RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
30 GIUGNO 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato.
(ART. 2 CODICE PENALE – Successioni di leggi penali)
FONTE:https://www.studiocataldi.it/codicepenale/
CODICE CIVILE ITALIANO – Art. 11. Efficacia della legge nel tempo.
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SOMMARIO
La Téchne come oligarchia e l’estinzione degli umani
L’EPIDEMIA E IL CETO ‘COLTO’
Fusaro: la strana morte del presidente del Burundi che aveva cacciato Oms
Neanche in Italia si riesce a respirare
La lobby psicopedagogica
LE AUTOPSIE VIETATE – La precisazione del dottor Manera
Contro la Gabanelli, sul contante
SCUSATEMI MA NON CREDO ALLA STORIA DEGLI HACKER ALL’INPS
Le vite bianche non contano
Lettera aperta, punti di vista su COVID
Obbedienza Pronta Cieca Assoluta (a Bill)
METTONO LA RUSSIA CON LE SPALLE AL MURO
Rivelazioni-bomba sui negoziati Usa-Russia sull’atomica
PUTIN CHIUDE A GATES
La Cina: alta tensione su due fronti
Attacco a quattromila metri
LA BELLEZZA DELLA DISILLUSIONE: «LA BELLA ESTATE» DI CESARE PAVESE
Se tutti si inginocchiano, chi difenderà la cultura e la storia occidentale?
Totalitarismo democratico. Augusto Del Noce e le profezie del suicidio della rivoluzione”.
Sospesi i profili Twitter di Anonymous Italia e di LulzSec_ITA
ARRIVA IL PASSAPORTO COVID PER 15 PAESI.
Negli USA in arrivo per la polizia lo stop al riconoscimento facciale
BLM e la rivoluzione Colorata neoliberista in America
Agenzie rating, Italia declassata se non accetta il Mes
Una rapida considerazione sul debito italiano.
EUROZONA: FINE DELL’ILLUSIONE ED AFFERMARSI DELLA DEPRESSIONE PERMANENTE DEL SUD
Il suggerimento del prof. Savona l’ha seguito l’Austria
SCOPERTE 83 TONNELLATE D’ORO FALSO.
Silver economy
QUANDO UNO STATO BLOCCA I PAGAMENTI ELETTRONICI… IL CASO ECOCASH
DANNO “DA FERMO TECNICO”
CODICE PENALE – Art. 2
IN BALIA DEL GOVERNO OMBRA, L’OCCIDENTE PERDE OGNI CONQUISTA
LA SENATRICE PACIFICO (M5S) INCALZA DI MAIO SULLA POLITICA ESTERA
Perché Berlusca adesso farà votare il MES
Le imprese statunitensi che finanziarono Hitler
EDITORIALE
La Téchne come oligarchia e l’estinzione degli umani
Manlio Lo Presti – 30 giugno 2020
La Téchne come oligarchia e l’estinzione degli umani
L’EPIDEMIA E IL CETO ‘COLTO’
Fusaro: la strana morte del presidente del Burundi che aveva cacciato Oms
Neanche in Italia si riesce a respirare
La lobby psicopedagogica
LE AUTOPSIE VIETATE – La precisazione del dottor Manera
Contro la Gabanelli, sul contante
SCUSATEMI MA NON CREDO ALLA STORIA DEGLI HACKER ALL’INPS
Le vite bianche non contano
Lettera aperta, punti di vista su COVID
Obbedienza Pronta Cieca Assoluta (a Bill)
METTONO LA RUSSIA CON LE SPALLE AL MURO
Rivelazioni-bomba sui negoziati Usa-Russia sull’atomica
PUTIN CHIUDE A GATES
La Cina: alta tensione su due fronti
Attacco a quattromila metri
LA BELLEZZA DELLA DISILLUSIONE: «LA BELLA ESTATE» DI CESARE PAVESE
Se tutti si inginocchiano, chi difenderà la cultura e la storia occidentale?
Totalitarismo democratico. Augusto Del Noce e le profezie del suicidio della rivoluzione”.
Sospesi i profili Twitter di Anonymous Italia e di LulzSec_ITA
ARRIVA IL PASSAPORTO COVID PER 15 PAESI.
Negli USA in arrivo per la polizia lo stop al riconoscimento facciale
BLM e la rivoluzione Colorata neoliberista in America
Agenzie rating, Italia declassata se non accetta il Mes
Una rapida considerazione sul debito italiano.
EUROZONA: FINE DELL’ILLUSIONE ED AFFERMARSI DELLA DEPRESSIONE PERMANENTE DEL SUD
Il suggerimento del prof. Savona l’ha seguito l’Austria
SCOPERTE 83 TONNELLATE D’ORO FALSO.
Silver economy
QUANDO UNO STATO BLOCCA I PAGAMENTI ELETTRONICI… IL CASO ECOCASH
DANNO “DA FERMO TECNICO”
CODICE PENALE – Art. 2
IN BALIA DEL GOVERNO OMBRA, L’OCCIDENTE PERDE OGNI CONQUISTA
LA SENATRICE PACIFICO (M5S) INCALZA DI MAIO SULLA POLITICA ESTERA
Perché Berlusca adesso farà votare il MES
Le imprese statunitensi che finanziarono Hitler
Disegno di Lorenzo Mattotti
Fonte: https://gliasinirivista.org/la-megamacchina-inceppata/
Il filosofo Emanuele Severino in un suo libro del 1979, Téchne. Le radici della violenza, ha dimostrato che la violenza politica, economica, le disuguaglianze, la fame ecc. sono conseguenze dell’uso oligarchico della tecnica.
La Tecnica è l’applicazione dell’apparato scientifico. Una applicazione usata, ovviamente, in termini di predominio e di potere nei confronti delle aree geopolitiche che non sono ad un livello pari di tecnologia. Ebbene, il potere consiste per l’Autore nel mantenimento del divario tecnologico il cui predominio è ancora oggi nelle mani dell’Occidente inteso come i Paesi possessori (USA, Russia, Cina).
Intorno alla cittadella fortificata dell’Occidente esiste la pressione crescente delle masse urlanti ed escluse dal banchetto che vogliono entrare nel fortino, altro che abbatterlo! Gestire i dispositivi tecnotronici e rinnovarli ossessivamente consente un controllo delle masse escluse la cui pressione viene abbassata con
• genocidi pilotati,
• guerre periferiche decennali con milioni di morti,
• guerre per procura.
La MEGAMACCHINA, un termine coniato dal sociologo Serge Latouche ha allargato in termini planetari il significato e la magnitudine del termine Téchne. Da tempo è stato chiarito che lo status degli umani è sempre più quello di operatori ancillari del funzionamento della megamacchina che si articola in:
• tecnologie mediche
• tecnologie militari,
• tecnologie borsistiche e finanziarie
• tecnologie spionistiche e di guerra elettronica (dossieraggi di massa, controllo facciale, microchip ipodermici, braccialetti elettronici, cellulari, droni, telecamere, ecc.)
• tecnologie disinformative.
Chi detiene il controllo degli strumenti tecnologici, detiene il Potere. Sta di fatto avvenendo una mutazione del dispiegarsi del Dominio: il controllo va sostituendo il principio della proprietà individuale ed industriale.
Abbiamo il Totalitarismo come fase avanzata della Dittatura.
Ne consegue che, in termini storici e globali, la violenza e il predominio di minoranze sul resto del le masse urlanti del pianeta sono l’elemento fondante della Tèchne in quando megamacchina.
Secondo alcuni futurologi, la MEGAMACCHINA, ESTESA MONDIALMENTE, DELOCALIZZATA, SENZA UN CENTRO OPERATIVO ha il solo ed esclusivo scopo di funzionare all’infinito.
Tutto ciò che ostacolerà questo scopo primario sarà gradualmente eliminato fino al definitivo e finale “disboscamento degli umani”.
Altro che la stupida persistenza dell’antropocentrismo dei robot umanoidi che tanto spingono alla creazione di teorie transumanistiche, anche esse fondate sul principio antropocentrico, inconcepibile oramai da quando gli umani stessi hanno sorpassato il confine per il quale sono diventati ostaggi della loro creazione artificiale …
IN EVIDENZA
L’EPIDEMIA E IL CETO ‘COLTO’
comedonchisciotte.org
Nessuno ha un interesse per le libertà personali maggiore di quello dei ceti comuni, secondo Machiavelli, visto che nessuno può conoscere meglio di loro gli appetii dei potenti. Una massima che rende scontato il criterio secondo cui la vitalità di una società si misura dalla capacità di reazione sincronizzata dei suoi individui, nel momento in cui essi sentono di non tollerare ulteriori imposizioni e ingerenze da parte dei governanti. In questo periodo di restrizioni delle libertà, la capacità reattiva degli organismi sociali si è manifestata in diversi paesi, europei e non europei, ma non ha avuto luogo in Italia, se non in forme frammentate e individuali, accolte dalle forze dell’ordine con metodi inediti di soppressione dei diritti costituzionali della persona.
Tale definizione di vitalità non può valere per il ceto ‘colto’, in quanto esso è ontologicamente conservativo, e non reattivo, rispetto allo status quo e il potere, che intimamente difende, anche se spesso dissimula il proprio conformismo con la costruzione di soluzioni teoriche del bene comune, ma per quanto i ‘colti’ possano affermare di voler perseguire il bene comune, essi sono inevitabilmente ancorati ai loro interessi personali e al loro desiderio di prestigio e di riconoscimento politico. Infatti, appena messi in condizione di dover esprimere la propria criticità verso le gerarchie di riferimento, essi dimostrano di avere poca sensibilità per gli interessi comuni e poca preoccupazione per la violazione di inviolabili diritti, non nascondendo la loro totale avversione a qualsiasi forma di protesta di massa.
Un atteggiamento che è tutt’altro che ambiguo, vista la chiara adesione del ceto ‘colto’ alla lunga catena di elaborazioni teoriche in difesa dello status quo, nel quale ambito esso ha potuto passare con grande disinvoltura dall’anti democrazia (velata da premesse meritocratiche), all’anti populismo di lunga tradizione guicciardiana, e negli ultimi anni all’anti complottismo come bandiera di distinzione culturale targata “mainstream”.
Quest’ultimo in effetti è la sua attuale performance ‘d’urgenza’, provocata dalla prolificazione di innumerevoli tesi e riscontri empirici che rivelano un preesistente e ben articolato piano di gestione dell’attuale epidemia da parte delle tecnocrazie mondiali, in relazione al quale esiste, tra l’altro, un eccellente studio di analisi del francese Patrick Zylberman, che dimostra come questo piano abbia già cercato di mettere radici in altre occasioni, a partire dal 2006 con la previsione della “grande pandemia” dell’aviaria, ma finora ha sempre fallito per motivi di inconsistenza oggettiva. Sarà la pandemia attuale la volta buona?
Le numerose evidenze non proprio dietrologiche hanno messo in seria crisi il ceto ‘colto’ e le sue capacità argomentative, istillando nelle sue file una certa angoscia, per cui esso ha deciso di prendersela con i complottisti, in cui vede una minaccia per l’esercizio collettivo della razionalità e il mantenimento di un corretto ordine sociale da pandemia.
Mentre nell’ambito dell’anti populismo i ‘colti’ cercavano di cavarsela con le solite teorie elitiste sui bassi istinti dei ceti comuni che seguono il leader carismatico perché in lui trovano i bias di conferma, che li rende un gregge (comunque vada, arrivano sempre a questo riduzionismo), in questo contingente, non potendo più negare l’ovvio, essi non sono più i soliti a riproporre i loro stratagemmi per un mondo giusto, ma si rendono promotori passivi della censura, ratificando, o quanto meno non denunciando, la censura ufficiale del pensiero libero, applicata a professionisti e studiosi controcorrente, fra cui tanti medici di prima linea che hanno fornito informazioni e soluzioni indispensabili per l’epidemia. Censura promossa dal Comitato governativo per la scienza e contro le notizie fake, composto in gran parte dai cosi chiamati “debunkers”, che già di per sé rappresentano un’offesa all’intelligenza umana.
Mentre l’accusa di complottismo, rivolta ai “creduloni”, fino a qualche anno fa poteva avere ancora qualche vaga ragione formale per il fatto di essere riferita a teorie e ipotesi congetturali non dimostrabili direttamente, nel contesto dello scenario pandemico le elites tecnocratiche non solo non nascondano la loro intenzionalità di intervento radicale nel controllo della società, ma ostentano apertamente la loro capacità di sopraffazione sui governi e le procedure democratiche, in particolar modo sul governo italiano, costituendo conflitti d’interesse che superano di gran lunga la necessità di risposta contingente a una crisi pandemica.
Ma cosa è il ceto ‘colto’, come si compone socialmente e come si distingue simbolicamente per differenziarsi rispetto al ceto comune, e per potersi opporre alla sua impulsività populista e complottista con la voce ‘colta’ della ragione?
Parafrasando il filosofo Stefano Sissa, i ‘colti’ (da non confondere come categoria con quella degli intelligenti, che è di valenza universale) sono le persone che svolgono professioni intellettuali o dirigenziali, anche creative, per i quali è molto importante l’immagine che il pubblico si crea di loro; hanno spesso ruoli professionali poco soggetti a oscillazioni (anche qualora si dovessero presentare dei lockdown più protratti), con minori rischi di declassamento e discrete possibilità di carriera, che richiedono di mostrarsi affidabili e alienati rispetto agli apparati di cui fanno parte.
Per deformazione professionale amano discutere su ogni accadimento sociale, confidando più del dovuto nel fatto che i problemi innescati all’interno delle relazioni sociali si possono risolvere già solo attraverso un’adeguata tematizzazione nell’ambito dell’opinione pubblica, che condizionerà in questo modo, senza uso di forza, il potere decisionale delle istituzioni, portando alla soluzione dei problemi.
In quanto organici alle strutture dirigenziali- burocratiche, accademiche, aziendali, o quanto meno proiettati verso tali posizioni, i ‘colti’ sono portatori di modelli cognitivi volti a rendere socialmente accettabile e rassicurante il paradigma vigente, comprensibilmente poco disponibili a repentini cambi di metodologia conoscitiva ed epistemologica, anche qualora ci siano tutte le premesse empiriche per questo.
Sono portatori di una coscienza ‘corretta’, depurata dagli aspetti inquietanti della realtà (tagliati dal loro campo visivo come innominabili tabù), e a dispetto del loro sbandierato acume, si affidano in modo piuttosto acritico alle versioni ufficiali fornite dalle autorità politiche e mediatiche, o dal sistema di divulgazione scientifica, senza mai problematizzare il fatto che tali conoscenze e informazioni provengano da apparati sociali che funzionano secondo logiche non necessariamente improntate all’obiettività.
Una definizione esaustiva come quella di Sissa merita una breve rassegna storica per evidenziare il processo involutivo che la gestione del sapere pubblico ha dovuto subire nelle sue declinazioni storiche, fino ad arrivare alle attuali forme di arroccamento del sapere esclusivo dei cosiddetti “gruppi di esperti” che tanto suggestionano il ceto ‘colto’.
Nell’antica tradizione greco-romana, la figura del sapiente attingeva autorità simbolica non solo dalla sua vocazione innata, ma anche dalle sue capacità personali, per cui l’unione fra sapere, impegno sociale e valore etico era inscindibile.
Per tutto il medioevo il sapere viene concepito come espressione di un talento innato, e non come un’abilità conseguita per via istituzionale, il che rende possibile il grande salto rivoluzionario dell’Illuminismo: Galileo, Descartes, Spinosa, Leibnitz erano pensatori liberi che, senza appartenere a gruppi di potere simbolico, hanno influenzato in modo radicale tutti i rami della scienza.
Il periodo in cui opera Kant sarà l’ultimo che riconosce ancora il libero pensatore senza definirlo dilettante, ma con la burocratizzazione dell’ordine sociale e l’automatizzazione dei processi produttivi vengono imposti i formalismi e le finzioni giuridiche, accademiche, sociali, il che porta al progressivo declino del pensiero indipendente, ulteriormente mortificato dal dominio delle ideologie sociali.
Nell’Ottocento l’università diventa l’unico ente giuridicamente riconosciuto a cui viene conferito il potere di gestire il capitale simbolico del sapere, attraverso procedure interne di attribuzione di certificati, nomine, titoli che denotano un’esplicita gerarchia accademica, da cui viene escluso ogni libero pensatore non alienato al suo sistema rigorosamente codificato.
All’antica concezione del sapere come talento si sovrappone l’idea del sapere come metodo- razionale e asettico, mirato al conseguimento di risultati (profitto), una tendenza che nel post modernismo determina la qualifica strettamente specialistica come criterio di utilità sociale. L’idea del genio, o dell’eretico prodigio che destruttura i paradigmi dominanti, viene abolita a priori perché diventa scomoda per i nuovi centri del potere simbolico.
Le università vengono ordinate gerarchicamente in una graduatoria di merito (ranking list), dove le prime dieci dettano gli standard per tutte le altre, diventando “think tanks” tecno scientifici e biopolitici con appannaggio esclusivo della ricerca, che viene opportunamente finanziata dai gruppi d’interesse.
Circa un decennio fa questo panorama viene turbato dall’improvvisa e veloce diffusione della rete come mezzo di comunicazione e libera circolazione di informazione, dando finalmente la possibilità all’utente di diventare emittente, e non solo ricevente, di contenuti particolari, alternativi ai canali ufficiali.
Questa democratizzazione dell’informazione paradossalmente provoca una certa contrazione fra i ceti ‘colti’, che per non perdere credibilità si impegnano a maggior ragione di promuovere sulle piattaforme il sapere degli ‘esperti’ e notizie e interpretazioni provenienti solo dalle agenzie o dai media ufficiali, intraprendendo una sottile azione di delegittimazione del pensiero alternativo, inizialmente con la campagna di stigmatizzazione, e in seguito con la diretta invocazione della censura da parte degli amministratori delle piattaforme virtuali.
Nonostante questa deriva, attualmente i canali web di informazione indipendente, che danno voce ai migliori portatori di coscienza sociale (storici, economisti, costituzionalisti, medici) riscuote complessivamente un seguito molto più numeroso rispetto ai canali di promulgazione mainstream, a quale rimane un pubblico sempre più confuso e assottigliato. Si potrebbe dire che c’è una massa critica, un’intelligenza collettiva che sta crescendo, e che destruttura il sapere degli esperti dell’establishment con un inattaccabile metodo etico/scientifico che non teme confronto.
Ovviamente tanti degli esponenti del pensiero non alienato vengono etichettati dai ‘colti’ come complottisti, senza alcuna valida confutazione delle loro tesi. Ma può il ceto ‘colto’ giustificare il proprio anti complottismo con un’analisi corrispondente alla realtà? La domanda è retorica, perché il problema del ceto ‘colto’ è che non vuole accettare la realtà. Nel contesto dell’attuale epidemia esso si rifiuta di vedere quello che hanno visto diversi osservatori che, come Agamben, temono che la situazione che stiamo vivendo sia “un esperimento più ampio, in cui è in gioco un nuovo paradigma di governo degli uomini e delle cose”, uno scenario che non risparmierà nemmeno i ‘colti’ e la loro sindrome del mondo giusto, dove ogni cittadino non avrà più il diritto alla salute, ma diventerà giuridicamente obbligato alla salute, e dove, per citare di nuovo Zylberman, la bio sicurezza e l’implicito distanziamento sociale saranno il nuovo ordinatore sociale.
Sicuramente i ‘colti’ aspettano che le macro dinamiche diventino talmente cogenti da non poter più essere ridicolizzati per complottismo nel riconoscerle, ma fino a quel momento accuseranno di pregiudizio o di paranoia ogni interlocutore che vede una dietrologia. Perché, per finire con Sissa, mentre un complottista può essere ridimensionato nella sua inclinazione paranoidea attraverso forme ragionevoli e empiricamente controllate di valutazione della realtà, il ‘colto’ anti complottista ha la presunzione di operare già al massimo possibile delle sue funzioni cognitive, laddove in realtà ha soltanto sovrapposto ai meccanismi di difesa primitivi altri meccanismi di difesa più evoluti (da intendere razionali), la cui destrutturazione viene percepita dal soggetto con sgomento come un mero regresso al suo nucleo fondante psicotico.
Per cui, nell’attuale contesto endemico, il ceto ‘colto’ anti complottista non solo si rivela quello maggiormente soggetto ai meccanismi del pensiero magico (pensiero che esso attribuisce volentieri al popolo) ma diventa il soggetto più dannoso per la società perché, usando la propria credibilità sociale, impedisce di mettere a tema questioni molto importanti e molto urgenti, come in questo contesto la perdita delle libertà democratiche, a partire dalla sacrosanta libertà di pensiero. Intimamente il ceto ‘colto’ è anti democratico, e l’attuale epidemia ne è la conferma definitiva.
Zory Petzova, di origini bulgare, si considera un’emigrata del comunismo, anche se è venuta in Italia un po’ dopo il suo crollo, nel ’93. Laureata in Scienze Politiche, lavora nel settore dell’economia reale, commercio e arredamento.
26.05.2020
FONTE:https://comedonchisciotte.org/lepidemia-e-il-ceto-colto/
Fusaro: la strana morte del presidente del Burundi che aveva cacciato Oms
28, giugno, 2020
FONTE:https://www.imolaoggi.it/2020/06/28/fusaro-strana-morte-presidente-burundi-aveva-cacciato-oms/#comment-88840
Neanche in Italia si riesce a respirare
Comedonchisciotte.org
George Floyd è vivo e lotta insieme a noi
Il 2 giugno scorso, mentre Mattarella declamava quello che passerà alla storia come “il discorso della mascherina”, il cosiddetto “mondo social” era agitato dalla mobilitazione del “Blackout Tuesday”, in base alla quale si invitavano gli utenti di Instagram a pubblicare immagini completamente nere in segno di solidarietà con le proteste scoppiate negli USA dopo la morte di George Floyd a Minneapolis.
Sulla scia di altre iniziative simili (come il grottesco Ice Bucket Challenge di 6 anni fa), il nuovo verbo “virale” è stato dapprima irradiato dalle centrali dello show business, quindi ripreso dal parterre di vip e influencer della musica, del cinema e dello sport, giungendo infine a rimbalzare su milioni di profili in tutto il mondo: uno schema quasi perfettamente piramidale.
In Italia, dopo che il fenomeno era diventato “di tendenza” grazie al battage dei vari siti di gossip, il picco simbolico di questa mobilitazione virtuale si è avuto nella serata del 3 giugno, quando la conduttrice Myrta Merlino ha aperto la sua trasmissione “L’aria che tira” su La7 con un accorato sermone anti-Trump, inginocchiandosi poi solennemente per omaggiare George Floyd, mentre dalla regia mandavano le note dell’inno americano nella sua versione trasfigurata e distorta proposta da Jimi Hendrix a Woodstock.
L’aria giusta ha dunque preso a tirare anche da noi: nel fine settimana successivo le maggiori città italiane hanno ospitato manifestazioni e flash mob “contro il razzismo e la violenza”, durante le quali i partecipanti hanno agitato cartelli con slogan in lingua inglese, come “I can’t breathe”, “Black Lives Matter” et similia, e sono rimasti in ginocchio per 8 minuti e 46 secondi, il lasso di tempo impiegato dal poliziotto Derek Chauvin per porre fine alla vita di Floyd.
Dopo che già nella giornata di mercoledì una prima mobilitazione era stata indetta a Reggio Emilia, fra venerdì e sabato sono state coinvolte venti città (a Torino, Napoli e Firenze le manifestazioni più affollate), mentre domenica c’è stato il gran finale di questa prima ondata con gli “eventi” simultanei di Roma e Milano.
A promuovere le iniziative, com’è ormai prassi consolidata, una galassia di sigle virtuali la cui attività politica, fino all’altro ieri, si limitava a gestire una pagina Facebook: Razzismo brutta storia, NIBI: Neri italiani – Black Italians, Women’s march Rome, Giovani Europeisti Verdi; a dar manforte, altri movimenti un po’ più strutturati, come ExtinctionRebellion, Frydays for future e le immancabili 6000 sardine.
Nonostante i promotori avessero invitato tutti a “manifestare in sicurezza”, nelle piazze gremite il distanziamento sociale è andato a farsi benedire; a tal proposito, il dottor Andy Nganso, intervistato dall’Ansa in qualità di “organizzatore della manifestazione di Milano”, ha dichiarato: “Questa purtroppo è la democrazia, a volte succede così, i cittadini hanno voglia di manifestare e il nostro ruolo, come organizzatori, è quello di dare il massimo per garantire queste misure.” Incalzato dall’intervistatore che gli chiedeva, allusivo: “Non hai paura che con tutta questa gente possa succedere qualcosa?”, il dottor Nganso ha replicato: “Non ho voglia di rispondere a questo…un’altra domanda”.
Sull’obbligo di indossare le mascherine, invece, i manifestanti si son rivelati disciplinatissimi: guardando le immagini, si vedono solo persone ben mascherinate; curioso che molti abbiano scritto sulla propria “I can’t breathe”, “Non riesco a respirare”, riferendosi non ai problemi causati dal “dispositivo di protezione individuale”, ma alla frase pronunciata da Floyd mentre Chauvin premeva il suo ginocchio contro di lui, trasformando così un simbolo di imbelle sottomissione in uno di ardita ribellione.
Tre pesi e due misure
E così, mentre andavano sfumando le proteste dei cattivi, le adunate sediziose in arancione del 30 maggio, i volgari assembramenti melonian-salviniani del 2 giugno, i buoni tornavano a prendersi le piazze, disinfettandole dalle idee analfabete, dal sudore testosteronico e dalle goccioline assassine.
Il coro della stampa di regime si è prodotto in un’unanime celebrazione degli inginocchiati italiani, senza neppure una stecca, supportato anche da quelle testate più o meno giovanilistiche che di solito si occupano di tecnologie, di consumismo “intelligente”, di “nuove tendenze”, di quelli che le vetrine le ammirano e non le sfasciano.
Il mensile per donne “emancipate ed anticonformiste” Marie Claire, per dire, ha pubblicato un vero e proprio vademecum per partecipare alle manifestazioni antirazziste “in assoluta tranquillità”: fra le raccomandazioni, oltre a quella di stare “ben distanziati, mascherina d’ordinanza e gel disinfettante in tasca”, anche quella di non accettare “nessun oggetto” da untori sconosciuti, quindi niente “volantini, riviste, gadget”, vade retro alla possibilità di scambiarsi cartelli e bandiere e “men che meno le bottigliette o le borracce per bere”.
Una volta a casa, poi, appena prima di condividere la propria bontà col mondo, “gettare in un sacchetto della spazzatura mascherina, guanti, bottiglietta e chiuderlo bene, poi infilare tutti i vestiti nella lavatrice e avviare il lavaggio. E lavarsi benissimo le mani prima di toccare qualsiasi altra cosa in casa.”
Insomma, protestare ora è cool, anzi glamour (ma attenzione alla sicurezza): altri siti della stessa pasta ci hanno informato che fra i partecipanti alla manifestazione di Milano c’era l’influencer Chiara Ferragni, bardata come una fashion black bloc e sfoggiante un cartello con la scritta “Fuck racism”, mentre pochi giorni prima a Los Angeles s’era unita alla marcia l’ex velina Elisabetta Canalis, già nota per il suo impegno socio-politico.
La ben più autorevole Repubblica, invece, ha speso parole di miele per gli inginocchiati italiani, sottolineandone l’intelligenza, la responsabilità e il senso civico, glissando al contempo sui pur inevitabili assembramenti.
Assai più suggestivo è stato il pezzo scritto da Marco Damilano per l’Espresso (sottotitolo: “mentre destra ed estrema destra con le loro manifestazioni puntano sul disagio e sulla rivolta, c’è anche un’altra Italia che torna a protestare in nome della Costituzione e ora si ritrova dopo la morte di George Floyd”); in esso, l’autore distingue tre diverse piazze materializzatesi nella stessa città a distanza di poche ore: quella di estrema destra, quella di destra senza aggettivi e quella antirazzista, precisando che “La differenza delle piazze antirazziste è nella qualità, più che nei numeri” e paventando il rischio che il disagio sociale venga strumentalizzato dai cattivi fascistoidi e fascistissimi.
Egli ha fatto dunque di tre pesi due misure, interpretando perfettamente il pensiero dell’italiano neobenpensante : da un lato le piazze plebee che diffondono il contagio della loro ignoranza (oltre a quello del noto virus, avendo in uggia le mascherine), “dal lato opposto, c’è il ritorno in piazza di un’altra Italia, che protesta non per se stessa ma per i diritti di tutti”.
I professionisti dell’informazione si stanno intanto arrabattando per cercare, nel mare magnum dei manifestanti antirazzisti, nuove gretine da prima pagina: mentre si attendono intervistone a Denise Berhane, promotrice dell’iniziativa romana, ecco spuntare dal cilindro Stella Jean, stilista italo-haitiana che “ha stregato Piazza del Popolo citando la Costituzione” e l’autrice italo-somala Igiaba Scego, una che scrive per “decolonizzare la letteratura italiana”.
Il contagio delle idee
Sembra dunque che stia muovendo i primi passi un nuovo, variegato movimento di idee e di piazza in grado di catturare, per le settimane e i mesi a venire, l’attenzione ed il plauso di giornaloni e televisioni.
L’inginocchiarsi pare esserne la cifra simbolica, processo che ha trovato anche una sua rappresentazione istituzionale quando, l’8 giugno scorso, madame Boldrini si è scenograficamente genuflessa, assieme a cinque colleghi illuminati, dopo un appassionato intervento antirazzista alla Camera dei Deputati.
Provando a imbastire una critica semiotica di tale gesto, fa specie che sia stata adottata non la posa dell’oppresso George Floyd, ma quella del suo oppressore Derek Chauvin; tutto questo in un momento storico in cui viene meno la dimensione “classica” della genuflessione, quella in virtù della quale ci si inginocchia solo davanti al buon Dio: le nuove disposizioni sanitarie prevedono infatti il divieto di tale pratica durante la Santa Messa, così come è vietato ricevere in ginocchio l’Eucarestia.
I nuovi ribelli si mostrano quindi inginocchiati e imbavagliati. Per ora, si limitano a seguire le orme dei loro omologhi d’oltreoceano: nel denunciare gli abusi della polizia a stelle e strisce, ben pochi hanno menzionato analoghi misfatti perpetrati dalle nostrane forze dell’ordine, come i casi Aldrovandi e Cucchi, e nessuno, a quanto risulta, ha osato contestare le violenze su inermi cittadini perpetrate dalle divise di ogni colore durante la fase più truce del lockdown.
La stessa furia iconoclasta che sta imperversando presso i manifestanti del mondo anglofono, impegnati a tirar giù statue di odiosi negrieri ed a riscrivere la storia, ha trovato sinora da noi pochi e zoppicanti epigoni: la proposta dei “Sentinelli” milanesi di rimuovere la statua di Indro Montanelli ha diviso il fronte dei buoni, inducendo il prode Beppe Severgnini a sollevar la penna contro tale eccesso; successivamente, qualcuno è passato a vie di fatto, imbrattando la statua del giornalista collocata in un parco milanese, ma tale azione pare aver prodotto il classico effetto boomerang.
Ad ogni modo, è possibile isolare, all’interno di questo movimento di “un’altra Italia, quella che protesta per i diritti di tutti” (Damilano dixit), quattro anime distinte.
La prima fa capo ad un moto di nascente consapevolezza afro-italiana, il quale, oltre a riproporre storici cavalli di battaglia come lo ius soli e lo ius culturae, invoca visibilità e riconoscimento politico.
La seconda, rappresentabile come l’ala giovanile del movimento (“tanti giovani in piazza” è stato un altro leit motiv), si raggruppa intorno agli striscioni turbo-ambientalisti di ExtinctionRebellion e Fridays for Future: godendo già di buona stampa, sapranno dare il loro contributo.
Vi sarebbero poi le sardine, imprudentemente ibernate qualche settimana fa: la loro partecipazione è stata piuttosto discreta, ma si può ragionevolmente ipotizzare un più marcato coinvolgimento nelle prossime occasioni.
Infine, ha fatto capolino nelle piazze ciò che resta della sinistra “antagonista”, soprattutto nelle sue componenti “movimentiste”: i presidi di Napoli e Firenze, tenutisi davanti ai consolati americani, son stati principalmente cosa loro.
Si assiste dunque ad un fecondo contagio di idee, mentre il virus cattivo si gira dall’altra parte: ovunque ruggiranno le belve del razzismo, del fascismo e del sovranismo, i paladini del Bene Assoluto sapranno superare sofismi e divisioni.
Il più grande poeta afro-italiano
Ora, se tutto ciò fosse una cosa seria e non una messinscena mediatica col concorso più o meno inconsapevole di tante anime belle, il leader del movimento degli inginocchiati italiani non potrebbe che essere il sindacalista
Aboubakar Soumahoro, assurto agli onori delle cronache dopo aver guidato le proteste seguite all’omicidio del bracciante Soumaila Sacko, avvenuto nel 2018 nelle campagne di San Calogero, in Calabria, e soprattutto dopo essersi guadagnato la prima pagina de l’Espresso in funzione anti-Salvini ed essere stato ospite di Diego “Zoro” Bianchi nel suo “Propaganda live”.
Il buon Soumahoro, ahilui, ha il difetto di apparire troppo “rosso” e, soprattutto, assai poco “pop”: che appeal volete che abbiano i baraccati che raccolgono arance nella piana di Gioa Tauro o pomodori nella Capitanata?
Declinante appare la stella di Cecile Kyenge, scottata dalla bocciatura alle ultime elezioni europee: l’oculista italo-congolese, già promotrice dell’acerbo “Afro-italian Power Initiative” , non ha prodotto sul caso Floyd neppure un cinguettio, neppure un postuccio su Facebook né su altre bacheche.
Il vuoto da lei lasciato potrebbe essere colmato da Antonella Moro Bundu, consigliera comunale a Firenze e già candidata alla carica di sindaco nel 2019 per tutta la sinistra anti-nardelliana, da Articolo 1 a Potere al Popolo.
Intervistata da Radio Popolare, l’attivista fiorentina ha dichiarato, parlando da leader in pectore: “spero che nasca un movimento che prende in considerazione quello che accade qui, che chieda a gran voce che vengano abrogati, non rivisti o cambiati, i decreti sicurezza che istituzionalizzano quella che è la differenza tra gli ultimi, che spesso sono gli immigrati. Sono leggi che discriminano, e che portano a quel razzismo che vediamo sia in Italia che all’estero.”
Va detto che un movimento simile esiste già: si tratta di “Cara Italia”, la creatura di Stephen Ogongo, l’ex sardina romana che finì nell’occhio del ciclone per alcune improvvide dichiarazioni su CasaPound.
Sparito dai radar e di fatto ostracizzato dalla stampa dopo i suoi cinque giorni di celebrità, Ogongo si candida a rappresentare l’ala dura degli inginocchiati: su Twitter, è arrivato a bollare come “ipocrisia vergognosa e spaventosa” il già descritto gesto della Boldrini alla Camera.
Se quindi la politica ed il sindacato appaiono poco attraenti e “cool”, potenziali portavoce del sorgente movimento potrebbero giungere dal mondo dello sport.
Il neodisoccupato Mario Balotelli potrebbe avere un futuro in tal senso: nei giorni scorsi, dopo essersi fatto tatuare la scritta “Black power” sopra l’occhio destro ed essersi celebrato attraverso le sue vetrine virtuali, ha pure partecipato alla manifestazione antirazzista per George Floyd nella sua Brescia.
Troppo giovani sembrano invece la pallavolista Paola Egonu e la discobola Daisy Osakue, la protagonista del famigerato episodio dell’uovo in un occhio, “schifoso razzismo” derubricato poi a “ragazzata” quando si scoprì che uno dei lanciatori era figlio di un consigliere comunale piddino di Vinovo, nel torinese.
E alla fine, cosa c’è di più pop della musica pop?
Mentre esponenti della scena rap e trap nazionale tributano una manieristica adesione al “Black Lives Matter”, un contributo molto più incisivo alla causa potrebbe giungere da quello che è, a tutti gli effetti, il più grande poeta afro-italiano: Paul Yeboah, dai più conosciuto come BelloFigo.
Già noto al grande pubblico per le sue pungenti canzoni antirazziste (“Non pago affitto” la più celebre), il verseggiatore italo-ghanese seppe farsi apprezzare dall’universo antifascista quando “trollò” in diretta televisiva Alessandra Mussolini, nel dicembre 2016, episodio che gli costò l’ostilità dell’estrema destra e l’annullamento di alcuni concerti per motivi di ordine pubblico.
Sempre attento all’attualità (vedi la recente hit “Coronavirus”), autore impegnato (come si diceva una volta) e cultore della licenza poetica, pure romanziere autobiografico nella sua prima opera scritta,“Swag Negro”, il nostro si è espresso, incalzato dai suoi seguaci, anche sulle recenti vicende americane.
A questo proposito, ha dichiarato urbi et orbi attraverso Instagram: “Io non mi fido dei poliziotti americani perché lui probabilmente l’avrà ammazzato perché è nero, ce l’ha più grosso di lui, quindi i neri vengono ammazzati perché ce l’hanno più grosso“, fondendo brillantemente satira, sociologia, raffinata dietrologia.
Successivamente, è salito anche lui sulle barricate: “Dite agli americani di continuare a spaccare tutto perché solo così chi è razzista davvero può capire, perché quando ti spaccan tutto lì vedrai che è meglio la pace“, chiudendo con il profetico avvertimento: “fra poco arrivano in Europa, vedrete“.
Attendiamo trepidanti un suo pezzo di supporto alle proteste in atto: potrà diventare l’inno degli inginocchiati italiani.
FONTE:https://comedonchisciotte.org/neanche-in-italia-si-riesce-a-respirare/
La lobby psicopedagogica
Lisa Stanton 25 06 2020
La lobby psicopedagogica è così potente che c’è chi crede siano algoritmi che vivono nel sottosuolo del MIUR. Essa alimenta tutte le facoltà e i dipartimenti di Scienze della formazione. E poichè ha concluso che la scuola è il principale focolaio del Covid, un luogo di inarrestabile contagio, per tutelare la salute pubblica, ha deciso di smantellarla.
Gli studenti italiani non hanno studiato per mesi e per mesi non hanno scritto quasi più a mano, neanche a stampatello. Avevo scritto dell’odio di Renzi verso il corsivo, che è odio verso l’interiorità, e di come esso limiti lo sviluppo mentale e motorio dei ragazzi. La “buonascuola” osteggia l’uso del corsivo, che è espressione e forma più personale (e quindi spirituale), perchè osteggia il bambino e il suo mondo interiore, costringendolo in forme omologate. E i docenti, che pur non hanno partorito una simile imbecillità, hanno accettato che potesse applicarsi.
Agli esami di maturità i candidati devono raccontare in cosa sia consistita la loro esperienza di alternanza scuola-lavoro. Anche questa prova testimonia il profondo disprezzo che i soloni del MIUR provano per la scuola e l’insegnamento. Gli insegnanti ed ovviamente i genitori dovrebbero protestare in pubblico per le attività che i maturandi devono espletare. I docenti non possono però limitarsi a criticare le norme assurde partorite da Renzi con la L. 107/2015: l’aver sfasciato tutto non giova certo al corpo docente, il cui ruolo è relegato ai margini e presto sarà sostituito da un robot esperto nella didattica a distanza.
Quella legge è opera di decine di sociopatici, ma gli interessi sono molto più limitati ed infimi. Una riforma di quella ampiezza e radicalità piaceva certo ai soloni ed era cosa gradita e auspicata, ma la logica a monte era semplicissima: il potere. I Presidi del passato erano cosa molto diversa dai Dirigenti Scolastici del presente. Il potere manageriale, al pari del capo ufficio sui dipendenti, si estrinseca nell’obbedienza con cui il DS soddisfa il suo ego. E i docenti hanno perso da tempo capacità organizzativa e sindacale: qualcuno di loro si adegua, qualcun altro protesta sottovoce.
L’ultimo messaggio della ministra Azzolina è chiaro. Dopo 3 mesi di riunioni, centinaia di esperti, progetti e taskforce al MIUR hanno gettato la spugna: “Arrangiatevi!”. Il problema pare irrisolvibile, le classi sono troppo numerose per rispettare il distanziamento imposto nelle poche aule a disposizione. Dividendo le classi si perde la continuità d’insegnamento, si riducono le ore di lezione e, in ogni caso, non bastano né i docenti né i locali. Le risorse stanziate sono insufficienti per cui a settembre la didattica a distanza continuerà, salvo rare eccezioni, e sarà il colpo mortale per la scuola.
Il vero modello scolastico verso cui dirigono il paese è quello coloniale: bassa scolarità e alta ideologizzazione per tutti, mentre le classi dirigenti si formeranno altrove secondo criteri antinazionali. I docenti, col loro patrimonio di cultura, il loro ruolo sociale, non avrebbero dovuto consentire lo smantellamento dell’insegnamento, del quale saranno inevitabilmente vittime
FONTE:
https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=3317256501625936&id=100000248554468
LE AUTOPSIE VIETATE – La precisazione del dottor Manera
Come ora è noto, fu dopo le cinquanta autopsie che il gruppo di medici lombardi scoprì e rettificò l’errore di diagnosi. Siccome non mi era ancora chiaro da chi fosse venuuto il divieto – dal ministro Speranza, ossia dal potere esecutivo? Dalla Procura di Milano, ossia dal giuidiziario?, l’ho chiesto per mail al dottor Stefano Manera, il primo che nel famoso tweet segnalò l’errore di diagnosi. Ecco la sua risposta
“La circolare diffusa il 2 aprile a tutti gli ospedali italiani dal Ministero della Salute retto da Roberto Speranza, diceva: “Per l’intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di Covid-19, sia se deceduti in corso di ricovero presso un reparto ospedaliero sia se deceduti presso il proprio domicilio“.
Questa indicazione ministeriale risale già all’inizio dell’epidemia perché gli ospedali autorizzati ad eseguire autopsie erano solo quelli dotati di sala autoptica con requisiti di sicurezza elevati (ospedale Sacco, PGXXIII, Spallanzani…).
Questa indicazione è stata interpretata ed utilizzata come divieto nel marasma gestionale.
Tutte le autopsie, tranne «quelle indispensabili», non erano da eseguire, lo comunicó il procuratore di Milano, Francesco Greco, in una circolare interna nella quale motiva a la decisione con «ragioni di sicurezza».
C’era tra l’altro anche il problema del luogo in cui sarebbero dovute essere svolte, ossia l’ospedale cittadino Sacco, che risultava «già oberato» a causa del virus che aveva colpito soprattutto la Lombardia.
La decisione fu presa su esplicita richiesta dell’istituto di Medicina Legale.
La saluto cordialmente e rimango a sua disposizione per ogni ulteriore chiarimento.
Dott. Stefano Manera
Grazie, dottore
Aggiungo l’intervista fattagli da Massimo Mazzucco:
VIDEO QUI: https://youtu.be/vnV3gIsprpQ
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/le-autopsie-vietate-la-precisazione-del-dottor-manera/
Contro la Gabanelli, sul contante
(Stefania Maurizi è la giornalista, ex Repubblica, ex Espresso, che lotta da anni per liberare Julian Assange )
1. oggi c’è un articolo che mi accende: è l’intervista di @gbarbacetto a #MilenaGabanelli, che dice: “In fondo, chi non può fare a meno del contante? Chi evade, chi fa il nero, gli spacciatori, i corruttori”:
Con tutto il rispetto per #Gabanelli è FALSO
14. questa è la campagna dell’#AmericanCivilLibertiesUnion(ACLU) contro l’abolizione del #contante (inglese):
SCUSATEMI MA NON CREDO ALLA STORIA DEGLI HACKER ALL’INPS
Il fantasmagorico flop del sistema informatico dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale sarebbe stato causato da un attacco di pirateria informatica. E, a leggere i vari giornali, a dirlo sono gli “investigatori”.
Si sarebbe portati a pensare ad un vero e proprio scoop, frutto di notizie provenienti dalla Procura di Roma che sta svolgendo indagini in proposito. Si potrebbe persino immaginare qualche rivelazione in anteprima circa l’esito di approfondimenti tecnici svolti dalla polizia giudiziaria su delega del Pubblico Ministero titolare del procedimento penale.
Invece no.
A rivalutare Pasquale Tridico e a mortificare chi ne ha criticato l’operato, ci sarebbe un “Report 2” (di cui, nonostante una minima confidenza con la Rete, non sono riuscito a trovarne copia online) del cosiddetto “Organismo permanente di monitoraggio e analisi sui rischi di infiltrazione nell’Economia da parte della criminalità organizzata di tipo mafioso”.
L’entità in questione si incardina nel fenomeno eutrofico delle task force che ha caratterizzato la primavera di quest’anno. Come si legge su Il Sole 24 Ore del 4 Aprile 2020, sarebbe stato istituito con apposito decreto dal Direttore generale del Dipartimento di Pubblica Sicurezza (nonché Capo della Polizia) prefetto Franco Gabrielli, presieduto dal prefetto Vittorio Rizzi (direttore centrale della Polizia Criminale) e composto dai rappresentanti di Carabinieri, Guardia di Finanza e Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP).
È questo Organismo ad aver accertato l’attacco hacker, in barba al coro unanime degli “addetti ai lavori” che escludevano interferenze esterne e al lavoro degli uffici giudiziari della Capitale.
Adesso chi lo dice al sostituto procuratore che le indagini le stava facendo davvero?
Il non meglio identificato “Report 2” (di cui ci sarebbe traccia solo nei comunicati stampa del Ministero dell’Interno che prontamente sono stati ripresi dai più solerti giornalisti) parlerebbe di un attacco DDOS ovvero Distributed Denial Of Service.
Cos’è il DDOS? Si tratta di un “fuori servizio” determinato da un volume di richieste superiore alla capacità di risposta del sistema informatico. Una sorta di sovraccarico.
La ricostruzione (che piacerebbe leggere con attenzione, magari – perché no? – per imparare qualcosa) secondo quel che riporta la stampa avrebbe portato ad individuare un intervento da parte degli hacker che si sarebbe sommato al già debordante impatto determinato da tutti i partecipanti al “click-day” per l’ottenimento del bonus per i lavoratori autonomi.
Il cosiddetto “Organismo permanente di monitoraggio e analisi” metterebbe una pietra tombale sulla catastrofe digitale dell’INPS. La colpa sarebbe di non meglio identificati briganti hi-tech.
Tutti gli esperti di cyber security che non riescono a nascondere una profonda devozione per San Tommaso credo abbiano serie difficoltà ad accettare una versione dei fatti basata su un rapporto di una pur stimata compagine istituzionale, piuttosto che sull’esito delle indagini di una Procura della Repubblica che ha acquisito i log di sistema e ogni altra informazione tecnica che hanno fotografato l’accaduto.
Spiace spegnere l’entusiasmo di chi assolve tout court il Presidente dell’Istituto Previdenziale e i suoi pretoriani. E poi, diciamocela tutta, entusiasmo per cosa? Per non essere (se mai fosse) stati capaci di difendere archivi elettronici e procedure dal rischio (certo non nuovo) di attacchi informatici? Entusiasmo per aver finalmente scoperto che il crimine organizzato si avvale di hacker per influenzare la vita di un Paese, per destabilizzare e per esercitare potere?
Chi ha buona memoria ricorda nitidamente che quell’indimenticabile primo di Aprile, oltre al blackout, l’INPS riuscì a regalare la diffusione di dati personali appartenenti a soggetti diversi da quelli che cercavano di consultare le proprie informazioni. Chi accedeva al sistema via Internet – anziché ottenere i dati che lo riguardavano – ha visto apparire sullo schermo anagrafiche e dettagli riferiti ad altre persone che probabilmente non hanno avuto piacere nel venire a conoscenza di una così imbarazzante …trasparenza.
Tra poco salterà fuori che anche il provvedimento dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali (di cui si consiglia vivamente la lettura) nei confronti dell’INPS è da rivedere. Ora chi glielo racconta al dottor Antonello Soro e ai suoi qualificatissimi funzionari che è tutta colpa di chissà quale brigante telematico? Io stesso, che ho plaudito all’iniziativa del Garante, dovrò sentirmi in imbarazzo?
Il “Report 2” sarà sicuramente un documento interessante, basato su rigorose analisi, pregno di riflessioni e ulteriori spunti, ma mi sorprende – come nel caso INPS – possa arrivare a conclusioni che sarebbero di competenza di altri organi dello Stato attualmente ancora al lavoro.
Se chi ha titolato “tutta colpa degli hacker” pensa – con spirito patriottico – di aver contribuito a frenarel’erosione della credibilità delle Istituzioni, probabilmente sbaglia. Le termiti che stanno divorando l’architettura di questa Nazione continuano a muovere le loro affilate mascelle, incuranti della stampa compiacente e delle promesse che i politici ogni giorno elargiscono a piene mani nella consapevolezza di non poter mantenere.
E’ venuto il momento dei fatti concreti. Non appena qualcuno – magari inciampando – staccherà la spina al megafono del ritrito #andràtuttobene, la criminalità organizzata (che nel frattempo sta digerendo quel che fagocita grazie alla grande disponibilità di liquidità) passerà alla sua Fase 2 e andrà a soffiare sul fuoco del disagio sociale. E quel dannato giorno le chiacchiere, i comunicati ufficiali e le conferenze stampa da happy hour del sabato sera non basteranno più.
FONTE:https://www.infosec.news/2020/06/27/editoriale/scusatemi-ma-non-credo-alla-storia-degli-hacker-allinps/
Le vite bianche non contano
William Engdahl ( https://www.globalresearch.ca/america-own-color-revolution/5716153 ) spiega da dove provengono i soldi per Black Matter, Antifa, Act Blue e i partner associati all’organizzazione socialista per il rovesciamento del “whiteness ” (biancore)— la Ford Foundation, le fondazioni di Soros, Kellogg Foundation, Ben & Jerry’s, Hewlett Foundation, Rockefeller Foundation, Heinz Foundation, Apple, Disney, Nike.
Con George Washington, Thomas Jefferson, Ulysses S. Grant, Robert E. Lee e Teddy Roosevelt eliminati, Gesù e il cristianesimo sono in fila per finire. Le immagini di Gesù in statue, dipinti e vetrate sono una “forma grossolana di supremazia bianca” –
È un errore riderne. L’intenzione razzista di cancellare la civiltà bianca è seria. È l’obiettivo principale dell’educazione americana, dei media e del ‘Project 1619′ del New York Times.
Non succede nulla ai criminali che distruggono la proprietà pubblica. L’establishment bianco ha ceduto loro il diritto di distruggere qualsiasi cosa dicano che li offenda, comprese le imprese.
L’establishment bianco funge da agente per Black Lives Matter. A New York City l’American Museum of Natural History ha chiesto al sindaco democratico di rimuovere la statua del presidente Theodore Roosevelt che adorna i gradini del museo (img a sx)
La statua raffigura Roosevelt a cavallo affiancato da un muscoloso e determinato americano nero e da un nativo americano. Si dice che la statua sia un’espressione della supremazia bianca, un’accusa che non ha senso. Perché un suprematista bianco vorrebbe che il suo monumento fosse contaminato dalla presenza di esseri inferiori a cui lui o lo scultore si sentono superiori? La rimozione della statua è giustificata come passo inclusivo. Ma la statua è inclusiva: le tre razze di quel tempo sono incluse. Rimuovere la statua è un atto di razzismo contro i bianchi.
E quello è lo scopo. I bianchi vengono umiliati perché resi invisibili. Nessuna statua a loro è permesso.
Ovunque vediamo striscioni che proclamano Black Lives Matter. L’esclusione del banner di altre vite non maledice il banner come razzista. Ma quando uno striscione proclama White Lives Matter e sorvola uno stadio di calcio britannico, questo è stato oggetto di indagini da parte della polizia come possibile offesa dell’ordine pubblico aggravata dal punto di vista razziale. Lo stendardo “razzista” era una risposta all’omicidio del giorno precedente di tre bianchi da parte di un immigrato libico invasore in un parco pubblico a Reading, in Inghilterra.
La squadra di calcio Burnley in gran parte bianca e il CEO bianco della squadra si sono “vergognati e sentiti in imbarazzati” a dir loro dalla dichiarazione razzista White Lives Matter – https://www.bbc.com/sport/football/53145201 . Il CEO bianco del team ha dichiarato che lo stendardo ha incitato all’odio razziale— https://edition.cnn.com/2020/06/24/football/burnley-white-lives-matter-banner-wajid-khan-neil-hart-emile-heskey -spt-intl / index.html .
La squadra di calcio si è scusata per qualcosa che non ha fatto, ha denunciato il “banner offensivo” e ha dichiarato che la squadra “collaborerà pienamente con le autorità per identificare i responsabili e intraprendere le azioni appropriate“.
VIDEO QUI: https://youtu.be/ej82Qz5jXY0
Sei una persona bianca e addormentata, come osi pensare che la tua vita sia importante. Saranno prese misure appropriate nei tuoi confronti.
La CNN ha detto che lo striscione White Lives Matter è una “nota discordante” per una squadra che si è inginocchiata in omaggio al potere nero e al posto dei loro nomi sulle loro maglie aveva “Black Lives Matter“, in memoria di George Floyd morto per sovradosaggio di una droga pericolosa.
Che cosa sta succedendo? L’inclusione dei neri e l’esclusione dei bianchi?
Il messaggio conta solo per le vite dei neri?
Una razza ha un futuro quando non è in grado di riconoscere che è sotto attacco e al posto di autodifendersi si prostra?
FONTE:https://sadefenza.blogspot.com/2020/06/le-vite-bianche-non-contano.html
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Lettera aperta, punti di vista su COVID
Grazia o verità come scelta nella vita – sono raffigurate con le parole verità e grazia, sulle porte per mostrare che verità e grazia sono diverse opzioni tra cui scegliere
Caro Amico Umano,
Non sono sicuro di cosa sia successo alla nostra società, ma mi rende molto triste. Viviamo in un mondo pazzo che fa sentire molti di noi al sicuro. Ho scoperto che il nostro disagio per come stanno le cose, spesso, ci fa rispondere con intensità alle opinioni degli altri. In verità, sarebbe meglio se potessimo avere conversazioni sincere e guardare le questioni critiche a portata di mano da ogni punto di vista possibile.
Questo non è facile da fare perché ci viene detto e incoraggiato a esprimere un giudizio su qualsiasi visione alternativa che metta in discussione la narrazione ufficiale. E non sono sicuro che ne siate nemmeno a conoscenza, ma qualsiasi visione contraria alla narrativa “ufficiale” viene istantaneamente etichettata come “teoria della cospirazione” e gettata in una scatola con ogni altra visione alternativa. Questo è vero anche se molti di questi credenti sono diversi l’uno dall’altro e supportati da molte prove.
Inoltre, potreste anche non essere consapevoli, ma quest’anno è stato particolarmente impegnativo per chiunque offra prove alternative alla narrativa ufficiale perché i loro video su Youtube, le informazioni su Facebook, le risposte di Twitter, ecc. Sono stati censurati. Questo è un fatto. Le loro opere vengono letteralmente tolte da Internet, a volte con la stessa velocità con cui vengono condivise. È un modo per controllare la narrazione ed è molto efficace. È esattamente quello che è successo in Germania prima della Seconda Guerra Mondiale. È anche un modello propa-ganda che accade nelle società fasciste e comuniste estreme (notare l’estrema SINISTRA e DESTRA ). Il posto migliore dove vivere è nel mezzo. È qui che vive la neutralità.
Forse non siete a conoscenza di quanto segue. Molte persone non lo sono. Sapevate che tutti i principali punti di informazione, giornali, reti radio, reti televisive, agenzie di marketing, ecc. Sono di proprietà di 6 società di grandi dimensioni? Alcuni di questi hanno legami con organizzazioni governative globali come la CIA, l’OMS, le Nazioni Unite, il FMI e altro. Controllano facilmente la narrazione e hanno lentamente, nel corso dei decenni, aumentato tale controllo. Ora, non vi sto chiedendo di credermi. Non sto cercando di convincere nessuno che abbia una visione diversa. In effetti, onoro la vostra opinione. Sto esprimendo la mia opinione perché, almeno per ora, posso ancora farlo. Non abbiamo ancora perso i nostri primi diritti , ma siamo vicini.
Quindi, perché sto esprimendo la mia opinione quando so che potrei ricevere dell’ira dal pubblico? Sto parlando per coloro che hanno iniziato a mettere in discussione criticamente la narrazione perché possono vedere che c’è qualcosa di molto sbagliato nella società globale. Ero uno di loro molti anni fa. In effetti, penso che potrei essere stato esattamente dove siete ora. E quando iniziate a indagare per la prima volta e trovate prove per sostenere l’idea che ci sono persone ai vertici che sono sociopatiche nella loro ricerca di potere e avidità e che non si preoccupano affatto del pubblico, questo è molto spaventoso e travolgente. Sto parlando di fornire supporto e informazioni a queste persone.
Poiché vi amo e vi rispetto così tanto, amici miei, chiedo lo stesso amore e rispetto per le mie opinioni. Non sono pazze. Ma se vi fa sentire meglio crederci, allora starei davvero meglio. Ci tengo troppo a voi per trattenere la rabbia. In questo momento, abbiamo ancora la libertà di parola. Sono grato per questo. Alla fine saprò di aver detto la mia verità. Questo è molto importante.
Grazie per aver ascoltato e considerato il mio punto di vista. Lo apprezzo davvero.
BELPAESE DA SALVARE
Obbedienza Pronta Cieca Assoluta (a Bill)
Bill Gates: ll quadro del Covid-19 è più tetro del previsto
Il fondatore di Microsoft Bill Gates dice ad Anderson Cooper della CNN e al dott. Sanjay Gupta che l’attuale quadro del coronavirus, sia a livello globale che negli Stati Uniti, è più cupo di quanto si aspettasse.
Agli ordini! Ecco sull’attenti il Ministro Disperanza:
Speranza: “Coronavirus non vinto, mascherine e distanze fino al vaccino”
“Il virus non è vinto, ancora circola e ci sono persone che perdono la vita. Non siamo alla fine… utilizzare le mascherine e a rispettare le regole di distanziamento fino a quando non arriverà “un vaccino sicuro, capace di dare una risposta vera a tutti i nostri concittadini”.
Il Viminale! ecco i risultati della caccia all’uomo!
Il Viminale
@Viminale
Controlli anti #COVID19 del #25giugno su: 63.795 persone
- 22 sanzionate;
- 4 denunciate per violazione della quarantena;
- 12.589 attività o esercizi commerciali;
- 6 titolari sanzionati;
- 4 chiusure di attività;
https://twitter.com/Viminale/status/1276496960590163971
Boccia: “Covid non sarà finito finché non ce lo dirà Speranza”
“Il Covid è ancora tra noi e finché il ministro Speranza non ci dirà che è finito non sarà finito”. Così il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia,
Coronavirus, Oms: “Come la Spagnola, giù in estate e poi ripresa feroce a settembre e ottobre”
Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), risponde alla lettera di esperti che hanno parlato di “emergenza finita”. “Quell’influenza fece 50 milioni di morti durante la seconda ondata”
Crisanti: «Asintomatici non diffondono il virus? Mi cadono le braccia»
Il virologo: «Messaggio inopportuno, incoraggia comportamenti non in linea con la strategia prudenziale adottata dal governo nell’emergenza. Serve umiltà»
‘IL CORONAVIRUS ERA IN EUROPA GIÀ A MARZO 2019’ – UNA RICERCA DELL’UNIVERSITÀ DI BARCELLONA… ow.ly/PFlF102hHO9
Focolaio Bartolini Bologna, oltre 60 casi. Ausl: “In magazzino uso saltuario delle mascherine”
Coronavirus, a Fiumicino positivo dipendente di un ristorante. Il sindaco: “Tampone e isolamento per i clienti”
“Tutti coloro che lo hanno frequentato a partire dal giorno 21 giugno devono recarsi alla Asl di via Casal Bernocchi ad Acilia per sottoporsi al tampone e rimanere, da subito, in isolamento”
http://www.romatoday.it/attualita/coronavirus-fiumicino-positivo-dipendente-ristorante.html
Vaccinare i bambini!
Vaccino coronavirus: cattive notizie per gli anziani a rischio
“Il vaccino per il coronavirus potrebbe non funzionare sulle persone anziane e a rischio, avvertono gli scienziati. La soluzione più efficace, dicono, sarebbe dunque quella di immunizzare i bambini e i giovani affinché proteggano i nonni dall’infezione”.
https://www.money.it/Vaccino-coronavirus-cattive-notizie-anziani-a-rischio
Per i più piccini! Imparate giocando a denunciare i positivi!
Notizie dalla Spagna:
Febbre a 39,5 e svenimenti, ecco i primi effetti secondari del vaccino contro il Covid
Fiebre alta y desmayos: los primeros efectos secundarios de las vacunas contra la Covid-19
EL MUNDO
Madrid
La vacuna de Moderna contra el coronavirus ya ha sido probada con voluntarios, que han experimentado los primeros efectos secundarios donde destacan los desmayos y la fiebre alta.,..
Dimenticavo: che bisogno c’è della Scenza? Createvi da voi i vostri infetti! Con Google potete!
(da un giovane amico:)
Ora ti spiego passo passo.
Foto 1 Apri Google il motore di ricerca che ha anche il tuo telefonino
Foto 2 Digita un numero qualsiasi di tre cifre, da 100 a 999. Io ho scelto 468
Foto 3 Ora digita, dopo il numero che hai scelto, le due parole NEW CASES, come vedi. Premi invio
Foto 4 L’algoritmo criminale Google genera automaticamente articoli FALSI che ti dicono dove nel mondo sono apparsi i nuovi casi FALSI di coronavirus, del numero scelto a piacere da te. Funziona anche a 4 cifre ma non oltre il numero 3000.
Questa cosa è gravissima perché come possono inventare notizie false per le ricerche individuali, così possono farlo allo stesso modo per qualunque cosa dicano in televisione. È la dimostrazione definitiva che non ci si può fidare di nessuna notizia dei massimi media che non sia tale da poter essere controllato personalmente dal soggetto. Lo sapevamo già ma vederlo dimostrato così, numericamente, fa un grande effetto.
VIDEO QUI: https://youtu.be/KxaglgJ_n44
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/obbedienza-pronta-cieca-assoluta-a-bill/
CONFLITTI GEOPOLITICI
METTONO LA RUSSIA CON LE SPALLE AL MURO
(e noi crediamo di sapere, da Irlmaier, come finirà). Da DWN, titolo originale:
L’Occidente potrebbe investire in Russia: invece investe in nuove armi
di Ronald Barazon
Mosca vuole salvare il trattato sul disarmo di START. Ma gli Stati Uniti dicono “no”.
Il mondo è pieno di armi costose e potenti, e in questo ambiente l’ex seconda potenza mondiale, dopo gli Stati Uniti, la Russia, si ritrova alle spalle. Il paese soffre di una crisi economica in corso, ma vuole mantenere la sua posizione internazionale. Il fatto è che il 90 percento delle armi nucleari del mondo sono di proprietà di due ex rivali della Guerra Fredda. Le statistiche mostrano persino la Russia con 6.375 testate nucleari, davanti agli Stati Uniti con 5.800 bombe.
L’anno scorso gli Stati Uniti hanno rotto il trattato INF con la Russia: il trattato prevedeva l’eliminazione delle “Forze nucleari a raggio intermedio” (armi nucleari a corto e medio raggio) e riguardava missili nucleari terrestri con gamme comprese tra 500 e 1.000 e tra 1.000 e 5.500 chilometri. Il secondo importante accordo di disarmo tra Stati Uniti e Russia, START (Trattato sulla riduzione delle armi strategiche) termina nel febbraio 2021. La Russia sta ora cercando di salvare almeno questo trattato; un breve ciclo di negoziati ha avuto luogo a Vienna la scorsa settimana Gli Stati Uniti sono pronti a negoziare una continuazione di START se la Cina partecipa all’accordo, ma Pechino [che ha meno di 300 testate e ancor meno vettori per lanciarle] respinge categoricamente questa richiesta.
Una sfilata per nascondere i punti deboli e celebrare Putin
Quindi la Russia si sente costretta a tenere il passo con la corsa agli armamenti, ma con un budget militare stimato di $ 60 miliardi nel 2019 è solo il quarto dietro gli Stati Uniti, la Cina e persino l’India. Per nascondere la posizione debole, mercoledì 24 giugno si è tenuta a Mosca una parata militare su larga scala per mostrare la forza attuale e commemorare la vittoria sulla Germania nazista. La fine della seconda guerra mondiale viene solitamente celebrata a maggio, ma ciò non è stato possibile a causa della crisi di Corona. Anche il voto sulla nuova costituzione russa fu rinviato, il che diede a Vladimir Putin l’opportunità di prolungare il suo regno, che era durato venti anni, di altri dodici.
Quindi la parata non era solo uno spettacolo del potere militare russo. Con un discorso fiammeggiante, Putin si è presentato come il leader necessario in tempi difficili, come lo “zar di tutti i russi”, e ha messo a dura prova l’orgoglio nazionale che era saldamente ancorato alla popolazione. Il voto sulla costituzione ha luogo ufficialmente il 1 ° luglio (mercoledì prossimo), ma puoi votare dal 25 giugno, cioè dal giorno successivo alla sfilata, se l’emozione sta ancora producendo un effetto. In generale, è prevista un’alta approvazione della riforma costituzionale di Putin.
Le critiche sono comunque forti: secondo l’attuale costituzione, Putin dovrebbe dimettersi nel 2024. Anche la messa in scena ha incontrato proteste; Il paese ha oltre 614.000 persone infette da Covid, di cui 240.000 non stanno ancora bene, e il numero di morti è 8.600. È probabile che il numero di casi non segnalati sia elevato; il numero di test è relativamente piccolo. In queste circostanze, il grande evento della parata con migliaia di spettatori è irresponsabile, sottolineano gli avversari di Putin.
I guadagni medi hanno avuto un reddito reale in calo da anni
Anche se i russi tradizionalmente agiscono in modo piuttosto emotivo e sono molto ricettivi agli appelli all’orgoglio nazionale, in definitiva la realtà economica della vita quotidiana è decisiva. E questo non sembra particolarmente roseo alla stragrande maggioranza.
- Il problema principale è il fatto che i redditi reali sono in costante calo dal 2014, dopo lo scoppio della crisi ucraina, e nel 2018 erano dell’8% inferiori al livello del 2013.
- Nel 2019 c’è stata una leggera ripresa, ma ciò è stato compensato da un aumento dell’IVA.
- Va anche notato che i redditi non sono generalmente molto alti e si aggirano intorno ai 700 euro al mese, ma i prezzi non sono significativamente inferiori rispetto all’Europa occidentale, ad esempio. In Russia, in media, è stato possibile andare in giro ragionevolmente bene per molto tempo con grande abilità e attingendo a fonti economiche.
- La crisi economica che si è verificata in tutto il mondo a seguito dei blocchi della corona e anche in Russia ha drammaticamente aggravato la situazione.
In queste circostanze, l’entusiasmo per l’aspetto – piuttosto costoso [i russi di Wagner hanno subito un rovescio in Libia, di fatto contro la Turchia di Erdogan – ndr.] – di potenza mondiale non è naturalmente molto grande, anche se alla popolazione piace fondamentalmente vedere la Russia come un paese importante e potente. Tuttavia, non solo la vita quotidiana è noiosa, ma anche le grandi questioni economiche non mostrano un quadro positivo.
I bassi prezzi del petrolio e del gas sono un disastro per la Russia
La Russia dipende principalmente dalle esportazioni di petrolio e gas e i prezzi di questi due prodotti sono stati sotto pressione per anni e ad un livello estremamente basso nell’attuale crisi della corona.
- Il fatto che il prezzo del petrolio fosse di $ 140 al barile nel 2008 va dimenticato.
- Molti anni sono seguiti con prezzi intorno ai $ 50, nel 2018 è salito a $ 70, nel 2019 il prezzo si è fissato a $ 60.
- E quest’anno? A volte il prezzo è persino passato al meno (!!) perché la capacità di archiviazione era insufficiente. Attualmente vengono pagati $ 40, un terzo meno di un anno fa.
- Quando si parla di gas, gli attori sognano il 2005, quando a dicembre sono stati pagati 15,73 dollari per milione di unità termiche britanniche (MMBtu). Erano abituati a $ 3 per molti anni, a volte interrotti da picchi. Il prezzo è attualmente di $ 1,50.
Questi dati chiariscono perché la Russia ha difficoltà a partecipare alla corsa agli armamenti. Inoltre, il governo di Mosca evita il debito pubblico ove possibile. Di conseguenza, l’onere di una spesa militare stimata di $ 60 miliardi all’anno è sentito violentemente; soprattutto, non c’è spazio per finanziare misure per stimolare l’economia che potrebbero anche avere un impatto positivo sulla popolazione.
Il basso tasso di rublo potrebbe facilitare le esportazioni e portare capitali nel paese. Poteva.
Ma anche la situazione esterna non è buona in settori diversi dal settore energetico. La Russia avrebbe ora una possibilità: quest’anno il tasso di cambio del rublo è diminuito del 25 percento e questo fattore dovrebbe promuovere le esportazioni. Anche il capitale internazionale dovrebbe essere attratto poiché ora sarebbe possibile investire a buon mercato in Russia. Né accade per diversi motivi.
- La Russia ha solo una piccola scorta di interessanti prodotti di esportazione.
- Inoltre, le sanzioni imposte dall’UE e dagli USA a seguito della crisi ucraina stanno rallentando il campo di azione dei fornitori russi in Occidente.
- Le sanzioni impediscono anche il flusso di capitali verso la Russia.
- Inoltre, la situazione politica, economica e, ultimo ma non meno importante, in Russia è problematica. Molte parti interessate si sono ritirate perché non vogliono più accettare le disabilità dalle agenzie governative e a causa di controversie con società private e altre organizzazioni non ricevono un sostegno sufficiente da parte della polizia e della magistratura.
Pertanto, la caduta del rublo non ha alcun effetto benefico, ma solo svantaggioso: le importazioni sono costose e, di conseguenza, i prezzi dei prodotti domestici continuano a salire.
La cooperazione con l’Europa occidentale sarebbe utile per entrambe le parti
La Russia poteva liberarsi da questo circolo vizioso nel contesto di una cooperazione costruttiva con l’UE. Ma non c’è dubbio sull’atteggiamento degli europei occidentali. Significativo è stato il comportamento dei capi di Stato e di governo qualche giorno fa in occasione del vertice senza successo sulle misure per combattere la crisi economica in Europa a seguito delle misure della Corona. Alla fine dei negoziati, per così dire, è stata decisa un’estensione delle sanzioni contro la Russia. Senza lunghi dibattiti, è stato affermato che gli accordi di Minsk sulla pacificazione della situazione in Ucraina non erano stati rispettati e che le sanzioni dovevano essere prorogate.
Il fatto che le sanzioni non solo abbiano danneggiato la Russia, ma anche le società dell’UE per sei anni, è semplicemente ignorato. Si trascura inoltre che le sanzioni non hanno avuto alcun effetto, che la Crimea rimane russa e che l’Ucraina orientale ha stretti legami con Mosca. Allo stesso modo, il rapporto tra Mosca e Kiev è ora migliorato. E, naturalmente, Bruxelles non riconosce che l’UE e la NATO hanno contribuito in modo significativo alla crisi: dopo tutto, queste due organizzazioni in Ucraina hanno dato l’impressione sbagliata che il paese sarà sostenuto politicamente, militarmente ed economicamente contro la Russia.
Soprattutto, si trascura il fattore cruciale nell’UE: la Russia ha urgente bisogno di una forte crescita economica per uscire dalla situazione descritta, che dovrebbe essere sostenuta dall’Europa occidentale nel suo stesso interesse: dopo tutto, sarebbero soprattutto le società dell’UE a fungere da investitori e gli esportatori trarrebbero beneficio dalla costruzione di una moderna economia russa. Si vincolerebbe anche la Russia all’Europa e si contrasterebbe i crescenti legami con la Cina. Ciò non sarebbe particolarmente difficile, dal momento che la Cina condiscende condiscendentemente alla Russia come un fratello grande e di successo.
Non c’è tempo per una geopolitica costruttiva nell’UE
Non c’è stato tempo per misure così geopoliticamente sensate all’ultimo vertice dell’UE, solo discussioni su miliardi di Corona. E così la Russia rimane isolata e in crisi economica. L’esperienza ha dimostrato che una situazione del genere incoraggia reazioni estreme e che il paese potrebbe rivelarsi una bomba politica che ticchetta. Solo da Parigi il presidente francese Emmanuel Macron parla e chiede una nuova politica sulla Russia. Invano, comunque.
Per far deragliare il negoziato di Vienna appena cominciato, il Deep State americano ha inventato una fake news maligna:
Un’unità dell’intelligence russa avrebbe “offerto ricompense” ai talebani per gli attacchi compiuti in Afghanistan, inclusi quelli contro obiettivi americani.
Lo spiega Piccole Note, a cui rimandiamo:
Rivelazioni-bomba sui negoziati Usa-Russia sull’atomica
http://piccolenote.ilgiornale.it/45975/rivelazioni-bomba-sui-negoziati-usa-russia-su-atomica
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/mettono-la-russia-con-le-spalle-al-muro/
Rivelazioni-bomba sui negoziati Usa-Russia sull’atomica
27 GIUGNO 2020
Un’unità dell’intelligence russa avrebbe “offerto ricompense” ai talebani per gli attacchi compiuti in Afghanistan, inclusi quelli contro obiettivi americani.
La rivelazione giunge da fonti interne all’intelligence Usa ed è stata sparata dai media americani con la consueta inconsistenza giornalistica, cioè prendendo per vangelo quanto riferito da fonti interessate e di parte, use anche a manovre oscure, che più volte si sono rivelate fuorvianti (vedi Russiagate), senza porre e porsi le domande del caso.
Per rendere più odiosa la notizia, l’intelligence ha specificato che tale attività segreta avveniva mentre si “svolgevano i negoziati” tra talebani e americani, così che ai buoni americani, desiderosi di porre fine a una guerra, sono contrapposti i cattivi russi, che pervicacemente hanno proseguito la loro opera assassina nonostante le possibilità di pace.
E per renderla ancor più odiosa, e di più facile diffusione nel nostro Continente, le stesse fonti riferiscono anche che la stessa agenzia russa è responsabile di alcuni “tentati omicidi e altre attività coperte” in Europa.
Che sia una bufala è palese, e tra qualche mese, quando avrà avuto il suo effetto, è anche possibile che la menzogna di oggi verrà rivelata come tale, come avvenuto per altre similari in precedenza.
Ma non è questo il punto, piuttosto occorre interpellarsi sul perché tale notizia dirompente sia uscita proprio adesso, dopo mesi in cui la consueta attività di disinformazione riguardo asserite malefatte russe, verso i quali manca solo l’accusa di mangiare i bambini, era andata in qualche modo in sonno, per lasciar posto a informazioni similari riguardanti i cinesi.
Bomba atomica sul negoziato
Se si guarda l’agenda degli avvenimenti internazionali si può notare che la “rivelazione” cade con un tempismo perfetto. Lunedì e martedì scorso Sergei Ryabkov, viceministro degli Esteri russo, e Marshall S. Billingslea, inviato presidenziale speciale degli Stati Uniti per il controllo degli armamenti, si sono incontrati a Vienna per negoziare un prolungamento del trattato START.
Si tratta del primo incontro di alto livello tra russi e americani dopo un lungo gelo. E che è stato reso possibile dalla contro-inchiesta sul Russiagate, che ha evidenziato le manipolazioni degli investigatori Usa per costruire inesistenti legami tra i russi e lo staff di Trump nelle presidenziali 2016 (rivelazioni oscurate dai media).
Caduto il Muro di menzogne che aveva creato un abisso tra Trump e Putin, l’amministrazione Usa ha così potuto tentare di riprendere il filo del dialogo Est-Ovest, peraltro su un tema più che cruciale come quello delle armi atomiche.
L’incontro deve salvare l’ultimo trattato sulle armi nucleari che, se non sarà rinnovato, andrà a scadenza a febbraio. Data apparentemente lontana, ma non troppo, dato che i tempi di un simile negoziato sono lunghi e incombono le presidenziali Usa di novembre.
Se ci sarà un cambio della guardia alla Casa Bianca, difficilmente un nuovo inquilino avrà modo di agire in tal senso, troppo stretti i tempi.
La rivelazione di “fonti dell’intelligence” Usa è tesa a mandare a vuoto i negoziati avviati a Vienna: un rappresentante degli Stati Uniti non può accordarsi con una nazione che ha perso vite di soldati americani.
Si può immaginare il caos che deriverebbe dal decadere anche di quest’ultimo trattato sulle armi nucleari: senza tale freno, ricomincerà la corsa all’atomica.
Far cadere Putin e Trump
Presumibilmente è proprio ciò che vogliono certi ambiti internazionali votati al caos. The Nation ricorda che a spingere Trump a stracciare il trattato INF, che regolava la produzione e il dispiegamento delle atomiche a medio raggio, è stato il suo ex Consigliere alla Sicurezza nazionale John Bolton (il giornale Usa elenca gli altri suoi nefasti successi in seno all’amministrazione Usa, in un articolo in cui lo definisce, con certa puntualità, “terrorista in gessato”).
Si vuole innescare una nuova corsa agli armamenti, nell’intento di ripetere quanto avvenne per l’Unione sovietica, crollata sotto il peso del collasso dei prezzi del petrolio, già in atto, e il prosciugamento delle risorse di Mosca nella corsa nucleare (causali cui va aggiunta la guerra afghana, fattore che può ricrearsi in Siria o altrove – Ucraina?).
Non solo obiettivi di lungo periodo, la “rivelazione” vuol evitare che Trump, che sta puntando molto su questo negoziato, ottenga un successo diplomatico in vista delle presidenziali prossime venture.
L’incontro di Vienna prelude a un accordo. Ma, oltre ai negoziati a distanza, di certo proseguiti, per concluderlo serve un ulteriore incontro. Ed è certo che Trump avrebbe voluto che l’intesa si concretizzasse in un vertice tra lui e Putin.
Adesso tutto è più complicato. Ed è anzi possibile che a questa prima rivelazione si aggiungano dettagli ulteriori che la rendano ancor più odiosa, o se ne aggiungano altre dello stesso tenore. I terroristi in gessato – per stare alla definizione di The Nation – sanno fare bene il loro mestiere. Posta alta, vicenda da seguire.
FONTE:http://piccolenote.ilgiornale.it/45975/rivelazioni-bomba-sui-negoziati-usa-russia-su-atomica
PUTIN CHIUDE A GATES
Il presidente russo Vladimir Putin ha messo al bando Bill Gates e la sua società. la Microsoft. Inoltre, entrambi i colpevoli sono stati inseriti in un elenco di controllo del Servizio di sicurezza federale la causa “preoccupazioni per la sicurezza e l’affidabilità”.
È iniziata la rimozione di tutto il software Microsoft in Russia, con effetto immediato. Il portavoce del governo Sergei Zheleznyak ha spiegato che Microsoft è stata sorpresa a svolgere una sorveglianza minuto per minuto (spionaggio) su milioni di cittadini russi e su cittadini di altri paesi.
Il rapporto mette in evidenza le preoccupazioni della Russia: “Gli Stati Uniti, che si presentano come un bastione della democrazia, hanno infatti condotto una sorveglianza minuto per minuto di decine di milioni di cittadini della Russia e di altri paesi“.
“Tutte le principali società Internet che si sono formate negli Stati Uniti sono coinvolte in questa brutta storia e queste società operano sul territorio del nostro paese“, ha detto il portavoce del Cremlino.
Anche il fondatore di Microsoft Bill Gates, che è stato inserito in una lista di controllo dei servizi di sicurezza federale (FSB), è stato sollevato per una revisione, in attesa di ulteriori indagini, con le aspettative al Cremlino che si unirà a George Soros e Jacob Rothschild nella lista nera della Federazione Russa.
Bloomberg ha riferito che Artem Ermolaev, responsabile della tecnologia informatica di Mosca, e il ministro delle comunicazioni russo Nikolay Nikiforov, hanno dichiarato che Mosca sostituirà inizialmente Microsoft Exchange Server e Outlook su migliaia di computer con un sistema di posta elettronica sviluppato dalla società russa Rostelecom PJSC.
L’anno prossimo installerà software sviluppato da New Cloud Technologies, un altro fornitore di software russo, su milioni di sistemi. Anche Microsoft Office e Windows saranno sostituiti con versioni di produzione propria, ha affermato Ermolaev.
“Vogliamo che i soldi dei contribuenti e delle imprese statali vengano spesi principalmente in software locale (russo)“, ha detto Nikiforov, aggiungendo che a partire dal prossimo anno i funzionari “rafforzeranno la loro presa” sulle istituzioni statali che non optano per alternative domestiche.
MICHAEL WALSH è giornalista, emittente e autore di 64 libri in tutto il mondo con 36 anni di esperienza. Come altri giornalisti integri, non scrive più per i media delle corporation, optando invece per il vero giornalismo.
FONTE:https://sadefenza.blogspot.com/2020/06/putin-chiude-gates.html
La Cina: alta tensione su due fronti
Venti di guerra ai confini della Cina, che non promettono nulla di buono per la stabilità del continente asiatico. La Terra di mezzo si trova a dover difendere i propri interessi su due fronti a causa delle tensioni con l’India e il Giappone.
L’incidente alla frontiera India-Cina della settimana scorsa, venti i morti, continua a tenere alta la tensione tra i due Paesi, nonostante passi distensivi. Oggi la riunione via internet tra il ministro degli Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar e il suo omologo cinese Wang Yi. Iniziativa importante dato che i due non si incontravano dal febbraio del 2017.
Al vertice ha partecipato anche il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, che in qualche modo ha fatto da mediatore, anche se ha rifiutato tale ruolo spiegando che i due Paesi hanno la capacità di gestire le loro criticità (Dainik Baskhar). La riunione ha rilanciato il rapporto fra i tre, dopo il rinvio del trilaterale tra i presidenti di Russia, India e Cina previsto per la stessa data.
Distensione fragile
Il summit tra i diplomatici si è svolto in parallelo con gli incontri tra alti ufficiali dell’esercito di ambo le parti. Un combinato disposto che ha avuto l’esito di raffreddare gli animi (Timesofindia): i duellanti hanno concordato di arretrare le forze militari dal confine conteso (Dainik Jagran).
Intesa fragile, dato che l’India ha armato le sue truppe di confine dando loro “completa libertà d’azione”, ritirandosi unilateralmente dall’accordo stipulato in precedenza con la Cina, che prevedeva un confine smilitarizzato (tanto che i morti della scaramuccia erano stati causati da uno scontro a mani nude).
Secondo il Global Times si tratta di una ferita alla pace della regione, dato che un’eventuale scontro futuro, purtroppo possibile, “evolverà in un conflitto militare” tra i due Paesi.
Secondo il GT, e non a torto, con tale decisione, il presidente indiano Narendra Modi ha inteso assecondare l’ondata nazionalista suscitata dall’incidente, ma non fa altro che gettare ulteriore benzina sul fuoco.
Il GT ricorda alla controparte il divario di forze tra i due Paesi: l’India avrebbe tutto da perdere in un eventuale conflitto.
In realtà, in tale eventualità, l’India avrebbe il supporto di tutte le forze occidentali che spingono per incenerire la Cina e che vedono quanto sta accadendo tra i due Paesi come una manna dal cielo.
Il conflitto “atomico” India-Cina
Proprio per quest’ultimo fattore, il rischio che un eventuale conflitto tra i due Paesi si evolva nel primo scontro nucleare dal dopoguerra è alto. A tali forze nulla importa dell’India, che in questo caso verrebbe usata come semplice vettore di un redde rationem con Pechino.
Da qui la possibilità che spingano New Delhi a usare l’arsenale atomico: due o tre bombe nucleari sulla Cina eliminerebbero per sempre il problema di Pechino come antagonista globale dell’Occidente, vaporizzando d’un colpo tutti i sogni della Terra di Mezzo, sia come potenza individuale che come volano di un eventuale Secolo asiatico.
Nulla importando, peraltro, a tali forze delle conseguenze per l’India, che a sua volta verrebbe incenerita dalla risposta cinese.
Anzi sarebbe un problema in meno, dato che il nazionalismo indiano di cui Modi si è fatto interprete sta infastidendo non poco tali ambiti, perché l’India non è più totalmente prona a Washington (New Delhi ha acquistato gli S-400 russi nonostante il pressing avverso Usa e non ha aderito pedissequamente alle sanzioni contro l’Iran…).
L’atomica su Pyongyang
Scenario impossibile? Forse. Ma basta guardare quel che succede in Corea del Nord, dove tali ambiti vogliono a tutti i costi scatenare una guerra. Sul punto rimandiamo al bellissimo l’articolo del National Interest sull’ossessione di John Bolton per bombardare Pyongyang.
Un conflitto apparentemente del tutto inutile per gli interessi Usa, data l’insignificanza della Corea del Nord nell’agone globale (nonostante certa propaganda dica altro).
In realtà tale disegno ha un fine altro che non incenerire la Corea del Nord, e neanche tanto occulto: scatenare un conflitto atomico ai confini della Cina, perché una guerra contro Pyongyang avrebbe tale inevitabile esito dopo l’inevitabile risposta di questa alle bombe americane (Seul sarebbe devastata dalla reazione nordcoreana).
Per gli Usa sarebbe inevitabile sganciare delle atomiche su Pyongyang. E sarebbe come sganciarle sulla Cina (le radiazioni dilagherebbero, devastando per sempre il sogno cinese).
Una follia, certo, ma tale dottrina ha adepti molto potenti, basta pensare al peso di John Bolton nella politica estera Usa, sia tra i repubblicani che tra i democratici.
Guai da Oriente per il Dragone
Al di là di scenari estremi, ma non per questo impossibili, la tensione India-Cina trova sì alimento nel nazionalismo indiano, ma va sottolineato che negli ultimi tempi viene cavalcato anche dalle forze di opposizione, più vicine agli interessi dell’Occidente, che anzi, e non a caso, superano i nazionalisti nella polemica anti-cinese.
Infine, va segnalato che per la Cina arrivano guai anche dall’Oriente: il Giappone ha deciso di identificare in via ufficiale le isole che i cinesi chiamano Diaoyu come Senkaku.
È una controversia annosa e non solo nominale: sia Pechino che Tokio ne rivendicano la sovranità. Sul China Daily la dura posizione del Dragone sull’iniziativa nipponica, che getta altra benzina sul fuoco. Per la Cina è un assedio che ne rafforza il nazionalismo interno.
FONTE:http://piccolenote.ilgiornale.it/45909/la-cina-alta-tensione-su-due-fronti
Attacco a quattromila metri
Will media 27 06 2020
Nella notte tra il 15 e il 16 giugno i soldati delle due grandi potenze nucleari dell’Asia, Cina e India, hanno combattuto corpo a corpo nella valle di Galwan, che è una striscia di territorio che fa da confine fra i due paesi sui monti dell’Himalaya, a più di quattromila metri di altezza. Sono morti venti soldati indiani e forse più di quaranta soldati cinesi – è obbligatorio scrivere “forse” perché per ora la Cina non ha confermato la notizia.
I soldati si sono scontrati senza i fucili perché c’è un accordo del 1996 che vieta alle due forze militari di usare armi da fuoco a meno di due chilometri da quella linea di confine, per evitare un’escalation che porterebbe verso la guerra. Gli indiani accusano i cinesi di avere organizzato una spedizione punitiva prima dell’alba con trecento uomini contro il loro campo e di avere usato mazze chiodate e bastoni avvolti nel filo spinato. Sempre secondo gli indiani, che stanno vivendo questa storia come un insulto gravissimo alla loro nazione, molti soldati sono morti perché sono precipitati nelle pietraie e nel fiume sotto al campo mentre scappavano e la temperatura fredda ha fatto il resto.
Da tempo c’era tensione nell’area. Gli indiani stanno rafforzando le fortificazioni in quella zona, i cinesi hanno risposto con l’occupazione di un’area che non sarebbe loro. La settimana scorsa i soldati indiani avrebbero bruciato una tenda montata dai cinesi fuori dal loro territorio e il raid notturno sarebbe la rappresaglia dei cinesi. Se ci fosse una guerra convenzionale l’India non avrebbe speranze contro la Cina, ma i due paesi non vogliono arrivare a un conflitto e infatti le dichiarazioni dei due governi in questi giorni sono molto asciutte e sottotono per evitare provocazioni. Oggi la Cina ha liberato dieci soldati indiani catturati durante il raid.
FONTE:
https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=173752124177891&id=100964541456650
CULTURA
LA BELLEZZA DELLA DISILLUSIONE: «LA BELLA ESTATE» DI CESARE PAVESE
La bella estate, pubblicata da Cesare Pavese nel 1949, un anno prima del suo suicido, fu l’opera che valse allo scrittore torinese la vittoria del Premio Strega nel 1950. Nonostante questo, il libro risulta essere uno tra i meno conosciuti e letti tra quelli di Pavese e per di più andò soggetto a critiche e stroncature da parte di critici e amici illustri, tra cui Italo Calvino ed Augusto Monti.
Certo, La bella estate non è un romanzo di immediata comprensione, o meglio – non lo è se si cerca nella lettura uno svago fugace e leggero, una leggerezza che sia distrazione rispetto alla nevrotica routine. Ma in questo è perfettamente un romanzo di Cesare Pavese, anzi si potrebbe dire che tra le varie opere essa sia una delle più rappresentative non tanto del suo stile e della sua poetica (per questo ci sono certo gli scritti più celebri – La luna e i falò, La casa in collina, I dialoghi con Leucò), quanto dell’uomo che fu Pavese, delle sue illusioni e disillusioni, che egli trasferisce simbioticamente nei protagonisti dei tre racconti che vanno a costituire il libro.
Che cos’è La bella estate?
Questa è la prima domanda che sorge spontanea nel momento in cui si appresta ad affrontare l’opera. Non è semplice definirne il genere: romanzo o raccolta di racconti? Nella presentazione del libro Pavese stesso afferma:
Un volume, tre romanzi. Ciascuno di essi potrebbe da solo far libro. Perché La bella estate, Il diavolo sulle colline e Tra donne sole escono insieme? Non è quel che si chiama trilogia. […]
Si tratta di un clima morale, un incontro di temi, una temperie ricorrente in un libero gioco di fantasia.
In effetti leggendo i tre racconti essi sembrano naturalmente sfociare l’uno nell’altro, senza una vera e propria soluzione di continuità, eccetto il cambio dei nomi dei protagonisti: una sorta di Ovidia metamorfosi. Pur nella loro singolare completezza, i tre racconti rifulgono della luce dell’insieme e l’opera non potrebbe risultare completa se non nel loro accostamento.
La bella estate
Parlando brevemente del contenuto, La bella estate è il racconto in prima persona dell’estate di Ginia, una sedicenne torinese che lavora come sarta; il lettore si troverà catapultato nell’universo emotivo di un’adolescente ancora infantile, piena di aspettative ed illusioni, frizzante di vita e speranza, che tramite l’amicizia con una ragazza più grande e disinvolta, Amelia, entra per la prima volta in contatto con un mondo nuovo, fatto di arte e vita bohémien, vizi e carnalità, istanti fugaci e spesso superficiali.
Il diavolo sulle colline
Il diavolo sulle colline è invece la storia di tre amici studenti universitari (sempre narrato in prima persona da uno dei tre – senza nome) che, giunta l’estate, fuggono la noia estiva rifugiandosi in collina. Qui incontrano un ragazzo dell’alta borghesia torinese che vive una convalescenza in villeggiatura sulla collina del Greppo, nella quale vengono invitati a sostare per un periodo: qui entreranno in una sorta di dimensione a-temporale, quasi onirica, in cui la purezza della natura e il vizio cittadino si uniscono in connubio.
Tra donne sole
Tra donne sole, infine, è l’unico racconto in cui l’estate rimane solo come stagione interiore e non oggettivo momento di svolgimento della storia. La protagonista è Clelia (di nuovo io-narrante), una giovane donna che, da umili origini, si è fatta imprenditrice e torna a Torino, luogo della sua infanzia, per aprire un proprio atelier. Qui, ricalcando le orme del suo passato, è ormai inserita in quel gruppo sociale alto-borghese che da ragazzina guardava con ammirazione ed invidia. Ora che ne fa parte e ne conosce persone e abitudini si rende conto in realtà dell’inconsistenza di tutto quel benessere: l’unica libertà rimasta è la scelta della solitudine, l’unico modo per rimanere se stessi e sinceri.
La bella estate come momento della vita
Il fil rouge che attraversa tutti e tre i racconti rendendoli coerentemente un unicum è proprio La bella estate, vista come momento della vita. L’estate è la stagione della giovinezza, il momento di passaggio dall’adolescenza all’età adulta: è bella nell’ottica di chi si appresta a viverla, carico di aspettative e sogni da un lato infantili, dall’altro idillici, proiettati in un universo pieno di innocenza e favoleggiamento tipico di chi non è ancora sceso a patti con il reale.
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Il fascino dell’estate – i nostri consigli: “La luna e i falò” di Cesare Pavese
È così che chi legge entra nella storia, attraverso l’occhio incantato di Ginia, che vede ancora ogni cosa come un sospiro di meraviglia. Ma non esiste, o meglio non esiste in questo mondo (forse esisteva nell’età del mito – come ci dice nei Dialoghi con Leucò) una bellezza pura, che non chieda di pagare lo scotto: assaporare l’entusiasmo dell’essere vivi scaturisce tragiche conseguenze e diventare giovani adulti altro non è che un traumatico disilludersi. E così Ginia, che vuole amare, conosce cosa significa avere un corpo: non esiste una verginità perenne, né il lieto fine da favola casta.
I rapporti umani sono messi a nudo da Cesare Pavese in tutta la loro contraddittorietà: l’amicizia appare costantemente minacciata dall’interesse e dalla frivolezza, il sentimento d’amore altro non è che tentazione, o tuttalpiù l’avventura di una notte. Non c’è spazio per il romanticismo: l’unico modo rimasto per sentire, l’unica profondità concessa è nella solitudine. è questa la consapevolezza del doppio di Ginia, ovvero la Clelia dell’epilogo: già adulta, quindi già disillusa, diviene consapevole della vacuità del mondo di cui ha sempre desiderato di far parte: per salvaguardare se stessa e la sua libertà l’unica strada rimasta le appare quella di non condividersi, per non lasciarsi corrompere.
Mondo urbano e mondo agricolo
A fare da trait d’union tra le due donne ecco un racconto al maschile, in cui tutti i contrasti umani e sociali si esplicitano nel conflitto pavesiano per eccellenza: il mondo urbano ed il mondo agricolo. Nel secondo racconto il rito di passaggio si fa palese: è l’inselvatichimento del giovane di città tramite il rituale del bagno nel pantano. I ragazzi cercano di ricongiungersi con la dimensione naturale attraverso la nudità e il contatto (letterale) con la terra, in una ricerca di se stessi che è ricerca delle origini stesse dell’essere umano. Il mondo contadino viene visto con gli occhi della favola bucolica, ma ancora una volta il raggiungimento della consapevolezza adulta si risolve in una disillusione: non esiste l’età dell’oro nei campi, perché le colline, i vigneti, la terra sono fatica e sudore, oppure nient’altro che sfondo vizioso ai capricci di giovani possidenti che ne fanno villeggiatura. Anche la natura viene corrotta dalla città.
Una dolce visione disincantata del mondo
Cesare Pavese, con la sua scrittura lirica e allusiva, altro non è che il prisma da cui derivano tutte queste immagini. La sua visione del mondo disincantata qui meglio di altrove riesce ad emergere con dolcezza, una dolcezza disarmante, data la tragicità dell’assunto finale. Si dice talvolta che Pavese sia uno scrittore estetizzante, disinteressato alla letteratura sociale. Ma siamo sicuri che sia così facile il giudizio?
Cesare Pavese è in grado, ad uno sguardo sensibile ed attento, di tratteggiare il ritratto dell’essere umano svelandone i tormenti esistenziali causati da un’epoca di decadenza, senza abbellimenti, se non quelli di una natura lontana e sfumata, che però quando viene raggiunta e conquistata si rivela tanto secca ed arida quanto la nevrotica urbanità da cui i suoi personaggi sempre desiderano fuggire (se non sono ancora ragazzini ingenui). Cosa rimane alla fine?
Lo dice una delle frasi che racchiude il senso dell’intero volume:
È bello svegliarsi e non farsi illusioni. Ci si sente liberi e responsabili. Una forza tremenda è in noi, la libertà. Si può toccare l’innocenza. Si è disposti a soffrire.
FONTE:https://www.frammentirivista.it/bellezza-disillusione-la-bella-estate-pavese/
Se tutti si inginocchiano, chi difenderà la cultura e la storia occidentale?
- “Abbiamo timore che qualsiasi cosa facciamo sia coloniale. Ci sono molti Paesi disposti a entrare in quel vuoto di governance a livello globale: Cina, Iran, Russia, Turchia.” – Bruce Gilley, The Times, 10 maggio 2018.
- Il senso di colpa postcoloniale per il passato imperiale britannico sta, tuttavia, avendo ripercussioni ben più ampie dell’abbattimento delle statue. Ad esempio, c’è ancora un silenzio totale riguardo ai cristiani perseguitati, secondo un vescovo britannico che è stato incaricato dal governo di indagare sui casi di persecuzione dei cristiani in tutto il mondo e sulle loro sofferenze.
- È come se la storia occidentale sia stata riscritta per rappresentare tutta la civiltà occidentale come un’unica e gigantesca apartheid. È come se non dovessimo solo abbattere le statue, ma anche noi stessi. Una democrazia di successo, tuttavia, non può essere costruita cancellando semplicemente il passato.
- “Ogni documento è stato distrutto o falsificato, ogni libro è stato riscritto, ogni quadro ridipinto, ogni statua, ogni strada e ogni edificio sono stati rinominati, ogni data è stata modificata. E il processo procede di giorno in giorno, di minuto in minuto. La storia si è fermata. Non esiste null’altro che un eterno presente in cui il Partito ha sempre ragione.” – George Orwell, 1984.
- A cosa punta questo macabro gioco al massacro? (…) È una presa di potere per creare una rivoluzione culturale, per impedire a chiunque di dire che le culture non sono tutte uguali: per mettere sotto processo il passato dell’Europa; per infondere un rimorso perenne nelle coscienze e per diffondere il terrore intellettuale al fine di promuovere il multiculturalismo.
La statua di Winston Churchill a Londra – il quale si oppose ai nazisti durante la Seconda guerra mondiale e salvò l’Europa dalle barbarie – è stata coperta dalle autorità locali durante le recenti proteste. Il suo “impacchettamento” ricorda una delle antiche statue nude romane che sono state coperte per compiacere il presidente iraniano Hassan Rohani in visita a Roma o la “sparizione” dei ritratti nella ex Unione Sovietica. (Foto di Tolga Akmen/AFP via Getty Images) |
“L’antirazzismo non è più la difesa della pari dignità delle persone, ma un’ideologia, una visione del mondo”, ha dichiarato il filosofo francese Alain Finkielkraut, figlio di sopravvissuti alla Shoah.
“L’antirazzismo si è trasformato. (…) All’ora della grande migrazione non si tratta più di accogliere i nuovi arrivati integrandoli nella civiltà europea, ma di esporre i difetti di questa civiltà”.
Finkielkraut ha definito “l’autorazzismo” come “la patologia più sconcertante e grottesca della nostra epoca”.
La sua capitale è Londra.
“Topple the racists” (“Abbatti i razzisti”) è una mappa con sessanta statue in trenta città inglesi di cui si chiede l’abbattimento in omaggio al movimento nato negli Stati Uniti in seguito all’uccisione di George Floyd, un afroamericano deceduto mentre un poliziotto bianco, Derek Chauvin, gli teneva premuto il ginocchio sul collo.
A Bristol, una folla ha gettato in acqua la statua del filantropo e proprietario di schiavi Edward Colston. Poi, le proteste si sono spostate a Londra con atti di vandalismo ai danni delle statue di Winston Churchill, del Mahatma Gandhi e di Abraham Lincoln. E il sindaco, Sadiq Khan, ha annunciato una commissione sulla rimozione di statue che non riflettono i “valori di Londra”, dopo aver rimosso il monumento dedicato a Robert Milligan, ricco mercante scozzese di schiavi, che era posto fuori dal Museum of London Docklands. Ci sono i nomi di altre due statue da rimuovere da due ospedali londinesi.
Vandalismo e odio di sé stanno rapidamente guadagnando terreno. L’epopea delle grandi scoperte associate all’impero britannico è diventata vergognosa. Le proteste non riguardano la schiavitù. Oggi, nessuno nel Regno Unito si rallegrerebbe per quel periodo. È piuttosto un appello all’epurazione culturale di tutte le opere che contraddicono il nuovo mantra: “diversità”.
“Una nuova forma di talebani è nata oggi nel Regno Unito”, ha scritto Nigel Farage, riferendosi alle due gigantesche statue del Buddha che vennero fatte saltare in aria dai talebani in Afghanistan, nel 2001. “Se non ristabiliamo presto l’autorità morale, sarà impossibile vivere nelle nostre città.”
La lista delle statue da rimuovere annovera i nomi di Oliver Cromwell e Horatio Nelson, due figure di spicco della storia britannica, nonché quello di Nancy Astor, la prima donna a essere eletta deputata nel 1919. Spiccano anche i nomi di Sir Francis Drake, Cristoforo Colombo e Charles Gray (primo ministro il cui governo supervisionò all’abolizione della schiavitù nel 1833).
Il premier britannico Boris Johnson, esprimendo opposizione alla campagna di rimozione, ha dichiarato:
“Noi non possiamo tentare di modificare o censurare il nostro passato. Non possiamo fingere di avere una storia diversa. Le statue nelle nostre città sono state erette da generazioni precedenti. Avevano prospettive diverse, una diversa comprensione di ciò che è giusto e sbagliato. Ma quelle statue ci insegnano il nostro passato, con tutti i suoi errori. Abbatterle significherebbe mentire sulla nostra storia e impoverire l’istruzione delle generazioni future”.
Il senso di colpa postcoloniale per il passato imperiale britannico sta, tuttavia, avendo ripercussioni ben più ampie dell’abbattimento delle statue. Ad esempio, c’è ancora un silenzio totale riguardo ai cristiani perseguitati, secondo un vescovo britannico che è stato incaricato dal governo di indagare sui casi di persecuzione dei cristiani in tutto il mondo e sulle loro sofferenze. Inoltre, c’è soprattutto un ritiro dalla scena mondiale. “Quando l’Occidente perde fiducia in se stesso, a causa dell’eccessivo o assurdo senso di colpa per il colonialismo, vira verso l’isolazionismo”, ha osservato Bruce Gilley, un professore di Scienze Politiche. “Abbiamo timore che qualsiasi cosa facciamo sia coloniale. Ci sono molti Paesi disposti a entrare in quel vuoto di governance a livello globale: Cina, Iran, Russia, Turchia.”
Il senso di colpa postcoloniale sta inoltre soffocando la libertà di espressione nel Regno Unito. Trevor Phillips, l’ex presidente della Commissione britannica per l’Uguaglianza e per Diritti dell’uomo, è stato sospeso dal Partito Laburista con l’accusa di “islamofobia”. La colpevolezza di Phillips? Essere stato critico nei confronti del multiculturalismo. Nelle parole di Phillips:
“A mio avviso, la reticenza nell’affrontare questioni legate alla diversità e ai suoi disagi rischia di consentire al nostro Paese di sonnambulare verso una catastrofe che metterà le comunità l’una contro l’altra, approverà le aggressioni sessiste, sopprimerà la libertà di espressione, annullerà le libertà civili duramente conquistate e minerà la democrazia liberale che ha servito così bene questo paese per così tanto tempo”.
Phillips ha inoltre affermato che i politici e i giornalisti britannici sono “terrorizzati” all’idea di parlare di razza, lasciando così che il multiculturalismo diventi un ” racket” nelle mani di coloro che cercano di consolidare la separazione. Un uomo originario della Guyana, un veterano del Labour Party e presidente della Commissione per l’Uguaglianza ha detto la verità ai multiculturalisti.
Gli attivisti mobilitati per rimuovere le statue vogliono cambiare radicalmente la fisionomia della capitale britannica. Lo scontro sembra essere costituito, da un lato, da violenti censori che bullizzano tutti e, dall’altro lato, da politici vigliacchi che si adeguano, hanno paura e si inchinano ai vandali. I monumenti sono una parte vitale e visibile di una città, ne incarnano il posto nella storia, altrimenti restano solo fermate dei bus e Burger King. Questi contestatori sembrano desiderare una storia riveduta e asettica. Se non comprendiamo rapidamente che, se cancelliamo il nostro passato, come ha cercato di fare l’ex Unione Sovietica, sarà più facile per queste persone creare la loro visione del nostro futuro, privandoci del timone per pilotarci e ancorare noi e i nostri valori. Ci resteranno in mano soltanto i cocci della nostra storia e cultura.
Questo movimento di odio dell’Occidente – che ha, come tutti noi, una storia imperfetta – sembra essere nato nelle università britanniche. A Cambridge, docenti di Letteratura hanno chiesto di sostituire gli autori bianchi con quelli di colore per “decolonizzare” il curriculum. L’Unione degli studenti della Soas, la prestigiosa Scuola di studi orientali di Londra, ha invocato la rimozione dal curriculum di Platone, Kant, Cartesio, Hegel e altri nomi della cultura occidentale, perché “tutti bianchi”, come se il colore della pelle dovesse essere l’unico fattore determinante dei nostri pensieri. A Manchester, studenti hanno cancellato il murale della poesia “If” di Kipling.
Nigel Biggar, uno studioso del colonialismo, ha detto che un “clima di paura” è tornato a regnare nelle università britanniche. Di recente, l’Università di Liverpool ha deciso di cambiare il nome di uno degli edifici del campus, intitolato all’ex primo ministro William Gladstone. A Oxford, la statua di Cecil Rhodes, filantropo e fondatore della Rhodesia (oggi Zimbabwe), ha le ore contate
“C’è un po’ di ipocrisia,” ha commentato Lord Patten, cancelliere di Oxford, “nel finanziare gli studi a Oxford di un centinaio di studenti stranieri all’anno, circa un quinto proveniente dall’Africa, e poi dire che vogliamo gettare la statua di Rhodes… nel Tamigi”. Patten ha affermato che la sua opinione non si discosta da quella “espressa da Nelson Mandela in occasione dell’istituzione del Rhodes Trust nel 2003”, pertanto, nonostante i “problemi legati a Cecil Rhodes nella storia, se andava bene per Mandela, allora va bene anche a me”. Ma non ai revisionisti.
È come se la storia occidentale sia stata riscritta per rappresentare tutta la civiltà occidentale come un’unica e gigantesca apartheid. È come se non dovessimo solo abbattere le statue, ma anche noi stessi. Una democrazia di successo, tuttavia, non può essere costruita cancellando semplicemente il passato.
La statua di Winston Churchill a Londra – il quale si oppose ai nazisti durante la Seconda guerra mondiale e salvò l’Europa dalle barbarie – è stata coperta dalle autorità locali durante le recenti proteste. Il suo “impacchettamento” ricorda una delle antiche statue nude romane che sono state coperte per compiacere il presidente iraniano Hassan Rohani in visita a Roma o la “sparizione” dei ritratti nella ex Unione Sovietica di persone cadute in disgrazia per decisione del Politburo. Cancellare la propria storia non serve a nulla. Si può non avere una storia perfetta, ma è comunque la propria storia. Come ha scritto lo storico Victor Davis Hanson, un Paese “non deve essere perfetto per essere buono”. Asportare le parti sgradevoli non cambia i fatti: possono essere rimpiazzati da parti più sgradevoli.
Alcuni musei londinesi hanno già adottato da tempo questa politica di epurazione e di autocensura. La Tate Gallery di Londra ha vietato la creazione artistica di John Latham che mostrava una copia del Corano dentro una lastra di vetro. Il Victoria and Albert Museum ha prima esposto e poi ritirato un’opera d’arte devozionale dell’immagine di Maometto. La galleria Saatchi ha esibito due opere che sovrapponevano scrittura araba a immagini nude, ma poi ha coperto i due dipinti dopo le lamentele dei visitatori musulmani. La Whitechapel Art Gallery ha epurato una mostra rimuovendo delle bambole nude esposte.
Il dizionario Merriam-Webster ha appena rivisto e aggiornato la definizione di “razzismo” per includere quello “sistemico”, il che significa presumibilmente che l’intera società è colpevole e ingiusta.
I censori sembrano intenzionati a controllare il nostro universo mentale, come nel romanzo di George Orwell, 1984:
“Ogni documento è stato distrutto o falsificato, ogni libro è stato riscritto, ogni quadro ridipinto, ogni statua, ogni strada e ogni edificio sono stati rinominati, ogni data è stata modificata. E il processo procede di giorno in giorno, di minuto in minuto. La storia si è fermata. Non esiste null’altro che un eterno presente in cui il Partito ha sempre ragione.”
Questo processo di auto-avvilimento occidentale è iniziato molto tempo fa. I consiglieri laburisti in tutto il Regno Unito, ad esempio, hanno cominciato a esaminare tutte le statue sotto la loro giurisdizione. Il sindaco di Bristol, Marvin Rees, anziché difendere lo Stato di diritto, ha definito la violenta rimozione della statua di Colston un atto di “poesia storica“. Quando i vandali hanno iniziato a distruggere le statue, molti hanno applaudito. Il premier britannico Boris Johnson ha definito questi atti di distruzione “iconoclastia politicamente corretta“.
Una settimana prima della polemica sul destino delle statue, nel Regno Unito le persone si sono inginocchiate nel nome di George Floyd. Era come se ci fosse una richiesta collettiva che la società occidentale nel suo insieme doveva pentirsi. Sembrava una forma di isteria ideologica, non così distante da quella dell’Inquisizione o dei processi alle streghe di Salem, che faceva sentire chi si inginocchiava più virtuoso, dalla “parte giusta” della giustizia. Si sono messi in ginocchio anche i poliziotti britannici, mentre negli Stati Uniti la speaker della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, e altri parlamentari dem si sono inginocchiati davanti ai loro feudatari. Entrambi sono stati atti di irresponsabilità e capitolazione. Pochi giorni dopo, l’establishment britannico si è inchinato ai nuovi talebani.
A cosa punta questo macabro gioco al massacro? Non a demolire i monumenti in quanto tali, come le statue di Cristoforo Colombo che sono state distrutte o decapitate. È più di questo. È una presa di potere per creare una rivoluzione culturale, per impedire a chiunque di dire che le culture non sono tutte uguali: per mettere sotto processo il passato dell’Europa; per infondere un rimorso perenne nelle coscienze e per diffondere il terrore intellettuale al fine di promuovere il multiculturalismo.
Quante persone si rifiuteranno di acconsentire a questa soppressione forzata della storia? Se molti si inginocchiano davanti a questo nuovo totalitarismo, chi avrà il coraggio di difendere la cultura e la storia occidentale?
Giulio Meotti, redattore culturale del quotidiano Il Foglio, è un giornalista e scrittore italiano.
FONTE:https://it.gatestoneinstitute.org/16163/difendera-cultura-occidentale
Totalitarismo democratico. Augusto Del Noce e le profezie del suicidio della rivoluzione”.
Umberto Del Noce
Comedonchisciotte.org
Il filosofo Augusto Del Noce (1910 – 1989), nel corso degli anni ‘60, ha scritto vari articoli sul tema del fascismo e del totalitarismo.
Questi scritti sono confluiti in riflessioni che hanno portato, nel 1978, alla pubblicazione di un libro intitolato “Il suicidio della Rivoluzione”.
Tali tesi sono passate un po’ in sordina poichè non allineate alla cultura dominante dell’epoca. Tuttavia il tempo, mi pare, abbia dato loro, almeno in parte, ragione.
Per questo motivo credo sia utile provare a riassumerle.
Per Del Noce il “problema di oggi è combattere la possibilità totalitaria entro l’antifascismo stesso”, nella società permissiva e liberale.
Questa possibilità di ritorno al totalitarismo, per il filosofo, è data dalla “satanizzazione” di un periodo storico, quello del fascismo, in modo che divenga impossibile comprenderlo.
Per Del Noce, infatti, il fascismo è un momento di una crisi culturale e spirituale europea che inizia prima del fascismo stesso e non termina con la sua caduta.
Culturalmente, le radici dell’attivismo, come viene definita la filosofia sottostante il fascismo, vanno ricercate nel naturalismo e nel pessimismo ottocenteschi.
Il naturalismo, presentandosi come espressione di una verità oggettiva, “di natura”, ma presentando d’altronde ogni teoria e ogni valore come prodotto naturale, tende a rovesciarsi in scetticismo: poichè ogni teoria e ogni verità sono un prodotto naturale, dobbiamo concludere l’equivalenza di verità di ogni teoria.
Questo porta a una svalutazione di ogni teoria e al decadentismo, dominato dalla “logica dell’inversione”: i valori divengono strumenti per l’accrescimento “del tono vitale”.
In questo senso i valori divengono funzioni e si passa così all’estetismo, “con la conseguente confusione di arte e vita”. La direzione di questo processo va verso la liquidazione dell’idea stessa di verità ed il suo sbocco logico è appunto l’attivismo: la mistica dell’azione per l’azione, la fuga da sè. L’azione è ormai “voluta per sè, non più come mezzo per la realizzazione di un fine”.
E allora comprendiamo la finzione dei valori: essi, invece di dirigere e dar significato all’azione, valgono soltanto come strumenti che possano promuoverla.
L’azione così intesa “si riduce a semplice trasformazione della realtà”.
Tuttavia, “alla retrocessione dei valori si accompagna una retrocessione degli uomini”, che cessano di essere fini a se stessi per diventare strumenti ed ostacoli per l’azione.
La logica dell’attivismo porta alla negazione della personalità degli altri, alla loro riduzione ad oggetti.
Del Noce d’altronde nota come non si possano accomunare fascismo e nazismo, Mentre il primo si pone come un movimento progressista, che si assume il compito di trasformare la società in una direzione mai sperimentata, facendo propri il mito del progresso e della velocità, il secondo è stato caratterizzato da un’impronta marcatamente conservatrice, idealizzando un passato puro e pervertito dalla modernità, un’antichità da restaurare.
In questo senso Del Noce può affermare che un pericolo di ritorno al fascismo storico sia oggi impossibile, pur riconoscendo che esiste un radicalismo di destra. Tuttavia questo radicalismo assume i tratti di un neonazismo, con il suo conservatorismo e la sua idealizzazione di un passato da restaurare.
Per Del Noce, tuttavia, il pericolo consiste nel trasformare il fascismo in una “sorta di categoria eterna, nel “male radicale”, nel “demoniaco che è in noi””: in questo caso esso non potrà mai essere vinto e il suo pericolo sarebbe sempre incombente.
Questo avrebbe acceso la convinzione che il fascismo sia una sorta di “vuoto nella storia”, dopo il quale dare inizio ad un’epoca nuova.
Questa “epoca nuova” tuttavia non è che la continuazione della parabola devastatrice del capitalismo e si apre come uno sradicamento caratterizzato da un nichilismo di natura particolare: un’attitudine solo sconsacrante per accomodarsi alla realtà esistente “per quel che ne resta dopo la sconsacrazione”. Essa cioè si risolve nell’annullamento della reale opposizione all’ordine-disordine esistenti: non è quindi l’insorgere di nuovi valori a mettere in crisi quelli tradizionali, quanto l’eclissi di questi a dare forma al mito del mondo nuovo.
Invece delle rivolta contro il fatto in nome del valore abbiamo oggi l’adeguamento del valore al fatto.
In una nota rilevante, Del Noce sostiene che la contestazione studentesca degli anni 60 si è orientata “secondo la convergenza di interessi della nuova classe borghese, che deve rompere con qualsiasi compromesso con la tradizione, e (…) un comunismo che vuole (…) sostituire al “dopo Kant non è più possibile” del vecchio laicismo con il “dopo Marx non è più possibile”, un comunismo che ha perso la sua vocazione messianica.
Tuttavia, come precedentemente accennato, quella che a prima vista appare come un’epoca nuova è in realtà parte del medesimo processo di estrinsecazione della modernizzazione.
Il fascismo secondo Del Noce, infatti si inserisce in tale processo, come momento di una rivoluzione intesa a raggiungere un grado di universalità maggiore (di quella marxleninista).
Il fascismo è quindi un “un momento, ormai concluso, di un processo tuttora in corso come rivoluzione ulteriore alla marxleninista”.
Per Del Noce quindi la caduta del fascismo, non comporta la fine di questo processo rivoluzionario, ma la sua continuazione nella direzione di un totalitarismo “di sinistra”.
Questo perchè secondo il filosofo, “l’eurocomunismo” consiste nell’ ”assorbimento del fascismo da parte dell’impostazione rivoluzionaria gramsciana”.
Come?
Del Noce parla del Gramscismo come del rovesciamento della rivoluzione in dissoluzione, parla cioè del “suicidio della rivoluzione”. La rivoluzione allora affronta l’impossibilità di passare dal negativo al positivo, fermandosi alla “devalorizzazione” dei valori sinora considerati supremi. Questo perchè perde la sua vocazione messianica e universale e il rivoluzionario (unione del momento filosofico e di quello politico) diviene politico.
Come si arriva a ciò?
Innanzitutto con l’abbandono da parte di Gramsci del materialismo e dell’economicismo il quale comporta il fatto che l’ideologia non sia più il riflesso delle condizioni materiali ed economiche.
Da questo punto deriva una nuova concezione della società civile e soprattutto l’interpretazione della rivoluzione come riforma intellettuale e morale (da cui deriva una modalità differente di lotta).
Così Del Noce si trova d’accordo con il pensatore marxista Riechers nell’affermare che con Gramsci il marxismo diviene una riforma intellettuale e morale, intesa come emancipazione dalla religione sul piano ideologico e dal feudalesimo-assolutismo sul piano politico-economico, realizzando così una “laicizzazione di tutta la vita”.
In questo modo il comunismo gramsciano esegue le intenzioni della borghesia, ricoprendo la funzione storica di traghettare la borghesia stessa ad un altro stadio della sua evoluzione, caratterizzata da un più compiuto dominio.
Il comunismo gramsciano insomma risolve la rivoluzione della modernizzazione, intesa come una dissociazione completa dello spirito borghese dal cristianesimo.
Gramsci è quindi la condizione per la transizione ad un nuovo ordine borghese.
Ciò è avvenuto innanzitutto con un errore radicale: aver sostituito all’opposizione capitalismo-proletariato quella di fascismo-antifascismo, avvenuta creando il mito del fascismo come male in sè, elevandolo così a figura metastorica.
Da questo primo errore fondamentale, derivano conseguenze di grande portata.
Innanzitutto distinguere tra una borghesia progressiva (industriale) e una arretrata (agraria, terriera, parassitaria, redditiera di beni immobiliari…).
Quindi fare della seconda la sola responsabile del fascismo ed asserire la necessità di allearsi con la prima sino al compimento dell’evoluzione democratico-borghese della nazione italiana.
Di conseguenza trasferire il giudizio positivo di valore al “progresso”, allo “sviluppo” e quindi attribuire una funzione positiva al capitalismo, come fase che libera dall’arretratezza feudale.
A questo punto la nuova via al socialismo diviene una transizione dal vecchio al nuovo capitalismo.
Così secondo Del Noce, la rinuncia del comunismo alla mentalità messianica coincide con la rinuncia da parte della borghesia del moralismo e così si stabiliscono le condizioni per una conciliazione: l’integrazione del comunismo alla società democratico-borghese.
Nel descrivere il processo del capitalismo, il filosofo si avvale delle tesi di Horkheimer: nella prima fase dello sviluppo del mondo borghese, al suo interno è conservato l’istituto della famiglia, istituto non borghese, fondato sulla conservazione di valori diversi da quelli specifici della borghesia.
Questo al fine di produrre un soggetto, dotato di attività responsabile ed autonoma, idonea all’economia borghese nella sua prima fase.
Successivamente, nella seconda fase questo soggetto, educato a valori cristiani, diviene addirittura un ostacolo all’esplicarsi totale dell’economia borghese, e così la sua soppressione, sebbene venga spacciata per un superamento del capitalismo stesso, segna in realtà il passaggio ad una sua fase più compiuta ed inumana. Una fase compiutamente totalitaria.
L’ideologia della borghesia è, per Del Noce, il materialismo puro, il positivismo “attento unicamente ai nudi fatti”, con la negazione di qualunque presenza di significato che trascenda il fenomeno immediato.
Nello stadio neocapitalistico, la borghesia è talmente dominante da non aver bisogno di modificare la propria ideologia spontanea per fare in modo che anche altri strati sociali si possano integrare ad essa. Non ha più bisogno, insomma, del compromesso del cristianesimo.
Si arriva così a una forma totalitaria di capitalismo che è “così perfezionata da non aver bisogno di persecuzioni fisiche o di campi di concentramento”.
Questo totalitarismo, è per Del Noce il fallimento del sogno rivoluzionario e la sua “ricaduta nella vecchia storia” che però è ormai profondamente modificata, “dato che ha subito la pars destruens dell’idea rivoluzionaria”.
In questo senso per Del Noce il marxismo è un ponte tra positivismo e scientismo.
Con l’arrestarsi della filosofia davanti alla scienza e con la rinuncia della prima a definire i limiti della seconda, si afferma, in questo passaggio storico, lo scientismo.
Esso è appunto la concezione totalitaria della scienza, per cui essa si presenta, coerentemente con la tendenza positivistica della concezione borghese del mondo, come l’unica conoscenza vera.
Tuttavia questo scientismo, totalitario per natura, non può essere neutrale rispetto ai valori: per esso è essenziale la negazione dei valori tradizionali, “dissolti nelle condizioni psicologiche e sociali che sono occasione al loro sorgere”. L’unica morale che riconosce è quella dell’incremento di vitalità, elevato a misura di ogni altro valore.
Se gramsci è il traghettatore della borghesia da uno stadio all’altro del suo sviluppo, Del Noce intravede un “oltre Gramsci”, le linee direttrici del superamento di questa fase.
Il superamento del Gramscismo si apre per Del Noce all’insegna del pluralismo.
Esso è la capitolazione del senso rivoluzionario della lettura di Gramsci del marxismo.
Nella seconda fase dello sviluppo borghese, non si chiede al soggetto di aderire ad alcun valore, perchè “la ragione strumentale non conosce valori”. Piuttosto è lo strumento tecnico-scientifico a prescrivere l’adozione della finalità sociale che gli corrisponde. In questo senso, nel mio articolo “Capitalismo classico vs capitalismo tecnocratico” (https://comedonchisciotte.org/capitalismo-classico-vs-capitalismo-tecnocratico/?fbclid=IwAR0pwZHU-ZMQkiRmD-XjeyfqR_tPUVMMZfdrC_dmkZ4QW8Xd8bldFCEJaVU), ho definito il nuovo capitalismo come “tecnocratico”.
Nella sfera pubblica della vita, il soggetto deve aderire al proprio ruolo, nell’ambito del funzionamento oggettivo del meccanismo sociale.
Nella sfera privata qualsiasi concezione può essere permessa, purché non venga pensata come verità, come regola universale, ma solo come strumento vitalizzante.
Questo pluralismo non nasconde il totalitarismo di questa società, in cui il concetto di consenso viene meno, perchè non vi è valore a cui consentire.
Resta solo l’impersonale, anonimo, sviluppo.
Di nuovo si ha un’alleanza tra comunismo gramsciano e nuova borghesia: nel corso dello sviluppo storico del proletariato si stacca un’ avanguardia di tecnici della politica che tende ad affermare il proprio potere sul proletariato stesso, sostituendo alla classe il partito. Contemporaneamente, dalla borghesia si stacca un “nuovo ceto di managers”. Questi due ceti finiscono con il compenetrarsi e possono mantenere il loro potere solo attraverso questa alleanza: i comunisti in quanto distruttori dei valori della vecchia società, possono presentare il loro dominio come una fase rivoluzionaria verso il socialismo; i managers come una necessità tecnica della produzione, unico valore rimasto dopo questa distruzione.
Così l’esito del gramscismo e dell’eurocomunismo è quello di trasformare il comunismo in una componente della società borghese ormai completamente sconsacrata.
Si impone così come forza in grado adeguata a mantenere l’ordine di un mondo in cui qualsiasi religione è scomparsa: anche la fede nel comunismo stesso.
Così la stessa fede rivoluzionaria si dissolve.
La storia e la fine del comunismo sembra dare ragione a Del Noce.
Il pensiero del filosofo, su questo suicidio dell’idea rivoluzionaria, si chiude con una profezia che pare anche realizzarsi in questo preciso periodo storico: “quel che deve necessariamente avvenire non è già la conciliazione del liberalismo col socialismo, ma quella del comunismo con l’ordine capitalistico-borghese, e nella forma del totalitarismo”.
Il totalitarismo, precisa Del Noce è anzitutto una realtà morale e filosofica fondata sull’etica del senso della storia e non bisogna associarla “come di consueto si fa, con i campi di sterminio ecc..”.
Il totalitarismo può realizzarsi mantenendo formalmente gli istituti democratici, attraverso l’impedimento all’individuo “della libertà di dissentire, in quanto almeno incide sulla pratica”, impedimento ottenuto anche in forma non violenta, ottenuto attraverso ad esempio, un dominio incondizionato su scuola e stampa e magari mantenendo “la possibilità dialogica con una forma di opposizione già preparata per essere sconfitta”.
E oggi?
Le tesi di Del Noce appaiono in alcuni scritti pubblicati nel corso degli anni 60 e poi nel testo “il suicidio della rivoluzione” del 1978.
Esse appaiono profetiche e possiamo ben dire che nei circa 40 anni intercorsi il processo totalitario sia avanzato incessantemente, secondo le direttrici tratteggiate dal filosofo.
Innanzitutto, esattamente come aveva previsto, il comunismo è stato integralmente conciliato nella società democratico-borghese.
A partire dalla fine degli anni ‘80 il comunismo è politicamente scomparso sulla scena democratica. In italia, con la parabola, PDS (che manteneva il simbolo della falce-martello), DS (che già aveva abbandonato ogni simbologia comunista) e PD (compiuta integrazione nell’ordine borghese e capitalista), il comunismo si è talmente integrato nell’ordine dominante che ci si è abituati a vederlo effettuare privatizzazioni, difendere i mercati, i grandi gruppi del capitale finanziario. Politicamente, il suo elettorato una volta era all’interno della fabbrica, oggi si trova nel mondo borghese, persino tra i banchieri e gli speculatori finanziari.
Nel frattempo l’ideologia capitalista ha ottenuto un dominio incondizionato su scuola (e università) e stampa, in modo da presentare la sua narrativa come assolutamente dominante.
E dove il controllo sull’informazione non è completo si interviene con task force per combattere le fake news: non importa tanto che siano “fake”, ma che non vadano contro l’ordine dominante e la assoluta (libera da vincoli) esplicazione del paradigma del capitale.
Inoltre, come previsto da Del Noce, si permette uno scontro dialogico, ma con un’opposizione fatta apposta per soccombere.
Numerosi movimenti (la cosiddetta “antipolitica) nascono per traghettare il dissenso in una implosione carica di frustrazione e nichilismo.
Lo abbiamo visto in Grecia con Syriza e in Italia con il Movimento 5s. Entrambi, una volta giunti al governo del paese, si sono adeguati ai dettami del capitale neutralizzando ogni spinta trasformatrice e trasformandosi in garanti della politica divoratrice del capitale, e frustrando così la speranza di quanti in buona fede e con le migliori intenzioni si sono a questi movimenti affidati.
In questo modo è rimossa all’individuo la capacità di dissentire “per quanto incida nella pratica.”
Il dissenso viene lasciato, come vestigia di una società libera e liberale, ma solo come esercizio dialettico. Il dissenso non può mai diventare una pratica autenticamente trasformativa.
E d’altronde non lo potrebbe, poichè è riservato a questioni marginali.
Le questioni che varrebbe la pena discutere, i cambiamenti strutturali ad esempio, sono indiscutibili e presentati nella forma quasi religiosa del dogma.
La stagione rivoluzionaria (caratterizzata dalla fede nella verità e dalla pretesa di un cambiamento radicale dell’intera struttura sociale), ha lasciato il posto alla stagione riformista (cha ha perso la fede nella verità, ponendola invece nell’efficienza e nel progresso per ambiti frammentati della società).
Del Noce non aveva previsto l’intrattenimento di massa e i mass media, ma anche qui vediamo all’opera gli stessi meccanismi: fare interiorizzare i dogmi e i meccanismi del capitale alla plebe consumatrice di merci.
Infatti ci troviamo oggi davanti ad un fenomeno curioso: mentre una volta gli artisti esprimevano opinioni controcorrente, sfidavano l’ordine dominante, oggi l’arte è diventata intrattenimento, oggetto di consumo.
Ci troviamo in una situazione in cui le star di Hollywood, attori, registi, musicisti ed artisti in generale di ogni parte del pianeta, per la quasi totalità si adeguano al mainstream, rilasciando solo dichiarazioni banali, veicolando messaggi pregni di ideologia liberista, supportando le cause dell’establishment. Facendosi collaboratori dell’ordine dominante, insomma.
La società totalitaria appare oggi quasi compiuta.
Il capitale è forse riuscito a realizzare la società di massa. Il fascismo ci aveva provato sotto l’idea di nazione. Il nazismo sotto quella di “volk” (popolo). Il comunismo sotto quella, più circoscritta, di classe (proletariato).
Il capitalismo ci è riuscito fondandola su quella, ancora più circoscritta, dell’individualismo e dell meccanismo del consumo.
Quello che le manca per essere stabile è accedere alla sfera più intima, biologica, dell’individuo, perchè il controllo sia totale e garantirsi così i suoi mille anni di “reich”.
Con il controllo della biologia e degli spostamenti (resi possibili da chippature della popolazione globale, app e simili soluzioni, che sono già in fase di approvazione), con il controllo capillare della biologia del consumo (si pensi per esempio al cosiddetto “biomarketing” e alla gestione emotiva delle reazioni del consumatore, alla lettura della sua biologia per fini pubblicitari, resi possibili tra l’altro dalla tecnologia 5G), con il controllo della moneta e degli acquisti (reso possibile dalla valuta digitale), con il controllo della produzione energetica ed alimentare, tutto questo sarà definitivamente possibile.
Potrebbe sembrare eccessivo ma nell’ultimo forum di Davos (World Economic Forum) avvenuto a gennaio 2020, durante i primi momenti della pandemia si è parlato anche di Quarta Rivoluzione Industriale: l’unione dei sistemi digitali, fisici e biologi.
Come ha sostenuto il fondatore del forum economico: “essa non cambia quello che possiamo fare, ma quello che siamo”, auspicando che l’emergenza causata dal dilagare del virus acceleri i cambiamenti sociali scatenati da questa rivoluzione.
E come ha sostenuto in una recente intervista Nita Farahani, professoressa e studiosa della Duke University, nominata nel 2010 da Obama membro della Presidential Commission for the Study of Bioethical Issues, la libertà di parola rappresenta il passato perchè ormai si entra in un’epoca in cui si può avere accesso alla sfera del pensiero e delle emozioni dell’uomo, e si potrà agire in questa dimensione per garantire una società più libera di pensare creativamente (da capire in che senso) e sicura.
Tuttavia dove grave incombe la minaccia, lì nascono gli strumenti per affrontarla.
E dove qualcuno cercherà di sottrarre la libertà ad un popolo, lì nascerà una nuova resistenza.
Forse il realizzarsi compiuto e assoluto del capitalismo permetterà finalmente di rovesciarlo.
Forse abbiamo dovuto attendere non una compiuta industrializzazione, ma la scomparsa di ogni altra egemonia e che il capitale si dispiegasse assolutamente e in modo totalitario.
Per Marx, le contraddizioni intrinseche del capitalismo, avrebbero automaticamente portato alla sua distruzione e il compito del proletariato era quello, attraverso la rivoluzione, di velocizzare e stimolare questo processo “naturale”.
Forse alla fine anche su questo Marx avrà avuto ragione, con un secolo buono di ritardo: nell’epoca in cui il capitalismo ha mostrato il suo volto più mostruoso, inumano e in cui il proletariato non è più la sola classe operaia, ma il cosiddetto 99%, la società intera spogliata del capitale, dei diritti e della propria umanità.
FONTE:https://comedonchisciotte.org/augustodelnoce/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Sospesi i profili Twitter di Anonymous Italia e di LulzSec_ITA
Sul pianeta virtuale volano abitualmente insulti e minacce che ristagnano indisturbati anche per lungo tempo, ma qualche volta…
Mentre i neonazisti, gli xenofobi e le mille varietà di hater continuano a cinguettare su Twitter, la piattaforma sospende gli account corrispondenti agli associati italiani ad Anonymous e LulzSec.
I pirati informatici avrebbero violato le regole del social (a non andare tanto per il sottile non si sono privati mai di alcuna trasgressione) ma la circostanza non è certo nuova e tanto meno segreta.
La presenza su Twitter ha senza dubbio riservato performance abbastanza discutibili e la loro insofferenza alle istituzioni (non importa quale) ha sempre caratterizzato certe manifestazioni plateali. Proprio in questi giorni avevano invitato una parlamentare a farsi esplodere un colpo d’arma da fuoco in bocca per aver insistito a dar la colpa agli hacker dell’indimenticabile blackout informatico dell’INPS.
A più riprese avevano palesato una radicale irriverenza nei confronti di enti e organizzazioni a connotazione pubblica, vantandosi su Twitter di aver “bucato” – fra l’altro – i sistemi informatici dell’Agenzia per l’Italia Digitale e dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (che dovrebbero costituire l’inviolabilità per antonomasia).
Questi due gruppi di briganti digitali di bricconate ne hanno collezionate parecchie, non c’è dubbio, ma – come Robin Hood – avevano saputo farsi voler bene dalla gente con una serie di iniziative di pulizia etica. L’aver saltato quella “n” che avrebbe dato gaudio a chi professa la necessità di interventi etnici, è stato probabilmente fatale.
Dobbiamo infatti a questi banditi l’individuazione di gang criminali che hanno fatto della pedopornografia un business incredibile. Dobbiamo a questa “gentaglia” l’identificazione di quegli esseri umani (che di umano proprio non hanno nulla) che si scambiavano gratuitamente e a pagamento immagini e filmati di atti sessuali con minorenni e soprattutto bambini.
Colpevoli forse di “esercizio arbitrario delle proprie ragioni” e di “violazione della riservatezza dei dati personali” riferiti a maniaci, pedofili e mostri, sembra (almeno a qualcuno) che l’aver sbattuto questi animali sul web con nome, cognome e indirizzo sia più grave del comportamento bestiale dei soggetti esposti alla pubblica gogna.
C’è stato chi ha gioito della sospensione dei due profili scrivendo “Salutiamo @LulzSec_ITA e @Anon_ITA (postavano su twitter in chiaro, nomi,cognomi, numeri di telefono e indirizzi) di “pedofili” cosi scrivevano loro… Giusto fermare e denunciare la pedofilia, ma illegale postare pubblicamente dati sensibili/privati”. Lo si legge a “firma” di “Scheletri nell’Armadio” (@Uomo900), che nella propria pagina su Twitter avvisa tutti con un emblematico “Per chi provoca… se non rispondo è per non sporcarmi”. Siamo quindi certi che se non risponde è perché – come pontifica Cetto Laqualunque – “io non ti sputo sennò ti profumo, io non ti piscio che ti lavo, io non ti cago che ti inciprio…”
Su Internet sono questi i nostri vicini di casa…
I social sono lo specchio della moderna democrazia, la cui immagine riflessa non entusiasma chi ha a cuore i diritti elementari di qualsivoglia cittadino.
Probabilmente l’onorevole Carla Ruocco si è giustamente risentita per l’aggressione verbale e tanti altri avranno lamentato i toni poco appropriati con cui i ragazzi di LulzSec_ITA si sono rivolti alla parlamentare del M5S. Ma perché non vengono sospesi con la stessa celerità tutti quegli account che fanno di Twitter uno strumento di evangelizzazione all’odio e alla violenza?
Certa speditezza piacerebbe venisse applicata sempre, anche quando è un poveraccio ad aver subito un torto.
Se non accade il pensiero comune per un attimo si blocca di fronte ad un bivio: casta o censura? E la cosa sbalorditiva è che chiunque sia ancora lucido imboccherà simultaneamente entrambe le direzioni…
FONTE:https://www.infosec.news/2020/06/29/news/guerra-dellinformazione/sospesi-i-profili-twitter-di-anonymous-italia-e-di-lulzsec_ita/
DIRITTI UMANI
ARRIVA IL PASSAPORTO COVID PER 15 PAESI. Addio Privacy, si realizza il sogno di Bill Gates…..
Una società britannica di sicurezza informatica, in collaborazione con diverse aziende tecnologiche, sta lanciando COVI-PASS, il passaporto COVID che sarà utilizzato in 15 paesi in tutto il mondo; un “passaporto sanitario digitale” che conterrà la cronologia dei test COVID-19 e altre “informazioni sanitarie pertinenti“. Secondo il sito web della società, l’obiettivo del passaporto è “tornare in sicurezza al lavoro” e riprendere le “interazioni sociali” fornendo alle autorità “informazioni sanitarie aggiornate e autenticate”.
Questi obiettivi rispecchiano quelli promossi da Bill Gates sin dall’inizio del blocco COVID-19, per cui avete già una chiara idea di chi sia stato l’ispiratore di questo prodotto tecnologico . In un saggio scritto da Gates in aprile, il geek-cum-filantropo del software espone il suo sostegno alle misure draconiane adottate in risposta al virus e, come un vecchio capo della mafia, suggerisce le soluzioni a questo problema deliberatamente imposto. Ironia della sorte, Gates inizia a sostenere l’adozione della tecnologia di monitoraggio di massa e sorveglianza negli Stati Uniti affermando che “Per ora, gli Stati Uniti possono seguire l’esempio della Germania”; Quindi fa valere i vantaggi della “adozione volontaria di strumenti digitali” in modo che possiamo “ricordare dove siamo stati” e “scegliere di condividerlo con chiunque venga a intervistarti sui tuoi contatti”, ma quanto è volontario uno strumento senza il quale non potete lavorare?
COVI-PASS nasce con la collaborazione di 15 governi, fra cui quello del Regno Unito, e quindi non è assolutamente un progetto secondario o velleitario, anzi, con la collaborazione con la società di consulenza sportiva Redstrike si vuole essere un elemento essenziale per permettere l’accesso ad eventi sportivi. di massa.
La società che lancia il prodotto, VST Enterprises Ltd (VSTE) è guidata da un imprenditore di 31 anni, Louis-James Davis, che di recente si è dimesso da “ambasciatore di scienza e tecnologia” nella nazione africana dello Zimbabwe per concentrarsi sul ruolo dell’azienda nel SDG delle Nazioni Unite ( Obiettivi di sviluppo sostenibile)- >Quindi . insieme a Bill Gates, siamo di fronte all’ennesimo filantropo che vuole agire per l’assoluto bene della società, naturalmente quella che rispecchia i suoi desiderata. la tecnologia applicata al COVI-PASS (Vcode) è brevettata e si presenta come molto più avanzata rispetto ai codici a barre, leggibile a 100 metri e non hackerabile (almeno a detta del produttore).
Naturalmente risultare oggi negativo ad un test non significa che domani non si possa essere positivo, per cui l’utilità pratica è tutta da scoprire. ma la narrativa della necessità di tracciare dati personali e spostamenti è intanto imposta. Intanto i vostri dati saranno registrati e catalogati, e senza di essi magari, in futuro, non potrete andare in luoghi pubblici, spettacoli, e magari mercati. Se questo ricorda a qualcuno il Segno della Bestia è solo una casualità…
FONTE:https://scenarieconomici.it/arriva-il-passaporto-covid-per-15-paesi-addio-privacy-si-realizza-il-sogno-di-bill-gates/
Negli USA in arrivo per la polizia lo stop al riconoscimento facciale
Alle forze dell’ordine americane potrà esser vietato l’uso di strumenti di riconoscimento facciale. Non solo. In futuro potrebbe saltar fuori persino il divieto di finanziare iniziative e progetti in tale direzione.
Il fermo “no” alle tecnologie in questione e al ricorso agli altri sistemi di sorveglianza biometrica attiva da un disegno di legge promosso negli Stati Uniti dai senatori democratici Ed Markey e Heff Merkey. A far sponda alla Camera dei Rappresentanti ci sono due deputate – sempre del medesimo fronte politico – Ayanna Pressley e Pramila Jayapal.
L’iniziativa è la risposta politica alla recrudescenza di controlli di polizia e di serrato monitoraggio scattati a ridosso delle violente proteste che hanno fatto seguito all’uccisione di George Floyd da parte di una pattuglia di agenti a Minneapolis.
Il disegno di legge renderebbe illegale – per qualsiasi agenzia o funzionario federale degli Stati Uniti – “acquisire, possedere, accedere o utilizzare” la tecnologia di identificazione e sorveglianza biometrica.
È significativo rilevare che all’inizio di maggio IBM, Amazon e Microsoft abbiano annunciato rigide restrizioni alla vendita di strumenti di riconoscimento facciale e hanno chiesto una regolamentazione federale in materia.
Il senatore Ed Markey ha sottolineato che “la tecnologia di riconoscimento facciale non rappresenta solo una grave minaccia per la nostra privacy, ma mette in pericolo fisicamente i neri americani e altre popolazioni minoritarie nel nostro Paese” e ha aggiunto che “mentre lavoriamo per smantellare il razzismo sistematico che permea ogni parte della nostra società, non possiamo ignorare i danni che queste tecnologie presentano”.
FONTE:https://www.infosec.news/2020/06/27/wiki-wiki-news/negli-usa-in-arrivo-per-la-polizia-lo-stop-al-riconoscimento-facciale/
BLM e la rivoluzione Colorata neoliberista in America
A seguito dell’omicidio di George Floyd, “grandi società come Apple, Disney, Nike e centinaia di altre potrebbero versare milioni non raccontati e non contabilizzati in ActBlue sotto il nome di Black Lives Matter, fondi che in realtà possono andare a finanziare l’elezione di un democratico Presidente Biden. “
BLM fa parte del Movement for Black Lives Coalition (M4BL), un ritaglio creato dalla Ford Foundation, in altre parole, dalla CIA. Ha chiesto ” il taglio di fondi ai dipartimenti di polizia , risarcimenti razziali, diritti di voto per immigranti clandestini, cessione di combustibili fossili, fine dell’istruzione privata e scuole charter, un reddito di base universale e college gratuito per i neri“, secondo il suo sito web .
La dicotomia nero contro bianco crea una classe nemica permanente, a cui la defezione è sempre incompleta. E a differenza della coscienza di classe del proletariato, la coscienza di razza esiste già, rendendo più facile la mobilitazione. Lo si può vedere nei commenti di un manifestante di Milwaukee di agosto: “Non vogliamo più giustizia o pace. Abbiamo finito con quella merda. Vogliamo sangue. Vogliamo sangue. Vogliamo la stessa merda che vorrai. Occhio per occhio. Niente più pace. F-k tutto ciò. Non c’è più pace. Non c’è più pace. Abbiamo fatto. Non possiamo convivere con i bianchi, uno di noi deve andarsene, bianco o nero. Dovrai andare via! ”
*****
FONTE:https://sadefenza.blogspot.com/2020/06/blm-e-la-rivoluzione-del-colore.html
ECONOMIA
Agenzie rating, Italia declassata se non accetta il Mes
28, giugno, 2020
Alberto Bagnai: “Quando arrivano i prossimi rating? Perché le agenzie hanno già fatto sapere che senza MES sarà downgrade. È irrazionale come la tripla A a Lehman, ma qualcuno 39 anni fa ha voluto un mondo in cui comandassero le agenzie (i mercati) e loro comandano. Così è anche se non vi pare…”
FONTE:https://www.imolaoggi.it/2020/06/28/agenzie-rating-italia-declassata-se-non-accetta-il-mes/
Una rapida considerazione sul debito italiano.
Qui ci sono i dati sul saldo pubblico primario (primary net balance) delle tre principali economie dell’Eurozona dal 1992 (anno della firma dell’infelice Trattato di Maastricht) al 2019, tratte dal World Economic Outlook dell’ottobre scorso:
France | Germany | Italy | |
1992 | -24.196 | 0.152 | 10.647 |
1993 | -42.178 | -6.773 | 17.429 |
1994 | -31.066 | 6.588 | 13.487 |
1995 | -27.143 | -119.622 | 30.268 |
1996 | -10.479 | -9.368 | 38.915 |
1997 | -8.428 | 2.002 | 61.619 |
1998 | 6.686 | 9.773 | 50.952 |
1999 | 14.576 | 22.191 | 50.669 |
2000 | 18.473 | 25.384 | 42.427 |
2001 | 18.707 | -8.65 | 31.219 |
2002 | -8.677 | -26.835 | 29.997 |
2003 | -24.623 | -23.445 | 19.809 |
2004 | -18.401 | -17.801 | 13.999 |
2005 | -16.188 | -19.436 | 3.379 |
2006 | -1.147 | 17.92 | 11.13 |
2007 | -3.061 | 66.81 | 49.49 |
2008 | -12.246 | 56.534 | 33.863 |
2009 | -95.664 | -18.693 | -16.193 |
2010 | -91.912 | -57.411 | -1.347 |
2011 | -55.222 | 30.912 | 12.889 |
2012 | -53.23 | 51.083 | 33.629 |
2013 | -40.517 | 41.967 | 27.778 |
2014 | -39.766 | 53.312 | 22.026 |
2015 | -38.473 | 61.835 | 22.077 |
2016 | -40.137 | 66.803 | 20.788 |
2017 | -25.982 | 67.519 | 21.331 |
2018 | -21.352 | 85.973 | 24.497 |
2019 | -44.403 | 60.385 | 24.878 |
Ricordo che il saldo primario è la differenza fra le entrate del bilancio pubblico e tutte le spese tranne quelle per interessi. Il segno negativo indica un deficit.
Noterete che, se escludiamo dal computo gli interessi (ingenti per i noti motivi), l’Italia è andata in deficit in due soli anni: il 2009 e il 2010.
Vi lascio quindi calcolare per esercizio la cumulata di questi saldi, fornendovi la soluzione. In Francia, i saldi cumulati ammontano a -716 miliardi, in Germania a 419 miliardi, in Italia a 702 miliardi.
Al netto degli interessi, l’Italia è il Paese che ha risparmiato di più, e infatti dal 1994 al 2007 il suo debito è sceso, arrivando dal 126% al 100% del Pil, nonostante l’eredità di tassi di interessi altissimi per gli standard attuali. Data la strategia di allungamento delle scadenze portata avanti con successo dal Dipartimento del Tesoro, ancora oggi il costo medio del debito, misurato grossolanamente come rapporto fra la spesa per interessi in un anno e lo stock di debito all’inizio dello stesso anno, è su valori relativamente elevati rispetto ai tassi prevalenti sul mercato. A titolo di esempio, nel 2019 la spesa per interessi è stata di circa 60 miliardi, che rapportati ai 2380 miliardi di debito esistenti a inizio anno danno un tasso medio ex post di circa il 2.5%. Per capirci, se il tasso medio fosse stato quello ottenuto alle aste del Btp decennale a inizio 2020 (0.94%) il “conto” degli interessi sarebbe stato molto minore (22 miliardi), e se invece fosse stato quello spuntato all’ultima asta (quella di inizio giugno, pari a 1.91%), il conto sarebbe comunque sceso a 45 miliardi.
Attenzione! Questo non è il ragionamento cretino di chi dice “avete fatto crescere la spesa per interessi perché è aumentato lo spread”! L’interesse pagato sui titoli è quello pattuito al momento dell’emissione e quindi lo spread in tanto influisce sul totale degli interessi pagati, in quanto influenza le ultime aste, che sono una frazione ridotta del totale del debito, tant’è che nonostante Borghi (!) la spesa complessiva per interessi continua a diminuire. Certo, se un maggiore spread si protrae per dieci anni, alla fine in media il debito costerà tutto di più, e questo è ovvio, ma il ragionamento che volevo fare qui non guarda al passato, ma al futuro, che è un futuro di tassi bassi e decrescenti.
Visto che tutti concordano nel constatare che ora i tassi di interesse sono a un minimo storico, e che ci resteranno ancora per un po’, e visto che a differenza della Germania, dove oggi succede questo (veramente è successo da un po’, ma il Corriere se ne accorge solo oggi), ieri succedeva questo, e più indietro nel tempo succedeva questo (e andando più indietro si trova dell’altro), l’Italia non ha mai fatto default e negli ultimi trent’anni ha il record di avanzo primario, non si capisce perché tanto nervosismo a proposito del debito italiano.
Certo, il debito crescerà, ma il suo rapporto al Pil crescerà soprattutto se, non facendo debito per far ripartire l’economia, ammazzeremo il Pil. A quel punto sì che il debito diventerà insostenibile, perché avremo eliminato la capacità dell’Italia di creare valore e quindi gettito fiscale con cui onorare i propri impegni (cosa che è sempre riuscita a fare). Una politica coraggiosa oggi servirebbe proprio a evitare problemi domani, anche perché ora i tassi sono bassi, domani chissà! Se i tassi dovessero riprendere a crescere, è chiaro che il momento di indebitarsi sarebbe ora! Ma in ogni caso, se la tendenza al ribasso permane, la spesa per interessi sarà destinata a diminuire e l’avanzo primario a trasformarsi in un avanzo tout court (ove lo si ritenga utile: sappiamo che non è necessario perché il rappporto debito/Pil diminuisca). In ipotesi, dopo dieci anni di interessi zero (posto che la situazione duri – e sappiamo che non durerà) il costo del debito sarebbe zero, e l’avanzo primario coinciderebbe con quello complessivo!
E allora, dobbiamo preoccuparci per uno Stato che dal 1992 ha risparmiato 700 miliardi, o per uno Stato come la Francia, che dal 1992 ne ha dilapidati altrettanti e che è in piena crisi da deficit gemelli?
A me questo sembra così evidente, ma forse sono strano io, che voi avete incautamente eletto, e avranno ragione i mercati, che voi non avete eletto, e che, a quanto si mormora nei corridoi, incapaci di usare il pallottoliere (e un minimo di prospettiva) come ho fatto io qui, ci infliggeranno un downgrade se non ci indebitiamo con il MES (cioè comandano, anche se voi non li avete votati, e fra l’altro comandano contro il loro interesse, dimostrando di non meritare il potere che si sono preso, perché la loro irrazionalità è ormai conclamata, e nel caso che qui ci riguarda si è manifestata quando hanno acclamato Monti, che ha fatto crescere il rapporto debito/Pil, come qui abbiamo detto da subito, e come qualche economista dalla non abbondantissima produzione scientifica ancora non ha capito).
Di una cosa però sono certo: al MEF non sono cattivi, non c’è nessun complotto. La subalternità ce l’hanno iscritta nella doppia elica del loro DNA, ed è, se vogliamo, il duale del loro sentirsi superuomini, del loro considerarsi una spanna sopra quei cialtroni degli (altri) italiani. Non bisogna mai dimenticare che la sinistra è fatta di italiani che si sentono superiori agli altri italiani in quanto eredi morali di quelli che hanno raccontato a se stessi di aver vinto una guerra che il Paese aveva perso, e che oggi legittimano la loro superiorità morale aderendo a quello che definiscono un progetto di pace (ignorando che la pace ce l’ha data l’aver perso una guerra), e millantando una buona accoglienza nei salotti europei – dove prendono solo sberle, senza mai restituirle! Certo, pensare che il tuo Paese sia fatto di cialtroni ti rende difficile, anzi: sgradevole e sgradito, difenderlo nelle sedi europee, soprattutto se perdi contatto con alcuni semplici dati come quelli che qui vi ho esposto e che, ne sono certo, nessun nostro governante né presente né passato ha mai opposto ai suoi “omologhi” europei, non per cattiveria, ma per ignoranza.
Sul futuro stiamo lavorando.
State saldi.
EUROZONA: FINE DELL’ILLUSIONE ED AFFERMARSI DELLA DEPRESSIONE PERMANENTE DEL SUD
Quando fu creato l’euro e per lo meno sino al 2005 vi era l’illusione che potesse effettivamente ad una omogeneizzazione dell’Unione Europea e ad una convergenza delle economie. Una illusione temporanea,
Le crisi del 2008 prima e del 2010-11, dopo hanno spazzato via quelle speranze di convergenza, ci hanno guidato nell’attuale limbo in cui la divisione fra i paesi del nord e del sud Europa è sempre più segnata e sensibile. Vediamo i grafici relativi alla disoccupazione
E quello relativo al PIL pro capite anch’esso mostra la divisione fra paesi in e out dell’unione.
La situazione non solo non è migliorata, ma sta peggiorando: dal punto di vista macroeconomico, la Francia fa attualmente parte dell’Europa meridionale. Dal 1965 al 2000 circa, il nostro vicino d’Oltralpe era, stranamente, più ricco della Gran Bretagna. Negli anni ’90, la Francia era ricca quasi quanto la Germania, che ebbe problemi nel digerire l’annessione della Germania orientale precedentemente comunista. Oggi, non avendo la propria moneta (a differenza della Gran Bretagna), a causa di enorme welfare state, un mercato del lavoro eccessivamente regolamentato (rispetto alla Germania), e di una domanda che punisce ke piccole e medie aziende m, non si può negare che la Francia sia di diritto entrata fra i paesi del sud Europa.
Questa differenza è destinata ad esplodere per il COVID -19, prevede per i paesi belle Sud Europa un calo dal 12,5% (Francia) al 12,8% (Spagna ed Italia dati FMI) del prodotto interno lordo, di 5 punti superiore a quello, ad esempio, della Germania. Tutto questo accentuerà la depressione demografica dei paesi mediterranei, già più bassa rispetto a quelli del Nord Europa, dove il tasso di sviluppo della popolazione è mantenuto più elevato da un mix di immigrazione extraeuropea, africana, asiatica ed orientale, e di natalità superiore per un rassicurante welfare state.
- una crisi economica e demografica per il Sud, che però mantiene una maggiore uniformità etnica;
- una crisi razziale e sociale per il Nord Europa quando la percentuale dei migranti, per i flussi e la diversa dinamica demografica faranno si che questi peseranno non più il 20%, ma per il 40% della popolazione, ma con un reddito medio molto più basso;
La soluzione è solo una: la rottura, almeno in due parti, dell’area euro, in modo che ognuna delle due aree possa seguire le politiche fiscali e monetarie più adeguate ai propri bisogni. Una soluzione che per non è ancora emersa, ma fra qualche mese le prospettive potrebbero essere completamente diverse.
FONTE:https://scenarieconomici.it/eurozona-fine-dellillusione-ed-affermarsi-della-depressione-permanente-del-sud/
Il suggerimento del prof. Savona l’ha seguito l’Austria
“L’Austria ha appena emesso un titolo di debito a 100 anni (!) con un rendimento inferiore all’1%. L’appetito degli investitori per un rendimento sicuro è enorme; la domanda è stata oltre 10 volte l’offerta”, annuncia stupefatto Philip Heimberger, economista all’università Keplero di Linz, e chiede: “ Perché gli altri paesi dell’Eurozona non seguono l’esempio?”.
Una delle risposte può essere: perché è simile alla proposta del professor Paolo Savona – che ha suggerito al governo di emettere, per raccogliere il risparmio degli italiani, un titolo irredimibile che paghi il 2 per cento d’interesse, esente in perpetuo di imposte di successione. Anzi la proposta di Savona era ancora meglio perché, mentre “ogni titolo di debito, anche a lungo temine come i centennali, deve essere contabilizzato nel debito e quindi all’interno dei rapporti debito/PIL, lo stato, invece, non contabilizzerebbe i titoli irredimibile all’interno del rapporto debito/PIL, quindi permetterebbero un riavvicinamento ai parametri di Maastricht”.
Ovviamente, qualunque cosa dica Savona incontra il rifiuto generale e preconcetto. Qualche sera fa, in una trasmissione a Rete 4, quando fu evocata la soluzione Savona, Pierangelo Buttafuoco (culturalmente inadatto al tema) lo trovò “suggestivo” ma inapplicabile “perché ci manca la sovranità, l’ Europa non lo permetterebbe”, ma soprattutto quattro donnette lo respinsero con smorfie di disgusto, come un’enormità sconveniente, con l’automatismo di cani di Pavlov. Ricordo che una delle donnette , storcendo la bocca, sibilò più o meno: e chi vuole che accetti un titolo irredimibile! Rivelando così la sua abissale ignoranza, perché gli si sarebbe dovuto rispondere: “Lei, per esempio” Perché infatti le banconote sono precisamente questo: titoli di debito irredimibili. Che nemmeno rendono un interesse.
Il punto è che titoli irredimibili proposti da Savona sono appunto usabili come moneta per “transazioni relative ad investimenti”, vincerebbero la deflazione imposta dall’euro; Savona li ha proposti come “prestito di guerra” per finanziare imprese italiane di piccole medie dimensioni che competano sul mercato internazionale”, in qualche modo analoghi agli “effetti MeFo” del Reich. I titoli irredimibili “sono” moneta. Moneta alternativa.
Paura dei reticolati UE
Temo che proprio questo terrorizzi o provochi revulsioni anche agli ignari del tema: come se toccassero il filo elettrificato del Lager Europa, la paura di “creare moneta, fatto “illegale”, tabù inviolabile. Solo in questo senso Buttafuoco ha potuto ritenere che la UE “non lo permetterebbe”: altra rivelazione di ignoranza – la UE non può né vuole vietare l’appello al risparmio nazionale – ma soprattutto di paura: ci siamo così abituati al Lager, da vederne i reticolati elettrici anche dove non sono.
Il risparmio finanziario degli italiani si valuta (o valutava prima del virus) a 4.400 miliardi. Btp redimibili esentasse, con rendimento al 2%, sarebbero sottoscritti con entusiasmo per lo stesso motivo per cui i mercati hanno voluto i titoli austriaci a 100 anni all’1% (anzi meno: 0,88%): sete di rendimenti, anche minimi, in un mondo di tassi negativi.
Si potrebbero facilmente raccogliere, diciamo 300 miliardi; da fare a meno di MES di cui tutti i media e i politici fanno la propaganda, in queste ore, con intensità comica ed ossessiva ripetitività – che tradisce l’odore di propaganda ideologica totalitaria: hanno ricevuto un ordine, i media,e si prodigano, ridicolmente, proprio come continuano riferire “le cifre della pandemia” e “i nuovi positivi” insieme alla profezia di Gates: “La nuova epidemia attirerà l’attenzione” (e lui lo sa, infatti: ciome si fa a non capire).
Il vero motivo di un fallimento della raccolta dei titoli irredimibili di Savona, sarebbe la sfiducia nell’attuale governo, nella sua insipienza malevola, incapace di elaborare un progetto che sia uno di rinascita economica.
Un tizio ha scritto invece su “InvestireOggi” che “I BTp irredimibili di Savona hanno il sapore di un ricatto ai risparmiatori italiani”.
Perché? Savona “ha avvertito le famiglie italiane che, se non sottoscrivono abbastanza titoli senza scadenza, lo Stato prenderà quei soldi comunque con una patrimoniale” Ma questa in che senso è una minaccia? Savona non è al governo e non potrebbe attuarla, nemmeno volendo. Ha solo descritto oggettivamente quello che farà questo governo: se non raccoglie i risparmi italiani coi titoli irredimibili, dovrà ad un certo punto prenderli con una imposta patrimoniale. Cosa che lui ovviamente non auspica perché,da quel grande economista che è (e non un Gualtieri) sa che una patrimoniale aggraverebbe la deflazione e renderebbe irreversibile la rovina economica.
Che volete farci. E’ uno dei maggiori problemi italiani che ignoranti possano giudicare e valutare in video idee come quelle del professor Savona, liquidandole presso l’opinione pubblica con una battuta.
Sui titoli austriaci a 100 anni allo 0,88 per cento, di cui Vienna ha offerto 2,3 miliardi e i “mercati” ne hanno chiesto dieci volte di più, concludo che sono un cattivo investimento: dal 1786 l’Austria ha fatto bancarotta sul suo debito pubblico 8 volte, dicesi otto. Una ogni 28 anni. Strano che lo spread austriaco non rifletta questa tendenza ricorrente al default….
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/il-suggerimento-del-prof-savona-lha-seguito-laustria/
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
SCOPERTE 83 TONNELLATE D’ORO FALSO. Forse la più grossa quantità mai trovata inquina il mondo dei collaterali
Le notizie sulla presenza di lingotti di tugsteno o di rame ricoperti d’oro e spacciati per lingotti del prezioso metallo non sono una novità, ma ora dall’Oriente ci giunge la notizia di una contraffazione senza precedenti che potrebbe avere delle gravi conseguenze.
Protagonista è la Cina, anzi la stessa città di Wuhan che è stata il cuore del Covid-19. Protagonista è la Wuhan Kingold Jewellery Inc, una società che si definiva “Con un futuro dorato”, ma forse sarebbe stato più corretto definirlo “Ramato”. Perchè questa società si è fatta prestare da diversi trust ed istituti finanziari informali cinesi, il famoso “Shadow banking” cinese, 20 miliardi di Yuan, 2,8 miliardi di dollari, in cambio di un pegno consistente in oro per un totale di 83 tonnellate. Tutto perfetto per una società che ha come obiettivo la raffinazione e lavorazione dell’oro, peccato che di oro non ce ne fosse. molto. A maggio il creditore Dogguang Trust, uno dei famosi operatori del Shadow Banking, ha effettuato dei test scoprendo che i lingotti affidati come garanzia non erano d’oro, ma semplicemente di rame placcato. Quindi un test simile è stato effettuato sull’oro depositato nel Minsheng trust , rivelando anche li che si trattava di metallo poco nobile placcato. Ora la differenza di peso specifico fra oro e rame è tale che perfino un semplice peso dei lingotti con comparazione dei volumi avrebbe potuto scoprire il trucco. Connivenza o superficialità.
Questo un elenco dei prestiti:
Lo scandalo rischia di creare un incredibile effetto domino nel settore finanziario cinese perché molti di questi prestiti, come potete vedere , erano garantiti da assicurazioni forniti dalla primari società PICC P&C che ora si rifiuta di rimborsare i prestiti. Ora lo scandalo si allarga, con Kingold che ha fatto default su due bond per diversi miliardi di yuan e la Kingold è stata cacciata dal Shaghai Gold Exchange.
Potete capire che se un prestito garantito in oro ed assicurato da una primaria società del settore non è un prestito sicuro, rimane poco in cui investire senza pensare che i soldi possano sparire. Questa frode è stata scoperta, ma quanti altri collaterali farlocchi ci saranno in Cina? Questa è la domanda decisiva.
FONTE:https://scenarieconomici.it/scoperte-83-tonnellate-doro-falso-forse-la-oiu-grossa-quantita-mai-trovata-inquina-il-mondo-dei-collaterali/
Silver economy
25 GIUGNO 2020 – Alberto Bagnai
(…nelle agenzie e nei servizi giornalistici ho visto le mie parole e non le ho riconosciute tutte. Ho pensato che fosse meglio mettervi a disposizione il video qui, perché qualche concetto espresso forse può esservi utile…)
VIDEO QUI: https://youtu.be/T3AP6eUyEU0
FONTE:https://goofynomics.blogspot.com/2020/06/silver-economy.html
QUANDO UNO STATO BLOCCA I PAGAMENTI ELETTRONICI… IL CASO ECOCASH
I regimi non liberali, anzi francamente dittatoriali o genericamente autoritari, sono quelli che vogliono limitare, con varie scuse, l’utilizzo di un determinato mezzo di pagamento. Paradossalmente possono anche cercare di vietare e limitare i pagamenti elettronici, quando questi sono troppo efficienti e rischiano di mettere in secondo piano il denaro FIAT, perché., in tutto il mondo, il denaro FIAT è quello che garantisce “Il pagamento” . cioè l’assolvimento, dalle obbligazioni di pagamento. Se il pagamento elettronico è gestito dal privato lo stato. o la banca centrale, a qualsiasi livello, perdono la capacità di gestire “Il pagamento” e la cancellazione del debito. Ecco perché NON sentite la BCE impazzire per i pagamenti elettronici obbligatori, anzi è completamente contraria al di sotto dei 3000 euro, ma è un discorso che affronteremo separatamente.
In Zimbabwe il governo ha deciso di vietare i pagamenti elettronici che soprattutto attraverso una piattaforma che si chiama EcoCash. In una situazione in cui il dollaro dello Zimbabwe non ha nessuna credibilità nella popolazione, tanto che il cambio ufficiale è 25 , mentre quello “in Nero” è pari a 100, i sistemi di pagamento elettronici hanno avuto un grosso successo. Perfino i titoli alla borsa valori sono preferiti al contate perché, comunque, i titoli azionari anche di una borsa piccola come quella di Harare hanno un “Backing” reale , costituito da quote di aziende (evidentemente non c’è Wirecard….). Però tutto questo viene a minare il “Contante”, la moneta a corso legale, che diventa un orpello. Ecco che allora il governo di Emmerson Mnangagwam teoricamente nato come amico del mercato, ha deciso di ordinare, tramite la Banca Centrale, la chiusura di tutti i sistemi di pagamento elettronici e perfino della Borsa Valore della nazione, visti come “Nemici dello Zimbabwe” perché nemici della valuta a corso legale.
GIUSTIZIA E NORME
DANNO “DA FERMO TECNICO”
BREVE DISAMINA DEL CONTRASTO GIURISPRUDENZIALE
Il danno “da fermo tecnico” è un particolare pregiudizio di tipo patrimoniale. Esso consiste nei danni subiti dal proprietario di un veicolo a causa dell’impossibilità di utilizzare il medesimo per il tempo necessario alla sua riparazione. L’ipotesi più frequente è quella del danno “da fermo tecnico” conseguente ad un sinistro stradale[1].
Tale categoria di danno ha formato oggetto di un articolato dibattito giurisprudenziale, volto a definire se il danno medesimo possa essere qualificato o meno come danno in re ipsa.
Il primo orientamento, più risalente negli anni (Cass. n. 2109/1972), qualifica il pregiudizio in esame come un danno in re ipsa, liquidabile, cioè, anche in assenza di prova specifica, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso a cui esso era destinato. Tale corrente di pensiero si fonda sull’assunto secondo cui il fermo di un veicolo, durante il periodo necessario per le riparazioni, è fonte di un pregiudizio patrimoniale, che in quanto tale deve essere risarcito (Cass. n. 13215/2015 e Cass. n. 22687/2013). Tale pregiudizio consistente: a) nella tassa di circolazione; b) nel premio assicurativo; c) nella diminuzione di valore del mezzo causata dal sinistro.
Inteso in questi termini, il danno “da fermo tecnico” sarebbe risarcibile in via automatica: il danneggiato che ne chiede il ristoro è tenuto a dimostrare solo i giorni di fermo del veicolo, senza dover fornire specifica prova dei pregiudizi patiti, poiché questi sono da considerarsi conseguenza naturale e immediata della sosta forzata della vettura. Ovviamente, il risarcimento di tale posta di danno deve ritenersi escluso ove la parte controinteressata fornisca in giudizio idonea prova contraria.
Secondo tale orientamento giurisprudenziale, inoltre, il danno “da fermo tecnico”, nel caso in cui non sia possibile determinare con esattezza l’ammontare dello stesso, è liquidabile in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c.. In quanto danno in re ipsa, infatti, rileva la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso era destinato (cfr. Cass. 6907/2012).
La seconda corrente giurisprudenziale, invece, in contrasto con l’orientamento sopra esaminato, ritiene che il danno “da fermo tecnico” non sia qualificabile come in re ipsa, e quindi automaticamente risarcibile, ma sostiene che lo stesso debba essere provato in concreto. Secondo tale giurisprudenza, ai fini della risarcibilità del danno “da fermo tecnico” di veicolo incidentato, è necessario che il pregiudizio sia allegato e dimostrato. La relativa prova, inoltre, non può consistere nella dimostrazione della mera indisponibilità del veicolo, ma deve sostanziarsi nella dimostrazione della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo o della perdita dell’utilità economica derivante dalla rinuncia forzata ai proventi ricavabili dal suo uso (cfr. Cass. n. 13178/2017).
L’orientamento in esame si basa su diversi assunti, analizzati in prima battuta dalla Cass. n. 20620/2015 e poi ripresi dalla pronuncia n. 9348/2019.
In primo luogo, secondo gli Ermellini, non sono ammissibili nel nostro ordinamento forme di danno in re ipsa, cioè risarcimenti che derivano dalla lesione dell’interesse giuridicamente tutelato. In caso contrario, infatti, si andrebbe incontro ad una duplice conseguenza: a) il danno coinciderebbe con l’evento dannoso e non consisterebbe nelle conseguenze derivanti dallo stesso, di talché il danno verrebbe risarcito anche in assenza di un effettivo pregiudizio; b) la responsabilità civile verrebbe utilizzata in funzione sanzionatoria, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.
In secondo luogo, la S.C. ritiene erroneo l’assunto, proprio dell’orientamento giurisprudenziale contestato, per cui il danno “da fermo tecnico” possa essere liquidato in via equitativa.
La liquidazione operata ai sensi dell’art. 1226 c.c., infatti, trova applicazione qualora il pregiudizio sia stato provato nell’an, ma vi sia incertezza in merito al quantum. Questo in quanto il potere del giudice di liquidare equitativamente il danno ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della sua precisa determinazione e non può sopperire ad eventuali mancanze delle parti dal punto di vista probatorio.
In terzo luogo, la Corte ritiene infondato che il fermo forzoso del veicolo determini un pregiudizio patrimoniale consistente nel pagamento della tassa di circolazione, nelle spese di assicurazione e nel deprezzamento del veicolo. Tale assunto su basa su tre ordini di ragioni: a) la tassa di circolazione è una tassa di proprietà e il suo pagamento prescinde dall’utilizzazione del mezzo, ma è dovuto per il semplice fatto dell’iscrizione del medesimo al Pubblico Registro Automobilistico. Essendo dovuto in ogni caso, quindi, il pagamento della tassa di circolazione non può in alcun modo integrare un danno; b) il premio assicurativo non può ritenersi mai “inutilmente pagato”, in quanto, da una parte, il rischio che il veicolo possa causare danni a terzi non viene meno durante il periodo della riparazione e, dall’altra, perché durante il periodo della riparazione il proprietario potrebbe chiedere all’assicuratore la sospensione dell’efficacia della polizza. Ove ciò non avvenga, il pagamento del premio sarebbe riconducibile ad una negligenza del danneggiato, allo stesso imputabile ai sensi dell’art. 1227 c.c., e non potrebbe costituire un danno risarcibile; c) il deprezzamento del bene non è in una relazione causale con il fermo tecnico. Se da un canto, infatti, il deprezzamento è causato dalla necessità della riparazione e non dalla durata di questa, dall’altro esso non è una conseguenza necessaria del fermo tecnico, ma un danno eventuale da accertare caso per caso (ad esempio, la riparazione di un veicolo obsoleto e malandato potrebbe addirittura fargli acquistare un valore superiore a quello che aveva prima del sinistro).
Infine, la S.C. ritiene non corretto affermare che l’indisponibilità del veicolo durante il tempo delle riparazioni costituirebbe un danno patrimoniale “a prescindere dall’uso a cui esso era destinato”.
Non potere utilizzare un veicolo per svago o diporto non costituisce una perdita patrimoniale, ma un pregiudizio d’affezione: come tale non risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c., mancando la lesione di un interesse della persona costituzionalmente garantito[2].
In base all’orientamento appena esaminato, quindi: – il danno da “fermo tecnico”, consistente nel pregiudizio derivante dall’indisponibilità di un autoveicolo durante il tempo necessario per le riparazioni, non è un danno in re ipsa, ma, perché sia risarcibile deve essere allegato e dimostrato; – la prova del danno non può consistere nella dimostrazione della mera indisponibilità del veicolo, ma deve avere ad oggetto la prova della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo (danno emergente), ovvero della perdita subita per avere dovuto rinunciare ai proventi ricavati dall’uso del mezzo (lucro cessante).
Questa seconda corrente di pensiero sembra essere, allo stato, quella prevalente, ma non quella definitiva. Appare, quindi, quanto mai opportuno un intervento delle Sezioni Unite, al fine di addivenire ad un orientamento unitario in materia di danno da “fermo tecnico”.
[1] Si tratta di una categoria di danno elaborata dalla giurisprudenza degli anni ’50, che riconosceva il risarcimento del danno “da fermo tecnico” nel solo caso del pregiudizio patito dalle vetture del trasporto pubblico (taxi) che venivano coinvolte in un sinistro e che, non potendo essere utilizzate nel tempo della riparazione, erano fonte di una perdita di guadagno. Con l’evoluzione della giurisprudenza, il risarcimento per “la sosta forzata in officina” è stato progressivamente esteso anche alle vetture private, in quanto cominciava a farsi largo l’idea per la quale l’inutilizzabilità del veicolo fosse di per sé fonte di un pregiudizio.
[2] Sul punto si veda Cass. n. 13178/2017 secondo cui non pare possibile “negare rilevanza all’uso effettivo a cui il veicolo in riparazione era destinato, omettendo di considerare che, al contrario, l’uso effettivo del veicolo assume rilievo determinante ai fini della esistenza di un danno risarcibile, non potendosi dubitare, sotto questo aspetto, della differenza intercorrente tra il pregiudizio derivante dal fermo di un mezzo utilizzato solo per ragioni di svago e il pregiudizio derivante dal fermo di un mezzo utilizzato per ragioni di lavoro”.
FONTE:http://www.salvisjuribus.it/danno-da-fermo-tecnico-breve-disamina-del-contrasto-giurisprudenziale/
CODICE PENALE – Art. 2
Art. 2. (Successione di leggi penali)
Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato.
Nessuno puo’ essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce
reato; e, se vi e’ stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.
Se vi e’ stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la
pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente
pena pecuniaria, ai sensi dell’articolo 135.
Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica
quella le cui disposizioni sono piu’ favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza
irrevocabile.
Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi
precedenti.
Le disposizioni di questo articolo si applicano altresi’ nei casi di decadenza e di mancata
ratifica di un decreto-legge e nel caso di un decreto-legge convertito in legge con
emendamenti.(103)
—————-
Note:
La Corte Costituzionale, con sentenza 19-22 febbraio 1985, n. 51 (in G.U. 1ª s.s.
27/02/1985, n. 50), ha dichiarato “l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 2, comma quinto, c.p.
nella parte in cui rende applicabili alle ipotesi da esso previste le disposizioni contenute nei
Commi secondo e terzo dello stesso art. 2 c.p.”.
FONTE:https://www.studiocataldi.it/codicepenale/
PANORAMA INTERNAZIONALE
IN BALIA DEL GOVERNO OMBRA, L’OCCIDENTE PERDE OGNI CONQUISTA
Elon Musk, Ray Dalio (fondatore di Bridgewater, il primo hedge found mondiale), Bill Gates, George Soros, Jeff Bezos, Richard Branson (fondatore del gruppo Virgin), Hillary Clinton… e per finire Vittorio Colao.
Cosa vogliono queste persone e, soprattutto, perché il genere umano è per certi versi ostacolo ai loro obiettivi. Prima d’iniziare a raccontarvi questa storia, diamo per assodato che per gli uomini più potenti al mondo il principale fattore d’inquinamento sarebbe quello antropico. Ovvero la Terra deve all’uomo il suo inquinamento, anche solo perché lo popola. Ma qui scuole e dottrine si dividono. Infatti per la fazione dei Gates (con lui i Rothschild ed i Rockefeller) necessiterebbe auspicare un decremento dell’umanità, mentre per i ricchi legati ad Elon Musk basterebbe guardare all’opportunità d’altri pianeti in grado d’ospitare la colonizzazione umana. Ovvero l’opportunità dell’esplorazione spaziale, che vede in Elon Musk il più importante sponsor privato: è fondatore, Ad e Cto di “Space Exploration Technologies Corporation” (SpaceX), co-fondatore e Ceo e product architect di Tesla e co-fondatore e Ceo di Neuralink. Inoltre Musk è presidente di SolarCity, fondatore di The Boring Company e co-fondatore di PayPal e OpenAI. È lui che ha proposto un sistema di trasporto super veloce conosciuto come Hyperloop: il teletrasporto è tra le opportunità che lui vorrebbe offrire in futuro a chi volesse abbandonare la Terra.
D’avviso leggermente differente Richard Branson, che vorrebbe l’uomo limitasse la propria procreazione ed allungasse la propria vita in città sommerse dai mari: non a caso sponsorizza la costruzione d’un ristorante sottomarino nella baia di Portofino. Il raggiungimento di questi obiettivi dei potenti visionari incontra però ostacoli, dovuti al pulviscolo lavorativo, economico e monetario dei popoli. Ecco che queste nuove aristocrazie di censo finanziario-tecnologico, seppur con vari distinguo sulle metodiche, hanno riconosciuto ad Hillary Clinton il ruolo di sintesi politica. Ovvero il segretario di questo partito mondiale del potere è la Clinton. Per certi versi questa abilissima donna incarna già il ruolo di capo del governo ombra del pianeta. Non è certo un mistero che l’aristocrazia finanziaria appoggi la Clinton Foundation, soprattutto nel lancio di campagne come la moneta unica elettronica mondiale, l’inserimento della cultura gender nei programmi scolastici, il favorire le migrazioni, il sostituire le religioni tradizionali con la teologia scientifica del potere… Papa Francesco si preoccupa, ma sa che anche la Chiesa Cattolica è sotto il ricatto dei gestori mondiali della finanza. Ma esaminiamo uno dei progetti che permetterebbero, a dire dei filantropi citati, di salvare la Terra dal fattore umano.
Premessa, nel dicembre 2018 Musk viene classificato da Forbes al venticinquesimo posto tra le persone più potenti del mondo. Novembre 2019, il suo patrimonio personale sarebbe stato stimato per difetto in 28,8 miliardi di dollari: secondo molti sarebbe in possesso d’una enorme ricchezza occulta, e per non farlo sapere avrebbe pagato per farsi posizionare al 34esimo posto nella lista delle persone più ricche del mondo. Forbes tace, ed in molti non vorrebbero si scoprissero le carte di Musk.
Di tanto in tanto, su riviste specializzate e programmi scientifici televisivi, emerge che Marte sarebbe già stato colonizzato da tecnologie private in grado d’assicurare una sorta di vita terrena: atmosfera sul tipo di quella terrestre verrebbe generata artificialmente con la creazione dell’alternanza di piogge ed evaporazione, e perché su Marte sarebbe stata rinvenuta acqua sia in forma fossile che di ghiacciai millenari. Sono state costruite serre, che in parte verrebbero scoperte per esporle agli eventi pluviometrici marziani. Le giornate sarebbero più lunghe su tutto il pianeta, ma stabilizzando l’atmosfera cesserebbero tempeste ed escursione termica. Secondo gli esperti assoldati da Musk tra un decennio sarebbe possibile l’inizio della colonizzazione, forti delle enormi risorse minerarie del pianeta.
Ecco che Musk ha già proposto un aeromobile elettrico supersonico: il Vtol (decollo e atterraggio verticali) con propulsione a ventole elettriche, con il nome di “Musk electric jet”. L’azienda di Musk starebbe lavorando all’astronave che nel 2030 permetterebbe si raggiunga Marte in soli 20 giorni. Il ricco visionario lavora all’obiettivo di una SolarCity in grado cambiare il mondo e l’umanità. Vorrebbe così ridurre il riscaldamento globale, da un lato tramite l’utilizzo di energie rinnovabili, e dall’altro riducendo il rischio di un’estinzione umana organizzando la colonia umana su Marte.
Ecco che alcuni potenti della Terra hanno invitato Elon Musk nei vertici internazionali, chiedendo al visionario quando sarebbe possibile fare di Marte una sorta di Australia dell’età Vittoriana. Premettiamo che in Inghilterra le “poor laws” (ordinanze a favore dei poveri) vengono promulgate da Edoardo III nel giugno del 1349, ma rimangono in vigore sino al Novecento, e sarebbero ancora in vita come sistema assistenziale. Ma nella seconda metà dell’Ottocento, nell’età vittoriana, prendono ben altra piega: a causa della dilagante povertà londinese, del degrado urbano e degli efferati delitti nei sobborghi, le leggi di polizia britanniche iniziano la deportazione in Australia di chi vive in miseria o ha problemi con la legge.
Di fatto i potenti della Terra stanno valutando una strada alternativa alla “povertà sostenibile” (reddito mondiale di cittadinanza) ovvero poter offrire una fuga su Marte a chi economicamente non sarebbe più in grado di permettersi una vita terrena. Musk giura di farcela entro il 2030, e chiede ai potenti della Terra d’investire nell’iniziativa, d’alimentare Tesla in borsa, promettendo che qualche miliardo di derelitti verrà tra un decennio spedito nella nuova Australia. Nel frattempo, il finanziere Jacques Attali (amico di Vittorio Colao ed Emmanuel Macron, da qualche mese pare conoscente di Giuseppe Conte) auspica un decremento terreno grazie all’aumento della mortalità umana.
La Clinton Foundation non prende posizioni, ma nemmeno stigmatizza la scelta olandese (che piace a qualche paese limitrofo) d’offrire l’eutanasia di stato a chi non sopporta di vivere in “povertà irreversibile” (per motivi bancari, finanziari, giudiziari…). Il mondo va spopolato, per i credenti è qualcosa di diabolico: i potentissimi ne dibattono, i governi progressisti studiano l’opportunità e ci riflettono, la Chiesa di Roma si mostra silente, mentre quella Ortodossa non ci sta e in buona compagnia degli israeliani che odiano George Soros. L’impressione è che, le aristocrazie finanziario-tecnologiche siano convinte di poter affermare la green economy abolendo la democrazia e tutte le libertà conquistate negli ultimi trecento anni. Reputano di riuscirci aiutando la proliferazione di governi sul tipo di quello che regge oggi l’Italia. La gente purtroppo crede alle loro campagne stampa, davvero fraudolente.
Così sentiamo che qualche uomo di strada sarebbe già convinto che il lavoro possa essere il fattore d’inquinamento, che la “povertà sostenibile” salverebbe l’ambiente, che andare a votare non serva a nulla, che i potenti della Terra farebbero il bene dell’umanità più di un partito o sindacato… che Greta è il nuovo Messia. Che Bill Gates (uomo più ricco del pianeta) ci salverà dalla povertà dando a tutti una scheda, un computer ed il metodo per creare moneta elettronica… se non ci riuscissimo potremmo sempre partire per le terre di Musk (su Marte) e tornare a zappare.
FONTE:http://www.opinione.it/economia/2020/06/26/ruggiero-capone_musk-finanza-potere-economico-occidente-soros-gates-tesla-marte-finanza-povert%C3%A0-sostenibile-poteri-clinton/
POLITICA
LA SENATRICE PACIFICO (M5S) INCALZA DI MAIO SULLA POLITICA ESTERA
Giovedì scorso la calura estiva si è fatta sentire sempre più a Roma, ma oltre che nelle sue strade sembra che abbia avuto un particolare effetto di estensione anche nei palazzi delle istituzioni, facendo surriscaldare anche l’ambiente tra le “anime”, meglio chiamarle con il loro vero nome “correnti” deluse, interne ai cinque stelle. In fondo c’era da aspettarselo, se si parte dal presupposto che proprio il sole è la stella più vicina alla terra, si evince da sé che è parte, giustamente, in causa nello spazio della galassia pentastellata. Ma lasciata l’astronomia da conto ritorniamo sulla terra, dove lo scorso giovedì 25 giugno, alle ore 17, presso l’Aula di Montecitorio, le Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato ha svolto le comunicazioni, a nome del Governo, dei ministri degli Esteri Luigi Di Maio e della Difesa Lorenzo Guerini, sulla partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali nell’ambito dell’esame delle deliberazioni adottate dal Consiglio dei ministri il 21 maggio 2020 ai sensi della legge 21 luglio 2016, n° 145, in cui per Di Maio è divenuto una sorte di giovedì della passione, proprio come quello che precede la Pasqua, solo che in questo caso è difficile il paragone con una eventuale risurrezione del medesimo e del movimento, dato le passate, recenti e futuri addii dei parlamentari dal rispettivo gruppo.
Durante la discussione in Aula sulla questione per deliberare l’impegno dei nostri militari nella missione nel Sahel, una fascia di territorio dell’Africa sub-sahariana tra l’oceano Atlantico e il Mar Rosso, è apparsa interessante la questione posta dalla pentastellata, senatrice Marinella Pacifico che, in barba all’appartenenza politica e alla logica di non porre domande scomode agli esponenti dei cinque stelle al Governo, ha richiamato l’attenzione del ministro Luigi Di Maio a quel senso di profonda responsabilità, necessaria in una corretta strategia di politica estera. Poi ha proseguito il suo intervento chiedendo al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, quali interessi nazionali spingevano l’impiego delle nostre forze armate su quelle dune, quali garanzie esistevano per i nostri soldati, nello specifico, in quale scenario si sarebbero trovati ad operare e soprattutto in che termini di regole di ingaggio. Dette così possono apparire come delle normali questioni, invece dietro ciò vi è una stimolante visione logica, posta dalla Pacifico. Come affermato dalla stessa, questa missione è paragonabile alla missione “Barkane”, che in tutta onestà non ha ottenuto un grande successo, fu guidata anche in quel caso proprio dai francesi, per interessi che, in gergo, si definiscono esclusivamente di bottega.
Infatti, la senatrice sostiene che non sia un caso che la multinazionale francofona Orano (ex Areva) che opera nel campo dell’energia nucleare (con la quale l’italiana Sogin, Società Gestione Impianti Nucleari, stilò un accordo per il trattamento presso l’impianto di La Hague, del combustibile nucleare irraggiato presente presso i siti di Caorso, Trino, Garigliano e in seguito firmato un contratto di trasporto e riprocessamento delle scorie), curiosamente, sia presente in quella fascia di territorio nigeriano per l’estrazione di un terzo dell’uranio necessario al funzionamento delle centrali nucleari francesi, a riguardo ha ricordato anche la Total, anch’essa operante in regime di monopolio sempre nel Sahel. Con questa analisi, che non fa una piega, in quella sede, la parlamentare non ha fatto altro che porre sotto i riflettori una questione più importante di quello che si possa pensare, ha portato alla luce del sole (per rimanere in tema di stelle) un errore di politica estera che stava compiendo il ministro Luigi Di Maio, al quale francamente va riconosciuto che ce la mette tutta, ma nonostante la sua buona volontà i risultati mancano a venire.
Infatti, la senatrice, ringraziandolo dapprima per il lavoro profuso, poi lo incalza ricordandogli il caso della Libia, tra le righe leggasi la figura, barbina, fatta nel mese di gennaio scorso con l’incontro Al-Sarraj e Haftar, facendo capire l’inevitabile conseguenza, come anche in questo specifico caso, di ritrovarsi, come italiani, a fare da ruota di scorta dei francesi. Nel caso del Sahel l’aggravante sarebbe maggiore, fare ai francesi pure la cortesia di continuare ad essere predominanti anche su questo territorio, pur compiendo un grosso sforzo mentale, è del tutto illogico secondo la senatrice pentastellata, anche il solo fantasticare, che le società francesi possano concederci una sorta di regalo accettando un duopolio in materia di estrazione e commercio di risorse. Dopo quanto fatto emergere, in modo palese, dalla senatrice Pacifici in sede istituzionale, viene da chiedersi se il ministro Luigi Di Maio si sia reso conto realmente della faccenda e l’unica cosa, così a caldo, che viene da pensare, è che forse stia solo cercando di muoversi in qualche direzione, con la sotterranea strategia di pensare che prima o poi ne azzecchi una. Nel frattempo va ricordato che si avvicina il periodo dell’anno, non proprio propizio per le stelle, nel quale vi è un giorno in cui le stesse divengono cadenti.
FONTE:http://www.opinione.it/politica/2020/06/30/alessandro-cicero_pacifico-dimaio-m5s-governo-ministero-degli-esteri-senato-guerini-ministero-della-difesa-africa-sub-sahariana-sahel/
Perché Berlusca adesso farà votare il MES
(Pezzo facile, copia-incolla).
Da Reuters:
Mediaset, da antitrust tedesco ok ad acquisto, influenza significativa in ProSiebenSat
“DUESSELDORF/MILANO (Reuters) – L’antitrust tedesco ha autorizzato la richiesta di Mediaset all’acquisizione di una quota d’influenza significativa in ProSiebenSat.1 senza condizioni. Lo ha reso noto lo stesso antitrust. “Non abbiamo rilievi di natura antitrust”, ha detto un portavoce dell’autorità”.
https://it.reuters.com/article/idITKCN21X1VC
ProSiebenSat.1 Media è il secondo gruppo radio televisivo europeo per numero di famiglie raggiunte, con sede in Baviera e presente in vari stati con leadership in Germania, Austria, Svizzera. . Possiede catene televisive gratuite, catene a pagamento, stazioni radio, numerosi siti internet.
Il Pompetta sta scalando il gruppo tedesco dal 2019, attraverso la controllata Mediaset Espana…. Il 23 marzo 2020 Mediaset Espana ha acquistato un ulteriore 4,28% del capitale pari al 4,35% dei diritti di voto, portando la partecipazione di Mediaset al 20,1% e mostrando l’ambizione di voler partecipare alla governance dell’emittente grazie anche al 10% detenuto dal magnate ceco Daniel Kretinsky, considerato dagli analisti vicino a Pier Silvio Berlusconi in questa partita, […]
Commento: “Lo dicevo da aprile, da quando Mediaset ha avuto la strada spianata dall’antitrust tedesco per la scalata a ProSiebenSat.1. Da allora per Berlusconi il MES è diventato la panacea di tutti i mali. Zitto zitto, quatto quatto” (Diana Lanciotti, consulente di marketing e giornalista).
Commento: ““Media for Europe”, MES è bello, e Forza Italia già pronta a votare appoggio a Conte… con questi qui inutile pure sprecarci il disegnino, indifendibile chi li vota ancora..” (Minuteman-Italy )
Ricordiamo il 2011:
“Nel 2011 hanno trovato il punto debole di Berlusconi. Da allora lo tengono per le palle. Forza Italia è servo del PD e della U€”. (Pepito Sbazzeguti, pseudonimo di un competente economista politico).
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/perche-berlusca-adesso-fara-votare-il-mes/
STORIA
Le imprese statunitensi che finanziarono Hitler
Luca Leonardo D’Agostini – 31 maggio 2020
Una delle più importanti pagine di storia del XX secolo non raccontate nei libri di scuola occidentali, è quella che tratta i rapporti tra i grandi gruppi industriali statunitensi e la Germania nazista. Essenzialmente sono due i motivi per cui si omette di affrontare questa parte fondamentale di storia. Primo motivo consiste nel fatto che furono la finanza e le grandi aziende statunitensi a consentire alla Germania di risollevarsi dalla crisi socio-economica in cui versava per via delle condizioni capestro inflitte alla Germania alla fine della Prima Guerra Mondiale mediante il Trattato di Versailles. Il secondo motivo consiste nel fatto che fu proprio il sostegno economico e finanziario statunitense a consentire ad Hitler di armarsi, e che addirittura quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, le grandi imprese statunitensi continuarono a fare affari con la Germania nazista tanto da consentirgli di poter mantenere il suo apparato bellico. Ciò è confermato anche dalle parole del presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt, il quale in un discorso effettuato a Washington nel novembre del 1941 affermò: “L’andamento complessivo della nostra grande produzione industriale, non deve essere ostacolato dal comportamento egoista, di un pericoloso gruppo di imprenditori che pensano soltanto a realizzare eccezionali profitti. Costoro continuano a curare i propri affari come se niente fosse“.
Nel 1941 in Germania prosperavano ancora 553 aziende statunitensi, tra le quali Standard Oli, General Motors, Ford, IBM, Kodak, Coca Cola. Queste società mantenevano intensi rapporti commerciali con i nazisti, mentre i dirigenti dei quattro grandi colossi statunitensi (Standard Oil, General Motors, Ford, IBM) e delle relative affiliate tedesche potevano essere considerati addirittura amici di Hitler. Senza di essi infatti, il Führer non avrebbe potuto fare la sua guerra.
Standard Oil
Negli anni Trenta, la Standard Oil era il più grande gigante petrolifero degli Stati Uniti. Il potente gruppo che diventerà la “Esso”, portò avanti la sua politica economica in tutto il mondo senza distinguere tra regimi democratici e dittature. Il suo obiettivo consisteva nel creare un monopolio. La compagnia petrolifera Standard Oil faceva parte dell’impero Rockefeller e la sua sede centrale era a New York.
Il presidente della Standard Oil era il manager Walter Clark Teagle.
Teagle contribuì in maniera determinante allo sviluppo industriale della Germania nazista, sia prima che durante la Seconda Guerra Mondiale, anche attraverso il suo coinvolgimento con la società chimica tedesca IG Farben. A guidare il gruppo chimico tedesco concorrente della Standard Oil, c’era un altro dirigente spregiudicato, Hermann Schmitz. IG Farben aveva messo a punto un procedimento per creare la benzina sintetica, in modo tale che in caso di carenza di petrolio, il titolare del brevetto sarebbe diventato il padrone del mercato mondiale. Ma nel 1938 la Germania era ancora costretta ad importare l’80% del proprio fabbisogno di greggio.
Hitler voleva la guerra, ma per motivi strategici necessitava a qualunque costo della benzina sintetica. Era cosciente che in caso di conflitto la Germania si sarebbe vista chiudere gli approvvigionamenti petroliferi. Era stata progettata la costruzione di un oleodotto, poi la creazione di una flotta di petroliere, ma tutte queste idee erano state bloccate sul nascere da Hitler che invece aveva un piano molto chiaro, la Germania doveva vincere unicamente con l’autarchia.
Dal discorso di Hermann Göring, tenuto a Berlino nell’agosto del 1936: “Sapevamo di non avere carburante ed abbiamo costruito le fabbriche che dovevano fornirci il carburante, sapevamo che non potevamo procurarci il caucciù ed abbiamo costruito le fabbriche di caucciù, gli americani pensavano di avere il monopolio, ma la scienza tedesca ha spezzato questi monopoli e oggi siamo in possesso di tutti i mezzi necessari per sconfiggere il nemico“. Chi era Hermann Göring? Occorre ricordare che con il titolo di Maresciallo del Reich, era il numero due del regime nazista. Inoltre era anche il capo della Luftwaffe (aviazione militare tedesca) e questa carica gli forniva già di per sé un importante ruolo economico, ma ad aumentare il suo peso contribuì ulteriormente la nomina avvenuta alla fine del 1936 a Responsabile del Piano Quadriennale Economico della Germania. Altresì Göring vantava una fitta rete internazionale di pubbliche relazioni con personaggi di alto spessore economico.
Ma il potente comandante della Luftwaffe sottovalutò un elemento fondamentale: il piombo tetraetile. Si tratta di un additivo per benzina, senza il quale i motori supercompressi dell’aviazione militare tedesca non potevano decollare, e Hitler aveva necessità di una Luftwaffe pronta ed efficiente per realizzare i suoi piani di conquista a Est. Fu così che Göring invitò i dirigenti della IG Farben a mettersi in contatto con gli amici statunitensi. La Standard Oil infatti, era la prima produttrice al mondo di piombo tetraetile. I tedeschi avevano bisogno del know-how di Standard Oil per la costosa produzione del nuovo carburante sintetico. L’accordo tra Standard Oil e IG Farben fu realizzato in breve tempo. Walter Clark Teagle ed Hermann Schmitz realizzarono in breve tempo la costruzione in Germania di due impianti per la produzione di piombo tetraetile.
Ma nel luglio del 1938, la produzione era ancora insufficiente. Un approvvigionamento rapido e diretto avrebbe potuto mettere al sicuro da pericolosi imprevisti. La filiale della Standard Oil a Londra consegnò immediatamente ai nazisti l’antidetonante per un valore di 20 milioni di dollari. In quel momento Hitler era in grado di procedere all’annessione dei Sudeti e preparare l’attacco alla Cecoslovacchia.
Poco prima dell’invasione della Polonia, la filiale britannica della Standard Oil consegnò altro piombo tetraetile per un valore di 15 milioni di dollari. Durante la Battaglia d’Inghilterra, i primi bombardamenti aerei su Londra furono possibili proprio grazie alla disponibilità e all’utilizzo di questo composto chimico.
Per la sua guerra Hitler aveva estrema necessità di petrolio, ma in Germania la produzione del combustibile sintetico copriva appena la metà del fabbisogno. Ancora una volta era necessario ricorrere all’aiuto degli amici industriali negli Stati Uniti.
Standard Oil possedeva quasi la metà dei diritti sui giacimenti petroliferi rumeni di Ploiești, la fonte di greggio più importante in quegli anni per la Germania. Nell’archivio militare di Friburgo sono raccolte lettere e documenti che testimoniano che i nazisti avevano urgente bisogno di bright stock, l’olio pesante. Solo gli Stati Uniti erano in grado di rifornirli di questo materiale determinante per la realizzazione della guerra di Hitler ed anche durante tutta la guerra le imprese statunitensi fornirono bright stock alla Germania in quantità sufficiente per soddisfare le proprie esigenze belliche. Il bright stock è un derivato molto pregiato del petrolio, che tra l’altro veniva usato per alimentare i motori dei carri armati.
Il Terzo Reich dunque continuava ad avere bisogno della benzina e del gasolio degli Stati Uniti. Le navi degli amici statunitensi di Hitler nascondevano il petrolio nel Mar dei Caraibi e di norma le petroliere che li trasportavano battevano bandiera panamense. Ma nell’Oceano Atlantico stazionavano le navi da guerra britanniche che cercavano mediante il blocco navale di tagliare i rifornimenti petroliferi destinati a Hitler.
Il comandante supremo della marina militare tedesca, l’ammiraglio Karl Dönitz, riuscì ad ottenere un finanziamento di 500 mila dollari. Il diesel era un carburante molto costoso e Hitler voleva dominare l’Atlantico con i suoi sommergibili. Le consegne del diesel avvenivano mediante l’aiuto di industriali statunitensi della Standard Oil e soprattutto della Texaco di Torkild Rieber, un manager di origine norvegese fidato amico di Hitler. Rieber aveva anche rapporti con i servizi segreti tedeschi e sul suo conto gli informatori del Reich stilarono giudizi lusinghieri, tanto che fu definito “un vero sostenitore della Germania e sincero ammiratore di Hitler“.
Passando per Tenerife e altri porti spagnoli, le petroliere consegnavano il petrolio destinato ai tedeschi che in questo modo eludevano il blocco navale degli inglesi. Le navi cisterne rifornivano i sommergibili tedeschi direttamente in mare, davanti alle coste spagnole.
Il 7 dicembre 1941, con un attacco aereo alla base militare di Pearl Harbor il Giappone allargò la guerra nel Pacifico e interruppe i collegamenti tra gli Stati Uniti e la Malaysia, il principale fornitore di caucciù dell’esercito statunitense. Ma le due società, Standard Oil e IG Farben si erano accordate per mantenere relazioni d’affari anche nel caso di un coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto. I dirigenti di Standard Oil e IG Farben stipularono un patto segreto. La IG Farben voleva impedire la confisca dei suoi brevetti nei paesi nemici e per questo intendeva metterli nelle mani fidate del gruppo statunitense. I chimici tedeschi avevano già realizzato la buna, una gomma sintetica ottenuta da carbone e calcio. Oltre che a Hitler, questi brevetti facevano gola anche alla Standard Oil, che fiutava la possibilità di assicurarsi un mercato redditizio anche negli Stati Uniti. Nel contratto di cessione del brevetto della buna (gomma sintetica), la Standard Oil su disposizione del Ministero dell’Economia del Reich, si impegnava ad utilizzare il brevetto solo previa autorizzazione tedesca. Malgrado la crisi della gomma, Standard Oil tenne fede all’accordo stipulato con i tedeschi. Il procedimento per la produzione della buna non doveva finire nelle mani di industrie concorrenti come la Goodyear.
Il potente senatore Bernard Baruch, incaricato di un’indagine dal presidente Roosevelt, nel gennaio del 1942 si rivolse così durante un discorso alla nazione: “Siamo del parere che l’attuale crisi possa aggravarsi a tal punto che in assenza di provvedimenti immediati, il Paese rischia il tracollo militare e sociale“.
Dopo Pearl Harbor, la Standard Oil e le sue affiliate continuarono a fornire benzina i nazisti. Nel frattempo negli Stati Uniti, il governo fu costretto a prendere provvedimenti per razionare la benzina.
Molti cittadini statunitensi, fra cui anche alcuni membri del Congresso, diedero la colpa alle compagnie petrolifere che continuavano a rifornire i nazisti e non consegnavano i brevetti del caucciù. Il senatore Harry Truman, futuro Presidente degli Stati Uniti, costretto dall’opinione pubblica ordinò un’inchiesta del Senato sulla situazione della difesa nazionale. Lo affiancò Thurman Arnold, esperto finanziario del Ministero della Giustizia. Dall’inizio della guerra, Standard Oil e potenti dirigenti come Teagle, erano controllati da Arnold e dai suoi collaboratori. In una precedente indagine avevano già tentato di infliggere al gruppo una sanzione amministrativa di 50 mila dollari per aver avuto rapporti d’affari con il nemico. Ma visto il ruolo fondamentale ricoperto da Standard Oil per gli Stati Uniti in guerra, il colosso del petrolio e il suo potente manager erano riusciti ad ottenere una riduzione della multa a mille dollari. Durante l’audizione al Senato, Thurman Arnold accusò Standard Oil che si rifiutava di consegnare il brevetto di caucciù, di complotto reiterato a favore dei nazisti. Successivamente, in una conferenza stampa, Thurman Arnold usò persino la parola “tradimento“.
Il congresso deliberò che i brevetti della buna venissero liberalizzati in tutti gli Stati Uniti. Il potere di Walter Clark Teagle era finito. Il top manager si dimise dai vertici del gruppo.
General Motors
All’inizio degli anni Trenta, la Opel, affiliata del gruppo statunitense General Motors, intraprese la costruzione di automezzi militari pesanti.
Nella primavera del 1935 a Brandeburgo, con la collaborazione della Wehrmacht, furono attrezzate nuove officine per mezzi pesanti. I manager della Opel, nel cui consiglio di amministrazione sedevano anche gli statunitensi, fiutarono subito il colossale affare rappresentato dalle commesse delle forze armate.
Realizzato secondo i nuovi sistemi di produzione statunitensi, l’impianto era il più moderno d’Europa e produceva ogni giorno 120 autocarri “Opel Blitz”, che costituivano la spina dorsale della Wehrmacht.
Senza l’Opel Blitz, Hitler non sarebbe riuscito ad entrare trionfalmente a Vienna, infatti durante le manovre militari per l’annessione dell’Austria, numerosi mezzi pesanti di altre marche si guastarono lungo la strada. Hitler dimostrò subito la sua riconoscenza: visitò personalmente lo stabilimento di Brandeburgo e ordinò altri duemila Opel Blitz.
Dall’avvento del nazismo fino allo scoppio della guerra, nella General Motors fu fondamentale il ruolo di un brillante manager statunitense. Il suo nome era James D. Mooney. In qualità di vicepresidente della General Motors in Germania, per i meriti acquisiti nella trasformazione della Opel in una delle maggiori aziende del settore militare, ricevette da Hitler l’Ordine dell’Aquila, la massima onorificenza conferita dal Partito Nazionalsocialista ad uno straniero.
Ogni volta che fu impiegato, l’Opel Blitz superò brillantemente le prove più ardue. L’avanzata ad Oriente, l’annessione dei Sudeti e l’aggressione alla Cecoslovacchia. Poi seguirono i successi della guerra lampo ad Ovest. Nel 1940, in poche settimane Olanda, Belgio e Francia furono travolte. Questi camion risultarono fondamentali anche per l’invasione dell’Unione Sovietica. Senza l’Opel Blitz, l’esercito tedesco non avrebbe mai potuto trasportare i suoi soldati per migliaia di chilometri all’interno dell’Unione Sovietica.
Negli stabilimenti Opel, la produzione di vetture utilitarie fu quasi del tutto abbandonata. Gli investimenti erano diminuiti e il personale si era assottigliato per la chiamata alle armi. Le officine interruppero questo tipo di produzione e la Luftwaffe pensò ad un nuovo utilizzo degli impianti di produzione di vetture utilitarie. Fu così che in quegli stabilimenti la Opel iniziò a produrre parti di fusoliera e motori per gli Junker-88, i più potenti bombardieri di Hitler. L’accordo firmato tra la Luftwaffe e la Opel fu possibile grazie al ruolo fondamentale svolto dal vicepresidente James D. Mooney, il quale viveva a Berlino, intratteneva rapporti epistolari con i vertici del partito nazista e nell’autunno del 1939 ebbe modo di incontrare più volte Hermann Göring, il capo della Luftwaffe, l’aviazione militare nazista.
Nei colloqui con Göring, Mooney espresse una forte solidarietà con i politici nazisti. Anche lui riteneva che dopo la Prima Guerra Mondiale, la Germania fosse stata trattata in modo troppo duro da Francia e Inghilterra. Göring incoraggiò Mooney a svolgere un’opera di mediazione. Mooney si rivolse al presidente statunitense Roosevelt, il quale si dichiarò disponibile a fare da mediatore. Roosevelt in persona augurò un buon successo alla missione di Mooney.
E qui risulta del tutto evidente la russofobia statunitense. Roosevelt con un embargo sul commercio avrebbe potuto impedire questo fondamentale sostegno alla mobilità dell’esercito nazista, ma non lo fece. Utilizzò invece gli industriali e i banchieri statunitensi per sviluppare e consolidare i rapporti diplomatici tra gli Stati Uniti America e la Germania nazista, in modo da potenziare quanto più possibile la macchina bellica tedesca al fine di renderla in grado di aggredire e invadere prima o poi l’Unione Sovietica.
Grazie alle continue adulazioni, nel febbraio del 1940 Mooney ebbe modo di incontrare Hitler nella nuova sede della Cancelleria. In un diario rimasto per decenni inedito per volere della General Motors, Mooney descrisse il colloquio estremamente amichevole avuto con il Führer. In una lettera indirizzata a Roosevelt, Mooney descrisse Hitler come una persona cordiale e amichevole. In seguito, Messersmith il Sottosegretario del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, definì Mooney: “un fascista“.
Ma questo episodio non cambiò i rapporti tra la General Motors e la Opel, che continuò a costruire veicoli militari per la Germania nazista. Per consentirgli di invadere l’Unione Sovietica, la Opel nei primi anni di guerra fornì all’esercito tedesco più di centomila mezzi militari.
Il 15 maggio 1941 il generale nazista Adolf von Schell, responsabile della fornitura di automezzi militari, conferì alla Opel un attestato nel quale dichiarava che senza l’aiuto dell’azienda non sarebbe stato possibile continua la guerra. Sempre nel 1941 la General Motors rifiutò una proposta d’acquisto per la Opel, preferì non vendere la casa automobilistica e rimanere in Germania. In una lettera al commissario del Reich per i patrimoni del nemico, la General Motors fece sapere di essersi ormai identificata con le sorti della Germania.
Al contempo, la General Motors partecipò al riarmo statunitense con molto zelo. L’organizzazione fu affidata allo stesso James D. Mooney. Il presidente della General Motors Alfred Sloan dichiarò: “Un’impresa multinazionale presente in tutto il mondo, è tenuta a gestire le proprie attività in base a rigidi criteri economici, incurante delle idee politiche del paese in cui opera. Non siamo un ente assistenziale, noi realizziamo profitti per i nostri azionisti“.
Il 6 agosto 1944, lo stabilimento di Brandeburgo fu quasi completamente distrutto dai bombardieri statunitensi. Anni dopo però, la General Motors ottenne dal fisco degli Stati Uniti un nuovo indennizzo di ben 32 milioni di dollari.
Ford
Nel 1939 nella cittadina di Riverdale, nel New Jersey, membri della Lega Tedesco-Americana (German-American Bund) marciarono durante uno dei loro campi estivi.
Il leader del movimento, del movimento Fritz Julius Kuhn, un chimico delle industrie Ford, era stato già membro del partito nazista in Germania. I 30 mila membri del German-American Bund promuovevano politiche razziste e antisemite filo hitleriane. Avevano simpatizzanti altolocati, come il datore di lavoro Fritz Kuhn.
Infatti, nel 1921 era stata pubblicata l’edizione tedesca del libro scritto da Henry Ford “L’ebreo internazionale. Un problema mondiale“. Fin dall’inizio, tra il leggendario costruttore di automobili Henry Ford e Adolf Hitler, c’era un elemento di forte comunanza spirituale: l’antisemitismo. Il libro di Ford rafforzò in Hitler l’odio antiebraico e lo indusse ad elementi di riflessione per la stesura del suo “Mein Kampf“.
Inoltre alcuni industriali statunitensi e membri della finanza, vedevano in Hitler e nelle dittature fasciste europee una possibile soluzione ai problemi che incontravano con i movimenti dei lavoratori e con i sindacati. Agli occhi di Henry Ford i sindacati erano opera del diavolo. L’azione brutale di Hitler contro i sindacati piacque a Ford che presidiava le sue fabbriche con milizie armate. Prima che Hitler salisse al potere, Ford lo sostenne con ingenti finanziamenti, tanto che un’immagine del benefattore statunitense era appesa nella sede del partito nazista a Monaco di Baviera.
Ogni giorno tantissimi tedeschi scrivevano lettere di ammirazione a Ford, il fordismo divenne l’ideologia degli industriali tedeschi. Per costoro ogni azione doveva essere realizzata proprio come l’aveva già realizzata Ford.
Nel 1930 Ford si recò in Germania, nella città di Colonia dove partecipò alla posa della prima pietra per la costruzione di un proprio stabilimento industriale. All’inizio gli affari non andarono bene, le Ford erano care e dovevano fare i conti con l’avversione di molti tedeschi verso i prodotti stranieri. Dal discorso di Hitler tenuto a Monaco il 16 febbraio 1935: “L’acquirente medio che oggi acquista un’auto straniera, non può dire di aver fatto questa scelta a causa della qualità superiore del prodotto, ormai le nostre autovetture tedesche non hanno più nulla da invidiare a quelle estere“.
All’inizio degli anni Trenta la produzione di autovetture negli stabilimenti Ford aveva subito una netta flessione. Edsel Ford, il figlio di Henry Ford assunse la direzione degli stabilimenti di Colonia e Detroit. Tramite informazioni riservate, Edsel Ford apprese che in Germania era in atto una battaglia economica in cui le commesse statali assumevano sempre maggiore importanza. Per Henry Ford non ci furono problemi, il motore otto cilindri Ford poteva essere venduto come motore per i fuoristrada militari. Fu così che la conversione dello stabilimento Ford di Colonia fu immediata.
Henry Ford impose che gli altri produttori d’auto stranieri non ricevessero più caucciù per pneumatici, né valuta per importarlo. Furono obbligati a procurarsi la gomma attraverso scambi merce e a destinare il 25% alla produzione bellica. Il dittatore tedesco si mostrò riconoscente verso il potente industriale statunitense. Finalmente, i veicoli prodotti a Colonia poterono fregiarsi del marchio: “prodotto tedesco”.
Gli affari con il regime nazista si intensificarono. Nel 1938 Ford e Opel furono introdotte nel programma di pianificazione della Wehrmacht. L’esercito tedesco in breve tempo commissionò alla Ford un ordine 100 mila autocarri, inclusi quelli pesanti a tre assi e i veicoli con trasmissione a catena. Ma i nazisti avevano fretta, stavano per effettuare l’annessione dei Sudeti e intendevano ricevere immediatamente dalla Ford mille automezzi pesanti, ma lo stabilimento di Colonia non era in grado di produrli in tempi così brevi.
La filiale statunitense offrì subito una soluzione. Furono spediti il giorno stesso da Detroit motori, telai e le cabine degli autoarticolati e appena giunti a Colonia furono assemblati di notte in tutta segretezza. Fu così che in brevissimo tempo la Wehrmacht ritirò gli autocarri richiesti e procedette immediatamente all’invasione della Cecoslovacchia. Quando ci si scandalizza per l’aggressività di Hitler, per il suo cinismo, per aver causato la guerra in Europa, si dimentica sempre che senza il sostegno delle imprese statunitensi non avrebbe potuto fare nulla. Nel caso specifico, si è davvero così ingenui da credere che alla Ford non sapessero a cosa servissero quei mille camion, da consegnare immediatamente e tutti insieme? Quanta ipocrisia!
Alla fine del 1938, Hitler dal canto suo insignì Ford della più alta onorificenza militare nazista concessa a uno straniero: l’Ordine dell’Aquila. Ford si fece appuntare con orgoglio l’onorificenza sulla giacca dal viceconsole tedesco a Detroit.
Ma anche Henry Ford si dimostrò riconoscente per i buoni affari conclusi. Così, il 20 aprile del 1939, in occasione del cinquantesimo compleanno di Hitler, la Ford versò 35 mila reichsmark sul conto personale del Führer.
Nei più nei primi anni di guerra aumentò in modo massiccio la produzione di mezzi pesanti ed Henry Ford se ne rallegrò. Poi, quando venne a sapere che un suo stabilimento in Gran Bretagna avrebbe dovuto costruire seimila motori per la Royal Air Force (l’aviazione militare britannica), Henry Ford si oppose. Scrisse al Daily Mail di Londra che poteva accettare solo commesse militari per la difesa degli Stati Uniti. Al contrario, l’industriale statunitense non aveva nulla da obiettare sul fatto che nella Francia occupata dai nazisti, gli impianti Ford lavorassero a pieno regime per la Wehrmacht, producendo mille mezzi pesanti al mese.
Dal 1942 ormai scarseggiava la manodopera nelle industrie tedesche. Lo sforzo militare, soprattutto quello sostenuto contro l’Unione Sovietica, impose il reclutamento di tutti gli uomini abili. Così, nello stabilimento di Colonia, la Ford poteva garantire i rifornimenti alla Wehrmacht solo ricorrendo al lavoro forzato e alla schiavitù. I prigionieri furono alloggiati in un apposito campo di baracche adiacente allo stabilimento industriale. Negli ultimi anni del conflitto, Ford affittò anche migliaia di detenuti nei lager, soprattutto sovietici. Per ogni detenuto pagava alle SS 4 marchi al giorno. Le condizioni di vita e di lavoro erano disumane.
“Curioso”, si fa per dire, il fatto che nel 1942 la città di Colonia fu bombardata a tappeto dagli angloamericani e nonostante la quasi completa distruzione della città, lo stabilimento industriale Ford non fu mai volutamente colpito. Così, nel corso dell’intera Seconda Guerra Mondiale, lo stabilimento Ford di Colonia produsse indisturbato per la Wehrmacht 78 mila mezzi pesanti e 14 mila mezzi con trasmissione a catena.
Solo nel 1944, alcune bombe caddero nei pressi dello stabilimento della Ford a Colonia, causando lievi danni. Di contro, con faccia tosta, nel 1965 la Ford chiese ad una commissione del governo statunitense circa 7 milioni di dollari di risarcimento per i danni di guerra. La commissione quantificò questo risarcimento in mezzo milione di dollari.
International Business Machines (IBM)
L’ascesa al potere di Hitler coincise con un vero e proprio boom della filiale tedesca della IBM. I calcolatori erano usati in quasi tutte le grandi industrie, ma da quel momento fra i grandi committenti figurò anche il governo tedesco.
Nel 1935 la Dehomag, l’affiliata della IBM in Germania, costruì un uovo grande stabilimento alla periferia di Berlino. Mediante schede perforate, le macchine prodotte dalla Dehomag in collaborazione con la IBM, lavoravano rapidamente dati per statistiche, registrazioni e calcoli, di cui producevano degli stampati.
Anche il fondatore e presidente della IBM Thomas Watson, rimase impressionato dai successi della Dehomag e per questi motivi si recava spesso in Germania. Thomas Watson era riconosciuto come un estimatore e ammiratore di Hitler, dimostrazione stava nel fatto che sia moralmente che materialmente e finanziariamente lo aveva sempre sostenuto, ancor prima che salisse al potere.
Nell’estate del 1937 la Camera di Commercio Internazionale organizzò a Berlino il suo congresso mondiale. Watson riuscì a farsi eleggere presidente. Un articolo del New York Times illustrò la cerimonia al Teatro Kroll (Krolloper): Watson era tra gli stranieri che presenti all’ingresso del teatro alzarono la mano destra in segno di saluto verso Adolf Hitler. Il giorno dopo fu addirittura ricevuto dal Führer. Thomas Watson dichiarò alla stampa: “Hitler con i suoi progetti ha imboccato la strada giusta. Tutto andrà nel migliore dei modi!“
Anche Watson fu insignito dell’Ordine dell’Aquila. A consegnargli l’onorificenza fu Hjalmar Schacht, all’epoca ministro delle finanze del Terzo Reich.
La Dehomag e la IBM divennero uno strumento indispensabile per la realizzazione del piano di sterminio degli ebrei. Infatti i loro calcolatori gestirono il grande censimento del 1939 mediante il quale le SS intendevano scoprire quanti ebrei vivessero in Germania, nella regione dei Sudeti e in Austria. In una seconda scheda, la cosiddetta carta supplementare veniva chiesto il nome, l’indirizzo, la razza e la discendenza anche di genitori e dei nonni. In questo modo, l’ufficio per la razza delle SS intendeva registrare tutti gli ebrei purosangue, mezzosangue e quarto di sangue.
Il 1° settembre 1939 l’aggressione alla Polonia segnò l’inizio della “Politica di annientamento ad Est”. Cracovia divenne la capitale della Polonia occupata, trasformata in governatorato. Nella Rocca di Cracovia si insediò Karl Hermann Frank, il brutale governatore di Hitler. Frank istituì a Cracovia un grande ufficio statistico nel quale giunsero per lavorare molti collaboratori di fiducia di Thomas Watson. Molti altri stretti collaboratori di Watson giunsero in altre città polacche, tanto che la rappresentanza della IBM a Varsavia fu ribattezzata “Watson Business Machines“.
In seguito, per attuare lo sterminio degli ebrei, tutte le cariche degli uffici anagrafici e statistici in Polonia, in Austria e in Francia, furono ricoperte da personale della IBM.
Nell’autunno del 1943 la carenza di manodopera rallentava la produzione bellica, così anche i detenuti dei campi di concentramento dovevano essere schedati in base alle competenze professionali e mandati a lavorare in modo forzato in tutto il territorio del Reich. In tutti i lager nazisti furono istituiti dei centri di rilevamento.
Tutti i dati elaborati dalla IBM venivano inviati alla sede delle SS a Berlino. Si stima che i prigionieri dei campi di concentramento schedati dalla IBM e ritenuti abili al lavoro forzato furono oltre un milione. Gran parte di questo archivio è stato immediatamente distrutto pochi giorni prima della caduta di Berlino, ma circa 140 mila schede della IBM sono ancora conservate presso l’Archivio Militare di Berlino.
Nel 1940, il giovane socio tedesco Willy Heidinger, il quale insieme ad altri due azionisti tedeschi deteneva il 15% della Dehomag, cercò di ridimensionare il ruolo degli statunitensi. Inoltre, il potere esclusivo della Dehomag all’interno del sistema tedesco cominciò a destare preoccupazione e sospetto. Il comandante di brigata delle SS Edmund Wiesmaier, da tempo consigliere di Hitler, si ispirava al vecchio detto “tutto ciò che giova al popolo tedesco è giusto!” e cominciò a parlare di nazionalizzazione.
Ma Thomas Watson non intendeva arrendersi così facilmente. Nel 1940 inviò a Berlino un collaboratore fidato e risoluto, il quale doveva trattare non solo con Heidinger ma anche con il comandante delle SS. Watson che si trovava a New York veniva tenuto informato tramite messaggi cifrati trasmessi dall’ambasciata degli Stati Uniti in Germania. Nel corso dei negoziati Wiesmaier risultò più conciliante. I nazisti infatti avevano bisogno dell’IBM per gestire la complessa macchina bellica, ma se la IBM voleva evitare la nazionalizzazione avrebbe dovuto accettare la riduzione della partecipazione azionaria. Tramite il suo emissario, Watson rifiutò anche questa offerta. Così, per l’intero periodo della guerra la IBM restò proprietaria della Dehomag.
Kodak
Anche l’azienda statunitense Kodak fu una stretta collaboratrice del regime nazista e giocò un ruolo importante durante la Seconda Guerra Mondiale.
Infatti, i nazisti continuarono non solo ad importare dalla Kodak bobine e materiali chimici per la realizzazione di filmati, ma le filiali della Kodak presenti in Germania fabbricavano inneschi, detonatori e altro materiale militare. Ciò ha davvero dell’incomprensibile in quanto il governo statunitense non attuò mai un embargo nei confronti della Kodak.
Inoltre la Kodak, nei suoi stabilimenti presenti in Germania, su richiesta del governo tedesco dapprima licenziò tutti i dipendenti ebrei e poi in seguito utilizzò più di 250 prigionieri dei campi di concentramento nazisti, facendoli lavorare in stato di schiavitù.
Coca Cola
La Coca Cola fu una delle prime aziende a collaborare con il regime nazista. Durante le Olimpiadi di Berlino nel 1936 infatti fu uno degli sponsor ufficiali.
La Fanta, la famosa bibita analcolica all’arancia, fu ideata in Germania nel 1940. La bibita nacque come sostitutivo della bevanda Coca Cola che dopo l’embargo della Seconda Guerra Mondiale non venne più importata in Germania. L’ideatore della bibita all’arancia fu Max Keith che, prima di allora, dirigeva le diverse fabbriche della Coca Cola Company sul suolo tedesco.
Il nome “Fanta” deriva dalla parola tedesca “Fantasieden” (in italiano “immaginazione”) e altro non era che un composto di fibra di mela da sidro e siero di latte.
Quindi all’inizio della sua storia, per la Fanta niente agrumi. Infatti ad inizio anni ’40, nella Germania nazista di agrumi non ve ne erano abbastanza.
Le banche statunitensi
Tutto iniziò alla vigilia del primo conflitto mondiale, quando la Banca Morgan spinse il neutralista Woodrow Wilson a spedire le truppe in Europa. La Morgan (che in seguito diventerà la JP Morgan) era la più potente banca del tempo e aveva raccolto oltre il 75% dei finanziamenti per le forze anglo-americane. Voglia di guerra, non importa su che fronte: la National City Bank, che pure lavorava a fianco della Morgan nel rifornire inglesi e francesi, non si faceva problemi a finanziare anche i tedeschi, come anche fece la Chase Manhattan Bank.
La banca Morgan, inoltre, aveva acquisito il controllo dei 25 principali quotidiani statunitensi. Obiettivo: propagandare l’opinione pubblica statunitense pilotandola in favore dell’entrata degli Stati Uniti nella Prima Guerra Mondiale.
Il legame tra il comparto militare-industriale e gli oligarchi di Wall Street è una connessione che risale agli inizi del Novecento. Le banche hanno sempre tratto profitto dalla guerra, perché il debito creato dalle banche si traduce in un enorme bottino di guerra per la grande finanza. E anche perché le guerre sono state utilizzate per aprire i paesi esteri agli interessi corporativi e bancari degli Stati Uniti. Ammise William Jennings Bryan, segretario di Stato durante il primo conflitto mondiale: “C’erano grandi interessi bancari legati alla Prima Guerra Mondiale poiché grandi erano le opportunità di profitto“. Il problema: tutelare gli interessi commerciali degli statunitensi, che avevano fortemente investito negli alleati europei. Almeno due miliardi e mezzo di dollari dell’epoca, prestati a francesi e inglesi a partire dal 1915. “I banchieri ritennero che, se la Germania avesse vinto la guerra, i loro prestiti agli alleati europei non sarebbero stati rimborsati“.
Il più grande banchiere statunitense dell’epoca, John Pierpont Morgan, fece di tutto per trascinare gli Stati Uniti in guerra a fianco dell’Inghilterra e della Francia, finendo per convincere il presidente Wilson. Obiettivo: proteggere gli investimenti delle banche statunitensi in Europa. Non a caso il marine più decorato nella storia, Smedley Butler, dichiarò: “Io ho combattuto essenzialmente per le banche americane“.
Nel periodo antecedente la Seconda Guerra Mondiale fu anche creato un piano per gettare le basi per gli investimenti statunitensi in Germania. La strategia, ideata da Hjalmar Schacht della Dresdner Bank, si basava sulle istruzioni del capo della Banca d’Inghilterra e dell’amministratore della banca Morgan; il politico statunitense repubblicano John Foster Dulles, divenuto poi il segretario di Stato nell’amministrazione Eisenhower, ordinò di redigere questa politica. Il piano impiegò un anno per diventare effettivo, ma alla fine del 1923 Schacht divenne il Presidente di Reichsbank. Questo è il modo in cui il sistema finanziario anglo-americano è stato fuso con l’equivalente tedesco. Nell’estate del 1924 il progetto fu reso noto al pubblico come “Piano Dawes”, chiamato cosi dal nome dell’amministratore della banca Morgan. Il piano prevedeva di ridurre della metà la somme dei risarcimenti tedeschi e risolse inoltre il problema di accesso al capitale per la Germania. La priorità era quella di stabilizzare la moneta per poi spianare la strada al processo di investimenti in Germania. Il piano stanziò 200 milioni di dollari di credito per la Germania e la metà di questa somma proveniva da Chase Bank e Morgan. L’importo può sembrare irrilevante, ma allora, nel 1924, 200 milioni di dollari erano pari al 2% dei ricavi complessivi del governo degli Stati Uniti.
Il rimborso del debito tedesco, francese e britannico avvenne attraverso uno schema ben preciso: il ciclo di Weimar. L’oro utilizzato dalla Germania per pagare la somma di risarcimento di guerra fu spedito negli Stati Uniti e “scomparve” subito dopo. Il metallo tornò poi in Germania, sotto forma di un “piano di aiuti” e fu inviato in Francia e in Gran Bretagna come una rata della somma dovuta. Questi paesi poi utilizzarono questo denaro per pagare i propri debiti verso gli Stati Uniti. Ciò rese la Germania dipendente dal debito. Qualsiasi possibilità di tagliare flussi di capitale avrebbe sicuramente gettato il Paese in bancarotta. Formalmente, il credito era stato concesso per garantire il pagamento. In realtà, esso portò alla ricostruzione dell’industria militare tedesca. Il vero pagamento fu realizzato con azioni di società tedesche che erano state trasferite in mani statunitensi.
Tra il 1924 e il 1929 il valore complessivo degli investimenti esteri tedeschi valeva 15 miliardi di dollari. Nel 1929 l’industria tedesca divenne la seconda più grande al mondo, ma il tutto sotto il controllo del settore finanziario degli Stati Uniti.
La cooperazione statunitense-tedesca era così stretta che persino Deutsche Bank, Dresdner Bank e la Donat Bank erano controllate dagli Stati Uniti.
Dal 1923 ad Adolf Hitler furono concesse considerevoli somme di denaro provenienti dalla Svezia e dalla Svizzera. Nel primo paese, la famiglia Wallenberg era la principale fonte di finanziamento.
Dopo alcuni anni Hitler era pronto a svolgere il suo ruolo, ma a causa dell’economia sana, il suo partito non vinse la gara politica. Questo fu il motivo per cui da Wall Street fu assunta la decisione di avviare la crisi economica. La FED e la banca Morgan sospesero il credito per la Germania e spinsero l’Europa centrale alla recessione. La Gran Bretagna abbandonò il gold standard e fu travolta dal caos nel sistema finanziario internazionale. All’inizio del 1932 avvenne un incontro in cui fu deciso il piano di finanziamento “NSDAP”. Un anno dopo il piano di Hitler fu approvato e nel 1933 Adolf Hitler divenne cancelliere tedesco. Egli non aveva bisogno di un colpo di stato ma di una situazione economica di crisi, durante la quale milioni di tedeschi riposero la propria fiducia nel Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP).
I Tedeschi che desideravano l’uscita dalla crisi economica diedero la propria fiducia ad Hitler, perché questo disse loro esattamente quello che volevano sentirsi dire.
Ma il coinvolgimento delle banche anglo-americane in Europa continuò, e dopo la Prima Guerra Mondiale molte grandi banche anglo-americane finanziarono i nazisti. Nel 1998, la BBC riportò la seguente notizia: “La Barclays Bank accettò di pagare 3,6 milioni di dollari a favore degli ebrei i cui beni erano stati sequestrati dai rami francesi della banca britannica durante la Seconda Guerra Mondiale“.
Anche la Chase Manhattan Bank ammise di aver sequestrato, sempre durante il secondo conflitto mondiale, circa cento conti intestati ad ebrei nella sua filiale di Parigi. Come scrisse il “New York Daily News”: “A quanto pare i rapporti tra la Chase e i nazisti erano piuttosto amichevoli, a tal punto che Carlos Niedermann, capo della filiale Chase Bank di Parigi, scrisse al suo supervisore di Manhattan che la banca godeva «di molta stima presso i funzionari tedeschi» e vantava «una rapida crescita dei depositi»“. Occorre notare che la lettera di Niedermann fu scritta addirittura nel maggio del 1942, ovvero cinque mesi dopo che i giapponesi avevano bombardato Pearl Harbor e che gli Stati Uniti erano entrati in guerra contro la Germania.
Dopo la guerra, una commissione governativa francese, indagando sul sequestro dei conti bancari ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale riferì che erano coinvolte cinque banche statunitensi: Chase Bank, Morgan, Guaranty Trust Co. di New York, la Banca della città di New York e l’American Express. Secondo il quotidiano britannico “The Guardian”, il senatore Prescott Bush (padre di George Bush e nonno di George W. Bush), “era amministratore e socio in società che trassero largo profitto dal loro coinvolgimento nel finanziare la Germania nazista“. La società di “nonno Bush”, aggiunge il “The Guardian” sulla base di fonti d’archivio statunitensi, era “direttamente coinvolta con gli architetti finanziari del nazismo“. E i suoi rapporti di affari continuarono fino a che il patrimonio della società fu sequestrato nel 1942 nell’ambito del “Trading with Enemy Act”, la legge statunitense che sequestrava i beni di chi aveva fatto affari col nemico in tempo di guerra, ma che come abbiamo notato nel corso di questo articolo, in molti casi non fu applicata.
Attraverso la BBH (Brown Brothers Harriman), Prescott Bush agì come supporto statunitense per l’industriale tedesco Fritz Thyssen, che contribuì a finanziare Hitler nel 1930 prima di cadere con lui alla fine del decennio. Fritz Thyssen scrisse anche un libro dal titolo “I paid Hitler” (“Io finanziai Hitler”) nel quale descrisse come elargì 25 mila dollari (allora una cifra molto ingente) per finanziare il neo costituito Partito Nazionalsocialista Tedesco e riuscì a diventare il primo e più importante finanziatore nella presa del potere del Führer.
Il “The Guardian” sostiene di poter provare che lo stesso Bush sia stato il direttore della UBC, la Union Banking Corporation di New York, che rappresentava gli interessi di Thyssen negli Stati Uniti, e continuò a lavorare per la banca anche dopo che gli Stati Uniti entrerono in guerra. L’UBC (Union Banking Corporation) era stata fondata da Harriman e dal suocero di Bush per mettere una banca statunitense al servizio dei Thyssen, la più potente famiglia di industriali della Germania operante principalmente nel mondo delle acciaierie. Alla fine del 1930, la Brown Brothers Harriman, che si considerava la più grande banca privata d’investimento del mondo, e la UBC, avevano acquisito e trasferito milioni di dollari in oro, petrolio, acciaio, carbone e buoni del tesoro statunitensi alla Germania, alimentando e finanziando l’ascesa di Hitler fino alla guerra. L’economista statunitense Victor Thorn ha dichiarato: “La UBC divenne la via segreta per la protezione del capitale nazista che usciva dalla Germania verso gli Stati Uniti, passando per i Paesi Bassi. Quando i nazisti avevano bisogno di rinnovare le loro provviste, la Brown Brothers Harriman rimandava i loro fondi direttamente in Germania“.
Tra il 1931 e il 1933 la UBC acquisì più di 8 milioni di dollari in oro, di cui 3 milioni inviati all’estero. Anni dopo, la banca fu colta in flagrante a gestire una società di comodo statunitense per la famiglia Thyssen, anche dopo che gli Stati Uniti erano entrati in guerra, e si scoprì che era questa la banca che aveva finanziato in parte l’ascesa di Hitler al potere.
Secondo la BBC, Prescott Bush e la banca Morgan, unitamente ad altri investitori importanti, avrebbero anche finanziato un colpo di Stato contro il presidente Roosevelt, nel tentativo di “attuare un regime fascista negli Stati Uniti“.
Ecco quindi, che quando si parla dei Bush, occorre sempre ricordare che una parte importante delle fondamenta finanziarie della loro famiglia fu costituita grazie all’appoggio e all’aiuto forniti ad Adolfo Hitler. Quindi i presidenti degli Stati Uniti appartenenti alla famiglia Bush giunsero al vertice della gerarchia politica statunitense grazie al fatto che il nonno e il padre, e la famiglia in generale, aiutarono finanziariamente i nazisti.
Purtroppo nelle scuole occidentali non insegnano che durante la Seconda Guerra Mondiale, sia lo schieramento anglo-americano che quello nazista furono entrambi finanziati dalla stessa fonte.
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