RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
3 FEBBRAIO 2021
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Quando l’uomo difetta di parole, gliele fornisce immediatamente lo Stato.
STANISLAW J. LEC, Pensieri spettinati, Bompiani, 2006, pag. 136
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SOMMARIO
Intervento alla trasmissione Pane al Pane- Radio Lombardia
Bruckner smaschera il nuovo razzismo antibianco
DIEGO FUSARO: Mattarella convoca Draghi.
“Giallo” a cognomi alternati
Sulla crisi irrompe la magistratura: il destino dell’Italia in mano al gup Sarpietro
QUELL’ANTICO PATTO POLITICO TRA POTERE CALABRESE E DICCÌ
Cos’è il Land grabbing e perché senza giustizia sociale non salveremo il pianeta
Nessun ritiro americano dall’Afghanistan, fonti Nato confermano la svolta di Biden
Nel vortice di Mishima
Il Governo mondiale e anunnaki: una faida millenaria
Politicamente corretto: la psicosi antirazzista censura anche i classici Disney
Artuzov: uno dei fondatori del controspionaggio sovietico
Jeff Bezos lascerà quest’anno la guida di Amazon
Politicamente corretto: la psicosi antirazzista censura anche i classici Disney
Zanni: la bozza del Recovery Plan italiano è un simbolo del Fallimento
Ci rovinano con il catasto: ecco chi vuole la “batosta”
1° passo – L’elefante nella stanza: la moneta
GAMESTOP. SOLDI SULLE MONTAGNE RUSSE
Inchieste e trame tra giudici e politici: ecco tutta la verità di Palamara
CHIAMATECI QUANDO AVRETE FINITO…
Il reddito minimo garantito nel nuovo mondo è una cessione di sovranità alle macchine?
Un’inchiesta di Le Monde svela le pressioni subite dall’Ema per approvare i vaccini
Quando il confine fu venduto: il massacro nascosto di italiani
Chi è Mario Draghi, l’uomo chiamato al Colle per salvare l’Italia
IN EVIDENZA
Intervento alla trasmissione Pane al Pane- Radio Lombardia
Il problema dei dati epidemiologici della regione Lombardia, sollevato in Consiglio regionale martedì 26 gennaio,
ha rappresentato il punto di partenza per una riflessione sulla vicenda dei “dati statistici “.
Dati spesso incompleti e confusi.
Qui sotto è riportata la registrazione dell’intervento alla trasmissione
Pane al Pane di lunedì 1 febbraio 2021, alle ore 18,50
QUI AUDIO: http://www.civica.one/intervento-alla-trasmissione-pane-al-pane-radio-lombardia/
Bruckner smaschera il nuovo razzismo antibianco
Continua a fare discutere il libro del filosofo francese contro le follie e l’intolleranza del finto antirazzismo
Parigi. Quando pubblicò Il singhiozzo dell’uomo bianco, nel lontano 1983, alcuni dei suoi ex compagni della gauche militante dissero che quel libro era «in odore di razzismo», perché Pascal Bruckner, figura di spicco dei «Nouveaux philosophes», denunciava il sentimentalismo terzomondista che dominava in una certa sinistra e l’autolesionismo di un’élite bianca consumata da un delirante odio di sé, dall’idea che tutti i mali della terra trovassero origine in Occidente.
Oggi, nonostante le previsioni di Bruckner trovino sempre più riscontro nella realtà, a colpi di strade sbattezzate, università «decolonizzate», statue abbattute e libri censurati perché infarciti di «stereotipi razzisti», il filosofo francese viene trattato come un «reazionario» irredimibile, un «vecchio maschio bianco eterosessuale», nostalgico di un mondo che non esisterà più.
Bruckner di questi «marchi d’infamia» che gli vengono appiccicati addosso ne ha fatto un motivo di fierezza, e combatte contro i suoi avversari con l’arma che sa utilizzare meglio: la penna. Il suo recente Un coupable presque parfait. La construction du bouc émissaire blanc (Grasset) – che non smette di far discutere – è il grido di allarme di uno dei più lucidi intellettuali francesi viventi, che osserva preoccupato la progressiva decadenza dell’Occidente e del progetto universalista dei Lumi, a beneficio di una società tribalizzata in preda alla lotta di generi, razze e comunità, dove l’uomo bianco è «il nuovo Satana». «Non invoco la rivincita dell’uomo bianco, denuncio l’idea che sia considerato come il capro espiatorio: il discorso femminista, antirazzista e decoloniale che designa l’uomo bianco e la donna bianca come la fonte di tutte le disgrazie dell’universo è un discorso semplicistico», ha dichiarato Bruckner a France Culture. Il femminismo tradizionale era universalista, «il neofemminismo», invece, «è apertamente separatista, se non addirittura suprematista, e mette i sessi l’uno contro l’altro», attacca il filosofo parigino, secondo cui «il femminismo del progresso si è trasformato in un femminismo del processo».
Un esempio di questa tendenza è la recente esternazione della femminista radicale Alice Coffin, autrice del libro Le Génie lesbien, che ha invitato le donne a «eliminare gli uomini dalle nostre menti: non dobbiamo più leggere i loro libri, né guardare i loro film, né tantomeno ascoltare la loro musica». Molte neofemministe americane, a cui le colleghe francesi si ispirano, presentano l’uomo bianco come uno «stupratore in potenza», ontologicamente predatore, dice Bruckner, ma tacciono quando a macchiarsi di episodi di aggressione sessuale sono le minoranze arabe e africane che vivono in Occidente, come è accaduto con le violenze di massa del Capodanno di Colonia del 2016.
Il neofemminismo va a braccetto con il nuovo antirazzismo, che non ha nulla a che vedere con l’antirazzismo originario, difensore di un’idea di umanità comune al di là della diversità delle origini e delle culture. Il nuovo antirazzismo esaspera le identità, si concentra sul colore della pelle e resuscita un concetto di razza che si credeva abolito, creando le condizioni di un nuovo apartheid. «Oggi vengono denigrati i volti di gesso, per celebrare gli altri colori della pelle attribuendo loro tutte le virtù», spiega Bruckner. La nuova ideologia antirazzista, dietro cui si nasconde un razzismo anti-bianco alimentato dalle minoranze e un autorazzismo folle delle élite occidentali, si sta diffondendo in tutti i settori della società francese. Delphine Ernotte, direttrice di France Télévisions, ha dichiarato che nella tv pubblica del futuro «gli uomini bianchi di più di cinquant’anni» avranno sempre meno spazio, a favore delle persone figlie della «diversità». Sulla sua scia, anche il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, ha dato prova di apprezzare certe idee di provenienza americana. In un’intervista al settimanale L’Express di poche settimane fa, Macron ha infatti evocato l’esistenza in Francia di un «privilegio bianco», uno dei capisaldi del movimento Black Lives Matter. La frase ha fatto trasalire Bruckner, perché «parlare di privilegio bianco significa risvegliare l’idea di un peccato originale». In nome del multiculturalismo, l’Occidente sta cancellando se stesso, la sua storia millenaria, i suoi capolavori, e l’uomo bianco eterosessuale occidentale, ormai, «è in fondo alla gerarchia», afferma Bruckner, prima di aggiungere: «Meglio essere scuri che pallidi, omosessuali o transgender che eterosessuali, donne piuttosto che uomini, musulmani anziché ebrei o cristiani, africani, asiatici e indigeni piuttosto che occidentali». Secondo Bruckner, «l’unica identità che ai bianchi viene ancora concessa è quella della contrizione. I professatori di vergogna, le neofemministe, i decolonialisti e gli indigenisti dilagano, e ci invitano a pentirci». E ancora: «È in corso una vasta impresa di rieducazione, all’università, sui media, che chiede ai bianchi di rinnegare se stessi. L’ultima volta che abbiamo subìto la propaganda razziale è stata con il fascismo negli anni Trenta: la scomunica a priori di una parte della popolazione. Eravamo vaccinati, grazie. Ma ci torna indietro da oltreoceano mascherata da antirazzismo, con nuovi protagonisti». I nuovi fanatici della «cancel culture» che vogliono affossare l’Occidente. E l’uomo bianco.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/bruckner-smaschera-nuovo-razzismo-antibianco-1920134.html
DIEGO FUSARO: Mattarella convoca Draghi.
Col Covid non si può votare, dunque ci impongono Draghi…
3 02 2021
VIDEO QUI: https://youtu.be/hk_SkeoNYiY
FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=hk_SkeoNYiY
ATTUALITÁ SOCIETÀ COSTUME
“Giallo” a cognomi alternati
1 02 2021 – Serena Coppetti
Quando ieri sono girate ancora una volta le fotografie con gli “assembramenti” (nel dopo Covid spero ci sia qualcuno che faccia una battaglia per eliminare questa parola dal vocabolario...) e le relative bacchettate di chi bollava la massa nel fermo immagine come branco di imbecilli, devo confessare che mi sono sentita a disagio. Più guardavo le immagini e più guardavo i commenti a quelle immagini e più non riuscivo a mettermi né dalla parte degli “assembrati” (si potrà dire?) né dalla parte di chi s’indignava sui social, in strada, al telefono, da solo o in cuor suo: vergogna, sarà colpa vostra se domani ci richiudono..
Niente. Nonostante gli assembramenti non mi piacciano, non mi siano mai piaciuti neanche nell’era a.C. (ante Covid) e forse neanche mi piaceranno in un auspicabile roseo, anzi bianco futuro. Guardavo le immagini e ovviamente la prima reazione è stata quella di pensare “ma sarà proprio così”? Insomma, con le fotografie noi ci lavoriamo e sappiamo che tagliate in un modo o in un altro fanno un effetto completamente diverso…
Poi mi sono bacchettata le mani da sola. Saranno vere di certo! cavolo. I soliti Navigli e la solita Milano e poi anche le altre città. Come sotto Natale. Come d’estate. Come sempre quando scatta il giallo. La gente, cioè ragazzi, famiglie, nonni … escono. Escono di casa.
Beati loro che ci riescono, subito così al primo “pronti via”, mi verrebbe da dire prima di mordermi la lingua. Beati quei ragazzi che ancora oggi riescono a passare dal pigiama alla minigonna in un battito di Dpcm, che riescono ad abbandonare la caverna senza mai aver provato la sua sindrome, che organizzano con un amico, un’amica, che ridono e sorridono felici di tornare a scuola senza sentire che, una volta aperta la porta, il mondo non è solo una gigantesca minaccia.
Beati quei ragazzi che non hanno paura di essere additati, pur stando sempre in cima alla lista di chi sparpaglia virus, proprio loro che il virus ha fatto invecchiare precocemente. Che vivono col perenne senso di colpa quando fanno solo quello che gli viene detto di fare. Cioè, solo uscire. Quindi, mi sono morsa la lingua…
Perchè dall’altra parte, è vero, quelli delle foto sono proprio assembramenti. E gli assembramenti oltre a non poterli più sentire nominare non si possono guardare. Non devono esistere. E anche questo è sacrosanto. Perchè questo virus ancora fa paura. E non si può prendere sottogamba. Lo dico e lo ripeto fino a stancarmi da sola di dirlo e di ripeterlo ai miei figli e pure a quei poveretti dei loro amici quando raramente ormai capitano e pure loro non osano mettere un piede fuori in casa neanche se siamo gialli chiarissimi e c’è un sole che spacca le pietre.
Fa paura un po’ di più quando ci dicono che siamo “rossi”, e anche quando siamo “arancioni”. Quando siamo “gialli” ci fa sempre paura ma pensiamo che possiamo fare delle cose. Fare-delle-cose. Tipo bere un caffé seduto in un bar. Cose così. Stupidate quelle che non contano niente eppure abbiamo scoperto che contano così tanto. Tipo, fare un giro. Solo a dirlo mi sento quasi in colpa. Tanto è vero che io non lo faccio. Però guardo chi lo fa e penso che non mi sembra poi tanto un imbecille. O un rivoluzionario. O un irresponsabile. Qualcuno magari sì, ma penso che possa anche non essere uno che se ne frega della salute, della sua di quella degli altri, un egoista, un provocatore.
Penso che possa essere semplicemente uno al quale il “comanda color” ha detto giallo. Quindi lui si è vestito, cosa che magari non si ricordava neanche più bene come fare, ha messo il giubbotto ed è andato a farsi un giro in centro. A prendere un gelato. A riprendersi un quarto d’ora non di celebrità alla Warhol ma un quarto d’ora di straordinaria normalità.
Poi quello lì non era più “uno” ma erano di più, sono diventati tanti, perché il “comanda color” lo ha detto a tutti… E allora capisco anche chi guarda quelle immagini, che vive un dolore o lo ha vissuto che non abbraccia i propri nipoti da chissà quanto tempo e s’indigna davanti a tanta normalità consentita.
Che pur normalità era ed è.
Le regole servono a regolare, appunto. L’unica cosa che può aiutare in questo pandemonio di pandemia è capire che quello che stiamo facendo o quello di cui ci stiamo privando ha un senso. Ma spesso è l’unica cosa che manca. Come d’estate con le discoteche aperte e le accuse ai ragazzi che ci andavano. O sotto Natale con i ristoranti e il cashback e lo stupore ipocrita (questo sì) di chi ha preso quelle decisioni in quell’esatto momento. Il buonsenso dovrebbe cominciare dove comincia la zona gialla ma la logica dovrebbe guidare il “comanda color”. Insomma, siamo sempre lì: o si può o non si può fare qualcosa…
Quindi, alla fine, siamo tutti a disagio, (come se non avessimo già abbastanza…) tra quelli che escono perchè si sentono in colpa nel fare cose che sono permesse e quelli che s’indignano con l’eco degli esperti tra virologi, infettivologi, medici e compagnia bella che mettono in guardia sul rosso della sera del dì di festa.
Non ci resterebbe che fare il giallo intermittente. Si esce a cognomi alterni, o con le targhe pari e dispari, come si faceva con le auto nel periodo dell’austerity degli anni ’80. Il lunedì dalla A alla L, il martedì dalla M alla Zeta. E via così. Un po’ come hanno fatto nelle scuole per garantire il rientro al 50 per cento degli studenti. Due gruppi, dimezziamo uscite e polemiche. Forse. Perchè poi ci saranno sempre quelli che volevano uscire con l’altro gruppo.
(Ovviamente è una provocazione. Si sa mai che qualcuno la prenda davvero sul serio…)
FONTE: https://blog.ilgiornale.it/coppetti/2021/02/01/giallo-a-cognomi-alternati/
BELPAESE DA SALVARE
Sulla crisi irrompe la magistratura: il destino dell’Italia in mano al gup Sarpietro
Apriamo diligentemente il diario e prendiamo nota di una parola fondamentale che è la vera password del “Sistema” descritto da Luca Palamara. La parola è: “pretermesso”. Pretermesso significa segato da una carriera o un ruolo, a causa dei poteri di interdizione – o viceversa raccomandazione- per cui chiunque può essere pretermesso. Silvio Berlusconi – abbiamo imparato dal libro di Palamara – fu ad esempio accuratamente pretermesso dalla sua carriera politica con una accurata benché contorta applicazione di queste regole appunto.
Non che non ce ne fossimo accorti da soli, ma da quando il dottor Luca Palamara ha parlato e poi anche scritto e firmato, possiamo essere sicuri che la nostra è una democrazia pretermessa , specialmente in politica, come in magistratura e sospettiamo che sia pretermessa anche in diversi altri campi fra cui quello mediatico-giornalistico, militare, accademico, dei servizi segreti, senza per questo escludere tutti gli altri settori e gangli della pubblica amministrazione. Come abbiamo scoperto questo termine prezioso? Dalle dichiarazioni giustamente sdegnate di un giudice che si chiama Nunzio Sarpietro, che è quello da cui dipende il futuro politico di Matteo Salvini il quale, se dobbiamo fidarci delle voci che girano, potrebbe essere rapidamente essere pretermesso, ovvero messo fuori combattimento per un bel po’ se il magistrato Sarpietro, presidente dei gip catanesi darà parere favorevole al processo di Matteo Salvini accusato di sequestro di persona nella vicenda della nave Gregoretti.
QUELL’ANTICO PATTO POLITICO TRA POTERE CALABRESE E DICCÌ
Da giorni la vicenda Udc (Unione di Centro)-Lorenzo Cesa è al centro delle polemiche. Secondo certi l’indagine su Lorenzo Cesa sarebbe saltata strumentalmente fuori alla vigilia della fiducia al governo, secondo altri la storia è vecchia e prima o poi doveva saltar fuori.
L’Udc Lorenzo Cesa è ora impantanato in una sorta di melassa, perché sotto questa forma s’attaccano le frequentazioni più o meno pericolose nei salotti alti calabresi. Dove, quando e perché i suoi vestiti si siano sporcati di zuccherina melassa è difficile a dirsi: ma è avvenuto, anche a sua insaputa, forse in un lontano passato, in una precedente vita lavorativa. I rapporti allacciati in quei salotti calabresi sono inscindibili, ed il padrone di casa s’offende con estrema facilità. Circa trent’anni fa accompagnavo Giorgio Bocca in quel viaggio nel Sud Italia che poi prese forma ne “L’Inferno, profondo Sud, male oscuro”, e le sue rare parole erano alta accademia dell’università della strada, sulla Calabria sentenziava “questo è un posto dove parlare ti può mettere in pericolo…è come prendere un taxi sbagliato in un posto di guerra, mi è già capitato a Saigon”. Nel 2006, quando Roberto Saviano pubblicava la prima edizione di Gomorra, cercavo Giorgio Bocca per dirgli che forse L’Inferno ha ispirato il giovane autore campano, e che sarebbe stato il caso di fare un nuovo viaggio nel “profondo Sud”. Ma Bocca non voleva impelagarsi in un ennesimo viaggio inchiesta, stanco di come la politica ricadesse (a suo dire) in antichi errori e frequentazioni, in una sorta d’ingenua e puerile malafede. Infatti l’intera classe politica, che ora casca dalle nuvole per quanto emerge nelle inchieste di Nicola Gratteri (vertice della procura distrettuale antimafia di Catanzaro), dovrebbe rammentare come i lavori della Salerno-Reggio Calabria siano durati per più di cinquant’anni, e per continuare a tenere aperti i cantieri, ed il gioco di appalti e subappalti che garantivano rivoli di soldi alle clientele calabresi: guadagni ad imprenditori locali, stipendi ad ingegneri e dipendenti, salari ai tanti operai che non avevano trovato posto nella forestazione e nei consorzi di bonifica. Lorenzo Cesa, oggi politico indagato per voto di scambio, ieri era nel consiglio d’amministrazione dell’Anas: intendiamoci, Cesa in passato non aveva fatto nulla di male, ma in quel momento storico era nel Cda dell’Anas per volere dei democristiani suoi sodali. Girare in quella Calabria d’eterni cantieri stradali non era più sicuro di oggi: le bretelle stradali finivano nel nulla, lasciando isolate le sparute cittadine appese tra Tirreno e Jonio. Intanto l’Anas festeggiava in quella Calabria continue inaugurazioni di tratti stradali che, per rimpallo di competenze sulla viabilità, non vedevano mai il definitivo collaudo e la possibilità di poterci transitare. Lorenzo Cesa è un romano, ma gioco forza con quella Calabria era costretto a convivere, pena l’emarginazione nei salotti democristiani capitolini. E quante ne ha fatte la scuola Diccì per la Calabria. Quanti occhi sono stati chiusi dalle procure calabresi prima che Gratteri recidesse certe metastasi.
A metà anni ’90 nelle redazioni si sorrideva per il fatto che, sfogliando le pagine gialle delle province calabresi, emergesse una sproporzione a favore di maghi ed occultisti (con studi in tutte le capitali del Sud) e poi pochissime imprese: l’esatto opposto del Nord Italia. Soprattutto che nessun inquirente osasse domandarsi se i sedicenti maghi pagassero le tasse, e con quali soldi avessero mai comprato quelle case. C’era solo il mugugno. Si parlottava di “lobby dei maghi”, del fatto che a questa gentaccia alcuni pezzi della ‘ndrangheta avessero anche appaltato il “caro estinto”, ritenendo quest’affare ormai marginale rispetto ad appalti, droga ed armi: della cosa ne scrissi su Il Giornale, destando l’indignazione dell’alta borghesia calabrese residente a Roma. Lo scrivente si chiedeva come potessero nel Sud Italia (soprattutto in Calabria) costituirsi finanziarie e banchette locali popolari aventi come soci costitutori pranoterapeuti, occultisti, maghi…? E la Banca d’Italia prima di dare il via libera all’apertura degli sportelli non verificava se i soci costitutori avessero mai presentato una dichiarazione dei redditi? Emergeva che, il permesso all’apertura di quelle banche calabresi lo avevano dato gli stessi vertici di BankItalia che avevano favorito le banche spuntate come funghi dopo il sisma dell’Irpinia. Scriverne era anche pericoloso, i maghi querelavano o minacciavano denunce d’ogni tipo. Tramite un giornalista calabrese (Astolfo Perroncelli, persona perbene e già querelata dai mafiosi oggi indagati da Gratteri) parlavo con una donna vittima d’usura: l’imprenditrice s’era rivolta ad una banca per ricevere aiuto, quindi era stata indirizzata verso un prelato e poi finita nelle mani d’un mago strozzino. Una storia che, già narrata per sommi capi, desta enorme disgusto. C’è da chiedersi in quale società, che possa definirsi civile, sia permesso che un cittadino venga spinto in simili meandri di malaffare e degrado morale. Qualche anno dopo si scoprirà che quel prete faceva parte della combriccola del parroco di Isola Capo Rizzuto, condannato a 14 anni per associazione a delinquere di stampo mafioso. Ebbene, durante le campagne elettorali i candidati calabresi (soprattutto di tradizione democristiana) erano soliti mostrarsi in foto con quei preti e maghi, con quei presidenti di banche locali ed imprenditori stradali, con quei dirigenti dell’Anas come di Asl e Consorzi di bonifica. Nicola Gratteri ha suonato la sveglia, ha prepotentemente messo sotto gli occhi del sistema l’atavico malaffare noto come fabbrica del consenso politico e sociale. Lorenzo Cesa crediamo sia innocente, ma nel suo curriculum scrive d’essere stato nel Cda di “importanti società e banche”. È lecito sospettare Cesa sappia tante cose sul conto del suo sponsor Pier Ferdinando Casini. Sorge il dubbio che, il dimissionario segretario dell’Udc (Lorenzo Cesa) possa interpretare nella vita la parte di Ugo Tognazzi nel film “Sissignore”, pagando anche per altri.
Torna alla mente un episodio. Una quindicina d’anni fa lo scrivente veniva salutato a gran voce da un parlamentare: mi invitava a prendere un caffè con lui e con un signore molto silenzioso che sedeva a suo fianco. Quindi il parlamentare spiegava che il suo taciturno amico “è un socio di banca popolare in Calabria, uomo di chiesa ma anche di magia, sua madre era persona di fiducia di Natuzza Evolo…ora l’amico mio sta investendo nella sanità privata”. Caffè preso malvolentieri. Astofo Perroncelli, da me interpellato, non nutriva alcun dubbio “un segnale preciso… fanno così”. Del resto, proprio dalla Catanzaro di Nicola Gratteri partiva nei primi anni del Regno d’Italia una missiva al ministro dell’Interno, per significare che i Carabinieri riuscivano a scoprire davvero poco, e perché la gente e i salotti bene non si fidavano del nuovo corso, che il potere locale si riuniva in organizzazioni segrete che forse non erano mafia, né massoneria, né carboneria, ma forse erano un po’ di tutto: nei primi anni del Regno d’Italia vennero censite più di tremila associazioni segrete nei territori dell’ex Regno di Napoli (fonte “Fatti&Misfatti, l’Unità d’Italia, Regno, Regime, Repubblica: influenza dei poteri occulti, le scelte condizionate” scritto da Fausto Capalbo per Michele Biallo Editore).
Allora che fare? Tacere e nascondere il problema come ha fatto per settantasei anni la politica? Non è un fatto di schieramento politico, in Calabria sono parimenti penetrati da questa mentalità. Bocca li definiva “cuori di tenebra” facendo il verso a Joseph Conrad e nell’Inferno raccontava della corona di oleandri e ginestre strette da un nastro con su scritto “la popolazione di Platì in ringraziamento all’Anas”: corona di fiori che in processione periodicamente quella gente lancia nel torrente in ricordo delle vittime d’un ponte crollato e mai ricostruito.
FONTE: http://www.opinione.it/politica/2021/01/22/ruggiero-capone_cesa-udc-gratteri-catanzaro-bocca-melassa-gomorra-saviano-anas-asl/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Cos’è il Land grabbing e perché senza giustizia sociale non salveremo il pianeta
80 milioni di ettari di terra concessi ed oltre 2mila contratti stipulati. Sono questi i recenti numeri del land grabbing emersi con l’ultimo rapporto “I padroni della Terra. Il Rapporto sull’accaparramento della terra 2020: conseguenze su diritti umani, ambiente e migrazioni”.
Il documento – redatto di consueto dalla Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario (FOCSIV) – per il terzo anno ha fatto luce su un fenomeno complesso e dalle molteplici ripercussioni. Stiamo parlando per l’appunto del land grabbing, o accaparramento delle terre, il processo per cui Stati terzi e aziende straniere comprano e sfruttano i terreni dei Paesi più poveri compromettendo diritti umani e tutela dell’ambiente.
Un fenomeno in continua evoluzione e rapida espansione. I dati estrapolati da Land Matrix, la piattaforma indipendente per il monitoraggio del territorio, denunciano una situazione in peggioramento. Tra il 2019 e il 2020, infatti, si è registrato un incremento di 8 milioni di ettari di terre concesse. I principali investitori – come risulta nella piattaforma – provengono da Cina, Stati Uniti, Canada e Regno Unito. Allevamento, miniere, concessioni forestali, produzione alimentare o di biocarburanti, sono solo alcuni degli intenti registrati dai land grabbers. I paesi nel mirino dell’accaparramento terriero, invece, sono per lo più Perù, Russia, Repubblica Democratica del Congo e Ucraina, senza risparmiare Camerun, Angola e Madagascar. Paesi essenzialmente in via di sviluppo, in cui l’attenzione per l’ambiente e il rispetto dei diritti umani vengono meno a causa di condizioni socioeconomiche precarie. E a metterci il carico da undici è proprio il land grabbing. In genere poi, gli investimenti riflettono la quantità e le tipologie di risorse che il paese da sfruttare ha da offrire. L’amazzonia, ad esempio, è risultata particolarmente appetibile per le compagnie petrolifere, il Congo è la prima scelta in quanto ad estrazione di cobalto, mentre l’Angola e il Camerun sembrano favorire gli investimenti agricoli. In Madagascar, invece, da quando la Banca Mondiale favorì la riforma del settore agrario negli anni ‘90, il fenomeno è cresciuto esponenzialmente. Il caso malgascio è emblematico: oltre allo sfruttamento agricolo e minerario, il land grabbing si è infatti verificato qui in tutte le già citate possibili sfaccettature. L’immensa biodiversità dell’isola – il vero e il più consistente patrimonio del paese – è così minacciata da un processo, da un punto di vista legale, con le carte in regola.
E se all’accaparramento terriero si sommano delle norme ambientali generalmente blande, il danno è presto fatto. Il land grabbing favorisce infatti la produzione di monocolture, l’estrazione di risorse naturali e lo sfruttamento di terra e acqua. Questi elementi concorrono alla distruzione degli habitat – con relativa perdita di biodiversità – e, in definitiva, al cambiamento climatico. Inoltre, tutti questi fattori – come sottolinea anche il rapporto – hanno a che fare con la diffusione e la mutazione dei virus. Due fenomeni apparentemente distanti – epidemie e land grabbing – sarebbero quindi in realtà correlati.
Se parliamo poi di green economy, emerge il paradosso. Mentre la Commissione Europea, riservando il 30% dei fondi alla lotta ai cambiamenti climatici, si è apprestata ad approvare il nuovo Piano per la ripresa dell’Europa, diversi analisti sostengono che non si possa parlare di green economy fintanto che ogni fase per l’approvvigionamento delle materie prime non sia realmente sostenibile. In sostanza, come potrebbe mai essere “verde” un’economia che, seppur circolare e sostenibile nei paesi sviluppati, implichi un ricavo di materie prime che cela deforestazione e sovrasfruttamento di risorse nei paesi in fase di transizione economica?
Gli investitori promotori del fenomeno che sembra non far veder la luce alla sostenibilità, inoltre, peccano di ipocrisia. L’acquisto delle terre, infatti, è spesso accompagnato dalla promessa di condividere i benefici tecnologici con i governi locali, oltre che di coinvolgere nei progetti le popolazioni. Tuttavia – come evidenziato dalla Dichiarazione di Tirana dell’International Land Coalition – le promesse sono spesso infrante, mentre prevalgono la frequente assenza di informazione delle popolazioni indigene, le violazioni dei diritti umani e gli ingenti danni ambientali.
Il land grabbing, nel complesso, è un modello di sviluppo fondato sull’estrattivismo, sullo sfruttamento e la distruzione dell’ambiente, che favorisce inoltre terrorismo e migrazioni. Un fenomeno che si è sviluppato dai primi anni del duemila a causa della combinazione tra globalizzazione, crisi alimentare e aumento della richiesta di biocarburanti che, tuttavia, ostacola e non è più compatibile con il raggiungimento degli obiettivi climatici e i principi dello sviluppo sostenibile. Per contrastarlo, in assenza di imposizioni normative vincolanti, l’ONU ha emanato delle linee guida per l’acquisto di terre, raccomandando agli Stati investitori di garantire negoziati trasparenti e il coinvolgimento delle popolazioni locali, fornendo anche posti di lavoro. Così come fece, nel 2012, la Commissione sulla Sicurezza Alimentare Mondiale della FAO stilando dei principi a tutela dei diritti di proprietà sulle terre volti a diffondere uno sviluppo sostenibile.
FONTE: https://www.notizieflash24.it/2021/01/31/cose-il-land-grabbing-e-perche-senza-giustizia-sociale-non-salveremo-il-pianeta/
Nessun ritiro americano dall’Afghanistan, fonti Nato confermano la svolta di Biden
L’amministrazione di Joe Biden ha avviato una revisione dell’accordo di pace del suo predecessore. “Le truppe internazionali prevedono di rimanere in Afghanistan oltre la scadenza di maggio prevista dall’accordo dei ribelli talebani con gli Stati Uniti” hanno dichiarato gli alti funzionari della Nato. Questa mossa potrebbe intensificare le tensioni con i talebani che chiedono il ritiro completo di esse. I piani su ciò che accadrà dopo aprile sono ora in corso di valutazione e probabilmente saranno una questione centrale in una riunione chiave dei ministri della difesa della Nato a febbraio. La Nato e Washington dovranno affrontare una sfida per convincere i talebani ad accettare una proroga oltre maggio. Se la situazione dovesse rimanere poco chiara però, i talebani potrebbero aumentare gli attacchi.
“Nessun alleato della Nato vuole rimanere in Afghanistan più a lungo del necessario, ma è chiaro che la nostra presenza rimane basata sulle condizioni”, ha dichiarato la portavoce della Nato Oana Lungescu. “La Nato sostiene pienamente il processo di pace al fine di garantire che l’Afghanistan non sia più un rifugio sicuro per i terroristi che attaccano le nostre terre d’origine”, ha concluso Lungescu. L’allora presidente Donald Trump aveva firmato un accordo con i talebani all’inizio dello scorso anno chiedendo il ritiro di tutte le truppe straniere entro maggio in cambio di determinate garanzie di sicurezza. Fino ad ora, aveva ridotto le truppe statunitensi a 2.500, minor numero dal 2001.
FONTE: https://www.notizieflash24.it/2021/01/31/nessun-ritiro-americano-dallafghanistan-fonti-nato-confermano-la-svolta-di-biden/
CULTURA
Nel vortice di Mishima
Luigi Iannone – 1 02 2021
Moravia definì Yukio Mishima «un conservatore decadente». E fu – all’interno di argomentazioni quasi del tutto avverse – una delle determinazioni meno rancorose che la critica italiana riservò nei decenni passati allo scrittore giapponese.
Quell’impenetrabile Mishima, sempre in bilico tra la eccellenza di una catarsi spirituale, l’inappuntabilità della compiutezza estetica, la lotta inesauribile contro la degenerazione dei costumi politici e la difesa di una tradizione sempre più inafferrabile ed esile tanto da esser pronta ad esser spazzata via al primo refolo di occidentalismo, fu simbolo e mito di una nazione che si avviava a scomparire almeno nei suoi tratti più arcaici e tradizionali. Eppure, quando Giuseppe Grazzini lo intervista per Epoca e gli chiede “se sente di dovere qualche cosa alla cultura occidentale”, Mishima risponde in questo modo: «Debbo molto, in assoluto. E debbo molto anche relativamente. Io ho ritrovato i valori profondi del mio mondo soltanto quando ho conosciuto il vostro». Perché il suo patriottismo si rafforzò non grazie ad una asfittica autarchia di valori ma ad una conoscenza diretta, profonda, del nemico naturale… quell’occidente che lo intrigava ma che rappresentava l’impero nascente che avrebbe ingurgitato e poi sostituito il suo.
E poi l’ossessione erotica e la questione della morte che tenevano insieme un quadro articolato di questioni filosofiche e spirituali che pur si riannodavano plasticamente nella figurazione del martirio di San Sebastiano. Perché, anche qui, la classica formulazione che si utilizza in casi del genere, ridefinendo la vicenda biografica e intellettuale di uno scrittore all’interno del binomio “arte e vita”, ben si addice a Mishima, che si sentì martire sin da subito, trasfigurando ogni singolo elemento psicologico, letterario o politico nella sua elegante scrittura.
La percezione costante e irrisolvibile di uno spaesamento che fu individuale e collettivo, che riguardò il suo quotidiano ma anche la patria la quale, non solo era lacerata dalle ferite della guerra, ma subì il flusso delle fregole consumistiche e dei luccichii occidentali, lo accompagnò lungo tutta la seconda fase della sua vita. Capricci materialistici da cui Mishima non si tirò fuori senza però esserne del tutto preda.
Si erse ad ultimo difensore del Giappone tradizionale proprio perché – paradossalmente – conosceva e aveva introiettato parte della cultura occidentale. Tra le letture di riferimento tanti non-giapponesi, taluni proprio marchiati da quelle fregole e luccichii di cui dicevo prima (Gide, Cocteau, Novalis, Henry Miller, Fitzgerald, Truman Capote, Hemingway). E poi, abiti di classe, soprattutto italiani, sigari cubani e così via… in un dandismo che – almeno all’apparenza – poco si confaceva alla figura dell’eroe nazionalista che andava intanto costruendosi nell’opinione pubblica.
Eppure, in lui tutto questo si sublimava e trasfondeva quasi miracolosamente, come solo per i grandissimi scrittori può accadere, in qualcosa di più ”alto” e per certi aspetti indefinibile. Queste parziali fughe in avanti parevano talvolta un limite e, infatti, subivano un contrappeso gigantesco quando Mishima metteva sul piatto della propria esistenza i valori dell’Hagakure, il recupero del teatro Nò o anche la sua manifesta partecipazione emotiva nei confronti di un istituzione sacra, ma già traballante e persa nelle maglie della modernità più spiccia, come quella dell’Imperatore: «Mentre tutti parlavano di affermazione dell’umanitarismo – scrive Isoda Koichi – e della modernità, egli parlava dell’estetica della morte in giovane età e della volontà di distruzione; […]. Per lui i principi del dopoguerra era tutti nemici da combattere».
Rimane infatti questa traiettoria immutabile che assorbe culture e sensibilità ma senza muoversi da un asse fisso e granitico che piantava radici sempre nello stesso punto, in quel seppuku che giustificava idealità, valori, appartenenze e perciò nel riferimento “alto” dell’Imperatore: «Il valore di un uomo si rivela nell’istante in cui la vita si confronta con la morte, ma noi viviamo in modo tale che nulla ci costringe a testimoniare la nostra risolutezza nell’affrontare la morte. È facile dichiarare che si è pronti a morire, ad offrire la propria vita, ma non altrettanto è dimostrare che quanto si afferma risponde al vero».
Questa dualità di mondi, il richiamo continuo, reiterato, quasi ossessivo alla tradizione ma anche questi effluvi occidentalisti che, pure modellarono la sua vita, sono esaminati con sottigliezza e abbondanza di elementi aneddotici nel volume di Gennaro Malgieri, Yukio Mishima. Esteta del patriottismo (Fergen edizioni, p. 200, euro 15) nel quale, appunto, si procede nella penetrazione quasi didascalica della sua opera senza tenere fuori testimonianze giornalistiche e letterarie che nei decenni scorsi accompagnarono (o tentarono di discriminare, deridere, se non proprio dileggiare come si legge dall’ampia Appendice al volume) il mito di questo straordinario scrittore.
Era incomprensibile per un mondo che si beava nei lampi del boom economico e in una apparente pace sociale, che un intellettuale decidesse di togliersi la vita per questioni legate a valori e principi. Era tutto ritenuto una sorta di risibile commedia nera sospesa tra il folklore orientale e il becero radicalismo di destra oramai senza più alcuna ragionevole via d’uscita politica.
Lo scrittore, tuttavia, non arretra di un passo. Quando quindici giorni prima che si suicidasse, i Magazzini Tobu di Tokio allestirono una mostra retrospettiva sulla sua carriera, egli volle che fosse divisa in “Quattro Fiumi”: Prose, Teatro, Corpo e Azione. Ed è proprio in quest’ultimo che ritrova: «le lacrime, il sangue, il sudore che non sono mai riuscito a trovare nel Fiume della Prosa. In questo nuovo Fiume, un’anima s’incontra con un’anima senza doversi curare delle parole. Ma questo è anche il più distruttivo dei Fiumi, e non stento a comprendere perché ben pochi vi si accostino. Questo Fiume è ingeneroso nei confronti del cittadino, non accorda pace, né requie, né ricchezza. Concedetemi peraltro di dire una cosa: io, che sono nato uomo e vivo da uomo, non potrò mai vincere la tentazione di seguire il corso di questo Fiume». Perché il vortice di Mishima, che coinvolge il lettore e i suoi compagni d’armi in un’agitazione che non è disordine o caos, pur rappresentando una persistente fluidità, è sempre a difesa di punti fermi; pronto a marcare tracce che metabolizzino ogni sua esperienza e la aiutino a raffigurarsi plasticamente nella questione delle questioni: essere fedele fino alla fine ai suoi principi, senza alcun tentennamento o fuga in avanti.
FONTE: https://blog.ilgiornale.it/iannone/2021/02/01/nel-vortice-di-mishima/
Il Governo mondiale e anunnaki: una faida millenaria
Covid, complotto e Grande Reset.
In questi giorni in cui un ingombrante velo di emergenza viene quotidianamente steso sulle nostre vite, mi è stato chiesto cosa ne pensassi di questi presunti disegni complottisti, di questo Grande Reset di cui tanto si parla e non solo sui social, visto che tra l’altro il primo ministro greco è stato fotografato con un libro su Covid e Grande Reset sulla scrivania, segno che l’argomento gli interessa, anche fosse solo come appassionato di “fantascienza”.
In realtà la domanda che mi viene posta, probabilmente a causa delle mie curiosità letterarie, più che chiedere un’opinione, mi sembra mirata a capire se io ne sappia qualcosa o no di questo governo ombra del mondo.
Ebbene la risposta è immediata e semplice: assolutamente no.
Ipotesi e deduzioni
Detto questo però, qualche considerazione la posso fare, basata su semplici deduzioni logiche, fondate su alcune evidenze innegabili, che portano a formulare delle ipotesi fantasiose, tanto per chiacchierare.
Io penso che esista un sottile filo rosso, un legame indubbio, circostanziato da un numero tale di coincidenze, che sarebbe davvero impossibile non considerarlo come una possibile realtà: un sospetto governo mondiale e la finanza di matrice anglosassone, specie quella con lontane radici medio orientali.
A mio parere, chi non lo vuole vedere, semplicemente non è interessato e curioso o finge, perché i dati che supportano questa tesi sono evidenti.
I potentati economici mondiali
In Prima di Noi 1 menziono un articolo del «New Scientist» del 2011, che apriva uno squarcio di luce sull’omertà dei potentati economici mondiali:2
«…Quando il gruppo di ricerca ha cominciato a districare l’enorme rete di proprietà, è risalito a una “super entità” costituita da 147 società. Tutta la proprietà di queste aziende è detenuta dai membri di questa super entità che controlla il 40% della ricchezza totale del nucleo… La maggioranza proprietaria della rete è detenuta da istituzioni finanziarie, mentre solo l’1% è detenuto dalle imprese stesse. In cima alla lista ci sono 20 banche, tra le quali Barclays Bank, JPMorgan Chase & Co, e The Goldman Sachs Group»3.
Il potere ombra: le dichiarazioni nel 1922
L’idea dell’esistenza di un potere ombra, ben al di sopra di quello politico nazionale e sovranazionale, non è di certo né un’idea attuale, né tantomeno di improbabili scrittori di fantascienza.
John F. Hylan, ex sindaco di New York, nel 1922 ebbe a pronunciare il seguente ardito discorso pubblico4:
«La minaccia reale per la nostra Repubblica è il governo invisibile, che come una piovra gigante estende i suoi tentacoli viscidi sulle nostre città, stati e nazioni. Senza fare facili generalizzazioni, lasciatemi dire che a capo di questa piovra ci sono i Rockefeller della Standard Oil, più un gruppo di potenti finanzieri generalmente indicati come “banchieri internazionali”. Questa piccola cricca di potenti banchieri praticamente usa il governo degli Stati Uniti per i loro scopi egoistici.
Controllano entrambe le parti politiche, scrivono l’agenda di governo, inseriscono nelle istituzioni i loro uomini. Hanno la maggioranza dei giornali e delle riviste di questo paese, utilizzano l’informazione per influenzare la nomina delle principali cariche pubbliche.
Operano sotto la copertura di uno schermo, controllano i nostri dirigenti, gli organi legislativi, le scuole, i tribunali e ogni agenzia creata per la sicurezza pubblica.
Costoro hanno creato le banche centrali in tutto il mondo, usandole per imprigionare i governi nazionali in un ciclo di debito da cui non c’è scampo. Il debito pubblico è un modo “legale” per prendersi i nostri soldi attraverso le tasse, per poi essere trasferiti nelle tasche degli ultraricchi»5.
Alzi la mano chi non trova queste parole estremamente attuali… Eppure, esse sono state pronunciate nel lontanissimo 1922, in un mondo all’apparenza talmente diverso da quello attuale, da sembrarci alieno.
Facciamo finta che…
Il punto è che quel mondo era solo all’apparenza diverso da quello attuale: ragionando invece in un’ottica temporale più di lungo termine, adottando un’unità di misura del tempo che vada ben al di là della vita di un individuo, ecco che allora tutto ci sembrerebbe più coerentemente parte di un disegno, un piano, che inesorabilmente, si va dispiegando.
Le cose si fanno complesse, ma seguendo il filo rosso che parte dal passato remotissimo dell’umanità e arriva sino ad oggi, potremmo decifrare l’attuale architettura della società moderna.
Questo filo conduttore lega in maniera coerente questo ipotetico piano di una governance mondiale,con la storia “Prima di Noi”: c’è una spiegazione coerente e logica che lega la realtà sotto i nostri occhi e il percorso che ci ha condotti dalle nebbie del passato.
Il passato dimenticato
Innanzitutto, bisogna accettare che noi, intesi come umanità della strada, come base della piramide sociale mondiale, come lulu, “testa nera”, come ci descrivono i miti mesopotamici, come plebei, operai o fedeli – secondo criteri di classificazione più recenti – soffriamo di un’amnesia doppia e planetaria, riguardo al nostro passato.
La ragione di questa totale mancanza di memoria è legata a un catastrofico evento che ha azzerato la memoria di quello che c’era Prima di Noi… Solo oggi, i pochi curiosi che vogliono vedere, sbirciando al di là dei confini tracciati dai banchi di scuola, cominciano a comprendere, unendosi alla cerchia dei pochissimi, al vertice della piramide, che invece la memoria non l’hanno mai persa.
Su questo punto ci sentiremo a inizio prossimo anno con coloro che mi faranno l’onore di leggere le 500 pagine del mio nuovo libro.
Il controllo “democratico” della memoria passata
Faccio però notare un dettaglio chiave, fondamentale, per comprendere quali possano essere i prossimi passi da fare, seguendo il filo rosso.
Da sempre, il controllo dell’informazione, della memoria passata e della realtà presente, sono la chiave, il segreto della buona riuscita nel governo, nel controllo delle masse:
«Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato».
Orwell “1984”
Si tratta di una strategia chiave, adottata in primis in quelle che oggi chiamiamo democrazie, in quanto esse, all’apparenza, si basano sul consenso popolare spontaneo, per cui il controllo dell’informazione diventa necessario, proprio perché propedeutico a maturare il consenso.
Ricordatevelo quando il prossimo governo eletto, come prima priorità assoluta e per il bene supremo del paese e dei sudditi, litigherà per la nomina dei direttori delle reti televisive nazionali.
Paradossalmente in una dittatura, il controllo dell’informazione diventa di secondo ordine, in quanto il consenso non è necessario, perché gli strumenti principe di controllo sono la paura e la repressione violenta.
La governance mondiale
L’attuale meccanismo di governance mondiale – e con questo non intendo ventilare l’esistenza di nessuna forma di complotto, ma semplicemente evidenziare quali siano gli strumenti di potere attuale, esercitati da chi, lo lascio decidere a voi – è semplice: chi controlla l’informazione, controlla il consenso popolare.
Peccato che l’informazione sia “antidemocraticamente” controllata da pochissimi, da chi ha i soldi, tanti soldi, molti di più di quelli che, perfino una grande economia mondiale, potrebbe mettere sul tavolo da gioco… la finanza.
L’élite finanziaria che controlla il pianeta
E chi sono questi “pochi”, pochissimi “eletti” (non dal popolo), che siedono al vertice di questa piramide, forse non a caso, sempre presente nel simbolismo finanziario, che è sotto gli occhi di tutti (mai visto un biglietto da un dollaro USA?)?
Non lo so, ma non sono i nomi che si leggono sui social, sui giornali e lo dico perché la logica suggerisce che un governo è tanto più potente quanto esso è invisibile, un potere è tanto più solido quanto impercettibile, il controllo sulle masse è tanto più efficace, quanto quest’ultime credono di poter decidere con la propria testa e coscienza e incondizionatamente, cosa sia giusto fare, senza rendersi conto che anche la mente più intelligente, senza il supporto di una corretta informazione, è prigioniera, un drone che vive l’illusione di liberarsi in volo, il cui telecomando è nelle mani di altri.
Permettetemi di condividere con voi un pensiero: la curiosità, la voglia o anche solo lo sforzo di leggere, di farlo da soli, non di ascoltare le parole degli altri, di indagare e cercare da soli la propria verità, sono il regalo più bello che potreste mai fare ai voi stessi, per smentire Orwell e disegnare davvero liberamente il vostro futuro.
Anunnaki e faide famigliari per il controllo mondiale…
Suggerisco di considerare in questa inverosimile indagine sulla presenza o meno di un governo del mondo, quello che ho ripetutamente evidenziato in Prima di Noi
È noto che nella mitologia di Sumer che descriveva la casta dei governanti (guardiani) del popolo (che saremmo noi, ovvero quelli del “giardino recintato”, il paradiso), il successore legittimo al potere era il figlio primogenito ottenuto dall’incesto del padre con la sorellastra e ciò prevaleva perfino sul primogenito nato dal matrimonio ufficiale.
Possiamo vedere la stessa tendenza dagli egizi e in altre culture, come quella ebraica, in cui sono noti matrimoni fra parenti stretti nella famiglia regnante.
A pagina 142 poi, si comprendono le radici di quella che, a tutti gli effetti, potremmo descrivere come una faida familiare all’interno di questa casta di governanti:
“La gerarchia di comando Anunnaki comprendeva Anu,…, Enlil, suo figlio erede al trono, il “Signore del comando”, … mentre Ea, il primogenito di Anu, era il “Signore delle acque”, comandante degli Igigi, anche conosciuto come Enki, “Signore della terra” e “Signore delle miniere”, nonché supremo scienziato.”
Troviamo quindi due fratelli, il minore dei quali, per le apparenti bizzarre regole di successione “mitocondriale”, ereditò il potere, a discapito del sapiente e qualificato primogenito, il signore del caduceo, i due serpenti attorcigliati, simbolo della scienza medica ancora oggi, dando il via a un’eterna faida familiare, che ha visto contrapposti i membri delle due famiglie, uniti nell’intento di governare il mondo, ma divisi in un’eterna lotta interna di potere.
L’antica faida ai giorni nostri
Trovate davvero così differente questa fotografia da quella attuale?
Del resto, le tracce di questa fantasiosa suddivisione antagonistica del mondo sono reali, palesi e evidenti anche ai nostri giorni, nelle usanze, nelle culture, nel simbolismo, nelle religioni.
Se volete sapere le zone d’influenza enkite, per esempio, è sufficiente verificare se il serpente o il dragone abbiamo un’accezione positiva in quelle aree, come in Cina e America Latina o viceversa se vale l’equazione serpente uguale male assoluto, come per esempio accade dalle nostre parti.
A volte basta anche uno sguardo alla bandiera nazionale: se vi trovate un’aquila, magari a due teste, ebbene quello è “l’uccello nero” di Ninurta, il figlio “guerriero di Enlil, la cui ombra si proietta, immutata ancora ai nostri giorni, su tutti noi.
Questa guerra latente, combattuta come sempre per mano e sangue altrui, il nostro (sarà mica un caso che Yhwh era un guerriero e che di guerra è intriso il Vecchio Testamento?), è sfociata in un conflitto aperto tra le due fazioni.
Enkiti e enliti
Un ultimo dettaglio, di grande importanza, anche se sempre ipotetica, è costituito dal fatto che l’atteggiamento di queste due fazioni rivali nei nostri confronti è sempre stato diametralmente opposto:
• se da un lato gli enkiti ci hanno sempre paragonato a dei “figli”, anche se chiaramente di rango inferiore, potremmo dire quasi dei “figli minori” e conseguentemente hanno cercato di prendersi cura di noi, di trasmetterci ampie porzioni delle loro conoscenze,
• gli enliti hanno dimostrato in ogni modo un certo distaccamento, in pratica trattandoci come bestie da soma, tranquillamente sacrificabili senza batter ciglio.
Purtroppo, l’evento catastrofico planetario menzionato sopra ha colpito molto più duramente le radici del potere enkita, lasciando conseguentemente ampi spazi negli ultimi millenni a quello enlita e consentendogli di dispiegare la propria strategia nel mondo, conquistando ampie aree d’influenza.
Libertà d’informazione
Abbiamo scherzato un pochino, giocando con la fantasia, per sdrammatizzare questo momento così cupo, che tutti noi viviamo.
Rimane la mia convinzione che ognuno si debba conquistare la libertà informandosi… Mi permetto di suggerirvi di regalare un pizzico d’informazione differente a voi stessi o alle persone care, durante queste “vacanze astro solari”, dalla datazione postuma e posticcia, il mio libro “Prima di Noi”, edito da UNO Editori.
Un’ultima cosa: capisco che alcuni possano ritenere che strumenti di comunicazione come YouTube e Facebook siano tutt’altro che liberi, addirittura nelle mani del governo del mondo (ma che ipotesi stravaganti!!!), ma vi invito a riflettere su una possibile falla nel macchinoso programma di controllo dell’informazione…
Anche noi, qualora decidessimo di usarla questa “testa nera”, potremmo trarre vantaggio da quegli stessi strumenti per cercare la verità.
Seguiteci, iscrivendovi al canale YouTube e al gruppo Facebook:
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1 Capitolo 8, a pagina 440
2 su uno studio del Politecnico Federale di Zurigo, effettuato su 40.000 aziende di livello mondiale.
3 D. MacKenzie, A. Coghlan, Revealed – the capitalist network that runs the world, NewScientist, 19 ottobre 2011; https://www.newscientist.com/article/mg21228354-500-revealed-the-capitalist-network-that-runs-the-world/
4 Tratto da Prima di Noi, pagina 441
5 J. F. Hylan, Hylan adds Pinchot to presidency list; foresees a revolt, The New York Times, 10 dicembre 1922, Chicago. https://timesmachine.nytimes.com/timesmachine/1922/12/10/109339923.pdf
6 ma paradossalmente non nel Capitolo 8 che ne parla, ma nel Capitolo 3, a pagina 142, all’inizio del viaggio che con quel libro ho voluto descrivere, attraverso una storia alternativa.
Autore: Massimiliano Caranzano
Massimiliano Caranzano, nato a Loano nel 1968, laureato in Ingegneria Elettronica, esperto di Information Technologies, Intelligenza Artificiale e speaker in eventi di livello mondiale. Autore di libri sulle tematiche energetiche e la salvaguardia ambientale, coltiva da oltre quarant’anni un interesse particolare per la ricerca delle vere origini dell’umanità.
FONTE: https_unoeditori.com/?url=https%3A%2F%2Funoeditori.com%2Fil-governo-mondiale-e-anunnaki-una-faida-millenaria%2F%3Fectid%3D264259%26ectmode%3Dcampaign%26ectttl%3D7
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Artuzov: uno dei fondatori del controspionaggio sovietico
I successi della Čeka, la polizia segreta sovietica, l’organismo di sicurezza dello stato sovietico che nel primo decennio della sua esistenza si rivelò essere il servizio di intelligence più efficace al mondo, sono universalmente riconosciuti.
Le operazioni più produttive della Čeka all’estero e all’interno del Paese, sono associate al nome di Artur Christianovič Artuzov, la cui vita fu assurdamente interrotta nel 1937.
Il suo vero cognome era Frauchi. Il padre di Artur, Christian Frauchi, lasciò la Svizzera e nel 1881 si stabilì in Russia, nella provincia di Tver’, nella tenuta del proprietario terriero Popov.
In seguito dovette trasferirsi in altre tenute nobili. Ciò era dovuto al fatto che Christian Frauchi era un esperto delle antiche tecniche di produzione del formaggio. Nel periodo pre-rivoluzionario, non c’era miglior casaro di lui in tutta la terra di Tver’.
A proposito, nel villaggio di montagna svizzero di Gstaad (un’ora di macchina da Berna) ci sono tuttora diverse famiglie di cognome Frauchi, e sono tutte titolari di caseifici di quarta o quinta generazione.
Il 17 febbraio 1891, dal matrimonio di Christian Frauchi con l’affascinante Augusta Didrikil (nelle vene di questa ragazza si mischiava sangue lettone, estone e persino scozzese), nacque il primogenito, a cui fu dato il nome di Artur. Fu seguito da altre tre figlie e due figli.
Dopo essersi diplomato al ginnasio di Novgorod con una medaglia d’oro, avendo già perfettamente padroneggiato in casa le lingue francese e tedesca (e successivamente inglese), Artur, inaspettatamente per suo padre, entrò all’Istituto Politecnico di San Pietroburgo, dove iniziò a prepararsi per la carriera di ingegnere metallurgico. Aveva anche un altro sogno nel cassetto: diplomarsi al conservatorio come cantante lirico.
Ma il figlio dell’immigrato svizzero non divenne né un tenore, né un ingegnere. Da studente, Artur partecipò a circoli bolscevichi illegali. E quando scoppiò la Rivoluzione di Febbraio e poi di Ottobre, il giovane studente fece irrevocabilmente una scelta di vita: nel dicembre 1917 aderì al Partito bolscevico.
Poco dopo Artur Artuzov fu arruolato nella Čeka, la temibile polizia segreta sovietica. La prima missione che gli fu affidata fu quella di infiltrarsi nel cosiddetto “Centro nazionale”, le cui cellule ramificate a Mosca e Pietrogrado univano l’intellighenzia di mentalità monarchica e gli ufficiali militari.
Durante un’ispezione, una ragazza di 15 anni fu arrestata al mercato mentre cercava di sbarazzarsi di una pistola nascosta nel suo cappotto. Georgette (questo era il nome della ragazza), risultò essere la figlia di un ex cittadino francese Kürz, il quale in precedenza era stato utilizzato dalla Čeka come agente segreto. Durante una ricerca nell’appartamento di questo “professore di francese”, fu rinvenuto un nascondiglio in cui era conservato un archivio con dati di persone e rapporti di spionaggio.
Artuzov interrogò quest’uomo. Non esercitò alcuna pressione sull’arrestato, gli parlò con gentilezza e calma, ma in modo molto convincente, tanto che Kürz confessò che stava attivamente preparando una rivolta e, senza la minima coercizione, espose tutto ciò che sapeva sui piani dei ribelli. Sua figlia, a sua volta, raccontò ad Artuzov di una certa “signorina” i cui appunti, trovati durante la perquisizione, contenevano informazioni allarmanti sui piani degli oppositori del potere sovietico.
Il successo dell’operazione di liquidazione del “Centro Nazionale”, contribuì alla rapida crescita della carriera di Artuzov. Nel 1922, fu creato il Dipartimento di Controspionaggio e a capo di questa importante unità fu posto il trentenne Artuzov.
Agli agenti del controspionaggio furono assegnati compiti molto difficili. Tra questi vi erano quelli di contrastare i piani dei servizi di intelligence stranieri, compresi quelli di neutralizzare le loro azioni terroristiche in Unione Sovietica.
Meno di due anni dopo, nel suo rapporto alla direzione del Direttorato Politico dello Stato (OGPU) (il documento è datato novembre 1924), Artuzov scrisse: “Un certo numero di servizi di intelligence stranieri, come quelli polacchi, estoni e finlandesi sono interamente nelle nostre mani e agiscono secondo le nostre istruzioni. Inoltre, abbiamo un adeguato controllo dell’intelligence italiana.“
Le dichiarazioni del capo del Dipartimento di Controspionaggio non erano vuote spavalderie, si basavano su dati e documenti rigorosamente verificati. Dopotutto, gli specialisti del Dipartimento di Controspionaggio erano riusciti a decifrare cifre e codici, grazie ai quali alla Lubjanka venivano letti la maggior parte dei messaggi telegrafici inviati nei loro paesi dalle ambasciate straniere a Mosca.
L’abilità nel decodificare i messaggi in codice, mostrata da Artuzov e dai suoi uomini, così come la capacità di individuare rapidamente le organizzazioni segrete anti-sovietiche, sulle quali facevano affidamento i governi occidentali, è ancora studiata nelle scuole di intelligence di tutto il mondo, come un esempio di abilità operativa. Operazioni di questo tipo, svolte dal controspionaggio sovietico negli anni Venti, erano contraddistinte, secondo autorevoli analisti, da audacia, ampiezza, calcolo politico accurato.
Nel 1927, Artuzov lasciò l’incarico di capo del controspionaggio del Paese, assumendo la carica molto più modesta di assistente del capo della Direzione delle operazioni segrete del Dipartimento di Controspionaggio.
In seguito, dall’agosto 1931 al 1935, assunse la carica di capo del Dipartimento degli Esteri del Dipartimento di Controspionaggio, essendo riuscito a stabilire attività efficaci per raccogliere informazioni politico-militari e tecnico-militari nelle principali potenze del mondo occidentale, grazie anche all’ausilio di strutture parallele da lui stesso create all’estero.
Nella vita della sicurezza dello stato sovietico a cavallo degli anni ’30, giunse un periodo completamente diverso. Stalin e gli altri leader sovietici, perseguirono una rotta verso l’inasprimento della politica punitiva e usarono sempre più il Dipartimento di Controspionaggio come strumento per assicurare il processo di una violenta trasformazione della società. Dall’apparato dei servizi speciali venivano espulse (o trasferite a incarichi insignificanti) persone che, per le loro qualità morali, non si adattavano alle nuove realtà. Al loro posto arrivarono carrieristi senza scrupoli, pronti a inventare qualsiasi “piccola impresa” gradita alle autorità per la prospettiva di una promozione.
Il primo evento di tale portata nello smascherare i “nemici del popolo” fu il processo inventato nei confronti del cosiddetto “Partito industriale”, presumibilmente guidato dall’ingegnere Ramzin. Avendo colto la falsità e la deliberata falsificazione dei fatti da parte dell’accusa, Artuzov ne informò la dirigenza e fu immediatamente redarguito da Genrich Grigor’evič Jagoda, il quale a quel tempo ricopriva la carica di primo vicepresidente del Dipartimento del Controspionaggio.
E dall’estate del 1931, fu sviluppata in Unione Sovietica l’operazione “Primavera”, anch’essa attuata da Jagoda. Migliaia di coloro che prestarono servizio nell’Armata Rossa caddero sotto i colpi di rappresaglie immeritate, attuate non per paura, ma per la coscienza dei soldati di carriera. Diversi leader della Lubjanka, tra i quali Jan Olskij, Stanislav Messing, Efim Evdokimov, si espressero contro questa folle idea. Purtroppo, tutti condivisero il tragico destino delle persone in difesa delle quali si erano esposte.
Di questa folle repressione fu anche vittima Artur Artuzov, accusato di essere una spia tedesca. Fu così arrestato nel maggio 1937, nel suo ufficio al primo piano della casa n. 2 in Via Lubjanka.
Prima di allora, Artuzov insegnò per qualche tempo i suoi metodi di lavoro agli ufficiali dell’intelligence militare, essendo stato nominato vice capo della 4° Direzione (Intelligence) dello Stato maggiore dell’Armata Rossa. Poi rimosso dalle autorità sovietiche, svolse la modesta posizione di ricercatore presso l’8° Dipartimento (contabilità e archiviazione) dell’Amministrazione dello Stato Maggiore.
Lo studio su larga scala che aveva iniziato sulla storia del controspionaggio, rimase incompiuto e irrevocabilmente perduto. Le ultime righe, scritte da Artuzov in una cella di prigione, furono quelle scritte con il suo stesso sangue che scorreva dal naso rotto durante l’interrogatorio. In queste righe è scritto: “Signor Giudice! Ho le prove che non sono una spia tedesca….” Ma nel mentre scriveva queste parole, evidentemente qualcuno giunse nella sua cella. Infatti, in seguito la nota di Artuzov, si interrompe con queste parole: “Sono venuti per Artuzov …“.
Fu fucilato il 21 agosto 1937, lo stesso giorno in cui fu firmata la condanna a morte.
La riabilitazione postuma di Artuzov ebbe luogo nel 1956. In seguito furono riabilitati tutti i suoi compagni d’armi partecipanti alle leggendarie operazioni, ma che purtroppo furono torturati e fucilati.
Luca D’Agostini
FONTE: http_www.madrerussia.com/?url=http%3A%2F%2Fwww.madrerussia.com%2Fartuzov-uno-dei-fondatori-del-controspionaggio-sovietico%2F
Politicamente corretto: la psicosi antirazzista censura anche i classici Disney
Enrica Perucchietti – 31 01 2021
Disney ha deciso di cavalcare il revisionismo moralista della “cancel culture” rimuovendo dagli account dei bambini fino ai 7 anni tre classici amati come Peter Pan, Gli Aristogatti e Dumbo.
VIDEO QUI: https://youtu.be/60wQCqJh0QI
FONTE: https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=60wQCqJh0QI
ECONOMIA
Jeff Bezos lascerà quest’anno la guida di Amazon
2 02 2021
L’azienda ha comunicato che resterà presidente del consiglio d’amministrazione e che il nuovo CEO sarà Andy Jassy
Jeff Bezos lascerà il posto di CEO di Amazon (l’equivalente del nostro amministratore delegato) nella seconda metà del 2021: lo ha annunciato martedì l’azienda, indicando in Andy Jassy il suo successore. Jassy è attualmente il CEO di Amazon Web Services, la società di Amazon dedicata alla fornitura di sistemi di cloud computing.
Bezos ha 57 anni ed è il fondatore di Amazon, con cui è diventato uno degli uomini più ricchi del mondo e il personaggio più noto e simbolico delle rivoluzioni digitali di questi decenni, trasformando l’iniziale successo del sito di e-commerce in uno sviluppo esteso di servizi digitali e progetti tecnologici innovativi che hanno messo Amazon nel ristretto gruppo – Apple, Facebook, Google – delle grandissime aziende digitali che oggi governano vite ed
«In questo momento Amazon è nella sua fase più inventiva di sempre, e questo lo rende ottimo per questa transizione», dice una dichiarazione di Bezos diffusa insieme alla notizia. Bezos ha detto che non facendo più il CEO di Amazon avrà più tempo da dedicare ad altre sue società, come il quotidiano Washington Post e la sua azienda spaziale Blue Origin.
FONTE: https://www.ilpost.it/2021/02/02/jeff-bezos-dimissioni-amazon/
Zanni: la bozza del Recovery Plan italiano è un simbolo del Fallimento
Marco Zanni ci spiega che cosa è veramente il Recovery Plan presentato dall’Italia alla Commissione per ottenere i famosi “Recovery Fund”, su cui tanto spera il governo. Peccato che questo piano presentato sia retorico, senza soluzioni concrete, pieno di aria fritta e di slogan, ma senza niente di pratico. Mancano i numeri, manca la lista delle cose da fare e questo è preoccupante perchè i soldi del Recovery Fund non sono gratis, ma sono.
- o prestiti, da ripagare con gli interessi;
- o “Grant”, che saranno però pagate da maggiori tasse dei cittadini europei.
In realtà il Recovery Fund si sta rivelando sempre più non uno strumento di sviluppo, ma di coercizione della nostra economia.
Buon ascolto e ringraziamo inriverente.
VIDEO QUI: https://scenarieconomici.it/zanni-la-bozza-del-recovery-plan-italiano-e-un-simbolo-del-fallimento/
Ci rovinano con il catasto: ecco chi vuole la “batosta”
Dall’ex ministro Visco a Bankitalia, passando per Pd e Bruxelles: la casa è davvero nel mirino. Ecco cosa può succedere
Bisogna fare molta attenzione ai contenuti di ciò che emergerà da questo fantomatico “programma di governo” su cui si sta giocando “l’osso del collo”, per citare Renzi, Giuseppi e la sua corte dei miracoli.
A muoversi non sono solo poltrone, nomi e “Casalini”, ma anche idee e progetti per il futuro (nemmeno tanto lontano) in chiave Recovery Fund. Sappiamo già per certo che nelle raccomandazioni di Bruxelles all’Italia per staccare l’assegno da 209 miliardi ci sono anche due riforme cruciali: quella previdenziale con “piena attuazione della Fornero” e quella del catasto. Ed è proprio su questo ultimo punto che pare stia sorgendo una convergenza di interessi da più parti.
Chi tifa stangata catasto
A tifare “nuovo catasto” c’è sicuro Bruxelles, ma da qualche tempo anche Bankitalia ha messo gli occhi sugli immobili. Se qualcuno avesse dei dubbi sul vento che tira in via Nazionale, basta leggere qui di seguito le parole di Giacomo Ricotti, Capo del servizio assistenza e consulenza fiscale di Bankitalia, ascoltato dalle commissioni Finanze di Camera e Senato nell’ambito della indagine conoscitiva sulla riforma dell’Irpef: “Dati i vincoli del nostro bilancio pubblico, un maggiore prelievo sul possesso di immobili per finanziare un minor carico sui fattori produttivi potrebbe rappresentare un’opzione di riforma favorevole alla crescita”.
I “vampiri” del catasto
A questo vanno aggiunte le recenti parole di Mario Monti che aveva chiesto un intervento piuttosto pesante dal punto di vista fiscale per accordare la fiducia a Giuseppi: “Riforma fiscale, con adeguato spazio alle semplificazioni, ad un fisco ‘friendly ma non troppo’ verso i contribuenti, alla necessità di salvaguardare la competitività ; ma anche, senza pregiudizi in alcuna direzione, ai temi che solo in Italia sono considerati tabù, temi che tutti i partiti, pavidi, non osano neppure pronunciare : imposta ordinaria sul patrimonio, imposta di successione, imposizione sugli immobili e aggiornamento del catasto, imposizione sul lavoro, ecc.”. Una lista horror che potrebbe entrare nell’agenda di governo. Ma occhio, anche Vicenzo Visco, ex ministro del Tesoro, in audizione sull’Irpef punta sul catasto: “Il sistema fiscale italiano necessita di una organica manutenzione. L’irpef è l’esempio più evidente delle difficoltà attuali del sistema. I redditi dei terreni e fabbricati “vengono tassati in base a valori catastali obsoleti, non rappresentativi e molto inferiori rispetto ai valori attuali”, osserva. Mentre i redditi da capitale “sono esclusi dalla base imponibile”.
Il piano “rosso” per la riforma
Insomma un chiodo fisso: il futuro delle nostre tasche passa dal catasto. Ma a rafforzare l’idea che a sinistra e nelle stanze dei tecnici si stia preparando un vero e proprio assalto alla casa, bisogna tornare indietro di un mese, a dicembre, quando un esponente di peso del Pd come Nannicini suggeriva su Linkiesta di forzare la mano: “Volete fare davvero qualcosa di sinistra? Riformate il catasto”. E ancora: “La patrimoniale sulla ricchezza immobiliare già c’è. Si chiama IMU e ha due problemi: il buco sulla prima casa indipendentemente dal suo valore (sì, lo so, è stato un errore fatto nella scorsa legislatura) e le tante iniquità che derivano da rendite catastali non aggiornate. Ci sono case nei centri urbani che hanno valori troppo bassi, case in periferia che hanno valori troppo alti. Non è un tema che dovrebbe interessare la sinistra?”. E a quanto pare la sinistra si sta davvero interessando degli immobili al punto che Leu e dem avevano tentato il blitz con una patrimoniale solo qualche mese fa. Ora l’incubo potrebbe tornare obbedendo al diktat “ce lo chiede l’Europa”. E le nostre tasche ancora una volta rischiano di saltare per aria.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/economia/ci-rovinano-catasto-ecco-chi-vuole-batosta-1920872.html
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
1° passo – L’elefante nella stanza: la moneta
Questo è il 1° passo di un percorso di consapevolezza costituito da n.12 passi complessivi, con i quali vogliamo aumentare la consapevolezza di tutti sui temi economici e monetari. Buona lettura e visione. Un’espressione tipica della lingua inglese è “The Elephant in the room”, cioè “L’Elefante nella stanza”, utilizzata per indicare una verità che, per quanto ovvia e appariscente, viene da tutti ignorata o minimizzata.
“L’Elefante nella stanza” è costituito da una serie di fatti economici ormai evidenti che è completamente ignorata dalla maggior parte delle persone, le quali seguitano ad avere una percezione errata della realtà, perché vivono una vera e propria dissonanza cognitiva tra le proprie convinzioni radicate e le evidenze contrastanti che si palesano continuamente, ma che seguitano ad essere ignorate.
Le dissonanze cognitive in ambito economico e monetario
Facciamo degli esempi di dissonanza cognitiva in ambito economico e monetario, partendo da una serie di convinzioni economiche radicate che affollano la nostra mente:
- lo Stato non può creare denaro;
- se si crea denaro si genera inflazione;
- il bilancio dello Stato è come quello di una famiglia;
- uno Stato che ha un alto debito pubblico, rischia di fallire;
- lo Stato italiano deve chiedere i soldi in prestito ai mercati finanziari;
- il debito pubblico deve essere restituito perché altrimenti graverà sulle spalle dei nostri figli.
Ho provato molte volte a chiedere ai miei interlocutori una spiegazione razionale del motivo per cui queste affermazioni sono entrate nella loro testa e sono così radicate, ma mi sono accorto che nella maggior parte dei casi queste convinzioni sono come degli assiomi: è così perché tutti dicono che è così e quindi non può non essere vero.
Vediamo ora quali sono le evidenze ormai palesi a tutti, che sono contrarie alle convinzioni radicate che affollano la nostra mente senza riuscire a scalfire minimamente la nostra percezione della realtà:
- lo Stato può creare denaro, basta che dichiari di accettarlo per pagare le tasse;
- da anni la BCE crea enormi quantità di denaro e l’inflazione rimane vicina allo zero;
- lo Stato non è come una famiglia perché può imporre tasse e creare denaro per pagarle;
- il Giappone ha il debito pubblico più alto del mondo e non è considerato paese a rischio;
- lo Stato italiano può anche emettere titoli per le famiglie, che vengono sempre acquistati;
- il debito pubblico può essere monetizzato dalle banche centrali con il QE e non gravare sui nostri figli.
Quindi ci sono oggi molte evidenze a conoscenza di tutti noi, che mettono in crisi le nostre convinzioni radicate, creando appunto una dissonanza cognitiva, che però solo in pochissimi soggetti si risolve con il cambiamento della convinzione radicata. Nella maggior parte delle persone la dissonanza si risolve in maniera diversa e in senso negativo:
- negando l’evidenza, tipo “è vero che gli Stati possono creare denaro, ma l’Italia non lo può fare“;
- inventando un effetto negativo falso per l’evidenza, tipo “se lo Stato crea denaro, espropria i cittadini“;
- negando la convinzione radicata e sostituendola con un’altra, tipo “se lo Stato crea denaro, allora genera inflazione“.
Un tipico esempio di dissonanza cognitiva risolta in senso negativo è rappresentato dal celebre racconto “La volpe e l’uva”, tratto dalle Favole di Esopo, in cui la dissonanza fra il desiderio dell’uva e l’incapacità di arrivarvi conduce la volpe a elaborare la conclusione che “l’uva è acerba”, in sostanza sostituisce la convinzione radicata con un’altra falsa per fare in modo che sia compatibile con l’evidenza.
Una risposta che mi sento sempre ripetere quando evidenzio la dissonanza cognitiva mettendo a confronto la convinzione radicata con l’evidenza che la mette in crisi, è la frase “ma ti pare che se fosse così semplice, non l’avrebbero già fatto ?!?”.
Di tutte le evidenze che abbiamo illustrato, quella che afferma che lo Stato può creare denaro è certamente la più grande di tutte, perché entra in dissonanza cognitiva contemporaneamente con tutte le altre.
Lo Stato può creare denaro
In pratica nella nostra mente c’è un autentico “mammut”, un antenato degli attuali elefanti ma molto più grande, talmente grande che nessuno ne parla, perché provoca una dissonanza cognitiva con tutte le nostre convinzioni radicate in economia, ed è quindi così forte da risultare insopportabile e inconcepibile.
Possiamo evidenziarlo meglio con una semplice domanda:
Se il denaro non esiste in natura, come l’aria o come l’acqua, ma è solo uno strumento di scambio convenzionale creato per legge e accettato per il pagamento delle tasse, cosa impedisce allo Stato di crearlo ?
Nessun giornalista, politico o esperto economico proverà mai a fare questa domanda e meno che mai cercherà di dare una risposta, ammesso che ci riesca, perché tutti preferiscono pensare che lo Stato non può creare denaro e in questo modo seguitare a lasciare che sia qualcun altro a farlo, senza neanche porsi il problema se sia giusto che lo faccia oppure no.
La consapevolezza che lo Stato può creare denaro, da sola farebbe crollare come un castello di carte tutte le altre convinzioni radicate: il debito pubblico, la spread, la necessità dei mercati finanziari, i vincoli di bilancio, il fiscal compact, il MES, il Recovery Fund, le politiche di austerity, ecc… Si scioglierebbero come neve al sole, rendendo evidente che il denaro è una convenzione che solo lo Stato può creare, anche oggi con l’Euro.
La questione però è molto complessa da capire e poco adatta alle persone che non si fanno domande, quelle che accettano di buon grado tutto ciò che raccontano i telegiornali o i talk-show. Quelli, per intenderci, che si mettono la mascherina perché pensano sia giusto non causare danni alle altre persone, senza neanche domandarsi se ciò sia vero oppure no.
Ci sono però molte persone che oggi si stanno cominciando a fare domande, perché non credono alla versione ufficiale del mainstream, ma per rispondere a queste domande bisogna conoscere a fondo diversi aspetti economici, giuridici e monetari molto complessi, che spesso sono dispersi all’interno di tante “fake news”, dalle quali è difficile distinguerli.
Per tutti loro ho deciso di proporre un percorso di consapevolezza sui temi economici e monetari che permetta a tutti noi, e forse anche a me attraverso i vostri commenti, di “accordare” i nostri pensieri perché riescano a suonare una musica “unica” su questi temi, come i tanti strumenti diversi di una orchestra, che solo dopo aver provato molte volte insieme, sono in grado di suonare tante musiche diverse ma che “risuonano” fra di loro come fossero una musica unica ma molto più complessa e completa.
Il percorso di consapevolezza sui temi economici e monetari si articola in n.12 passi, accompagnati anche da altrettanti video di spiegazione, che individuano un tracciato semplice e chiaro per arrivare a capire cosa c’è di sbagliato nel sistema attuale e come possiamo fare per cambiarlo.
I video sono una rielaborazione di un ciclo di n.24 video che ho realizzato l’anno scorso negli studi di Money.it, che ringrazio, ma che in seguito ho ridotto a n.11 video per eliminare volutamente le parti inutili e ridondanti che rendevano il percorso accidentato.
Alla fine aggiungerò un dodicesimo video finale conclusivo, che recepirà anche tutte le argomentazioni che saranno state evidenziate da voi nei commenti e nelle discussioni che spero seguiranno.
Non esiste la realtà, ma solo la nostra percezione.
Quante volte nella nostra vita quotidiana, ascoltando il racconto di persone che hanno vissuto con noi una stessa identica situazione, ci viene il sospetto di aver vissuto esperienze diverse, tanto sono diverse le sensazioni che ciascuno di noi ha provato.
Questo avviene perché ciò che vediamo è sempre filtrato dai nostri sensi, ma soprattutto viene rielaborato ed interpretato dal nostro cervello in modi diversi a seconda dei nostri giudizi, pregiudizi e convinzioni radicate, ma anche dei nostri preconcetti, abitudini e sentimenti negativi o positivi.
Tra l’altro noi siamo condizionati non solo da ciò che pensiamo, ma anche e soprattutto da ciò che pensano gli altri intorno a noi, a tal punto che se tutti pensano siano giuste le convinzioni radicate che abbiamo elencato, facciamo fatica pensare diversamente, perché per farlo dovremmo avere una tale conoscenza di questi temi, da riuscire ad argomentare e superare tutte le obiezioni preconcette e preconfezionate che ci verranno fornite.
È sicuramente molto più facile e più comodo omologarsi al pensiero prevalente, anziché ragionare con la propria testa e cercare ogni volta di seguirà la verità della nostra coscienza e conoscenza.
Perché per riuscire in questo intento, bisogna avere una consapevolezza talmente approfondita dei temi economici e monetari, da riuscire a sostenere facilmente una tesi contro il pensiero unico corrente, impresa certamente non facile.
Per superare questa sfida, abbiamo deciso di creare un percorso di consapevolezza semplice e chiaro, che possa dare a tutti gli strumenti per affrontare con la propria testa ed i propri ragionamenti, qualsiasi discussione e con chiunque altro vi capiti a tiro, dalla casalinga o casalingo di Voghera fino all’esperta o all’esperto economico di turno, interpreti del pensiero mainstream.
Ma c’è un altro motivo per cui abbiamo deciso di realizzare questo percorso di consapevolezza.
Se è vero che non esiste la realtà, ma solo la nostra percezione, ci sono due corollari a questa affermazione che sono molto più importanti e che ci possono far riflettere:
- per cambiare la realtà che ci circonda, è sufficiente che ognuno di noi cambi la propria percezione;
- per cambiare la società, è sufficiente che un gruppo di persone cambi la percezione di ognuno contemporaneamente e tutti nella stessa direzione.
Questo è un argomento che riprenderemo negli ultimi passi del percorso di consapevolezza sui temi economici e monetari, oggi è prematuro perché dobbiamo ancora fare il nostro 1° passo.
1° Passo – La nostra percezione della moneta
In questo 1° passo ci limitiamo ad analizzare da diversi punti di vista la nostra percezione del denaro, attraverso i seguenti argomenti, che troverete maggiormente sviluppati nel video, con semplici e chiare slide di accompagnamento, che ci permetteranno di affrontare alcuni argomenti chiave che riguardano la nostra percezione della moneta.
Il Mito della Caverna di Platone
La nostra condizione oggi non è molto cambiata dai tempi di Platone, noi siamo ancora incatenati in fondo ad una caverna, costretti a guardare schermi televisivi che ci raccontano sempre la stessa storia: lo Stato non ha i soldi e il debito pubblico deve essere ripagato. Ma la verità è ben diversa;
Il cambiamento inizia da noi stessi
Per uscire dalla caverna e comprendere la verità, dobbiamo cambiare la nostra percezione del denaro, dell’economia e del debito pubblico, perché condizionano fortemente la nostra percezione di noi stessi, degli altri e della società, impedendoci di cambiare la realtà;
Cosa fa funzionare il sistema economico
Il percorso inizia dalle basi, analizzando i motivi per cui la moneta è così importante all’interno sia dell’economia reale e che di quella finanziaria, ma soprattutto perché noi la accettiamo negli scambi economici.
Che cos’è la moneta
Definizione della moneta, quale unità di misura del valore e anche come strumento di pagamento nello scambio di beni e servizi, analizzando le funzioni principali e secondarie svolte all’interno del nostro sistema economico e monetario: strumento di scambio, pagamento delle tasse e riserva di valore.
In conclusione
Per comprendere meglio le conseguenze della moneta oggi nel nostro sistema economico, è molto utile fare una analogia con il sangue che circola all’interno del corpo umano, perché ci fa capire come e perché il denaro attualmente rischia di “dissanguare” la nostra economia, sottraendo risorse a causa del pagamento di interessi su tutta la moneta che usiamo.
Buona visione del video.
VIDEO QUI: https://youtu.be/vOJpnZRga1Y
Il percorso che iniziamo oggi ha come obiettivo quello di aumentare la nostra consapevolezza sui temi economici e monetari, ma permette anche di individuare le soluzioni concrete e realizzabili per uscire dalla crisi economica. Solo in questo modo possiamo progettare e realizzare un futuro migliore per noi e per i nostri figli, permettendo a tutti di raggiungere un benessere equo e sostenibile.
Perché LORO non molleranno facilmente, ma NOI NON MOLLEREMO MAI.
La moneta sarà di proprietà dei cittadini e libera dal debito.
© Fabio Conditi – Presidente dell’associazione Moneta Positiva
FONTE: https://scenarieconomici.it/1-passo-lelefante-nella-stanza-la-moneta/
Sì, certo, ci sono i moscerini, i millennial trader, gli investitori “improvvisati” che stanno macinando soldi con le azioni di GameStop. Lo scorso aprile il titolo valeva tre dollari, a metà gennaio poco meno di 20 e venerdì scorso 325. Una volatilità pazzesca che ha portato oscillazioni con punte da 500 dollari e una forbice di 400 bigliettoni ad azione nell’arco di una sola seduta. Ma, come già anticipavamo ieri, dobbiamo fare molta attenzione a bollare il fenomeno come la rivincita dei trader retail che alcuni hanno descritto come figure a metà strada tra “gli Enragés sanculotti del 1793” e “i cyberpunk anti-autoritari”. In loro difesa, quando la piattaforma RobinHood ha bloccato (ingiustamente) le contrattazioni per alcune ore, è scesa in campo anche la dem Alexandria Ocasio-Cortez, membro della commissione servizi finanziari della Camera Usa, accusando l’app di proteggere gli hedge fund lasciandoli “libero di scambiare azioni come meglio credono”. Lo scontro (se così lo possiamo definire) non ha fazioni ben definite e, in ogni caso, a vincere sarà sempre e comunque un sistema (IL Sistema per eccellenza, quello finanziario) svincolato da qualsiasi regola in grado di proteggere i piccoli investitori dai grandi fondi di investimento.
“Le montagne russe di GameStop mostrano cosa può accadere quando il mercato azionario viene giocato come un casinò e la Sec non può o non vuole fermare la manipolazione del mercato”. Elizabeth Warren milita nello stesso partito di Ocasio-Cortez, ma la pensa diversamente. “Se vogliamo un mercato azionario sano, abbiamo bisogno di un poliziotto di turno per fare il proprio lavoro”. Che l’argomento abbia spaccato letteralmente la politica d’oltreoceano lo si capisce dal sostegno che la deputata 31enne ha incassato dal senatore repubblicano Ted Cruz. A gettarli nella mischia è stata l’improvvisa decisione di RobinHood di intromettersi nelle contrattazioni riducendo o addirittura bloccando le transazioni di molti utenti. Un intervento che da molti è stato letto come un aiuto alla Finanza ribassista messa in difficoltà dall’ondata rialzista partita su social media come WallStreetBets di Reddit. La Sec e la Federal Reserve dovranno far luce sul comportamento della app creata otto anni fa da due laureati di Stanford, Vladimir Tenev e Baiju Bhatt, sulla scia delle proteste del movimento Occupy Wall Street.
“Per proteggere l’azienda e i nostri clienti, abbiamo dovuto limitare l’acquisto di queste azioni – ha spiegato Tenev alla Cnbc – siamo una società di intermediazione e abbiamo molti requisiti finanziari”. Tra questi anche i depositi nelle stanze di compensazioni che nei giorni scorsi hanno dovuto rimpinguare chiedendo a sei banche un credito da oltre un miliardo. Non solo. Secondo una fonte anonima sentita dal New York Times, il ceo avrebbe chiesto anche l’intervento degli investitori “per assicurarsi di non dover porre ulteriori limiti al trading”. Lo scorso giovedì notte si è tenuto un tavolo d’urgenza per negoziare le nuove partecipazioni. Alla riunione erano presenti anche le società di venture capital Sequoia Capital e Ribbit Capital. “Questo è un forte segno di fiducia da parte degli investitori – ha commentato Josh Drobnyk – ci aiuterà a continuare a servire ulteriormente i nostri clienti”. Sarà. Chi ha deciso di venire incontro alle esigenze di RobinHood non solo riceverà una maggiore partecipazione nella società ma, come spiega il New York Times, “otterranno azioni a prezzo scontato” quanto Tenev deciderà di quotare l’app. E l’Ipo potrebbe avvenire molto presto. Secondo gli insider non oltre la fine di quest’anno. La società, che ha sede nella Silicon Valley e vanta investitori come DST Capital, New Enterprise Associates, Index Ventures e Andreessen Horowitz, è sempre più nell’occhio del ciclone: se a maggio contava 13 milioni di utenti, la scorsa settimana l’App Store di Apple aveva al primo posto proprio RobinHood (anche grazie al tweet “Gamestonk!!” di Elon Musk).
La purezza di RobinHood non è stata messa in discussione solo per la decisione di bloccare certe operazioni per alcune ore. Ci sono alcuni intrecci che spingono l’app dalle aspirazioni anti-sistema proprio nelle braccia del Sistema. Dietro ai suoi profitti c’è anche la vendita dei flussi degli ordini dei trend degli investimenti. A chi vanno queste informazioni? Ovviamente agli stessi fondi che i millennial trader pensano di combattere sui forum di Reddit. Una su tutte la Citadel, un hedge fund di Chicago creato da Ken Griffin e che è tra i finanziatori di Melvin Capital, altro fondo capitanato da Gabe Plotkin che nel solo mese di gennaio ha bruciato il 53% del proprio capitale investito. E questo, come spiega il Wall Street Journal, nonostante Citadel e Point72 Asset Managament siano corsi a iniettare altri 2,75 miliardi di capitale. La lista dei caduti in battaglia è lunga: si stima un “buco” da oltre 40 miliardi di dollari. Ma chi ha guadagnato? “Siamo davvero convinti che dietro a i piccoli trader non ci siano altri hedge fund che muovono grandi volumi per mettere sotto scacco altri fondi di investimento?”, si chiedeva ieri Ulisse Severino, banker di Banca Mediolanum. E infatti… ecco alcuni nomi di chi ora si sta godendo l’ondata rialzista su GameStop: BlackRock, Fidelity FMR e Vanguard. Secondo il sito Investor’s Business Daily, che ha elaborato le posizioni segnalate a S&P Global Market Intelligence, almeno nove hedge fund ci avrebbero guadagnato la bellezza di 16 miliardi di dollari contro i 19,75 bruciati dai ribassisti. “Il futuro finanziario di GameStop non è poi così brillante – spiega Matt Krantz – ma è ancora un membro dell’indice S&P Small Cap 600 e Russell 2000. Di conseguenza, i fondi small cap e gli ETF di grandi indici sono costretti a possederlo”. I fondi non sono gli unici ad essersi arricchiti: ci sono importanti investitori come Keith Patrick Gill (il 34enne youtuber che il grande pubblico conosce col soprannome di “Roaring Kitty” ma che nel suo cv ha un passato da consulente finanziario in MassMutual) e il co-fondatore di Chewy, Ryan Cohen.
La partita, insomma, non è così semplice come vorrebbero farci credere. E lo dimostra il fatto che nelle ultime ore il rally mosso dalla community di Reddit ha spostato la propria attenzione sull’argento facendo registrare sul Comex rialzi del 13% a 30,35 dollari l’oncia. D’altra parte, GameStop non è certo stato l’unico titolo pompato all’inverosimile da trader rialzisti. Lo stesso “giochino” ha interessato titoli come AMC, Blackberry e Nokia e racconta molto bene la prateria senza regole della Finanza di Wall Street.
FONTE: https://it.insideover.com/reportage/economia/tutti-gli-intrighi-della-finanza-dietro-il-casino-di-wall-street.html
GIUSTIZIA E NORME
Inchieste e trame tra giudici e politici: ecco tutta la verità di Palamara
In un libro con Sallusti l’ex capo dell’Anm racconta la verità dietro le inchieste su Quirinale, Berlusconi, Renzi e Salvini
Il governo Conte due cade oggi per sua debolezza ma anche, e non è una coincidenza, perché stava andando a sbattere sull’iceberg della giustizia (domani è in agenda il voto sulla riforma Bonafede) che da sempre si muove ingombrante e minaccioso nei mari della democrazia italiana.
Da oltre vent’anni i due mondi, politica e giustizia, si intrecciano e si scontrano, ma quello che ci è stato dato di vedere – e già non è poco – è solo la parte emersa del fenomeno. Per tutto questo tempo sotto il pelo dell’acqua, e quindi lontano da occhi indiscreti, è in realtà accaduto di tutto e di più. E c’è un uomo, Luca Palamara, magistrato radiato un anno fa in seguito a un’inchiesta che lo ha riguardato, che di quel sistema occulto è il depositario di verità e segreti per esserne stato il regista dal 2008 al 2019.
Luca Palamara è stato il pilota di quell’iceberg e, di volta in volta, insieme al suo Stato Maggiore e al suo equipaggio, ha scelto chi puntare, chi schivare e chi investire dentro la magistratura e nella politica. Oggi ha deciso di aprire il suo ricco archivio e ne è nato un libro, Il Sistema – potere politica e affari Storia segreta della magistratura italiana (edizioni Rizzoli, 300 pagine, 19 euro), che per la prima volta squarcia lo spesso e impenetrabile velo di omertà dietro il quale la magistratura ha coperto fatti e a volte misfatti. È una lunga intervista che Palamara mi ha concesso, io e lui appartati soli per settimane, circondati da faldoni di documenti, appunti e migliaia di messaggini telefonici ed email estratti dal suo telefonino e dal suo computer.
Quanto tutto ciò ha influito sulle inchieste e sui processi che hanno terremotato la politica italiana, da quella che fece cadere il governo Prodi-Mastella a quelle su Berlusconi fino a quelle che hanno messo alle strette prima Matteo Renzi e poi Matteo Salvini? Qual è la verità sui casi di magistrati finiti a vario titolo nell’occhio del ciclone (De Magistris, Ingroia, Di Matteo), quale il ruolo del presidente Napolitano e di Gianfranco Fini nella stagione dell’antiberlusconismo giudiziario, e ancora quale il trattamento riservato ai magistrati che, sfidando il Sistema, hanno osato indagare sui leader della sinistra?
Da oggi in libreria sono a vostra disposizione le risposte a queste e a tante altre domande che per anni ci siamo posti inutilmente, anche dalle colonne di questo giornale.
Una prima operazione verità di cui ringrazio Luca Palamara per aver accettato di farla e la Rizzoli per il coraggio di pubblicarla. Per chi vorrà, buona lettura.
IMMIGRAZIONI
LA LINGUA SALVATA
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
PANORAMA INTERNAZIONALE
POLITICA
Chiamateci quando avete finito
«Questa non è politica, non si può annoiare la gente all’estero con questa roba», ha scritto qualche giorno fa Constanze Reuscher, nota giornalista tedesca corrispondente in Italia. Stava parlando della nostra crisi di governo, e non bisogna essere tedeschi per condividerne lo stato d’animo. Davanti ai toni drammatici con cui viene raccontata questa fase, infatti, credo di non essere l’unico a trovarsi spesso a sbadigliare, a cambiare canale, a non aver voglia di leggere niente. Non per repulsione o per disgusto, né per disinteresse per la grave situazione nella quale ci troviamo, bensì per manifesta irrilevanza di quello che stiamo vedendo. C’è una crisi di governo, e non è niente che meriti il nostro tempo e il nostro interesse.
Le conseguenze di ogni crisi di governo possono essere importanti, ma è abbastanza chiaro che le conseguenze di questa non lo saranno. La gestione italiana della pandemia è affidata prevalentemente a soggetti diversi dal governo nazionale – le regioni, il Comitato tecnico scientifico, il commissario; i contratti con le case farmaceutiche per i vaccini sono europei, eccetera – e le sue decisioni hanno ricalcato, a volte con anticipo e altre con ritardo, quelle prese dagli altri grandi paesi europei. La qualità e l’efficacia dell’intervento pubblico riflettono, nel bene ma più spesso nel male, le condizioni strutturali del paese, del suo sistema sanitario, della sua pubblica amministrazione, molto di più delle scelte politiche di questo o quel ministro. Lo stesso varrà per il Recovery Plan. Siamo l’Italia, abbiamo il paese e il Parlamento che ci meritiamo, a prescindere da chi si trova al governo: le cose possono cambiare, certo, ma non si diventa la Germania in qualche mese. È una questione collettiva, nazionale, di popolo: la politica è una conseguenza. D’altra parte il contesto di partenza era noto, anche prima della pandemia.
C’è un presidente del Consiglio che il giorno delle ultime elezioni era un completo sconosciuto, scelto dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega proprio in quanto completo sconosciuto per fare il capo del governo più euroscettico della storia della Repubblica. Il suddetto presidente chiese e ottenne la fiducia sostenendo in Parlamento che sovranismo e populismo siano buoni e giusti al punto da essere scritti nella Costituzione italiana: una bestemmia. Quando quell’alleanza finì, il suddetto presidente restò capo del governo: ma di un governo diverso e sostenuto da partiti diversi, stavolta Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, che fino al giorno prima si consideravano reciprocamente mafiosi, pedofili, analfabeti, complottisti, e giuravano che mai e poi mai si sarebbero alleati (uno di questi diceva proprio di non volersi alleare con nessuno: poi in due anni si è alleato con Salvini, Zingaretti, Renzi, Tabacci e D’Alema, e ora sta facendo la corte a Mastella).
Oggi che anche quell’alleanza è arrivata al capolinea, tra l’altro senza aver messo mano alle principali eredità politiche dell’alleanza precedente, il suddetto presidente del Consiglio – che intanto è passato a definire «imprescindibile» la propria «vocazione europeista» e presentarsi come l’ultimo baluardo contro «le derive nazionaliste e le logiche sovraniste», perché il mestiere richiede una certa faccia tosta – sta cercando di guidare un terzo governo sostenuto da una terza diversa alleanza, stavolta messa insieme raccogliendo un eterogeneo e improvvisato gruppo di senatori con un’operazione che sia il Partito Democratico che il Movimento 5 Stelle in passato avrebbero chiamato «mercato delle vacche» o «compravendita». Ma attenzione, perché l’ennesimo gruppo parlamentare composto da personaggi imbarazzanti e scappati-di-casa alla fine potrebbe anche non essere necessario: ci sono ottime possibilità che il nuovo governo alla fine sarà sostenuto dalla stessa maggioranza parlamentare del vecchio governo. I veti reciproci espressi perentoriamente qualche giorno fa, infatti, sono già stati superati: quando vale tutto, tutto vale niente. Il paese ha bisogno di risposte, è vero: ma chi dovrebbe dargliele? Facciamo che ci chiamate quando avete finito, dai.
Aggiornamento: la riflessione sulla crisi di governo prosegue qui, e parliamo della persona che l’ha innescata.
FONTE: https://www.francescocosta.net/2021/02/01/chiamateci-quando-avete-finito/
SCIENZE TECNOLOGIE
Il reddito minimo garantito nel nuovo mondo è una cessione di sovranità alle macchine?
L’influenza cinese ci sta aiutando a vedere come potrebbe essere il nostro futuro, quando il lavoro verrà svolto dalle macchine e dai robot mentre ai cittadini verrà dato un reddito minimo di sussistenza (MINIMO SUSSISTENZA), detto anche pasto gratis.
I grillini e i loro simili lo vedono come l’eldorado, perché – dicono loro – se noi non possiamo più lavorare (non vedono l’ora), perché saremo impegnati a evolverci culturalmente (lo dicono sul serio) allora chi comprerà le loro (dei produttori) merci?
Osserviamo la situazione a influenza cinese in corso:
attività ed aziende chiuse, la maggior parte delle persone non lavora e non consuma, quindi non può permettersi di vivere con più spesa di quella per la SUSSISTENZA.
Di contro i pochi distributori online si approvvigionano dall’unica economia pienamente in funzione: quella cinese.
Così in pochi si arricchiscono e tutti gli altri sopravvivono (ops, si sostentano) nella tristezza più totale, senza avere nulla da fare se non rincoglionirsi sui social e su Netflix.
Addio negozi, c’è Amazon; addio aziende, c’è la Cina – quindi addio lavoro.
Il mondo dei robot
Adesso ipotizziamo di essere fra vent’anni.
I robot hanno sostituito l’uomo nella maggior parte dei lavori.
I pochi produttori sono in grado di fare tutto da soli. Detengono le tecnologie, quindi il potere assoluto.
Niente negozi, c’è Amazon (o surrogato); addio aziende, ci sono i monopolisti della produzione automatizzata – quindi addio lavoro.
Che differenze dovrei notare?
Quello che i fans del reddito di cittadinanza, di sussitenza o minimo garantito non hanno capito
In quel tempo gli uomini credevano che le macchine si fossero impadronite del mondo.
In alcuni casi avevano sostituito gli umani nel ruolo degli umani, da quanto poco valevano quei soggetti che era necessario sostituire in tutto e per tutto purché non facessero danni.
Le aziende automatizzate fornivano persino case ed alloggi ai loro consumatori, a seconda di quanto spendevano per loro.
Le loro monete virtuali all’inizio erano state viste con molta diffidenza, persino prese per truffe, ma poi con il declino delle monete degli Stati, i grossi gruppi di investimento – i cosiddetti mercati – avevano disinvestito sulle vecchie valute e riversato ingenti somme su questo settore, andando così a incidere positivamente sulla loro credibilità e sull’andamento del curve di mercato esposte dai siti delle borse e dei giornali specializzati in finanza, fino agli schermi di tutte le persone che così presero fiducia verso quelle monete.
Il mondo delle macchine e dei consumatori che era stato dei cittadini
Come oggi valgono di più i like, in quel tempo contava di più chi aveva più clienti che utilizzavano la loro moneta privata.
Le macchine erano al centro di tutto
Grazie all’algoritmo giusto.
Anche il programma politico-organizzativo era stato ceduto all’efficienza dei calcoli svolti dagli algoritmi.
Il potere lo avevano quei pochi che quelle macchine le possedevano.
- Democrazia del liberismo o dell’essere umano?
- Reddito di cittadinanza e uomo del futuro. Ma chi immagina come sarà?
- Robot, la competizione con l’uomo è appena cominciata, ma che sarà del dopo?
- Economia 4.0: un mondo fatto a strati. Come sarà il tuo futuro?
- La capacità aumentata: l’universo del 4.0
- Stiamo entrando nella Ama-zone, pronti all’impatto
- Nel mondo del futuro useremo cuore e microchip per comunicare e non esisteranno politici
- Free lunch society, esegesi di uno specchietto per le allodole
- Reddito di cittadinanza, l’esca elettorale che ha messo in trappola la lotta di classe
fonti:
Miliardari sempre più ricchi con il Covid
Amazon dal fallimento di Amazon Fresh alla corsa verso nuovi negozi
In Cina sempre più miliardari
Amazon costruirà alloggi popolari
Amazon e il fondo di investimento per case popolari
FONTE: https://scenarieconomici.it/il-mondo-delle-macchine/
Un’inchiesta di Le Monde svela le pressioni subite dall’Ema per approvare i vaccini
I documenti riservati rubati durante l’attacco informatico all’Agenzia europea per i medicinali (EMA) il 9 dicembre 2020 stanno riaffiorando nel Dark Web. Il quotidiano francese Le Monde è riuscito a recuperarne alcuni, che riguardano soprattutto la valutazione del vaccino Pfizer-BioNTech. Tra questi, ci sono 19 email scambiate tra il 10 e il 25 novembre, alcune delle quali “manipolate” da hacker, secondo quanto riporta l’EMA in un comunicato. Tuttavia, l’Agenzia riconosce che «le email trapelate riflettono problemi e discussioni che hanno avuto luogo»: da cinque email si evincono le pressioni che l’EMA stava affrontando per approvare il vaccino il più velocemente possibile.
Il principale attrito riguardava le differenze qualitative tra i lotti commerciali e quelli utilizzati negli studi clinici. L’RNA, componente cruciale del vaccino, consente di produrre la proteina spike del virus. Mentre i vaccini utilizzati negli studi clinici avevano tra il 69% e l’81% di RNA “integrato”, i dati sui lotti commerciali evidenziavano una diminuzione del grado di integrità dell’RNA, con una media del 59%. Le differenze nell’esatta composizione dei vaccini erano probabilmente dovute al fatto che, per passare dalla fase clinica a quella commerciale, si era reso necessario cambiare i processi produttivi. L’EMA ha confermato che il problema è stato successivamente risolto, il che ha permesso all’Agenzia di approvare il vaccino. La Commissione Europea afferma che le discussioni «non hanno mai interferito in alcun modo con l’integrità della missione dell’EMA».
FONTE: https://www.notizieflash24.it/2021/01/18/uninchiesta-di-le-monde-svela-le-pressioni-subite-dallema-per-approvare-i-vaccini/
STORIA
Quando il confine fu venduto: il massacro nascosto di italiani
La storia di due fratelli, al termine della Seconda guerra mondiale, e il confine orientale ceduto ai titini
Nei Promessi Sposi, Alessandro Manzoni le aveva definite “gente meccaniche, e di piccol affare”.
Operai e artigiani che guadagnano poco e che sono, allo stesso tempo, attori e spettatori impotenti della grande Storia. È quello che succede quotidianamente attorno a noi, mentre il mondo sfreccia sempre più veloce. È quello che è successo a migliaia di italiani al termine della Seconda guerra mondiale, quando l’Italia, sconfitta, si vide costretta a cedere gran parte dei suoi territori orientali alla Jugoslavia di Josip Broz Tito. Chi, fino a quel momento, si sentiva parte del nostro Paese venne abbandonato oltre confine, in una terra che si faceva ogni giorno più ostile e che avrebbe visto la fuga di almeno 300mila connazionali. Una emorragia che sarebbe durata 13 anni – dal 1943 al 1956 – e che avrebbe preso il nome di esodo giuliano dalmata. Ma non tutti scapparono. A decine di migliaia finirono prima ammazzati e poi gettati nelle foibe, le cavità carsiche che tutto inghiottono.
È in questa cornice che, ne Il confine tradito (Leone editore), Valentino Quintana dipinge la storia dei fratelli Gherdovich, Giorgio e Mattia. Due personaggi sui generis. Il primo, prima di essere un fascista deluso, è un galantuomo che ama l’Italia. Il secondo, un partigiano “che imbraccia la visione del Risorgimento italiano ed europeo”.
Quando l’8 maggio del 1945 i titini entrano a Trieste, Mattia è in estasi: “Attendeva quel momento da anni: suo era il compito di raccontare ai triestini l’iniquità del Fascismo, esaltare la libertà e la lotta di liberazione e la tanto agognata resa dei tedeschi”. La realtà, come è noto, è però diversa. Per quaranta giorni i titini martoriarano Trieste: “I prelievi di persona da parte degli occupanti jugoslavi non cessavano e la gente continuava a parlare insistentemente del ‘Pozzo della Miniera’ di Basovizza, una voragine profonda 250 metri, nella quale, se ci riferiva alle voci correnti, 1200 persone erano già state gettate”.
La prima tappa degli italiani che non si arrendono a Tito è San Pietro del Carso, dove avviene la cernita dei dissidenti e il loro smistamento in Jugoslavia, per essere poi internati o definitivamente eliminati. Come ricorda Quintana, “il pozzo di Basovizza, la foiba Golobivniza di Crognale, San Servolo, il Castello di Moccò, Scadaiscina, la foiba di Casserova, le sorgenti del Risano, Sant’Antonio in Bosco, Dignano solo alcuni dei luoghi del massacro”.
Il 12 giugno del 1945 sembra finalmente terminare l’incubo per Trieste. I titini abbandonano la città, portando con sé tutto quello che possono: “A suon di ordinanze, si sequestrò il patrimonio dell’Enic, si rubò dall’ospedale militare tutta l’apparecchiatura, si spogliò la Telve; un’azienda telefonica; si confisarono le macchine della Società editrice italiana de Il Piccolo, il giornale di Trieste, si depredò l’Eiar, l’ente italiano audizioni radiofoniche istituito dal regime fascista. Danni incalcolabili per la città, che subiva una spogliazione senza precedenti”. La paura sembra alle spalle: “Dopo quaranta giorni di amara passione il tricolore poteva nuovamente sventolare sulla città, in quella precoce estate, al grido comune di Italia! Italia! Italia!“. Ma è solo una illusione. La gente continua a sparire e i due fratelli, che si pensava fossero così diversi, si riscoprono simili. Galantuomini pronti a tutto per la propria terra, che non può non essere italiana.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cultura/quando-confine-fu-venduto-massacro-nascosto-italiani-1920696.html
Chi è Mario Draghi, l’uomo chiamato al Colle per salvare l’Italia
Il presidente Mattarella ha rivolto un appello alle forze politiche in Parlamento per conferire la fiducia ad un governo di alto profilo. Poi ha convocato Mario Draghi, ex numero uno della BCE, al Quirinale. Ecco chi è l’uomo che (probabilmente) sarà chiamato a traghettare l’Italia nelle sfide del Recovery Fund, vaccini e pandemia.
La crisi politica aperta da Matteo Renzi potrebbe concludersi con la discesa in campo di Mario Draghi per traghettare l’Italia nelle acque in tempesta della crisi sanitaria-politica-economica-sociale. Mattarella, dopo l’appello per la fiducia ad un governo di alto profilo, convoca niente poco di meno che l’uomo che ha salvato l’euro dallo tsunami del 2012, una figura ritenuta di eccellenza da quanti invocano il governo dei “meritevoli” per uscire da una situazione di stallo politico.
Prima ancora della “salita al Colle”, l’ex governatore della BCE ha già incassato l’ok da Italia viva, di +Europa di Emma Bonino e di Cambiamo! di Giovanni Toti. Forza Italia si riserva di valutare ma ricorda l’antica stima per Draghi e il Partito democratico si dichiara aperto al confronto.
Se dai liberali Draghi è considerato il papabile salvatore della Patria, Lega e Fratelli d’Italia chiedono il ritorno alle urne e M5S si barrica con il no a un governo non politico. Da Alessandro Di Battista l’accusa di essere l’apostolo delle Elite.
Ma chi è Mario Draghi e perché è ritenuto la figura più adatta per guidare un governo di “eccellenze italiane”?
Dal Britannia alle privatizzazioni
Mario Draghi, romano, classe 1947, dopo l’esperienza universitaria al Mit di Boston e a Firenze, nel 1991 approda al Tesoro con un incarico da direttore generale. Una figura che allora era di basso profilo, ma che Draghi trasforma in un ruolo cruciale che gli conferirà prestigio a livello internazionale. Dalla sua posizione affronta la crisi che porterà alla fuoriuscita della Lira dallo Sme e conduce la trattativa per il rientro della moneta nazionale, passaggio chiave per l’adesione all’Euro.
Il suo ruolo diventa centrale nel panorama italiano, tanto da essere invitato nell’estate 1992 alla famosa riunione sul Britannia, il vertice cruciale tenuto sul panfilo della Regina Elisabetta. Dopo appena un anno prenderà le redini del Comitato per la privatizzazione e aprirà una stagione che porterà sui mercati le aziende e l’industria pubblica. Mentre i governi si succedono, Draghi resterà al suo ruolo per dieci anni e sotto la sua conduzione si assisterà alle privatizzazioni di importanti società come Eni, Telecom, Imi a Comit e Bn.
L’esperienza che lascerà un segno sulla struttura economica e finanziaria del Paese, ma per il suo operato Mario Draghi è stato al centro di aspre polemiche, come le accuse fuori dalle righe che l’emerito presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, gli lanciò pubblicamente accusandolo di essere il liquidatore d’Italia.
VIDEO QUI: https://youtu.be/StsYZwVTRr0
L’uomo della Banca d’Italia e di Goldman Sachs
Nel 2001 l’allora ministro Tremonti chiama Domenico Siniscalco per sostituirlo al Tesoro. Draghi allora viene chiamato a Londra dalla banca Goldman Sachs e ne diventa vicepresidente europeo. Nel 2005, dopo lo scandalo che portò alle dimissioni di Fabio Fazio, Mario Draghi viene nominato governatore della Banca d’Italia.
Sotto la sua direzione diventa centrale la politica del risanamento del debito e del taglio della spesa pubblica per tenere in ordine i conti dello Stato. Un anno dopo viene eletto Presidente del Financial Stability Forum, che sotto la sua direzione prenderà il nome di Financial Stability Board nel 2009. La sua esperienza alla Banca centrale italiana si conclude nel 2011 con una promozione: la chiamata a Francoforte
Il salvataggio dell’Euro
Mario Draghi diventa governatore della Banca Centrale Europea in un momento cruciale per l’eurozona: la crisi economica iniziata del 2008 negli Usa, si è trasferita in Europa e, dopo aver infuriato sulla Grecia, inizia a trasmettersi nei vari Paesi con la crisi del debito sovrano che rischia di travolgere la moneta unica.
Draghi rompe i tabù e con la celebre frase “whatever it takes“, promette di salvare l’euro “a qualsiasi costo”. Dinnanzi ad una immobilità finanziaria della Banca centrale, dovuta all’impossibilità di funzionare come creditore di ultima istanza, Draghi inventa il Quantitative Easing lo strumento attraverso cui la BCE riesce a salvare gli Stati dalla crisi del debito, senza snaturare la propria funzione. Sotto la sua direzione, sino al settembre 2016, la BCE immetterà 60 miliardi di euro sui mercati acquistando titoli degli Stati europei.
Nel novembre 2019 termina il suo incarico a Francoforte e il testimone passa all’ex numero uno del Fondo Monetario internazionale, Christine Lagarde.
Le frasi celebri
Cattolico e devoto di Sant’Ignazio da Loyola, nel 2015 si è definito un socialista liberale, non collocabile in raggruppamenti estremi. E’ sposato dal 1973 con Maria Serenella Capello, resa famosa da una sua celebre frase. A conclusione del suo mandato alla Bce, ai giornalisti che gli chiedevano sui suoi prossimi progetti, Mario Draghi ha risposto:
“Il futuro? chiedete a mia moglie”.
Oltre alla frase “Whatever it takes”, che rimarrà sui libri di storia, di Mario Draghi è famoso il calabrone, una celebre metafora con cui ha descritto l’euro nel momento più difficile dell’eurozona.
“Il calabrone è un mistero di natura perché non dovrebbe volare, ma lui non lo sa e vola lo stesso. Dunque l’euro è stato un calabrone che ha volato bene per molti anni. E ora, e credo che la gente si chieda “come mai”, ora qualcosa deve essere cambiato nell’aria con la crisi finanziaria che prima non c’era e lo faceva volare, ora il calabrone deve crescere e diventare un’ape vera. Ed è quello che sta facendo”.
FONTE: https://it.sputniknews.com/politica/2021020310080210-chi-e-mario-draghi-luomo-chiamato-al-colle-per-salvare-litalia/
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