RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 30 NOVEMBRE 2022
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
In primo luogo la guerra rivoluzionaria sposta la lotta dal terreno all’uomo; in secondo luogo la lotta rivoluzionaria si avvantaggia delle passioni nello stesso modo in cui la guerra tradizionale si avvantaggia della configurazione del terreno per dare battaglia.
(Eggardo Beltrametti)
AA.VV., La guerra rivoluzionaria, G. Volpe, 1965.
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SOMMARIO
IL DOMINIO SOSTITUISCE LA LOGICA DEL PROFITTO
Pepe Escobar – Dall’operazione speciale alla “guerra elettrica”: così la Russia sta guadagnando grandi vantaggi
GLI ESPERTI RIVELANO LE TECNICHE UTILIZZATE DAI MEDIA PER FARE IL LAVAGGIO DEL CERVELLO E CONTROLLARCI
“L’Urlo”: strumentalizzazioni di destra e censure di sinistra
Qualità e identità nel mondo globalizzato
Gesù Cristo transgender? L’ultimo delirio in ordine di apparizione
Sterilità programmata
Stoltenberg supera la linea rossa della Nato (anche a nome dell’Italia)
La strana rivelazione della Cia: vuole arruolare cittadini russi
Mosca accusa Washington di continuare ricerche per la guerra batteriologica
La “testa d’ariete” della Nato nella sfida contro la Cina
LIBERALISMO E ANOMIA. DISINTOSSICARSI DAL RELATIVISMO
Riad: gli Usa “manipolano i mercati” del petrolio
Tassi di interesse delle banche centrali: la situazione attuale è senza precedente, e lo stesso saranno le conseguenze
La società che voleva licenziare i lavoratori “Bianchi” ha perso in borsa il 34% in una seduta
“Così l’ideologia woke sta indebolendo l’esercito Usa”
Il futuro del mondo nella riunione segreta delle élite del potere globale
La Cina Accelera la produzione del J-20 Mighty Dragon contro F 22 e F 35 americani
EDITORIALE
IL DOMINIO SOSTITUISCE LA LOGICA DEL PROFITTO
di Manlio Lo Presti (scrittore esperto di sistemi finanziari)
Potete notare in copertina l’immagine dal video https://youtu.be/YQX9I5Pxc0c che da forma a quanto andiamo a narrare.
Dopo il disastro militare del Vietnam e, più di recente, della Siria, gli Usa e la Nato (finanziata dai colossi finanziari mondiali che la comandano a bacchetta) hanno capito che non è più necessario occupare Paesi e territori con i propri eserciti in loco come sostegno del loro propagandato predominio mondiale.
In pochi punti qui elenchiamo sinteticamente della dottrina Obama-Biden, ovvero gli Usa-Nato hanno capito che:
1) È sufficiente la presenza mirata di 3.000 basi militari in tutto il mondo (intorno alla Russia ci sono oltre 30 basi atomiche Nato, ma la Russia non ha 30 basi intorno agli Usa; ottimo esempio è la ex-italia che subisce la presenza minacciosa di oltre cento basi CIA-NSA-NATO). Leggere qui: https://ilfarosulmondo.it/basi-usa-italia-cifre-asservimento/
2) Si possono avere risultati migliori creando ed alimentando il caos permanente, sostenendo i gruppi di opposizione del Paese bersaglio con armi, consiglieri militari, miliardi di dollari che confluiscono in minima parte ai destinatari, mentre il resto giunge nei paradisi fiscali nei conti dei politici che hanno votato i finanziamenti, ecc. Leggere qui: https://www.dt.mef.gov.it/it/attivita_istituzionali/prevenzione_reati_finanziari/transazioni_e_finanziamenti_armi/
3) Con l’attivazione di “rivoluzioni colorate o arancione” che hanno creato disordini in Nordafrica, in Siria, in Libano. Adesso ci sono disordini in Cina, Iran, Russia, Turchia, ecc. Leggere qui: https://www.treccani.it/enciclopedia/rivoluzione-arancione_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/
4) Le armi del predominio sono il caos permanente e l’impoverimento delle masse, con la privatizzazione di tutto per farle diventare più malleabili, la propaganda martellante veicolata sui canali tv, rete e carta stampata.
5) Anche gli Usa sono bersaglio di una guerra civile da oltre 15 anni, perché costituiscono anche essi un ostacolo al dominio di una ventina di colossi finanziari e industriali mondiali che hanno bilanci superiori all’intera Germania.
6) L’Europa è stritolata da una crisi energetica creata a tavolino, incolpando la Russia di ricatto del gas e di aver invaso l’Ucraina: quest’ultima massacra da decenni gli abitanti delle zone di lingua russa con intere divisioni di stampo nazista. e ha accolto decine di laboratori di guerra batteriologica finanziati da Biden figlio. L’Europa deve essere demolita perché non diventi una concorrente degli Usa e delle aziende planetarie di matrice anglosassone residenti nelle Five Eyes. Leggere qui: https://comedonchisciotte.org/la-demolizione-controllata-delleuropa-e-in-atto-resta-da-capire-chi-ne-sara-il-beneficiario/
7) La robotica, spacciata per intelligenza artificiale (la mitologia del momento) ha reso superflui oltre 5.000.000.000.000 di umani che devono essere eliminati al più presto. Come? Con epidemie inventate in laboratori installati in Paesi bersaglio (per non rischiare danni da fughe di virus in casa) ed una metodica privatizzazione delle attività economiche di sicurezza sociale. Leggere qui: https://www.linkiesta.it/2015/11/saskia-sassen-e-la-finanziarizzazione-che-espelle-i-piu-deboli-dalla-s/ e qui: https://agriregionieuropa.univpm.it/it/content/article/31/2/globalizzazione-liberalizzazione-degli-scambi-e-poverta
8) Con la diminuzione delle popolazioni con politiche di denatalità e ostacoli alla creazione di nuclei familiari visti come possibili nuclei di resistenza futura, con la propaganda LGTBQUIA+, con la santificazione dell’individualismo, con l’inclusione buonista, con l’imposizione di requisiti green costosissimi che elimineranno coloro che non possono sostenerne l’adozione. Per coloro che intendono approfondire il tema, consiglio la lettura della cosiddetta “opzione Goldman” per la eliminazione del 10% della popolazione fertile di un Paese, per assicurare la sua estinzione in dieci anni! Leggere qui:https://megachiroptera.com/2020/05/11/agenda-21-protocollo-oms-per-la-depopolazione-della-terra/ e qui: https://www.byoblu.com/2019/11/08/transumanesimo-il-disboscamento-degli-umani-enrica-perucchietti/
9) Con la normalizzazione dell’eutanasia di massa, per ora applicata su anziani con Alzheimer, ma che si estenderà ad un lungo elenco di patologie con degenza lunga e costosa. Da leggere questo: https://scenarieconomici.it/usare-il-suicidio-per-vendere-arredamento-siamo-giunti-a-questo/
10) Con l’introduzione di farine di insetti le quali – come per i vaccini – non hanno avuto studi sufficienti per verificare la loro dannosità e con cibi sintetici ogm e creati con stampanti in 3D. Da leggere questo: https://ilfattoalimentare.it/insetti-lunione-europea-autorizza-la-produzione-a-scopo-alimentare-presto-arriveranno-nel-piatto.html e questo:https://www.greatitalianfoodtrade.it/mercati/arrivano-sul-mercato-i-primi-alimenti-italiani-bio-con-insetti/ . Questo per la stampa di cibi sintetici:https://www.3dnatives.com/it/stampanti-3d-per-alimenti-161220219/
11) Con la elettrificazione “green” e sostenibile erogabile da poche centrali facilmente bloccabili a comando nelle zone “ribelli” e Stati definiti “canaglia” dalla teologia woke-green-sostenibile-lgbtquia+politicamente corretta, inclusiva con le treccine, ecc. Leggere qui:https://centroriformastato.it/intorno-a-zaporizhia-una-fase-nuova-delle-guerre-legate-allenergia/
12) Con i controlli eseguiti da quasi trenta anni dalla rete su tutti i dispositivi elettronici pubblici e soprattutto privati.
13) Con le espulsioni di masse di lavoratori da interi settori produttivi: l’Europa ha attualmente oltre 185.000.000 di umani ridotti ad un algoritmo valutabile a punteggio, stile Cina. Secondo i canoni gender, abbiamo anche i licenziamenti razziali al contrario. Da leggere qui: https://www.ilgiornale.it/news/mondo/licenziati-perch-bianchi-lenglish-tour-opera-lascia-casa-14-1976777.html e qui: https://scenarieconomici.it/la-societa-che-voleva-licenziare-i-lavoratori-bianchi-ha-perso-in-borsa-il-34-in-una-seduta/
14) Con la bomba dei derivati il cui totale è oltre 30 volte il reddito totale del pianeta il cui valore di compenso (margin call) deve essere sostenuto con il mantenimento di tassi pilotati e con congiunture economiche negative. La creazione di questa massa tossica è stata sostenuta dalla creazione di “moneta infinita” da parte della Fed seguendo i dogmi monetaristi dei Chicago Boys. Comprendo di non aver detto tutto, ma è abbastanza per capire.
FONTE: https://www.lapekoranera.it/2022/11/30/il-dominio-sostituisce-la-logica-del-profitto/
IN EVIDENZA
Pepe Escobar – Dall’operazione speciale alla “guerra elettrica”: così la Russia sta guadagnando grandi vantaggi
26 11 2022
Le attuali tattiche russe sono l’esatto contrario della teoria militare della forza concentrata sviluppata da Napoleone
di Pepe Escobar – Strategic Culture
[Traduzione di Nora Hoppe]
Un pensiero all’agricoltore polacco che fotografa il relitto di un missile – poi indicato come appartenente a un S-300 ucraino. Così un contadino polacco, i cui passi riecheggiano nella nostra memoria collettiva, potrebbe aver salvato il mondo dalla Terza Guerra Mondiale – scatenata da un turpe complotto architettato dall'”intelligence” anglo-americana.
Tale turpitudine è stata aggravata da un ridicolo insabbiamento: gli ucraini stavano sparando ai missili russi da una direzione da cui non potevano provenire. Ovvero: Polonia. E poi il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, il venditore di armi Lloyd “Raytheon” Austin, ha sentenziato che la colpa era comunque della Russia, perché i suoi vassalli di Kiev stavano sparando a missili russi che non avrebbero dovuto essere in volo (e non lo erano).
Chiamatela “il Pentagono che ha elevato la menzogna a un’arte piuttosto abietta”.
Lo scopo anglo-americano di questo racket era quello di generare una “crisi mondiale” contro la Russia. È stato smascherato – questa volta. Ciò non significa che i soliti sospetti non ci riproveranno. Presto.
La ragione principale è il panico. I servizi segreti dell’Occidentale Collettivo vedono come Mosca stia finalmente mobilitando il proprio esercito – pronto a scendere in campo il mese prossimo – mentre mette fuori uso le infrastrutture elettriche dell’Ucraina come forma di tortura cinese.
Quei giorni di febbraio in cui si inviavano solo 100.000 truppe – e si lasciava che le milizie della DPR e della LPR, i commando di Wagner e i ceceni di Kadyrov facessero la maggior parte del lavoro pesante – sono ormai lontani. Nel complesso, i russi e i russofoni si sono trovati di fronte a orde di militari ucraini – forse fino a 1 milione. Il “miracolo” di tutto ciò è che i russi se la sono cavata abbastanza bene.
Ogni analista militare conosce la regola di base: una forza d’invasione dovrebbe essere tre volte superiore alla forza di difesa. L’esercito russo all’inizio della OMS era una piccola frazione di questa regola. Le Forze Armate Russe hanno probabilmente un esercito permanente di 1,3 milioni di uomini. Sicuramente avrebbero potuto risparmiare qualche decina di migliaia di uomini in più rispetto ai 100.000 iniziali. Ma non l’hanno fatto. È stata una decisione politica.
Ma ora la OMS è finita: questo è il territorio della CTO (Counter-Terrorist Operation). Una sequenza di attacchi terroristici – che hanno preso di mira i Nord Stream, il ponte di Crimea, la Flotta del Mar Nero – ha infine dimostrato l’inevitabilità di andare oltre una semplice “operazione militare”.
E questo ci porta alla Guerra Elettrica.
Preparare la strada per una ZDM
La Guerra Elettrica viene gestita essenzialmente come una tattica – he porterà all’imposizione delle condizioni della Russia in un eventuale armistizio (che né l’intelligence anglo-americana né il vassallo NATO vogliono).
Anche se ci fosse un armistizio – ampiamente propagandato da qualche settimana – questo non porrebbe fine alla guerra. Perché le condizioni russe più profonde e tacite – fine dell’espansione della NATO e “indivisibilità della sicurezza” – sono state pienamente spiegate sia a Washington che a Bruxelles lo scorso dicembre, e successivamente respinte.
Poiché da allora nulla – concettualmente – è cambiato, e la militarizzazione dell’Ucraina da parte dell’Occidente ha raggiunto il massimo livello, lo Stavka dell’era Putin non poteva che ampliare il mandato iniziale della OMS, che rimane la denazificazione e la smilitarizzazione. Ma ora il mandato dovrà comprendere anche Kiev e Leopoli.
E questo inizia con l’attuale campagna di de-elettrificazione – che va ben oltre la parte orientale del Dnieper e lungo la costa del Mar Nero verso Odessa.
Questo ci porta alla questione chiave della portata e della profondità della guerra elettrica, in termini di creazione di quella che sarebbe una ZDM [zona demilitarizzata] – completa di terra di nessuno – a ovest del Dnieper per proteggere le aree russe dall’artiglieria, dagli HIMARS e dagli attacchi missilistici della NATO.
Quanto in profondità? 100 km? Non sono sufficienti. Piuttosto 300 km – visto che Kiev ha già richiesto artiglieria con quel tipo di gittata.
L’aspetto cruciale è che già a luglio a Mosca se ne discuteva ampiamente ai massimi livelli dello Stavka.
In un’ampia intervista rilasciata a luglio, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha fatto uscire il gatto – diplomaticamente – dal sacco:
“Questo processo continua, in modo coerente e persistente. Continuerà finché l’Occidente, nella sua rabbia impotente, desideroso di aggravare il più possibile la situazione, continuerà a inondare l’Ucraina con sempre più armi a lungo raggio. Prendiamo gli HIMARS. Il ministro della Difesa Alexey Reznikov si vanta che hanno già ricevuto munizioni da 300 chilometri. Ciò significa che i nostri obiettivi geografici si sposteranno ancora di più dalla linea attuale. Non possiamo permettere che la parte dell’Ucraina che Vladimir Zelensky, o chiunque lo sostituisca, controllerà abbia armi che rappresentino una minaccia diretta per il nostro territorio o per le repubbliche che hanno dichiarato la loro indipendenza e vogliono determinare il proprio futuro.”
Le implicazioni sono chiare.
Per quanto Washington e la NATO siano ancora più “disperate di aggravare la situazione il più possibile” (e questo è il piano A: non c’è un piano B), dal punto di vista geoeconomico gli americani stanno intensificando il Nuovo Grande Gioco: la disperazione qui si applica al tentativo di controllare i corridoi energetici e di fissarne il prezzo.
La Russia non si lascia intimorire – continua a investire nel Pipelineistan (verso l’Asia), a consolidare il Corridoio Internazionale di Trasporto Nord-Sud (INTSC) multimodale, con i partner chiave India e Iran, e a fissare il prezzo dell’energia tramite l’OPEC+.
Un paradiso per i saccheggiatori oligarchici
Gli straussiani/neo-con e i neoliberali-con che permeano l’apparato di intelligence/sicurezza anglo-americano – di fatto virus armati – non si fermeranno. Non possono permettersi di perdere l’ennesima guerra della NATO – per di più contro la “minaccia esistenziale” Russia.
Mentre le notizie dai campi di battaglia ucraini promettono di essere ancora più tristi sotto il Generale Inverno, si può trovare conforto almeno nella sfera culturale. Il racket della transizione Verde, condito in una tossica insalata mista con l’etica eugenista della Silicon Valley, continua a essere un contorno offerto con il piatto principale: la “Grande Narrativa” di Davos, ex Grande Reset, che ha mostrato la sua brutta testa, ancora una volta, al G20 di Bali.
Questo significa che tutto va bene per quanto riguarda il progetto di Distruzione dell’Europa. De-industrializzare ed essere felici; ballare l’arcobaleno con ogni melodia woke sul mercato; congelare e bruciare legna benedicendo le “energie rinnovabili” sull’altare dei valori europei.
Un rapido flashback per contestualizzare la situazione è sempre utile.
L’Ucraina ha fatto parte della Russia per quasi quattro secoli. L’idea stessa della sua indipendenza è stata inventata in Austria durante la prima guerra mondiale allo scopo di indebolire l’esercito russo – e questo è certamente accaduto. L’attuale “indipendenza” è stata creata perché gli oligarchi trotzkisti locali potessero saccheggiare la nazione mentre un governo allineato alla Russia stava per muoversi contro quegli oligarchi.
Il colpo di Stato di Kiev del 2014 è stato essenzialmente organizzato da Zbig “Grande Scacchiere” Brzezinski per attirare la Russia in una nuova guerra partigiana – come in Afghanistan – ed è stato seguito da ordini alle osterie del Golfo per far crollare il prezzo del petrolio. Mosca ha dovuto proteggere i russofoni in Crimea e nel Donbass – e questo ha portato a ulteriori sanzioni occidentali. Era tutta una montatura.
Per 8 anni, Mosca si è rifiutata di inviare i suoi eserciti persino nel Donbass a est del Dnieper (storicamente parte della Madre Russia). Il motivo: non volersi impantanare in un’altra guerra partigiana. Il resto dell’Ucraina, nel frattempo, veniva saccheggiato dagli oligarchi sostenuti dall’Occidente e sprofondava in un buco nero finanziario.
L’Occidente collettivo ha deliberatamente scelto di non finanziare il buco nero. La maggior parte delle iniezioni del FMI sono state semplicemente rubate dagli oligarchi e il bottino trasferito fuori dal Paese. Questi saccheggiatori oligarchici sono stati ovviamente “protetti” dai soliti sospetti.
È sempre fondamentale ricordare che tra il 1991 e il 1999 l’equivalente dell’attuale intero patrimonio familiare della Russia è stato rubato e trasferito all’estero, soprattutto a Londra. Ora gli stessi soliti sospetti stanno cercando di rovinare la Russia con le sanzioni, perché il “nuovo Hitler” Putin ha fermato il saccheggio.
La differenza è che il piano di usare l’Ucraina come semplice pedina nel loro gioco non sta funzionando.
Sul terreno, ciò che è avvenuto finora sono per lo più scaramucce e qualche vera battaglia. Ma con Mosca che sta ammassando truppe fresche per un’offensiva invernale, l’esercito ucraino potrebbe finire per essere completamente sbaragliato.
La Russia non sembrava di star male – considerando l’efficacia dei suoi colpi di artiglieria tritatutto contro le posizioni fortificate ucraine, e le recenti ritirate pianificate o la guerra posizionale, mantenendo basse le perdite e distruggendo la potenza avvizzente di fuoco ucraina.
L’Occidente collettivo crede di avere in mano la carta della guerra per procura in Ucraina. La Russia punta sulla realtà, dove le carte economiche sono cibo, energia, risorse, sicurezza delle risorse e un’economia stabile.
Nel frattempo, come se l’UE suicida dal punto di vista energetico non dovesse affrontare una piramide di calvari, può sicuramente aspettarsi di vedersi bussare alla porta almeno 15 milioni di ucraini disperati che fuggono da villaggi e città con zero energia elettrica.
La stazione ferroviaria di Kherson – temporaneamente occupata – ne è un esempio grafico: la gente si presenta continuamente per riscaldarsi e ricaricare i propri cellulari. La città non ha elettricità, né riscaldamento, né acqua.
Le attuali tattiche russe sono l’esatto contrario della teoria militare della forza concentrata sviluppata da Napoleone. Ecco perché la Russia sta accumulando grandi vantaggi mentre “solleva polvere da una coppa di foglie di rosa “.
E naturalmente… “non abbiamo ancora iniziato”.
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-pepe_escobar__dalloperazione_speciale_alla_guerra_elettrica_cos_la_russia_sta_guadagnando_grandi_vantaggi/39602_48018/
GLI ESPERTI RIVELANO LE TECNICHE UTILIZZATE DAI MEDIA PER FARE IL LAVAGGIO DEL CERVELLO E CONTROLLARCI
- Articolo pubblicato il 14 dicembre 2016 in https://bit.ly/3pgF3D9 di
- Dylan Charles , editore
- Waking Times
Con così tanto vetriolo che vola in ogni direzione in questi giorni su notizie false , propaganda russa, disinformazione e disinformazione, è fondamentale riconoscere e comprendere il fatto che esiste una scienza definitiva per distorcere la realtà e produrre il consenso pubblico . Molte delle tecniche deliberate di questa forma di controllo mentale sociale sono ben documentate, essendo state rivelate da addetti ai lavori, esperti e produttori di contenuti.
All’inizio
Conosciuto come il padre della propaganda moderna, Edward Bernays è stato il pioniere originale dell’ingegneria sociale attraverso i mass media. All’inizio del XX secolo Bernays ha gettato le basi per la programmazione culturale a livello dell’intera società, aiutando a trasformare una società basata principalmente sull’agricoltura rurale in una cultura omogenea di consumatori e devoti statalisti.
I principi che ha messo in moto hanno influenzato notevolmente la crescita della nostra cultura e ora, dopo aver portato la sua torcia nel 21° secolo, ecco cosa hanno rivelato sul loro mestiere diversi esperti di moderno lavaggio del cervello, propaganda e controllo mentale.
Un famoso giornalista della CBS spiega l’”Astroturfing”
Una delle cose più importanti che accadono nel nostro mondo oggi è la corruzione dei movimenti di base e il modo in cui questi movimenti sono rappresentati dai media per ottenere risultati sociali e politici molto specifici. Lo vediamo all’opera in modi importanti oggi, poiché dozzine di movimenti sociali apparentemente organici vengono ripetutamente utilizzati per creare la narrativa in corso di caos sociale, razzismo, divisione e protesta politica.
Sharyl Attkisson , autrice ed ex giornalista investigativa di CBS News, spiega la tattica nota come “astroturfing”, che è un piano per falsificare i movimenti di base a
Questi metodi vengono utilizzati per dare alle persone l’impressione che ci sia un sostegno diffuso per un’agenda, quando, in realtà, il pubblico potrebbe non avere alcun vero interesse in gioco. Le tattiche dell’erba sintetica vengono utilizzate anche per screditare o criticare coloro che non sono d’accordo con determinati programmi, usando nomi stereotipati come teorico della cospirazione , ciarlatano, razzista e altri termini popolari.
Ecco un riassunto delle tattiche di astroturf, come descritto da Attkisson:
- Creazione di pagine Wikipedia, monitorate dalle multinazionali.
- Creazione di una presenza sui social media, inclusi account Facebook e Twitter, gestita da professionisti pagati.
- Finanziare segretamente organizzazioni senza scopo di lucro per creare supporto di terze parti e presenza sul web.
- Ottimizzazione dei motori di ricerca pagine Web come blog e siti di terze parti che supportano un’agenda specifica.
- Finanziamento della ricerca industriale che viene ingannevolmente presentata come un’opinione indipendente.
- Finanziare esperti che lavorano su progetti non correlati, mentre in realtà creano consulenti retribuiti.
- Trovare organi di informazione comprensivi per ritrarre tali gruppi in termini prevedibili.
Una presentazione completa sull’argomento da parte di Attkisson può essere vista qui : https://www.youtube.com/watch?v=-bYAQ-ZZtEU
Il regista ti dice tutto sulla messaggistica subliminale
La messaggistica subliminale è un punto fermo del moderno controllo mentale e, quando viene bombardata da informazioni così abilmente nascoste, la mente emotiva può essere attivata e l’intelletto di una persona può essere soggiogato a favore di processi mentali di base come la paura o il desiderio sessuale. Una persona potrebbe non rendersi conto consapevolmente del motivo per cui inizia a diventare più attratta da determinati comportamenti, stili di vita o prodotti, ma l’attrazione è reale e si materializza nelle sue scelte personali.
Nel documentario del 2011 Programming the Nation , il regista ed ex rappresentante di vendita pubblicitario, artista grafico e produttore di media digitali, Jeff Warrick, fornisce esempi moderni di come i messaggi subliminali e altre tecniche subconscie vengono utilizzati nella pubblicità e in altri media per rafforzare le norme culturali e i programmi sociali come il consumismo, le scelte sanitarie, la materializzazione dei corpi delle donne e l’esaltazione della violenza.
Nel film, Warrick esamina come queste tecniche efficaci abbiano condizionato il pubblico degli Stati Uniti ad accettare determinate scelte di vita attraverso suggestioni velate inserite in pubblicità, programmi televisivi, film e telegiornali. Guarda il documentario completo, qui:
Pensieri finali
Gli effetti di decenni di media manipolativi possono essere visti nell’ingorgo delle idee, nella natura eccessivamente conflittuale e divisiva del discorso moderno e nell’estrema omogeneizzazione delle città e dei paesi americani, dove le persone ora hanno lo stesso aspetto, comprano le stesse cose, mangiano lo stesso cibo e condividono un ristretto spettro di idee e valori.
Questi due esempi di esperti sono solo un paio tra le tante tecniche utilizzate per influenzare l’opinione pubblica e cambiare il comportamento pubblico, ma affinché queste siano efficaci, il pubblico deve rimanere all’oscuro di come la scienza della programmazione sociale e del lavaggio del cervello stiano manipolando le nostre vite .
FONTE: https://cristinachristine.com/2022/08/14/gli-esperti-rivelano-le-tecniche-utilizzate-dai-media-per-fare-il-lavaggio-del-cervello-e-controllarci/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
“L’Urlo”: strumentalizzazioni di destra e censure di sinistra
Sono stati giorni davvero intensi e le idee non ho ancora avuto modo di rimetterle bene a posto. Dopo gli articoli di Libero e l’annuncio di oggi del presidente del Senato, Ignazio La Russa, di voler incontrare Michelangelo Severgnini, però, due parole mi sono d’obbligo come direttore editoriale della casa editrice che ha pubblicato il libro ”l’Urlo: schiavi in cambio di petrolio.
Partiamo da un presupposto: capisco perfettamente che, riguardo alle vicende di Napoli – la vergognosa censura subita da Michelangelo dopo essere stato formalmente invitato a presentare la sua opera al “Festival dei diritti umani” – la sponda offerta dalla destra è assolutamente parziale, quando non squisitamente strumentale. E che a molti dei suoi esponenti interessa esclusivamente il ruolo delle ONG.
Chi ha letto il libro e visto il film sa che è un aspetto assolutamente parziale e fallace. Perché ne “L’Urlo” c’è decisamente molto di più. E, anzi, la questione dei salvataggi in mare è del tutto marginale rispetto alle questioni geopolitiche.
Soprattutto perché parliamo della stessa destra che nel 2011 – e con l’appoggio delle sinistre arcobaleno – si è macchiata (al governo) della guerra contro Gheddafi. Una scelta scellerata, contraria a qualunque interesse nazionale italiano, portata avanti nell’esclusivo interesse della NATO da un governo di cui Ignazio La Russa fu ministro della Difesa. Una guerra che è stata la principale causa del caos libico. Perché – e questo va ribadito con estrema chiarezza – se la Libia è tutt’oggi in questa condizione, lo si deve principalmente a un’aggressione militare che ha raso al suolo un Paese sovrano tra i più fiorenti e progrediti dell’intero continente africano. Una destabilizzazione in nome della “democrazia d’esportazione” che ha portato soltanto macerie e trasformato la Tripolitania in una terra di nessuno dove da undici anni vige la legge del più forte. Dove spadroneggiano milizie e tagliagola che, con la connivenza e l’appoggio economico di tutti i governi occidentali, proseguono indisturbate e impunite a sequestrare e torturare i migranti a scopo di estorsione, a ridurli in schiavitù e a sbarazzarsi brutalmente di loro quando diventano scomodi o improduttivi.
Un sistema schiavistico vero e proprio che sfrutta centinaia di migliaia di esseri umani, e lì li tiene imprigionati nonostante supplichino di poter tornare a casa loro, per mantenere in piedi un sistema economico basato sul saccheggio delle risorse del popolo libico. Lo stesso popolo che, almeno a parole, l’Occidente voleva difendere defenestrando violentemente Gheddafi. E a cui viene tutt’oggi impedito di farsi governare dall’unico governo che essi hanno liberamente scelto. Un governo (quello esiliato a Tobruk) legittimato dalla volontà popolare, democraticamente espressa nell’unica circostanza in cui è stato consentito a libici di votare, ma inviso agli interessi occidentali e quindi bollato come illegittimo e terrorista. Incidenti della democrazia. Forse è per questo che non vogliono farli votare più…
Però… e qui arriviamo al dunque.
In tutta la vicenda dell’assalto squadrista al festival del “diritti umani” di Napoli, infatti, ci sta un però grosso quanto un ecomostro sulla costiera amalfitana. Perché sono passate più di 72 ore dai fatti eppure da “sinistra” non è arrivato uno straccio di messaggio di solidarietà. Esatto. Il mondo da sempre schierato a favore della tolleranza, della libertà di parola, dei diritti, delle campagne contro odio e discriminazioni e dell’antifascismo non ha ancora proferito mezza parola non dico di sdegnata disapprovazione, ma pure di formale condanna e presa di distanze rispetto a quanto accaduto.
Eppure in tutta questa storia ci sono in ballo alcune cose che dovrebbero stare parecchio a cuore a tutti i paladini dei valori democratici. La libertà di parola di un regista vittima di un comportamento squadrista, un fatto gravissimo già di per sé che se si fosse verificato ai danni di qualche cantore della “narrazione fiabesca” avrebbe immediatamente innescato la mobilitazione generale delle anime belle. E poi il diritto all’informazione dei cittadini italiani e in ultimo – ma non per importanza – la salute e i diritti di centinaia di migliaia di africani. A maggior ragione se, come nel caso de L’Urlo, questi elementi si intrecciano indissolubilmente. Ciò che rende prezioso il lavoro di Michelangelo Severgnini, infatti, è in primis il contenere elementi, prove e documenti assolutamente inediti in Italia. E in secondo luogo il farsi portatore di istanze provenienti direttamente dal suolo libico. Fonti di prima mano che mai nessuno si era preso la briga di andare ad ascoltare, e dicono una cosa molto chiara. Per quanto scomoda, fastidiosa e invisa alla narrazione dominante essa sia.
Se si hanno realmente a cuore le sorti dei migranti-schiavi in Libia vogliamo starli ad ascoltare una buona volta? Vogliamo esaminare la montagna di prove documentali che un autore coraggioso ci mette a disposizione per inquadrare una vicenda intricatissima in tutta la sua complessità? Vogliamo cioè entrare in possesso di tutti gli elementi necessari per aiutarli veramente? O si preferisce seguitare a tenere gli occhi chiusi e lavarsi la coscienza concentrandosi esclusivamente su opere “umanitarie” che non spostano di un millimetro né il problema urgentissimo della stragrande maggioranza delle vittime di questa torbida e drammatica vicenda né, tantomeno, gli interessi miliardari e geopolitici che ad essa sottostano? Finendo per di più per legittimare, quantomeno omissivamente, la più turpe e brutale censura di chi non vuole che tutti i tasselli del caos libico vengano messi chiaramente sul tavolo?
LAD edizioni è orgogliosa di aver pubblicato l’opera di Michelangelo Severgnini. Proteggeremo lui e il nostro lavoro in tutte le sedi possibili. Vi chiediamo di mobilitarvi presentando “l’Urlo” nelle vostre città. È il modo più efficace per combattere strumentalizzazioni di destra e censure di “sinistra”.
P.s. Per organizzare una proiezione del film scrivi a: lurlo.thescream@gmail.com
Per organizzare una presentazione del libro “L’Urlo” – schiavi in cambio di petrolio” scrivi a: info@ladedizioni.it
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Qualità e identità nel mondo globalizzato
In questo anno accademico i miei studenti hanno prodotto degli elaborati individuali di cui alcuni di qualità decisamente apprezzabile, per cui mi sembra giusto pubblicare i lavori migliori su questo sito, sia per il loro contenuto informativo che per dimostrare una cosa che dico da tempo: questi ventenni promettono molto bene, a differenza degli attuali Tq (trenta-quarantenni) che si sono rivelati tremendamente deludenti (e vedi che classe politica hanno espresso), per cui possiamo sperare che si stia preparando un buon ricambio.
Iniziamo con questo testo di Andrea Pentimone su alcuni aspetti del rapporto fra cibo e globalizzazione.
Aldo Giannuli
Qualità e identità nel mondo globalizzato
di Andrea Pentimone
BIO-BOOM:
“Aziende «bio», più di 150 offerte”, così recita il titolo di un articolo comparso lo scorso gennaio sul Corriere della Sera nella sezione “Trova-Lavoro”, in cui solitamente compaiono le varie inserzioni lavorative che il quotidiano propone. Tale richiesta di manodopera è ovviamente il frutto di un grande successo di tali imprese, successo dovuto essenzialmente alla vendita di “cibo biologico” che secondo i dati Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) è essenzialmente aumentata del 10,3% nei primi 6 mesi del 2017. L’aspetto più curioso è che tali assunzioni non riguardano unicamente il settore agro-alimentare, ma anche quello della cosmetica. Infatti oltre ad industrie per esempio come “Abafoods”, “specializzata nella produzione di bevande vegetali bio”, “Naturasì”, “con oltre 250 punti vendita in Italia” e “Bio c’ Bon”, una “catena di supermercati bio attiva sul mercato nostrano da 3 anni con 15 negozi”, compare per esempio anche l’impresa francese di cosmetici “Cattier”, e altre industrie dello stesso campo come “Aurelia” e “Léa Nature”, “a cui fanno capo vari brand”, evidenziando i molteplici aspetti che questa nuova cultura del cibo abbraccia e sponsorizza.
Davanti ad un tale trionfo della cosiddetta “cultura biologica” occorre domandarsi prima di tutto quali sono le spinte alla base di una tale cultura del cibo e come questa è stata accolta così efficacemente all’interno delle nostre tavole. La cultura biologica promuove prima di tutto un più alto valore nutrizionale dei prodotti, puntando sulla qualità, ma soprattutto sulla cosiddetta “sanità” di un prodotto e per tali motivi i cibi bio contengono un più alto valore nutrizionale, fondandosi su principi prettamente ecologici e legati al benessere fisico. L’agricoltura biologica incentiva infatti sia una maggiore redditività per gli agricoltori sia una ricca biodiversità locale, contro il crescente timore di un’”omologazione della dieta” dovuta alla cosiddetta “globalizzazione alimentare”. “C’è molta omologazione sulla terra” così denuncia, ilfattoalimentare.it, il sito web online fondato da Dario Dongo, avvocato e docente al campus Biomedico dell’Università di Roma, esperto di diritto alimentare, e docente alla facoltà di Agraria all’Università di Palermo. “L’allarme lanciato da anni da studiosi e ambientalisti assume ora contorni più definiti, grazie ad un grande studio pubblicato su PNAS , il quale ha preso in esame i dati della FAO relativi a 50 diverse sementi coltivate in 150 paesi dal 1961 al 2009, quantificando l’entità del disastro legato alla standardizzazione della dieta umana”. “Il grano”, continua, “è la principale coltura nel 97,4% dei paesi, il riso nel 90,8%, la soia nel 74,3%; accanto ad esse stanno crescendo d’importanza le coltivazioni di piante ad alto contenuto energetico come le palme da olio e i girasoli.” L’articolo prosegue evidenziando poi i danni subiti dai terreni, “sempre più poveri” a causa dello sfruttamento intensivo che ne fanno le industrie, portando le piante ad essere vulnerabili a fattori climatici sfavorevoli, come la siccità, e esponendoli maggiormente a malattie e parassiti. La pagina infine denuncia anche i danni legati alla salute stessa delle persone, allarmando su malattie legate “agli eccessi nel consumo di cibi altamente lavorati. Il tutto agevolato e incrementato dalle multinazionali e dal fast food, che fanno di tutto per sostenere il trend, visto che in alcuni paesi occidentali (e soprattutto del Nord Europa) è in calo.” È infatti proprio in questi paesi europei, e in anni recenti anche nell’area mediterranea, che la nuova cultura del “mangiare sano e biologico”, ma anche “sostenere l’ambiente” è entrata a far parte dello stile di vita di molti.
La paura di una crescente “omologazione alimentare” globale, il deterioramento dell’ambiente e l’invasione di cibi grassi e poco salutari ha caratterizzato tutta la storia della seconda metà del XX secolo, quando il nuovo sistema di distribuzione alimentare ha cambiato profondamente il rapporto delle persone col cibo, ovvero nel momento in cui sempre più una tipologia di alimenti curata nel design quando confezionati, commercializzati e pubblicizzati con l’aiuto delle ultimissime tecnologie alimentari, iniziò ad essere distribuito attraverso canali commerciali sempre più complessi e finemente collegati tra loro. Potremmo quindi affermare che tale timore trae le sue profonde radici, più che su valori post-materialisti (tra cui lo slogan stesso del “mangiare biologico”) che ne sono in parte eredi, dalla relazione stessa che le varie culture hanno adottato nel tempo col cibo. In una grande opera sulla storia del cibo pubblicata nel 1996 e curata da Jean-Louis Flandrin e Massimo Montanari, viene osservato come il morale delle persone deriva spesso e volentieri dal loro rapporto col cibo. In particolare viene citato il caso singolare di Marc Meneau , uno dei più grandi chef francesi, a cui gli venne commissionato negli anni novanta di sviluppare un “range” di alimenti liofilizzati di alta qualità appositamente per l’uso da parte degli astronauti francesi, durante le loro missioni nello spazio. Che a ad uno chef francese venga appositamente chiesto di rimediare al fabbisogno degli astronauti che la Francia spedisce in orbita, evidenzia come il cibo sia strettamente legato sì ad un principio di “salute” e “benessere fisico”, ma ancora più profondamente, e probabilmente da più tempo del primo, ad un forte senso di “identità”, che a sua volta in parte rivela una stretta connotazione con la predilezione del “cibo di qualità”, perché appunto più “caratteristico” e “rappresentativo” di una determinata appartenenza culturale.
Nell’Europa degli ideali post-modernisti, originatisi dagli eccessi della cultura neoliberista, ha influito fortemente sui giudizi delle masse la “paura” di perdere la propria identità, cedendo ai cosiddetti “invasori”. La cultura biologica stessa in parte trae origine da uno scetticismo di fondo verso le ultime innovazioni e tecnologie nell’industria alimentare, da molti associata automaticamente al fenomeno globale dello sfruttamento dei terreni, del land grabbing, della deforestazione delle foreste del Borneo o dell’Amazzonia, fenomeni comunque disastrosi per l’ecosistema del nostro pianeta e da contestare. Tuttavia la reazione biologica potrebbe quasi sembrare un “eccesso” ad alcuni osservatori nel senso opposto, essendo conservatrice e in parte anche scettica dei recenti progressi scientifici in campo alimentare, come per esempio gli OGM (Organismi Geneticamente Modificati), da più di quindici anni ormai sulla scena del dibattito pubblico e scientifico globale. Repubblica cita in un suo articolo uno studio pubblicato su “Science Advances” redatto dal team di ricercatori della University of British Columbia che ha analizzato i pro e i contro dell’agricoltura biologica per la salute dell’ambiente. Se i pro già li conosciamo, esistono tuttavia anche degli svantaggi riguardo ad una tale dieta. Il cibo bio comporta infatti prima di tutto “prezzi più alti” (quindi non proprio adatti per esempio a paesi “in via di sviluppo”) e “bassi rendimenti rispetto all’agricoltura tradizionale” (il rendimento di una coltivazione biologica è tra il 19% e il 25% inferiore a quello di una coltivazione convenzionale). “Secondo la ricerca”, afferma l’articolo, “l’agricoltura biologica dovrebbe quindi essere valutata su base contestuale. Prendiamo, per esempio, due concetti oggi cari a molti consumatori: l’utilizzo di pesticidi sintetici e i benefici nutrizionali del biologico.
Come spiegano i due autori [Verena Seufert e Navin Ramankutty], in paesi sviluppati come il Canada, dove sono presenti leggi sui pesticidi molto rigorose e il regime alimentare è già ricco di micronutrienti, i benefici per la salute di scegliere prodotti organici potrebbero essere del tutto marginali”. La morale è che “il bio non è sempre meglio, e un’adozione indiscriminata di queste tecniche di coltivazione avrebbe gravi ripercussioni sull’ambiente, soprattutto in termini di consumo del suolo”; la coltivazione biologica necessita di più terra per ottenere la stessa quantità di cibo di una coltura tradizionale ed “è bene ricordare che la conversione del suolo per l’agricoltura è la causa rincipale della perdita degli habitat e del cambiamento climatico”.
In fondo anche la cosiddetta “cultura-bio” sembra in parte rivelarsi tanto sfruttatrice dell’ambiente, quanto lo sono le industrie accusate di star distruggendo l’ecosistema con l’espansione dei loro stabilimenti e nuovi giacimenti di risorse. Il criterio della qualità e del mantenimento di un’identità nutrizionale rimangono costanti nella ricerca di nuove soluzioni alimentari, tuttavia il dibattito pubblico ultimamente sembra abbastanza restio a fidarsi delle nuove innovazioni scientifiche, a causa spesso del limitato dialogo tra la scienza stessa e il grande pubblico di massa, ma anche a causa di quella credenza profondamente radicata, e in parte veritiera, di una costante invasione di merci straniere. L’”identità” di una tradizione culinaria specifica sta veramente scomparendo di fronte alla cosiddetta “omogeneizzazione dell’alimentazione” o ci sono dei caratteri che sono comunque in qualche modo immutabili al cambiamento e che vanno oltre il semplice alimento, come la convivialità, il gusto e le tradizioni? È possibile che anche nella civiltà industriale vengano in qualche modo poste le premesse per la nascita di nuove tradizioni/identità e quindi qual è il ruolo della scienza per aiutare a vincere la sfida della sostenibilità dell’alimentazione, e mettere fine a fenomeni come quello del land grabbing?
SCIENZA, INDUSTRIA DEL CIBO E SVILUPPO DELLA PERCEZIONE PUBBLICA:
Nel XIX secolo un’infinita Rivoluzione Industriale, un esodo dalle campagne verso le città, il trionfo dell’economia di mercato sull’economia di sussistenza, un formidabile sviluppo del trasporto e del commercio internazionale e un’iniziale contrazione del “gap” tra la ricchezza dei ricchi e la miseria dei poveri portarono anche alla necessità di un’”industria di trasformazione alimentare” con vasti impianti di lavorazione di prodotti di base come la farina, l’aceto, l’olio e lo zucchero, una volta fabbricati con metodi artigianali. “L’esodo dalla campagna ha lasciato i contadini di oggi il possedimento di proprietà agricole più ampie del passato. Inoltre essi ricavano maggiori guadagni dal loro terreno con meno sforzo, grazie alla meccanizzazione, i fertilizzanti artificiali e nuove specie di colture” . Dalla Rivoluzione Industriale in poi, nella cosiddetta “età della modernizzazione” e tutt’oggi nel mondo della “globalizzazione”, la scienza sembra un meccanismo ormai irrefrenabile, costantemente alla ricerca di nuove soluzioni e possibilità, aprendo ogni tanto nuovi spiragli che, se alimentati nel modo giusto, conducono inevitabilmente a nuovi rami e campi di ricerca. Tuttavia la scienza non è l’unico attore in gioco e l’età moderna in qualche modo è costantemente puntellata di discontinuità, paradossi e incomprensioni tra gli studi scientifici del momento, gli interessi del mercato industriale e la percezione da parte del pubblico di massa, un meccanismo fondamentale da comprendere per arrivare a spiegare come mai per esempio attuali soluzioni che la scienza propone riguardo alla questione alimentare (per esempio gli OGM) si trovino a fronteggiare tutt’ora una fortissima e risoluta opposizione da numerose posizioni saldamente avverse, curiosamente rappresentate soprattutto da “non scienziati”.
La scienza negli ultimi due secoli è stata spesso e volentieri (più o meno servizievolmente a seconda delle casistiche) sottomessa alle politiche industriali, mentre in situazioni e momenti differenti si opporrà fermamente ad esse, malgrado non otterrà sempre quell’appoggio del terzo “giocatore” in campo (le masse) indispensabile ago della bilancia nel confronto con lo strapotere del mercato.
Nel XX secolo, come osservato da Flandrin, ci fu una sostanziale regressione a situazioni di carestia e siccità in molte zone del Terzo Mondo perché “la produzione agricola in molti luoghi non è riuscita a tenere il passo con la costante crescita demografica, il suolo è stato eroso, e le guerre civili, così comuni al giorno d’oggi, hanno ostacolato la fornitura di soccorsi alimentari” . Anche i contadini occidentali dai possedimenti più ampi e forniti di nuove tecnologie, nonostante i miglioramenti tecnologici, si ritrovarono col tempo alla mercé di un’economia di mercato e di una concorrenza estera pressante, cosa che portò in alcuni momenti ad una sostanziale sovrapproduzione agricola con conseguenti enormi debiti a gravare sulle loro spalle. Se la scienza forniva nuove soluzioni per favorire il benessere industriale, la politica economica delle potenze industriali dominanti dettava le regole di mercato, sfruttando le risorse a cui aveva accesso con metodologie più o meno imperialiste. Sarà proprio questa fiducia/sfiducia del pubblico nel “nuovo” scientifico che si ripresenterà a fasi alterne, spesso dettata dall’ignoranza, altre volte invece da motivazioni più o meno valide, a portare ad una cultura alimentare non senza paradossi, in cui il concetto di “qualità” difficilmente potrà essere scisso da quello di “identità” o con quello di “tradizione”, mentre il concetto di “industriale” va spesso ad assumere, almeno al giorno d’oggi, una connotazione fortemente negativa e da denunciare, nonostante in passato è stato più volte il simbolo dello sviluppo qualitativo dei prodotti alimentari stessi.
Un primo paradosso venutosi a creare secondo i due autori è infatti la curiosità che le persone iniziarono a riversare sulle abitudini alimentari delle campagne e dei contadini, nonostante tra il XIX e il XX secolo la popolazione contadina diminuì notevolmente. Le persone cominciarono di fatto a sviluppare un profondo interesse per le cucine locali, promuovendo la diffusione di guide gastronomiche regionali e provinciali per turisti. Ciò avvenne, secondo la parte curata da Julia Csergo all’interno dell’opera, sul risveglio delle tradizioni culinarie provinciali francesi, perché “il nazionalismo era l’ordine del giorno, un terreno fertile per i promotori dello sfruttamento delle cucine regionali” , e una conseguenza sarà il ruolo chiave del nascente “turismo” di fine Ottocento nel trasformare ciò che una volta era una risorsa prettamente locale in una primaria fonte di guadagno per il benessere economico (di ristoratori e albergatori) e industriale.
Il secondo paradosso del rapporto dell’uomo con il cibo nell’età moderna è invece il risveglio dell’elemento religioso nelle abitudini alimentari occidentali durante il Novecento, periodo in cui il rispetto per le osservanze religiose tradizionali era decisamente in declino. Questo elemento sarà molto influente nel dettare le diete alimentari da seguire (tra i cristiani soprattutto i protestanti avranno un ruolo cardine in questo). Un caso emblematico di un tale rapporto identitario e “moralizzatore” col cibo è forse quello americano, ben rappresentato nel libro dei due autori da una sezione curata da Harvey A. Levenstein. La dieta americana è sempre stata caratterizzata fin quasi dalle origini dal mito dell’”abbondanza” di risorse alimentari che l’immenso territorio americano aveva da offrire, mito che si trasformerà in seguito in propaganda politica dell’industrialismo americano, ma anche in un’ossessione durante i periodi di crisi, come avverrà con la Seconda Guerra Mondiale. Tale caso è curioso perché fin dai primi decenni dell’Ottocento “ci furono i primi tentativi per regolare e restringere la dieta nazionale; collegando il cibo che la scienza aveva ritenuto deleterio [per il corpo umano] con gli sforzi dati dalla ricerca della purezza morale. […] Le idee del predicatore protestante William Sylvester Graham contro l’alcol si basavano sull’idea ‘vitalista’ che il sistema nervoso contenesse una forza da cui dipende tutta la vita. Presto egli allargò l’accusa fino ad includere ogni forma di stimolazione nervosa (dall’attività sessuale al consumo di carne e spezie). […] La “denaturazione” del grano (usato per le pagnotte bianche realizzate con farina setacciata) diventò uno dei più importanti bersagli [delle denuncie] di Graham” . Anche con il cambio di secolo predominò essenzialmente l’idea delle innovazioni scientifiche come un avanzamento sia della salute che della moralità della nazione con un forte impatto soprattutto sulla classe media, sensibile alle richieste di cambiamento dietetico con riguardo al benessere fisico, soprattutto nei riguardi delle classi inferiori meno curanti della propria dieta; tuttavia solo dal 1917 con la scoperta dei benefici dati dalle vitamine, inizia ad essere largamente accettata la supremazia del criterio della salute fisica sulle scelte gastronomiche. È proprio a questo punto che possiamo forse fare una piccola osservazione, ovvero come gli interessi industriali e le credenze delle masse vadano in fondo a collidere più nettamente che in passato con determinati ideali scientifici. Infatti con questa particolare vitalità della politica della “salute alimentare”, portata avanti dal governo americano fino agli anni Settanta, rinominata più volte “vitamania”, “la produzione del cibo negli Stati Uniti si stava mano a mano trasformando in una serie di industrie altamente organizzate dipendenti in gran parte da investimenti di capitali, dalla produzione meccanizzata, da reti sofisticate di distribuzione e enormi spese per la promozione e la publicizzazione. Le industrie casearie risultavano tra quelle che ebbero maggior successo nel diffondere la ‘vitamin consciousness’. […] L’immagine del latte si trasformò da ‘cibo per bambini’ nel ‘cibo perfetto per gli adulti’, contenendo praticamente ogni nutriente necessario per una buona salute”. Comportandosi in tale maniera, tali politiche industriali ottennero ben poche simpatie da parte per esempio delle organizzazioni dei medici che non erano esattamente entusiasti di ciò che stava avvenendo, dato che vedevano nella “vitamania” una “ricorrenza della secolare minaccia secondo cui le persone cercano aiuto non medico quando vengono colpiti da una malattia. [Infatti] il pubblico veniva ripetutamente rassicurato che gli integratori vitaminici non erano necessari perché potevano ricavare nutrienti più che sufficienti per assicurare una buona salute, semplicemente tramite una ‘dieta bilanciata’” .
Con gli anni Cinquanta e l’epoca del “baby-boom”, in seguito al famoso razionamento, operato durante la guerra, della non più esageratamente “abbondante” offerta alimentare americana (anche se stoltamente e cecamente molti americani continueranno ad avere l’ossessione di stare continuando a vivere tale abbondanza di prodotti agricoli) venne necessariamente intrapresa una politica basata sulla “convenienza”, incentivando produttori e processori a sviluppare una serie di nuove metodologie per aumentare, preservare, riscaldare e impacchettare il cibo. “Tra il 1949 al 1959, la sola industria chimica realizzò più di quattrocento nuovi additivi per aiutare il cibo a durare nei nuovi processi di lavorazione. Ogni tipo di preoccupazione riguardo agli effetti di questi metodi sulla qualità nutrizionale fu largamente spazzata via dall’orgoglio nella capacità inventiva americana. Le esibizioni sponsorizzate dal governo erano strutturare per impressionare i visitatori stranieri con i traguardi tecnologici che il capitalismo americano impiegava nel cibo, negli elettrodomestici per la cucina, negli allestimenti dei supermercati dei centri commerciali” .
Questo atteggiamento di “soddisfazione nazionale” non sopravvisse alla fine anni Sessanta quando si arriverà ad un intensa critica della società americana, facendo riaffiorare quegli ideali di preoccupazione e benessere che già si erano verificati in passato. “C’era costante allarme sugli effetti dei pesticidi, dei fertilizzanti chimici che venivano utilizzati ormai in modo estensivo nel processo di coltivazione, degli antibiotici e degli altri prodotti chimici utilizzati nella produzione della carne. […] Il risultato più noto del nuovo spirito critico fu la moda per i cibi ‘organici’, ‘naturali’ e [quindi] ‘non processati’, una tipologia di ripristino di un misto di salute, moralità, e romanticismo che prevalsero negli anni Trenta e Quaranta del XIX secolo. I giovani veterani della ‘Nuova Sinistra’, le cui campagne contro l’imperialismo e il razzismo si esaurirono nei primi anni Settanta, rivolsero la loro critica morale del capitalismo verso i suoi effetti sul cibo e l’ambiente.” Curiosamente in modo simile al modo di agire delle campagne ‘pro-bio’ di oggi, “essi accusavano le multinazionali di utilizzare le loro immense risorse pubblicitarie per fare il lavaggio del cervello agli americani perché mangiassero prodotti troppo elaborati, non salutari e pericolosi per l’ambiente” .
Di sicuro tutt’oggi ad avere un ruolo determinate nel giudizio del pubblico sono in fondo i “benefici” che esso riceve dal mercato, benefici che possono essere sia pratici che prettamente culturali e identitari, che i consumatori ricavano, o comunque osservano in una determinata politica industriale, tuttavia ignorandone spesso i meccanismi fondamentali, come l’impatto che certe condotte hanno sui prodotti stessi, l’ambiente e addirittura le politiche nazionali e internazionali tra i paesi. Di sicuro non è più un segreto per molti che molti alimenti di oggi nell’universo occidentalizzato, passati appunto per l’industria (a parte i prodotti “bio”), presentano una qualità notevolmente inferiore rispetto ai prodotti artigianali del secolo scorso, ma magari le stesse persone non avrebbero niente da ridire contro l’aumento delle offerte che un supermercato o un “discount” offre normalmente e anzi magari si lamenterebbero quando i prezzi tornano nuovamente a salire. Il rischio spesso è infatti di legare in modo indissolubile la questione della qualità al solo processo produttivo e lavorativo di un determinato prodotto, senza però interrogarsi sulle politiche di diffusione e concorrenziali attorno allo stesso sul mondo del mercato. Con ciò mi riferisco a quel fenomeno molto attuale anche in Italia che due giornalisti di Internazionale in un loro articolo hanno definito “il grande inganno del sottocosto” .
Il pezzo incomincia a delineare sinteticamente la complessità della rete che collega tra loro i vari attori principali dell’universo della distribuzione alimentare: “Per ognuno di questi prodotti esiste chi ha coltivato la materia (l’agricoltore), chi l’ha trasformata (l’industriale), chi la vende (gdo ) e chi la consuma (il cittadino). I fornitori cercano di vendere al prezzo migliore, I responsabili delle catene di supermercati spesso determinano i costi al ribasso. Ognuno di loro gioca una partita non sempre ad armi pari in cui ci rimette sempre chi ha meno potere contrattuale. […] Oggi attraverso la gdo passa circa il 70% degli acquisti alimentari. Dal punto di vista di chi produce (gli agricoltori e gli industriali) è di conseguenza il canale di distribuzione più importante, spesso l’unico, per stare sul mercato.” Per attuare le cosiddette politiche di “offerta” e concorrere sul mercato all’insegna del rilancio al prezzo più basso, le gdo richiedono a fornitori diversi impegni economici e contributi alle stesse, riepilogati sotto la voce di “fuori fattura”, come le cosiddette “listing fee”, “una somma da versare per ogni prodotto […] se vuoi stare sullo scaffale del supermercato ed essere visibile al consumatore”; oppure come una serie di sconti applicati retroattivamente dalle gdo ai loro fornitori e i contributi che spesso vengono richiesti per inaugurare un punto vendita. “Attraverso un questionario inviato a 471 imprese agroalimentari, l’autorità per la concorrenza [antitrust] […] sancisce che sconti e contributi costano alle singole aziende fornitrici il 24,2% del fatturato con la catena cliente. In pratica, un quarto del prezzo effettivo del listino”. Nonostante i controlli dell’antitrust, tra i fornitori aleggia l’incubo del “benservito”, ovvero l’esclusione dalla catena di distribuzione per diffondere i propri prodotti, per questo in molte occasioni “il fornitore cerca solo di salvare la pelle. Tira in avanti i negoziati. Accetta gli sconti e i contributi e nel frattempo aumenta i prezzi di listino per recuperare. Così alla fine, si perde in qualità o in funzionalità”, visto che “questi sacrificano la qualità e tagliano i costi del lavoro, per non rimetterci. […] Nei campi di pomodori o arance, la raccolta è pagata a quattro soldi e gestita spesso da caporali, intermediari illeciti tra i lavoratori e gli imprenditori agricoli”. In un tal caso oggi si sta generando spesso un meccanismo per cui il consumatore in fondo rischia di perdere di vista il vero valore dei prodotti che acquista, separando il cibo e la qualità dello stesso dalla modalità in cui viene prodotto, rischiando di perdere di vista l’importanza del mantenimento di un criterio di qualità al fine di evitare fenomeni immanenti ad una produzione stremata (generando fenomeni come lo stesso caporalato), sacrificando inoltre il proprio benessere in nome della “convenienza” oltre che di un rapporto col cibo non più come parte dell’”identità” stessa delle nostre tavole. Ovviamente la logica delle gdo si inserisce in un contesto più ampi di “libero scambio”, che come abbiamo già accennato, dagli anni Cinquanta ha iniziato ad imporsi sui mercati globali. Infatti un “basso costo dei trasporti marittimi, delle tecniche di refrigerazione” e un “gigantismo delle reti distributive”, come osserva il professore Aldo Giannuli in un suo articolo sulle nuove forme che ha assunto il cosiddetto “problema alimentare”, si è arrivati “in primo luogo ha accentuato la spinta alla concentrazione delle culture in un numero ristretto di centri”, ma è soprattutto “aumentato il grado di interdipendenza dei vari paesi. […] Nell’epoca che registra una produzione di generi alimentari come mai nel passato, quegli stessi beni diventano una delle principali cause di crisi geopolitiche […] ed è per la per la ragione di controllare le fonti di approvvigionamento alimentare che ha preso avvio la pratica del ‘land grabbing’, per cui i paesi finanziari più forti (fra gli altri Usa, Cina, Russia, Francia, Giappone) acquistano spazi di terra sempre più vasti in Africa per appropriarsi delle rispettive produzioni agricole così sottraendole alle popolazioni locali” . “Le terre coltivate e predate del pianeta sono come una superficie di campi coltivato grande otto volte il Portogallo” spiega Paolo Lambruschi in un suo articolo pubblicato su Avvenire: “dal 2000 fino allo scorso marzo, i contratti di acquisto o affitto di terra nel mondo sono 2.231 per un estensione di oltre 68 milioni di ettari: A questi vanno sommati altri 209 in corso di negoziazione, per oltre 20 milioni di ettari” .
Il “benessere alimentare” è tutt’oggi divenuto una specie slogan contro il baluardo odierno della biotecnologia legata alla produzione agricola e industriale, erroneamente associata ad un inevitabile ulteriore sfruttamento di terreni o di un ulteriore deterioramento della qualità dei prodotti, che diverrebbero in qualche modo “artificiali”: gli OGM. “Mentre alcuni argomentano che l’ingegneria genetica è differente dalla moderna tecnologia alimentare convenzionale e pertanto richiede una maggiore supervisione, altri contestano l’opposto, evidenziando come gli uomini abbiamo modificato geneticamente le piante per millenni.” Una delle principali teorie di chi sostiene gli OGM e i loro benefici per il benessere della persona è che in fondo, nonostante lo sviluppo recente dell’industria genetica, l’incrocio di piante e qualità differenti in fin dei conti avviene dall’inizio dei tempi. Il grano coltivato dalla civiltà Maya era notevolmente differente da quello odierno, esattamente come i primi antenati di frutti mediorientali come pesche e albicocche o sudamericani come pomodori e banane. L’incrocio delle specie, certamente più lento della modificazione genetica ma comunque efficace nel complesso, ha contribuito alla sopravvivenza di determinati “geni” e allo sistematico “scarto” di altri, un’intuizione che precede molto la genetica stessa e gli esperimenti sui fiori dei piselli condotti da Gregor Mendel. “Nonostante il fatto che numerosi panels scientifici nazionali e internazionali hanno concluso che il cibo prodotto attraverso la procedura transgenica è sano esattamente quanto il cibo prodotto con altre metodologie e che quegli agenti patogeni di origine alimentare mettono molto più a rischio la salute umana, storie volte ad incutere timore continuano a dilagare nei media e interrogativi continuano a venire posti riguardo all’adeguatezza dei sistemi correnti di regolazione per determinare la salute dei nostri cibi, transgenici o no.” Secondo un altro articolo riguardo l’accettazione pubblica della biotecnologia applicata alle piante e delle colture OGM si legge sostanzialmente come lo scetticismo sia generalmente dovuto ad un elevato livello di ignoranza riguardo gli OGM, cosa che a sua volta tra origine da una sostanziale mancanza di dialogo tra il mondo scientifico e il pubblico di massa. Le motivazioni principali che evidenzia sono infatti : una mancanza di informazione riguardo il processo di modificazione genetica in sé stessa (che prevede in estrema sintesi l’individuazione di un gene utile in un alimento e il suo inserimento nel corredo genetico di un altro), cosa che automaticamente “induce ad un incertezza riguardo i rischi e i benefici dei cibi OGM, e quindi ad un rigetto della tecnologia”. In secondo luogo giudizi negativi formulati a priori, prima di ricevere informazioni aggiuntive sull’argomento modifica la volontà di accettarle veramente o meno, soprattutto perché sembra essere un fattore determinante l’importanza personale che si da alla “naturalezza” di un prodotto. L’influenza dei media inoltre può produrre inoltre i maggiori cambiamenti nell’opinione pubblica, sempre più terrorizzata dall’invasione di prodotti e culture straniere. Alcuni consumatori si preoccupano per il destino dei piccoli imprenditori agricoli, di un effetto di “inegualità” a livello globale e problemi di tipo “bioetico” sull’utilizzo di animali geneticamente modificati per gli esperimenti, o sul tipo di controllo esercitato. La stessa Nature Biotechnology in parte ammette che “non è stato fatto alcuno sforzo per scoprire se i cibi transgenici hanno effetti di lungo termine sulla salute animale, in parte perché non c’è consenso su come condurre tali esperimenti. Di 100 studi nutrizionali “peer-reviewed” fatti per verificare tali rischi, la maggioranza di essi sono studi a breve termine [90 giorni circa] condotti su un limitato numero di tratti [genetici], che non avrebbero rilevato alcun effetto sulla consumazione a lungo termine degli alimenti GM. Inoltre, in assenza di etichettatura alimentare o di un monitoraggio degli alimenti transgenici, l’impatto dei cibi transgenici su coloro che li consumano non può essere conosciuto”, tuttavia sia “i critici [che] i promotori degli OGM sono concordi sul fatto che gli alimenti geneticamente modificati finora non hanno prodotto alcun effetto negativo, e che il rischio per la salute umana da cibo contaminato da elementi patogeni è molto maggiore di quello degli OGM”. La percezione dei rischi degli OGM varia inoltre a seconda dell’area regionale, del criterio di ’”affetto” verso le differenze tradizionali locali, ma soprattutto a seconda di un criterio di “mancanza di percezione” diretta e tangibile dei benefici degli organismi geneticamente modificati. Paradossalmente i benefici sarebbero inoltre molti, e forse aiuterebbero ad risolvere molti dei problemi che ci troviamo ad affrontare oggi. Secondo Jan M. Lucht i più rilevanti di essi sarebbero: una rete di benefici economici stimati attorno ai $18,8 trilioni nel 2012; prezzi di vendita inferiori; la non necessità di superfici agricole elevate e una notevole diminuzione notevolmente le emissioni di CO2 nell’aria.
Da tutti questi grandi paradossi che hanno caratterizzato l’industria, la distribuzione e la scienza del cibo degli ultimi settant’anni, che qua si è tentato di descrivere con un breve profilo riassuntivo citando diversi spunti di riflessione ed esempi, possiamo ricavare brevemente alcune osservazioni di percorso. Sebbene la coscienza, o almeno l’idea, da parte di un pubblico di massa della necessità di una dieta equilibrata e del benessere del “mangiare sano” sia ormai (almeno nei paesi considerati “moderni”) in qualche modo consolidata, decisamente meno lo è ancora la “via” per giungere ad un tale risultato, o meglio i meccanismi di produzione e distribuzione che permettono ad una enorme abbondanza di nuovi prodotti di arrivare nelle nostre cucine. La reazione ad una politica industriale “sfruttatrice” è iniziata a germogliare a più riprese nella coscienza pubblica, tuttavia in anni recenti le politiche industriali, come ha rivelato l’articolo redatto da Ciconte e Liberti, hanno dimostrato di essere in parte sottomesse a più ampi meccanismi di distribuzione, meno conosciuti così approfonditamente. Inoltre, come abbiamo visto all’inizio, l’alternativa di un cibo completamente “biologico” necessiterebbe uno sfruttamento maggiore dei terreni, cosa che porterebbe automaticamente a riconsiderare il processo industriale (senza arrivare a tipologie di cibi estremamente elaborate e omologate) come in qualche modo necessario per preservare quella costante della “qualità” che sembra ormai inseparabile da quel “benessere morale” che aiuta a mantenere una forma di identità pubblica, comunque in continua trasformazione e forse non per forza, come vedremo tra poco, destinata ad una “omogeneizzazione” su scala globale. Perciò la scienza agroalimentare e l’industria sono fondamentali, sotto adeguata regolamentazione, per trovare le soluzioni che oggi più che mai necessitiamo per risolvere il “problema alimentare”, ma per far ciò occorre forse un maggior grado di comunicazione con quel pubblico immenso, costantemente stimolato da ideali più o meno romantici del “benessere” e dell’”appartenenza” ad una cultura, completamente incurante di una forma di crescita che ciascuna cultura richiede ai propri membri, in qualche modo per non fossilizzarsi e rimanere sostanzialmente incapace di fronteggiare con coscienza le nuove sfide della modernità.
OMOGENEIZZAZIONE E DELOCALIZZAZIONE:
“Prendiamo ad esempio Disneyland Paris. Analisi di mercato degli Stati Uniti stimano che tra il 50% e il 60% dei visitatori nel parco a tema vicino a Parigi avrebbero mangiato in un fast food durante la loro visita. Qualunque sia la validità di questi studi, una caratteristica prettamente europea è stata esclusa dall’equazione: risulterebbe che i francesi, gli italiani e altri turisti europei non sono disposti a mangiare hamburgers alle dieci della mattina o alle cinque del pomeriggio, come solitamente fanno molti americani. Precisamente alle 12.30, questi europei tendono a mettersi in fila fuori dai posteggi dei ristoranti, abbandonando tutte le altre attrazioni. Negli altri orari, i ristoranti rimangono sostanzialmente vuoti. […] I progettisti del parco avevano sovrastimato la flessibilità degli europei e il grado in cui le loro abitudini alimentari erano state ‘destrutturate’.” Pertanto fino a che punto possiamo oggi parlare di una “omogeneizzazione” alimentare e del nostro rapporto stesso con il cibo, come aveva denunciato l’articolo di Agnese Codignola del fatto alimentare.it? Secondo i due autori della “Storia del cibo”, infatti, anche se l’industria alimentare di fatto in parte elimina le differenze e le peculiarità locali, adattando anche le specialità regionali esotiche al mercato globale delle merci standardizzate e omogeneizzate, sarebbe tuttavia un errore pensare che l’industrializzazione della lavorazione del cibo, i miglioramenti nei trasporti, e l’avvento di una distribuzione di massa debbano automaticamente e inevitabilmente condurre all’eliminazione di abitudini e piatti locali e regionali distintivi, tanto che gli europei che vanno nei fast food lo fanno solitamente mantenendo le proprie abitudini e ritmi alimentari, non per forza rinunciando ai propri ideali di convivialità e distacco dal mondo del lavoro. Lo stesso McDonalds, baluardo e primo unificatore di concetti come “sapori di base, trame gratificanti, libertà trasgressive, consenso familiare, convenienza, prezzo, igiene e standardizzazione” nel mondo della ristorazione ha dovuto ultimamente in qualche modo “adeguarsi”, aggiustando i propri menù a seconda delle differenti culture (famoso è l’esempio del “McDonalds kosher” a Tel Aviv o per quanto ci riguarda più da vicino i recenti vari menù di panini ispirati alle differenti cucine regionali italiane che i fast food propongono nel nostro paese). “In Europa storicamente un piatto non è considerato autenticamente tradizionale a meno che le sue radici possano essere tracciate indietro fino alle antiche civiltà agrarie. Pertanto l’industrializzazione è vista come distruttrice delle tradizioni culinarie.”
Tuttavia anche la modernità in alcune situazioni sembra incoraggiare la formazione di specialità locali: è per esempio il caso del “chili di Cincinnati”, considerato tutt’oggi un caso esemplare da laboratorio, e citato sempre da Flandrin e Montanari nella loro opera. Uno infatti potrebbe utilizzare il processo attraverso cui si crea e si diffonde il folklore culinario, in qualche modo permettendo di “imbastire nuove tradizioni” anche all’interno dell’era dell’industria agroalimentare. Il libro redatto da Flandrin e Montanari termina affrontando proprio questo tema: “Se la Coca-Cola è praticamente la stessa ovunque, la sua percezione (o “status”) può cambiare. In Francia la Coca raramente viene bevuta durante la cena, soprattutto dalle generazioni più anziane, mentre la pratica è comune negli Stati Uniti indifferentemente dall’età o dal sesso. E se McDonalds è un posto economico e popolare per mangiare negli Stati Uniti, diventa un ristorante di lusso a Mosca e Pechino. […] Risulta chiaramente per cui come la “standardizzazione” degli atteggiamenti verso il cibo non abbiano ancora passato il punto di non ritorno. Se le modalità di consumo sono diventate sempre più simili, persistono tuttavia delle differenze sostanziali. […] Le tradizioni locali, risultato di un lungo e complesso processo storico, tutt’ora esercitano una forte influenza. Questa diversità è destinata a sopravvivere? Noi pensiamo di sì, anche perché il trend verso un atteggiamento più omogeneizzato tende a portare molte persone a reagire, sviluppando un forte attaccamento alla propria identità. […] Un ulteriore punto ha bisogno di essere tuttavia fissato, ed è bene esplicitarlo anche se può sembrare ovvio: le tradizioni non sono veramente fissate una volta per tutte al momento della loro nascita. Esse vengono create, delineate e definite nel tempo quando le culture interagiscono, si scontrano, si influenzano e assorbono qualcosa l’una dall’altra. […] Ogni cultura è ‘contaminata’ da altre culture; ogni ‘tradizione’ è figlia della storia, e la storia non è mai statica. […] La nostra generazione, come quelle che sono venute prima deve imparare come gestire la relazione tra il passato e il presente, la tradizione e il cambiamento. Farlo in una modalità ragionevole e equilibrata è un segno d’intelligenza.”
Per tirare le somme di questo ampio ragionamento, che ha cercato di coinvolgere i più fronti che tutt’oggi caratterizzano, nel mondo globalizzato, la percezione del cibo a seconda se se ne da una lettura di qualità, economica, politica, ambientale, identitaria, storica o simbolica, abbiamo visto come lo “spauracchio” dell’omogeneizzazione globale, stia in realtà innescando nuovi meccanismi, più o meno protezionistici, che tuttavia, se da un lato non fanno altro che riportare in auge tradizioni nazionali rivisitate e fortemente arricchite da altre, dall’altro si rischia in qualche modo di cristallizzare un processo di trasformazione che tuttavia ha bisogno di essere costantemente supportato e alimentato. Le recenti manovre economiche eccessivamente sfruttatrici e neo-liberiste hanno spesso condotto ad un abbassamento della percezione pubblica dell’utilità delle nuove scoperte scientifiche per porre rimedio ai sempre maggiori disastri ambientali, al crescente fabbisogno del Terzo Mondo, e alle incessanti manovre di “land grabbing” attuate dagli stati per la costante ricerca di nuove risorse e terreni da sfruttare. Sicuramente è necessaria in primo luogo una maggiore informazione pubblica riguardo i reali benefici delle nuove mode “biologiche” (anche se abbiamo visto che un cibo difficilmente sarà realmente ‘biologico’, dato che molte colture hanno subito notevoli trasformazioni nel corso dei secoli), denominazione che altro non sembra riproporre idillicamente, con un tocco di romanticismo, quel “ritorno alla terra” squisitamente arcadico, che più volte nella storia era tornato a denunciare gli eccessi dell’industria capitalistica, ma di fatto inattuabile. Al contrario è impossibile al giorno d’oggi non avvalersi delle nuove scoperte della biologia per far fronte con ragionevolezza, come suggeriscono Flandrin e Montanari, ai proponi che il fenomeno globale ci porta a fronteggiare quotidianamente. Un esempio di esperienza, forse considerabile un suggerimento per risolvere alcuni problemi legati proprio alla crisi qualità e dell’identità che abbiamo visto essere orami inscindibile, che mi ha fatto inoltre molto piacere scoprire sfogliando il web, è ricavata da “il Foglio”. La propongo in conclusione di questo elaborato e per cercare di dare una qualche “concretezza” alle precedenti riflessioni. Questo articolo tratta dell’esperienza lavorativa di Roberto Brazzale, imprenditore vicentino alla guida dell’azienda che produce il “Gran Moravia”. Come afferma l’articolo: “uno dei suoi dati di partenza è che, sul piano alimentare, l’Italia è strutturalmente deficitaria: costretta per forza di cose a importare in ragione di un rapporto tra popolazione e terreni agricoli che è assai più basso, per esempio, di quello della Spagna o della Francia. Se non si ricorresse al cibo prodotto altrove, non si potrebbe nutrire tutti. L’invito a ‘mangiare solo italiano’ è quindi un semplice slogan: e come ogni slogan vale quel che vale.”. Brazzale intervenendo nell’intervista propone per cui di “intercettare la gestione dei flussi di import di cui abbiamo vitale necessità, gestendoli in proprio anziché lasciandoli gestire da altri, in Italia e fuori, risalendo nella catena del prodotto fino a governare i processi produttivi delle materie prime fuori confine.” Insomma Brazzale sembra tradire il “protezionismo all’italiana” e piuttosto che competere sui mercati globali, richiede l’aiuto dell’Europa stessa per tutelare i propri marchi nazionali e massimizzare le vendite che “riescono ad estrarre dai loro ‘prodotti di qualità’. […] Realizzare in Repubblica Ceca il Gran Moravia conduce a cogliere in positivo due sfide: ‘Significa produrre con le nostre aziende e poi importare in Italia quello che altrimenti farebbero altri; e significa mettere a frutto il prestigio della nostra tradizione alimentare e reagire dinanzi all’Italian sounding non in termini difensivi, ma come leva di notorietà e viatico per le produzioni degli italiani.” Brazzale adotta inoltre un particolare punto di vista di produzione industriale molto affine al nostro ragionamento: “L’idea è che una vera conoscenza, un po’ alla volta, possa prendere il posto delle semplificazioni fumose di quanti parlano costantemente di ‘bio’ o ‘dop’ e poi non sanno specificare davvero cosa vi sia dietro queste formule alla moda. La battaglia culturale condotta da Brazzale per un’’economia agroindustriale’ più dinamica è stata spesso occasione di conflitto con i sindacati”, infatti Brazzale rimprovera l’Italia di non essere oggi un paese adatto per gli imprenditori, così come accusa inoltre anche l’Europa di continuare anch’essa a muoversi nella posizione opposta: “L’invenzione dell’euro poggiava su un progetto politico irragionevole, che implicava la costruzione di un uomo europeo omogeneo che, per fortuna, non esisterà mai. Invece che lasciare competere le realtà locali e anzi responsabilizzarle maggiormente attraverso la variabilità del cambio, lasciando a ognuna di esse il compito di far quadrare i propri conti, ci si dirige verso una sorta di Europa-stato che tutti tassa, tutti finanzia, tutto controlla. L’ennesimo errore fatale dell’ennesima ideologia partorita dagli europei.”
di Andrea Pentimone
FOTO: https://aldogiannuli.it/qualita-e-identita-nel-mondo-globalizzato/
Gesù Cristo transgender? L’ultimo delirio in ordine di apparizione
Fabrizio Marchi •
Secondo il rettore dell’Università di Cambridge ci sarebbero consistenti indizi in base ai quali è lecito supporre che Gesù Cristo fosse un transgender. La “tesi” è stata avanzata sulla base dell’interpretazione di alcuni dipinti e in particolare dalla famosa ferita sul torace di Gesù Cristo inflitta da un soldato romano che in realtà sarebbe un metaforico riferimento alla vagina. Di seguito l’articolo del quotidiano inglese “The Telegraph”:
Ora, al di là del fatto che per quanto mi riguarda l’orientamento sessuale di Gesù Cristo non ha nessuna rilevanza e non desta in me nessun interesse (potrebbe anche essere stato lgbtq ma non avrebbe per il sottoscritto nessuna importanza…), è evidente come il solo fatto che una simile questione venga sollevata, in questa fase storica, non sia casuale.
Siamo di fronte all’ennesimo delirio che va a sommarsi all’infinità di deliri che ogni giorno dal almeno una trentina d’anni a questa parte vengono propinati dall’universo “newliberal anglosaxon gender fluid e chi più ne ha più ne metta” che di fatto vuole imporre la sua agenda. Dopo di che non ci si deve scandalizzare se tanta gente obiettivamente esasperata da questo bombardamento senza soluzione di continuità H24 si sposti sempre più verso destra, perché è proprio questo stillicidio quotidiano politically correct che spinge tantissime persone, per reazione, verso posizioni conservatrici/tradizionaliste.
Penso, per la verità, che questa polarizzazione ideologica sia voluta e alimentata da ambo le parti. Ormai da tempo, infatti, “sinistra” e destra sono entrambe organiche allo stesso sistema capitalista, neoliberale e neoliberista di cui si guardano bene dal mettere in discussione le fondamenta. Tuttavia devono in qualche modo differenziarsi perché quello stesso sistema si fonda su questa (ormai falsa) dialettica. E non potendo farlo su questioni politiche strutturali lo fanno appunto su questioni culturali-ideologiche. Ed è così che è stato costruito un vero e proprio immaginario con delle nuove categorie che sono state fatte assimilare col tempo dalla pressoché quasi totalità della popolazione.
In ragione di ciò lo scontro non è più tra forze politiche portatrici di interessi di classe contrapposti – come era fino ad una quarantina di anni fa la dialettica fra Destra (borghesia) e Sinistra (classe operaia e ceti proletari) – ma fra “progressisti, liberali, libertari, femministi, genderisti ecc. “ da una parte e “tradizionalisti, conservatori, reazionari ecc. “ dall’altra.
In questo nuovo immaginario la contraddizione di classe (cioè la realtà vera…), con tutto ciò che ne consegue (quindi anche l’imperialismo, il neocolonialismo, le guerre imperialiste, lo sfruttamento e l’alienazione delle masse) è stata completamente rimossa e sostituita con la sovrastruttura ideologica di cui sopra, cioè “progressisti vs conservatori”. Un vero e proprio capolavoro, dobbiamo riconoscerlo, del sistema dominante che naturalmente ha interesse ad esasperare quanto più possibile questa polarizzazione che è ovviamente del tutto innocua per il sistema stesso, per il quale è del tutto indifferente se a governare siano i “progressisti” o i conservatori.
La tragedia è che la stragrande maggioranza delle persone – e in particolare i giovani e i giovanissimi, che sono i più fragili per ovvie ragioni non avendo esperienza e memoria storica – sono caduti in questa trappola ideologica.
Il lavoro da fare per disarticolare questo falso e artificioso paradigma sarà durissimo e in tutta sincerità ho anche difficoltà a trovare il giusto grimaldello.
Fonte foto: The Telegraph
FONTE: http://www.linterferenza.info/attpol/gesu-cristo-transgender-lultimo-delirio-ordine-apparizione/
BELPAESE DA SALVARE
Sterilità programmata
Salvatore A. Bravo •
Il nuovo femminismo organico al potere lotta notoriamente per i soli diritti individuali, ci dona quotidianamente “casi” che ci sono utili per comprendere la condizione storica attuale. In rete e non solo un discreto spazio è dato all’influencer padovana del fitness che ha scelto la sterilità programmata, in quanto nella sua vita non vi è e non vi sarà spazio per la maternità. Si è sottoposta all’operazione di salpingectomia con la quale ha scelto se stessa, il fitness e la libertà da ogni vincolo troppo stringente. Siamo dinanzi ad un nuovo diritto: il diritto alla sterilità pianificata non più come semplice progetto che in teoria può deviare dal suo corso, ma il bisturi taglia in modo definitivo la possibilità di vivere la normalità di una gravidanza. La categoria della nascita è rifiutata a priori.
La giovane ha dichiarato che, qualora, ma è improbabile, decidesse di avere un figlio, vi è sempre l’opzione fecondazione in vitro. Assistiamo ad una mutazione antropologica che trova il consenso del tessuto mediatico e del nuovo femminismo.
L’influencer, come tanti, ritiene che l’esistenza sia da vivere e da progettare secondo i propri desideri, si esclude dall’orizzonte la famiglia con figli e l’impegno del dono. L’esistenza va gustata e vissuta senza impedimenti.
Si tratta di una regressione sociale ed etica generalizzata, la libertà non è intesa come dono e relazione, ma come esperienza di abbattimento di ogni limite ai propri desideri. La maternità e il dono sono giudicati una patologia, poiché un figlio all’interno di una configurazione famigliare esige amore gratuito e rinuncia. Tali valori nel contesto attuale sono avversati, sono giudicati residui di un passato in cui si era ai ceppi.
La decadenza dell’occidente, non importa se si rischia di passare per moralista, è nel culto dell’atomistica delle solitudini curvato all’interno del solo narcisismo primario. La libertà di godere e di affermare se stessi senza vincoli etici e relazionali non può che portare l’intero assetto sociale alla sterilità demografica e concettuale. Se l’esistenza è degna di essere vissuta solo se la si consuma nella soddisfazione del proprio ego, ogni creatività capace di elevarsi dalle contingenze immediate verso il futuro non potrà che arretrare fino a scomparire. Il vuoto non potrà che essere riempito dall’ipertrofia dei soli diritti individuali privi di ogni fondamento razionale ed oggettivo.
L’ordine del discorso capitalistico sta allevando estremismi che non possono che condurre all’estinzione della nostra civiltà. Il sistema già strutturato sulla solitudine e sul narcisismo competitivo inevitabilmente conduce a comportamenti sempre più individualistici, si è incoraggiati da tale postura dal vuoto politico, sociale e metafisico. Ci si percepisce come singoli, in quanto il femminismo organico al capitale ha favorito una visione del mondo caratterizzata dalla cultura dell’astratto. Ogni singolarità coltiva la distopica illusione di essere soggetto che in assoluta autonomia pone il suo mondo ignorando i legami razionali e affettivi orizzontali e verticali. Il nuovo femminismo è il sintomo della rivoluzione antropologica in corso, è nel contempo sintomo e levatrice di un mondo a misura del capitale. La violenza ha tante forme, è polimorfica, fin quando ci si concentrerà solo sulle formule del politicamente corretto e si ignoreranno le nuove forme di violenza che il sistema sta allevando continueremo ad essere preda dell’irrazionale distruttivo del capitalismo.
Fonte foto: Corriere della Sera (da Google)
FONTE: http://www.linterferenza.info/attpol/sterilita-programmata/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Stoltenberg supera la linea rossa della Nato (anche a nome dell’Italia)
Commentando le dichiarazioni di Stoltenberg dopo l’incontro con il ministro degli esteri Kuleba, Dmitrij Medvedev, Vice capo del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa, ha dichiarato: “Il segretario generale della NATO ha articolato che l’Ucraina vincerà come stato sovrano indipendente. Ma non ha detto nulla sulla sua integrità territoriale.
Cioè, dovrebbe vincere, ma a quanto pare, nei nuovi confini fortemente ridotti della sua indipendenza, e “tutto questo paese sovrano” si siederà al tavolo dei negoziati. E’ già un progresso.
Invece la regressione costante è che gli arroganti nuovi arrivati della NATO si dimenticano sempre facilmente i colpi di stato commessi dalla loro organizzazione nei paesi sovrani di tutto il mondo, i capi di stato legittimamente eletti deposti e le decine di migliaia di civili assassinati – anziani, donne , figli. Si dimenticano anche della fornitura di armi a ogni marmaglia, fanatici zoologici e regimi estremisti. Dimenticano altresì, l’impunità di cui godono i leader dell’Alleanza Nord Atlantica per le atrocità commesse.
Dal momento della sua formazione, la NATO ha ripetutamente dimostrato la sua essenza corporativa strettamente chiusa, agendo nell’interesse di una manciata di paesi anglosassoni e dei loro scagnozzi. Allo stesso tempo però non più del 12% della popolazione mondiale vive nei paesi della NATO.
Il mondo civilizzato non ha bisogno di questa organizzazione. La NATO eve pentirsi davanti all’umanità ed essere sciolta come formazione criminale.
Ma nemmeno il Pontefice Massimo potrà assolverli dai loro peccati.
P.S.
Se, come ha accennato Stoltenberg, la Nato fornirà ai fanatici di Kiev i complessi missilistici “Patriot” insieme al personale della Nato, diventeranno immediatamente un obiettivo legittimo delle nostre forze armate. Spero che gli impotenti atlantici lo capiscano”. Questa la reazione di Dmitrij Medvedev, vice capo del Consiglio di Sicurezza della Russia a ciò che è avvenuto nella Nato ieri
Il segretario generale Stoltenberg aveva fatto diverse dichiarazioni: che nella Nato stanno discutendo se fornire o no all’Ucraina i sistemi di missili terra aria statunitensi “Patriot”, che la Nato ritiene che l’unica via verso la pace sia mandare in continuazione nuove armi a Kiev. Infine la Nato comprende il desiderio di Kiev di entrare a far parte dell’Alleanza Atlantica, ma adesso la priorità principale è il sostegno militare all’Ucraina. Tuttavia, Stoltenberg ha promesso che la Nato integrerà l’Ucraina “non appena finisce il conflitto con la Russia. Putin non può rifiutare agli Stati sovrani di prendere le loro sovrane decisioni che non rappresentano una minaccia per la Russia”.
Il Pentagono da parte sua ha dichiarato che gli Stati Uniti non sono ancora pronti a fornire all’Ucraina gli aerei da combattimento, perché non la considerano una priorità immediata.
La dichiarazione di Dmitrij Medvedev è senza dubbio eccezionale per la terminologia usata nei riguardi della Nato. I giornali italiani ne renderanno la traduzione fedele e completa, oppure, come d’abitudine, ne daranno solo un pezzetto, tagliando via le frasi più piccanti ma vere?
La strana rivelazione della Cia: vuole arruolare cittadini russi
Dall’inizio della guerra in Ucraina, la Cia (Central Intelligence Agency) ha assunto un ruolo pubblico sempre più importante. È una tendenza – va detto – che ha caratterizzato tutti i servizi di intelligence del blocco occidentale. Quelli che un tempo erano i risultati di un lavoro interno ai corridoi delle agenzie di spionaggio e controspionaggio oggi viene messo alla luce del sole, fatto trapelare volutamente tramite i media, pubblicato direttamente sui social network addirittura dagli stessi canali ufficiali di intelligence e ministeri della Difesa. Una comunicazione certamente molto diversa da quella a cui eravamo abituati fino a pochi mesi fa, ma che conferma come la narrazione di un conflitto sia adesso sempre più pervasiva e complessa, e in cui quelli che un tempo erano esclusivamente “servizi segreti” appaiono sempre più desiderosi di comunicare e meno intenzionati a lavorare nell’ombra. Almeno per perorare la propria causa.
Non deve quindi stupire che la Cia, vera e propria potenza dell’intelligence inserita nel complesso meccanismo dei servizi statunitensi, abbia deciso di intraprendere questa strada. E non è altrettanto sorprendente quello che è avvenuto negli scorsi giorni al Centro Hayden della George Mason University, dove il vice direttore della Cia per le Operazioni, David Marlowe, ha detto due cose particolarmente importanti. La prima, che “Putin era nella sua condizione migliore all’inizio dell’invasione: allora era in grado di ricattare l’Ucraina, influenzare la Nato e presentare la Russia come una superpotenza” e che a causa dell’invasione ha “distrutto tutto questo”. Il secondo elemento, più di matrice interna, è che Marlowe, senza troppi giri di parole, ha detto apertamente che la Cia si sta “guardando intorno alla ricerca di cittadini russi che sono scontenti della situazione, e siamo pronti a fare affari”.
La parole di Marlowe, che si trovava all’evento insieme alla vice direttrice della Cia per le Analisi, Linda Weissgold, sono state riportate dal Wall Street Journal e sembrano rivelare non solo quella tendenza delle intelligence a mostrare al pubblico le proprie analisi, ma anche una volontà quasi sfacciata di sfidare apertamente i servizi russi. Cercare di reclutare cittadini della Federazione Russa disamorati del proprio Paese, scontenti per la conduzione della guerra e profondamente delusi nei confronti del presidente Putin sarebbe un modus operandi assolutamente credibile e naturale per i servizi statunitensi. Del resto è una modalità di reclutamento che viene attuata pressoché da tutte le agenzie di spionaggio e di controspionaggio. Diverto però è dirlo e lasciare che questo venga pubblicato da uno dei più diffusi e autorevoli quotidiani Usa. Specialmente se questo avviene per bocca di un uomo come Marlowe che raramente lascia dichiarazioni sul proprio operato. Questo gioco Mosca lo conosce benissimo, dal momento che è noto che specie negli ultimi anni i servizi occidentali hanno colpito più volte la rete di spie al soldo del Cremlino, anche di doppiogiochisti. Tuttavia, un conto è fare il lavoro sporco, un conto è ammetterlo e addirittura farne vanto. Cosa che la Cia ha stranamente fatto per la prima volta.
Qualcuno potrebbe pensare a una sorta di gesto di sfida, quasi da “spacconi”, da parte della Cia. Difficile però dare una risposta univoca, dal momento che sembra difficile credere che la potente agenzia americana, guidata da quel William Burns che ha appena incontrato ad Ankara il capo dei servizi russi, si lasci trascinare dalle emozioni. Evidentemente il segnale è quello di provocare un’ulteriore irritazione da parte russa, così come anche per mantenere l’immagine di un’intelligence capace di arrivare ovunque. Già prima della guerra, del resto, gli Usa hanno dimostrato di avere ottimi agganci anche all’interno dello stesso Cremlino. Washington sapeva delle manovre prima della guerra, aveva avvertito della possibile invasione e ha anche fornito un supporto fondamentale alle forze ucraine per difendersi e contrattaccare. Far vedere di poter arrivare ovunque è fondamentale. E in questa nuova guerra narrativa perorata anche dalle intelligence, lanciare il guanto di sfida sull’arruolamento di spie potrebbe apparire come un ulteriore modo per mostrarsi più forti. Oppure potrebbe far capire di poter arrivare molto in profondità nell’ambiente russo al punto da attirare persone deluse in grado di dare un colpo definitivo a Putin, quel leader che, come dice la Cia, ha “distrutto tutto”.
Mosca accusa Washington di continuare ricerche per la guerra batteriologica
- Francesco Ciotti
Kirillov: “Department of Defense Threat Reduction Administration atto a fornire supporto militare alle truppe USA”. 200 gli incidenti nei biolaboratori americani
Dalla Russia giungono nuove indiscrezioni sul crescente coinvolgimento statunitense nella creazione di pericolose armi biologiche pronte a traghettare il conflitto geopolitico tra le superpotenze su un piano ancora più apocalittico e distruttivo. Il capo delle forze di difesa dalle radiazioni, chimiche e biologiche delle forze armate della Federazione russa (RCBZ), Igor Kirillov, in un briefing prima della Conferenza degli Stati parti della Convenzione sulla proibizione delle armi biologiche e tossiniche, ha affermato che l’ex consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti John Bolton è coautore di un documento sulla necessità di creare armi biologiche per la “leadership mondiale” degli Stati Uniti.
Il 18 ottobre, la Casa Bianca aveva pubblicato una nuova strategia per contrastare le minacce biologiche, che prevede finanziamenti per un importo di 88 miliardi di dollari, di cui 17 miliardi solo nel primo anno. Secondo il documento, la gestione dei rischi biologici è una priorità fondamentale per gli Stati Uniti e la risposta al loro verificarsi “sarà dura e immediata”. Nel documento non si fa segreto del fatto che la ricerca coinvolga strutture che si trovano al di fuori del territorio statunitense.
“Le misure per contrastare le minacce biologiche dovrebbero essere attuate indipendentemente dal fatto che si presentino sul territorio degli Stati Uniti o all’estero “, è scritto.
Una delle direzioni chiave della Strategia è il miglioramento dei metodi di protezione biologica individuale e collettiva del personale delle forze armate statunitensi nei vari teatri delle operazioni militari. Il compito è dunque continuare lo studio dei patogeni di malattie infettive particolarmente pericolose endemiche di aree specifiche.
Un altro documento che espone il piano strategico del Department of Defense Threat Reduction Administration (DTRA) fino al 2027, riconosce esplicitamente il ruolo di questa agenzia nel supporto alle forze armate statunitensi, evocando dunque l’utilizzo delle ricerche poste in essere, a scopi militari. Nel programma viene effettivamente riportato che uno degli obiettivi dell’agenzia consiste nel migliorare “la capacità delle forze congiunte, degli alleati e dei partner di competere e, se necessario, vincere contro potenziali avversari armati di armi di distruzione di massa”.
Un dato non certo di poco conto, se a questo aggiungiamo il fatto che, come riportato sul sito dell’ambasciata statunitense in Ucraina, il paese ha ricevuto quattro laboratori mobili dal DTRA con l’obiettivo di rafforzare il sistema di sorveglianza epidemiologica nelle Forze Armate dell’Ucraina.
“Questo non è solo fornire protezione, ma anche supporto al combattimento per le unità militari. In conformità con la strategia, uno dei compiti prioritari di DITRA è garantire la superiorità militare delle forze armate statunitensi sul nemico“, ha dichiarato nel merito Kirillov, che ha poi specificato come il controllo dei patogeni studiati in territorio ucraino siano proprietà di Washington:
“I documenti pubblicati confermano ancora una volta la cooperazione tra Kiev e Washington, nonché i tentativi di stabilire il controllo sui patogeni nei laboratori ucraini attraverso l’introduzione del sistema PAKS, i cui elementi sono stati trasferiti in Ucraina con l’etichetta di “proprietà del governo degli Stati Uniti.” Ciò corrisponde ai materiali a nostra disposizione: la scheda di registrazione del progetto e la documentazione contrattuale approvata dal Ministero dell’Economia dell’Ucraina “, ha osservato il capo della RGBZ.
Nell’agosto 2005 il ministero della Sanità ucraino e il Pentagono avevano firmato un accordo sulla “cooperazione nella prevenzione della proliferazione di tecnologie, agenti patogeni e conoscenze “potenzialmente in grado di essere utilizzati “per sviluppare armi biologiche”. Il documento prevedeva la raccolta e lo stoccaggio di tutti i patogeni pericolosi sul territorio ucraino in laboratori finanziati da Washington, e obbligava, inoltre, su richiesta statunitense, a trasferire copie di ceppi pericolosi negli Stati Uniti per ulteriori ricerche.
Allo stesso tempo, Mosca ha ricevuto documenti che dimostravano come Kiev in passato stava cercando di porre fine alla cooperazione con il DTRA.
La creazione del ceppo Covid con mortalità all’80%
La pericolosità degli studi sulle minacce biologiche è risultata evidente poche settimane fa, quando con sconcerto unanime dell’opinione pubblica, è stata annunciata presso la Boston University, la creazione un patogeno artificiale dell’infezione da coronavirus basato sul ceppo omicron e sulla variante originale “Wuhan” che ha causato la morte dell’80% degli animali campione utilizzati durante l’esperimento. Di fatto, una potenziale arma di sterminio.
“Sebbene il Dipartimento della Salute degli Stati Uniti abbia deciso di condurre un’indagine sulle attività della dirigenza universitaria, l’esperimento di Boston suggerisce che negli Stati Uniti non esiste un sistema di controllo statale della ricerca e sviluppo nel campo dell’ingegneria genetica e della biologia sintetica. Nonostante gli elevati rischi biologici, lo studio è stato condotto con fondi del governo degli Stati Uniti senza l’appropriata approvazione del regolatore nazionale per la biosicurezza”, scrive Readovka.
Gli incidenti e le violazioni dei requisiti di biosicurezza nei laboratori
Il Ministero della Difesa russo ha inoltre segnalato le diverse violazioni dei requisiti di biosicurezza nei laboratori americani. In conformità con la legge federale statunitense sulla libertà di informazione, all’inizio di novembre, la pubblicazione americana Intercept ha condotto un’analisi dei documenti del National Institutes of Health riguardanti le violazioni della sicurezza nei laboratori biologici, esaminando oltre 5.500 pagine di rapporti sugli incidenti negli ultimi 18 anni.
Si è concluso che gli studi condotti in laboratori con un elevato grado di protezione (BSL-3 e BSL-4) presso le università di Washington, Minnesota, Illinois hanno portato a infezioni intralaboratorio e creato un rischio di ulteriore diffusione di agenti patogeni geneticamente modificati delle febbri virali, sindrome respiratoria acuta grave, influenza aviaria altamente patogena e una serie di altre infezioni. In totale, sono stati registrati più di duecento di questi incidenti.
“Vorrei attirare la vostra attenzione sul fatto che negli Stati Uniti il sistema di monitoraggio delle violazioni della sicurezza nei laboratori biologici è decentralizzato e copre solo le strutture che ricevono finanziamenti dal bilancio federale. Non c’è praticamente alcun controllo sui laboratori privati, anche se conducono ricerche con agenti patogeni particolarmente pericolosi. La mancanza di standard uniformi per le attività di tali strutture crea il rischio di condurre ricerche che aggirano il Biological Weapons Convention (BTWC) e una grave violazione dei requisiti di sicurezza“, ha affermato Kirillov. L’elevato rischio di incidenti nei laboratori biologici americani è uno dei motivi del loro ritiro dalla giurisdizione nazionale e del trasferimento nel territorio di paesi terzi, tra cui l’Ucraina e altri stati. Questo spiega il peggioramento della situazione epidemica nelle loro località, l’insorgere di malattie e dei loro portatori insoliti per queste regioni, ha aggiunto il rappresentante del dipartimento.
Le società coinvolte nei virus letali e l’ombra di Hunter Biden
Quella dei virus letali è un’operazione da 2,1 miliardi di dollari che si sviluppa in almeno 30 laboratori di massima sicurezza con il patrocinio del Pentagono, ma anche di gruppi come Metabiota Inc corporation, South and Research Institute e Black & Veatch; , tre società che gestiscono progetti federali di ricerca biologica per le agenzie governative statunitensi. La società Metabiota, in particolare è un appaltatore del Dipartimento della Difesa, specializzata nella ricerca sulle malattie che causano pandemie
I finanziamenti americani hanno coinciso con diversi focolai di gravi malattie infettive proprio in Ucraina. Nel gennaio 2016 nel giro di due giorni almeno 20 soldati ucraini sono morti a causa di un virus simile influenzale a Karkov vicino ad uno dei Bío laboratori gestiti dagli Stati Uniti; più di 200 persone sono stati ricoverati in ospedale nello stesso frangente temporale. A marzo 2016 sono stati registrati inoltre 364 casi mortali in tutta l’Ucraina la causa dell’81% dei decessi fu l’influenza suina AH1N1 la stessa che ha innescato una pandemia nel 2009. Nel 2011 l’Ucraina ha assistito ad un’epidemia di colera con 33 persone ricoverate in ospedale. La stessa malattia nel 2014 è stata diagnosticata più di 800 persone in tutto il paese.
Recentemente il Daily Mail aveva alcune email dalle quali risultava che il figlio del presidente statunitense Hunter Biden, ed i suoi colleghi avevano investito 500 mila dollari in Metabiota, attraverso la loro società Rosemont Seneca Technology Partners, raccogliendo inoltre diversi milioni di dollari da altri giganti degli investimenti, tra cui Goldman Sachs. Hunter Biden aveva presentato Metabiota alla compagnia ucraina del gas Burisma, quando era membro del suo consiglio di amministrazione, per un progetto scientifico.
FONTE: https://www.antimafiaduemila.com/home/terzo-millennio/231-guerre/92695-mosca-accusa-washington-di-continuare-ricerche-per-la-guerra-batteriologica.html
La “testa d’ariete” della Nato nella sfida contro la Cina
“Quello di cui abbiamo discusso è finito sui giornali. Non è appropriato. Non è stata condotta così la nostra conversazione, giusto?”. “In Canada crediamo in un dialogo libero, aperto e franco, cosa che continueremo a portare avanti. Continuerò a cercare di lavorare in modo costruttivo, ma ci saranno punti su cui non saremo d’accordo”.
G20 di Bali, 19 novembre. Tra Xi Jinping e Justin Trudeau va in scena un faccia a faccia ripreso dalle telecamere. Il presidente cinese si lamenta con il primo ministro canadese per la mancanza di riservatezza sul contenuto dei loro colloqui bilaterali avvenuti nelle ore precedenti. Xi sollecita quindi Trudeau a portare avanti interazioni basate sul “rispetto reciproco” e di creare “le giuste condizioni” prima di lavorare in modo costruttivo. Seguono quindi gelidi saluti e una stretta di mano altrettanto distaccata.
Il piccato botta e risposta Xi-Trudeau non è nato dal nulla. E, soprattutto, non era è stato neppure causato soltanto dal fatto che i funzionari canadesi avessero condiviso con i media i dettagli di un precedente incontro tra i due capi di Stato. Le scintille indonesiane rispecchiano, semmai, le complicate relazioni tra Cina e Canada, che affondano le radici in anni di tensioni via via crescenti.
Le scintille tra Canada e Cina
Il Canada, membro Nato, dal punto di vista geopolitico può essere considerato una sorta di “testa d’ariete” statunitense per contenere potenze al di là del Pacifico. Come la Cina, appunto. Ed è proprio con Pechino che Ottawa deve fare i conti con una recente relazione diplomatica spinosa, aggravata da arresti e accuse reciproche.
La tensione tra i due Paesi è rimasta alle stelle dal dicembre del 2018. In quel periodo il Canada arrestò, su richiesta di Washington, all’aeroporto di Vancouver, Meng Wanzhou, a capo della finanza di Huawei, accusata di aver violato le sanzioni americane all’Iran. La reazione cinese non si fece attendere. Pechino reagì poco dopo con la detenzione, per spionaggio, di due canadesi: l’ex diplomatico Michael Kovrig e l’imprenditore Michael Spavor. La vicenda si è poi conclusa nel settembre 2021, con la liberazione contestuale dei tre.
Neanche il tempo di archiviare il caso che sono emerse altre tensioni. A novembre il ministro dell’Industria canadese, François-Philippe Champagne, ha ordinato a tre società cinesi di dismettere i loro interessi in altrettante compagnie produttrici di litio per motivi di sicurezza nazionale. Sempre a inizio novembre, la polizia ha annunciato che stava indagando su una rete di “stazioni di polizia cinesi illegali” a Toronto.
In mezzo c’è il grande tema delle presunte ingerenze cinesi negli affari canadesi, più nello specifico nelle elezioni federali del 2019 e al più recente arresto di un dipendente della compagnia elettrica statale Hydro Quebec, accusato di essere una spia cinese.
Un attore chiave per Washington
Prima di Bali, Trudeau e Xi si sono incontrati l’ultima volta nel giugno 2019, a margine del G20 di Osaka. In Giappone i due si ignorarono nel mezzo della crisi della vicenda Meng, malgrado al tavolo dei lavori fossero seduti l’uno accanto all’altro.
La risoluzione “amichevole” del caso nel settembre 2021 sembrava potesse essere il preludio del ritorno alla calma nei rapporti tra Pechino e Ottawa. Da qualche mese, in concomitanza con i resoconti di alcuni media secondo cui la Cina avrebbe finanziato di nascosto 11 candidati alle elezioni federali canadesi del 2019, c’è stato un cambiamento nel tono del Canada. E la situazione è precipitata nuovamente.
Guy Saint-Jacques, che è stato ambasciatore del Canada in Cina dal 2012 al 2016, ha dichiarato a Le Monde che lo scopo di Xi, nel faccia a faccia di Bali, era quello di far perdere pubblicamente la faccia a Trudeau in patria e in tutto il mondo. Resta adesso da capire se le scintille sino-canadesi avranno implicazioni economiche o diplomatiche. Anche perché il Canada dovrebbe presto rilasciare la sua strategia indo-pacifica che, in conformità con gli Stati Uniti e gli altri partner di Washington, conterrà misure che sicuramente faranno arrabbiare Pechino.
FONTE: https://insideover.ilgiornale.it/politica/la-testa-dariete-della-nato-nella-sfida-contro-la-cina.html
CULTURA
LIBERALISMO E ANOMIA. DISINTOSSICARSI DAL RELATIVISMO
Questo post di Bazaar, nelle circostanze correnti, va considerato (come egli stesso suggerisce), un’occasione per “staccare un po’…”. In apparenza può risultare impegnativo: ma, almeno per il lettore “seriale” del blog, molto probabilmente non sarà così.
Ve ne fornisco un abstract utilizzando quello fornito dallo stesso Bazaar:
“In realtà, dietro alla riflessione che allego, c’è il tentativo di creare consapevolezza sulla necessità di fondare fenomenologicamente le scienze sociali… anche solo come processo di “disintossicazione cognitiva“.
Quindi cerco di dare qualche “stimolo enciclopedico” per capire il senso (e l’importanza) dell’epistemologia nel formare coscienza critica.
Gli assunti e la tesi sono semplici:
1- la fondazione delle scienze sociali è legata “ad un atteggiamento etico” e ad una Weltanschauung. (la Costituzione è in questo senso chiarificatrice).
2- per via riduzionistica possiamo individuare due grandi “atteggiamenti etici” e due grandi “paradigmi”: quello “naturalista” (che porta all’alienazione e alla tecnocrazia) e quello “storicista” (che porta al Politico della tradizione umanitarista)
3- il paradigma nelle scienze svolge quello che nel giornalismo è il “framework”
4- I due grandi atteggiamenti morali sono:
(I) “tutti gli uomini sono uguali nella sostanza” quindi il classismo è una stortura inumana (la vita umana non ha prezzo ed è inalienabile)
(II) “Tutti gli uomini sono uguali nella forma ma nella sostanza sono diversi”: queste persone sono diverse per “natura”, quindi l’ordine sociale deve “conservare” la sua essenza “naturale” (a qualsiasi costo)
5 – poiché i due grandi paradigmi difendono quelli che sono anche interessi materiali in dialettica, gli obiettivi per cui questi sono strumentali sono opposti e, quindi, le stesse proposizioni logiche fondamentali sono generalmente invertite: queste creano continuamente “relativismo” a tutti i livelli del pensiero umano.
6 – questo “relativismo” è un fatto sociale che porta al nichilismo e, in ultimo, come ci portano ad indurre sociologici moderatamente conservatori, porta al suicidio e all’annichilimento
7 – Questa assenza di una precisa “normazione” che regola l’intersoggettività a tutti i livelli, si manifesta come dissonanza cognitiva (e disturbi psicologici di varia natura): si propone che l’agente primo di questo disturbo che diventa un fatto sociale sta proprio nel “paradigma”, “nel framework” che è padre di qualsiasi “precomprensione” e distorsione cognitiva dell’attualità (e del mondo della vita in genere, creando le premesse per qualsiasi descrizione del mondo)
8 – in pratica questa “anomia” porta all’incomunicabilità tra individui atomizzati, irrelati e non rapportabili a causa della mancanza di un vero linguaggio comune: la solitudine esistenziale si manifesta come fatto antropologico e strutturale. Ossia una malattia dell’umanità stessa che trova nella “natura” la sua “alienazione” e, in definitiva, la morte”.
Liberalismo ed anomia: riflessioni intorno al suicidio.
«Il presupposto di razionalità ha in materia economica un preciso significato.
Secondo la teoria neoclassica, in particolare, un agente è razionale se, dopo aver considerato tutte le informazioni a sua disposizione, agisce in modo tale da massimizzare la propria funzione obiettivo.
Si tratta di una razionalità di tipo strumentale: l’individuo definisce l’obiettivo da raggiungere e opera le proprie scelte per ottenerlo senza trascurare di utilizzare tutte le informazioni e le risorse disponibili.» [De hominibus oeconomicis…]
«Ma cosa era del sole? Quale giorno portava sopra i latrati del buio? Ella ne conosceva le dimensioni e l’intrinseco, la distanza dalla terra, dai rimanenti pianeti tutti: e il loro andare e rivolvere; molte cose aveva imparato e insegnato: e i matemi e le quadrature di Keplero che perseguono nella vacuità degli spazî senza senso[1] l’ellisse del nostro disperato dolore »
« Ebbene sì.
Sono colpevole.
Non assomiglio per nulla all’agente razionale. »
« Sono colpevole perché non sono efficiente.
Sono colpevole perché ho sprecato le mie opportunità.
Sono un debole. Un perdente. Un fallito »
FENOMENOLOGIA DEL SUICIDIO COME FATTO SOCIALE
« […] la teoria diviene una forza materiale non appena si impadronisce delle masse », Karl Marx, “Per la critica della filosofia del diritto di Hegel”
1 – Uno scarto esistenziale
Secondo il fenomenologo marxista Cesare Luporini, la base coscienziale del socialismo – inteso nel senso proprio di “pensiero volto alla realizzazione sostanziale della democrazia” – è individuabile in uno «scarto esistenziale», ossia in un «non completo identificarsi dell’individuo sociale nel ruolo o nella funzione sociale che lo definisce, gli imprime il suo carattere, ma unilateralmente lo limita», «potenzialmente acuto in quanto vissuto dagli oppressi e dagli sfruttati, ma che si riflette o retroagisce sui dominanti e sul loro produrre ideologia». Ovvero, «o si raccoglie in un qualche sforzo collettivo di ribellione» o «si disperde individualisticamente»
La mancanza di un qualsiasi partito di massa o di un’organizzazione strutturata che abbia una missione politica o sindacale di carattere socialista, e la pachidermica stazza, finanziaria e sociale, dell’industria dell’evasione e dell’intrattenimento che propina globalmente la sua cucina sedativa ai moderni lotofagi (come li chiamava Adorno) polverizza metodologicamente questo disagio, fatto di solitudine, inadeguatezza ed insicurezza.
Il liberale individuo astratto, l’agente razionale che microfonda gran parte del paradigma economico egemone, è tornato a sostituire la concezione umanistica propria del materialismo socialista, che identifica la concreta persona umana come centro di rapporti sociali.
E il rapporto sociale fondamentale, per motivi materiali e spirituali legati indissolubilmente all’antropologia stessa, è quello che si sviluppa nella forma del lavoro.
« Tutte quelle pellicole hollywoodiane… quelle promesse… i soldi, il successo, una casa spaziosa ammobiliata con raffinatezza borghese… una bella moglie… i bambini felici che corrono in giardino… le vacanze da sogno… la macchina, la carriera… il prestigio.
Exclusive
…
L’escluso sono io: comincio ad essere brizzolato e, da sempre, non ho una casa, non ho soldi per poter neanche portar a bere un aperitivo una donna… non ho la macchina… ho sempre lavorato a tempo determinato e non mi sono fatto una professione… i lavori più umili sono sempre più occupati da immigrati… ho recentemente provato a fare il lavapiatti, ma bengalesi per 25 euro al giorno soddisfavano ampiamente la domanda dei ristoratori… non posso avere una famiglia… avere una prole.
Mi è stata tolta pure la dignità di essere chiamato proletario.
Ora mi umiliano invitandomi a mangiar insetti e cibo scaduto…
Non mi sento di parlarne con nessuno. Mi vergogno. Sono solo »
2 – Definizione di anomia e alcuni spunti di riflessione
Il termine (etimologicamente “mancanza di norme”) « è stato introdotto nel linguaggio sociologico dal funzionalista É. Durkheim, il quale, nell’opera La division du travail social (1893), definì anomiche quelle società fondate sulla divisione del lavoro in cui non si dia solidarietà sociale.
Per Durkheim una situazione di anomia è del tutto abnorme, potendosi produrre solo in periodi di grave crisi, ovvero di boom economico («crises heureuses»), durante i quali la rapidità del mutamento sociale non consente alle norme societarie di tenere il passo con le molteplici sollecitazioni e istanze emergenti nel sistema sociale, che lascia così senza direzione normativa i propri componenti o buona parte di essi ».[2]
In pratica, la mancata integrazione o l’impossibilità di dare un senso al proprio lavoro parcellizzato nell’ineffabile logica dei processi produttivi, lasciano l’individuo senza quei riferimenti morali della società, atomizzata ed incapace di indirizzare gli individui solidaristicamente e predisporne un atteggiamento volto all’inclusività, con la conseguenza di portare i lavoratori a seguire le proprie pulsioni senza freni inibitori: aumentano così devianza, agitazioni sociali, infelicità e stress.
Tutto ciò diventa estremo nel caso, ad esempio, di crisi economica, dove, secondo questa analisi dalla prospettiva funzionalista, l’inerzia ad adattarsi delle istituzioni non riesce a produrre un adeguato sistema valoriale che aiuti l’individuo ad adattarsi alla situazione sopraggiunta, tenendendo conto che – secondo questa prospettiva – non sono le istituzioni che devono fare in modo di adeguare la struttura sociale al lavoratore, ma è l’individuo che deve essere indirizzato affinché si adatti alla struttura sociale.[3]
Quanto appena descritto rimane comunque una situazione generalizzabile a qualsiasi grande cambiamento, durante il quale, anche in epoca o situazione di abbondanza, quest’abbruttimento tende a manifestarsi: «Più uno ha, più uno vuole, poiché le soddisfazioni ricevute semplicemente stimolano invece di soddisfare i bisogni» (Durkheim [1897] 1951, 248)
«Quando non c’è altro scopo se non superare costantemente il punto in cui si è arrivati, quanto è doloroso essere respinti! […] Poiché l’immaginazione è affamata di novità, e non governata, brancola a casaccio»(257).
«I desideri illimitati sono insaziabili per definizione e l’insaziabilità è giustamente considerata un segno di morbosità. Essendo illimitati, costantemente e infinitamente superano i mezzi sotto loro controllo; non possono essere estinti. La sete inestinguibile e costantemente rinnovata, tortura»(247).
«Nella misura in cui l’individuo è lasciato a se stesso e liberato da ogni costrizione sociale, è libero anche da tutti i vincoli morali»
L’anomia porterebbe alti tassi di comportamento egocentrico, di violazione delle norme e conseguente delegittimazione e sfiducia nei confronti dell’autorità. Secondo Durkheim, i desideri e gli interessi personali degli esseri umani possono essere tenuti sotto controllo solo da forze che hanno origine al di fuori dell’individuo.[4]
2.1 Prime riflessioni
Il significato di una condizione anomica è il medesimo per qualsiasi classe sociale?
Il rampollo di buona famiglia, che inizia la sua giovanissima carriera in qualche società di consulenza anglosassone in cui vige l’egomania metodologica, è sottoposto al medesimo smarrimento del precario, del sottoccupato o del disoccupato?
(La risposta è dentro ognuno di noi ed è probabilmente ovvia: meno a moralisti o a buddisti che producono saggezze del tipo « i sentimenti che vive il barbone scalzo, nel vedere il vicino con un paio di scarpe consunte, provocano il medesimo malessere che vive il finanziere che attracca in un porto di fianco ad uno yacht più bello e grande del suo » …ecc…ecc… e via, con microfondazioni di rivoluzioni interiori e amenità varie)
Ora: dato poi il riferimento a queste necessitate “forze esterne” che dovrebbero raddrizzare, con la forza o meno, il comportamento considerato sregolato e deviante, la prospettiva paternalistica e, di conseguenza, intrinsecamente classista, emerge con tutte le sue potenziali conseguenze: la risposta a questo male sociale sarà tendenzialmente di carattere autoritario e punitivo.[5] Eventualmente con l’aggravante di un appesantimento di pubblica condanna morale, magari sospinta dalla motivazione per cui l’autorità intenderebbe colmare questa carenza di guida morale; guida morale a cui la società moderna, alle prese coi suoi ritmi frenetici, non riuscirebbe a rimediare.
Moralismo, colpevolizzazione e repressione possono diventare importanti strumenti di controllo sociale, di fatto funzionali al mantenimento dello status quo.
Questa è effettivamente stata prassi storica dello Stato liberale: quell’ordine sociale che è tornato prepotentemente con l’europeismo ed il globalismo finanziario e che, storicamente, ha condotto ai regimi fascisti.
Ciò può aiutare, quindi, ad intuire da quale paradigma di pensiero possa aver trovato supporto quell’oppressione fisica e morale che, tramite istituzioni e organizzazioni, è stata esercitata con violenza nei regimi totalitari.
(Non tendete con naturalezza alla funzione a cui siete stati predestinati? Lo Stato minimo, ossia lo Stato apparato, ci penserà lui a mettervi in riga, a rimettervi a posto: con tanto di omelia clericale, religiosa o secolare)
3 – Funzionalismo sociologico: Durkheim e Merton
«Un posto per ogni cosa, ogni cosa al suo posto »[6]
Se per Durkheim la devianza è il prodotto di questa incapacità delle complesse società moderne di fornire indicazioni etiche adatte alla realizzazione e all’inclusione dell’individuo, focalizzandosi invece sugli obiettivi mal formulati nella cultura di una società industriale, il funzionalista Robert Merton modifica il concetto di anomia ponendo l’accento sull’incoerenza tra indicazioni etiche[7], mezzi materiali ed obiettivi.
Questa incoerenza, che porterebbe ad un diffuso “deragliamento morale”, tende nella fase descrittiva ad assomigliare di più a quello scarto esistenziale vissuto dalla persona umana che, a livello soggettivo, i teorici del conflitto[8] imputano all’alienazione dovuta allo sfruttamento classista.
I mezzi istituzionalizzati per raggiungere gli obiettivi proposti da quella che, ricordando Guy Debord, possiamo definire la società dello spettacolo, sono il duro lavoro e la sudata istruzione. Di conseguenza è largamente accettato che, coloro i quali non ce la fanno, sono intrinsecamente pigri o in qualche modo inetti.[9]
Se le cattive condizioni sociali patite dai ceti meno abbienti diventano un fattore rilevante, i comportamenti devianti sono “necessari” (inevitabili) in quanto “funzionali” e, di conseguenza, diventa necessaria e funzionale la repressione poliziesca. (Una risposta che viene data da questa scuola di pensiero consiste nel suggerire il rafforzamento delle istituzioni “non economiche” come le chiese o la scuola pubblica; in definitiva per motivi di “indottrinamento”).
A causa del fatto che il successo economico e lo status sono gli obiettivi fissati dalla coscienza collettiva, come direbbe Durkheim, il sistema di giustizia penale (già nei regimi liberali) ha cominciato a cercare nell’ambiente sociale iniquo ciò che causa questa anomia, mettendo conseguentemente pressione affinché le autorità bilancino i mezzi attraverso i quali il “successo” sia effettivamente raggiungibile. (“Deriva otto-novecentesca” verso il liberalismo sociale contro il quale i liberali classici, dalla rivoluzione marginalista in avanti, si sono scagliati con grande dispendio di mezzi).
4 – Premesse di carattere epistemologico
« […] in ogni campo i fatti osservati e rilevati acquisiscono un significato soltanto se organizzati e ordinati secondo un paradigma teorico » Carlo Cipolla, 1988
In questa riflessione non ci interessano quindi – in se stessi – il paradigma[10] e la relativa interpretazione di Durkheim del fenomeno anomico, proprio in quanto sociologo “funzionalista” e, di conseguenza, epistemologicamente da relazionarsi all’organicismo naturalista del liberalismo respinto in Costituzione[11]. Ci interessa il suo lavoro in relazione al paradigma conflittualista accolto de facto nella Carta del ‘48, ci interessa la sua descrizione positiva, basata su una ricerca empirica del fenomeno dei suicidi, mentre, a livello teorico-coscienziale, ci interessano le categorie che possono essere aggiornate per comprendere il framework concettuale dell’attuale ruling class neoliberale.
Poiché nell’organicismo del funzionalismo sociologico, dato l’arbitrario atteggiamento[12] epistemologico, la devianza non è da imputarsi alla struttura sociale classista che genera oppressione, sfruttamento e conflittualità, ma è la conflittualità stessa ad essere una devianza, un “malfunzionamento” (della gestione politica?) di un ordine sociale che sarebbe naturalmente corretto e “giusto”, il problema da affrontare, quindi, secondo una logica di questo paradigma, non è la disfunzionalità ab origine[13] dell’ordine sociale esistente rispetto ai fini generali pubblicamente propagandati, ma è quello dei comportamenti devianti di gruppi sociologici che non riescono ad adattarsi accettando il loro posto ed il loro ruolo nella comunità.
In brevissimo: nelle scienze sociali che formano il paradigma “conservatore” – che trova fondamento nella morale elitista e nel naturalismo positivista – la dialettica politica, tendendo a modificare in senso progressivo la società, è ritenuta una devianza da un presunto “ordine naturale”, da ciò che Hayek chiama kosmos.
Poiché l’attuale ordine è contraddistinto da una suddivisione concettuale che struttura la società in due grandi classi con interessi diametralmente opposti – quella dei proprietari dei mezzi di produzione in posizione di oligopolio e quella di coloro che esercitano qualsiasi attività o funzione per vivere – qualsiasi iniziativa politica volta a eliminare condizioni di svantaggio sociale, politico ed economico per nascita, è considerata innaturale, deviante.
Quest’ordine sociale, come per qualsiasi oggetto indagato dalle scienze naturali, non deve essere interpretato e significato, ma semplicemente descritto.
Poiché l’ordine sociale è dato – ovverosia non forgiato dall’Uomo che con la potenza del suo ingegno porta la Storia – dovranno essere le discipline che lo descrivono ad essere “interpretabili”, ribaltando soggetto con oggetto, il fine con lo strumento per raggiungerlo, la causa con l’effetto, significato con significante[14], portando nell’esperienza a risultati grotteschi dove il “positivo” stesso viene vilipeso insieme alla logica aristotelica, tanto che l’economia mainstream, ad esempio, viene diffusamente considerata una pseudoscienza.[15]
Poiché l’obiettivo ultimo della naturalizzazione dell’economico e del sociopolitico è gettare falsa coscienza intorno all’oppressione e allo sfruttamento, è consequenziale che lo stesso processo divulgativo e mediatico abbatta l’unico vero tabù di una comunità scientifica che si possa definire tale: il rispetto del dato empirico.
Quindi, poiché la Weltanschauung elitista porta ad organizzare il pensiero fondamentale in modo “tolemaico”, la dissociazione cognitiva sarà tendenzialmente pervasiva in relazione alla percezione di tutti i grandi temi sociali che trovano fondamento fenomenologico nell’Etica[16], rendendo strutturale l’anomia[17]. Poiché l’anomia stessa risulta essere funzionale, l’autorità potrà “intervenire sul problema”, a discrezione, sulla falsa riga del principio di sussidiarietà[18].
Che di questo scarto esistenziale la classe egemone ne sia assolutamente cosciente, e lo strumentalizzi e lo alimenti, lo dimostrano le analisi sulla struttura della propaganda sviluppate da Goffman, secondo il quale l’attualità viene mostrata dagli organi di informazione tramite framework[19] “naturali” che identificano gli eventi come fenomeni fisici che letteralmente si verificano in modo naturale e a cui non viene associata la responsabilità di forze sociali nella loro causazione.
Dalla prospettiva funzionalista, segnatamente nella sua microfondazione liberale, tutto ciò che interviene, come lo Stato, a modificare (progressivamente) la norme sociali esistenti, è deviante, patologico, da contrastare; non ci sono norme “ingiuste” da cambiare, semplicemente queste non sono abbastanza impresse nella coscienza individuale.
Risulta così utile, quindi, inserire un altro concetto sociologico, riscontrabile nella teoria del controllo[20], per cui la devianza viene considerata il risultato di un’ampia esposizione a determinate situazioni sociali per cui gli individui si lascerebbero andare a comportamenti non conformi alle norme sociali. I legami sociali sarebbero usati – nella teoria del controllo – per aiutare le persone a non cedere a questi comportamenti devianti. (A non cedere alla “tentazione”…)
(Prestare sempre attenzione alla questione etico-epistemologica: se l’agente primo del malessere sociale non è da ascriversi allo sfruttamento di un ceto sugli altri, gli sforzi politici sono volti a sedare moralisticamente, religiosamente, mediaticamente, ipnoticamente, farmacologicamente gli sfruttati (v. Huxley); oppure a reprimerli poliziescamente (v. Orwell) – sfruttati che, al limite, possono essere riciclati per far lavori “sporchi”… non necessariamente in campi di lavoro forzato)
In questo esempio di tipicamente liberale funzionalismo sociologico, non vi è alcuna particolare considerazione che si articoli negli interessi contrapposti tra classi, viene semplicemente descritta una situazione in cui il legame tra anonimi individui e la generica società sono labili, non esiste un’attiva partecipazione istituzionale e i vincoli morali che trattengono l’individuo dall’agire in senso antisociale sono deboli. [21]
Tutto ciò che non è funzionale all’ordine naturale – il residuum umano – e che non si adegua tramite i sistemi di coercizione, viene gestito con le regole di ciò che l’epistemologia – in riferimento alla fondazione morale elitista e al positivismo organicista – può mostrare come scienza sociale parte del paradigma reazionario: la demografia di ispirazione malthusiana.
(Un anello di collegamento immediato per comprendere il legame paradigmatico di queste tre scienze sociali è, ad esempio, Herbert Spencer, (i) liberale tra i padri fondatori della (ii) sociologia funzionalista che dai lavori di (iii) Malthus e Darwin diffonde il concetto di “darwinismo sociale”)[22]
La domanda fondamentale che da queste premesse si pone il sociologo funzionalista, risulta essere: cosa permette agli individui di conformarsi?[23]
4.1 Un diagramma e brevi riflessioni
Si noti come nel funzionalismo sociologico della teoria del controllo si dia per scontato che il mercato si autoregoli tramite il sistemi dei prezzi, la concorrenza e la quota di mercato sia, in definitiva, assegnata per legge naturale.
Il mercato si autoregolerebbe in modo provvidenziale grazie alla decentralizzata generosità (v. self-command) dei virtuosi agenti razionali del mercato. Lo Stato sociale può solo perturbare quest’ordine naturale. (Gli oligopoli privati non sono tipicamente contemplati per fede)[24]
Si noti anche come il clan control e il controllo burocratico siano applicabili sostanzialmente alle organizzazioni private, che, anch’esse, si dovrebbero autoregolare.
«Il programma del liberalismo […] se sintetizzato in un’unica parola, sarebbe da leggere: proprietà, che significa il diritto alla proprietà privata dei mezzi di produzione […]. Ogni altra istanza del liberalismo deriva da questa istanza fondamentale », Ludwig Von Mises [25]
E chi non è proprietario dei mezzi di produzione? È forse per nascita in un contesto più anomico che altri? L’unica socialità sarebbe da ricercare nell’appartenenza a organizzazioni private?
5 – Durkheim: il suicidio come fatto sociale
Non è nostra intenzione studiare la correlazione in sé tra crisi economica e suicidi: questa è studiata dalle prime pietre miliari della sociologia moderna e, per la silenziosa brutalità del tema, si può presentare un percorso di crescita tanto a livello cognitivo, quanto umano, per l’estrema sensibilità che occorre raffinare per equilibrare quelli che sono i risultati di un’analisi essenzialista, scientifica e adatta a produrre una descrizione oggettiva, con ciò che ne è la sua interpretazione soggettiva.
L’obiettivo, per un umanista ed un democratico, rimane sempre e solo socializzare la coscienza critica.
Ci focalizziamo sul lavoro di Émile Durkheim perché propone la categoria di anomia in correlazione al suicidio come fatto sociale.
Egli raggruppa quattro diverse categorie: suicidio per anomia, per egoismo, per altruismo e per fatalismo.
Le quattro categorie possono essere anche utili nell’ambito della prospettiva del conflitto in quanto, come risulterà da subito evidente, queste non sono immediatamente applicabili a qualsiasi classe sociale, ma sono tendenzialmente funzionali – nella società nel suo complesso – a descrivere le dinamiche di quelle subordinate.
(Si noti il rilievo che si dà all’aspetto morale come pure avverrà nella prospettiva del conflitto weberiana: viene rimossa la centralità del conflitto distributivo in quanto motore materiale del divenire politico, e si pone staticamente, evidenziando con enfasi, ciò che nella teoria del conflitto marxiana si limita ad essere una “sovrastruttura” dei rapporti di forza originari dovuti alla struttura sociale: l’ideologia morale e religiosa)
5.1 – Il suicidio anomico riflette la confusione morale di un individuo e la mancanza di direzione sociale, che è collegata a drammatici sconvolgimenti sociali ed economici.
È il prodotto della deregolamentazione morale e della mancanza di definizione di aspirazioni legittime attraverso un’etica sociale vincolante, che potrebbe dare significato e ordine alla coscienza individuale. Questo è sintomatico di un fallimento dello sviluppo economico e della divisione del lavoro nel produrre la solidarietà “organica” (necessaria nelle società industriali, contrapposta a quella “meccanica” delle comunità sociali semplicemente strutturate), come definita da Durkheim. Le persone non sanno come inserirsi nelle loro comunità sociale. Durkheim spiega che questo è uno stato di disordine morale in cui le persone non conoscono i limiti dei loro desideri e vivono costantemente in uno stato di delusione. Questo può accadere quando le persone attraversano cambiamenti estremi nei livelli di ricchezza; sicuramente questi riguardano tanto lo scenario di rovina economica, quanto quello in cui sorgono grandi guadagni imprevisti – in entrambi i casi, le precedenti aspettative della vita vengono spazzate via e sono necessarie nuove aspettative prima che possa essere valutata la nuova situazione in rapporto ai nuovi limiti.
5.2 – Il suicidio egoistico riflette un prolungato senso di non appartenenza, di mancanza di integrazione in una comunità. Deriva dal senso di suicidio per cui l’individuo non ha legami. Quest’assenza può causare insensatezza, apatia, malinconia e depressione. Durkheim definisce tale distacco “eccessiva individuazione”. Quegli individui che non sono sufficientemente legati a gruppi sociali (e quindi a valori ben definiti, tradizioni, norme ed obiettivi), saranno lasciati con un limitato supporto e riferimento sociale, e saranno quindi più propensi a suicidarsi. Durkheim ha inferito che il suicidio si verifica più spesso tra le persone non sposate, in particolare tra gli uomini non sposati, relativamente ai quali ha concluso avessero meno legami e collegamenti a norme ed obiettivi sociali.[26]
5.3 – Il suicidio altruistico è caratterizzato dal senso di essere sopraffatti dagli obiettivi e dalle convinzioni di un gruppo. Succede nelle società in cui l’integrazione è molto alta, dove i bisogni individuali vengono considerati meno importanti dei bisogni della società nel suo insieme, ossia la situazione opposta in cui si produce il suicidio “egoistico”. Poiché l’interesse individuale non sarebbe considerato importante, Durkheim affermò che in una società “altruistica” ci sarebbero poche ragioni che incentivino il suicidio.
5.4 – Il suicidio fatalistico si verifica quando una persona è eccessivamente regolamentata, quando il suo futuro è impietosamente bloccato e le passioni violentemente soffocate da una disciplina oppressiva. È l’opposto del suicidio “anomico” e si verifica in società così oppressive che i loro abitanti preferirebbero morire piuttosto che vivere. Ad esempio, alcuni prigionieri in un campo di di lavoro potrebbero scegliere la morte piuttosto che vivere soggetti a costante vessazione e ad eccessiva regolamentazione.[27]
6 – Conclusioni (fondazione fenomenologica del Test di Orwell)
Il liberalismo – come pure l’anarchismo – influenzando la descrizione del mondo, la coscienza, in modo da far percepire il potere istituzionale e delle collettività organizzate (arché) come tendenzialmente ingiusta limitazione di una presunta libertà naturale[28], e vedendo quindi nella regolazione un fattore non accentuativo ma limitativo delle libertà, produce anomia. Chiaramente, poiché anche la mancanza di una direzione morale è essa stessa già una forma di direttiva, rimane libero da ogni intralcio il potere sociostrutturale – il kratos – espressione dei puri rapporti di forza derivanti dalla classe di appartenenza. Appartenenza che è tale per nascita o al limite per cooptazione.
6.1 – La legge di Hume
«In ogni sistema di morale con cui ho avuto finora a che fare […] all’improvviso mi sorprendo a scoprire che, invece di trovare delle proposizioni rette come di consueto dai verbi è e non è, non incontro che proposizioni connesse con dovrebbe e non dovrebbe.
Questo mutamento è impercettibile, ma è della massima importanza. Poiché questi dovrebbe e non dovrebbe esprimono una relazione o affermazione nuova, è necessario che […] si adduca una ragione di ciò che sembra del tutto inconcepibile, cioè del modo in cui questa nuova relazione può essere dedotta dalle altre, che sono totalmente diverse da essa » David Hume, A treatise of human nature, da cui la omonima Legge di Hume: «è logicamente impossibile passare dall’essere al dover essere, dedurre prescrizioni da descrizioni, valori da fatti».
Insomma, il giusnaturalismo liberale (e cattolico) sono, nella loro fondazione epistemologica, in pieno contrasto con la legge di Hume.
L’anomia può essere quindi considerata un portato stesso del naturalismo applicato alle scienze sociali. Non solo delle relative teorie che propongono l’individualismo metodologico alla Menger, Weber, Hayek o Popper: ma anche di chi, per quanto portatore di una visione olistica, analizza dalla prospettiva funzionalista come studiosi del calibro di Durkheim o Merton.
In pratica la concezione naturalistica della società paluda con il positivismo un paradigma che, in realtà, si propone di normare l’organizzazione umana.
Questo capovolgimento di ciò che è dell’Uomo (dello Spirito), con ciò che è alieno all’Uomo (appartenente alla Natura)[29], ossia trattando ciò che è artificiale come se fosse naturale, porta ad una inversione dei rapporti causali dei fenomeni sociali e – dal punto di vista epistemologico – porta all’inversione degli enunciati nomologici.[30]
L’anomia può essere considerata una malattia sociale, una malattia del pensiero che conduce, in ultimo, a quella che è la sintomatologia della sociopatia; questa trova genesi negli squilibri generati dai rapporti di produzione, e i suoi vettori di diffusione – in quanto sovrastrutture di questi rapporti sociali che i ceti privilegiati lottano per conservare – sono tanto le comunità scientifiche, quanto i mezzi di comunicazione di massa che permettono, non solo di divulgare acriticamente i differenti paradigmi relativizzando i punti di vista in base alle differenti teorie che concorrono a formare il dibattito scientifico, ma permettono di manipolare e relativizzare i dati stessi.
Gli effetti sulla comunità sociale sono totalitaristicamente nichilistici, in quanto, oltre a paludare la violenza dell’oppressione e dello sfruttamento, destrutturano psicologicamente le persone aggredite, in perenne stato di stress psicologico e dissociazione cognitiva. Quindi l’anomia viene alimentata dal ribaltamento della verità fattuale, dal ribaltamento del gusto estetico proprio dell’arte e, in definitiva, dal ribaltamento dell’etica sociale secondo un’assiologia “luciferina”.
Il relativismo morale del liberalismo di cui il disagio anomico è espressione, può trovare per definizione unico limite nella sovranità dello Stato etico della tradizione democratica e sociale, non a caso sotto attacco dalla tecnocrazia economicistica, cosmopolita e globalista.
La spoliticizzazione e le relative liberalizzazioni e privatizzazioni, sono l’espressione del consolidamento di egemonie tiranniche che, per perpetuarsi con sicurezza[31], hanno bisogno di infliggere dolore psicologico, di cui il fatto anomico è la manifestazione più eclatante in contesti di radicali trasformazioni e ingegnerizzazioni sociali.
Fatto sociale che, considerato nel suo distopico parossismo, diventa fatto antropologico che porta con sé gravi ricadute deontolologiche, teleologiche e, in definitiva, dal punto di vista della storia universale, propriamente escatologiche.
Da questa riflessione emerge come l’emancipazione dei gruppi sociali in posizione subalterna, non sia semplicemente emancipazione di classe, ma – riconosciuta nel suo profondo intimo la dinamica storica – questa risulta essere emancipazione della specie umana nel suo complesso.
Lo stesso assunto elitista per cui esisterebbe un gruppo umano razzialmente superiore e destinato al godimento esclusivo del prodotto del lavoro, è un infondato atto di fede (tanto assolutamente, quanto banalmente, interessato; per miopia, avidità e vigliaccheria).
Insomma, l’anomia può essere considerata il portato ultimo dell’elitismo che si materializza come suicidio dell’Uomo stesso.
[1] « Destituiti di apparato sensorio e quindi di sensitiva. » [ C.E. Gadda, “La cognizione del dolore” ]
[3] È immediato intuire che, se la struttura è naturalisticamente data, il darwinismo sociale (v. Spencer) trova il proprio senso nel momento in cui la partecipazione alla distribuzione del valore prodotto dipende dall’adattabilità dell’individuo alla società, non viceversa. (Chiaramente, se al posto del liberale individuo astratto, si considera la persona umana come eguale nella sostanza a tutti i componenti della società umana, è evidente che ci sarà coscienza affinché sia la società ad adattarsi politicamente alla persona umana, in quanto la società ne risulterebbe lo specchio, il riflesso. Un riflesso che non sia la falsa coscienza del sé, ma la reale identità che si forma in un contesto intersoggettivo).
[4] http://www.faculty.rsu.edu/users/f/felwell/www/Theorists/Essays/Durkheim1.htm: si noti come si ritenga l’individuo incapace di qualsiasi autocontrollo senza i limiti morali imposti dalla società. L’intervento dell’autorità non sarà quindi volto a eliminare le condizioni sociali che portano, ad esempio, a violare la legge; questa si impegnerà ad aumentare il condizionamento della propaganda e ad aggravare le sanzioni associate alle norme giuridiche. Sarebbe quindi necessario un “SuperIo” istituzionalizzato? Un Leviatano? Un Grande Fratello che scruti impudentemente e giudichi l’adesione alla Legge come una divinità? La risposta totalitaria pare essere sempre l’inevitabile esito finale di questo approccio ai fatti sociali.
[5] http://criminology.wikia.com/wiki/Durkheim%27s_Anomie_Theory: si noti in questo link segnalato come dagli albori della sociologia moderna venga riconosciuta una correlazione diretta tra grande immigrazione e insanabili conseguenze di carattere criminogeno.
[6] « A place for everything, everything in its place » – Benjamin Franklin
[7] Ovvero, non è che semplicemente non ci siano norme volte ad un maggiore benessere materiale e spirituale: queste ci sono ma sono controproducenti.
[8] Il padre della sociologia secondo la prospettiva conflittualista è Karl Marx.
[9] Nell’ideologia liberale va da sé che, se nell’esistenza individuale l’etica sociale non permette di raggiungere gli obiettivi posti in funzione dalla classe di appartenenza, Ha-Joon Chang ha chiarito pure come, analogamente, a livello internazionale, i ceti dominanti delle potenze egemoni « calcino via la scala » con cui si sono arrampicati in posizione di vantaggio: l’economista coreano spiega bene la dinamica a proposito del mantra liberoscambista con cui paesi colonialisti impongono i trattati free trade. Si può sostenere, quindi, che il liberalismo sia un’ideologia moralistica imposta come etica sociale dai ceti egemoni a quelli subalterni o da subordinare (come nei mercati coloniali). Ideologia che impone leggi morali valide solo per chi vive del proprio lavoro; ovvero falsa coscienza che impedisce agli oppressi tanto di difendersi – inibendo la lotta per le rivendicazioni di classe – quanto di prendere proprio la consapevolezza stessa di essere sfruttati; il carnefice si presenta come “Natura”, come “Gaia”, come mano invisibile di Dio, incolpando moralisticamente le vittime: se l’organizzazione umana non funziona naturalmente, allora sono le persone umane a non adattarsi a causa di comportamenti viziosi ed immorali. (Accidia, ozio, lussuria e riproduzione bestiale, irresponsabilità nel loro inquinare e riscaldare il pianeta, ecc.). Vizi di persone che non sanno stare al loro posto sotto la sedicente élite. Il relativismo morale che si traduce nella tirannia dei valori dell’oppressore, è quindi tipico del capitalismo liberale che è anomico per definizione. L’unica legge è la Legge dell’impersonale Mercato. Quindi, secondo la logica predatoria e sfruttatrice, non è la Legge per l’Uomo, ma l’Uomo per la Legge. Il lavoro non è una vocazione della persona umana frustrata dal classismo, ma una chiamata della naturalistica struttura sociale ad essere responsabili. Ovverosia, ad esercitare una particolare funzione. (Nell’ermeneutica del codice di comunicazione “liberale”, responsabilità significa “accettazione totale dell’individuo all’impietosa irregimentazione in funzioni alienanti di subalternità”). Funzione che può essere anche quella di arruolarsi nell’esercito industriale di riserva o, semplicemente, come nel pensiero malthusiano, sparire dal mondo della vita se non “esiste un posto” funzionale all’efficientamento della società organizzata in classi.
[10] Secondo Kuhn i paradigmi sono “strutture concettuali” che, condizionando il modo in cui gli scienziati guardano al mondo, non sono tra loro confrontabili in quanto privi di un comune dominio di problemi, soluzioni, entità ammesse, “fatti”, osservazioni e tecniche sperimentali. Questi possono non avere “alcun termine teorico comune”, cosicché le rispettive comunità scientifiche avrebbero preclusa ogni possibilità di comunicare. Quine, con la tesi della cosiddetta “sottodeterminazione” (underdetermination) empirica delle teorie per cui, non essendo le teorie completamente determinate dai dati osservativi, teorie fra loro logicamente incompatibili e basate su assunti ontologici diversi possono spiegare il medesimo insieme di fenomeni e avere lo stesso importo predittivo (conseguenze osservative). Nota: balzando dal contesto scientifico per via analogica a quello psicosociale, Kuhn spiega, in pratica, anche il motivo per cui lo “spirito di scissione” comporta poi, a livello relazionale, un progressivo isolamento dal proprio gruppo sociale di riferimento della persona che acquisisce coscienza, descrivendo questa il mondo con un “paradigma” – e un linguaggio – del tutto diverso. Quine chiarisce invece come in economia – nonostante il paradigma di economia politica post-keynesiana e socialista sia, per gli interessi che di fatto difende, in contrapposizione con quello neoclassico e liberale – è possibile una discussione formale tra tutti gli studiosi, formando un’unica comunità scientifica internazionale, indipendentemente dal paradigma abbracciato (fenomenologicamente, il primo è un paradigma che de facto difende gli interesse del fattore capitale, mentre il secondo difende gli antitetici interessi materiali del fattore lavoro).
[11] Notare che un “conservatore” come Durkheim fa emergere dai suoi lavori una sensibilità ed un atteggiamento verso i problemi sociali piuttosto diversi da sociologici della prospettiva funzionalista quali Spencer o Pareto: si noti che la sociologia funzionalista, basata sul positivismo, nasce comunque con una spinta intellettualmente più progressiva, in contrapposizione all’individualismo del liberalismo classico, con la concezione olistica ed altruistica di Auguste Comte.
[12] L’atteggiamento, fondamento della morale individuale, è arbitrario per definizione. L’arbitrio viene considerato “libero” o meno rispettivamente in funzione della Weltanschauung “umanista e storicista” – da cui l’impero della Politica – o “naturalista e determinista” (da cui l’impero della Tecnica).
[13] Nella sociologia conflittualista di genesi marxiana, l’origine – l’agente primo – dei peggiori disagi sociali è da ricercarsi nei rapporti di proprietà e di produzione che provocano esclusione sociale; ciò avviene a causa, tanto della divisione del lavoro, quanto della rigida divisione della società in classi, in cui chi vive del proprio lavoro è in una condizione di totale subordinazione di chi è proprietario dei mezzi della produzione e controlla la vita economica.
[14] A livello ontologico viene invertito il rapporto tra forma e sostanza.
[15] L’inversione “Spirito/Natura” viene in questo lavoro proposta come fondazione fenomenologica dell’elitismo (per classe, religione o razza). (Come spunto di riflessione, si può pensare ad un capovolgimento simile nella storia della dottrina cristiana che, con la sua “clericalizzazione”, muove dalla ricerca del divino nell’evangelico “Gesù Figlio dell’Uomo”, a quello più prettamente medievale “Natura idest Deus”) .
[16] Chiaramente il positivismo, per definizione, si disinteressa della propria fondazione in quanto si dichiara avalutativo e impegnato al mero “spiegare” i fenomeni sociali per via analogica a quelli naturali, senza un tentativo ermeneutico e critico come proprio dello storicismo (dove la Storia è fenomenologia dello Spirito e, ad essere relativizzati, non sono i principi assiologici, ma la concreta personalità storica che in via dialettica ci si confronta) . Inoltre, la microfondazione delle scienze sociali basate sull’individualismo metodologico porta, come fondamento dell’indagine sociologica, la psicologia. Notare che Pareto, per difendere questo atteggiamento epistemologico che si svincola da qualsiasi filosofia morale, deve ricorrere ad argomentazioni di filosofia morale, prendendo comunque una posizione di carattere etico (« anche per affermare che non è necessario fare filosofia è necessario fare filosofia », cfr. Aristotele). Come d’altronde lo stesso Nietzsche, che si definiva “filosofo immorale”, prescriveva la strasvalutazione di tutti i valori o, al limite, la loro soggettività, che, in definitiva, diventa la soggettività del più forte: il tiranno dei valori (cfr. Schmitt). L’amoralità o l’avalutatività, nascondono sempre una valutazione ed un atteggiamento morale ed interessato. (cfr. Husserl riguardo al metodo scientifico)
[17] Il liberalismo è apologia dell’anomia.
[18] Si pensi al significato di sussidiarietà nell’economia sociale di mercato dell’Unione Europea, al textbook Keynesiasism o alla dottrina sociale della Chiesa. Il principio di sussidiarietà si può generalizzare come principio per il quale un determinato disagio sociale vuole essere coscientemente controllato ma non debellato. I fini della promozione del principio di sussidiarietà sono quindi strutturalmente classisti.
[19] Si ricorda che i frame sono schemi di interpretazione all’interno dei quali i media inquadrano le notizie. Anche l’attualità scientifica viene trattata in questo modo, offrendo al lettore una prospettiva con cui accostarsi all’argomento trattato. E, come fa notare Habermas, « [i]l potere comunicativo […] fa sentire i suoi effetti sulle premesse dei processi decisionali ». Queste “strutture concettuali”, framework, paradigmi, agiscono come idee-guida, “presupposizioni”, che inducono tanto il consumatore più o meno critico di prodotti mass-mediatici, quanto lo scienziato, a ricondurre i fenomeni ad un preciso “modello dell’ordine naturale” (le osservazioni sono theory-laden, “cariche di teoria”). La precomprensione di testi e fatti si diffonde come falsa coscienza. Kuhn fa notare come « gran parte della ricerca scientifica svolta sotto l’influenza di un paradigma (la “scienza normale”) consiste così nel “forzare la natura entro le caselle prefabbricate e relativamente rigide fornite dal paradigma”, applicando il paradigma a settori sempre più ampi della realtà e spesso (secondo criteri non dissimili da quelli delineati da Quine) ignorando ciò che non si adatta ai suoi presupposti o introducendo ipotesi ad hoc tese a salvaguardarne i principi in presenza di fatti “recalcitranti” ». Nelle scienze sociali l’unica differenza consiste nel fatto che, viceversa, è il paradigma naturalista a “forzare i fatti sociali entro le caselle prefabbricate e relativamente rigide fornite dall’ordine naturale”.
[20] La conseguenza immediata è che la repressione poliziesca si baserà poi su un principio di reciprocità punitivo, dissuasivo ma non riabilitativo; privo di qualsiasi reciprocità di tipo solidaristico. L’esclusione sociale rimane funzionale mentre il soddisfacimento dei bisogni umani fondamentali diventa residuale.
[21] Dalla prospettiva individualistica, stando con Adam Smith, il self-command, ovvero “il dominio di sé”, è tipicamente fondamentale nei negozi in economia di mercato, nei quali sarebbe necessario trattenere il proprio egoismo, il proprio amore di sé, il proprio narcisismo che porta a “stravincere”, in funzione del bene comune. (Poi ci pensa la cristianissima Provvidenza, la mano invisibile, a dare il massimo beneficio alla specie umana…)
[22] Riflessioni simili di carattere epistemologico possono essere fatte anche nell’ambito del diritto, associando nel paradigma conservatore il costituzionalismo politico, il giusrealismo, o, in generale, l’ordinamento giuridico Common Law.
[23] Si potrebbe affermare che, il conformismo e l’omogeneizzazione culturale a fini classisti ed imperialisti del capitalismo liberale, sono previsti dalla sociologia funzionalista: sono, in pratica, supportati “scientificamente”.
[24] Si noti la corrispondenza nel grafico tra “sistemi di valori”, “sistema dei prezzi” e “amministrazione”: nel fantastico mondo ghematrico di von Hayek, se ogni rapporto con la società diventa feticcio e viene monetizzato/contrattualizzato, tanto la burocrazia amministrativa quanto l’hegeliana etica sociale, verrebbero ricondotti all’ “ordine naturale” tramite il sistema dei prezzi. La durezza del vivere e l’affidarsi alla sorte sarebbero gestiti da impersonali “algoritmi” che in modo funzionale ed efficiente regolerebbero le piantagioni di esseri umani… Giusto per capire quale sia il comune senso della libertà per i liberali classici.
[25] «[t]he program of liberalism […] if condensed into a single word, would have to read: property, that is, private ownership of the means of production […]. All the other demands of liberalism result from this fundamental demand. » LUDWIG VON MISES, LIBERALISM: THE CLASSICAL TRADITION 2 (Bettina Bien Greaves,
ed., Liberty Fund, Inc. 2005) (1927). Chiaro? Il contendere tra liberalismo e socialismo non è il “possesso” o una generica proprietà: è la proprietà dei mezzi di produzione.
[26] Si noti come dalla prospettiva del conflitto il suicidio egoistico sia in qualche modo direttamente ascrivibile all’anomia prodotta dal liberalismo se questa viene intesa come soprastrutturazione agli aspetti di carattere sociostrutturale, come le disuguaglianze economiche e la relativa esclusione sociale.
[27] Anche in questo caso, dalla prospettiva conflittualista, la mancanza di normazione può trasformarsi dialetticamente in un “eccesso di normazione” come in quelle fasi geostoriche in cui il liberalismo non riesce ad imporsi in modo totalitario con l’uso esclusivo dei media di massa e necessiti, contestualmente, un intervento autoritario e repressivo che tuteli l’ordine liberale in essere. Ovvero un ordine in cui la proprietà privata dei mezzi di produzione in mano ai pochissimi rimanga sacra ed inviolabile.
[28] “Tendenzialmente” in quanto la mano invisibile del legislatore (cfr. Lionel Robbins e, di converso, gli esponenti del pensiero ordoliberale) può attivamente intervenire a regolare l’economia se intende modificare in senso regressivo i rapporti di forza volti a consolidare la “libertà naturale”: quella di godere per nascita della possibilità di esercitare controllo politico tramite il controllo economico.
[29] L’Uomo è oggettivamente parte della natura ma soggettivamente altro, quindi in dialettica con questa: il conflitto con la natura si manifesta tramite il lavoro, ovvero tramite la “trasformazione” di questa, in modo che l’esistenza umana sia la più piena, appagante e serenamente longeva. Il lavoro, con la sua spinta antientropica, può essere considerato come una battaglia contro la morte. La natura rappresenta quindi la morte.
[30] A Marx veniva imputato da qualche bigotto di “invertire satanicamente l’ordine delle parole” (un po’ come ascoltare i dischi dei Led Zeppelin facendoli girare al contrario) riferendosi, ad esempio, al suo “Miseria della filosofia” in risposta alla “Filosofia della Miseria” di Proudhon: il punto è che gran parte della critica marxiana al “senso comune”, non solo quindi alle scienze sociali e alla celebre economia politica del Capitale, si avvale proprio del ribaltamento degli enunciati nomologici che organizzano l’ideologia della classe egemone. Questi spunti di riflessione volti a fondare fenomenologicamente le scienze sociali, spiegano l’origine di questa prassi analitica del padre delle scienze sociali moderne. Es. « Non è la coscienza degli uomini che determina la loro vita, ma le condizioni della loro vita che ne determinano la coscienza », « l’uomo fa la religione, e non la religione l’uomo », « L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni » oppure, rispondendo direttamente a Malthus che sosteneva che i proletari « sono poveri perché sono molti », Marx, dopo aver empiricamente avuto accesso alle statistiche, constatava che i proletari « sono molti perché sono poveri ».
[31] Il mito irenico del cosmopolitismo federalista e liberoscambista – ovvero la retorica della pace – tipico della propaganda liberale, è da intendersi, nel suo reale obiettivo auspicato, come “serenità nel viversi il privilegio di classe”: ovvero come perseguimento della “pace sociale” per cui qualsiasi dialettica viene soppressa per “KO tecnico” dei ceti subordinati.
FONTE: https://orizzonte48.blogspot.com/2018/01/liberalismo-e-anomia-disintossicarsi.html
ECONOMIA
Riad: gli Usa “manipolano i mercati” del petrolio
I rapporti tra Arabia Saudita e Stati Uniti d’America, malgrado la volontà di salvare le apparenze, non sembrano più quelli di una volta.
La posizione dell’Arabia Saudita sulla guerra in Ucraina, con le mancate sanzioni e condanne alla Russia, il rifiuto di aumentare la produzione di greggio da immettere sul mercato hanno colto di sorpresa Washington.
“Le persone stanno esaurendo le loro scorte di emergenza, ma le hanno usate come meccanismo per manipolare i mercati, mentre il loro scopo profondo era quello di mitigare la carenza di forniture”, ha denunciato ieri il ministro dell’Energia saudita Abdulaziz bin Salman, al Future Conference Investment Initiative, FII che si sta svolgendo a Riad.
A suo avviso, è essenziale chiarire al mondo “che la mancanza di scorte di emergenza può essere dolorosa nei prossimi mesi”.
Il ministro saudita non si è riferito direttamente a Washington, ma i suoi commenti sono stati interpretati come una velata reazione all’annuncio della scorsa settimana del presidente degli Stati Uniti Joe Biden che avrebbe messo sul mercato 15 milioni di barili della Reserve Strategic Petroleum (SPR) del paese nordamericano al fine di abbassare i prezzi dei carburanti.
Il provvedimento è arrivato dopo la decisione dell’OPEC Plus – che riunisce i 13 membri dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) guidata dall’Arabia Saudita e i suoi 10 partner guidati dalla Russia – di ridurre il pompaggio di petrolio nel mercato globale.
Arabia Saudita “più matura” nel nuovo battibecco con gli Usa
Abdulaziz bin Salman, ha poi aggiunto che il regno ha dimostrato di essere comportato da “ragazzi più maturi” nel continuo battibecco con gli Stati Uniti.
“Penso che come Arabia Saudita abbiamo deciso di essere ragazzi più maturi”, ha detto Bin Salman.
“Continuiamo a sentire che ‘sei con noi o contro di noi’, [ma] c’è spazio per ‘siamo con il popolo dell’Arabia Saudita’?” ha aggiunto il ministro saudita.
All’inizio della giornata, il ministro degli investimenti saudita Khalid al-Falih ha affermato che Riad e Washington supereranno il loro battibecco “ingiustificato”.
“Se guardi al rapporto con la parte delle persone, la parte aziendale, il sistema educativo, guardi alle nostre istituzioni che lavorano insieme, siamo molto vicini e supereremo questo recente battibecco che penso fosse ingiustificato”, ha ricordato Falih.
Il FII ha visto una grande affluenza da Wall Street nel suo giorno di apertura. Durante un discorso all’inizio del forum, l’amministratore delegato di JPMorgan Chase & Co, Jamie Dimon, ha espresso fiducia nel fatto che l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti avrebbero salvaguardato la loro alleanza che dura da 75 anni.
“Non riesco a immaginare nessun alleato che sia d’accordo su tutto e non abbia problemi: lo risolveranno”, ha detto Dimon. “Sono a mio agio che le persone di entrambe le parti stiano lavorando e che questi paesi rimarranno alleati in futuro e, si spera, aiuteranno il mondo a svilupparsi e crescere correttamente”.
Nessun funzionario statunitense è stato avvistato al forum.
Tuttavia, ieri Washington ha fatto timide aperture al regno, con la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre che ha elogiato il recente voto di Riad contro la Russia alle Nazioni Unite e il loro sostegno finanziario all’Ucraina.
“Abbiamo preso atto dopo il taglio dell’OPEC+ ma l’Arabia Saudita ha votato contro la Russia alle Nazioni Unite e ha anche promesso 4 milioni di dollari per sostenere la ricostruzione e le esigenze umanitarie dell’Ucraina”, ha spiegtao ai giornalisti Jean-Pierre.
Lunedì, nei vari resoconti dei media occidentali è stato ribadito che le relazioni tra Arabia Saudita e Stati Uniti hanno raggiunto un nuovo minimo, poiché entrambe le parti hanno “rivalutato” se i loro legami possono essere salvati.
Anche i più stretti alleati di Washington forse hanno capito che prima o poi verranno scaricati, e che nella migliore delle ipotesi possono essere considerati “nemici”.
Washington non ha alleati, i suoi partner non possono agire indipendente. Nel Golfo persico hanno cominciato a capirlo. Probabilmente è solo l’inizio.
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-riad_gli_usa_manipolano_i_mercati_del_petrolio/5694_47708/
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Tassi di interesse delle banche centrali: la situazione attuale è senza precedente, e lo stesso saranno le conseguenze
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
La società che voleva licenziare i lavoratori “Bianchi” ha perso in borsa il 34% in una seduta
Twilio è un nome che magari non conoscerete, però alla sua nascita venne vista come una delle speranze dell’high tech USA. Cosa fa Twilio? Gestisce chatbox e servizi ai clienti in modo automatico per “Permettere a chi lo utilizza di dare un’esperienza unica ai propri clienti”. Praticamente programma degli strumenti Ai per il supporto clienti. Nata nel 2008 era una delle grandi speranze dell’Hi tech, prima di Seattle, poi trasferita nella Silicon Valley, ma i sogni giungono a risvegli bruschi. A settembre la società, già in difficoltà, aveva deciso di effettuare dei massicci licenziamenti, ma… li ha fatti in modo “Woke”, “Antirazzista”.
Jeff Lawson, CEO di Twilio, aveva annunciato l’intenzione di tagliare circa l’11% della forza lavoro dell’azienda, dopo aver ammesso che la società è cresciuta troppo velocemente:
“Twilio è cresciuta a un ritmo sorprendente negli ultimi due anni. È stata troppo veloce e non si è concentrata abbastanza sulle nostre priorità aziendali più importanti. Mi assumo la responsabilità di queste decisioni, così come della difficile decisione di procedere a questo licenziamento”.
Ma, per la prima volta che possiamo ricordare, l’amministratore delegato è sembrato affermare che la razza è stata coinvolta nel processo decisionale relativo a chi ha perso il lavoro…
“Licenziamenti come questo possono avere un impatto più marcato sulle comunità emarginate”, ha scritto Lawson in una nota ai dipendenti.”Per questo motivo ci siamo particolarmente preoccupati di garantire che i nostri licenziamenti, pur essendo oggi una necessità aziendale, venissero effettuati in un’ottica antirazzista e antioppressione“.
Quindi i licenziamenti erano “Razzisti”: se eri bianco venivi licenziano , se appartenevi a una minoranza era meno probabile essere licenziato.
Però questa scelta non sembra essere servita a molto. Solo oggi Twilio ha perso il 34,6%
Dai valori di agosto siamo ad un bel 42% in meno, e la società si è mangiata tutto l’incremento di valore degli ultimi quattro anni, tornano ai prezzi del 2018. Ora ci sorge un banale dubbio: non è che il mercato sia veramente anti razzista e se ne infischi delle politiche sociali del CEO, ed avrebbe preferito che i licenziamenti, eventualmente, fossero stati fatti sulla base dell’efficienza e non della razza?
Lasciamo ai lettori le valutazioni
FONTE: https://scenarieconomici.it/la-societa-che-voleva-licenziare-i-lavoratori-bianchi-ha-perso-in-borsa-il-34-in-una-seduta/
PANORAMA INTERNAZIONALE
“Così l’ideologia woke sta indebolendo l’esercito Usa”
L’ideologia “woke” – fondata sull’ossessione per le minoranze, promossa dagli ultra-progressisti americani – sta indebolendo dall’interno anche l’esercito più forte del mondo: quello degli Stati Uniti d’America. Il senatore repubblicano della Florida, Marco Rubio, da poco rieletto, e il deputato Chip Roy del Texas, hanno redatto un dossier intitolato “Woke Warfighters – come l’ideologia politica si sta indebolendo i militari americani”. Secondo i due esponenti del Gop, “il mondo è un posto pericoloso e la follia dell’amministrazione Biden sta erodendo la nostra più grande fonte di sicurezza”.
Come? Una delle prime azioni di Segretario della difesa, Lloyd Austin, è stata quella di promettere di liberare l’esercito da “razzisti ed estremisti”, abbracciando la controversa Teoria critica della razza, nata in seno al mondo degli studiosi della New left americana degli anni ’70 e ’80 e agli studiosi di diritto e giurisprudenza afroamericani – come il defunto docente di Harvard Derrick Bell o Kimberlé Williams Crenshaw – e diventata oggi uno dei pilastri del politically correct e del pensiero postmodernista che circola nei campus americani e nei salotti più progressisti d’America.
Così Biden ha introdotto l’ideologia liberal tra le forze armate
Risultato: l’iniziativa di Austin attraverso il “Countering Extremist Activity Working Group”(CEAWG), nato per liberare l’esercito dallo spauracchio del razzismo, è stata un vero flop e un costoso dispendio di energie e denaro. Su 2,1 milioni di militari e riservisti, su cui può contare l’esercito Usa, solo 100 persone sono state “attenzionate” dal gruppo che si occupa di monitorare il razzismo. Rubio e Roy notano che a capo del CEAWG creato da Austin c’è un certo Bishop Garrison, un “fanatico antirazzista” che denigra sistematicamente i conservatori, secondo il quale “il razzismo sistemico è uno delle nostre più grandi sfide per la sicurezza nazionale”.
Non solo. L’amministrazione Biden vuole indottrinare la nuova leadership di militari all’ideologia “woke” attraverso altre iniziative. Di recente, un ammiraglio, presso l’Accademia Navale, ha spiegato agli studenti che devono leggere il libro “How to be an antiracist” di Ibram X. Kendi, saggio – molto in voga fra i circoli progressisti – che spiega come il “capitalismo sia razzista” e che i bianchi sono intrinsecamente privilegiati. Tracce di progressismo woke si trovano anche nella Strategia di Sicurezza nazionale del 2022, nella quale emerge la priorità dell’amministrazione Biden: quella di promuovere “l’inclusione e la diversità” nelle forze armate.
Sulle forze armate speciali
Da questo indottrinamento coatto dei dogmi ultra-progressisti non sfuggono nemmeno le Forze speciali. Nelle prime righe del del Piano Strategico Diversità e Inclusione del SOCOM (Comando delle Operazioni Speciali degli Stati Uniti) si legge che “diversità e inclusione sono imperativi operativi”. Il programma continua dicendo che “i leader devono integrare la diversità e gli sforzi di inclusione in obiettivi unitari, obiettivi di missione, iniziative gestionali e priorità operative”. Il piano rileva anche che il SOCOM implementerà le operazioni speciali riguardanti l’inclusione e la diversità, qualsiasi cosa voglia dire. “L’unico obiettivo delle nostre forze speciali dovrebbe essere efficacia – notato Rubio e Roy -. Ogni altro la considerazione deve essere subordinata a e al servizio di tale fine”.
Educati alla follia progressista
Altro che moderata: anche sul fronte culturale e dell’educazione, l’amministrazione Biden ha ceduto all’ala più estremista e radicale del partito democratico, quella che si rifà all’ideologia “woke”, appunto, e abbraccia tutte le battaglie identitarie e culturali degli ultra-liberal. Nell’ambito del “Department of Defense Education Activity” (DoDEA), sistema scolastico federale con sede ad Alexandria, Virginia, responsabile della pianificazione, direzione, coordinamento e gestione dei programmi educativi dalla scuola materna fino al 12° grado per conto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti (DoD), è stata creata la figura del Chief Diversity Equity and Inclusivity (DEI) – Capo Diversità Equità e inclusività – affidata ad un’altra figura tutt’altro che moderata come Kelisa Wing. Come notano Rubio e Roy nel loro reporter, Wing è stata autrice di diversi tweet dispregiativi e razzisti nei confronti dei bianchi. Wing ha scritto un libro nel quale, rivolgendosi ai bimbi bianchi, afferma che godono di un “privilegio che fa male a molte persone”. Sembra grottesco e folle ma è un’ideologia che spopola fra democratici e progressisti, come dimostra il report di Marco Rubio e Chip Roy sull’esercito Usa.
FONTE: https://insideover.ilgiornale.it/guerra/cosi-lideologia-woke-sta-indebolendo-lesercito-usa.html
Il futuro del mondo nella riunione segreta delle élite del potere globale
Leader di grandi aziende, politici, professori e accademici asiatici. Il tavolo dei lavori abbandona di grandi personalità, anche se non è dato sapere il nome di tutti i presenti. Il 19 e il 20 novembre scorsi, a Tokyo, nella sala di un hotel non distante dall’ufficio del primo ministro giapponese, si è riunita la Trilateral Commission, o Commissione Trilaterale, un’organizzazione enigmatica che, ormai dal 1973, riunisce, di tanto in tanto, personalità di spicco per discutere e proporre soluzioni ad alcuni dei problemi più complessi del mondo.
Fondata quasi 50 anni fa da David Rockefeller, la Commissione descrive sé stessa come un importante luogo per “incubare le idee e formare relazioni tra settori e aree geografiche” ma anche come “un gruppo di Paesi che condividono valori comuni e un impegno per lo stato di diritto, economie e società aperte e principi democratici”. La Trilateral Commission è stata creata durante la Guerra Fredda con l’obiettivo di guidare il partenariato di sicurezza “trilaterale” Usa-Giappone-Europa e, ancora oggi, le sue deliberazioni, e la presunta influenza che esercita, sono oggetto di molteplici speculazioni.
La struttura direzionale della Commissione comprende le tre aree geografiche dalle quali provengono i membri. Esiste un gruppo nordamericano, che copre Stati Uniti, Canada e Messico, uno europeo e, infine, uno asiatico-pacifico, che abbraccia Giappone, Corea del Sud, membri dell’Asean, Australia, Cina, India e Nuova Zelanda. Ciascun gruppo ha una propria presidenza e figure di rilievo. La leadership è collegiale, mentre le tre presidenze regionali sono affiancate da un Comitato esecutivo.
L’incontro di quest’anno, avvenuto in Giappone, è il primo dall’inizio della pandemia. Nonostante le tematiche e le soluzioni proposte siano di grande importanza – se non altro perché provengono, come detto, da personalità di spicco – le saltuarie partecipazioni al raduno sono solo su invito, tanto che alcuni media si riferiscono alla Commissione Trilaterale definendola una sorta di organizzazione segreta. Per la prima volta in 50 anni, i lavori della commissione, tutte le sessioni, sono stati aperti a tre giornalisti del Nikkei Asia, che hanno così potuto partecipare alla riunione del Gruppo Asia Pacifico, a condizione di non citare per nome i partecipanti.
La spaccatura tra l’Asia e l’Occidente
A Tokyo, come detto, si è riunito l’Asia Pacific Group. Tra i partecipanti figuravano un giovane politico giapponese, considerato un papabile futuro primo ministro, vari ex funzionari del Ministero delle Finanze e, addirittura, un parente della famiglia imperiale nipponica. Tralasciando l’immagine della Commissione, considerata da molti politici populisti una specie di camera di élite non elette e irresponsabili, vale la pena accendere i riflettori sul tema chiave del recente incontro, sia per il suo contenuto che, soprattutto, per le sue possibili conseguenze globali.
I giornalisti del Nikkei hanno infatti evidenziato una spaccatura, una divergenza di vedute, che potrebbe farsi sempre più evidente tra l’Asia e le altre “ali” dell’organizzazione (Americhe ed Europa). “Riteniamo che la politica degli Stati Uniti nei confronti dell’Asia, in particolare nei confronti della Cina, sia stata di mentalità ristretta e inflessibile. Vogliamo che la gente negli Stati Uniti riconosca le varie prospettive asiatiche”, ha affermato Masahisa Ikeda, membro del comitato esecutivo della Commissione trilaterale, nonché prossimo direttore dell’Asia Pacific Group. Detto altrimenti, senza input dall’Asia c’è il rischio che gli Stati Uniti possano condurre il mondo verso un pericoloso confronto.
“Dobbiamo coinvolgere la Cina. Se costringiamo i paesi a scegliere da che parte stare, le nazioni del sud-est asiatico sceglieranno la Cina. La chiave è non costringerle a scegliere”, ha affermato un altro membro presente, sempre secondo quanto ricostruito da Nikkei Review. Già,coinvolgere la Cina: dalle parti di Washington quest’idea – la speranza che, includendo la Cina nelle istituzioni internazionali come l’Organizzazione mondiale del commercio, allora Pechino assomiglierebbe di più alle nazioni occidentali – è morta e sepolta. L’ultimo tentativo, col senno di poi considerato fallimentare, è stato fatto dall’amministrazione Obama.
Donald Trump prima e Joe Biden poi hanno adottato approcci ben diversi. Nella sua prima strategia di sicurezza nazionale, pubblicata lo scorso ottobre, l’amministrazione Biden non ha usato mezze misure per definire la Cina “l’unico concorrente con l’intento sia di rimodellare l’ordine internazionale, sia il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per riuscirci”. Eppure, l’idea di coinvolgere maggiormente la Cina non è morta in seno alla Commissione Trilaterale, tanto più tra i membri del Gruppo Asia Pacifico. “Quando due elefanti combattono, le formiche vengono calpestate. Quando due elefanti combattono fino alla morte, saremo tutti morti. E la domanda è: per cosa?”, hanno fatto notare i presenti riferendosi alla rivalità tra Cina e Stati Uniti.
Quale futuro?
Da quanto emerso dall’incontro di Tokyo, le élite asiatiche sono nervose perché il mondo starebbe andando nella direzione sbagliata, che includerebbe sia l’intensificarsi della concorrenza sino-americana, che il conseguente disaccoppiamento economico da Pechino. Gli inviati di Nikkei Review hanno raccontato che il problema, secondo molti partecipanti, coinciderebbe con gli Stati Uniti o, più nello specifico, nella propensione statunitense di voler esportare la propria ideologia dando vita ad un pericoloso gioco a somma zero.
“Dobbiamo sviluppare una strategia realizzabile per persuadere e coinvolgere anche i paesi che la pensano diversamente”, hanno fatto notare gli accademici asiatici. Un partecipante indiano ha parlato della necessità per la comunità internazionale di adattarsi a un’Asia in crescita: “La maggior parte delle istituzioni globali, il punto di ancoraggio, il centro di gravità è sempre stato in Occidente. Questo chiaramente deve cambiare. L’Asia-Pacifico deve essere il punto di ancoraggio e non c’è modo di desiderare che la Cina se ne vada”.
Dal punto di vista economico, il governo americano ha incoraggiato le aziende a “tornare a casa” o a investire in Paesi alleati o amici. Un economista sudcoreano ha fatto notare che Seoul dovrebbe inevitabilmente scegliere tra Stati Uniti e Cina: e questo varrà per molti altri governi. L’Asia, quindi, continuerà a spingere per la globalizzazione, abbracciando una posizione decisamente diversa dall’Occidente. L’idea di futuro è dunque asimmetrica. E non è detto che questo non possa portare ad uno scontro.
FONTE: https://insideover.ilgiornale.it/politica/il-futuro-del-mondo-nella-riunione-segreta-delle-elite-del-potere-globale.html
SCIENZE TECNOLOGIE
La Cina Accelera la produzione del J-20 Mighty Dragon contro F 22 e F 35 americani
La Cina ha accelerato la produzione del suo Mighty Dragon, il caccia stealth jengdu J-20, in impianti di produzione di prim’ordine nel Paese, per eguagliare la tecnologia di potenza aerea degli Stati Uniti nella regione. Secondo quanto riportato domenica dal South China Morning Post (SCMP), l’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) sta utilizzando linee di produzione pulsanti “di livello mondiale” per accelerare la consegna dei suoi caccia avanzati.
“L’aumento della produzione di J-20 ha lo scopo di bilanciare il crescente dispiegamento nella regione da parte degli Stati Uniti del loro aereo da superiorità aerea dominante, l’F-22, e di un altro caccia stealth di quinta generazione, l’F-35”, ha dichiarato un insider militare. “L’applicazione delle nuove linee di produzione pulsanti e dei motori nazionali ha spinto il numero di J-20 a eguagliare, o addirittura superare, il numero di F-22 Raptor statunitensi”
Sulla base dei numeri di serie e di funzionamento dipinti sugli aerei esposti all’air show di questo mese a Zhuhai, nella provincia di Guangdong, le stime precedenti suggerivano che la Cina potrebbe aver costruito almeno 200 J-20.
I numeri di serie dipinti su due dei quattro J-20 esposti all’air show hanno rivelato che Chengdu Aircraft Industry Group, lo sviluppatore del velivolo, ne ha consegnati almeno 140 nei suoi blocchi più recenti, il terzo e il quarto, ha affermato U.S. Defence News all’inizio del mese, citando l’esperto di aviazione militare Andreas Rupprecht. Si sostiene che l’invio da parte degli Stati Uniti di oltre 100 F-35 in Giappone e Corea del Sud nel 2017 abbia portato all’introduzione dei J-20 nella PLA.
Un aereo può essere assemblato utilizzando una linea di produzione continua una volta raggiunta la fase di assemblaggio finale, che richiede l’assemblaggio accurato dei grandi componenti strutturali e dei sistemi di controllo del volo, tra cui la cabina di pilotaggio, i motori, le ali, la coda, il carrello di atterraggio e il sistema di armamento.
Secondo Lockheed Martin, il fatto che le stazioni del sistema di allineamento e accoppiamento elettronico standardizzato siano tutte disposte verticalmente con piattaforme mobili consente di completare un maggior numero di lavori in un tempo più breve.
FONTE: https://scenarieconomici.it/la-cina-accelera-la-produzione-del-j-20-mighty-dragon-contro-f-22-e-f-35-americani/
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