RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 30 AGOSTO 2022
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Una volta che accettiamo le nostre debolezze,
queste cessano di farci del male
GIORGIO NARDONE, Cambiare occhi toccaree il cuore, Ponte alle grazie. 2007, pag. 50
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Detti e scritti porta all’attenzione le iniziative editoriali di terzi, nell’esclusivo interesse culturale e informativo del lettore, senza scopo di lucro.
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SOMMARIO
L’economia germanica con la manodopera turca
Pronto il più grande attacco finanziario contro l’Italia
“Tante famiglie sono già ridotte alla fame”: i numeri (impressionanti) di un’emergenza che fa paura
Coltiva l’abitudine di piccoli atti di sedizione
L’Ungheria lancia un avviso all’UE sulle sanzioni alla Russia
Oltre l’Ucraina, le segrete cause materiali della guerra
L’Ucraina ha telegrafato per mesi la sua grande controffensiva. Allora dov’è?
Funzionari dell’FBI si sono fatti avanti per rivelare i reati dei loro superiori
I TATUAGGI
RICORDO DI ATTILA
LO SDEGNO DI LETTA E DI DI MAIO PER LA SPIA RUSSA A NAPOLI RACCONTA CHE LA SINISTRA E’ SEMPRE STATA UN POPOLO DI PUSILLANIMI
CASO RUBERTI: NESSUNO PARLA DI MAFIA E SOLO FROSINONE S’AZZARDA AD INDAGARE SULLA CENA DI POTERE
La distruzione dell’esercito ucraino da parte della Russia
I giganti cinesi Sinopec e PetroChina lasciano Wall Street: le contro misure finanziarie di Pechino contro Biden
“Se la situazione peggiora pronti a intervenire” La Nato prepara un’altra guerra e questa volta è alle porte dell’Italia
Liz Truss rinnova l’opzione apocalisse
UNA NUOVA PELLE
DIALOGO CON MASSIMO DONÀ – L’AVVENTURA DELLA FILOSOFIA
Mar-a-Lago, il Watergate di Biden si sta trasformando in un autogol.
La mistica della controffensiva ucraina e la dura realtà della guerra
CON L’UCCISIONE DI DARIA DUGIN ZELENSKJ E L’OCCIDENTE ALZANO IL LIVELLO DELLO SCONTRO
DRONI ASSASSINI
L’FBI afferma di “notificare regolarmente” alle piattaforme di social media potenziali “minacce” in seguito ai commenti di Zuckerberg
CONFLITTI D’INTERESSE ED INTELLIGENCE SULL’ORIGINE DEL COVID-19
Green pass, milioni di cittadini “disabilitati” con un click: “Vietato uscire di casa senza tampone”
La Germania pianifica l’aggiornamento del passaporto del vaccino con codice colore in stile cinese con più livelli di “diritti”
Green New Deal: l’impatto (negativo) sull’Italia e tutti i nodi da sciogliere
“Lo pagherete carissimo!” La Minaccia di Medvedev all’Europa. Intanto Bloomberg asfalta le sanzioni
Chi è colpevole degli attacchi speculativi contro l’Italia? La BCE con il TPI
Il TTF è comunque un mercato: sostituiamolo con uno migliore
Un breve memento: bisogna essere incapaci per fare carriera nella Commissione
Quando vivere negli USA è più pericoloso che andare in guerra: tre commando olandesi feriti a Indianapolis
L’Europa chiude il rubinetto degli aiuti militari all’Ucraina
LA NATURA È UN’INVENZIONE ARTIFICIALE
CLAMOROSO. Un informatore interno rischia di far saltare Pfizer
La Russia, l’indipendenza americana e la guerra di Secessione
EDITORIALE
L’economia germanica con la manodopera turca
Manlio Lo Presti 30 08 2022
IN EVIDENZA
“Pronto il più grande attacco finanziario contro l’Italia”. L’avvertimento del Financial Times: “Preparatevi alla bufera”
26 08 2022
Il Financial Times pubblica un articolo dal titolo inequivocabile: “Dagli hedge fund la più grande scommessa contro il debito italiano dal 2008”. Il quotidiano britannico agita lo spettro della speculazione sul sistema finanziario italiano, vista l’instabilità politica e l’attesa per l’esito delle elezioni 2022. I numeri a sostegno della tesi del FT sono quelli di S&P Global Market Intelligence. Sembra infatti che i fondi speculativi abbiano preso a prestito bond, per scommettere su un calo dei loro prezzi per un controvalore di circa 39 miliardi di dollari, solo ad agosto. Ebbene, si tratta del livello più alto dal 2008.
Ma perché sta accadendo una cosa simile? C’è da sottolineare che l’Italia “è il Paese più esposto guardando alle conseguenze dell’aumento del prezzo del gas, e il clima politico è teso”, spiega Mark Dowding, capo degli investimenti di BlueBay Asset Management, che gestisce asset per oltre 106 mld di dollari. FT ricorda le indicazioni del Fondo Monetario Internazionale: un embargo russo sul gas porterebbe a una contrazione economica di oltre il 5% in Italia e in altri tre Paesi europei, a meno che altre nazioni non condividano le proprie forniture.
Dunque, “Sembra che l’Italia possa essere il Paese più vulnerabile” al peggioramento delle condizioni economiche, afferma un altro investitore al Financial Times. Inoltre, tale convinzione viene coadiuvata anche alle decisioni della Bce. La strada intrapresa da Christine Lagarde, con l’allentamento dei programmi di stimolo e il progressivo rialzo dei tassi di interesse, potrebbe contribuire ad alimentare le tensioni sul debito italiano. Se gli speculatori degli hedge fund hanno ragione – e spesso purtroppo ne hanno – la futura crisi che l’Italia si troverà ad affrontare sarà ben peggiore di quella che nel 2008 ha causato morte e distruzione in tutto il Paese.
FONTE: https://www.ilparagone.it/economia/pronto-il-piu-grande-attacco-finanziario-contro-litalia-lavvertimento-del-financial-times-preparatevi-alla-bufera/
“Tante famiglie sono già ridotte alla fame”: i numeri (impressionanti) di un’emergenza che fa paura
Quale sarà la prossima sfida da affrontare? La fame, un’emergenza che rischia di colpire sempre più famiglie con il rientro dei ragazzi sui banchi di scuola. A lanciare l’allarme in queste ore è stata l’associazione Child Poverty Action Group, che ha sottolineato come in Inghilterra vi siano già 80.000 bambini che vivono in ocndizione di povertà e non hanno diritto ai pasti scolastici, con i presidi che si preparano ad accogliere un numero crescente di famiglie non in grado di nutrire in maniera adeguata i propri figli. Un trend che, purtroppo, secondo l’associazione è in crescita in tutto il mondo, Italia compresa.
Coltiva l’abitudine di piccoli atti di sedizione
Caitlin Johnstone – 24 08 2022
Ascolta una lettura di questo articolo:
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Non è facile essere qualcuno che ha a cuore il mondo e si oppone allo status quo. È una serie di sconfortanti fallimenti e schiaccianti delusioni in mezzo a un diluvio infinito di informazioni che dicono che tutto sta peggiorando sempre di più.
L’ambiente continua a degradarsi. Le strutture del potere di governo continuano ad avere sempre più controllo. Il capitalismo diventa sempre più squilibrato e sfruttatore. Le potenze mondiali si avvicinano sempre di più a uno scontro militare di massa di indicibile orrore.
E cosa otteniamo quando cerchiamo di opporci a queste cose? Delusione dopo delusione. I politici che sosteniamo perdono le loro elezioni, spesso dopo una sfacciata interferenza delle stesse strutture di potere a cui speravamo si sarebbero opposte. L’organizzazione politica crolla nelle lotte intestine settarie. I leader attivisti vengono coinvolti in scandali sessuali. Gli ordini del giorno che abbiamo contribuito a far svanire nell’impotenza. Il potere vince di volta in volta.
Ciò che passa per “sinistra” nel mondo anglofono è fondamentalmente un’opposizione controllata o un glorificato gruppo di hobby online. O entrambi. La vera sinistra è stata sovvertita con così tanto successo dal potere che il pubblico mainstream non sa nemmeno più cosa sia; la maggior parte pensa che la sinistra sia o un partito politico tradizionale che è interamente posseduto e gestito dall’impero o un mucchio di idee vagamente correlate come avere i capelli rosa o pronunciare i propri pronomi. La sinistra è stata davvero smantellata con così tanto successo che è stata quasi cancellata dalla memoria.
Ogni volta, ad ogni turno, il potere vince e le persone perdono. Dopo un po’ inizia a sembrarti di sbattere la testa contro un oggetto immobile. Alcune persone cadono dopo alcuni duri colpi. Alcuni non si rialzano più. Altri continuano a colpire, diventando sempre più duri e sempre più miserabili e nevrotici più a lungo ci vanno.
E la maggior parte delle persone non sa nemmeno che sta succedendo nulla di tutto ciò, questo è ciò che può davvero renderlo difficile. Parli con i tuoi cari di ciò che stai vedendo e loro si sentono a disagio o ti guardano come se fossi pazzo. Non vedono i problemi a cui stai indicando perché nessuno dei luoghi da cui ottengono le loro informazioni dice loro che sta accadendo, perché i potenti controllano quelle fonti di informazioni.
Come ha detto Terence McKenna, “Il costo della sanità mentale in questa società è un certo livello di alienazione”. E come disse Marshall McLuhan, “Nella terra dei ciechi, l’uomo con un occhio solo è un idiota allucinante”.
E fa schifo. Non importa come lo tagli, fa schifo. Fa schifo guardare questo enorme colosso che divora lentamente il tuo mondo e vedere che i tentativi di tutti di fermarlo falliscono, e che la maggior parte delle persone nella tua vita non lo capisca o non veda nemmeno cosa stai indicando.
Che cosa si può fare? C’è un modo per battere i bastardi? C’è un modo per fermare la macchina e far girare questa cosa?
Beh no. Comunque non è giusto in questo momento, e non da solo. La macchina è troppo grande, troppo radicata e il suo controllo sui sistemi informativi significa che non riceverai aiuto da altre persone nel numero di cui avrai bisogno. Siete solo voi e pochi altri contro un’intera struttura di potere che abbraccia il globo.
Ma questo non significa che tu sia impotente, e non significa che non ci sia niente che tu possa fare. Significa solo che non metterai fuori combattimento da solo il cattivo e salverai il mondo in un modo grandioso e piacevole per l’ego come un eroe d’azione in uno stupido film di Hollywood.
Quello che puoi fare come individuo è coltivare l’abitudine di commettere piccoli atti di sedizione. Praticare piccoli tagli di carta nella carne della bestia che si sommano nel tempo. Non puoi fermare la macchina da solo, ma puoi sicuramente gettare sabbia negli ingranaggi.
Dare a un ascoltatore ricettivo alcune informazioni su cosa sta succedendo nel mondo. Creazione di media dissidenti online. Graffiti con un messaggio potente. Amplificare una voce scomoda. Condivisione di un’idea dirompente. Sostenere una causa non autorizzata. Organizzarsi per fini proibiti. Distribuzione di letteratura. Creare letteratura. Avere conversazioni autentiche su cose reali con chiunque possa ascoltarti.
Ogni giorno c’è qualcosa che puoi fare. Dopo aver iniziato a puntare la tua creatività nel coltivare questa abitudine, ti sorprenderai con le idee innovative che ti vengono in mente. Anche un meme o un tweet ben posizionato può aprire molti occhi su una realtà a cui erano stati precedentemente chiusi. Ricorda, non lavorerebbero così freneticamente per limitare il discorso online se non rappresentasse una vera minaccia per l’impero.
Le persone tendono a sopravvalutare quanto possono realizzare in un giorno, ma sottovalutano gravemente quanto possono realizzare in un arco di diversi anni. Trovare ogni giorno piccoli modi per indebolire la macchina dell’oppressione si aggiunge gradualmente a centinaia di atti di sfida in un anno, che dopo pochi anni diventano migliaia.
Fallo e poi rilassati. Non aspettarti di salvare il mondo da solo. Sei solo umano e c’è solo uno di voi. Puoi solo fare ciò che puoi fare e l’umanità o farà il salto verso la salute o non lo farà. Basta esercitare influenza sulle cose su cui puoi esercitare influenza, e al di fuori di quella piccola sfera di influenza devi lasciarti andare e lasciar stare. Non esercitare pressioni ingiuste o irragionevoli su te stesso.
Perpetrare piccoli atti regolari di sedizione e poi arrendersi a qualunque cosa la vita porti. Personalmente vedo molte ragioni per sperare che un giorno possiamo far crollare quella macchina insieme.
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FONTE: https://caitlinjohnstone.com/2022/08/24/cultivate-a-habit-of-small-acts-of-sedition/
L’Ungheria lancia un avviso all’UE sulle sanzioni alla Russia
Budapest dice a Bruxelles che non se ne parli più di aggiungere ulteriori restrizioni
Budapest si rifiuta di negoziare qualsiasi ulteriore restrizione dell’UE nei confronti dell’energia russa perché non esiste attualmente un’alternativa alle forniture da Mosca, ha affermato sabato il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto.
L’UE ha schiaffeggiato diversi round di sanzioni a Mosca in risposta al conflitto in Ucraina e sta spingendo per una completa eliminazione graduale delle forniture di energia dalla Russia.
“Non siamo disposti a negoziare alcuna sanzione sull’energia, che si tratti di petrolio o gas”, ha detto Szijjarto in un forum economico a Tihany, aggiungendo che “il coraggio del governo ungherese” ha aiutato Budapest a resistere alle pressioni di Bruxelles.
“Non c’è sicurezza dell’approvvigionamento energetico in Europa senza l’utilizzo di fonti russe”, ha affermato Szijjarto, sostenendo che il gas russo non può essere sostituito nel prossimo futuro.
Il ministro degli Esteri ha aggiunto che la “risposta in gran parte fuorviante delle sanzioni” alla campagna militare russa è uno dei fattori che guidano l’inflazione e contribuiscono a una recessione globale.
L’Ungheria, la cui economia è fortemente dipendente dal petrolio e dal gas dalla Russia, è stata esentata da un divieto a livello dell’UE sul greggio russo a maggio. Il blocco ha vietato l’importazione di petrolio via mare, ma l’Ungheria continua a ricevere la merce tramite un oleodotto.
Il mese scorso il primo ministro ungherese Viktor Orban ha affermato che l’Europa si è “sparata nei polmoni” con le sue sanzioni sconsiderate contro la Russia.
#sadefenza
https://sadefenza.blogspot.com/2022/08/lungheria-alla-ue-basta-con-le-sanzioni.html
MB: Alla guida di un popolo di 9 milioni, ha il coraggio di opporsi alla euro-oligarchia. I governanti italiani si comportano come se dovessero baciare le mani alla UE perché ci ha ammesso, noi potenza industriale, e ci “aiuta col PNRR” (che paghiamo in gran parte noi: siamo contributori netti) e ci sorveglia e ci punisce perché sennò li spendiamo male. Nessuno dei nostri avrebbe mai il coraggio di “sfidare” la Commissione né sulle sanzioni alla Russia (che sono concepite per danneggiare noi) né su alcun altro tema: incameriamo i danni e lecchiamo le mani, “ cosa faremmo fuori dalla UE” eccetera.
I governanti dell’Ungheria sanno di poter contare su un popolo di altissima dignità, che si sa costantemente minacciato di perdere la forte identità – dalle orde mongoliche al destino di minuscolo ugrofinnico in un mare di slavi – e reagisce con quel coraggio senza cedimenti né compromessi che incute ammirazione. Dopotutto, nel 1956, fu il primo e solo popolo a sfidare il potere sovietico, lottando nelle strade, bottiglia Molotov contro carri armati; ed era un popolo esausto; la guerra era finita solo un decennio prima, e questo popolo aveva dato 900 mila vite magiare al Terzo Reich (per quella certa idea dell’Europa) , divisione dopo divisione annientata dall’avanzata dell’Armata Rossa , battendo poi fino a Berlino gli ultimi superstiti.
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/lungheria-lancia-un-avviso-allue-sulle-sanzioni-alla-russia/
Oltre l’Ucraina, le segrete cause materiali della guerra
di Emiliano Brancaccio
Post di Emiliano Brancaccio, docente di politica economica presso l’Università del Sannio
La narrazione della guerra è ormai polarizzata su due opposte retoriche. Putin e i suoi giustificano l’aggressione all’Ucraina con l’urgenza di denazificare il paese e salvaguardare il diritto di autodeterminazione delle popolazioni filo-russe. Il governo USA e gli alleati NATO, invece, sostengono sia doveroso partecipare più o meno direttamente alle operazioni belliche per tutelare la sovranità di un paese libero e democratico aggredito. Queste due propagande, pur contrapposte, risultano dunque uguali nel richiamarsi continuamente ai diritti, alla lealtà, all’ideologia, all’integrità delle nazioni, alla protezione dei popoli. Come se nelle stanze del potere si discutesse solo di tali nobili argomenti. Mai d’affari.
Che in un tale bagno di idealismo affondino i rozzi propagandisti che vanno per la maggiore non suscita meraviglia. Più sorprendente è il fatto che nel medesimo stagno si siano calati anche studiosi interpellati dai media: filosofi, storici, esperti di geopolitica e di relazioni internazionali, economisti mainstream. La ragione di fondo, a ben guardare, è di ordine epistemologico. I più sembrano infatti accontentarsi di una metodologia di tipo aneddotico. Ossia, una serie di fatti giustapposti, una concezione della storia come fosse banalmente costituita dalle decisioni individuali dei suoi protagonisti, una sopravvalutazione delle spiegazioni ufficiali di quelle decisioni. E sopra ogni cosa, una espressa rinuncia: mai pretendere di ricercare “leggi di tendenza” alla base dei conflitti militari. Da Allison Graham a Etienne Balibar, nessuno osa oggi parlare delle “tendenze” su cui invece indagavano i loro grandi ispiratori, da Tucidide ad Althusser. [1]
La conseguenza di questo involuto metodo di analisi è che nel dibattito prevalente si avverte la pressoché totale assenza di indagini dedicate agli interessi materiali sottesi ai movimenti di truppe e cannoni. Manca cioè un esame delle tendenze strutturali che alimentano i venti di guerra di questo tempo.
Colmare questa lacuna è un’impresa colossale, che richiederebbe un enorme sforzo collettivo. Qui proverò solo a dare un contributo preliminare. A tale scopo, riprenderò un celebre esperimento tipico dei cosiddetti “giochi di guerra”, per rielaborarlo alla luce di quella che definisco una nuova teoria della “centralizzazione imperialista”. John Nash e Karl Marx uniti nella comprensione dei fatti, potremmo dire.
Ai fini dell’esperimento adottiamo alcune semplificazioni, che in seguito potranno esser tranquillamente rimosse ma che ora possono aiutare il lettore a cogliere più agevolmente il nocciolo del problema. Immaginiamo di tornare indietro nel tempo, alla vigilia della guerra in Ucraina. [2] Esaminiamo le possibili strategie di due soli protagonisti chiave del conflitto, la Russia da un lato e i paesi NATO dall’altro. Gli attori in gioco hanno due opzioni: la pace oppure la guerra. Ipotizziamo che tali opzioni vengano decise in base a una variabile cruciale del capitalismo contemporaneo: le quote di controllo del capitale [3], in particolare le stime sulle variazioni di tali quote che potrebbero scaturire dalle conseguenze del conflitto militare e dall’annessione dell’Ucraina nella sfera di influenza economica propria o del nemico. Un caso chiave è descritto dalla seguente tabella, dove in ciascuna casella i numeri di sinistra e di destra corrispondono rispettivamente alla variazione attesa del controllo del capitale della Russia e dei paesi NATO a seconda della scelta delle parti di restare in pace o di entrare in guerra. I numeri inseriti sono indicativi, ma come vedremo gli esiti dell’esperimento sono esattamente gli stessi in un insieme molto più ampio e plausibile di circostanze.
NATO in pace | NATO in guerra | |
RUSSIA in pace | 0 ; 0 | -10 ; +2 |
RUSSIA in guerra | +3 ; -4 | -5 ; -2 |
Un “equilibrio di guerra” basato sulle variazioni attese del controllo del capitale. I valori di sinistra e di destra in ciascuna casella si riferiscono rispettivamente alla Russia e alla NATO.
Il lettore può verificare un fatto piuttosto increscioso. In questo tipo di situazione la guerra è la strategia “dominante”, nel senso che entrambe le parti sono indotte a confliggere. Il motivo è che la guerra è l’opzione che determina il risultato migliore, quale che sia la strategia decisa dal nemico. Nello specifico, se prevede che la NATO opti per la guerra, la Russia preferirà fare anch’essa la guerra per ottenere -5 anziché –10. Ma pure se assume che la NATO scelga la pace, alla Russia converrà optare per la guerra che assicura un risultato di +3 piuttosto che 0. Lo scenario è identico, si badi bene, se ci si pone dal punto di vista della NATO.
Sulla base di una ferrea razionalità capitalistica, dunque, entrambe le parti sono portate a scegliere la guerra. La conseguenza di questa scelta, tuttavia, è paradossale: le parti andranno infatti a situarsi nella casella in basso a destra, che determina un esito peggiore rispetto al caso in cui avessero optato entrambe per la pace situandosi nella casella in alto a sinistra.
Perché allora non scelgono la pace? Un motivo cruciale è che l’equilibrio di pace in alto a sinistra è precario. Basti notare, partendo dall’equilibrio di pace, che ciascun attore può essere attratto dalla possibilità di ottenere un risultato migliore spostandosi verso la guerra, e sa bene che lo stesso vale per il nemico. Questo significa che per scatenare il conflitto non è indispensabile la volontà originaria di aprire il fuoco. E’ sufficiente anche solo il timore che la controparte sia tentata dalla guerra.
L’esito finale è sconcertante: sebbene causi danni a tutti, la tendenza verso la guerra è inesorabile. Come in una nemesi di Goya, non è il sonno della ragione che genera mostri ma è la stessa ragione capitalistica che genera i mostri della guerra.
Il lettore potrebbe sospettare che un tale angoscioso risultato dipenda dalla banalità dell’esercizio didattico proposto e dai particolari valori inseriti in tabella. Purtroppo non è così. Il problema della tendenza verso la guerra si ripresenta anche in modelli di analisi molto più realistici, caratterizzati da attori multipli, obiettivi pluridimensionali, probabilità statistiche, sequenze temporali, ripetizioni, e così via. Quanto ai valori inseriti, non sono certo gli unici che conducono al conflitto. La tendenza verso la guerra si impone sotto una combinazione di dati iniziali molto ampia, corrispondente a tutte le circostanze in cui i risultati delle seconde righe e colonne siano potenzialmente superiori a quelli delle prime righe e colonne. [4]
Ebbene, vi è motivo di ritenere che negli ultimi anni sia avvenuto esattamente questo: si è formata una combinazione di dati che ha innescato una generale tendenza verso l’equilibrio di guerra, di cui il conflitto in Ucraina rischia di rappresentare solo un episodio preliminare.
Molte sono le cause di questo terribile mutamento di scenario, ma sono tutte essenzialmente legate al problema del controllo del capitale. Il punto da cui occorre partire è che la competizione capitalistica mondiale genera continuamente vincitori e vinti, con i primi che a lungo andare diventano creditori dei secondi e tendono poi a liquidarli o a fagocitarli. E’ la cosiddetta tendenza verso la “centralizzazione del capitale” in sempre meno mani, che col tempo sposta il controllo del capitale dei debitori liquidati verso i creditori che li acquisiscono. [5]
Un problema chiave di questa fase storica è che gli Stati Uniti e i loro più stretti alleati si illudevano di poter dominare la centralizzazione capitalistica e hanno invece scoperto di esserne soggiogati. Questi paesi stanno infatti subendo gli effetti di uno storico declino di competitività, che si traduce in una posizione di pesante debito verso l’estero e che li colloca nell’immane gorgo della centralizzazione capitalistica nel ruolo di potenziali sconfitti.
Questi grandi debitori occidentali hanno cercato per lungo tempo di restare a galla nel grande gorgo globale adottando una strategia di doppio espansionismo, del debito e dell’influenza militare nel mondo. In pratica, i debiti esteri finanziavano le milizie all’estero che a loro volta dovevano creare nuovi accaparramenti proprietari capaci di mitigare i debiti stessi. Le campagne di guerra in Iraq, tese anche a migliorare la bilancia energetica USA, sono solo l’esempio più elementare di questo complesso circuito militar-monetario.
Come già avvenuto all’inizio del secolo scorso per l’impero britannico, tuttavia, questa forma di imperialismo dei debitori ha incontrato ostacoli crescenti, fino a raggiungere una crisi di risultati e un limite massimo di espansione, comprovato anche da varie ritirate, dall’Afghanistan e non solo. Ecco perché, da qualche anno, la linea di condotta è cambiata. Oggi, gli USA e gli altri debitori occidentali non tentano più di governare la tendenza globale alla centralizzazione del capitale, ma mirano direttamente a bloccarla. Basti pensare alle cosiddette operazioni di “friend shoring”, una figura retorica sdoganata nelle alte sfere da Janet Yellen e altri, per indicare la nuova politica di protezionismo finanziario che l’occidente sta attuando nei confronti dei capitali provenienti dal resto del mondo. Una sofisticata politica trumpiana senza alcun bisogno di Trump.
Questa svolta protezionista, evidentemente, non è apprezzata dai grandi paesi creditori verso l’estero, in primis la Cina e guarda caso in misura minore anche la Russia, che a causa del “friend shoring” stanno incontrando crescenti ostacoli all’esportazione dei loro capitali in occidente. Ostacoli, si badi bene, sorti ben prima della guerra e delle famigerate “sanzioni”.
Proprio da queste difficoltà di esportazione dei capitali nasce la tentazione dei grandi creditori orientali di dare nuovi sbocchi ai loro flussi finanziari attraverso la forza, a mezzo di interventi militari. Ossia, sorgono i primi cenni di un imperialismo emergente da parte dei creditori orientali, incoraggiati anche dai limiti di espansione dell’imperialismo militare del grande debitore americano. Giungiamo così al cospetto di due forme, una conseguente all’altra, di quella che io definisco la nuova fase di “centralizzazione imperialista” del capitale. Non più decisa solo dalla competizione sui mercati, ma anche e soprattutto dagli scontri militari.
In sintesi, potremmo affermare che la svolta imperialista dei creditori russi – che non a caso gode delle simpatie dei creditori cinesi – ha trovato un suo cruciale fattore d’innesco nella crisi dell’imperialismo dei debitori, americani e occidentali, e nella conseguente svolta di questi verso il protezionismo finanziario.
E’ questa l’inedita combinazione di dati che sta alimentando una tendenza generale verso l’equilibrio di guerra, e che rischia di esondare ben al di là dei confini ucraini. La vera posta in gioco, infatti, è enormemente più grande: la sopravvivenza o la cancellazione delle regole del circuito militar-monetario internazionale, fino ad oggi continuamente scritte e riscritte a piacimento dai soli Stati Uniti e dai loro alleati, e subite da tutti gli altri.
Se si accetta questo schema interpretativo, emergono implicazioni sconvolgenti rispetto alle consuetudini della vulgata. Contro le fantasie dei pasdaran delle rispettive fazioni, secondo cui l’imperialismo sarebbe solo quello del nemico, gli imperialismi reali qui sono due, logicamente consequenziali: quello dei debitori in declino e quello dei creditori in ascesa, e sono destinati a scontrarsi come gigantesche zolle tettoniche in movimento. Mentre il capitalismo europeo, che pure ambisce a un proprio imperialismo unitario, di fatto resterà ancora a lungo sfracellato, anche a causa di un’identità finanziaria contraddittoria: all’estero né troppo creditore né troppo debitore, mentre all’interno affetto da un enorme sbilanciamento tra posizioni nette attive e passive.
In questo intreccio sempre più fitto di lotta economica e militare tra capitali, chi si affanna a parteggiare per gli uni o per gli altri esercita solo una perniciosa forma di “codismo”. Piuttosto, sarebbe il caso di focalizzare che nell’economia di guerra prossima ventura la classe lavoratrice di tutti i paesi coinvolti sarà inevitabilmente sottoposta a più intensi tassi di sfruttamento, tra ulteriori rischi di declino dei salari reali e delle quote salari, accentuata precarietà, nuove militarizzazioni dei luoghi di lavoro. Un destino da carne industriale e da cannone, a meno di ricostruire un autonomo punto di vista del lavoro nella contesa tra nazioni e tra classi: un “pacifismo conflittualista”, all’altezza dei durissimi tempi a venire.
Di questo e di altro si dovrebbe iniziare a discutere. Ma dall’analisi dei fatti c’è già una lezione preliminare da trarre. Nella sua essenza, il moderno conflitto militare è pura “guerra capitalista”, che scoppia a causa non di sacri diritti negati ma di profani contratti mancati. Molto più dello sfregio di una libertà violata, è l’onta di un affare perduto che oggi più che mai muove le truppe e i cannoni. [6]
Essere concreti costruttori di pace significa allora, in primo luogo, abbandonare le ingannevoli scorciatoie dell’idealismo e disvelare le potenti forze materiali che agitano i nuovi venti della guerra capitalista. Non lo si sta facendo, quasi per nulla. E il tempo stringe.
NOTE
[1] Per un approfondimento in tema di “leggi di tendenza”, si veda: Emiliano Brancaccio, Fabiana De Cristofaro (2022), In Praise of ‘general laws’ of Capitalism: Notes from a Debate with Daron Acemoglu. Review of Political Economy, first published online: 2 March. Trad. it. in Emiliano Brancaccio, Democrazia sotto assedio. La politica economica del nuovo capitalismo oligarchico, Piemme, Milano, 2022.
[2] Anche ben prima della vigilia: cfr. “La guerra per procura”, intervista a Emiliano Brancaccio e Giulio Tremonti, RAI Radio Uno, 21 marzo 2022.
[3] Per una misura delle quote di controllo del capitale paese per paese in termini di “network control”, cfr. Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti, Milena Lopreite, Michelangelo Puliga (2022), Convergence in solvency and capital centralization: a B-VAR analysis for High-Income and Euro area countries, Metroeconomica, forthcoming.
[4] Su potenzialità e limiti della teoria dei “giochi di guerra” e sui possibili legami con le analisi strutturali del capitalismo, si rinvia a: Emiliano Brancaccio con Giacomo Bracci, Il discorso del potere, Il Saggiatore, Milano 2019 (in particolare i paragrafi dedicati a Schelling e Aumann).
[5] Sulla teoria e sulle evidenze empiriche della centralizzazione del capitale, si veda: Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti, Milena Lopreite, Michelangelo Puliga (2018), Centralization of capital and financial crisis: a global network analysis of corporate control, Structural Change and Economic Dynamics, Volume 45, June, Pages 94-104; Emiliano Brancaccio, Giuseppe Fontana (2016), ‘Solvency rule’ and capital centralisation in a monetary union, Cambridge Journal of Economics, 40 (4). Cfr anche: Emiliano Brancaccio, Marco Veronese Passarella (2022), Catastrophe or Revolution, Rethinking Marxism, first published online: 7 February.
[6] Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti, Stefano Lucarelli, La guerra capitalista, Mimesis (di prossima pubblicazione).
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/estero/23163-emiliano-brancaccio-oltre-l-ucraina-le-segrete-cause-materiali-della-guerra.html
L’Ucraina ha telegrafato per mesi la sua grande controffensiva. Allora dov’è?
Mentre l’artiglieria di Kiev inizia a colpire le forze russe nel sud, gli analisti si chiedono se ci sarà altro in arrivo.
KIEV — Da due mesi l’Ucraina ha segnalato la sua intenzione di riconquistare la città meridionale di Kherson in quella che è stata annunciata come una grande controffensiva e nel momento in cui Kiev capovolge la rotta contro la Russia.
Tuttavia, come sarà quella spinta è ancora un mistero. L’artiglieria ucraina e i razzi forniti dagli Stati Uniti e dagli alleati hanno distrutto ponti e depositi di munizioni russi vicino alla città, ma il movimento di fanteria più ampio deve ancora avvenire. Nel frattempo, i russi stanno rafforzando e scavando.
Funzionari ucraini affermano da tempo che il destino della guerra potrebbe essere deciso nel sud e hanno affermato che una serie di attacchi sospetti alle installazioni militari russe ben oltre la linea del fronte, comprese due massicce esplosioni in una base aerea russa in Crimea martedì, hanno indicato che la controffensiva aveva iniziato.
Ma anche con miliardi di dollari di armi provenienti da tutta Europa e dal Nord America ora in mano ucraina, rimangono vere domande sul fatto che sia abbastanza e come potrebbe sembrare abbastanza.
Alcune di queste armi, come il sistema missilistico di artiglieria ad alta mobilità di fabbricazione statunitense, hanno permesso all’Ucraina di colpire le posizioni russe intorno alla città occupata di Kherson. Ma i russi stanno rispondendo a tono, portando a una situazione di stallo brutale che continua a lasciare la regione meridionale in palio, con la fanteria da entrambe le parti che si arrampica verso le loro trincee invece di spingersi in avanti.
La città di Kherson, che si trova sulle sponde settentrionali del fiume Dnipro, è una porta d’ingresso per le forze russe per spingersi a ovest verso la fondamentale città portuale di Odesa. È stato occupato dall’inizio della guerra, ma le forze russe non sono state in grado di spingersi a ovest a causa della resistenza ucraina.
Quell’azione di mantenimento è stata fondamentale per mantenere Odesa e altri porti del Mar Nero in mano ucraina, un’ancora di salvezza che ha consentito ad alcune spedizioni di grano di lasciare il porto, dando a Kiev una spinta economica disperatamente necessaria.
Ma il telegrafo dell’Ucraina della sua tanto attesa controffensiva, la sua lentezza e alcune decisioni sconcertanti hanno anche gli analisti più attenti di Russia-Ucraina che si chiedono dove sia andata a finire la spinta.
È una finta di Kiev per rimescolare e confondere le forze russe? O un’indicazione che l’Ucraina attualmente non ha la potenza di fuoco per spodestare la presa di Mosca su un territorio chiave – e che una guerra schiacciante di guadagni avanti e indietro è inevitabile?
“Perché il messaggio pubblico intorno a Kherson? Sarò onesto con te, non lo so, ma questo è qualcosa che mi sta facendo impazzire”, ha affermato Konrad Muzyka, analista militare e direttore di Rochan Consulting, che segue la guerra.
“Francamente, da un punto di vista militare, non ha assolutamente senso, perché se sei un comandante militare ucraino preferiresti di gran lunga combattere, diciamo, i sette gruppi tattici del battaglione russo che erano nel nord di Kherson un mese fa, non i 15 o 20 lì adesso”, ha aggiunto Muzyka, pur osservando che le perdite russe hanno indebolito la forza di combattimento di alcuni di questi battaglioni.
Come ha mostrato la disastrosa spinta russa verso Kiev a febbraio e marzo, tuttavia, spingere migliaia di truppe verso un obiettivo senza ammorbidire le difese nemiche è una proposta perdente, una lezione che gli ucraini hanno imparato.
I recenti attacchi contro tre ponti che attraversano il fiume Dnipro li hanno resi “inoperabili” e hanno seriamente interrotto la capacità della Russia di rafforzare le truppe nella città di Kherson, ha detto lunedì Nataliya Humenyuk, portavoce del comando operativo meridionale dell’Ucraina.
“I colpi inflitti loro attualmente non consentono l’uso di questi ponti per il movimento di attrezzature pesanti”, ha aggiunto.
I suoi commenti sono arrivati dopo che le forze ucraine hanno nuovamente colpito il ponte Antonovsky, l’ultima e più grande arteria che collega la parte meridionale della regione con il lato settentrionale. Le riprese video degli attacchi condivisi online mostravano i sistemi di difesa aerea russi che cercavano di eliminare l’HIMARS che prendeva di mira il ponte.
Ma gli scioperi riusciti non sono stati seguiti da significativi progressi in avanti sul campo. In effetti, c’è stato uno scarso movimento delle forze di terra ucraine intorno alla regione di Kherson, con alcuni rapporti che affermano che le truppe sono rimaste bloccate in trincea dai bombardamenti russi.
Il comando operativo meridionale dell’Ucraina ha affermato di aver liberato dozzine di piccole città e villaggi nella regione settentrionale di Kherson. Ma hanno incontrato poca resistenza russa in quelle aree. Prendere il resto del territorio sarà molto più difficile, dicono gli analisti.
Quell’attrito si fa sentire da entrambe le parti. Mentre l’Ucraina potrebbe non essere in grado di spingere quanto necessario al momento, i colpi che ha inferto allo sforzo logistico russo stanno anche strangolando le ambizioni del Cremlino. “Anche se la Russia riuscirà a riparare in modo significativo i ponti, rimarranno una vulnerabilità chiave”, per il Cremlino, una valutazione dell’intelligence britannica ha dichiarato il 13 agosto.
Migliaia di truppe russe potrebbero ora essere costrette a fare affidamento sul rifornimento tramite solo due punti di attraversamento dei traghetti di pontoni. “Con la loro catena di approvvigionamento vincolata, la dimensione delle scorte che la Russia è riuscita a stabilire in Cisgiordania sarà probabilmente un fattore chiave per la resistenza della forza”, afferma la valutazione.
Spostare anche un piccolo numero di truppe dalle posizioni difensive è stato uno degli aspetti più complicati della guerra di terra in Ucraina. Le forze di Mosca hanno dimostrato la volontà di sanguinare su ogni piede del Donbas che hanno guadagnato in sei mesi di combattimenti.
Non sarà più facile per gli ucraini, e ci sono dubbi sul fatto che abbiano le truppe e abbastanza proiettili di artiglieria per farlo.
Il Regno Unito ha preso l’iniziativa nell’addestramento di migliaia di soldati di fanteria ucraini nelle ultime settimane nel sud-est dell’Inghilterra e una manciata di paesi, tra cui Canada, Svezia, Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi e Nuova Zelanda, hanno affermato che presto si uniranno allo sforzo .
Ma quella pipeline fornisce solo circa tre settimane di addestramento di base della fanteria su movimenti e tattiche, quel tanto che basta perché le reclute abbiano una conoscenza superficiale delle realtà strazianti che dovranno affrontare, ma non molto di più.
Un incontro dell’11 agosto a Copenaghen ha visto 26 nazioni occidentali e l’Unione Europea impegnare altri 1,5 miliardi di dollari in aiuti militari all’Ucraina, soldi principalmente volti a fornire più artiglieria e munizioni.
Nel frattempo, la Russia nelle ultime settimane ha spostato le forze dalla regione meridionale di Kharkiv vicino alla città di Izyum e dalla regione di Donetsk a est, a sud per rafforzare le sue difese intorno a Kherson, aumentando quello che già era un vantaggio matematico in truppe ed equipaggiamenti.
Le forze russe incontrarono poca resistenza nei primi giorni dell’invasione quando presero quasi tutta la regione ricca di agricoltura di Kherson, una città strategicamente importante che si trova appena a nord della Crimea. Da allora, hanno rafforzato le loro linee lì e nelle ultime settimane hanno costruito difese in previsione di un attacco ucraino.
Ma è stata anche un’occupazione scomoda per gli invasori, poiché hanno dovuto affrontare il profondo risentimento dei residenti ucraini e la forte resistenza delle forze speciali che operavano di nascosto nell’area.
Tuttavia, la Russia prevede di tenere un referendum a Kherson a metà settembre per accogliere con la forza la regione nel suo gregge. Quindi, se Kiev spera di fermare il voto illegale, deve muoversi rapidamente.
Mykola Bielieskov, ricercatore presso l’Istituto nazionale ucraino per gli studi strategici, non crede che un’offensiva ucraina avverrà rapidamente, considerando che “l’Ucraina non ha le armi pesanti” per eseguire una tale manovra. “Questo è un errore enorme”, ha detto.
Ha detto che è probabile che Kiev colpirà “lentamente e metodicamente” le forze russe e “dimostrerà a Mosca che la sua posizione nel sud è insostenibile”.
Bielieskov suggerisce anche che la ridistribuzione delle forze russe a Kherson potrebbe essere un errore strategico. “Direi anche che la Russia ha reso la situazione ancora più precaria poiché più truppe avrebbero bisogno di più rifornimenti, che sono vulnerabili agli scioperi”, ha detto.
Kiev sembra averlo riconosciuto e ha attaccato i principali ponti ferroviari e di veicoli che attraversano il fiume Dnipro, negando alle truppe russe la libera circolazione nella regione.
Costringere Mosca a spostare la sua attenzione e i soldati dovrebbe essere considerato “un bel risultato”, ha detto Bielieskov. “È la prima volta nella grande guerra in cui la Russia corregge i suoi piani dopo le azioni dell’Ucraina”, ha detto. “Prima, l’iniziativa era rigorosamente in mano russa”.
Ciò potrebbe non sommarsi alla grande controffensiva che Kiev ha indicato. Ma Bielieskov afferma che il numero di armi e truppe in prima linea non è necessariamente istruttivo.
Indica la difesa di Kiev da parte dell’esercito ucraino sfavorito, che ha cancellato i piani offensivi della Russia e costretto Mosca a ritirarsi su un terreno più sicuro a est.
“I migliori strateghi sono quelli che non combattono secondo i libri di testo, ma trovano un modo per svolgere il proprio lavoro anche con mezzi limitati”, ha detto.
FONTE: https://www.politico.com/news/2022/08/16/ukraine-russia-kherson-00052285
Funzionari dell’FBI si sono fatti avanti per rivelare i reati dei loro superiori
Mandare l’FBI a fare irruzione nella residenza estiva di Trump non è stata una buona idea per la causa democratica; adesso spuntano anche 14 informatori dell’FBI che si sono fatti avanti per testimoniare e provare la parzialità ed ostilità pregiudiziale a Trump dei loro superiori; ciò, apparentemente, nell’ambito di una grande rivolta popolare che covava, ma che l’irruzione ha fatto esplodere e tradurre in azione politica.
Praticamente tutti i parlamentari repubblicani che votato contro Trump, per il suo impeachment o accusandolo di aver organizzato l’irruzione della folla pro Donald il 6 gennaio in Campidoglio, sono stati bocciati sistematicamente e deliberatamente dall’elettorato: questi RINO (Republicans by Name Only, Repubblicani solo di nome) non parteciperanno più alla vita politica. La più importante di questi sconfitti è Liz Cheney, la figlia di Dick Cheney, l’ex vicepresidente degli Stati Uniti al tempo del falso attentato di Al Qaeda dell’11 Settembre, che fornì la scusa per invadere l’Irak onde “riportarlo all’età della pietra”. Il cervello di George W-. Bush (che non ne ha) e criminale di guerra se mai ce ne furono.
La figlia Liz Cheney non è solo è uno dei 10 repubblicani della Camera che hanno votato per mettere sotto accusa Trump; ma co-presidente del comitato della Camera che indaga sulla falsa violazione del Campidoglio del 6 gennaio e che ne ha falsamente incolpato The Donald in un “processo” troppo stridentemente ideologico da allegare i denti. Eliminata, Trump le ha dedicato qualche tweet di vittoria:
“Presumo che con la grande perdita di Liz Cheney, molto più grande di quanto fosse mai stato previsto, il Comitato dei Thugs politici del 6 gennaio inizierà rapidamente il bellissimo processo di DISSOLUZIONE?” Trump ha scritto in un altro post su Truth Social martedì.
“Questo è stato un referendum sulla caccia alle streghe infinita. La gente ha parlato!” Trump ha aggiunto.
Può ben dirlo: i cittadini americani hanno mostrato una vitalità democratica, ed una intelligenza, che possiamo solo invidiare.
Cosa riveleranno i 14 agenti FBI che si sono fatti avanti per fornire informazioni alle indagini del Congresso, non sappiamo ancora. E’ appena accaduto. Abbiamo solo la dichiarazione del deputato trumpiano Jim Jordan (R-Ohio) il 14 agosto, circa una settimana dopo che l’FBI ha fatto irruzione nella casa in Florida dell’ex presidente Donald Trump.
“Quattordici agenti dell’FBI sono venuti nel nostro ufficio come informatori, e sono brave persone”, ha detto Jordan a Fox News. “Ci sono molte brave persone nell’FBI. È il vertice il problema”.
“Alcuni di questi bravi agenti stanno venendo da noi e ci dicono… cosa sta succedendo – la natura politica del Dipartimento di Giustizia… parlando della questione del consiglio scolastico, di tutta una serie di questioni”, ha aggiunto.
Due mesi fa, Jordan ha detto che sei informatori dell’FBI si sono rivolti alla commissione. Due si sono fatti avanti per un memo relativo a presunte violenze e intimidazioni durante le riunioni del consiglio e quattro in relazione alla violazione del Campidoglio del 6 gennaio 2021. Al Senato, invece, il senatore Chuck Grassley (R-Iowa) ha dichiarato a luglio che alcuni informatori si sono rivolti al suo ufficio per fornire informazioni, comprese quelle relative alle indagini sugli affari all’estero di Hunter Biden.
“Sta diventando una pista ben battuta di agenti che dicono che tutto questo deve finire, e grazie al cielo il popolo americano lo riconosce e credo che l’8 novembre cambierà molto”, ha detto Jordan, riferendosi alle elezioni di midterm.
A giugno, Jordan ha inviato una lettera al direttore dell’FBI Christopher Wray per avvertire che diversi ex funzionari dell’FBI si stavano facendo avanti, sostenendo che l’agenzia sta “epurando” i dipendenti con opinioni conservatrici.
Anche molti commentatori dei media non necessariamente trumpiani hanno criticato l’irruzione dell’FBI :
la CNN per esempio ha ammesso che se il raid di Mar-a-Lago riguardava solo la violazione di alcune leggi sull’archiviazione, allora funzionerà MOLTO bene per Trump: “Questo, spero vada oltre il semplice mancato rispetto di alcune leggi sull’archiviazione, o al DOJ (Dipartimento di Giustizia) ha appena consegnato a Donald Trump il candidato repubblicano alla Casa Bianca e potenzialmente la presidenza”
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/funzionari-dellfbi-si-sono-fatti-avanti-per-rivelare-i-reati-dei-loro-superiori/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
I TATUAGGI
Al giorno d’oggi sembra si faccia a gara, fra persone più o meno giovani (o che vogliono apparire tali a tutti i costi) a farsi qualche tatuaggio. Alcuni corpi ne sono talmente pieni, che non si intravvede più la persona sotto.
Dio è stato chiarissimo sul tatuaggio.
*In Levitico 19,28* sta scritto espressamente: ” *NON FARETE INCISIONI NELLA VOSTRA CARNE* , *NE’ FARETE TATUAGGI SU DI VOI* “.
Ma quanti cristiani lo sanno e/o seguono le Sacre Scritture?
*Farsi il tatuaggio è una disubbidienza a Dio* . La tragedia di questa moda, che ormai ha preso il largo tra i giovani, è il metodo di realizzazione con la quale viene attuata, ovvero l’incisione con l’ago.
Tale pratica nasce dalle antiche tribù pagane che inventarono tale metodo per permettere di fare entrare ed uscire dal proprio corpo gli spiriti divinatori (demoni).
*Il nostro amato Padre Gabriele Amorth* *aveva dichiarato, finché in vita* , *che negli* *esorcismi il demonio confessa ripetutamente* , *per bocca dei posseduti* , che *chiunque si tatua è un suo consacrato* e che a prescindere da quello che si decide di tatuarsi, la sua influenza nella vita dei tatuati è reale e continua.
*IL TATUAGGIO E’ UNA VERA E PROPRIA CONSACRAZIONE INDIRETTA A SATANA* .
Chi si tatua rischia di andare incontro a indicibili dolori, a momenti bui e a depressione, oltre che a fatture e malefici stessi.
*Il tatuato quindi permette al demonio di avere influenze su di lui* .
Molti problemi di depressione, alcolismo, droga ed altro ancora, spesso si manifestano proprio dopo l’essersi tatuati.
Questo discorso potrebbe anche essere preso alla leggera da molti e purtroppo anche da molti Sacerdoti, ma la vera contraddizione è che Anton La Vey, fondatore della chiesa di satana in America, confessò pubblicamente (nel libro Moderni Primitivi) quanto detto, ammettendo che *dietro ogni tatuaggio* (sia esso un fiorellino o un drago) *c’è il satanismo appunto* .
Un sacerdote di satana ha l’obbligo di consacrarsi proprio con il tatuaggio.
*Quando ci si tatua invece* *angeli, volti di santi, immagini di Gesù e di Maria, si offende due volte Dio* .
Non è un discorso sul quale farsi quattro risate.
In molti esorcismi, i posseduti coscienti durante il rito, hanno affermato che sentivano un fuoco tremendo bruciare proprio sulla pelle in cui ci si era tatuati.
*Basta un solo tatuaggio* per rischiare di avere disturbi di possessione come dimostrano i numerosi casi studiati dagli esorcisti.
*Tra l’altro i tatuaggi tribali contengono il 666, il numero dell’anticristo* .
Quindi pensateci bene prima di farvi un tatuaggio e ricordate che *mentre l’uomo guarda* *all’apparenza esteriore, Dio guarda al cuore* .
*Chi lo avesse già fatto, il* *mio consiglio è di andare da un Sacerdote esorcista* , disponibile nella diocesi di appartenenza, di fare un profondo atto di rinuncia e di farsi benedire la pelle tatuata;
*infine consacrarsi alla Vergine Maria.*
Adesso nessuno potrà dire: “io non lo sapevo”.
*La Fede in Dio non è un* *gioco e satana approfitta della nostra ignoranza* *per agire su di noi.*
Dio attraverso la Bibbia è chiarissimo anche su questo punto:
“*Il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza* ” (Osea; 4-6)
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/i-tatuaggi/
BELPAESE DA SALVARE
CASO RUBERTI: NESSUNO PARLA DI MAFIA E SOLO FROSINONE S’AZZARDA AD INDAGARE SULLA CENA DI POTERE
Sarebbe il caso di sottolineare che il morto è ancora fresco, e che Roberto Gualtieri ed il Pd non se la possono cavare ancora una volta affidando la poltrona ad un magistrato di loro fiducia (Alberto Stancanelli, consigliere della Corte dei Conti). Stancanelli certamente persona integerrima: ma perché Albino Ruberti era indispensabile agli affari pubblici del Pd romano? E come mai nessun organo di stampa grida nuovamente Mafia Capitale? Non dimentichiamo che il deus ex machina dell’inchiesta Mafia Capitale, il magistrato Giuseppe Pignatone (oggi presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, incarico che ricopre dal 2019) aveva così impegnato nel 2012 procura e media sull’argomento da non accorgersi che la Mafia di San Gallo (tutti alti prelati) s’interessava anche di flussi finanziari in uscita ed entrata dalla Città del Papa. Forse che Mafia Capitale era più grave ed importante degli interessi su Roma dei faccendieri legati alla Mafia di San Gallo? Mafia Capitale si è sciolta come neve al sole, e Pignatone è stato premiato: non è dato sapere se per aver fatto scoppiare la bolla Mafia Capitale o per non aver indagato su certi faccendieri collegati a San Gallo. Fatto oggettivo è che la progressista Mafia di San Gallo abbia sempre trescato con la componente cattolica del Pd. Ma a questi rebus la storia umana ha tutto il tempo di rispondere, e con molta calma. Resta il fatto che il giornalista Lirio Abbate (palermitano come Pignatone) nel 2012 denunciava su L’Espresso una Mafia Capitale poi nel 2020 ritenuta inesistente dalla Cassazione. Suppergiù l’inchiesta partiva per esternazioni e frasi, modi di dire roboanti. Insomma la stessa solfa che oggi rivediamo nel video che ha messo al palo Albino Ruberti. Con la sola differenza che in questo momento in Italia nessun giornalista coperto ed allineato si permette di dire “apriamo su Roma l’inchiesta per mafia e cerchiamo di capire quale gerarchia potrebbe aver organizzato Ruberti nel Comune di Roma e nel Lazio, e soprattutto agli ordini di chi”.
Necessita ricordare (vista la corta memoria politica italiana) che tutto nasce con una lite violenta a Frosinone, con urla e minacce profferite da Albino Ruberti, capo di gabinetto del sindaco di Roma Roberto Gualtieri. “Io li ammazzo… Devono venire a chiede scusa per quello che mi hanno chiesto… A me non me dicono ‘io me te compro’ – afferma Ruberti nel sonoro di un video – do cinque minuti pe veni’ a chiedeme scusa in ginocchio. Se devono inginocchia’ davanti. Altrimenti io lo scrivo a tutti quello che sti pezzi de… mi hanno detto… Io li sparo, li ammazzo”. Il video ha scatenato polemiche, Ruberti ha rassegnato le dimissioni, ma nessuno ha azzardato che quella cena potesse aver rilevanza di conciliabolo mafioso, che quelle parole hanno un evidente peso mafioso, in considerazione del rango politico-istituzionale di colui che le ha profferite. In Sicilia, Calabria, Puglia e Campania l’intercettazione di simili cene, con relativi discorsi, ha permesso l’immediato scioglimento per mafia d’una lunga serie di giunte e consigli comunali: in quelle cittadine del Mezzogiorno in poco tempo pioveva da Roma il commissario governativo, e tutti gli atti amministrativi finivano al vaglio dell’autorità giudiziaria.
Il video che ritrae Ruberti (pubblicato dal Foglio) è stato intanto acquisito dalla procura di Frosinone: “ci sarà pure un giudice a Berlino” esclamava Bertold Brecht in una sua celebre opera. Durante la cena al ristornate il Pepe nero (in via Brighindi di Frosinone) Ruberti avrebbe minacciato Vladimiro ed un certo Adriano. Vladimiro sarebbe un broker assicurativo, fratello di Francesco De Angelis (presente alla cena), mentre Adriano farebbe di cognome Lampazzi. Quest’ultimo è un collaboratore dell’assessore: la donna di cui si sentono le urla nel video è la compagna di Lampazzi, probabilmente terrorizzata da una probabile e futura vendetta.
Fra i testimoni, come riporta Il Foglio, c’è anche Francesco De Angelis, ex assessore regionale e già europarlamentare del Pd, ora candidato alle prossime elezioni politiche per i Dem. De Angelis, con una mail inviata al Nazareno, ha ritirato la propria candidatura alla Camera in seguito al video: e perché tanta fretta? Il fratello di De Angelis, Vladimiro, sarebbe infatti l’uomo con cui Ruberti discute nel video. L’ex assessore era infatti alla cena dove si è scatenato il tutto, soprattutto sarebbe testimone delle minacce. Da quanto ribadiscono le fonti: il ritiro di De Angelis è avvenuto per evitare strumentalizzazioni, sottolineando che quella dell’esponente Dem di Frosinone era “una candidatura praticamente non in posizione eleggibile, ma di servizio”. Perché De Angelis era in lista a Roma quando il suo collegio di riferimento è quello ciociaro? Misteri della fede!
Alla lite assiste anche Sara Battisti, consigliera regionale del Pd, originaria di Frosinone, nonché compagna di vita di Albino Ruberti: Sara Battisti cerca placare il Capo di Gabinetti e lui risponde “Sara se stai dalla parte loro io prendo le conseguenze….”. Il video s’interrompe con inspiegabile urlo di sottofondo di una donna: “oddio!”. Il Foglio è padrone del video e ne ha fatto buon uso, infatti ha domandato ragione della lite direttamente al destro di Gualtieri, che così s’è giustificato: “Si tratta di una lite per motivi calcistici, accaduta circa due mesi fa a Frosinone con una terza persona, che non voglio citare, al termine di una cena. Alla scena erano presenti anche Vladimiro e Francesco De Angelis con il quale ho ottimi rapporti. Niente di più”. Ma tirando le somme: ci si dimette per una lite calcistica? Ed un siffatto alterco possibile che sfoci nelle minacce di morte? E che cosa centrano col calcio le richieste di cui parla Ruberti? Queste domande all’ex Capo di Gabinetto probabilmente le riserverà la procura ciociara.
Intanto il Sindaco di Roma non si scomponeva più di tanto, ed andava avanti col suo solito sorrisone alla Fantomas. “Ringrazio Albino Ruberti per aver offerto le sue dimissioni a seguito della diffusione di un video che riporta una sua violenta lite verbale, avvenuta in occasione di una cena privata svoltasi a Frosinone due mesi fa – dichiara Gualtieri -. Le frasi contenute nel video sono gravi e non appropriate per chi ricopre un incarico di questa delicatezza. Per questo, in attesa che venga chiarita l’effettiva dinamica dei fatti, ho preso atto delle dimissioni di Albino Ruberti e ho chiesto al Vicecapo di Gabinetto Nicola De Bernardini di assumerne le funzioni. Al tempo stesso – sottolineava il Sindaco di Roma – voglio rimarcare la straordinaria qualità del lavoro svolto da Ruberti come Capo di Gabinetto, la totale dedizione e l’impegno profusi, e ho sempre apprezzato la sua orgogliosa difesa dell’integrità e dell’autonomia dell’amministrazione comunale e delle sue scelte”.
A prendere il posto di Ruberti è arrivato Alberto Stancanelli, e Gualtieri ha detto “ho chiesto al dottor Alberto Stancanelli, consigliere della Corte dei Conti, di assumere l’incarico di Capo di Gabinetto del Sindaco di Roma Capitale e lo ringrazio per aver accettato la mia proposta”.
E qui il Movimento 5 Stelle ne ha detta una giusta: “Non bastano le dimissioni di Albino Ruberti: il ruolo fino a ora da lui ricoperto come capo di Gabinetto del sindaco di Roma, e prima ancora da Zingaretti, necessariamente deve portare a chiarire quanto accaduto a Frosinone nel Ruberti-gate. Cosa significa ‘me te compro… sennò lo scrivo a tutti quello che ha detto… quello che mi avete chiesto a tavola’?”.
Chissà che qualche magistrato serio e coraggioso non valuti una vera indagine Mafia Capitale, questa volta centrando l’obiettivo. Perché, per dirne solo qualcuna, dalle mani delle Giunte Zingaretti e Gualtieri passano appalti e nomine per miliardi, e senza considerare l’uso tanto elastico che viene fatto d’immobili di Ater ed Ipab nonché di concessioni e licenze.
FONTE: https://www.lapekoranera.it/2022/08/22/caso-ruberti-nessuno-parla-di-mafia-e-solo-frosinone-sazzarda-ad-indagare-sulla-cena-di-potere/
CONFLITTI GEOPOLITICI
La distruzione dell’esercito ucraino da parte della Russia
A differenza di Whore Western Media, William Schryver fornisce un quadro accurato della distruzione da parte della Russia dell’esercito ucraino addestrato in Occidente:
La “smilitarizzazione” dell’Ucraina è stata proprio la mentalità russa in Ucraina. Il loro obiettivo principale, fin dall’inizio, come esplicitamente articolato dal presidente Vladimir Putin nel suo storico discorso del 24 febbraio 2022, è stato quello di “smilitarizzare” l’Ucraina: distruggere il suo esercito.
Quando iniziò la guerra, le forze ucraine più capaci, esperte, ben armate e ben posizionate NON erano a Kiev, ma nel Donbass e nel Mariupol. Erano stati posizionati lì per mesi, con l’obiettivo finale di riconquistare il Donbass e la Crimea, un obiettivo mai lontano dalle menti dei leader ideologici e politici dell’Ucraina.
Anzi, ne parlavano apertamente e senza riserve. Credevano fermamente che la forza delle loro forze armate, dopo otto anni di preparazione, avesse raggiunto un punto in cui era in grado di raggiungere effettivamente quell’obiettivo.
I loro benefattori nella NATO li incoraggiarono a crederlo, poiché era anche il sogno più ardente della NATO quello di alzare i propri stendardi sulla base navale di Sebastopoli, e quindi esercitare il dominio sull’intero Mar Nero e sul Bosforo.
In base a questo e a molti altri obiettivi geostrategici – arrestare la rinascita russa in primo luogo tra loro – la NATO fornisce armi all’Ucraina da anni e quelle spedizioni di armi sono state ampliate e accelerate notevolmente alla fine del 2021.
Decine di migliaia di soldati ucraini erano stati addestrati all’uso di questi armamenti della NATO. E, come era noto a chiunque prestasse attenzione anche casuale, migliaia di agenti dell’intelligence occidentale, forze speciali e appaltatori mercenari (prevalentemente americani, britannici e francesi – e molti di loro) erano incorporati nelle forze ucraine in prima linea, dove molti hanno da allora è stato ucciso o catturato e rimane ancora un consistente contingente.
Molte di queste truppe occidentali sono lì principalmente per coordinare la ricezione, l’interpretazione e l’uso “azionabile” di dati “ISR” (Intelligence, Surveillance & Reconnaissance) USA/NATO altamente preziosi e ancora più altamente classificati.
La madre di tutti gli eserciti per procura
L’esercito che gli USA/NATO avevano costruito in Ucraina, all’inizio del 2022, era cresciuto fino a diventare la forza di terra più grande e meglio armata d’Europa. In quasi tutti i parametri, era più potente degli eserciti combinati di Germania, Francia e Italia.
Forze terrestri europee – 2022
L’esercito ucraino è stato costruito appositamente per servire gli interessi dell’Impero americano nel suo obiettivo di lunga data di paralizzare la Russia e impedirle di essere mai più in grado di esercitare un’influenza globale; per effettuare il suo definitivo smembramento e ridurlo a un debole frammento del suo precedente status e gloria – per realizzare l’obiettivo geopolitico espresso nel popolare gioco da tavolo dell’era della guerra fredda RISK, che ha cancellato la Russia dalla mappa del mondo.
La decisione russa di invadere l’Ucraina alla fine di febbraio 2022 è stata motivata e basata su tutti questi fattori in aggregato ed è stata accelerata dai diffusi attacchi di artiglieria ucraina sulla regione del Donbass iniziati settimane prima.
Distruggere questa potente “madre di tutti gli eserciti per procura” che gli Stati Uniti ei suoi partner della NATO avevano metodicamente costruito ai suoi confini era, logicamente e manifestamente, l’obiettivo principale della Russia.
Non c’era nessun altro.
L’eliminazione di questa minaccia sostanziale alla loro soglia letterale era comprensibilmente vista dai russi come un imperativo esistenziale.
Distruggere la madre di tutti gli eserciti per procura
E, al fine di raggiungere al meglio quell’obiettivo, hanno attuato un classico stratagemma russo per impedire alle forze dell’Ucraina settentrionale di rafforzare quelle nell’Ucraina orientale e meridionale una volta iniziati i combattimenti.
QUESTO è il motivo per cui hanno condotto l’elaborata operazione “finta e aggiustamento” a Kiev e nei dintorni.
E, tutto sommato, ha funzionato perfettamente.
Detto questo, è fondamentale capire che le finte più grandi ed efficaci devono essere convincenti. E, per essere convincenti, rischiano molto spesso di essere costosi. Le migliori finte si basano su un’analisi costi/benefici il cui “beneficio” rappresenta spesso l’obiettivo principale di una guerra.
Nel caso dell’operazione di finta e riparazione a Kiev, c’è stato un costo notevole, sebbene non fosse così costoso come i propagandisti di guerra occidentali hanno cercato di rappresentarlo. Questo perché gran parte della finta consisteva in dimostrazioni di intenti, piuttosto che in azioni concrete.
Ad esempio, dopo aver ottenuto il dominio aereo nei primi giorni di guerra, i russi assemblarono un’enorme colonna corazzata e la guidarono casualmente lungo l’autostrada principale da nord verso Kiev. Quindi essenzialmente lo parcheggiarono lì per molti giorni, fingendo di tanto in tanto di dirigersi in una direzione o nell’altra, prima di ritirarsi alla fine ai propri confini e girarsi intorno per unire le forze che si preparavano a lanciare l’offensiva principale nel Donbass.
Tutto ciò che faceva a nord di Kiev era tutto per lo spettacolo. Non si sono rotti; le loro truppe non scapparono; non hanno finito il gas. Era solo una grande “finta di forza”.
Persino la Bielorussia ha assistito nelle rappresentazioni teatrali radunando truppe e veicoli, spostandoli in modo aggressivo appena oltre il confine con l’Ucraina e minacciando velate di unirsi all’assalto russo a Kiev – cosa che, ovviamente, non hanno mai fatto, perché nessun assalto del genere è mai stato previsto. E queste aggressive manifestazioni bielorusse cessarono una volta che i russi conclusero l’operazione di finta e spostarono le loro forze a sud-est.
Il risultato di questa finta operazione è stato che, nel corso di diverse settimane, i russi hanno effettivamente “riparato” oltre 100.000 soldati ucraini e il loro equipaggiamento nelle vicinanze di Kiev, hanno preso il controllo dei nodi di trasporto chiave e dei corridoi tra Kiev e il Donbass e contemporaneamente ha condotto una grande offensiva per circondare e annientare il gruppo dell’esercito ucraino di 20.000 uomini a Mariupol, una città portuale altamente strategica sulla costa del Mar d’Azov.
Le forze a Mariupol includevano il famigerato “Battaglione Azov” neonazista, il cui armamento e addestramento erano stati a lungo una priorità USA/NATO, ed erano considerati uno dei componenti più formidabili dell’esercito ucraino.
Le forze a Mariupol includevano anche molte dozzine di “consiglieri” della NATO (CIA, forze speciali e cosiddetti “appaltatori”). Erano presenti anche circa 2500 mercenari stranieri, la maggior parte dei quali veterani della NATO delle guerre in Iraq e Afghanistan.
Mentre i potenziali rinforzi sono rimasti inattivi e immobili dentro e intorno a Kiev, la potente forza di Mariupol è stata metodicamente circondata e sistematicamente annientata in un’operazione che sono sicuro sarà studiata nei college di guerra per generazioni come uno dei più impressionanti procedimenti giudiziari mai eseguiti sulla guerra urbana.
I russi hanno completamente invertito il rapporto di vittime generalmente accettato tra attaccante e difensore, e lo hanno fatto contro un nemico protetto all’interno di fortificazioni massicce e complesse che aveva preparato per anni all’interno della tentacolare acciaieria Azovstal.
Mentre tutto ciò avveniva, le forze russe ei loro alleati delle repubbliche di Donetsk e Lugansk si impegnarono a “dare forma al campo di battaglia” nella regione del Donbass in previsione della prossima e più importante fase della guerra.
Tieni presente che le forze ucraine nel Donbass avevano trascorso otto lunghi anni a costruire un’elaborata serie di fortificazioni rinforzate nella regione con l’obiettivo di resistere a un attacco russo e infliggere loro gravi danni quando lo facevano.
Naturalmente, i russi sapevano tutto questo e pianificarono chiaramente una linea d’azione progettata per superare i vantaggi che derivavano dagli ucraini a causa delle loro fortificazioni e della loro riprovevole tattica di usare i civili e le loro abitazioni come scudi.
Allo stato attuale delle cose qui all’inizio di luglio, è ormai incontrovertibile che l’operazione russa nel Donbass sia stata una vittoria schiacciante. È, a mio avviso, la gestione più impressionante di un campo di battaglia quasi urbano nella storia moderna. La forza originaria, composta da oltre 60.000 dei soldati meglio addestrati e meglio equipaggiati dell’esercito ucraino, è stata effettivamente distrutta. Ha subito perdite catastrofiche dei suoi quadri professionisti esperti formati dalla NATO. Le sue massicce perdite di personale sono state parzialmente reintegrate da truppe della milizia territoriale scarsamente addestrate, ma le sue perdite ancora più massicce di armi pesanti non possono essere reintegrate.
Ho descritto la strategia e le tattiche russe in un post precedente:
Ecco una breve sintesi dell’approccio tattico russo alla battaglia del Donbass:
Fase 1: unità di ricognizione avanzate (spesso in vigore, con dozzine o centinaia di droni in testa) per valutare la situazione; tirare il fuoco; trasmette ai comandanti video grezzi e coordinate geografiche.
Passaggio 2: con sciami di droni che correggono il bersaglio in alto, trasmettendo video di attacco in tempo reale, procedi a devastare le fortificazioni con artiglieria trainata e mobile, sistemi di lancio multiplo (in gradazioni di forza e precisione) e persino orribili munizioni termobariche per particolarmente obiettivi adeguati.
Lascia che il fumo sia chiaro.
Ripetere il passaggio n. 1.
C’è ancora qualcosa in movimento?
Ripetere il passaggio n. 2.
Ripetere il passaggio n. 1.
Cadaveri ovunque?
Passaggio 3: invia carri armati e fanteria per rastrellare.
Passa alla serie successiva di fortificazioni.
E così via e così via…
Questo è il motivo per cui l’Ucraina ora subisce centinaia di morti in battaglia ogni singolo giorno. E perché, per mesi, i russi hanno subito pochissime vittime – almeno un rapporto da 1 a 10 – e molto probabilmente molto inferiori.
L’artiglieria (con occasionali attacchi aerei e missili di precisione) sta facendo tutto il combattimento.
L’obiettivo russo non era MAI quello di “prendere Kiev”. Ho sentito tutte le argomentazioni e le razionalizzazioni contrarie. Sono palesemente fallaci. L’obiettivo principale della Russia era SEMPRE quello di distruggere l’esercito ucraino, i cui raggruppamenti più potenti erano posizionati nel Donbass ea Mariupol. E lo hanno fatto COMPLETAMENTE.
Allo stesso modo sono convinto che la “smilitarizzazione” continuerà ad essere l’obiettivo russo in Ucraina fino a quando gli ucraini non imploreranno di arrendersi, accettando qualunque condizione i russi propongano.
Solo allora la disposizione del territorio sarà decisa una volta per tutte, e se la mappa include un toponimo per un’Ucraina sovrana, probabilmente assomiglierà a questo:
Probabile mappa dell’Ucraina del dopoguerra
Possiamo solo sperare che i fanatici disperati di #EmpireAtAllCosts a Londra e Washington non commettano un errore fatale nei loro inutili tentativi di mantenere l’egemonia di fronte a un mondo multipolare in ripresa.
FONTE: https://www.paulcraigroberts.org/2022/08/19/russias-destruction-of-the-ukraine-military/
I giganti cinesi Sinopec e PetroChina lasciano Wall Street: le contro misure finanziarie di Pechino contro Biden
Continuano le contromisure finanziarie cinesi contro gli USA dopo la visita della Pelosi a Taiwan: i colossi petroliferi cinesi Sinopec e PetroChina, controllati dallo Stato cinese, hanno dichiarato venerdì l’intenzione di uscire dal listino della Borsa di New York, insieme ad altre due aziende statali.
L’annuncio del delisting delle azioni o delle American Depositary Shares (ADS) dal NYSE giunge in un momento in cui si protraggono i colloqui tra la Cina e le autorità di regolamentazione statunitensi in merito alle regole di revisione contabile, nonché in seguito all’inasprimento delle tensioni tra Stati Uniti e Cina dopo la visita del presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi a Taiwan la scorsa settimana.
Oltre a Sinopec e PetroChina, le altre società che hanno notificato alla NYSE la loro intenzione di uscire dal listino sono China Life Insurance e Aluminium Corporation of China (Chalco).
“Se la situazione peggiora pronti a intervenire” La Nato prepara un’altra guerra e questa volta è alle porte dell’Italia
“Se la situazione dovesse deteriorarsi siamo pronti a intervenire”. Lo ha dichiarato il segretario generale Jens Stoltenberg nel corso delle due conferenze stampa tenute con il presidente serbo, Aleksandar Vucic, e il primo ministro kosovaro, Albin Kurti. E proprio al premier di Pristina ha lanciato il suo avvertimento: “Siamo un attore neutrale, la nostra missione prevede, tra le varie cose, di far rispettare il movimento libero delle persone”, ha detto riferendosi all’obbligo di montare sulle auto targhe kosovare anche per la minoranza serba che ha scatenato le proteste di Belgrado.
La Nato interviene sulle tensioni
Non cala la tensione in Kosovo tra il governo e la minoranza serba del Paese. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, è intervenuto redarguendo ambo le parti. Il primo ministro di Pristina, l’ultranazionalista Albin Kurti, il quale non ha intenzione di cedere sulla conversione delle targhe per i serbi residenti nel nord del Paese, è stato avvisato: “La nostra missione di pace in Kosovo è focalizzata sul mandato ricevuto dall’Onu: dovesse la situazione deteriorare siamo pronti a intervenire. Il dialogo è l’unica soluzione per la regione”, ha dichiarato Stoltenberg nel corso di una conferenza stampa congiunta. Il numero uno della Nato ha poi aggiunto che: “La nostra posizione è chiaramente illustrata dal mandato dell’Onu e lo rispettiamo, siamo un attore neutrale, la nostra missione prevede, tra le varie cose, di far rispettare il movimento libero delle persone“. Il riferimento è chiaramente all’obbligo di montare sulle proprie auto targhe kosovare, anche per la minoranza serba, per poter circolare nel Paese.
L’accusa del premier kosovaro Kurti
Dal canto suo Kurti ha dimostrato di non aver alcuna intenzione di cedere: “È una misura legale secondo la nostra costituzione”, ha affermato. Il premier si è poi lanciato in un’invettiva contro Belgrado: “I cittadini del Kosovo sono legittimati a stare in allerta per le azioni distruttive della Serbia in linea con l’agenda della Russia per l’Europa. Da una parte c’è lo stato democratico del Kosovo, dall’altra strutture illegali serbe, con la presenza di gang criminali: non dobbiamo abbandonare le politiche basate sui valori e la tolleranza zero sul crimine organizzato”. Non proprio dei toni distensivi.
La replica del presidente serbo Vucic
Il presidente serbo Aleksandar Vucic, anche lui nel corso di una conferenza stampa congiunta con Stoltenberg, ha replicato sottolineando che: «La Serbia è pronta a rispettare tutti i trattati che ha firmato, vogliamo evitare ogni possibile escalation con la Nato: crediamo di non avere dato adito ad alcuna provocazione». Vucic ha poi aggiunto di non ritenere che esistano rischi reali di una escalation, accusando la leadership kosovara di “retorica politica”: «Da 180 giorni ci accusano di preparare azioni militari ma non è accaduto nulla. Abbiamo bisogno di un approccio razionale, di negoziati, di trovare compromessi. E noi siamo pronti». La situazione è delicata e la Nato monitora costantemente.
FONTE: https://www.ilparagone.it/esteri/se-la-situazione-peggiora-pronti-a-intervenire-la-nato-prepara-unaltra-guerra-e-questa-volta-e-alle-porte-dellitalia/
Liz Truss rinnova l’opzione apocalisse
27 agosto 2022
Liz Truss, accreditata come prossimo premier britannico al posto dell’uscente Boris Johnson, ha dichiarato che “sarebbe pronta a usare le armi nucleari anche se ciò significa l’annientamento globale”.
Tale la follia che alberga nella Politica dell’Occidente, e ciò spiega anche la connivente indifferenza riguardo al bombardamento della centrale atomica di Zaporozhye da parte dell’esercito ucraino (di cui gli ucraini incolpano i russi, nonostante la palese falsità, perché la centrale è sotto il controllo russo ed è da escludere che possano spararsi addosso).
Di oggi la notizia che quattro missili hanno colpito il centro di stoccaggio degli isotopi radioattivi, anche se per fortuna non si registrano danni significativi (ma è da notare che si continua ad alzare l’asticella degli obiettivi).
L’attacco, il più grave da quando gli ucraini hanno iniziato a far piovere missili sulla centrale, avviene nel giorno in cui il Direttore generale dell’agenzia atomica dell’Onu, Rafael Mariano Grossi, si è incontrato con il direttore generale di Rosatom, l’agenzia per l’energia atomica russa, Alexei Likhachev, a Istanbul, che si conferma crocevia diplomatica cruciale per la guerra ucraina,
L’incontro serviva a mettere a punto gli ultimi particolari della missione dell’Aiea a Zaporozhye, che ha lo scopo di mettere in sicurezza la centrale e l’attacco appare intimidatorio, almeno questo è sicuramente l’effetto che avrà sugli ispettori incaricati della missione.
Al di là della notizia proveniente dall’Ucraina, resta la criminale sciocchezza della ministra degli Esteri britannica, caratteristica che le sta valendo la fulgida carriera (la scarsa intelligenza è una dote molto apprezzata dai circoli atlantisti, che così possono governare a piacimento la Politica).
Colpisce anche che la sua dichiarazione apocalittica non sia stata condannata da nessun politico d’Occidente, né sia stata oggetto di critiche mediatiche significative, come se ormai la guerra nucleare fosse stata sdoganata e rientrasse nell’orizzonte delle possibilità…
Inutile commentare, abbiamo già dato. Val la pena registrare il dato, nella speranza che qualcuno dia una calmata alla Lady, la quale sta promettendo ai Tory (che la stanno elevando sugli scudi) di rinnovare i fasti della Thatcher, senza averne minimamente la statura.
Quando la Politica era una cosa seria, e non un circo equestre consegnato alle folli esibizioni muscolari della Nato, la prudenza su certi temi era d’obbligo. Tant’è.
FONTE: https://piccolenote.ilgiornale.it/57421/liz-truss-rinnova-lopzione-apocalisse
CULTURA
UNA NUOVA PELLE
Francesca Sifola 2
Quella mattina si accorse di non riconoscere più le solite immagini intorno a lei. Eppure le cose e le persone a cui era abituata erano sempre le stesse, quelle che aveva dato fino ad allora per scontate, come un arredo depositario del suo destino. Ma cos’era mai quella nuova impressione che gliele stava facendo vedere da un’altra prospettiva? All’inizio pensò che si trattasse di un fatto momentaneo, ma, col passar del tempo, questa nuova dimensione delineò in modo ancora più marcato i suoi tratti. I giorni passavano srotolandosi come gomitoli e lei si sentiva una specie di gatto che giocava dando zampate nell’aria. D’improvviso, però, si accorse che dentro quella leggerezza c’era ben altro… una strada che sembrava segnare nuovi orizzonti. Non si trattava di scelte concrete: era un modo di osservare, ascoltare, parlare, toccare ogni cosa con un respiro più lungo. Sentiva il bisogno di imparare a penetrare suoni, immagini, toni di voce, tutto ciò che arrivava fino a lei, smantellando quella patina di superficie che trasforma sempre il risultato finale in qualcos’altro, sviando dal punto di partenza. Giorno dopo giorno, il cuore le si allargava, cominciando a eliminare quella fastidiosa parte del cervello che voleva presenziare anche su cose in cui non c’entrava niente e si accorse che, per anni, lo aveva tenuto in soffitta. A quel punto non potè fare altro che scusarsi proprio con quel cuore, con se stessa e con l’intero Universo. Finalmente ripartì… non più col cuore in gola ma rimesso al posto giusto.
—
Francesca Sifola
scrittrice
sito ufficiale: www.francescasifola.it
Facebook fan page: http://www.facebook.com/pages/Francesca-Sifola/127198417303669?ref=hl
DIALOGO CON MASSIMO DONÀ – L’AVVENTURA DELLA FILOSOFIA
La filosofia è un modo di sopportare l’atroce assurdità della vita.
Quaderni di metafisica 1927/1981, Andrea Emo
Quello che qui proponiamo è un dialogo a tutto campo con Massimo Donà, uno dei filosofi italiani più originali, che spazia dall’assolutezza del nulla rivendicata da Emo allo stretto rapporto che intercorre tra arte e filosofia fino agli oggetti apparentemente estrinseci alla riflessione filosofica. Il tutto – e questo ci pare il punto fondamentale – indagato attraverso il doppio registro della ricerca della verità che procede di pari passo con l’inevitabile darsi del nulla – che nessuno può permettersi di liberare o redimere dalla sua insensatezza – e della meraviglia che, sin da Aristotele, costituisce l’essenza stessa del peregrinare filosofico. Uno stupore che sembra pervadere ogni cosa, anche la più scontata, anche la più apparentemente banale o senza perché come la rosa del celeberrimo distico de Il pellegrino cherubico di Angelus Silesius.
Prof. Donà, Lei è curatore, con Massimo Cacciari e Romano Gasparotti, dell’opera postuma di Andrea Emo (1901–1983), il geniale filosofo italiano, allievo di Gentile, di carattere schivo, ma che seppe coltivare amicizie importanti con Alberto Savinio, Ugo Spirito, Cristina Campo. Emo, che non volle mai organizzare il suo pensiero in una forma sistematica, sviluppò, tuttavia, riflessioni cruciali quali ad esempio quelle sul nihilismo, che sembrano anticipare il pensiero di Heidegger, e sulla figura centrale del’individuo, contrapposta alle astrazioni della collettività. Egli scrive: «L’individuo non può essere un dato; esso può essere solo un soggetto cioè una resurrezione». Parole forti che rinviano ad un altro concetto fondamentale per Emo: quello della libertà o della “nudità” individuale. Può spiegarci meglio questi principi cruciali del filosofo veneto e in che termini si può affermare l’attualità delle sue riflessioni?
Andrea Emo è sicuramente uno dei più grandi filosofi del Novecento. Importante, dunque, non solo nel contesto di una tradizione come quella italiana; ma capace di dialogare alla pari con le figure più significative della filosofia europea. E d’altro canto, proprio la presa di distanza dal dibattito culturale in corso nel Novecento ha forse consentito al nostro filosofo di guardare alle cose con il necessario distacco. Come Lei ha detto bene, infatti, Emo conduceva vita ritirata; al punto che nessuno sapeva della sua attività di scrittura. Pensi che prima della sua morte, nessuno aveva mai potuto leggere neppure una delle centinaia di pagine da lui minuziosamente riempite con scrittura regolare e intensità speculativa davvero sorprendente. Emo è stato, fin dall’inizio, un filosofo ‘postumo’. Consapevolmente postumo – d’altronde, per lui siamo tutti necessariamente postumi. In ogni caso, il nichilismo emiano è assolutamente originale. Ho già avuto modo di scriverlo; e lo ribadisco. Nulla a che fare con le diverse forme che il nichilismo ha finito per assumere nel corso del cosiddetto secolo breve. Il nichilismo emiano non è cioè espressione di una semplice presa d’atto del cosiddetto tramonto degli immutabili. Emo, dunque, non si limita a trarre le conseguenze del tramonto dei valori, della morte di Dio – insomma, Emo è forse ancora più radicale di Nietzsche, perché riesce a fare stare insieme una metafisica radicale – intimamente convinta dell’inaggirabilità della potenza dell’ Assoluto –, con la convinzione secondo cui l’ Assoluto della metafisica sarebbe nello stesso tempo il primo e unico vero nemico di se stesso. Nel senso che la potenza invincibile dell ’Assoluto si manifesta per Emo nel suo stesso originario ‘negarsi’; in un negarsi tale per cui saremmo anche chiamati a riconoscere che, in rapporto all’Assoluto, la morte costituisce appunto la massima espressione della vita. L’assoluto vive cioè della propria morte – bellissime sono in questo senso le pagine in cui Emo si confronta con la morte in croce di Gesù. Bellissimo, cioè, il modo in cui il filosofo veneto rilegge il grande tema della morte–di–Dio senza farsi in alcun modo catturare dal fagocitante dialettismo teorizzato dallo Hegel. Senza ridurre, cioè, la morte di Dio a momento necessario di una dinamica destinata a risolversi in un catartico trionfo finale. Ma senza farsi neppure sedurre dalla tesi nietzchiana volta a tematizzare una morte di Dio sostanzialmente equivalente alla definitiva liberazione da ogni forma di Assoluto. La dialettica emiana, in questo senso, va sì ben oltre la ‘meccanica’ necessitante caratterizzante il dialettismo hegeliano, ma nello stesso tempo non subisce neppure il fascino del liberatorio certificato di morte vidimato dal genio nietzschiano. Insomma, non si tratta per lui di scegliere tra pensiero forte e pensiero debole; e neppure tra metafisica e antimetafisica; quanto piuttosto di capire che è la stessa struttura originariamente paradossale dell’ Assoluto a mostrarcelo: che nel “nulla” – sì, quello di cui ogni essente finisce per farsi originaria espressione (secondo una felice ripresa della nota tesi leopardiana) – non possiamo limitarci a riconoscere l’eco di un vuoto insostenibile provocato dalla semplice mancanza di fondamento, quanto piuttosto l’originaria condizione che fa di ogni realtà individuale una perfetta assolutezza. Ossia, qualcosa che è assoluto proprio in quanto non più bisognoso di ancorarsi alla supposta solidità dell’universale, e alla sua astratta positività, ma consapevole del fatto che nessuna negazione dell’esistenza individuale potrà mai avere come scopo quello di traghettarci verso l’improbabile rinvenimento di un’identità che sarebbe perfetta solo in quanto eternamente “determinata”. Emo sa molto bene, infatti, che la “negazione” dell’esistenza individuale è assoluta proprio in quanto mai traducibile – come avrebbe voluto, invece, Platone – nella semplice indicazione di un’altra positività (che, in quanto ‘altra’ da quella individuale, si costituirebbe nella forma dell’astratta universalità). Altro dall’individuale, infatti, non è mai il semplicemente universale; perché l’identità che tiene insieme più individui (questo dovendo essere l’universale) non può costituirsi come “un altro”, distinto e separato dagli individui da esso medesimo unificati. Se si trattasse di qualcosa d’altro, infatti, si risolverebbe esso medesimo in un semplice essente individuale. Ovvero, sarebbe altro così come gli individui sono ognuno ‘altro’ rispetto agli altri. Emo sa bene che il “negarsi dell’individuo è, in quanto tale, espressione di un’ assolutezza che vive dovunque come semplice negazione della propria determinatezza, ossia della propria positività. Insomma, il nostro filosofo, che fu anche allievo di Gentile, indica un sentiero che il pensiero contemporaneo ha secondo me l’obbligo di continuare a percorrere, se non altro per non rischiare di ritrovarsi a perpetuare i soliti giochini oppositivi (forte/debole, Fondamento/Infondatezza, laicità/religiosità, essere/nulla, individualità/universalità, Bene/Male, Identità/Differenza); giochini inutili e privi di senso, che possono destinarci solo ad un’infinita e sempre meno interessante riproposizione di metafisiche fondamentalmente inconsapevoli di esser tali, e soprattutto ignare delle proprie costitutive aporie.
Lei ha dedicato numerosi studi al rapporto tra arte e filosofia. Come si riverbera la svolta astrattista della pittura contemporanea nella filosofia? Quali connessioni intercorrono tra Van Gogh e Nietzsche, Giacometti e Sartre, Klee e Benjamin? Ma ci sono altri geni cui Lei ha dedicato importanti contributi: Magritte, da un lato, e Piero della Francesca dall’altro. Può parlacene brevemente?
Diciamolo subito: sarebbe assolutamente impossibile comprendere il senso del cataclisma prodotto dall’irruzione delle cosiddette avanguardie artistiche agli inizi del Novecento, senza aver definito e compreso il rapporto che connette tali eventi con il panorama filosofico che va maturando fin dalla metà del Diciannovesimo secolo. Così come sarebbe sicuramente impossibile comprendere il lavoro di artisti come Van Gogh e Cezanne, Monet e Gauguin, senza aver presente cosa ribolle in quegli anni così intensi nello spirito europeo. Insomma, la seconda metà dell’ Ottocento comincia a prendere atto del fatto che non esiste una realtà esterna data; oggettivamente riconoscibile per quel che essa sarebbe in sé e per se stessa. Una realtà che all’arte spetterebbe sì riprodurre secondo questo o quel punto di vista, ma soprattutto riconoscendo che, di là dal modo specifico e sempre personale di restituirla sulla tela o sul marmo, essa costituisce comunque un punto fermo, concretamente capace di rimanere quel che è indipendentemente dal nostro interpretarla in questo o quel modo. Ecco, il ciclone con cui l’idealismo di inizio Ottocento aveva travolto la cultura europea l’aveva ormai messo in chiaro: soggetto e oggetto dicono un unicum assolutamente indistricabile, in relazione al quale è del tutto privo di senso andare verso il mondo con l’intenzione di catturare una verità che sarebbe “sua”, cioè del mondo medesimo, a prescindere dalle caratteristiche che potremmo anche aver contribuito noi stessi a far sembrare ‘sue’. Insomma, dall’ impressione l’ artista comincia a distrarsi… e a spostare con sempre maggior determinazione il proprio sguardo sulla semplice espressione. Si tratta ormai di capire che quella dell’arte può costituirsi come un’esperienza significativa solo là dove ci si renda conto del fatto che per essa ci è dato assistere alla messa in questione sempre anche “sensibile” della stessa distinzione tra soggetto ed oggetto. Potremmo anche dire che solo l’arte sembra in grado di farci toccare con mano, e con tanta forza, il fatto che, in ogni forma dell’esteriorità, quel che ci sarebbe dato incontrare non è altro che la potenza incondizionata e spesso incontrollata che ribolle all’interno della nostra soggettività. Van Gogh avrebbe mostrato con la massima efficacia come, nelle cose tutte, a prender forma, sia sempre e solamente un magma di passioni e pulsioni di cui l’Io non è certo protagonista. Da cui l’Io, anzi, viene travolto; e che mostra come dal fondo della nostra soggettività spinga e prema una forza che, sola, sembra consentirci di superare gli angusti limiti della coscienza. Trasformandoci in veri e propri “oltre–uomini”. Esperienza difficile da controllare; che può anche farci uscire di senno. Che può vedere l’Io uscirne definitivamente sconfitto. Di tutto ciò Van Gogh avrebbe fatto concreta esperienza, facendone peraltro personalmente le spese. Non a caso l’Ottocento avrebbe di lì a poco condotto la società europea a prenderne atto: questo gioco cosmico da ultimo destina l’essere umano a soccombere. A farsi gracile e incerto, traballante e privo di forza – come i fantasmi scolpiti da Giacometti e come gli individui privi di speranza tematizzati e narrati da Sartre. Ché quella dell’‘oltre–uomo’ era forse solo una grande chimera; d’altro canto, il suo gioco non avrebbe mai potuto essere il nostro – ossia quello di soggetti che mai potranno rinunciare ad esprimere le proprie esigenze e i propri bisogni. E che proprio per questo dovranno prendere coscienza del fatto che il riconoscimento della “verità” tanto del soggetto quanto dell’oggetto – vale a dire la verità dell’essere in quanto tale – potrebbe anche motivarci a volgere lo sguardo su quel “nulla” che nessuno può azzardarsi a redimere o liberare dalla sua abissale vacuità e insensatezza. Anche tutta la grande esperienza dell’astrazione europea, attraversata con entusiasmo da artisti come Klee e Kandinsky avrebbe sviluppato la convinzione secondo cui solo un’utopia poteva essere quella a cui miravano i suoi grandi protagonisti: intenzionati, come erano, a dire e restituire sulla tela il movimento assoluto (Kandinsky) o l ’opposizione assoluta (Klee), insomma… quel che nell’esperienza quotidiana viene vissuto sempre in termini relativi e, solo in quanto tale, ritenuto in qualche modo sopportabile. Il fatto è che il lucido sguardo dell’arte non poteva fare a meno di riconoscersi un compito essenzialmente infinito – di cui mai si sarebbe potuta vedere la realizzazione, per quanto potesse continuare a guidarci indicandoci una meta tanto più necessaria quanto più riconosciuta nella sua concreta impossibilità. Perché saremo sempre condannati a dire il reale restituendolo per frammenti imperfetti, parziali e per ciò stesso inaffidabili – lo sapeva bene un filosofo come Benjamin. Ma nello stesso tempo potremmo anche renderci conto del fatto che (come lo stesso Benjamin comprende alla perfezione) solo la “parte” e il “frammento” possono farsi occasione di un’esperienza davvero “veritativa” – astratta sì, ma nonostante questo capace di inscriversi in quel movimento assoluto e in trascendibile indipendentemente dal quale mai avremmo potuto liberarci dalle strettoie della “storia” ed inscriverci nella libera e purificatrice occasionalità dell’evento.
Perché, accanto a queste meditazioni estetiche, accosta la riflessione su Bacco e la filosofia?
Perché quella del vino è una delle più grandi e ricche metafore che l’umanità abbia mai saputo riconoscere ed elaborare, in cui è possibile vedere riflessa una verità antichissima e pur sempre attuale. Il vino è stato sin dall’antichità pensato e vissuto come simbolo di una relazione inscindibile e sacra, quale è appunto quella che tiene insieme i divini e gli umani. O anche, l’immortale e il mortale. Dioniso giungeva in terra greca a creare scompiglio, ma rivelando il fondo abissale del logos e della razionalità, ossia rendendo possibile una visione più completa e consapevole della contraddittorietà dell’esistenza. Rendendo evidente la sua (dell’umana esistenza) originaria vocazione a trascendersi e dunque a farci fare esperienza della concreta negazione di ogni legge e di ogni certezza. Nelle Baccanti di Euripide viene descritta con chiarezza la potenza eversiva custodita dal nettare degli Dei. Non a caso Dioniso stesso veniva anche artisticamente rappresentato in forme tra loro contraddittorie – di volta in volta come fanciullo efebico ed effeminato o come irsuto monstruum dall’aspetto oltremodo inquietante. Platone dedica pagine fondamentali alla verità custodita nei deliri dell’ebbrezza; si leggano le pagine conclusive del Simposio, dove Socrate ci mostra come, solo mascherandosi, ossia assumendo le fattezze del delirio e dell’eccesso, il “vero” possa dirsi per quello che è, ossia possa manifestarsi senza tradirsi. Solo negandosi, dunque, esso (il vero) sembra potersi dire secondo verità. E poi l’esperienza resa possibile dal vino è anche simbolo di un percorso attraverso il quale potremmo anche riuscire a capire chi siamo davvero; riconoscendo il nostro vero limite – il limite che ci definisce in senso proprio. Perciò imparare a bere, vale a dire educarsi a capire fino a che punto ci si possa spingere nel bere… fino al riconoscimento dell’ultimo possibile bicchiere – oltre il quale saremmo destinati a perdere letteralmente la testa (con notevoli rischi per la nostra e per l’altrui incolumità) –, significa mettere in pratica un importantissimo esercizio di “responsabilizzazione”… rimanendo sempre consapevoli che il rischio della perdita di noi stessi è sempre incombente e che la libertà cui siamo ab origine affidati è un’esposizione comunque arrischiata e di certo non facile, ma nello stesso tempo assolutamente ineludibile.
Quale dignità hanno questi oggetti – arte, vino senza dimenticare la musica (Lei è un affermato filosofo trombettista) – apparentemente estranei alla filosofia, eppure così vicini?
La filosofia non può arrogarsi il diritto di ritenere alcuni oggetti d’indagine più degni di altri. La filosofia, infatti, nasce come sguardo rivolto alla ‘totalità’; si interroga sull’essere e sul principio, si interroga sulla physis … cioè guarda ad un orizzonte che poi sarebbe stato definito ‘trascendentale’. Perché nulla vuole lasciare fuori dalla propria messa a fuoco. Insomma, il principio da essa incessantemente cercato doveva valere come principio di ogni realtà. Per questo la pratica che definiamo filosofica doveva renderci consapevoli del fatto che il “vero” (ammesso che un “vero” esista o perlomeno abbia senso cercarlo) non può che vibrare e risuonare in ogni realtà, dalle più nobili alle più rozze o degradate. Ecco perché la filosofia non solo può, ma “deve” – direi – rivolgere il proprio anelito interrogante anche alle oggettualità apparentemente più distanti e indifferenti alla supposta potenza del bene, del bello e del vero. E dunque anche al male, alla contingenza, agli inciampi, alle incombenze quotidiane, alle arti, alla politica, alle perversioni, al dolore degli innocenti, alle forme ludiche dell’esistere… insomma, a tutto ciò di cui si possa in qualche modo dire “che è”. Alla strada fangosa, dunque, ma anche alla ruggine che intacca i metalli; e non solo alla musica e alle arti più nobili; o alla felicità e al bene. Il filosofo deve essere in grado di “meravigliarsi” proprio davanti alle cose più ovvie e banali; riconoscendo la loro sempre sorprendente eccezionalità. Non può sentirsi capace di meraviglia solo se posto di fronte alla questione dell’essere o a quella del nulla; non può meravigliarsi solo di fronte alla potenza inconcepibile di Dio. Il filosofo, cioè, sempre che sia vero filosofo, deve saperlo bene… quel che più dovrebbe stargli a cuore è il semplice determinarsi di tutto quel che si determina, in conformità al modo in cui si determina. E la ragione dell’esistere è tale solo se riesce a farsi riconoscere anche in un oggetto consunto e abbandonato sul ciglio della strada. Poi è chiaro che alcune pratiche – più di altre, almeno – sembrano in grado di “ricordare” il procedimento caratterizzante la ricerca filosofica e renderlo più efficacemente riconoscibile; se non altro in quanto volte per natura a tessere “relazioni” (logos… legein), e a produrre consonanze che difficilmente riusciremmo ad udire… chiamando in causa l’esperienza di un “finito” misteriosamente capace di farsi carico della potenza infinita dell’ arché, senza per questo metterla in scena come se si trattasse di fare un salto oltre questo o quel limite. In questo senso, allora, sì, potremmo anche dire che la pratica artistica, e in primis quella musicale, ma anche l’esercizio del bere vino, sono dotati di una forza simbolica tanto forte da renderli rilevanti se non altro dal punto di vista pedagogico; in modo tale che, assumendoli quali modelli, divenga possibile, prima o poi, riconoscere il ‘miracolo’ da essi così ben esemplificato anche in ogni apparentemente banale gesto della quotidianità.
Perché, per riprendere il titolo di un Suo fortunato volume, la filosofia è un’avventura senza fine?
Certo, quella disegnata dalla filosofica è un’avventura senza fine innanzitutto in quanto destinata a riconoscere che nessuna cosa è davvero quel che sembra essere nella sua pacificata finitezza o determinatezza. Per essa, ci rendiamo comunque consapevoli del fatto che, se le condizioni che rendono ogni cosa “determinata” in verità sono infinite – ossia rinviano ad una totalità che per definizione non può essere in alcun modo circoscritta e determinata, pena il suo non essere la totalità che dovrebbe essere –, allora mai potremo dire di trovarci di fronte al “tutto”. Ossia alla verità di qualsivoglia esistenza particolare. Insomma, la filosofia costitutivamente anti–idolatrica in quanto costitutivamente insofferente nei confronti di qualsivoglia vincolo o limite (che sono tali sempre in relazione ad una certa loro ‘immagine’) che volesse porsi come definitivo. O in qualche modo inviolabile… e per ciò stesso anche “sacro”. D’altro canto è l’idea stessa di verità ad implicare il suo non potersi determinare in rapporto ad un errore concepito come “altro” da essa; altrimenti, la verità non sarebbe verità, ma si ritroverebbe contrastata da un errore che la renderebbe inevitabilmente parziale, fragile e non valevole come principio di ogni cosa. Insomma, se un errore potesse darsi di là dall’orizzonte normato dalla verità, la verità non sarebbe “verità”; ma il fatto è che un errore di là dalla verità non potrà mai darsi (come ci ha insegnato Aristotele), perché finanche il semplice distinguersi dell’errore dalla verità dimostrerebbe che anche l’errore è completamente soggiogato dalla verità – stante che la verità non dice altro se non il distinguersi di ogni cosa da ciò che è altro da essa. Ecco perché l’errore, per negare questa legge, finisce per distinguersi dalla verità, smentendo per ciò stesso di distinguersi dalla medesima. Paradosso dei paradossi. Ché, distinguendosi, l’errore non potrebbe fare a meno di rendere evidente il suo costituirsi anch’esso come originaria espressione della verità. Ma, se la verità non si distingue da alcun errore, allora la verità coincide con l’errore; insomma, nell’errore, è la stessa verità ad errare rispetto a se medesima. La verità ‘erra’ in quanto non si distingue da alcun errore; e dunque è essa medesima la più rilevante smentita della sua stessa infinita potenza. Ecco un altro motivo per cui essere nella verità significa “errare” all’infinito; significa cioè disporsi a quell’erranza infinita in cui, solo, può dispiegarsi il reale e infinito gioco della verità. Perciò la ricerca della verità diventa filosofia solo là dove riesca a farsi consapevole di coincidere con la verità medesima. Perciò chi cerca davvero la verità non può non riconoscere di abitarla già, la verità. D’altra parte, se cercare la verità significasse trovarsi ancora inscritti nell’errore, riconoscendosi ancora intollerabilmente distanti dalla verità, come potremmo esser certi di trovarci di fronte alla verità, là dove ci sembrasse di averla finalmente raggiunta? Ché, stando così le cose, potremmo sempre dubitare; e sospettare che le parole che testimoniano l’avvenuto incontro con la verità siano assolutamente inaffidabili, in quanto prodotte da una prospettiva errata, cioè pronunciate in virtù di una condizione che non poteva che essere erronea in quanto ancora priva della verità. Perciò le sue parole… sì, proprio quelle che potrebbero essersi sentite autorizzate a testimoniare l’avvenuto incontro con la verità, appaiono difficilmente credibili – e proprio in quanto pronunciate da un orizzonte erroneo. Ecco perché la verità può essere cercata solo da chi già la abita. E sa appunto riconoscerne il profumo finanche nel piacere provocato in lui dalla semplice ricerca della medesima. Una ricerca che non potrà avere fine, dunque… e che vivrà fin tanto che ci si ritroverà inscritti nella verità infinita e incondizionata che nessun errore potrà mai sognarsi di mettere in questione, se non assoggettandosi al suo nomos ossia negando di costituire una reale negazione della medesima. Ecco perché il cercare la verità, ovvero l’abitarla, disegnano un percorso che non potrà mai avere fine – solo perché la verità è erranza in se stessa. Ecco perché la filosofia dice in senso proprio ‘avventura’; cioè peregrinazione improgrammabile e priva di meta o porto sicuro. Priva, dunque, di quel terminus ad quem che finirebbe per trasformare qualsivoglia avventura in una semplice gita fuori porta.
FONTE: https://www.filosofilungologlio.it/rassegna-stampa/403-dialogo-con-massimo-don%C3%A0-l%E2%80%99avventura-della-filosofia.html
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Mar-a-Lago, il Watergate di Biden si sta trasformando in un autogol.
La mistica della controffensiva ucraina e la dura realtà della guerra
di Piccole Note
“L’Ucraina ha annunciato per mesi la sua grande controffensiva. Dov’è?” Questo il titolo alquanto significativo di un articolo di Politico, autorevole media americano, che manifesta fondate perplessità sulla mistica della controffensiva annunciata dalle autorità di Kiev e accreditata da mesi da tutti i media occidentali come imminente e, ovviamente, vincente grazie alle innumerevoli armi NATO.
Annunci velleitari e dura realtà
A sintetizzare le tante perplessità, il commento di Konrad Muzyka, analista militare e direttore di Rochan Consulting, interpellato da Politico, che, dopo essersi interrogato sul senso dell’annuncio, che a quanto pare gli sembra improvvido, spiega: “Francamente, da un punto di vista militare, non ha assolutamente senso, perché, se sei un comandante militare ucraino, preferiresti di gran lunga combattere, diciamo, i sette gruppi tattici del battaglione russo che erano a nord di Cherson un mese fa, e non i 15 o 20 che sono lì ora”.
Anche perché, nel frattempo, i russi hanno stabilizzato e rafforzato le difese.
Non è il solo a spiegare a Politico che gli ucraini non hanno abbastanza forze e armi per intraprendere la mistica controffensiva, tanto che, per non dover ammettere che si è trattato di un annuncio velleitario, il giornale chiude spiegando che, comunque, hanno costretto i russi a uno stallo e stanno tentando di logorarli, sempre che nel frattempo non si logorino loro sotto il fuoco martellante del nemico.
Insomma, anche un media mainstream come Politico deve ammettere che un’altra narrativa Nato sulla guerra ucraina sta svaporando, oltre quella del collasso dell’economia e della finanza russa.
La fine delle invenzioni mainstream?
E il problema della caduta delle narrazioni propalate dalla propaganda occidentale sulla guerra ucraina è affrontato da un altro sito, stavolta non mainstream ma che modula in maniera intelligente la tematica, spiegando che finora è stato dato in pasto all’opinione pubblica una sorta di film western, con i russi nella parte degli indiani cattivi. Riportiamo la conclusione della nota.
“L’opinione pubblica occidentale – scrive CovertAction Magazine – è volubile, dal momento che gli è mancato un esame iniziale della narrativa mainstream sull’Ucraina, ed è probabile che man mano che emergono più verità scomode su Zelensky, la sua giunta e le vera realtà di questo conflitto, sempre più [narratori] western inizieranno a strisciare nel loro giardino nel cuore della notte per ammainare le bandiere ucraine così frettolosamente issate”.
“Contrariamente agli immani sforzi di quanti hanno finanziato, modellato e giustificato questa guerra per procura, la verità ha l’abitudine di riemergere. Sarà impossibile ‘gestire’ l’imminente marea di realtà che sgorgherà dall’Ucraina; e mentre nell’inverno che sta arrivando i Paesi occidentali si concentreranno nuovamente sui loro problemi interni autoinflitti, lo stesso Zelensky potrebbe diventare l’uomo di paglia [su cui far ricadere le colpe] per la fallita scappatella della NATO in Ucraina”.
“Questo è il problema delle verità scomode, continuano a persistere sotto la superficie; la verità non ha una data di scadenza ed è paziente, il ricordo degli innumerevoli morti richiede che sia così”.
“E, come disse il buon vecchio Abraham Lincoln, ‘Puoi ingannare parte della gente qualche volta, puoi ingannare alcune persone tutto il tempo, ma non puoi ingannare tutte le persone per sempre’”.
Resta da aggiungere una postilla. C’è un senso di disperazione strisciante nelle considerazioni di Muzyka, il quale dice che lo scollamento tra gli annunci della controffensiva e la realtà lo sta facendo letteralmente “impazzire”.
Già, stanno impazzendo. Ed è questo il pericolo maggiore in questo momento. La partita di Risiko giocata sulla pelle del popolo ucraino, in particolare su quella dei suoi ragazzi, non va come dovrebbe. E stanno perdendo.
Per questo devono ribaltare il tavolo. E per questo gli ucraini stanno bombardando la centrale atomica di Zaporizhzhia con il placet della NATO (che potrebbe impedirlo con un cenno: basta minacciare di chiudere i rubinetti dei soldi e delle armi). E per questo hanno tentato di sabotare la centrale nucleare di Kursk in Russia (Reuters).
E dire che i media d’Occidente da mesi stanno sostenendo che il pazzo è Putin (che potrebbe rispondere radendo al suolo Kiev, come hanno fatto gli Usa con Baghdad, ma non lo fa).
Urge un rigurgito di buon senso, ma è da vedere se la civiltà occidentale ha ancora anticorpi in grado di eliminare o quantomeno circoscrivere la patologia, com’è avvenuto in momenti critici del passato. Vedremo.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/23660-piccole-note-la-mistica-della-controffensiva-ucraina-e-la-dura-realta-della-guerra.html
CON L’UCCISIONE DI DARIA DUGIN ZELENSKJ E L’OCCIDENTE ALZANO IL LIVELLO DELLO SCONTRO
Tonio De Pascali 21 08 2022
Daria Dugin, la figlia di Alexander Dugin, il politologo e filosofo russo maitre à penser di Putin, è morta dilaniata nell’esplosione della sua auto.
Un atto ovvio di terrorismo. Un atto che gli Ucraini negano di aver compiuto e che persino in molti sostengono essere di incerta matrice.
Che vuol dire, nell’assoluto silenzio dell’Occidente, che addirittura possano essere stati i Russi a compiere l’attentato per alimentare l’odio russo nei confronti dell’Ucraina.
Ora, una cosa alla volta: l’oggetto dell’attentato era il padre. I due, che viaggiavano insieme su due auto diverse s’erano scambiate le auto prima di partire.
Il padre, Dugin, nella narrazione occidentale, è il teorico che alimenta quel tradizionalismo russo alla base della strategia geopolitica di Putin.
Come prima accennato gli Ucraini hanno negato il loro coinvolgimento e subito ha preso vita la narrazione occidentale che gli attentatori abbiano potuto essere non specificate entità. Della serie che sarebbero stati i servizi segreti russi che intendono alimentare l’odio russo verso l’Ucraina per alimentare di conseguenza la guerra in corso.
Ovvero gli Ucraini e l’Occidente fanno la guerra lealmente come antichi cavalieri medievali mentre i Russi sono diabolici. L’Ucraina e l’Occidente non avrebbero mai compiuto un attentato verso la ragazza.
In realtà il messaggio è ben diverso: “Russi, attenti, perchè col terrorismo possiamo arrivare ovunque in Russia e possiamo colpirvi e farvi male” .
Attenzione: con crudo realismo, il terrorismo è un atto di guerra.
E “la guerra è guerra” sempre e d’ovunque, siamo realistici, non bisogna nascondersi dietro l’ipocrisia buonista.
Ma da sette mesi la guerra, per i media occidentali, viene rappresentata solo con un sanguinario bilancio di donne e bambini ucraini barbaramente uccisi “per atti di violenza inaudita russa” mentre la guerra, raccontano sempre i media occidentali, è una battaglia santa se l’Ucraina uccide soldati russi.
Ora, i civili morti in guerra sono una triste conseguenza. Sempre e ovunque.
Anche se per qualcuno è meno triste, vedi i milioni di morti civili tedeschi proditoriamente bruciati coi bombardamenti americani, vedi le bombe atomiche in Giappone. Vedi il milione di donne e bambini iracheni uccisi dai bombardamenti occidentali, vedi i 30mila civili uccisi dai bombardamenti occidentali a Belgrado.
C’è un “però”.
Il “però” è che i Russi hanno sempre dichiarato di voler compiere un’operazione di polizia. Con, purtroppo, morti civili collaterali.
Perchè, lo sappiamo tutti, se fosse stata una “guerra vera”, i missili russi avrebbero trasformato l’Ucraina in una spiaggia di sabbia in due giorni. Kiev sarebbe stata rasa al suolo e Zelensky vetrificato con la bella moglie.
Questo il “però”.
Ha ragione Putin: Zelensky, con Biden, vuole alzare ogni giorno il livello del conflitto.
Prima bombardando la centrale di Zaporizzja poi quando Putin ha acconsentito alle ispezioni dell’Onu ecco ora l’altro segnale: il terrorismo e l’assassinio di quello che avrebbe dovuto essere Dugin padre.
La Russia sta bene così: si sta mangiando piano piano l’Ucraina ed ha messo in ginocchio economicamente e politicamente l’Occidente rafforzando le relazioni con Cina e India e creando un fronte mondiale, anche militare, anti-occidentale.
Perchè avrebbe dovuto uccidere il suo alfiere culturale? Mica è in crisi. E’ Zelensky che non sa più cosa fare. Con Biden.
Il livello del conflitto, perdendo sempre e comunque, viene dunque alzato di giorno in giorno. Il prossimo, livello, lo conosciamo tutti.
Perchè Putin è vendicativo, lo sappiamo tutti.
Intanto mi chiedo: se domani esplode l’auto della bella signora Zelensky come la mettiamo?
FONTE: https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=pfbid037233oQuXaEZJxUWxPt4gEnMfgkZjEvn4RRWheQHwQhoUm4gAJYCxCPiekEqxcPPSl&id=100015824534248
DRONI ASSASSINI
Le tecnologie di cui dispongono le elite e i suoi servi sono sconosciute alla massa e non hanno confronto con quelle dei dittatori del passato.
Se è lo stesso sistema che qualche anno fa ci parlava di droni assassini, pensiamo a quel che non ci dice!!
VIDEO QUI: https://www.youtube.com/watch?v=-MTxSh22bJI
FONTE: https://forum.comedonchisciotte.org/notizie/droni-assassini/
CONFLITTI D’INTERESSE ED INTELLIGENCE SULL’ORIGINE DEL COVID-19
In un silenzio mediatico quasi tombale, lo scorso 23 settembre 2021 il Fatto Quotidiano ha scritto un interessante articolo sulla pubblicazione di un libro – inchiesta sull’origine del coronavirus scritto da un pool di ricercatori, tra cui il giornalista italiano Paolo Barnard. In effetti, già la prestigiosa rivista medica The Lancet aveva dato opportuno risalto ad una lettera di 16 scienziati che chiedevano maggiore trasparenza sulle origini del Sars-Cov-2, non essendo ancora chiara l’origine di un virus che fino a questo momento ha ucciso oltre 4 milioni e mezzo di persone in tutto il mondo. Per questa ragione, come ripetutamente scritto su questo giornale in diversi articoli sin dal 15 giugno 2020, fonti qualificate sostengono, contrariamente al parere del governo cinese e dell’Oms, che il patogeno responsabile della pandemia di Covid-19 possa essere sfuggito dal laboratorio dell’Istituto di Virologia di Wuhan, in Cina, dove sarebbe stato manipolato con la tecnica del gain of function, cioè, mediante una modifica genetica della cellula che permette l’acquisizione di capacità che il virus base difetta a meno che non venga appositamente “rinforzato”.
In questo quadro, il Fatto Quotidiano ha segnalato la pubblicazione di un importante libro intitolato L’origine del Virus, scritto, a più mani, da Paolo Barnard, un giornalista e saggista italiano, in collaborazione con lo scienziato statunitense Steven Quay, della Stanford University of California nonché di Harvard of Massachusetts, e con il contributo anche di Angus Dalgleish, docente alla Saint Georgès University of London. Questi ricercatori sostengono che “il Sars-Cov-2 abbia caratteristiche di aggressività anomale ed estremamente patogene da rendere sostenibile che siano state ottenute tramite tecniche di manipolazione genetica in laboratorio, per questo infetta e uccide con la facilità che abbiamo imparato a conoscere”. Capacità infettive che erano ben note anche alla Cina, secondo gli autori.
Il libro, edito da Chiarelettere, si fonda “su una ricostruzione accurata ed inquietante”, come sottolinea una nota della casa editrice, secondo cui “Sono stati rivelati pubblicamente per la prima volta i segreti biologici del Sars-Cov-2, già noti alle autorità cinesi ed ai virologi sin dai primissimi casi di contagio al Wuhan Institute”. Come correttamente osserva il Fatto Quotidiano, “se queste verità – è la teoria degli autori del libro – fossero state rivelate subito, potevano permettere al mondo l’adozione in anticipo di misure più drastiche che avrebbero salvato innumerevoli vite umane”. Dal canto suo, la comunità scientifica ha inizialmente sostenuto con forza l’origine naturale del virus, ma poi è tornata sui suoi passi. Anche la richiesta d’indagine del presidente Joe Biden ai servizi segreti statunitensi ha fatto perdere certezze alla comunità scientifica che ha ritenuto necessario un approfondimento tecnico, da svolgere anche mediante l’inchiesta condotta dall’Oms sull’origine del Covid-19, la quale, tuttavia, non ha prodotto risultati affidabili. La mancata individuazione dell’ospite intermedio e l’inedita presenza dei “Furin cleavage sites”, solitamente assenti nei coronavirus, vengono definite, nel libro, come le “forbici” che hanno permesso il taglio della proteina Spike che poi ha infettato le cellule umane in modo così inedito e sorprendente da mettere in ginocchio il mondo in poche settimane.
Questo sul fronte clinico, ma sull’altrettanto delicata questione dei conflitti di interesse sul laboratorio di Wuhan più volte segnalati da questo giornale, è molto interessante il contributo del quotidiano Il Tempo del 22 settembre 2021 che analizza l’altra faccia della medaglia: “Bomba sugli Stati Uniti sull’origine del Covid-19”. “Per anni, le principali agenzie sanitarie degli Usa, Nih (National Institutes of Health) di Francis Collins e Niaid (National Institute of Allergy and Infectious Diseases) di Anthony Fauci, hanno finanziato la “Gain of Function”, cioè, la manipolazione genetica dei virus proprio all’interno del laboratorio di Wuhan, nonostante il tentativo di due presidenti Usa di bloccare questi finanziamenti”. Il giornalista Paolo Barnard chiama in causa anche la Difesa degli Stati Uniti che, attraverso il Darpa (Defense Advanced Research Projects Agency), il laboratorio di ricerca militare più avanzato del paese, avrebbe finanziato la Ong “EcoHealth Alliance” di New York, “il cui patron – si legge – è Peter Daszak, influente zoologo, nonché membro del team dell’Oms che ha indagato in Cina sull’origine del Covid-19 a inizio del 2021”. Secondo quanto rivelato a Barnard da Richard Ebright, un biologo molecolare esperto in biosicurezza della Rutgers University of New Jersey, “EcoHealth Alliance ha ricevuto dal Dipartimento della Difesa 70 milioni di dollari per quello che – afferma Ebright – appare come un tentativo dell’intelligence di infiltrare Daszak nei laboratori cinesi di virologia simulando una cooperazione scientifica. S’illusero in quel modo – sostiene il biologo – di carpire le mosse degli scienziati militari cinesi nella ricerca di armi biologiche”. “Richard Ebright – chiosa Barnard – si ferma ad un passo dal menzionare di nuovo il nome di Fauci, ma, poiché lo scienziato più famoso d’America era, di fatto, colui che dava semaforo verde a Daszak, l’allusione è chiara”.
Queste le significative conclusioni del citato articolo de Il Tempo del 23 settembre 2021: “Secondo la tesi del libro, il finanziamento del laboratorio fu opera di Daszak che – si legge – ottenne dal governo Usa importanti finanziamenti per Zheng-Li Shi, una specialista sui coronavirus dei pipistrelli del laboratorio Biosafety Level 4 di Wuhan, anche sospettata di aver fatto sparire alcuni documenti dal laboratorio in questione”. “A rendere Zheng-Li Shi ed il Wuhan Institute i principali sospetti di questo insabbiamento – proseguono gli autori – c’è l’intensa attività di Gain of Function sui coronavirus praticata in quell’istituto”. “Daszak e la sua Ong riuscirono a finanziare il laboratorio con 7 milioni di dollari stanziati dai National Institutes of Health, a cui vanno sommati altri fondi provenienti dal Dipartimento di Stato, aggirando i divieti di finanziamento su queste ricerche ‘critiche’ stabilita dal presidente Barak Obama nel 2014 e solo parzialmente revocata da Donald Trump nel 2017”.
Infatti, “allo scoppio della pandemia – ricorda Barnard – l’amministrazione Trump si era resa conto dell’imbarazzante commistione fra fondi pubblici americani e “Gain of Function” in Cina ed aveva bloccato la seconda tranche che Daszak stava consegnando a Zheng-Li Shi. L’esperta – si legge ne “L’origine del virus” – “aveva pubblicato un importante studio proprio sulla creazione in laboratorio dei virus ‘chimerici’ dei coronavirus, la cui tecnica usata per manipolare i genomi virali non lascia alcuna traccia. Quindi, secondo il libro L’origine del Virus gli Stati Uniti hanno finanziato il laboratorio di Wuhan nell’ambito di un’operazione di intelligence e in questi casi spiccano sempre figure molto particolari come quella di Peter Daszak che ha svolto un’indagine sostanzialmente su se stesso, ma è anche colui che, nel dicembre del 2019, in un’intervista televisiva, aveva preannunciato, da un momento all’altro, lo scoppio di una pandemia, in qualche imprecisata parte del mondo.
È evidente, quindi, che intorno al laboratorio di Wuhan ruotano trasversalmente interessi economici e di intelligence che fanno capo sia alla Cina che agli Stati Uniti e non è casuale che sul laboratorio hanno mentito sia il governo cinese, l’Oms, la comunità scientifica e chissà quanti altri mentiranno ancora per nascondere la verità. La cosa non sorprende più di tanto perché, come insegna il grandissimo scrittore tedesco Johann Johann Wolfgang von Goethe: “La pazzia, a volte, altro non è che la ragione presentata sotto diversa forma”.
FONTE: https://www.opinione.it/societa/2021/09/30/ferdinando-esposito_covid-19-sars-cov-2-il-fatto-quotidiano-the-lancet-il-tempo-paolo-barnard-steven-quay-l-origine-del-virus/
DIRITTI UMANI
Green pass, milioni di cittadini “disabilitati” con un click: “Vietato uscire di casa senza tampone”
Vi avevamo raccontato nei giorni scorsi, attraverso le pagine del Paragone, della nuova psicosi da Covid che aveva iniziato a investire la Cina, con Pechino che aveva lanciato settimana dopo settimana nuovi test antivirus di massa nei principali distretti della città. Il tutto per paura di nuove impennate nei contagi che avrebbero potuto portare a nuovi lockdown, come quello ancora operativo a Shangai. Una politica ferrea che in queste ore ha dato vita a scena assurde, incredibili, immagini diventate immediatamente virali in tutto il mondo.
La Germania pianifica l’aggiornamento del passaporto del vaccino con codice colore in stile cinese con più livelli di “diritti”
TOM PARKER – 10 agosto 2022
Il ministro della Salute tedesco Karl Lauterbach ha annunciato che l’app di tracciabilità dei contatti e passaporto dei vaccini della nazione, Corona-Warn-App (CWA), inizierà ad assegnare colori diversi ai cittadini in base al fatto che abbiano ricevuto un vaccino contro il COVID-19 negli ultimi tre mesi.
La CWA assegnerà un colore ai cittadini che aggiungono la prova di aver ricevuto un vaccino negli ultimi tre mesi e un colore diverso ai cittadini che aggiungono la prova della vaccinazione che ha più di tre mesi. Solo quelli con il colore che mostra che sono “appena vaccinati” (che hanno ricevuto un vaccino negli ultimi tre mesi) saranno esentati dall’obbligo della mascherina in Germania negli spazi pubblici interni.
Altri cittadini, compresi quelli che hanno ricevuto più vaccini ma hanno avuto il loro ultimo vaccino più di tre mesi fa, dovranno mostrare la prova della recente guarigione da COVID o un test negativo in corso per ottenere un’esenzione da questo requisito di maschera.
La tedesca Berliner Zeitung ha osservato che i codici colore nell’app del passaporto del vaccino “darebbero diritti diversi in futuro” e ha affermato che il sistema metterebbe i cittadini già vaccinati quadruplo sullo stesso piano legale di quelli che non sono vaccinati.
La Berliner Zeitung ha anche riferito che questo nuovo sistema tedesco di passaporti per i vaccini sarebbe simile al sistema cinese di passaporti per i vaccini con codice colore. Il sistema cinese assegna ai cittadini un codice verde, giallo o rosso. Chi ha il codice verde può muoversi liberamente, a chi ha il codice giallo può essere chiesto di rimanere a casa per sette giorni e chi ha il codice rosso deve essere messo in quarantena per due settimane.
Nonostante il passaggio a questo sistema di passaporto del vaccino con codice colore, Lauterbach ha ammesso che i pali della porta potrebbero spostarsi in qualsiasi momento e che se troppe persone appena vaccinate utilizzano l’eccezione della maschera, la Germania cambierà le regole e chiuderà l’eccezione.
Lauterbach, che è quadruplo vaccinato, ha annunciato questo nuovo sistema di passaporto del vaccino con codice colore quattro giorni dopo aver contratto il COVID. Il nuovo sistema di passaporti per i vaccini viene introdotto nell’ambito della “Legge sulla protezione delle infezioni” tedesca.
Le agenzie sanitarie hanno difeso il lancio di passaporti per i vaccini e altre misure di sorveglianza COVID sostenendo che avrebbero impedito la diffusione del coronavirus. Tuttavia, nelle ultime settimane, gli esperti sanitari del governo hanno ammesso che i vaccini COVID non prevengono il contagio .
Nonostante questa ammissione, la Germania e altre nazioni stanno continuando a promuovere sistemi di passaporto dei vaccini di vasta portata e restrittivi. Alcuni paesi stanno anche combinando i passaporti vaccinali con l’ID digitale o stanno implementando dispositivi di sorveglianza COVID più invasivi come braccialetti e cavigliere .
FONTE: https://reclaimthenet.org/germany-vaccine-passport-color-codes/
ECONOMIA
Green New Deal: l’impatto (negativo) sull’Italia e tutti i nodi da sciogliere
Finalmente il tanto decantato Green New Deal della nuova Commissione Europea comincia a prender corpo.
La Commissione, infatti, ha presentato martedì 14 gennaio l’atteso progetto di Fondo per una transizione equa che dovrebbe contribuire a facilitare tra il 2021 e il 2027 il percorso verso la neutralità climatica entro il 2050. Il pacchetto da 100 miliardi di euro è uno dei tasselli di una rivoluzione che si vuole economica, oltre che ambientale.
A beneficiare del pacchetto saranno in modo particolare i paesi dell’est Europa. E proprio qui nascerebbero i primi dubbi sulle reale efficacia e portata del pacchetto.
I dubbi sull’efficacia del Green New Deal
I paesi dell’est europeo, con in testa la Polonia, sono infatti i maggiori utilizzatori di carboni fossili, sopratutto carbone, e il fatto che la maggior parte dei fondi sarebbero stanziati proprio a loro lascia adito a molti dubbi e perplessità fra i paesi più ricchi, come Francia Italia e Germania.
Ruolo cruciale avrà il Just Transition Fund (in italiano, Fondo per una transizione equa). Quest’ultimo sarà dotato di denaro fresco per 7,5 miliardi di euro che, grazie al cofinanziamento nazionale, al braccio finanziario InvestEu e alla Banca europea degli investimenti porterà il totale a 100 miliardi di euro.
Secondo le prime stime, per fare un esempio, il nostro paese sarebbe destinatario di circa 400 milioni di euro, una cifra tutto sommato modesta se rapportato all’importo totale e alle misure che dovranno essere adottate.
16 Gennaio 2020
FONTE: https://www.money.it/Green-new-deal-impatto-Italia-nodi-da-sciogliere
“Lo pagherete carissimo!” La Minaccia di Medvedev all’Europa. Intanto Bloomberg asfalta le sanzioni
28 08 2022
L’ex Presidente ed ora vice presidente del Consiglio di sicurezza, Dmitry Medvedev, non è certo uno dei membri più morigerati dell’esecutivo russo. Sono molte le sue dichiarazioni che hanno scatenato scalpore negli ultimi mesi di guerra, ma quella che riporta oggi l’Adnkronos suona più come una vera e propria minaccia alla stabilità socio-economica europea.
Dmitry Medvedev, infatti avrebbe comunicato attraverso il suo canale Telegram che i prezzi del gas in Europa raggiungeranno i 5mila euro per mille metri cubi entro e non oltre la fine dell’anno. Sempre l’Adnkronos indica che attualmente il prezzo si aggira intorno ai 3.500 euro per mille metri cubi. Se fosse vero ciò che dice l’ex presidente russo, le conseguenze per l’intera economia europea sarebbero devastanti visto i conseguenti rincari al consumatore. Aumenti che molto difficilmente potrebbero essere affrontati dai cittadini e dalle imprese europee. Una mossa che ha tutta l’aria di essere un sonoro schiaffo alle sanzioni europee e alle politiche della Nato, avallate dai vari Paesi membri della UE.
“Ai capi di Stato e di governo dei Paesi dell’Unione europea, in relazione all’aumento dei prezzi del gas a 3.500 euro per mille metri cubi, sono costretto a rivedere al rialzo le previsioni sui prezzi a 5mila euro entro la fine del 2022. Caldi saluti”, ha scritto Medvedev. Minacce coadiuvate da un articolo pubblicato su Bloomberg, riportante la spiegazione secondo cui la Russia potrebbe tranquillamente fermare tutte le esportazioni di gas verso l’UE per più di un anno, senza conseguenze significative per la sua economia. Con l’aumento dei prezzi del gas in Europa, infatti, la Russia potrebbe guadagnare fino a 20 miliardi di dollari al trimestre dalle esportazioni di gas, nonostante la riduzione delle forniture.
Dunque, si tratta di una vera e propria debacle per l’Unione Europea, che con le sue sanzioni, le sue dichiarazioni e l’invio di aiuti militari all’Ucraina sembra aver indispettito irrimediabilmente il suo principale fornitore di energia. D’altro lato Putin non ha bisogno di far altro che aumentare i prezzi a dismisura o chiudere i rubinetti per determinare la fine del suo avversario. A torto o a ragione, questa guerra la sta vincendo lui, su tutti i fronti. E noi ne paghiamo le amare conseguenze.
FONTE: https://www.ilparagone.it/attualita/lo-pagherete-carissimo-la-minaccia-di-medvedev-alleuropa-intanto-bloomberg-asfalta-le-sanzioni/
Chi è colpevole degli attacchi speculativi contro l’Italia? La BCE con il TPI
La scorsa settimana il Financial Times ci ha mandato la solita testa di cavallo pre-elettorale: attenzione, la speculazione internazionale ha già caricato le armi per attaccare il debito pubblico italiano scommettendo su un calo del corso del BTP e su un aumento dei rendimenti. Un attacco che vedrebbe mobilitati 39 miliardi di Euro, tramite probabilmente vendite allo scoperto, il che sarebbe la più alta cifra dal 2008 messa contro il nostro debito
Quali sono le cause di questo attacco? Abbiamo le spiegazioni superficiali dei politici: l’Italia, dopo la Germania, era il paese più dipendente dal gas russo, poi ci sono le elezioni e la fine del mandato di Mario Draghi (non che lui abbia fatto niente di particolare) e la probabile vittoria del centrodestra, con una posizione meno servile nei confronti della Germania e di Bruxelles. La speculazione potrebbe anche avere gioco facile, visto che, con la politica restrittiva della BCE, i rendimenti dei BTP decennali sono già notevolmente cresciuti, come si può vedere dal seguente grafico:
Però la vera causa di questa speculazione non sono le condizioni economiche, comuni a buona parte dei paesi del blocco occidentale. La vera causa che favorisce queste posizioni speculative è l’atteggiamento incerto della BCE e le ambiguità insite nel nuovo strumento di stabilizzazione dei titoli, il TPI.
La speculazione ha attaccato, e con ben altri mezzi, il Giappone, cercando di far crollare il titolo decennale di quel paese. Abbiamo trattato la cosa in diversi articoli, ricordando come, nella difesa del titolo di stato, la Bank of Japan sia arrivata a possedere il 50% del debito decennale nazionale, ma il rendimento del titolo non ha superato l’obiettivo dello 0,25% massimo posto della BoJ, per cui la speculazione ha fallito:
La speculazione ha fallito perché nessuna speculazione può vincere contro una banca centrale nella sua stessa valuta. Tra l’altro il Giappone controlla la propria inflazione con politiche economiche e industriali molto migliori di quanto sappia fare la BCE e la UE.
La speculazione può vincere contro il debito italiano solo perché non è chiaro cosa farà la BCE e se il suo mandato è quello di difendere i titoli senza limite e, soprattutto, senza nessuna preferenza politica. Perché la BCE non è indipendente, anzi ha mostrato già in passato (vedi casi Italia 2011 e Grecia) la sua forte inclinazione politica. Di fronte a una Banca Centrale che magari non interverrà, ed uno strumento contro il “Frazionamento” il TPI, che ha molte controindicazioni, come la supervisione del MES, gli speculatori hanno facile gioco contro il debito italiano, al contrario di quanto successo con il molto più indebitato Giappone.
La cura? Una diversa governance della BCE o una diversa banca centrale. Non c’è nessun altro strumento che possa funzionare.
FONTE: https://scenarieconomici.it/chi-e-colpevole-degli-attacchi-speculativi-contro-litalia-la-bce-con-il-tpi/
Il TTF è comunque un mercato: sostituiamolo con uno migliore
Molti giustamente ora vorrebbero mandare al rogo, abbandonare, il cosiddetto TTF, il mercato europeo del gas con sede ad Amsterdam che sta condizionando enormemente le vite dei cittadini. Il TTF scambia contratti a termine di consegna dei gas, è inefficiente, (solo pochi scambi giornalieri) è troppo sottile, ma comunque è un mercato, cioè un termometro della situazione delle forniture internazionali del gas. Essendo così sottile basta che un paio di aziende del gas europee siano in scarsità o abbondanza per scatenare una volatilità ingiustificata
Purtroppo è un cattivo termometro, non trasparente e con troppi pochi operatori. Nonostante questo è anche il mercato che tutti guardano a partire dai future ICE (un mercato diverso di future sugli scambi del gas, dai volumi molto più grandi) e, soprattutto , è il riferimento per l’ancora più importante mercato elettrico, agganciato direttamente al prezzo del gas. Nello stesso tempo è il cuore degli scambi del gas del Mare del Nord, per cui non sarà facile abbandonarlo, dato gle gli Olandesi e i Norvegesi, oltre ad ospitarlo, lo L’utilizzano come riferimento ai propri prezzi di scambio.
Nello stesso tempo però rischia di diventare, con il tempo, sempre meno influente, man mano che i paesi europei sviluppano alternative legate al Gas Naturale Liquefatto, perfino la Germania nell’arco di qualche mese avrà i propri terminal. Il Gas Liquefatto non ha le restrizioni del gas per metanodotto, viaggia in tutto il mondo, e l’attuale maggior produttore sono gli USA. Il mercato americano è molto meno sottile, anche perché ha come clienti anche paesi dell’Estremo oriente. Allora, come anche suggerito da Startmag, perché non prendere il riferimento USA dei prezzzi, cioè il prezzo del LNG ad Harry Hub?
Harry Hub è molto più grande come mercato, internazionale, e tratta gas liquefatto, quindi pronto per il trasporto. Ricordiamo che TTF, quando va bene, ha un volume di un paio di miliardi al giorno, una frazione infinitesimale rispetto al mercato petrolifero londinese del Brent, eppure decide della vita dei cittadini europei. Harry Hub è molto più liquido. Chiaramente l’Europa avrebbe, almeno per altri 12-24 mesi, delle strozzature, ma dato che si parla sempre di consegne a termine, tanto vale utilizzare il mercato che è riferimento su un prodotto che, fra 24 mesi, sarà comunque la principale fonte di rifornimento per molti paesi. Nello stesso tempo avremo comunque un riferimento a prezzi di mercato. Ricordiamo che il TTF è esploso soprattutto per gli errori politici della Commissione, solo che, essendo troppo sottile, ha accentuato la volatilità in modo estremo.
Gli olandesi si arrabbieranno? C’è ne faremo una ragione, del resto è il mercato, bellezza!
FONTE: https://scenarieconomici.it/il-ttf-e-comunque-un-mercato-sostituiamolo-con-uno-migliore/?utm_medium=push&utm_source=onesignal&utm_campaign=push_scenarieconomici
PANORAMA INTERNAZIONALE
Un breve memento: bisogna essere incapaci per fare carriera nella Commissione
Agosto 28, 2022 posted by Guido da Landriano
Per il vostro piacere intellettuale e filosofico voglio proporvi questo breve Thread di twitter? Come mai a marzo Letta si permetteva di affermare che le sanzioni in pochi giorni avrebbero fatto fallire la Russia. Come poteva permettersi delle affermazioni così radicalmente sbagliate? Come sottolinea Geraci, se lo poteva permettere perché si basava sulle previsioni, ancora più sbagliate, della Commissione, che prevedevano un crollo del 30% del valore dell’esportazione russo, trasformatosi in un + 37% perché proprio il bando ha mandato alle stelle i prezzi energetici.
Quando vivere negli USA è più pericoloso che andare in guerra: tre commando olandesi feriti a Indianapolis
Sarà più pericoloso andare in guerra o essere mandati negli USA? Tre membri delle forze speciali olandesi, “Commando”, sono stati feriti di fronte ad un albergo nel quartiere turistico e dei locali ad Indianapolis, Indiana, da uno o più assalitori che li hanno feriti a colpi di fucile a pompa. I tre soldati avevamo preso alloggiamento in quell’hotel, Come riferito dal ministero della difesa olandese attualmente tutti e tre i militari sono in ospedale, ma uno è stato ferito in modo particolarmente grave ed è in pericolo di vita.
I soldati erano nella città per un periodo di addestramento con le forze speciali USA, ma quando sono stati feriti si trovavano in libera uscita. A quanto pare la sparatoria è successa poco dopo un alterco con una o più persone che ora sono ricercate dalla polizia, ma non ci sono notizie aggiuntive. I soldati sono parte del “Command Corp”, un corpo speciale olandese. Il termine “Commando” nasce proprio da una parola della lingua olandese, o meglio boera, e indicava inizialmente i coraggiosi esploratori boeri in Sud Africa che combattevano contro l’esercito britannico a cavallo fra ottocento e novecento.
Quindi perfino dei soldati specializzati e scelti sono in pericolo in una città media americana. Uomini che magari sono sopravvissuti a pericolose missioni in Afghanistan rischiando di rimetterci la pelle in una città americana almeno teoricamente non ostile. Del resto il famoso “American Sniper” Chris Kyle sopravvisse a numerose missioni in Iraq, con una taglia sulla testa per 80 mila dollari per essere poi ucciso al ritorno in madrepatria. Complimenti alle politiche di tolleranza del crimine incentivate dall’amministrazione Biden. Andando avanti di questo passo solo John Rambo potrà muoversi indisturbato nell’ambiente urbano a stelle e strisce.
FONTE: https://scenarieconomici.it/quando-vivere-negli-usa-e-piu-pericoloso-che-andare-in-guerra-tre-commando-olandesi-feriti-a-indianapolis/
L’Europa chiude il rubinetto degli aiuti militari all’Ucraina
Nessun aiuto militare nel mese di luglio all’Ucraina da parte dei Paesi europei. È quanto riporta Politico, sottolineando che, per tutto luglio, i sei Paesi più grandi d’Europa non hanno offerto all’Ucraina nuovi impegni militari bilaterali: è la prima volta che accade dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio scorso. Segnale che l’assistenza militare da parte dell’Europa sta diminuendo proprio mentre Kiev prosegue nel suo complicato tentativo di controffensiva contro l’esercito russo. A fornire questi dati, che riguardano Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, Italia e Polonia, è il Kiel Institute for the World Economy, l’illustre centro di ricerca di economia e think tank con sede a Kiel, in Germania, che sta tracciando l’assistenza militare dei Paesi occidentali verso l’Ucraina. Il rapporto conferma inoltre quanto denunciato più volte dagli ufficiali ucraini: le principali potenze europee non riescono a stare al passo degli Stati Uniti e degli aiuti militari che l’amministrazione Biden ha messo in campo per sostenere l’esercito di Zelensky. Questo riguarda anche Polonia e Regno Unito, i principali Paesi sostenitori di Kiev e acerrimi nemici di Mosca.
Aiuti militari in calo da aprile
A dirla tutta, secondo il rapporto, gli aiuti militari europei hanno cominciato a calare non da luglio, ma dallo scorso aprile, una volta preso atto che l’esercito russo non sarebbe stato sconfitto facilmente e che la guerra sarebbe altresì durata a lungo. “Nonostante la guerra sia entrata in una fase critica, le nuove iniziative di aiuto si sono esaurite”, afferma Christoph Trebesch, capo del team che ha redatto l’Ucraina Support Tracker. È vero che i Paesi occidentali si sono incontrati la scorsa settimana a Copenhagen per coordinare gli aiuti all’esercito ucraino, stanziando ulteriori 1,5 miliardi di euro di aiuti: ma come nota lo stesso Trebesch, si tratta di una cifra decisamente più esigua rispetto ai precedenti meeting. Il ministro della Difesa lettone, Artis Pabriks, ha recentemente dichiarato a Politico che Paesi come Francia e Germania devono fare di più per sostenere Kiev. “Se vogliamo che la guerra finisca il prima possibile, devono chiedersi se stanno facendo abbastanza” ha dichiarato.
Dagli Usa un altro miliardo di dollari in assistenza militare
Com’è noto, gli Stati Uniti continuano a sostenere l’Ucraina in questa proxy war contro la Federazione russa, con l’obiettivo non solo di sostenere l’esercito di Kiev ma, a lungo termine, di logorare Mosca, portando la Federazione al collasso economico, sociale e militare. Lo scorso 8 agosto, il Segretario di Stato Usa, Antony J. Blinken, ha annunciato il diciottesimo pacchetto di aiuti dell’amministrazione Biden da agosto 2021: pacchetto che include armi, munizioni e attrezzature varie del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.
Questo pacchetto, ha rimarcato Blinken, “fornisce una quantità significativa di munizioni, armi e attrezzature aggiuntive che gli ucraini stanno usando in modo così efficace per difendersi e porterà l’assistenza totale degli Stati Uniti alla sicurezza in Ucraina a circa 9,8 miliardi di dollari dall’insediamento di questa amministrazione”. Gli Stati Uniti, ha aggiunto, “sono al fianco di alleati e partner di oltre 50 paesi nel fornire assistenza alla sicurezza vitale per sostenere la difesa dell’Ucraina della sua sovranità e integrità territoriale contro l’aggressione della Russia”. Con il protrarsi di questa guerra, ha affermato, “il coraggio e la forza dell’esercito ucraino e del suo popolo diventano ancora più evidenti e ancora più straordinari”.
Come già evidenziato da InsideOver, in realtà, gran parte degli aiuti finisce agli appaltatori della Difesa Usa: uno dei maggiori beneficiari del precedenti pacchetti di aiuti è Raytheon, il principale produttore di Javelin insieme a Lockheed: è un’azienda che l’attuale Segretario alla difesa dell’amministrazione Biden, Lloyd Austin, conosce molto bene dato che fino a poco tempo fa sedeva nel suo board. Era lo scorso 13 aprile quando i massimi funzionari del Pentagono si sono incontrati con gli amministratori delegati degli otto maggiori appaltatori della Difesa per discutere della capacità dell’industria di soddisfare il fabbisogno di armi verso l’Ucraina nel caso la guerra “prosegua per anni”.
FONTE: https://it.insideover.com/guerra/leuropa-chiude-il-rubinetto-degli-aiuti-militari-allucriana.html
SCIENZE TECNOLOGIE
LA NATURA È UN’INVENZIONE ARTIFICIALE
Un conto erano i libri di Virgilio (Georgiche, Bucoliche). Un altro conto erano le vite simbiotiche di Buddha, di Henry David Thoreau, degli eremiti, dei navigatori. Poi è arrivato Bernard Charbonneau, con la sua critica al concetto di ambiente, inclusa la deificazione di Madre Natura con riti mediatici e consumisti in onore di quel pianeta edenico tramontato già al tempo di Adamo ed Eva, quando l’agricoltura sostituì l’economia dei raccoglitori-cacciatori. Charbonneau ha pubblicato “Il Giardino di Babilonia”, saggio che da sinistra apocalizza il credo del post socialismo piddino, quello dei “diritti civili” assunti come unica forma della politica, dopo che l’economia mista della socialdemocrazia post-sovietica si è dimostrata fallimentare rispetto al libero mercato del post-capitalismo liberale.
La prefazione e la post-fazione del “Giardino di Babilonia” (dove per Babilonia si intende la società neo/post borghese) sono un meraviglioso controsenso. La prefazione è a cura di Goffredo Fofi, ex Lotta Continua che si è occupato di cinema, ambiente e lotta di classe, senza assorbire quel socialismo pariolino che d’estate partecipa ai convegni intellò-ambientaltristi della Capalbio che non vuole né autostrade né rigassificatori, e nemmeno le classiche cameriere (come ricorda Guia Soncini, oggi la dizione politicamente corretta per “cameriera” è “la-donna-che-mi-aiuta-per-le-pulizie”).
La postfazione è a cura Serge Latouche, una delle efelidi della non molto gloriosa scienza economica francese. Latouche negli anni Novanta predicò (sembra un millennio fa) una fanfaluca così co(s)mica da sembrare fantozziana, – “Breve trattato sulla decrescita serena -Come sopravvivere allo sviluppo” – che, grazie al successo editoriale, con altri suoi testi, gli valse la nomina a professore emerito di Scienze economiche all’Università “Paris Sud-Saclay”. Certo che al confronto Vladimir Putin meriterebbe una trentina di Nobel e la nomina a Beato da parte del papato, visto che ha contribuito a realizzare perfettamente i desiderata di Latouche, a partire dalla feroce opposizione alla “Occidentalizzazione del mondo”, sempre in nome della decrescita “felice”, e continuando con titoli di questa attualità “Come si esce dalla società dei consumi”.
Ebbene, nonostante queste matrici marxiste-dorotee, Bernard Charbonneau riesce a costruire una perfetta critica al Beau monde ambiental-animalista di sinistra (ma anche di destra: si ricordi Michela Vittoria Brambilla, ex ministra per il Turismo nel Governo Berlusconi IV e sottosegretaria alla presidenza del Consiglio, poi presidente e fondatrice della Lega italiana difesa Animali e Ambiente). Anche se usa categorie marxiste classiche, Charbonneau sembra parlare proprio ai biocyberdroidi che si scagliano in difesa di cinghiali e gabbiani e che sono devoti a san Mario Tozzi e a santa Licia Colò: “Nella società borghese la natura rientra nell’ordine del lusso”. La “natura” secondo Charbonneau, rientra nel novero delle esperienze da fare o, come meritoriamente e coraggiosamente ricorda Davide Brullo sul Venerdì di Repubblica – numero 1796 – è un “mero atto culturale da studiare, fotografare, colonizzare”. Charbonneau dice anche che “liquidare la natura sul piano della cultura permette di distruggerla senza smettere di amarla”. Brullo incalza, parlando della nuova sottospecie umana, ovvero del “turista che si bea dei mari a patto di non essere irritato dalle meduse, che sogna un’India senza insetti, un’Amazzonia fotogenica, bene educata, pulita, profumata e protetta”, anzi schiava perché deve ubbidire ai suoi filantropi. Ma una natura che non reca danno ma pio conforto è snaturata. Aggiungerei che, per meglio capire cosa si intende per “natura” oggi, più che rileggere le dure accuse dei Romantici alla Giacomo Leopardi contro la Natura matrigna o i romanzi di Cormac McCarthy, bisognerebbe capire la differenza tra la scientificità ancora linneiana dei documentari di David Attenborough o di Piero Angela a confronto con la natura oggi descritta nei sussidiari delle scuole elementari, e con quella già fiabesca/artificiale che ieri veniva disegnata da Walt Disney, adesso rieditata dai vari Disney World.
Ha ragione Charbonneau anche quando critica le città, e a partire da quelle non alt-right, quelle smart che stanno dalla parte giusta, al cui ingresso stradale sono apposti cartelli come “città denuclearizzata”, quelle dove la nuova classe aristocratica e socialista si droga di costosi cibi biologici e di costosi pannelli fotovoltaici con pompa di calore, forse prodotti in Cina con “l’aiuto” di oppositori politici o religiosi condannati ai lavori forzati (Pechino dirà “gli uomini che ci aiutano per le fabbriche”, imitando le ipocrisie polcorr delle massaie della Alta Società postsocialista?).
Quelle città così lisce e levigate, dove i “diversi” sono tollerati ma i rom sono spariti più che nelle città alt-right, sono le più distanti dalle giungle e dai temporali. Come si diceva una volta, servirebbe praticare di più quell’antico epiteto andate a zappar, per capire cosa è “madre natura”, ovvero una cosa meravigliosa che a volte però – come la vita – può diventare una tremenda strega.
(*) Bernard Charbonneau, “Il Giardino di Babilonia”, Edizioni degli Animali, 25 euro
FONTE: https://www.opinione.it/cultura/2022/08/29/paolo-della-sala_natura-invenzione-artificiale-charbonneau-giardino-babilonia/
CLAMOROSO. Un informatore interno rischia di far saltare Pfizer: ha le prove delle informazioni false, certificazioni fraudolente, studi clinici contaminati.
Pfizer non può usare il governo come scudo per proteggersi dalla responsabilità per aver fatto affermazioni false sul suo vaccino COVID-19, hanno sostenuto gli avvocati di un whistleblower in risposta alla mozione di Pfizer per respingere una causa per False Claims Act. Un whistleblower nella tradizione dei paesi anglosassoni è un informatore interno che agisce nell’interesse pubblico.
“I convenuti sostengono che le certificazioni fraudolente, le false dichiarazioni, i dati falsificati, gli studi clinici contaminati e il licenziamento degli informatori possono essere ignorati sulla base della teoria che la società ha ottenuto una copertura legale federale che le permette di tutelarsi dalle cause per danni“, hanno scritto nella loro risposta del 22 agosto gli avvocati di Brook Jackson, che ha lavorato come direttore regionale in uno degli studi clinici utilizzati per sviluppare il vaccino Pfizer. “Una società farmaceutica non può indurre i contribuenti a pagare miliardi di dollari per un prodotto“, hanno replicato, “che dati corretti dimostrerebbero avere più rischi che benefici, e questo ignora il contratto reale e la legge stessa“.
L’azione legale di Jackson sostiene che Pfizer e due dei suoi subappaltatori hanno violato il False Claims Act fornendo risultati di studi clinici fasulli per ottenere l’approvazione da parte della FDA del suo vaccino COVID-19.
STORIA
La Russia, l’indipendenza americana e la guerra di Secessione
È una lezione di storia dimenticata quella che ha voluto ricordare il presidente della Crimea e che vale la pena riferire perché alquanto sorprendente. Su Telegram, Sergei Aksyonov ha ricordato quanto disse Mark Twain allo zar al tempo in cui fu incluso nella delegazione americana inviata in Crimea nell’agosto del 1867, subito dopo la conquista dell’Indipendenza dalla Gran Bretagna.
“Il 26 agosto, – ricorda Aksyonov – i visitatori furono ricevuti dall’imperatore Alessandro II, che riposava a Livadia . Mark Twain scrisse un saluto solenne all’imperatore a nome degli ospiti americani. Ecco una citazione: ‘L’America deve molto alla Russia . È debitrice alla Russia per molti aspetti e soprattutto per l’amicizia immutabile durante gli anni delle sue grandi prove… Non dubitiamo per un minuto che la gratitudine alla Russia e del suo sovrano vivrà a lungo nel cuore degli americani”.
Ciò accadeva quando ancora la sovranità russa sulla Crimea non era in discussione e Twain aveva nel cuore il ricordo dell’ausilio offerto dalla Russia alla causa dei coloni americani, un atteggiamento che successivamente lo scrittore mutò, ritendendo il potere dello zar oppressivo (ma questa è un’altra storia).
La Russia e l’indipendenza americana
In effetti, nessun libro di storia ricorda più il ruolo che ebbe la Russia in quel conflitto. Lo si rammenta, però, su Wikipedia, nella quale si annota come Caterina la Grande dichiarò la Russia neutrale nel conflitto che opponeva la colonia d’Oltreoceano alla madrepatria, nonostante per ben tre volte la Gran Bretagna avesse chiesto a Mosca, anzi implorato, di aiutarla a sedare la ribellione (che ebbe il sostegno della Francia, della Spagna e delle Provincie Unite – più o meno gli odierni Paesi Bassi).
Quella di Caterina fu in realtà una neutralità solo formale, dal momento che in realtà supportò decisamente i ribelli sul piano commerciale contro i loro oppressori. Non solo, come ricorda con certo fastidio il sito di storia The Word, la neutralità russa fu probabilmente decisiva per la vittoria dei ribelli.
“La decisione russa di non fornire truppe alla Gran Bretagna ha avuto un impatto strategico significativo. Ha, infatti, comportato un ritardo nella mobilitazione britannica nell’organizzazione della guerra contro i coloni. Fu solo dopo che Caterina di Russia disse di no che gli inglesi si rivolsero alla Germania per fornire loro gli Hessianas [così si chiamavano i tedeschi intruppati nell’occasione con l’esercito di Sua Maestà ndr], gli uomini di cui avevano bisogno. Ma tale ritardo potrebbe essere stato critico”.
“Il risultato della decisione diplomatica russa fu che la Gran Bretagna fu costretta a ritardare la controffensiva contro i patrioti americani fino all’agosto 1776”.
“Se una divisione di truppe russe o di Hessians fosse arrivata a Boston alla fine del 1775 e avesse sconfitto il neonato esercito americano di Washington, ciò avrebbe potuto influenzare molti cervelli in America riguardo la saggezza persino di dichiarare l’indipendenza”.
“Invece, i ribelli furono in grado di organizzarsi molto di più, attrezzare difese, ottenere risorse come polvere da sparo e cannoni e dare addestramento ed equipaggiamento alle truppe.
“[Il ritardo] Ha anche permesso ai patrioti di consolidare il loro potere politico, intimidire gli oppositori in patria e, infine, persino di osare dichiarare l’indipendenza. Una volta attraversato quel ponte era quasi impossibile tornare indietro e trovare un compromesso con la madrepatria”.
La Russia e la guerra di Secessione americana
Si può ricordare che la Russia ebbe un ruolo non secondario anche al tempo della guerra di secessione americana, come ricorda un bel documentario del National Museum of Civil War Medicine (qui il video).
Nonostante la neutralità, lo zar Alessandro II – che in parallelo all’abolizione della schiavitù in America aveva abolito la servitù della gleba in Russia – si pronunciò con decisione a favore dell’Unione del Nord di Abraham Lincoln, al contrario di Francia e Gran Bretagna che supportarono tacitamente la Confederazione del Sud schiavista.
E non fu solo un sostegno morale. Lo zar, temendo che le flotte russe potessero essere distrutte in una guerra contro Francia e Gran Bretagna – che sostenevano con forza l’indipendenza polacca allora controllata da Mosca – le inviò in due porti strategici dell’Unione, quella del Pacifico a San Francisco e quella atlantica a New York, dove furono accolte con “festeggiamenti travolgenti”, dal momento che la decisone fu interpretata come un segno tangibile di una tacita alleanza con Mosca e come segnale che essa credeva che l’Unione potesse vincere la guerra.
Non solo, in tal modo la Francia e la Gran Bretagna furono costrette ancor più alla neutralità e a privare dell’ausilio delle loro potenti flotte i confederati, perché nonostante potessero affrontare la Russia o le forze dell’Unione, non avrebbero potuto affrontare l’Unione e la Russia insieme.
Le flotte russe diedero coraggio alle popolazioni di quelle città, che temevano le incursioni delle navi confederate, anche perché, nonostante la Russia fosse formalmente neutrale, avevano avuto mandato di difenderle, per motivi “umanitari”, da eventuali attacchi.
Nel 1864, quando le acque iniziarono a calmarsi, lo zar diede ordine alle flotte di rientrare, ritiro che fu accompagnato, ricorda sempre il documentario, da “un’enorme gratitudine del popolo americano, non solo delle città portuali, ma di tutto il Nord…”
La gratitudine eterna in politica non esiste, ma rammentare questa pagina di storia ci sembra istruttivo non solo per raccontare qualcosa di importante e ignoto ai più, ma anche per ricordare che la frattura Usa – Russia non appartiene all’esistenziale, ma al contingente, come ricorda ancor più l’impegno comune della Seconda Guerra mondiale contro il nazismo, pagina di storia che qualcuno vuol cancellare a causa sempre del contingente.
Nota – The New York Times dedicò un lungo articolo all’arrivo della flotta russa nel 1863, nel pieno della guerra civile americana. Ne riportiamo qualche passo che racconta il clima di festa che circondò tale “visita” e l’importanza che questa deve aver avuto per gli eventi dell’epoca.
“La presenza di una flotta russa nel porto di New York è accolta con grande piacere da tutte la folla. Cinque splendidi vascelli da guerra, completamente equipaggiati e in perfetto assetto, sono ora all’ancora nel fiume North, in piena vista del nostro grande porto.
Le fregate Aleksandr Nevskij, il Peresvet, il Osljabja e le corvette Vitjaz e il Varjag. A loro si uniranno presto i clippers Almos, Isoumrond e Jahant
La bandiera imperiale della Russia – un pavese quadrangolare, con larghe barre diagonali blu – svolazza dalla parte anteriore di ogni nave. L’attenzione degli sguardi è anche attratta dalla banda che intona occasionalmente un’aria russa, che suona molto melodiosa all’orecchio americano. Attualmente le navi appena arrivate presentano una scena movimentata, nel prepararsi all’accoglienza dei loro amici americani.”
Lungo e dettagliato l’articolo prosegue con una serie di notizie minuziose che a noi, forse disabituati ai dettagli, appaiono un pò eccessivi ma che evidentemente all’epoca erano il pane quotidiano di giornalisti e lettori: la descrizione di tutte le unità russe e dei loro equipaggio, l’elenco degli ufficiali, il racconto delle cortesie tra navi e ufficiali russi e americani con lo scambio di visite di ammiragli e altri ufficiali, la messa a disposizione dei cantieri di navale di Brooklyn per ogni necessità.
Vale la pena sottolineare alcuni passaggi.
“Gli ufficiali sono totalmente estranei all’America; ma conoscono bene le questioni politiche in gioco e la lotta in corso tra il nord e il sud; dichiarano che vorrebbero vedere restaurata l’Unione”
“La fregata Osljabja ha creato grande clamore in occasione della visita della signor Presidente Lincoln una settimana fa. “
“Quasi tutti conoscono più o meno la lingua inglese e molti di loro parlano correntemente l’inglese”.
Ed infine, in chiusura:” I movimenti della flotta russa per il futuro sono sconosciuti [segreti]. L’opinione generale è che rimarranno qui tre o quattro settimane [otto mesi in realtà], poiché gli ufficiali si sono rivolti all’ammiraglio dei porti atlantici, ed è probabile che pensino di visitare [ispezionare, proteggere] la nostra costa “
FONTE: https://piccolenote.ilgiornale.it/57417/la-russia-lindipendenza-americana-e-la-guerra-di-secessione
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