RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
30 DICEMBRE 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
È fatale la prevalenza di una minoranza organizzata , che obbedisce ad unico impulso, sulla maggioranza disorganizzata
LUCIANO CANFORA, Critica della retorica democratica, Laterza, 2002, pag. 77
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SOMMARIO
Arriva batosta da 860 euro. Chi deve aprire il portafoglio
SAPETE CHE TWITTER PROMUOVE IL TRAFFICO DI ORGANI UMANI?
PARAGONE ACCUSA IL GOVERNO AL SENATO “VOLETE VACCINO OBBLIGATORIO! STATE PREPARANDO L’ESERCITO?”
Salvini fa beneficenza, il capo dei City Angels sbrocca: “Io partigiano antirazzista, stia lontano da noi”
Se mi vaccino
In ricordo del prof. Giorgio Galli
Virus e segreti di Stato
India, bambini venduti dalle suore. La nostra inchiesta sulla tratta
Traffico di bambini nel Centro delle suore di Madre Teresa: arrestata una donna, fermate due suore
Toc toc. La Cgia registra un crollo di 420 miliardi. Ed è solo l’inizio
Tasse, ecco come sei Paesi europei sottraggono all’Italia 6,5 miliardi di euro
CRISI ECONOMICA: cosa ci aspetta nel 2021?
Disuguaglianze: perché dobbiamo tornare a parlarne
Edoardo Polacco – Difendiamo l’art 32 della Costituzione
Non entriamo in casa salvo notizia di illeciti
Lo Stato risparmia sulla pelle dei testimoni di giustizia. Ecco perché la nuova legge è vergognosa
Compliance GDPR, perché le infografiche?
Decreti immigrazione, la follia della sinistra
illécito
Il lavoro c’è ma i lavoratori si scansano: la favoletta continua
Trump accerchiato, Biden azzoppato
“Decisione sofferta, ma temiamo un’impennata della curva dei contagi a Natale”.
COSÌ, TANTO PER CAPIRCI!
Vaccino e reazioni allergiche? Come stanno davvero le cose
IL CAPO SCIENZIATO DELL’OMS: NON C’E’ NESSUNA PROVA CHE UN VACCINATO NON TRASMETTA IL VIRUS .
La pista Inglese e italiana: i misteri di Dongo. Piazzale Loreto atto finale
L’incubo italiano degli inglesi: chi era Amedeo Guillet, il “comandante Diavolo”
IN EVIDENZA
Arriva batosta da 860 euro. Chi deve aprire il portafoglio
Il 2021 sarà un anno amaro: rincari e aumenti su diversi fronti che possono piegare le famiglie. Chi rischia la grande botta
Non sono buone le notizie che arrivano dal Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori), che per il prossimo anno prevede una vera e propria stangata per le famiglie italiane, già duramente messe alla prova dall’emergenza sanitaria e dalle pesanti conseguenze economiche che questa ha comportato.
Secondo l’associazione, infatti, per ogni singolo nucleo familiare italiano sarebbe in arrivo una “batosta” di ben 860 euro, a causa dei rincari previsti per il 2021. Con l’allentamento delle misure restrittive imposte dal governo, cosa che tutti ci auguriamo, pare ormai certo un aumento delle tariffe per molti settori, alcuni di questi maggiormente fiaccati dalla crisi economica. L’aumento dei prezzi, tuttavia, andrà necessariamente a colpire i cittadini.
Nella nota rilasciata ieri sulla propria pagina web ufficiale, il Codacons presenta i risultati di uno studio condotto per valutare le possibili conseguenze dei rincari previsti per l’anno ormai alle porte. Secondo le previsioni della ricerca, a febbraio 2021 l’Italia assisterà ad un allentamento delle misure anti-Covid, cosa che potrebbe favorire una ripresa del commercio. “Si potrà gradualmente tornare a spostarsi tra regioni senza limitazioni, viaggiare e utilizzare pienamente servizi e pubblici esercizi”, si legge nel comunicato di Codacons. Tuttavia “la ripresa delle attività e un possibile ritorno alla normalità e ai consumi avrebbero effetti sui prezzi al dettaglio, che come noto nel 2020 sono risultati in deflazione”. Si prevede dunque“un leggero incremento dei listini, quindi, che nel 2021 potrebbe determinare una maggiore spesa pari a complessivi +200 euro a famiglia, cui si aggiungono +142 euro per i soli rincari del settore alimentare, i cui prezzi già negli ultimi mesi del 2020 hanno subito sensibili rialzi”.
A subire dei rincari potrebbero essere anche le bollette di luce e di gas, così come di Tari e acqua. Gli italiani dovranno inoltre spendere di più anche per usufruire dei mezzi pubblici come autobus, treni, aerei e traghetti, per i quali il Codacons prevede un aumento di + 75 euro. Viaggiare diventerà dunque più caro, così come trascorrere del tempo fuori casa. È infatti previsto un aumento dei prezzi anche dei ristoranti (+58 euro), degli alberghi e delle località di soggiorno in generale (+72 euro). Persino la manutenzione e la revisione delle autovetture costerà di più. Del resto il prezzo del carburante è già aumentato. Codacons prevede un rialzo di +130 euro a famiglia. Rincari anche nella sanità (+25 euro) e nelle banche (+15 euro).
Un vero e proprio salasso, causato dalla pesante crisi economica seguita all’emergenza Covid ed in parte provocata anche da certe scelte del governo giallorosso. Per fortuna i pedaggi autostradali saranno bloccati fino a luglio e le multe non saranno soggette a rincari, ma in generale gli italini dovranno subire un duro contraccolpo. Codacons, infatti, prevede un +862 euro per nucleo familiare.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/economia/studio-codacons-nel-2021-stangata-862-famiglia-1912856.html
SAPETE CHE TWITTER PROMUOVE IL TRAFFICO DI ORGANI UMANI?
“Pecunia non olet” potrebbe essere il tweet ideale per i gestori della piattaforma social in cui, invece di cinguettare, gli utenti sbraitano nel silenzioso pigiare i tasti del computer o poggiare i polpastrelli sullo schermo dello smartphone.
Se ci indispettiscono le sgradevoli manifestazioni di violenza verbale (speculari alle manifestazioni di disagio urbano), tra le piccole cose che infastidiscono compaiono i messaggi “promossi” da Twitter che rientrano nelle azioni di marketing digitali su cui poggia il business dell’azienda.
La piattaforma deve ovviamente essere portatrice di profitti (non è una onlus a gestire Twitter e tanto meno vi è un’erede di Madre Teresa di Calcutta al suo timone) e le dinamiche di controllo delle inserzioni pubblicitarie non sempre funzionano come si vorrebbe (o si potrebbe). E così – in mezzo a tanti tweet di ordinaria connotazione promozionale – periodicamente si affaccia qualcosa di quanto meno “inopportuno”.
Qualche giorno fa un giornalista freelance, Tyler Coates il suo nome, si è visto recapitare nel suo profilo un “tweet” incredibilmente macabro riferito ad un servizio commerciale di organi umani.
La circostanza – superato l’impatto traumatico di legittimo sbigottimento – è stata raccontata dall’interessato ai colleghi del sito Gizmodo, cui ha confessato di essere sì “arido e spietato” (così avrebbe detto se avesse mai un’espressione romanesca) ma di non comprendere il motivo di un simile messaggio sul suo computer.
Se è vero che la pubblicità online è estremamente mirata e spesso collima con le richieste formulate sui motori di ricerca oppure con la navigazione tra un web e l’altro, è sinceramente inspiegabile l’apparizione di determinati “promo” che risultano ben lontani da gusti e preferenze del soggetto che li vede giungere e ancor più distanti da etica e buon gusto.
Probabilmente Twitter cerca di affilare i propri strumenti di permeazione commerciale e sperimenta la propria incisività lasciando sciolte le briglie degli algoritmi preposti al controllo automatizzato dei contenuti “sponsorizzarati” che vengono veicolati agli utenti.
Inondare di annunci relativi a compravendita di organi (non pianole o tastiere musicali) non sembra una condotta plausibile e non basta a rassicurare il fatto che Twitter abbia sospeso l’account che aveva riconosciuto l’idoneità della sua piattaforma per far conoscere i sorprendenti inammissibili servizi. L’utente non aveva fatto mistero delle reali intenzioni, fin dal momento dello sbarco online, così come mostrava il nome “organmarkets” scelto come identificativo e divenuto e “theorganmarket” dopo la chiusura del primo account.
Non parliamo di una realtà marginale nel contesto telematico. Twitter – grazie ai sui contenuti a pagamento – nel 2019 ha totalizzato profitti che hanno sfiorato il miliardo e mezzo di dollari, nonostante la serrata concorrenza di Google e Facebook nella raccolta pubblicitaria.
Chi è curioso di vedere quante siano le “stranezze” nel moderno Carosello delle inserzioni su Twitter, non ha bisogno di allontanarsi. Proprio su quel social c’è un profilo particolarmente suggestivo che svolge la simpatica funzione di “vigilante” e che raccoglie e segnala le pubblicità che è bene non lasciarsi scappare. L’account “advertisedtwit” – purtroppo in lingua inglese – è operativo dal novembre 2018 e vanta oltre 22mila follower (e segue soltanto un altro iscritto) di cui riesce a richiamare costantemente l’attenzione.
Possibile mai che Twitter – visti gli utili spropositati – non possa investire in maniera significativa per bloccare inserzioni fraudolente o illegali?
Più comodo lucrare su qualunque tweet e aspettare che qualcuno si lamenti senza aver bisogno di spendere denaro per evitare simili (e anche peggiori) episodi come quello toccato in sorte a Tyler Coats e a chissà quanti altri?
FONTE: https://www.infosec.news/2020/02/16/editoriale/sapete-che-twitter-promuove-il-traffico-di-organi-umani/
ATTUALITÁ SOCIETÀ COSTUME
PARAGONE ACCUSA IL GOVERNO AL SENATO “VOLETE VACCINO OBBLIGATORIO! STATE PREPARANDO L’ESERCITO?”
29 dic 2020
L’intervento del senatore Gianluigi #Paragone nel corso della 288a Seduta Pubblica – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 novembre 2020, n. 150, recante misure urgenti per il rilancio del servizio sanitario della regione Calabria e per il rinnovo degli organi elettivi delle regioni a statuto ordinario.
VIDEO QUI: https://youtu.be/UlRmx29NYRc
“Avete parlato di eccellenze sanitarie ed ospedaliere in #Calabria, avete sottolineato il sacrosanto diritto dei cittadini calabresi a godere pienamente del diritto costituzionale alla #salute, poi però, quando si è trattato di nominare l’ennesimo commissario, avete dato dimostrazione di tutto il vostro stato confusionale. Non mi metto qui a ricordare che razza di bestiario, per usare un’espressione cara a Giampaolo Pansa, avete messo in campo e il ritardo con cui poi l’avete rimosso. Non è solo questo, però, il punto. Parlate di rilancio della #sanità e di rilancio delle professionalità, ma qual è il profilo del commissario scelto? Si tratta di un ex questore. Quindi, ricapitoliamo: a governare la sanità calabrese con i poteri del commissario c’è un poliziotto, a guidare la Banca popolare di Bari avete messo un super-poliziotto, Giovanni De Gennaro, le tensioni all’interno della maggioranza riguardano il controllo dei servizi segreti ed è per questo che siete intolleranti al dissenso.
Vorrei dunque capire se pensate di schierare l’ #esercito quando i cittadini vorranno difendere i loro diritti; se lo schiererete contro chi difenderà il lavoro, contro chi chiederà di non dover chiudere le proprie attività, contro chi chiederà anche di conoscere la verità sulle vostre responsabilità in tema #Covid. Infine, voglio capire se schiererete l’esercito contro chi si opporrà all’ennesimo #vaccino obbligatorio, perché voi volete il vaccino obbligatorio per fare l’ennesimo regalo alle #multinazionali del farmaco.
Vi ricordo che nel buco nero della Calabria ci sono anche le creste fatte per pagare due o tre volte i prodotti sanitari. La Calabria ha bisogno di non chiudere gli ospedali ed ha bisogno di più sanità pubblica, ma con quali soldi lo volete fare se state dentro il sistema contabile dell’ #Europa? #Italexit quindi vota contro questo vostro decreto-legge che sta ancora dietro la logica contabile e, soprattutto, umilia i professionisti seri e preparati che ci sono in Calabria, professionisti che si dovranno misurare con un commissario ex questore”.
FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=UlRmx29NYRc&feature=youtu.be
Salvini fa beneficenza, il capo dei City Angels sbrocca: “Io partigiano antirazzista, stia lontano da noi”
BELPAESE DA SALVARE
Se mi vaccino
Alessandro Chesini – Gruppo di discussione DETTI E SCRITTI – 29 12 2020
Posso smettere di indossare la mascherina? No
Possono riaprire i ristoranti e lavorare normalmente? No
Sarò immune al Covid? Forse, non si sa di preciso
Almeno non sarò più contagioso per gli altri? Dipende, non si sa.
Se vacciniamo tutti i ragazzi la scuola riparte normalmente? No
Posso smetterla con le distanze sociali? No
Posso smettere di igienizzarmi ogni 5 minuti? No
Se vaccino me stesso e mio nonno, possiamo abbracciarci? No
Coi vaccini riapriranno i cinema, i teatri e gli stadi? No
I vaccinati potranno assembrarsi? No
Che vantaggio effettivo c’è allora a vaccinarsi? Il virus non ti ucciderà.
È certo che non mi ucciderà? No
Statisticamente il virus non mi ucciderebbe lo stesso.. Perché dovrei vaccinarmi?
Per tutelare gli altri.
Quindi se mi vaccino, gli altri stanno tranquilli al 100% che non li contagio? No
Quando finirà ‘sta pippa?… non mi pare che il vaccino cambi le cose.
In estate probabilmente avremo un immunità di gregge.
Si, ma dopo 2 cicli abbiamo avuto l’immunità di gregge pure con la spagnola senza vaccini.
Esatto.
CULTURA
In ricordo del prof. Giorgio Galli
Il nostro presidente prof. Giorgio Galli è mancato il 27 pomeriggio a Camogli, a 92 anni. E’ stato uno dei più intelligenti osservatori della vita politica italiana per numerosi decenni: famosa e molto seguita la sua rubrica su Panorama, molto prolifico con libri e interviste, interventi coerenti e precisi.
Giorgio sarà sempre la nostra Guida
Giorgio Galli non è più tra noi, ma sarà sempre con noi. Tutti noi interessati alla storia, ma soprattutto le giovani generazioni che condividono questa passione, non potremo mai non piangere la scomparsa di questo ineguagliabile maestro, ucciso da un infarto all’età di 92 anni nella sua casa sul mare di Camogli, dove si era ritirato con l’amata moglie, i suoi libri, il suo favoloso archivio, fonte inesauribile di notizie e “segreti” che gli avrebbero consentito di realizzare sempre nuovi ed affascinanti scritti. Forse ancora sul nazismo e sul suo fondatore, un evento storico e un personaggio di cui Galli rimane il principale ed ineguagliabile studioso.
Sia ben chiaro: nessuna simpatia per il nazismo, ma la necessità di capire, e spiegare alle giovani generazioni, il mistero che ha sempre circondato (e continuerà ancora per molto tempo a circondare) il successo e l’attrazione che il nazismo ha esercitato su più di una generazione. Non per nulla, fu lui a creare la definizione di “nazismo magico”, che troviamo nel titolo di uno dei suoi best sellers (“Hitler e il nazismo magico”), pubblicato nel 1989. Come ha scritto Luca Gallesi ricordando Galli su “Il Giornale”, le sue indagini sui rapporti tra lo strapotere hitleriano e la magia «fecero storcere il naso all’accademia, che non vedeva di buon occhio l’indipendenza intraprendente di un professore (Galli era docente di Storia delle Dottrine Politiche all’Università di Milano; n.d.a.) che firmava una rubrica politica sul settimanale “Panorama” e una dedicata all’esoterismo sul mensile “Astra”».
Storico sì, e tra i più preparati, ma anche politologo di ineguagliabile capacità interpretativa, come dimostrano i suoi libri (e ci limitiamo a ricordare quelli più diffusi e più commentati) come «Il bipartitismo imperfetto. Comunisti e democristiani in Italia» (1966), «I partiti politici in Italia» (1975), «Storia della DC» (1978), «Storia del partito armato» (1986), «Il capitalismo assistenziale» (1977, con Alessandra Nannei), fino all’ultimo saggio «Il potere che sta conquistando il mondo», scritto con Mario Caligiuri la scorsa estate, dove denuncia la finanza che condiziona la politica. Fondamentale, per restare al settore della politologia, rimane «Ricostruire la democrazia», scritto nel 2012 con Daniele Vittorio Comero.
Inarrestabile autore, aveva di recente dato alle stampe libri di straordinario interesse come «Stalin e la Sinistra», rilettura della personalità e delle azioni del despota russo, a prescindere dalla sua facile e diffusa demonizzazione. Opera che si ricollegava idealmente con uno dei libri più noti della sua prima giovinezza, «Storia del Partito Comunista Italiano», pubblicato nel 1953. Come ha scritto Antonio Carioti sul “Corriere della Sera” all’indomani della sua scomparsa, «Giorgio Galli riteneva che si dovessero studiare criticamente le vicende dei regimi totalitari per inserirle in un contesto storico più generale». Unico vero metodo per capire a fondo la storia.
Grazie, Giorgio. Speriamo di potere seguire sempre il tuo esempio.
Luciano Garibaldi, consigliere ISPIG
Il nostro impegno a proseguire
Non si è mai fatto fuorviare più di tanto da condizionamenti ideologici, spaziando da sinistra a destra. Ha affinato l’elaborazione del suo pensiero nella produzione di scritti, documentati e con analisi disincantate puntualmente confermate dai successivi fatti. In Affari di Stato del 1991 aveva dipinto un affresco della corruzione, dei misteri e degli scandali che hanno costituito la “storia sotterranea” dei partiti politici e della società. In contemporanea ha coltivato, quasi in esclusiva nel mondo accedemico, il campo di ricerca su politica e magia, politici e maghi, che aveva avuto inizio dagli studi sul nazismo con la fortunata pubblicazione del libro Hitler e il nazismo magico, con svariate edizioni e revisioni nel corso di trent’anni. Anche l’altro libro uscito per i tipi di Rizzoli nel 1995 La Politica e i Maghi, con sottotitolo dedicato a Clinton ha avuto notevole successo. In ultimo con Storia d’Italia tra imprevisto e previsioni, ed. Mimesis, ha svolto un bilancio. Nel Il Golpe invisibile – Kaos Edizioni, 2015 – spiega la degenerazione italiana, riassunta nel passaggio di potere dalla classe imprenditoriale alla borghesia finanziario-speculativa. Questi ceti burocratici parassitari, secondo Giorgio, hanno avviato un processo che può vanificare lo stato di diritto. Infatti, oggi stiamo assistendo a questo diluvio di decreti e dpcm, che dobbiamo consultare per uscire di casa. Quella di Giorgio Galli è stata una vita vissuta intensamente fino all’ultimo giorno, senza mai mollare, sempre attivo su progetti nuovi, idee di studio per il miglioramento della società, con eleganza e sobrietà. Giorgio Galli è stato ed è tuttora un esempio per tutti, di tenacia e forza di spirito. A chi si meravigliava di tanta energia aveva risposto così: “L’energia mi deriva da una vita fortunata, nel contesto di un’ Italia (anni Cinquanta e Sessanta) che dopo i traumi del fascismo, della sconfitta e della guerra civile valorizzava la volontà di ripresa e la meritocrazia (della quale oggi si parla a sproposito). Le scienze sociali mi hanno aiutato nel processo di formazione. Avevo vissuto a Milano, da ragazzo, il terribile inverno 1944 e sembrava impossibile che pochi anni dopo si sarebbe parlato di “miracolo italiano” per il dinamismo economico. Così come, ne parlo nei miei libri, nel 1858 era imprevedibile l’unità italiana nel giro di un triennio. Dalle scienze sociali ho imparato le possibilità previsionali, ma anche il tener conto dell’imprevisto, di fattori ipotizzabili, ma imponderabili. Non il caso e non la necessità, ma probabilità, maggiori o minori. Per l’Italia: o il rassegnato impoverimento (più probabile), oppure la percezione dell’impoverimento (la Fiat in Usa, la Pirelli ai cinesi)…”.
Profetico, i fatti gli hanno dato ancora una volta ragione. Socialista di formazione culturale, aveva iniziato a lavorare all’ENI di Mattei, quando raccoglieva i più brillanti laureati per la sua squadra. Laureato in giurisprudenza si era subito dedicato allo studio della politica favorito da quell’incarico. Scrive un libro sulla storia del Pci, poi sulla sinistra democristiana, allora fucina dei “migliori” della Dc. La battaglia politica è sempre stata misurata con i voti, per cui si è interessato alle elezioni e a tutti i meccanismi connessi. Nei primi anni sessanta un colpo di fortuna lo porta a Bologna e a dirigere il Mulino e l’Istituto Cattaneo, che aveva avuto una donazione cospicua per svolgere una innovativa ricerca sul comportamento elettorale in Italia. Un progetto complesso e ambizioso, guidato anche da Giovanni Sartori, che ha fatto da fucina ad una scuola bolognese che ha poi gestito, con Andreatta, Prodi e Parisi, un pezzo della futura politica italiana. La ricerca è stata pubblicata in numerosi volumi, con l’utilizzo per la prima volta di tecniche di analisi statistiche avanzate favorite dall’impiego di calcolatori. L’estratto della ricerca è stato pubblicato da Giorgio Galli per Il Mulino nel 1966 con il titolo “Il bipartitismo imperfetto”. Ebbe subito una risonanza incredibile per l’efficacia del titolo, che riassumeva in due parole la monumentale ricerca. Questa capacità di sintesi l’ha mantenuta sino alla fine, come testimoniano i suoi libri e gli interventi pubblicati su questo sito, esercitandola con maestria. Negli anni settanta rientra a Milano, docente di storia delle dottrine politiche all’Università Statale, assumendo anche per un anno la presidenza della Società Umanitaria e poi la direzione dell’Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici e Giuridici collegato con l’Istituto Filosofico Italiano di Napoli fino al 2017, quando ha lasciato a me il compito di liquidare e chiudere la Fondazione per iniziare questo progetto.
La prima volta ci siamo incrociati a Napoli nel 1988 ad un convegno della SISE, società di studi elettorali, della era presidente in quel periodo, da lì è nata una collaborazione insolita durata oltre trent’anni, complementare tra uno storico accademico e uno statistico pubblico, come responsabile dell’Osservatorio Elettorale della Provincia di Milano, con alcuni libri ideati e scritti insieme:
Partiti storici e nuove formazioni, nel 1992, Milano al Voto nel 1999, Stella e Corona nel 2011, Ricostruire la Democrazia nel 2012, L’Urna di Pandora delle Riforme nel 2014
e numerosi convegni su temi di analisi politica e elettorale organizzati a Palazzo Isimbardi, sede della Provincia di Milano. Condividevamo anche la curiosità verso l’esoterismo nelle varie sfumature presenti in politica.
L’ultima impegnativa sfida è stata quella della costituzione e avvio dell’ISPIG, l’Istituto di Studi Politici diretto e presieduto da Giorgio, nel 2018. Voleva che si proseguisse nelle sue ricerche, che si superasse il conformismo accademico, per questo ha scritto tra gli obiettivi da perseguire nello statuto dell’Istituto le sue ultime idee.
Un lascito importante e un impegno morale per tutti noi collaboratori dell’ISPIG.
Daniele Vittorio Comero
(vice presidente ISPIG)
FONTE: https://www.istitutostudipolitici.it/2020/12/29/in-ricordo-del-prof-giorgio-galli/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Virus e segreti di Stato
Report – 02/11/2020
https://www.raiplay.it/programmi/report
VIDEO QUI: https://youtu.be/3kLZLTtMYTQ
Di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella, da Report del 02/11/2020. Il mistero del piano contro le pandemie: il nostro risale al 2006 e non è mai stato aggiornato. Report è tornato a cercare la verità tra dirigenti smemorati, presunti piani segreti e documenti scomodi fatti sparire.
FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=3kLZLTtMYTQ
DIRITTI UMANI
India, bambini venduti dalle suore. La nostra inchiesta sulla tratta
Arrestata una suora e scoperto un traffico più ampio in un centro dell’Ordine di Madre Teresa. Guardate il nostro servizio sull’atroce tratta dei bambini in India
Una notizia che ha dell’incredibile arriva dall’India: una suora e un’infermiera avrebbero venduto per 1.500 euro un neonato che si trovava in uno dei centri per ragazze madri dell’Ordine di Madre Teresa di Calcutta, premio Nobel per la Pace nel 1979 e proclamata Santa nel 2016.
La storia, arriva dallo Jharkhand, dall’India nordorientale in un’area di particolare disperazione, aggiungendo un elemento in più di orrore all’atrocità della tratta dei bambini di cui ci siamo occupati anche noi de Le Iene e infangando il nome della fondamentale assistenza ai più poveri voluta da Madre Teresa. Accortasi di un’ispezione in arrivo, l’infermiera, Anima, avrebbe fatto restituire il piccolo alla madre naturale.
Ieri, Anima e la suora sono state arrestate nel “Cuore Puro”, uno degli orfanotrofi di Ranchi, capitale del Jharkhand. Dall’inchiesta emerge un traffico di bambini purtroppo più ampio in questo centro nell’Ordine di Madre Teresa, già finito nel mirino di molte lamentele e proteste. Ci sarebbe stato perfino un tariffario: dai 600 ai 1.200 euro per bambino, a seconda delle disponibilità economiche degli “acquirenti”, i genitori adottivi.
Della vendita dei bambini ci siamo già occupati con Mauro Casciari. Il servizio doveva affrontare la questione delle tante donne che in India si offrono a pagamento, tra i 9 mila e i 20 mila euro, per il cosiddetto “utero in affitto” per la fecondazione assistita con madre surrogata.
Appena arrivati nella capitale Delhi, nella baraccopoli dove si vive tutti sotto la soglia di povertà, ci siamo accorti subito che la vendita direttamente dei bambini già nati, da poco o più grandi, era un dramma troppo più ampio: il tema del servizio è diventato quello.
A sconvolgerci è la proposta ricevuta in una clinica: “Perché vuole una madre surrogata per 10.000 euro? Io posso darle un bambino per meno”. Indaghiamo, seguendolo, in un primo bordello, poi passiamo in un altro. Il prezzo per comprare un bambino? Duemila euro.
Non vi raccontiamo naturalmente tutti i passaggi, per evitare di aiutare inconsapevolmente qualche sciagurato. Dopo qualche giorno ci troviamo di fronte ai presunti genitori (spesso in realtà sono mediatori che hanno comprato i bambini per rivenderli). Chiedono 3.000 euro per il più grande. Non si tratta del bambino dell’immagine in alto, che è tratta da una campagna dell’ong Save The Children, da sempre impegnata contro questo mercato indegno.
Per il più piccolo la richiesta è di 6.000 euro: data l’età è più facile da “piazzare” per le adozioni. Poco più in là, in una tendopoli di disperazione , ci offrono un bambino di 5 anni per 3.000 euro, poi un neonato.
Ce ne andiamo sconvolti. Nessuno sa a chi verranno venduti. I piccoli potranno avere una vita normale, migliore, seppure illegalmente (e con un meccanismo atroce: la vita, soprattutto dei bambini, non si compra!) ma anche finire in orrendi giri di prostituzione, pedofilia o traffico di organi. Vorremmo solo denunciare tutto.
Degli uomini in divisa ci dicono che è normale e che è inutile denunciare. Parliamo con il più famoso giornalista investigativo del Paese, Tarun Tejpal, direttore della rivista Tehelka: “Qui ci sono 600 milioni di persone molto povere e che possono a mala pena mangiare ogni giorno. Il traffico di bambini è inevitabile. Bisogna opporsi, deve essere combattuto, ma è una battaglia complessa”.
Guardate qui sotto il servizio “Bambini in vendita”.
https://www.iene.mediaset.it/2018/news/vendita-bambini-india-suore-madre-teresa-servizio-iene_145108.shtml
FONTE: https://www.iene.mediaset.it/2018/news/vendita-bambini-india-suore-madre-teresa-servizio-iene_145108.shtml
Traffico di bambini nel Centro delle suore di Madre Teresa: arrestata una donna, fermate due suore
venerdì, 6 luglio 2018 – Ranchi (Agenzia Fides) RILETTURA
La polizia dello Stato di Jharkhand ha arrestato una donna che lavorava nel Centro della congregazione delle Missionarie della Carità a Ranchi, che accoglie ragazze madri, con l’accusa di aver trafficato e venduto neonati.
Gli agenti hanno anche fermato due suore della congregazione fondata da Madre Teresa di Calcutta. Shyamanand Mandal, ufficiale di polizia, ha dichiarato che le tre donne sono in custodia su segnalazione del “Child Welfare Committee” (CWC) di Ranchi, capitale dello stato di Jharkhand. La polizia ha fermato le tre donne dopo che l’ente ha sporto denuncia (First Information Report). La prima ora è agli arresti, ma gli agenti affermano di avere prove anche a carico di una delle sue suore.
Come appreso da Fides, il caso è venuto alla luce dopo che la CWC ha ispezionato a giugno il centro delle Missionarie della Carità. I membri della Commissione si sono accorti che mancava un neonato. Interrogata, una suora ha detto agli ispettori che la madre aveva portato via il bambino. “Abbiamo contattato la madre, che ha detto di non avere con sè il bambino”. Indagando, si è scoperto che una famiglia nello stato di Uttar Pradesh avrebbe “comprato” il bambino per 120.000 rupie (1.490 euro). La famiglia ha detto che il Centro aveva preso denaro come “spese ospedaliere”. Anima, la donna impiegata nel centro e ora agli arresti, ha confessato che l’istituzione avrebbe “venduto” bambini a varie famiglie, fornendo una lista di almeno cinque famiglie.
“È un vero shock per tutti”, afferma Sunita Kumar, responsabile delle pubbliche relazioni della congregazione in un nota pervenuta a Fides. La Superiora Generale delle Missionarie della Carità, suor Mary Prema, che ora è all’estero, ha diramato una dichiarazione, inviata a Fides: “Siamo completamente scioccate da ciò che è accaduto nella nostra casa” afferma. Quanto accaduto “è completamente contrario ai nostri valori. Stiamo esaminando attentamente la questione” ha detto, promettendo di “prendere tutte le precauzioni necessarie” per prevenire altri incidenti del genere.
Il Jharkhand è uno stato attualmente governato da una coalizione guidata dal “Bharatiya Janata Party” (Partito del popolo indiano). I fedeli locali temono ora che la propaganda nazionalista indù possa utilizzare l’episodio contro la comunità cristiana. (SD) (Agenzia Fides 6/7/2018)
FONTE: http://www.fides.org/it/news/64477-ASIA_INDIA_Traffico_di_bambini_nel_Centro_delle_suore_di_Madre_Teresa_arrestata_una_donna_fermate_due_suore
ECONOMIA
Toc toc. La Cgia registra un crollo di 420 miliardi. Ed è solo l’inizio
Tasse, ecco come sei Paesi europei sottraggono all’Italia 6,5 miliardi di euro
Profit shifting, ovvero lo spostamento dei profitti per pagare meno tasse. Molti dei protagonisti di questa pratica, che passa attraverso una politica fiscale «aggressiva» con regimi di tassazione agevolati, sono in Europa. Lussemburgo, Irlanda, Olanda, Cipro, Belgio e Malta sono i sei campioni europei del paradiso fiscale. Quello che permettono tecnicamente è un’elusione fiscale, ma altro non è che un dumping fiscale contrario al principio di solidarietà tra i membri dell’Unione previsto dai trattati. Tutto dipende dalla direttiva madre-figlia, adottata per evitare che gli utili delle multinazionali potessero essere tassati due volte tra società madre e società figlia quando queste due appartengano a differenti Stati membri dell’Unione. Ma se io opero in Italia, mando gli utili in Olanda e l’Olanda non mi tassa, il gioco è fatto.
Come eludere il fisco
Sono tre i meccanismi per pagare meno tasse.
1) Il primo è quello di stabilire la sede fiscale dove la tassazione è più bassa: basta dimostrare che la società è «residente» in quel Paese e, cioè, che i meeting del Consiglio di amministrazione si svolgono là.
2) Il secondo è quello del «transfer pricing», le transazioni economiche (spesso fittizie) all’interno di un gruppo multinazionale (come prestiti, cessione di marchi o brevetti, servizi assicurativi), il tutto gestito da una controllata che ha sede in un paradiso fiscale. Lo ha fatto Fiat con Fiat Finance & Trade, controllata lussemburghese di Fca che per 15 anni ha fornito servizi finanziari ad altre società del gruppo, una sorta di banca con tanto di utili che la Corte Europea ha condannato a pagare 23,1 milioni di euro di tasse arretrate al Lussemburgo, frutto di un vantaggio fiscale indebito grazie a un accordo ad hoc con il Granducato.
3) Il terzo è quello che adottano molte aziende digitali: fatturare tutto in un Paese estero con fiscalità agevolata. Come fanno Booking, Google e Uber, le cui sedi sono in Olanda e lì fatturano anche i servizi che vendono in Italia. I vantaggi fiscali passano spesso dal tax ruling, come fanno ad esempio i sei Paesi dell’Ue. Formalmente è un modo per le multinazionali di richiedere preventivamente chiarimenti alle autorità fiscali per evitare successive controversie, ma di fatto sono accordi privati su regimi di tassazione inferiori a quelli previsti per legge. Come lo scandalo LuxLeaks che ha coinvolto il Lussemburgo che per anni ha garantito sconti fiscali sui flussi finanziari attraverso accordi segreti a 300 società di tutto il mondo (31 erano italiane).
I campioni europei dell’elusione
Olanda, Cipro, Malta, Lussemburgo, Belgio e Irlanda garantiscono diversi vantaggi alle società che vi hanno sede. Alle multinazionali è permesso definire trattamenti fiscali ad hoc attraverso i tax ruling come quelli, finiti sotto indagine da parte della Commissione Europea, di Starbucks in Olanda, Fca e Amazon in Lussemburgo e Apple in Irlanda. Sono garantiti anche forti deduzioni e detrazioni che riducono la base imponibile e le tasse. Secondo lo studio «Corporate Tax Haven Index 2019» del Tax Justice Network, le aliquote che ogni Paese dichiara in alcuni casi sono molto diverse da quelle realmente applicate. L’Italia, ad esempio, ha un’aliquota del 28% che scende, al massimo dello sconto, al 26,9%. Questo è quello che succede nella stragrande maggioranza dei Paesi dell’Ue. Ma non in Belgio (dove l’aliquota formale passa dal 30% al 3%), a Cipro (dal 13% allo 0%), in Irlanda (dal 13% allo 0%), in Lussemburgo (dal 26% allo 0,3%), a Malta (dal 35% al 5%) e in Olanda (dal 25% al 2,44%).
Quanto vale il profit shifting
I profitti spostati all’estero in tutto il mondo arrivano a 544 miliardi di euro: il 36,23% dei 1.500 miliardi di euro realizzati dalle multinazionali attraverso le controllate estere. Lo dice il paper scientifico «The missing profits of Nations» (I profitti perduti delle nazioni), pubblicato dal National bureau of economic research degli Stati Uniti, considerato il più autorevole centro di ricerca economica mondiale e firmato dallo studioso francese Gabriel Zucman, professore a Berkeley, insieme a Ludvig Wier e Thomas Torslov dell’università di Copenhagen. Di questi 257, il 47,24%, approdano in Lussemburgo, Irlanda, Olanda, Belgio, Cipro e Malta. La percentuale sale, poi, al 52,29% se si considerano solo le aziende che operano nei paesi aderenti all’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: 207 miliardi su 395,85 di utili. La percentuale sale ancora se si considerano solo i Paesi europei: «Ogni cento euro di profitti spostati fuori da un singolo paese europeo — spiegano gli economisti — ottanta finiscono nei paradisi fiscali della stessa Ue».
Il caso Olanda
L’Olanda è tra le più agguerrite sia sul fronte dell’aggressività fiscale, sia su quello del no alla solidarietà nell’emergenza Covid. Un no verso quei Paesi le cui aziende fanno arricchire gli olandesi. La Fort Knox olandese è a Prins Bernhardplein 200, quattro chilometri dal centro di Amsterdam, dove lavorano i professionisti che gestiscono la società che cura gli interessi delle aziende domiciliatarie . Qui ha sede Intertrust, che si occupa degli affari di oltre 2.812 aziende europee e mondiali: assistenza legale, contabilità, amministrazione, transazioni finanziarie, proprietà intellettuale e tesoreria. Poco lontano ci sono le sedi di colossi come eBay (con due filiali), Uber (con ben 16 società), Google, Nike, Ikea, Starbucks.
Il danno per l’Italia
Nel 2019 l’Italia avrebbe perso, secondo Zucman, quasi 24 miliardi di dollari di profitti (il 19% dei ricavi dalla tassazione delle multinazionali), 21 dei quali sarebbero andati a paesi Ue. In Belgio sono finiti 2 miliardi, 8 a Cipro, 5 in Irlanda, 9,6 in Lussemburgo, 0,7 a Malta e 3,4 in Olanda. Altri 3 sono finiti in paradisi fiscali extraeuropei, di cui 2,2 in Svizzera. Tutto questo si traduce in 6,6 miliardi di dollari di tasse in meno: quasi il 10% di quello che ci sono costati nel 2019 gli interessi sul debito pubblico. Ma siamo in buona compagnia: i profitti societari drenati all’estero ammontano a 48,4 per la Germania e 28,2 per la Francia, per un mancato gettito fiscale che vale 14,3 per Berlino e 9,44 miliardi per Parigi.
Chi scappa da casa nostra
Buona parte dei 6,5 miliardi di euro in tasse sottratti alle casse italiane tornano in tasche italiane: diversi protagonisti di questa pratica scorretta, infatti, arrivano da casa nostra.
Ferrero: la Holding Ferrero International S.A. ha sede legale e fiscale in Lussemburgo dal 1973, mentre Fedesa, la finanziaria che la controlla, vera cassaforte della famiglia Ferrero, è a Montecarlo.
Exor: la finanziaria della famiglia Agnelli ha avuto per anni la sede fiscale in Lussemburgo e ora è in Olanda.
Fca e Cnh (Iveco): le due società che fanno capo a Exor hanno sede legale in Olanda e fiscale a Londra.
Ferrari: ha sede legale in Olanda e fiscale in Italia dove, però, dal 2018 ha un regime fiscale agevolato, grazie a un accordo con l’Agenzia delle entrate (patent box) di tassazione sui redditi d’impresa derivanti dall’utilizzo di copyright.
Perfetti Van Melle: il colosso italo-olandese delle caramelle ha sede fiscale e legale in Olanda.
STMicroelectronics: il gruppo italo-francese produce in Italia, ha gli uffici operativi e Ginevra, ma è controllato da una società che ha sede fiscale in Olanda.
Campari: ha spostato da poco la sede legale in Olanda. Quella fiscale rimane in Italia, ma la finanziaria della famiglia Garavoglia che la controlla (la Lagfin) ha sede legale e fiscale in Lussemburgo.
Luxottica: dal 2006 ha sede in Lussemburgo la Holding Delfin, cassaforte della famiglia Del Vecchio che controlla il 32% del gruppo italo-francese EssiloLuxottica.
Tenaris SA: il colosso siderurgico della famiglia Rocca ha sede legale e fiscale in Lussemburgo ed è partecipato dalla Techint, la holding di famiglia, a sua volta partecipata dalla finanziaria San Faustin (sempre dei Rocca) che ha sede legale nelle Antille Olandesi. Nel 2017 ha risolto con 43 milioni di euro un contenzioso col fisco italiano che ne chiedeva 530.
Cosa fa e cosa dovrebbe fare l’Europa
Solo nell’ultimo ciclo istituzionale, poi, sono state finalizzate 26 proposte legislative per migliorare la lotta ai reati finanziari e alla pianificazione fiscale. Ma quelle dell’Europa sono armi spuntate perché, in materia fiscale, ogni Stato è sovrano. La soluzione più corretta sarebbe quella di una tassazione comune sul reddito consolidato dentro l’Unione Europea, la più semplice — spinta da Francia, Germania e Italia — sarebbe quella di una tassazione minima in sotto la quale non si possa andare. Ma per fare questo ci vuole l’unanimità dei voti. La Commissione ha avviato un dibattito nel gennaio 2019 per arrivare a un voto di maggioranza qualificata, almeno in alcuni settori della politica fiscale. Ma la road map, sempre che sia rispettata, si concluderà nel 2025.
Fino ad allora l’unico strumento di contrasto ce l’ha la Commissione che può bollare come aiuti di Stato gli sconti fiscali, ma l’ha usato con parsimonia: ha condannato la Apple a ridare 13 miliardi di euro di imposte arretrate all’Irlanda, Starbucks 30 milioni ai Paesi Bassi, Amazon e Fiat a ridare rispettivamente 250 milioni e 21,3 al Lussemburgo. Ha aperto indagini su Ikea, McDonald’s e sulla società energetica francese Engie. Ma niente che riporti le tasse là dove sono state di fatto evase. L’Europarlamento ha istituito una commissione speciale sui reati finanziari, l’evasione e l’elusione fiscale (TAX3) la cui conclusione è stata quella, per la prima volta, di puntare il dito verso alcune Paesi membri, colpevoli di fiscalità aggressiva. In questa fase di emergenza si sarebbe potuto usare lo strumento degli aiuti pubblici che Francia, Danimarca e Polonia ad esempio hanno deciso di non elargire alle società con sedi in paradisi fiscali. Ma Bruxelles ha puntualizzato che questa distinzione è contraria ai principi della libera circolazione dei capitali a cui sono improntati i trattati europei e che i piani di salvataggio pubblico adottati a causa dell’emergenza Covid non possono escludere chi ha la sede in un altro Stato.
FONTE: https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/tasse-evasione-ecco-come-sei-paesi-europei-sottraggono-all-italia-65-miliardi-euro/84ad216c-baf3-11ea-9e85-8f24b6c04102-va.shtml
CRISI ECONOMICA: cosa ci aspetta nel 2021?
Giorgio Pecorari – Piano Finanziario TV – 29 12 2020
VIDEO QUI: https://youtu.be/F7Fi16pO_DE
In questo video parleremo delle conseguenze della pandemia sull’economia del 2020 per cercare di fare una previsione di ciò che ci aspetta nel 2021.
0:00 L’economia è in profonda crisi, eppure i mercati continuano a crescere. Com’è possibile?
1:03 Il 2020 ha segnato l’inizio di una delle più gravi recessioni economiche, con conseguente aumento della disoccupazione, calo di produttività e consumi.
1:58 Ma dalla recessione è possibile uscire e si può fare in diversi modi. Gli economisti americani hanno ipotizzato diversi tipi di recupero, ognuno caratterizzato da una forma particolare.
3:44 La recessione che stiamo vivendo sembra che porterà a un recupero a forma di “k”. Questo perché la recessione non ha colpito tutti i settori allo stesso modo. Negli Stati Uniti, infatti, il mercato immobiliare ha toccato i massimi storici, mentre il tasso di disoccupazione tra i redditi più bassi aumenta costantemente.
4:37 La recessione è quasi finita per chi ha redditi medio/alti, mentre è ancora molto grave per chi ha redditi medio/bassi.
5:22 Questo tipo di recupero a forma di “k” non ha molti precedenti a livello storico ed è probabilmente dovuto alla duplicità della nostra economia che in parte è digitale e in parte è fisica.
5:58 Ci sono dei settori specifici che stanno recuperando più velocemente e altri che invece stanno avendo grosse difficoltà.
7:03 Inoltre, possiamo notare come chi ha un reddito più alto di una certa soglia sia riuscita a recuperare le perdite di febbraio e marzo, mentre chi percepisce un reddito più basso sta vivendo grandi difficoltà.
7:30 Questi trend sono percepibili quasi esclusivamente studiando la situazione negli Stati Uniti, sia perché c’è una maggiore attenzione alla raccolta e pubblicazione di dati, sia perché esistono meno tutele per i lavoratori che, quando c’è una recessione, vengono immediatamente mandati a casa.
8:31 Inoltre gli Stati Uniti sono la patria di moltissime società tecnologiche che non hanno avuto grosse ripercussioni dovute alla recessione.
9:15 Ma questa recessione si porta dietro profondi cambi di abitudini. Basti pensare alla rivoluzione che lo smart working ha portato nel mondo del lavoro.
10:06 Questa diversificazione nel recupero economico ha colpito anche il settore immobiliare; infatti, appartamenti più costosi rimangono pochissimo sul mercato.
10:58 Questa recessione non sta colpendo tutte le fasce di reddito in maniera uguale.
12:50 Sembra proprio che il 2021 sarà caratterizzato da un’economia a due velocità, stratificata. Ecco perché è fondamentale lavorare per migliorare le proprie competenze.
FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=F7Fi16pO_DE
Disuguaglianze: perché dobbiamo tornare a parlarne
di Luka Slavica
Era il 17 settembre 2011, gli animi erano infuocati e centinaia di attivisti stavano marciando lungo il Financial District di New York: era l’inizio di quello che sarebbe da lì a poco divenuto il movimento “Occupy Wall Street” (OWS), nato da un appello online partito dal Canada. A marcia terminata, i manifestanti si accamparono pacificamente per circa due mesi a Zuccotti park, ribattezzata Liberty Square dagli occupanti, nei pressi della Borsa di New York. Le proteste contro le disuguaglianze si diffusero quindi in molte altre città degli Stati Uniti; alcune rimasero di dimensioni locali, ma tutte furono spinte dallo stesso fermento generale. Il 15 ottobre 2011 la mobilitazione culminò a livello internazionale: vennero toccate oltre 790 città, in 71 diversi paesi, anche grazie alla forte risonanza mediatica provocata dall’evento, oltre che ad un sentimento generale di simpatia verso i dissidenti da parte dell’opinione pubblica.
Fra le file degli “indignados” statunitensi, lo slogan più comunemente impresso era “We are the 99%”: l’obiettivo fortemente antigerarchico dei partecipanti era quello di denunciare l’asimmetria economica tra il top 1% più ricco (in particolare l’élite finanziaria di Wall Street) e il resto della popolazione.
A guidare i manifestanti era dunque un’idea di “bene politico”, basato principalmente sulla promozione di una maggiore giustizia sociale ed equità contro la corruzione e l’immobilismo di una classe dirigente che non era stata capace di far fronte al problema nella distribuzione delle ricchezze. La “Grande recessione”, infatti, aveva portato ad un rallentamento della crescita, al deterioramento dei salari dei lavoratori e all’innalzamento dei tassi di povertà. La frattura tra i più i ricchi e i più poveri, o meglio tra il “top” e il “bottom”, si faceva sempre più profonda.
Solo il capitale sembrava uscirne illeso e i suoi possessori sempre più ricchi: i primi 100 ultramiliardari del mondo, infatti, avevano visto aumentare la propria ricchezza in maniera vertiginosa, con una crescita da 241 miliardi di dollari a 1.900 miliardi di dollari, mentre solo 16 ne avevano registrato un calo rispetto l’anno precedente (Bloomberg Billionaires Index, 2012).
Il movimento OWS aveva quindi contribuito per mesi a diffondere il tema delle disuguaglianze all’interno del dibattito pubblico statunitense: come disse il filosofo Slavoj Žižek – intervenuto a Liberty square – si era rotto definitivamente un tabù ed era «come nei cartoni animati quando il personaggio continua a correre finché non si accorge di avere il vuoto sotto, la vostra presenza (dei manifestanti, ndr) qui sta dicendo ai potenti di Wall Street “Ehi! C’è il vuoto sotto di voi!”».Due mesi dopo però, l’accampamento dei manifestanti fu sgomberato dalla polizia di New York: in mancanza di leader carismatici, obiettivi specifici e di una struttura fisica dove dare concretezza alle proprie idee, il movimento andò a scemare, senza riuscire a fornire alternative possibili.
L’anno successivo alla manifestazione, il premio Nobel per l’Economia Joseph E. Stiglitz pubblicò Il prezzo della disuguaglianza. Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro. In quest’opera, l’economista americano evidenziava come, a partire dagli anni precedenti alla crisi finanziaria, una grossa fetta dei guadagni del reddito nazionale totale made in USA era finito nelle tasche del ristretto club dell’1%: l’economia era efficiente, il PIL in crescita, ma non per tutti. La sua distribuzione era sempre più concentrata nelle mani di pochi, con gli ultra-miliardari che restavano quasi gli unici ad arricchirsi (per oltre il 90%) dagli eventuali segnali deboli di ripresa dalla crisi.
Lo sviluppo della cosiddetta “società dell’1%” non era quindi solo il prodotto naturale ed inevitabile delle regole del mercato né tantomeno un fenomeno correlato positivamente alla crescita, piuttosto si trattava del frutto di determinate scelte politiche degli anni ‘80 che avevano travolto le classi più deboli, reso stagnanti i redditi della classe media e avevano invertito la tendenza nella diminuzione delle disuguaglianze conosciuta nel ventennio precedente. Secondo Stiglitz, dopo quarant’anni di neoliberalismo sfrenato, era necessario un cambio di rotta, individuato nel capitalismo progressista, per squarciare il legame fra potere economico e l’influenza politica, con lo Stato che doveva arrivare là dove il mercato falliva.
L’opera non ebbe il successo che si sarebbe dovuta meritare; tuttavia, il tema delle disparità tra ricchi e poveri non tardò ad occupare una posizione rilevante nel dibattito economico. Era il 2013 e un economista francese e professore nell’Ecole des hautes études en sciences sociales, fino ad allora semisconosciuto, Thomas Piketty, lanciò la sua opera monumentale – Il Capitale nel ventunesimo secolo – pubblicata per la prima volta in Francia e divenuta, una volta tradotta in inglese, un best seller in tutto il mondo, tanto che l’Economist arrivò addirittura a definire Piketty come Bigger than Marx.
Era più la centralità della critica al capitalismo che la vicinanza al comunismo ad accomunare i due, con la nozione di “Capitale” che tornava a riaffermarsi nel vocabolario economico, accompagnata dalla profezia di un possibile ritorno ad un capitalismo in stile ottocentesco più che di un suo inevitabile crollo. Nel suo studio, Piketty era quindi riuscito a mettere definitivamente fuorigioco l’idea della trickle down economics, secondo la quale i benefici economici a favore dei ricchi (in termini di regimi fiscali agevolati) avrebbero dovuto avere delle ricadute positive sul benessere dell’intera società, comprese le fasce della popolazione più deboli.
Al centro delle sue analisi economiche, dominate da tabelle, trend storici e numeri, stava l’idea che il rapporto tra capitale e reddito si fosse sviluppato a favore del primo: a partire dal 1980, infatti, la ricchezza finanziaria e quella patrimoniale erano cresciute a livello percentuale più rapidamente del reddito nazionale. I ricchi, quindi, stavano diventati sempre più ricchi non tanto perché accumulavano ricchezza, quanto perché la ereditavano, e così facendo conservavano la loro posizione, verso la graduale costituzione di un capitalismo oligarchico. Il merito indiretto di Piketty è stato quindi quello di aver sollevato a livello di mainstream il problema della disuguaglianza globale e di aver favorito indirettamente la diffusione di lavori di molti altri economisti che fino ad allora erano rimasti conosciuti solo nei ristretti ambienti accademici.
In questo senso, è necessario ricordare sicuramente lo studio magistrale per la World Bank del 2012, portato a termine dall’economista serbo Branko Milanović dopo anni di ricerca presso gli archivi di tutto il mondo. Il suo famoso grafico dalla “curva a proboscide” o a forma di elefante (dalla sagoma che assume la figura), presentata nel suo libro “Ingiustizia globale. Migrazioni, disuguaglianze e il futuro della classe media“, ha consentito di guardare agli effetti della globalizzazione sulla disuguaglianza mondiale, permettendo di comprendere quali strati della popolazione hanno ricevuto i maggiori benefici.
L’originalità del suo lavoro è stata quindi quella di considerare il mondo come un unicum, congiungendo le disuguaglianze within countries e quelle internazionali per poi soffermarsi su ogni singolo decile di reddito e vedere la sua evoluzione nell’arco di tempo preso di riferimento. Dal suo studio, Milanović è arrivato quindi a concludere che a livello globale, il fattore decisivo nel determinare in grossa misura la traiettoria del proprio reddito, torna ad essere il paese o luogo in cui si è nati. Infatti, anche se la disuguaglianza mondiale nei redditi sembrerebbe generalmente diminuita, la disuguaglianza a livello nazionale è aumentata quasi ovunque.
Kharas & Seidel, 2018. Il grafico “a curva di proboscide” di Milanović.
L’ultima figura fondamentale sulla quale è doveroso soffermarsi è quella di Anthony Atkinson (1944-2017): non solo uno dei primi economisti ad occuparsi della tematica della disuguaglianza, ma anche (o quasi) un filosofo morale e della speranza. Le sue opere, infatti, non solo hanno riportato un’analisi sull’allargamento del divario tra il 99% e l’1%, ma sono state anche vera e propria ricerca di una possibile soluzione, sacrificando da un lato l’impostazione “accademica” – come affermato dallo stesso Piketty – per garantire l’accessibilità a tutti i potenziali lettori, senza però rinunciare ad un solido apparato analitico.
Il focus dell’opera è un vero e proprio piano d’azione unito ad un ripensamento nel modo di affrontare la problematica delle disuguaglianze, elencando una serie di misure efficaci per contrastare la povertà e permettere al bottom più povero di tornare in carreggiata. L’economista britannico evoca infine l’ottimismo dell’alternativa, controcorrente al diffuso pessimismo, ponendo al centro il campo dell’azione pubblica e innalzando l’asticella della responsabilità politica.
Oggi, l’interesse per le ingiustizie sociali sembra essere tornato nuovamente in vita: lo dimostrano il conferimento del premio Nobel per l’economia del 2015 allo scozzese Angus Deaton, che dedicò la maggior parte della sua ricerca allo studio della disuguaglianza e della povertà attraverso l’utilizzo di variabili microeconomiche (quali le scelte di consumo individuali), e di quello recentemente riconosciuto agli economisti Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer, che hanno fornito un approccio sperimentale nella lotta alla povertà globale.
D’altro canto, le reazioni dei governi a livello nazionale e sovranazionale nel contrastare le disuguaglianze, sono state deboli o inconsistenti, mentre noi, come cittadini, abbiamo assunto un atteggiamento di passiva accettazione. Nell’immaginario comune, infatti, l’evoluzione del sistema economico negli ultimi decenni ha progressivamente condotto all’implicito diktat “l’efficienza precede l’equità”, accettando come naturale l’ordine esistente delle cose, come se le disuguaglianze economiche fossero il prezzo da pagare per garantire la continua crescita delle nostre economie avanzate.
Le manifestazioni transazionali contro elementi di crisi generati dal sistema capitalistico non sono mancate, nonostante tutto. Le iniziative di mobilitazione a favore dell’ambiente hanno trovato terreno fertile in Europa, unite dalla figura simbolo della svedese Greta Thumberg. Tuttavia, è venuto a mancare un epicentro in stile OWS per diffondere il proprio dissenso e allo stesso tempo non si è generata una maggiore spinta di continuità, in grado di scuotere concretamente le coscienze politiche europee. Come afferma lo stesso Fabrizio Barca, coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità: «Non ci può essere ecologia senza giustizia sociale».
La posta in gioco è molto alta perché il modello neoliberista della «crescita per la crescita» non solo necessita di essere accompagnato da un ripensamento, ma anche da una decolonizzazione dell’immaginario, ricercando e costituendo nuove categorie di pensiero che forniscano un substratum per future agende politiche che si preoccupino di limitare l’eccesso in ogni ambito: da quello riguardante l’utilizzo di materiali inquinanti (in nome di una filosofia più green) fino ad arrivare alla stessa concentrazione della ricchezza (a favore di politiche di preredistribution e quindi di un’equitable growth).
È necessario stimolare nuovamente un più ampio dibattito sull’iniquità, che non si limiti ai ristretti ambienti accademici, ma si diffonda fra le coscienze degli individui attraverso l’utilizzo di un linguaggio comprensibile anche ai “non addetti ai lavori”. L’informazione deve farsi veicolo di diffusione della consapevolezza a livello orizzontale, per continuare a “tenere a galla” il problema delle disuguaglianze ed elevarlo a urgenza, con l’obiettivo di esercitare una spinta verticale che possa penetrare nel territorio della politica.
I modelli recenti di tassazione di Belgio e Spagna ne sono un esempio; l’obiettivo è introdurre questi temi nelle agende dei decisori politici a livello globale. La soluzione non è semplice, ma dimenticare il problema non farà altro che spingerci verso quel “capitalismo ottocentesco come quello dei romanzi di Jane Austen e di Balzac” tanto denunciato dallo stesso Piketty. È quindi necessario prendere l’iniziativa il prima possibile; è giunto il momento di muoverci.
FONTE: https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/19397-luka-slavica-disuguaglianze-perche-dobbiamo-tornare-a-parlarne.html
GIUSTIZIA E NORME
Edoardo Polacco – Difendiamo l’art 32 della Costituzione
28-12-2020
VIDEO QUI: https://youtu.be/0YypuOOSO3o
FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=0YypuOOSO3o
Non entriamo in casa salvo notizia di illeciti
Federica Francesconi – 19 12 2020
Un attimo. Il Conte dalla pettinatura piastrata in un passaggio della conferenza stampa di ieri sera ha detto: “Non entriamo in casa salvo notizia di illeciti”.
Eh? Ho capito bene? Le Forze dell’Ordine a partire dal 24 dicembre saranno autorizzate ad entrare in casa mia se per esempio il vicino di casa bastardo fa la spia? Cosa s’intende per “illecito” l’avvocato degli eversori non lo spiega. Potrebbe rientrare di tutto nel concetto di illecito: ospitare un’amica, un amante, fare un pranzo con non congiunti ecc.
Con quest’ultimo DPCM hanno fatto passare in sordina la legittimità dell’irruzione delle Forze dell’Ordine in un’abitazione privata anche sprovviste di mandato giudiziario.
Perfetto. È il penultimo passo alla creazione dello stato di dittatura sanitaria.
L’ultimo sarà l’imposizione dell’obbligatorietà del vaccino.
Ma vi date una svegliata o no, pan-dementi? Ci trattano come cani da riporto senza dignità e voi ancora a farvi venire la tremarella per un virus dalla bassissima contagiosità. Siete incredibili! Siete talmente succubi di questa feccia governativa orwelliana che se domani decidessero che è vietato mangiare il panettone con i canditi voi ubbidireste senza battere ciglio.
L’abominio della desolazione di biblica memoria è infine tra noi.
FONTE: https://www.facebook.com/federica.francesconi.3/posts/10220996816687863
Lo Stato risparmia sulla pelle dei testimoni di giustizia. Ecco perché la nuova legge è vergognosa
Il messaggio in bottiglia – coraggioso atto di denuncia sociale – arriva dall’onorevole Piera Aiello, deputata del Gruppo Misto e membro della Commissione Antimafia di Montecitorio. Il testo, doloroso per chi ha ancora coscienza e si ostina a sperare in un futuro migliore, parla del recente decreto attuativo alla legge sui testimoni di giustizia. Lo scritto della onorevole Aiello evidenzia un provvedimento lesivo dei diritti di chi ha sacrificato la propria vita per testimoniare contro la criminalità organizzata
Voglio spiegarvi perché la nuova legge sui testimoni di giustizia – voluta dall’ex sottosegretario all’Interno, Luigi Gaetti, con l’avallo dell’attuale viceministro dello stesso dicastero Vito Crimi – peggiorerà ancora di più la vita di chi ha scelto di resistere alla prepotenza mafiosa e aumenterà la sfiducia nella capacità protezione dello Stato.
La questione è complessa, ma cercherò di metterla nel modo più semplice possibile.
Prima della legge numero 6 del 2018, i testimoni di giustizia avevano diritto a una capitalizzazione, cioè una somma a rimborso degli anni in cui, impossibilitati a lavorare, hanno servito lo Stato mettendo a rischio la propria vita per testimoniare. Parliamo di una cifra irrisoria, qualcosa come 8mila euro per dieci anni di inattività. Per intenderci, un testimone di giustizia non può lavorare, va a vivere in un posto che non conosce, non modo di guadagnare e non paga contributi.
Oltre a ciò, sulla base di un’altra norma, il regolamento 204 del 2014, il testimone aveva anche il diritto di entrare in un programma di assunzione presso la pubblica amministrazione.
La legge del gennaio 2018, invece, ha reso alternative le due misure: o la capitalizzazione (una miseria come abbiamo detto) o l’assunzione. Anche ammesso che questo sia accettabile (e non lo è), la cosa grave è che Bonafede – cui attribuisco la piena ed esclusiva responsabilità politica – e il prefetto Lamorgese, ad agosto (e cioè mentre l’Italia era impegnata a dimenticare per qualche giorno l’incubo della pandemia) hanno firmato un decreto attuativo della legge emanata nel 2018, abrogando il regolamento del 2014 e negando anche a chi aveva richiesto la capitalizzazione prima di quella norma (cioè quando questo non escludeva l’accesso al lavoro), la possibilità di essere assunto. E così, chi aveva già accettato la capitalizzazione sapendo di poter lavorare, rimarrà adesso con un pugno di mosche. È chiaro, quindi, che il valore retroattivo del decreto va a ledere un diritto acquisito del testimone di giustizia.
Va ricordato che sia la commissione giustizia del Senato sia quella di Montecitorio hanno espresso parere contrario alla possibilità di rendere alternative le due misure.
Questo provvedimento è l’ennesima dimostrazione di come il governo non abbia a cuore i testimoni di giustizia. Lo Stato sembra voler convincere ancora una volta i cittadini onesti che denunciare non è conveniente. Così si infanga la memoria di chi in questo strumento credeva e ha dato la propria vita perché su di esso si fondasse un nuovo modo di combattere la criminalità.
FONTE: https://www.infosec.news/2020/12/29/un-messaggio-in-bottiglia/lo-stato-risparmia-sulla-pelle-dei-testimoni-di-giustizia-ecco-perche-la-nuova-legge-e-vergognosa/
Compliance GDPR, perché le infografiche?
Ecco i motivi per cui le autorità di controllo e i titolari del trattamento dati devono incoraggiarne l’utilizzo
Per quale motivo tanto le autorità di controllo quanto i titolari del trattamento devono promuovere, come stanno proponendo, un utilizzo diffuso delle infografiche relativamente agli adempimenti prescritti dal GDPR?
Occorre innanzitutto chiarire che non sono l’unico metodo per garantire un’efficacia comunicativa, sebbene secondo saggezza popolare: “un’immagine vale più di mille parole”. Costituiscono un media, una misura che l’organizzazione impiega per rafforzare il messaggio sia al proprio interno (e qui riguardano dunque: un’istruzione operativa, una procedura, o un follow-up di un addestramento o formazione) sia nei confronti di soggetti esterni, quali gli interessati (per chiarire diritti e modalità di esercizio degli stessi) o i responsabili del trattamento (per chiarire doveri e adempimenti delegati).
Nel caso delle istruzioni interne convertite in infografiche, è utile porre l’accento sulla correlazione tra evento e azione (preventiva o successiva) dell’operatore, consentendo così allo stesso di disporre di un prontuario facilmente accessibile per rispondere alle più comuni occorrenze.
Ovviamente, mentre l’istruzione ai sensi dell’art. 29 GDPR riguarda l’ambito di trattamento autorizzato, le operazioni svolte e le misure di sicurezza, un’infografica di riferimento deve selezionare ed estrarre solo gli elementi essenziali. È bene ricordare infatti che un eccesso di informazioni può compromettere l’efficacia della comunicazione e delle istruzioni. Meglio dividere per temi e argomenti, dunque (come ad esempio abbiamo fatto noi per il phishing) anziché tentare la redazione di un’Opera Omnia che risulterà poi essere illeggibile. Ulteriore esempio di contenuto “selezionato” per l’infografica può essere una guida allo smart working per i dipendenti, o anche il chiarimento della politica BYOD adottata dall’organizzazione.
Allo stesso modo, il follow-up di addestramento o formazione non può essere una pedissequa riproposizione degli argomenti ma deve evidenziare determinati contenuti secondo un ordine logico e di priorità.
Nel momento in cui l’organizzazione produce infografiche indirizzate a soggetti esterni, è indispensabile innanzitutto operare un bilanciamento tra esigenze contrapposte di standardizzazione e personalizzazione individuando le categorie omogenee di destinatari. Ad esempio, solo individuando il profilo dell’interessato-tipo cui fanno riferimento le attività di trattamento dei dati personali è possibile produrre delle infografiche di supporto alla comprensione dei contenuti dell’informativa e dei diritti esercitabili. Parimenti, se l’attività coinvolge responsabili del trattamento quali possono essere degli agenti/procacciatori, occorrerà tenere conto dei trattamenti delegati e della coerenza con gli accordi redatti ai sensi dell’art. 28 GDPR relativi alle modalità delle attività svolte e alle misure di sicurezza da impiegare.
L’analisi di contesto e la redazione delle comunicazioni secondo i criteri del legal design sono elementi oggigiorno sempre più significativi, se non in alcuni casi addirittura indispensabili, per affrontare correttamente il percorso di conformità richiesto dal GDPR.
IMMIGRAZIONI
VIDEO
FONTE: https://www.facebook.com/watch/?v=2924164397819659
LA LINGUA SALVATA
illécito
Vocabolario on line
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illécito (ant. illìcito) agg. e s. m. [dal lat. illicĭtus, comp. di in-2 e licĭtus «lecito»]. – Non lecito; non consentito dalla norma morale o da leggi civili o religiose: acquisti, affari, guadagni i., commercio i.; atti i.; una relazione i.; ottenere per vie illecite. Nel linguaggio giur., di ogni atto contrario alle norme del diritto; anche come s. m.: commettere un i.; un i. civile, penale, amministrativo, a seconda della natura della norma violata; versare in illecito, essere in condizioni di illiceità. In partic., negozio giuridico i., quello che ha una causa illecita, cioè contraria a una norma imperativa di legge, al buon costume o all’ordine pubblico, o quello che le parti si sono determinate a concludere esclusivamente per un motivo illecito comune a entrambe. ◆ Avv. illecitaménte, in modo illecito: agire illecitamente; ricchezze illecitamente accumulate.
FONTE: https://www.treccani.it/vocabolario/illecito/
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Il lavoro c’è ma i lavoratori si scansano: la favoletta continua
di coniarerivolta
È di qualche giorno fa un titolone di un rotocalco appartenente al gruppo GEDI e alla famiglia Agnelli che annunciava la presenza di, udite udite, ben 90 mila posti di lavoro disponibili che non attendono altro che essere riempiti. La favoletta è ben nota, ma riteniamo utile raccontarla per chiarire qualche concetto e suggerire qualche linea interpretativa. Repetita iuvant: spendiamo allora qualche riga sulla propaganda che le testate, e spesso le ricerche accademiche, continuano a propinarci, per poi passare alle cose serie.
Il ritornello è ben noto, dicevamo: in Italia il lavoro non mancherebbe, tutt’altro! Purtroppo, però, i lavoratori non sono adeguatamente formati o, peggio, preferiscono poltrire godendo di qualche ‘generoso’ sussidio. Le soluzioni individuate sarebbero, tanto per cambiare, politiche dell’offerta finalizzate alla formazione dei giovani alla manovalanza – invece che rincorrer i cavalieri, l’arme e gli amori – e investimenti in politiche attive, vale a dire in tutte quelle azioni volte a favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, piuttosto che lo sperpero di risorse nei sussidi di disoccupazione, i quali non incentiverebbero i cittadini a cercare attivamente un lavoro, lasciando scoperte le ghiotte opportunità che gli imprenditori italiani garantirebbero.
Sfatare la mendacia e l’opportunismo di queste posizioni è utile e si può fare da diverse prospettive. Innanzitutto, occorre ricordare che l’occupazione dipende imprescindibilmente dalla dinamica dell’economia: in una fase di stagnazione, in cui la domanda di beni e servizi arranca, il livello di produzione sarà minore, e il processo produttivo necessiterà di meno lavoratori. Risultato? Maggiore disoccupazione, indipendentemente dalle caratteristiche dei lavoratori, come invece vogliono farci credere gli alfieri del neoliberismo.
Si potrebbe inoltre obiettare che la scelta di lavorare o meno possa essere legittimamente associata alla retribuzione che quella posizione garantisce. A tal proposito, in Italia l’andamento delle retribuzioni è stagnante da decenni, la quota salari sul reddito nazionale è in caduta libera e un fenomeno tremendo come quello dei working poor, lavoratori che percepiscono uno stipendio insufficiente a uscire dalla trappola della povertà, colpisce più del 12% degli occupati maggiorenni. Legare dunque la percezione di un sussidio alla ricerca del lavoro, come avviene nel caso del Reddito di Cittadinanza, significa scaricare sul lavoratore l’onere di decidere quale sofferenza patire: le continue ingiurie dei padroni che li accusano di pigrizia, o un salario da fame.
Nel quadro attuale, infine, il mercato del lavoro pare aver introiettato una suddivisione dei ruoli per cui lo Stato mette mano al portafogli solo per la formazione dei lavoratori, mentre le aziende ne usufruiscono allo scopo di massimizzare i profitti, impiegandoli a loro piacimento. Viene da chiedersi: perché non dovrebbero essere le stesse imprese a formare la propria manodopera? La risposta è piuttosto scontata: le aziende vogliono sottrarsi dall’onere di formare i lavoratori, un impegno che comporta un costo diretto relativo all’apprendimento, e un costo indiretto associato alla ‘minore produttività’ legata all’assumere un lavoratore alle prime armi rispetto ad un suo collega più esperto. Eppure, il diritto del lavoratore alla formazione da parte delle imprese è stata una tra le lotte più importanti vinte nel Novecento, perché rappresenta – al pari dell’istruzione pubblica – uno strumento di mobilità sociale, ossia un modo per cui le classi sociali più svantaggiate possano ambire a carriere professionali altrimenti proibitive. Scaricare sullo Stato i costi di formazione consente esclusivamente di gonfiare i profitti privati, a scapito della collettività.
Al di là degli aspetti, pur importanti, legati alla formazione, vogliamo in questa occasione soffermarci in particolare sui ‘posti vacanti’ evocati nell’articolo menzionato in apertura. Tale esercizio ci permetterà di sottolineare come lo stesso entusiasmo nello sparare numeri di volta in volta più paradossali sia infondato. Con il termine posti vacanti si intendono quelle posizioni lavorative per cui il datore cerca attivamente un candidato che le soddisfi. La misura che invece ci aiuta meglio a capire l’attuale situazione è il tasso di posti vacanti, misurato come il rapporto tra il numero di posti vacanti e il totale dei posti di lavoro offerti (quest’ultimo, dato dalla somma tra posti occupati e posti vacanti). A seconda che si guardi il livello o la dinamica di queste variabili si avranno indicazioni sulla condizione del mercato del lavoro o sulle relative prospettive.
Considerando tutte le imprese con almeno 1 dipendente, secondo i dati Istat, il numero di posti vacanti nell’industria e nei servizi è pari circa a 200 mila posizioni nel terzo trimestre del 2020. Una goccia nel mare dei 2 milioni e mezzo di disoccupati che nessuna politica attiva potrà mai svuotare. Decantare la presenza di 90 mila posti di lavoro non serve a far altro che alimentare quella becera retorica che vuole scaricare sui lavoratori la colpa della disoccupazione. Una bugia dalle gambe corte.
Assumere come feticcio il numero dei posti vacanti dà un quadro quantomeno parziale, soprattutto se viene fatto con la malafede dei giornali padronali. Se questi dati fossero osservati senza tanta disonestà intellettuale, emergerebbe un altro quadro. L’andamento nel tempo del tasso di posti vacanti, in particolare, è un dato rilevante per comprendere come siamo arrivati fin qui e dove stiamo andando: lungi dal descrivere l’incapacità dei padroni di trovare lavoratori motivati, tale dinamica rappresenta proprio le aspettative delle imprese rispetto all’andamento dell’economia. Con prospettive di crescita economica, avremo un tasso di posti vacanti crescente perché saranno proprio queste previsioni ad alimentare la domanda di lavoro da parte dei datori. Se, viceversa, i posti vacanti diminuiscono, ciò significa che le aziende non sono interessate ad assumere, dato che vedono ridimensionarsi le possibilità di profitto non avendo nessuno a cui vendere le proprie merci o servizi. Ecco quindi che quello che generalmente si osserva in corrispondenza di una diminuzione del tasso di posti vacanti è una fase di crisi, in cui il lavoro non c’è perché la domanda aggregata è stagnante, e non una fase di grandi opportunità a cui il lavoratore non è interessato.
I dati sull’Italia, da questo punto di vista, sono impietosi: il tasso di posti vacanti, sia per le imprese con almeno un dipendente che per quelle con almeno dieci dipendenti, è stagnante dal 2018. Lo scoppio della pandemia e la drammatica situazione economica che ne è conseguita hanno provocato un dimezzamento del tasso di posti vacanti, che ha ripreso a crescere nel secondo trimestre del 2020, ma che non ha tutt’ora raggiunto i livelli di fine 2019. Anzi, il dato sta segnando, nonostante in riferimento al terzo trimestre non sia ancora consolidato, un ulteriore rallentamento. È il quadro di un’economia affossata dalla carenza di domanda interna che azzoppa la domanda di lavoro. Viste da questa prospettiva, queste giornalate e molte altre assumono tratti grotteschi: un viscido tentativo, da parte dei padroni, di raschiare il fondo del barile dello sfruttamento, facendo ricadere sul lavoratore la responsabilità del suo mancato impiego in quanto non all’altezza di ciò che l’imprenditore richiede.
Le responsabilità della disoccupazione che ormai strutturalmente caratterizza l’Italia ricadono sulle spalle di chi ha avallato precise scelte di politica economica che riflettono i rapporti di forza tra lavoro e capitale. Rapporti, purtroppo, ai minimi storici da decenni. Uno strapotere, quello della classe imprenditoriale, che si traduce in un modello di crescita trainato dalle esportazioni, nella compressione dei salari e nel crescente sfruttamento. E, di conseguenza, in quel mare magnum della disoccupazione a due cifre in cui la classe padronale sguazza, figlio di anni di politiche di austerità fiscale: un contesto, previsto e dovuto all’assetto istituzionale europeo, che rende impossibili quelle politiche di stimolo alla domanda aggregata necessarie a raggiungere quella piena occupazione che invece spaventa i padroni.
FONTE: https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/19396-coniarerivolta-il-lavoro-c-e-ma-i-lavoratori-si-scansano-la-favoletta-continua.html
PANORAMA INTERNAZIONALE
Trump accerchiato, Biden azzoppato
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Post elezioni presidenziali USA 2020: la partita non è finita, la gara continua…
Tra i due candidati Biden e Trump è in corso una seconda battaglia senza esclusione di colpi, dopo le elezioni del 3 novembre. Niente di strano, è sempre più frequente il contenzioso elettorale sulle procedure e il conteggio dei voti come ora negli USA, che in più sono anche recidivi dalle elezioni del 2000, con lo scontro all’ultimo voto in Florida tra Gore e Bush figlio, che aveva esibito la fragilità del sistema elettorale americano. I grandi media hanno già decretato chi è il vincitore, al di là dei fatti, e ogni sera esibiscono Biden come presidente. Sabato scorso dopo tre settimane Trump ha rilasciato una lunga intervista a NewsNOW di FOX, subito criticata dalla grande stampa.
Il punto principale, non è quello riportato da Federico Rampini su La Repubblica odierna, che parla di “bugie di Trump”, dimostrando così di non aver capito nulla delle elezioni, bensì è la sua ammissione pubblica di una falla nella sua strategia difensiva. Da questa estate si sapeva del massiccio ricorso al voto postale
da parte dei Democratici. Il Presidente USA ne ha parlato spesso, per cui era lecito pensare che avesse predisposto le opportune contromisure in termini di sicurezza e correttezza nel voto postale. In Italia il voto postale utilizzato per la circoscrizione estero alle politiche è oramai diventato sinonimo di “voto manipolato”, poco trasparente, come è stato dimostrato in parecchie occasioni. Ora si scopre, da un Trump molto preoccupato, che Rampini non ha ascoltato o non ha capito, che si è reso conto che i suoi avvocati hanno sbagliato tattica. Bene, forse è un po’ tardi. Ad un certo punto dell’intervista dice che non è il riconteggio dei voti che gli interessa, bensì la qualità di questi voti, che siano voti veri, non manipolati. Molto bene, finalmente ha capito: il riconteggio non distingue le pecore nere da quelle bianche, non fa differenze tra voti onesti e voti truffaldini inseriti nelle urne. Corollario: non basta pagare i migliori avvocati per essere sicuri del risultato giudiziario.
Ieri Joe Biden è caduto, si è procurato delle microfratture al piede destro. Il candidato quasi eletto presidente degli Stati Uniti ha compiuto 78 anni il 20 novembre, zoppicherà per diverse settimane. Già subito dopo il voto del 3 novembre il Financial Times l’aveva definito “anatra zoppa”, per via della possibile mancanza di una sua maggioranza al Senato, una situazione di forte limitazione del potere presidenziale. Ora certamente lo è, da un punto di vista fisico, oltre che politico. Trump gli ha fatto gli auguri facendolo vedere in un video (nella foto mentre esce dalla clinica zoppicante e dimesso).
I due protagonisti appaiono come due “lame duck”. Biden è azzoppato e Trump è dimezzato. Nel periodo che intercorre tra il voto del 3 novembre e l’insediamento del successore il 20 gennaio il presidente uscente non è più nella pienezza dei suoi poteri. L’avvio formale del processo di transizione dei poteri è dopo la proclamazione dei risultati da parte del collegio elettorale formato dai 538 grandi elettori, che avverrà il 14 dicembre. Però entro l’8 dicembre dovrebbero essere risolte tutte le dispute sui riconteggi dei voti e i conseguenti contenziosi elettorali (il 3 gennaio a mezzogiorno debutterà il nuovo Congresso).
Il duello senza esclusione di colpi è condizionato dal procedimento elettorale, che per ora non è ancora concluso, ci sono le contestazioni di Trump sul voto in diversi Stati. Sembra incredibile ma negli USA non esiste un sistema di raccolta dei dati elettorali che sia autonomo e imparziale. Negli USA ogni Stato fa da se, per cui le informazioni sono molto incerte, la raccolta dei dati è gestita con sistemi affidati a volte a ditte private, che elaborano dati importantissimi per la democrazia americana con modalità poco trasparenti. E’ il caso sollevato da Trump tramite il suo avvocato Rudy Giuliani (nella foto) per la società Dominion Voting, con sede all’estero, che sta gestendo i dati di una trentina di Stati. Giuliani ritiene che”Dominion, non conteggi veramente i voti. Dominion ha un contratto con una compagnia chiamata Smartmatic, che ha sede a Francoforte, in Germania e a Barcellona, Spagna. E quando i voti vengono conteggiati vengono dunque inviati, la maggior parte di essi è in particolare io credo a Francoforte ma probabilmente alcuni anche a Barcellona. Questi software sono particolarmente vulnerabili agli hackeraggi ed estremamente vulnerabili da manipolare…”.
Una questione decisamente imbarazzante per la più importante nazione a democrazia rappresentativa, scoprire che il punto cruciale del sistema democratico è gestito quasi da paese del terzo mondo. L’altro ieri Trump nell’intervista a NewsNOW di FOX a insistito su questi punti chiave:
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si osservano notevoli discrepanze nei numeri, basta vedere i dati del Michigan, Pennsylvania e Georgia,
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in Georgia stanno riconteggiando i voti, lo ritiene un lavoro senza senso; occorre esaminare le buste firmate del voto postale, si scoprirà che le firme non corrispondono con le persone; non vogliono mostrare le firme e le ragioni per non mostrare le firme sono che troverebbero migliaia e migliaia di discrepanze e frodi. Si potrebbe risolvere se mostrassero le firme; si scoprirebbe che le persone che hanno firmato non sono quelle che avrebbero dovuto firmare, non si trovano le buste che asseriscono essere state buttate via;
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i voti sono stati conteggiati da D
ominion in un paese straniero, parzialmente basato in Canada; il Canada ha rifiutato di utilizzare Dominion, ed ha preferito utilizzare il conteggio cartaceo che è più accurato; basta “giocare” con il chip ed i voti passano da una parte all’altra.
Nell’intervista Trump è un fiume in piena ”In Pennsylvania, a persone presentatesi per votare è stato detto che non potevano votare, qualcun altro aveva già votato. Questo è successo in decine di migliaia di casi; questo è successo con 678.000 voti fasulli in Pennsylvania. Se si osserva il Michigan e si esamina cosa è successo nella contea del Wayne a Detroit, i controllori si sono rifiutati di firmare documenti fraudolenti. Se si osserva il Wisconsin, si trovano discrepanze incredibili. Non si ha idea di ciò che succerà, si sa solo che Joe Biden non ha ottenuto 80 milioni di voti; Trump ne ha ricevuti 74 milioni, ma molti “balance” sono stati gettati via. Sono 11 milioni più della mia prima elezione, sono milioni di voti più rispetto a Ronald Reagan, che vinse in 49 Stati, milioni in più dei voti che ha ricevuto Hillary Clinton; Joe Biden ha battuto Barack Obama, che ha vinto con i voti dei neri; se si osservano i dati, sono falsi e corrotti, è stata un’elezione irregolare, il popolo lo sa, questo spiega perché la gente in tutti gli USA sta marciando. Il popolo è molto arrabbiato perché sono stati derubati, per centinaia di migliaia di voti; per questo si trovano insegne inneggianti a Trump. Se si esamina Detroit, ci sono più voti delle persone, morti votanti ovunque. La frode è massiccia, non so dire se l’apparato si muoverà velocemente o meno, ma i fatti sono dalla mia parte; la frode è stata imponente, non sarebbe mai dovuta avvenire, siamo come un paese del terzo mondo, abbiamo delle macchine per il voto e nessuno sa come funzionano”.
Sul futuro
Trump si aspetta che succederanno parecchie cose tra oggi ed il 20 gennaio; dice che si sono comportati come un paese del terzo mondo, utilizzando computer che possono essere manipolati; anche nel caso di piccoli errori i voti sono andati da Trump a Biden e mai viceversa; vi sono stati parecchi intoppi, e l’intoppo è connesso al fatto che sono stati sorp
resi a mentire, a rubare, un tentativo fraudolento di ottenere voti; lo hanno anche ammesso, ma ci potrebbero essere venti o trenta volte dove non sono stati individuati. Ribadisce che questa elezione è una frode, anche ai più alti livelli, che se i media fossero onesti, e molti di loro non lo sono, questa frode non sarebbe mai successa.
Naturalmente sia Dominion Voting che l’agenzia governativa CISA non la pensano così, per cui si rimanda ai loro siti web per una opportuna completezza d’informazione.
Come si vede è una partita giocata sul filo del rasoio, molto controversa, soggetta all’implacabile scorrere del tempo, il rigido cronoprogramma delle presidenziali ha come punto di arrivo di questa competizione post-elettorale il giuramento del 20 gennaio, con l’inizio della nuova presidenza. Il primo step è fissato per il 14 dicembre, i colpi di scena non mancheranno.
Traduzione dell’intervista a Trump
di Ottorino Maggiore van Beest
FONTE: http://www.civica.one/trump-accerchiato-biden-azzoppato/
POLITICA
“Decisione sofferta, ma temiamo un’impennata della curva dei contagi a Natale”.
Federica Francesconi – 18 12 2020
Che commediante sopraffino che è il capo degli eversori! Un governo di dilettanti allo sbaraglio nel guidare il Paese ma geniali nell’infilarvelo dove non batte mai il sole.
A Pasqua vi dirà, cari pandementi, che la decisione si schiaffarci tutti dentro casa è atroce ma serve per farci trascorrere un’estate all’aperto. Se domani gli eversori vi dicessero che per evitare il contagio dovete iniziare a camminare a quattro zampe, lo fareste senza fiatare.
Se ho compreso bene, con il nuovo DPCM gli eversori hanno sdoganato una nuova demenziale e surreale misura: il bonus uscite. In pratica ci si può recare a trovare un amico o un parente a casa sua una sola volta al giorno. Se ti rechi in più di un’abitazione al giorno diversa dalla tua sei un trasgressore, quindi incorri nelle sanzioni previste dal Napoleone de’ noantri. Cazzarola, che genialità ‘sti pezzenti carciofari!
Ad essere brutalmente onesta e sincera, essere trattati come foche addestrate a esibirsi in un circo, è quel che vi meritate. Non lo meritano, al contrario, persone come me e poche altre, alle quali l’anello al naso non è mai andato giù e che hanno fatto della propria vita la testimonianza della fedeltà indefessa alla libertà interiore, concetto che per voi è pura blasfemia.
Buon Natale agli arresti domiciliari, scimmiette, e che la vigliaccheria e la stupidità galoppante vi accompagnino sempre nella vostra miserabile ed insignificante esistenza.
FONTE: https://www.facebook.com/federica.francesconi.3/posts/10220993645728591
SCIENZE TECNOLOGIE
Vaccino e reazioni allergiche? Come stanno davvero le cose
Il vaccino Pfizer-BioNtech è composto da alcune particelle che potrebbero scatenare alcune reazioni allergiche in soggetti predisposti. “Ad oggi non si sono verificate, se non in casi rari”
Il V-Day dello scorso 27 dicembre ha dato il via alla campagna vaccinale anti-Covid in tutta Europa: le prime dosi del vaccino Pfizer-BioNtech sono state somministrate agli operatori sanitari delle principali nazioni europee.
Cos’è Peg
Mentre si è messo in moto l’enorme “motore” dei vaccini che consegnerà centinaia di migliaia di dosi, settimanalmente, all’Italia e ad altri Paesi, si parla delle eventuali, possibili (rarissime) reazioni allergiche dopo la somministrazione.
Nel caso specifico di quello della Pfizer, la causa sarebbe da imputare alle nanoparticelle di polietilenglicole (Peg) che avvolgono l’mRna contenuto nel vaccino. Non tutti, però, sono d’accordo. Prima di capire quanto e se è necessario preoccuparsi, bisogna spiegare che questa sostanza è un polimero che trova numerose applicazioni in campo bio-farmaceutico ed è utilizzato in ambito di ricerca per la produzione di anticorpi monoclonali (quelli che vorrebbero tutti), ma anche nei lassativi, nelle formulazioni di altri prodotti farmaceutici (dagli unguenti alle compresse) e nei cosmetici, compresi dentifrici e shampoo. Insomma, è considerato una molecola sicura.
La novità è che, secondo quanto pubblicato da una ricerca pubblicata su Science, il Peg non sarebbe mai stato usato prima d’ora in un vaccino approvato. In tutto, sono state rilevate 8 reazioni allergiche avverse dopo l’iniezione di Pfizer- BioNTech su circa 272mila persone. Alcuni allergologi e immunologi ritengono che un piccolo numero di persone precedentemente esposte a queste nanoparticelle possa avere alti livelli di anticorpi contro il Peg, mettendoli a rischio di una reazione anafilattica al vaccino. Altri, invece, sono scettici sul collegamento con eventuali reazioni allergiche.
“Le reazioni allergiche sono rare”
“Il Peg è una sostanza presente in numerosissimi farmaci, ci sono segnalazioni di migliaia di molecole farmaceutiche in cui viene utilizzato perché è un composto che serve alle nanoparticelle lipidiche per veicolare l’Rna nella cellula, è un componente del vaccino. Il fatto che possa essere immunogenico (quindi capace di indurre una reazione immunitaria, ndr) è alla stessa possibilità di qualsiasi altra sostanza che utilizziamo in altri farmaci ed anche in altri vaccini”, ci spiega in esclusiva il Prof. Marco Falcone, ricercatore di Malattie Infettive all’Università di Pisa, in forza all’Unità operativa dell’Aoup e membro del consiglio direttivo della Simit (Società italiana di malattie infettive e tropicali). “Dire che possa inficiare la sicurezza del vaccino è un’affermazione che non possiamo fare”.
Al momento, e le vaccinazioni proseguono a ritmo sostenuto, sono stati evidenziati rarissimi effetti collaterali. “Ad oggi, l’ipotesi che possa essere immunogenico, in linea generale non può essere scartata al 100% ma è un’ipotesi che rientra fra quelle più disparate che si possono fare sul vaccino – sottolinea Falcone – Sulla base di questa formulazione, non può esserci un’automatica associazione di questo con eventuali reazioni allergiche ritardate. Ad oggi, non si sono nemmeno verificate se non in casi rari”.
Un po’ di numeri. Come sottolineato dalla stessa rivista Science che ha messo in dubbio i peg, le reazioni anafilattiche possono verificarsi con qualsiasi vaccino ma di solito sono estremamente rare, circa una per un milione di dosi. Al 19 dicembre, gli Stati Uniti avevano visto sei casi di anafilassi tra le 272mila persone vaccinate, il Regno Unito soltanto due. Inoltre, nella fase dei trials clinici di Pfizer, nessuna reazione allergica è stata evidenziata in studi su oltre 44mila persone che si sono offerte volontarie per testare il vaccino sebbene siano state escluse le persone con una storia di allergie e gravi reazioni avverse ad altri vaccini, che meritano una menzione a parte.
Peg dentro shampoo e dentifricio
Queste sostanze, come accennato in precedenza, sono anche utilizzate in prodotti di uso quotidiano come dentifricio e shampoo come addensanti, solventi, ammorbidenti e trasportatori di umidità e sono stati usati come lassativi per decenni. Un numero crescente di prodotti biofarmaceutici include anche composti ‘PEGilati’. Per tanto tempo, si pensava che fossero biologicamente inerti, ma un numero crescente di prove suggerisce che non lo sono. Secondo uno studio del 2016 condotto da Samuel Lai, un farmacista presso l’Università del North Carolina, il 72% delle persone ha almeno alcuni anticorpi contro i peg, presumibilmente a causa dell’esposizione a cosmetici e prodotti farmaceutici. E poi, circa il 7% di chi li possiede avrebbe un livello abbastanza alto da predisporli a reazioni anafilattiche.
“Ce ne saremmo già accorti”. “Esiste un rischio allergico perché questi componenti sono stati descritti in passato come potenziali meccanismi di insorgenza di allergia: tuttavia, che questo vaccino possa dare una reazione allergica su vasta scala, dai dati che abbiamo a disposizione non c’è“, rimarca il Prof. Falcone. “Parliamo di un numero di casi che si contano sulle dita di una mano su un numero di vaccinati pari a centinaia di migliaia di persone”. Ed i numeri parlano a favore del vaccino: oltre ai 40-50 mila volontari della Pzifer, negli Stati Uniti sono già state vaccinate un milione di persone, 140mila in Israele, 2-300 mila nel Regno Unito. In totale, i numeri parlano di quasi due milioni di vaccinati al Covid in tutto il mondo. “Se avessimo avuto un numero alto di reazioni allergiche ce ne saremmo già resi conto, ormai il numero di vaccinati è altissimo”, afferma.
Quali sono i “rischi”
Ma in cosa consistono le eventuali reazioni? “Nella maggioranza dei casi sono banali e di bassa entità: un po’ di dolore dove è stata fatta la puntura, indolenzia ed un minimo di febbre. Le rarissime reazioni anafilattiche sono reazioni allergiche, comparsa di prurito e orticaria oppure qualche rarissimo caso di qualche reazione anafilattica più seria in cui le persone hanno avvertito capogiro e riduzione della pressione arteriosa, ma queste sono delle descrizioni aneddotiche”, afferma Falcone.
Farmaci e vaccino. Lo stesso discorso, per onestà intellettuale, va fatto per i farmaci di uso comune: per quasi tutti noi è un’abitudine saper combattere il mal di testa, la febbre e l’influenza, sapendo ogni volta cosa prendere nel caso specifico. Se si leggono con attenzione i bugiardini, però, in ognuno di questi farmaci sono contenute le controindicazioni, anche molto gravi. “Se si prende un aulin, un’aspirina, un antibiotico o anche una tachipirina, una persona ogni centomila può andare incontro ad una grave reazione allergica. Purtroppo, esistono anche quelli che muoiono per la puntura di una vespa, è una reazione allergica”.
“È peggio ammalarsi di Covid…”
Fda, Ema ed Aifa hanno approvato il vaccino della Pfizer dopo aver esaminato quanto avvenuto nelle tre fasi cliniche, chiamate trials, dove non sono praticamente mai state riscontrate criticità che facessero temere per la somministrazione pubblica. “Dal punto di vista scientifico, cinque casi di reazioni allergiche gravi ogni centomila non hanno alcun valore: quei cinque che hanno reazioni allergiche gravi sono molto meno problematici di centomila casi Covid in cui muoiono 1.000-1.500 persone”, specifica il Prof. Falcone, il quale sottolinea come “il rapporto è 1.500 morti rispetto a cinque-dieci persone che vanno incontro a reazioni allergiche”. I numeri ed i fatti parlano da soli: se è vero che nessuno può essere certo al 100% che non si verifichino reazioni avverse, “su centomila vaccinati che rischiavano di prendere il Covid, è molto più alto il rischio di una complicanza grave dovuta al Covid che il rischio infinitesimale di avere una reazione allergica”.
Vademecum per gli allergici
Come si fa a sapere il rischio potenziale che si corre facendo una vaccinazione? “Esistono alcune persone che hanno una predisposizione allergica: chi le ha manifestate da bambino, ad esempio, oppure chi le ha avute nei confronti di farmaci e alimenti così come coloro i quali soffrono di asma bronchiale, allergica, o chi ha patologie di tipo autoimmunitario”, ci ha detto il ricercavore. In questi casi, il vaccino della Pfizer va somministrato con cautela: “è necessaria una valutazione preliminare con l’allergologo, per valutare il rapporto beneficio-rischio. Lo possono fare ma devono essere sorvegliati più strettamente dai medici”.
Credo che si possano dormire sonni tranquilli senza la necessità di dietrologie o pensieri nefasti sui vaccini “perché sono stati fatti in poco tempo”, come capita ogni tanto di sentir dire, tra l’altro da chi non ha competenze tecnico-scientifiche per fare affermazioni di questo tipo. Se li abbiamo avuti in 10 mesi bisogna soltanto ringraziare la scienza: senza andare troppo lontano nel tempo, 20 anni fa non sarebbe mai stato possibile. Lo dicono gli esperti, non lo dico io: è importante vaccinarsi, facciamolo per noi stessi e per il prossimo.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cronache/reazioni-allergiche-vaccino-rischio-infinitesimale-1912946.html
IL CAPO SCIENZIATO DELL’OMS: NON C’E’ NESSUNA PROVA CHE UN VACCINATO NON TRASMETTA IL VIRUS .
I passaporti vaccinali sono quindi inutili
Dicembre 29, 2020 posted by Leoniero Dertona
L’OMS sta cercando di fare un po’ di chiarezza sulle voci relative al vaccino, ma si tratta di una lotta senza sosta contro mass media che sembrano piuttosto sordi alla scienza, quando questa non corrisponde con i suoi desiderata o con quelli dei governi.
Soumya Swaminathan, capo ricercatore dell’OMS, ha partecipato ieri ad un meeting online nel quale ha confermato quello che molti scienziati hanno detto già da tempo:
“Non credo che abbiamo le prove per nessuno dei vaccini che ci permettano di ritenere che siano in grado attualmente d’infettarsi e quindi di trasmetterla”
Praticamente lo scienziato dell’OMS afferma che i vaccini attuali sono in grado di abbattere gli effetti dell’infezione sul singolo, quindi di abbassarne effetti e mortalità, ma non sono in grado di evitare d’infettarsi. Praticamente c’è il rischio di trasformare ogni vaccinato in un “portatore sano”, che non ha sintomi, ma può trasmettere l malattia.
Bisogna sottolineare tre punti:
il fatto di non avere sintomi viene ad abbassare fortemente l possibilità di infettare gli altri, comunque;
in realtà non si è sicuri neppure dell’opposto perchè i test finora effettuati sui vaccini Pfizer e Moderna non si sono occupati di questo aspetto. Sicuramente, con il tempo, questo punto sarà chiarito;
il primo, vero, test sull’efficacia generali dei vaccini partiranno il prossimo mese, quando 2500 inglesi precedentemente vaccinati con i vaccini Pfizer e Moderna verranno infettati volutamente con il virus del covid-19 e quindi avremo i dati veri, “In corpore vili”, dell’efficacia oggettiva del vaccino e della sua capacità di limitare la trasmissibilità del virus.
Il fatto che, con le conoscenze attuali, non si possa escludere che i vaccinati trasmettano il virus rende perfettamente inutili tutti i vari discorsi di “Liste di chi non si vuole vaccinare da rendere pubbliche” (Spagna), “Braccialetti verdi” per i vaccinati o di “Passaporti vaccinali”. i vaccinati, allo stato attuale, prevengono solo i danni su se stessi. Tutto il resto è, scientificamente, fuffa.
FONTE: https://scenarieconomici.it/il-capo-scienziato-delloms-non-ce-nessuna-prova-che-un-vaccinato-non-trasmetta-il-virus-i-passaporti-vaccinali-sono-quindi-inutili/
STORIA
La pista Inglese e italiana: i misteri di Dongo. Piazzale Loreto atto finale
3° Incontro, 26 novembre 2020 – Introduzione di Giorgio Galli
L’atto finale di piazzale Loreto
(sintesi della relazione)
Piazzale Loreto. In quel luogo, il 29 aprile 1945, furono esposti i cadaveri di Mussolini, della sua amante Claretta Petacci e di diversi gerarchi, fucilati il giorno prima a Dongo. Nel corso del mio intervento ho mostrato il documentario originale Mussolini is executed,1 prodotto dal Bureu of Public Relations del War Department americano, e, successivamente, il girato originale del cineoperatore Tumber, tratto dal documentario italiano Piazzale Loreto.2 Si è cercato di documentare la tesi secondo la quale piazzale Loreto fu un grande set cinematografico, nel quale migliaia di comparse, più o meno consapevoli, recitarono un copione ad uso e consumo dei cineoperatori americani, che probabilmente dipendevano dal Morale Operation Branch dell’OSS. Questa era la branca dei servizi segreti americani incaricata di condurre le operazioni di guerra psicologica nell’Europa occupata dai nazisti, che dal 1944 aveva spostato il suo centro di comando a Roma.
Le scene del documentario del War Department erano state pensate da professionisti del mondo della comunicazione, provenienti da Hollywood, e molte di esse non miravano affatto a documentare i fatti, bensì a trasmettere certi messaggi alle masse. Vi è ben poco di spontaneo nei fatti di piazzale Loreto. Un case history memorabile è la sequenza – tagliata nel documentario ufficiale – in cui il cineoperatore Tumber riprende un partigiano mentre discute con un uomo chino sulla cinepresa: i due, evidentemente si stanno mettendo d’accordo per fare qualcosa insieme. Dopo questo scambio di battute il partigiano si mette in posa davanti alla cinepresa, che si trova a meno di un metro di distanza, mimando la fucilazione del cadavere di Mussolini.
L’uomo che si trova dietro la cinepresa è probabilmente l’art director del set cinematografico di piazzale Loreto. Lo si deduce dal fatto che compare in quasi tutte le sequenze del documentario dello US Army. Attraverso il girato di Tumber è stato possibile seguirlo passo a passo nella giornata del 29 aprile 1945, osservando da vicino il suo modo di lavorare. Lo si vede bene anche in volto, perché in più occasioni egli si mette in posa con le comparse e guarda dritto in camera. Pare di capire egli fosse ben consapevole di scrivere una pagina di Storia e che volesse lasciare una traccia di sé, a futura memoria dei posteri. L’art director aveva ai suoi ordini non meno di undici assistenti, che si alternavano tra il lavoro alla cinepresa e il coordinamento delle comparse sul set. Tutti sono ben riconoscibili per un soprabito bianco.
Si possono trarre tre considerazioni dai fatti di piazzale Loreto. La prima è che il documentario ufficiale americano coglie in pieno il clima di piazzale Loreto, così come ci è stato tramandato da tanti testimoni diretti di quell’evento. Proprio sulla base di queste testimonianze generazioni di storici, giornalisti e uomini politici hanno ricostruito e tramandato una pagina della Storia italiana. La seconda considerazione è che di autentico, in quel documentario, c’è ben poco: ogni scena è studiata nei minimi particolari per creare un mito, che, come si è visto, dura ancora oggi. È il mito della “macelleria messicana” – come recita una formula, che ha trovato grande fortuna. Evidentemente i servizi segreti americani hanno lavorato molto bene, se sono riusciti a manipolare a tal punto la memoria collettiva di un intero popolo!
La terza considerazione è che non tutti i messaggi costruiti dai servizi americani sono rivolti al grande pubblico. Esistono almeno tre sequenze video dove compaiono simboli esoterici, che ho cercato di interpretare nel mio saggio Mussolini e gli Illuminati.3 La mia ipotesi interpretativa, però, meriterebbe una discussione più approfondita con esperti di simbolismo esoterico. Comprendere il significato di quei messaggi potrebbe svelare retroscena finora sconosciuti sui veri mandanti e sul movente dell’omicidio di Mussolini.
Enrico Montermini, 1.12.2020
2 https://www.youtube.com/watch?v=wOCecmSa-M0&t=33s
3 E. MONTERMINI, MUSSOLINI E GLI ILLUMINATI, EDIZIONI SÌ, MERCATO SARACENO, 2017.
I misteri sull’uccisione di Mussolini. 28 aprile 1945: confronto tra le varie ipotesi su chi veramente abbia ucciso Mussolini (pista italiana, inglese o americana)
Luciano Garibaldi.
FONTE: https://www.istitutostudipolitici.it/2020/12/05/i-misteri-sulluccisione-di-mussolini-e-di-piazzale-loreto/
L’incubo italiano degli inglesi: chi era Amedeo Guillet, il “comandante Diavolo”
Leggende e battaglie del “Comandante Diavolo” Amedeo Guillet nel pieno della campagna d’Africa Orientale
17 maggio 1941: il Duca Amedeo d’Aosta, viceré d’Etiopia e comandante delle forze italiane in Africa Orientale, si arrende assieme alla guarnigione dell’Amba Alagi di fronte a soverchianti forze britanniche e dei reami del Commonwealth guidate dal generale Alan Cunningham, sancendo l’inizio della fine della breve avventura coloniale italiana nell’ex Abissinia, occupata tra il 1935 e il 1936 su ordine di Benito Mussolini.
Molto spesso dimenticata dalla storiografia maggioritaria, però, è l’epopea personale degli ufficiali e dei combattenti italiani e coloniali che, dopo la sconfitta del Regio Esercito, non capitolarono assieme al resto dell’armata in Africa Orientale ma condussero, nei mesi finali della campagna e in quelli successivi, guerriglie personali contro le forze britanniche ed etiopi fatte di azioni “mordi e fuggi”, raid e azioni diversive. Quando il viceré si arrese ai britannici la più celebre di queste bande combattenti era già attiva e mobilitata, operando sotto il comando del tenente Amedeo Guillet.
Piacentino, classe 1909, proveniente da una nobile famiglia piemontese, formato all’Accademia Militare di Modena come cavalleggero e divenuto tra i maggiori talenti italiani dell’equitazione, Guillet vide i suoi destini legati inscindibilmente all’Africa da quando, nel 1935, fu chiamato a comandare un reparto di spahis libici nelle azioni d’apertura della campagna italiana in Africa Orientale contro l’impero di Hailè Selassiè. La guerra impedì, peraltro, a Guillet di partecipare alle Olimpiadi di Berlino del 1936.
Tra la Libia, l’Africa orientale e la Spagna, nella cui guerra civile fu al comando di un reparto di cavalleria marocchina, Guillet si plasmò come uno dei migliori ufficiali della cavalleria coloniale del Regio Esercito. Un particolare pregio apprezzato dalle truppe coloniali al comando di Guillet era la sua profonda conoscenza del mondo islamico, la padronanza della lingua araba e dei costumi delle società di provenienza delle sue truppe (in larga parte beduini) e il rispetto per le differenze tra popoli e culture. Nel 1937 il governatore della Libia Italo Balbo scelse, a tal proposito, proprio Guillet per organizzare la celebre cerimonia in cui a Mussolini fu conferita la spada dell’Islam durante una visita a Tripoli.
L’uomo che nel 1939 fu chiamato dal viceré Amedeo a comandare in Etiopia un reparto di truppe indigene eritree era dunque un ufficiale unico nel suo genere nel panorama italiano. Il tenente Guillet plasmò così il Gruppo Bande Amhara, un reparto forte di 1700 uomini di origine etiope, eritrea e yemenita inquadrati da ufficiali italiani.
Guillet raccolse sotto i comuni simboli della croce cristiana e della mezzaluna islamica, preferiti ai simboli del fascismo, le identità minori di un’Africa orientale ai bordi del Secondo conflitto mondiale e le strinse in un manipolo compatto che vive oltre la battaglia e le sue regole
Comandante estremamente empatico e diverso dagli ufficiali coloniali medi del tempo, scevro da qualsiasi pregiudizio razzista o da pensieri concernenti presunte superiorità etniche o morali dei colonizzatori sui colonizzati, Guillet forgiò un forte spirito di corpo che tornò utile alla sua unità quando, tra la fine del 1940 e l’inizio del 1941, l’impero africano dell’Italia iniziò a esser travolto dalla marea montante dell’offensiva britannica in seguito alla dichiarazione di guerra di Mussolini del giugno 1941.
Guillet capì che di fronte alla minorità italiana e alla preponderanza di mezzi e risorse del nemico l’unica soluzione per le sue forze poteva essere l’avvio di campagne di guerriglia e di incursioni contro le avanguardie britanniche, costituite dalla potente “Gazelle Force”. “Il 19 gennaio, la IV e la V Divisione indiana”, racconta John Keegan in “La Seconda guerra mondiale”, “attraversarono il confine a Nord del Nilo Azzurro e incontrarono scarsa resistenza, anche se a un certo punto vennero caricate da un ufficiale italiano su un cavallo bianco, alla testa di una banda di cavalieri Amhara lanciata alla disperata contro le loro mitragliatrici”. Quell’ufficiale era Amedeo Guillet, che andò vicino a travolgere e catturare il comando nemico. Colpendo con sciabole, pistole, bombe a mano le truppe appiedate e i reparti blindati britannici, attaccando di sorpresa e dando vita all’ultima carica di cavalleria della storia africana Guillet e i suoi, con un conto di perdite salatissimo (800 tra morti e feriti) evitarono la rotta delle truppe italiane permettendone la ritirata verso la piazzaforte di Agrodat.
Montando il suo cavallo bianco Sandor e colpendo retroguardie, colonne logistiche e reparti isolati Guillet e la sua armata contribuirono nelle settimane successive a dare fiato alle truppe italiane tagliate fuori da ogni collegamento con la madrepatria. Scriveva nel 2004 Il Foglio: “Le imprese del Cummundar-as Sbeitan, il Comandante Diavolo, e dei suoi cavalieri del Gruppo Bande Amhara, danno molto filo da torcere agli inglesi che gli dedicano tuttora ammirati articoli di giornale. Amedeo Guillet è l’italiano che smentisce il luogo comune, ben diffuso tra i britannici, secondo il quale gli italiani sarebbero “useless in combat”, inetti in battaglia, mentre “The Italians’ last action hero” è il titolo con cui l’Observer ha presentato la biografia di Guillet scritta dal giornalista Sebastian O’Kelly e intitolata “Amedeo. A true story of love and war in Abyssinia”.
Mentre le fortune italiane in Etiopia andavano declinando, ad aprile Guillet prese la decisione di condurre in Eritrea un’estrema resistenza organizzata, assumendo il nome di battaglia di “Cummandar es Sciaitan” (Comandante Diavolo), radunando attorno a sé un centinaio di suoi fedelissimi ex-soldati indigeni e dando continuamente filo da torcere alle truppe di Sua Maestà. Guillet fu oggetto di timore e ammirazione tra i britannici, come detto in precedenza stupiti e irritati dalle azioni coraggiose di un imprendibile maestro della guerriglia. Specie considerato il fatto che altri gruppi simili a quello di Guillet andavano costituendosi in Africa Orientale, dai Figli d’Italia, formati da reparti di camicie nere, al Fronte della Resistenza composto da militari sbandati del Regio Esercito.
Quando a ottobre 1941 l’Impero di Mussolini era ormai un ricordo e anche per l’Italia le sorti della guerra iniziavano a farsi pericolosamente preoccupanti, Guillet pensò che tentare il ritorno in patria e non sottoporre ulteriormente i suoi uomini a sacrifici e rischi ulteriori fosse la scelta migliore. Si installò in Eritrea, sotto falso nome, nella città di Massaua. Ahmed Abdallah al Redai, questo il suo pseudonimo, lavorò come scaricatore di porto, subì rapine e pestaggi da parte di contrabbandieri, raggiunse infine il neutrale Yemen. Qui, prosegue Il Foglio, “raggiunta Hodeida Guillet va a Sanaa dove è ricevuto dall’iman Yahiah che gli offre ospitalità, protezione e il grado e lo stipendio di colonnello yemenita. Per l’iman l’Italia è un paese amico, il primo ad averne riconosciuto l’indipendenza dalla Turchia”.
Guillet lavora al fianco della famiglia reale, fa il precettore dei principi per un anno ma nonostante sulla sua testa penda la condanna a morte degli inglesi per il suo ruolo di “bandito”, vuole tentare il ritorno in patria: “con l’aiuto dell’iman si imbarca infine per Massaua, nel giugno del 1943. Da lì come clandestino sale sull’ultima delle tre navi della Croce Rossa Italiana; per non essere riconosciuto dalla scorta britannica, con la complicità del capitano, viene nascosto nel reparto dei malati di mente”. Tornò in Italia il 3 settembre 1943, mentre a Cassibile veniva firmato l’armistizio siglato dal governo Badoglio. Dopo il suo annuncio, cinque giorni dopo, la fedeltà al giuramento per il Re ebbe in lui la meglio: attraversò la linea Gustav, giunse a Brindisi e si arruolò nelle forze italiane che lavoravano alla nascita dell’esercito post-fascista. Guillet lavorò fino a fine guerra nel Servizio d’informazioni militari (Sim) e, dopo la fine della guerra e della monarchia, nel 1947 iniziò una lunga carriera diplomatica che lo avrebbe portato a essere incaricato d’affari nello Yemen che lo aveva accolto e poi ambasciatore in Giordania, Marocco, India. Senza mai scordare la terra in cui costruì la sua leggenda militare, quell’Eritrea che lo avrebbe riaccolto, oramai novantenne, come un antesignano della lotta di liberazione nazionale. Strinse la mano al presidente Isais Afewerki e incontrò, per l’ultima volta, gli ex compagni d’arme sparsi tra Asmara e Massaua.
Guillet morì più che centenario nel 2010, dopo esser stato onorato del titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Militare d’Italia dal presidente Carlo Azeglio Ciampi. Di lui restano i ricordi e l’epopea romantica di un ufficiale che seppe negare sul campo il mito dello scontro di civiltà e tenere alto l’onore militare dell’Italia e di un’armata abbandonata al destino della disfatta da un regime imbelle e lontano. Il Comandante Diavolo costruì una di quelle leggende contemporanee che solo l’Africa è capace di creare e seppe conquistare, sul lungo periodo, l’onore e il rispetto di quei nemici che lo avevano a lungo cercato invano. Vittorio Dan Segre, biografo di Guillet, scrisse che “Lawrence d’Arabia aveva dietro di sé un impero che lo sosteneva e milioni di sterline d’oro con cui comprava la fedeltà. Amedeo Guillet non aveva un becco d’un quattrino, non aveva il sostegno di nessun impero e di nessuna forza politica”. Ma seppe creare un’epopea militare e umana contemporanea. Andando oltre e mostrando la pusillanimità di qualsiasi retorica che parli di scontri di civiltà.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cultura/tutte-battaglie-comandante-diavolo-amedeo-guillet-1911864.html
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