RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 31 OTTOBRE 2024
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Non vivere su questa terra
come un inquilino
oppure in villeggiatura
nella natura
Vivi in questo mondo
come se fosse la casa di tuo padre
credi al grano al mare alla terra
ma soprattutto all’uomo
Nazim Hikmet, Poesie d’amore, Mondadori, 2002, pag. 208
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SOMMARIO
La riflessione sul ciclista che non compra e quindi blocca il circuito consumistico dell’economia
Dopo il voto, Crosetto darà all’Ucraina i missili “Storm Shadow” per colpire il territorio russo in profondità.
Allarme freddo: il piano B delle favole climatiche
Il Vaticano apre a trans e gay: possono essere testimoni di nozze, madrine e padrini
COSA VUOL DIRE AMORE
Con l’assassinio di Yahya Sinwar, Israele avvia il “Piano dei Generali
Ucraina nella Nato? Un trucco per non far finire la guerra
Il “pezzo africano” della terza guerra mondiale
TUTTO CONFERMATO. HAMAS È STATA FINANZIATA E SPINTA DA ISRAELE AFFINCHÈ NON SI COSTITUISSE UNO STATO PALESTINESE.
La Cina pubblica un rapporto sullo spionaggio statunitense su internet
La falsa accoglienza sulla pelle degli immigrati
Piantedosi, migranti e rischio terrorismo, la minaccia dal mare alla rotta balcanica: attenzione elevatissima
L’E-MAIL DEL GIUDICE PATARNELLO SULLA MELONI
L’Italia non è un Paese per vecchi
Americani più poveri e meno istruiti: i dem hanno sottovalutato e ora rischiano di perdere
ASCESA E CADUTA DEL TOTALITARISMO LIBERALE
CARLO SINI: “L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE È UNA SUPERSTIZIONE E UN FRAINTENDIMENTO”
Bill Gates sostiene gli scienziati del clima che fanno pressioni per la geoingegneria su larga scala
LA CLAMOROSA VERITÀ SULLE AUTOLINEE GREEN IN PIEMONTE. I BUS ELETTRICI SONO ALIMENTATI DA MEGAGENERATORI A GASOLIO.
Netanyahu: “Hitler non voleva sterminare gli ebrei, fu il Gran Mufti a dargli l’idea”
EDITORIALE
La riflessione sul ciclista che non compra e quindi blocca il circuito consumistico dell’economia
La riflessione sul ciclista che non compra e quindi blocca il circuito consumistico dell’economia sta facendo il giro della rete.
È stata attribuita all’amministratore delegato di una banca la EURO EXIM BANK Ltd. Il sito della banca riporta, come dovrebbe la composizione del consiglio d’amministrazione qui: https://euroeximbank.com/assets/docs/corporateProfile.pdf .
Il nome del banchiere non è francese. In giro il post appare attribuito al nome di un francese. Anche l’autorevole periodico QUATTRORUOTE lo ha pubblicato https://forum.quattroruote.it/threads/la-bicicletta-%C3%A8-la-morte-lenta-del-pianeta-ceo-di-euro-exim-bank-ltd.138612/ .
Forse una botta sui denti a questa finanziaria globale anglo indiana? Cosa ha fatto?
Vedete, da una notizia falsa a metà (LA PEGGIORE E LA PIU’ PERICOLOSA PERCHE’ CREDIBILE) ci si può scrivere un romanzo finanziario. Attenzione, perché poi i romanzieri sono etichettati come complottisti demmerda da sterminare… eheheheheheheh 👁
IN EVIDENZA
Dopo il voto, Crosetto darà all’Ucraina i missili “Storm Shadow” per colpire il territorio russo in profondità.
Alessandro Orsini 3 giugno 2024
Dopo il voto, Crosetto darà all’Ucraina i missili “Storm Shadow” per colpire il territorio russo in profondità. Infatti, Crosetto ha furbescamente rimandato il nuovo invio di armi al giorno successivo alle elezioni per ingannare meglio gli italiani. Crosetto si prepara anche per inviare i soldati italiani a sparare contro i russi in Ucraina. Per ora, Crosetto non lo dice perché ci sono le elezioni, ma si prepara eccome. I nostri soldati si addestrano a tal fine. Nelle esercitazioni della Nato, i soldati italiani studiano come attaccare i russi in Ucraina nel caso in cui fossero inviati a combatere in quel teatro di guerra. Lo ripeto: non fidatevi di Crosetto. Non c’è niente di sincero e di leale in quest’uomo. Crosetto è semplicemente un uomo della Casa Bianca. Dopo le elezioni, Crosetto farà ciò che Biden gli chiederà. Se Biden gli chiederà di inviare soldati italiani in Ucraina, Crosetto invierà i soldati italiani in Ucraina. Crosetto sta anche distruggendo la difesa anti-aerea italiana. Dopo il voto, Crosetto darà un secondo Samp-T a Zelensky giacché il primo Samp-T italiano pare sia stato distrutto dai russi a gennaio 2024. L’Italia aveva soltanto cinque Samp-T. Ce ne rimarranno soltanto tre. Crosetto non è diventato ministro della Difesa per tutelare gli interessi nazionali dell’Italia, ma per tutelare gli interessi della Casa Bianca contro quelli dell’Italia. Svegliatevi: Crosetto è il più grande nemico dell’Italia e dei nostri figli. Crosetto si sta organizzando per portare l’Italia nella Terza guerra mondiale. E ricordate: Giacomo Matteotti, da tutti celebrato, era un pacifista. Matteotti oggi sarebbe un nemico acerrimo di Guido Crosetto. Avanzi l’Italia, avanzi la pace. Risorga il movimento pacifista.
Fonte: https://x.com/orsiniufficiale/status/1797555516601688282?t=ZIgL80iv4v_zbKUhRyKtlQ&s=35
Allarme freddo: il piano B delle favole climatiche
Lo so che in Ucraina siamo vicini a un nuovo golpe con gli americani che sono alla disperata ricerca di qualcuno disposto a seguire l’illusoria linea del congelamento del fronte che ancora una volta non tiene conto dell’oste ovvero della Russia, lo so che a Gaza continua lo stupro dell’umanità da parte di una élite sionista che esprime una cultura primitiva dentro un popolo che invece ne esprimeva una complessa. So tutto questo eppure non riesco a fare a meno di esprimere indignazione per l’ultima trovata climatica anche se è vero che la radice della menzogna è la medesima. Bene sappiate che coloro che ci vogliono derubare di libertà, di democrazia e di beni con la prospettiva del riscaldamento globale, si stanno preparando a gestire lo scenario più probabile visti i lunghi e profondi minimi solari che ci attendono nei prossimi decenni, ovvero una decisa tendenza al raffreddamento.
Mentre i giornali dedicati al popolo caprino scrivono di record fasulli di caldo un nuovo allarme climatico, ma questa volta inverso, viene lanciato in Gran Bretagna, ovvero la possibilità che la corrente del golfo possa interrompersi causando una nuova era glaciale o comunque un deciso raffreddamento dell’Europa, Dunque un adattamento dell’allarme climatico che può essere usato per ogni evenienza, per il caldo e per il freddo. Tutto questo non ha alcun senso, si basa solo su modelli, e questi hanno anche portato il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) delle Nazioni Unite a prevedere che è “molto probabile” che l’intero sistema delle correnti del Nord Atlantico si indebolirà nel prossimo futuro. Inutile dire che tali modelli hanno un track record, ovvero dati tratti dall’esperienza reale pari a zero e questo è stato rivelato in un recente articolo pubblicato dalla Royal Society. “Se questi modelli non possono riprodurre le variazioni del passato, perché dovremmo essere così sicuri della loro capacità di predire il futuro ?” si chiedono gli autori dello studio.
La Corrente del Golfo fa parte di un sistema più ampio di correnti noto come Circolazione Meridionale Atlantica (AMOC). Si stima che portando acque più calde da sud si possa aumentare la temperatura delle zone costiere in alcune parti dell’emisfero settentrionale fino a 5° gradi centigradi così che la mancanza di questo termosifone potrebbe portare ad un drastico abbassamento delle temperature del continente. Ed è anche uno dei temi preferiti della fantascienza vacua e catastrofica di Hollywood. Naturalmente, dietro gran parte di queste assolute sciocchezze c’è la spinta politica verso il progetto Net Zero che sfrutta tali favole per l’ immonda ingegneria sociale che si vuole ottenere. Gli autori della Royal Society dicono ciò che è ovvio per qualsiasi intelligenza libera dai fili della falsa informazione e delle emotività un tanto al chilo: che i modelli climatici basati sul presupposto che gli esseri umani possano controllare la corrente del golfo risultano sbagliati da decenni. Né i modelli passati né quelli attuali riescono a rappresentare i dati osservativi reali. E aggiungono che se i modelli non possono riprodurre le variazioni del passato, perché dovrebbero essere credibili per il futuro?
Nel frattempo però siamo bombardati da allarmi climatici palesemente inadatti allo scopo, fatta eccezione, ovviamente, per il vitale lavoro politico di spaventare le popolazioni e spingerle a una diffusa conformità economica e sociale a Net Zero. L’uso di modelli climatici inadatti per promuovere il collasso della Corrente del Golfo come un’ eventualità probabile è una delle più eclatanti deviazioni della scienza utilizzata per sostenere obiettivi politici. Cosa che del resto già conosciamo in altri ambiti con la pandemia e con i vaccini per esempio. Ignorare un corpo sostanziale di dati empirici e di esperienze del mondo reale indica che la politicizzazione della scienza è diventata rapidamente patologica sia per la scienza stessa che per la società. Del resto questo era abbastanza inevitabile con la privatizzazione della conoscenza.
Ma insomma adesso ci dicono che la temperatura terrestre aumenterò di 4 gradi in 80 anni, mentre negli ultimi 25 anni è mediamente aumentata di 0,2 gradi e per giunta grazie anche a osservazioni non sempre corrette, ma ci dicono anche che può venire la glaciazione: questa spazzatura pseudo scientifica comincia davvero a puzzare.
FONTE: https://ilsimplicissimus2.com/2023/11/14/allarme-freddo-il-piano-b-delle-favole-climatiche/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Il Vaticano apre a trans e gay: possono essere testimoni di nozze, madrine e padrini
Le indicazioni rivoluzionarie arrivano dal Dicastero per la Dottrina della Fede e sono state controfirmate da Papa Francesco. I trans potranno anche ricevere il battesimo come i figli delle coppie gay
L’occasione per questa apertura rivoluzionaria arriva dalle risponde ad alcuni quesiti posti al Dicastero da mons. José Negri, vescovo di Santo Amaro in Brasile lo scorso luglio. Le domande riguardavano la possibile partecipazione ai sacramenti del battesimo e del matrimonio da parte di persone transessuali e di persone omoaffettive. Sono tutte risposte in punta di diritto canonico ma è immaginabile che scateneranno polemiche. Se per ricevere il battesimo, anche intuitivamente, è difficile immaginare l’esclusione da parte della Chiesa delle persone adulte che lo chiedono, per quanto riguarda la figura dei padrini di battesimo e di testimoni di nozze, ovvero le persone chiamate a sostenere gli interessati nella fede, le indicazioni del Vaticano sono forse senza precedenti. D’altronde l’argentino Fernandez risponde a quell’appello di Papa Francesco – “todos, todos, todos” – con il quale il Pontefice ha più volto chiesto di accogliere tutti nella Chiesa.
I transessuali e il battesimo
“Un transessuale, che si fosse anche sottoposto a trattamento ormonale e ad intervento chirurgico di riattribuzione di sesso, può ricevere il battesimo, alle medesime condizioni degli altri fedeli, se non vi sono situazioni in cui c’è il rischio di generare pubblico scandalo o disorientamento nei fedeli. Nel caso di bambini o adolescenti con problematiche di natura transessuale, se ben preparati e disposti, questi possono ricevere il Battesimo”, è l’indicazione del Vaticano. Un trans può essere anche testimone di nozze o padrino di un battezzato: “A determinate condizioni, si può ammettere al compito di padrino o madrina un transessuale adulto che si fosse anche sottoposto a trattamento ormonale e a intervento chirurgico di riattribuzione di sesso. Non costituendo però tale compito un diritto, la prudenza pastorale esige che esso non venga consentito qualora si verificasse pericolo di scandalo”.
Il battesimo per figli di genitori gay
Si affronta anche il problema dei genitori gay o di quelli che hanno avuto il figlio attraverso la gestazione per altri. “Due persone omoaffettive possono figurare come genitori di un bambino, che deve essere battezzato, e che fu adottato o ottenuto con altri metodi come l’utero in affitto?”, chiedeva al Vaticano il vescovo del Brasile. La risposta del Dicastero della Fede: “Perché il bambino venga battezzato ci deve essere la fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica”.
FONTE: https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/vaticano-trans-gay-battesimi-padrini_72605404-202302k.shtml
COSA VUOL DIRE AMORE
20 04 2024
Un gruppo di psicologi ha posto la domanda “cosa vuol dire amore?” a bambini dai 4 agli 8 anni. Queste le risposte:
- L’amore è quando esci a mangiare e dai un sacco di patatine fritte a qualcuno senza volere che l’altro le dia a te.
(Gianluca, 6 anni).
- Quando nonna aveva l’artrite e non poteva mettersi più lo smalto, nonno lo faceva per lei anche se aveva l’artrite pure lui. Questo è l’amore.
(Rebecca, 8 anni).
- L’amore è quando la ragazza si mette il profumo, il ragazzo il dopobarba, poi escono insieme per annusarsi.
(Martina, 5 anni).
- L’amore è la prima cosa che si sente, prima che arrivi la cattiveria.
(Carlo, 5 anni).
- L’amore è quando qualcuno ti fa del male e tu sei molto arrabbiato, ma non strilli per non farlo piangere.
(Susanna, 5 anni).
- L’amore è quella cosa che ci fa sorridere quando siamo stanchi.
(Tommaso, 4 anni).
- L’amore è quando mamma fa il caffè per papà e lo assaggia prima per assicurarsi che sia buono.
(Daniele, 7 anni).
- L’amore è quando mamma dà a papà il pezzo più buono del pollo.
(Elena, 5 anni).
- L’amore è quando il mio cane mi lecca la faccia, anche se l’ho lasciato solo tutta la giornata.
(Anna Maria, 4 anni).
- Non bisogna mai dire “ti amo” se non è vero. Ma se è vero bisogna dirlo tante volte. Le persone dimenticano.
(Jessica, 8 anni).
CONFLITTI GEOPOLITICI
Con l’assassinio di Yahya Sinwar, Israele avvia il “Piano dei Generali: deportare tutti i palestinesi e trasformare Gaza in una terra occupata dai coloni israeliani” (Mike Ludwig – Truthout)
Per contrastare le esultanti quanto sterili ovazioni dei media atlantisti italiani sull’assassinio di Yahya Sinwar, leader di Hamas, proponiamo una lucida e indipendente analisi di Mike Ludwig pubblicata sul stito di informazione americano Truthout, un’organizzazione giornalistica senza scopo di lucro, dedicata a fornire resoconti e commenti indipendenti su una vasta gamma di questioni di giustizia sociale. Fondata nel 2001 Truthout ancora il lavoro giornalista a principi di accuratezza, trasparenza e indipendenza dall’influenza di forze aziendali e politiche.
Le forze israeliane hanno ucciso il leader di Hamas Yahya Sinwar in combattimento il 17 ottobre, sollevando brevemente interrogativi sulla prossima fase della guerra di Israele a Gaza. Sebbene Israele abbia da tempo dichiarato Sinwar uno degli obiettivi più importanti della sua campagna militare, non si vede ancora la fine della guerra dopo 13 mesi di carneficina e morte di massa. La morte di Sinwar, ampiamente considerato l’architetto degli attacchi del 7 ottobre che hanno scatenato la sanguinosa campagna di vendetta di Israele, potrebbe essere solo un punto di svolta in un più ampio processo genocida per rendere Gaza invivibile per i palestinesi.
La morte di Sinwar è avvenuta dopo quelli che alcuni giornalisti di Gaza hanno definito “i giorni più difficili” della guerra di Israele. I gruppi israeliani per i diritti umani hanno avvertito all’inizio di questa settimana che l’esercito sta silenziosamente implementando parti del cosiddetto “Piano dei Generali”, che prevede lo sfollamento forzato dei circa 400.000 civili nel nord di Gaza assediando e facendo morire di fame la popolazione, e poi attaccando coloro che si rifiutano di andarsene. I resoconti dei media hanno citato soldati israeliani sul campo che hanno fatto affermazioni simili suggerendo che è in corso una deliberata pulizia etnica, anche se il Piano dei generali non è una politica ufficiale.
I gruppi umanitari affermano che il nord di Gaza sta venendo “spazzato via dalla mappa”, con centinaia di migliaia di civili intrappolati mentre le bombe cadono sulle loro case, tende e rifugi. Israele ha emesso ampi “ordini di evacuazione” per i civili nel nord di Gaza, ma molti sono già stati sfollati o sono intrappolati in aree assediate.
Decine di civili nella zona sono stati uccisi in attacchi aerei dal 1° ottobre, quando Israele ha interrotto le consegne di cibo e ha lanciato una devastante offensiva via terra e via aria dopo aver chiesto evacuazioni, dichiarando di fatto tutta la parte settentrionale di Gaza una zona militarizzata.
I civili sarebbero intrappolati nel campo profughi assediato di Jabalia. I medici dell’ospedale di al-Awda sopraffatto hanno detto all’esercito israeliano che non possono evacuare perché si prendono cura dei feriti e dei moribondi, mentre i massacri continuano quotidianamente. Giovedì, un altro attacco aereo su una scuola nel campo di Jabalia ha causato la morte di almeno 28 civili e il ferimento di altri 106. Israele ha affermato di aver preso di mira i militanti, ma Hind Khoudary, una giornalista di Gaza, ha affermato che Jabalia è stata “spazzata via”. Gli incessanti attacchi aerei israeliani hanno ucciso centinaia di palestinesi, compresi bambini, e hanno cancellato intere famiglie. I civili, intrappolati sotto le macerie, non hanno un posto sicuro dove andare.
In una dichiarazione all’inizio della settimana, 38 gruppi di aiuti internazionali hanno affermato che l’assalto al nord di Gaza è aumentato fino a un “terribile livello di atrocità… Questa non è un’evacuazione, è uno spostamento forzato sotto tiro”. Lo spostamento forzato di Israele nel nord di Gaza e il suo rifiuto di consentire l’ingresso di aiuti adeguati nel territorio sono illegali secondo il diritto internazionale, hanno affermato i gruppi, così come qualsiasi tentativo di restringere i confini di Gaza e di impadronirsi di altro territorio palestinese. I civili non devono essere costretti a scegliere tra restare nelle loro case e ricevere aiuti umanitari.
Nel frattempo, diversi membri del partito politico di destra del Primo Ministro Benjamin Netanyahu, L ikud, si dice che stiano pianificando di partecipare a una conferenza il 21 ottobre, dove gli attivisti religiosi israeliani discuteranno i piani per colonizzare Gaza stabilendo nuove case per coloni ebrei estremisti. Israele ha precedentemente evacuato gli insediamenti illegali da Gaza nel 2005.
Per decenni, l’espansione degli insediamenti illegali riservati agli ebrei ha permesso a Israele di annettere lentamente parti della Cisgiordania e di cacciare i palestinesi dalla loro terra in violazione del diritto internazionale. L’annessione della Cisgiordania è una priorità assoluta per i ministri suprematisti ebrei che sostengono Netanyahu e il suo governo di estrema destra. Itamar Ben-Gvir, ministro estremista della sicurezza nazionale israeliano, ha chiesto insediamenti illegali a Gaza durante il corso della guerra.
È stato in queste condizioni che le truppe israeliane avrebbero trovato il corpo di Sinwar tra le macerie dopo aver combattuto a Rafah, nella Striscia di Gaza meridionale. I funzionari israeliani hanno confermato la sua identità giovedì dopo aver eseguito test forensi, secondo quanto riferito. Hamas ha confermato la sua morte venerdì e i dettagli stanno ancora emergendo. Giovedì le autorità israeliane hanno diffuso un video girato da un drone, che presumibilmente mostra Sinwar gravemente ferito in combattimento, disteso tra le rovine di un edificio. In quello che potrebbe essere letto come un ultimo atto di sfida, ha lanciato un bastone al drone che lo stava seguendo.
Dopo aver annunciato la morte di Sinwar, giovedì il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che le truppe israeliane continueranno a combattere fino a quando i restanti ostaggi del 7 ottobre non saranno recuperati e Hamas sarà sconfitto, potenzialmente preparando il terreno per un’occupazione militare a lungo termine di Gaza. Gli analisti affermano che Hamas potrebbe ancora nominare un nuovo leader a Gaza e continuare a combattere come ha fatto dopo le passate uccisioni dei suoi leader.
Khaled Elgindy, direttore degli affari israelo-palestinesi presso il Middle East Institute, ha affermato che la morte di Sinwar potrebbe dare ai leader israeliani la possibilità di dichiarare vittoria a Gaza e spingere per un cessate il fuoco e uno scambio di ostaggi dopo mesi di fallimentari negoziati con Hamas. Tuttavia, è improbabile che Netanyahu accetti un cessate il fuoco fino a quando non avrà raggiunto i suoi obiettivi politici.
“È più probabile che Netanyahu veda la morte di Sinwar come un’opportunità per ‘finire il lavoro’ e proseguire nel perseguimento della ‘vittoria totale’”, ha affermato Elgindy in una dichiarazione. “Se la morte di Sinwar possa o meno essere una leva per ottenere un cessate il fuoco dipende in gran parte dall’amministrazione Biden e se sia effettivamente disposta a esercitare una pressione pubblica significativa sul governo Netanyahu”.
In effetti, gli osservatori affermano che l’intensa violenza e gli sfollamenti a Gaza sono nell’interesse politico di Netanyahu. Senza il sostegno degli estremisti nel suo gabinetto come Ben-Gvir, la coalizione di governo del primo ministro potrebbe crollare. Una volta fuori dall’incarico, Netanyahu potrebbe affrontare accuse di corruzione in tribunale.
Nonostante le segnalazioni di rimproveri verbali da parte del presidente Joe Biden e dei suoi diplomatici, gli Stati Uniti hanno continuato a trasferire armi a Israele mentre commette sospetti crimini di guerra, tra cui l’attacco ai civili e lo sfollamento forzato di enormi fasce della popolazione di Gaza. Questo è diventato un problema politico interno per la campagna presidenziale del vicepresidente Kamala Harris, che sta perdendo il sostegno degli elettori musulmani e contrari alla guerra nel Michigan e in altri stati chiave indecisi.
Le richieste a Biden di fermare i trasferimenti di armi a Israele per prevenire carestie di massa e vittime civili a Gaza, o almeno di porre condizioni sui trasferimenti di armi in linea con la legge umanitaria degli Stati Uniti, hanno raggiunto il culmine nelle ultime settimane, quando Israele ha bloccato gli aiuti alla parte settentrionale di Gaza e ha iniziato a colpire la zona.
All’inizio di questa settimana, una lettera ai leader israeliani firmata dal Segretario di Stato americano Antony Blinken e dal Segretario alla Difesa Lloyd Austin è trapelata alla stampa. Datata 13 ottobre, la lettera lamentava che gli aiuti umanitari a Gaza erano diminuiti del 50 percento da quando Israele aveva promesso di consentirne di più nel territorio distrutto a marzo. La lettera chiede che Israele allenti le restrizioni sugli aiuti entro 30 giorni o affronti “implicazioni” politiche non specificate in base alle politiche statunitensi che regolano i trasferimenti internazionali di armi e l’assistenza umanitaria.
La lettera è stata inizialmente interpretata da alcuni media come una minaccia finale dell’amministrazione Biden di condizionare gli aiuti militari a Israele per migliorare la situazione dei civili a Gaza. Tuttavia, durante una conferenza stampa di mercoledì, il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller non è stato in grado di specificare quale parte degli aiuti militari statunitensi a Israele potrebbe potenzialmente essere sul ceppo entro 30 giorni, se ce ne saranno. La finestra temporale di 30 giorni ha anche sollevato dubbi sulla serietà della lettera, che non richiede un’azione immediata per affrontare la profonda sofferenza umana e rimanda le potenziali conseguenze fino a dopo le elezioni statunitensi di novembre.
Israele ha consentito a un flusso di camion di trasportare aiuti nel nord di Gaza dopo la fuga di notizie della lettera, ma i gruppi umanitari hanno affermato che non era affatto sufficiente a soddisfare le disperate esigenze sul campo. Linda Thomas-Greenfield, ambasciatrice statunitense presso le Nazioni Unite, ha affermato mercoledì che una “polizia y of starvation” è inaccettabile a Gaza, e gli Stati Uniti starebbero osservando attentamente per assicurarsi che Israele consenta più aiuti nella Striscia.
Mohamad Elmasry, professore di studi sui media al Doha Institute for Graduate Studies, ha sostenuto in un editoriale su Al Jazeera che la lettera a Israele da parte dei funzionari di Biden è solo una “distrazione”. Gli Stati Uniti sono il principale alleato e fornitore di armi di Israele, ma Israele ha ripetutamente ignorato i suggerimenti pubblici di Washington per la moderazione da quando è iniziata la guerra a Gaza, e l’amministrazione Biden non ha preso alcuna azione degna di nota in risposta, sostiene l’editoriale.
“Letta in questa luce, la lettera sembra essere un ultimo disperato tentativo di salvare le elezioni”, ha scritto Elmasry. “Harris potrebbe ora lamentarsi della sua censura pubblica nei confronti degli americani pro-palestinesi e della decisione di non consentire a un oratore palestinese di salire sul palco principale alla Democratic National Convention di agosto”.
Elmasry ha anche sostenuto che la lettera potrebbe essere parte di uno sforzo più ampio da parte dell’amministrazione Biden per evitare di essere accusata di complicità nel genocidio sulla scena internazionale. Ora che il “Piano dei generali” per lo sfollamento forzato e la fame deliberata sembra essere in corso nel nord di Gaza, l’amministrazione Biden sta esaurendo le scuse per quello che gli esperti delle Nazioni Unite chiamano il comportamento “genocida” di Israele.
Mike Ludwig – Truthout
FONTE: https://www.farodiroma.it/con-lassassinio-di-yahya-sinwar-israele-avvia-il-piano-dei-generali-deportare-tutti-i-palestinesi-e-trasformare-gaza-in-una-terra-occupata-dai-coloni-israeliani-mike-ludwig-truthout/
Ucraina nella Nato? Un trucco per non far finire la guerra
Tempo di lettura: 2 minuti
La visita imprevista di Lloyd Austin a Kiev ha suscitato speculazioni. Diversi analisti hanno visto il segnale di una qualche svolta, in particolare la possibilità che il Capo del Pentagono recasse in dono a Zelensky l’invito dell’Ucraina nella Nato o un qualche segnale positivo sul cosiddetto “piano per la vittoria” che negli ultimi giorni il presidente ucraino ha illustrato a tutti i suoi sponsor internazionali, ricevendo sorridenti elusioni.
Del “piano per la vittoria” e dell’invito nella Nato.
Secondo Strana la visita di Austin non aveva tale scopo: il cosiddetto piano per la vittoria è stato bocciato e così resterà fino alle elezioni americane né è sul tavolo l’idea di recapitare a Kiev un invito per entrare nella Nato.
Infatti, replicando a Le Monde, secondo il quale Londra e Parigi sarebbero propense a recapitare tale invito, il media ucraino sottolinea che, se anche fosse vero il placet dei due Paesi europei (cosa dubbia, stante che ne ha parlato solo Le Monde), il piano non ha ricevuto il sì decisivo, quello degli Stati Uniti.
Infatti, prosegue Strana, l’ipotetico assenso a un invito di Kiev nell’Alleanza Atlantica è “contraddetto dal comportamento del presidente americano, che ha deciso in modo piuttosto determinato di non incontrare Zelensky, prima durante [il vertice della Nato ] a Ramstein (incontro che, peraltro, alla fine si è dovuto annullare), e poi durante la sua visita a Berlino (sebbene il presidente ucraino fosse relativamente vicino, cioè a Bruxelles)”.
“Inoltre, va notato che questo ‘distacco’ di Biden si è palesato immediatamente dopo il viaggio di Zelensky negli Stati Uniti, nel corso del quale aveva illustrato il ‘piano per la vittoria’” di cui sopra. L’atteggiamento successivo di Biden, quindi, “è stato interpretato da molti come un rifiuto” delle querule insistenze di Zelensky.
Ennesimo ostacolo, di difficile rimozione, alla fine della guerra in Ucraina.
Fin qui, Strana conferma l’analisi di diversi opinionisti. Molto più interessante il motivo che Strana adduce al niet generalizzato all’invito dell’Ucraina all’NATO.
“La complessità di questa decisione per l’America e per l’Occidente nel suo insieme è comprensibile. Se ora, prima della fine della guerra, si invitasse l’Ucraina ad aderire all’Alleanza, anche senza che al momento sia accettata, ciò farebbe decadere la prospettiva di porre fine alla guerra per via diplomatica”.
“E questo perché l’obiettivo ufficiale della Russia in questa guerra è ottenere uno status di Paese neutrale e non allineato per Kiev. Dato che in questo momento le truppe russe hanno in mano l’iniziativa sul fronte, prima di un qualsiasi negoziato che coinvolga l’Occidente, Mosca chiederebbe che l’invito a Kiev venga ritirato. E ciò sarebbe impossibile per i Paesi NATO perché perderebbero la faccia”.
“Cioè, se ora accettassimo l’Ucraina nella NATO, le prospettive per eventuali negoziati triangolari Ucraina-Russia-Occidente sulla fine della guerra, se non del tutto impossibili, sarebbero però estremamente problematiche. E forse è questo il vero obiettivo di quanti sostengono l’invito dell’Ucraina nella NATO prima che la guerra abbia fine”.
FONTE: https://www.piccolenote.it/mondo/ucraina-nato-trucco-per-non-finire-guerra
Il “pezzo africano” della terza guerra mondiale
Giuseppe Masala – 18 Ottobre 2024
In quel grande mosaico che è la Guerra Mondiale “a pezzi” in corso in questa fase storica certamente gioca un ruolo cruciale il tassello che comprende il Mar Rosso, lo stretto di Bab al-Mandab e il Golfo di Aden. Come tutti sappiamo ad aver acceso i riflettori dei mass media occidentali su quest’area è il blocco al transito alle navi occidentali – tutt’ora in corso – decretato dagli Houthi, ovvero i ribelli filoiraniani yemeniti che controllano sostanzialmente la parte ovest del paese.
Come si può capire questo blocco è uno smacco gravissimo per gli armatori occidentali che si vedono costretti a far percorrere alle loro navi cargo la costosissima rotta di circumnavigazione dell’Africa con il fine di evitare i missili antinave delle milizie yemenite.
Questo enorme problema economico per l’Occidente ci fa però dimenticare che lo stretto di Bab al-Mandab non ha solo la sponda nord-est nella penisola arabica, ma ha anche la sponda sud-ovest nel continente africano e precisamente in quel quadrante comunemente noto come Corno d’Africa.
Anche in questa precisa area africana i rapporti internazionali si stanno muovendo ormai in maniera sempre più evidente verso un potenziale conflitto; sia chiaro, nei rapporti tra stati incidono questioni di natura storica, antropologica, etnica, religiosa peculiari dell’area territoriale, ma spesso si vede anche la mano delle grandi potenze mondiali che tentano di influenzare “il gioco regionale” per trarne vantaggio. Per ottenere questi obbiettivi spesso le grandi potenze fanno leva proprio sulle rivalità e i conflitti storici tra paesi; appoggiando l’alleato fedele che dovrà confrontarsi con il paese rivale – guarda caso – sostenuto dalla potenza mondiale avversaria. Ovviamente questo genere di strategia la si nota maggiormente in quelle aree di importanza strategica vitali per le grandi potenze o per la posizione geografica o perché in quell’area vi è magari abbondanza di materie prime di fondamentale importanza per l’economia. Il caso del Corno d’Africa è proprio quello di essere un’area geografica rivierasca di quel ganglio vitale dell’economia mondiale che è lo Stretto di Bab el-Mandab.
Che qualche cosa si stesse muovendo in questo quadrante del globo lo abbiamo capito appena è arrivato l’annuncio bomba dell’entrata dell’Etiopia nei BRICS+. Innanzitutto bisogna però chiarire che l’entrata nel club dei paesi alternativi all’Occidente di questo grande e popoloso paese di ben 115 milioni di abitanti che è l’Etiopia è, sostanzialmente, attribuibile al fatto che a partire dal 2000 ha avuto una travolgente crescita economica di circa il +9% di PIL all’anno dovuta all’istituzione dei cosiddetti parchi industriali che hanno attratto investimenti, attività produttive e lavoro da molte aree del mondo grazie ai bassi salari e alle leggi “poco costose” sul piano ambientale e sul piano fiscale.
L’enorme opportunità dell’entrata di Addis Abeba nei BRICS+ che potrebbe essere un rilevante volano economico si scontra però con un enorme handicap strategico: l’Etiopia non ha sbocchi diretti al mare. Ed è qui che ovviamente nasce il problema! Infatti immediatamente Addis Abeba si è attivata con un accorto lavorio diplomatico per risolvere l’impasse strategica, riuscendo nel 2023 ad ottenere dal Somaliland la concessione cinquantennale di un’area di 20 Km quadrati attorno al porto di Barbera.
E’ facile immaginare che – a questo punto – per la maggior parte dei lettori, sia necessaria una breve digressione storica, legata alla vicenda relativa allo stato del Somaliland. Questo stato è l’ex Somalia britannica che nel il 26 Giugno 1960 ha ottenuto l’indipendenza da Londra riunendosi il 1 Luglio dello stesso anno con la Somalia italiana che – sempre il 1 Luglio – ottenne l’indipendenza da Roma. Con lo scoppio della guerra civile somala del 1990 e il conseguente collasso dello stato del 1991 il Somaliland si ritirò dall’unione con l’entità statale dell’ex Somalia italiana, riguadagnando così l’indipendenza, questo però senza essere riconosciuta né dalla comunità internazionale né, tantomeno, da Mogadiscio.
Dopo tutto questo i già fragili equilibri di questo quadrante del globo sono completamente saltati, infatti il 10 di ottobre, durante un vertice tra Egitto, Eritrea e Somalia, tenutosi ad Asmara è stata annunziata la nascita tra i tre paesi di un patto per la sicurezza che da tutti gli osservatori (a partire dal prestigioso Foreign Policy) è stato definito come un asse contro l’Etiopia così da contenerne le ambizioni. Nella dichiarazione dei presidenti dei tre paesi non è mancata la sottolineatura che la Somalia ha il diritto di difendere la sua integrità territoriale; come si può comprendere si tratta di un chiaro riferimento alla indipendenza di fatto del Somaliland e indirettamente anche all’Etiopia che unico paese al mondo ne ha riconosciuto l’indipendenza ottenendo in cambio il tanto agognato sbocco nel Golfo di Aden.
A leggere le cronache di quei giorni però non siamo di fronte alle semplici dichiarazioni d’intenti ma a qualcosa di più concreto. Infatti sono stati segnalati aerei cargo egiziani che trasportano armi fino in Somalia, aumentando il rischio di una escalation tra Somaliland ed Etiopia da una parte e Somalia. Da notare inoltre che lo stesso Egitto ha in corso una ultradecennale disputa con Addis Abeba in merito alla costruzione della Grande Diga del Rinascimento progettata dall’Etiopia e che dovrebbe sbarrare il Nilo danneggiando così l’Egitto a causa della conseguente diminuzione del più fondamentale dei beni: l’acqua.
Ma c’è un ulteriore punto che desta allarme: la firma di un trattato di difesa comune tra la Somalia e la Turchia che prevede addestramento di truppe, consegna di armi, pattugliamento delle coste somale e dove, non manca il riferimento alla integrità territoriale Somala in relazione all’indipendenza del Somaliland ora riconosciuto da Addis Abeba. Un trattato questo tra la Somalia e il Sultano della Sublime Porta Erdogan che ovviamente fa da contrappeso all’entrata dell’Etiopia nel BRICS+ in considerazione del fatto che Ankara fa parte della Nato.
Non pare dunque azzardato sostenere la tesi che lungo tutto il bacino del Nilo (e parallelamente nel Mar Rosso se si considera lo Yemen) rischia di incendiarsi un altro enorme conflitto (mai dimenticare che in Sudan si combatte già una guerra civile con sullo sfondo diversi interessi stranieri…) che sarebbe l’ennesima sanguinosa puntata della Guerra Mondiale “a pezzi”.
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-il_pezzo_africano_della_terza_guerra_mondiale/29296_57242/
TUTTO CONFERMATO. HAMAS È STATA FINANZIATA E SPINTA DA ISRAELE AFFINCHÈ NON SI COSTITUISSE UNO STATO PALESTINESE. ORA LO DICONO A LA7.
🔥Spesso il nostro difetto, il difetto dei ‘complottisti’, è quello di dare le notizie e disvelare le verità con troppo anticipo. È successo con la ‘Pandemia’, con i ‘vaccini’, con la Geoingegneria, con l’Ucraina ed ora anche con la questione Israelo-Palestinese.
🔺️Seguo questo tema da decenni ed ho provato da subito a spiegare la vera origine di Hamas, creata e finanziata da Israele affinché contrastasse l’OLP di Yasser Arafat impedendo la creazione di uno scomodo (scomodo per i sionisti) Stato Palestinese.
⚡️Alcuni hanno ritenuto fosse una mia fantasia (è successo spesso negli ultimi 20 anni, alla fine però…) forse perché poco informati o forse perché troppo precipitosi.
🔺️Su La7 Peter Gomez spiega di aver intervistato l’ex Capo dei Servizi Segreti Israeliani che gli ha riferito che Hamas è una creatura di Israele e Netanyahu. Gomez usa uno squallido ‘politicamente corretto’ che non ci contraddistingue perché non abbiamo nè padroni e nè tantomeno sionisti cui dover rendere conto.
🔻Naturalmente la puntata della Panella incomincia con la bufala del kibbutz e dei 40 bambini. (la presenza di 40 bambini in un solo kibbutz è già una balla da sola, figuriamoci la decapitazione).
🏴☠️Non siamo qua per inventar favole. Aiutaci a diffondere.
▪️Approfondimenti
⚠️È FALSO! L’EX MILITARE DELL’INTELLIGENCE ISRAELIANA, L’ATTACCO DI HAMAS È UNA “FALSE FLAG”, OPERAZIONE PIANIFICATA DALL’ALTO. ECCO I MOTIVI.
➡️ t.me/ugofuoco/3272
⚠️LA VERITÀ SU HAMAS DAL PARLAMENTO TEDESCO. “È STATA CREATA DAI SERVIZI SEGRETI ISRAELIANI”
➡️ t.me/ugofuoco/3282
⚠️HAMAS FU CREATA DA ISRAELE PER COMBATTERE YASSER ARAFAT. ANNO 2009
➡️ t.me/ugofuoco/3273
⚠️NOTIZIA FALSA, L’ESERCITO ISRAELIANO SMENTISCE DI ESSERE A CONOSCENZA DI BAMBINI DECAPITATI DA HAMAS
➡️ t.me/ugofuoco/3285
⚠️STRAGE A GAZA. ATTENZIONE IMMAGINI FORTI
➡️ t.me/ugofuoco/3280
FONTE: https://t.me/ugofuoco/3286
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
La Cina pubblica un rapporto sullo spionaggio statunitense su internet
Il 14 ottobre le autorità cinesi hanno pubblicato un rapporto intitolato Volt Typhoon III: A Cyber Espionage and Disinformation Campaign conducted by US Governement Agencies (Volt Typhoon III: una campagna di cyberspionaggio e disinformazione condotta da agenzie governative statunitensi), che fa seguito a quelli pubblicati il 15 aprile (sul kit Marble) e l’8 luglio 2924 (sull’archiviazione e l’elaborazione di tutti i dati inviati attraverso cavi sottomarini).
Secondo questo documento, la denuncia di Washington di una presunta operazione di spionaggio cinese, Volt Typhoon, è un imbroglio: è stata in realtà Washington stessa a creare questo virus, attribuendolo ad altri per nascondere la propria sorveglianza generale delle comunicazioni internet.
Il documento prende in esame in particolare diverse operazioni contro autorità francesi (sotto Jacques Chirac e François Hollande), tedesche e giapponesi.
Questo articolo è l’editoriale del numero 104 di Voltaire, actualité internationale, una newsletter disponibile solo in francese, inglese, spagnolo e tedesco.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article221401.html
DIRITTI UMANI IMMIGRAZIONI
La falsa accoglienza sulla pelle degli immigrati
Chi specula davvero Sulla pelle degli immigrati? È la domanda al centro dell’incontro di ieri della serie “I venerdi della Bussola”, con Anna Bono, intervistata da Stefano Magni. Poiché a scanso di equivoci è proprio sulla loro pelle che una falsa concezione di “accoglienza” finisce per alimentare un mercato criminale.
Ma prima di tutto Magni ricorda la necessità di chiarire i termini: non «migranti», bensì «immigrati» in riferimento al Paese d’arrivo o «emigranti» in riferimento al Paese di partenza. Al tema Anna Bono ha dedicato sia Migranti!? Migranti!? Migranti!? (Ed. Segno, Feletto Umberto 2017) sia Migrazioni, emergenza del XXI secolo, edito nel 2015 per I libri della Bussola (qui).
«Nel caso specifico c’è un aggettivo che manca», specifica la Bono poiché ci riferiamo al «fenomeno dei flussi migratori illegali», di persone che riescono a entrare in Europa senza documenti, in modo irregolare, «sostenendo di essere dei profughi (…) in fuga da situazioni di estremo pericolo per la loro vita, la loro incolumità fisica, la loro libertà». Nessuno nega l’accoglienza ai rifugiati (quando lo sono realmente), «ma qui stiamo parlando di un fenomeno illegale che come tale deve essere considerato e trattato».
La soluzione del governo italiano di trasferire temporaneamente gli immigrati in due appositi centri in Albania per verificarne lo status – bocciata dal Tribunale di Roma – si basa su «una considerazione: la maggior parte degli irregolari chiede asilo ma non proviene da Paesi in cui sono in atto guerre o si verificano situazioni estreme e generalizzate di violenza». Se avessero diritto all’asilo verrebbero portati in Italia, altrimenti sarebbero rimandati nel Paese di provenienza. «Tutto questo nel rispetto della legalità, della Convenzione di Ginevra e del diritto internazionale, ma di questo parere non è stato il Tribunale di Roma». Questione analoga si è presentata con l’accordo tra il Regno Unito e un Paese africano stabile, il Rwanda. Ancora una volta, un «progetto mai decollato, anche se in Rwanda era già stato allestito tutto il necessario», perché bocciato dalla magistratura inglese.
Altri Paesi europei stanno pensando di adottare sistemi analoghi nel pieno rispetto del diritto internazionale: un rifugiato «chiede di essere accolto al sicuro, non importa se in Italia o altrove, finché non viene meno il pericolo che lo ha costretto a fuggire». Sottolineatura necessaria perché il mancato rispetto del diritto internazionale è un’accusa rivolta anche in termini morali. «Lo status di rifugiato non si nega a chi effettivamente lo chiede con diritto», casomai occorre chiedersi perché molti che percorrono migliaia di km per raggiungere un Paese sicuro in Europa, non abbiano potuto ottenere asilo e sicurezza necessaria molto prima», magari presi in carico dall’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati.
Altro caso eclatante, ricorda Magni, è il processo a carico del ministro Matteo Salvini che nel 2019 (allora al Viminale) impedì lo sbarco a Lampedusa di immigrati che, secondo l’accusa, avevano bisogno urgente di aiuto, dalla nave spagnola Open Arms che aveva deciso di portarli in Italia. «Nonostante il porto sicuro più vicino fosse in Tunisia», specifica la Bono. Persino Malta solitamente piuttosto restia si era detta disponibile ad accoglierli, come la stessa Spagna che avrebbe inviato una propria imbarcazione, ma «il capitano della nave aveva deciso che l’unico porto sicuro fosse italiano». Inoltre, «non era vero che queste persone fossero in balia delle onde, hanno ricevuto sempre cibo e medicinali. Alcune in difficoltà sono state sbarcate, mentre le rimanenti sono rimasti sull’imbarcazione: di qui l’accusa a Salvini di sequestro di persona». Accusa che si può ribaltare sul capitano della nave «che aveva tutte le opportunità di sbarcare (Tunisia, Malta, Spagna)» piuttosto che condurli fino in Italia.
Questi processi danno l’idea che l’accoglienza sia divenuta un principio fondamentale o addirittura “il” principio fondamentale, stando anche alle affermazioni del presidente Mattarella e di Papa Francesco, osserva Magni: «Ma noi veramente non accogliamo?». «Ma certo che accogliamo», risponde la Bono, «prestando fede alle dichiarazioni di persone» che si dicono profughi «come espediente per non essere rimandate nel loro Paese di origine».
Ma quanti sono davvero profughi e rifugiati? Dai dati del Viminale, «le percentuali più alte di concessione dello status di rifugiato sono al massimo il 14%».E si affaccia all’orizzonte una nuova categoria: «il migrante climatico». Eppure, «difficilmente chi ha questo problema percorre migliaia di km e può spendere migliaia di dollari», anzi lo fa spostandosi il meno possibile.
Inoltre nel mondo la maggior parte dei profughi sono quelli interni, gli sfollati, che «si spostano entro i confini del proprio Paese sperando che la crisi che li ha costretti a scappare si risolva più in fretta possibile».
Tirando le somme, Magni richiama «alcuni punti fermi. I profughi sono una percentuale minima rispetto alla massa degli immigrati, che non fuggono dalla miseria perché spendono somme esorbitanti». Allora chi è che sta effettivamente speculando sulla loro pelle? Soprattutto – la Bono risponde «con le stesse parole di alcuni leader africani di buona volontà» – le organizzazioni criminali che rappresentano l’Europa come l’Eldorado: «sono imprese commerciali illegali, miliardarie, che hanno tutto l’interesse a cercarsi clienti, convincendo famiglie e individui» con il miraggio di una nuova vita in Europa, naturalmente affidandosi a loro.
La risposta è quella dei vescovi africani, «in prima linea da anni per spiegare ai ragazzi e loro famiglie che emigrare è una scelta non sempre vincente», e soprattutto che «quella di emigrare illegalmente è sbagliata», anche grazie al racconto di chi è tornato indietro. Purtroppo ci sono «molti casi di giovani che hanno avvisato solo in procinto di imbarcarsi», oppure è stata la famiglia stessa a organizzarsi per mettere insieme la cifra.
Infine occorre tener presente che «gli scafisti sono solo l’ultimo anello di una catena» che parte dal momento in cui queste organizzazioni «prendono in carico il migrante illegale»: poiché un viaggio clandestino espone al rischio di essere intercettati e arrestati, il 90% lo fa affidandosi a queste organizzazioni criminali, che negli anni si sono «moltiplicate e ingrandite» e qualcuno le definisce «agenzie di viaggi illegali». Sono le uniche a guadagnarci, non certo gli immigrati. Ma questo fenomeno si può fermare? «La prima condizione è riconoscere che è un atto illegale che non giova a nessuno»; naturalmente la soluzione passa per la «collaborazione tra i Paesi di origine e di transito, ma soprattutto dalle Nazioni Unite e dalle autorità politiche e morali».
FONTE: https://lanuovabq.it/it/la-falsa-accoglienza-sulla-pelle-degli-immigrati
Piantedosi, migranti e rischio terrorismo, la minaccia dal mare alla rotta balcanica: attenzione elevatissima
Migranti, gestione e rischi tra monitoraggio e prevenzione: il ministro Piantedosi conferma l’allarme in corso, documentandone con analisi dei riscontri e dei numeri, la fondatezza. Nell’informativa alla Camera del 17 ottobre scorso il capo del Viminale lo aveva detto forte e chiaro: l’Italia è sottoposta a una pressione migratoria «fortissima» che rischia di portare a «radicalizzazioni islamiste». Oggi, in audizione al Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, il ministro dell’Interno lo ha ribadito ulteriormente, e con lo stesso vigore. Soffermandosi su quello che ha definito un «elevato rischio di infiltrazione terroristica tra i migranti in arrivo dalla rotta balcanica».
Migranti, Piantedosi: «Elevato rischio di infiltrazione terroristica tra migranti da rotta balcanica»
Così, nel corso del suo intervento, Piantedosi ha sottolineato a chiare lettere: «Nella riunione dello scorso 26 ottobre il Comitato analisi strategica antiterrorismo ha confermato la necessità di mantenere il rafforzamento delle misure di prevenzione e controllo in atto sul territorio nazionale. Più specificamente, le analisi condotte hanno chiarito che resta elevato il rischio di infiltrazione terroristica dei flussi migratori illegali via mare e via terra. Specialmente attraverso la frontiera con la Slovenia, rotta lungo la quale transita la maggior parte dei migranti provenienti dalla rotta balcanica».
I dati che giustificano l’allarme: «Alla frontiera con la Slovenia bloccati 438 irregolari, 15 arresti e 65 denunce»
Un allarme, quello che il ministro denuncia, argomentato con dati e fatti. Tanto che, sempre in audizione al Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, Piantedosi snocciola i numeri sullo stato dell’arte e certifica: «In riferimento all’attività di vigilanza alla frontiera con la Slovenia, faccio presente che, alla data del 5 novembre scorso, sono state controllate 28.573 persone in ingresso sul territorio nazionale e oltre 15.000 veicoli. L’attività sinora posta in essere ha consentito di rintracciare 438 cittadini stranieri in posizione irregolare e di dar luogo a 240 respingimenti e 15 arresti, di cui 12 per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E 65 denunce all’autorità giudiziaria».
Migranti, Piantedosi sulla cooperazione transfrontaliera tra monitoraggio e prevenzione
Tutto a fronte del fatto che, come ha aggiunto a stretto giro il ministro, «il dispositivo delle forze di polizia di frontiera vede impiegate nei servizi giornalieri 341 unità». Un attività di monitoraggio e prevenzione, quella messa in campo dal governo e eseguita dal Viminale, su cui il ministro ha sottolineato come, «nell’ottica di approfondire le attuali sfide relative alla rotta balcanica. E rafforzare le forme di cooperazione transfrontaliera, lo scorso 2 novembre ho incontrato a Trieste i miei omologhi sloveno e croato. In tale occasione – ha quindi proseguito Piantedosi – abbiamo in particolare concordato l’istituzione di Brigate miste delle Forze di polizia, sulla base della proficua esperienza fin qui maturata, con i servizi di pattugliamento congiunto».
Le “Brigate miste” in campo per una cooperazione operativa con Slovenia e Croazia
Concludendo sul punto come «la stabilizzazione di quest’ultimo meccanismo d’azione, attraverso le Brigate miste, consentirà di potenziare ulteriormente l’efficacia dell’attività di collaborazione trasnfrontaliera tra i nostri Paesi. Abbiamo, peraltro, condiviso con i colleghi di Slovenia e Croazia di avere nuovi incontri, nello stesso formato inaugurato a Trieste, per monitorare la situazione e proseguire sulla strada della cooperazione operativa».
Migranti, Piantedosi: attenzione elevatissima e sospensione Schengen con la Slovenia prorogata al 19 novembre
E allora, «sebbene al momento non risultino evidenze concrete e immediate di rischio terroristico per l’Italia, le tensioni internazionali e la fluidità della situazione esigono un elevatissimo livello di attenzione. In quanto la minaccia terroristica presenta spesso caratteri di fluidità e indeterminatezza», ha spiegato Piantedosi che, sulla sospensione di Schengen con la Slovenia ha anche reso noto che «la misura adottata dal governo a partire dal 21 ottobre e fino al 30 ottobre 2023 è stata prorogata di ulteriori 20 giorni fino al 19 novembre».
Migranti e rischio terrorismo, i dati: espulse 58 persone pericolose
Non solo. «A scopo preventivo, ho impartito specifiche direttive per l’intensificazione di ogni raccordo informativo tra le forze di polizia e le agenzie di intelligence, al fine di monitorare l’evoluzione del conflitto e i suoi possibili riflessi sui flussi migratori, sugli ingressi e sulle presenze nel territorio nazionale. In questo quadro grande importanza continua a rivestire il ricorso a provvedimenti di espulsione per l’allontanamento dal territorio nazionale di quegli stranieri connotati da profili di pericolosità per la sicurezza nazionale. L’attività di prevenzione ha condotto nell’anno in corso ad eseguire 58 espulsioni di stranieri pericolosi per la sicurezza nazionale». Un contesto in cui, ha quindi proseguito il ministro, «particolare attenzione viene rivolta al fenomeno dei foreign fighters e alle problematiche connesse al loro rientro, in relazione all’ipotesi che il nostro Paese possa costituire uno snodo logistico per la diaspora dei combattenti in fuga dal conflitto siro-iracheno», ha aggiunto.
Da inizio anno arrestati 16 estremisti
E ancora. «Al 31 ottobre 2023, l’attività di prevenzione, sviluppata mettendo a sistema le evidenze acquisite autonomamente. Nonché quelle veicolate attraverso i canali di cooperazione internazionale di polizia o di intelligence, ha consentito di arrestare 12 persone contigue agli ambienti dell’estremismo di matrice religiosa e sei soggetti riconducibili a formazioni terroristiche di matrice politico-nazionalista», ha annunciato il titolare del Viminale che poi, soffermandosi sul dato dei rimpatri, ha reso noto che quelli «avvenuti alla data del 31 ottobre 2023 indicano un totale di 3.960, rispetto ai 3.410 dell’analogo periodo di riferimento del 2022».
E 3.960 rimpatri con il 70% degli stranieri espulsi transitato per un Cpr
«In valori assoluti – ha quindi commentato il ministro – non sono dati particolarmente elevati, ma indicano una inversione di tendenza. E, soprattutto, indicano una correlazione statistica non confutabile: il 70 per cento degli stranieri rimpatriati è transitato per un Cpr. A cui si ricollega la constatazione che circa il 50 per cento degli stranieri lì trattenuti viene rimpatriato».
FONTE: https://www.secoloditalia.it/2023/11/piantedosi-migranti-e-rischio-terrorismo-la-minaccia-dal-mare-alla-rotta-balcanica-attenzione-elevatissima/
GIUSTIZIA E NORME
L’E-MAIL DEL GIUDICE PATARNELLO SULLA MELONI
Eh no, come sostengono i pretoriani della magistratura, colti da lancinanti bruciori anali: l’e-mail del giudice Patarnello va letta e analizzata nella sua interezza. E mica si può fare un “taglia e cuci”! Altrimenti, come dice il presidente dell’associazione nazionale magistrati, si suscitano “maliziose interpretazioni”.
E poiché non vogliamo essere maliziosi, vediamola questa “interezza”…
La missiva inizia con il ritratto della Meloni che, secondo il giudice: «non ha inchieste giudiziarie a suo carico e, quindi, non si muove per interessi personali ma per visioni politiche. E questo la rende molto più forte e anche molto più pericolosa».
E qui c’è da porsi una domanda logica e non maliziosa: per quale motivo secondo l’alto magistrato, un capo di governo, a suo stesso dire onesto, al di sopra di ogni sospetto e con degli ideali politici, dovrebbe essere pericoloso? Anzi, in quanto scevro da inchieste giudiziarie, “più pericoloso”? Dovrebbe essere il contrario.
Pericoloso lo è un corrotto, un disonesto, un ignavo voltagabbana, un meschino egoista, egocentrico, arrivista e senza valori.
Qual è la logica tortuosa e contorsionista del ragionamento del giudice?
E’ malizioso pensare che la forza e la pericolosità paventata dal magistrato consiste proprio nella rettitudine e, conseguentemente, nell’inattaccabilità del premier?
Perché, se così fosse, presupporrebbe una subdola voglia ricattatoria, realizzabile con l’apertura di una o più inchieste giudiziarie.
E questo sarebbe gravissimo.
Significherebbe ammettere che la magistratura fa una vera e propria opposizione politica.
Ma non dobbiamo essere maliziosi, anche perché il buon Patarnello lo smentisce apertamente:
«Non dobbiamo fare opposizione politica ma dobbiamo difendere la giurisdizione. Senza timidezze».
Oh! Nessuna lotta politica! Mi pare chiaro!
Certo, detto da un rappresentante di una corrente sinistra della magistratura che si dichiara orgogliosamente politica, fa un po’ ridere, ma meglio tardi che mai.
Ora basta solo renderlo chiaro a tutti gli altri magistrati e dovremmo stare apposto.
Dovremmo dirlo alla Apostolico, per esempio, che se ne va saltellando alle manifestazioni anti governative insieme ai centri sociali, urlando contro le forze dell’ordine, e poi sentenzia avverso le stesse leggi per le quali protesta.
Al giudice Degni, della Corte dei Conti, che, senza remora alcuna, si definisce un “economista di sinistra” e auspica il default per il nostro Paese solo per avere la soddisfazione di vedere i membri del governo “schiumare di rabbia”.
E in ultimo alla Silvia Albano, la giudice che ha riportato i migranti dall’Albania, e che è proprio il presidente di magistratura democratica, colei che raccoglie fondi per le ONG, comprese quelle rinviate a giudizio per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, e che dichiara tranquillamente che: “il giudice le sue idee e le sue convinzioni le mette nelle interpretazioni della legge”.
Che ce vò?
Convinciamoli tutti che finora hanno fatto delle minchiate e torniamo alla normalità… o no?
Ma al netto di paradossi, stramberie e bizzarrie varie, qual è il cuore della missiva?
Perché Patarnello scrive questa email?
Ecco il passaggio fondamentale:
«L’esecutivo intende riscrivere l’intera giurisdizione. A questo dobbiamo assolutamente porre rimedio. Possiamo e dobbiamo farlo».
Ecco qua il vero pericolo che si profila all’orizzonte! L’apocalisse in arrivo! L’Armageddon che incombe!
La riforma della giustizia.
Una riforma che potrebbe limitare lo strapotere della magistratura, rendendola più imparziale con la separazione delle carriere, più giusta con la responsabilità civile per i magistrati che sbagliano, più indipendente dalla politica con la riforma del CSM.
Tutte questioni che fanno tremare le vene ai polsi delle toghe siano esse rosse, gialle o arcobaleno.
Sì, i diritti umani, i paesi sicuri tutto quello che vi pare… ma il vero motivo per cui il governo è pericoloso e va fermato è questo.
E qui Patarnello lancia un chiaro appello per contrastare il pericolo, per cercare strategie atte a sventarlo.
E come?
Facendo gli scongiuri?
Cercando una fattucchiera per fare il malocchio?
O, forse, utilizzando il loro potere giudiziario?
Si può essere d’accordo o meno sulla riforma della giustizia, ma la divisione dei poteri è la base di un sistema democratico.
Questo governo è stato legittimamente eletto per attuarla (semmai ci riuscirà) tramite il potere legislativo ed esecutivo che detiene.
Chiamare a raccolta il potere giudiziario per tentare di bloccare l’azione di un governo che sta democraticamente svolgendo i suoi compiti, fa intravedere una vera e propria azione eversiva.
Fossi in Patarnello più che convocare adunate, mi concentrerei invece su una sola sua frase, tanto dirompente quanto veritiera:
«La magistratura è isolata nella società».
Mi fa piacere che si renda conto del terrificante calo di fiducia che i cittadini nutrono oggi nei loro confronti.
Ed è un aspetto questo sul quale dovrebbero ragionare.
E’ proprio qui che andrebbe “posto rimedio”.
Ignorarlo è sconsiderato e deleterio per tutti.
Soprattutto per coloro che sentenziano… in nome del popolo italiano
L’Italia non è un Paese per vecchi
Cass. civ., Sez. 3^, sentenza n. 15437/2023, udienza pubblica del 24 febbraio 2023, annulla una decisione d’appello per la quale a 65 anni la vita è sostanzialmente terminata.
La vicenda giudiziaria
Una donna muore dopo essere stata travolta da un’auto mentre attraversa la strada sulle strisce pedonali.
Il figlio cita in giudizio la guidatrice e la sua compagnia assicurativa per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali causati dal sinistro.
Si costituisce soltanto la compagnia, contestando unicamente l’entità del risarcimento e in particolare adducendo che la somma che aveva già corrisposto in sede stragiudiziale di € 210.000 – incassata dall’attore quale acconto – aveva già soddisfatto ogni pretesa.
Il tribunale accoglie la richiesta di parte attrice di risarcimento del danno da perdita del lavoro familiare della vittima (€ 80.000) e la sua ulteriore richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale (€ 275.000).
Rigetta invece le sue ulteriori richieste risarcitorie per la perdita del contributo economico che la vittima avrebbe destinato al risparmio e al figlio e per la perdita di chances in relazione al beneficio della quota di reddito destinato dalla suddetta al risparmio e al figlio.
Sia l’attore che la compagnia convenuta appellano la decisione di primo grado.
La Corte di appello rigetta l’appello principale e, in accoglimento parziale di quello incidentale della compagnia, ridetermina il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali nella complessiva somma di € 66.676,63.
L’attore ricorre per cassazione e la compagnia resiste con un controricorso.
La decisione della Corte di cassazione
Si anticipa subito che il collegio decidente ha accolto il ricorso del figlio della vittima.
Non è tanto questo che interessa, tuttavia, quanto piuttosto il non dissimulato sconcerto dei giudici di legittimità per la rozzezza e l’illogicità dei passaggi cruciali della motivazione della sentenza d’appello impugnata.
In effetti in quest’ultima si leggono espressioni del genere:
“al di là di un’aspettativa strettamente personale, non può ragionevolmente ritenersi che [la vittima] che all’epoca della morte aveva [si indica l’età] avrebbe continuato a destinare somme e risparmi in favore del figlio, piuttosto che per la cura ed assistenza personale “;
“Né può trascurarsi di ipotizzare ragionevolmente che data l’età avanzata della [vittima], la stessa negli anni successivi si sarebbe trovata nella necessità di destinare tutta la pensione alle proprie esigenze (anche di salute) e addirittura di ricorrere lei stessa all’aiuto del figlio e ciò secondo regole di comune esperienza, tenuto conto del modesto importo della pensione“.
Il collegio decidente replica a sua volta che “come è percepibile ictu oculi, la Corte si è avvalsa, per disattendere le censure dell’appello incidentale, di una motivazione intessuta di asserti apodittici o anche contrastanti con quanto è notorio, e dunque illogici“.
È apodittica – osserva il collegio – la considerazione per cui l’età anziana della madre dell’attore faceva sì che, quand’anche non fosse deceduta per il sinistro, di lì a poco avrebbe perso qualsiasi capacità e sarebbe stata costretta a chiedere aiuto al figlio e destinare il suo denaro alle cure richieste dalla sua decadente salute.
E aggiunge: “l’argomento della vita ormai terminata” è “un asserto che serpeggia per tutta la motivazione, di per sé non particolarmente estesa […] e che ne costituisce un vero e proprio perno; la sua incidenza, peraltro, è di rilievo pari alla sua eccentricità“.
Ed ancora: “Ogni motivazione può, naturalmente, avvalersi di dati riconducibili al notorio per strutturare il proprio logico percorso. Nel caso in esame si è verificato l’inverso: la Corte di appello di xxx ritiene […] “che per una persona di genere femminile l’età di 65 anni sia ormai prossima a un grave dissesto fisico e alla morte, ragion per cui la donna quando fu investita si sarebbe trattato in sostanza di una piccola anticipazione della imminente fine della sua vita, o comunque della sua vita attiva“.
Ha buon gioco il collegio ad affermare che “la motivazione si presenta affetta da irragionevolezza/incomprensibilità, considerata la plurale utilizzazione di un simile argomento, per così dire, primario“.
Non basta ancora.
La decisione impugnata deraglia di nuovo, secondo i giudici di legittimità, su un altro tema ed è quello della convivenza della vittima col figlio.
Così testualmente motiva la Cassazione: “Radicalmente privo di razionalità/comprensibilità, è pure l’ulteriore argomento relativo alla convivenza di madre e figlio all’epoca dell’incidente. Ad avviso del giudice d’appello, sarebbe provata l’assenza della convivenza tra loro perché, da quanto prospettato dallo stesso [figlio] la [madre] “si intratteneva” in due diversi appartamenti, in uno dei quali “limitatamente al periodo delle ferie”. Da una simile prospettazione, seguendo l’ottica del giudice d’appello, dovrebbe allora desumersi che, quando una persona è proprietaria di un appartamento ove si reca a trascorrere le ferie, non è più convivente con lei chi abita nell’appartamento che non è di ferie. Anche questo è un argomento alquanto singolare proprio per la sua irragionevolezza ed incompatibilità col notorio, in quanto l’abitare immobili unicamente durante le ferie, sempre alla luce del fatto notorio, non modifica la vita ordinaria nell’abitazione di residenza, vita ordinaria che può comunque comportare la convivenza pure con altre persone“.
Il collegio ha conseguentemente accolto il ricorso principale ed annullato con rinvio la decisione impugnata.
Il commento
Si è portati a pensare che un collegio d’appello, formato da giudici che hanno ormai (dovrebbero avere) una rilevante esperienza di vita e di giudizi, sia in grado di assicurare decisioni che, quand’anche non raggiungano vette di raffinatezza giuridica, siano quantomeno conformi al buon senso.
Il caso appena descritto smentisce questa convinzione.
Per i giudici d’appello che hanno emesso la sentenza cassata una donna di 65 anni è, per così dire, un cadavere che cammina e l’unico futuro che le si prospetta è una progressione rapida e drammatica di decadenza fisica e perdita di ogni autonomia.
Aristotele, padre del sillogismo alla base di ogni sequenza indiziaria, si sarà rivoltato nella tomba.
Gli stessi giudici della Cassazione, la cui età media è di certo superiore a quella dei magistrati di prima nomina, avranno probabilmente fatto ogni tipo consentito di scongiuri discutendo il caso in camera di consiglio.
E anch’io, per quello che vale, mi adeguo.
Un ultimo pensiero – irriverente, lo ammetto – prima di concludere: saranno ancora della stessa idea i giudici d’appello quando toccherà a loro oltrepassare la fatidica soglia dei 65 anni?
PANORAMA INTERNAZIONALE
20 Ottobre 2024
Americani più poveri e meno istruiti: i dem hanno sottovalutato e ora rischiano di perdere
20 OTTOBRE 2024
Se è vero quanto i sondaggi riportano, e cioè che Trump è più popolare tra chi non è andato all’università ed ha redditi più bassi, mentre la Harris eccelle tra professionisti, laureati ed i più abbienti, l’impoverimento della popolazione americana durante la pandemia potrebbe significare una seconda vittoria di Trump.
Iniziamo dall’università. Un numero sempre minore di americani può permettersela, i costi sono proibitivi: le università migliori costano anche 90mila dollari l’anno ed in quattro anni si spendono 350mila dollari, per una famiglia mediana che guadagna 75mila dollari l’anno è impossibile affrontare questa spesa. Ma non basta, i giovani che decidono di indebitarsi per studiare devono fare i conti con salari futuri ed opportunità di lavoro meno allettanti di quelle dei loro genitori. Al momento ci sono più di 40 milioni di americani che devono pagare collettivamente 1.600 miliardi di dollari di prestiti contratti per studiare, una cifra che equivale a più del doppio del 2010. La domanda è: conviene indebitarsi per studiare?
A tutto ciò si aggiunge il debito delle famiglie che ha raggiunto il record di 18 mila miliardi di dollari, di cui più di mille miliardi appartiene alle carte di credito, che impongono tassi elevati. Come faranno gli americani a ripagarlo? Il debito pesa pesantemente sulle loro finanze e le prospettive non sono rosa.
La classe media americana non solo sprofonda nella povertà, diventa sempre più difficile entrarci. Secondo Bloomberg, per acquistare una casa, attributo fondamentale per far parte della classe media, il tradizionale 20 per cento di deposito ormai corrisponde all’83 per cento del reddito annuale medio, nel 2016 quando Trump vinse le elezioni era il 65 per cento. Come risparmiare abbastanza per permettersi un tale deposito? Comprare una macchina nuova, poi, costa almeno due settimane in più di lavoro per chi percepisce un reddito medio rispetto a quello che costava otto anni fa, e la spesa per la cura dei bambini equivale ad un terzo del reddito mediano settimane nel 2016 era meno di un quarto.
Gli americani possono permettersi sempre meno e diventano sempre più poveri e meno colti. Il 60 per cento degli appartenenti alla classe media sostiene che il costo della vita, ad esempio gli affitti o i mutui, colpisce così seriamente il proprio portafoglio che devono rinunciare ad attività che prima erano accessibili, dal comprare una macchina nuova alle vacanze. I più giovani che non possono permettersi di comprare una casa con i tassi al 6 per cento aspettano che si torni almeno al 3 per cento, ma questo livello non si verificherà fino alla prossima crisi ed a quel punto chissà cosa succederà all’occupazione?
Troppo poca attenzione è stata dedicata alle diseguaglianze economiche, il Partito democratico che ha governato negli ultimi quattro anni dovrebbe averne tenuto conto. C’è chi si domanda perché tanti soldi sono stati stanziati per guerre lontane e così pochi per i bisogni della classe media. Le promesse elettorali sono poca cosa, gli americani si sentono sempre più poveri e potrebbero penalizzare chi non ha prestato attenzione ai loro bisogni.
FONTE: https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/10/20/presidenziali-usa-diseguaglianze-poverta-voto-harris-trump/7735358/
POLITICA
ASCESA E CADUTA DEL TOTALITARISMO LIBERALE
Di Alessandro Pascale – Resistenza Popolare
La presente relazione è stata tenuta a Roma il 6 ottobre 2024, in occasione della IV sessione del Forum organizzato dalla Rete dei Comunisti dedicato al tema “Elogio del comunismo del Novecento”.
Il tema di cui tratterò riguarda il particolare tipo di regime che si è realizzato in Occidente negli ultimi 30 anni a seguito dell’intreccio tra la crisi del movimento comunista filosovietico, e del parallelo affinamento delle tecniche imperialiste di controllo sociale. Lo definisco un totalitarismo “liberale”, ossia una fase particolare della dittatura della borghesia, in cui questa classe è riuscita ad affermare in maniera pressoché totale non solo le proprie politiche economiche, ma anche il proprio modo di pensare e categorizzare la realtà; ciò ha comportato la piena vittoria della sua ideologia, il liberalismo, riuscendo a emarginare ogni altro paradigma politico alternativo, compreso quella marxista. Il totalitarismo liberale è la consacrazione del TINA (There is no alternative), ossia l’affermazione nel senso comune popolare dell’idea che non ci siano alternative possibili al modo di produzione capitalistico. Uso il termine “totalitarismo” non nel senso pessimistico di un controllo totalizzante, ma per descrivere simbolicamente il livello egemonico inedito raggiunto dalle classi dominanti sulla stragrande maggioranza della popolazione, riducendo all’insignificanza politica le capacità teoriche e pratiche della gran parte del proletariato, che dopo un secolo e mezzo di emancipazione intellettuale ed organizzativa, è tornato ad affidarsi alla guida politica di esponenti ed organizzazioni borghesi.
Questi temi erano ben presenti a Marx ed Engels, che già negli anni giovanili concludevano che “le idee dominanti sono le idee della classe dominante” e che il proletariato dovesse dotarsi di proprie organizzazioni di classe, emancipandosi dalla direzione borghese. Le gravi contraddizioni materiali derivanti però dall’industrializzazione nel XIX secolo, e ancora per la gran parte del XX secolo, risultavano in ogni caso ancora prevalenti rispetto alla capacità borghese di operare una “rivoluzione passiva”, ossia di imporre, grazie anche a misurate e contenute concessioni materiali, una certa ideologia, ossia una visione distorta della realtà, sulla maggioranza del proletariato, riuscendo ad attirare piuttosto nei propri ranghi gli strati dell’aristocrazia operaia, quelli che la borghesia chiama “ceti medi”.
Se pensatori come Lafargue e Lenin avevano dedicato attenzione al tema, è con Gramsci e la scuola di Francoforte che ci si è resi conto della sempre maggiore sussunzione entro schemi borghesi delle classi proletarie.
Che il capitalismo sia approdato ad un dominio totalitario è stato affermato da allora, più o meno esplicitamente, da molti autori: per primo negli anni ’60 da Herbert Marcuse, osservatore privilegiato della finta democrazia statunitense, in cui le élite borghesi sono riuscite a esprimere o controllare tutte le dirigenze politiche almeno dalla fine del XIX secolo. Ne L’uomo a una dimensione (1964) Marcuse afferma che il capitalismo avanzato crea una società ultra-conformista in cui le libertà sono limitate dalla manipolazione e dal controllo dei bisogni attraverso i mass media e la tecnologia. Nello stesso periodo Guy Débord ne La società dello spettacolo (1967), critica il capitalismo moderno come un sistema che riduce la vita sociale a una mera rappresentazione spettacolare, dove le relazioni autentiche sono sostituite da immagini e simulacri, creando le premesse per una forma di controllo totalitario che aliena gli individui dalla realtà e dai veri rapporti sociali. Negli anni ’70 Harry Braverman nel suo libro Lavoro e capitale monopolistico (1974), sostiene che il capitalismo moderno e il taylorismo, riducendo i lavoratori a semplici ingranaggi di una macchina produttiva, esercitano un controllo totale sulle loro vite lavorative. Michael Parenti ha parlato di una “Democrazia per pochi” (1974), criticando il sistema capitalista per il suo potere coercitivo e la sua capacità di manipolare le istituzioni democratiche. Alla fine del decennio Christopher Lasch ne La cultura del narcisismo (1979), giudica il capitalismo responsabile di una cultura dell’individualismo estremo e della competizione, che porta a una forma di controllo sociale attraverso l’auto-sorveglianza e il conformismo. Sono anni in cui Michel Foucault, con la sua teoria della biopolitica e dei micropoteri, denuncia un crescente controllo sociale forgiato attraverso pratiche quotidiane e regolamentazione della vita: un potere più sottile, pervasivo e nascosto, che gestisce la vita attraverso norme e regolamenti. Un controllo non apertamente oppressivo ma che si manifesta attraverso discipline, sorveglianza e normalizzazione. Fin dagli anni ’80 Noam Chomsky ha criticato il capitalismo per la sua tendenza a creare sistemi di controllo e oppressione attraverso le multinazionali e le élite economiche. In opere come La fabbrica del consenso (1988), Chomsky denuncia le tendenze totalitarie dei mass media, utilizzati per manipolare l’opinione pubblica e sostenere gli interessi delle élite. Negli anni ‘90 Robert Kurz nell’opera Il collasso della modernizzazione (1991) spiega come il capitalismo globale crei una forma di controllo totalitario attraverso la mercificazione e la finanziarizzazione della vita quotidiana, mentre Richard Sennett, ne L’uomo flessibile (1998), esplora come il modello neoliberista e il lavoro precario abbiano eroso le certezze e le identità personali, esercitando un forte controllo psicologico e sociale. La precarietà lavorativa e sociale genera quella “modernità liquida” di cui ha parlato Zygmunt Bauman descrivendo una fase storica in cui le strutture sociali diventano sempre più fluide, instabili e temporanee, generando una crescente precarietà nella vita individuale e nel campo intellettuale, con il conseguente rigetto di ogni ideologia “forte”. La deregolamentazione economica, la globalizzazione e la finanziarizzazione, pilastri del neoliberismo, oltre a trasformare il mercato del lavoro, hanno stravolto i rapporti sociali e l’identità individuale, generando una popolazione atomizzata e incapace di organizzarsi collettivamente. Una popolazione disarmata ideologicamente che cede così al paradigma del postmodernismo, l’ideologia del tardo capitalismo, per dirla con le parole del compianto Fredric Jameson: il postmodernismo è una condizione alienante caratterizzata dalla perdita di profondità, dalla fusione di cultura e mercato, e dalla difficoltà di pensare una trasformazione rivoluzionaria, perché la stessa capacità di immaginare alternative radicali al capitalismo viene erosa da un sistema in grado di assorbire l’intera esistenza umana. In tempi più recenti David Harvey ha mostrato nella Breve storia del neoliberismo (2005), come questo sistema abbia rafforzato il potere delle élite economiche, limitando ulteriormente le libertà democratiche, mentre Slavoj Žižek ha criticato il capitalismo globale come un sistema che, sotto la maschera della democrazia e della libertà di mercato, esercita un controllo pervasivo e totalitario sulla vita sociale, integrando e neutralizzando le critiche, rendendo così difficile ogni forma di resistenza significativa. Oggi viene riscoperto il Realismo capitalista (2009) di Mark Fisher, che descrive come il controllo ideologico-culturale esercitato dal capitalismo sfoci in una forma di realismo totalizzante che rende difficile immaginare alternative. Le denunce di Edward Snowden e il paradigma del “capitalismo della sorveglianza” di Shoshana Zuboff in tempi recenti hanno mostrato come perfino internet e i moderni mezzi informatici siano stati piegati a questa logica di controllo.
Questo ampio filone di critici, una parte dei quali riconducibili al cosiddetto “marxismo occidentale”, ha avuto sicuramente il merito di tenere aperta una critica rilevante nei confronti del regime attuale. Il loro limite è stato non aver saputo offrire una soluzione indicando un’alternativa politica, e questo è dovuto in primo luogo al loro rigetto pressoché totale del socialismo reale novecentesco, considerato da alcuni altrettanto totalitario dei modelli capitalistici occidentali. L’intellighenzia occidentale negli anni della guerra fredda è complessivamente scivolata da un’adesione ad un marxismo sempre più eterodosso, ad un idealismo liberale radicale critico ma utopistico. Il movimento comunista occidentale nel suo complesso ha seguito questa stessa china, seppur in tempi e modi diversi.
Ci sono ragioni precise di questa degenerazione: il dato centrale è che i processi del passaggio dal capitalismo concorrenziale a quello monopolistico – ossia all’imperialismo – e il sorgere di una società di massa immersa nell’alienazione consumistica (vd Pasolini), hanno creato i presupposti di una società totalitaria molto più efficace rispetto a quella nazifascista, perché fondata esteriormente sulla valorizzazione teorica e pratica di libertà civili sviluppate. Ne deriva un regime in cui si può continuare a contestare il potere, ma rimanendo per lo più inconsapevolmente negli schemi mentali del nemico, e quindi scadendo in soluzioni politiche non solo compatibili con il sistema, ma perfino in grado di rafforzarne la tenuta. La caratteristica politica principale di questo regime consiste nella capacità di controllare sia le maggioranze di governo, che le opposizioni: non solo quelle principali – dando luogo a finti bipolarismi – ma spesso anche quelle minori, convogliando una parte consistente del malessere popolare verso piattaforme e leader organici al sistema. Un esempio forte è costituito dalla mutazione storica della socialdemocrazia, diventata il più forte perno del social-imperialismo moderno, un sistema che nei suoi fondamentali non è così dissimile dal nazional-socialismo di Hitler, differenziandosi solo per un rigetto formale, ma non sostanziale, delle ideologie razziste, oltre che per l’accettazione di istituzioni fondate sullo stato di diritto, sulla divisione dei poteri e sul pluralismo partitico: strumenti che usati sapientemente impediscono il rafforzamento di reali alternative al capitalismo, come spiegato da autori come Huberman e Charles Wright Mills.
Ci sono molte altre cause, materiali e culturali, oggettive e soggettive, della degenerazione ideologica e politica che ha condotto alla crisi finale di Mosca e dei suoi alleati: non si possono qui ricordarle tutte, ma va fatto almeno un accenno alla sciagurata denuncia dello “stalinismo” da parte di Chruscev al XX Congresso del PCUS del 1956. Il suo discorso, non concordato con il gruppo dirigente del Partito – e pieno di falsità che sono state smontate definitivamente solo negli ultimi anni – ha danneggiato l’immagine non solo di Stalin, ma del comunismo come alternativa possibile, creando le premesse di lungo termine per la perdita di credibilità del paradigma marxista-leninista e del modello sovietico nel suo complesso, aprendo il campo alle “vie nazionali al socialismo” i cui risultati sono stati molto magri – con la significativa eccezione cinese, che proprio per il suo peso attuale va sicuramente attenzionata, rispettata e difesa dalle critiche di chi scade nel dogmatismo.
Di fronte al crollo del socialismo reale il residuale movimento comunista occidentale è degenerato rapidamente, sacrificando sull’altare non solo Stalin e Mao, ma anche Lenin ed Engels, rimanendo attaccato al solo Marx e avviando al più la riscoperta di altre correnti socialiste e marxiste eterodosse. L’abbandono del leninismo ha alimentato l’incapacità di contenere l’offensiva neoliberista, sfociata in una “seconda restaurazione” su cui si è eretto l’attuale totalitarismo “liberale” o, se preferite, “capitalista”, “borghese”: un regime capace di perpetuare se stesso grazie al controllo pressoché totale esercitato da una ristretta élite borghese transnazionale non solo sulle strutture economiche e politiche, ma anche su quelle culturali – compresi i circuiti mediatici principali e l’istruzione scolastica e accademica, che vanno a forgiare laureati ancor più indottrinati e arroganti. Questo regime continua a sussistere in Occidente nella sfera ideologica nonostante la crisi oggettiva di fiducia verso gli attuali gruppi dirigenti. Stando ad un rapporto del CENSIS del 2021, più del 50% degli italiani è convinto che esista una casta mondiale di superpotenti che controlla tutto, che le multinazionali sono le responsabili di tutto ciò che accade, e che esiste uno “Stato profondo”, non pienamente democratico, nelle mani di un gruppo di potenti composto da politici, alti burocrati e uomini d’affari. Questa coscienza diffusa del carattere elitario dell’attuale regime non si è però accompagnata ad una ripresa di paradigmi social-comunisti.
C’è quindi ampia consapevolezza dei limiti del sistema, ma manca l’idea di un’alternativa possibile. Possiamo riassumere il senso comune dominante con un paio di furbe formule di illustri rappresentanti della borghesia: il primo, Winston Churchill, eminente reazionario anticomunista, riconosceva che «il vizio tipico del capitalismo è l’ineguale distribuzione della ricchezza», ma anche che «la virtù intrinseca del socialismo è l’equa ripartizione della miseria». Il secondo, punto di riferimento della socialdemocrazia moderna, è John Maynard Keynes: «Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non mantiene le promesse. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi».
A 35 anni dalla caduta del muro di Berlino i comunisti non sono ancora riusciti a concretizzare una proposta moderna di un socialismo possibile per l’Occidente. Non solo, ma spesso sono regrediti su molti temi, tra cui in primo luogo l’analisi delle questioni internazionali e dell’imperialismo, dove in troppi blaterano di “opposti imperialismi” e rifiutano di riconoscere la legittimità degli sviluppi del Partito Comunista Cinese e del “marxismo orientale”; altri accusano di “stalinismo” o “rossobrunismo” chi difende il socialismo reale spiegando che la sua demonizzazione è conseguenza di un’efficace battaglia delle idee condotta dalla borghesia. Sia chiaro: la risposta ai nostri problemi non passa dall’elogio acritico del comunismo novecentesco, né dal mero recupero del marxismo-leninismo, ma certo è indispensabile spazzare via la mole di fango che è stata gettata dalla borghesia e dai critici di sinistra su tali sistemi e paradigmi. Trovare un bilancio equilibrato di queste esperienze senza essere subalterni al pensiero borghese è il primo passo necessario per gettare l’acqua sporca salvando il bambino, per usare una metafora cara agli organizzatori di questo meritorio evento.
Per ridare credibilità alla questione comunista non ci sono ricette magiche, ma credo siano necessari alcuni accorgimenti che andrei ad elencare di seguito:
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Continuare il riesame storico dell’ultimo secolo e combattere senza tregua il dilagante revisionismo anticomunista, concentrando l’attenzione sui meriti e le conquiste della nostra storia. I limiti, che pure ci sono stati, non vanno negati, ma storicizzati, identificandone la genesi nella violenta controffensiva borghese verso ogni forma di socialismo.
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Avere il coraggio di recuperare, valorizzare e approfondire il metodo di indagine della realtà proprio dei maestri del socialismo: non solo il materialismo storico, ma anche la dialettica materialista. Acquisire tale forma mentis apre la via alla lotta contro l’alienazione e la disinformazione sistematica che caratterizzano l’attuale regime.
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Prendere atto del livello pervasivo di condizionamento derivante dall’intreccio tra concentrazione estrema del potere e avvento del sistema industrial-tecnologico moderno. Nel contesto degli ultimi anni assume un valore particolare l’affermazione marxiana che “non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza”. Un regime elitario è in grado di determinare la coscienza dei singoli. Sotto l’imperialismo, in assenza di una significativa opposizione di classe, la struttura politica dominata da pochi borghesi può controllare milioni di persone senza colpo ferire. Che Guevara ha riassunto affermando che “le leggi del capitalismo, cieche e invisibili per il senso comune della gente, agiscono sull’individuo senza che questi se ne accorga”.
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L’imperialismo ha condotto in Occidente ad una concentrazione delle ricchezze maggiore rispetto ad un secolo fa. Molti studi hanno mostrato che poche migliaia di persone detengono il controllo delle principali strutture economiche mondiali. Adeguatamente organizzate, queste élite sono in grado di controllare e determinare non solo le agende politiche e mediatiche, ma anche questo condizionamento sociale di massa. Dobbiamo indagare e svelare gli strumenti di coordinamento della borghesia transnazionale, mostrando il carattere fittizio della democrazia liberale. Dobbiamo descrivere le modalità operative e l’operato classista non solo delle multinazionali occidentali, ma anche di organizzazioni come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’Unione Europea, la NATO, il World Economic Forum, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), l’OCSE, l’OMS, la Commissione Trilaterale, il Club di Roma, il club Bilderberg, il Council of Foreign Relations, la Royal Institute for International Affairs, il Comitato dei 300 e le svariate organizzazioni di stampo massonico organizzate in scale gerarchiche piramidali. Questo non è “complottismo”, termine non a caso inventato dall’FBI, ma la dimostrazione concreta che le élite dispongono di strumenti per coordinarsi e controllare centinaia (forse migliaia?) di organizzazioni collaterali, tra cui la gran parte delle ONG e delle Fondazioni più rilevanti esistenti. Chi non affronta questo tema, riconoscendo che l’agire politico-sociale non è sempre dettato da una razionalità economica, non capirà molte delle svolte future che aspettano l’umanità, così come molti non hanno ancora capito le implicazioni sotterranee della passata pandemia covid-19.
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Chiudo ricordando che la consapevolezza di vivere in una forma occulta di totalitarismo non impedisce né vanifica il senso e la necessità della militanza e della lotta, ma aiuta ad accrescere la consapevolezza delle forze in campo e la responsabilità storica che abbiamo di ricostruire l’avanguardia politica degli sfruttati. I comunisti potranno tornare ad intaccare l’egemonia borghese quando avranno aggiornato i propri paradigmi e ricostruito una forte unità organizzativa e politica contro il nemico comune. L’appello che faccio in rappresentanza di Resistenza Popolare è il seguente: procedendo in maniera sparsa, andando a traino delle mode e di personalità più o meno plasmate dal regime, non si riuscirà a ricostruire le casematte necessarie per rispondere alla guerra di classe con cui siamo stati colpiti nell’ultimo mezzo secolo, né tantomeno a dare una risposta al popolo riguardo alla terza guerra mondiale in atto. I singoli e i gruppetti da soli non potranno scalfire questo sistema; se saremo capaci di unirci si potrà invece diventare rapidamente un punto di riferimento per le anime più combattive e le coscienze pensanti di questo Paese. Abbiamo il dovere di superare le divisioni esistenti al nostro interno, e lavorare al rafforzamento di un fronte antimperialista di massa per sostenere l’Asse internazionale della Resistenza e procedere nei tempi più rapidi alla ricostruzione di un unico grande partito comunista per sostenere il popolo nella lotta al regime e nell’affermazione di una società socialista.
FONTE: https://lanuovabq.it/it/la-falsa-accoglienza-sulla-pelle-degli-immigrati
SCIENZE TECNOLOGIE
CARLO SINI: “L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE È UNA SUPERSTIZIONE E UN FRAINTENDIMENTO”
Carlo Sini parla di intelligenza artificiale negando la possibilità che le macchine costruite dall’uomo possano essere dotate di intelligenza:
“Un automa non può avere intelligenza e non può apprendere nulla, può effettuare operazioni ma solo in quanto programmato da un’intelligenza umana”. (Carlo Sini)
“Pertanto non c’è nulla da temere dalle macchine se non il fatto che possiamo usarle male, ma non in quanto la macchina diventi soggetto di un’azione che ci possa nuocere, ma perché noi non siamo all’altezza dell’operatività pratica. Quello che è preoccupante è quando gli scienziati credono alla possibilità di automi intelligenti, cedendo ad una superstizione naturalistica di cui parlava Husserl”. (Carlo Sini)
“Liberati da questa superstizione cartesiana, noi siamo in grado di iniziare un nuovo rapporto con il mondo e con le macchine come un rapporto etico, un rapporto per cui ogni conoscenza analitica e strumentale è una testimonianza del lavoro umano, perché senza la complessità del lavoro umano non c’è nulla. Pertanto sul piano di questa etica globale ancora da costruire la filosofia ha ancora un compito, se riesce a compierlo”. (Carlo Sini)
Video qui: https://www.youtube.com/watch?v=7SQnz6e9Srk
Bill Gates sostiene gli scienziati del clima che fanno pressioni per la geoingegneria su larga scala
Anche altri ricchi individui hanno finanziato una serie di rapporti sull’uso futuro delle tecnologie per la geoingegneria del clima
Cos’è la geoingegneria?
Gli scienziati criticano la gestione del progetto pilota di geoingegneria
Un piccolo gruppo di importanti climatologi, sostenuto finanziariamente da miliardari tra cui Bill Gates , sta facendo pressioni sui governi e sugli organismi internazionali affinché sostengano esperimenti di manipolazione del clima su scala globale per evitare cambiamenti climatici catastrofici.
Gli scienziati, che promuovono metodi di geoingegneria come l’irrorazione di milioni di tonnellate di particelle riflettenti di anidride solforosa a 30 miglia di altezza dalla Terra, sostengono che sarà necessario un “piano B” per il cambiamento climatico se l’ONU e i politici non riusciranno a trovare un accordo per apportare i tagli necessari ai gas serra, e affermano che il governo degli Stati Uniti e altri dovrebbero finanziare un importante programma di ricerca internazionale.
Le tecniche di geoingegneria solare sono molto controverse: mentre alcuni climatologi ritengono che potrebbero rivelarsi un modo rapido e relativamente economico per rallentare il riscaldamento globale, altri temono che, se applicate nell’alta atmosfera, potrebbero alterare irrimediabilmente i modelli delle precipitazioni e interferire con il clima terrestre.
La geoingegneria è osteggiata da molti ambientalisti, che affermano che la tecnologia potrebbe minare gli sforzi per ridurre le emissioni, e dai paesi in via di sviluppo che temono che possa essere usata come arma o dai paesi ricchi a loro vantaggio. Nel 2010, la Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica ha dichiarato una moratoria sugli esperimenti in mare e nello spazio, fatta eccezione per gli studi scientifici su piccola scala .
Cresce ora la preoccupazione che il piccolo ma influente gruppo di scienziati e i loro sostenitori possano avere un effetto sproporzionato sulle principali decisioni riguardanti la ricerca e le politiche sulla geoingegneria.
“Dovremo proteggerci dagli interessi acquisiti [e] assicurarci che le scelte non siano influenzate da parti che potrebbero guadagnare cifre considerevoli attraverso la scelta di modificare il clima, soprattutto utilizzando proprietà intellettuali esclusive”, ha affermato Jane Long, direttrice generale del Lawrence Livermore National Laboratory negli Stati Uniti, in un documento presentato a una recente conferenza di geoingegneria sull’etica.
“La posta in gioco è molto alta e gli scienziati non sono le persone più adatte ad affrontare i problemi sociali, etici o politici sollevati dalla geoingegneria”, ha affermato Doug Parr, scienziato capo di Greenpeace. “L’idea che un gruppo autoselezionato possa avere così tanta influenza è bizzarra”.
La pressione per trovare una rapida soluzione tecnologica al cambiamento climatico sta crescendo, poiché i politici non riescono a raggiungere un accordo per ridurre significativamente le emissioni. Nel 2009-2010, il governo degli Stati Uniti ha ricevuto richieste per oltre 2 miliardi di $ (1,2 miliardi di £) di sovvenzioni per la ricerca sulla geoingegneria, ma ha speso circa 100 milioni di $.
Oltre a Gates, altri ricchi individui tra cui Sir Richard Branson , il magnate delle sabbie bituminose Murray Edwards e il co-fondatore di Skype, Niklas Zennström, hanno finanziato una serie di relazioni ufficiali sull’uso futuro della tecnologia. Branson, che ha spesso chiesto la geoingegneria per combattere il cambiamento climatico, ha contribuito a finanziare l’inchiesta della Royal Society sulla gestione delle radiazioni solari l’anno scorso attraverso la sua organizzazione benefica Carbon War Room . Non si sa quanto abbia contribuito.
I professori David Keith , dell’Università di Harvard, e Ken Caldeira di Stanford, [vedi nota a piè di pagina] sono i due principali sostenitori mondiali di una ricerca importante sulla geoingegneria dell’alta atmosfera per fornire alla Terra uno scudo riflettente. Finora hanno ricevuto oltre 4,6 milioni di dollari da Gates per gestire il Fondo per la ricerca innovativa sul clima e l’energia (Ficer). Quasi metà del denaro di Ficer, che proviene direttamente dai fondi personali di Gates, è stato finora utilizzato per la loro ricerca, ma il resto è stato erogato da loro per finanziare il lavoro di altri sostenitori di interventi su larga scala.
Secondo le dichiarazioni di interessi finanziari, Keith riceve ogni anno una somma non rivelata da Bill Gates ed è presidente e azionista di maggioranza della società di geoingegneria Carbon Engineering , in cui sia Gates che Edwards hanno partecipazioni importanti, per un valore complessivo che si ritiene superi i 10 milioni di dollari.
Un’altra società Edwards, Canadian Natural Resources, ha in programma di spendere 25 miliardi di dollari per trasformare la sabbia bituminosa trovata nel nord dell’Alberta in barili di petrolio greggio. Caldeira dice di ricevere 375.000 dollari all’anno da Gates, di possedere un brevetto per la cattura del carbonio e di lavorare per Intellectual Ventures , una società privata di ricerca di geoingegneria di cui Gates è in parte proprietaria e gestita da Nathan Myhrvold, ex responsabile della tecnologia presso Microsoft.
Secondo gli ultimi resoconti Ficer, i due scienziati hanno finora donato 300.000 $ di denaro Gates per finanziare in parte tre importanti revisioni e valutazioni della geoingegneria: il rapporto della Royal Society britannica sulla gestione delle radiazioni solari , la task force statunitense sulla geoingegneria e un rapporto del 2009 di Novin, un think tank scientifico con sede a Santa Barbara, California. Keith e Caldeira hanno fatto parte dei comitati che hanno prodotto i rapporti o hanno fornito prove. Tutti e tre i rapporti hanno fortemente raccomandato ulteriori ricerche sulla gestione delle radiazioni solari.
Il fondo ha inoltre donato 600.000 dollari a Phil Rasch, capo climatologo del Pacific Northwest National Laboratory , uno dei 10 istituti di ricerca finanziati dal Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti.
Rasch ha fornito prove al primo rapporto della Royal Society sulla geoingegneria del 2009 ed è stato membro del panel nel rapporto del 2011. Ha testimoniato al Congresso degli Stati Uniti sulla necessità di finanziamenti governativi per la geoingegneria su larga scala. Inoltre, Caldeira e Keith hanno donato altri 240.000 $ ai sostenitori della geoingegneria per viaggiare e partecipare a workshop e riunioni e 100.000 $ a Jay Apt, un importante sostenitore della geoingegneria come ultima risorsa e professore di ingegneria alla Carnegie Mellon University. Apt ha lavorato con Keith e Aurora Flight Sciences , un’azienda statunitense che sviluppa la tecnologia dei droni per l’esercito statunitense, per studiare i costi dell’invio di 1 milione di tonnellate di particelle di solfato nell’atmosfera superiore all’anno.
L’analisi delle otto principali indagini nazionali e internazionali sulla geoingegneria degli ultimi tre anni mostra che Keith e Caldeira, Rasch e il Prof. Granger Morgan, capo del dipartimento di ingegneria e politica pubblica presso la Carnegie Mellon University dove lavora Keith, hanno fatto parte di sette commissioni, tra cui una istituita dall’ONU. Altri tre forti sostenitori della geoingegneria delle radiazioni solari, tra cui Rasch, hanno fatto parte di indagini nazionali in parte finanziate da Ficer.
“Ci sono chiari conflitti di interesse tra molte delle persone coinvolte nel dibattito”, ha affermato Diana Bronson, ricercatrice presso l’ETC, l’organismo di controllo sulla geoingegneria con sede a Montreal.
“Ciò che è davvero preoccupante è che lo stesso piccolo gruppo che lavora su tecnologie ad alto rischio che geoingegnerizzeranno il pianeta sta anche cercando di manipolare la discussione sulle norme e i regolamenti internazionali. Non possiamo mettere la volpe a capo del pollaio.”
“L’eco-cricca sta facendo pressioni per un’enorme iniezione di fondi pubblici nella ricerca sulla geoingegneria. Dominano praticamente ogni inchiesta sulla geoingegneria. Sono presenti in quasi tutte le deliberazioni degli esperti. Sono stati i principali consulenti delle inchieste parlamentari e congressuali e le loro opinioni, con ogni probabilità, domineranno le deliberazioni dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite, che per la prima volta si occuperà del groviglio scientifico ed etico che è l’ingegneria climatica”, ha affermato Clive Hamilton, professore di etica pubblica presso l’Australian National University, in un blog del Guardian.
Gli scienziati coinvolti rifiutano questa nozione. “Anche la percezione che [un piccolo gruppo di persone abbia] un’influenza illegittima [è] molto malsana per una tecnologia che ha un potere estremo sul mondo. Le preoccupazioni che un piccolo gruppo [stia] dominando il dibattito sono legittime, ma le cose non sono come prima”, ha detto Keith. “Sta cambiando man mano che paesi come India e Cina si coinvolgono. L’era in cui la mia voce o quella di pochi era dominante è finita. Abbiamo bisogno di un dibattito molto ampio”.
“Ogni scienziato ha un conflitto di interessi, perché vorremmo tutti vedere più risorse destinate allo studio di cose che troviamo interessanti”, ha detto Caldeira. “Ho troppa influenza? Mi sembra di averne troppo poca. Chiedo da anni di rendere illegali le emissioni di CO2, ma nessuno mi ascolta. Le persone che non sono d’accordo con me potrebbero pensare che ho troppa influenza. Il modo migliore per ridurre la mia influenza è avere più fondi pubblici per la ricerca disponibili, in modo che i nostri fondi siano nel rumore. Se il governo federale svolgesse il ruolo che dovrebbe in quest’area, non ci sarebbe bisogno di soldi da Gates.
“Per quanto riguarda i miei brevetti, ho ripetutamente affermato che se un brevetto di cui sono titolare dovesse mai essere utilizzato per modificare il clima, tutti i proventi che mi ricaveranno da questo utilizzo saranno donati a ONG e associazioni di beneficenza senza scopo di lucro. Non ho aspettative o interessi nello sviluppare un flusso di entrate personali basato sull’uso di questi brevetti per la modifica del clima”.
Rasch ha aggiunto: “Non ritengo che ci siano conflitti di interesse. Non faccio lobbying, non lavoro con brevetti o proprietà intellettuale, non faccio ricerche classificate e non lavoro con aziende a scopo di lucro. La ricerca che faccio sulla geoingegneria comporta simulazioni al computer e riflessioni sulle possibili conseguenze. La fondazione Ficer che ha finanziato la mia ricerca cerca di essere trasparente nelle sue attività, così come faccio io.”
Questo articolo è stato modificato l’8 febbraio 2012. L’originale affermava che Phil Rasch lavorava per Intellectual Ventures. Ciò è stato corretto. Questo articolo è stato ulteriormente modificato il 13 febbraio 2012. Il Prof. Caldeira ci ha chiesto di chiarire che il fatto che sostenga la ricerca sulla geoingegneria non significa che sostenga la geoingegneria.
FONTE: https://www.theguardian.com/environment/2012/feb/06/bill-gates-climate-scientists-geoengineering
LA CLAMOROSA VERITÀ SULLE AUTOLINEE GREEN IN PIEMONTE. I BUS ELETTRICI SONO ALIMENTATI DA MEGAGENERATORI A GASOLIO.
🔥Il green è una bufala enorme, ed anche se non lo fosse (ma lo è, cerchiamo di essere chiari) non sarebbe in alcun modo possibile convertire all’elettrico nemmeno una piccolissima parte del totale di veicoli pubblici e privati circolanti. Perché? Perché per ottenere la quantità di energia necessaria non è possibile far a meno delle fonti di energia impiegate sino ad oggi (lo ha affermato anche la Cina per bocca di Xi Jinping che ha detto che la transizione non si farà).
🔺️È per questo che si verificano clamorosi scandali come quelli che vi mostriamo di continuo.
⚡️In Piemonte le autolinee ‘green’ sono fasulle. Gli autobus elettrici sono alimentati da enormi generatori diesel.
🔻Considerando la distruzione ambientale necessaria per produrre batterie elettriche insieme al fatto che la dispersione di energia di queste ultime è molto più elevata che nei comuni mezzi a gasolio (CLICCA E VISIONA (https://t.me/ugofuoco/3170))…il disastro ambientale è l’elettrico.
▪️Approfondimenti a seguito, visionali tutti, è importante esserne informati.
⚠️GENERATORI DIESEL ALIMENTANO IL FESTIVAL DELL’ENERGIA FOTOVOLTAICA PERCHÉ MANCA IL SOLE
➡️ t.me/ugofuoco/4031
⚠️ELETTRICO A DIESEL. LINEE AUTOBUS ELETTRICHE OPERANTI IN AUSTRIA E TIROLO SONO ALIMENTATE DA MEGAGENERATORI DIESEL
➡️ t.me/ugofuoco/4081
⚠️NASCOSTI I GENERATORI DIESEL CON CUI IN GERMANIA VENGONO ALIMENTATE LE STAZIONI DI RICARICA PER VEICOLI ELETTRICI
➡️ t.me/ugofuoco/3914
⚠️CRIMINALI DEL GREEN. LE VERITÀ SULL’AUTO ELETTRICA DISVELATE DA REPORT, STA DISTRUGGENDO L’AMBIENTE
1️⃣ t.me/ugofuoco/3458
2️⃣ t.me/ugofuoco/3469
3️⃣ t.me/ugofuoco/2506
4️⃣ t.me/ugofuoco/2508
5️⃣ t.me/ugofuoco/3460
6️⃣ t.me/ugofuoco/3170
⚠️VERI MOTIVI PER I QUALI IMPONGONO AUTO ELETTRICA
➡️ t.me/ugofuoco/2496
⚠️SANGUE E IPOCRISIA, FINTA RIVOLUZIONE AMBIENTALISTA DI “ULTIMA GENERAZIONE”
1️⃣ t.me/ugofuoco/2612
2️⃣ t.me/ugofuoco/3177
FONTE: https://t.me/ugofuoco/4539
STORIA
Netanyahu: “Hitler non voleva sterminare gli ebrei, fu il Gran Mufti a dargli l’idea”
Il premier israeliano ha pronunciato parole sulla Shoah che stanno facendo discutere. “Così fa il gioco dei negazionisti dell’Olocausto”, ha detto il leader dell’opposizione Herzog. Il portavoce della Merkel: “La colpa ricade sulle spalle dei tedeschi”. E poi, messo alle strette, cerca di difendersi
Frasi che ovviamente fanno discutere, in Israele e fuori. “C’è un limite alla deformazione della storia” e le affermazioni di Netanyahu “fanno il gioco dei negazionisti dell’Olocausto”, ha attaccato il leader dell’opposizione israeliana Itzjak Herzog. Un altro deputato, il laburista Itzik Shmuli, ha chiesto che il premier si scusi con i sopravvissuti all’Olocausto. “Il capo del governo israeliano al servizio dei negazionisti! Questo non si era mai visto finora. Non è la prima volta che Netanyahu deforma la storia però una frottola di questa caratura è veramente nuova”, ha affermato, citato dal quotidiano Ynet.
In un intervento al congresso sionista mondiale, Netanyahu ha dichiarato ieri che “Hitler non voleva sterminare gli ebrei, solo espellerli”. Ma in un incontro avvenuto nel 1941 a Berlino, il muftì disse al leader nazista: “Se tu li espelli, verranno tutti qui (in Palestina)”. Allora, secondo Netanyahu, Hitler gli chiese: “Cosa dovrei fare con loro?”. E la risposta del muftì sarebbe stata: “Bruciali”. Come ricorda oggi il quotidiano Haaretz, Netanyahu aveva già sostenuto tale tesi in un discorso tenuto alla Knesset nel 2012, quando definì Husseini “uno dei principali architetti” della soluzione finale. Una ricostruzione avanzata da diversi storici, ha sottolineato il quotidiano, ma respinta dai più accreditati ricercatori sull’Olocausto.
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Interpellati oggi dal quotidiano Yedioth Aharonot, diversi storici hanno di nuovo respinto tale ricostruzione. Il professore Dan Michman, a capo dell’Istituto per la ricerca sull’Olocausto dell’Università di Bar-ilan, Tel Aviv, e presidente dell’Istituto internazionale per la ricerca sull’Olocausto dello Yad Vashem, ha confermato l’incontro tra Hitler e il muftì, sottolineando però che questo avvenne quando la soluzione finale era già stata avviata. Anche il presidente degli storici dello Yad Vashem, Dina Porat, ha respinto la ricostruzione di Netanyahu: “Non si può dire che è stato il muftì a dare a Hitler l’idea di uccidere o bruciare gli ebrei. Non è vero”.
“Lo Stato di Palestina denuncia le affermazioni (di Benyamin Netanyahu, sulla Shoah, ndr) in quanto moralmente indifendibili ed infiammatorie”. Lo afferma il segretario generale dell’Olp, Saeb Erekat. “Gli sforzi palestinesi contro il regime nazista sono profondamente radicati nella nostra storia” ha affermato Erekat, in un comunicato. “La Palestina non li dimenticherà mai, anche se sembra che il governo estremista di Netanyahu lo abbia fatto”. “A nome delle migliaia di palestinesi che hanno combattuto assieme alle truppe alleate in difesa delle giustizia internazionale – ha aggiunto – lo Stato di Palestina denuncia quelle affermazioni, moralmente indifendibili ed infiammatorie”. Con le sue dichiarazioni di ieri “Netanyahu ha incolpato i palestinesi dell’Olocausto, assolvendo completamente Adolf Hitler dell’odioso ed inaccettabile genocidio del popolo ebraico”. Queste affermazioni, secondo Erekat, “hanno l’effetto di approfondire le divisioni in un momento in cui una pace giusta e durature è più necessaria che mai”.
Una ricostruzione “storicamente inesatta”, “fuori dalla storia” e che “suscita ambiguità”. Si aggiunge anche il commento di Marcello Pezzetti, direttore scientifico del Museo della Shoah di Roma. “Fare un’affermazione di questo tipo è un fatto molto forte e bisogna avere un grande senso di responsabilità. I politici facciano i politici, gli storici facciano gli storici”, ammonisce il direttore del museo della shoah, che sottolinea come le affermazioni di un politico possano essere spesso “approssimative e superficiali”. E aggiunge: “Hitler ed il muftì erano sicuramente alleati, ma il primo incontro che ebbero i due avvene alla fine del novembre del 1941. In quel momento lo sterminio era già in atto, non è quindi certo lui ad aver convinto Hitler alla soluzione finale. Dire che il muftì ha una responsabilità sul processo decisionale è veramente molto azzardato: siamo fuori dalla storia, nel campo delle ipotesi del terzo tipo”.
Una versione che non convince neanche Berlino. Il portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert, è stato deciso: “Non c’è nessun motivo per cambiare la storia”. E ha continuato: “Conosciamo bene l’origine dei fatti ed è giusto che la responsabilità sia sulle spalle dei tedeschi”. “Non ho avuta alcuna intenzione di sollevare Hitler dalla responsabilità per l’Olocausto e la soluzione finale”: ha replicato alla fine Netanyahu mentre si imbarcava per un volo diretto in Germania in vista dell’incontro con la cancelliera Merkel. “Hitler è stato responsabile della soluzione finale e dello sterminio dei sei milioni. Fu lui a prendere la decisione”, ha detto il premier israeliano, “ma è ugualmente assurdo ignorare il ruolo avuto dal mufti…Che incoraggiò Hitler, Ribbentrop, Himmler e altri a sterminare gli ebrei europei”.
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