RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 27APRILE 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Anche tu sei invecchiato.
“Dicono che è l’unico modo per non morire giovani”.
ROBERTO CASALINI (ed), Suonala ancora Sam, Bompiani, 2001, pag. 130
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SOMMARIO
La retorica “risorgimentale” è il virus politico da debellare
Distanziamento sociale dalla democrazia
LE APP GRADITE AL POTERE CHE ILLUMINA VITTORIO COLAO
Covid and human tracking
Putin e Trump contro il Nuovo Ordine Mondiale: la battaglia finale
Blade Runner, quando il futuro diventa il presente
Con la fase 2 cambia anche l’autocertificazione
State Usando bene il Vostro tempo (per Pianificare la Fuga?)
OLTRE IL CORONAVIRUS, SULLE ORME DEL FUTURO
I NUMERI INUTILI DELLA PANDEMIA
Infografica Pirateria
LA BARBARIE DELLO SPECIALISMO
“Introduzione alla vita non fascista”: rileggere Foucault nella pandemia, a 75 anni dalla Liberazione
Disinformazione, Covid-19 e il potere della stampa
Il dono dell’assenza: paradosso della crisi sociale
Coronavirus Capitalism – La video lezione di Naomi Klein
LA DEFLAZIONE PIANIFICATA DELL’ITALIA
Chi ha rispettato il 3% deficit/PIL in 20 anni di euro?
l vaso di pandora del neoliberismo
L’Italia nel mirino di Berlino Scatta l’allerta per le banche
Recovery Fund: che cosa è, come funzionerà
LA FASE 2 DI CONTE: SCARCERANO IL BOSS CUTOLO – VIDEO
KEN LOACH CONTRO IL LAVORO
Forza lavoro
“Lavoro Agile”, verso una nuova forma di sfruttamento del lavoro femminile
Dalle macerie del coronavirus nasce un nuovo ordine mondiale
Il Coronavirus, Bill Gates e l’OMS: tra fatti e allarmi complottisti
Schauble boccia la chiusura totale a oltranza
Magaldi: Italia in agonia, con Colao e Prodi ancora austerity
CIÒ CHE MANCA AL RECOVERY FUND
“Il mio uomo senza tempo”
IN EVIDENZA
La retorica “risorgimentale” è il virus politico da debellare
Il Meridione vanta ancora molti crediti…
In questi giorni difficili sembrano delinearsi scenari nuovi per l’Italia del futuro. Sempre più frequenti gli attacchi dal Nord e le risposte dal Sud.
Forse, però, è il caso di affrontare la questione in maniera diversa dal punto di vista sanitario, culturale e politico. Qualcuno, evidentemente, ha confuso l’ideologia con i cordoni sanitari invocati dal governatore De Luca e certo è che se, invece di affrontare una emergenza come questa con slogan come «Milano non si ferma» o «non siamo razzisti contro i cinesi o contro i lombardi», avessero davvero chiuso la Lombardia e nei tempi giusti, forse il resto dell’Italia avrebbe potuto aiutare davvero la Lombardia e forse oggi non conteremmo tante povere vittime e tanti danni. Diversa, invece, la questione dal punto di vista culturale. Di fronte ad una forma di «razzismo» più o meno velato contro il Sud presso molti media nazionali (un razzismo continuato più o meno diffusamente per oltre un secolo e mezzo), c’è stata una risposta spesso carica di rabbia e orgoglio da parte del Sud, a volte nelle istituzioni, altre volte sui social, con decine di migliaia di persone che hanno reagito magari scrivendo direttamente a giornalisti e trasmissioni o ai loro sponsor. Un fenomeno piccolo ma nuovo e significativo che si lega, però, ad un discorso più ampio e di carattere politico.
Eviteremo di parlare dei consistenti saccheggi del passato e dei famosi 443 milioni delle banche delle Due Sicilie raffrontati ai 225 di tutti gli stati italiani messi insieme (8 quelli della Lombardia) e magari eviteremo pure di ricordare i finanziamenti della Cassa per il Mezzogiorno che arrivarono per il 70% ad imprese del Nord con il giochino tra fondi ordinari (al Nord) e straordinari (al Sud). Eviteremo di parlare anche dei milioni di meridionali emigrati e utilizzati dal Nord per i suoi successi economici. Vogliamo solo ricordare che, secondo i recenti studi del famoso prof. Paolo Savona, sarebbero circa 50 i miliardi annualmente trasferiti dal Centro-Nord al Sud ma sarebbero oltre 63 i miliardi che il Sud fa ritornare al Nord acquistando dal Nord beni e servizi. È certo anche che in 17 anni il Nord ha sottratto al Sud oltre 840 miliardi di euro (dati-Eurispes) cancellando il diritto al 34% dei fondi pubblici. Ed è certo anche che (dati Sole 24 Ore) i famosi «pellegrinaggi sanitari» portano dal Sud al Nord oltre 4,6 miliardi di euro l’anno. Forse, allora, sono quanto meno parziali i conti di quel Nord che «se ne vuole andare». Qualsiasi tavolo di una auspicabile e necessaria discussione non si potrà aprire se non partendo da questi dati e, parlando di regionalismi prossimi venturi, dal calcolo di quanto non è stato assegnato al Sud e magari anche da quei «livelli essenziali di prestazioni» negati al Sud in questi anni di un’Italia sempre più duale. E magari, passata questa emergenza, con una nuova classe politica più consapevole e fiera, può darsi che le cose cambino davvero, che qualcuno inizi (dopo 150 anni) a rivendicare pari diritti tra Nord e Sud e magari anche ad acquistare quei beni e servizi non più al Nord, ma in giro per il mondo (da anni noi «neoborbonici» promuoviamo la campagna «compra Sud»). È una ipotesi estrema, ma che ci fa rendere conto del fatto che da questa emergenza possono venire fuori dibattiti interessanti per i futuri assetti italiani. Dibattiti mancati in 150 anni di retoriche risorgimentaliste e di (immotivati) complessi di superiorità padani associati a (immotivati) complessi di inferiorità «terroni».
È ora, forse, di dirci tutte le verità per quanto amare possano essere da una parte e dall’altra, individuando bene, tra le classi dirigenti locali e nazionali, i colpevoli passati e presenti di un’Italia che evidentemente così non funziona. In questa fase, forse, non contano ancora gli assetti futuri, ma conta la formazione di classi dirigenti che, consapevoli, sappiano fare un nuovo patto se non vogliamo affondare (tutti) sotto i colpi dei virus sanitari ma anche politici. Quelli che da 150 anni accompagnano la storia di un Paese che avrebbe potuto avere e potrebbe avere un destino di certo più sereno da Nord a Sud.
FONTE:https://www.ilgiornale.it/news/retorica-risorgimentale-virus-politico-debellare-1858103.html
Distanziamento sociale dalla democrazia
L’epidemia di COVID-19 è l’occasione per imporre tracciamenti informatici individuali – che potrebbero diventare identificativi – in tempi normali rifiutati dalle democrazie. Non è fantascienza: potrebbe diventare rapidamente realtà.
l distanziamento sociale è qui per rimanere molto più di qualche settimana. Stravolgerà il nostro modo di vivere, in un certo senso per sempre»: lo hanno annunciato i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology, una delle più prestigiose università statunitensi [1].
Essi citano il rapporto presentato dai ricercatori dell’Imperial College London, secondo cui il distanziamento sociale dovrebbe divenire una norma costante ed essere allentato o intensificato a seconda del numero di ricoverati per il virus nei reparti di terapia intensiva.
Come bene hanno spiegato i due speciali de il manifesto («Data Virus» e «Post Virus»), il modello elaborato da questi e altri ricercatori non riguarda solo le misure da prendere contro il coronavirus.
Esso diviene un vero e proprio modello sociale, di cui già si preparano le procedure e gli strumenti che i governi dovrebbero imporre per legge. I due giganti statunitensi dell’informatica Apple e Google, finora rivali, si sono associati per inserire nei sistemi operativi di miliardi di cellulari iPhone e Android, in tutto il mondo, un programma di «tracciamento dei contatti» che avverte gli utenti se qualche infettato dal virus si sta avvicinando a loro.
Le due società garantiscono che il programma «rispetterà la trasparenza e la privacy degli utenti».
Un sistema di tracciamento ancora più efficace è quello dei «certificati digitali», a cui stanno lavorando due università statunitensi, la Rice University e il MIT, sostenute dalla Bill & Melinda Gates Foundation, la fondazione statunitense creata da Bill Gates, fondatore della Microsoft, la seconda persona più ricca del mondo nella classifica della rivista Forbes.
Lo ha annunciato lui stesso pubblicamente, rispondendo a un imprenditore che gli chiedeva come poter riprendere le attività produttive mantenendo il distanziamento sociale: «Alla fine avremo dei certificati digitali per mostrare chi è guarito o è stato testato di recente, o quando avremo un vaccino chi lo ha ricevuto» [2].
Il certificato digitale di cui parla Gates non è l’attuale tessera sanitaria elettronica. La Rice University ha annunciato nel dicembre 2019 l’invenzione di punti quantici a base di rame che, iniettati nel corpo insieme al vaccino, «divengono qualcosa come un tatuaggio con codice a barre, che può essere letto con uno smartphome personalizzato» [3].
La stessa tecnologia è stata sviluppata dal Massachusetts Institute of Technology [4]. L’invenzione di questa tecnologia è stata commissionata e finanziata dalla Fondazione Gates, che dichiara di volerla usare nelle vaccinazioni dei bambini principalmente nei paesi in via di sviluppo.
Essa potrebbe essere usata anche in una vaccinazione su scala globale contro il coronavirus. Questo è il futuro «modo di vivere» che ci viene preannunciato: il distanziamento sociale ad assetto variabile sempre in vigore, la costante paura di essere avvicinati da un infettato dal virus segnalato da uno squillo del nostro cellulare, il controllo permanente attraverso il «codice a barre» impiantato nel nostro corpo.
Senza sottovalutare la pericolosità del coronavirus, qualunque sia la sua origine, e la necessità di misure per impedirne la diffusione, non possiamo lasciare in mano agli scienziati del MIT e alla Fondazione Gates la decisione di quale deve essere il nostro modo di vivere. Né possiamo smettere di pensare, ponendo delle domande.
Ad esempio: è molto grave che le morti da coronavirus in Europa siano attualmente quasi 97.000, ma quali misure si dovrebbero in proporzione prendere contro le polveri sottili, le Pm2,5, che – dai dati ufficiali della European Environment Agency [5] – ogni anno provocano in Europa la morte prematura di oltre 400.000 persone?
Manlio Dinucci
Fonte
Il Manifesto (Italia)
NOTE:
[1] “We’re not going back to normal”, MIT Tenchnology Review, March 17, 2020
[2] “31 questions and answers about COVID-19”, The Blog of Bill Gates, March 19, 2020
[3] “Quantum-dot tattoos hold vaccination record”, Mike Williams, Rice University, December 18, 2019.
[4] “Invisible Ink Could Reveal whether Kids Have Been Vaccinated”, Scientific American, December 19, 2019.
[5] “Air quality in Europe — 2019 Report”, European Environment Agency.
Manlio DinucciGeografo. Ultimi lavori pubblicati: Laboratorio di geografia, Zanichelli 2014 ; Diario di viaggio, Zanichelli 2017 ; L’arte della guerra / Annali della strategia Usa/Nato 1990-2016, Zambon 2016; Guerra nucleare. Il giorno prima. Da Hiroshima a oggi: chi e come ci porta alla catastrofe, Zambon 2017; Diario di guerra. Escalation verso la catastrofe (2016 – 2018), Asterios Editores 2018.
FONTE:https://www.voltairenet.org/article209758.html
LE APP GRADITE AL POTERE CHE ILLUMINA VITTORIO COLAO
Lo scrittore Brett Scott avversa da sempre la moneta elettronica, soprattutto unica e mondiale (è un ex broker e autore del libro “The heretic’s guide to global finance: hacking the future of money”). Fu proprio Scott a rispondere a brutto muso a Rockefeller, che proponeva la moneta unica mondiale elettronica. Da quello scambio di battute nacque la sceneggiatura del film “The Time”, ispirata anche dallo scrittore Harlan Jay Ellison.
Il 19 luglio del 2018 Brett Scott ha scritto una documentata analisi sul Guardian, che testimonia come l’alternativa al contante serva in effetti a spalancare la porta alla dittatura bancaria mondiale, operando un controllo sociale che impedisca qualsiasi forma di pagamento non tracciabile in rete.
Oggi, la tracciabilità totale per motivi pandemici potrebbe agevolmente spalancare la porta ad una gestione planetaria per mano della “Round Table” (la tavola rotonda del potere mondiale, il Nuovo Ordine): Colao è vicepresidente della “Round Table of Industrialists” europea e risponde ai vertici mondiali delle organizzazioni. Di fatto la moneta unica mondiale, il “reddito mondiale di cittadinanza” e la “povertà sostenibile” sono ricette che i teorici della dittatura planetaria intendono pianificare nel decennio appena iniziato, e la pandemia gioca a loro favore.
A creare una sorta di “povertà sostenibile” ha già lavorato il gruppo di Bill Gates, che sarebbe in grado di garantire una sorta di reddito mondiale elettronico a tutti i cittadini dei Paesi che insistono sotto il cappello Nato. Un reddito elettronico (creato dal nulla) da spendere solo in beni di prima necessità, per alloggi ultrapopolari o dormitori, per mezzi pubblici adibiti alle fasce povere certificate da una app su uno smartphone sociale (o un microchip credono i più malevoli).
In questi giorni di pandemia e di “Fase due” (anzi uno e mezzo) è proprio la task force presieduta da Colao che starebbe mettendo mano ad una sorta di reddito totale di cittadinanza, coordinandosi anche con altri Paesi pronti all’avvio della misura economica. Una politica del reddito che di fatto precluderebbe la via della crescita lavorativa, antica ambizione umana, a circa 60 milioni di europei e più di 10 milioni di italiani. Cittadini che entrerebbero in quel limbo tra “povertà irreversibile” (per motivi bancari, fiscali, giudiziari, finanziari…) e “povertà sostenibile”: in pratica sarebbero condannati ad una sorta di morte civile, non potendo più lavorare, risparmiare, investire, costruire.
Per realizzare questo progetto il “potere mondiale” deve avere totalmente il controllo di fiscalità, risparmio e lavoro. Di fatto le banche centrali hanno già stipulato accordi con Amazon, Google ed altri colossi, per controllare ogni minima spesa dei cittadini occidentalizzati. Quindi l’abolizione del contante gioca a favore delle istituzioni finanziarie, delle aziende che gestiscono i sistemi di pagamento, delle corporate, delle multinazionali e del cosiddetto “capitalismo fiscale di sorveglianza”. Le dittature scientifico-bancarie hanno elaborato questa linea dopo aver studiato, e fatto propria, la prassi marxista di Antonio Gramsci: il filosofo spiegava il concetto di egemonia, ma si riferiva al modo in cui i potenti condizionano l’ambiente culturale ed economico, ed in modo tale che i loro interessi inizino ad essere percepiti come naturali ed inevitabili dall’opinione pubblica. Nessun italiano scende oggi in strada a manifestare contro le restrizioni imposte dal Governo Conte, o contro l’obbligo ai pagamenti digitali, perché nell’animo della gente è entrata sia la rassegnazione (il concetto di povertà diffusa imposto dall’alto) che l’idea d’una sorta di “comodità all’uso” delle restrizioni. Comodità d’uso o consuetudine sociale che era stata inculcata fin dai primi vagiti nei cittadini della Germania Democratica.
Il risultato è sotto i nostri occhi: si sta compiendo il progetto egemonico portato avanti dalle istituzioni scientifico-finanziarie. Una società senza libertà di movimento politico-culturale, senza contante, che aspetta ansimante le conferenze dell’autocrate (Conte), che reputa la libertà di parola e di movimento nemica della salute pubblica. Il vantaggio per le multinazionali cibernetiche, farmaceutiche e finanziarie è totale: grazie al governo 5 Stelle ci fanno credere che è tutto per il nostro bene. Ad appoggiare Gates (faro che illumina Vittorio Colao) nella mappatura totale dei cittadini ci sono i cosiddetti grandi investitori: Merrill Lynch, Deutsche Bank, Goldman Sachs, Hsbc, Jp Morgan e Morgan Stanley, coadiuvati dai loro strilloni S&P e Fitch e Moody’s. Obiettivo prossimo è la profilazione totale del cittadino attraverso app sanitarie, corrispondenza tradizionale (posta e raccomandata che verranno presto vietate) e via mail, attraverso il controllo continuo della sua spesa giornaliera, attraverso l’indirizzo costante dei suoi consumi e risparmi: il passaggio è far si che i governi accettino il blockchain come struttura dati condivisa mondialmente. Ovvero un registro digitale che permetta, a strutture sovrannazionali, il controllo di ogni cittadino del mondo che possa in qualche modo possedere moneta o produrre reddito. E non è affatto vero che questi obblighi elettronici ci salvino la pelle o accorcino i tempi burocratici.
Per salvarci dovremmo riedificare l’autodeterminazione dei popoli come strumento di difesa dall’aggressione programmata dai colossi economici, e questo lo stanno studiando sia Donald Trump che Vladimir Putin. Gli Usa e la Russia non credono e non vogliono il “reddito mondiale” e reputano questa povertà sostenibile la porta d’un inferno per milioni di cittadini. Ma contro Trump e Putin s’è schierato il salotto di potere che sostiene Bill Gates, il fondo speculativo che paga le campagne di Hillary Clinton, insomma tutto il mondo di riferimento di Vittorio Colao.
Quest’ultimo non è un caso gestisca comodamente la task force da Londra, dove ha sede il suo fondo speculativo General Atlantic: un fondo d’investimenti collegato a quello della Clinton, una struttura già pronta a coordinare le ultime svendite delle aziende italiane.
FONTE:http://opinione.it/economia/2020/04/23/ruggiero-capone_vittorio-colao-moneta-unita-elettronica-app-povert%C3%A0-sostenibile-bill-gates-blockchain-registro-digitale/
Covid and human tracking
23 / 4 / 2020
Il fine di questo documento[1] è di scattare un’istantanea dell’uso delle tecnologie mobili di tracking e contact tracing nella lotta per il contenimento del contagio nel corso della pandemia Covid-19 nel momento in cui stanno per essere introdotte in Italia, in Francia ed in altri paesi europei. Cercheremo inoltre di mettere in evidenza le problematiche connesse e legate all’uso ed alla diffusione di tecniche di sorveglianza di massa.
Bisogna chiedersi innanzitutto se, nella svolta innescata dall’emergenza pandemica, il quadro d’interpretazione dei sistemi socio-tecnologici della società digitale sia da collegare alle dinamiche preesistenti. O addirittura diventi un’opportunità quando non un pretesto per concretizzarne alcune.
A questo proposito la prima questione riguarda la raccolta dati e l’enfatizzazione di una presunta onnipotenza dei big data, anche quando questo non pare giustificato. Nella proliferazione di comparativi fra dati della pandemia in provenienza da diversi paesi ci sono forti interrogativi che riguardano la qualità e l’omogeneità dei dati stessi. Spesso, anche all’interno dell’Europa stessa, la raccolta dati ha messo in evidenza, nell’apice della crisi ed in diversi paesi, gravi carenze ed imprecisioni. C’è inoltre il forte sospetto che in certi casi i metodi di misura non siano omogenei, come per esempio quelli del conteggio delle vittime dell’epidemia.
In questo quadro emerge anche la problematica delle applicazioni mobili COVID-1.
Sin dal mese di febbraio 2020 in alcuni paesi asiatici sono state sviluppate e diffuse applicazioni software mobili progettate per facilitare in vari modi il controllo dei processi di propagazione tramite i contatti o la vicinanza con persone contagiate e l’identificazione di persone a rischio.
L’utilità o l’efficacia dipendono da diversi fattori primo dei quali il tasso di utenti che adottano l’applicazione in un paese dato. Un altro aspetto essenziale è nella contraddizione, forse non solo apparente, fra il loro ruolo di strumenti di lotta contro il Covid-19 e quello di sorveglianza digitale di massa.
Sono emersi diversi modelli di app di tracking con diverse caratteristiche tecnologiche ed implicazioni sulla privacy. Con qualche approssimazione le possiamo dividere in due grandi categorie: quelle dette di tracking sono basate su forme di geolocalizzazione dell’utente mentre quelle di contact tracing implicano il tracciamento dei contatti fra utenti. Prenderemo in considerazione quelle che provengono da Cina, Corea del Sud, Singapore e i principi fondatori di quelle che verranno prossimamente introdotte in Europa.
Il modello cinese
Non si tratta di un’app a sé stante ma piuttosto della funzionalità di tracking tramite geolocalizzazione GPS Health Code così chiamata perché permette all’utente di ottenere un Codice Salute. Tale funzionalità è integrata a due delle app più diffuse in Cina con circa un miliardo di utenti ciascuna:
– Alipay, il sistema di pagamento mobile di Alibaba, che i cinesi usano comunemente e prevalentemente nelle metropoli al posto di cash o carte di credito.
– WeChat di Tencent, l’equivalente cinese di WhatsApp e Messenger.
La funzionalità Health Code ha come caratteristica saliente di entrare con ogni probabilità a far parte del Sistema di Credito Sociale (SCS) la tanto discussa iniziativa del governo cinese al fine di sviluppare un sistema nazionale per classificare la reputazione di cittadini ed aziende[2].
Per ottenere il loro Codice salute l’utente è invitato a registrarsi tramite le app Alipay o Wechat ed inserire le informazioni richieste. Dall’analisi del programma, fatta dal New York Times[3], appare che l’app invia tutte le informazioni dell’utente direttamente ai server della polizia senza peraltro informarlo. Viene quindi generato un codice QR a colori che indica il potenziale stato di contagio dell’utente stesso. L’ottenimento di un codice verde consente di muoversi liberamente nei luoghi pubblici come la metropolitana o i centri commerciali, ma anche di andare al ristorante o di prendere un taxi. Un codice giallo implica una quarantena preventiva di 7 giorni, mentre il codice rosso indica quella standard di 14 giorni. Il colore attribuito può cambiare non solo in funzione dello stato di salute dell’utente ma anche, per esempio, se si abita in una zona dove un cluster della malattia è stato identificato. Di fatto il codice verde è un lasciapassare senza il quale si può solo essere confinati.
Il programma è stato lanciato il 25 febbraio 2020 in 200 città cinesi ed ora è esteso progressivamente a tutto il territorio nazionale.
Gli altri modelli: Corea del Sud, Hong Kong e Singapore
Il modello della Corea del Sud è diverso da quello cinese. Innanzitutto si tratta di un sistema Open Data. In conseguenza i dati non sono solo a disposizione dello Stato ma anche dei cittadini e chi vuole può utilizzarli sviluppando altre app, il che come vedremo può anche avere conseguenze negative. La Corea, forse perché ha strutture ospedaliere efficienti e si era preparata all’eventuale pandemia dopo le precedenti epidemie SARS e MERS, ha concentrato i suoi forzi sul tracking delle persone positive e/o malate. L’autorità centrale ricostruisce i loro percorsi grazie alla collaborazione degli operatori telefonici, che tramite il principio di triangolazione sanno geolocalizzare un cellulare, e delle banche tramite le transazioni con carta di credito. Il fine è di individuare persone o luoghi suscettibili di essere stati contaminati.
Hong Kong, dal canto suo, sta imponendo dei veri e propri braccialetti elettronici per garantire che le persone provenienti dall’estero rispettino le norme di quarantena.
Singapore usa invece il modello di contact tracing. Tramite l’app TraceTogether si ricercano invece i contatti fra persone indipendentemente dalla loro geolocalizzazione. A questo scopo viene utilizzata la tecnologia Bluetooth che permette scambi dati a distanza ravvicinata (qualche metro max) fra due smartphone ma escludendo i semplici cellulari che non hanno Bluetooth. Disponendo dei contatti fra persone sane e contagiate si può procedere a tamponi mirati e a determinare misure d’isolamento delle persone sane a rischio di contagio. Si tratta di un sistema invasivo rispetto alla privacy ed infrange molte delle regole europee sulla privacy (RGPD[4]).
Quello che si prepara in Europa
A partire dal modello contact tracing, piuttosto che da quello cinese basato sulla geolocalizzazione, diversi paesi europei si sono ripromessi di aggiungere la protezione dell’identità delle persone implicate.
A questo fine è stato creato il consorzio Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing (Pepp-pt) per definire le modalità di un tracing di prossimità che utilizza Bluetooth cercando di proteggere la privacy[5]. A questo fine il sistema registra anonimamente le persone con cui si è stati in contatto ravvicinato per almeno quindici minuti. In tal modo, se una di queste persone si dichiara malata, l’applicazione manderà una notifica senza rivelare l’identità del malato e viceversa. Questo permette di sottoporsi a test o di mettersi spontaneamente in quarantena per limitare la diffusione del virus.
Ci sono parecchi limiti che rischiano di mettere a repentaglio queste precauzioni da un lato, e dall’altro di ridurre sostanzialmente l’efficacia del sistema:
– Un utente che si dichiara positivo o malato perde l’anonimato e viene identificato e schedato nei server centrali.
– L’anonimato di una persona infetta con cui si è venuti in contatto non è sempre garantita[6].
– C’è un problema di applicazioni parassite, come per esempio è avvenuto in Corea del Sud. In questo caso gli Open Data hanno permesso a sviluppatori senza scrupoli di rintracciare e rendere pubblici i movimenti di persone contagiate come per esempio avviene con l’applicazione Corona100m scaricata da più di un milione di utenti. Per le stesse ragioni, sempre in Corea, ci sono state forme di discriminazione sociale come quella che si è verificata nei confronti dei membri di una setta religiosa dove si era sviluppato un cluster della malattia al seguito di un grande meeting.
– In Europa al contrario che in Cina l’utilizzo di queste app dovrebbe essere facoltativo. Qui si presentano due rischi opposti. Da un lato si stima che per essere efficace il sistema debba essere usato dal 50-60% della popolazione il che non è evidente dato che solo una media del 70% della popolazione ha uno smartphone e che non tutti sono pratici nell’uso di Bluetooth che, fra l’altro, non è un protocollo molto robusto. Il fatto inoltre che le fasce non trascurabili siano escluse, essenzialmente per ragioni economiche e di istruzione, costituisce come per il distanziamento, una discriminazione di classe e come è successo a Singapore indeboliscono la lotta alla pandemia. Dall’altro che nonostante la discrezionalità vengano fatte pressioni ed ingerenze per “incentivarne” l’uso come dettagliamo qui di seguito rispetto all’Italia ed alla Francia.
In Italia l’app Immuni in corso di sviluppo è criticata, a giusto titolo a mio parere, perché non open source, gestita da una società privata che ha legami col potere politico[7] e con molte debolezze tecniche e di sicurezza[8]. Ci sono inoltre le voci che vengono fatte circolare sui media mainstream di una possibilità di restringere la mobilità di chi non la usa, mentre si pensa in alternativa di far mettere braccialetti di controllo, in particolare per gli anziani ma non solo ovviamente. In Francia dove ci sono simili critiche per l’app StopCovid, sono stati espressi dubbi che la libertà d’uso sia solo teorica e diventi de facto un obbligo[9], come già successo in casi simili soprattutto nel caso piano antiterroristico Vigipirate.
Google e Apple entrano nella battaglia
Apple e Google hanno annunciato venerdì 10 aprile di lavorare insieme all’implementazione di un’infrastruttura software per applicazioni di “social tracking“, nell’ambito della lotta contro l’epidemia di Covid-19.
Il nuovo sistema si basa sul modello Bluetooth, precedentemente descritto, e promette di garantire la privacy dei cittadini.
Nell’annuncio viene specificato che il progetto avrà due fasi:
– La prima contempla la fornitura di una libreria software (API) comune che dovrebbe permettere lo sviluppo delle funzionalità di contact tracing in modo inter-operabile fra gli smartphone Android e gli iPhone.
– Nella seconda Apple e Google integreranno queste funzionalità direttamente nei rispettivi sistemi operativi e nei futuri hardware dei loro dispositivi.
Questo annuncio, che a prima vista sembra costituire un notevole passo in avanti, solleva comunque molte inquietudini.
Tali preoccupazioni vanno al di là dell’aspetto puramente tecnico dell’annuncio: Apple e Google sono rispettivamente la prima e la terza capitalizzazione mondiale. Esse detengono tramite i rispettivi sistemi operativi – iOS et Android – il controllo della quasi totalità dei miliardi di dispositivi mobili utilizzati dall’umanità.
Secondo molti osservatori[10] diversi rischi si profilano all’orizzonte:
– Nonostante le dichiarazioni sul rispetto della privacy molti dubbi fondati possono essere espressi considerando, per esempio, che Google ha una storia di violazione sistematica e durevole della privacy e di esproprio del surplus comportamentale dei suoi utenti. Questi comportamenti sono stati ampiamente analizzati, presentati e documentati come per esempio nell’approfondito saggio di referenza in materia: “Il capitalismo della sorveglianza” di S. Zuboff[11].
– Le caratteristiche di una tale piattaforma globale di sviluppo comune delle app Covid-19 potrebbe favorire l’interfaccia se non l’integrazione con altri servizi dei sistemi di sanità nazionali. In questo caso gli utenti saranno presi in trappola ed influenzati se non costretti ad aderire al servizio. Oppure come è avvenuto in Cina con Wechat, l’app potrebbe essere integrata con altre di uso corrente ed anche in questo caso potrà essere esercitata una pressione psicologica che ne spinge all’uso.
– Nel 2019 l’amministrazione Trump aveva imposto a Google di ritirare a Huawey, uno dei primi produttori mondiali di smartphone, le licenze ed upgrade Android (salvo la base open source) e l’accesso alle applicazioni Google. In pratica questo implicherebbe che sulla base delle decisioni di uno Stato estero e di una società privata statunitense, una parte degli utenti, per esempio europei, dovrebbe cambiare smartphone e diventare obbligatoriamente cliente ed utente Apple o Google per non venire esclusa da un servizio sanitario nazionale finanziato col denaro pubblico.
– Più alti potrebbero essere i rischi nella fase 2 d’integrazione del servizio nei sistemi operativi: le due società affermano che le tecnologie saranno opt-in, cioè opzionali, lasciando la facoltà agli utenti di utilizzarle. Come sulla privacy si possono avere forti dubbi anche su tale tipo di promesse che spesso non sono rispettate[12].
Conclusioni
Le app di tracking e di contact tracing hanno contribuito a controllare la pandemia Covid-19 permettendo azioni di isolamento e test più efficaci e contribuendo quindi a salvare delle vite sotto certe condizioni. Con tutte le riserve che abbiamo emesso sugli aspetti di controllo, nei paesi asiatici in cui sono state introdotte, le app sono state almeno efficaci perché tali paesi hanno dimostrato di disporre di un sistema sanitario e/o di una capacità organizzativa in grado di far fronte la situazione. Si può facilmente immaginare che se queste ultime condizioni non sono rispettate le app non permetteranno miglioramenti notevoli.
Sul piano della sorveglianza molte questioni si pongono e consistenti problematiche emergono. Con l’epidemia le app basate sui dispositivi mobili entrano impetuosamente a far parte dell’ambito d’interoperabilità di tecnologie e reti con gli umani da me definito bioipermedia[13] dove già le macchine del potere statale e finanziario esercitavano una forte egemonia.
L’obbligatorietà dell’app Health code in Cina, che rende lo smartphone un elemento di sopravvivenza, sembra un passo decisivo verso un controllo o addirittura una sottomissione della vita a partire dal bioipermedia.
Al di fuori della Cina notiamo come l’accordo Google–Apple costituisca un passaggio ulteriore nella scalata di Silicon Valley & Co. verso il potere globale. Le multinazionali del capitalismo delle piattaforme hanno l’abitudine d’intervenire in modo diretto nella governance mondiale con le loro app usate da miliardi di utenti. Questo caso specifico è un esempio particolarmente forte del loro attaccamento alla “DO-ocracy”, la logica della società del “fare”. Il messaggio implicito del loro annuncio è “mentre voi politici state a perdere tempo discutendo della legittimità e dei dettagli, noi lo stiamo già facendo concretamente”[14].
Da un lato l’utilizzo obbligatorio e l’assenza di privacy dell’app cinese Health Code è il segno indiscutibile di un regime e di una società disciplinare. Dall’altro è abbastanza sorprendente che questa difesa della “libertà” venga proprio dai rappresentati di un sistema di cui la Silicon Valley è l’emblema. Un sistema in cui la privacy è violata quotidianamente in tutti i sensi non per ragioni di sanità pubblica ma solo a fini di accumulazione finanziaria.
In Europa e in particolare in Italia e in Francia che si preparano a lanciare due app “nazionali”, ci sono elementi che non giocano a favore di queste operazioni. Innanzitutto ci sono forti dubbi tecnici e culturali sulla loro efficacia. Il fatto inoltre che si cominci a parlare di braccialetti elettronici in alternativa all’app e di “incentivi” all’uso (Italia), conferma il timore che si tratti di un salto di qualità senza precedenti e senza ritorno nella presa di controllo del bioipermedia che mai come oggi ha meritato il suo nome. Di fronte a queste iniziative c’è da mettere in avanti lo stato d’impreparazione e le manchevoli modalità con cui Francia, Italia (con qualche attenuante in quanto prima colpita), Spagna, Inghilterra ed altri paesi europei hanno affrontato la crisi.
C’è un’impressione diffusa che, dopo esser stato responsabile delle tragiche conseguenze dello smantellamento decennale della sanità pubblica e della distruzione di quella territoriale, della disastrosa mancanza di tamponi e di mascherine, dopo aver stigmatizzato i runner e le famiglie nei parchi mentre si mantenevano le elezioni (in Francia), il potere politico-finanziario voglia ora imporre le app come un (falso) soluzionismo tecnologico a basso costo mentre sono un reale strumento di controllo nello tsunami economico che sta per scatenarsi. A questo bisogna aggiungere la dose di cinismo con cui i poteri politici e la finanza nazionali o regionali hanno deciso (senza dichiararlo pubblicamente, all’eccezione di Boris Johnson) di porre il cursore fra economia e salute pubblica con un costo il cui ordine di grandezza sono le migliaia di morti.
A chi in buona fede ed a giusto titolo evoca nelle app una scelta che divenga obbligata eticamente perché non riguarda solo l’individuo, ma concerne direttamente la responsabilità dell’individuo verso la società e verso gli altri si potrebbe ribattere che sarà difficile convincere di questa necessità generazioni che sono state cresciute ed educate nell’etica dell’individualismo e della competitività, mattoni di base del capitalismo neoliberale.
In conclusione, per evitare di tornare sull’annoso dibattito della (falsa) neutralità della tecnologia, la critica delle app anti Covid-19 dovrebbe orientarsi non tanto sull’opportunità del loro utilizzo in certe condizioni quanto sul contesto in cui vengono impiegate e sulle modalità di controllo sociale e politico utilizzate. Quest’ultimo aspetto a nostro parere pone un problema tanto in Cina quanto in Europa ed in Occidente.
Parigi 21/4/20
[1] Un particolare ringraziamento ad Antonio Casilli: ho utilizzato la sua brillante intervista a Mediapart (citata in nota 10) per strutturare una parte di questo documento. Un grazie anche a Salvatore Iaconesi e Simone Pieranni per i loro recenti articoli che ho trovato di grande utilità.
[2] Simone Pieranni, reputato sinologo, scrive sul Manifesto del 17/4/2020: “Lo scopo finale del Partito comunista è la creazione di un unico gigantesco database nazionale nel quale ogni cittadino e ogni azienda avranno un punteggio sociale determinato dal proprio comportamento in termini di affidabilità economica (pagamento di multe, restituzioni di prestiti), penale, amministrativa (dipendente anche da comportamenti di natura civica come ad esempio suonare il clacson, effettuare una buona e diligente raccolta differenziata, ecc) … a questo proposito è bene fare un po’ di chiarezza: non esiste ancora in Cina un sistema di crediti sociali nazionale, essendo prevista una sua valutazione proprio nel 2020. Esistono però diversi tipi di crediti sociali che subiranno o stanno già subendo modifiche a causa del coronavirus.”
[3] “Non appena un utente autorizza il software ad accedere ai dati personali, un elemento del programma denominato “reportInfoAndLocationToPolice” invia ad un server della Polizia la posizione della persona, il nome della città e un numero di codice identificativo”. In coronavirus fight, China gives citizens a color code, with red flags, “New York Times” 01-03-2020
[4] Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (in inglese General Data Protection Regulation), ufficialmente regolamento (UE) n. 2016/679
[5] Per esempio con il nuovo protocollo DP-3T[5] si creano degli identificativi univoci rigenerati ogni 15 minuti in maniera casuale che non sarebbero centralizzati sui server istituzionali.
[6] Il contagiato può essere facilmente identificabile quando si incontra un numero ridotto di persone o se si accende il Bluetooth solo in determinate occasioni.
[7] La famiglia Berlusconi è nel capitale della società Bending Spoons spa
[8] Si veda a questo proposito l’analisi di S. Iaconesi
[9] cfr Stopcovid, un bracelet électronique pour tous, “Libération”, 19-04-2020 Visitato il 20/4/2020
[10] si veda in particolare l’articolo pubblicato da Salvatore Iaconesi sul Manifesto 12/4/20
[11] S. Zuboff , Il capitalismo della sorveglianza, LUISS, 2019
[12] Ibid. P170. È il caso dei tracking perenni installati nei dispositivi mobili e che accedono a microfoni, webcam etc. con applicazioni di tipo Alexa, Cortana etc. senza che gli utenti ne siano avvertiti. In molti di questi casi le autorità di controllo e giudiziarie siano state tolleranti quando non conniventi con tali infrazioni in particolare negli Stati Uniti.
[13] Bioipermedia: termine derivato dall’assemblaggio di bios/biopolitica e ipermedia, come una delle attuali dimensioni della mediazione tecnologica. Le tecnologie connesse, “indossabili” o disposte nel territorio (IoT o internet degli oggetti) sono gli strumenti tangibili di nuvola immateriale che ci avviluppa e che nello stesso tempo alimentiamo di continuo. Un territorio in cui siamo sottomessi ad una percezione multisensoriale in cui spazio reale e virtuale si confondono estendendo ed amplificando gli stimoli emozionali. Siamo nell’ambito in cui il corpo nella sua integralità e la coscienza si connettono alla rete complessiva in modo talmente intimo da entrare in una simbiosi in cui avvengono modificazioni e simulazioni reciproche”. Giorgio Griziotti, (2016). Neurocapitalismo, mediazioni tecnologiche e vie di fuga. Milano: Mimesis. (p. 120)
[14] A. Casilli nell’intervista a Mediapart 15/4/20 Visitata il 19/4/2020
FONTE:https://www.globalproject.info/it/in_movimento/covid-and-human-tracking/22722
Putin e Trump contro il Nuovo Ordine Mondiale: la battaglia finale
Le ultime settimane hanno messo tutto a posto per l’ultima battaglia. Ci sono così tanti fatti ed eventi diversi, sinistri e destri, e cercherò di fare del mio meglio per rimanere metodico in questa complicata presentazione. Ho avuto difficoltà a scrivere questo articolo per tre settimane a causa della folle quantità di dettagli extra che ogni giorno porta. Potrebbe essere stato il momento sbagliato per smettere di fumare, ma mi piacciono le sfide.
Dollaro che cade
È necessario un piccolo contesto. Il concetto di New World Order è semplicemente il desiderio di una manciata di banchieri internazionali che vogliono gestire l’intero pianeta economicamente e politicamente come una famiglia felice. È nato nel 1773 e ha subito cambiamenti significativi nel corso degli anni, ma il concetto e lo scopo non hanno cambiato una iota. Sfortunatamente per loro, le banche internazionali che hanno saccheggiato il pianeta attraverso il dollaro USA dal 1944 sono ora minacciate dall’iperinflazione, poiché la loro macchina da stampa ha funzionato per anni per coprire le loro assurde spese intese ad alimentare il petrolio e le guerre petrolifere, risorse che tutti hanno finito per perdere.
Al fine di prevenire la prossima iperinflazione, hanno generato un attacco virale a quattro paesi (Cina, Iran, Italia e ora gli Stati Uniti) per diffondere il panico tra la popolazione, con il prezioso aiuto dei loro ignominosi media. Sebbene questo coronavirus non sia diverso dagli altri nuovi virus che attaccano gli umani ogni anno, la paura dei media ha spinto le persone a isolarsi volontariamente attraverso la paura e il terrore. Alcuni hanno perso il lavoro, le aziende sono fallite, il panico ha creato un crollo del mercato azionario che ha svuotato i portafogli e svalutato le attività, il che ha comportato il ritiro di alcuni trilioni di dollari virtuali dal mercato per allentare la pressione sulla valuta.
Fin qui tutto bene, ma tutto il resto è andato storto in questo disperato banzaï finale. Il miglior virologo del pianeta ha confermato che la clorochina è stata utilizzata dai cinesi con risultati spettacolari per curare i pazienti, quindi ha migliorato la sua pozione magica aggiungendo un antibatterico polmonare chiamato azythromicine e ha salvato ciascuno dei suoi primi 1000 casi, tranne uno.
Donald Trump ha immediatamente imposto lo stesso trattamento combattendo la propria Federal Drug Administration, acquistata e di proprietà del Deep State. Ciò ha costretto tutti i media a parlare del miracolo elisir di Didier Raoult, firmando il mandato di morte per la nostra fiducia in tutti i governi occidentali, le loro agenzie mediche,
Non lontano da lì, in Germania, il Dr. Wolfgand Wodarg ha dichiarato a livello internazionale il fatto che questo panico artificiale era totalmente inutile, poiché questo virus non è diverso dagli altri che ci colpiscono ogni anno. È stata una straordinaria vittoria per Trump e il grande pubblico sui social media, che hanno messo insieme le bugie patologiche dei canali di comunicazione ufficiali di ciascun paese del Nuovo Ordine Mondiale. Di fatto, la credibilità di questi governi fantoccio è scomparsa nell’aria e, nell’occhio del ciclone, l’Italia lascerà sicuramente l’UE immediatamente dopo la crisi, il che scatenerà un effetto domino in tutti i paesi del Membri UE e NATO. Amici miei, il globalismo è morto e pronto per essere cremato.
Scavando l’abisso
I banchieri internazionali non l’hanno visto arrivare nel 1991, quando hanno dominato il 95% del pianeta dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Sembrava che nulla potesse fermare la loro missione finale di realizzare il loro sogno orwelliano: distruggere alcuni paesi del Medio Oriente, allargare Israele e ottenere il controllo totale del mercato mondiale del petrolio, l’ultimo pezzo del loro puzzle Xanadu su cui hanno lavorato un intero secolo, a partire dalla Dichiarazione Balfour del 1917.
Quando Vladimir Putin ha assunto il potere in Russia, non c’era nulla che suggerisse che avrebbe fatto meglio dell’ubriacone che aveva sostituito. Un ex ufficiale del KGB sembrava essere una scelta più motivata dalla nostalgia che dall’ideologia, ma Putin disponeva di molte più risorse per lui di quante ne avesse a prima vista: patriottismo, umanesimo, senso della giustizia, astuto, un geniale amico economista di nome Sergey Glazyev che disprezzava apertamente il Nuovo Ordine Mondiale, ma soprattutto incarnava la il ritorno dell’ideologia russa perduta da tempo per la totale indipendenza politica ed economica.
Dopo alcuni anni passati a prosciugare la palude russa degli oligarchi e la mafia che il suo maldestro predecessore aveva lasciato nella sua scia di bottiglie vuote, Vlad si rimboccò le maniche e si mise al lavoro.
Poiché i suoi avversari avevano saccheggiato il pianeta per 250 anni attraverso la colonizzazione assicurata dal dominio militare, Vlad sapeva che doveva iniziare costruendo una macchina militare invincibile. Ed è quello che ha fatto. Ha progettato diversi tipi di missili ipersonici che non possono essere fermati, i migliori sistemi di difesa del pianeta, i migliori sistemi elettronici di disturbo e i migliori aerei. Quindi, per assicurarsi che la guerra nucleare non fosse un’opzione, ha inventato dispositivi da incubo, come Sarmat, Poseidon e Avangard, tutti inarrestabili e in grado di distruggere qualsiasi paese in poche ore .
Con un nuovo e ineguagliabile arsenale, potrebbe procedere alla sconfitta di qualsiasi forza della NATO o dei suoi delegati, come ha fatto da settembre 2015 in Siria. Ha dimostrato a ogni paese che l’indipendenza dal sistema bancario della NATO era ora una questione di scelta. Putin non solo ha vinto la guerra in Siria, ma ha ottenuto anche il sostegno di molti paesi del Nuovo Ordine Mondiale che improvvisamente cambiarono parte quando si sono resi conto di quanto fosse diventata invincibile la Russia. Sul fronte diplomatico, ha anche ottenuto il sostegno della potente Cina, poi è riuscito a proteggere i produttori di petrolio indipendenti come il Venezuela e l’Iran, mentre leader come Erdogan dalla Turchia e Muhammad Ben Salman dall’Arabia L’Arabia hanno deciso di schierarsi con la Russia,
Per concludere, Putin ora controlla l’onnipotente mercato petrolifero, l’inevitabile risorsa energetica che alimenta le economie e gli eserciti, mentre i banchieri della NATO possono solo guardare, senza alcun modo per recuperarlo. Con gli incredibili risultati che Putin ha ottenuto negli ultimi cinque anni, il Nuovo Ordine Mondiale sembra improvvisamente un castello di carte sull’orlo del collasso. L’Impero bancario è stato malato terminale per cinque anni, ma ora è sulla morfina, a malapena realizzando cosa sta succedendo.
Tragedia e speranza
Poiché non vi è alcuna speranza di iniziare la terza guerra mondiale che si perde in anticipo, l’ultimo banzai è uscito dai cespugli sotto forma di un virus e la creazione dei media che ha seguito una falsa pandemia . L’obiettivo principale era quello di evitare la catastrofica iperinflazione dell’enorme massa di dollari che nessuno vuole più, di avere il tempo di impostare la valuta crittografata del loro mondo virtuale, come se i banchieri che fallivano cronicamente avevano ancora un po ‘di legittimità per continuare a controllare le nostre riserve di denaro. All’inizio sembrava che il piano potesse funzionare. Fu allora che Vlad tirò fuori il suo revolver per lanciare la roulette russa e che i banchieri si colpirono il cervello mentre premevano il grilletto.
Putin ha convocato un incontro con l’OPEC e ha ucciso il prezzo del petrolio rifiutando di ridurre la produzione russa, facendo scendere il barile sotto i 30 dollari. Senza ulteriori riflessioni e certamente meno rimorsi, Vlad ha annientato la costosa produzione di petrolio scisto degli USA. Tutti i dollari che erano stati ritirati dal mercato dovevano essere reintegrati dalla Fed e da altre banche centrali per evitare un declino e il disastro finale. Oggi, i nostri cari banchieri non hanno più soluzioni.
Nel frattempo, Trump ha anche attaccato con i suoi legami. da gangster. Mentre i media hanno evitato il tema della clorochina, un vecchio farmaco per curare la malaria, Trump ha costretto la FDA a usare questo farmaco salvavita per i pazienti americani infetti. I media non hanno avuto altra scelta che iniziare a parlarne, il che ha scatenato una reazione a catena: i CEO delle grandi compagnie farmaceutiche sono stati licenziati perché avevano appena perso il contratto per il vaccino, si dice che i paesi come il Canada siano in preda a un folle genocida per non aver usato questo medicinale economico e innocuo, mentre uno degli atti più scandalosi commessi da un governo è stato esposto: il governo Macron aveva proclamato nel gennaio 2020 che la clorochina era dannosa e ne aveva limitato l’uso, solo poche settimane prima dello scoppio della falsa pandemia! Oggigiorno la roulette russa è un gioco popolare nei governi occidentali.
Sabato 28 marzo, la Russia ha annunciato la sua miscela corona killer, basata sulla pozione magica del Dr. Raoult. Un altro colpo cosacco, questa volta nella vena giugulare dei grandi gruppi farmaceutici, quando la maggior parte dei paesi occidentali deve ora istituire il trattamento del buon dottore o affrontare lo schiaffo di una pillola russa che viene per salvare i loro cittadini . Di recente Putin ha salvato delle vite: nell’ultima settimana di marzo ha inviato 15 aerei militari pieni di medici e rifornimenti direttamente nel nord Italia dopo un aereo di soccorso dalla Cina è stato bloccato dalla Repubblica ceca.
Stiamo per apprendere che i paesi europei temono che la Cina o la Russia scoprano la verità nella regione Lombardia,
Conclusione
Ho detto prima che ogni giorno porta notizie straordinarie. Bene, domenica 29 marzo, il più sorprendente di tutti è caduto come una tonnellata di mattoni sui social media: gli spettatori confinati hanno appreso che Trump aveva preso il controllo della Federal Reserve, che ora è gestita da due rappresentanti del Tesoro di stato. Di tutte le notizie pazze dello scorso mese, questa è di gran lunga la migliore e la più scioccante. Dopo tre anni al potere, Trump ha finalmente mantenuto la promessa elettorale di rimuovere le banche private dagli affari pubblici statunitensi, ponendo fine a un secolo di sfruttamento dei cittadini statunitensi. Ha chiesto al famigerato gruppo di investimento Blackrock di iniziare ad acquistare grandi aziende dalla Fed, il che significa che nazionalizza interi settori dell’economia,
Questa iniziativa estremamente audace arriva in un momento cruciale e ci rende consapevoli che Vladimir Putin e Donald Trump hanno unito gli sforzi e hanno portato l’umanità al crocevia tra il Nuovo Ordine Mondiale e la libertà. Come ho già detto molte volte, ho pensato che il mondo sarebbe cambiato profondamente tra il 2020 e il 2024, perché sarebbero stati gli ultimi 4 anni di questi due personaggi (così diversi ) del potere politico nelle loro nazioni.
Il Nuovo Ordine Mondiale affronta i due paesi più potenti del pianeta e questa falsa pandemia ha cambiato tutto. Ha dimostrato quanto siano disperati i banchieri e se non vogliamo finire con testate nucleari a doppio senso, Putin e Trump devono fermarli adesso.
Dobbiamo porre fine al Bureau of Industry and Security (BRI), alla Banca mondiale, al FMI, alla Banca centrale europea, all’UE, alla NATO, adesso. Il nostro mondo non sarà perfetto, ma potrebbe presto migliorare.
La risurrezione pasquale si sta avvicinando. Potrebbe diventare biblico.
Fonti: Putin e Trump vs The New World Order: The Final Battle
controinformazione.info
Tradotto da Réseau International
FONTE:https://www.nexusedizioni.it/it/CT/putin-e-trump-contro-il-nuovo-ordine-mondiale-la-battaglia-finale-6009
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
Blade Runner, quando il futuro diventa il presente
Film cult di Ridley Scott è ambientato nel novembre 2019
Alessandra Baldini – 5 11 2019
Quando il futuro diventa il presente. Blade Runner, il capolavoro di Ridley Scott ispirato al racconto di fantascienza di Philip K. Dick “Il cacciatore di androidi”, ha raggiunto il target della data in cui e’ ambientato: novembre 2019. Nel 1982 Scott aveva immaginato una Los Angeles in disfacimento. Palle di fuoco esplodono nel cielo di una metropoli distopica perennemente avvolta dallo smog che offusca il Sole e produce una pioggia continua, probabilmente acida.
Inquinamento, clima impazzito, avidità delle corporation, governi repressivi e una popolazione che fatica a mantenere la propria umanità. Sui social media i primi fotogrammi del film hanno fatto trend assieme alla consapevolezza che 37 anni fa in tante cose il regista aveva visto giusto. Rutger Hauer, il replicante filosofo Roy Batty il cui monologo cult “Ho visto cose che voi umani non potreste immaginare… e tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia” segna l’epilogo del film, non ce l’ha fatta a vedere il giorno in cui il film che lo rese icona ha raggiunto la sua data di scadenza. L’attore olandese dagli occhi di ghiaccio, che in Blade Runner recitava accanto a Harrison Ford e Sean Young, e’ morto in luglio a 75 anni, ancora grato per aver avuto l’opportunità di far parte del cast, a differenza di Ford, che aveva trovato la lavorazione troppo scomoda, soprattutto per la pioggia incessante. Mentre nella vera Los Angeles un novembre secco e caldo alimenta gli incendi che hanno messo in allerta milioni di persone, su Twitter gli ammiratori del film si sono impegnati a confrontare come il futuro di Ridley Scott coincida con il loro presente.
Se le auto volanti che solcano il cielo lasciandosi dietro una scia di fuoco non esistono ancora, se la robotica dietro gli androidi “piu’ umani dell’umano” Zhora, Pris, Roy e Leon non e’ ancora realta’, l’intelligenza artificiale sta diventando ogni giorno sempre piu’ intelligente. Non esistono cellulari e smartphone nel mondo di Blade Runner, ma Harrison Ford (il cacciatore di replicanti Rick Deckard) parla in video call con Zhora, anticipando le videochiamate di Skype, Whatsup e FaceTime, mentre gli assistenti vocali usati da Deckard e da Eldon Tyrell, il fondatore dell’azienda che fabbrica i replicanti, evocano gli attuali Siri di Apple o Alexa di Amazon.
FONTE:https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/cinema/2019/11/04/blade-runner-quando-il-futuro-diventa-il-presente_5083dbf1-3819-4978-8a9e-10cbec3c251b.html
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Con la fase 2 cambia anche l’autocertificazione
Dopo giorni di conferme e smentite, durante la conferenza stampa, Giuseppe Conte ha ribadito la necessità di giustificare gli spostamenti con l’autocertificazione anche all’interno del comune
Dal 4 maggio servirà ancora l’autocertificazione? Tra i rimbalzi di notizie degli ultimi giorni, la conferenza stampa di Giuseppe Conte ha dato una certezza.
Il 4 maggio e per almeno altre due settimane sarà ancora necessaria per spostarsi, anche all’interno del comune. Come ha specificato anche il premier, la data del 4 maggio non sarà un tana libera tutti ma ci potranno essere alcuni allentamenti minimi, soprattutto per i nuclei familiari ma sempre con valida motivazione, con l’obiettivo di non far rialzare eccessivamente la curva dei contagi da coronavirus.
La questione dell’autocertificazione è stata una delle più dibattute durante la cabina di regia tra il governo e gli scienziati. Il fronte dei no era nutrito ma a vincere è stato quello del sì, almeno fino al 18 maggio. Il 4 maggio inizierà una lenta ripresa, che sarà però graduale e non prevede la libertà di uscita totale per i cittadini, che dovranno comunque giustificare sempre i loro spostamenti. Il motivo della persistenza dell’utilizzo dell’autocertificazione è soprattutto basata sul fattore psicologico. Infatti c’è il rischio che dal 4 maggio il Paese percepisca l’allentamento delle misure come un vero e proprio ritorno alla normalità, che non ci sarà almeno per molti mesi così come eravamo abituati fino a metà febbraio, quando sono state prese le prime misure contro il coronavirus.
“L’autocertificazione è fondamentale“, ha spiegato nelle scorse ore il ministro della Salute Roberto Speranza, al quale ha fatto poi eco Giuseppe Conte nel corso della conferenza stampa: “Non possiamo permetterci di dire che si esce liberamente, non è un liberi tutti. Comprendiamo che questo regime restrittivo è limitante, ma deve esserci un motivo per spostarsi.” Il concetto è stato ribadito anche dal ministro Francesco Boccia, durante Live – Non è la d’Urso: “Se le autorità chiedono spiegazioni sugli spostamenti bisognerà dimostrare che lo spostamento è giustificato. Dal 4 al 18 maggio sarà una fase di lenta e graduale ripartenza, non si allenta nulla.”
Cosa cambierà dal 4 maggio? Nell’autocertificazione, che sarà resa disponibile nei prossimi giorni e continuerà a essere necessariamente obbligatoria anche negli spostamenti all’interno del proprio comune di residenza, saranno inserite motivazioni aggiuntive rispetto a quelle presenti nel modulo attualmente impiegato. L’incontro con i congiunti sarà ritenuto valido per lasciare la propria abitazione, per andare a trovare i parenti più prossimi (figli, genitori, fratelli ecc.). Tuttavia, questo non sarà motivo di creare aggregazione in famiglia, non si potranno organizzare “party familiari“, come ha specificato anche Giuseppe Conte nel corso della conferenza stampa.
FONTE:https://www.ilgiornale.it/news/cronache/autocertificazione-necessaria-anche-4-maggio-non-liberi-1858295.html
State Usando bene il Vostro tempo (per Pianificare la Fuga?)
Paolo Rebuffo – 24 04 2020
Uno degli spettacoli che non voglio perdermi tanto che se ne avrò voglia , forse (molto forse) tornerò alle origini e tornerò a fluidificare e facilitare per un po’ il trasferimento delle persone e delle aziende dall’Italia verso la Svizzera, e nello specifico nel Cantone a più alto privilegio fiscale e efficienza burocratica: Zug. La fuga dei capitali dalle banche a giurisdizione italiana a quelle europee (de malvagio Nord, specie alcune note banche tedesche o danesi) e in parte minore in Svizzera è già ricominciata in forze, questo prelude ad una notevole fuga di persone dalla responsabilità legale e fiscale NEGazionista.
Tra qualche settimana verranno riaperte le gabbie, nel senso delle frontiere e allora comincerà lo spettacolo. Io essendo in Svizzera non potrò che occuparmi della parte alta del mercato dell’emigrazione anzi della Fuga dalla Bancarotta ma so che a questo giro non saranno solo “quelli con i soldi” a fuggire via, saranno giovani, meno giovani e interi nuclei familiari, ovvero quello accade ad un paese del secondo mondo alle porte con il primo mondo.
Siete molto fortunati, nessun paese del secondo mondo ha accordi di libero scambio delle merci, delle persone e dei capitali come la Nota Espressione Geografica verso l’Unione Europea (dai davvero pensate ancora di farne veramente parte, su, siamo seri), nessun cittadino del secondo mondo può passare il confine senza neppure un controllino doganale e godere automaticamente o quasi dei privilegi di essere automaticamente un cittadino del primo mondo. La cosa divertente è che voi del secondo mondo quasi in maggioranza volete il ritorno delle frontiere e dell’autarchia, lo capisco, questo significa che in maggioranza siete senza speranza legati ad una provincia e incapaci anche solo di immaginare una vita fuori dai vostri 50km di conforto.
Quindi mi rivolgo a quel (forse) 20% di voi che qualche domanda seria sulla tenuta civile, sociale ed economica della NEG se la è fatta e se la sta facendo ancora di più di fronte all’enormità che attende un paese che era, ricordiamocelo, già in crisi alla fine dell’anno scorso.
Se siete stati e state a casa davanti ad un computer, con una connessione ad Internet, state pianificando la vostra fuga? Non vi voglio mentire, emigrare costa. Tempo, sforzi, soldi. Una cosa ve la posso assicurare però, raramente un emigrato italiano fallisce all’estero ed è costretto a tornare indietro, e nessun emigrato di queste ultime generazione vuole tornare indietro: questo mai. Ci sono le vacanze per andare in Italia (eventualmente).
Chi decide di emigrare può essere più o meno intelligente o avere fatto scuole ed esperienze più o meno qualificate, ma ha due caratteristiche, sempre: coraggio e immaginazione.
Riesce ad immaginare se stesso all’estero e ha il coraggio di provarci.
Oggi internet offre una miniera di informazioni per una minima preparazione all’evento. Ovviamente capisco bene le situazioni: avere una casa o più di un immobile (auguroni, sarà un mercato immobiliare “frizzantino”), i genitori anziani, i figli da mandare a scuola come vi ho detto ci sono costi da pagare e compromessi da prendere a molti livelli, ma ado ogni modo vi chiedo: state usando bene il vostro tempo in quarantena, oppure vi state sfondando di streaming e canzoncine sul balcone?
Voglio togliervi ogni dubbio: In moltissimi paesi al mondo è e sarà sempre meglio della NEG, punto. Alcuni paesi “dell’est”, a proposito vi ricordate gli italiani che andavano a fare i galletti e sboroni a Praga o a Varsavia?, sono già meglio, molto meglio dell’Italia che oggi per me se la batte con la Romania e va verso la Bulgaria in termini di qualità e soprattutto fiducia per il futuro.
Allora: state usando bene il vostro tempo.
Vi lascio con un simpatico video:
p.s. scusate il ragionamento terra, terra. Se i tedeschi sono disposti a integrare migliaia di Turchi mussulmani ( e cagacazzo ) pensate che si facciano dei problemi ad accogliere gente con un cultura affine, disposta a lavorare sodo e ad imparare bene una lingua. Una cosa che ho notato degli Italiani immigrati in Svizzera è che imparano la lingua locale (tedesco e zügerdeutsch, cioè un grugnito) per integrarsi, cosa che altri europei fanno con difficoltà specie i numerosi Portoghesi ad esempio.
FONTE:https://funnyking.io/archives/6478
OLTRE IL CORONAVIRUS, SULLE ORME DEL FUTURO
Il virus ha vinto, ci ha colonizzato mente e corpo, produce il nostro immaginario: frattali infiniti di grafici e tabelle. Si è preso tutto il nostro presente, blindato nelle mura domestiche. E tuttavia sta anche spalancando le porte sulle orme del futuro. Ci attende una voragine di incognite, guardarci dentro significherà cambiare rotta, una volta per tutte.
25 03 2020
Diario minimo dalla quarantena: il virus ha vinto, siamo suoi ostaggi. Ci ha colonizzato mente e corpo. Costruisce per noi le immagini con cui ci orientiamo nel mondo, produce il nostro immaginario: frattali infiniti di grafici e tabelle.
Passiamo il tempo a contare il numero di contagiati, dei morti, a paragonare i numeri nelle diverse nazioni, a sognare appiattimenti di curve che giorno dopo giorno sono sempre più ripide e preoccupanti. Il virus si è preso tutto il nostro presente, blindato nelle mura domestiche.
E tuttavia, lo stesso virus, sta anche spalancando le porte del futuro. Una voragine di incognite ci attende: nulla sarà come prima, continuiamo a ripeterci come un mantra di speranza misto a preoccupazione. Stanno venendo a galla tutte le contraddizioni che abbiamo provato a seppellire negli ultimi decenni. E ora queste vengono a galla, ineluttabili, e dovranno essere affrontate.
Il migliore sistema sanitario del mondo è quello che ha gli strumenti e il personale sufficiente a fronteggiare le emergenze, di questo dovremmo tenere conto domani. Indipendentemente da come e quando arriverà, il domani. I tagli alla sanità pubblica e la conseguente crescita del settore privato hanno indebolito la sanità occidentale, e la sanità è uno dei capisaldi sul quale si fonda lo Stato moderno. Senza servizio sanitario garantito, si ritorna al Medioevo.
Le eccellenze esistono solo dove sono supportate dai mezzi e dalle risorse. Il defunto welfare state finanziato dalla spesa pubblica aveva creato delle eccellenze che sono state demolite nel corso degli ultimi trent’anni: equiparare la sanità a un mezzo di produzione qualsiasi è stato disastroso, essere ridotti ad aspettare la carità dei milionari fa male al cuore.
La carità arriva solo quando mancano giustizia e bontà, per parafrasare le parole dei Quaderni di José Saramago.
E allora: guardare al futuro, sì, dentro quella voragine d’incognite. Ma farlo con la convinzione di dover cambiare rotta. Di dover ripartire dalla salute pubblica, dalle disuguaglianze da abbattere, da beni e servizi per la collettività.
Ripartire da valori finiti nel dimenticatoio e procedere verso un progresso orizzontale e per tutti. La banda larga, ad esempio, dovrà diventare un bene comune, e gratuito: il digital divide disintegra le comunità da ormai troppo tempo. L’istruzione “da remoto” e lo smart working possono essere garantiti solo se c’è omogeneità nell’accesso alla Rete. La banda larga è oggi come l’acqua, è diventata imprescindibile: la disparità di accesso a un simile bene rischia di creare enormi asimmetrie di informazioni e opportunità di accedere a servizi essenziali.
La sorveglianza digitale dovrà essere riconvertita a uso pubblico, non più lasciata ai fini speculativi dei pochi. Le informazioni dovranno essere monetizzate e sfruttate dalla collettività e non più soltanto dai privati. Inoltre, bisognerà indirizzarle ad un uso civico e di emancipazione, non autoritario e repressivo: mappare le malattie, rendere più efficiente il servizio sanitario a domicilio, creare delle applicazioni che mettano in rapido e virtuoso contatto cittadini e operatori in modo da soppiantare le vecchie linee telefoniche intasate. Bisognerà condividere saperi e poteri in tempo reale. Rendere la Rete e i dati un bene comune, come proclamava Aaron Swartz.
Si dovrà poi gestire la finanza pubblica in modo omogeneo. La spesa sanitaria pro capite a livello europeo dovrà essere uguale ovunque, e non far parte del debito strutturale. Nell’emergenza ci stiamo rendendo conto che diversi Paesi dispongono di un numero diverso di macchine per salvare vite, di un numero diverso di posti in terapia intensiva, e questo è inaccettabile per un continente il cui nome vuole cominciare per “Unione”.
Si dovrà procedere con un’emissione immediata di bond europei per rifinanziare il post catastrofe. L’Unione Europea si fonda purtroppo ancora su una base prettamente economico-finanziaria, a cui dovrà subentrare un’armonizzazione delle politiche fiscali, non solo quelle monetarie, dimostratesi inefficaci e fallimentari.
Quella che ci troviamo ad affrontare adesso non è una crisi finanziaria: è una crisi dell’economia reale. È dunque arrivato il momento di creare degli strumenti di trasmissione monetaria che possano scavalcare le banche e arrivare direttamente ai cittadini. A cominciare da un reddito di quarantena per tutti.
Il virus, inoltre, sembra giungere come il culmine di ciò che succede a un pianeta dopo aver subito un’insostenibile spoliazione: sembra giungere in seguito all’inquinamento, al disboscamento, ai cambiamenti climatici.
È ora di affrontare le grida d’allarme della nostra Terra, l’unica che abbiamo, ora o mai più. La produzione e la circolazione schizofrenica delle merci porta a un effimero e falso benessere, a un aumento costante delle diseguaglianze tra classi: perché spreco e inquinamento sono le conseguenze di una sovrapproduzione che ricade principalmente sui meno abbienti.
Le emergenze nelle quali siamo immersi hanno origine naturale. Come il virus, figlio dell’azione di spoliazione dell’uomo sul pianeta.
Questo maledetto virus ha colonizzato il nostro corpo e la nostra mente. Quando lo avremo sconfitto, dovremo essere in grado di riprendere in mano la nostra intelligenza collettiva e intervenire per cambiare le cose. Altri virus arriveranno, tutti gli esperti sono concordi su questo.
Dovremo farci trovare pronti. E solo ripartendo dalla condivisione dei saperi e dei poteri potremo affrontare al meglio le prove cui ci sottoporranno le pandemie a venire.
FONTE:https://www.idiavoli.com/it/article/oltre-coronavirus-sulle-orme-del-futuro
BELPAESE DA SALVARE
I NUMERI INUTILI DELLA PANDEMIA
Ogni giorno, alle 18 circa, un rito laico accomuna milioni di italiani davanti al televisore, quando si presenta il capo della Protezione civile Angelo Borrelli, di solito accompagnato da un virologo, direttore di qualcosa o docente in qualche università – quasi avesse bisogno di questa rassicurante presenza scientificamente plausibile per fornire di credito le sue parole – sciorinando i numeri “aggiornati” della pandemia. Ebbene, perché ci danno questi numeri? Perché stiamo a sentirli ogni giorno? Che attendibilità hanno questi numeri? Praticamente nessuna. E vediamo perché. Poniamo mente, per spiegarci meglio, ai numeri forniti dalla Protezione civile ed aggiornati al 22 aprile. Attualmente positivi 107.699. Siamo sicuri? No, per nulla. Infatti, il numero dei positivi attuali dipende da due fattori, che qui non vengono presi in considerazione.
Da un lato, il numero dei tamponi effettuati il quale, ovviamente, risulta direttamente proporzionale a quello dei positivi: più tamponi, più positivi; meno tamponi, meno positivi. E allora quanti tamponi sono stati effettuati? Non si sa, con precisione. Non lo sanno, con precisione, neppure coloro che danno i numeri. Da altro lato, è evidente che ci sono moltissime persone – mai censite e non censibili – che si trovano ad essere con sintomi lievi o lievissimi ai quali non danno importanza o che li scambiano per un normale raffreddore o addirittura persone del tutto prive di sintomi e tuttavia fonte di contagio per tutti gli altri. Quanti saranno costoro? Molti, moltissimi, un numero indefinito da nessuno calcolabile con precisione: forse centomila, forse un milione o forse molti di più, qualche virologo dice sei o sette milioni. E allora è evidente come quel numero fornito degli attualmente positivi non dica un bel nulla: tanto varrebbe non darlo affatto.
Altro numero. I deceduti sarebbero 25.085. Siamo sicuri? No, per nulla. Infatti, in questo caso possono darsi casi diversi che fanno ridurre o elevare quel numero. Può darsi per esempio che alcuni di questi decessi (pochi o molti) dipendano eziologicamente da cause patologiche diverse e preesistenti o concomitanti e perciò quel numero andrebbe ridimensionato; oppure che altre persone (poche o molte) siano decedute senza che nessuno dei sanitari conosca con precisione la causa cui attribuire il decesso o che altre ancora non lo sappiano neppure loro e che siano decedute a casa propria da perfette sconosciute e perciò quel numero andrebbe sensibilmente elevato. E allora è evidente come anche questo numero non dica un bel nulla: tanto varrebbe non darlo affatto.
Altro numero. I nuovi positivi sarebbero 3.370. Siamo sicuri? No, per nulla. Anche qui valgono le considerazioni esposte sopra, circa la dipendenza di questo numero sia dal numero di verifiche effettuate, sia da quello di possibili asintomatici che tuttavia non vengono e non possono essere censiti in alcun modo. Allora è anche qui evidente come questo numero non dica un bel nulla: tanto varrebbe non darlo affatto. Forse i soli numeri vicini alla realtà sono quelli del maggior numero di letti vuoti in terapia intensiva e dei semplici ricoverati dimessi: ma anche qui permane qualche dubbio circa la conoscenza precisa e specifica di tutti – dico tutti – le sedi di ospedalizzazione su tutto il territorio italiano.
Morale: i numeri che ci vengono dati non solo sono irreali e perciò largamente inattendibili, ma espongono al pericolo che, prendendoli sul serio, le autorità politiche decidano in loro conformità, ma incorrendo in grossolani abbagli. E questi sono possibili soprattutto sulla percentuale di mortalità che va ovviamente calcolata sulla base del numero effettivo dei contagiati che però nessuno conosce. Sicché se 25mila decessi calcolati su circa 187mila casi complessivi – dato fornito dalla Protezione civile il 22 aprile – rappresenta una percentuale elevata, quella del 13,16 per cento, tale da giustificare gli arresti domiciliari per sessanta milioni di italiani; invece su sei milioni di italiani – numero possibile dei contagiati e non smentibile da nessuno – rappresenta soltanto lo 0,47 per cento: cioè una percentuale quasi irrisoria, inferiore al dato della semplice ed annuale influenza, tale da correre subito al cinema o a teatro senza paura alcuna.
La cosa più grave è comunque che le decisioni politiche siano state prese e verranno prese sulla scorta di numeri altamente inaffidabili e scientificamente incerti. Il governo, insomma, ha deciso, decide e deciderà sulla scorta di ciò che gli scienziati non sanno e che, in linea di principio, non possono sapere, ma inducendo i più ad immaginare che invece lo sappiano e che le decisioni siano prese a ragion veduta. Invece vagolano nel buio. Per questo, ogni giorno, danno i numeri. Letteralmente.
FONTE:http://opinione.it/editoriali/2020/04/24/vincenzo-vitale_protezione-civile-borrelli-numeri-tamponi-governo-possibili-asintomatici-eziologicamente-territorio-italiano/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Infografica Pirateria
FONTE:https://www.atlanteguerre.it/infografica-pirateria/
CULTURA
LA BARBARIE DELLO SPECIALISMO
“Introduzione alla vita non fascista”: rileggere Foucault nella pandemia, a 75 anni dalla Liberazione
25 / 4 / 2020
Cifra tonda quest’anno per l’anniversario della Liberazione italiana dal nazifascismo. Settantacinque anni fa il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamava l’insurrezione armata generale in tutti i territori che erano ancora sotto il controllo delle forze tedesche e repubblichine. Non abbiamo mai amato l’aspetto liturgico di questo anniversario, pur conferendo a questa giornata un portato storico e politico che non ha eguali. A maggior ragione quest’anno, nel pieno della pandemia, dobbiamo ripensare alla Liberazione in un’ottica che va ben oltre il suo carattere simbolico.
Gran parte della narrazione mainstream ha utilizzato il parallelismo tra la seconda guerra mondiale e il virus Covid-19. Un parallelismo forzato, se non fuorviante, teso più che altro a legittimare una sorta di conversione in senso bellico delle linee di comando e della cultura materiale. Se c’è però un fattore per il quale vale la pena tenere in vita questa simmetria, questo è determinato dal fatto che guerra e pandemia sono state entrambe il prodotto degli squilibri del capitalismo, inteso come modo di organizzare le forme di vita. Entrambe, inoltre, hanno bisogno di rotture epocali per dirsi superate, come fu quell’ormai lontano 25 Aprile 1945.
Rileggere la prefazione di Michel Foucault alla traduzione americana del libro di Gilles Deleuze e Félix Guattari, L’Anti-Edipo: capitalismo e schizofrenia (Viking Press, New York, 1977), ci aiuta molo a cogliere alcuni aspetti della liberazione dal fascismo che vanno ben al di là della sua rappresentazione storica e che tendono a riverberarsi nella quotidianità. Va colto qui un altro parallelismo storico: quello con la seconda metà degli anni ’70, quando prende forma quel capitalismo post-fordista di cui l’attuale crisi prodotta dal coronavirus è diretta filiazione. Ed è qui, nella critica compiuta alle “teorie del negativo” che accompagnano quella fase del pensiero intellettuale, negli attimi in cui il cielo della rivoluzione sembra a portata di dito, che prende forma l’Anti-Edipo, quell’arte di vivere, “contraria a tutte le forme di fascismo, siano esse interiorizzate o prossime all’essere”.
Quell’arte oggi ci serve in tutta la sua potenza, nel suo essere poesia e azione, theorìa, praxis e poiesis per costruire un domani che è ancora tutto da immaginare.
Di seguito potete leggere integralmente l’Introduzione alla vita non fascista, la cui traduzione in italiano è di Carmine Mangone per l’edizione trilingue pubblicata nel 2012 da Maldoror Press e scaricabile online a questo link.
Durante gli anni 1945-1965 (mi riferisco all’Europa), c’era un modo di pensare ritenuto corretto, un preciso stile del discorso politico, una precisa etica dell’intellettuale. Bisognava avere familiarità con Marx, non lasciare che i sogni vagabondassero troppo distanti da Freud, trattare i sistemi di segni – il significante – col più grande rispetto. Queste erano le tre condizioni che rendevano accettabile quella singolare occupazione che consiste nello scrivere e nell’enunciare una parte di verità su di sé e sulla propria epoca.
Poi giunsero cinque anni brevi, appassionanti, cinque anni di gioie ed enigmi. Alle porte del nostro mondo il Vietnam, ovviamente, e il primo grande colpo inferto ai poteri costituiti. Ma cosa stava accadendo esattamente così addentro le nostre mura? Un amalgama di politica rivoluzionaria e anti-repressiva?
Una guerra condotta su due fronti – lo sfruttamento sociale e la repressione psichica? Un aumento della libido modulato dal conflitto di classe? È possibile. In ogni modo, è attraverso quest’interpretazione familiare e dualista che si è preteso spiegare gli eventi di quegli anni. Il sogno che aveva affascinato, tra la Prima Guerra mondiale e l’avvento del fascismo, le frazioni più utopiste d’Europa – la Germania di Wilhelm Reich e la Francia dei surrealisti – era tornato ad abbracciare la realtà stessa: Marx e Freud illuminati dalla medesima incandescenza. Ma è accaduto proprio questo? È stata davvero una ripresa del progetto utopico degli anni Trenta, sul piano, stavolta, della pratica storica? O c’è stato, al contrario, un movimento verso delle lotte politiche che non si conformavano più al modello prescritto dalla tradizione marxista, verso una esperienza e una tecnologia del desiderio che non erano più freudiani? Sono stati branditi di certo i vecchi stendardi, ma la lotta si è spostata e ha conquistato nuove zone.
L’Anti-Edipo mostra, anzitutto, l’estensione della superficie coperta. Ma fa molto di più. Non si perde nel denigrare i vecchi idoli, pur giocando molto con Freud. E, soprattutto, ci incita ad andare più lontano.
Sarebbe un errore leggere L’Anti-Edipo come il nuovo quadro di riferimento teorico (avrete sentito parlare di questa famosa teoria che ci è stata così spesso annunciata: quella che va ad inglobare tutto, che è assolutamente totalizzante e rassicurante, quella, ci assicurano, della quale «avevamo tanto bisogno» in quest’epoca di dispersione e di specializzazione in cui la «speranza» viene meno). Non bisogna cercare una «filosofia» in questa straordinaria profusione di nozioni nuove e di concetti sorprendenti: L’Anti-Edipo non è un pacchiano Hegel. Io credo che il modo migliore per leggere L’Anti-Edipo sia di avvicinarlo come un’«arte», nel senso in cui si parla, ad esempio, di arte erotica. Fondandosi su nozioni in apparenza astratte come molteplicità, flussi, dispositivi e concatenamenti, l’analisi del rapporto del desiderio con la realtà e con la «macchina» capitalista apporta delle risposte a questioni concrete. Questioni che si preoccupano meno del perché delle cose che del loro come. Come s’introduce il desiderio nel pensiero, nel discorso, nell’azione? In che modo il discorso può e deve dispiegare le sue forze nella sfera della politica e intensificarsi nel processo di rovesciamento dell’ordine stabilito? Ars erotica, ars teoretica, ars politica.
Da cui i tre avversari coi quali L’Anti-Edipo si confronta. Tre avversari che non hanno la stessa forza, che rappresentano gradi diversi di minaccia e che questo libro combatte con mezzi differenti:
1) Gli asceti politici, i militanti cupi, i terroristi della teoria, coloro che vorrebbero preservare l’ordine puro della politica e del discorso politico. I burocrati della rivoluzione e i funzionari della Verità.
2) I tecnici mediocri del desiderio, gli psicanalisti e i semiologi che registrano ogni segno e ogni sintomo, e che vorrebbero ridurre l’organizzazione molteplice del desiderio alla legge binaria di struttura e mancanza.
3) Infine, il nemico maggiore, l’avversario strategico: il fascismo (laddove l’opposizione de L’Anti-Edipo agli altri suoi nemici costituisce semmai un impegno tattico). E non soltanto il fascismo storico di Hitler e Mussolini, che ha saputo mobilitare e impiegare così bene il desiderio delle masse, ma anche il fascismo che è in noi, che possiede i nostri spiriti e le nostre condotte quotidiane, il fascismo che ci fa amare il potere, desiderare proprio la cosa che ci domina e ci sfrutta.
Direi che L’Anti-Edipo (possano i suoi autori perdonarmi) è un libro di etica, il primo libro di etica che sia stato scritto in Francia da molto tempo a questa parte (forse è questa la ragione per cui il suo successo non si è limitato ad un «lettorato» particolare: essere anti-edipici è diventato uno stile di vita, un modo di pensiero e di vita). Come fare per non diventare fascisti anche (e soprattutto) quando ci si crede dei militanti rivoluzionari? Come liberare i nostri discorsi e i nostri atti, i nostri cuori e i nostri desideri dal fascismo? Come lavar via il fascismo che si è incrostato nel nostro comportamento? I moralisti cristiani cercavano le tracce della carne installata tra le pieghe dell’anima. Deleuze e Guattari, da parte loro, braccano le più infime tracce di fascismo presenti nel corpo.
Rendendo un modesto omaggio a San Francesco di Sales, si potrebbe dire che L’Anti-Edipo è un’Introduzione alla vita non-fascista.
Quest’arte di vivere, contraria a tutte le forme di fascismo, siano esse interiorizzate o prossime all’essere, si accompagna ad un certo numero di principî essenziali, che io, se dovessi fare di questo grande libro un manuale o una guida per la vita quotidiana, riassumerei come segue:
• liberate l’azione politica da ogni forma di paranoia unitaria e totalizzante;
• fate crescere l’azione, il pensiero e i desideri per proliferazione, giustapposizione e disgiunzione, anziché per suddivisione e gerarchizzazione piramidale;
• affrancatevi dalle vecchie categorie del Negativo (la legge, il limite, la castrazione, la mancanza, la lacuna), che il pensiero occidentale ha così a lungo sacralizzato come forma di potere e modo di accesso alla realtà. Preferite ciò che è positivo e multiplo, la differenza all’uniforme, il flusso alle unità, i dispositivi mobili ai sistemi. Tenete presente che ciò che è produttivo non è sedentario, ma nomade;
• non crediate che si debba esser tristi per essere dei militanti, anche quando la cosa che si combatte è abominevole. È ciò che lega il desiderio alla realtà (e non la sua fuga nelle forme della rappresentazione) a possedere una forza rivoluzionaria;
• non utilizzate il pensiero per dare un valore di verità ad una pratica politica, né l’azione politica per discreditare un pensiero come se fosse una pura speculazione. Utilizzate la pratica politica come un intensificatore del pensiero, e l’analisi come un moltiplicatore delle forme e dei domini d’intervento dell’azione politica;
• non pretendiate dalla politica che ristabilisca i «diritti» dell’individuo per come li ha definiti la filosofia. L’individuo è il prodotto del potere. Occorre invece «disindividualizzare» attraverso la moltiplicazione e la dislocazione dei diversi dispositivi. Il gruppo non deve essere il legame organico che unisce gli individui gerarchizzati, ma un costante generatore di «disindividualizzazione»;
• non innamoratevi del potere.
Si potrebbe addirittura affermare che Deleuze e Guattari amano così poco il potere da mettere in atto il tentativo di neutralizzare gli effetti dei poteri legati al loro stesso discorso. Da qui i giochi e le trappole che si trovano un po’ dappertutto nel libro, e che rendono la sua traduzione un vero tour de force. Ma non si tratta delle trappole familiari della retorica, che cercano di sedurre il lettore senza che egli sia cosciente della manipolazione, finendo per guadagnarlo alla causa degli autori contro la sua volontà. Le trappole de L’Anti-Edipo sono quelle dell’humour: altrettanti inviti a lasciarsi espellere, a prendere congedo dal testo sbattendo la porta. Il libro induce spesso a pensare che si tratti solo di giochi e humour laddove succede invece qualcosa d’essenziale, qualcosa che è della più grande serietà: la caccia a tutte le forme di fascismo, da quelle, colossali, che ci circondano e ci schiacciano, fino alle minute forme che fanno l’amara tirannia delle nostre vite quotidiane.
FONTE:https://www.globalproject.info/it/in_movimento/introduzione-alla-vita-non-fascista-rileggere-foucault-nella-pandemia-a-75-anni-dalla-liberazione/22728
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Disinformazione, Covid-19 e il potere della stampa
Molto inchiostro è stato speso nel tentativo di attribuire le responsabilità della diffusione globale del Covid-19.
La maggior parte delle persone ora riconosce che il virus del Pcc (Partito Comunista Cinese), meglio noto come nuovo coronavirus, ha avuto origine a Wuhan, in Cina, ma non è ancora chiaro se provenga da un laboratorio biologico o da un mercato del pesce.
Gran parte della confusione iniziale sull’origine del virus può essere ricondotta alle dichiarazioni del governo cinese, volte a minimizzare la portata dell’epidemia e a negare la propria responsabilità. Citando il Los Angeles Times, il portavoce della Commissione europea Peter Stano ha definito le prime ingannevoli notizie come «un’epidemia di cattiva informazione e disinformazione».
Gran parte delle false notizie sull’epidemia di coronavirus provengono da Cina, Russia e Iran; Paesi dove i governi controllano i media e non garantiscono la libertà di informazione, dove la stampa è sostanzialmente diventata un organo di propaganda dei governi e non esistono notizie attendibili.
Ma attualmente, tutto il mondo sta subendo direttamente le conseguenze di una mancata informazione libera e indipendente.
Il regime comunista cinese è responsabile della disinformazione più significativa e distruttiva: dalla prima segnalazione a Wuhan del virus del Pcc, mentre degli utenti Twitter sponsorizzati dallo Stato cinese promuovevano teorie di cospirazione, le autorità del regime censuravano i messaggi di critica sui social media che utilizzavano definizioni come ‘polmonite sconosciuta di Wuhan’ o ‘nuova influenza di Wuhan’.
Chiunque abbia scritto storie o resoconti non approvati è stato punito per ‘aver diffuso dicerie’ e fomentato ‘disordini sociali’.
Molti lettori conosceranno ‘l’informatore’ cinese Li Wenliang, l’oftalmologo i cui primi avvertimenti sul coronavirus sono stati soppressi dal regime comunista. Il medico 34enne è stato punito dalle autorità locali per ‘aver diffuso dicerie’ quando all’inizio di gennaio aveva cercato di avvisare i suoi colleghi circa la pericolosità del virus. A febbraio è morto per complicazioni legate alla sua esposizione al virus.
A quel punto, però, l’epidemia si era già diffusa.
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump era tra quelli che parlavano di ‘virus di Wuhan’ o ‘virus cinese’, così verso la fine gennaio ha varato pesanti restrizioni sui voli provenienti dalla Cina. Il candidato presidenziale del Partito Democratico Joe Biden in quel momento invece dichiarava: «Questo non è il momento per l’isteria e la xenofobia – xenofobia isterica – di Donald Trump, è ora invece di aprire la strada alla scienza».
I funzionari cinesi hanno fatto subito eco a Biden, sostenendo le sue critiche. E i media controllati dallo Stato hanno persino suggerito che il virus fosse stato portato a Wuhan da atleti militari statunitensi oppure che fosse nato in Italia.
A metà marzo, il Pcc ha deciso che il controllo sui media nazionali non era sufficiente. Ha espulso quindi i giornalisti stranieri dalla Cina e da Hong Kong, privando ulteriormente il popolo cinese e il resto del mondo dell’accesso ad informazioni veritiere sul virus e i suoi effetti in Cina. Da quel momento in poi, i giudizi si sono basati solamente su informazioni autorizzate, del tutto opinabili, e su occasionali frammenti di notizie che superavano la censura.
Anche la Russia è stata accusata di condurre una campagna di disinformazione che, secondo il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), dell’Unione europea, ha utilizzato «articoli contraddittori, confusi e dannosi» che hanno reso difficile per i governi occidentali coordinare le loro risposte alla crisi, e questo ha generato panico e dubbio.
Secondo Reuters, il Seae ha scritto: «L’obiettivo generale della disinformazione del Cremlino era di aggravare la crisi della salute pubblica nei Paesi occidentali […] in linea con la più ampia strategia del Cremlino di tentare di sovvertire le società europee».
Un comunicato russo riportato da Sputnik ha affermato che il virus era stato inventato da biologi e farmacisti in Lettonia. Altri vicini al Cremlino hanno avanzato l’idea che fosse stato sviluppato dall’esercito britannico.
I legislatori russi hanno autorizzato il Cremlino a richiedere uno stato di emergenza a livello nazionale e hanno prescritto lunghe pene detentive per chiunque diffondesse notizie false sul coronavirus. Detto in altro modo, proprio come in Cina, chiunque pubblichi qualcosa di diverso da storie e statistiche non approvate dal governo rischia il carcere. Secondo la National Review statunitense, delle persone sono state multate solo per aver discusso di voci sul coronavirus nei social media.
Mentre perseguiva i suoi cittadini e fuorviava il mondo, la Russia ha anche trovato il modo di curare la propria immagine, offrendo aiuti umanitari all’Italia, ma come ha spiegato Eu vs Disinfo anche in questo ambito sono state fatte molte false affermazioni.
I media russi hanno affermato che l’Italia favorisse la Russia rispetto all’Ue e che la Polonia stesse interferendo con la consegna degli aiuti. Hanno anche avviato un’operazione di influenza mediatica in Italia che, secondo i media La Stampa e Codastory, sarebbe «inimmaginabile in circostanze normali».
Certamente ha funzionato bene in Russia, dove un video che è stato trasmesso frequentemente dalla televisione (ma che non sembra più disponibile su Internet) mostrava un uomo italiano che prendeva una bandiera europea e la sostituiva con una russa, e quindi reggeva un cartello che diceva: «Grazie, Putin. Grazie, Russia.»
DIRITTI UMANI
Il dono dell’assenza: paradosso della crisi sociale
La crisi mondiale che l’umanità sta attraversando ha impattato sulla ripetitività del nostro quotidiano, catapultandoci in una crisi sociale senza precedenti. Un arresto improvviso della socialità che ha reso possibile la costruzione di una nuova normativa di convivenza. Il dono è sempre stato considerato come il fondamento dei rapporti sociali diretti ma, ad oggi, l’unico vero dono possibile è quello della nostra reciproca assenza, un paradosso che si sovrappone a quello della cura della distanza per la salvaguardia della salute mondiale.
Si è sempre cercato di capire il fondamento dei rapporti sociali, ciò che spinge gli esseri umani a legarsi fra loro. Cosa hanno in comune una famiglia, una società lavorativa e una comitiva di amici? Cosa li spinge ad “unirsi”? Quale forza dirompente reclama il primato di forza che lega gli esseri umani? Attorno a quale sole gravita l’umanità per definirsi “unita”? Non è mai facile risalire all’origine di qualcosa, perché sarebbe necessario fuoriuscire dai gangli della storia per porsi in un “prima” così lontano da doversi trovare in un prima-di-tutto. Nel caso dei rapporti sociali questo prima-di-tutto è obliato, quasi fagocitato dalle “strutture” burocratiche, scientifiche e tecnologiche che oscurano l’essenziale, il “primitivo” dei rapporti intrattenuti dalle comunità umane. Queste strutture irrompono nella quotidianità sociale, allontanandoci da quel principio, a volte dimenticato, che lega indissolubilmente un dialogo di cortesia con il cassiere del supermercato alla conversazione imperativa di un datore di lavoro con il suo subalterno, l’educato “buongiorno” all’anziano che abita sul nostro pianerottolo all’amorevole bacio della buona notte di un genitore al proprio figlio prima di rimboccargli le coperte[1]. Se si provasse a rimuovere questa oppressiva e contingente velatura di quotidianità strutturata, che ci inscrive in ruoli e riquadri, soggetti tanto al tempo quanto alla situazione e agli individui, forse l’essenzialità dei rapporti umani verrebbe alla luce. E, ahimè, la crisi mondiale attualmente in atto è il terremoto sociale esemplare per mezzo di cui la ripetitività costruita del giornaliero, della routine, viene momentaneamente (si spera!) seppellita sotto le macerie della coercizione che mira a tutelare la salute pubblica. L’esser-relazione dell’umanità, che si consuma con l’alterità, senziente e non, è stata costretta, dal giorno alla notte, in una camicia di forza che riduce la sua quotidianità all’osso, al minimo indispensabile, ma forse, in questo caso, si potrebbe dire: all’essenziale.
SARS-CoV-2, un virus poco conosciuto, scorrazza, ormai, a piede libero per l’intero pianeta, mettendo in ginocchio intere nazioni, spinte sull’orlo della crisi, e in casi peggiori anche al collasso. Per impedire, o quantomeno limitare, il diffondersi del contagio, l’OMS ha invitato tutti gli abitanti delle nazioni colpite (ormai di tutto il globo) a ridurre al minimo i contatti ravvicinati, a non frequentare luoghi affollati e ad uscire il meno possibile di casa, salvo in qualche caso di necessità. Ad aggravare la situazione, i governi delle nazioni in stato di emergenza hanno sancito la chiusura di esercizi non essenziali, per impedire la morbilità del virus, quali luoghi d’incontro come bar, pub, ristoranti, parchi ecc. In questa maniera sono state falciate improvvisamente le nostre abitudini; la tranquillità della ripetizione è caduta vittima della necessità, spingendo società intere a doversi difendere da se stesse, in un mondo in cui la minaccia è interna tanto allo stato quanto agli individui, una minaccia poco manifesta che sta avallando una condizione sociale in cui ogni componente è un fucile con il colpo in canna per il proprio simile.
La necessaria risposta allo stato di emergenza ha minato le basi della struttura del quotidiano, ha sgretolato la fittizia “sovrastruttura” dei rapporti sociali, costringendoci ad una guerra di trincea apparentemente di tutti contro tutti ma realmente di tutti-per-tutti. Indubbiamente una formidabile fatica, soprattutto per i più giovani, restare a casa rinunciando alla tanto ricercata vita sociale, ma solo in questo modo (si spera!) si potrà tornare alla ormai agognata normalità strutturata. Per il momento tutti possono aiutarsi concedendosi una mutua assenza incondizionata. Così facendo, il legame assume una connotazione diversa, in cui tutti in preda allo stesso mare in burrasca, collaborano all’unisono con la stessa condotta per lo stesso fine: l’umanità, adesso, si riconosce in un atteggiamento unanime di tutti a favore di tutti. L’angoscia, che ha sostituito la paura in questo periodo, ha evidenziato il minimo comune denominatore della reciprocità per la salvaguardia eguale della salute: ogni individuo deve rinunciare alle sue abitudini cristallizzate, di modo che tutti possano trarre un generale guadagno della salute, a patto, però, che tutti s’impegnino per fare la loro parte. Ognuno concederà la salvaguardia dell’altro solo regalando la propria assenza all’altro senza mezzi termini, perché questo cataclisma comunitario ci ha resi inevitabilmente uguali, equamente soggetti allo stesso male e potenzialmente letali per i nostri simili.
Marcell Mauss (1872-1950)
Così facendo, il legame sociale assume una connotazione nuova e, allo stesso tempo, antica, diversa ma comune: oggi si sta vivendo sotto la medesima costellazione di pericoli in cui i rapporti sono regolati da semplici ed “elementari” gesti di dono e di scambio ineluttabilmente reciproci. È solo tramite l’operatore del dono che si sta realizzando la coesione sociale. Ciò che sta emergendo è la radice primigenia del legame sociale, una radice, come la definisce Marcel Mauss, pioniere dello studio filosofico del dono, arcaica: termine, quest’ultimo, che sta ad indicare un «ordine del passato: ma si tratta di un ordine del passato che viene sempre riattivato, di uno strato fondamentale della socialità il cui oblio è paradossalmente necessario al suo funzionamento nel presente»[2]. Allo stesso modo in cui un albero non potrebbe mettere foglie senza radici, i costrutti del quotidiano non potrebbero esistere senza il fondamento del dono.
Una volta fatta risorgere dall’oblio, la radice sociale del dono riacquista legittimità nei rapporti umani, consentendoci non solo di comprenderlo al meglio, ma di viverlo quotidianamente, per mezzo non solo di una normativa governativa, ma anche di un fondamento etico marchiato a fuoco nella natura umana. Il dono non ha una definizione effettiva, quasi non possiede una consistenza ontologica, ma funziona allo stesso modo della gravità: non lo si può vedere ma se ne riconoscono gli effetti. Marcel Mauss, infatti, cerca di uscire da questa impasse logico-linguistica, parlando ripetutamente di dono-scambio e di scambio-dono[3], superando anche le cristallizzazioni del significato con cui il dono è stato ripetutamente definito nel corso della storia[4]. Il dono è costruito sul rapporto triadico dare-ricevere-ricambiare, con cui si mette in campo una conviviale generosità ed una solidale reciprocità , entrambe atte a far sì che nessuno nella società resti a mani vuote e che tutti entrino in questo circolo di unità e solidarietà: A che dona a B, che dona a C, che dona a D … che dona ad A. Ma in questo ring di generosità assume importanza vitale un quarto tempo, il momento zero della domanda, senza il quale «Il triplice obbligo di dare-ricevere-ricambiare girerebbe a vuoto»[5]: per donare a qualcuno, si suppone che egli lo chieda, ne abbia bisogno o che lo desideri. E cosa ci stiamo richiedendo scambievolmente oggi? Di cosa si ha un impellente bisogno? Della nostra mutua assenza. La strada del ritorno alla nostra normalità dovrà passare inevitabilmente per la via dell’assenza, dell’anaffettività e della lontananza; siamo costretti alla passività e al lento trascorrimento del tempo in cui dobbiamo fermarci oggi per correre più veloci domani.
Nulla però rispecchia meglio questo paradigma del dono delle svariate migliaia, tra medici e infermieri, che prontamente hanno risposto all’appello di soccorso provenienti dalle zone più colpite. Con una dilagante generosità ed una contagiosa reciprocità, questi coraggiosi angeli dimostrano una solidarietà incomparabile, mostrando come, per quanto essi si trovino “dall’altra parte”, siamo tutti esseri umani, affermazione di un autentico e genuino umanismo, senza bandiere, senza stendardo e senza barriere.
Fa capolino, all’interno di questa riflessione sulla reciprocità, un concetto sapientemente elaborato da Alain Caillé, sotto in nome di incondizionalità condizionale, per mezzo di cui «Tutto ciò che viene richiesto va immediatamente ceduto per far capire che si sta puntando sulla scommessa incondizionale di una alleanza, senza cui si riprecipita subito nella guerra»[6]. È solo accettando e consolidando questa alleanza di lontananza che si può passare allo stato calcolatorio della scommessa: si entra, pertanto, in una singolare forma contrattuale di do ut des a sfondo utilitario, la cui condizione di misura è l’accettazione incondizionata di ogni richiesta.
A fronte di questo nichilismo sociale e biologico e di questa angoscia dominante, il dono dell’assenza viene a coincidere sino a sovrapporsi con il vivo concetto, assai presente nel pensiero contemporaneo, di cura. Vissuto in sordina dagli albori del pensiero occidentale, negli ultimi decenni la sua nozione pervade il pensiero odierno e mai come in questo singolare periodo, la sua importanza investe la nostra esistenza nella sua totalità. La favola di Igino interpreta al meglio la nozione di cura: un giorno la Cura modellò dal fango cretoso l’uomo, nel quale Giove infuse il suo spirito, rendendo così la natura umana composta di Terra e di Cielo. Il grande Dio Saturno, allora, decretò che giunto il tempo della morte, il corpo dell’uomo sarebbe tornato alla Terra e lo spirito a Giove: ma durante il suo trascorrere la vita, l’uomo sarebbe appartenuto alla Cura. L’umanità nasce dalle mani della Cura, che lo governa fino allo scadere dei suoi giorni.
La trasparenza di questo mito apre le porte alla ferrea interpretazione heideggeriana in cui la cura si pone come uno statuto fondativo e fondante nella vita dell’uomo. Essendo struttura fondamentale dell’essere-nel-mondo, la cura esprime la relazionalità dell’umanità con il resto dell’esistente, senziente e non, suddividendosi in due “atteggiamenti”: autentico e non autentico. La cura inautentica è rivolta verso l’oggettualità del mondo, quindi un essere-insieme; la cura autentica è rivolta verso il mondo senziente, espressione del co-esistere. L’umanità, quindi, vive nelle mani della cura e senza di essa l’umanità viene costretta in un mondo non autenticamente umano.
Il vivere non-senza-cura ha trovato terreno fertile nel pensiero di Giuseppe Semerari che ne riassume il significato intrinseco e il senso profondo per mezzo del termine insecuritas, «Preoccupazione, pensiero angustiante e perturbante»[7]. La natura deficitaria dell’essere umano rende essenziale la dimensione dell’insecuritas in quanto: «Egli non può riuscire a sussistere per se stesso – selbständig in qualche misura – se non disponendosi a dipendere effettivamente, in qualche misura dalla Natura e dagli Altri»[8]. Questa dichiarazione di interdipendenza raggruppa gli evidenti pericoli dell’epoca presente, sottolineando la sì fragile natura umana ma, soprattutto, la straordinaria capacità dell’umanità di superare le difficoltà non come individui isolati ma come gruppo: una umanità la cui reciprocità si presenta come baluardo della resistenza contro la contingenza a cui siamo sottoposti.
La connaturalità e l’intreccio di dono e cura come qualità essenziali della natura umana evidenziano una papabile risposta alla pandemia attualmente in atto, a patto, però, di accettare la nostra fragilità, la nostra temporalità ma soprattutto la nostra comunità. Prendendo coscienza che vittoria e sconfitta dipendono esclusivamente da noi, dobbiamo preliminarmente accettare questi eventi come una guerra di logoramento, dove ciò che non deve cedere è questo dono dell’assenza che passa necessariamente per la cura della distanza, un sinolo unico nella natura umana, un solo modo di agire per la vita, obbedendo a quel che davvero siamo. Ci attendono tempi infausti, ma in questo frangente dovremo accettare l’idea di dover essere distanti per non piombare nella crisi più totale, perché l’equilibrio che si sta assestando oggi funamboleggia sopra di noi su di un filo molto esile: se questi, già delicati, nuovi assetti sociali dovessero reggere, risaliremo verso la normalità, ma se l’equilibrio dovesse venir meno, l’ora fatale potrebbe avvicinarsi. Siamo ad un minuto a mezzanotte.
NOTE
[1] Si è usato il dialogo come esempio perché esso è ciò che può far sentire due o più individui tanto uniti quanto lontani, a seconda del contenuto del dialogo, per quanto quest’ultimo non si possa ridurre all’esclusivo denominatore del contenuto.
[2] Bruno Karsenti, L’uomo totale. Sociologia, antropologia e filosofia in Marcel Mauss, trad. it. Pietro Montanari e Luca Paltrinieri, Casa editrice il ponte, Milano 2012, in part. p. 347.
[2] Cfr. Marcel Mauss, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche.
[4] Per questo tema si invita a consultare il grande saggio di Marcel Hénaff, Il dono dei filosofi. Ripensare la reciprocità.
[5] Alain Caillé, Anti-utilitarismo e paradigma del dono. Le scienze sociali in questione, a cura di F. Fistetti, Diogene edizioni, Campobasso 2016, in part. p. 28.
[6] A. Caillé Anti-utilitarismo e paradigma del dono, p. 29.
[7] Giuseppe Semerari, Insecuritas. Tecniche e paradigmi della salvezza, Spirali edizioni, Milano 1982, in part. p. 7.
[8] Ivi, p. 8.
FONTE:https://www.gazzettafilosofica.net/2020-1/aprile/il-dono-dell-assenza-paradosso-della-crisi-sociale/
ECONOMIA
Coronavirus Capitalism – La video lezione di Naomi Klein
17 / 4 / 2020
Proponiamo la traduzione – a cura di Anna Clara Basilicò e Sofia Demasi – del video e articolo “Coronavirus Capitalism — and how to beat it” di Naomi Klein pubblicato originariamente su theintercept.com.
VIDEO QUI: https://youtu.be/niwNTI9Nqd8
Ho passato gli ultimi venti anni a studiare le trasformazioni che prendono forma sotto la copertura del disastro. Ho imparato che una cosa su cui poter contare è questa: durante i momenti di cambiamento catastrofico, ciò che prima era impensabile improvvisamente diventa realtà. Negli ultimi decenni, quel cambiamento è stato principalmente in peggio — ma questo non è sempre stato il caso. Ed è necessario che non continui a essere così nel futuro.
Questo video riguarda i modi in cui la crisi ancora in corso, causata dal Covid-19, sta già ricostruendo la nostra concezione del possibile. L’amministrazione Trump e altri governi nel mondo sono impegnati a sfruttare la crisi per spingere verso salvataggi senza vincoli per le aziende e tagli normativi. Il Segretario al Tesoro Steven Mnuchin si sta muovendo per abrogare le norme finanziarie introdotte dopo l’ultimo grande crollo finanziario, inserite nel Dodd-Frank Act del 2010. La Cina, dalla sua parte, sta dichiarando che abbasserà gli standard per la tutela dell’ambiente per stimolare la sua economia, ciò potrebbe spazzare via uno dei maggiori benefici che la crisi ha prodotto sino ad adesso: un netto calo del letale inquinamento dell’aria nel Paese.
Ma questa non è l’intera storia. Negli Stati Uniti, abbiamo anche visto l’organizzazione a livello cittadino e statale ottenere importanti vittorie per sospendere gli sfratti durante la pandemia.
L’Irlanda ha annunciato sei settimane di sussidi emergenziali di disoccupazione per tutti i lavoratori che improvvisamente si sono ritrovati senza lavoro, compresi i lavoratori autonomi. E nonostante il candidato alle Presidenziali degli Stati Uniti Joe Biden abbia dichiarato durante un recente dibattito che la pandemia non ha niente a che vedere con Medicare for All, molti Statunitensi hanno subito realizzato che l’assenza di un sistema di ammortizzatori sociali aggrava le vulnerabilità al virus su molti fronti.
Questa crisi — come quelle precedenti — potrebbe fare da catalizzatore per riversare gli aiuti verso gli interessi dei più benestanti nella società, inclusi quelli che più sono responsabili per le nostre vulnerabilità attuali, mentre non viene dato niente alla maggior parte dei lavoratori, si prosciugano così i risparmi familiari e si fanno chiudere le piccole imprese. Tuttavia, come mostra questo video, in molti stanno già opponendo resistenza — e la Storia non è ancora scritta.
“Solo una crisi — effettiva o percepita — produce cambiamento reale. Quando quella crisi si verifica, le azioni che vengono intraprese dipendono dalle idee che circolano”. Milton Friedman
“Idee che circolano”. Friedman – uno fra i più estremi economisti del libero mercato della storia – aveva torto riguardo a molte cose, ma aveva ragione su questo.
In tempi di crisi, le idee che sembrano impossibili improvvisamente diventano possibili. Ma le idee di chi? Quelle dei sensibili, dei giusti — fatte per tenere il maggior numero di persone possibile al sicuro, protette e in salute — o le idee predatorie — pensate per arricchire ulteriormente coloro che sono già inimmaginabilmente benestanti, mentre si lasciano i più vulnerabili ulteriormente esposti?
IL CAPITALISMO DEL CORONAVIRUS E COME COMBATTERLO
L’economia mondiale si sta paralizzando di fronte a fenomeni scioccanti che si susseguono.
Dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore Generale OMS: “Il Covid-19 può essere categorizzato come una pandemia”.
TG: “Sulla scia della crisi del coronavirus, le azioni hanno bloccato la negoziazione su Wall Street dopo un calo del 7%”.
TG: “Oggi è un giorno storico, il più grande calo che abbiamo mai visto dal crollo nel 1987”.
TG: “Il calo è stato spinto da una crescente guerra per il prezzo del petrolio, dal momento in cui il mercato era già indebolito dalla paura per il coronavirus.”
Trump: “No, non mi prendo alcuna responsabilità”.
Nel mezzo del panico diffuso, i lobbisti stanno rispolverando tutte le idee che hanno fatto circolare. Trump sta spingendo per una sospensione dell’imposta sui salari, che potrebbe far fallire la Social Security, fornendo così la scusa per tagliarla o privatizzarla completamente — un’idea che sta circolando da molto tempo in entrambi gli schieramenti:
George W. Bush: “Un lavoratore dovrebbe avere l’opportunità di poter mettere alcuni dei suoi soldi in un conto privato di risparmio”.
Joseph Biden: “Quando ho sostenuto che avremmo dovuto congelare la spesa federale, intendevo anche la Social Security. Intendevo la Medicare e la Medicaid”.
E poi, ci sono idee che sono emerse per salvare alcuni dei settori più ricchi e inquinanti della nostra economia.
Donald Trump: “Stiamo lavorando a stretto contratto con l’industria croceristica. Allo stesso modo con l’industria delle compagnie aeree. Sono due grandi industrie e noi le aiuteremo in questo periodo”.
Si lavora al salvataggio delle compagnie petrolifere, per non citare le crociere, le compagnie aeree e gli hotel — settori da cui Trump potrebbe beneficiare personalmente. Questo è un grande problema, perché il virus non è l’unica crisi che stiamo affrontando: ci sono anche i cambiamenti climatici e queste industrie che vengono “salvate” con i nostri soldi sono quelle che li guidano. Trump si è anche incontrato con le assicurazioni sanitarie private.
Donald Trump: “Ci incontriamo con i massimi dirigenti delle compagnie di sanità privata”.
Proprio quelli che hanno fatto sì che così tanti statunitensi non potessero permettersi le cure di cui hanno bisogno. E quali sono le possibilità che questi se ne tengano fuori? Sembra che l’intera pandemia sia esternalizzata.
Brian Cornell: “Signor Presidente, grazie per averci invitati qui oggi, insieme ai colleghi di Walmart, Walgreens e i nostri partner di CVS. Normalmente siamo visti come concorrenti, ma oggi siamo focalizzati su un concorrente comune, e cioè sconfiggere il diffondersi del coronavirus”.
La prima mossa del Federal Reserve System è stata quella di pompare 1,5 trilioni di dollari nel mercato finanziario, con altri senza dubbio in arrivo. Ma se sei un lavoratore, soprattutto un gig worker, c’è una buona probabilità che ti vada male. Se hai bisogno di un dottore per le cure, c’è una buona probabilità che nessuno sia intenzionato ad aiutarti nella spesa se non hai una copertura. E se vuoi seguire le raccomandazioni della sanità pubblica come quella di rimanere a casa, c’è una buona probabilità che non verrai pagato. Certo, hai ancora bisogno di pagare l’affitto e tutti gli altri debiti — spese mediche, universitarie, la carta di credito, il mutuo. I risultati sono prevedibili: troppe persone malate non hanno scelta e devono andare al lavoro. Ciò significa che più persone contraggono e diffondono il virus. Senza salvataggi completi per i lavoratori, possiamo aspettarci ancor più fenomeni di bancarotta e più senza tetto nelle strade.
Guardate, noi già conosciamo questo copione. Dal 2008.
L’ultima volta che abbiamo avuto una crisi finanziaria globale, sono circolate le stesse cattive idee su salvataggi senza vincoli per le aziende, mentre le persone “normali” in tutto il mondo ne hanno pagato le conseguenze. Era interamente prevedibile. Tredici anni fa, ho scritto un libro intitolato Shock Economy. Descrive una brutale e ricorrente tattica dei governi di destra. Dopo un evento scioccante — una guerra, un golpe, un attacco terroristico, un crollo del mercato o un disastro naturale — i governi sfruttano il disorientamento del pubblico. Sospendono la democrazia. Spingono verso politiche radicali di “libero mercato” che arricchiscono l’1% della popolazione a scapito delle classi povere e medie. Ma ecco ciò che la mia ricerca mi ha insegnato: lo shock e le crisi non sempre intraprendono la strada della shock economy. Infatti, è possibile per le crisi catalizzare una sorta di stato evolutivo. Basti pensare agli anni Trenta, quando la Grande Depressione ha portato al New Deal. [Franklin Delano Roosevelt: “L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa”]
Negli Stati Uniti e in altri luoghi, i governi hanno iniziato a sbandierare un sistema di sicurezza sociale cosicché la prossima volta che ci sarà un crollo, ci saranno programmi come Social Security per attirare le persone.
Franklin Delano Roosevelt: “Il diritto di ogni famiglia ad avere una casa dignitosa, il diritto a cure mediche adeguate e l’opportunità di raggiungere e godere di una buona salute”.
Guardate, sappiamo qual è il piano di Trump: una shock economy da pandemia supportata da tutte le più pericolose idee che circolano — dal privatizzare la Social Security al chiudere i confini, fino imprigionare sempre più migranti. Beh, potrebbe anche provare a cancellare le elezioni. Ma la fine della storia non è ancora scritta. Questo è un anno elettorale e i movimenti sociali e i politici radicali si stanno già mobilitando. E come negli anni Trenta, abbiamo un mucchio intero di altre idee che circolano.
Bernie Sanders: “Crediamo che tutti abbiano il diritto ad avere un’assistenza sanitaria?”
Intervista dal pubblico: “Non smetteremo di organizzarci e lottare fino a quando tutti i senzatetto che vogliono un rifugio avranno un rifugio!”
Ilhan Omar: “Cancellare i debiti universitari”
Ro Khanna: “Non dovresti essere penalizzato se, malato, ti trovassi senza un reddito”
Molte di queste idee sono state respinte perché troppo radicali giusto la settimana scorsa. Ora iniziano a sembrare l’unico percorso ragionevole per uscire dalla crisi e prevenire quelle future.
CNN: “Qui c’è qualcosa che aiuta a spiegare la differenza fra i test fra la situazione dei test nella Corea del Sud e negli USA. In Corea del Sud, come nei paesi europei e in Canada, ha un’assicurazione universale, a pagamento unico. Ciò significa che è più facile muoversi e anche le persone sanno cosa fare. C’è una risposta su come essere testati. Gli Stati Uniti sono un insieme di innumerevoli sistemi differenti, e allora non puoi dire: ‘Ecco esattamente i passi che ogni statunitense deve fare per fare il test’”.
E con Washington immediatamente nel gigante stimolo del commercio, questo è precisamente il momento per lo stimolo di cui molti di noi hanno parlato per anni.
Alexandria Ocasio-Cortez: “Oggi è il giorno in cui ci imbarchiamo in un’agenda che comprende la giustizia economica, sociale e razziale negli Stati Uniti”.
Questo si chiama Green New Deal. Al posto di salvare le sporche industrie dell’ultimo secolo, dovremmo rafforzare quelle pulite che possano condurci in sicurezza nel prossimo secolo. Se c’è una cosa che la Storia ci ha insegnato, è che i momenti di shock sono profondamente volubili. Noi o perdiamo molto terreno, ci facciamo derubare dalle èlite e ne paghiamo il prezzo per decine di anni o raggiungiamo vittorie progressiste che sembravano impossibili fino a poche settimane prima. Questo non è il momento di perdere la testa. Il futuro sarà determinato da chiunque è disposto a lottare con forza per le idee che ha fatto circolare.
“Solo una crisi — effettiva o percepita — produce cambiamento reale. Quando quella crisi si verifica, le azioni che vengono intraprese dipendono dalle idee che circolano. Quella, credo, è la nostra funzione basilare: sviluppare alternative alle politiche esistenti, tenerle in vita e a disposizione fino a quando il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile”, Milton Friedman
FONTE:https://www.globalproject.info/it/mondi/coronavirus-capitalism-la-video-lezione-di-naomi-klein/22712
LA DEFLAZIONE PIANIFICATA DELL’ITALIA
L’Italia, ha certificato l’Istat, torna in deflazione per la prima volta dal 1959. Non è un incidente di percorso ma un obiettivo che è stato perseguito con lucidità e coerenza.
L’ISTAT ha recentemente certificato che il 2016 è stato per l’Italia il primo anno di deflazione dal 1959.
Nell’anno appena terminato, i prezzi hanno registrato una variazione negativa dello 0,1 per cento rispetto al 2015. Era dal 1959, quando la flessione fu dello 0,4 per cento, che non accadeva.
Ciò che a prima vista potrebbe apparire come una manna dal cielo in tempo di crisi – beni e servizi a prezzi più accessibili, ottimo no? – è invece la cartina di tornasole della crisi profondissima in cui versa il nostro paese, quella che il governatore della Banca d’Italia ha recentemente definito
«la recessione più profonda e duratura nella storia d’Italia».
La deflazione – con la quale s’intende una caduta generalizzata dei prezzi – è causata dal crollo della domanda aggregata e in particolar modo dei consumi, che infatti in Italia sono tornati ai livelli di trent’anni fa. A questo le imprese reagiscono riducendo il personale e tagliando i salari nonché, appunto, i prezzi. Il che, ovviamente, non fa che deprimere ulteriormente la domanda. E così via, in una spirale distruttiva da cui, una volta entrati, è molto difficile uscire.
Quali siano le conseguenze sull’economia reale lo ha spiegato bene Giovanni Vecchi, professore di economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, sulle colonne di Repubblica:
«Aumentano le diseguaglianze sociali e viene penalizzato chi è indebitato, che sia una famiglia o un’impresa. L’economia così invece di crescere va indietro. E sono i più poveri e quelli che vivono di lavoro a pagare il prezzo più alto».
Come nota Vecchi, la deflazione ha un effetto collaterale potenzialmente catastrofico: in uno scenario deflazionistico diventa sempre più difficile per le famiglie e le imprese far fronte ai debiti, perché i prezzi e i redditi calano ma il valore nominale del debito rimane inalterato (e dunque il suo valore reale aumenta). Questo – sommato alle imprese che sono costrette a chiudere: in Italia sono più di 100mila le imprese che sono fallite dall’inizio della crisi – fa ovviamente lievitare le sofferenze bancarie, ossia i crediti erogati a soggetti che sono poi diventati insolventi (o inesistenti), mettendo in crisi il settore bancario. L’Italia è una caso esemplare: l’ammontare delle sofferenze bancarie italiane è oggi pari all’incredibile somma di 360 miliardi di euro circa. Tra gli istituti più colpiti figurano, com’è noto, il Monte dei Paschi di Siena e altre banche “storiche”, per tenere a galla le quali il governo ha recentemente stanziato – in un’operazione tutt’altro che limpida – ben 20 miliardi di euro.
Nota infine Guglielmo Forges Davanzati che
«il principale effetto generato dalla caduta dei prezzi consiste nel ridistribuire reddito a beneficio dei percettori di rendite finanziarie (in quanto creditori) e di imprese esportatrici, dal momento che queste possono avvantaggiarsi della deflazione per recuperare quote di mercato nel commercio internazionale».
Tutto questo, come abbiamo detto, ha origine nel crollo della domanda interna verificatosi in Italia negli ultimi anni. E non poteva essere altrimenti, dopo sei anni di austerità fiscale (riduzione della domanda pubblica), svalutazione interna (riduzione dei salari e dunque della domanda privata) e “riforme strutturali” in salsa europea (riduzione delle tutele dei lavoratori, vedasi Jobs Act e affini), e più in generale dopo vent’anni di “convergenza” verso i criteri (intrinsecamente deflattivi) di Maastricht [1].
Che queste politiche avrebbero determinato una depressione della domanda aggregata (e dunque dell’inflazione, con pesanti ricadute sull’economia nel suo complesso) era ovvio, giacché la riduzione della domanda – al fine, secondo la narrazione ufficiale, di ridurre il disavanzo di partite correnti dei paesi della periferia e rendere queste economie più competitive – era (ed è) precisamente lo scopo di queste politiche. Come dichiarò Mario Monti in un’intervista alla CNN:
«Stiamo effettivamente distruggendo la domanda interna attraverso il consolidamento fiscale».
Non si è trattato di un errore di percorso, insomma, ma di una strategia deliberata. Non a caso l’economista britannico Mark Blyth definisce l’austerità fiscale e salariale una forma di «deflazione volontaria» (“svalutazione interna” e “deflazione interna” sono infatti sinonimi). Allo stesso modo, era altrettanto ovvio che la politica di quantitative easing della BCE non avrebbe avuto pressoché alcun impatto sull’economia reale e di certo non sarebbe riuscita a compensare gli effetti depressivi delle politiche di austerità.
Basta dare una rapida scorsa all’evoluzione delle retribuzioni in Europa negli ultimi anni per rendersi conto degli effetti drammatici di questa “cura letale”. Secondo dati dell’OCSE elaborati da Jan Zilinsky, tra il 2007 e il 2014 il reddito da lavoro (e dunque il potere d’acquisto) del lavoratore medio è diminuito del 50 per cento in Grecia, del 30 per cento in Spagna, del 19 per cento in Portogallo e del 14 per cento in Italia. Per i lavoratori a basso reddito le cose sono andate ancora peggio: -70 per cento in Grecia e Spagna, -60 per cento in Portogallo, -35 per cento in Italia[2]. E poi ci si sorprende che l’inflazione cali, fino a lasciare il posto alla deflazione?
Fonte: http://www.janzilinsky.com/an-unequal-recovery/
Fanno dunque sorridere – per non dire altro – le lacrime di coccodrillo di quei commentatori che hanno taciuto sulle politiche messe in campo negli ultimi anni (quando non le hanno entusiasticamente sostenute) e ora chiedono al governo di «intervenire» per combattere la deflazione, come se questa fosse l’effetto di una calamità naturale o al massimo dell’“inazione” del governo, e non il risultato di politiche che avevano come obiettivo esattamente quello di ottenere la deflazione (interna) attraverso la svalutazione salariale. Obiettivo che possiamo considerare pienamente centrato e di cui il governo sembra andare alquanto fiero, tanto che una recente brochure del Ministero dello Sviluppo Economico invitava gli stranieri a investire in Italia proprio in virtù degli stipendi più bassi della media europea.
Che sia chiaro: le cosiddette riforme strutturali, rivolte soprattutto all’eliminazione delle “rigidità del mercato del lavoro” e alla riduzione della contrattazione collettiva – di cui le manifestazioni più lampanti in Italia sono stati il Jobs Act e l’abolizione dell’articolo 18 – sono parte integrante di questa strategia di svalutazione interna. È fin troppo evidente, infatti, che una maggiore flessibilità e precarizzazione del lavoro – che favorisce contratti precari, riduce le tutele sul lavoro e facilita i licenziamenti – permette alle aziende di esercitare una maggiore pressione al ribasso sui salari, deprimendo ulteriormente la domanda[3]. Persino un osservatore solitamente pacato come Gad Lerner al tempo della discussione intorno al Jobs Act ipotizzò che la riforma fosse «un passaggio preliminare mirato al drenaggio di altre risorse dalle buste paga dei lavoratori» e più precisamente «a una decurtazione complessiva dei redditi da lavoro dipendente», all’interno di un più ampio «ridisegno complessivo del nostro sistema economico».
Nota l’economista francese Michel Husson che le trasformazioni che sono avvenute sul mercato del lavoro in Italia e altrove negli ultimi anni
«non sono il prodotto di sviluppi spontanei» ma sono il risultato dell’attuazione di riforme strutturali relative all’organizzazione dei mercati del lavoro il cui «obiettivo è decentralizzare al massimo la contrattazione collettiva per avvicinarla il più possibile alle realtà delle imprese e aggiustare la progressione dei salari ai risultati di redditività di ogni singola impresa».
Offrire alle imprese maggiore facilità di licenziamento rappresenta un elemento cruciale – anch’esso pienamente realizzato – di questa strategia.
Un’indagine sui salari condotta dalla Banca centrale europea mostra infatti come il 10 per cento dei datori di lavoro europei trovi più facile “regolare l’occupazione” oggi di quanto non lo fosse nel 2010. Come si può vedere nel seguente grafico, questa percentuale è particolarmente elevata (30 per cento o più) nei paesi più colpiti da queste riforme come la Grecia, la Spagna e il Portogallo. Per quanto riguarda l’Italia, solo un mese fa l’Osservatorio sul precariato dell’INPS riportava che i licenziamenti disciplinari dall’entrata in vigore del Jobs Act sono aumentati del 28 per cento.
Fonte: https://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/other/eb201605_article02.en.pdf
Dal breve quadro che abbiamo tratteggiato emerge con chiarezza come la deflazione – in Italia e altrove – non sia un incidente di percorso quanto piuttosto un obiettivo che è stato perseguito con lucidità e coerenza da tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Non crederemo davvero che ora saranno quegli stessi governi a tirarci fuori dal disastro che hanno pianificato a tavolino?
Note
[1] Già nel lontano 1978 Luigi Spaventa, al tempo deputato indipendente eletto nelle liste del PCI, previde con straordinaria lucidità le conseguenze dell’imminente ingresso dell’Italia nello SME, precursore dell’euro:
«Quest’area monetaria rischia oggi di configurarsi come un’area di bassa pressione e di deflazione, nella quale la stabilità del cambio viene perseguita a spese sviluppo dell’occupazione e del reddito. Infatti non sembra mutato l’obiettivo di fondo della politica economica tedesca: evitare il danno che potrebbe derivare alle esportazioni tedesche da ripetute rivalutazioni del solo marco, ma non accettare di promuovere uno sviluppo più rapido della domanda interna».
[2] Il dato si riferisce sia al lavoro salariato che al lavoro autonomo, per cui è probabile che il dato sia parzialmente “falsato” da un aumento vertiginoso del lavoro nero tra i lavoratori autonomi.
[3] Vent’anni di ricerche empiriche hanno dimostrato che non esiste nessuna correlazione positiva tra flessibilizzazione del mercato del lavoro e crescita economica ed occupazionale. E l’Italia ne è la dimostrazione evidente: a partire dalla legge Treu del 1997, sono state approvate nel nostro paese ben nove riforme del mercato del lavoro, di cui sette negli ultimi sette anni, col risultato che oggi l’OCSE riconosce all’Italia il pregio di essere il paese che ha maggiormente flessibilizzato il mercato del lavoro tra i paesi industrializzati. A tal proposito è opportuno notare che l’Italia è il paese europeo in cui i salari reali sono cresciuti di meno dai primi anni novanta ad oggi, determinando una consistente riduzione della quota dei salari sul PIL.
Articolo pubblicato sul sito eunews.it (visto su controlacrisi.org)
FONTE:https://www.nexusedizioni.it/it/CT/la-deflazione-pianificata-dellitalia-5405
Chi ha rispettato il 3% deficit/PIL in 20 anni di euro?
Fra i più conosciuti dei parametri previsti nel trattato di maastricht del 1992, era quello di rispettare un rapporto deficit/PIL non superiore al 3%.
L’ideatore di questa regola è il francese Guy Abeille che ha più volte ammesso al pubblico che il 3% non ha alcun fondamento scientifico
Vediamo un breve estratto dalla trasmissione RAI “Presadiretta”, in un servizio del 2015, ripreso anche nel film PIIGS. Segue trascrizione dei dialoghi.
VIDEO ESTREMAMENTE INTERESSANTE QUI: https://www.youtube.com/watch?v=x15-gGxr8oU
ABEILLE: Una sera del 1981, nel mio ufficio arriva una telefonata dall’Eliseo. Il nuovo Presidente Mitterrand voleva urgentemente una norma che fissasse un tetto alla spesa pubblica. Il Presidente cercava qualcosa di semplice, di pratico. Non voleva una teoria economica: solo uno strumento a uso interno.
GIORNALISTA: E hanno incaricato lei…
ABEILLE: si, ma tutte le soluzioni ci sembravano troppo complicate. Ci è venuto in mente il deficit e abbiamo detto: “mettiamolo in rapporto con il Pil”.
Allora abbiamo visto quale era il nostro deficit di quell’anno, quale era il Pil, abbiamo fatto una semplice operazione ed è venuto fuori il 3%.
GIORNALISTA: una banale proporzione… e quanto tempo ci avete messo per elaborare questo numero magico?
ABEILLE: Ci abbiamo messo un’oretta circa.
Poi io e il mio collega siamo andati dal nostro capo e abbiamo detto: “Abbiamo la formula: 3%”.
E lui ha risposto: “Perfetto! Per noi la giornata è finita. Possiamo tornare a casa e raccontare la storia agli amici“.
GIORNALISTA: Quindi questo 3% è totalmente casuale: se in quel momento il rapporto deficit/Pil fosse stato del 4 o del 2, ci sarebbe stato un altro numero.
ABEILLE: esattamente: nessun criterio scientifico.
GIORNALISTA: e come arriviamo a Maastricht?
ABEILLE: Dieci anni dopo, quando a Maastricht bisognava trovare una regola per l’Unione Monetaria, Trichet, che all’epoca era il nostro capo del Tesoro, disse: “Noi abbiamo un numero che ha funzionato benissimo in Francia: il 3%”.
GIORNALISTA: beh una storia incredibile. Un ragazzo di 30 anni in meno di un’ora tira fuori un numero, del tutto arbitrario, e quella formula diventa il cappio a cui siamo impiccati da 15 anni…
ABEILLE: La cosa interessante di questa storia è che da quando il 3% è diventato una regola tutti poi hanno dovuto legittimarlo agli occhi dell’opinione pubblica, della gente che vota.
Gli economisti hanno elaborato mille spiegazioni scientifiche, ma io le posso garantire che le cose sono andate esattamente come le ho raccontate.
TIRIAMO LE SOMME
Fatta questa piccola premessa, vediamo l’evoluzione del deficit dal 1999 al 2019 dei dodici paesi che firmarono Maastricht.
Segue tabella su dati AMECO. Tranne per l’Italia, i dati del 2019 non sono ancora definitivi.
1999 | 2000 | 2001 | 2002 | 2003 | 2004 | 2005 | 2006 | 2007 | 2008 | 2009 | 2010 | 2011 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | 2016 | 2017 | 2018 | 2019 | |
Belgio | -0,6 | -0,1 | 0,2 | 0 | -1,9 | -0,2 | -2,7 | 0,2 | 0,1 | -1,1 | -5,4 | -4,1 | -4,3 | -4,3 | -3,1 | -3,1 | -2,4 | -2,4 | -0,7 | -0,7 | -1,7 |
Germania | -1,7 | -1,6 | -3 | -3,9 | -3,7 | -3,3 | -3,3 | -1,7 | 0,3 | -0,1 | -3,2 | -4,4 | -0,9 | 0 | 0 | 0,6 | 0,9 | 1,2 | 1,2 | 1,9 | 1,2 |
Irlanda | 3,5 | 4,9 | 1 | -0,5 | 0,3 | 1,3 | 1,6 | 2,8 | 0,3 | -7 | -13,8 | -32,1 | -12,8 | -8,1 | -6,2 | -3,6 | -1,9 | -0,7 | -0,3 | 0,1 | 0,2 |
Grecia | -5,8 | -4,1 | -5,5 | -6 | -7,8 | -8,8 | -6,2 | -5,9 | -6,7 | -10,2 | -15,1 | -11,2 | -10,3 | -8,9 | -13,2 | -3,6 | -5,6 | 0,5 | 0,7 | 1 | 1,3 |
Spagna | -1,2 | -1,2 | -0,5 | -0,3 | -0,4 | -0,1 | 1,2 | 2,1 | 1,9 | -4,6 | -11,3 | -9,5 | -9,7 | -10,7 | -7 | -5,9 | -5,2 | -4,3 | -3 | -2,5 | -2,3 |
Francia | -1,6 | -1,3 | -1,4 | -3,2 | -4 | -3,6 | -3,4 | -2,4 | -2,6 | -3,3 | -7,2 | -6,9 | -5,2 | -5 | -4,1 | -3,9 | -3,6 | -3,5 | -2,8 | -2,5 | -3,1 |
Italia | -1,8 | -2,4 | -3,2 | -2,9 | -3,2 | -3,5 | -4,1 | -3,6 | -1,3 | -2,6 | -5,1 | -4,2 | -3,6 | -2,9 | -2,9 | -3 | -2,6 | -2,4 | -2,4 | -2,2 | -1,6 |
Lussemburgo | 3,5 | 5,9 | 5,9 | 2,4 | 0,2 | -1,3 | 0,1 | 1,9 | 4,2 | 3,3 | -0,7 | -0,7 | 0,5 | 0,3 | 1 | 1,3 | 1,4 | 1,8 | 1,4 | 2,7 | 2,3 |
Paesi Bassi | 0,3 | 1,2 | -0,5 | -2,1 | -3,1 | -1,8 | -0,4 | 0,1 | -0,1 | 0,2 | -5,1 | -5,2 | -4,4 | -3,9 | -2,9 | -2,2 | -2 | 0 | 1,3 | 1,5 | 1,5 |
Austria | -2,6 | -2,4 | -0,7 | -1,4 | -1,8 | -4,8 | -2,5 | -2,5 | -1,4 | -1,5 | -5,3 | -4,4 | -2,6 | -2,2 | -2 | -2,7 | -1 | -1,5 | -0,7 | 0,2 | 0,4 |
Portogallo | -3 | -3,2 | -4,8 | -3,3 | -5,7 | -6,2 | -6,1 | -4,2 | -2,9 | -3,7 | -9,9 | -11,4 | -7,7 | -6,2 | -5,1 | -7,4 | -4,4 | -1,9 | -3 | -0,4 | -0,1 |
Finlandia | 1,7 | 6,9 | 5 | 4,1 | 2,4 | 2,2 | 2,7 | 4 | 5,1 | 4,2 | -2,5 | -2,5 | -1 | -2,2 | -2,5 | -3 | -2,4 | -1,7 | -0,7 | -0,8 | -1,1 |
Facciamo allora un po’ di conti, quante volte è stato sforato il 3% in ordine crescente, dal più “disciplinato” al meno disciplinato. Sotto in rosso gli anni in cui è stato sforato il limite del deficit.
Lussemburgo – 0 volte su 21 (media +1,78%)
Finlandia – 0 volte su 21 (media +0,85%)
Austria – 3 volte su 21 (media -2,07%)
Paesi Bassi – 5 volte su 21 (media -1,31%)
Germania – 6 volte su 21 (media -1,12%)
Belgio – 6 volte su 21 (media -1,82%)
Irlanda – 7 volte su 21 (media -3,38%)
Italia – 8 volte su 21 (media -2,92%)
Spagna – 9 volte su 21 (media -3,55%)
Francia – 14 volte su 21 (media -3,55%)
Portogallo – 15 volte su 21 (media -4,79%)
Grecia – 17 volte su 21 (media -6,26%)
20 ANNI DI EURO
Cominciamo dalla fine della classifica.
La Grecia inizialmente non doveva prendere parte all’unione monetaria, ma nel 2002 fu presente anche il paese ellenico all’arrivo dell’euro nei nostri portafogli (inteso come monete e banconote).
Era già evidente prima, ma anche dopo questa analisi che la Grecia non avrebbe mai dovuto prendere parte all’unione monetaria, probabilmente più di tutti gli altri paesi dell’eurozona
Il Portogallo, spesso usato come esempio virtuoso, è in realtà fra i peggiori esempio possibile di “rigore dei conti”, con buona pace dei “portogallisti“
Al terzultimo posto troviamo la Francia che ha ampiamente sforato sia prima che dopo la crisi del 2008.
Questo prova, come dicevamo all’inizio, che i francesi sapevano benissimo che il 3% era una regola arbitraria.
Con buona pace di tutti gli economisti, anche nostrani, che hanno provato a giustificare la regola del 3%
L’Italia si trova all’ottavo posto, tuttavia nella media dei 21 esercizi considerati, l’Italia ha rispettato la regola del 3%.
FONTE: ISTAT – Saldi di finanza pubblica in rapporto al PIL
Come anticipato prima, sul 2019 abbiamo il dato definitivo, un dato che in pochi si aspettavano: l’1,6% di deficit contro un’aspettativa del 2,2% (questo riportava AMECO come dato provvisorio)
Gli unici paesi “puri e casti” sono Lussemburgo e Finlandia, con una media dei saldi che risulta con segno positivo, hanno dunque fatto, in media avanzo di bilancio.
I DEFICIT DOPO LA CRISI DEL 2008
2009 | 2010 | 2011 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | 2016 | 2017 | 2018 | 2019 | |
Belgio | -5,4 | -4,1 | -4,3 | -4,3 | -3,1 | -3,1 | -2,4 | -2,4 | -0,7 | -0,7 | -1,7 |
Germania | -3,2 | -4,4 | -0,9 | 0 | 0 | 0,6 | 0,9 | 1,2 | 1,2 | 1,9 | 1,2 |
Irlanda | -13,8 | -32,1 | -12,8 | -8,1 | -6,2 | -3,6 | -1,9 | -0,7 | -0,3 | 0,1 | 0,2 |
Grecia | -15,1 | -11,2 | -10,3 | -8,9 | -13,2 | -3,6 | -5,6 | 0,5 | 0,7 | 1 | 1,3 |
Spagna | -11,3 | -9,5 | -9,7 | -10,7 | -7 | -5,9 | -5,2 | -4,3 | -3 | -2,5 | -2,3 |
Francia | -7,2 | -6,9 | -5,2 | -5 | -4,1 | -3,9 | -3,6 | -3,5 | -2,8 | -2,5 | -3,1 |
Italia | -5,1 | -4,2 | -3,6 | -2,9 | -2,9 | -3 | -2,6 | -2,4 | -2,4 | -2,2 | -1,6 |
Lussemburgo | -0,7 | -0,7 | 0,5 | 0,3 | 1 | 1,3 | 1,4 | 1,8 | 1,4 | 2,7 | 2,3 |
Paesi Bassi | -5,1 | -5,2 | -4,4 | -3,9 | -2,9 | -2,2 | -2 | 0 | 1,3 | 1,5 | 1,5 |
Austria | -5,3 | -4,4 | -2,6 | -2,2 | -2 | -2,7 | -1 | -1,5 | -0,7 | 0,2 | 0,4 |
Portogallo | -9,9 | -11,4 | -7,7 | -6,2 | -5,1 | -7,4 | -4,4 | -1,9 | -3 | -0,4 | -0,1 |
Finlandia | -2,5 | -2,5 | -1 | -2,2 | -2,5 | -3 | -2,4 | -1,7 | -0,7 | -0,8 | -1,1 |
Adesso rifacciamo i conti prendendo i causa gli anni dal 2009 al 2019.
Ecco allora la classifica degli ultimi 11 esercizi, a parità di numero di “sforamenti” avanza chi ha la media del deficit più bassa
Lussemburgo – 0 volte su 11 (media +1,03%)
Finlandia – 0 volte su 11 (media -1,85%)
Germania – 2 volte su 11 (media -0,14%)
Austria – 2 volte su 11 (media -1,98%)
Italia – 3 volte su 11 (media -2,99%)
Paesi Bassi – 4 volte su 11 (media -1,95%)
Belgio – 6 volte su 11 (media -2,93%)
Irlanda – 6 volte su 11 (media -7,2%)
Grecia – 7 volte su 11 (media -5,85%)
Portogallo – 8 volte su 11 (media -5,23%)
Spagna – 8 volte su 11 (media -6,49)
Francia – 9 volte su 11 (media -4,35%)
In questa classifica di devozione al sacro vincolo del 3%, mostra come l’Italia abbia fatto i “compiti a casa”, specie negli ultimi 10 anni.
FONTE: Elaborazione su dati AMECO
L’italia in media, ha rispettato il tetto del 3% sia negli ultimi dieci anni, sia dal lontano 1999 (anno del lancio dell’euro).
Gli esempi che – i professoroni euronomani sempre in televisione – ci vendevano come “virtuosissimi”, come avete visto la realtà è un pochettino diversa. Vedi in particolare Portogallo, Spagna e Belgio.
In questi giorni poi si è parlato molto dell’Olanda e della sua presunta superiorità, ma ha sfortato una volta in più il tetto del 3% rispetto all’Italia.
La Francia negli ultimi dieci anni è stato il paese che ha sforato di più, se al prossimo aggiornamento di Ameco verrà confermato il dato del 2019 (cosa plausibile viste le rivolte che ci sono state).
E come detto prima, questo conferma che il regola del deficit al 3% è paragonabile a un feticcio inutile.
FONTE:https://scenarieconomici.it/chi-ha-rispettato-il-3-deficit-pil-in-20-anni-di-euro/?utm_medium=push&utm_source=onesignal
Il vaso di pandora del neoliberismo
Tutti conoscono il mito greco del vaso di Pandora, che ormai è entrato nel linguaggio comune e viene usato come metafora. Una volta scoperchiato escono, uno dopo l’altro, tutti i mali del mondo: dolore, affanni, malattie, morte che travolgono inesorabilmente tutta la specie umana. Ma, nonostante l’apparenza, non è un mito catastrofista. Pandora, per volere di Zeus, chiude il vaso prima che possa uscirne la Speranza, “l’ultima a morire” e qualche tempo dopo lo riapre, liberandola.
Si può ravvisare, forzando l’interpretazione del mito, una dialettica tra positivo e negativo che attraversa la storia della modernità: il negativo che esce, la speranza che rimane. Ma che cosa è questa dialettica nel capitalismo post-fordista? Quando i guru del neo-liberismo, come Francis Fukuyama, parlano di fine della storia, in fondo hanno ragione: fine della “loro” storia, declino e crisi del capitalismo come modo di produzione storicamente determinato.
Lo stato di “emergenza permanente” che avvolge il mondo e che l’esplosione del coronavirus ha svelato in tutti i suoi aspetti e dimensioni, lo sta a dimostrare. L’affermazione “fine della storia” va rovesciata: fine di una storia, possibile inizio di un’altra storia, liberata dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura.
Questa è un’epoca di transizione e di trasformazione, che tocca direttamente le radici della vita, in senso biologico e sociale, produttivo e riproduttivo: in essa, nel flusso del divenire che nessuna ideologia può frenare, si aprono enormi possibilità di liberazione, una nuova ontologia dell’essere sociale. La “soggettività rivoluzionaria” non può che porsi a questa altezza della contraddizione, tra biopotere e biopolitica. Non può che spezzare, rompere, dividere l’immagine dell’uno, la totalità assoluta del capitale.
A questo punto, diventa comprensibile l’operazione politica, ideologica, culturale dei teorici neoliberisti: eternizzare, naturalizzare la logica del mercato, la “libera” competizione, di sapore darwiniano, tra individui che diventano imprenditori di se stessi. Chi riesce è incluso nel regno dell’ordine sovrano, chi non riesce viene abbandonato a se stesso, in senso malthusiano, in nome della “libertà” e di una sorta di “selezione naturale”.
Si tratta di un rovesciamento dell’impianto egualitario affermatosi dalla rivoluzione francese in poi e che ha attraversato come un fiume impetuoso tutte le rivolte e le rivoluzioni che hanno costituito il “cuore rosso” della modernità. La fine della storia, in questo senso, riproduce la dialettica hegeliana, dove il positivo e il negativo, la tesi e l’antitesi, l’affermazione e la negazione, vengono ambedue nello “Spirito Assoluto”, ovvero nella realizzazione completa dell’idea che supera ogni contraddizione storica, dove gli opposti sono sussunti e riconciliati.
Dove portava il tutto il complesso apparato concettuale hegeliano? Con la formula «tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale»,Hegel legittimava lo stato di cose presente come il migliore dei mondi possibili. In particolare, lo Stato in Hegel – nella fattispecie lo Stato prussiano – è totalità etico-politica e in esso trovano soluzione e conciliazione tutte le contraddizioni della società civile, i suoi conflitti, gli animal spirits che la attraversano.
La dialettica hegeliana è una dialettica della mediazione e della unità degli opposti: il suo uso da parte del pensiero neoliberista ha come scopo specifico quello di giustificare lo stato di cose presente come eterno e immodificabile, neutralizzando il conflitto di classe e rimuovendo la potenza e l’autonomia del lavoro vivo. Il pensiero dialettico va completamente decostruito e riportato nella sua dimensione “di classe”: «il Capitale è un rapporto» dice Marx «tra due soggetti, irriducibili l’uno all’altro tra cui esiste una relazione antagonistica continuamente rinnovata nei vari stadi dello sviluppo capitalistico». Un rapporto che passa dalla sussunzione formale a quella reale, da questa alla sussunzione dell’intero mondo della vita e della riproduzione. Il rapporto di capitale si spinge fino al suo limite, in cui si percepisce come “fine della storia”. Ma così come è successo in ogni epoca e per ogni modo di produzione le crisi generali, al loro compimento, hanno visto nascere nuovi mondi e forme di vita.
Così dopo l’anno mille, che doveva essere il tempo dell’apocalisse e della catastrofe, vi fu una formidabile trasformazione dell’economia e della politica. Così dopo la peste del Trecento, che precede la grande rivoluzione rinascimentale, o ancora la peste e le guerre di religione nel Seicento, che aprono alla fondazione del “politico statuale” e alla serie delle grandi rivoluzioni della modernità. Insomma il divenire della storia non si arresta mai
E’ necessario quindi usare un altro apparato concettuale. La rottura della dialettica tra capitale e lavoro, tra cooperazione sociale e rapina del “comune” pone fine al ciclo dell’eterno ritorno del “sempre uguale”. Una sorta di cattiva infinità, una dialettica mistificata, che rinvia all’infinito la rottura tra potenza costituente del lavoro vivo ed apparati di cattura del capitale. Non c’è più sintesi né mediazione possibile, il Due non diventa Uno, al contrario l’Uno si divide in Due, come dicevano i rivoluzionari cinesi, rappresentando in una formula sintetica quello “spirito di scissione” di cui parlava Gramsci, influenzato in questo dal sindacalismo rivoluzionario di Georges Sorel.
La rottura della dialettica significa “guerra”, dando a questo termine una valenza più ampia di quella tradizionalmente intesa. Guerra sociale all’interno della globalizzazione,” ma contro chi? Questo tipo di guerra ha, dal punto di vista del comando di capitale, una funzione preventiva rispetto alla potenza eccedente della cooperazione sociale, deve distruggere le sue potenzialità di auto-valorizzazione, di organizzazione autonoma e costruzione di un nuovo potere costituente.
Nella misura in cui tutto il tempo della vita è sussunto nella valorizzazione di capitale cessa ogni criterio di misura del valore basato sul tempo di lavoro individuale. Il valore della ricchezza sociale prodotta in comune è incommensurabile, o meglio può essere misurata solo forzosamente, con un atto di puro comando, in una logica di espropriazione e di rapina.
Il conflitto diventa endemico, in una molteplicità di punti di resistenza e di lotta, dentro tutte le dimensioni del sociale: è interamente biopolitico. Ma il divenire della vita è sempre eccedente, dentro e contro, per un fuori, un oltre rispetto alle leggi, alle norme, ai dispositivi di comando, alla misura ritagliata sulla miseria salariale e lo sfruttamento del lavoro.
L’attuale emergenza del COVID-19 scoperchia tutte le emergenze del modo di produzione capitalistico, ma offre le basi fin da subito per una riappropriazione del “Comune”, a partire dal “capitale fisso”, dalla tecnologia, alla scienza, alle macchine, alla comunicazione informatica e digitale. E’ un campo di battaglia, una guerra, ma come diceva Lenin rispetto alla guerra imperialista, «guerra alla guerra, per la rivoluzione».
Al fondo del vaso di Pandora, abbiamo visto, rimane la speranza: così per noi, ma non si tratta di un sentimento morale o di un orizzonte utopico, ma di un processo immanente e materiale, di costruzione di un nuovo essere sociale.
FONTE:https://www.globalproject.info/it/in_movimento/il-vaso-di-pandora-del-neoliberismo/22681
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
L’Italia nel mirino di Berlino Scatta l’allerta per le banche
Il Copasir mette in guardia da una possibile scalata ostile nel settore bancario: ”Il colosso tedesco è un malato con in pancia un’enorme quantità di derivati e ha una forte presenza in Italia”
Il Copasir aveva già lanciato l’allarme sul rischio che importanti interessi nazionali potessero finire in mano straniera.
Adesso il Comitato parlamentare per la sicurezza ha convocato Deutsche Bank per scongiurare l’eventualità di una sua eventuale scalata all’interno del sistema bancario nostrano.
Ma andiamo con ordine. A causa dell’emergenza economica provocata dalla diffusione di Covid-19, infatti, sono emersi due fenomeni.
Il primo: l’aumento dell’interesse delle concorrenti straniere per le imprese italiane più ghiotte.
Il secondo: l’incremento, a dismisura, dei crediti deteriorati, cioè crediti delle banche che i debitori non riescono più a ripagare per via dei troppi debiti accumulati.
Va da sé che le preoccupazioni più grandi del Copasir riguardano due settori: quello bancario e quello assicurativo. Già, perché le aree citate, come sottolinea il quotidiano La Verità, entreranno presto in sofferenza per via degli ingenti aiuti economici che dovranno essere stanziati da qui ai prossimi mesi. Ma prede così fanno gola ai predatori più assetati di carne, ed è per questo che serve la massima allerta.
L’ombra Deutsche Bank
Il vicepresidente del Copasir, Adolfo Urso, è stato chiarissimo: ”Deutsche Bank è un malato con in pancia un’enorme quantità di derivati e ha una forte presenza in Italia”. Dunque, ha proseguito, ”dobbiamo essere certi” che i principali istituti bancari del Paese ”in questo momento finanzino il nostro sistema imprenditoriale e non quello di altri Paesi”. A questo proposito il colosso tedesco, così come Unicredit e Mediobanca, sarà convocato dal Comitato.
In una fase così delicata l’imperativo è proteggere gli asset strategici da ogni possibile scalata ostile. Per centrare l’obiettivo Urso, oltre alla leva del golden power, ha iniziato a guardare anche gli strumenti adottati dai modelli stranieri, tra cui quello americano, giapponese e francese. Un esempio su tutti? Il Cfius (Committee on foreign investments of the United States), cioè il sistema statunitense di controllo degli investimenti diretti esteri.
Guai ad abbassare la guardia perché, ha sottolineato Urso, ”l’Italia è già sotto minaccia dal 2008′‘ e ”oggi un’aggressione esterna ci rende ancora più vulnerabili”. ”Ricordo – ha poi aggiunto lo stesso vicepresidente – che la relazione dei servizi del febbraio 2018 ci informava di una colonizzazione predatoria già in atto da parte di soggetti stranieri che agivano nel nostro Paese a fini di dominio e di esproprio del nostro patrimonio scientifico, tecnologico e industriale”.
In merito al decreto Cura Italia, inoltre, Urso era letteralmente ”balzato sulla sedia” leggendo l’articolo 75 del documento. Il motivo? Si parlava di deroghe sugli appalti in ambito informatico. ”Una norma assurda – ha concluso Urso – che poteva essere un cavallo di troia capace di mettere a rischio i nostri dati personali e la sicurezza nazionale. Abbiamo subito proposto una modifica che, per fortuna, il governo ha poi recepito in fase emendativa”.
FONTE:https://www.ilgiornale.it/news/economia/lallarme-copasir-lombra-deutsche-bank-sulle-banche-italiane-1858163.html
Recovery Fund: che cosa è, come funzionerà
24 Aprile 2020, di Mariangela Tessa
Mes, Sure e Bei operativi da giugno e ok al principio del Recovery Fund ‘urgente’, come aveva auspicato l’Italia, anche se con tutti i dettagli ancora da definire. Sono questi i risultati principali del Consiglio europeo di ieri, dedicato alla crisi economica più profonda dal dopoguerra.
Un vertice che, nonostante le divisioni, prova a trovare un’unità d’intenti. E ci riesce, almeno in parte, accogliendo l’idea di creare uno strumento nuovo come appunto il fondo per la ripresa.
Ma che cosa è il recovery fund?
Nato da un’idea del presidente francese Emmanuel Macron, il fondo di ripresa è un fondo creato ad hoc per emettere i recovery bond (ribattezzati anche Ursula bond dal nome del presidente della Commissione Ue) la cui garanzia è rappresentata dal bilancio Ue.
Una volta raccolta la liquidità sul mercato, questa verrà distribuita ai paesi che ne hanno bisogno.
Se nessuno, in via di principio, è contrario a creare il Recovery fund, le divisioni diventano profonde quando si passa a parlare del tipo di sostegno che deve dare. La vera battaglia sarà sul funzionamento, cioè se concederà prestiti o sovvenzioni a fondo perduto. Su questo fronte la divisione è netta.
L’Italia vuole sovvenzioni, non prestiti, e una potenza di fuoco molto più ampia.
“L’ammontare del Recovery Fund dovrebbe essere pari a 1.500 miliardi di euro e dovrebbe garantire trasferimenti a fondo perduto ai Paesi membri, essenziali per preservare i mercati nazionali, parita’ di condizioni, e per assicurare una risposta simmetrica a uno shock simmetrico”, ha detto Conte ai colleghi durante la videoconferenza.
Sulla stessa linea sono Francia, Spagna, Portogallo e Grecia.
Sull’altro fronte, invece, i paesi del Nord Europa (su tutti Olanda, Svezia, Danimarca, Finlandia e Austria) che si oppongono ad aumenti del budget comune e a forme di trasferimenti a fondo perduto, difendendo il principio secondo cui la Commissione Ue non puo’ indebitarsi.
La Germania non si schiera apertamente nella battaglia ma la cancelliera Merkel ammette che “non su tutto siamo della stessa opinione”.
La palla passa ora alla Commissione europea: la presidente dell’esecutivo Ue, Von der Leyen, entro il 6 maggio dovrà presentare la nuova proposta di bilancio Ue e Recovery fund, assicura che ci sarà “un giusto equilibrio tra sovvenzioni e prestiti”.
FONTE:https://www.wallstreetitalia.com/recovery-fund-che-cosa-e-come-funzionera/
GIUSTIZIA E NORME
LA FASE 2 DI CONTE: SCARCERANO IL BOSS CUTOLO – VIDEO
Giletti: ‘Circa 40 persone di livello altissimo della criminalità uscite, altre 300 già fuori. Che Stato è quello che permette a boss pericolosi di uscire dai carceri?’
VIDEO QUI:https://www.la7.it/f5be2a95-56bc-485b-be9c-f832f333f74f
Giletti attacca Basentini, capo Dap, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria direttamente dipendente dal ministro della Giustizia grillino: ‘Ho pagato anche io come tutti gli italiani l’aereo a Zagaria, poteva prendere un volo per andare in carcere a Roma’.
Scarcerazione dei boss, Massimo Giletti contro il capo del DAP: “Si deve assumere la responsabilità. Domani farete uscire Raffaele Cutolo, complimenti. Sono sconcertato”
Qualche giorno fa Gaetano Aufiero, avvocato del fondatore della Nuova Camorra Organizzata Raffaele Cutolo, ha depositato un’istanza per chiedere che il suo assistito possa tornare a casa.
Incredibile. E’ come se a suo tempo avessero fatto uscire Totò Riina. Chi c’è dietro Conte, davvero?
FONTE:https://voxnews.info/2020/04/27/governo-fuori-controllo-scarcerano-anche-il-boss-cutolo-giletti-furioso-video/
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
KEN LOACH CONTRO IL LAVORO
L’ultimo film di Ken Loach, “Sorry, we missed you”, è l’ennesimo atto d’accusa al sistema capitalistico. Ma stavolta, rincarando la dose di “Io, Daniel Blake”, il regista britannico dipinge un contesto societario impietoso nella sua irreversibilità, all’insegna del system failure e in cui è impossibile persino intravedere un orizzonte progressivo di conflitto e rivendicazione. Forse.
17 01 2020
Dicono che l’automazione cancelli il lavoro, ma noi lavoriamo sempre più e peggio. Nella rivoluzione digitale il problema non sono i robot, ma il riconoscimento della forza lavoro.
Siamo noi il cuore dell’algoritmo, ma restiamo invisibili.
La forza lavoro è uno scrigno che contiene la facoltà più importante della vita. Ora si tratta di aprirlo e fare splendere
la sua ricchezza.
Questo libro è un viaggio alla scoperta di un continente antico, eppure nuovo. Da Google ad Amazon, passando per Baudelaire
e Machiavelli, Spinoza e Marx, Ivanhoe e i gladiatori, racconta la genealogia dei lavori autonomi e dipendenti.
Roberto Ciccarelli ci guida in una storia unica e sorprendente
e mostra cosa hanno in comune il freelance, l’imprenditore di se stesso o lo startupper nell’economia della condivisione e nella gig economy.
La domanda non è che cosa è il lavoro, ma la più concreta, e potente: cosa può oggi una forza lavoro?
ROBERTO CICCARELLI
FONTE:https://www.deriveapprodi.com/prodotto/forza-lavoro/
“Lavoro Agile”, verso una nuova forma di sfruttamento del lavoro femminile
All’aumentare dei figli, si legge nel rapporto Censis, diminuisco le donne che hanno un lavoro. Anche quando il part-time è frutto di una scelta, nel 47,7% dei casi, la scelta è condizionata dalla necessità di prendersi cura dei figli o di persone anziane, spesso di entrambi, mentre solo il 24,4% delle donne giustifica la scelta con l’esigenza di avere tempo libero per sé (per gli uomini è l’esatto contrario). Un’esigua minoranza di uomini si dedica ai lavori domestici e alla cura. L’educazione e la cura dei figli sono esercitati quotidianamente dal 97% delle donne.
Mentre l’81% delle donne cucina e si accolla i lavori domestici. Questo carico aggiuntivo costringe circa un milione e mezzo di donne lavoratrici a optare per il part-time.
Le forme di lavoro da remoto attivate durante l’emergenza Covid-19, note come Lavoro Agile, secondo Fiorella Crespi, Direttrice dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano (osservatori.net), non sono da considerarsi Smart Working a tutti gli effetti. In primo luogo, perché, per via della segregazione, lo spazio di lavoro è confinato dentro le mura domestiche.
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La caratteristica dello Smart Working, dice Crespi, è l’autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare, autonomia alla quale deve corrispondere una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Smart Working non vuol dire semplicemente «Lavorare da casa.» Nello Smart Working, dice, l’accento è posto sugli obiettivi e sui risultati, più che sugli orari e i luoghi della prestazione lavorativa, con un approccio quasi «imprenditoriale».
Non si tratta di una novità assoluta nel management aziendale o nella scienza delle organizzazioni complesse. Già negli anni Ottanta, in Italia – ma all’estero decenni prima – si parlava di Qualità Totale, riferendosi a un modello di organizzazione aziendale in cui i lavoratori erano stimolati a ritenersi coinvolti direttamente nei risultati del processo produttivo. Erano stimolati, cioè, a sentirsi padroni del processo, e a operare, come dice Crespi, da «imprenditori». Una quadro esaustivo di questa tecnica lo ha dato Lars von Trier nel film del 2006 «Il grande capo».
Nel film il capo effettivo si mischia ai dipendenti. Finge di essere uno di loro. Li stimola a lavorare e a scaricare le tensioni su un fantomatico grande capo, realizzando il miracolo di far assumere ai dipendenti la responsabilità e il peso delle scelte e della direzione.
In questa fase di emergenza, il Lavoro Agile interessa una platea potenziale di 8 milioni di lavatori. Il Ministero della Funzione Pubblica stima una sua diffusione dell’80% nell’amministrazione centrale e del 60% nelle Regioni. Tuttavia, dice Crespi, non si tratta di un vero e proprio Smart Working, anche se ne eredita una caratteristica importante, ovvero l’assunzione da parte del lavoratore della responsabilità dell’organizzazione del lavoro. Non è nemmeno un telelavoro, dice, in quanto il telelavoro è regolato da un contratto che ne norma tutti gli aspetti, per esempio il diritto alla disconnessione.
Pertanto, nel cosiddetto Lavoro Agile, o lavoro da remoto, si sommano tre caratteristiche che lo rendono notevolmente accattivante (accattivante per i datori di lavoro), rispetto ad altre forme, per così dire, più regolari. È un lavoro flessibile, viene svolto senza orari, magari da donne, mentre cambiano un pannolino o un pannolone, mentre imboccano un neonato e un genitore con l’Alzheimer, mentre lavano i piatti, o fanno la spesa. È un lavoro creativo, in quanto la lavoratrice deve industriarsi, per esempio, per trasformare il telefonino personale in un router wifi, deve attivarsi per installare e customizzare applicativi o settare e rendere operative reti di collegamento con i colleghi, deve attrezzarsi per avviare webinar nei quali improvvisarsi tutttologa su dispositivi software e hardware, condividendo hack sviluppati in proprio. Il tutto, mentre si ripetono le tabelline o si coniugano i verbi ausiliari con i figli, da sola, perché il marito «lavora» fuori per portare la pagnotta a casa.
Insomma, il Lavoro Agile, se incanalato nelle forme regressive di sfruttamento della forza-lavoro, soprattutto femminile, si sommerà, o sostituirà, le forme più degradate di lavoro, quelle che richiedono un impegno frammentato, come avviene per le lavoratrici delle pulizie, per le cassiere dei supermercati, le bariste, le cameriere, le quali fanno i salti mortali per incastrare i frammenti di lavoro retribuito, e retribuito malissimo, con i lavori domestici e i lavori di cura parentale. In questa fase di emergenze, la quale prevede la chiusura a singhiozzo delle scuole, e per un periodo molto lungo, si renderà necessario un esercito di donne flessibili e creative, Smart, e magari pagate anche poco, che, mentre i mariti «lavorano», sappiano fare miracoli ai fornelli e districarsi tra quoto e quoziente, e sappiano mandare la lavatrice e rispondere a un cliente, e sappiano aiutare un collega che non sa come si recupera una password e ricordare al nonno di prendere la cardioaspirina.
PANORAMA INTERNAZIONALE
Il Coronavirus, Bill Gates e l’OMS: tra fatti e allarmi complottisti
Cristiano Puglisi – 25 aprile 2020
Mentre nel mondo ci si avvia verso la cosiddetta “Fase 2” della pandemia da Coronavirus, cioè quella di una timida e parziale riapertura delle attività, ancora non sembrano esserci dati certi sull’origine della patologia. E neppure su una possibile cura. Tanto che, sebbene il momento sia caratterizzato a livello globale da una sempre più insistente presenza di virologi e infettivologi che intervengono sui media e, in alcuni casi, dettano la linea di nazioni e governi, la comunità scientifica sta senza dubbio accusando un calo di credibilità, dividendosi in fazioni sostenitrici di pareri fortemente discordanti tra loro. In Italia, uno dei Paesi purtroppo più colpiti, ha, per fare un esempio, tenuto banco nelle ultime settimane lo scontro a distanza tra il professor Giulio Tarro, infettivologo allievo di Albert Sabin (padre del vaccino contro la poliomielite), virologo e primario emerito dell’ospedale Cotugno di Napoli e l’onnipresente Roberto Burioni, professore di Microbiologia dell’Università Vita e Salute del San Raffaele di Milano. Il primo, nel corso di un’intervista a TPI, ha sostenuto che: “il virus può essere controllato con le normali misure igieniche e con la diffusione degli anticorpi: la dimensione del contagio verrà abbattuta dal cambio di clima indotto dalla stagione estiva, anche al nord”, auspicando dunque una fine del lockdown imposto dal Governo di Giuseppe Conte nel belpaese. Secondo Tarro, le percentuali di mortalità andrebbero sdrammatizzate, perché “non è possibile che in Germania siamo al 3 per cento di mortalità e in Lombardia al 18,7 per cento. È matematicamente impossibile. Da noi i contagiati reali sono molti di più di quello che non dicono i tamponi. Solo che non li monitoriamo, per via del modo in cui facciamo i tamponi. Esiste uno studio su un caso particolare che però può essere preso a misura. Sul Corriere della Sera due ricercatori, Foresti e Cancelli, hanno usato come modello la Diamond Princess, la nave da crociera dove lo screening ha investito il 100 per cento della popolazione censibile. Quello è l’unico luogo al mondo dove le percentuali di contagio sono ‘giuste’ perché tutti sono stati monitorati uno ad uno con i tamponi. Il classico caso di scuola. Se si proiettasse quel dato, a marzo nel periodo coevo, avremmo già in Italia 11 milioni e 200mila contagiati. Una enormità. Questo dato “reale” farebbe calare la percentuale di mortalità italiana. Perché se questa è la proporzione significa che il tasso di reale mortalità è più basso di quello apparente”. Le tesi del professor Tarro hanno inviperito Burioni, sostenitore della linea dura, il quale lo ha duramente apostrofato. La risposta del virologo napoletano? “Questo Burioni brillante polemista è forse lo stesso famoso virologo Burioni che il 2 febbraio disse: ‘In Italia non ci sarà nemmeno un caso di Covid?’”.
PER L’ISTAT I MORTI IN ITALIA SONO MENO CHE NELL’ULTIMO QUINQUENNIO…
Nel frattempo va detto che, mentre la narrazione mediatica dell’epidemia raggiunge ormai ovunque livelli apocalittici, secondo gli ultimi dati ISTAT, la mortalità in Italia del primo quadrimestre del 2020 è inferiore alla media nazionale degli ultimi cinque anni. “Il crollo del PIL – riportano in un articolo del 18 aprile Paolo Becchi e Giovanni Zibordi – atteso in Italia ora è dell’ordine del 20% (…). Una buona parte di questo disastro economico è autoinflitto perché l’Italia è il paese che ha adottato il ‘modello Wuhan’ di chiusura totale (…) prima e più di qualunque altro (…). In Italia si assume che questo ‘total lockdown’ stile Wuhan sia giustificato data la mortalità triplicata o quadruplicata a Bergamo, Brescia, Piacenza, Pavia e altre province del Nord nel mese di marzo rispetto agli anni precedenti e si possono leggere articoli che citano ’14mila morti in più’. (…) In Italia siamo circa in 60 milioni, abbiamo 650 mila decessi l’anno e circa 230 mila decessi nel periodo gennaio-aprile e quest’anno, in base ai dati Istat, non si riscontra un aumento complessivo di mortalità rispetto agli anni precedenti. Nessuno ovviamente nega che in Lombardia, a Piacenza, in diverse province del Veneto e in Piemonte o persino a Genova si verifichi un picco drammatico di decessi rispetto agli anni precedenti, ma quando parliamo della mortalità complessiva nel nostro Paese, le cause dei decessi sono diverse, le province afflitte dai casi di Covid hanno un 20% della popolazione e questo inverno, come hanno notato diversi report (…) c’erano meno morti del solito. Se ci limitiamo a rilevare allora i dati dei decessi nazionali da inizio anno vediamo che, per gli anni precedenti, l’Istat fornisce un totale, dei primi 4 mesi dell’anno di 231 mila morti (arrotondando alle migliaia), parliamo di tutti i morti dal 1 gennaio al 30 aprile in tutta Italia. Quest’anno, alla data dell’ultimo aggiornamento del 13 aprile, siamo arrivati a 191 mila decessi. Per fare un confronto dobbiamo allora stimare quanti saranno allora i decessi nell’aprile 2020 per il quale abbiamo i dati fino al 13 aprile. Dato che ad esempio il 13 aprile ci sono stati 1.457 decessi, stimiamo il totale dei decessi per il resto del mese di aprile come 1.457 X 17 giorni = 25 mila decessi (arrotondando alle migliaia). Se allora sommiamo ai 191mila decessi alla data del 13 aprile (partendo dal 1 gennaio), la stima di altri 25 mila decessi nel resto del mese di aprile, ottengo 216mila decessi nei primi 4 mesi del 2020 in Italia complessivamente. Dato che la media degli anni precedenti è di 231 mila decessi (sempre nei primi 4 mesi dell’anno), si avrebbe che nel 2020 si stanno verificando meno decessi (…). In parole povere, in base ai dati pubblicati finora, non è morta più gente quest’anno rispetto agli anni precedenti in Italia nel suo complesso – fermo restando, ripetiamo, che in Lombardia, a Piacenza e altre province da fine febbraio c’è stata un mortalità tripla in media della media. (…) L’obiezione che il lockdown abbia ridotto la mortalità al punto di farla scendere persino sotto la media storica non sembra valida perché quella italiana è la seconda più alta del mondo per il Covid, con 338 morti per 1 milione di abitanti e tanti paesi che non hanno messo tutti agli ‘arresti domiciliari’ come noi (Corea, Giappone, Taiwan, Hong Kong, Australia, Svezia) hanno mortalità inferiore a 90 morti per 1 milione. Anche Paesi che hanno applicato una via di mezzo come l’Olanda e gli USA hanno mortalità dimezzata rispetto a noi. Sembra cioè poco plausibile che senza lockdown l’Italia avrebbe avuto una mortalità ancora più alta, visto che tanti altri paesi che lo applicano molto meno hanno anche molti meno morti. Del resto la Germania sta ottenendo ottimi risultati nel contenimento del virus con una politica che lascia molte libertà ai cittadini.Lasciamo ad altri le spiegazioni nel merito. Ci limitiamo ad osservare che non è la mortalità eccessiva a livello nazionale che giustifica il blocco prolungato dei diritti e della vita degli italiani. (…)”.
Limitazioni che, ora, sembrano raggiungere nuovi livelli con la fantomatica app “Immuni”, che traccerà gli spostamenti dei cittadini e l’adesione alla quale ancora non si è capito quanto potrà essere volontaria, pena una limitazione della libertà di movimento. Misure dal vago sapore orwelliano e totalitario, che fanno il paio con le ipotesi complottiste sull’origine del Covid-19.
BILL GATES, IL VACCINO E I RAPPORTI CON L’OMS
Tra le tesi complottiste più in voga vi è quella che vede nel magnate statunitense dell’informatica Bill Gates (patron della Microsoft) tra i possibili registi occulti della pandemia. Tesi sicuramente bizzarra, ma che si basa però su alcune curiose coincidenze, non le sole relativamente a questa epidemia (se ne era già ampiamente discusso su questo blog). La prima è quella che vede Gates molto influente sull’OMS, l’Organizzazione mondiale della sanità che redige i protocolli poi adottati da vari Paesi per la prevenzione del contagio, tra cui il mal digerito e liberticida distanziamento sociale. Come si apprende da diversi articoli di stampa, infatti, Gates è “il donatore privato più influente nell’Organizzazione Mondiale della Sanità, preceduto solo dalle donazioni pubbliche degli Stati Uniti (che adesso potrebbero diminuire in modo sostanziale dopo le accuse del disastro causato dal coronavirus negli USA) e seguito dal Regno Unito. Inoltre è stato il primo privato a partecipare all’assemblea generale dei paesi membri dell’OMS”. Va poi aggiunto che “secondo Antoine Flahault, direttore dell’Istituto di Sanità Globale della facoltà di medicina dell’Università di Ginevra, la presenza dei Gates nell’Organizzazione Mondiale della Sanità sta diventando un po’ troppo invadente”. Inoltre, da un articolo di Martino Grassi per la testata economico-finanziaria Money.it, si apprende che “negli ultimi 50 anni gli ingressi nelle casse dell’OMS sono profondamente cambiati, nel 1970, il bilancio dell’Organizzazione era composto da un 80% proveniente dagli Stati membri, ed un restante 20% da donatori privati, nel 2016 il rapporto si è completamente ribaltato, con il risultato che interi dipartimenti e progetti sono interamente appannaggio della fondazione Bill & Melinda Gates. Nicoletta Dentico, direttrice della ONG di Ginevra, Health innovation in practice ha dichiarato alla tv svizzera che: ‘Questo ha, inevitabilmente, un impatto. Non tanto su quello che l’OMS dice ma, piuttosto, su quello che omette di dire’”.
Ora, Gates, che nel 2015 aveva previsto che il prossimo grave problema dell’umanità sarebbe stato causato da “un agente patogeno”, con oltre 250 milioni di dollari è anche il finanziatore del principale progetto di vaccino contro il Coronavirus. Quella delle donazioni, da parte della famiglia Gates (che, al contrario della narrativa “ufficiale” non è nata con il giovane Bill, smanettone informatico nel garage di casa) è una tradizione di lunga data. Come riporta Maurizio Blondet, “il nonno, il pastore battista Frederick Taylor Gates (1853-1929) co-azionista della Standard Oil” era “intimo consigliere di John D. Rockefeller, per il quale inventò e organizzò secondo una precisa ideologia il sistema di ‘donazioni filantropiche’ esentasse del miliardario”. Un progetto, quello del vaccino, che si affianca alla visione di “un un futuro non troppo lontano” in cui “potremmo trovarci a inserire un microchip sottocutaneo con i dati di un archivio sanitario digitale, vaccini inclusi, per poter varcare le frontiere in tutta tranquillità. Lo scenario sembra lontano ma non troppo se Bill Gates sta già pensando di lanciare delle capsule sottocutanee impiantabili che accertino l’avvenuta vaccinazione per il Coronavirus. Certificati digitali biocompatibili su cui sta lavorando il MIT di Boston con la Rice University, da abbinare a ID2020, un ambizioso progetto di identità digitale”, come ha raccontato su Il Sole 24 Ore Barbara Carfagna.
Data la per lo più acritica adesione, da parte delle masse mondiali, alle tiranniche misure imposte da mezzo mondo, su suggerimento dell’OMS e dei suoi esperti di riferimento, con il lockdown, c’è la seria possibilità che questa prospettiva, orrendamente distopica, possa essere accolta con favore popolare. Perché, quando a rischio c’è la libertà, il virus più pericoloso è, purtroppo, quello dell’omologazione.
FONTE:http://blog.ilgiornale.it/puglisi/2020/04/25/il-coronavirus-bill-gates-e-loms-tra-fatti-e-allarmi-complottisti/
Schauble boccia la chiusura totale a oltranza
Parole dure e ruvide, quelle dell’ex ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble, che in una recente intervista ha criticato l’opzione di “sacrificare ogni cosa” sull’altare della lotta alla pandemia di coronavirus che sta devastando l’Europa. Parole che certamente arrivano, in maniera controversa, al cuore della questione, per quanto l’uscita del superfalco del rigore per eccellenza non siano di quelle ispirate a una volontà di conciliazione: parlando con il Tagesspiegel di Berlino, infatti, Schauble ha dichiarato che a suo parere “la dignità delle persone viene prima della salvaguardia della vita” dall’epidemia.
L’attuale presidente del Bundestag, il Parlamento tedesco, fa notare che a suo parere risulterebbe problematico affidare il futuro della comunità alle mere decisioni ispirate a un criterio esclusivamente scientifico, e che per il ritorno alla normalità è necessario valutare una serie di fattori di ordine sociale, economico, psicologico e politico. Per quanto possano sembrare ciniche, le parole di Schauble sono estremamente attuali laddove lo storico braccio destro di Angela Merkel ricorda che in futuro per la Germania sarà necessario convivere col virus: “Chiudere tutto per due anni sarebbe semplicemente infattibile”, potendo portare a “conseguenze terribili”, e a suo parere la Legge Fondamentale, la costituzione tedesca “è basata sulla fondamentale dignità degli esseri umani, ma non esclude che le persone possano morire”.
Berlino sta combattendo con efficacia, complice un contesto di diffusione favorevole rispetto a Paesi come l’Italia, la pandemia e può iniziare a programmare la fase della ripartenza. Come sottolinea The Atlantic, non si può escludere che il background scientifico della formazione della Cancelliera abbia giocato un ruolo nella presa anticipata di consapevolezza da parte sua della necessità delle misure di distanziamento sociale e isolamento per la vittoria sulla crescita esponenziale del virus, ma al tempo stesso è bene ricordare che nella “fase due” la discrezionalità politica dovrà gradualmente prevalere sul rigore tecnocratico e scientifico in un contesto in cui la conoscenza sul virus è tutt’altro che scontata.
In Germania, come in Italia e nel resto delle economie avanzate, non è detto che sul lungo periodo il coronavirus stravolga completamente le abitudini di vita, e la politica dovrà programmare nel miglior dei modi la riapertura alla mobilità, all’attività economica e alla socialità. Berlino arriva in anticipo a porsi le necessarie domande che terranno banco in futuro: come convivere con il virus in futuro? Come accettare un rischio calcolato di diffusione del contagio in futuro, prima della messa in sicurezza della capacità di risposta alla pandemia, in modo tale da permettere una convivenza sociale con la presenza del Sars-Cov2? Domande che avranno risposta più precisa, chiaramente, mano a mano che la conoscenza scientifica prodegrirà ma che potranno essere soddisfatte solo tenendo conto a trecentosessanta gradi delle aspettative sociali: la necessità di un ritorno a interazioni sociali normali, il bisogno per le persone di lavorare, i rischi di un prolungato lockdown economico con conseguente depressione.
L’Economist, alcune settimane fa, si era chiesto fino a che punto l’assioma secondo cui “salvare una vita non ha prezzo” sarebbe stato sostenibile; Schauble pecca nel ribadire il calcolo costo/benefici sul valore di una vita umana ma non tocca temi banali. In Italia, in una recente intervista ad Avvenire, l’ex premier Matteo Renzi ha aperto il dibattito sulla questione, diventata dominante nel dibattito pubblico. La Germania vede anticipare il momento della scelta e nonostante il cinismo di stampo protestante e liberista che traspare dalle dichiarazioni del “Lupo” Schauble, non nuovo a uno stile tanto diretto nella sua comunicazione, il dibattito interno sul tema anticipa le riflessioni del resto dell’Occidente. Per evitare che il dibattito sulla riapertura si riduca a una scelta tra“la borsa e la vita“, tra il Pil e un numero di morti da tenere in conto come scontati, saranno i politici a dover ragionare approfonditamente sulle modalità più adatte per la ripartenza.
FONTE:https://it.insideover.com/politica/schauble-boccia-la-chiusura-totale-a-oltranza-conseguenze-terribil.html
POLITICA
Magaldi: Italia in agonia, con Colao e Prodi ancora austerity
«Vigileremo e impediremo che vada in porto il piano oligarchico di chi intende trasformare l’emergenza coronavirus (e l’evidente, disastrosa inadeguatezza di Conte) in un pretesto per commissariare l’Italia». Per Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, il pericolo è concreto: «Si deve leggere in questi termini la tentazione di sostituire Conte con l’aziendalista Vittorio Colao, per poi magari eleggere Romano Prodi al Quirinale». Attenzione: «Questa “cordata”, che ora rinfaccia a Conte di non aver tempestivamente assistito gli italiani colpiti dalla crisi, è ispirata dagli stessi soggetti che hanno fatto in modo che, a livello europeo, l’Italia non ottenesse le necessarie concessioni finanziarie, tanto più necessarie in un momento come questo». A preoccupare Magaldi è anche il possibile corollario, che già si affaccia: l’idea infatti è quella di «ridurre gli italiani a sudditi di una post-democrazia orwelliana di stampo cinese, sottoposti all’occhiuta sorveglianza di una nuova polizia sanitaria», con tracciature obbligatorie e spostamenti segnalati elettronicamente. Tutto questo «metterebbe fine a molte delle nostre libertà democratiche».
Autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) ed esponente del network massonico progressista sovranazionale, Magaldi rilancia la contro-proposta formulata tre settimane fa da Mario Draghi sul “Financial Times”: «Draghi è l’unico ad aver chiarito che i debiti contratti oggi, per fronteggiare il coronavirus, non dovranno essere ripagati (esattamente come in caso di guerra)». Altro dettaglio illuminante: «La sola istituzione europea che si sia finora attivata concretamente a favore dell’Italia è la Bce, grazie alla “conversione” di Christine Lagarde, analoga a quella di Draghi». Retroscena: sarebbe stato Draghi a chiedere a Mattarella di protestare formalmente con l’Ue, invocando un allentamento del rigore. Ed era frutto di calcolo anche l’iniziale chiusura della Lagarde («non tocca a noi calmare gli spread»): serviva proprio a suscitare la reazione che poi è arrivata puntuale, costringendo la Commissione Europea (a parole, per ora) a impegnarsi a garantire che l’Ue non continui, in eterno, a essere soltanto un inflessibile gendarme dell’austerità.
Spiega Magaldi: già esponenti di quel circuito massonico “neoristocratico” che è stato e resta il grande protagonista occulto del rigore europeo, Draghi e Lagarde hanno recentemente “divorziato” dai loro storici sodali, rinnegando la loro stessa storia recente, «per abbracciare finalmente una prospettiva rooseveltiana, archiviando il paradigma dell’austerity». Non a caso, «Draghi ha insistito – anche dalle colonne del “Financial Times” – per aiuti immediati alle aziende e alle famiglie italiane: aiuti che purtroppo non si sono ancora visti». Punto dolentissimo: solo due mesi dopo l’inizio del “lockdown” arriva col contagocce l’elemosina dei 600 euro per chi ne aveva fatto richiesta. Cifra irrisoria, insultante: nel solo settore del commercio, le associazioni di categoria parlano di 50.000 aziende rassegnate al fallimento, proprio per mancanza di fondi, con una perdita netta di 300.000 posti di lavoro. «Una follia: in casi come questo si dovrebbe erogare in modo immediato un “reddito d’emergenza”, che aiuti tutti – indistintamente – a non soffrire così tanto».
Magaldi richiama anche la ricetta dell’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt: una moneta nazionale parallela all’euro, non convertibile in oro o in valuta, stampabile a costo zero e senza incidere sul debito. «Spendibile subito, sarebbe un toccasana per le nostre aziende: come sappiamo, infatti, molte di esse potrebbero non sopravvivere al “lockdown”». Proprio l’inerzia di Conte aumenta le chances della cordata Colao-Prodi, un ticket con il quale l’Italia cadrebbe dalla padella alla brace. Per Magaldi, il nome dell’ex manager Vodafone (ennesimo campione del rigore eurocratico) serve a tagliare la strada all’unica ipotesi decisiva oggi per il futuro dell’Italia, ovvero «un governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, anche solo per un breve periodo, con un obiettivo epocale: rovesciare il paradigma dell’austerity e far ripartire l’economia con un forte intervento pubblico». Ecco il bivio: chi cavalca il coronavirus per “incatenare” ulteriormente il paese (magari con il Mes, caldeggiato dal Pd e da Gentiloni e Prodi), e chi – al contrario – usa l’emergenza che dimostrare che, se l’Italia agonizza perché l’Ue chiude i rubinetti, il vero problema non è il virus, ma l’attuale sistema europeo post-democratico e neoliberista.
Queste, secondo Magaldi, le due opzioni sul tavolo di Mattarella per la “fase due”, al termine della quarantena. «Vedremo – dice il leader “rooseveltiano” – come si muoverà Mattarella, che deve proprio a Draghi la sua elezione al Qurinale: fu l’allora presidente della Bce a convincere Renzi ad appoggiare la sua candidatura». In palio, a quanto pare, non c’è solo l’Italia: il nostro paese «potrebbe diventare il punto di partenza per una storica svolta democratica nella governance europea». Le resistenze – sia a Roma che in Europa – sono fortissime, quanto le pressioni sul capo dello Stato. Lo rivela l’ombra di Colao, che spaventa Conte e serve soprattutto a sbarrare la strada a Draghi. «Dietro le quinte si muove Prodi: altro grande privatizzatore, che però – a differenza di Draghi – non è affatto pentito dei disastri che ha combinato, affossando l’economia italiana come richiestogli dall’oligarchia massonica reazionaria». Settimane decisive, a quanto pare. «Noi comunque faremo di tutto – avverte Magaldi – perché la filiera del rigore non approfitti dell’emergenza coronavirus». Questa élite «deve uscire finalmente sconfitta, dopo decenni di dominio neoliberista e privatizzatore: un regime che ha minato la nostra economia, segnando il declino del paese».
FONTE:https://www.libreidee.org/2020/04/magaldi-italia-in-agonia-con-colao-e-prodi-ancora-austerity/
CIÒ CHE MANCA AL RECOVERY FUND
Il dilemma non è solo quando arriveranno le enormi risorse promesse dall’Europa per il rilancio dell’economia del Vecchio Continente prostrato dalla pandemia. La tempistica, si sa, è di fondamentale importanza. Se forniti, nel tempo e nella misura giusti, i soldi europei sono talmente tanti da potere difficilmente fallire l’obiettivo che si prefiggono. Ma accanto alla questione di tempi oltre che del quantitativo reale, il dilemma principale riguarda la destinazione di tale massa di denaro. Non è un caso che la cancelliera tedesca Angela Merkel, nell’annunciare il via libera al Fondo per la Ripresa, abbia precisato che i partner europei dovranno discutere e concordare non solo gli indirizzi da dare a queste risorse, ma anche le tasse e le spese dei singoli Stati.Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è preoccupato solo di presentare come un grande successo la decisione del Recovery Fund. Ma non ha speso una sola parola per commentare le parole della Merkel, che sono apparse ai partiti dell’opposizione come la conferma che non ci saranno soldi dall’Europa senza un controllo da parte dell’Europa stessa del modo con cui verranno spesi e dei modi con cui dovranno essere restituiti.
L’atteggiamento di Conte è più che comprensibile. Perché il Fondo per la Ripresa costituisce un’immensa opportunità, ma rappresenta anche un enorme problema politico per una coalizione di governo profondamente divisa non solo sull’eventualità di un controllo da parte dell’Europa e di condizioni troppo pesanti per la restituzione, ma lacerata soprattutto sugli indirizzi da dare al flusso di finanziamenti promessi e che presto o tardi dovrebbero comunque arrivare.
L’opposizione dichiarata di una parte del Movimento 5 Stelle al Mes indica che questa stessa parte non accoglierà di buon grado gli inevitabili condizionamenti che fanno parte integrante dei finanziamenti. Ma per Conte questa è forse la difficoltà meno rilevante da superare. L’ostacolo più grande è di natura ideologica sull’indirizzo da dare al flusso. Verso la ripresa del modello di sviluppo esistente al momento dello scoppio della pandemia, fondato sul mercato, o verso un diverso modello di sviluppo che al posto del mercato pone l’assistenza?
Sbaglia chi crede che all’interno della coalizione governativa ci sia un Partito Democratico favorevole al rilancio del modello fondato sul mercato ed un M5S tutto proiettato verso il modello totalmente assistenziale. All’interno del maggior partito della sinistra e dell’intera sinistra, infatti, le componenti ideologicamente assistenzialiste non mancano affatto. E anzi, sono fin troppo presenti con quelle forze ispirate a Papa Francesco e nel mondo dei gesuiti che rappresentano i loro più autorevoli e tenaci sostenitori e promotori.
Può un governo diviso così profondamente gestire, dopo aver gestito la fase dell’emergenza, quella successiva e più importante della ripresa? Un interrogativo del genere solleva automaticamente la prospettiva del governo di unità e solidarietà nazionale. Ma impone anche una diversa riflessione. Alla fine della Seconda guerra mondiale il piano di aiuti Usa all’Europa era il frutto di un grande disegno politico, quello di strappare il Vecchio Continente al modello del totalitarismo comunista e di inserirlo in quello alternativo della libertà delle persone e delle imprese. Qual è il disegno politico che si trova dietro il Recovery Fund?
La vera crisi dell’Europa è tutta qui!
FONTE:http://opinione.it/editoriali/2020/04/24/arturo-diaconale_europa-recovery-fund-modello-mercato-libert%C3%A0-assistenziale-conte-m5s-pd/
STORIA
“Il mio uomo senza tempo”
Riassunti
È la caduta di un uomo senza più tempo storico quella che Fausto Pietrancosta presenta nella sua introduzione al saggio di Giuseppe Carlo Marino su globalizzazione e crisi della storia descrivendone i nodi critici più importanti. La rivoluzione elettronico-informatica, il mercato globale, le contraddizioni della democrazia e il connesso declino del pensare dialettico vengono in questo modo indagati alla luce degli spunti teorici, e delle dinamiche antropologiche e sociali che caratterizzano le trasformazioni nel passaggio tra XX e XXI secolo.
Sommario
Testo integrale
Crediti : via Wikimedia Commons (Public domain)
1. Introduzione
- 1 MARINO, Giuseppe Carlo, Un’età contro la storia. Saggio sulla rivoluzione del XXI secolo, Palermo, (…)
1Acuto, innovativo, a tratti visionario, con Un’età contro la storia. Saggio sulla rivoluzione del XXI secolo1 lo storico Giuseppe Carlo Marino è abilmente riuscito a tracciare un’analisi dei passaggi fondamentali, e per certi versi epocali, che gli eventi politici, economici e sociali degli ultimi trent’anni hanno prodotto nel rapporto tra globalizzazione e studi storici. Quella che Marino propone con il suo saggio, edito dal Dipartimento di Scienze Politiche e delle relazioni internazionali dell’Università di Palermo, è una profonda rilettura delle teorie della storia alla luce dei mutamenti sia geopolitici, avviati dalla caduta del Muro di Berlino e dall’implosione del blocco comunista guidato dall’Unione sovietica, sia socio-economici e, in ultimo, antropologici, legati all’affermarsi di quella che egli definisce la “rivoluzione elettronico-informatica”. Di più. Marino nel suo testo, relativamente breve, ma denso di significati e questioni trattate, usa un approccio eminentemente filosofico nell’affrontare, in modo sapientemente spregiudicato, aspetti e nodi del “pensare storico” con cui qualsiasi “custode della memoria” o “studioso del tempo umano” dovrà confrontarsi nei prossimi anni, ponendoci così di fronte a dilemmi che non si limitano solamente a ribaltare vecchie concezioni e paradigmi storiografici cristallizzati, ma che ci obbligano a rivedere e ripensare il senso stesso dell’esistenza umana. Un’operazione di rilettura frutto evidentemente della raggiunta consapevolezza dell’inadeguatezza dei soli strumenti di analisi maturati finora, e della necessità di “aggiornare” l’indagine storica, a tutti i livelli, tenendo conto della nuova cornice ontologica, e metodologica, che il mondo globalizzato e i suoi effetti sulla vita dell’uomo costringono a considerare e analizzare. Operazione difficile, senza dubbio, perché tentata in uno dei momenti culturalmente più fluidi e freneticamente mutevoli della storia recente dell’umanità, ma anche, e soprattutto, perché proposta durante il verificarsi degli eventi e nel susseguirsi delle trasformazioni, materiali e di pensiero, che contraddistinguono il presente che viviamo. Scevro da condizionamenti o timori legati alle difficoltà di analisi del tempo presente, e consapevole dell’urgenza del proporre un nuovo approccio, il saggio finisce per definire una innovativa fenomenologia del pensare storico, legata ad un tempo che per sua natura è estremamente sfuggevole e intimamente connesso a società, entità politiche, realtà economiche “liquide”. Un paradosso per certi versi, un tentativo di fornire una bussola per orientarsi, e offrire nuove letture del contesto generale entro cui inserire i vari livelli dell’analisi, ancorandoli ad una realtà per sua natura priva di solidi punti di riferimento.
2. Dialettica, superdialettica e mercificazione del tempo storico
- 2 Ibidem, p. 11.
- 3 Ibidem, p. 14.
- 4 Ibidem, p. 16.
- 5 Se da un lato la logica del tempo natura coniungandosi con il tempo storico costruisce l’economia, (…)
2La percezione del tempo, come tempo eminentemente umano e come risorsa fondamentale dello storico, ben differenziata dal tempo natura, è il punto di partenza dell’argomentazione. La “realtà dell’umano” rappresenta la materia prima, mentre il tempo storico è, in questa prospettiva, espressione della dimensione (oggettivata) della libertà umana all’interno della quale ogni individuo ricava la coscienza delle proprie identità e la possibilità di plasmare la realtà. La ragione dialettica è posta da Marino a fondamento della dialettica del tempo storico: «essa è una e indivisibile nel pensare storico come ermeneutica del tempo e dell’illimitata processualità in cui si svolge l’azione dell’uomo»2. La dialettica viene così indicata come la fonte metodologica basilare della prassi della libertà e dunque del “pensare storico”, essa ci viene presentata come costante ricerca di «un concetto di verità che non sia quello del verosimile o del veritiero da costruire in ipotesi come precaria e sempre problemática conquista»3, distinta dalla ragione formale, della non contraddizione, che, per quanto necessaria al “pensare storico”, sta alla base della logica del tempo natura. Il superamento della presunta contrapposizione tra le due logiche trova, a sua volta, espressione in una sorta di superdialettica che consiste esattamente nell’incontro tra «la scelta umana di assicurarsi la libertà dalla natura e la tentazione di preferire i paradossali vantaggi, l’utilità, della rinuncia alla libertà»4. La superdialettica progredisce quindi in un percorso di sintesi sempre in fieri attraverso la scienza («il regno della conseguita libertà») e la tecnica («il regno delle competenze e dei crescenti bisogni esistenziali appagati dall’utilità»); il prodotto finale di questo processo è un sovrappiù che ha prodotto quella ricchezza in grado «di dare origine alle espressioni superiori della civiltà»5.
- 6 Cfr. LE GOFF, Jacques, Nel Medioevo: tempo della Chiesa e tempo del mercante , in ID., Tempo della (…)
- 7 MARINO, Giuseppe Carlo, Un’età contro la storia. Saggio sulla rivoluzione del XXI secolo, cit., p. (…)
- 8 Ibidem, p. 22.
- 9 Cfr. POLANYI, Karl, La grande trasformazione, Torino, Einaudi, 2000.
- 10 In questo frangente ci viene ricordata l’opera di Jacques Maritain Umanesimo integrale, nel quale, (…)
- 11 Ibidem, p. 25.
- 12 Ibidem, p. 29.
3Presentati, seppur con un certo grado di astrattezza, gli assunti fondamentali della propria indagine speculativa, Marino passa ad analizzare le successive evoluzioni nella percezione dell’uso sociale del tempo storico a partire proprio da quel Jacques Le Goff che ha inaugurato questo approccio negli studi storici focalizzandosi sul passaggio ad un tempo sganciato dalla necessità del tempo umano, e “mercificato” ad uso e consumo dell’umanità urbanizzata, avulsa dalle imposizioni del clima e delle stagioni6. L’uomo moderno, ci ricorda Marino nella sua analisi, spezza il tempo circolare e se ne impossessa liberandosi da una concezione appunto atemporale propria del passato; l’avvento di una concezione mercificata della vita dell’uomo e, soprattutto, la propensione ad orientare ogni attività al progresso tecnologico, nella prospettiva dell’accumulazione di ricchezza, costituiscono la premessa di quella sorta di “transfert” nella pratica sociale o «di messa in opera della ragione dialettica fino a imporsi nella rivoluzione industriale»7. Ma – nota Marino – la conseguenza primaria di tale processo è stato «l’asservimento del lavoro e degli stessi saperi alle ragioni “tecniche” dell’utilità»8, creando una sorta di specifica natura fittizia: il mercato9, da cui deriva «un tempo mercificato» che, tuttavia, almeno fino al XX secolo, ha mantenuto i caratteri dialettici «generatori di civiltà» che si sono manifestati nei rapporti e nelle esperienze conflittuali che hanno caratterizzato le vicende umane dalla seconda metà del XIX secolo. Questi hanno promosso il sorgere e l’affermarsi di un tempo storico “alternativo”, quello socialista, o comunista, inaugurando un nuovo momento di speranza e di riscatto per l’uomo attraverso la «perfetta risoluzione dialettica dell’utilità nel lavoro dell’uomo per dominare e assoggettare ai suoi fini la natura»10. I periodi che hanno caratterizzato l’età contemporanea, a partire proprio dalla cosiddetta guerra fredda, non sono stati altro che l’esplicarsi di false dialettiche, a loro volta in conflitto tra loro, in un susseguirsi di eventi che, tuttavia, – come sottolinea lo stesso Marino – non hanno fermato «la forza autentica della processualità dialettica di per sé insopprimibile come la stessa storia»11, capace di generare riferimenti ideologici ed “esperienze ibride” come le socialdemocrazie o l’eurocomunismo, insieme ad altre contaminazioni che rappresentano manifestazioni tipiche di quella sorta di “deriva” che nel saggio viene definita come la «dialettica delle interferenze (ideologiche)»12.
3. Rivoluzione informatica, globalizzazione e crisi del “pensare storico”
- 13 Ibidem, p. 32.
4I principi enunciati, gli sviluppi epistemologici proposti e le contraddizioni storiche analizzate nella prima parte, per così dire più teorica, del saggio giungono a ulteriore svolgimento con l’approfondimento dell’evoluzione storica degli ultimi decenni. E qui il termine «rivoluzione» torna prepotentemente, non come semplice spiegazione di trasformazioni che investono e caratterizzano la storia umana, ma come «forma esteriore», più precisamente «politica», di un cambiamento che in realtà è sostanziale: esso – sottolinea Marino – «sta nella struttura, cioè nel complesso sistema della vita organizzata (potere-società-economia) che ad un certo punto reagisce collassando su se stesso ad effetto di una sovraesposizione a contraddizioni irrisolte», in una sorta di «suicidio forzoso di un intero tempo storico con la contestuale nascita di un altro»13. Qualcosa di sovrapponibile dunque, anche se in modo problemático, alla vicenda plurinennale che dalla caduta del Muro di Berlino del 1989 porta sino alla dissoluzione dell’URSS del 1993, con la conclusione della guerra fredda, la fine della divisione bipolare del mondo, la formazione di un nuovo assetto geopolitico ma, soprattutto, con l’affermarsi di un nuovo modello di sviluppo e di conduzione dei rapporti socio-economici che prenderà il nome di globalizzazione.
- 14 Si vedano a riguardo gli scritti di BAUMAN, Zygmunt, Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza, 2002; C (…)
- 15 Si rinvia in questo caso alle analisi contenute in MARINO, Giuseppe Carlo, Eclissi del principe e c (…)
- 16 In questa prospettiva afferma Marino «l’implosione verificatasi dell’impero sovietico nel triennio (…)
5L’utilità, insita come un virus capace di contagiare ogni aspetto dell’organizzazione umana, finisce, nella prospettiva di analisi proposta nel saggio, per modificare sostanzialmente il tempo della modernità in modo radicale, conseguendo risultati mai raggiunti prima nella storia dell’umanità14. Parliamo – come lo stesso Marino ribadisce – «di una vera e propria rottura nei confronti della fase precedente avviatasi in Europa a fine Settecento»15, soprattutto «non una nuova fase, una terza, ma la fine della stessa “rivoluzione industriale”», e la storia degli ultimi quarant’anni è la storia di questa “preparazione”. Il passaggio determiato da quella che Marino definisce “rivoluzione elettronico-informatica” è destinato non solo a liquidare ciò che rimaneva dell’implosione del blocco sovietico e della sua ideologia, ma anche a investire ogni forma di relazione e conduzione del vivere civile nel mondo occidentale e, dunque, del pensare storico, compreso il suo relazionarsi con il mondo naturale, fino a creare una vera e propria «religione del mercato». Si è avviato così negli ultimi decenni un nuovo sistema capitalistico basato sulla «tecnica che produce altra tecnica», in un processo infinito che omologa e annulla le precedenti forze e gerarchie sociali, cui corrisponde un superamento degli originari steccati e conflitti ora, per così dire, inseriti in «un’unica gerarchia della ricchezza e delle opportunità offerte dal progresso che tende ad uniformarsi»16.
- 17 Rimando alle considerazioni presenti in CODELUPPI, Vanni, «Postmodernità», in Doppiozero, URL: < ht (…)
- 18 Si veda a riguardo HOBSBAWM, Eric, Come cambiare il mondo: perché riscoprire l’eredità del marxismo(…)
- 19 FUKUYAMA, Francis, The end of history and the Last Man, New York, Free Press, 1992.
- 20 Cfr. LUCCI, Antonio, Umano Post Umano. Immagini dalla fine della storia, Roma, InSchibboleth, 2016.
- 21 Cfr. MARINO, Giuseppe Carlo, Un’età contro la storia. Saggio sulla rivoluzione del XXI secolo, cit. (…)
6“Postmoderno”17 è il termine che si è soliti utilizzare definendo il periodo che si è così inaugurato per indicare che ci siamo “avventurati” in un spazio sconosciuto del tempo storico; è il tempo di una nuova libertà, la libertà di consumare, il cui metro è rappresentato dalla capacità di ognuno di essere «uomo produttore-consumatore nel mercato idolatrato come presente-futuro e come natura»18. Marino ci indica in questo modo il sopraggiungere di quella che possiamo definire un’epoca nuova, probabilmente non “la fine della storia”, come sostenuto nel celeberrimo saggio di Fukuyama19, ma di sicuro qualcosa che si avvicina molto ad «una nuova storia post-umana»20. È qui che la trasformazione da economica e sociale diventa antropologica. L’omologazione delle diversità e delle particolarità universali al vaglio del pensiero unico della produzione e del consumo tecnologico porta alla uniformazione degli individui nella e per la globalizzazione che, in tale prospettiva, compie un lavoro di annullamento della dialettica, che per sua natura si pone, inevitabilmente, come ostacolo ad ogni forma di tecnologia e logica formale, artificiale e ripetitiva. La vittoria di questo approccio globalizzato e globalizzante rappresenta la morte di tutto ciò che è intrinsecamente dialettico ed è quindi la causa scatenante della cosiddetta «agonia del pensare storico». Si potrebbe persino affermarme allora che l’età della storia regolata dalla logica dialettica con la rottura della modernità determinata dalla rivoluzione elettronico-informatica si sia trasformata in una «età dell’antistoria»21.
4. Dalla nuova democrazia del mercato al mercato della democrazia
- 22 «Il degrado delle vecchie società nelle nuove società liquide» – scrive Marino – «ha frammentato la (…)
- 23 Ibidem, pp. 63-64.
- 24 Ibidem, pp. 67-68.
7Il quadro che ci si presenta è dunque quello di una irrimediabile sconfitta ontologica dell’uomo; il pensiero unico che si concretizza nell’egemonia del mercato il grimaldello della sua fine22. Con quali conseguenze a livello politico? La questione è di estrema attualità e nel saggio viene introdotta ponendoci un quesito che interroga tutti sul senso e sulla natura delle nuove forme di democrazia che si sono affermate: «come attuare e gestire una reale democrazia davvero conforme al suo concetto, annientando, insieme ai “soggetti collettivi”, la stessa dialettica tra le diverse “visioni del mondo” che rendevano possibili e alimentavano le dinamiche e i processi democratici?»23. Nel tentativo di rispondere al quesito emerge uno dei mali peggiori delle attuali democrazie: l’assenza di un’autentica «compartecipazione dialettica» dei cittadini alla cosa pubblica. Essi risultano infatti, nella prospettiva descritta, come unità solitarie in grado solamente di esprimere un parere, (non un giudizio articolato), allo scopo di formare maggioranze aritmetiche sulla base di un confronto (più spsesso di uno scontro) «a-dialettico». La dissoluzione dei “soggetti collettivi” comporta in tal senso la dissoluzione della “ragione dialettica” e con essa la prevalenza di messaggi forti vincenti, di fatto degli slogan più simili a spot commerciali che a proposte politiche, del tutto efficaci su individui incapaci oramai di praticare la “ragione critica”, e creati per convogliare consenso nell’ottica dell’opzione duale utile/non utile24.
- 25 In questa sorta di totalitarismo utilitaristico la globalizzazione è appunto uno degli effetti dei (…)
8Le dinamiche del leaderismo, come fenomeno base del populismo che realizza «una sorta di oggettivazione e massificazione del leader», rappresentano le manifestazioni più evidenti di questo processo di transfert di parole d’ordine e missioni politiche che il popolo anonimo, più o meno virtualmente, trasmette al leader. Ecco che, come suggerisce il saggio, il populismo che caratterizza il momento storico che viviamo si concretizza in «una recitazione politica che, nell’impegno di dar voce al “popolo”, riesce a dare un accreditamento di “valenza collettiva” ai messaggi che il leader emette diventandone egli stesso, in prima persona, l’emittente riconosciuta» da una rete (forse dovremmo dire da una folla) di seguaci dichiaratamente “de-ideologizzati”. È la sconfitta finale della Politica, la sua resa incondizionata e la sua prosecuzione «nel corso postmoderno dei processi capitalistici», o peggio ancora, «la finzione della democrazia nella forma che risulta più congeniale al pensiero unico» e, allo stesso tempo, il suo fallimento25.
- 26 Cfr. MARINO, Giuseppe Carlo, Un’età contro la storia. Saggio sulla rivoluzione del XXI secolo, cit. (…)
- 27 Ibidem, p. 86.
- 28 Ibidem, p. 90.
9La parte finale del saggio prende in considerazione «gli esclusi» della globalizzazione, ovvero «quella moltitudine di poveri che restano esclusi dal mercato-natura» con la conseguenza di generare continui e mai risolutivi conflitti esterni o interni allo stesso sistema «unitario-globale» che, tuttavia, finora sembra essere stato in grado di gestire queste esclusioni «normalizzandole», con la promessa, o meglio l’illusione, di una potenziale e futura inclusione26. La forza subdola della spinta egemonica del pensiero unico porta gli stessi soggetti esclusi a considerarsi parte del processo di costruzione, e partecipanti quindi alla nuova realtà del mercato globalizzato accettandone in modo subalterno, i valori e le esigenze, anche quelle che disumanizzano gli stessi individui. Il risultato finale di questo processo è una irrisolvibile dinamica conflittuale che vive e si nutre di contraddizioni che si pongono proprio lungo la direttrice inclusione/esclusione, dimostrando, in modo inconfutabile, la natura «antinomica» del capitalismo globalizzato, che si risolve nel paradosso stesso della rivoluzione postmoderna, o come Marino preferisce definirla, della «globalizzazione assediata»27. Le tensioni che il mondo odierno quotidianamente vive sono manifestazione delle diverse declinazioni di questo «assedio»; dalle spinte centrifughe nei vari stati nazionali, ai conflitti regionali che non trovano soluzione, dagli attacchi terroristici, alle crisi finanziarie, tutte espressioni, delle tappe se vogliamo, di quella che Marino non teme definire una «guerra civile mondiale»28. Una conclusione impegnativa quanto problemática, che pone quesiti e nodi critici che Marino volutamente lascia irrisolti, consentendo, agli studiosi nei commenti che seguono questa introduzione, e ad ognuno di noi, di valutare il presente alla luce degli eventi cui assistiamo e che spesso ci toccano, ma anche invitandoci, implicitamente, ad analizzare in modo critico i temi trattati e così approntare una prima risposta, un iniziale rimedio metodologico se vogliamo, ai mali, grazie a quest’opera un po’ meno oscuri, del nostro tempo.
Note
1 MARINO, Giuseppe Carlo, Un’età contro la storia. Saggio sulla rivoluzione del XXI secolo, Palermo, Università degli Studi di Palermo, Dipartimento di Scienze Politiche e delle relazioni internazionali (DEMS), 2017, pubblicato all’URL: < https://www.unipa.it/dipartimenti/dems/.content/documenti/pubblicazioni/E-Book-Marino-30-ottobre.pdf > [consultato il 5 agosto 2018].
2 Ibidem, p. 11.
3 Ibidem, p. 14.
4 Ibidem, p. 16.
5 Se da un lato la logica del tempo natura coniungandosi con il tempo storico costruisce l’economia, dall’altro lato la superdialettica ha portato alla socializzazione degli individui e dunque alla costruzione delle entità politiche organizzate, sino alla sua esplicazione più grande e onnicompresiva: la civiltà umana. Di questi processi – ci ricorda Marino – l’uomo ha gradualmente preso coscienza portando a maturazione il pensare storico in pensiero filosofico, come testimoniato da autori quali Platone, Kant, Hegel, Marx, a conferma di come il pensare storico sia inevitabilmente il pensare dialettico e la storia sia appunto dialettica.
6 Cfr. LE GOFF, Jacques, Nel Medioevo: tempo della Chiesa e tempo del mercante , in ID., Tempo della Chiesa e tempo del mercante e altri saggi sul lavoro e la cultura nel Medioevo , Torino, Einaudi, 1977.
7 MARINO, Giuseppe Carlo, Un’età contro la storia. Saggio sulla rivoluzione del XXI secolo, cit., p. 20.
8 Ibidem, p. 22.
9 Cfr. POLANYI, Karl, La grande trasformazione, Torino, Einaudi, 2000.
10 In questo frangente ci viene ricordata l’opera di Jacques Maritain Umanesimo integrale, nel quale, pur criticando la carica messianica della rivoluzione d’ottobre, si riconosce il portato di speranza e fiducia che ha prodotto. Cfr. MARINO, Giuseppe Carlo, Un’età contro la storia. Saggio sulla rivoluzione del XXI secolo, cit., p. 24.
11 Ibidem, p. 25.
12 Ibidem, p. 29.
13 Ibidem, p. 32.
14 Si vedano a riguardo gli scritti di BAUMAN, Zygmunt, Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza, 2002; CACCIARI, Massimo, Pensiero negativo e razionalizzazione, Venezia, Marsilio, 1977; SEVERINO, Emanuele, La potenza dell’errare. Sulla storia dell’Occidente, Milano, Rizzoli, 2014.
15 Si rinvia in questo caso alle analisi contenute in MARINO, Giuseppe Carlo, Eclissi del principe e crisi della storia. Apogeo e tramonto della democrazia rivoluzionaria nel XXI secolo, Milano, Franco Angeli, 2000.
16 In questa prospettiva afferma Marino «l’implosione verificatasi dell’impero sovietico nel triennio 1989-1993 è in realtà da vedersi e interpretare come l’implosione dell’intero tempo storico della modernità, in una contestuale liquidazione della “democrazia rivoluzionaria” che l’Occidente aveva elaborato e sviluppato nel XX secolo». Cfr. MARINO, Giuseppe Carlo, Un’età contro la storia. Saggio sulla rivoluzione del XXI secolo, cit., p. 40. Per il caso italiano, dello stesso autore, si vedano MARINO, Giuseppe Carlo, La formazione dello spirito borghese in Italia, Firenze, La Nuova Italia, 1974; ID., Guerra fredda e conflitto sociale in Italia, Caltanissetta-Roma, Sciascia Editore, 1994; ID., La repubblica della forza, Milano, Franco Angeli, 1995.
17 Rimando alle considerazioni presenti in CODELUPPI, Vanni, «Postmodernità», in Doppiozero, URL: < http://www.doppiozero.com/rubriche/1919/201809/postmodernita > [consultato il 12 settembre 2018].
18 Si veda a riguardo HOBSBAWM, Eric, Come cambiare il mondo: perché riscoprire l’eredità del marxismo, Milano, Rizzoli, 2011.
19 FUKUYAMA, Francis, The end of history and the Last Man, New York, Free Press, 1992.
20 Cfr. LUCCI, Antonio, Umano Post Umano. Immagini dalla fine della storia, Roma, InSchibboleth, 2016.
21 Cfr. MARINO, Giuseppe Carlo, Un’età contro la storia. Saggio sulla rivoluzione del XXI secolo, cit., pp. 43-47.
22 «Il degrado delle vecchie società nelle nuove società liquide» – scrive Marino – «ha frammentato la Weltanshauung egemonica in una molteplicità di opinioni individuali ciascuna delle quali è incline a separare con nettezza dogmatica il suo vero dal suo falso»: è l’aporia della democrazia. Cfr. MARINO, Giuseppe Carlo, Un’età contro la storia. Saggio sulla rivoluzione del XXI secolo, cit., p. 62.
23 Ibidem, pp. 63-64.
24 Ibidem, pp. 67-68.
25 In questa sorta di totalitarismo utilitaristico la globalizzazione è appunto uno degli effetti dei processi di trasformazione innescati dalla rivoluzione elettronico-informatica. Impossibile non ripensare alle lezioni contenute in BOBBIO, Norberto, Liberalismo e Democrazia, Milano, Simonelli Editore, 1985, ID., Il futuro della democrazia, Torino, Einaudi, 1984; GIANNETTI, Roberto, Tra liberaldemocrazia e socialismo. Saggi sul pensiero politico di Norberto Bobbio, Pisa, Plus, 2006; SARTORI, Giovanni, Il cittadino totale: partecipazione, eguaglianza e libertà nelle democrazie d’oggi, Torino, Biblioteca della Libertà, 1977.
26 Cfr. MARINO, Giuseppe Carlo, Un’età contro la storia. Saggio sulla rivoluzione del XXI secolo, cit., pp. 80-84.
27 Ibidem, p. 86.
28 Ibidem, p. 90.
Per citare questo articolo
Riferimento elettronico
Fausto Pietrancosta, « “Il mio uomo senza tempo” », Diacronie [Online], N° 35, 3 | 2018, documento 6, Messo online il 29 septembre 2018, consultato il 26 avril 2020. URL : http://journals.openedition.org/diacronie/8991 ; DOI : https://doi.org/10.4000/diacronie.8991
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