO |
Combattenti di riposizionamento | BASSO | MODERARE | ALTO |
Schiera armi nucleari tattiche aggiuntive | ALTO | BASSO | ALTO |
Riposizionare i sistemi di difesa dai missili balistici statunitensi e alleati | BASSO | BASSO | MODERARE |
Opzione 2: aumentare la ricerca e lo sviluppo aerospaziale (R&S) | |||
Investi di più in velivoli a bassa osservabilità | MODERARE | MODERARE | MODERARE |
Investi di più in velivoli autonomi o a pilotaggio remoto | ALTO | MODERARE | MODERARE |
Investi di più in aerei d’attacco a lungo raggio e missili | ALTO | ALTO | MODERARE |
Investi di più in missili antiradiazioni ad alta velocità (HARM) a lungo raggio | ALTO | MODERARE | MODERARE |
Investi di più nelle nuove tecnologie di guerra elettronica | MODERARE | MODERARE | BASSO |
Concentrarsi su missili convenzionali a guida di precisione a lungo raggio (ad es. attacco globale rapido convenzionale) | MODERARE | MODERARE | ALTO |
Concentrati sulle armi spaziali | BASSO | MODERARE | ALTO |
Concentrati sugli “aerei spaziali” | DA BASSO A MODERATO | MODERARE | ALTO |
Concentrati sui piccoli satelliti | BASSO | MODERARE | ALTO |
Opzione 3: aumento dei componenti aerei e missilistici della triade nucleare | |||
Rompere dal regime di controllo degli armamenti nucleari | BASSO | MODERARE | ALTO |
NOTA: Per tutte le tabelle di questo riassunto, le classifiche alte e basse per costi e rischi sono invertite in desiderabilità rispetto al resto della tabella; vale a dire, i costi bassi sono buoni nello stesso modo in cui lo è un’alta probabilità di successo. Pertanto, un basso costo è ombreggiato in arancione chiaro mentre una bassa probabilità di successo è ombreggiata in arancione scuro. Tutte le valutazioni elencate nelle tabelle di questo riassunto si basano sull’analisi degli autori del rapporto.
Misure imponenti sui costi marittimi
Foto di Sottufficiale di terza classe Declan Barnes/DVIDS
L’aumento della posizione e della presenza delle forze navali statunitensi e alleate nelle aree operative della Russia potrebbe costringere la Russia ad aumentare i suoi investimenti navali, distogliendo gli investimenti da aree potenzialmente più pericolose. Ma l’entità degli investimenti necessari per ricostituire una vera capacità navale in acque blu rende improbabile che la Russia possa essere costretta o indotta a farlo.
L’aumento degli sforzi di ricerca e sviluppo navale si concentrerebbe sullo sviluppo di nuove armi che consentano ai sottomarini statunitensi di minacciare una serie più ampia di obiettivi o migliorare la loro capacità di minacciare i sottomarini con missili balistici nucleari russi (SSBN), che potrebbero imporre costi di guerra anti-sottomarino alla Russia. I rischi sono limitati, ma il successo dipende dalla capacità di sviluppare queste capacità e dal fatto che siano sufficientemente in grado di influenzare le spese russe.
Spostare la posizione nucleare verso gli SSBN comporterebbe l’aumento della percentuale della triade nucleare statunitense assegnata agli SSBN aumentando le dimensioni di quella flotta. Mentre potrebbe costringere la Russia a investire in capacità che possono operare in un ambiente di acque blu in due oceani e ridurrebbe i rischi per la posizione strategica degli Stati Uniti, è improbabile che l’opzione induca la Russia a cambiare la sua strategia e, quindi, ad estendersi.
Il controllo dell’accumulo del Mar Nero comporterebbe il dispiegamento rafforzato dell’anti-accesso e della negazione dell’area dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) sul Mar Nero, forse sotto forma di missili anti-nave a lungo raggio a terra, per aumentare il costo di difendere le basi russe in Crimea e ridurre il vantaggio per la Russia di aver conquistato quest’area. La Russia organizzerebbe certamente una vigorosa campagna diplomatica e informativa per dissuadere gli stati costieri della NATO e non NATO dal partecipare. Inoltre, operare nel Mar Nero è politicamente e logisticamente più difficile per la Marina degli Stati Uniti rispetto alla Marina russa; è anche più pericoloso per il primo in un conflitto.
Opzioni che impongono costi marittimi | Probabilità di successo nell’estensione della Russia | Benefici | Costi e Rischi |
---|---|---|---|
Aumenta la postura e la presenza delle forze navali statunitensi e alleate | MODERARE | MODERARE | BASSO |
Aumentare gli sforzi di ricerca e sviluppo navale | MODERARE | MODERARE | MODERARE |
Sposta la postura nucleare verso SSBN | BASSO | BASSO | BASSO |
Controlla l’accumulo del Mar Nero | MODERARE | MODERARE | MODERARE |
NOTA: Per tutte le tabelle di questo riassunto, le classifiche alte e basse per costi e rischi sono invertite in desiderabilità rispetto al resto della tabella; vale a dire, i costi bassi sono buoni nello stesso modo in cui lo è un’alta probabilità di successo. Pertanto, un basso costo è ombreggiato in arancione chiaro mentre una bassa probabilità di successo è ombreggiata in arancione scuro. Tutte le valutazioni elencate nelle tabelle di questo riassunto si basano sull’analisi degli autori del rapporto.
Misure che impongono costi fondiari e multidominio
Foto di Anthony Sweeney/DVIDS
L’aumento delle forze statunitensi in Europa, l’aumento delle capacità di terra dei membri europei della NATO e il dispiegamento di un gran numero di forze della NATO al confine russo avrebbero probabilmente solo effetti limitati sull’estensione della Russia. Tutte le opzioni migliorerebbero la deterrenza, ma i rischi variano. Un aumento generale delle capacità delle forze di terra della NATO in Europa, inclusa la chiusura delle lacune di prontezza dei membri della NATO europei e l’aumento del numero di forze statunitensi di stanza in località tradizionali nell’Europa occidentale, avrebbe rischi limitati. Ma schieramenti su larga scala ai confini della Russia aumenterebbero il rischio di conflitto con la Russia, in particolare se percepiti come una sfida alla posizione della Russia nell’Ucraina orientale, in Bielorussia o nel Caucaso.
L’aumento delle dimensioni e della frequenza delle esercitazioni della NATO in Europa può aiutare a migliorare la prontezza e la deterrenza, ma è improbabile che susciti una costosa risposta russa a meno che le esercitazioni non inviino anche segnali rischiosi . Le esercitazioni NATO su larga scala tenute vicino ai confini della Russia e le esercitazioni che praticano scenari di contrattacco o offensivi potrebbero essere percepite come una dimostrazione dell’intento e della volontà di considerare operazioni offensive. Ad esempio, un’esercitazione NATO che simula un contrattacco per riconquistare il territorio NATO perso a causa dell’avanzata delle forze russe potrebbe sembrare un’esercitazione per prepararsi all’invasione di un pezzo di territorio russo, come Kaliningrad.
Sviluppo ma non dispiegamento di un missile a raggio intermediopotrebbe riportare la Russia in conformità con il Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio, ma potrebbe anche stimolare un’accelerazione dei programmi missilistici russi. Ritirarsi da quel trattato e costruire i missili ma non dispiegarli in Europa aggiungerebbe poco alle capacità degli Stati Uniti e probabilmente spingerebbe la Russia a schierare tali missili da sola e, forse, a investire di più nella difesa dai missili balistici. Fare l’ulteriore passo per dispiegare i missili in Europa, supponendo che gli alleati della NATO fossero disposti, richiederebbe quasi certamente anche una risposta russa, che potrebbe potenzialmente coinvolgere risorse sostanziali, o almeno il dirottamento di risorse sostanziali da altre spese per la difesa, sebbene sia difficile valutare quale quota sarebbe diretta verso le capacità difensive rispetto a quelle offensive o di ritorsione.
Investimenti incrementali in nuove tecnologie per contrastare le difese aeree russe e aumentare gli incendi a lungo raggio statunitensi potrebbero migliorare significativamente la difesa e la deterrenza, costringendo al contempo a maggiori investimenti russi in contromisure. Gli investimenti in tecnologie più rivoluzionarie e di nuova generazione potrebbero avere effetti ancora maggiori, date le preoccupazioni russe sui nuovi principi fisici, ma a seconda della capacità, tali investimenti potrebbero anche mettere a rischio la stabilità strategica minacciando il regime russo e la sicurezza della leadership in una crisi.
Opzioni che impongono costi per terreni e multidominio | Probabilità di successo nell’estensione della Russia | Benefici | Costi e Rischi |
---|---|---|---|
Opzione 1: aumento delle forze di terra USA e NATO in Europa | |||
Aumentare le forze americane in Europa | MODERARE | MODERARE | MODERARE |
Aumentare le capacità di terra dei membri europei della NATO | BASSO | ALTO | BASSO |
Schiera un gran numero di forze NATO al confine con la Russia | MODERARE | MODERARE | ALTO |
Opzione 2: aumento delle esercitazioni NATO in Europa | |||
Aumentare la dimensione della partecipazione degli Stati Uniti | BASSO | MODERARE | MODERARE |
Generare una mobilitazione di massa delle forze europee membri della NATO | BASSO | ALTO | MODERARE |
Tenere esercitazioni ai confini della Russia | MODERARE | MODERARE | ALTO |
Tenere esercizi praticando contrattacchi o scenari offensivi | MODERARE | MODERARE | ALTO |
Opzione 3: ritiro dal trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio | |||
Finanzia un programma di sviluppo missilistico senza ritirarti | MODERARE | BASSO | MODERARE |
Ritira e costruisci missili ma non schierarli in Europa | ALTO | BASSO | MODERARE |
Ritira, costruisci missili e schierati in Europa | ALTO | MODERARE | ALTO |
Opzione 4: investire in nuove capacità per manipolare la percezione del rischio russa | |||
Investire in miglioramenti incrementali nelle capacità di contro-accesso e negazione dell’area (ad esempio, sistemi missilistici tattici dell’esercito potenziati, missili guidati anti-radiazioni avanzati) | ALTO | MODERARE | MODERARE |
Investi in capacità rivoluzionarie, anti-accesso allo sciame e negazione dell’area | ALTO | ALTO | ALTO |
Investire in miglioramenti incrementali nelle forze di contrattacco/incendi (ad es. Javelin potenziato) | BASSO | BASSO | BASSO |
Investi in forze di terra/capacità di fuoco rivoluzionarie e senza pilota | MODERARE | MODERARE | MODERARE |
Investire in armi basate su “nuovi principi fisici” (ad es. armi di contro-difesa aerea a energia diretta) | MODERARE | ALTO | ALTO |
NOTA: Per tutte le tabelle di questo riassunto, le classifiche alte e basse per costi e rischi sono invertite in desiderabilità rispetto al resto della tabella; vale a dire, i costi bassi sono buoni nello stesso modo in cui lo è un’alta probabilità di successo. Pertanto, un basso costo è ombreggiato in arancione chiaro mentre una bassa probabilità di successo è ombreggiata in arancione scuro. Tutte le valutazioni elencate nelle tabelle di questo riassunto si basano sull’analisi degli autori del rapporto.
Implicazioni per l’esercito
Il compito di “estendere la Russia” non deve necessariamente ricadere sull’esercito e nemmeno sulle forze armate statunitensi nel loro insieme. In effetti, i modi più promettenti per estendere la Russia – quelli con il massimo beneficio, il minor rischio e la maggiore probabilità di successo – probabilmente non rientrano nel dominio militare. La Russia non sta cercando la parità militare con gli Stati Uniti e, quindi, potrebbe semplicemente scegliere di non rispondere ad alcune azioni militari statunitensi (ad esempio, spostamenti nella presenza navale); altre azioni militari statunitensi (ad esempio, posizionare le forze più vicine alla Russia) potrebbero alla fine rivelarsi più costose per gli Stati Uniti che per la Russia. Tuttavia, i nostri risultati hanno almeno tre implicazioni principali per l’esercito.
- L’esercito americano dovrebbe ricostruire le sue competenze linguistiche e analitiche sulla Russia. Poiché la Russia rappresenta una minaccia a lungo termine, l’esercito ha bisogno di sviluppare il capitale umano per impegnarsi in questa competizione strategica.
- L’esercito dovrebbe considerare di investire e incoraggiare gli altri servizi a investire di più in capacità, come i sistemi missilistici tattici dell’esercito, l’incremento della capacità di protezione antincendio indiretta 2, la difesa antiaerea a lungo raggio e altri sistemi progettati per contrastare l’anti-accesso russo e l’area capacità di negazione. L’esercito potrebbe anche considerare di spendere alcune risorse di ricerca e sviluppo per sistemi meno maturi e più futuristici (ad esempio, sciame di veicoli aerei senza pilota o veicoli da combattimento a distanza). Sebbene queste misure sarebbero probabilmente di per sé insufficienti per estendere notevolmente la Russia, andrebbero a beneficio degli sforzi di deterrenza degli Stati Uniti e potrebbero aumentare una politica più ampia dell’intero governo.
- Anche se l’esercito non fosse direttamente coinvolto nell’estensione della Russia di per sé, giocherebbe un ruolo chiave nel mitigare il possibile contraccolpo. Tutte le opzioni per estendere la Russia comportano dei rischi. Di conseguenza, il rafforzamento della posizione di deterrenza degli Stati Uniti in Europa e l’aumento delle capacità militari statunitensi (ad esempio, un giavellotto potenziato o sistemi di protezione attiva per i veicoli dell’esercito) potrebbero dover andare di pari passo con qualsiasi mossa per estendere la Russia, come un modo per proteggersi dal possibilità che le tensioni con la Russia sfocino in conflitto.
Conclusioni
Le opzioni più promettenti per “estendere la Russia” sono quelle che affrontano direttamente le sue vulnerabilità, ansie e punti di forza, sfruttando le aree di debolezza mentre minano gli attuali vantaggi della Russia. A questo proposito, la più grande vulnerabilità della Russia, in qualsiasi competizione con gli Stati Uniti, è la sua economia, che è relativamente piccola e fortemente dipendente dalle esportazioni di energia. La più grande ansia della leadership russa deriva dalla stabilità e dalla durata del regime, e i maggiori punti di forza della Russia sono nei regni militare e della guerra informatica. La tabella seguente attinge dalle tabelle precedenti per identificare le opzioni più promettenti.
La maggior parte delle opzioni discusse, comprese quelle elencate qui, sono in un certo senso escalation e la maggior parte probabilmente richiederebbe una contro-escalation russa. Pertanto, oltre ai rischi specifici associati a ciascuna opzione, c’è un rischio aggiuntivo da considerare in una concorrenza generalmente intensificata con un avversario dotato di armi nucleari. Ciò significa che ogni opzione deve essere deliberatamente pianificata e accuratamente calibrata per ottenere l’effetto desiderato. Infine, sebbene la Russia sosterrà il costo di questa accresciuta concorrenza meno facilmente degli Stati Uniti, entrambe le parti dovranno dirottare le risorse nazionali da altri scopi. L’estensione della Russia fine a se stessa non è nella maggior parte dei casi una base sufficiente per considerare le opzioni qui discusse. Piuttosto, le opzioni devono essere considerate nel più ampio contesto della politica nazionale basata su difesa, deterrenza,
Opzioni più promettenti per i costi | Probabilità di successo nell’estensione della Russia | Benefici | Costi e Rischi |
---|---|---|---|
Espandere la produzione di energia degli Stati Uniti | ALTO | ALTO | BASSO |
Imporre sanzioni commerciali e finanziarie più profonde | ALTO | ALTO | ALTO |
Aumenta la postura e la presenza delle forze navali statunitensi e alleate | MODERARE | MODERARE | BASSO |
Bombardieri di riposizionamento | ALTO | MODERARE | BASSO |
Investi di più in velivoli autonomi o a pilotaggio remoto | ALTO | MODERARE | MODERARE |
Investi di più in aerei d’attacco a lungo raggio e missili | ALTO | ALTO | MODERARE |
Investi di più in HARM a lungo raggio | ALTO | MODERARE | MODERARE |
Investi di più nelle nuove tecnologie di guerra elettronica | MODERARE | MODERARE | BASSO |
NOTA: Per tutte le tabelle di questo riassunto, le classifiche alte e basse per costi e rischi sono invertite in desiderabilità rispetto al resto della tabella; vale a dire, i costi bassi sono buoni nello stesso modo in cui lo è un’alta probabilità di successo. Pertanto, un basso costo è ombreggiato in arancione chiaro mentre una bassa probabilità di successo è ombreggiata in arancione scuro. Tutte le valutazioni elencate nelle tabelle di questo riassunto si basano sull’analisi degli autori del rapporto.
FONTE: https://www.rand.org/pubs/research_briefs/RB10014.html
CONFLITTI GEOPOLITICI
“GUERRA PER PROCURA” ALL’AFRICANA FINANZIATA DALLE BORSE OCCIDENTALI
Le ricche nazioni d’Europa sono abituate a giocare in Africa alle “guerre per procura”. E governi e vertici finanziari dell’Europa centrale e del Nord e della Gran Bretagna hanno accumulato una tale valanga di scheletri nell’armadio, frutto d’una decolonizzazione peggiore della colonizzazione, che temono i democratici Usa raccontino all’opinione pubblica cosa fanno gli europei in Africa. Ecco che l’Ue, per scongiurare finiscano sulla graticola i negrieri europei della finanza e della politica, appoggia ogni iniziativa Usa in Ucraina, anche a costo di ridurre alla fame ed in povertà l’ottanta per cento del popolo del Vecchio Continente. Fa tanta rabbia sentire giornalisti e delegati eletti dalla gente affannarsi nel sostenere “le guerre per procura non esistono, sono solo frutto delle fantasie dei complottisti”. E’ evidente che gli eserciti europei, per quanto abbiano arruolato mercenari (gente che combatte per lo stipendio) ed abolito la leva obbligatoria (l’esercito di popolo), siano in difficoltà e restii ad inviare direttamente truppe in Ucraina, temendo i danni possano superare i costi del finanziare una guerra combattuta da terzi e pagata dalle superpotenze occidentali (Usa, Ue e Gran Bretagna).
Mentre il ricco occidente delega, la Russia ci mette la faccia e schiera un esercito di popolo, come nella sua tradizione. Che sia per l’Occidente una “guerra per procura” emerge dal fatto che c’è una relazione diretta e duratura tra gli attori esterni ed i belligeranti coinvolti: una relazione sotto forma di finanziamenti, addestramento militare, armi ed altre forme di assistenza materiale che sostengono la fazione belligerante, il suo sforzo bellico. Oggi che la Russia non s’è piegata ai diktat di Washington, i poteri occidentali temono Mosca apra gli archivi, rivelando al mondo intero le tantissime “guerre per procura” combattute nei paesi poveri da Usa, Regno Unito, Belgio, Olanda, Francia, Germania. Naturalmente raccontando al mondo anche come gli Usa hanno influito sul declino delle democrazie scelte dai cittadini: esempio come tanti la congiura del Britannia per varare Tangentopoli in Italia. Un archivio davvero ragguardevole quello russo, progettato e costruito da Andrej Vyšinskij nel subito dopo Secondo conflitto, nel 1945, e per fronteggiare l’Occidente con l’informazione. Perché nel maggio del 1945 Winston Churchill stava convincendo Roosevelt ad aderire al piano d’attacco contro l’Unione Sovietica: l’operazione segreta Unthinkable (tradotto “operazione Impensabile”), perché nessuno avrebbe potuto immaginare che, l’Occidente sfiancato dalla guerra poteva sferrare un attacco al blocco del socialismo reale. L’operazione non si materializzava, ma Vyšinskij iniziava a collezionare notizie sul nemico per l’imminente “guerra fredda”. Notizie vere e documentate, che l’Occidente ha sempre bollato come “disinformazia”.
Del resto l’ipocrisia del cosiddetto “mondo libero e civile” si rivela tutta nella persecuzione giudiziaria in danno di Julian Assange, colpevole di aver rivelato come gli stati padroni delle leve finanziarie planetarie commettano i peggiori crimini, le peggiori nefandezze.
E l’Italia che fa? Tace ed accetta si combattano guerre per procura in nome di inconsistenti valori e prerogative di Nato, Onu ed Ue. Accetta a tal punto le angherie da accontentarsi dei soli esecutori degli omicidi dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo, ma senza minimamente azzardarsi a guardare oltre, indagando sui mandanti: questo è solo uno dei tantissimi casi, consumatosi in Congo, in cui l’Italia si mimetizza da spettatrice delle “guerre per procura” giocate in Africa dai ricchi paesi occidentali.
I censimenti sulle forze armate in Africa hanno fatto emergere che sarebbero in campo in quell’enorme continente dirimpettaio circa (per difetto) tremila eserciti pseudo rivoluzionari, mercenari e di liberazione a vario titolo. La domanda sorge spontanea: chi paga? Chi mette benzina in questi veicoli che dal Corno d’Africa sino alla Sierra Leone e dal Botswana sino al Mali si spostano per migliaia e migliaia di chilometri per combattere guerre per procura? A queste domande non risponderebbero mai i vari Draghi o le von der Leyen. Il loro timore sta tutto nel fatto che la Russia possa rivelare al mondo che l’Occidente paga i mercenari in Africa e gli eserciti paramilitari del narcotraffico in Sud e Centro America, dove nelle favelas vengono impunemente fucilati i bambini accusati di spaccio di droga (l’esecuzione sulla collina delle scimmie era stata fatta da una polizia locale formata dall’Fbi).
Dal Sahel al Corno d’Africa i gruppi armati evitano ci sia pace per le popolazioni. E qualcuno potrebbe rivelare come l’Occidente tratti con Boko Haram, Aqim (al-Qaeda nel Maghreb Islamico), al-Mourabitoun, Ansar Eddine ed al-Shaabab. Gruppi jihadisti e formazioni subsahariane utili all’Occidente per mantenere l’Africa in fibrillazione, attraverso le “guerre per procura”: comode all’Occidente per il controllo delle ex colonie, pagando gli eserciti africani ed insediando governi fantoccio corrotti.
Ciad, Nigeria, Camerun, Benin, sono solo alcuni dei territori africani ricchi di materie prime (dal petrolio all’uranio passando per le terre rare per fabbricare batterie): forse, nel bel mezzo della “guerra per procura” in Ucraina qualche fonte non occidentale potrebbe rivelare i programmi di addestramento di Francia e Usa per gli eserciti locali africani, insufficienti a fronteggiare l’espansione del jihadismo, ma bastevoli a costruire conflitti locali con forze pseudo rivoluzionarie pagate probabilmente dalle multinazionali occidentali. Così la logica del divide et impera lascia l’Africa in mano ai vecchi colonizzatori, che oggi non sono nemmeno vincolati a garantire diritti e giustizia, e perché da più di cinquantanni quelle terre non fanno più parte degli imperi coloniali. In questo parapiglia, stati occidentali e multinazionali garantiscono il perenne conflitto nelle ex terre d’oltremare, e le grandi società quotate in borsa acquisiscono dai governi corrotti i terreni più fertili e le commodity minerarie, a patto che i militari scaccino i contadini tribali. Ovviamente ai più giovani non rimare che arruolarsi in uno dei tremila eserciti od attraversare il Mediterraneo, e per cercare lavoro a casa dei negrieri.
Così l’Occidente malato, che perpetua il proprio potere alimentando insicurezza e destabilizzazione in ampie zone del pianeta, ha portato in Ucraina la “guerra per procura” all’africana. Non è certo un caso che siano stati individuati in Ucraina degli istruttori mercenari francesi, reduci del conflitto libico e della guerra civile in Costa D’Avorio. E non sarebbero pochi i “foreign fighters” anglosassoni, olandesi e statunitensi.
In questo scenario è normale gli stracci saltino per aria, che lo spirito di Andrej Vyšinskij dica a Vladimir Putin di aprire biblioteche ed archivi, per rivelare al mondo intero l’ipocrisia della “guerra giusta” dei democratici americani. Nel parapiglia c’è carne al fuoco anche per i migliori servi, così una volta per tutte potrebbero trovarsi svelati anche i segreti italiani, dall’omicidio di Enrico Mattei (voluto dalle Sette Sorelle) ai giochi finanziari sul Ponte Morandi passando per l’omicidio di Aldo Moro e fino alla caduta della Prima Repubblica.
Il rapporto stilato dal think thank statunitense Rand Corporation del 2019 n. RB-10014-A intitolato “Overextending and Unbalancing Russia” commissionato dall’esercito degli Stati Uniti analizza le strategie per colpire la Russia ed anticipa quanto avvenuto in Ucraina.
Il rapporto stilato tre anni fa, quindi quando ancora l’invasione russa dell’Ucraina non era ancora avvenuta, mette in risalto tutte le azioni dirette che gli Stati Uniti ed i suoi alleati potrebbero fare per destabilizzare e ostacolare lo sviluppo economico della Russia. Un documento che anticipa di tre anni quanto poi è accaduto dopo l’invasione russa dell’Ucraina e che deve far riflettere.
Il report inizia analizzando al situazione attuale della Russia e afferma che “ La Russia di oggi soffre di molte vulnerabilità: i prezzi del petrolio e del gas ben al di sotto del picco che ha causato un calo degli standard di vita, sanzioni economiche che hanno favorito quel declino, una popolazione che invecchia, l’aumento dell’autoritarismo di Vladimir Putin”. Tali vulnerabilità se “amplificate potrebbero portare ad un cambio di regime di ispirazione occidentale”.
Gli autori però constatano che “Nonostante queste vulnerabilità e ansie, la Russia rimane un paese potente che riesce ancora ad essere un concorrente alla pari con Stati Uniti in alcuni domini chiave. Riconoscendo che un certo livello di concorrenza con la Russia è inevitabile”. I ricercatori di RAND hanno condotto una valutazione qualitativa delle “opzioni che impongono costi” che potrebbero sbilanciare e colpire eccessivamente la Russia, opzioni che impongono degli oneri alla Russia comunque minori di quelli necessari agli Stati Uniti per perseguire tali obiettivi.
“Il lavoro si basa sul concetto di competizione strategica a lungo termine sviluppato durante la Guerra Fredda … Un fondamentale rapporto RAND del 1972 ha postulato che gli Stati Uniti dovevano spostare il loro pensiero strategico per tentare di stare davanti all’Unione Sovietica in tutti i campi e a cercare di controllare la concorrenza e incanalarla in aree di vantaggio per gli Stati Uniti”.
Una azione molto semplice e poco rischiosa con costi molto bassi, secondo il rapporto, sarebbe quella di aumentare la produzione energetica statunitense. Questa azione provocherebbe una contrazione del prezzo del petrolio e del gas e ridurrebbe i ricavi russi costringendo così il Cremlino a diminuire gli investimenti in armamenti.
“Adottando politiche che espandono l’offerta mondiale e deprimono i prezzi globali, gli Stati Uniti possono limitare le entrate russe. Ciò comporta pochi costi o rischi, produce benefici di secondo ordine per l’economia statunitense e non ha bisogno di un’approvazione multilaterale.”
Poi viene preso in esame la possibilità dell’applicazione di sanzioni economiche molto profonde. Aggiungo io che però per poterle applicare occorre un motivo valido quindi aver creato un punto di conflitto in Ucraina risponde proprio a questa necessità.
Si legge nel rapporto a tale proposito che “L’imposizione di sanzioni commerciali e finanziarie più profonde probabilmente degraderebbe anche l’economia russa, soprattutto se tali sanzioni sono complete e multilaterali. Pertanto, la loro efficacia dipenderà dalla volontà di altri paesi di aderire a tale processo”. W gli alleati degli Stati Uniti hanno risposto prontamente a questa opzione.
Parallelamente alle sanzioni poi occorre che l’unione Europea si smarchi dal gas di provenienza russa rendendo inoltre il mercato più flessibile. Cosa, quest’ultima, avvenuta nel vecchio continente successivamente a questo rapporto, infatti nell’aprile dello scorso anno il mercato del gas è stato completamente liberalizzato e le quotazioni avvengono, come sappiamo bene, nella borsa di Amsterdam con le conseguenze che sappiamo.
Sarà un caso ma Rand Corporation tre anni fa scriveva che “Aumentare la capacità dell’Europa di importare gas da fornitori diversi dalla Russia potrebbe pregiudicare economicamente la Russia e tamponare l’Europa contro la coercizione energetica russa … . ma per essere veramente efficace, questa opzione avrebbe bisogno che i mercati globali del GNL diventino più flessibili di quanto non siano già e avrebbe bisogno che il GNL diventi più competitivo con il gas russo”.
Si potrebbe poi “incoraggiare l’emigrazione dalla Russia di manodopera qualificata e di giovani russi” ma i risultati si vedrebbero solo dopo molto tempo e gli effetti non sarebbero molto significativi.
Se qualcuno a questo punto dubitasse ancora della premeditazione del conflitto incorso allora legga quanto segue:
“Fornire aiuti letali all’Ucraina sfrutterebbe il punto di maggiore vulnerabilità esterna della Russia. Ma qualsiasi aumento delle armi statunitensi e dei consigli all’Ucraina dovrebbe essere attentamente calibrato per aumentare i costi per la Russia per sostenere il suo attuale impegno senza provocare un conflitto molto più ampio in cui la Russia, a causa della vicinanza, avrebbe vantaggi significativi”.
Poco promettenti e dagli esiti incerti sarebbero, secondo il rapporto di Rand Corporation, le azioni di destabilizzazione dei paesi vicini ai confini russi, come “promuovere la liberalizzazione in Bielorussia che probabilmente non avrebbe successo” oppure agire in Transnistria per “ espellere le truppe russe dalla regione” che “sarebbe un colpo al prestigio russo, ma farebbe anche risparmiare denaro a Mosca e molto probabilmente imporrebbe costi aggiuntivi agli Stati Uniti e ai suoi alleati”.
Altro campo su cui lavorare è minare la credibilità della Russia in campo internazionale con azioni appropriate che potrebbero essere utili a far percepire alla popolazione che il governo non è in grado di “riportare la Russia alla sua antica gloria”. Si potrebbe rimuovere la “Russia dai forum internazionali non-ONU” e boicottare gli “eventi come la Coppa del Mondo”, cosa che poi è avvenuta.
Sul piano strettamente militare Rand Corporation suggerisce che “Il dispiegamento di ulteriori armi nucleari tattiche in località in Europa e in Asia potrebbe aumentare l’ansia della Russia abbastanza da aumentarne significativamente gli investimenti nelle sue difese aeree” ,mentre investire in “ sistemi di difesa missilistica balistica e armi spaziali allarmerebbe Mosca, ma la Russia potrebbe difendersi da tali sviluppi adottando misure che probabilmente sarebbero notevolmente più economiche dei costi di questi sistemi per gli Stati Uniti”.
Viene suggerito di aumentare la pressione militare nel Mar Nero “per aumentare il costo della difesa delle basi russe in Crimea per ridurre il beneficio per la Russia di aver sequestrato quest’area” anche se ciò implicherà un maggiore sforzo per gli alleati della NATO. Aumentare la frequenza delle esercitazioni in prossimità dei confini russi aumenterà la deterrenza ma non dovrebbe spingere il Cremlino ad aumentare le spese militari e potrebbe essere interpretata come un tentativo di invasione del paese.
Nelle conclusioni del rapporto si legge che “le opzioni più promettenti per “colpire la Russia” sono quelle che affrontano direttamente le sue vulnerabilità, ansie e punti di forza, sfruttando le aree di debolezza minando al contempo gli attuali vantaggi della Russia. A questo proposito, la più grande vulnerabilità della Russia, in qualsiasi competizione con gli Stati Uniti, è la sua economia, che è relativamente piccola e altamente dipendente dalle esportazioni di energia”.
Quindi un rapporto che esamina a fondo tutte le strategie possibili da metter in atto per distruggere la Russia, competitore economico e politico degli Stati Uniti. Rand Corporation evidenzia che il miglior modo per ottenere quanto desiderato è senza dubbio attaccare il Cremlino sul lato economico e dunque alla luce di quanto sta accadendo sul fronte ucraino pensare che il conflitto sia stato progettato con intenzionalità non credo sia una teoria di fantapolitica. Soprattutto perché se prendiamo in esame le sanzioni applicate ci rendiamo conto che erano state ben descritte in precedenza in questo rapporto.
Andrea Puccio – www.occhisulmondo.info
FONTE: https://www.occhisulmondo.info/2022/09/21/il-rapporto-di-rand-corporation-anticipa-quanto-avvenuto-in-ucraina/
Entropia. Per una geopolitica del presente
di Amedeo Maddaluno
Dopo dieci anni di studio delle questioni della geopolitica, dell’economia internazionale e delle strategie (militari e non) scelte dalle potenze, mi rendo conto sia ormai giunto il tempo di fare un primissimo bilancio, di vedere quali analisi e previsioni avessi “azzeccato” e quali no, di fare una verifica dell’utilità del metodo geopolitico per descrivere il presente e provare a divinare il futuro.
Già, divinare: non esiste alcun metodo scientifico per prevedere il futuro del mondo e dei singoli attori politici. Tecnologia, dati e algoritmi ci illudono di aver trovato il Sacro Graal, fino a quando non ci rendiamo conto che dover elaborare sistemi di calcolo sempre più complessi e raffinati che ingoino e digeriscano moli di dati sempre più considerevoli serve solo ad aumentare la complessità e non certo a diminuirla. È il paradosso delle cartine in scala 1:1: solo una mappa grande esattamente come il territorio che deve rappresentare è perfettamente precisa, ma è anche perfettamente e paradossalmente inutile. Ogni modello esplicativo include una semplificazione che lo rende per sua natura impreciso.
Non ci resta che provare a individuare tendenze, consci del fatto che, qualora dovessimo centrarle tutto sembrerà così facile ed evidente al senno di poi. Illusoriamente, le previsioni di sventura sembrano le più facili (si pensi alla celebre battuta del Nobel per l’economia Paul Samuelson: “Gli indici di Wall Street hanno previsto nove delle ultime cinque recessioni”) sempre al solito senno di poi, ma guarda caso sono anche quelle che nessuno vuole ascoltare.
Il metodo che chi scrive preferisce è sempre geopolitico, data la sua interdisciplinarità, la capacità di mettere a fattor comune la politica, le arti militari, l’antropologia, l’economia e soprattutto la storia e la geografia. Nel 2017, con Il Caos Globale, individuavo la tendenza del sistema politico ed economico mondiale verso il caos. Il mondo di oggi non sembra quello dell’equilibrio bipolare del post-Seconda Guerra Mondiale, meno che mai il mondo che, per relativamente pochi anni, ha visto un unico egemone, ma nemmeno ricorda il mondo ottocentesco dell’“ecologia delle potenze”, dei congressi di Vienna e delle conferenze di Berlino auspicato da Kissinger. Ricorda, ci si perdoni l’anacronismo – ma si apprezzi la metafora! – il sistema degli stati italiani rinascimentali, o dell’Europa pre-westfaliana: un bellum omnium contra omnes, un conflitto permanente per potere e risorse combattuto con ogni mezzo (la differenza manualistica tra guerra simmetrica e asimmetrica risulta ormai obsoleta e artificiosa) e, il dato peggiore, nel quale i contendenti a stento si riconoscono legittimità e dignità di competitore (quel che almeno vigeva tra gli stati post-westfaliani: il riconoscimento reciproco tra nemici). Riconosce forse la Federazione Russa la statualità dell’Ucraina? Non più di quanto abbiano fatto gli USA con la sovranità dell’Iraq. Hanno atteso gli USA il via libera del Consiglio di Sicurezza dell’ONU quando si trattò di bombardare la Jugoslavija nel ’99? Non più di quanto la Federazione Russa fece con la Georgia nel 2008. Jus in bello, jus ad bellum, justus hostis: tutti concetti in via di sparizione, con potenze “superiorem non recognoscens”. La pianto col latino, promesso: è la lingua del diritto, e il diritto internazionale sembra non vivere il suo momento migliore.
Quella tendenza venne dunque individuata correttamente. Nel 2018, con “La Guerra Fredda non è mai finita” (scritta con l’amico Stefano Cavedagna) ho provato a fare un passaggio ulteriore: provare a mettere ordine nel caos ricostruendo la strategia della principale potenza globale del Novecento (e del secolo in corso), gli Stati Uniti d’America. Quali sono le linee strategiche di Washington dal 1945 ad oggi?
Idealmente, quel libro si ricollega all’ultimissimo, “Afghanistan: il ritorno dei talebani”, del settembre 2021, dove tentavo di ricostruire le motivazioni del ritiro di Washington da Kabul: una pura disfatta, una lucida strategia o una situazione più sfumata, in cui rileviamo pezzi di entrambe? Nel 2018, proponevo un testo di carattere più generale, “Geopolitica, storia di un’ideologia”, dove mi occupavo generalmente dalla disciplina per meglio definirla.
A livello giornalistico, il termine “geopolitica” è usato come sinonimo di “politica internazionale”, quando in realtà è solo uno degli angoli della medesima: è la disciplina che studia la relazione tra potere e spazio geografico. È quindi un sistema di idee (un’ideologia, per l’appunto) un sistema che include narrazioni, immaginazioni dello spazio e del potere e del potere nello spazio e nel tempo, una parte della cultura dei popoli. Descritto il caos, ho provato dunque a cercare un ordine, un senso. Con il testo che avete tra le mani provo a trarre una conclusione a questo percorso: l’entropia, cioè (mi perdonino gli studiosi di fisica, ma si apprezzi la metafora!) un caos di energia e materia che però è comunque sottoposto a leggi fisiche, ed è descrivibile e intellegibile.
Nessuna tentazione panglossiana: tutte le previsioni “nette”, definitive e definitorie, sentite in questi anni, hanno miseramente fallito. Chi dava per certa la fine della globalizzazione ha sbagliato, tanto quanto ha sbagliato chi la dava per acquisita e immutabile. Chi descriveva come perfetto e intoccabile l’ordine liberale del mondo a guida americana ha sbagliato, tanto quanto chi, ormai da decenni, parla di declino assoluto degli USA come potenza. Chi diceva che, in ordine cronologico, l’11 Settembre, la crisi finanziaria del 2008, le “primavere arabe”, il COVID, l’invasione russa dell’Ucraina avrebbero cambiato totalmente il mondo ha sbagliato: eppure il mondo, dopo questi eventi, non è stato più lo stesso. Dopo l’11 settembre il mondo ha continuato a viaggiare, il terrorismo non è stato del tutto cancellato ma ha subito dei duri colpi. Dopo la crisi del 2008 la globalizzazione non è finita: i commerci e gli investimenti internazionali hanno (forse) segnato alcuni momenti di (relativo) rallentamento, ma continuiamo a vivere in un mondo globale e interconnesso. Dopo le cosiddette “primavere”, i paesi arabi hanno subito un’ondata di restaurazione cui sembrano esseri silenziosamente rassegnate quelle stesse società che ci venivano descritte quasi in procinto di accogliere una democrazia liberale anglosassone che non appartiene loro. Dopo il COVID le città sono tornate a popolarsi e la gente ha imparato a convivere col virus (almeno dove sono state implementate campagne vaccinali con sieri efficaci). Il ritiro USA dall’Afghanistan ha contribuito a convincere Mosca della debolezza dello zio Sam, non facendole prevedere il sostegno occidentale a Kiev: non è detto che l’incapacità moscovita di riannettersi l’Ucraina dissuada però la Repubblica Popolare Cinese dal provare ad annettere Taiwan con la forza.
Dunque, il bilancio del decennio di cui dicevamo. La tendenza più agevole da individuare era quella relativa alla fine dell’ordine (neo)liberale del mondo, un mondo basato sul mercato e sull’economia in cui gli USA fungessero da gendarme, così come descritto (auspicato?) da Fukuyama. Quell’ordine globale si è autodistrutto nelle proprie stesse contraddizioni.
Anche la narrazione dell’ “anti-Fukuyama”, Samuel Huntington, lo scontro di civiltà (teoria sposata da Oriana Fallaci), è stata agevole da smentire da parte di chi avesse la cultura e la buona fede di non vedere le “civiltà” umane e le culture come monoblocchi immutabili l’un contro l’altro armati. L’islamismo non ha inghiottito l’Islam, e gli stessi talebani afghani preferiscono ergersi a paladini del nazionalismo afghano antiamericano che non di una Ummah islamica globale da scagliare contro l’Occidente.
La terza tendenza corretta è stata appunto quella del ritorno dei nazionalismi e degli interessi nazionali, i quali portano anzi paesi islamici ad allearsi con Israele contro altri paesi islamici, l’Iran a cercare l’appoggio della Cina comunista e della Russia ortodossa in chiave antiamericana, mentre la Russia si impegna nella difficile ricerca di un equilibrio con Israele forte della propria radicata comunità ebraica. La geopolitica si è presa la propria rivincita sull’antropologia spiccia (che vede l’umanità divisa in mai esistiti monoblocchi religiosi) e sull’economia dogmatica (un neoliberismo “à la Chicago Boys” che vede l’economia come una scienza naturale e non umana, governata quindi da “leggi” sue proprie e non dalle scelte degli uomini). Non avendo un’ideologia (un sistema di idee-forza) fondante, a quegli schemi sembra essere rimasta legata solo l’Unione Europea, travolta dal proprio economicismo e dalla propria veduta corta, dal proprio (a lungo tempo rivendicato) approccio a-strategico, refrattario ad ogni idea di Interesse Nazionale Europeo.
La quarta tendenza è la resilienza (dopo tanto latino, provo a mascherarmi da moderno usando un termine di moda) dei poteri tradizionali. Il collasso dell’Europa e dell’Euro, puntualmente previsto ogni anno dagli euroscettici in un acrobatico esercizio di “wishful thinking”, non si è mai (non si è ancora) verificato. Ancora più resistente il Dollaro, e la relativa egemonia americana, in declino solamente relativo e non assoluto come alcuni ripetono da anni. Gli USA avrebbero dovuto essere scalzati dal Giappone tra gli anni ’80 e ’90, dall’Europa Unita tra i ’90 e i 2000, dai BRICS (ve li ricordate? Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, nuove “potenze talmente potenze” e con un’agenda talmente comune da meritarsi un acronimo) tra i 2000 e i ’10, e oggi dalla Cina. Vero, il Dollaro – e le infrastrutture di potere americane, come il circuito di messaggeria finanziaria SWIFT (la cui importanza indicai già nel miei scritti precedenti al 2022 quando divenne argomento comune) – un tempo non conoscevano concorrenti, mentre oggi iniziano a conoscerne: ma è proprio questa la differenza tra declino relativo e declino assoluto, del quale è improprio parlare rispetto ad una potenza che detiene ancora una spiccata leadership tecnologica sul resto del pianeta.
Geopoliticamente, gli USA hanno abbandonato l’inutile teatro centrasiatico. In modo indecoroso, corretto: ma non in modo esiziale. Hanno attirato per decenni la Russia nel pantano ucraino. Tengono sotto assedio l’Iran. Rafforzano il loro partenariato con la Cina, una Cina tutt’altro che ansiosa di sovraesporsi (vi ricordate le leggende metropolitane sui cinesi pronti a stabilirsi nella base afghana di Bagram, appena abbandonata dagli USA?). Con l’Europa ormai separata da Mosca, non devono più temere, ancora per un bel pezzo, una grande Europa gaullista “da Lisbona a Vladivostok”. L’industria manifatturiera europea rischia (rischia) di essere duramente colpita dalla crisi delle materie prime e dalla transizione ecologica; mai gli europei sono riusciti a darsi un settore tecnologico informatico o dei servizi paragonabile a quello nordamericano. Quanto alla Cina (in crisi demografica conclamata), sono le navi militari battenti bandiera a stelle e strisce a incrociare tra la Repubblica Popolare e Taiwan, e non quelle battenti bandiera rossa a pattugliare il mare tra Cuba e la Florida. Se per Washington questo non è di certo un mondo perfetto, sembra comunque il migliore dei mondi geopoliticamente possibili.
Una parola la meritano le potenze emergenti: la Russia, i cui critici danno per vicina al collasso per ragioni demografiche ed economiche da decenni, è ancora lì. Le torri del Cremlino non sono crollate neanche questa volta, e non crolleranno per le sanzioni. Le sanzioni non fermano le guerre nel breve periodo, e nel medio non causano cambi di regime, che anzi rafforzano: le popolazioni dei paesi sanzionati rispondono all’appello patriottico, diventano ancora più dipendenti dai governi per la distribuzione delle scarse risorse – mentre i dissidenti lasciano il paese sanzionato. I paesi sanzionati, sempre più isolati, sfuggono all’influenza esterna. Il vero danno subito dalla Russia lo vedremo sul lungo periodo, e sarà l’esclusione dalle catene tecnologiche mondiali: da quelle occidentali per scelta americana, da quelle cinesi per convenienza di Pechino (ormai più avanti di Mosca su quasi tutti i settori, interessata alle materie prime del vicino e desiderosa di usarlo come leva diplomatica). La Repubblica Popolare Cinese ha trascorso gli ultimi decenni ad investire ed accumulare capitale più ancora che ad esportare. Il progetto delle Vie della Seta non ha cambiato il mondo, ma la Repubblica Popolare è ormai saldamente presente in Africa. È un paese che ha tante debolezze quante forze, che non sarà facile per gli USA sconfiggere ma che sarà possibile contenere. Da qui la nostra conclusione: cerchiamo tendenze e strumenti, non previsioni secche: quelle le lasciamo ai lettori di foglie di the, fondi di caffè e sfere di cristallo. Il meglio dell’intellettualità italiana si diceva sicura, ancora nel Gennaio 2022, che nessuna invasione russa dell’Ucraina avrebbe avuto luogo: chi scrive dava quell’evento per improbabile (data la scarsità delle truppe schierate da Mosca l’invasione avrebbe avuto esiti militarmente infelici, quel che poi puntualmente si è verificato) ma non impossibile. Su Taiwan, ci sentiamo di escludere una guerra ancora per quest’anno e forse per il prossimo, non essendo la Repubblica Popolare Cinese ancora in grado di sostenere militarmente lo sforzo della conquista della Repubblica di Cina: più in là con la previsione di un singolo evento non ha senso spingersi.
Tendenze e strumenti quindi, ma mai schemi. Il mondo è troppo complesso per rientrarvi, e troppo caotico, o meglio ancora, entropico.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/23875-amedeo-maddaluno-entropia-per-una-geopolitica-del-presente.html
CULTURA
Definire Federico Caffè un semplice economista significa banalizzare molti aspetti che contribuiscono a renderlo uno dei personaggi più interessanti del Novecento repubblicano del nostro Paese. Alfiere del pensiero keynesiano e del welfare state, antifascista e attento osservatore della società italiana, Caffè è stato un intellettuale poliedrico ed enciclopedico, capace di ragionar d’economia cogliendo le implicazioni umane, sociali e culturali essenziali per la costruzione di una società fondata sul benessere degli individui.
Federico Caffè nacque il 6 gennaio 1914 a Castellammare Adriatico (Pescara), secondogenito di una famiglia economicamente modesta: il padre Vincenzo era un ferroviere, mentre la madre Erminia integrava il magro bilancio famigliare dirigendo un piccolo laboratorio di ricamo. Caffè rimase sempre molto legato alla madre, ereditando da essa la passione per la cultura letteraria, musicale ed estetica che caratterizzò l’eclettica personalità dell’economista per tutta la vita.
Diplomatosi a pieni voti presso l’Istituto Tecnico Tito Acerbo a Castellammare (riunificata con Pescara nel 1926), Caffè si trasferì a Roma da una cugina per frequentare gli studi universitari presso la facoltà di Economia e Commercio della Sapienza. La frequentazione dell’ateneo romano fu possibile grazie alla madre Erminia, che per raccogliere il denaro necessario vendette un piccolo podere di cui era proprietaria, riacquistato in seguito dallo stesso Caffè.
Caffè si laureò cum laude nell’ateneo romano il 17 novembre 1936 con una tesi intitolata L’azione dello Stato considerata nei suoi strumenti finanziari nell’ordinamento autarchico dell’economia italiana, discussa col Professor Guglielmo Masci, suo maestro assieme a Gustavo Del Vecchio. Il tema della tesi è emblematico di quell’attenzione per il ruolo dell’amministrazione centrale nella vita economica che caratterizzò il percorso intellettuale e professionale dell’economista pescarese.
Già alcuni mesi prima della laurea Caffè fece richiesta per entrare al Banco di Roma, dove prestò servizio nell’ufficio titoli dal 1936 al 1937. Nel giugno di quell’anno si dimise dal Banco, entrando a dicembre in Banca d’Italia come avventizio presso il Servizio Rapporti con l’Interno-Operazioni Finanziarie. Ottenuta la qualifica di segretario, nel 1939 passò al reparto Servizio del Personale, e nello stesso anno cercò di conseguire una borsa di studio senza però riuscirvi. Sempre in quell’anno Caffè divenne assistente volontario di Politica Economica presso la facoltà di Economia e Commercio della Sapienza.
Nonostante la sua modesta statura (appena un metro e mezzo) Caffè fu richiamato alle armi nel dicembre del 1940, e dopo aver frequentato il corso per ufficiali fu inviato in zona di guerra, dove venne impiegato in mansioni “sedentarie”. Quella del servizio militare fu per Caffè una scelta ben precisa, dettata dal senso del dovere verso molti altri colleghi e coetanei: prima del 1940 infatti aveva insistito per non essere “riformato”, cioè esentato dal servizio militare, ma di esser dichiarato “rivedibile”[1], lasciandosi aperta la strada di un futuro impegno nell’esercito.
Nel 1941 il governatore della Banca d’Italia Vincenzo Azzolini, dopo forti insistenze, riuscì ad ottenere il rientro di Caffè dal fronte insieme ad altri colleghi ritenuti indispensabili per l’attività della Banca. L’anno successivo ottenne l’abilitazione all’insegnamento del diritto e dell’economia negli istituti secondari, e nel 1943 fu nominato componente del Servizio studi della Banca d’Italia, lavorando in qualità di civil servant con il nuovo governatore Donato Menichella, rimanendo nell’istituto fino al 1954.
Il 1943 è anche l’anno dell’armistizio di Cassibile, della fuga del re a Brindisi e dell’occupazione nazista: Caffè, che in quel periodo lavorava a Roma, fu richiamato alle armi dalla RSI, ma la scelta di non arruolarsi con i repubblichini lo costrinse a entrare in clandestinità. Rimase ad abitare nella capitale, dove riuscì a scampare miracolosamente a due rastrellamenti, uno dei quali fu quello di Via Rasella[2], dove l’economista risiedeva dopo esser sfuggito alla prima retata nazista.
Vicino alle istanze democratico-liberali e azioniste, nonché al riformismo cattolico di Giuseppe Dossetti e Amintore Fanfani, negli anni della guerra Caffè partecipò alla Resistenza da non combattente, militando nel Partito democratico del Lavoro, fondato l’8 Settembre 1943 da Ivanoe Bonomi e Meuccio Ruini. Caffè collaborò con quest’ultimo in qualità di consulente sia nel governo Bonomi III (dicembre 1944-giugno 1945), dove Ruini fu ministro dei lavori pubblici, sia nel governo Parri (giugno-dicembre 1945), dove lo stesso ricoprì il dicastero della Ricostruzione delle terre liberate.
La partecipazione di Caffè alla commissione economica del Ministero della Costituente[3], istituito dal governo Parri e presieduto da Pietro Nenni, segnò la fine del suo percorso politico in favore di un impegno totale nella ricerca scientifica. Nel 1947 vinse una borsa di studio in Inghilterra alla London School of Economics, soggiornando nella capitale inglese dall’ottobre di quell’anno all’agosto del 1948. A Londra Caffè fu testimone entusiasta della coesione sociale e dello sforzo collettivo del popolo inglese nella ricostruzione, guidata dal governo laburista di Clement Attlee, di cui Caffè condivise gli indirizzi liberalsocialisti ispirati dal Libro Bianco di William Beveridge e dalle nuove teorie macroeconomiche di John Maynard Keynes.
Al ritorno in Italia Caffè si adoperò sin da subito per la diffusione del pensiero keynesiano, incontrando però forti diffidenze non solo nel mondo accademico, arroccato su posizioni neoclassiche, ma anche negli stessi ambienti di sinistra. Infatti nel difficile clima politico della ricostruzione, egemonizzato dalle istanze di containement del presidente Truman e dalla questione tedesca, le forze socialcomuniste preferirono infatti assegnare priorità alla tattica politica, rimandando il riformismo socioeconomico (peraltro in corso d’opera in buona parte d’Europa) a quella vittoria elettorale che però non si realizzò mai. Caffè fu nel corso degli anni estremamente critico del tatticismo delle sinistre (anche nei momenti di maggior forza politica), paradossalmente preoccupate di non spaventare troppo il ceto medio al fine di strapparlo all’egemonia democristiana.
Federico Caffè: l’economista di frontiera
L’attività accademica di Caffè, protrattasi a fasi alterne fino alla fine della guerra, assunse un carattere più coerente e costante dal marzo 1949, quando ottenne la libera docenza di politica economica e finanziaria alla Sapienza di Roma. Il 6 dicembre dello stesso anno fu nominato assistente incaricato alla cattedra di Scienza delle Finanze della stessa università, divenendo poi assistente straordinario nell’ottobre 1951 al fianco del professor Gustavo del Vecchio, già relatore e maestro durante gli anni di studio.
Nell’ottobre 1954 si dimise dall’incarico a Roma per assumere a tempo pieno la docenza alla cattedra di economia politica nella Facoltà di Giurisprudenza dell’ateneo Bolognese. Qui farà ritorno nel novembre 1956 dopo un periodo trascorso alla Facoltà di Economia di Messina come professore straordinario di Politica Economica e Finanziaria, trasferendosi poi definitivamente, dopo sei anni di peregrinaggio accademico, alla Facoltà di Economia e Commercio della Sapienza di Roma nel luglio 1959 come ordinario di Politica Economica e Finanziaria, dove rimarrà fino alla fine della sua carriera.
Il lungo impegno accademico di Caffè fu affiancato da un’intensa attività pubblicistica e scientifica. Dal 1959 fu direttore dell’Istituto di politica economica e finanziaria, per cui curò una collana di pubblicazioni, prima con la casa editrice Giuffrè e poi presso la Franco Angeli Editore. Profondo conoscitore del pensiero economico italiano e internazionale, Caffè curò con grande perizia filologica raccolte di saggi di autori nazionali, tra cui Francesco Saverio Nitti e Luigi Einaudi, e autori stranieri, con una particolare attenzione per gli economisti di quei paesi scandinavi in cui si stava affermando nella sua forma più compiuta il Welfare State.
Lo sforzo di Caffè di “sprovincializzare” la cultura economica italiana, arroccata su anguste parrocchie culturali e scuole di pensiero dogmatiche, non si esaurì esclusivamente nell’infaticabile opera di traduzione di centinaia di saggi in lingua straniera. Egli fu infatti dal 1965 al 1974 direttore dell’Ente per gli studi monetari, bancari e finanziari “Luigi Einaudi” di Roma, responsabile dell’erogazione di borse di studio che permisero a molti giovani economisti italiani di frequentare le più prestigiose università straniere e di entrare a contatto con il pensiero economico internazionale.
La modernizzazione dell’istituzione università intrapresa da Caffè non si espresse solo nella diffusione di nuovi paradigmi, come potevano essere quelli keynesiani, e di nuove modalità di apprendimento, ma anche nella trasformazione dello stesso personale accademico. Nel triennio (1973-76) di direzione del Dipartimento di Economia Pubblica de La Sapienza egli chiamò all’insegnamento prestigiosi docenti come Sergio Steve, Claudio Napoleoni e Guido M. Rey, lasciando un’impronta indelebile nell’insegnamento dell’economia nell’ateneo romano.
L’impegno di Caffè pubblicista si esercitò soprattutto in direzione di una corretta informazione economica e sociale, concretizzatasi nell’assidua collaborazione con le testate Il Messaggero e Il Manifesto oltre alla consulenza economica svolta per la casa editrice Laterza. Definito spesso un “economista di frontiera”, Caffè era perfettamente consapevole dell’esistenza di una solida interrelazione tra il fatto economico, spesso snaturato a semplice “meccanica della contabilità”, e le sue componenti politiche e psicologiche. Se infatti da un lato il sistema del welfare e i suoi corollari economici per Caffè erano indissolubilmente legati alla sostanza della Costituzione del ‘48 (lo svuotamento del primo avrebbe quindi determinato il deterioramento della seconda), dall’altro l’informazione economica, se dispiegata in modo incorretto e terroristico (ad esempio sull’argomento dello spread e della minaccia dei mercati), poteva corrompere la dialettica politica e provocare politiche antisociali.
Banco di prova delle teorie di Caffè, oltre ovviamente all’insegnamento universitario, fu la prolungata e prestigiosa attività civile e pubblica. Nel Servizio Studi della Banca d’Italia, di cui fece parte dal 1943, egli curò i rapporti con l’estero, seguendo con attenzione le principali vicende delle relazioni economiche europee e internazionali e collaborando con le relative istituzioni economiche. In quasi quarant’anni di lavoro, dapprima come funzionario e poi, nel 1954, in veste di consulente, Caffè partecipò a innumerevoli attività: dai negoziati con la Banca Mondiale per i finanziamenti nell’immediato dopoguerra all’esecuzione del Piano Marshall e ai rapporti con l’OCSE e con il Fondo Monetario Internazionale.
Negli ultimi anni la vita di Caffè fu turbata da dolorose tragedie: a distanza di poco tempo perse la madre ultranovantenne e la vecchia tata Giulia, colpita da un tumore, a cui l’economista era profondamente legato. Alla morte delle donne della sua vita si aggiunse anche la perdita tragica e inaspettata di amici e allievi, tra cui Fausto Vicarelli, collega alla Sapienza morto in un incidente stradale nel 1986, ed Ezio Tarantelli, economista assassinato dalle Brigate Rosse nel 1985 a causa del ruolo svolto nel taglio degli scatti della scala mobile decretato nel 1984.
Lo sconforto di Caffè era legato anche al raggiungimento dei limiti d’età per l’insegnamento, sua unica vera ragione di vita, che lo aveva costretto al pensionamento. Inoltre in un periodo come gli anni Ottanta dello scorso secolo, in cui il neoliberismo si stava riappropriando degli spazi sottrattigli per trent’anni del pensiero keynesiano, la magnificazione delle virtù taumaturgiche del “libero mercato”, di fatto inesistente e spesso fonte di sperequazione sociale, disoccupazione e corruzione finanziaria, non poteva che mortificare profondamente il più keynesiano degli economisti, impegnato per tutta la propria esistenza al sostegno di efficaci politiche anticicliche e del social welfare state.
E così, tra la notte del 14 e l’alba del 15 aprile 1987, Federico Caffè lasciò la propria abitazione romana in Via Cadlolo, sulla collina di Monte Mario, scomparendo per sempre senza lasciar alcuna traccia. Le ipotesi sulla scomparsa dell’economista, ad oggi ancora irrisolta, sono molteplici, anche se la pista più probabile è quella di un allontanamento volontario. Molti hanno voluto vedere la sua scomparsa come una sorta di esilio, simile a quello del fisico Ettore Majorana, che l’economista vedeva come unica alternativa praticabile al suicidio. Infatti, pochi giorni prima della sua scomparsa si era tolto la vita Primo Levi (in circostanze altrettanto sospette): appresa la notizia, Caffè ne rimase colpito, chiedendosi “Perché sotto gli occhi di tutti? Perché straziare i parenti?”.
Undici anni dopo la scomparsa, l’8 agosto 1998, il Tribunale di Roma dichiarò la morte presunta di Caffè, apponendo un sigillo ad una vicenda destinata a non avere epilogo.
La lezione di Federico Caffè
L’adesione di Caffè al pensiero keynesiano, di cui fu uno dei maggiori esponenti e promotori italiani, risponde all’esigenza di costruire e implementare un sistema alternativo a quello “mercatocentrico”, capace quindi di supplire alle oggettive mancanze di un’economia di mercato. Non si deve pensare però a un ripresa in chiave radicale del pensiero di Keynes da parte di Caffè, dove le virtù della mano invisibile vengono rimpiazzate dalla deificazione dello Stato. La formulazione teorica dell’economista pescarese era invece orientata verso una via intermedia, un capitalismo epurato dagli elementi di disequilibrio attraverso l’intervento pubblico in materia di regolamentazione della concorrenza. Attraverso un’efficace legislazione antimonopolistica il mercato sarebbe stato infatti libero di operare in condizioni concorrenziali, garantendo livelli di prezzi stabili e incrementi produttivi crescenti.
Per Caffè l’azione pubblica non si esauriva tutta nella regolamentazione giuridica di una sola componente del mercato, cioè l’offerta. Per l’economista il mercato era una struttura valida ma incompleta sotto tutti i punti di vista, incapace cioè sia di garantire condizioni ottimali dal lato dell’offerta (per Caffè il mercato, se lasciato libero di agire, tendeva necessariamente verso l’oligopolio) sia di assicurare un livello della domanda tale da giustificare la produzione stessa.
Nel pensiero keynesiano l’offerta è una componente strettamente dipendente dai livelli della domanda: se nessuno ha abbastanza reddito da spendere, la produzione non avrà alcun motivo di produrre più di quanto viene domandato, tantomeno di assumere più di quanto sia necessario. L’equilibrio che viene a definirsi nei casi in cui la domanda è insufficiente è detto equilibrio di sottoccupazione, poiché i principali fattori della produzione sono impiegati in maniera non ottimale, causando disoccupazione e un impiego non adeguato del capitale. Per Caffè, che recepiva integralmente la tradizione keynesiana, lo scopo fondamentale dell’economia era la riduzione ai minimi termini della disoccupazione, raggiungibile solo attraverso efficaci politiche anticicliche capaci di garantire livelli adeguati di domanda e consequenzialmente di reddito e occupazione.
L’azione pubblica nella vita economica di un Paese, lontana dai richiami statolatri d’epoca fascista, rispondeva invece a una costruzione teorica definita da Caffè “economia del benessere”, intesa come la ricerca dei principi da utilizzare come guida nelle decisioni di politica economica. Questo strumento metodologico si poneva come necessario sia per determinare gli standard minimi delle condizioni di vita di una popolazione (che si configuravano quindi come gli obiettivi stessi di politica economica) sia per individuare le modalità attraverso le quali assicurare gli stessi standard. La ricerca delle linee guida della politica economica conferiva quindi alla teoria economica di Caffè una marcata impostazione volontaristica, in cui la costruzione di un sistema di welfare era essenzialmente vincolata a un elevato grado di partecipazione politica e al riformismo della classe dirigente nazionale.
Nell’ultimo decennio di vita Caffè, preoccupato dall’affievolirsi della vocazione riformatrice della sinistra italiana diresse i propri sforzi teorici verso la definizione degli strumenti necessari per il controllo democratico dell’economia. In un articolo pubblicato nel marzo 1982 sul Manifesto, l’economista sottolineava l’importanza di arrivare a una separazione fra gestione dell’intermediazione finanziaria, affidata ai poteri pubblici, e attività produttiva, nelle mani di un mercato in condizioni concorrenziali, denunciando inoltre i poteri occulti degli operatori borsistici e il lassismo nei confronti dei controlli sui movimenti di capitale[4].
L’urgenza di porre sotto stretta sorveglianza i movimenti di capitale e la speculazione internazionale portarono Caffè a individuare negli organismi sovranazionali un efficace strumento di stabilità finanziaria, utili a svolgere le tradizionali funzioni di prestatori di ultima istanza per scongiurare il diffondersi di crisi di dimensioni mondiali. La collaborazione economica doveva però avvenire tra paesi in condizioni di parità, sotto la sorveglianza non già di una baronìa tecnocratica, ma di un consesso politico e democratico. A tal proposito Caffè fu critico verso la tendenza del Fondo Monetario Internazionale a usare due pesi e due misure con i paesi in surplus e quelli in deficit: ai primi infatti era permesso di bloccare la rivalutazione delle loro monete, impedendo di fatto la diminuzione automatica dell’export e perciò il riequilibrio delle partite correnti[5]; ai paesi debitori era invece imposta la svalutazione delle monete, costringendoli inoltre a politiche fiscali restrittive e pesanti tagli di bilancio.
Altro punto su cui Caffè ritornò più volte fu l’importanza della scala mobile[6], cioè il meccanismo di indicizzazione dei salari, introdotto nel 1975 con un accordo tra la CGIL e Confindustria[7], che permetteva di adeguare le retribuzioni all’inflazione corrente. La maggiore accusa rivolta alla scala mobile da suoi detrattori era quella di promuovere l’inflazione, dato che gli aumenti erano corrisposti di volta in volta non in base all’inflazione reale, ma in base a quella attesa. In tal modo gli aumenti di potere d’acquisto correlati agli aumenti salariali risultavano esser maggiori rispetto alle diminuzioni di potere d’acquisto causati dall’inflazione reale. Per l’economista al contrario l’effetto del meccanismo d’indicizzazione sull’inflazione era irrisoria, essendo gli aumenti di quest’ultima causati in misura maggiore dall’aumento dei prezzi amministrati e delle tariffe pubbliche. A tal proposito il raffreddamento del fenomeno inflattivo era possibile solo bloccando tali prezzi, e insieme introducendo delle limitazioni quantitative all’importazione di beni non necessari che avrebbero portato al riequilibrio della bilancia commerciale e all’apprezzamento della moneta. Alla fine la scala mobile fu notevolmente indebolita per decreto dal governo Craxi nel 1984 e poi definitivamente abolita nel 1992.
Cosa direbbe Caffè del mondo d’oggi? Difficile dirlo, ma si può immaginare la sua opinione critica di fronte a rigidi parametri di convergenza, politiche fiscali univocamente restrittive e tassi d’inflazione vicini allo zero. Si può anche facilmente ipotizzare la sua reazione di fronte ad un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 30%. Era del resto lo stesso Caffè, nelle sue lezioni universitarie a mettere in allerta rispetto alle conseguenze catastrofiche della disoccupazione sulla scorta dell’esperienza del ’29. Di fronte al prevalere di politiche di austerità e al permanere di un consenso in merito a ricette di politica economica ispirate ai principi neoliberisti la lezione di Caffè, nella sua apparente inattualità, rivela in realtà la sua forza nel presentare un diverso modo di pensare l’economia. Proprio lui, che in un libro del 1977 si augurava un’economia senza profeti, potrebbe oggi essere paradossalmente visto come tale.
[1] L’individuo dichiarato rivedibile risulta temporaneamente inabile al servizio militare e rinviato perciò ad una visita successiva nell’arco di un determinato periodo. Essere riformato significa invece essere dichiarato inabile al servizio in maniera definitiva.
[2] Il 23 marzo 1944 un gruppo di partigiani fece esplodere a Roma in Via Rasella una bomba contro un reparto delle forze d’occupazione naziste, uccidendo 33 militari. Per rappresaglia, il comandante dei servizi segreti tedeschi nella capitale Herbert Kappler ordinò l’esecuzione di 335 tra civili, soldati e partigiani italiani, che ebbe luogo il giorno dopo l’attentato alle Fosse Ardeatine
[3] All’interno della commissione, presieduta da Giovanni Demaria, Caffè fu membro della Sottocommissione per la moneta e il commercio con l’estero, dove curò per conto di quest’ultima il Rapporto su il risanamento monetario. Caffè ritornò più volte nei suoi scritti su quella esperienza, che a suo avviso doveva e poteva essere considerata come la base conoscitiva indispensabile per una politica economica moderna, nonché l’occasione mancata per la modernizzazione sociale del Paese.
[4] In seguito all’abbandono del sistema di Bretton Woods nel 1971 e al trionfo delle politiche neoliberiste negli anni Ottanta, la liberalizzazione dei movimenti di capitali ha permesso un aumento dei volumi speculativi internazionali. Grazie alla maggior libertà di circolazione del denaro sono state possibili operazioni che hanno spesso causato gravissime conseguenze sulle economie nazionali e internazionali (attacco speculativo alla Lira del 1992 e crisi finanziaria del 2007).
[5] È questo il caso della Germania e del suo Marco. È da notare a tal proposito che l’introduzione della moneta unica (barattata al tempo dal placet europeo alla riunificazione delle Germanie) ha permesso alla Germania di mantenere i vantaggi di un surplus economico permanente, evitando una eventuale rivalutazione del Marco e quindi il ribasso dell’export.
[6] La necessità di un meccanismo che riequilibrasse il potere d’acquisto in base all’inflazione era particolarmente urgente nell’Italia degli anni settanta, dove il fenomeno inflattivo toccò punte del 25%.
[7] In realtà il meccanismo della scala mobile fu introdotto in Italia nel 1945, mentre trent’anni dopo venne introdotta quella “a punto unico”, cioè unica a prescindere dalla categoria, dalla qualifica, dal genere e dall’età del lavoratore.
CARRARO SU ILFATTOQUOTIDIANO.IT – GLI UMANI FUTURI SECONDO YUVAL NOAH HARARI
Pubblicato il 5 Giugno 2022
L’uomo si è sempre interrogato sul futuro. A volte, come nel caso del marxismo, si è anche convinto di aver individuato le ineluttabili leggi del divenire storico in grado di spiegare il radioso destino a cui l’umanità sarebbe necessariamente chiamata. Attualmente, il “domani” è atteso con speranza, o indagato con preoccupazione, a seconda della visuale da cui lo si scruta.
Ci sono quelli convinti che una feconda cooperazione sempre più stretta fra gli Stati, con il contributo decisivo della scienza e della tecnologia, non potrà che aprirci sviluppi favorevoli. Ciò condurrà – se non alle “magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria – quantomeno a un sensibile miglioramento delle condizioni globali. Costoro, pertanto, ripongono grandi aspettative nelle varie “agende” partorite da organizzazioni come l’Onu o da associazioni private come il World Economic Forum. Secondo quest’approccio, non bisogna aver paura del futuro, ma semmai della “paura” stessa. E chiunque – lungi dal condividere tale rassicurante visione degli anni a venire – denuncia il rischio di derive distopiche, viene guardato con sospetto. Peggio: chi paventa l’avvento di un nuovo modello di convivenza sociale informato a una logica trans-umana, o addirittura anti-umana, è all’istante etichettato con ben noti, e screditanti, epiteti.
Vi è da chiedersi, allora, se non vi possa essere una prospettiva differente, un diverso modo di accostarsi all’argomento. Insomma una maniera, per così dire, “neutrale” in grado di muoversi al di fuori degli schemi sopra descritti: quello della fiducia nel futuro per partito preso (dell’andrà tutto bene, diciamo) e quello dei vaticinii apocalittici (dell’è già tutto scritto, per capirci). In questa operazione, può forse aiutarci uno storico israeliano – per certi versi, un “futurologo” – assolutamente ben visto dal cosiddetto mainstream. Ci riferiamo a Yuval Noah Harari, definito, in un articolo pubblicato su Repubblica.it nel 2020 “uno degli intellettuali più seguiti del pianeta”. Una voce, quindi, non facilmente archiviabile nel novero dei famigerati cospirazionisti.
In un suo libro del 2015, Homo Deus. Breve storia del futuro, il nostro si cimenta nel tentativo di immaginare dove si stia effettivamente dirigendo il mondo. E lo fa tenendosi ben lontano sia dalla politica degli “auspici” sia da quella degli “anatemi”. In altri termini, ad Harari non interessa comunicarci ciò che lui desidera per il futuro dell’uomo, come fanno invece molte agenzie internazionali e diversi sedicenti (nonché multimiliardari) filantropi. E neppure intende spaventarci. Gli importa, piuttosto, comprendere (e far comprendere) quale sia l’avvenire più “probabile” sulla base dei recenti sviluppi scientifici e tecnologici.
Ebbene, Harari ritiene che sia alle viste una “rivoluzione copernicana” del modo in cui tradizionalmente è inteso l’essere umano. Il quale non sarà più da considerarsi (e non sarà più visto come) un “individuo” dotato di libero arbitrio (in base al più classica approccio “umanista”), bensì come un coacervo di algoritmi, una mera propaggine di quella sconfinata rete di informazioni interconnesse che lo scrittore definisce “internet di tutte le cose”.
Ecco come Harari descrive (senza rivendicarlo come proprio) questo punto di vista: “Gli organismi sono algoritmi e gli umani non sono individui, essi sono ‘divisibili’. Ovvero gli umani sono un assemblaggio di molti algoritmi differenti privi di un’unica voce interiore o di un singolo sé. Gli algoritmi che costituiscono un umano non sono liberi. Sono plasmati dai geni e dalle pressioni ambientali, e prendono decisioni in maniera deterministica o a caso, ma non liberamente. Un algoritmo che monitora ciascuno dei sistemi attivi nel mio corpo e nel mio cervello potrebbe sapere chi io sia realmente, come mi senta e che cosa desideri. Una volta sviluppato, un algoritmo del genere potrebbe sostituire l’elettore, il consumatore e l’osservatore”.
Tuttavia, l’aspetto ancor più inquietante della disamina di Harari riguarda il “tipo” di società con cui “più probabilmente” avranno a che fare i nostri discendenti (ma forse anche noi riusciremo a vederla, purtroppo): “Alcuni individui costituiranno una piccola e privilegiata élite di umani potenziati. (…) D’altro canto, la maggior parte degli uomini non sarà potenziata, e di conseguenza diventerà una casta inferiore dominata sia dagli algoritmi informatici sia dai nuovi superuomini”.
Questo scenario non è poi così distante dalle (per la verità, è assai vicino alle) più fosche previsioni di tutti coloro i quali – inesorabilmente bollati come complottisti – si ostinano a metterci in guardia sul futuro. E anche sulle presenti, e presunte, “buone intenzioni” di chi alacremente lavora alle varie agende finalizzate a realizzarlo. Forse non è troppo tardi per un serio dibattito sul tema.
www.francescocarraro.com
FONTE: https://www.francescocarraro.com/carraro-su-ilfattoquotidiano-it-gli-umani-futuri-secondo-yuval-noah-harari/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
LA FEDERAZIONE RUSSA SI PREPARA ALLE MINACCE USA DI TERZA GUERRA MONDIALE
Riportiamo la traduzione integrale del dispositivo di legge della Federazione Russa: l’atto è di meno di ventiquattro ore fa.
È stato pubblicato il Decreto sulla mobilitazione parziale in Russia, in ottemperanza alle leggi federali del 31 maggio 1996 n. 61-FZ “Sulla difesa”, del 26 febbraio 1997 n. 31-FZ “Sulla mobilitazione formazione e mobilitazione in la Federazione Russa” e datata 28 marzo 1998 n. 53-FZ “In servizio militare e servizio militare”, decido: 1. Di dichiarare una mobilitazione parziale nella Federazione Russa dal 21 settembre 2022. 2. Effettuare la chiamata dei cittadini della Federazione Russa al servizio militare per la mobilitazione nelle forze armate della Federazione Russa. I cittadini della Federazione Russa chiamati al servizio militare mediante mobilitazione hanno lo status di personale militare in servizio nelle forze armate della Federazione Russa in base a un contratto. 3. Stabilire che il livello di retribuzione dei cittadini della Federazione Russa chiamati al servizio militare mediante la mobilitazione nelle Forze armate della Federazione Russa corrisponda al livello di retribuzione del personale militare che presta servizio nelle Forze armate della Federazione Russa in base a un contratto . 4. I contratti per il passaggio del servizio militare stipulati da personale militare restano validi fino al termine del periodo di mobilitazione parziale, ad eccezione dei casi di revoca del personale militare dal servizio militare per i motivi previsti dal presente decreto. 5. Stabilire durante il periodo di mobilitazione parziale i seguenti motivi per il licenziamento dal servizio militare del personale militare in servizio militare in base a un contratto, nonché dei cittadini della Federazione Russa chiamati al servizio militare per la mobilitazione nelle forze armate russe Federazione: a) per età – al raggiungimento del limite di età il servizio militare; b) per motivi di salute – in relazione al riconoscimento da parte della commissione medica militare come inabile al servizio militare, ad eccezione del personale militare che abbia manifestato la volontà di proseguire il servizio militare in posizioni militari che possono essere sostituite dal personale militare indicato; c) in connessione con l’entrata in vigore di una sentenza del tribunale sull’irrogazione di una pena detentiva. 6. Al Governo della Federazione Russa: a) finanziare interventi di mobilitazione parziale; b) adottare le misure necessarie per soddisfare le esigenze delle forze armate della Federazione Russa, di altre truppe, formazioni e organismi militari durante il periodo di mobilitazione parziale. 8. I più alti funzionari degli enti costitutivi della Federazione Russa assicurano la coscrizione dei cittadini per il servizio militare per la mobilitazione nelle Forze armate della Federazione Russa nel numero e nei termini stabiliti dal Ministero della Difesa della Federazione Russa per ogni entità costituente della Federazione Russa. 9. Fornire ai cittadini della Federazione Russa che lavorano in organizzazioni del complesso militare-industriale il diritto di differire dalla coscrizione per il servizio militare per la mobilitazione (per il periodo di lavoro in queste organizzazioni). Le categorie di cittadini della Federazione Russa a cui è concesso il diritto al differimento e la procedura per concederlo sono determinate dal governo della Federazione Russa. 10. Il presente decreto entra in vigore dal giorno della sua pubblicazione ufficiale.
FONTE: https://www.lapekoranera.it/2022/09/21/la-federazione-russa-si-prepara-alle-minacce-usa-di-terza-guerra-mondiale/
Fuga di massa di russi in Georgia? Il (piccolo) particolare omesso dai media
Francesco Fustaneo 6 09 2022
Il video diffuso dalla BBC che illustra le immagini di lunghissime code al confine tra Russia e Georgia riporta immagini reali.
La cosa che i giornali hanno però omesso di dire, quando fino a ieri condividevano la notizia, imputandola ad una fuga di massa dei russi per sottrarsi a un eventuale arruolamento obbligatorio, è che il Ministero locale per le situazioni di emergenza aveva annunciato che il traffico fosse tornato alla normalità già nella mattinata di giovedì ( Fonte: https://15.mchs.gov.ru/deyatelnost/press-centr/operativnaya-informaciya/4844669).
Il luogo imputato, il check point di Upper Lars, altro dato omesso, non è nuovo a problemi di code chilometriche. Testualmente come riporta questo articolo scritto nel luglio scorso: “Qui, a causa dell’intensità del traffico estivo, della riparazione della strada, iniziata dai russi, e qualcos’altro, gli ingorghi di ore stanno di nuovo regnando lì causando code. Proprio come l’anno scorso e in generale, come sempre…
La situazione a Lars a volte finisce per interessare ai media quando le linee di auto si estendono per decine di chilometri o quando persone famose rimangono bloccate lì, come una volta è successo con [la presentatrice televisiva, giornalista] Ksenia Sobchak, che come lei stessa ha affermato, è finita in “un ingorgo di 12 ore”.
( Fonte : https://caliber.az/en/post/93118/)
FRANCESCO FUSTANEO
Laureato in Scienze Economiche e Finanziarie presso l’Università degli Studi di Palermo.
Giornalista pubblicista dal 2014, ha scritto su diverse testate giornalistiche e riviste tra cui l’AntiDiplomatico, Contropiano, Marx21, Quotidiano online del Giornale di Sicilia.
Si interessa di geopolitica, politica italiana, economia e mondo sindacale
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-fuga_di_massa_di_russi_in_georgia_il_piccolo_particolare_omesso_dai_media/45289_47416/
I nuovi poteri forti. Come Google, Apple, Facebook e Amazon pensano per noi (Franklin Foer)
Una delle tesi fondamentali e più interessanti de I nuovi poteri forti. Come Google, Apple, Facebook e Amazon pensano per noi (Longanesi) è che queste aziende fenomenali, a differenza dei vecchi colossi del capitalismo, hanno la presunzione di venderti degli ideali. È interessante leggere questo libro perché, pur essendo del 2017, è perfettamente attuale. E, come Il cerchio di David Eggers, getta una luce critica nei confronti di questi beniamini del mercato.
L’autore Franklin Foer, giornalista e scrittore, ha il dente avvelenato. Come lui stesso ammette, fu fatto fuori da direttore di The New Repubblic da Chris Huges, uno dei primi dipendenti di Facebook. E la ferita gli brucia ancora. Foer non è certo uno di quei liberali che piacciono a noi. Al contrario, è uno di quei liberal che potrebbe ben descrivere Tom Wolfe in un salotto di Washington. Eppure nel suo libro ci sono molti spunti che val la pena cogliere. L’impatto del suo mondo con quello della Silicon Valley è micidiale. Unire la California dei figli dei fiori che hanno fatto i miliardi e indossano le t-shirt con i giornalisti dell’East Coast non deve essere semplice. Due mondi che si scontrano.
Eppure, come ricorda, nessuno di loro si scandalizzò quando Obama, il presidente che piace a tutti, fece una parte della sua campagna elettorale grazie all’aiuto personale dell’allora boss di Google che si trovava nel suo quartier generale la notte delle elezioni. Il libro è una grande storia in forma di saggio. Certo un po’ squilibrato sul lato comunicazione. Bezos è detestabile, secondo Foer, per la sua ipocrita democratizzazione del post. Ma in fondo è esattamente quanto facevano e pensavano, in modo altrettanto falso, i suoi precedenti possessori.
Si scandalizza Foer quando Bezos dice ai suoi nuovi dipendenti che il loro unico padrone «sono i lettori». Già sentita da queste parti montanelliane. Vabbè. Meno approfondite sono le sue pratiche commerciali sul resto, che hanno di fatto reso Amazon il più grande supermercato del mondo. Il libro val la pena leggerlo. Se non fosse che per il racconto di come è nata la mentalità della Silicon Valley: un impasto di idealismo, sessantottismo e tecnologia. La storia di Stewart Brand, il figlio dei fiori, da cui nasce tutto, è importante. «Anche se i monopoli della Silicon Valley – scrive l’ex direttore del New Republic – esistono per generare profitti, vedono se stessi come rivoluzionari che stanno tentando di innalzare il pianeta verso quello stato di unità che Brand ha inseguito tutta la vita».
Ma nel visionario Brand ci sono tratti libertari affascinanti, come quelli espressi in un articolo del ’72 su Rolling Stone: nella nostra comunity tecnologica, nella Silicon Valley «le regole non sono imposte tanto da decreti o norme, quanto dalle più rigide esigenze del possibile». Un concetto che su privacy e atteggiamento nei confronti delle regole del mercato sembra essere stato ben sviluppato.
FONTE: https://www.nicolaporro.it/i-nuovi-poteri-forti-come-google-apple-facebook-e-amazon-pensano-per-noi-franklin-foer/
DIRITTI UMANI
In Afghanistan, i cristiani “subiscono torture sistematiche”
ECONOMIA
GAS: MARGIN CALL!
Ieri giornata davvero interessante, con chiamate a margine sul settore energetico ovunque, yen ai minimi da oltre 24 anni nei confronti del dollaro, sempre tonico ovunque e soprattutto crollo del gas europeo e rottura del supporto per il prezzo del petrolio e del brent.
Oltre 1,5 trilioni di dollari di chiamate a margine per il trading energetico, il settore energetico europeo in crisi ovunque, come abbiamo visto ieri, Austria, Germania, Svezia, Finlandia, la situazione è davvero tragica.
Immagino che ci sarà da salvare qualche altro criminale, che gioca con i prezzi del gas con i soldi dei contribuenti.
Non solo, Eurelectric, associazione europea che rappresenta più di 3.500 utilities, ha lanciato un warning sull’incremento delle garanzie dovute dai produttori di energia elettrica.
Tralasciando gli speculatori, anche le aziende devono coprirsi dalla volatilità dei prezzi, immaginatevi cosa può succedere con volatilità è oscillazioni spesso e volentieri a doppia cifra, talvolta anche del 40%!
Miliardi di garanzie che oggi le aziende non hanno in liquidità e allora aprono linee di credito che a loro volta corrono il rischio di ulteriori chiamate a margine.
Si torna ad agitare lo spettro della Lehman Brothers, lo ha fatto addirittura il ministro dell’economia finlandese, ma è sempre la stessa storia, il sistema finanziario è marcio!
Sino a quando la politica non metterà becco nella fogna che circonda il sistema finanziario attuale, nessuna speranza per popoli e contribuenti.
European energy trading is being strained by margin calls of at least $1.5 trillion, putting pressure on governments to provide more liquidity buffers, according to Norway’s Equinor ASA.(Bloomberg)
Ma inutile sperare nella politica, c’è troppa gente ignorante che pascola nelle sale di Bruxelles, comunque anche il banchiere ha fatto una figura pessima e la sua reputazione ha subito un colpo durissimo.
Basta pensare ad Eni e ai suoi profitti, Enel e altri ancora, che rivendono energia a prezzi correnti lucrando performance a tre cifre.
E oggi la BCE aumenterà i tassi, l’ennesimo suicidio monetario della storia.
La BOC, banca centrale canadese ha alzato i tassi oltre il 3 % prima volta in oltre 14 anni. Hanno un mercato immobiliare in bolla e i privati indebitati all’inverosimile. Non c’è limite alla follia.
Oggi non siamo di fronte ad un eccesso di domanda aggregata, ma l’inflazione dipende quasi esclusivamente dall’aumento dei costi energetici e non dalla domanda, dalle disfunzioni create nel mercato dalla pandemia che ora sono state assorbite anche se qualcuno continua a marciarci sopra.
Aumentando i tassi ora si rischia, un crollo degli investimenti, della produzione, maggiori costi energetici e produttivi associati ad un aumento del costo di finanziamento o rifinanziamento ucciderà le imprese europee ed italiane.
I banchieri fanno sempre le mosse sbagliate nel momento sbagliato!
Questa non è stagflazione, questa rischia di diventare una depressione.
I prezzi del petrolio scendono a livelli mai visti da inizio anno, ben prima dell’inizio della guerra.
I rendimenti hanno risposto immediatamente, iniziando a scontare un rintracciamento futuro dell’inflazione.
Come scritto prima ora la parola alla BCE!
FONTE: https://icebergfinanza.finanza.com/2022/09/08/gas-margin-call/
Debito pubblico, una questione di interessi
PAPER
Il dibattito sul debito pubblico italiano raramente ha brillato per lucidità. Senza voler riprendere la sterminata letteratura che lo riguarda, possiamo affermare che, in prima approssimazione, si affrontano due schieramenti: da un lato c’è chi ritiene che di esso non ci si debba preoccupare troppo e sostiene tale tesi a dispetto dell’evidenza; dall’altro ci sono quelli che lo considerano invece un problema, con sfumature anche molto diverse per quanto riguarda la sua rilevanza.
Sulle cause dell’esplosione del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo se ne sono sentite di tutti i colori: per i moralisti “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”; per i giustizialisti “sono i lavoratori autonomi che non pagano le tasse”; per i futuristi “viviamo sulle spalle delle future generazioni”; per gli austeritisti “c’è troppa spesa pubblica”; per gli integerrimi “è tutta questione di corruzione”; per i giovanilisti “si spende troppo per le pensioni”; e così via, ben oltre ogni limite d’immaginazione.
Vi è, tuttavia, un aspetto curioso che accomuna una buona parte dei commentatori che si (pre)occupano del debito pubblico italiano: essi sembrano nutrire uno scarso interesse verso le cifre che caratterizzano questo aggregato. In particolare, sembra esservi una relazione di proporzionalità inversa tra la veemenza con cui ci si scaglia contro il debito pubblico e l’interesse a capire come esso abbia raggiunto le dimensioni attuali. Insomma, siamo nel tipico caso in cui ci si guarda bene dall’esaminare i numeri per evitare di offendere rispettabili opinioni precostituite.
Eppure, ricostruire la dinamica del rapporto tra debito pubblico e PIL, anche per sommi capi come fatto nel presente lavoro, risulta sommamente istruttivo. E, a mio parere, fornisce preziose indicazioni sulla direzione da intraprendere per ottenere l’auspicata riduzione di tale quoziente.
Il parametro considerato per svolgere l’analisi è stato il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo, nella convinzione che questo esprima meglio di altri l’effettivo onere posto a carico delle finanze pubbliche, oltre a rappresentare la metrica più nota di misurazione di tale aggregato.
Ho pensato che fosse opportuno calcolare il peso delle determinanti che hanno condotto un Paese come l’Italia, contraddistinto da un sistema economico sufficientemente evoluto, ad accumulare una quantità di debito così elevata in un lungo periodo di (relativa) pace. A questo scopo, ho sviluppato lo studio a partire da una formula descrittiva della dinamica temporale del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo[1], così che la situazione all’anno 1 sia legata a quella dell’esercizio precedente (anno 0) secondo la relazione:
dove:
D = ammontare del debito pubblico
Y = prodotto interno lordo a valori nominali
INT = interessi passivi pagati dalla Pubblica Amministrazione
SP = saldo primario dei conti pubblici (entrate – spese al netto degli interessi)[2]
PRIV = proventi da privatizzazioni
VERS = contributi versati dall’Italia per gli interventi di salvataggio europei (EFSF, ESM, accordi bilaterali)
RES = residuo a quadratura
g = tasso di crescita reale del PIL italiano
p = deflattore del PIL italiano
La variazione del rapporto tra debito pubblico e PIL è stata scomposta attribuendone una quota a ognuna delle sue determinanti[3], in modo da capire il ruolo che vi hanno giocato e come esso sia evoluto nel tempo. Il contributo di ognuna delle variabili elencate (con l’ovvia eccezione del debito stesso e dell’ammontare del PIL) è stato calcolato isolandolo da quello delle altre, secondo il principio ceteris paribus. Gli effetti derivanti dalle correlazioni tra tutte le variabili sono stati invece sommati algebricamente alla componente residuo (RES) e, per semplicità di lettura, rappresentati nell’unica voce “Residuo e correlaz.”. I calcoli sono stati eseguiti partendo dal valore Debito/PIL della fine del 1979 ed esaminando le variazioni intervenute nell’intervallo temporale dei 37 anni che vanno dal 1980 al 2016[4].
Per comodità di lettura, ho suddiviso tale arco temporale in decenni, in modo da offrire uno sguardo differenziato in relazione al diverso quadro economico e politico di ogni epoca (al quale si farà solo un fugace riferimento nei commenti). Pertanto, lo studio delle determinanti dell’evoluzione del rapporto tra debito pubblico e PIL è stato suddiviso nei seguenti periodi:
- 1979 – 1989: la parte terminale della prima repubblica;
- 1989 – 1999: la fine della guerra fredda, l’inizio della seconda repubblica e l’ascesa del processo di globalizzazione;
- 1999 – 2009: il consolidamento del processo di globalizzazione, lo scoppio della crisi subprime e la grande recessione;
- 2009 – 2016: la crisi dei debiti sovrani e la deflazione nell’Eurozona.
La tabella seguente riporta la sintesi dei vari contributi[5] alla dinamica del rapporto debito pubblico / PIL per ogni decennio e il loro totale nel periodo 1980 – 2016. I numeri esprimono l’aumento (segno positivo) o la diminuzione (segno negativo) del rapporto attribuibile ad ogni variabile nel decennio specificato (l’ultima riga non è altro che il totale di colonna).
In dettaglio:
1979 – 1989: la parte terminale della prima repubblica.
In questo periodo, il peso del debito pubblico sul PIL è cresciuto di ben 32 punti percentuali. Il fattore determinante tale crescita è rappresentato dagli interessi passivi (+80,6 punti di PIL). Altri 50,1 punti sono da attribuire al disavanzo primario. Discreto il contributo alla discesa del parametro da parte della crescita reale del PIL (-18,1 punti) e rilevante quello del deflatore del PIL (-67,4 punti) legato al tasso di inflazione piuttosto robusto di quegli anni.
1989 – 1999: la fine della guerra fredda, l’inizio della seconda repubblica e l’ascesa del processo di globalizzazione.
Il quadro cambia con l’avvento degli anni ’90. La manovra del governo Amato nel 1992 e la rincorsa per l’aggancio alla moneta unica europea, imposta dai governi dell’Ulivo a partire dal 1996, mutano la struttura dei conti pubblici, che tendono a presentare avanzi primari anche consistenti. Cosicché, mentre la componente interessi passivi accentua la sua pressione verso l’alto sul rapporto debito / PIL (+ 106,7 punti), il saldo primario viene a cambiare di segno diventando un elemento di contenimento del peso del debito (-27,4 punti). Si entra, inoltre, nel periodo delle privatizzazioni delle aziende pubbliche, sebbene dai dati emerga che il loro contributo alla riduzione dell’incidenza del debito non sia stato determinante (-6 punti nel decennio).
La crescita reale del PIL rispecchia sostanzialmente il contributo dato nel decennio precedente (anche se è inferiore di circa 4 punti). Invece, la spinta contenitiva del deflatore del PIL appare meno efficace (solo 42 punti di riduzione contro i -67,4 del periodo precedente), probabile conseguenza del convergere dell’inflazione italiana verso la media europea.
Nel complesso, negli anni ’90 del peso del debito pubblico sul PIL è aumentato di quasi 22 punti.
1999 – 2009: il consolidamento del processo di globalizzazione, lo scoppio della crisi subprime e la grande recessione.
In questo decennio, l’allineamento dei tassi di interesse in prossimità di quelli dei Paesi core dell’Unione Monetaria permette di contenere la spinta all’incremento della voce interessi passivi (51,9 punti di PIL rispetto ai 106,7 della decade precedente). Scende anche la forza contenitiva dell’avanzo primario (-19,1 punti contro -27,4) e non manca il contributo dei proventi da privatizzazioni, anche se rimane su valori sostanzialmente marginali.
Vi è, però, una rottura con il passato: si riduce drasticamente la capacità della crescita reale del PIL di contenere l’incremento del peso del debito. Appena -5,2 punti, anche in conseguenza della “grande recessione” del 2009. La stessa componente inflattiva (deflatore del PIL) appare meno incisiva, dimezzando il suo effetto di abbattimento del peso del debito rispetto al decennio precedente.
In questa decade comunque un miglioramento evidente c’è se la crescita dell’incidenza del debito pubblico sul PIL è limitata a meno di tre punti percentuali.
2009 – 2016: la crisi dei debiti sovrani e la deflazione nell’Eurozona:
Questo periodo si presenta come uno dei più difficili per l’economia italiana. Nel 2010 scoppia la crisi del debito greco, seguita dalle difficoltà di Irlanda, Portogallo, Cipro e successivamente Spagna. Nel 2011 le tensioni si scaricano anche sull’Italia i cui titoli di Stato sul mercato secondario si deprezzano rapidamente.
In questi sette anni il peso del debito pubblico sul PIL aumenta di oltre 19 punti, portandosi al livello record del 132%. Ancora una volta sono gli interessi passivi a guidarne l’aumento. La politica di bilancio (saldo primario) non va oltre una riduzione di 9,7 punti; irrilevante è il contributo delle privatizzazioni, mentre i versamenti effettuati ai fondi di salvataggio europei (e quelli bilaterali alla Grecia) appesantiscono il rapporto di 3,6 punti.
A causa del biennio di recessione (2012 – 2013) sperimentato sotto l’esecutivo Monti, l’effetto della “crescita” reale del PIL cambia di segno e, addirittura, determina un leggero incremento del parametro in esame. Nello stesso tempo, però, la deflazione in cui cade il nostro Paese (e l’Europa) limita drammaticamente anche il contributo stabilizzatore del deflatore del PIL che si riduce a solo -8,5 punti.
Qualche considerazione finale.
È difficile sfuggire al dato più rilevante evidenziato dall’analisi: in tutto il periodo e in tutti i sottoperiodi esaminati, il principale (quando non l’unico) fattore di crescita del rapporto tra debito pubblico e PIL è rappresentato dagli interessi passivi. Il saldo primario, con l’eccezione del primo decennio, ha costantemente contribuito a ridurre il peso del debito sul PIL, in particolare durante il percorso di aggancio alla moneta unica europea. E questo ha rilevanti implicazioni sui meccanismi di genesi del debito, non essendo stata tanto la spesa pubblica (pensioni, sanità, etc.) o la scarsità di risorse fiscali a gonfiare il debito, bensì gli interessi pagati su quel debito stesso. Questa prova dovrebbe mettere una pietra tombale sul cicaleccio di quanti si ostinano a sostenere che “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”, che “ah, le pensioni di anzianità”, che “non ci possiamo permettere la sanità pubblica” e altre corbellerie di tal fatta. In tutto il periodo esaminato, lo Stato italiano si è dissanguato non tanto per garantire ai propri cittadini migliori e più numerosi servizi ma piuttosto, perversamente, per corrispondere una generosa remunerazione ai propri finanziatori (sia nazionali che esteri).
In questo panorama, la scelta di tagliare la spesa pubblica per pagare gli interessi sul debito appare in una luce affatto nuova. Non una asettica necessità derivante da imperscrutabili meccanismi tecnici, bensì la decisione di penalizzare le fasce meno abbienti della popolazione per continuare a garantire un soddisfacente reddito ai creditori del debito pubblico nazionale.
Inoltre, i dati ci dicono che il più efficace strumento per contenere l’aumento del peso del debito non sarebbe affatto la crescita economica (con buona pace di tutti i “crescitisti”), bensì il deflatore del PIL (assimilabile, per certi versi, all’inflazione). Purtroppo, guardando al futuro, non sarebbe bene fare molto conto sul deflatore del PIL come strumento per limitare il peso del debito sul PIL (peraltro, per diverse ragioni che non è possibile esaminare qui, non sarebbe neanche desiderabile). Infatti, appare difficile immaginare una ripresa dell’inflazione a causa dell’attuale panorama di modesta dinamica economica e, soprattutto, nel quadro di un’Unione Monetaria che premia le economie più efficaci nel ridurre le retribuzioni (e le tutele) dei lavoratori. Finché la via maestra per aumentare la competitività dei sistemi produttivi nazionali sarà considerata la compressione salariale, vi sono poche probabilità di vedere i prezzi al consumo riprendere una dinamica fisiologica.
Da qui l’utilità di ragionare in termini di rendimento reale dei titoli pubblici. Infatti, se prendiamo in esame i due contributi alla variazione del rapporto tra debito pubblico e PIL quali la spesa per interessi e il deflattore del PIL, otteniamo una approssimazione (dal punto di vista logico) del contributo ascrivibile al rendimento reale dei titoli pubblici. L’evoluzione di tale valore nell’arco di tempo in osservazione è rappresentata nel grafico sotto[6]:
Si noti come fino al 1983, ancora due anni dopo il “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia, il contributo alla variazione del rapporto debito / PIL legato al rendimento reale dei titoli pubblici (inteso come sopra specificato) risulti addirittura negativo: ossia, la remunerazione corrisposta agli investitori rimaneva inferiore all’inflazione (o meglio, al deflattore del PIL). Successivamente, il dispiegarsi dell’effetto del “divorzio” legato alla sostituzione dei vecchi titoli in scadenza, l’impennata dei tassi di interesse derivante dalla crisi della lira nel 1992 e la progressiva riduzione della dinamica inflazionistica hanno fatto sì che il rendimento reale sia diventato il fattore più propulsivo dell’incremento del rapporto tra debito e PIL (nel 1992 e 1993 sono stati toccati i massimi, con crescite intorno all’8 per cento annuo). Negli ultimi anni, l’incremento del rapporto debito / PIL attribuibile al rendimento reale pare essersi stabilizzato nell’intorno del 3% annuo.
È dal 1992 che la riduzione del peso del debito sul PIL viene perseguita attraverso gli avanzi primari. Alla luce dei risultati, si tratta di un percorso inefficace che, in ogni caso, richiede tempi lunghi, anche a causa delle ricadute di tale scelta sulla dinamica economica e sui prezzi (tempi, in ogni caso, incompatibili con le regole del fiscal compact[7]). In alternativa, il contenimento del rapporto tra debito pubblico e PIL si potrebbe realizzare mediante la riduzione del rendimento reale corrisposto sui titoli pubblici, ma questa sua compressione richiede un intervento di indirizzo politico di non semplice articolazione che non è possibile trattare in questa la sede[8], sebbene, alla luce dell’emergenza, esso risulti ormai indispensabile. Infatti, questa strada appare come l’unica via per riportare, in un arco temporale ragionevole, l’incidenza del debito su valori meno patologici e, in tal modo, tornare a conferire ai governi italiani uno spazio di manovra fiscale e di politica economica degni di un Paese sovrano. Ma, fattore ancora più rilevante, il dispiegamento di maggiori risorse pubbliche rappresenta altresì la condizione necessaria per mantenere quell’indispensabile coesione sociale senza la quale l’esistenza stessa di una nazione appare pericolosamente messa in discussione.
*Responsabile del Centro Studi e Analisi Economiche e Finanziarie di UnipolSai Assicurazioni
Le opinioni espresse nel presente documento sono di responsabilità esclusiva dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale dell’ente di appartenenza.
[1] Per chi volesse approfondire la materia consiglio di consultare: ISTAT “Notifica dell’indebitamento netto e del debito delle amministrazioni pubbliche secondo il trattato di Maastricht” e il REGOLAMENTO (UE) N. 549/2013 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 21 maggio 2013, relativo al Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nell’Unione europea.
[2] La somma algebrica tra INT e SP dà il disavanzo netto, più noto come deficit pubblico.
[3] Devo ringraziare Verena Brufatto per la paziente e intelligente opera di ricostruzione dei dati.
[4] Debito, PIL, disavanzo netto, spesa per interessi sono stati tratti dagli archivi forniti da Prometeia e da ISTAT / Datastream; i ricavi da privatizzazioni e i versamenti ai fondi di salvataggio europeo sono stati tratti da Banca d’Italia (tabelle TCCE0100, TCCE0300).
[5] I dati sono espressi in valori percentuali sul PIL.
[6] Nel grafico è stato rappresentato il contributo alla variazione del rapporto debito / PIL tenendo conto anche dell’effetto della correlazione tra le due variabili.
[7] G. Gattei, A. Iero, Fiscal Compact: quanto ci costi?, www.economiaepolitica.it/, 8 maggio 2014.
[8] Ad esempio, si veda E. Grazzini, Tre proposte per ridurre il rapporto debito pubblico / PIL, www.economiaepolitica.it/, 14 marzo 2018.
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Direttiva dell’UE sul salario minimo: cosa prevede e quale è la posizione dei partiti?
In seguito alle preoccupazioni europee degli ultimi anni, quali la sicurezza energetica, l’uguaglianza di genere, l’adeguatezza dei salari e molti altri, in autunno gli eurodeputati dovrebbero finalmente approvare una serie di leggi volte a tutelare questi temi importanti.
In questo articolo cercheremo di approfondire il tema del salario minimo in Italia, chiarificando quali saranno le principali conseguenze per i lavoratori italiani e le posizioni dei partiti, in vista delle elezioni.
Con l’approvazione della Direttiva Europea sul salario minimo del 12 luglio 2022, l’UE invita gli stati membri ad approvare leggi nazionali a tutela del lavoratore.
Tuttavia, tale provvedimento non prevede alcun obbligo da parte dei Paesi Europei, ma si limita a delineare dei criteri per definire i minimi salariali. Lo scopo è quello di fissare un minimo salariale equo, in grado di garantire ai lavoratori uno stile di vita adeguato.
L’obiettivo dunque è quello di eliminare le disuguaglianze salariali e ridurre il più possibile il numero di contratti precari.
Cosa è il salario minimo?
Nei paesi dell’Unione Europea, esistono due tipologie di salario minimo:
- Salario minimo legale: previsto a livello nazionale tramite leggi specifiche.
- Salario minimo definito dai contratti collettivi: ovvero contratti stipulati tra sindacati e datore di lavoro.
Ad oggi, tutti i Paesi dell’Unione Europea con l’eccezione di 6 Stati membri, hanno già introdotto il salario minimo legale. Tra questi 6 Stati fanno parte Italia, Danimarca, Finlandia, Svezia, Cipro e Austria.
Facendo riferimento ai 21 Paesi Europei che ad oggi prevedono il minimo legale, l’ammontare mensile varia drasticamente da paese a paese. Infatti, come mostrato nel grafico di seguito, tenendo conto delle statistiche pubblicate da Eurostat, la Bulgaria è il Paese che prevede un minimo salariale più basso, mentre il Lussemburgo quello più elevato.
Come viene definito il salario minimo legale?
Al fine di definire un minimo salariale, i Paesi Europei devono tenere conto del costo della vita, del potere d’acquisto, del PIL e dell’andamento dell’economia del Paese. In seguito, tali parametri devono essere periodicamente monitorati, in modo da effettuare delle modifiche in caso la situazione cambiasse drasticamente.
Quali sono le conseguenze?
Con l’introduzione del salario minimo legale, i lavoratori sono tutelati per cui l’ammontare della retribuzione del dipendente, non è più a completa discrezione del datore di lavoro. Al contrario, è stabilita una soglia minima, la quale non può essere ridotta, se non per una modifica di legge.
Quale è la situazione in Italia?
Fino ad oggi, in Italia il salario minimo non è mai stato tutelato da una legge nazionale, bensì dalla contrattazione collettiva. Con contratti collettivi, si intendono veri e propri contratti stipulati tra le parti interessate. Sanciscono accordi indipendenti con cui vengono stabiliti specifici condizioni e parametri i quali devono essere rispettati da entrambe le parti.
Tuttavia tali contratti non sono obbligatori e spesso non possono essere applicati. Per cui molti lavoratori, non essendo tutelati, sono in condizioni salariali disastrose.
Elezioni: Cosa ne pensano i partiti?
Come ben sappiamo, le prossime elezioni sono alle porte e come ci immaginavamo, i partiti politici hanno idee distinte sul tema dei salari minimi. Vediamo di seguito che posizioni prendono i leader dei partiti:
Posizione dei principali Partiti Politici:
- Partito Democratico→ Sono a favore del salario minimo e ad una riduzione del cuneo fiscale
- Movimento 5 Stelle → Anche il M5S è a favore, definendo un minimo di 9 € l’ora.
- Lega → Si oppongono all’introduzione del salario minimo nazionale, affermando che senza una riduzione della tassazione sul lavoro, la situazione non cambierebbe.
- Forza Italia e Fratelli d’Italia → Entrambi i partiti sono contro l’introduzione dei salari minimi. La loro visione è quella di garantire incentivi alle aziende per aumentare i posti di lavoro.
- Azione e Italia Viva → Entrambi i partiti sono a favore del salario minimo, ma propongono che la soglia minima venga stabilita da una commissione di esperti.
Questa non è la prima volta che in Italia si cerca di introdurre una tutela salariale per i lavoratori, infatti con la legge del 10 Dicembre del 2014 (Jobs Act) era prevista l’introduzione di un compenso orario minimo. Tuttavia questa legge non è mai stata introdotta.
FONTE: https://energia-luce.it/news/salario-minimo-legale/
PANORAMA INTERNAZIONALE
Von der Leyen: “Guerra fino alla vittoria totale”
MB: L’agghiacciante discorso della Ursula a Princeton, in cui, ubriaca di potere, istituisce la UE come dittatura di guerra, cancellando lo stato di diritto e la democrazia analizzata magistralmente su nicolaporro.it da “Musso”
La baronessa Ursula Von der Leyen è andata a Princeton. Alla fine, ha parlato delle elezioni italiane, ma non prima di aver ben inquadrato quelle poche parole. Tutte le citazioni, se non altrimenti specificato, sono parole della baronessa.
Guerra e sanzioni
La prima parte del discorso è dedicata a tutto ciò che la Ue fa ed intende fare, nella guerra alla Russia. In breve:
- la guerra deve continuare sino alla vittoria totale dell’Ucraina;
- le sanzioni sono un successo;
- e devono restare oltre la vittoria totale di Kiev, fino a che Putin se ne sarà andato ed ammesso che chi verrà dopo di lui ci piaccia;
- nel frattempo, contribuiamo a dare i 5 miliardi di euro al mese che servono all’Ucraina;
- dopo la inevitabile vittoria totale, contribuiremo alla ricostruzione;
- nel frattempo, abbiamo deciso di porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili russi e continueremo nonostante i prezzi dell’energia siano “alle stelle”;
- per alleviarli “tassiamo i profitti inaspettati delle società produttrici di elettricità” (perché il tetto al prezzo del gas era una bufala e se sapeva);
- tutto ciò otterremo conquistando l’indipendenza energetica e la libertà energetica.
Poteri che non ha
Tutto ciò presenta dei profondi problemi di poteri: la presidente della Commissione ha il potere di promettere tutto ciò?
A mero titolo di esempio, tali decisioni producono crateri nei bilanci degli Stati membri: crateri che avrebbero dovuto essere autorizzati dai parlamenti e vanno contro le politiche fiscali dettate dai Trattati. Dove, precisamente, il Teu o il Tfue assegnano a tali nobilissime finalità il potere di superare il resto dei Trattati? La risposta nostra è: da nessuna parte.
Ma la baronessa porta due argomenti di riserva. Vediamoli.
La domanda di adesione di Kiev
Il primo: “l’Ucraina ha presentato domanda di adesione all’Ue e … con la nostra decisione di concederle lo status di candidato, abbiamo scelto di sostenerla per tutto il tempo necessario”.
E a uno cadono le braccia. Ma facciamo uno sforzo erculeo: questa interpretazione tiratissima dei Trattati starebbe eroicamente in piedi, se l’esito di tale processo di adesione fosse sinora certo: se l’Ucraina fosse sin da ora, de facto se non de iure, Stato membro dell’Ue.
È così? Ma col cavolo. A Kiev diciamo, “ci sono riforme da fare in Ucraina, ma questa è la luce in fondo al tunnel. Vuoi essere un membro dell’Unione europea, noi ti vogliamo dentro, ma è necessaria una certa procedura da essere espletata”. Tradotto: l’esito di tale processo di adesione è tutt’altro che certo.
E quindi? E quindi la baronessa estrae il secondo argomento di riserva.
I Principi Ideali nei Trattati
Eccolo: “questa non è solo una guerra che la Russia ha scatenato contro l’Ucraina, questa è una guerra ai valori, questa è una guerra all’ordine internazionale basato sulle regole, questo è un attacco alla Carta delle Nazioni Unite”.
Tutta roba che nei Trattati c’è: i valori (“del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani” – 2 Tue), le regole e la Carta Onu (“nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione … contribuisce … alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite – 3 Tue). Il tutto ripreso al capitolo azione esterna dell’Unione (22 Tue).Ad
Come si vede, si tratta di generiche enunciazioni valoriali. Ma, secondo la baronessa, la Comunità europea “è nata una volta come progetto economico, il mercato unico. Ma quando abbiamo preso il nome di Unione europea, da allora è un’unione di valori … e qualunque cosa facciamo, sappiamo che dobbiamo difendere questi valori e attenerci ai valori”. D’ora innanzi, li definiremo: i Principi Ideali nei Trattati.
Ciò che la baronessa intende dire, è che tali Principi Ideali fanno giuridicamente premio sul resto dei Trattati e delle Costituzioni. Una volta lo scandisce: “stiamo facendo tutto questo, [1] non solo perché è necessario, ma anche [2] perché sappiamo che questo è il modo per prosciugare il forziere di guerra di Putin. [3] E sappiamo che lo stiamo facendo perché con l’indipendenza energetica e la libertà energetica arriva un maggiore potere di difendere le regole globali”.
[2] Putin è quello che attacca i Principi Ideali nei Trattati e [3] l’indipendenza energetica e la libertà energetica servono a difenderli. Peccato che [1] l’invocazione della necessità sia lì a dimostrare lo scarso fondamento giuridico dell’intero costrutto.
È su tale base che tutto il ragionamento della baronessa si fonda.
L’indipendenza energetica
Un ragionamento che noi giudichiamo assurdo. Ma, a tutto voler concedere, se pure lo accettassimo, esso dovrebbe almeno dimostrare di poter raggiungere i risultati fattuali promessi. In particolare, l’indipendenza energetica e la libertà energetica, con le quali “arriva un maggiore potere di difendere le regole globali”. Sennò niente difesa dei Principi Ideali nei Trattati. Cioè, nessuna giustificazione (ancorché assurda) al superamento del resto dei Trattati.
Cominciamo dalla indipendenza energetica: certamente, porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili russi sostituendoli con combustibili fossili altrui, non ci offre indipendenza energetica … ma solo libertà energetica dalla Russia.
Perciò, la baronessa deve rilanciare: “la lotta al cambiamento climatico è la lotta più grande”. E per lotta al cambiamento climatico ella intende “sbarazzarsi dei combustibili fossili”. Infatti, aggiunge: “l’era dei combustibili fossili russi in Europa sta volgendo al termine”. E già nel discorso sullo Stato dell’Unione aveva detto: “il vero problema erano i combustibili fossili in sé”.
A vantaggio delle energie rinnovabili: “kilowattora che produciamo elettricità (dal sole, dal vento, dall’energia idroelettrica, dalla geotermia, dalle biomasse, dall’idrogeno verde, etc)”. Vabbè, non si producono kilowattora dall’idrogeno verde, visto che quest’ultimo è un vettore e non una fonte di energia. Ma passi.
Senza un sostanziale contributo all’asserito cambiamento climatico, perché “l’Europa è responsabile del 9 per cento delle emissioni globali”. Ma passi.
Il punto è che: “ogni kilowattora che produciamo di elettricità rinnovabile … ci rende indipendenti. È fatto in casa”. Fatto in casa?! No, chiaramente, visto che poi spiega: “la domanda dell’Ue ora si sposterà verso il sud del mondo, perché non solo diversifichiamo verso altri fornitori di gas o combustibili fossili, ma investiamo massicciamente in energie rinnovabili nelle regioni in cui le relative risorse sono abbondanza. Se si guarda dall’altra parte del Mediterraneo, nel continente africano c’è sole, vento, parzialmente idroelettrico in abbondanza”.
Purtroppissimo, il continente africano non sta nella Ue. Quindi, pure con le rinnovabili, niente indipendenza energetica.
La libertà energetica
È un problema? La baronessa assicura che no: “stiamo diversificando verso altri fornitori, che sono amici democratici e affidabili”. Affidabile il Congo Francese? Democratica l’Algeria? Quanto ad offrirci libertà poi, se importi da qualcuno ne sei energeticamente dipendente per definizione. Manifestamente l’argomento è debolissimo.
Ma peggio si sente con riguardo alla Cina: eliminare i combustibili fossili “aumenterà enormemente il nostro fabbisogno di materie prime: il litio per le batterie, il silicio metallico per i chip, le terre rare per produrre magneti”. Nonostante che, “delle 30 materie prime critiche, 10 provengono principalmente dalla Cina. E la Cina controlla sostanzialmente l’industria di trasformazione globale, quasi il 90 per cento delle terre rare e in Cina viene lavorato il 60 per cento del litio”.
Cina che nemmeno la baronessa osa definire democratica e affidabile. Anzi, è lei stessa ad affermare il contrario: “Russia e Cina hanno dichiarato un’amicizia illimitata … entrambe continuano a puntare a una visione del futuro fondamentalmente diversa” dalla nostra.
E quindi? E quindi niente: “dobbiamo evitare di cadere nella stessa trappola e dipendenza che abbiamo fatto con petrolio e gas. Quindi, dobbiamo stare molto attenti a non sostituire una dipendenza, una vecchia, con una nuova”. Come? Non si sa.
Poteri che non ha
Insomma, non solo la baronessa non ci può dare l’indipendenza energetica, ma neppure la libertà dal ricatto … se non della sola Russia. Non abbastanza per difendere i Principi Ideali nei Trattati nel modo descritto da lei medesima. Ma allora, neppure il secondo argomento di riserva è sufficiente a superare il resto dei Trattati.
Siamo quindi in presenza di una appropriazione, da parte della presidente della Commissione, di poteri che i Trattati non le assegnano. Perciò, gli Stati membri potrebbero serenamente decidere di fare anche il contrario di ciò che lei ha promesso.
Democrazia
Tant’è vero che la baronessa di tale rischio si preoccupa assai. Lo vediamo quando parla di democrazia.
Parte con una descrizione canonica: “dà voce alle persone, dà la possibilità di cambiare le cose tramite le urne”. Ma poi subito la limita: “risolviamo i problemi nel quadro dei nostri valori”, “ascoltare le persone … ma, come dicevo, nel quadro dei valori che ci uniscono”. E rieccoli i valori, cioè i soliti Principi Ideali nei Trattati.
Perciò, “la democrazia è un continuo work in progress, non abbiamo mai finito, non è mai al sicuro, non accade mai che la certifichi col voto e tanto basta. Ma è una questione di come le persone difendono la democrazia”. Cioè, ad un governo democratico non basta il suffragio del popolo sovrano, ma occorre pure obbedire ai Principi Ideali nei Trattati.
Siccome “è la guerra dell’autoritarismo contro la democrazia”, per conseguenza logica un governo eletto dal suffragio del popolo sovrano, ma che non obbedisce ai Principi Ideali nei Trattati, non è un governo democratico ma autoritario.
Sostenere le opposizioni
Va bene, ma che fare con tali governi autoritari? Un esempio di governo autoritario è la Russia. Infatti, a un professore presente che la definisce “regime dittatoriale autocratico”, la baronessa non oppone obiezione.
Risponde, però, alla domanda su cosa potrebbe fare l’Ue per “sostenere i russi e aiutarli a sbarazzarsi dei politici non democratici”. È apparentemente evasiva, “nessuno di noi può cambiare regime in altri Paesi … alla fine è il popolo russo che deve decidere che tipo di governo vuole o non vuole”. Ma non dimentica una premessa: “è sempre molto importante sostenere l’opposizione, come facciamo in Bielorussia”.
Aveva spiegato: i popoli che votano liberamente per questi governi sono vittime di “sistematica disinformazione: non si tratta di opinioni di parte, ma di un problema sociale; in quanto essa cerca di mischiare le acque così tanto che verità e fatti divengono indistinguibili da menzogna e falsità”.
Contro tale sistematica disinformazione, invoca l’aiuto di “studenti, docenti e amministrazione” dell’Università di Princeton, ai quali affida la “missione” di “smantellare la disinformazione”. Loro sì “un’istituzione basata su una lunga tradizione per svelare la verità: attraverso il discorso critico, la ricerca basata sull’evidenza, il rispetto di fatti e cifre, la comprensione della storia”. Tutte qualità che, ai russi, evidentemente mancano.
Insomma, per combattere i governi autoritari l’Ue sostiene le opposizioni, tramite campagne di contro-informazione.
Il dissenso
E passerebbe se la cosa si applicasse solo alla Russia. Peccato che la faccenda sia molto più pervasiva.
Un esempio di verità e fatti, secondo la baronessa, è che “il cambiamento climatico è causato dall’uomo: le prove sono schiaccianti”. Perciò, per logica conseguenza, un elettore che non lo crede sarebbe vittima della sistematica disinformazione di qualche governo autoritario?
Un esempio di menzogna e falsità, secondo la baronessa, potrebbe essere quanto scrivemmo del modo in cui la Commissione interpreta uno dei Principi Ideali nei Trattati: lo Stato di Diritto. E spiegammo che si tratta di innovazione dei Trattati senza modificare i Trattati: di fondare un nuovo regime giuridico indipendente dai Trattati e, quindi, fondato sul nulla. Pure noi siamo agenti di sistematica disinformazione? Pure noi dobbiamo essere smantellati?
Polonia e Ungheria
Un altro esempio di governo autoritario è la Polonia. Infatti, alla definizione di una professoressa presente che lo definisce formato da “politici non democratici”, la baronessa non oppone obiezione. Anzi, alla Polonia lei stessa accosta l’Ungheria: “grazie per aver sollevato l’argomento, perché questo mi dà l’opportunità di parlare del caso polacco e ovviamente pure dell’Ungheria”.
Aggiunge che, per entrambi i Paesi, “sono gli strumenti fornitici dallo Stato di diritto che possiamo applicare”. Laddove lo Stato di diritto è uno dei Principi Ideali nei Trattati, e già sappiamo che un governo che non obbedisce ai Principi Ideali nei Trattati, non è un governo democratico ma autoritario. Non importa se liberamente eletto.
Risponde, poi, alla domanda su “cosa potrebbe fare l’Ue per aiutare i cittadini polacchi a cui non piacciono i loro politici”. La risposta, in breve, è “sostenere l’opposizione”, eppoi anche non lavorare con loro: “il governo polacco non vuole … ripristinare l’indipendenza della magistratura”, pertanto noi non possiamo sborsare alcun tipo di denaro”.
Italia
Ed è solo dopo tutto questo, che la baronessa viene interrogata sulle elezioni italiane. Da una certa Erica Passoni, germanista.
La domanda è molto centrata: “ci sono preoccupazioni per le imminenti elezioni italiane, anche considerando che molti dei candidati hanno avuto rapporti con Putin?”. Quindi è falso che la baronessa “non è intervenuta nelle elezioni italiane”, come ha poi preteso il suo portavoce.
Gli asseriti rapporti con Putin sono dei candidati, quindi la domanda non riguarda la eventualità che l’elettorato sia vittima di sistematica disinformazione. Argomento che, infatti, nella risposta inizialmente non viene toccato.
La domanda riguarda la eventualità che il governo sia amico di Putin, cioè venga meno ai Principi Ideali nei Trattati. E la baronessa risponde ripetendo quanto detto prima: “la democrazia è un continuo work in progress, non abbiamo mai finito, non è mai al sicuro, non accade mai che la certifichi col voto e tanto basta. Ma è una questione di come le persone difendono la democrazia”.
Perciò, di nuovo, per un governo democratico non basta il suffragio del popolo sovrano, ma occorre pure obbedire ai Principi Ideali nei Trattati; altrimenti, non è un governo democratico ma autoritario.
Poi dice di non sapere se il nuovo governo italiano sarà democratico o autoritario. Ma che lo scoprirà nel corso dei lavori del Consiglio europeo: “è interessante quando si sperimenta il funzionamento del Consiglio europeo, c’è molta dinamica nel gruppo”.
Se obbedirà ai Principi Ideali nei Trattati sarà un governo democratico, e allora tutto bene: “il mio approccio è che, qualunque governo democratico sia disposto a lavorare con noi, lavoriamo insieme”. Sennò, implicitamente, sarà un governo autoritario e non lavoreremo insieme. Esattamente ciò che accade a Polonia e Ungheria.
Paragone che la baronessa esplicita: “vedremo, se le cose vanno in una direzione difficile (ho parlato di Ungheria e Polonia) abbiamo gli strumenti; se le cose vanno per il verso giusto” e non conclude la frase.
Aggiunge, però, una espressione sibillina: “e la gente (in quanto corpo al quale i governi devono sempre rendere conto) gioca un ruolo importante”. Parole che possono riferirsi ad un da lei sperato recupero delle sinistre in campagna elettorale. Ovvero pure al sostegno alle stesse in quanto future opposizioni, tramite campagne di contro-informazione. Ciò che abbiamo visto teorizzato come strumento per combattere i governi autoritari.
Con che contenuto, non si sa, ma soccorre una seconda frase sibillina: “il mio futuro e il mio benessere dipendono anche da tutti gli altri 26”. Cioè, se il nuovo governo italiano disobbedirà ai Principi Ideali nei Trattati, allora il futuro ed il benessere del popolo italiano saranno combattuti dalla Ue.
La quale avrà la coscienza pulita, perché sta combattendo un governo autoritario eletto da un popolo vittima di sistematica disinformazione. Infatti la baronessa chiosa: “anche questo è il bello della democrazia”.
Conclusioni
Fin qui il discorso della presidente della Commissione europea. Speriamo il lettore abbia colto la natura di ciò che sta tentando di fare Bruxelles. E le relative conseguenze, oltre le simpatie politiche e le partigianerie di guerra. Visto che lottiamo per un mondo libero e fondato sul diritto, almeno non facciamolo diventando schiavi dell’arbitrio.
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/von-der-leyen-guerra-fino-alla-vittoria-totale/
POLITICA
SCIENZE TECNOLOGIE
Cina e Taiwan e il mercato dei microchip
Al centro del dibattito ovviamente ci sono come sempre questioni di natura economica e questa volta si parla della crisi dei microchip e di un mercato che vale 555,9 miliardi di dollari.
Cosa sono i microchip e chi sono i principali protagonisti del mercato?
I microchip, detti anche microprocessori, sono componenti piccolissime che hanno lo scopo di far illuminare lo schermo di qualsiasi oggetto elettronico. Si trovano quindi negli smartphone, nei computer, nei ripetitori wifi, nelle telecamere, nei frigoriferi, nei forni, negli aeroplani, nelle auto, etc… Insomma, si trovano dappertutto. Negli ultimi decenni, c’è stato uno sviluppo tecnologico molto veloce e i prodotti per l’elettronica sono diventati elementi essenziali nel funzionamento della nostra società e anche nella nostra vita privata. Infatti oggi l’industria dei microchip è arrivata addirittura a valere 500 miliardi.
Negli ultimi anni c’è stato un picco incredibile della domanda di microchip che però non è stato soddisfatto dall’offerta. I semiconduttori necessari per creare i microchip sono ormai impossibili da trovare e potenze globali come Cina, Taiwan e USA stanno lottando per ottenere il controllo del mercato.
Attualmente la prima azienda produttrice è Tmsc, un’azienda con sede a Taipei, Taiwan che detiene da sola il 28% del mercato globale di microprocessori.
A seguire Corea del Sud, Stati Uniti e Cina.
La Cina minaccia di invadere Taiwan
Come menzionato qui sopra, le più grandi potenze mondiali stanno cercando di ottenere il monopolio nell’industria dei microchip.
Negli ultimi anni, il rapporto tra Stati Uniti e Cina si è stato caratterizzato da continue minacce e blocchi. Oggi la situazione sembra essere peggiorata ulteriormente.
A inizio agosto infatti la speaker della camera dei rappresentanti Nancy Pelosi ha fatto visita al fondatore di Tmsc a Taipei, e questo non è piaciuto a Xi Jinping che si è sentito minacciato.
Biden ha infatti firmato il Chips for America Act che fornisce incentivi per la ricerca e lo sviluppo di semiconduttori e chip sul territorio statunitense. Questo decreto porta gli USA in una posizione di vantaggio rispetto alla Cina nella produzione di semiconduttori e microprocessori.
La Cina infatti è ancora obbligata a importare microchip da Taiwan e questo la rende dipendente dall’isola.
Si sa, Pechino da sempre rivendica il possesso dello stato di Taiwan e non accetta che l’isola intrattenga rapporti di alcun tipo, né commerciali né politici con l’occidente, men che meno con gli Stati Uniti.
Questi ultimi avvenimenti e con le tensioni politiche che stanno crescendo nel mondo, la Cina percepisce Taiwan come una minaccia. Per questo il governo di Pechino ha avviato delle esercitazioni militari: nelle ultime settimane sono addirittura arrivate notizie della presenza di navi e aerei militari cinesi vicino al territorio di Taiwan.
Sembra proprio che la Cina si stia preparando ad una possibile invasione del territorio taiwanese.
Se veramente iniziasse una guerra, questa influenzerebbe non solo i territori asiatici ma tutto il mondo e gli equilibri politici ed economici che conosciamo oggi non esisterebbero più.
FONTE: https://internet-casa.com/news/cina-taiwan-e-la-guerra-dei-microprocessori/
ARMI A MICROONDE SULLE PERSONE E SULLE MASSE
Dr. Barrie Trower: Le industrie e i governi sono responsabili di più morti di quelli della seconda guerra mondiale, si tratta di genocidio!
Gli scienziati della seconda guerra mondiale furono condannati a morte per quello che ora stanno facendo tranquillamente.
L’operazione Paperclip, alla fine della seconda guerra mondiale, concesse la grazia agli scienziati nazisti. Gli vennero costruite nuove identità, furono ricollocati per lo più negli USA, gli vennero dati lavori riccamente pagati e vennero assunti nei laboratori americani governativi in cambio di tutto il loro sapere.
Da tutto questo, sono nate le droghe, la manipolazione della mente e tutti gli strumenti per il controllo della popolazione.
Un esperimento consisteva nella somministrazione di microonde a donne incinte, il rischio di aborto aumentava del 57%.
Un altro prevedeva di mischiare microonde e LSD. Sperimentavano sui bambini di quattro anni, su chiunque, brutalmente. Del resto, erano solo cavie da laboratorio.
Non conoscevano confini di nessun tipo.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli alleati occidentali firmarono un accordo, il Trattato di Norimberga, cui aderirono tutti i paesi uscenti dalla guerra. In esso, viene sancito che la persona deve dare il suo consenso per gli esperimenti e deve avere piena conoscenza informativa prima di darlo.
Con l’esperimento Tetra, che andrà avanti sino al 2018, lo stato sta infrangendo la legge. Tutto quello che stan facendo ai poliziotti è illegale secondo il Codice di Norimberga.
Gli scienziati della seconda guerra mondiale furono condannati a morte per quello che ora stanno facendo tranquillamente.
Video intervista che invito caldamente ad ascoltare:
FONTE: https://forum.comedonchisciotte.org/notizie/armi-a-microonde-sulle-persone-e-sulle-masse/
E Speranza comanda: adesso la Quinta Dose.
Poche ore prima di dover abbandonare la poltrona, Speranza ha comandato:
Con una circolare di 96 pagine pubblicata ieri 23 settembre, il Ministero della Salute dà il via libera, su richiesta, alla possibilità per tutti gli over 12 di poter richiedere la quarta dose con i nuovi vaccini bivalenti e anche alla quinta dose per gli immunodepressi (per cui il ciclo primario era di tre dosi e hanno già ricevuto la quarta).. L a nuova circolare del Ministero della Salute, infatti, disciplina l’uso dei due vaccini bivalenti (il primo contro la variante Omicron Ba.1 e il secondo contro le varianti Ba.4-Ba.5).
Fonte:
Presto il Trattato Pandemico Globale
Perché continua a comandare nuove dosi Speranza? Perché l’OMS (finanziata quasi completamente da Bill Gates, ricordiamolo) sta per varare un “Trattato Pandemico” che sarà reso obbligatorio per tutti gli Stati:
L’OMS terrà una riunione regionale a Washington DC dal 26 al 30 settembre e discuterà del Trattato pandemico giovedì 29 settembre, dalle 12:30 alle 14:00 orientali.
https://jamesroguski.substack.com/p/email-and-call-your-delegate?isFreemail=true
Qui i testi:
Governing Pandemics.org
Pandemic Treaty” on September 29, 2022,
https://www.governingpandemics.org/
La UE è (naturalmente) già d’accordo:
CIRCOLARE MINISTERIALE QUI: https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_5452_62_file.pdf
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/e-speranza-comanda-adesso-la-quinta-dose/
STORIA
NERO DI LONDRA-DA CAPORETTO ALLA MARCIA SU ROMA: COME L’INTELLIGENCE MILITARE BRITANNICA CREO’ IL FASCISTA MUSSOLINI”
di Mario J. Cereghino e Giovanni Fasanella
Anticipiamo alcuni brani del libro basato sugli archivi declassificati dell’Intelligence militare britannica conservati nell’università di Cambridge dal titolo “NERO DI LONDRA-DA CAPORETTO ALLA MARCIA SU ROMA: COME L’INTELLIGENCE MILITARE BRITANNICA CREO’ IL FASCISTA MUSSOLINI”, di Mario J. Cereghino e Giovanni Fasanella.
Per l’intanto…
MUSSOLINI E GLI INGLESI. LE ACCUSE DI GEORGE ORWELL AI CONSERVATORI BRITANNICI E LA SUA PROFEZIA SULLA FINE DI BENITO MUSSOLINI
“GUILTY MEN”, COLPEVOLI
Maggio 1940. In Francia, le truppe alleate sono state travolte in poche settimane dalle armate di Hitler. La sera del 31 di quello stesso mese, a Londra, tre giovani giornalisti si incontrano nella sede del quotidiano “Evening Standard”, nella centralissima Fleet Street. Sono convinti che si debba fare qualcosa per «galvanizzare l’opinione pubblica» e aiutarla a capire quanto siano stati «incompetenti e moralmente indifendibili» i governi conservatori degli anni precedenti. Ma che cosa? Uno di loro ha «l’idea di scrivere un instant book» per spiegare agli inglesi come le strategie dell’appeasement nei confronti di Hitler e Mussolini abbiano trascinato la Gran Bretagna sull’orlo della catastrofe. Esce così il libro “Guilty Men”, i colpevoli, un atto d’accusa al vetriolo contro l’establishment dei Tories. Il successo è sensazionale e coglie tutti di sorpresa: 220mila copie vendute in pochi mesi. Tra i colpevoli additati al pubblico ludibrio, c’è anche Samuel Hoare, il capo dell’Intelligence militare in Italia subito dopo Caporetto, accusato di aver sostenuto a lungo il regime fascista e di aver flirtato con i nazisti.
Il libro è firmato con uno pseudonimo, “Cato”, dietro il quale si celano tre brillanti giornalisti: Michael Foot, Frank Owen e Peter Howard. Il primo è di idee laburiste, il secondo è liberale e il terzo è un conservatore.
*
“THE TRIAL OF MUSSOLINI”, PROCESSO A MUSSOLINI
A Roma, nel pomeriggio del 25 luglio 1943, dopo essere stato sfiduciato dal Gran Consiglio del Fascismo, Mussolini viene arrestato per ordine di Vittorio Emanuele III.
A Londra, il celebre reporter Michael Foot ha subito l’idea di scrivere un secondo instant book. Viene pubblicato poche settimane dopo con il titolo “The Trial of Mussolini”, processo a Mussolini, e questa volta è firmato con lo pseudonimo “Cassius”. L’autore immagina che Mussolini finisca alla sbarra «a Londra, nel 1944 o nel 1945», con l’accusa di essere stato un despota spietato e di essersi macchiato di orrendi crimini per un ventennio e oltre. Ma l’establishment conservatore britannico è certamente «colpevole» di aver a lungo «supportato» il Duce. E con il pretesto di un processo, “Cassus”-Foot punta risolutamente il dito contro le ambiguità dell’ultraventennale «politica estera britannica» nei confronti dell’Italia.
In quell’assise fittizia allestita da Foot, scorrono così i principali esponenti della classe dirigente conservatrice al governo, a cominciare dal solito Samuel Hoare, accusato di aver brigato per «mantenere Mussolini al potere», a qualunque costo. Il libro bissa il successo di “Guilty Men”: 150 mila copie vendute in poche settimane.
*
“CHI SONO I CRIMINALI DI GUERRA?”
LA PROFEZIA DI ORWELL
“The Trial of Mussolini” viene recensito da un gigante della letteratura del Novecento, George Orwell, sulle pagine del quotidiano laburista “Tribune”, il 22 ottobre 1943. Il lungo articolo s’intitola «Who are the War Criminals?», chi sono i criminali di guerra?
Orwell si domanda «quali crimini» abbia effettivamente «commesso» Mussolini, posto naturalmente che gli si possano attribuire dei «misfatti». Nell’ambito della «politica di potenza», dal momento che non esistono «leggi» di alcun genere, non esistono neppure i «crimini», spiega. Usa un paradosso per arrivare al bersaglio. E lancia la sua provocazione: quali sono gli «aspetti» del «regime interno» mussoliniano passibili eventualmente di «giudizio» da parte di un qualsivoglia «organismo popolare» del Regno Unito? Non vi è infatti «alcuna furfanteria commessa da Mussolini tra il 1922 e il 1940 che non sia stata oltremodo glorificata dalle medesime persone che propongono adesso di portarlo alla sbarra», osserva Orwell. Insomma, insiste, com’è possibile che un’azione, in passato giudicata «lodevole» dall’establishment conservatore britannico, diventi ora «deprecabile» e per giunta «all’improvviso»?
Nel corso del surreale processo sceneggiato da “Cassius”, evidenzia Orwell, a Mussolini viene consentito di chiamare a testimoniare diverse personalità inglesi «sia vive che morte». Carte alla mano, l’ex Duce riesce così a «dimostrare» dinanzi alla Corte che, «sin dagli esordi» del suo regime, i «leader d’opinione britannici» lo avevano «incoraggiato a fare tutto quello che ha fatto». Insomma, afferma il grande scrittore, «il governo britannico e i suoi portavoce ufficiali» hanno sempre «appoggiato» Mussolini «nella buona e nella cattiva sorte». Di conseguenza, «risulta decisamente improbabile che i conservatori britannici» decidano ora di processarlo nel mondo reale, giacché «non vi è nulla di cui possano incolparlo, se non della dichiarazione di guerra del 1940».
Nell’opera di “Cassius”, rileva Orwell, Mussolini ammette di essere «colpevole dell’unico misfatto che conta», ossia il «crimine del fallimento». L’ex Duce arriva inoltre a concedere ai suoi «avversari» inglesi il «diritto di assassinarlo». Ma insiste sul fatto che non hanno alcun diritto di «incolparlo» dei molti delitti che gli vengono addebitati. Perché la «condotta» dell’establishment conservatore è sempre stata «simile» alla sua. La «condanna morale» da parte degli inglesi, afferma Mussolini dinanzi alla Corte, è dunque «assolutamente ipocrita».
A questo punto, Orwell torna a chiedersi se un processo a Mussolini potrebbe mai svolgersi «nella vita reale». È «improbabile», scrive, poiché l’ex Duce è «un ottimo capro espiatorio» finchè rimane «a piede libero». Ma si trasformerebbe in un «pericolo» se gli Alleati lo mettessero in «galera». E nel caso in cui alla fine fosse giustiziato, Orwell ricorda che i «tiranni messi a morte da un’autorità straniera» finiscono inevitabilmente per diventare «martiri e leggende». Come nel caso di Napoleone, morto a Sant’Elena prigioniero degli inglesi, nel 1821.
«Per quanto mi riguarda», afferma lo scrittore, «non vorrei» che Mussolini e Hitler fossero «messi a morte», a meno che la morte non fosse loro inflitta «in tutta fretta e con modalità non spettacolari». Insomma, se i tedeschi e gli italiani optassero per una «corte marziale» o un «plotone d’esecuzione», sarebbe legittimo «lasciarli fare». O ancor meglio: potrebbero lasciar «scappare» in Svizzera i due dittatori, con in mano «una valigia piena di titoli al portatore». Quello che conta, insiste Orwell, è che non vi sia «martirio alcuno», nessun affaire «tipo Sant’Elena». Soprattutto, che non si allestisca «alcun processo solenne e ipocrita ai criminali di guerra». Trascorso un po’ di tempo, infatti, gli «imputati» finirebbero per essere illuminati da una «luce romantica», capace in breve di trasformarli «da canaglie a eroi».
In buona sostanza, augura a Churchill e ai leader politici conservatori (e, dunque, anche a Sir Samuel Hoare) che il dittatore italiano tiri rapidamente le cuoia, magari per mano degli italiani stessi. Perché se fosse mai catturato e rinchiuso in galera in attesa di essere giudicato dalle potenze vincitrici, Mussolini si trasformerebbe automaticamente in un «pericolo» letale per Sir Winston e il suo cerchio magico. Tappargli subito la bocca, lascia intendere Orwell con macabra ironia, è quindi nell’interesse dell’establishment del Regno Unito.
*
È una profezia, quella di Orwell, che si avvera fatalmente sulle rive del Lago di Como nemmeno due anni dopo, alla fine di aprile del 1945: il Duce giustiziato dai partigiani italiani, e le borse piene di documenti, che aveva con sé al momento della cattura, scomparse nel nulla. Insieme alla memoria documentale dell’idillio tra Roma e Londra durante il Ventennio.
Che cosa avrebbe potuto dire di tanto imbarazzante, Mussolini, sui suoi rapporti con i conservatori britannici?
Il libro sarà disponibile dal 4 ottobre…
(Intanto il libro è prenotabile online attraverso il portale di Chiarelettere ( https://bit.ly/NeroDiLondra) o direttamente su Amazon (https://amzn.to/3qOIUYY)
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°