RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
30 04 2021
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Le nostre convinzioni più sacre, la nostra immutabilità in relazione ai valori supremi sono giudizi dei nostri muscoli.
FRIEDRICH NIETZSCHE, Frammenti postumi, (1888-1889), Adelphi, 1986, pag. 268
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SOMMARIO
La Commissione impone il passaporto sanitario
IL CINEMA DEI GIUSTI – CERCATE DI VEDERE “NOMADLAND”
Nomadland. Sopravvivere all’America
L’avvocato Campese espone i passaggi della DENUNCIA A DIFESA DEGLI ITALIANI
Parte una denuncia per Strage ed Epidemia Dolosa sulla gestione dell’epidemia Covid-19
La Turchia potrebbe essere di nuovo nel mirino del Pentagono
Klaus Schwab: “Il Covid è l’occasione per un ‘reset’ mondiale”
Copasir, Rampelli: “Manomessi i rapporti maggioranza-opposizione, tremano i polsi…”
Conferenza stampa Copasir, interviene Fabio Rampelli: Palese violazione della legge.
Alto profilo incostituzionale: vaccini, addio diritti umani
L’EMERGENZA NON È PIÙ SANITARIA, MA ECONOMICA!
“CONNESSIONI” di Francesca Sifola
OCCHIO A FARE I FENOMENI COI BITCOIN
Sportelli bancari in via d’estinzione: in Italia ne sono scomparsi oltre 10 mila in 10 anni
Causa collettiva, Sandri: l’osceno business dei tamponi
Magaldi: coprifuoco illegale, il governo non può imporlo
Da Reagan a oltre Roosevelt: Biden cambia il paradigma?
Speranza tra bugie e omissioni: se questo è un ministro
Il “pentito” del caso Palamara svela gli affari d’oro di Conte
La felicità è una piccola cosa
IN EVIDENZA
La Commissione impone il passaporto sanitario
“Se i cittadini non vorranno vaccinarsi, vorrà dire che potrà continuare a portare la mascherina” Angela Merkel gennaio 2021.
Europarlamentari si oppongono (non tutti)
https://twitter.com/miia_2018/status/1387429628915105796
“A parlare è Annalisa Tardino, eurodeputata della Lega. La Lega sostiene il certificato verde che impedirà di spostarsi a chi non si farà il vaccino e il tampone che dà falsi positivi. Lo hanno votato tutti, compresa la Donato che su Twitter fa la paladina che critica i vaccini e poi va su a Bruxelles e vota per quello che è di fatto un passaporto vaccinale. Per la cronaca, quando feci notare un mese fa su Twitter che la Lega votò la procedura accelerata per approvare il certificato verde, la Donato mi insultò dandomi del “diffamatore antiLega”. La stessa Donato che ora ammette di aver votato il certificato verde. Nella Lega funziona cosi. Votano tutto quello che vuole la dittatura. Poi vengono su Twitter e negano o fingono di protestare contro quanto loro stessi hanno approvato”. (C. Sacchetti)
Si condanni pure la leghista. Ma si sappia che è l’elettorato leghista del Nord a chiedere , anzi esigere in massa il passaporto vaccinale: spera con questo vengano gli stranieri al Salone del Mobile di Milano a decine di migliaia, come gli altri anni, si riempiano gli alberghi e i ristoranti, si riprenda il gran giro d’affari. Non sanno che, a settembre, quelli sopravvissuti al vax, saranno in attesa della razione di insetti che si possono permettere con il reddito universale di base, di cui si saranno guadagnati il diritto cedendo le loro proprietà immobiliari, anche l’appartamento di abitazione, “nell’ambito di quello che diventerà noto come il programma World Debt Reset”.
Sono stupidi? Ma credono nella buona fede e nelle promesse del Subalterno, il Vile Affarista, il quale tiene tutti fra speranze e illusioni, i 200 miliardi che “arrivano dall’Europa” e non arriveranno mai; credono a quel che è in mano ai loro nemici, Letta e la figlia di Andreatta. Non possono credere che una personalità “di tale prestigio” li stia infinocchiando nel modo più disonesto e nutrendoli di illusioni. Non possono pensare di essere le vittime designate – proprio loro, i produttori del Nord – della volontà di distruzione della loro economia, freddamente perseguita perché togliere al Nord ogni autonomia – lo scopo politico primario di Mattarella e Speranza, del PD e degli “europeisti” in genere – e fare dei suoi lavoratori una massa di mendicanti percettori del reddito universale; pensano che mantenere funzionante l’economia del Nord sia anche nel loro interesse. Quanto si illudono. Non li sveglia nemmeno la sceneggiata dei “terroristi arrestati in Francia” che mai saranno consegnati all’Italia – per il bene del PD, per i quali erano compagni che sbagliano e che hanno aiutato, coperto, lasciato viaggiare in Cecoslovacchia e attingere ai depositi d’armi dei tempi di Pajetta – e se non altro coi loro media: “Né con lo stato né con le BR”, era lo slogan che strombazzavano i loro “intellettuali” e i loro “insegnanti” nei licei; in modo che, se vincevano le BR, loro avevano un posto nel regimee comunista che i gruppi armati volevano, come oggi vogliono imporre l’Impostiura Grand Reset. Erano vicini a loro, in Lotta Continua, Paolo Mieli, Gad Lerner, Toni Capuozzo, Enrico Deaglio, Paolo Liguori, Giampiero Mughini, Alexander Langer e lo Adriano Sofri.
Sicché paradossalmente sottoscrivo il commento acido di Adriano Sofri, che era uno dei loro e il solo che abbia pagato con una interruzione nella carriera di parone del discorso: “Arrestati “i 7 ex terroristi” a Parigi. Bravi! E adesso che ve ne fate?”
Se ne fanno. Servono anche loro come arma di illusione di massa, servono a far dimenticare la gente disoccupata che muore di fame e fa la fila nelle mense dei poveri; servono a mostrare il”Prestigio internazionale” del Vile Affarista che ha telefonato al Perverso Polimorfo dell’Eliseo e si è fato dare questi cascami della cronaca nera di 40 anni fa…I media ben istruiti si sforzano di spremere la “notizia”, vanno a intervistare i familiari delle persone che costoro hanno assassinato mezzo secolo or è… Il Mario Calabresi, il collega giornalista scelto dai poteri forti e poi fallito, s’è ridotto a intervistare la sua propria madre
Insomma; i ricchi di Stato, i parassiti pubblici inadempienti, se la cantano e se la suonano. Per distogliere l’attenzione dal World Debt Reset che piomberà, inatteso dai leghisti elettori, nel terzo trimestre. Perché il loro limite è capire le cose in ritardo, mentre qui, da anni, gliele abbiamo dette in anticipo….
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
IL CINEMA DEI GIUSTI – CERCATE DI VEDERE “NOMADLAND” IN UNO SCHERMO IL PIÙ GRANDE POSSIBILE.
HA RAGIONE FRANCES MCDORMAND, HA BISOGNO DI SPAZIO. PERCHÉ I SUOI PERSONAGGI, LE LORO STORIE, LA LORO VISIONE DEL MONDO HANNO BISOGNO DI UNO SPAZIO GRANDE COME I TERRITORI AMERICANI CHE ATTRAVERSANO. E ANCHE NOI ABBIAMO BISOGNO DI SPAZIO PER MUOVERCI, PER CAPIRE, DOPO PIÙ DI UN ANNO DI QUARANTENE E DI COPRIFUOCO, CHI SIAMO E COSA STIAMO FACENDO SOLO MUOVENDOCI CON IL CIELO SOPRA LA NOSTRA TESTA – VIDEO
29 APR 2021
VIDEO DI PRESENTAZIONE QUI: https://www.youtube.com/watch?v=AFMfuInz-JM
Nomadland di Chloé Zhao
Marco Giusti per Dagospia
Cercate di vederlo in uno schermo il più grande possibile. Ha ragione Frances McDormand. Perché questo “Nomadland” di Chloé Zhao, giustamente premiato con tutto quello che era possibile, Oscar, Golden Globe, Leone d’Oro, ha bisogno di spazio. Perché i suoi personaggi, le loro storie, la loro visione del mondo hanno bisogno di uno spazio grande come i territori americani che attraversano. E anche noi, come la Fern di Frances McDormand, abbiamo bisogno di spazio per muoverci, per capire, dopo più di un anno di quarantene e di coprifuoco, chi siamo e cosa stiamo facendo solo muovendoci con il cielo sopra la nostra testa.
Ci voleva una regista cinese, con un pizzico di Terrence Malick qua un pizzico di Wong Kar Wai là, ma sono per lo più pretesti perché ha uno stile ben definito e personale fin dal suo primo film più o meno identico a questo, per ricordare al cinema americano la natura del romanzo americano.
Una natura formativa, pionieristica che abbraccia Frank Lloyd Wright, John Ford, Leslie Fiedler. Fern, nelle scene più belle e commoventi del film si muove sulla scena come l’Herny Fonda di “Furore”, come i personaggi della meravigliosa striscia “Krazy Kat” di George Herriman (solo ora si è scoperto che era nero e ha finto di essere bianco per tutta la vita) che ripetono i loro movimenti e mettono a dura prova i loro sentimenti in mezzo a un panorama che cambia in continuazione.
E’ vero che non si poteva fare un film così in nessun altro luogo se non in America. E forse solo una donna avrebbe saputo cogliere l’essenza del personaggio di Fern, non homeless ma houseless, non una perdente come in tanta tradizione del cinema della Grande Depressione, ma una nomade per scelta forse economica, la crisi, ma soprattutto per scelta intellettuale e ideologica.
E sicuramente solo Frances McDormand avrebbe potuto trasmettere questa forza del personaggio, questo desiderio di vita e mai di rinuncia, di scelta pensata e mai obbligata dagli eventi. Non accetto le provocazioni della sinistra americana che vede l’ambiguità del film nella presenza di Amazon, il capannone dove stagionalmente lavorano Fern e le sue amiche, come fossero parte del panorama nazionale.
Amazon o la Disney, produttrice del film, stanno a “Nomadland” come la 20th Century Fox di Zanuck stava a “Furore” di John Ford. Sono la produzione, il capitale. Non sono il film. In Italia, paese così poco legato alle leggi del capitalismo, una regista cinese o africana non solo non esiste, ahimé, ma se esistesse, temo che nessun produttore gli farebbe mai fare un film così, preferendole, non vorrei fare nomi, le tante figlie del capitalismo nostrano.
Il percorso, almeno fino a qui, di Chloé Zhao è chiarissimo. Guardate il suo bellissimo primo film su Mubi, “Songs That My Brothers Taught Me”, guardate “The Rider”, è un percorso limpido e coerente. Magari non lo sarà il kolossal Marvel che ha già finito, “Eternals”. Ma questo racconto di viaggio e di conoscenza all’interno di un’America che dopo Obama e Trump, dopo tanti disastri e sogni infranti, è alla ricerca non di un nuovo American Dream, chi ci crede più?, ma di resettarsi, di pulirsi gli occhi, come diceva Kenji Mizoguchi, di una mente limpida, è molto di più di un raccontino facile da Oscar.
Anche perché Chloé Zhao mi sembra una grande regista, scrive, costruisce personaggi, gira, monta l’essenziale, non sbanda da nessuna parte, non ripete nulla, sa illuminarci perché è anche piena di umanità. La sua Fern, che si ricompone e noi stessi ci ricomponiamo con una serie di piccoli tasselli durante il film, come fosse un personaggio animato, un Road Runner/Wyle A. Coyote da realismo sociale, prende coscienza di sé nel movimento. Perché solo così riesce a caricarsi di forza e a sentirsi parte della natura e della storia americana.
Tutto l’orrore, tutti gli errori e tutte le contraddizioni del paese, non sono scordati, perché li sentiamo perfettamente proprio nello sguardo di Fern. Ma come il personaggio di Joel McCrea ne “I dimenticati” di Preston Sturges, uno dei film chiave sulla Grande Depressione, troverà proprio nel suo racconto la forza per superarli. In sala e su Disney+
FONTE: https://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/cinema-giusti-ndash-cercate-nbsp-vedere-quot-nomadland-quot-268621.htm
Nomadland. Sopravvivere all’America
Le due presenze che più vediamo esistere, come fatti cinematografici, in Nomadland, sono lo spazio e il volto della protagonista. Entrambi si affrontano, anche formalmente, per tutto l’arco della visione, componendo un’esperienza continua di apertura e sconfinamento.
Così da una parte c’è lo spazio: la superficie interminabile della strada, raccontata da campi lunghissimi. Ci sono i paesaggi naturali, i paesaggi umani, e i mondi costruiti dalle merci: i parcheggi, o le enormi officine di manodopera a tempo determinato, i negozi-magazzino dove si compra di tutto, le città fabbriche abbandonate, e poi ancora, secondo una linea narrativa costruita e montata per scivolare sempre avanti, senza inversioni, lo spazio delle migliaia e migliaia di chilometri della terra americana percorsi da un furgone.
Dall’altra parte, assieme allo spazio o in controcampo, un volto, quello di Fern (Frances McDormand), che la regia fissa a lungo e di continuo, come ritraendolo, in tempi lenti di inquadratura spesso affiancati dal silenzio eloquente di scenari e effetti naturali. L’aria, la neve, la notte, il buio, il freddo ci chiedono di fermare lo sguardo, di scrutare quel viso, prendendo alla lettera la materia che lo forma, come se fosse anch’esso uno spazio d’avventura, un territorio pieno di strade; come se i lineamenti e le asprezze profilassero o promettessero un paesaggio: assomigliando quasi a quel racconto di Borges (El hacedor) dove il protagonista, poco prima di morire, scopre che il disegno del mondo che ha cercato di fare, popolando lo spazio « con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di vascelli, di isole, di pesci, di case, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone» traccia l’immagine stessa del suo volto.
Del resto l’attacco stesso di Nomadland tratta subito di spazi, usando l’opposizione chiuso-aperto (: buio – luce) come figura chiave del racconto. Dopo aver letto, su un cartello nero, che Empire (in Nevada), una delle tante company town sparse per l’America, nel 2011 è fallita, la prima cosa che vediamo, da un interno buio (lì si apre l’occhio del film), improvvisamente illuminato dall’ingresso della luce, è una donna che solleva lo sportello in lamiera di un magazzino. Subito dopo lo sguardo passa dall’altra parte, e adesso la nostra attenzione scende sulle cose: il genere di cose che ci aggrappa alla vita in quanto immanenza. È roba incartata, dentro scatole da trasloco; ci sono piatti. Sono i pochi oggetti, i più essenziali, che la protagonista sta scegliendo di portarsi dietro, dentro l’arca con cui sta partendo: un furgone risistemato che d’ora in poi le farà da dimora. È Natale, fa freddo, lei ha sessantuno anni, è rimasta vedova, senza lavoro e non può più permettersi di sostenere le spese della casa. Dunque parte. Non è sola al mondo, e questo è un particolare decisivo per capire il soggetto di Nomadland come pure il progetto di cinema che realizza. Fern ha, avrebbe, una rete di protezione, ossia un’alternativa, perché ci sono amici che si offrono di accoglierla, come sapremo quasi subito, quando la protagonista però si sfila, sguscia dalla proposta di ospitalità, e spiega a una ragazzina che lei è una houseless ma non è una homeless. Persino la sorella –scopriremo più avanti – con cui Fern è in buoni rapporti, insiste perché vada a abitare da loro. Ma Fern rilutta, si sposta, per l’appunto, perché ha scelto di essere “senza tetto”, non “senza casa”. Ha deciso di essere una “Vandweller”: termine con cui si indica la realtà americana, sempre più numerosa, di coloro che scelgono di dimorare in un veicolo (da “van” and “dwelling”). Lasciano la casa, che non possono più pagare, sono poveri, non sono a caccia di esperienze esotiche on the road. Sono persone che, a partire da una condizione di necessità cogente, hanno cercato di rifondare uno stile di vita che gli consenta di “autocontenersi”. Per guardare a questo mondo, considerandolo seriamente, senza pregiudizi ideologici, buoni sentimenti paternalistici, ingenuità o posture bohémiennes; per riconsiderare questa realtà anche prendendo le distanze da certi modi in cui il cinema documentario molte volte preferisce raccontare e estetizzare gli emarginati (penso a Minervini, o pure, in certi casi, a Rosi), vale la pena di leggere il lavoro omonimo da cui è nato il progetto del film, proprio su iniziativa di Frances McDormand. È l’attrice stessa infatti, come ha raccontato, ad aver proposto alla regista di lavorare assieme su Nomadland (2018), un libro d’inchiesta molto importante e bello, scritto da Jessica Bruder rielaborando un reportage del 2014. (In Italia è uscito per le Edizioni Clichy, nella traduzione di Giada Diano; qui un’ottima recensione di Cinzia Schiavini per L’Indice ).
I protagonisti del libro di Bruder sono “workcamper”: persone nate negli anni del Boom. In seguito alla crisi americana del 2008, che ha polverizzato i risparmi di milioni di famiglie della classe media e lasciato molti, spesso gli ultrasessantenni, senza un lavoro e senza la speranza di una pensione, hanno deciso di tagliare l’affitto e, per non vivere accampati nelle case dei figli, mettersi sulla strada vivendo in camper e furgoni e mantenendosi con lavori temporanei – sorveglianti (Host) nei campeggi, raccoglitori di pietre, di patate, e, soprattutto, operai negli enormi magazzini Amazon, svolgendo, anche da anziani, mansioni molto faticose. Bruder, l’autrice, ha preso un furgone, e per tre anni ha percorso venticinquemila chilometri accanto a queste persone, per raccontarci, per esempio, la vita di Linda May e Bob Wells, che sono anche nel film. Bob, nato nel 1955 e vandweller da circa quindici anni, ha anche un sito Cheap RV Living.com, seguito da centinaia di migliaia di persone, dove racconta e condivide esperienze su come vivere sulla strada.
Come i protagonisti dei due lavori precedenti di Chloé Zhao, Songs my brother taught me (2015) e The Rider (Il sogno di un cawboy, 2017) anche Fern deve rielaborare una perdita (la morte del marito), e così sulle prime Nomadland può effettivamente essere considerato anche come un itinerario di attraversamento e di passaggio dalla melanconia, in quanto ferita non ancora rielaborata, al sentimento definitivo e reattivo del lutto. Tuttavia, ragionando in termini di situazioni che continuano a lavorare anche dopo la visione, la parte più originale e significativa di Nomadland è la capacità di trasformare in immagini movimento le esistenze ai margini rese visibili già dal libro di Bruder. Il dono di questo film è la conquista di sguardi nuovi, aperti come gli spazi che vengono narrati, su un’umanità che ha scelto di ritirarsi da una certa idea di America. A dare corpo attoriale a questa scelta la presenza di Frances McDormand, l’attrice che più esprime, per così dire, il volto dell’altra America, vale a dire quella dei perdenti, e non nel significato banale delle vittime dei vincitori, bensì nel senso di chi si è messo fuori da un gioco che tanto avrebbe perso sempre. Possiamo parlare di una vera e propria cifra stilistica personale. In Nomadland, come nei suoi ruoli migliori, le performances di Frances McDormand non vivono di grandi discorsi; la forza e l’eloquenza dei suoi personaggi si anima più che altro di sguardi, ora diretti e intensi, ora messi di sbieco, di contrazioni e di espressioni che abitano oltre il linguaggio verbale e fanno esistere, come attore, un corpo che esiste come materia non eliminabile.
Più viaggiamo con Fern, in Nomadland, incontrando via via altre persone, più facciamo spazio, perché non ci sono giudizi, etichette, soluzioni, punti di arrivo, ma orizzonti differenti, aperti su spazi che forse sarebbe tempo anche di smettere di definire “non luoghi”. Complicati, complessi, ma aperti – anche se le musiche di Ludovico Einaudi spostano talvolta il senso del racconto su note insidiose, a rischio di retorica. Nomadland è il territorio visivo e simbolico di una subcultura che non si vive né come vittima né come spensierata amante della natura, come spiega bene anche il libro di Bruder. Tutta la parte del film dedicata alla morte e alla cerimonia rituale di sepoltura di una nomade racconta proprio la presenza di una narrativa forte, capace di agire anche come collante sociale.
Rispetto allora alla necessità di mobilitare punti di vista e prospettive mobili, diventa anche più significativo il fatto che il film sia diretto coprodotto e montato da un’autrice cinese, trasferitasi a Londra a quindici anni e poi negli Stati Uniti. Dopo aver vinto il Leone d’Oro e il Golden Globe, vincerà probabilmente e meritatamente anche l’Oscar. Sarebbe la seconda, dopo Kathryn Bigelow, a vincere il premio. Solo la seconda, in novantatré anni. Non importa, direbbe Fern. Ciò che conta è essersi messe in viaggio.
FONTE: https://www.doppiozero.com/materiali/nomadland-sopravvivere-allamerica
BELPAESE DA SALVARE
Perché, Contro chi, a Difesa di Chi e Cosa…
Parte una denuncia per Strage ed Epidemia Dolosa sulla gestione dell’epidemia Covid-19
Il dottor Franco Trinca ha presentato una denuncia corredata di 170 lavori scientifici e lunga 80 pagine: il faldone è stato preso in carico dall’Avvocato Alessandro Fusillo, che ne ha illustrato i contenuti nella recente conferenza stampa alla Camera. Si tratta di un durissimo atto di accusa nei confronti della gestione del covid in Italia. “Un J’accuse”, come lo ha definito l’avvocato nel suo intervento, che contiene ipotesi di reato gravissime: dalla strage, all’epidemia colposa o dolosa, passando per la turbata libertà dell’industria o del commercio e le lesioni personali.
“ I reati che noi abbiamo sottoposto all’attenzione della magistratura sono molto gravi e ve li elenco rapidamente. Parliamo di associazione per delinquere finalizzata al compimento di una serie di reati che sono molto gravi: c’è la strage, l’epidemia colposa o dolosa, la turbata libertà dell’industria o del commercio, le lesioni personali, eventualmente l’omicidio laddove non si dovesse la sussistenza del reato di strage e da ultimo le condotte di terrorismo. È necessario, è urgente che la magistratura penale intervenga, indaghi e valuti quello che è successo perché a nostro avviso i dati di fatto lasciano intendere che c’è qualcosa che non va nella narrativa”.
Sappiamo che c’è un’inchiesta in corso pesante a Bergamo, ma riguarda non la gestione del Covid-19 in generale, ma si concentra su quanto accaduto ad Alzano e Nembro. Quell che vuol far partire la denuncia è un’inchiesta sulle gestione complessiva, da parte dei governi, del covid-19. Siamo sicuri che la Magistratura avrà il coraggio di far partire un’inchiesta?
Buon ascolto
VIDEO QUI: https://youtu.be/bCwoLGYwwUU
FONTE: https://scenarieconomici.it/parte-una-denuncia-per-strage-ed-epidemia-dolosa-sulla-gestione-dellepidemia-covid-19/#.YIV5d7A-0O4.whatsapp
CONFLITTI GEOPOLITICI
La Turchia potrebbe essere di nuovo nel mirino del Pentagono
Il 26 aprile 2021 la polizia e la giustizia turche hanno arrestato 532 persone, accusate di legami con l’organizzazione di Fetullah Gülen, l’ex alleato del presidente Erdoğan, che nel 2016 avrebbe organizzato, con l’aiuto della CIA, un attentato contro il presidente, mutatosi in un colpo di Stato improvvisato. Oggi Gülen è rifugiato negli Stati Uniti.
Dopo i fatti del 2016, circa 80 mila cittadini sono stati messi in prigione e sono tuttora in attesa di giudizio; sono stati inoltre silurati 150 mila funzionari.
La Turchia si è avvicinata al nemico storico, la Russia. In particolare – consapevole del ruolo delle proprie forze aeree nell’operazione del 2016 – ha acquistato un sistema di protezione antiaerea russo e sta negoziando l’acquisto di un secondo lotto di missili terra-aria S-400.
Oggi la Turchia è ancora un alleato di Washington e membro della NATO, sebbene il suo presidente venga percepito come un avversario. La Turchia ha dispiegato truppe a Cipro, in Iraq, Siria, Libia, Azerbaigian e Ucraina.
Una posizione ambigua, messa in risalto dalla nuova alleanza anti-Turchia di Arabia Saudita, Bahrein, Cipro, Emirati Arabi Uniti, Grecia, Israele, e forse alla fine anche Iran.
Dopo il riconoscimento del genocidio armeno da parte del presidente Biden, le truppe USA della NATO sarebbero state invitate a lasciare la Turchia, sebbene non sia stato ufficialmente fissato un calendario.
La questione della distruzione della Turchia, considerata dagli Stati Uniti dal 2001 nel quadro della “guerra senza fine” (strategia Rusfeld/Cenrowski), è di nuovo all’ordine del giorno.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article212951.html
Klaus Schwab: “Il Covid è l’occasione per un ‘reset’ mondiale”
19 nov 2020
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Copasir, Rampelli: “Manomessi i rapporti maggioranza-opposizione, tremano i polsi…”
Copasir, Rampelli: «Proporre a Draghi un decreto legge»
«I presidenti di Senato e Camera, Casellati e Fico – aggiunge Rampelli – dopo la loro lettera che non voleva forzare la mano, una moral suasion, devono passare alla seconda fase, prendendo atto che la lettera non ha prodotto gli effetti desiderati, ora possono tornare sul tema e allineare la questione Copasir a quanto previsto dalla legge del 2007». E poi ancora. Si può pensare di «proporre a Draghi che emani un decreto legge, a firma del ministro Cartabia, per creare un automatismo di decadenza del presidente» del Copasir. «All’atto di un cambio di maggioranza, che prevede il passaggio di un presidente eletto in quota minoranza alla maggioranza».
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Copasir, Vito: «Neanche Pannella avrebbe tollerato questa situazione»
Alla conferenza c’è anche Elio Vito, deputato di Forza Italia, che ha lasciato il Copasir per protesta contro la presidenza in mano alla maggioranza. «Anche Pannella – ha detto – non avrebbe tollerato questa situazione, il tratto distintivo delle democrazie rappresentative è il riconoscimento del ruolo delle opposizioni». E poi aggiunge: «Casellati e Fico debbono intervenire per sciogliere il comitato». Vito ricorda alcuni precedenti di scioglimento, «come fece il presidente Pertini che nella VI legislatura revocò la giunta per le Elezioni per la sua inoperatività». «La funzionalità del Comitato – sottolinea Vito – è ampiamente compromessa».
Quagliariello: «Rispettare la legge»
Mentre per Gaetano Quagliariello, senatore di Cambiamo, «la ratio della legge è imperniata sul fatto che la presidenza sia data all’opposizione per ragioni di garanzia. Ma che cosa sarebbe successo se il governo Draghi avesse avuto tutti i partiti in maggioranza?». Per Quagliariello «a questo punto la ratio della legge deve essere rispettata».
FONTE: https://www.secoloditalia.it/2021/04/copasir-rampelli-manomessi-i-rapporti-maggioranza-opposizione-tremano-i-polsi/
Conferenza stampa Copasir, interviene Fabio Rampelli: Palese violazione della legge.
Inaccettabile!
VIDEO QUI: https://youtu.be/YECsV-tS_LM
FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=YECsV-tS_LM
DIRITTI UMANI
Alto profilo incostituzionale: vaccini, addio diritti umani
Governo di alto profilo? Sì: ma di incostituzionalità. Lo afferma Alberto Conti su “Come Don Chisciotte“, scandalizzato dalla coercizione esercitata sui sanitari, costretti ad assumere – per continuare a lavorare – un preparato genico di dubbia efficacia e di ancor più incerta innocuità, visto che si tratta di farmaci (non propriamente vaccini) ancora in fase sperimentale. Tutti cavie, per decreto? L’ultima disposizione del governo Draghi sul Covid parla di obbligo vaccinale per «gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali». Attenti: «La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione». Sul “Tempo”, Franco Bechis osserva: è lo stesso Franco Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, a chiarire che i soggetti vaccinati non potranno comunque tornare a una vita normale: «Una persona vaccinata con una o due dosi deve continuare a osservare tutte le misure di prevenzione quali il distanziamento fisico, l’uso delle mascherine e l’igiene delle mani».
Imbarazzante la spiegazione: «Non è ancora noto – ammette il presidente dell’Iss – se la vaccinazione sia efficace anche nella prevenzione dell’acquisizione dell’infezione e/o della sua trasmissione ad altre persone». E’ quindi evidente, scrive Conti, che la “prevenzione del contagio da Sars-CoV-2 mediante previsione di obblighi vaccinali” è un falso ideologico. «Non può il governo ignorare il fatto che i vaccinati possono contagiare anch’essi, e tantomeno lo può ignorare il presidente della Repubblica che firma questo decreto legge gravissimo sotto il profilo di incostituzionalità, emanato comunque in “virtù” dell’urgenza e di una efficacia data per scontata, quando scontata non lo è affatto». Come se non bastasse, aggiunge Conti, «oltre alla gravità dell’abuso commesso dalle massime autorità dello Stato, vi è poi l’ulteriore fatto incontestabile che tali vaccini resi obbligatori, pena la sospensione dal lavoro e dallo stipendio, sono del tutto innovativi e sperimentali, con gravi effetti collaterali a breve già verificatisi ripetutamente, morte del vaccinato compresa».
Gli stessi scienziati parlano di possibili effetti collaterali ancor più gravi, a medio e lungo termine, che potrebbero colpire in modo imprevedibile e anche irreversibile percentuali ben maggiori della popolazione dei vaccinati. «Al momento si obbligano intere categorie professionali a giocare alla roulette russa del vaccino “genico”, violando il diritto fondamentale alla libera scelta terapeutica per tutelare la propria personale salute e l’inviolabilità del proprio stesso corpo». Una specie di crimine contro l’umanità, non giustificabile dalla presunzione d’ignoranza? «E non è un episodio isolato, è la ciliegina sulla torta della nostra politica estrema, sia sotto il profilo sanitario che sociale ed economico: non c’è che dire, un “alto profilo” sì, ma di matrice criminale, foriero di danni incommensurabili a tutto il paese». Aggiunge Conti: «Sappiamo tutti degli innumerevoli e scandalosi errori commessi e talvolta reiterati in questo primo anno di “emergenza pandemica”, che errori non sarebbero più se dietro l’apparenza delle buone intenzioni si celasse il dolo di un disegno criminoso calato dall’alto, e fatto proprio dalla intera classe dirigente politica e sanitaria di questo corrotto paese, con rare eccezioni, prontamente tacitate e represse».
L’analista di “Come Don Chisciotte” ricorda quello che è forse è il più grande scandalo, ovvero «le più evidenti ipocrisie terapeutiche, il tardivo e controproducente protocollo di cura imposto ai medici di base, facilmente riassumibile in “Tachipirina e vigile attesa”, ovvero “impedisci le cure più efficaci, semplici e tempestive, nell’irripetibile e breve finestra temporale utile a risolvere facilmente la malattia”, con in più un “rimedio” apparentemente innocuo, ma che invece aiuta il virus a infestare l’organismo deprimendo le difese immunitarie naturali, così da moltiplicare i casi gravi e intasare gli ospedali già depotenziati dai tagli lineari alla spesa pubblica». Il tutto a favore di una “soluzione vaccinale” imposta come il famigerato “Tina” di Margaret Thatcher: non c’è alternativa (al vaccino, in questo caso). Una menzogna pubblica, corroborata dalla «delirante e martellante propaganda terroristica e disinformativa mediatica», la quale «nega, ridicolizza, ostracizza tutte le esperienze cliniche di cura che non siano il vaccino, nonostante i clamorosi successi terapeutici dei pochi medici coscienziosi che curano a domicilio con farmaci classici, economici, efficaci e stra-collaudati, a differenza dei vaccini “genici” di nuova generazione».
Quanto alle imposizioni restrittive – lockdown e coprifuoco, mascherine e didattica a distanza – si è ampiamente osservato che gli Stati più feroci e sadici nell’imporre tali misure preventive, ignorando al contempo semplici ed efficaci misure profilattiche atte a potenziare le naturali difese immunitarie, «hanno ottenuto i risultati statisticamente peggiori nel contrastare il virus e le sue conseguenze più gravi, compresa la mortalità». Un virus che, per quanto anomalo – ricorda Conti – evolve come sempre in direzione di una tendenziale attenuazione verso lo stato finale endemico, «a meno che non sia artificialmente stimolato ad una fuga immunitaria, tramite produzione di varianti più aggressive e contagiose, da campagne vaccinali di massa con farmaci inadeguati e somministrati nel momento sbagliato, quello della maggior diffusione del contagio (ondata epidemica)». Conti definisce «ultimo esempio da manuale del crimine», questa «particolare e azzardata sperimentazione vaccinale anche su bambini sani, che non correrebbero nessun rischio in caso di contagio naturale».
A questo si aggiunge l’abuso dei tamponi quali strumenti diagnostici, i dati statistici «dolosamente manipolati in qualità e quantità per fini “politici”», nonché «le deviazioni criminali degli ordini professionali che radiano i liberi pensatori fedeli al giuramento di Ippocrate». Conti descrive le massime istituzioni sanitarie, nazionali e sovranazionali, come «infiltrate dagli interessi privati di Big Pharma, e più in generale di tutte le strutture di potere che dovrebbero garantire la democrazia e la salute pubblica, non solo fisica». Conclude: «Siamo sì in un’emergenza epocale, una vera emergenza di giustizia e libertà, ovvero di civiltà democratica. E per non farci mancare niente, assistiamo passivamente al rapido levarsi di venti di guerra che ci coinvolgeranno inesorabilmente, dopo che i clamorosi brogli elettorali americani hanno scoperchiato il vaso di Pandora degli irresponsabili guerrafondai “dem”». Chiosa Alberto Conti: «Quando la casa sta per crollarci addosso è il momento di alzarsi, di svegliare i troppi dormienti, di scrollare i troppi terrorizzati, e di dire “basta, tutto questo non lo sopporto più!”».
ECONOMIA
L’EMERGENZA NON È PIÙ SANITARIA, MA ECONOMICA!
L’ALLARME DEL COMITATO PER IL RISCHIO SISTEMICO DELLA BCE: “INCOMBE LA MINACCIA DI UN’ONDATA DI INSOLVENZE AZIENDALI” – “BISOGNA EVITARE GLI AIUTI ALLE IMPRESE ZOMBIE E DARE UNA RISPOSTA TEMPESTIVA E DECISIVA” – “PIÙ DURANO MORATORIE, GARANZIE E PRESTITI PUBBLICI, MAGGIORE POTREBBE DIVENTARE IL PROBLEMA DELLA…”
29 APR 2021
Da “La Stampa”
«Le restrizioni all’ attività economica durate oltre un anno finora non hanno comportato instabilità finanziaria. Tuttavia, incombe la minaccia di un’ ondata di insolvenze aziendali, se gli Stati non gestiscono una transizione agevole dagli aiuti sotto forma di liquidità a forme sostegno alla solvibilità più selettive, e a forme di ristrutturazione del debito aziendale per le imprese sane».
CHRISTINE LAGARDE CON MARIO DRAGHI
L’ allarme arriva direttamente dallo European Sistemic Risk Board, il Comitato per il rischio sistemico che fa capo alla Bance centrale europea. L’ Esrb chiede di «evitare gli aiuti alle imprese zombie» e invoca «una risposta tempestiva e decisiva» da parte delle autorità, avvertendo che più durano moratorie, garanzie e prestiti pubblici, «maggiore potrebbe diventare il problema della solvibilità a causa dell’ accumularsi del debito». Secondo Chirstine Lagarde, che presiede la Bce, è ancora «troppo presto» per dire che il peggio è passato.
Lagarde, ieri, ha spiegato che il ritmo accelerato delle vaccinazioni rappresenta una luce in fondo al tunnel, e che il secondo semestre dell’ anno potrebbe vedere «una crescita robusta» dopo un primo trimestre negativo e un secondo trimestre in miglioramento.
Tuttavia, ha detto, «non abbiamo ancora attraversato il ponte verso una vera e propria ripresa».
MARIO DRAGHI CHRISTINE LAGARDE
I CARTELLI NEI NEGOZI DEL CENTRO DI ROMA CHE RISCHIANO DI CHIUDERE
FONTE: https://www.dagospia.com/rubrica-4/business/rsquo-emergenza-non-nbsp-piu-nbsp-sanitaria-ma-economica-268568.htm
EVENTO CULTURALE
“CONNESSIONI” di Francesca Sifola
Il libro è reperibile qui:
https://www.ibs.it/connessioni-libro-francesca-sifola/e/9788855088244
https://www.kobo.com/ebook/connessioni
https://www.libreriauniversitaria.it/connessioni-sifola-francesca-europa-edizioni/libro/9788855088244
https://www.hoepli.it/libro/connessioni/9788855088244.html
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
OCCHIO A FARE I FENOMENI COI BITCOIN
CONSOB E BANKITALIA DANNO LA SVEGLIA AI RISPARMIATORI: COMPRARE LE CRIPTOVALUTE È RISCHIOSO E UNO DEI PERICOLI MAGGIORI È PERDERE TUTTO IL DENARO INVESTITO – ASSENZA DI VIGILANZA E TUTELE, OPACITÀ DEI PREZZI, FORTE VOLATILITÀ DELLE QUOTAZIONI: TUTTI BUONI MOTIVI PER CUI È MEGLIO STARE ATTENTI – LE AUTHORITY PUNTANO IL DITO SULLA MANCANZA DI “UN QUADRO DI REGOLE COMUNI A LIVELLO EUROPEO”…
29 APR 2021
Jacopo Orsini per “Il Messaggero“
Attenti alle criptovalute. Parola di Consob e Banca d’Italia. Dopo la Federal reserve americana e gli organismi di supervisione europei, le due autorità lanciano l’allarme sui rischi legati all’acquisto delle monete virtuali.
La commissione di controllo sui mercati e l’istituto centrale, che fra i suoi compiti ha anche la vigilanza sulle banche, hanno richiamato ieri «l’attenzione della collettività, e in particolare dei piccoli risparmiatori, sugli elevati rischi connessi con l’operatività in cripto-attività (crypto-asset) che possono comportare la perdita integrale delle somme di denaro utilizzate».
Il richiamo, si legge in una nota congiunta, «si rende opportuno in attesa che venga definito un quadro regolamentare unitario in ambito europeo».
Le criptomonete, e in particolare il Bitcoin, la più conosciuta, anche per le sue fortissime oscillazioni, nate con lo sviluppo della rete internet, sono solo virtuali, non esistono in forma fisica, si generano e si scambiano esclusivamente per via telematica e non sono controllate da alcuna autorità monetaria.
Non hanno quindi corso legale praticamente in nessuna angolo del pianeta e dunque l’accettazione come mezzo di pagamento avviene solo su base volontaria. Anche Facebook aveva annunciato un progetto, poi messo da parte, per creare la sua criptovaluta. Da tempo d’altra parte sul mercato si registra «un interesse crescente» verso le cripto-attività.
E negli ultimi tempi gli Stati e le autorità monetarie hanno dovuto cominciare a prestare attenzione alle monete virtuali. Tanto che la Banca centrale europea ha avviato da poco uno studio per decidere se creare un euro digitale.
Di recente, anche le tre Autorità europee di supervisione, Eba (banche), Esma (mercati) ed Eiopa (assicurazioni), continuano Consob e Banca d’Italia, «hanno ribadito la natura altamente rischiosa e speculativa delle cripto-attività, avvertendo i consumatori di prestare attenzione agli elevati rischi connessi con l’acquisto e la detenzione degli stessi».
LA SUPERVISIONE
In particolare, in assenza di un quadro regolamentare di riferimento, ci sono «rischi di diversa natura» da tenere presenti, sottolineano le due autorità, che segnalano soprattutto: «la scarsa disponibilità di informazioni in merito alle modalità di determinazione dei prezzi; la volatilità delle quotazioni; la complessità delle tecnologie sottostanti; l’assenza di tutele legali e contrattuali, di obblighi informativi da parte degli operatori e di specifiche forme di supervisione nonché di regole a salvaguardia delle somme impiegate».
Bankitalia e Consob mettono poi in guardia i risparmiatori anche dal rischio «di perdite a causa di malfunzionamenti, attacchi informatici o smarrimento delle credenziali di accesso ai portafogli elettronici». Soprattutto ora che il diffondersi di offerte sul canale digitale facilita «l’acquisto di cripto-attività da parte di una platea molto ampia di soggetti».
La Commissione europea ha avanzato una proposta di regolamentazione per disciplinare tutte le attività legate alle valute virtuali e per «garantire l’integrità del mercato e livelli adeguati di tutela dei consumatori e dei risparmiatori».
Ma in attesa dell’approvazione l’acquisto di criptovalute «non è soggetto alle norme in materia di trasparenza dei prodotti bancari e dei servizi di investimento» e «a nessuna forma di supervisione o di controllo da parte delle Autorità di vigilanza».
Insomma, insistono Consob e Bankitalia, «anche l’adesione a offerte di prodotti finanziari correlati a cripto-attività», come i digital token, è «un investimento altamente rischioso». Senza contare che spesso le proposte arrivano «da operatori abusivi, non autorizzati, non regolati e non vigilati da alcuna Autorità».
FONTE: https://www.dagospia.com/rubrica-4/business/occhio-fare-fenomeni-coi-bitcoin-consob-bankitalia-danno-sveglia-268537.htm
Sportelli bancari in via d’estinzione: in Italia ne sono scomparsi oltre 10 mila in 10 anni
Gianluigi Paragone – 29 04 2021
Gli sportelli bancari sono sempre più una specie in via d’estinzione, sacrificati sull’altare di una transizione “digitale” che i cittadini faticano ancora a capire e che però, a quanto pare, è considerata processo ormai irreversibile da chi ci governa, da tempo ormai asservito ai diktat del mondo dei colletti bianchi. Stando all’ultimo Rapporto sulla finanza sostenibile della Fondazione per la Sussidiarietà, infatti, nel nostro Paese sono spariti quasi 10 mila sportelli bancari soltanto negli ultimi dieci anni, per un totale di circa il 30% in meno.
E così mentre a inizio 2010 il numero di sportelli sparsi lungo il territorio italiano erano poco più di 34 mila, nel 2020 la cifra complessiva era già scesa a 24.312. Allargando l’orizzonte, l’indice di filiali bancarie ogni 100.000 abitanti vede spiccare per efficienza tra gli Stati europei Finlandia (5), Olanda (9), Germania (11) e Austria (12). In coda Portogallo (38), Italia (39), Spagna (50) e Bulgaria (60)
Dando un’occhiata alla distribuzione lungo la penisola, il Sud ha visto il maggior numero di tagli effettuati in questa direzione rispetto al Nord: le agenzie ogni 100.000 abitanti sono 20 in Calabria, 22 in Campania e 25 in Sicilia. Valori decisamente più elevati, invece, in Trentino Alto Adige (70), Valle d’Aosta (63) ed Emilia Romagna (56). La classifica per province vede invece in cima Reggio Calabria, Vibo Valentia e Caserta, con 17 filiali ogni centomila abitanti, con i codaTrento (76), Cuneo (72) e Sondrio (71).
Tra i curatori del rapporto il professore ordinario di Economia degli intermediari finanziari all’università di Trento Luca Erzegovesi, che alle pagine del Corriere della Sera ha commentato: “In Italia le banche hanno storicamente privilegiato le aree più sviluppate, con maggiore presenza di imprese e clienti ad alto reddito. Nei prossimi anni le reti saranno ottimizzate, avvicinandoci agli standard europei”.
Un fenomeno che va di pari passo con la concentrazione nel settore bancario: a fine 2019 i primi cinque istituti di credito in Italia rappresentavano il 47% delle attività totali. Uno scenario simile si riscontra in Francia (49%), mentre è inferiore in Germania (31%). Più concentrato ancora il mercato spagnolo (67%).
FONTE: https://www.ilparagone.it/attualita/sportelli-bancari-in-via-destinzione-in-italia-ne-sono-scomparsi-oltre-10-mila-in-10-anni/
GIUSTIZIA E NORME
Causa collettiva, Sandri: l’osceno business dei tamponi
Un tampone molecolare costa dai 70 ai 120 euro, e in Italia ormai si eseguono 300.000 test Pcr al giorno. La spesa quotidiana è esorbitante: come minimo, oltre 21 milioni di euro, cioè quasi 150 milioni alla settimana, mezzo miliardo al mese, 6 miliardi all’anno. Si parla tanto di vaccini, dice l’avvocato Mauro Sandri – che già raccolto 1.500 italiani per una causa collettiva contro lo Stato – ma non si fa caso alla spesa, infinitamente maggiore, per i tamponi. Il vaccino Astrazeneca (demonizzato a reti unificate per le reazioni avverse che ha provocato) costa appena 3 euro a dose, dice l’avvocato, mentre il concorrenze Pfizer (che sconta un numero ancora maggiore di effetti collaterali, passati però sotto silenzio) ne costa 14. C’è una regia commerciale, dietro la “guerra” tra vaccini? E soprattutto: il business dei tamponi è incomparabilmente più grande. Una vera e propria gallina dalle uova d’oro: chi avesse il coraggio di uscire dall’emergenza Covid dovrebbe vedersela, un minuto dopo, con i produttori del tampone, che – a livello internazionale – stanno cavalcando un business stellare, da decine di miliardi di euro.
La stessa Oms, rileva il legale, invita a non affidarsi ciecamente al tampone molecolare: non è un vero e proprio strumento diagnostico, ha avvertito il suo “inventore”, che raccomanda di non superare i 20-22 “cicli di amplificazione” cui viene sottoposto il campione organico, a contatto con appositi reagenti per rilevare tracce virali. Oltre quella soglia, si spiega, si rischia di intercettare qualsiasi altro virus presente nell’organismo, inclusi quelli (innocui) del semplice raffreddore. In Italia, denuncia l’avvocato Sandri, la prassi è regolarmente sbagliata: si eseguono anche 40 “cicli di amplificazione”, col risultato poi di indicare come “positivo al Covid” il soggetto refertato. Ecco perché molti medici hanno parlato di una quantità esorbitante di “falsi positivi”: soggetti risultati positivi al tampone, ma assolutamente asintomatici e in ottima salute. Nonostante ciò, da ormai un anno, li si annovera tra quelli che i media chiamano “casi”, nel quotidiano “bollettino di guerra” che pretende di monitorare l’andamento della cosiddetta pandemia.
«Contro tutto questo sto preparando cause precise, di risarcimento danni: non mi bastano le denunce astratte, voglio arrivate a risultati concreti», averte l’avvocato Sandri. «La drammatizzazione del Covid non dipende dalla pretesa gravità della malattia: è un problema di disservizio gestionale della sanità». Gli unici soggetti potenzialmente a rischio erano gli ultra-75enni, dice il legale, e non si è fatto nulla di specifico per proteggerli. «Il Covid poteva e doveva gestito con l’ordinaria diligenza sanitaria, che uno Stato deve mettere in campo». Sandri mette nel mirino soprattutto Conte, Speranza e il Cts: «Dobbiamo concertizzare una controffensiva legale che faccia finalmente giustizia: dobbiamo diventare milioni, e fare del tribunale la nostra vera piazza». Sandri ha firmato tre ricorsi in sede Ue contro i contratti per i vaccini. E attacca il governo italiano: «Essere stati privati della libertà non può passare così, senza una sanzione: dev’essere fatta giustizia, per risarcire i cittadini e ricompattare la comunità nazionale».
«E’ un problema che riguarda milioni di persone», insiste il legale, ospite di “Visione Tv“: «E’ importante che venga accertato che il problema non è il Covid, come malattia grave in sé, ma è la gestione del Covid». Oltre alla follia dei lockdown, che hanno colpito l’intera popolazione (in maggioranza, non esposta ad alcun pericolo sanitario), Mauro Sandri insiste sull’opaco business dei tamponi, che sta fruttando decine di miliardi. «E’ un affare enormemente superiore a quello dei vaccini: è imparagonabile». Chiosa il legale: «Chi parla di “dittatura sanitaria” non ha compreso che la sanità è solo il vettore su cui è salita la finanza: perché le case farmaceutiche guadagnano tantissimo, ma la finanza – indebitando gli Stati a livelli mai visti, nella storia – sta realizzando il vero, grande profitto».
Magaldi: coprifuoco illegale, il governo non può imporlo
Giustizia e libertà, in nome della democrazia italiana. Gioele Magaldi sfida il governo Draghi, i giornalisti e gli stessi poliziotti: il Movimento Roosevelt, da lui presieduto, violerà il coprifuoco la sera di sabato 1° Maggio, Festa del Lavoro, con una nuova “passeggiata disobbediente” a Campo dei Fiori, nel cuore di Roma, ai piedi della statua di Giordano Bruno, simbolo di resistenza contro l’oppressione. Magaldi ricorda che, lo scorso 17 febbraio – nel corso di un’analoga iniziativa – i militanti furono identificati dalla polizia e maltrattati dalla stampa, che li definì “negazionisti”, sulla base di una “velina” dell’ufficio stampa della Questura di Roma. «Ora chiediamo ai giornali – e in primis alla Questura – di pubblicare una rettifica a norma di legge: noi non neghiamo affatto il Covid. E invitiamo i giornalisti a venire a Campo dei Fiori per prendere nota delle ragioni della nostra richiesta nonviolenta, civile e democratica, di rispettare la Costituzione, che proibisce al governo di istituire un coprifuoco in tempo di pace».
Non solo: «Insieme agli avvocati del servizio di Sostegno Legale del Movimento Roosevelt, stiamo valutando la possibilità di richiedere un risarcimento danni agli agenti di polizia che dovessero verbalizzarci: in base al Codice di Norimberga, infatti, non potrebbero eseguire disposizioni incostituzionali». Magaldi rende pubblico il programma della giornata, invitando poliziotti e giornalisti a far visita ai militanti: il Movimento Roosevelt si riunirà in assemblea già nel pomeriggio, alle ore 14.30, nel locale “L’Habituè” di via dei Gordiani, 22. «Quindi ci assembreremo, e nello stesso locale poi ceneremo (anche al chiuso) prima di raggiungere Campo dei Fiori alle ore 22.45, violando pertanto il coprifuoco». Trasparente la motivazione: «Ben lungi dal negare che il Covid possa essere pericoloso, contestiamo radicalmente le scandalose politiche autoritarie introdotte per la gestione della pandemia: restrizioni catastrofiche, in quanto inefficaci verso il Covid e gravemente liberticide».
Magaldi cita il caso dello studente ventunenne di Camerino, Marco Dialuce, che è riuscito a far “assolvere” un amico, sanzionato per violazione del coprifuoco: «Uno studente del secondo anno di giurisprudenza ha più coscienza giuridica degli esimi esperti che hanno sin qui malgovernato la gestione politico-sanitaria dell’emergenza». Il presidente “rooseveltiano” menziona anche il tribunale di Reggio Emilia, che ha appena respinto la legittimità giuridica del coprifuoco: come affermato dal Gup, Dario De Luca, la Costituzione (articolo 13) non ammette l’imposizione del coprifuoco, in tempo di pace, nemmeno in presenza di un’emergenza sanitaria: un simile “obbligo di permanenza domiciliare” può essere imposto solo a singoli cittadini, e unicamente da un magistrato. «In nessun caso il coprifuoco può essere imposto da un governo», sottolinea Gioele Magaldi: «Certo non lo si può imporre con un Dpcm, e nemmeno con un decreto legge».
Pur riconoscendo che Mario Draghi ha rinunciato a un vero e proprio lockdown, anticipando timidamente alcune riaperture al 26 aprile, Magaldi però avverte: «Draghi rischia di essere travolto dalla continuità sostanziale col governo Conte-bis nella gestione delle politiche sanitarie, incluse le annesse restrizioni liberticide. Rischia così di veder pregiudicate le sue chance di andare al Quirinale, ma anche di veder appannato il suo buon nome, la fiducia che il popolo italiano aveva in lui: perché ci vorrà molto tempo, per vedere un rilancio dell’economia, specie se la politica sanitaria continuerà a essere così devastante, dal punto di vista sociale». Ribadisce Magaldi: «Noi non neghiamo affatto l’esistenza del Covid, né che questo virus possa provocare danni gravi. Riteniamo piuttosto che ci sta stata una strage di Stato, come spiegato nel bel libro di Giorgianni e Bacco, perché il virus non è stato ben curato, i protocolli di cura sono ancora tragicamente sbagliati e si sono commesse innumerevoli nefandezze, mentre alcuni vili affaristi lucravano con la compravendita di mascherine e quant’altro, in danno dell’erario e della collettività, approfittando come sciacalli della situazione».
Magaldi denuncia la perdurante assenza di un protocollo basato sulle cure domiciliari precoci, decisive per abbattere il numero dei ricoveri: «Il fatto che sia aberrante che ci si limiti tuttora a prescrivere Tachipirina e “vigile attesa” non è più una semplice opinione medica; di fronte alle evidenze ormai emerse diventa un atto criminale, criminogeno: procurata strage, vorrei dire. Se si continua così, i pazienti li costringi a ricoverarsi quando ormai si sono aggravati». Nel mirino, Roberto Speranza: «Il ministero della sanità credo richieda un intervento capillare della magistratura: il fatto che nei protocolli si parli ancora di paracetamolo e “vigile attesa” – insiste Magaldi – è uno sberleffo sonoro a tutti i morti, a tutte le persone gravemente colpite dal Covid. Credo sia il caso di procedere con qualche denuncia: visionando i protocolli, prendo atto di una serie di cose che sono insopportabili».
«Non ci sono soltanto le falsificazioni avallate dal ministro Speranza e dal suo capo di gabinetto, che hanno coinvolto Ranieri Guerra e lo stesso Silvio Brusaferro, attuale direttore dell’Iss, ma c’è un ministero che va rovesciato come un calzino: serve l’intervento della magistratura», ribadisce il presidente del Movimento Roosevelt. «Mario Draghi potrebbe evitare di ritrovarsi in questa situazione, rifilando un bel calcio nel culo (felpato, elegante quanto si voglia) a Roberto Speranza e a gran parte dei dirigenti della sanità italiana». Al nuovo premier, Magaldi non fa sconti: «Il 25 aprile, Draghi ha detto che nulla può essere anteposto alla libertà. Suona beffarda, questa affermazione, perché invece noi alla libertà abbiamo anteposto una presunta salute pubblica, insieme a meccanismi di manipolazione psicologica collettiva: il coprifuoco non ha alcun fondamento, nello sforzo per contenere il virus, mentre sta devastando la vita del paese e compromettendo le prenotazioni per l’imminente stagione turistica».
Magaldi invita i ristoratori a violare le restrizioni, e i cittadini a uscire di casa la sera, dimostrando di essere consapevoli del valore della libertà e della democrazia. «I ristoratori faranno bene a rimanere aperti, e la gente farà bene a infischiarsene del coprifuoco: così agisce un popolo maturo, affermando con la sua azione il proprio “no” alle vessazioni anticostituzionali». La vera partita, avverte Magaldi, è quella che si giocherà in autunno, con l’eventuale recrudescenza di questo virus, reale o enfatizzata dai media e da una contabilità discutibile. «Non possiamo rischiare di tornare a chiudere l’Italia. La risposta? Iniziare a passeggiare dopo le 22, e pretendere prevenzione sanitaria e protocolli di cura finalmente efficaci. Tra le misure più urgenti, il potenziamento dei trasporti pubblici: si impedisce l’assembramento al bar, ma poi ci si continua ad assiepare tranquillamente in metropolitana».
Aggiunge Magaldi: «Se siamo ancora sottoposti al coprifuoco, comunque, è anche colpa dei cittadini, che non hanno protestato abbastanza. La democrazia e la libertà hanno sempre un prezzo: cerchiamo di meritarcele, iniziando a disobbedire». Magaldi annuncia «azioni giuridiche mirate» e propugna «azioni popolari, di piazza», spiegando: «Se riusciamo a convincere i legislatori che “non c’è più trippa per gatti”, potranno anche discettare di nuove pandemie, ma l’interesse a fomentarle verrà meno. Se invece i cittadini continueranno a comportarsi come pecore che attendono che il buon pastore, graziosamente, dispensi libertà (o magari la limiti), allora non andremo da nessuna parte». Ancora: «Invece di soffiare sul fuoco del terrorismo psicologico, puntando solo alla sopravvivenza biologica, si ponga finalmente l’accento sui valori non negoziabili, come quella libertà di cui parlava Draghi il 25 aprile». Ai giornalisti, Magaldi rivolge un invito: «Una volta tanto, si mettano al servizio dei valori democratici». E un appello, infine, agli operatori della pubblica sicurezza, in un clima sociale dove l’insofferenza sta ormai crescendo a vista d’occhio: «Invito le forze dell’ordine a riflettere: valutino se per caso non stiano operando in modo incostituzionale».
PANORAMA INTERNAZIONALE
Da Reagan a oltre Roosevelt: Biden cambia il paradigma?
“Il piano di enorme stimolo di Biden lascerà la classe media americana “tossicodipendente dallo Stato … e dal Partito Democratico“: il sibilo rabbioso del Wall Street Journal non consente dubbi. Stanziando 1,8 trilioni “per la classe media”, “Biden calpesta il vecchio contratto sociale: “Soldi solo in cambio di lavoro”.
Ha ragione il giornale della speculazione : da oltre mezzo secolo (Thatcher, Reagan) il capitale finanziario ha aumentato i suoi profitti retribuendo sempre meno il lavoro in Occidente, o detto altrimenti frodando la giusta mercede agli operai. Anzi peggio: è stato il capitale che ha trasformato la Cina da immenso paese arretrato in potenza tecnologica assoluta, trasferendo là i brevetti e il know how (saper-fare) perché là poteva pagare gli operai specializzati e gli ingegneri un decimo di quelli USA; una visione avida e corta, che ha sottovalutato per spregio morale anche i cinesi: la loro cultura (classica), la loro civiltà (superiore perché millenaria, antica), la loro intelligenza e il loro orgoglio nazionale, nonché ovviamente gli americani del lavoro: con l’esito della de-industrializzazione delll’Occidente, ridotto a consumatore di prodotti cinesi, prima semplici, via via sempre più complessi ed inbarrivabili tecnologicamente.
Cambio di paradigma tributario: Dopo 50 anni che i capitalisti speculativi, sempre più giganteschi e perciò più potenti degli Stati, strappavano ai governi e parlamenti (comprati: coi superprofitti) sempre più succosi tagli e tagli alle tasse sul capitale finanziario, il loro, fino a non pagare niente grazie ai paradisi fiscali – adesso Biden vuole aumentare l’aliquota dell’imposta sulle società degli Stati Uniti dal 21% al 28% per contribuire a finanziare il suo piano infrastrutturale da 2 trilioni di dollari. Anche il vostro modesto cronista diceva che si dovevano tassare se non altro i mega-profitti dei GAFA. Mai ha pensato potesse diventare programma politico a Washington.
POLITICA
Speranza tra bugie e omissioni: se questo è un ministro
L’attitudine di Speranza a nascondere la verità è inquietante. Viene da pensare sia incompatibile col ricoprire un ruolo istituzionale, visto che nasconde la verità e distorce i fatti. In Senato aveva l’opportunità di fare chiarezza su tutto, e invece ha deciso di rispondere solo a quei temi che riteneva più agevoli. Ha distorto le richieste di chiarimenti e ha del tutto omesso di spiegare fatti che gli venivano contestati. Non si è neppure degnato di smentirli, ma evidentemente perché non poteva farlo. Il famoso report dell’Oms scritto da Francesco Zambon e poi rimosso dal sito dell’Organzzazione Mondiale della Sanità? Speranza in aula ha detto: «Non siamo stati noi a farlo ritirare». Ma nessuno lo ha mai accusato di questo. Noi abbiamo domandato se lui o qualcuno del suo ministero si sia adoperato affinché quel documento non tornasse online. E il suo dicastero c’entra: nelle email e negli Sms tra Ranieri Guerra e Silvio Brusaferro si riferisce di incontri tra Guerra, Speranza e il suo capo di gabinetto, Goffredo Zaccardi. Quei file, in mano alla Procura di Bergamo, dimostrano che Zaccardi si adoperò affinché quel report ‘morisse’ e venisse fatto ‘cadere nel nulla’.
Speranza? Le opzioni sono due: o sapeva, e sarebbe grave; oppure non sapeva, e allora politicamente sarebbe anche peggio, perché si dimostrerebbe un incapace. Lui in Senato ha citato l’articolo 95 della Costituzione. Bene, dovrebbe ripassarsi pure il 94, dove si dice chiaramente che il ministro è individualmente responsabile degli atti compiuti dal suo dicastero. E le questioni di cui parliamo riguardano persone alle sue dirette dipendenze. E poi ho trovato vergognoso – proprio vergognoso, senza alcun ritegno – il richiamo ai medici che si sono spesi in questa pandemia. Perché tra le modifiche che Guerra suggerì sul dossier di Zambon ci fu proprio questa: cancellare il riferimento ai medici che morivano in corsia. Erano eroi, ma non si doveva dire che morivano. Speranza, poi, dice che il piano pandemico del 2006 non spettasse a lui aggiornarlo, ma ai 7 ministri che lo hanno preceduto? Non abbiamo mai chiesto a Speranza perché non ha aggiornato il piano. Gli abbiamo chiesto perché non lo ha attivato.
In una circolare del 5 gennaio 2020 della direzione prevenzione, a firma Francesco Maraglino, si dice che andavano attivati tutti gli strumenti di contrasto all’influenza. Inoltre, da un verbale della task force del 29 gennaio, emerge che Giuseppe Ippolito, direttore dello Spallanzani, suggerisce al ministro di utilizzare il piano pandemico aggiornandolo alle indicazioni dell’Oms. Se tu chiami un consigliere alla task force e questo ti dice di fare una cosa e poi non la fai, ci devi spiegare perché. Anche la Procura di Bergamo, infatti, si è posta la stessa domanda. Noi di Fratelli d’Italia non siamo connotati da disonestà intellettuale: sappiamo benissimo che Speranza è arrivato al ministero nel 2019. Ma vorrei far notare una cosa: la decisione 1082 dell’Ue, vincolante, che ci obbligava a rivedere il piano, è del 2013. Chi era ministro, allora? Beatrice Lorenzin. E sapete chi sedeva sulla sedia di capogruppo del Pd, allora al governo? Roberto Speranza.
Perché non venne attivato e si preferì scriverne uno da zero, il famoso ‘piano segreto’? Perché non volevano si sapesse che il vecchio piano non era aggiornato, cosa che avrebbe messo a nudo le mancanze di anni dell’intera macchina del ministero. L’interesse degli italiani è stato subordinato all’interesse del dicastero. Da gennaio, poi, un piano pandemico lo abbiamo, e il ministro l’ha sottolineato in Senato. Se ritiene non fosse utile contro il Covid, mi chiedo allora perché lo abbia rivendicato con tanto ardore. L’attitudine a distorcere i fatti di Speranza è davvero inquietante. E ci sono state decine di omissioni, nel suo discorso. La più grossa? Si è dimenticato di affrontare il tema della trasparenza, che lui nel suo libro sostiene essere la stella polare della sua azione politica. Ha addirittura rivendicato il fatto che il Cts, dove lui aveva nominato persone del suo ministero, operava sotto obblighi di riservatezza. Il tutto violando palesemente il punto 17 della decisione 1082 dell’Ue, che durante una pandemia impone di mantenere processi decisionali totalmente trasparenti.
Un’altra menzogna l’ha detta quando sostiene che Fratelli d’Italia gli contesti il rigore delle misure. È falso. Noi contestiamo l’irragionevolezza di alcune decisioni, che non vengono adeguatamente spiegate alla popolazione. E questo, in violazione della Regolamentazione Sanitaria Internazionale, secondo cui occorre coinvolgere i cittadini se si vuole davvero sconfiggere un virus. A marzo 2020 era l’unico, a predicare rigore? Certo, ma solo perché era l’unico che aveva i dati i mano. Perché non li ha divulgati? Credo che nei verbali della task force (che non ci forniscono) ci siano degli elementi che comprovano la responsabilità politica di Speranza sulla tragedia che abbiamo vissuto. In Senato mi aspettavo trovasse un briciolo di umiltà per chiedere scusa. E invece, il ministro ha mentito in modo evidente: se poi ha detto bugie per dolo o per incapacità, è una questione di cui dovrà rispondere di fronte agli italiani e, credo, anche di fronte ai giudici.
I familiari delle vittime si sono molto risentite per le parole pronunciate da Speranza in Senato, il 28 aprile. Queste persone hanno intrapreso azioni civili contro lo Stato e non chiedono risarcimenti roboanti: basterebbe anche solo un euro. O forse anche solo le scuse del ministro. A quali altre domande avrebbe voluto avere risposta? Per esempio, perché abbiamo inviato autovalutazioni all’Oms in cui dicevamo di essere pronti, e non era vero? Perché non sono stai rimossi dal Cts i componenti che erano responsabili del mancato aggiornamento del piano pandemico? Perché sono ancora lì? Perché Speranza non ha smentito le email di Ranieri Guerra? Perché non ha spiegato il suo incontro con Guerra e le manovre del suo capo di gabinetto? Speranza dice di volersi tenere alla larga dalle polemiche politiche? Vergognosa strumentalizzazione. È lui che sta cercando di confondere le acque, nel tentativo di intorbidirle.
A chi giudica pretestuosa la mozione di sfiducia presentata da Fratelli d’Italia, rispondo così: in questi mesi abbiamo chiesto alcuni documenti, e non ce li hanno dati. Abbiamo fatto ricorso al Tar, e durante il giudizio non ce li hanno dati. Il Tar ci ha dato ragione, e loro ci hanno fornito atti diversi da quelli ordinati dai giudici. Abbiamo presentato oltre 20 interrogazioni, e non ci hanno mai risposto. Gli abbiamo chiesto di riferire in aula, e il ministro non è venuto. Abbiamo chiesto risposte e non ne ha date. Le dimissioni erano il minimo. Dice che non bisogna fare politica su una tremenda pandemia? Il primo a buttarla in politica è proprio lui. Ricordo che ha scritto un libro alternando la zona di Codogno ai congressi della Figc. È lui ad usare la pandemia per scopi politici.
(Galeazzo Bignami, dichiarazioni rilasciate a Giuseppe De Lorenzo per l’intervista “Da Speranza bugie vergognose, vi svelo tutte le sue omissioni”, pubblicata da “Il Giornale” il 29 aprile 2021. Bignami è un deputato di Fratelli d’Italia. Nei giorni scorsi, oltre un centinaio di personalità italiane hanno sottoscritto un appello a favore di Roberto Speranza. Tra i firmatari gli scrittori Eraldo Affinati, Corrado Augias, Gianrico Carofiglio, Paola Capriolo e Antonio Scurati, i politici Fabrizio Barca, Gianfranco Bettin, Luciana Castellina, Pietro Folena, Beppe Giulietti e la “sardina” Mattia Santori, nonché i sindacalisti Pierpaolo Bombardieri, Maurizio Landini e Luigi Sbarra. A sostegno di Speranza gli attori Alessio Boni, Sabrina Ferilli, Massimo Ghini, Monica Guerritore, Gabriele Lavia, Neri Marcorè, Umberto Orsini, Moni Ovadia, Dario Vergassola e Pamela Villoresi, insieme ai registi Ferzan Ozpetek, Gabriele Salvatores e Giancarlo Sepe, e ai cantanti Eugenio Finardi e Francesco Guccini. Tra i giuristi Lorenza Carlassare e Gian Carlo Caselli, tra i religiosi don Luigi Ciotti e don Matteo Prodi. Nell’elenco anche intellettuali come Stefano Bonaga e Domenico De Masi, Umberto Galimberti, Miguel Gotor, Gianfranco Pasquino, Chiara Saraceno, Tomaso Montanari e Mario Tronti, insieme a personaggi della televisione come Michele Mirabella e a due allenatori di calcio, Carolina Morace e Renzo Ulivieri. Tra i giornalisti Gad Lerner, Andrea Purgatori, Antonella Rampino, Norma Rangeri, Andrea Scanzi, Michele Serra, Marco Travaglio e Nadia Urbinati).
Il “pentito” del caso Palamara svela gli affari d’oro di Conte
29 Aprile 2021
Amara sostiene di aver raccomandato presso Acqua Marcia l’ex premier, che minaccia querela: mai visto
Un nome che torna spesso. Piero Amara, l’uomo dei dossier e dei depistaggi, al centro di un sistema di relazioni tra consiglieri di Stato e aziende. Dalle vicende Eni – di cui è stato avvocato esterno – alle sentenze pilotate al Consiglio di Stato, dal «Sistema Siracusa» al caso dell’ex pm Luca Palamara. Coinvolto in vari procedimenti penali (deve scontare in carcere quasi 4 anni), l’avvocato siciliano è diventato ora il grande accusatore. Amara riempie da tempo i verbali dei pm raccontando le vicende di politici di partiti diversi, potenti assortiti e toghe d’ogni genere. L’ultimo suo bersaglio è l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che è adesso in forte imbarazzo per via di certi incarichi svolti prima di diventare premier.
Il quotidiano Domani scrive che Amara avrebbe spifferato ai pm di aver «raccomandato» Conte per fargli ottenere, nel 2012-2013, consulenze dal Gruppo Acqua Marcia Spa (la più antica società immobiliare italiana) pagate circa 400mila euro. Una cifra legittima, ma sospetta secondo il testimone.
Il nome di Conte sarebbe stato fatto ad Amara da Michele Vietti, l’ex Udc, eletto vicepresidente del Csm nel 2010. Vietti sarebbe stato a conoscenza del fatto che Francesco Bellavista Caltagirone, che controllava Acqua Marcia, doveva far omologare dal tribunale di Roma il concordato preventivo della sua società. L’impero dell’immobiliarista, infatti, prima di sfiorare il fallimento nel 2013 per un debito con le banche superiore al miliardo, spaziava dagli hotel ai porti, dagli aeroporti ai servizi finanziari e alla comunicazione.
Secondo Amara la nomina di Conte come avvocato di Acqua Marcia (insieme a Guido Alpa ed Enrico Caratozzolo) era condizione fondamentale «per riuscire a ottenere l’omologazione del concordato stesso».
Conte annuncia querela per calunnia: «Mai visto Amara in vita mia, non ho avuto rapporti professionali nemmeno con Vietti. Quanto percepito è congruo». E anche Vietti smentisce: «Amara mente».
Uomo senz’altro da prendere con le pinze, i pm lo sanno, ma da ulteriori verifiche emerge che Fabrizio Centofanti (l’imprenditore accusato di aver corrotto Palamara e che nel 2012 era a capo delle relazioni istituzionali di Acqua Marcia) ha davvero ricevuto da Amara la richiesta di incaricare Conte. Può darsi anche che Amara menta, ma c’è una lettera del 2012 dove Centofanti scrive al professor Conte per chiedergli formalmente il «conferimento di un incarico professionale per la società dell’Acqua Pia Antica Marcia Spa»..
Due anni dopo Conte agevolerà anche l’acquisizione dell’hotel Molino Stucky di Venezia, controllato da Acqua Marcia, da parte dello sconosciuto imprenditore pugliese Leonardo Marseglia, che sbaragliò la concorrenza dei più importanti fondi immobiliari al mondo. Qualcuno potrebbe insinuare il conflitto d’interessi dato che Conte era stato prima consulente di Acqua Marcia (di cui conosceva i documenti del concordato) e poi di Marseglia, che di quel concordato ha beneficiato.
Gli incarichi di Conte, scrive Domani, sono probabilmente tutti leciti, ma i suoi comportamenti non sono molto vicini all’homo novus senza macchia descritto dalla propaganda del M5s potenziale nuovo capo dei grillini. E l’ex premier, in un post su Facebook, respinge anche questa affermazione: «Attività pienamente lecita».
VIDEO QUI: https://www.youtube.com/watch?v=s8RFZkZYgEA
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/politica/pentito-caso-palamara-svela-affari-doro-conte-1942723.html
STORIA
La felicità è una piccola cosa
Estate del ’58. Luglio, forse agosto. Il giovane fotografo Carlo Bavagnoli lascia la redazione di “Epoca”, il settimanale per cui lavora. A passo veloce s’incammina in direzione di Trastevere, la Roma che più ama.
L’aria è densa nell’intrico di vicoli dietro Piazza Trilussa verso l’ampio slargo di Santa Maria, dove il quartiere, uscendo dalle sue strettoie, sembra prendere un po’ di respiro. Hanno nomi stravaganti quei vicoli, una toponomastica che non porta il peso della memoria storica, e non ha intenti celebrativi. Una toponomastica dell’ordinario, senza pretese, piccole mitologie nate sulla strada: vicolo de’ Cinque, vicolo del Piede, vicolo del Cipresso, vicolo della Pelliccia.
Bavagnoli fiuta gli umori di quel mondo. Ci si immerge; li assapora. Aspetta che la vita gli si riveli. Quello che vede attraversando l’intreccio dei vicoli, è una realtà esuberante, mobile, in fermento. Non riesce a fissarla in un’immagine. Non riesce a prenderla. Ma non smette di guardare. Continua a inseguirne i minuti movimenti.
All’improvviso dal fondo del vicolo del Cipresso sbuca un ragazzo, dieci, dodici anni. Gli si fa incontro. Ben saldo sulle gambe, spavaldamente si mette nel fuoco dell’obbiettivo. Sembra quasi che Bavagnoli sia lì solo per lui. Il ragazzo prende la scena con un’irruenza prepotente, scoppiando in una risata fragorosa, una scossa d’allegria. Che cosa provoca quell’allegria? Nulla di preciso. È un’allegria senza nome, è pura presenza. “Sono qui”, sembra dire il ragazzo. “Sono vivo”. E questo gli basta: sentirsi vivi nell’aria densa di un qualsiasi giorno d’estate.
Sei anni dopo, nel 1964, la foto di vicolo del Cipresso verrà pubblicata sulla rivista “Life”, tempio del fotogiornalismo internazionale. È parte di un servizio di sedici pagine, dove Bavagnoli mostra la sua “Gente di Trastevere”. “Pure Joy”, dice la didascalia a fondo pagina. Così quella “pura gioia” si trova a fare il giro del mondo, diventando il segno vistoso della vitalità che comincia ad attraversare le strade dell’Italia, il simbolo della sua ripresa. Tutto il desiderio di vita di un’intera nazione, fino a quel momento compresso, schiacciato, si libera nella “pura gioia” di un ragazzo. In un giorno d’estate del 1958. In un angolo di Roma.
Anche Carlo Bavagnoli farà il giro del mondo. Assunto a “Life” (solo reporter non americano), da Roma si sposterà a New York, poi a Parigi. Il programma indicato dal fondatore della rivista, Henry R. Luce, sarà l’etica e l’estetica del suo fotografare: “Vedere la vita, vedere il mondo, scrutare i visi dei poveri, le attitudini dei pretenziosi…vedere, godere di vedere, sbalordirsi di vedere”.
Bavagnoli sarà un cacciatore di mondo. Avido di vita, non si stancherà di guardarne le espressioni, mettendole sotto il fuoco del suo obbiettivo per salvarle dalla fugacità che le consuma. La vita mentre accade.
Questa avventura dello sguardo comincia a Milano, all’apertura degli anni cinquanta. Il tempo rovinoso della prima metà dei quaranta è ormai dietro le spalle. È un giro di boa. Tutto accelera. L’Italia sta cambiando volto. È un corpo in tensione. Sgombrate le macerie, si comincia a costruire, anche se la vita di tutti i giorni è ancora scandita dalla miseria. La si vede dappertutto. Come una muffa invadente prende d’assedio le città che la vorrebbero ignorare.
“Milano per noi era la luna”, ha ricordato Carlo Cassola. Ma, per il momento, sulla luna ci si ciba di chimere, e dunque si saltano i pasti, e ci si rifugia in misere pensioncine (un letto e un tavolo, e il bagno in corridoio, per due lire). Bavagnoli, ventenne, vive così, cominciando a lavorare per le agenzie che forniscono il materiale fotografico ai quotidiani e ai settimanali. Poca roba. Si arrangia. Ma non smette di tenere l’occhio sulla città.
In una misera pensioncina di via Solferino, a quattro passi dalla prestigiosa sede del “Corriere della Sera”, cantore dell’operosa borghesia urbana, Bavagnoli incontra due giovani che segneranno la storia della fotografia italiana: Mario Dondero e Ugo Mulas. Negli anni milanesi, saranno inseparabili. Avrebbero voluto condividere la stessa stanza, a tre letti. L’arcigna proprietaria, che governa il mondo della pensione con mano ferma, proibendo quasi tutto, non lo ha consentito. Nulla da fare. E non serve insistere: Bavagnoli dovrà traslocare nella stanza accanto. Vicino di letto l’“anarchico” Luciano Bianciardi, che va rimuginando la sua “vita agra”. Il romanzo uscirà nel 1962 con grande successo, ma non basterà a placare l’“uomo in rivolta” che in lui si agita. Dopo aver bruciato tutti i suoi sogni, Bianciardi morirà, abbandonato a se stesso, in una corsia dell’ospedale san Carlo. Di cirrosi epatica, non ancora cinquantenne.
Nel vortice d’esistenze di La vita agra c’è anche Carlo Bavagnoli (“Carlone”, che ossessivamente ripete: “Bisogna andare in America”), c’è la stagione dell’“Olimpo giamaicano”, il Bar Giamaica (“bar Antille” nel romanzo) a Brera, tavolini e sedie metallici, piastrelle bianche alle pareti, centro della vita artistica milanese, officina di nuovi pensieri. C’è l’“allegra brigata” delle anime in esilio, e Bianciardi ne è il rappresentante più autentico, mentre Milano entra, o affonda, nella spirale del “boom”. E ci sono le scorribande alcooliche, a colpi di “grappa gialla”, per smussare le punte dei tormenti più acuti, e forse anche per distrarsi dalla fame.
Poi Roma, l’incontro con la risata del ragazzo di vicolo del Cipresso. L’anno dopo, 1959, la Sardegna delle Baronie fotografata per “L’Espresso” (ne ho parlato in Sud Italia), l’“Africa in casa” dove nessuno ride.
Torniamo a quel ragazzo e alla sua impetuosa carica d’allegria. Ha un nome: Angelo Romani, e vive ancora al vicolo del Cipresso. Su un muro della sua casa, da oltre sessant’anni, è appesa la fotografia di Carlo Bavagnoli, che, per qualche anno, gli ha dato la celebrità, almeno nel quartiere. Ma sotto non c’è la didascalia di “Life”, “Pura gioia”. C’è una frase di Trilussa: “La felicità è una piccola cosa”.
Fonti:
Carlo Bavagnoli, “Gente di Trastevere”, 1963.
Ennery Taramelli, “Viaggio nell’Italia del neorealismo. La fotografia fra letteratura e cinema”, 1995.
Luciano Bianciardi, “La vita agra”, 2013.
Pino Corrias, “Vita agra di un anarchico”, 2011.
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FONTE: https://www.doppiozero.com/materiali/la-felicita-e-una-piccola-cosa
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