RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 4 APRILE 2022
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
La pena ha lo scopo di migliorare colui che la infligge – questa è l’ultima via di scampo per i difensori della pena.
NIETZSCHE, La gaia scienza. Idilli di Messina, Vol. V, tomo III, Adelphi, pag. 177 n. 219
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SOMMARIO
RIFLESSIONI SULLA PSICO-GUERRA RUSSO-UCRAINA
È la NATO che sta alla base della crisi ucraina e della sua soluzione
Ucraina: l’attacco lo lanciò la Nato otto anni fa
MADRE CATERINA NON TI VACCINI? E IO TI CHIUDO IL CONVENTO
La donna chiamata la Bestia
COLAO PRESENTA ID PAY: IL GREEN PASS TOTALE
DISVELATO IL TERZO MISTERO DI FATIMA
Considerazioni sul primo anno di una strana campagna vaccinale
RIA: LA CIA INVIERÀ MILIZIE SPECIALI AFGHANE IN UCRAINA
Kiev rifiuta i feriti, e la milizia seppellisce i militari ucraini morti
RACCONTO BREVE: METAMORFOSI SENZA METAFORE
SIAMO ETERNI
“Il massacro di Bucha”: il nuovo cinefantasy di Kiev su tutti i media filo Nato
“La Russia torna al Gold standard”. Lo stupefacente abbaglio della contro-contro informazione
E’ solo colpa nostra
Ucrainizzazione dell’Europa
SUICIDIO DI PUTIN IN VISTA
Hunter Biden ha ricevuto milioni di dollari dalla Cina
BREVE BESTIARIO DEI NUOVI FILO-OCCIDENTALI
Fermare il Regime di Washington e la sua “guerra infinita”!
4 semplici consigli per evitare i furti d’identità sui social media
Vittoria su tutta la linea dei complottisti
“Iraq, oltre il genocidio. 1.500.000 morti tra i quali 500.000 bambini”
EDITORIALE
RIFLESSIONI SULLA PSICO-GUERRA RUSSO-UCRAINA
Manlio Lo Presti – 4 aprile 2022
Qualcuno avrà notato che l’attuale tensione russo-ucraina è trattata ripetendo fedelmente lo schema sperimentato per l’informazione sul virus?
Nell’elenco seguente – indicativo ma non esaustivo – i passaggi operativi sono straordinariamente somiglianti:
- Al pari delle dozzine di virologi, assistiamo alla sfilata di professori universitari, di esperti in servizio presso giornali e/o strutture private di estrazione angloamericana che costituisce il fitto reticolo di “soft power” presente nel nostro Paese;
- La sceneggiatura delle trasmissioni degli esperti è identica a quella pandemica: ogni accademico e/o esperto di geopolitica, economia, spionaggio, giornalista, opinionista, ecc. esprime pareri differenti da quelli di altri. Il convenuto/a parla con una parete occupata alle sue spalle da una libreria o da una parete vuota. I filmati sono quelli di scarsa qualità tipici delle riunioni in rete, con una fonia mediocre. Questa comunicazione “spontanea” e “casareccia” conferisce un’aura di autenticità e spontaneità all’oratore invitato a vaticinare le sue riflessioni;
- Esigua presenza nei dibattiti di dissidenti dal pensiero prevalente. Di solito, il complottista dissidente è uno solo contro quattro cinque presenti allineati. Il diverso viene prontamente triturato dalla macchina dell’odio con la irrisione del suo aspetto fisico ed etichettato rapidamente come complottista, ignorante, disinformatore e filo-putiniano;
- Lancio ossessivo di filmati che riprendono edifici sventrati, di mezzi militari distrutti, di cadaveri senza il loro collegamento ad un contesto né ad una datazione;
- Profluvio abbondante di storie lacrimevoli con gente colpita dagli eventi armati: bombardamento emotivo che intende sopprimere la lucidità di una vera analisi;
- Ridurre tutto a contrapposizione manichea: buoni contro cattivi (gli altri dal momento che i buoni hanno ragione per diritto divino); ti vaccini o muori; buonisti contro coloro che sono spregiativamente e preventivamente definiti complottisti e no-vax (una induzione all’odio secondo il vangelo di Facebook, ma in questo caso “giusta” perché scatenata dai buonisti contro i dissidenti o i dubbiosi);
- Messaggi di contenuto quasi identici sparati a ripetizione dal Pensiero Dominante agli stessi orari (per rendere vano il salto da telecomando) su tutti i maggiori gruppi televisivi;
- Attivazione di almeno venti trasmissioni informative a tutte le ore della giornata;
- Fuoco di fila di notizie identiche sparate a mitraglia dalla maggioranza della carta stampata;
- Gare di solidarietà espressa in donazioni veicolate poi da reti distributive dalla morfologia non chiara ed opaca, affidata allo spontaneismo di persone di buona volontà e dal solito esercito di “volontari” privati. Le nazioni devono essere assenti da questo flusso. Considerata l’entità delle donazioni, nulla vieta di pensare che gran parte del danaro sarà oggetto di riciclaggio e convogliato in paradisi fiscali;
- Subordinazione ed allineamento rapido di tutti le forze parlamentari di tutti i Paesi europei alle direttive del Pensiero Dominante
- Irrilevanza dei partiti politici e del gioco democratico totalmente scavalcati e zittiti in nome dell’emergenza (anche in questo caso);
- Stato d’emergenza applicato alla gestione della immigrazione di ucraini, degli armamenti da fornire nonostante l’art. 78 Cost. che ripudia la guerra:
- Immigrazioni massicce (una prima ondata di 75.000 ucraini, con presenza -chissà perché- di bangladini e africani) eseguite dalla solita emergenza-senza-ostacoli-per-favore e grande impiego di organizzazioni “umanitarie private” e non piuttosto direttamente dagli Stati coinvolti. Ci sono molti soldi da spartire fra pochi “gestori” e da riciclare usando i canali “umanitari”? Nessun periodico o agenzia giornalistica indaga con serietà su questo tema. Chissà perché. Da notare che nel corso di questo conflitto non si sono verificati sbarchi dalla solita Africa con ondate di soliti bangladini. Chissà perché??? Nessuno indaga. Nessuno! Chissà perché?
- Pericolo di traffici di bambini, di prostituzione, di organi umani, di uteri in affitto (ma di questo è scorretto parlare), in assenza totale di controllo dei governi coinvolti che hanno l’ordine dagli Alti Comandi di non impicciarsi.
- Totale inerzia dell’ONU, dell’UNICEF, ma solo campo libero alle solite Ong private!
- Totale, scandaloso e imbarazzante oscuramento sulle responsabilità della NATO e del suo subordinato asse angloamericano. Qualche cenno viene fatto da uno sparuto drappello di opinionisti dubbiosi, ma sono messi all’angolo e spesso trucidati dall’incrocio dialettico delle trasmissioni “allineate”. Alcuni “dissidenti” per evitare la gogna mediatica non accettano l’invito a partecipare;
- Ripetizione del bispensiero per il quale esiste una parte “giusta” che ha sempre ragione. Le atrocità sono commesse da una parte sola (i soliti russi). Chi osa far presente che le atrocità sono presenti ovunque è letteralmente escluso dal circo e triturato seccamente dalla macchina del fango mediatico;
- Eliminazione di centinaia di migliaia di profili facebook che non sono conformi al vangelo del canale ospitante. La stessa facebook, tuttavia, lascia libertà di disprezzo e di parole d’odio contro i russi demmerda.
- Oscurate sistematicamente le immense responsabilità di atrocità umanitarie commesse dalla Nato e dai suoi maggiordomi USA e Inghilterra.
La narrazione dominante è pertanto costruita per non dare il tempo di pensare ma solo quello di introiettare acriticamente le pallottole mediatiche dentro un cervello indifeso, intimorito e immerso in una emergenza eterna.
Semanticamente, le parole d’ordine diffuse a ripetizione sono: accoglienza, sostenibilità, compassione a senso unico.
Manicheismo a tonnellate: esecrazione del mostro russo, bontà aprioristica della vittima ucraina, ecc.
Il tutto è permeato da: tensione, paura della povertà e precarietà, da sempre i fondamenti della sottomissione e del potere risultante.
E’ totalmente assente un serio lavoro di analisi storica, sociale ed economica del conflitto.
Abbiamo la sistematica demolizione delle facoltà di ragionamento e di comprensione dell’orizzonte degli eventi che è continuamente deformato da pratiche psicologiche costruite sulla paura e l’abitudine della popolazione alla fatalità delle cinquanta pandemie prossime venture e alle centinaia di conflitti imminenti.
In aggiunta, riporto i seguenti interrogativi:
- La strana obbedienza dei colossi multinazionali che sono andati via dalla Russia lasciando centinaia di punti vendita senza battere ciglio. Perché? Non è il profitto la guida unica delle strategie aziendali, oppure questo mito è falso perché il potere si basa su altro?
- Facebook registra la chiusura di quasi un miliardo di profili. I giornali dominanti dichiarano (al ribasso) enormi cali di vendite.
- Le televisioni allineate hanno spaventosi cali di ascolto. Tutto questo avviene nella calma delle imprese e/o filiere coinvolte dalla spettacolare contrazione senza fare un fiato. Senza una dichiarazione allarmata.
- Le borse si contraggono e subito dopo rialzano i listini. Un incremento che contraddice le imprese che hanno ridotto la loro presenza massiccia in Russia dove rastrellavano ragguardevoli profitti. Nessuno ne parla.
Tutti questi ragionamenti siano fonte di una riflessione fruttuosa e libera e di un pronto risveglio cognitivo …
È la psicopolitica, bellezza!
IN EVIDENZA
di Pino Arlacchi 25 02 2022
È l’Europa che ha in mano le chiavi per far cessare l’attacco militare della Russia all’Ucraina, solo che voglia decidersi ad agire invece di barcamenarsi tra Washington e il Cremlino come ha fatto fino adesso. I leader europei hanno dichiarato, in accordo con Biden, che non invieranno forze militari in Ucraina. Ciò equivale a dire che la NATO non ammetterà l’Ucraina fino a che la Russia considererà questo fatto un casus belli. E la Russia ha appena dimostrato precisamente ciò, segnalando che l’epoca dei giochi è terminata, e che vanno messe sul tavolo precise garanzie di sicurezza.
Con l’attacco all’Ucraina la Russia ha chiuso d’un colpo lo spazio di gioco diplomatico e politico entro cui si sono mossi, con un bel po’ di disinvoltura, Macron e Scholtz. Durante i colloqui con Putin delle scorse settimane i due avevano ribadito sottovoce, per non irritare gli americani, di non aver intenzione di aprire la NATO all’Ucraina. Ma per abbassare il prezzo della scelta avevano invitato Zelensky a fare il primo passo, dichiarando di avere rinunciato a chiedere di entrare nell’Alleanza Atlantica.
Kiev aveva in un primo momento acconsentito, e si era spinta fino al punto da far dire al suo ambasciatore a Londra che si poteva addirittura mettere in campo l’idea della neutralità dell’Ucraina.
Ma quando la Russia ha preteso di ufficializzare e mettere per iscritto tutto il discorso, ecco la marcia indietro di chi sperava di poter proseguire con una logora manfrina. Sia gli europei sia Biden hanno detto ni, pensando di poter protrarre la presa in giro di una potenza nucleare del calibro della Russia iniziata trenta anni addietro, con Boris Yeltsin, e continuata fino a tre giorni fa.
C’è chi sostiene che la vera questione per Putin non sia l’espansione della NATO ma la ricostituzione pura e semplice dell’impero russo. Peccato che non ci sia alcuna prova a sostegno di questo vaneggio.
Caduta l’URSS e disciolto il Patto di Varsavia (la NATO dell’altro lato), le potenze occidentali offrirono ampie assicurazioni ai leader russi che la NATO non si sarebbe espansa verso Est dopo l’unificazione tedesca.
Ma non fu messo nulla per iscritto. Non si fece alcun trattato, perché le due parti non lo ritennero necessario, visti i rapporti di cooperazione e di amicizia stabilitisi tra i due ex-nemici. E per un paio di anni dopo il 1989 la NATO stessa sembrò avere i giorni contati.
I russi avevano temuto da lungo tempo le invasioni dall’Ovest, che fosse Napoleone, Hitler o la NATO. I maggiori esperti americani di Russia, dal mitico George Kennan all’ambasciatore a Mosca Jack Matlock, al segretario alla difesa di Clinton, William Perry, furono unanimi nel ritenere che i timori russi erano fondati e che la loro richiesta di garanzie di sicurezza era legittima. L’allargamento della NATO verso est, quindi, era per loro un’idea unnecessary, reckless and provocative. La musica cambiò con l’inizio di questo secolo. Finita la Bell’Epoque clintoniana, arrivato George Bush e soci, si iniziarono ad usare subdoli argomenti per sostenere che gli accordi sulla NATO c’erano stati, ma non erano vincolanti. E si continuarono ad ammettere nell’Alleanza, uno dopo l’altro, tutti i Paesi ad est della Germania. Fino ad arrivare, con le repubbliche baltiche, ai confini stessi della Russia.La Russia si è sentita minacciata, e quando ha ritenuto che forze straniere intendessero trasformare una delle tre nazioni fondanti dell’identità culturale-religiosa e politica del popolo russo – l’altra è la Bielorussia – in una entità anti-russa militante, è intervenuta con la forza.
La soluzione?
Visto che nessuno ha intenzione di correre in soccorso militare dell’Ucraina, e visto che Putin finora non intende occupare il Paese, l’unica strada percorribile è un accordo che fornisca alla Russia le garanzie di sicurezza che richiede senza successo da trent’anni, in cambio della cessazione dell’attacco e di un impegno a lungo termine per il rispetto della sovranità dell’Ucraina. Ciò può avvenire per iniziativa europea, può includere la ripresa degli accordi di Minsk, ed anche la creazione di uno status di neutralità dell’Ucraina. Non è più tempo di manfrine. L’Ucraina ha diritto alla sua sovranità. La Russia non deve più sentirsi in pericolo. E l’Europa dovrebbe smetterla di scherzare con il fuoco solo per compiacere il suo padrone d’oltreatlantico.
FONTE: https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/22381-pino-arlacchi-e-la-nato-che-sta-alla-base-della-crisi-ucraina-e-della-sua-soluzione.html
Ucraina: l’attacco lo lanciò la Nato otto anni fa
di Manlio Dinucci
La commissaria Ursula von der Leyen ha annunciato che la Ue mette al bando l’agenzia di stampa russa Sputnik e il canale Russia Today così che «non possano più diffondere le loro menzogne per giustificare la guerra di Putin con la loro disinformazione tossica in Europa». La Ue instaura così ufficialmente l’orwelliano Ministero della Verità, che cancellando la memoria riscrive la storia. Viene messo fuorilegge chiunque non ripete la Verità trasmessa dalla Voce dell’America, agenzia ufficiale del governo Usa, che accusa la Russia di «orribile attacco completamente ingiustificato e non provocato contro l’Ucraina». Mettendomi fuorilegge, riporto qui in estrema sintesi la storia degli ultimi trent’anni cancellata dalla memoria.
Nel 1991, mentre terminava la guerra fredda con il dissolvimento del Patto di Varsavia e della stessa Unione Sovietica, gli Stati uniti scatenavano nel Golfo la prima guerra del dopo guerra fredda, annunciando al mondo che «non esiste alcun sostituto alla leadership degli Stati uniti, rimasti il solo Stato con una forza e una influenza globali».
Tre anni dopo, nel 1994, la Nato sotto comando Usa effettuava in Bosnia la sua prima azione diretta di guerra e nel 1999 attaccava la Jugoslavia: per 78 giorni, decollando soprattutto dalle basi italiane, 1.100 aerei effettuano 38 mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili che distruggevano in Serbia ponti e industrie, provocando vittime soprattutto tra i civili.
Mentre demoliva con la guerra la Jugoslavia, la Nato, tradendo la promessa fatta alla Russia di «non allargarsi di un pollice ad Est», iniziava la sua espansione ad Est sempre più a ridosso della Russia, che l’avrebbe portata in vent’anni a estendersi da 16 a 30 membri, incorporando paesi dell’ex Patto di Varsavia, dell’ex Urss e della ex Jugoslavia, preparandosi a includere ufficialmente anche Ucraina, Georgia e Bosnia Erzegovina, di fatto già nella Nato (il manifesto, Che cos’è e perché è pericoloso l’allargamento a Est della Nato, 22 febbraio 2022), Passando di guerra in guerra, Usa e Nato attaccavano e invadevano l’Afghanistan nel 2001 e l’Iraq nel 2003, demolivano con la guerra lo Stato libico nel 2011 e iniziavano tramite l’Isis la stessa operazione in Siria, in parte bloccata quattro anni dopo dall’intervento russo. Solo in Iraq, le due guerre e l’embargo uccidevano direttamente circa 2 milioni di persone, tra cui mezzo milione di bambini.
Nel febbraio 2014 la Nato, che dal 1991 si era impadronita di posti chiave in Ucraina, effettuava tramite formazioni neonaziste appositamente addestrate e armate, il colpo di stato che rovesciava il presidente dell’Ucraina regolarmente eletto. Esso era orchestrato in base a una precisa strategia: attaccare le popolazioni russe di Ucraina per provocare la risposta della Russia e aprire così una profonda frattura in Europa. Quando i russi di Crimea decidevano con il referendum di rientrare nella Russia di cui prima facevano parte, e i russi del Donbass (bombardati da Kiev anche col fosforo bianco) si trinceravano nelle due repubbliche, iniziava contro la Russia la escalation bellica della Nato. La sosteneva la Ue, in cui 21 dei 27 paesi membri appartengono alla Nato sotto comando Usa.
In questi otto anni, forze e basi Usa-Nato con capacità di attacco nucleare sono state dislocate in Europa ancora più a ridosso della Russia, ignorando i ripetuti avvertimenti di Mosca. Il 15 dicembre 2021 la Federazione Russa ha consegnato agli Stati Uniti d’America un articolato progetto di Trattato per disinnescare questa esplosiva situazione (il manifesto, «Mossa aggressiva» russa: Mosca propone la pace, 21 dicembre 2021). Non solo è stato anch’esso respinto ma, contemporaneamente, è cominciato lo schieramento di forze ucraine, di fatto sotto comando Usa-Nato, per un attacco su larga scala ai russi del Donbass. Da qui la decisione di Mosca di porre un alt alla escalation aggressiva Usa.Nato con l’operazione militare in Ucraina.
Manifestare contro la guerra cancellando la storia, significa contribuire consapevolmente o no alla frenetica campagna Usa-Nato-Ue che bolla la Russia quale pericoloso nemico, che spacca l’Europa per disegni imperiali di potere, trascinandoci alla catastrofe.
FONTE: https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/22433-manlio-dinucci-ucraina-l-attacco-lo-lancio-la-nato-otto-anni-fa.html
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
MADRE CATERINA NON TI VACCINI? E IO TI CHIUDO IL CONVENTO
La vicenda delle suore perugine apre l’interrogativo più grande: dove sta andando la Chiesa di Bergoglio?
di Valentina Bennati
comedonchisciotte.org
In un mondo sempre più chiuso alla trascendenza e che vuole confidare solo nella scienza come unica forma di conoscenza valida e come soluzione a tutti i problemi può, forse, apparire normale chiudere un convento e trasferire le monache che ci vivono perché rifiutano il vaccino anti-covid, ma normale non è affatto.
A maggior ragione che la mentalità dominante difende il diritto all’aborto, alla eutanasia e al suicidio assistito in nome di una libertà assoluta che vuole disporre totalmente di sé, finanche alla possibilità di cambiare sesso.
Dunque tutto è permesso e giustificato in questi tempi che stiamo attraversando, ma guai a esercitare il libero arbitrio per dire NO a certi farmaci, anche se si tratta di medicinali dalla dubbia sicurezza ed efficacia.
E così è successo che, a Perugia, il monastero benedettino di clausura intitolato a Santa Caterina d’Alessandria abbia ricevuto a febbraio un’inaspettata visita apostolica, una sorta di ispezione, e benché tutto sia stato trovato in ordine spiritualmente, economicamente e liturgicamente, si è appresa in questi giorni la notizia che verrà chiuso e le suore trasferite. Il motivo è che le stesse non si sono vaccinate e che la badessa non le ha costrette a farlo, è stata la stessa responsabile del convento suor Caterina, 62 anni, a confermarlo in un’intervista rilasciata al giornale online La Bussola Quotidiana.
Dopo le dichiarazioni della Madre Superiora il caso è deflagrato a livello mediatico costringendo ad una replica l’Arcidiocesi umbra. Precisa, a tal proposito, Fabio Giuseppe Carlo Carisio su Gospa news che l’Arcidiocesi “è guidata dal cardinale Gualtiero Bassetti convinto sostenitore dei vaccini anti-Covid nel suo ruolo nazionale di Presidente della Conferenza Episcopale Italiana a dispetto del duplice contagio Covid-19 che si è preso nonostante i sieri genici sperimentali antiCovid”. Carisio, nel suo articolo, riporta la nota giunta dalla Curia che smentisce una correlazione tra la mancata vaccinazione delle monache e l’incombente chiusura del monastero ma, al contempo, nel pubblicarne alcuni passaggi, rileva alcune contraddizioni e pone due quesiti: “Come può la Curia Arcivescovile smentire la correlazione tra rifiuto del vaccino e rischio di chiusura nel momento in cui afferma, di fatto, di non sapere nulla? Perché azzarda a confutare categoricamente l’ipotesi di nesso causale confermata invece dalla “ispettrice” religiosa della visita apostolica, secondo le dichiarazioni di suor Caterina, senza aver verificato chi delle due potrebbe aver infranto l’Ottavo Comandamento “Non dire Falsa Testimonianza” come un’autorità ecclesiastica sarebbe tenuta a fare nella sua veste di pastore di anime, soprattutto se consacrate?”
Il caso di queste monache è emblematico e ben rappresenta il momento grave che stiamo vivendo. Chi si professa credente non può non interrogarsi. E le domande sono molte.
Dove sono i giornalisti cattolici dei grandi media nazionali, perché non si scandalizzano?
Non dovrebbe la Chiesa essere custode dell’identità e della dignità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale?
Non dovrebbe vegliare affinché non vengano violati i diritti fondamentali delle persone?
Non dovrebbe sapere ascoltare i dubbi e le preoccupazioni delle persone piuttosto che liquidarle?
Non dovrebbe difendere l’identità e la complessità dell’uomo che stanno rischiando di essere cancellate dalla smania di controllo telematico dello stesso fino ad arrivare, prima di quanto si creda, al trans-umanesimo?
Non dovrebbe, infine, la Chiesa, amare e difendere tutti i suoi figli e contrastare la narrazione unica dominate dei media che, invece, mette ai margini e discrimina chi la pensa diversamente e ogni giorno soffia sul fuoco dello scontro?
Dove sta andando la Chiesa oggi? In questi due anni abbiamo visto una gerarchia cattolica che ha sposato fin da subito con determinazione la linea della vaccinazione “senza se e senza ma “e il Vaticano è stato uno dei primi stati al mondo a imporre l’obbligo di vaccinazione dei lavoratori nel suo territorio.
Abbiamo avuto per certi periodi i luoghi di culto chiusi e poi sentito vescovi che nelle omelie hanno invitato i fedeli non ancora vaccinati a farlo per non “gravare sulla salute delle altre persone e sul lavoro di molti”. Ce ne sono stati altri che hanno impedito a sacerdoti non vaccinati di distribuire la comunione e parroci che hanno chiesto il riscontro di un tampone recente o del vaccino per l’accesso in chiesa e negli spazi della parrocchia.
Il virus Sars-CoV-2 è ormai giunto alla fine della sua corsa e, finalmente, si inizia ad ammettere che la Covid si può curare, a maggior ragione se si interviene senza perdere tempo ai primi sintomi (cosa che, del resto, da subito hanno iniziato a fare molti medici discostandosi dalle circolari ministeriali e dalle indicazioni dei propri ordini di appartenenza).
Nello stesso tempo stanno emergendo sempre di più effetti avversi anche seri provocati da questi farmaci, tanto che il decreto Sostegni ter (Decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4) ha autorizzato la spesa complessiva di 150 milioni di Euro per gli anni 2022, 2023 per gli indennizzi a “coloro che abbiano riportato lesioni o infermità dalle quali sia derivata una menomazione permanente dell’integrità psico fisica a causa della vaccinazione anti Covid-19.”
Nonostante queste evidenze, continuiamo a ricevere gli stessi input dei mesi scorsi: abbiamo gel disinfettanti che sostituiscono l’acqua santa all’entrata delle chiese, non ci si dà più la mano durante la messa e, pur stando seduti distanti gli uni dagli altri e con le porte aperte, ancora siamo costretti a tenere mascherine sulla bocca e sul naso che tolgono il respiro e rendono difficile la preghiera ad alta voce e i canti.
Qual è allora, in questa folle situazione, il contributo che siamo chiamati a offrire noi cristiani oggi? Essere “buone” e “brave” persone significa dire sempre di sì anche quando la coscienza ci sta dicendo che abbiamo di fronte qualcosa di ingiusto e poco sicuro?
Occorre che riflettiamo bene su ciò che è accaduto e sta accadendo e che valutiamo se, da seguaci di Gesù Cristo, ci stiamo comportando in modo degno.
Il mondo è caduto in un immenso inganno e si sta progressivamente imponendo un totalitarismo spaventoso e antiumano. Possa Dio illuminarci nelle scelte di questi tempi e nello schieramento definitivo delle nostre personali vite.
FONTE: https://comedonchisciotte.org/madre-caterina-non-ti-vaccini-e-io-ti-chiudo-il-convento/
La donna chiamata la Bestia
Вооружённые Силы Новороссии (ВСН)
Si scopre che viaggiava coi figli di altre due persone a Zaporozhe dopo che l’Azov gli avevano ucciso i genitori.
I nazisti dei battaglioni ucraini “Azov” e “Settore Destro” cercavano con tutte le forze di lasciare Marjupol. Per evitare che scappassero, tutti i rifugiati ai posti di blocco venivano attentamente controllati dai combattenti della RPD. Quindi fu possibile catturare la nota nazista ucraina Julija Paevskaja (indicativo di chiamata “Tajra”).
Julija Paevskaja in Ucraina è un personaggio noto e promosso. È quasi un simbolo dell’ATO (La spedizione punitiva ucronazista contro il Donbas). Hanno girato molti “documentari” di propaganda su di lei e nei film ucraini ha interpretato se stessa. Nel 2014, durante l’euromaidan, l’istruttrice di aikido Paevskaja si era riqualificata infermiera. Poi si offrì volontaria per la zona ATO. Lì, secondo la versione ufficiale, recuperava gli squadristi feriti dalla prima linea. Per meriti speciali nella zona ATO, ebbe il titolo di eroe del popolo ucraino.
Ora la star degli estremisti dell’”Azov” veniva arrestata mentre cercava di fuggire da Marjupol. Cercando di lasciare la città, Julija Paevskaja si nascondeva dietro figli altrui, i cui genitori erano stati uccisi. I giornalisti di “Novij Russkij Sensatzja” sono i primi a registrare le confessioni della nazista catturata e le hanno chiesto direttamente: cosa ha fatto davvero nei ranghi degli squadristi?
Julija Paevskaja: “Mi chiamo Julija Paevskaja, nominativo Tajra. Sono una paramedico volontaria e soldato del 61° ospedale militare”.
“Angeli di Tajra”, il suo personale distaccamento di volontari del “settore destro”. La leggenda ufficiale è che erano inservienti militari o, come si suol dire, paramedici. E ufficiosamente, gli “Angeli di Tajra” erano la copertura per la raccolta di informazioni ed elaborarono per la stampa occidentale l’immagine dell’Ucraina femminista, per ricevere sovvenzioni.
Spinta in un angolo, Paevskaja insiste sul fatto di essere disoccupata da tempo e di essere stata smobilitata due anni fa. Ma cosa faceva adesso a Marjupol e perché cercava di scappare di nascosto? Paevskaja fu tradita dalla corrispondenza nel suo cellulare. C’erano molte foto di lei in compagnia dei teppisti più rabbiosi. Oltre alla prova diretta che tale donna svolgesse missioni speciali per settore destro: spiare e trasmettere informazioni sulle truppe della RPD. Informazioni e coordinate che trasmise aiutarono i miliziani ucraini a bombardare città e villaggi.
Dati ancora più interessanti furono trovati sul cellulare di Paevskaja: la sua corrispondenza col consigliere di Vladimir Zelenskij, Aleksej Arestovich. Tale corrispondenza fu regolare e non si fermò fino all’accerchiamento di Marjupol. Il contenuto dei messaggi sul suo cellulare non lascia dubbi sul fatto che fosse la consigliera occulta di Arestovich sulle questioni più segrete. Nella corrispondenza tra Tajra e il consigliere di Zelenskij, ci sono anche frammenti da brividi: potrebbero indicare il coinvolgimento di Paevskaja nel traffico di organi umani.
FONTE: http://aurorasito.altervista.org/?p=23484
BELPAESE DA SALVARE
COLAO PRESENTA ID PAY: IL GREEN PASS TOTALE
Il lobbista eletto da nessuno apre le porte alla dittatura della sorveglianza su modello cinese: una piattaforma che raccoglierà tutti i dati e garantirà l’accesso ai “benefici sociali”
DISVELATO IL TERZO MISTERO DI FATIMA
AUGUSTO SINAGRA 1 04 2022
L’annuncio della Santissima Vergine ai tre pastorelli di Fatima era che i nemici di Dio sarebbero stati fermati e sconfitti dalla Santa Madre Russia.
Si viene a sapere da fonti dirette e molto attendibili che oltre alla psicopandemia che stiamo ancora subendo, era stata prevista una cento volte più grande e più devastante pandemia per l’estate di quest’anno.
Qualcuno ricorderà che ciò fu sfrontatamente annunciato tempo fa dalla coppia criminale di Bill e Melinda Gates e pochi mesi fa dalla Kamala Harris, Vicepresidente degli USA per “frode ricevuta” come il suo socio Joseph Bidenich (il vero nome della sua origine slava).
A seguito di un virus veramente devastante e creato artificialmente con una modifica del virus dell’Ebola, si sarebbe conseguito il criminale risultato del depopolamento mondiale (necessità pubblicamente dichiarata da altri due candidati “a catena perpetua” Henry Kissinger e Jacques Attali che sfrontatamente lo dichiararono in forma pubblica).
Secondo previsioni elaborate con il massimo della precisione la popolazione in Italia si sarebbe ridotta a 36 milioni di abitanti o, nell’ipotesi migliore, a 42 milioni di abitanti.
Dunque, nel nome del NWO e per mezzo del Great Reset avrebbero dovuto morire circa 20 milioni di italiani.
Come in un puzzle preordinato, si incastra perfettamente la politica governativa di non solo accoglimento ma incitamento all’immigrazione; non solo africana ma ora anche ucraina, forse a titolo compensativo degli effetti del programmato depopolamento in Italia.
La diffusione criminale del virus veramente mortale era prevista per l’estate di quest’anno.
La Federazione Russa il cui intervento difensivo in Ucraina era previsto pure per l’estate, ha anticipato i tempi al febbraio di quest’anno e ha così bloccato l’osceno progetto distruggendo i numerosi laboratori chimici in Ucraina incaricati di produrre il virus mortale che vedono il loro referente nel degno figlio di Bidenich, Hunter.
Così pure l’invitto Esercito russo ha distrutto gli armamenti e le basi NATO presenti “de facto” in Ucraina.
Ma ha fatto anche di più: il ritorno alla convertibilità in oro del rublo a un prezzo decisamente conveniente, e la legittima richiesta di pagare il gas russo in rubli.
Il dollaro USA diventerà carta straccia. L’euro lo è sempre stato. Finirà finalmente l’imperialismo omicidiario degli USA.
Occorrono altri motivi per ringraziare la Santa Madre Russia, consacrata al Cuore di Maria, e per ringraziare il Presidente Vladimir Putin?
E ora che farà il filantropo Mark Zuckerberg? Mi bloccherà ancora, così confermando che è tutto vero e che lui è parte e complice nel progetto criminale?
FONTE: https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=170883881946905&id=100070758812209
Considerazioni sul primo anno di una strana campagna vaccinale
di Marco Mamone Capria
Dobbiamo pianificare la libertà, e non solo la sicurezza, se non altro perché solo la libertà può rendere sicura la sicurezza.
Karl R. Popper
“Più della stessa cosa” è una delle più efficaci ricette per un disastro che si sono evolute sul nostro pianeta
P. Watzslavick
Introduzione
C’è bisogno di dire altro sulla campagna vaccinale anti-covid-19? Secondo me tutto ciò di essenziale che doveva essere detto per orientare i cittadini a una decisione razionale lo è già stato da un anno o quasi (da me e da altri).
Eppure in ogni ora del giorno e della notte i principali media e i nostri presunti rappresentanti politici continuano instancabilmente a dire – no, non occasionali inesattezze, ma il contrario della verità. E la verità è che siamo testimoni di un gigantesco fallimento di misure sanitarie, che era prevedibile, era stato previsto e, come vedremo, è tacitamente ammesso anche dalle autorità, ma che soggetti economici e politici capaci di influenzare il governo e il sistema dei media in Italia e nel resto del mondo cosiddetto “sviluppato” volevano e sono riusciti a imporre a una cittadinanza terrorizzata.
I principali media, con il conforto di istituti che stanno dilapidando sconsideratamente la propria reputazione – come il Censis («Da oltre 50 anni interpreti del Paese») –, cercano di rappresentare quello che si potrebbe più realisticamente descrivere come il conflitto tra una maggioranza di illusi e ossequiosi alle direttive del governo e una minoranza (ma crescente) di resistenti all’inganno, come la riedizione di un mitico conflitto tra scienza e antiscienza – la scienza essendo, per fortunatissima coincidenza, rappresentata dalla suddetta maggioranza. Insomma, dopo essere stati ammorbati per due anni con il vaniloquio che «la scienza non è democratica», scopriamo adesso che la verità scientifica è… ciò in cui crede la maggioranza.
A chi si meravigliasse di questi voltafaccia va ricordato che mentre la coerenza è il cardine del discorso razionale, la propaganda non è un discorso razionale, e quindi fa volentieri a meno della coerenza ogni volta che torni utile violarla. Ciò spiega anche come grotteschi personaggi (anche in posizioni di responsabilità politica) che si sono distinti per le più spericolate e ingiustificate giravolte, oltre che per gravi errori di fatto, possano ancora essere intervistati come pozzi di saggezza, senza che sia mai loro ricordato che avevano sostenuto, pochi giorni o poche settimane fa, tesi opposte e/o fatto affermazioni provatamente false.
È chiaro che l’appello alla razionalità, in una situazione come questa, sarà ascoltato solo da pochi. Per capire che cosa stia succedendo in Italia (e altrove) penso che più che l’ennesima discussione analitica (come è, prevalentemente, quella che io stesso sto adesso proponendo), sarebbe molto più indicata la lettura del classico di Robert Cialdini, Influence – Science and Practice (in particolare il 4o capitolo, sulla psicologia sociale del conformismo).
Sondaggi?
A proposito del Censis, è lecita la seguente domanda. Questo istituto statistico ha sottoposto a un campione di cittadini un questionario che comprendeva, tra gli altri, due quesiti:
-
se i vaccini anti-covid-19 siano farmaci sperimentali;
-
se la Terra sia piatta.
Domanda retorica: si tratta di quesiti che possono figurare insieme in un sondaggio di opinioni con legittime aspirazioni scientifiche?
Al quesito 1) il 31,4% del campione intervistato ha risposto SÌ – e ovviamente, mi dispiace per il giudizio che bisogna trarne sulle competenze del Censis, ha ragione nel senso più rigorosamente documentabile del termine. Un farmaco la cui sperimentazione non è stata completata resta un farmaco sperimentale, anche se lo si è autorizzato (non approvato) in considerazione di una ipotetica situazione di emergenza priva di alternative. In particolare, i genitori che fanno somministrare ai propri figli i cosiddetti vaccini anti-covid-19 li stanno trattando (per lo più perché vittime di un inganno, è chiaro) come cavie – e questa non è un’opinione, ma un fatto (si veda anche qui e qui). Non cessa di essere un fatto solo perché presidenti, ministri e autorità varie dichiarano il contrario – e nemmeno se lo dicessero in coro con tanto di accompagnamento musicale: in tal caso l’unico dubbio sarebbe su chi ha scritto lo spartito.
Per quanto riguarda 2), il Censis ha trovato, nel suo campione (ma loro, con tipica modestia scientifica, dicono: «gli italiani») «il 5,8% sicuro che la Terra sia piatta, precipitando così in un sorprendente rigurgito premoderno».
Questo risultato mi ha colpito. Si dà infatti il caso che, per una insolitamente ricca conoscenza internazionale di scienziati dei più vari settori ed indirizzi, ho conosciuto anche molti scienziati e appassionati di scienza ma non professionisti (quelli che chiamo laici) i quali, presi insieme, dubitavano di molti dei capisaldi della scienza contemporanea. Eppure non ho mai incontrato nessuno che ritenesse probabile, per non dire «sicuro», che la Terra sia piatta. Neanche uno solo, neanche per scherzo. Invece secondo il Censis questi, già solo in Italia, sarebbero milioni!
Detto questo, mentre ho rispetto (come l’aveva Albert Einstein – bisogna pur ispirarsi a un modello) per gli eretici e i dilettanti della scienza, non vorrei avere niente a che fare con chi ha un livello di conoscenza storica così disperatamente basso da sentire in sé il «rigurgito» di associare la tesi della “Terra piatta” con il «premoderno» – e su queste basi imbarcarsi in un’indagine sull’«irrazionalità», senza rendersi conto di esserne proprio lui un esponente (ammessa la buona fede, ovviamente).
L’invisibilità del dibattito sulla campagna vaccinale
La prova che la scienza è ben diversa dalla propaganda che ci sta inondando da quasi due anni, e di cui la maggioranza dei cittadini è vittima, è che il dibattito, anima del progresso scientifico, è stato sistematicamente censurato.
I medici sono stati sottoposti a procedimenti disciplinari, e addirittura radiati, se hanno espresso opinioni su come affrontare la “pandemia” in disaccordo con le raccomandazioni del Ministero della salute. Qualcuno dice: è giusto, visto che, disobbedendo, facevano rischiare la vita ai loro pazienti. No, nella fattispecie è proprio il contrario: li guarivano. Le loro opinioni si sono dimostrate di gran lunga più corrette, sul piano dell’efficacia clinica, di quelle ministeriali! In altre parole, è stato punito il medico che guariva i suoi pazienti contro le direttive ministeriali, invece di avviarli, con la benedizione del Ministro e del Presidente del consiglio, ai reparti ospedalieri di urgenza e/o al cimitero. Ippocrate redivivo sarebbe sicuramente rimasto stupito.
Il fatto che la professione medica sia governata da Ordini dei medici che trattano i medici come caporali o soldati semplici dovrebbe far protestare tutti i medici degni di esercitarla – intendo protestare apertamente e visibilmente, non nella forma di sfoghi privati o anonimi. Se lo facessero in numero sufficiente potrebbero rendere inevitabile una radicale riforma di Ordini che stanno da anni screditando, esautorando e snaturando la professione. Che una protesta di vaste dimensioni sia in corso tra i medici di tutto il mondo è attestato da dichiarazioni come la seguente, su cui tornerò.
La stessa università pubblica è ammutolita – con relativamente poche eccezioni, che ammontano a qualcosa come il 2% della classe docente e ricercatrice – in un momento in cui sarebbe stato suo dovere mostrare ai cittadini che finanziare la ricerca e l’istruzione superiore non significa alimentare forme di artificioso parassitismo, ma garantire la presenza di una coscienza critica istituzionalizzata, pronta a intervenire con autorevolezza e a viso aperto in ogni caso in cui il potere giustifichi il proprio operato con argomentazioni o pretese scientifiche abusive. Non mi pare che in novant’anni dall’ignominiosa resa incondizionata al giuramento al regime fascista, che fu rifiutato solo dall’1% dei docenti universitari italiani, si possa dire che in questa categoria professionale siano stati fatti passi da gigante nel senso della responsabilità civica. Immaginando – ottimisticamente – che 90 anni sia il tempo di raddoppiamento della percentuale degli universitari sensibili alla questione dei diritti civili, per superare il 50% ci vorrebbero altri 4 secoli. Dalla qualità delle dichiarazioni di un noto filosofo-psicologo-giornalista e professore emerito, e dal puerile compitino firmato nientemeno che da un centinaio di «filosofi e intellettuali italiani», si intuisce che potrebbero anche non bastare.
Il rifiuto del dibattito nella sfera pubblica non è mai stato così evidente come nel proliferare di una specie di “caporali della verità scientifica”, spesso privi di qualsivoglia competenza (come nel caso di tanti “opinionisti” o “sondaggisti” su giornali e telegiornali), ma con licenza di assegnare patenti di incompetenza o «irrazionalità» a chiunque dissenta dalla versione ufficiale.
Eppure è evidente che se si muovono critiche ragionate e di merito ai consulenti governativi – per esempio al Comitato Tecnico-scientifico (CTS) o all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) (e lo hanno fatto diversi scienziati, me compreso) – dovrebbero essere loro stessi a replicare in maniera puntuale e documentata, non i suddetti “commissari”.
Naturalmente lo scopo, quando si contrappone – per esempio – un’autorità in materia di comunicazione medica con una delle tante nullità giornalistiche che infestano gli studi televisivi, è già raggiunto prima che aprano bocca: suggerire al telespettatore che il primo (l’autorità vera) non si merita come interlocutore niente di più (che una nullità giornalistica).
Giornalismo?
Le notizie più curiose e accattivanti sono state censurate pur di non mettere “idee sbagliate” (cioè, traducendo dalla Neolingua corrente, giuste) nella testa dei lettori e telespettatori. Ecco tre esempi, che per l’onore dei paladini dei vaccini anti-covid-19 (i vaccinisti) – soprattutto quelli che pensano che associare la parola “scienza” alle proprie opinioni abbia la virtù taumaturgica di farle diventare scientifiche – sarebbe altamente desiderabile che fossero altrettante fandonie:
Purtroppo per i vaccinisti queste sono invece notizia vere (qui , qui e qui): e sarebbero state capaci di interessare una vasta porzione dell’opinione pubblica, se non altro perché sorprendenti rispetto a quanto si sente dire costantemente (cfr. la fantomatica «pandemia dei non vaccinati»). Ipotizzo che se fossero state annunciate – come meritavano – in un telegiornale nazionale, avrebbe stimolato dibattiti leggermente più interessanti di quelli sulle piroette della falsa fronda governativa. Però i direttori dei canali RAI/Mediaset/Cairo non si turbano per così poco: notizie come queste non le presenterebbero con adeguato risalto nemmeno se fossero certi di triplicare così il proprio pubblico. Chi pensava che per giornali e televisioni “l’audience è tutto” ha avuto in questo biennio innumerevoli controesempi di tale opinione, diffusa ma disperatamente falsa, sulla funzione dei media.
Un mese e mezzo fa un conduttore televisivo, nel corso di una trasmissione, ha fatto cadere un libro sul pavimento, e rivoltosi a una partecipante che aveva poco prima criticato la faziosità del giornalismo «mainstream», le ha chiesto: «Senta, mi dica: io lascio cadere questo libro, no?, [e lo fa cadere] È la forza di gravità: questo è mainstream?».
Per un momento si poteva pensare che l’analogia fosse tra la caduta del libro e il calo della protezione conferita dai vaccini anti-covid-19 – be’, in tal caso sarebbe stata una buona metafora.
Purtroppo sembra di capire che il conduttore intendesse che la visione propagandata dal giornalismo governativo (come si vede, la lingua italiana ha un’adeguata traduzione per “mainstream”, almeno in materia di covid-19) è di evidenza paragonabile a quella della caduta di un grave. L’Ordine dei giornalisti avrebbe dato per una volta un senso alla propria esistenza “disciplinando” quel giornalista (e altri presenti), ma anche questa occasione è andata persa.
Nel frattempo procedeva, e ancora continua, l’atroce tortura giudiziaria di Julian Assange (una concreta metafora di che cosa sia il libero giornalismo oggi), nel silenzio della stragrande maggioranza dei suoi “colleghi”, italiani e non.
Complessivamente, l’unico merito finora accertabile dei “caporali della verità scientifica” è il loro apparente impegno nel combattere la discriminazione. La discriminazione, cioè, contro chi esercita la prostituzione nel senso tradizionale del termine – e il loro modo di combatterla è di esibire un modello di comportamento pubblico analogo, ma di gran lunga più socialmente dannoso. Niente di nuovo, dato che l’analogia fu schiettamente esposta da un famoso giornalista statunitense intorno al 1880. La lingua italiana non ha avuto in questo caso la versatilità dell’inglese, in cui si è potuto recentemente coniare per tale modello di comportamento un termine molto felice: «presstitute» (comunque anche l’inglese sembra per il momento in difficoltà per trovare termini brevi ed espressivi, dei quali c’è urgente bisogno, per “prostituzione scientifica” e “prostituzione accademica”). Di esso la cosiddetta informazione “covid-19” ha offerto in questo biennio numerosi esempi che saranno di grande aiuto, per spiegare il concetto, agli autori dei prossimi manuali di scienze della comunicazione e sociologia dei media (ecco un altro esempio, che supera anche l’“ordinaria indecenza”).
Si noti, sul piano fattuale, che questo accostamento non si basa su vaghe ipotesi circa la psicologia di certi giornalisti, ma ha un riscontro oggettivo in atti legislativi, come per esempio il decreto- legge 19 maggio 2020, n. 34 (art. 195: «Fondo emergenze emittenti locali»), dove si legge:
«Al fine di consentire alle emittenti radiotelevisive locali di continuare a svolgere il servizio di interesse generale informativo sui territori attraverso la quotidiana produzione e trasmissione di approfondita informazione locale a beneficio dei cittadini [sic!], è stanziato nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico l’importo di 50 milioni di euro per l’anno 2020, che costituisce tetto di spesa, per l’erogazione di un contributo straordinario per i servizi informativi connessi alla diffusione del contagio da COVID-19. Le emittenti radiotelevisive locali beneficiarie si impegnano a trasmettere i messaggi di comunicazione istituzionale relativi all’emergenza sanitaria all’interno dei propri spazi informativi.»
Insomma, che ciò che è stato dato in pasto alla maggioranza dei cittadini per due anni sia stato giornalismo prezzolato non è un’insinuazione, ma un fatto che dovrà essere riportato nei libri di storia del XXI secolo. E che il comportamento servile dei giornalisti di regime sia stato giudicato molto positivamente dai loro “datori di lavoro” è confermato dal recente stanziamento di 2,5 miliardi di euro di denaro pubblico per colmare l’enorme buco di bilancio dell’Istituto di previdenza dei giornalisti.
Successo e fallimento
Premessa (già da me fatta da molti mesi): i vaccini anti-covid-19 sono chiamati così per suggerire un’analogia che non c’è con i vaccini tradizionali. Si tratta di farmaci di nuova concezione e che non erano mai stati utilizzati su niente che si avvicinasse a questa scala. Come ha spiegato in un brillante intervento Peter Doshi del BMJ, si è arrivati a far cambiare all’inizio del 2021 (tra il 18 e il 26 gennaio) la voce “vaccine” in uno dei più famosi dizionari della lingua inglese (il Merriam- Webster) per perfezionare questo trucco da imbonitore. Nel contesto covid-19 bisognerebbe quindi scrivere sempre “vaccini” (e derivati) con le virgolette, e se non lo faccio è solo per non appesantire la scrittura.
Entriamo adesso nel merito: come si fa a vedere se una campagna vaccinale è riuscita o ha fallito?
Innanzitutto, prima di promuoverla si sarebbe dovuto definire sotto quali condizioni la si sarebbe giudicata fallita.
Non è un paradosso, ma un requisito minimale per poter presentare come scientificamente fondata una tale campagna. Un celebre epistemologo, Karl Popper, sostenne che una teoria è scientifica solo se nella sua formulazione sono indicate condizioni sotto le quali dovrebbe essere considerata in disaccordo con fatti osservabili (o falsificata), e quindi da scartare. Spostare o modificare arbitrariamente il traguardo via via che l’esperienza si incarica di mostrare il mancato raggiungimento di quello prefissato significa agire da pseudoscienziati.
Benché sulle posizioni di Popper si sia sviluppato un ampio dibattito nell’ultimo mezzo secolo, questa sua intuizione circa la natura della scienza empirica – peraltro anticipata in termini sostanzialmente identici da diversi grandi pensatori, compreso Einstein – si può considerare corretta, e tanto più corretta quanto più delimitato è il campo di indagine di cui si occupa la teoria in esame.
Diamo un esempio che ci servirà nel seguito. Dire:
“il vaccino Pfizer-Biontech (o Astra-Zeneca ecc.) funziona”
non configura, come tale, una tesi scientifica, perché non include la specificazione di sotto quali condizioni la considereremmo confutata dai fatti. Non si tratta di ambire alla “purezza metodologica”, ma di poterci far guidare affidabilmente da quella opinione. E cioè:
- In primo luogo, quale tipo e livello di protezione il vaccino conferirebbe all’individuo vaccinato?
- E poi: a quale copertura vaccinale – cioè a quale percentuale di vaccinati e di quali classi (sesso, fasce d’età, professioni ecc.) – si considererebbe “protetta”, e in che senso, la popolazione?
- Ed entro quanto tempo dal raggiungimento della fissata copertura vaccinale si realizzerebbe la suddetta protezione della popolazione?
Se non si precisano questi parametri non si sta facendo scienza, ma solo gettando fumo negli occhi e alimentando illusioni nella cittadinanza – e basta questo a far sorgere nel cittadino consapevole sospetti del tutto giustificati di finalità non sanitarie.
Per esempio, il 4 ottobre 2020 il prof. Crisanti dichiara: «L’immunità di gregge si raggiunge tra il 63 e 70% della popolazione». Il 25 dicembre 2021, però, lo stesso scienziato polemizza duramente: «Se fossi stato lì presente, gli [a Draghi] avrei chiesto che fine ha fatto l’immunità di gregge, con la quale hanno veramente confuso gli italiani fino a pochi mesi fa».
Con maestri di pensiero di tale limpidezza penso che la confusione degli italiani non sia straordinariamente difficile da spiegare.
In ogni caso, il «Piano vaccinale anticovid» della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in data 13 marzo 2021, poneva come obiettivo la «vaccinazione di massa (almeno l’80% della popolazione [vaccinabile, cioè dai 16 anni in su] vaccinata) entro il mese di settembre». Ecco come descrive la situazione l’11 dicembre il sito del Sole24Ore sotto il significativo titolo “Quando raggiungeremo il 90% di vaccinati?”:
«L’80% della popolazione vaccinabile è stato raggiunto il 9 ottobre 2021, in linea con le previsioni del governo per fine settembre. Per arrivare al 90%, nuovo target per poter alleggerire l’obbligo di green pass, a questo ritmo ci vorrebbero 2 mesi e 9 giorni.»
Veniamo così a sapere che l’obiettivo logistico prefissato (cioè quante persone vaccinare entro quando) era stato raggiunto. Invece il traguardo sostanziale (o “bersaglio”, target) è stato nel frattempo modificato. Cioè è cambiata l’ipotesi sull’effetto che ci si aspettava dalla campagna vaccinale e sul raggiungimento della immunità di gregge. O, per essere ancora più chiari, si ammette, anche se solo implicitamente, che l’ipotesi originaria è stata falsificata. Dal grafico sottostante si vede che i casi hanno ricominciato a partire da poco dopo il raggiungimento del traguardo originario:
Un grafico ancora più chiaro è quello che confronta il 2021 con il 2020:
La linea scura è quella corrispondente al 2021. Come si faccia a considerare un successo una campagna vaccinale il cui effetto sui “contagi” è quello rappresentato dai due grafici qui riprodotti (i numeri si possono trovare muovendo il mouse sui grafici originali nel sito citato) costituisce un problema più difficile da risolvere di quello circa le origini del SARS-CoV-2.
Nessun disaccordo?
Un aggiornamento per la questione delle origini del SARS-CoV-2, ma anche per molte altre, è offerto da una autorevole denuncia al Tribunale Penale Internazionale del 6 dicembre 2021, che avrebbe dovuto “fare notizia” in tutti i telegiornali. Occorre aggiungere che ciò non è accaduto? Uno dei firmatari della denuncia è Mike Yeadon, ex vicepresidente e direttore di ricerca in farmacologia respiratoria alla Pfizer.
Tornando alla trasmissione della “caduta del libro” sopra citata e risalente al 23 novembre 2021 una “giornalista scientifica” (pochi minuti prima di distinguersi per l’argomento più ridicolo finora formulato per negare a Luc Montagnier autorevolezza nel suo giudizio negativo sui vaccini anti- covid-19) dichiarò:
«Il problema è che non c’è nessun disaccordo nella comunità scientifica, è inutile che continuiamo a dirci che ci sono degli scienziati che pensano che non si debba vaccinare, che pensano che il vaccino crei dei problemi, che pensano che il vaccino non è utile, non c’è questo disaccordo nella comunità scientifica, è una cosa che continuiamo a ripeterci per accreditare qualcosa che non esiste.»
Di fronte a queste affermazioni il conduttore non ha fatto una piega (e non ha neppure fatto cadere un altro libro a scopo dimostrativo). Eppure bastava una semplice ricerca su Internet per dimostrarne la falsità. Ecco un documento datato 9 maggio 2021 e firmato da 57 eminenti scienziati; vi si legge, in particolare:
«Malgrado inviti alla prudenza, i rischi della vaccinazione per il SARS-CoV-2 sono stati minimizzati o ignorati dalle organizzazioni sanitarie e dalle autorità governative.
Facciamo appello al bisogno di un dialogo pluralistico nel contesto delle misure sanitarie , sottolineando questioni critiche che richiedono risposte urgenti se desideriamo evitare una erosione globale della fiducia pubblica nella scienza e nella sanità.»
Forse questi dubbi erano stati risolti nel frattempo? Il 12 settembre 2021 è stata presentata a Roma una dichiarazione, poi firmata da ben 10.000 (diecimila) tra scienziati e medici, e che è nota come la dichiarazione di Roma, nella quale si presentano le seguenti tre risoluzioni:
«Che i bambini sani non siano soggetti a vaccinazione forzata.
Che persone naturalmente immuni guarite dal SARS-CoV-2 non siano soggette ad alcuna restrizione o a obblighi vaccinali.
Che tutte le agenzie e istituzioni sanitarie cessino di interferire con i medici che curano i loro pazienti individualmente.»
Nel video collegato il testo completo della dichiarazione, con ulteriori preziose osservazioni, è letto da uno dei creatori della tecnologia dei vaccini mRNA, Robert Malone. L’eminenza scientifica di Malone non è bastata ad evitargli la chiusura della sua pagina Twitter, seguita da più di mezzo milione di persone (ricordare quanto detto sopra a proposito della “audience”).
Oppure si può consultare la lista di scienziati che ha sottoscritto la richiesta di un «immediato blocco dei “vaccini” sperimentali anti-covid-19», promossa dal Consiglio Mondiale per la Salute.
Oppure si può sentire la lucida e informativa audizione del dottor Vladimir Zelenko (subito rimossa da Facebook).
O infine (ma solo per farla breve) si può ascoltare l’ormai celebre intervento di Peter Doshi all’audizione convocata dal senatore statunitense Ron Johnson il 3 novembre 2021: sono solo 5 minuti, e di una chiarezza tale che il fatto che alcuni “caporali della verità” abbiano pensato che necessitassero di un’interpretazione, piuttosto che di un “mea culpa” da parte loro, basta a mostrare la pochezza intellettuale ed etica della categoria.
Ora, da un giornalista non si pretendono elevate capacità di analisi e consapevolezza metodologica, ma almeno di riconoscere un fatto quando ne vede uno (figuriamoci se sono… diecimila). È sconcertante che, in materia di covid-19, siano considerati accettabili negli studi televisivi esempi di così scarsa professionalità che costerebbero il posto a un cronista di un giornale locale.
Una testimonianza che fa capire come sia in funzione una macchina della disinformazione globale impegnata a negare anche le verità più fattuali e palesi sul lato oscuro delle vaccinazioni anti- covid-19 è quella di Astrid Stuckelberger. Si tratta di una studiosa con un’esperienza di oltre 30 anni come ricercatrice sanitaria, ha lavorato dal 2009 al 2013 all’OMS nel settore “pandemie”, ed è autrice di 180 articoli scientifici e 12 libri. Direi che in termini di competenze settoriali rilevanti per trattare della questione covid-19 e di come affrontarla, il suo parere, da solo, dovrebbe avere maggior peso di tutta la corte dei miracoli di ospiti fissi, scientifici e giornalistici, della televisione italiana messi insieme (la scienza non è democratica – giusto? –, quindi quanto ho appena detto non dovrebbe in linea di principio scandalizzare nessuno).
Ora, secondo la dr. Stuckelberger (e altri scienziati) le analisi di laboratorio dei sieri anti-covid-19 hanno mostrato contenuto pericoloso per la salute e già solo per questo le vaccinazioni dovrebbero essere bloccate immediatamente:
«“È a causa del contenuto dei vaccini. Dopo 30 anni di ricerca so che non hai bisogno di fare altra ricerca se si hanno uno, due, tre studi di dettaglio e cerchi sotto al microscopio prove di concetto. Quello che vedi sotto al microscopio è una prova sufficiente. Se fino a dieci esperti in tutto il mondo vedono la stessa cosa sotto al microscopio, questo è abbastanza. Vedono nel vaccini grafene, parassiti, metalli… È per questo che dobbiamo bloccare la vaccinazioni e mettere al bando tutte le iniezioni [anti-covid-19]. Quelli che continuano dovrebbero essere perseguiti.”»
Mi sembra abbastanza per concludere che il disaccordo nella comunità scientifica circa il valore dei vaccini anti-covid-19 è tutto fuorché un’invenzione. Certo, si può non essere d’accordo con questo o quello scienziato, ma in chi non vede il macroscopico disaccordo, anzi, lo nega formalmente, c’è di sicuro qualcosa che non va.
Tacite ammissioni
Del resto, che la campagna vaccinale non sia stata affatto un successo è ammesso tacitamente anche dalle autorità sanitarie, che sono state costrette, appunto dall’insuccesso, a prendere le seguenti misure:
- hanno aumentato la copertura vaccinale necessaria nella popolazione vaccinabile (come abbiamo visto, dall’80% al 90%);
- hanno ampliato la stessa popolazione vaccinabile, includendo prima, a partire dal 28 maggio, i ragazzi dai 12 ai 15 anni, e poi, a partire dal 16 dicembre, i bambini dai 5 agli 11 anni;
- hanno irrigidito le regole sulla circolazione delle persone, con l’introduzione, dapprima, del “Green Pass” il 6 agosto (una versione perversa dell’omonimo certificato dell’UE) e, poi, del Super Green Pass (o Green Pass rafforzato) dal 6 dicembre (misure che stanno compromettendo gravemente la stagione turistica invernale, per non dire di quel «Natale» che si diceva di voler «salvare»);
- pur adottando lo slogan della «pandemia dei non vaccinati» (traduzione: i vaccinati sono protetti), sono partiti con la somministrazione di una seconda dose per il vaccino autorizzato come monodose Johnson & Johnson, e con la terza dose per il vaccino presunto a due dosi Pfizer, permettendo anche la «vaccinazione eterologa», cioè l’alternanza tra diversi tipi di vaccini (in Isarele, dove si somministra il solo vaccino Pfizer, si è arrivati intanto ad autorizzare la 4a dose, anche se ci sono esitazioni su quando cominciare);
- hanno stabilito, in contrasto con lo scopo stesso del Green Pass europeo (che era di facilitare l’attraversamento delle frontiere tra i Paesi dell’UE), che il certificato di vaccinazione presentato all’ingresso in Italia (riconosciuto come Green Pass europeo) non basta se non è accompagnato da un tampone negativo (salvo deroghe);
- hanno prorogato in Italia il 14 dicembre lo stato di emergenza fino al 31 marzo 2022.
Il punto 3) è particolarmente istruttivo: chi è sprovvisto della “certificazione verde rafforzata” o “Super Green Pass” non può oggi andare praticamente in nessun luogo pubblico, e anche all’aperto (in comune, questo, con chi ne è provvisto) deve indossare la mascherina al primo avvistamento di un altro essere umano. Ebbene, in queste condizioni come si fa a ipotizzare che un’eventuale diminuzione dei “casi” sia accreditabile alle coperture vaccinali? E come farebbero i non vaccinati a propagare l’eventuale contagio, ammesso che ne siano stati colpiti loro stessi? Forse che dopo l’entrata in distribuzione dei vaccini il covid-19 avrebbe cambiato le sue modalità di trasmissione interumana? I vaccini anti-covid-19 sono efficaci contro il malocchio?
Il punto 4) è particolarmente indicativo del torbido clima pseudoscientifico in cui è stata condotta l’intera operazione: da chi mai era stato provato che l’effetto protettivo non raggiunto con 2 dosi lo sarebbe stato con 3? In quale testo di farmacologia è provato che un farmaco inefficace a un certo dosaggio diventerà efficace nel senso desiderato se si aumenta il dosaggio, e non virerà, piuttosto, verso un diverso effetto? Nel caso della “terza dose” questa eventualità è già stata sollevata sulla base di dati. E quali studi approfonditi erano stati fatti sul tipo di aumento delle reazioni avverse nel caso della somministrazione di 3 dosi invece che di 2? Probabilmente gli stessi effettuati per permettere la vaccinazione eterologa: cioè nessuno. Eppure l’aumento potrebbe essere più che lineare, e anche “solo” quello lineare sarebbe un’enormità: senza studi specifici, e della giusta durata (appunto almeno i 10-15 anni che sono stati la media per tutti i precedenti vaccini), era impossibile effettuare una predizione attendibile. E come fanno, allora, le agenzie regolatorie a ripetere la melensa litania che «i rischi sono inferiori ai benefici»? Quali rischi e quali benefici? E di chi?
Di fatto non è nemmeno univoco il significato di “funziona” in questo contesto (per non dire dell’ormai celebre «funzionicchia» di un barone accademico trasformato in oracolo della scienza medica – miracoli della televisione di regime). Dire se un vaccino “funzioni” non richiede affatto lo stesso tipo di prove, e non ha nemmeno lo stesso significato, che dire se funzioni un asciugacapelli.
Poiché certi personaggi si ostinano a diffondere confusione presso l’opinione pubblica, ricorderò qualche concetto essenziale.
Farmaci sperimentali
Quando una casa farmaceutica propone a un’agenzia regolatoria un certo medicinale per l’immissione in commercio, allega alla domanda i dati di sue sperimentazioni che, in primo luogo, dimostrino la cosiddetta “efficacia” (concetto altamente problematico) del medicinale contro la condizione indesiderata (diciamola X) per cui il medicinale è stato sviluppato, e in secondo luogo la sua “sicurezza relativa”, cioè se la sua insicurezza sia adeguatamente controbilanciata dall’efficacia e dai danni associati all’evoluzione di X.
Poiché ultimamente capita di sentire qualcuno accusare le agenzie regolatorie di non aver valorizzato gli esiti di certi esperimenti su animali che facevano sospettare il peggio, questione di cui mi sono occupato in generale ampiamente altrove, mi limiterò qui a precisare che i “modelli animali” sono una parte del problema della efficacia e sicurezza dei farmaci, e non certo la loro soluzione. E affidare problematiche sanitarie a scienziati che hanno spietatamente eseguito esperimenti (insensati anche dal punto di vista scientifico) su animali per tutta la loro carriera è un evidente azzardo.
Del resto, la sicurezza dei vaccini anti-covid-19 era impugnabile (ed era stata impugnata) sulla base di esperimenti su animali già da oltre un anno. Se la vivisezione fosse qualcosa di più di una tragicommedia pseudoscientifica, ciò avrebbe dovuto rallentare drasticamente il processo di autorizzazione dei vaccini. Ma, come accaduto praticamente sempre, non l’ha fatto.
Oppure si consideri un articolo recente, che ha scoperto che sui topi la nanoparticella lipidica utilizzata come vettore nei “vaccini” Pfizer e Moderna è «altamente infiammatoria». Perché questo esperimento? Lo studio è stato intrapreso per “spiegare” effetti avversi riscontrati sugli umani quali «dolore, gonfiore, febbre e sonnolenza» – che sono notoriamente indicatori di infiammazione, ma erano stati interpretati dai difensori d’ufficio di tali vaccini (indovinate un po’) come risposta immunitaria e quindi prova dell’efficacia del vaccino. Verosimilmente ciò darà impulso a una serie di nuovi esperimenti su topi che allungheranno la lista delle pubblicazioni di ricercatori biomedici in tutto il mondo… Ma c’è veramente qualcuno con un minimo di conoscenze della storia recente della medicina e della sanità che penserà che quello che non riescono a produrre le statistiche sugli innumerevoli eventi avversi negli umani, cioè un drastico mutamento di strategia sanitaria, potrebbe mai produrlo l’ipotesi di un’analogia con la fisiopatologia umana di certi effetti riscontrati su topi?
Una questione ancora più fondamentale è se si possa considerare seria una procedura in cui le agenzie regolatorie non hanno la possibilità di effettuare verifiche per conto proprio ma devono limitarsi a valutare l’incartamento fornito da chi, ovviamente, ha un solo interesse: farsi autorizzare il medicinale. E chi è che fa richiesta di tale autorizzazione? I principali finanziatori di quelle stesse agenzie, cioè le industrie farmaceutiche. La questione ammette quindi una risposta semplice e chiara: no, non è una cosa seria.
In altre parole, siamo costretti a ragionare su procedure di autorizzazione e approvazione di farmaci che una persona ragionevole non accetterebbe per basare su di esse l’acquisto di un’automobile usata o la scelta del ristorante dove organizzare una festa (in epoca pre-covid-19, naturalmente).
Prove cliniche
I dati sottoposti all’agenzia (per esempio alla FDA negli Stati Uniti, o all’EMA nell’Unione Europea) per l’approvazione di un trattamento della condizione X dovrebbero includere la documentazione di una sperimentazione clinica soddisfacente alle seguenti condizioni:
- La popolazione dell’esperimento era rappresentativa di quella a cui è mirato il trattamento (in particolare, sufficientemente numerosa).
- La popolazione era stata divisa in due rami, del tutto simili per quanto riguarda la condizione X.
- A uno dei rami era stato somministrato il trattamento in esame, all’altro un trattamento del tutto simile, ma neutro (un placebo).
- La somministrazione era avvenuta senza che né ai soggetti né agli operatori sanitari né a chi doveva alla fine valutare gli effetti fosse noto, prima del completamento dell’esperimento e della valutazione, quali soggetti avessero ricevuto il medicinale e quali il placebo.
- Il punto finale della sperimentazione (cioè l’obiettivo misurabile che dovrebbe distinguere il trattamento dal placebo) era stato fissato anticipatamente.
- Era stato prefissato l’arco di tempo entro il quale studiare gli effetti del trattamento.
- Erano stati monitorati scrupolosamente gli effetti avversi del trattamento, investigandoli attivamente, piuttosto che restando in attesa di eventuali segnalazioni volontarie.
- I dati forniti alle agenzie erano completi e valutabili indipendentemente per quanto riguarda la loro integrità.
Commentiamo brevemente questi punti.
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- Popolazione rappresentativaCiò significa, per esempio, che se il farmaco è destinato ai bambini di 5-11 anni, la popolazione su cui è stata fatta la sperimentazione dovrebbe essere appunto di questa fascia d’età. Non basta averlo sperimentato su persone dai 16 anni in su. Oppure, se il farmaco è un analgesico contro i disturbi mestruali, non basta averlo sperimentato su una popolazione di maschi.Inoltre, sempre per esempio, se l’effetto che ci si aspetta dal farmaco è piccolo, la popolazione dev’essere grande. Quindi un farmaco destinato a bambini di 5-11 anni nei quali una certa malattia guarisce quasi sempre senza specifici interventi (come succede per il covid-19), potrebbe esibire un impatto positivo solo su un piccolo residuo “sfortunato”: ma allora occorrerà studiare una popolazione molto grande per poterlo misurare.
Poiché data la disinvoltura esibita dalle autorità sanitarie nell’estendere ai ragazzi e ai bambini la vaccinazione anti-covid-19 qualcuno potrebbe pensare che queste considerazioni siano di natura solo teorica, bisogna dire subito che così non è e che prove cliniche che soddisfacessero le esigenze qui delineate non sono state eseguite.
- Due rami similiÈ un requisito tutt’altro che facile da soddisfare, tranne – e questo nemmeno sempre – per la numerosità dei due rami. Valgono le considerazioni del punto 1), stavolta relative ai due rami e alle caratteristiche e circostanze che possono influire sull’impatto, positivo o negativo, del farmaco.
- Trattamento e placeboPer esempio, se si tratta di un farmaco iniettabile, anche il placebo deve esserlo; se è una pasticca con certi eccipienti, anche il placebo deve averli; se ha una certa posologia (cioè tempi, modalità e dosi), deve essere la stessa anche per il placebo ecc. E il placebo deve soddisfare due condizioni conflittuali: da un lato non deve avere effetti, dall’altro la sua somministrazione deve stimolare una risposta non specifica simile a quella del medicinale, che, in più, è però supposto avere anche un effetto specifico. Se infatti, per esempio, il medicinale causa spesso un rialzo febbrile il giorno dopo la sua somministrazione e il placebo no, allora diventa facilmente comprensibile chi abbia assunto che cosa, e ciò non va bene per il punto seguente.
- Triplo ciecoIl requisito del «triplo cieco» non è affatto semplice da soddisfare, in quanto un placebo, per definizione, non dovrebbe avere alcun effetto avverso – ma proprio questa condizione potrebbe mettere sull’avviso sia il soggetto, sia chi gli fa la visita periodica di controllo, sia chi valuta gli effetti sui due rami. Nondimeno è un requisito importante, perché una lunga esperienza storica, consacrata appunto dall’adozione di questa regola metodologica, indica che la conoscenza di chi abbia preso il farmaco vero e chi quello fasullo distorce la valutazione e addirittura l’esito dell’esperimento. Se addirittura il gruppo placebo viene rivelato prima della fine, la serietà scientifica dell’esperimento è compromessa.
- Punto finaleSe da un certo trattamento ci si aspetta che guarisca la malattia X, per esempio, l’esperimento è fallito se ciò che si verifica è che diminuisce da 4 giorni a 3,5 giorni la durata dei sintomi.Cambiare in corso di sperimentazione o addirittura in fase di valutazione finale l’obiettivo della sperimentazione e dichiarare che “il trattamento si è rivelato efficace, in quanto ha diminuito del 12,5% la durata dei sintomi” significa ingannare i lettori meno attenti (comprese le agenzie regolatorie e successivamente i medici che prescrivono).
A volte si sostituisce il punto finale naturale (qui la guarigione) con un surrogato che si può ipotizzare associato in qualche misura ad esso (per esempio, non c’è stata guarigione, ma la febbre è risultata di 3 decimi inferiore a partire dal terzo giorno, oppure è migliorato un certo parametro ematico che si ipotizza legato al processo di guarigione). Queste sostituzioni “salvano” l’investimento finanziario e “umano” nella sperimentazione solo al costo di una perdita più o meno grave del valore scientifico.
- Durata della sperimentazioneQuesto è un punto tanto elementare quanto importante, ma molti si sforzano di non capirlo, e ancor più di non farlo capire al pubblico. In breve: interrompere la sperimentazione quando sembri che uno dei due rami se la cavi meglio dell’altro è paragonabile a interrompere una partita di calcio al primo tempo se la squadra di casa è in vantaggio. Nessun tifoso o sportivo accetterebbe, ma a quanto pare la sperimentazione dei medicinali è spesso considerata una questione meno seria di una partita di calcio.Così avviene che si decida prima della fine della sperimentazione di somministrare il trattamento anche al ramo placebo, “perché”- si dice – “non sarebbe etico sottrarre ai pazienti di questo ramo un trattamento efficace”: suona bene, ma… è già stata forse dimostrata l’efficacia? Analogia: “perché sarebbe stato crudele ritardare l’esultanza dei tifosi della squadra vincente”. Ma… aveva vinto?
- Effetti avversi (o dell’“effetto ghigliottina”)È evidente a ogni persona di buon senso che un trattamento per X non è accettabile se aumenta l’incidenza di altre malattie, di gravità paragonabile, in chi vi si sottopone. Purtroppo questo punto elementare sembra sfuggire a quegli statistici che si concentrano, ad esempio, sui soli decessi (o altri esiti) dovuti a X. È un “errore” comprensibile da parte delle ditte a cui il produttore del farmaco appalta la sperimentazione, e che vogliono fornire dati il più possibile favorevoli al farmaco, ma non da parte dell’autorità pubblica. Eccone un’illustrazione fantastorica (ma non troppo) che spero chiarisca una volta per tutte il concetto.Ci viene detto che nell’autunno 1793 a Parigi c’è stata una significativa diminuzione di casi di morte per tubercolosi. Poi però veniamo a sapere anche un altro dato: nello stesso periodo sono aumentate vertiginosamente le morti per decapitazione.
Possiamo dire che la ghigliottina ebbe un’alta efficacia nell’evitare la morte per tubercolosi? Ovviamente sì: la sua efficacia, come ognuno può capire a priori, è addirittura del 100%! Ma non per questo la si proporrebbe come una misura preventiva da potenziare (per esempio estendendo la classe dei reati passibili di condanna a morte) – anche se non ci dovremmo stupire più di tanto se i produttori di ghigliottine mettessero l’accento su questo effetto preventivo.
Propongo di chiamare “effetto ghigliottina” l’apparente efficacia di un trattamento derivante in realtà dalla sua sovrapposizione con fattori indipendenti dal trattamento e che riducono il numero degli esiti negativi del trattamento. Ad esempio, se c’è una tendenza decennale di aumento del tasso di mortalità in una certa popolazione per cause non direttamente legate alla condizione X trattata, il trattamento potrebbe sembrar diminuire, nel corso di un anno di sperimentazione, la mortalità specifica per X: ma sarebbe un effetto illusorio (in realtà persone con X che, anche dopo il trattamento, sarebbero comunque morte, sono morte prima per le cause della tendenza decennale).
Per la stessa ragione, la ricerca attiva delle reazioni avverse gravi a un vaccino non è un lusso metodologico o una pignoleria: è invece essenziale perché si possa anche solo cominciare a pensare di proporre il vaccino come una ragionevole misura preventiva. Ma proprio per questo un sistema di rilevazione passiva delle reazioni avverse è un insulto all’epidemiologia clinica non meno che all’interesse dei cittadini. Come ho già ricordato altrove, le reazioni avverse spontaneamente segnalate dai cittadini o dai loro medici sono stimate da 1/20 a meno di 1/100 di quelle realmente avvenute. Giocare così al ribasso sulla salute dei cittadini è intollerabile, e continuare a fare finta che questo non sia un problema squalifica i sedicenti esperti.
Personalmente considero un falsario un professionista della sanità (per non dire di un giornalista o di vari altri improbabili personaggi circolanti negli studi televisivi) che non premetta questa essenziale avvertenza a qualsiasi valutazione sui dati disponibili relativi ai danni da vaccini (o di altri medicinali!).
- Integrità dei datiSe vogliamo questo è il più banale dei requisiti: ci vogliono garanzie sulla qualità del vino più forti del fatto che l’oste ne tessa le lodi. Le agenzie regolatorie devono avere facoltà di verificare che quanto è stato loro consegnato è tutto ciò che è emerso dalla sperimentazione, e che è esattamente come emerso dalla sperimentazione.Ma non basta: l’accesso ai dati (debitamente anonimizzati, ma questo non crea ritardi, perché è tenuta a farlo l’industria al momento di sottoporre l’incartamento all’agenzia regolatoria) deve essere possibile a tutti gli interessati. Non deve essere necessario ricorrere ai giudici per avere questo accesso. E l’accesso dev’essere immediato, non una semplice promessa.Per citare un esempio rilevante, la Food and Drug Administration (FDA), dopo un’azione legale (Freedom of Information Act) dell’associazione Public Health and Medical Professionals for Transparency (PHMPT), è stata condannata a rendere noti i documenti sottoposti dalla Pfizer per
l’autorizzazione del suo vaccino anti-covid-19. Solo che ha dichiarato che per rendere disponibile l’intera documentazione ci vorranno almeno… 75 anni. È uno scherzo? No, è esattamente quello che ha risposto (i poveretti mancano di personale…). Ovviamente PHMPT ha fatto ricorso (13 dicembre 2021).
- Popolazione rappresentativaCiò significa, per esempio, che se il farmaco è destinato ai bambini di 5-11 anni, la popolazione su cui è stata fatta la sperimentazione dovrebbe essere appunto di questa fascia d’età. Non basta averlo sperimentato su persone dai 16 anni in su. Oppure, se il farmaco è un analgesico contro i disturbi mestruali, non basta averlo sperimentato su una popolazione di maschi.Inoltre, sempre per esempio, se l’effetto che ci si aspetta dal farmaco è piccolo, la popolazione dev’essere grande. Quindi un farmaco destinato a bambini di 5-11 anni nei quali una certa malattia guarisce quasi sempre senza specifici interventi (come succede per il covid-19), potrebbe esibire un impatto positivo solo su un piccolo residuo “sfortunato”: ma allora occorrerà studiare una popolazione molto grande per poterlo misurare.
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In breve: ai cittadini si chiede di rischiare la vita (letteralmente) su un farmaco le cui credenziali sono e resteranno per tre quarti di secolo inverificabili da parte di scienziati indipendenti.
Alla fine di questa sezione mi sembra doveroso precisare che poco di ciò che ho detto si può considerare originale. Sono in gran parte cose risapute, in particolare il pericolo dell’uso di punti finali surrogati e della considerazione della mortalità specifica invece della mortalità per tutte le cause (si veda ad esempio questo articolo di trent’anni fa, e recente e con riferimento al vaccino della Pfizer, quest’altro). Ma proprio per questo il primitivismo metodologico in cui è precipitata l’apologetica della campagna vaccinale preoccupa: perché è difficile pensare che chi lo adotta sia veramente ignaro di ciò che sta facendo.
Se, come è stato detto, la prima vittima di ogni guerra è la verità, la seconda vittima della guerra al covid-19 è stata la medicina basata sulle prove (o, come si dice in inglese, evidence-based medicine).
L’ultimo punto merita di essere illustrato in una sezione separata con altri particolari sull’esempio già citato.
La fiducia è una cosa seria
Che la Pfizer non fosse esattamente una industria con una tale specchiata pagella di correttezza da garantire l’affidabilità delle sue assicurazioni circa la sicurezza e l’efficacia del suo vaccino anti- covid-19 era ben noto a chiunque si occupi di transnazionali del farmaco, e ne avevo parlato già un anno fa, come anche del fatto che teneva i governi per il bavero.
Non prevedevo però che, in tempi così rapidi, sull’inaffidabilità dei dati della sperimentazione clinica ci sarebbe stata una segnalazione dall’interno, da parte cioè di una scienziata che ha denunciato la manipolazione e la fabbricazione di dati nel segmento della sperimentazione appaltato a Ventavia, una grossa impresa privata di sperimentazione clinica. La segnalazione diretta per e-mail alla Food and Drug Administration (FDA) non ebbe la capacità di far aprire alla FDA un’inchiesta in merito. In compenso riuscì a far licenziare, il giorno stesso, la coraggiosa scienziata.
La vicenda ha avuto un’eco internazionale grazie al fatto che il BMJ (una rivista medica tra le più meritatamente autorevoli al mondo) ha deciso di occuparsene. E la migliore prova che l’articolo nel quale ne ha trattato ha avuto una grande circolazione è che… è stato censurato da Facebook con la scusa di una “verifica fallita della notizia”. (L’idea di Facebook che censura il BMJ o di Twitter che censura Malone sembra tratta da un romanzo satirico: invece è la realtà del nostro miserando presente).
Si è cercato di minimizzare l’incidente (chiamiamolo così) osservando che i partecipanti alla prova clinica di cui si occupava Ventavia erano «più di 1000» mentre l’intera prova clinica ne comprendeva circa 44.000. Ora, da un lato anche un relativamente piccolo numero di dati manipolati può avere grandi effetti sulle stime di efficacia. Ma quello che di più grave questa vicenda conferma è che i dati con cui una grande industria privata può ottenere l’autorizzazione di un medicinale sono praticamente in suo totale controllo – salvo quei casi rarissimi in cui un dipendente di eccezionale tempra morale accetta di rischiare il posto di lavoro per rivelare una malversazione.
Vaccini anti-covid-19: che cosa si afferma su di essi?
Quanto detto nella penultima sezione riguarda più o meno qualsiasi farmaco o indicazione terapeutica per una certa malattia. Nel caso di un vaccino ci sono però difficoltà aggiuntive.
Un medicinale è prescritto a chi sia malato, perché guarisca o, quanto meno, per migliorarne la condizione clinica. Della malattia in questione si conosce il decorso senza trattamenti o con i trattamenti usuali, e si può quindi valutare con una certa precisione l’impatto della terapia in fase di sperimentazione, anche in termini temporali (se cioè la guarigione o il miglioramento sopravvenga in tempi mediamente più brevi).
Non si ripeterà mai abbastanza che con i vaccini la situazione è completamente diversa, particolarmente se il malanno che si vorrebbe evitare per mezzo del vaccino è mal definito. Questo è notoriamente il caso del covid-19. Tutte le cosiddette statistiche dei “contagi” sono affette da un test che confonde tra SARS-CoV-2 e altri virus similinfluenzali (si veda qui e qui). Quanto dicevo nei miei interventi, due dei quali sul forum del BMJ, ha ricevuto di recente una conferma indiretta, oltre che dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), anche dai Center for Disease Control and Prevention (CDC), che hanno pubblicato il 7 dicembre 2021 l’avviso che dal 31 dicembre i test utilizzati per stabilire i casi di covid-19 sarebbero stati ritirati: questo per favorire l’adozione di nuovi metodi che «possano facilitare rilevazione e differenziazione dei virus SARS-CoV-2 e influenzali».
Il vaccino è somministrato a persone sane, che potrebbero non trovarsi mai, in tutta la durata della sperimentazione, a rischio di essere contagiate – non esiste infatti un tempo massimo in cui si può condurre una normale esistenza senza diventare positivi al test per il covid-19. Non solo, ma nel periodo della sperimentazione potrebbe darsi che l’infezione circoli poco, e quindi la differenza tra chi è protetto e chi no potrebbe essere statisticamente non significativa, anche in presenza di un vaccino che sarebbe capace di proteggere in situazioni di rischio.
Inoltre, qual è esattamente il punto finale della sperimentazione?
Si direbbe che ce n’è uno molto naturale: le percentuali dei casi covid-19 nei due rami. Ci sono però due problemi.
Uno è quello già discusso qui, ed è che per ottenere una misura di efficacia a partire da queste percentuali ci sono almeno due metodi: l’efficacia assoluta e quella relativa, che danno risultati diversi – e, soprattutto, orientano verso scelte pratiche diverse.
Il secondo problema è stato toccato sopra in G). Limitarsi alle percentuali di casi covid-19 trascura un aspetto essenziale: le percentuali di malattie diverse dal covid-19 che colpiscono i due rami nel corso della sperimentazione. Nessuna persona sana di mente, se debitamente informata, vorrebbe evitare di ammalarsi di covid-19 al rischio di una pericardite, di una miocardite, di un ictus o di una trombosi (eccetera eccetera). E questo vale anche se l’assunzione del vaccino garantisse l’immunità al covid-19, il che sicuramente non è.
Più rigorosamente ci si potrebbe chiedere: quali sono i livelli di protezione dal covid-19 da un lato, e la probabilità di gravi reazioni avverse dall’altro, che convincerebbero una persona razionale a correre il rischio delle seconde per raggiungere la prima?
È una questione complicata, ma quello che è certo è che non esiste una risposta unica valida per tutti.
Chi andava in battaglia nell’antichità si portava lo scudo; ma chi non era chiamato alle armi non è che sentisse il dovere di andare al mercato cittadino con lo scudo. Campagne vaccinali universali assumono ciò che non è: che tutti siano ugualmente esposti ed egualmente a rischio di forme gravi di malattia se colpiti. È una sciocchezza, e vorrei che i medici lo dicessero abbandonando ogni reticenza. Anche un medico o un infermiere che abbia lavorato in un reparto “covid-19” si scredita se promuove una vaccinazione (peggio ancora se lo fa incitando l’odio contro chi non si vaccina) della cui reale efficacia non sa nemmeno quello che potrebbe imparare studiando la letteratura: perché, dato il lavoro che fa, non avrà avuto certamente il tempo di esaminare la letteratura con lo scrupolo che richiede.
Poiché c’è ancora qualcuno che pensa di poter trattare la questione delle reazioni avverse con una scrollata di spalle, ecco la lista dei possibili effetti avversi dei vaccini anti-covid-19 elaborata già più di un anno fa (il 22 ottobre 2020) dalla Food and Drug Administration:
Come si può vedere, prima che cominciasse la campagna vaccinale, si sapeva che i vaccini potevano aumentare, per citare solo 5 della trentina di effetti avversi qui elencati, l’incidenza di miocarditi, pericarditi, encefaliti, infarti e decessi.
Ciò nonostante, le autorità sanitarie e il giornalismo governativo hanno insistito sulla totale innocuità dei vaccini anti-covid-19, se non, al più, per il tipo di conseguenze che può avere l’assunzione anche del più comune dei farmaci da banco, e ridicolizzando e insultando anche quelli dei loro colleghi che invece facevano presente quanto risultava dalla letteratura.
Pretese mutevoli
Ma quali vantaggi avrebbe avuto il vaccinarsi contro il covid-19? Se c’è qualcosa che tutti dovrebbero sapere è che le pretese avanzate al riguardo sono progressivamente e rapidamente cambiate nel corso del 2021, nonostante adesso si senta dire, falsamente, dagli “esperti governativi” che loro avevano affermato la stessa cosa fin dall’inizio.
All’inizio della campagna vaccinale la tesi sostenuta dalle autorità sanitarie era:
T1 – I vaccini anti-covid-19 impediscono l’infezione, nel senso che un “vaccinato” inizialmente non positivo è immune.
Le virgolette saranno chiarite tra poco. Chi abbia sentito qualche volta un bollettino sulla campagna vaccinale avrà notato che i giornalisti hanno sempre utilizzato “vaccinato” e “immunizzato” come sinonimi. Bene: non sono sinonimi, e chi li tratta come tali cerca di mistificare l’uditorio.
Siamo “vaccinati” se ci siamo sottoposti a una certa procedura medica, siamo “immunizzati” se il risultato di tale procedura (o della guarigione dalla malattia naturale!) è di averci reso inattaccabili dal covid-19: cioè, di aver fatto sì che, qualora fossimo esposti al contagio, non diventeremmo positivi. Usare come sinonimi i due termini è come usare il termine “vincitore della lotteria” come sinonimo di “acquirente di un biglietto della lotteria”. A mio parere un giornalista che abbia praticato sistematicamente questo tipo di disinformazione, in particolare se della RAI, avrebbe dovuto essere severamente ammonito e penalizzato (purtroppo sto parlando della quasi totalità di tali giornalisti).
In ogni caso, si è presto scoperto che i “vaccinati” potevano diventare positivi, e così si sostituì T1 con:
T2 – I “vaccinati”, anche se diventano positivi, non sono sintomatici (cioè non sono malati in senso proprio).
Ma poi si è visto che i “vaccinati” potevano non solo diventare positivi, ma anche avere sintomi. Allora si è sostituita T2 con:
T3 – I “vaccinati”, anche se con covid-19 sintomatico, hanno sintomi più blandi dei non vaccinati.
Ma poi si è visto che i “vaccinati” non solo potevano diventare positivi e mostrare sintomi, ma anche aver bisogno di un ricovero ospedaliero! Nuova sostituzione:
T4 – I “vaccinati”, anche se diventano positivi ed eventualmente bisognosi di ricovero per covid- 19, non sono però contagiosi.
Ma poi si è visto che vaccinati e non vaccinati, quando diventano positivi, hanno lo stesso carico virale e quindi lo stesso potenziale di contagio! Si è quindi passati alla seguente tesi sui presunti meriti dei vaccini anti-covid-19:
T5 – I “vaccinati” diventano positivi (e quindi contagiosi) ed eventualmente bisognosi di ricovero per covid-19 meno spesso dei non “vaccinati”.
Ma nemmeno questa tesi è risultata così convincente, e la si è – tacitamente, come le precedenti – sostituita con:
T6 – I “vaccinati” diventano positivi (e quindi contagiosi) ed eventualmente bisognosi di ricovero in terapia intensiva per covid-19 meno spesso dei non “vaccinati”. Di solito T6 è stata (ed è) abbinata a:
T6bis – I “vaccinati” diventano positivi (e quindi contagiosi) ed eventualmente muoiono per covid-19 meno spesso dei non “vaccinati”.
È chiaro che mentre T1 dava una buona ragione per vaccinarsi (anche se non una ragione decisiva: il rischio di reazioni avverse gravi andava comunque valutato), il valore a livello decisionale dell’accoppiata T6-T6bis dipende in gran parte dalla stima di quel “meno spesso”.
L’avvicendamento delle tesi sopra elencate è, in sostanza, la storia di una sequenza di confutazioni che hanno permesso di salvare il programma vaccinale iniziale solo al costo di indebolirne le pretese. Di strada ne è stata fatta… Vediamo che cosa si è perso nel percorso:
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- chi si vaccina non è al riparo (= immunizzato) dal covid-19;
- chi si vaccina non è al riparo nemmeno dalle forme gravi di covid-19 che richiedono il ricovero, e nemmeno dal pericolo di vita;
- ma soprattutto non è sicuro di non trasmettere l’infezione;
- è quindi impossibile che, anche qualora in una popolazione si vaccinassero tutti, si conseguirebbe l’immunità di gregge (cioè si arresterebbe la circolazione del virus in quella popolazione);
- ne segue in particolare che non può essere socialmente doveroso vaccinarsi;
- quindi una legge che stabilisca un obbligo di vaccinazione è scientificamente infondata e, già solo per questo, manifestamente viola il «rispetto della persona umana» prescritto, senza eccezioni, dall’articolo 32 della Costituzione.
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“Ma è colpa delle varianti!”
La spiegazione che comunemente si dà per lo slittamento da T1 a T6 è che non si poteva prevedere che avremmo avuto a che fare non solo con il SARS-CoV-2 originario ma anche con sue varianti – così numerose che adesso c’è da temere che l’alfabeto greco possa non bastare. Ma veramente l’aumento di casi con varianti non ha niente a che fare con la campagna vaccinale stessa?
Il Gruppo Vaccini dell’ISS ha pubblicato il 7 agosto 2021 un documento così annunciato:
«Covid: dall’Iss un vademecum contro le fake news sui vaccini»
Ora, già l’uso del termine “fake news” per definire opinioni in contrasto con quanto sostenuto dal governo dà la misura intellettuale e civile dell’operazione. Ci sarebbe molto da dire su tutto l’opuscolo, ma ecco l’esempio che qui ci interessa:
«Più vacciniamo più escono nuove varianti»
La pretesa confutazione dell’ISS è interamente basata non sulla sostanza della questione, ma sull’uso colloquiale del verbo “uscire”:
«Le varianti emergono perché il virus, replicandosi [anche nell’ospite infettato! (NdC)], tende a sviluppare nuove mutazioni. I vaccini, riducendo la circolazione [del virus originale (NdC)], limitano quindi la possibilità che il virus muti. Le varianti in circolazione in questo momento inoltre, compresa la ‘Delta’ , sono state osservate per la prima volta lo scorso dicembre, quando ancora le campagne vaccinali erano iniziate in pochissimi paesi»
Insomma, per l’ISS Darwin non è mai esistito. Assunta la correttezza storica di quanto detto dall’ISS (cioè che le varianti in circolazione abbiano preceduto l’inizio della campagna vaccinale e che i vaccini anti-covid-19 siano efficaci), la campagna vaccinale non può che aver facilitato la diffusione delle varianti – appunto «riducendo la circolazione» del virus originale. In altre parole: nella misura in cui i vaccini anti-covid-19 sono efficaci, essi conferiscono un vantaggio selettivo alle varianti – “nuove” in quanto diverse dal virus su cui è stato progettato il vaccino.
In questo senso è perfettamente vero che “più vacciniamo più escono [cioè diventano epidemiologicamente rilevanti] nuove varianti”.
Si può aggiungere questa verità che non sorprenderà nessuno che si intenda realmente del tema: è chi non si vaccina che si sacrifica per la collettività, in quanto, rinunciando alla protezione fornita dal vaccino, ostacola il diffondersi di nuove varianti. È a chi non si vaccina che la società deve essere grata.
I veri opportunisti, indifferenti a un’evoluzione virale che potrebbe approdare a varianti contro cui la profilassi vaccinale diventa del tutto inefficace (e ne abbiamo già i segnali), sono precisamente quelli che si vaccinano nelle attuali condizioni. Proprio come l’abuso degli antibiotici (in primo luogo nei reparti ospedalieri, dove – non mi stancherò mai di ripeterlo – muoiono nella generale indifferenza delle nostre amorevoli autorità sanitarie circa 50.000 persone all’anno per infezioni ivi contratte) crea ceppi antibiotico-resistenti contro cui la farmacologia attuale è impotente.
Vaccinare una popolazione senza una scelta opportuna dei tempi (in particolare vaccinarla con l’epidemia in atto) è pericoloso per gli individui come per la collettività, e questo lo si poteva perfettamente prevedere.
Naturalmente altro discorso è quello della gravità (letalità, virulenza) delle varianti, che c’è ogni ragione di ritenere che sia ingigantita dalla propaganda per mantenere in uno stato di soggezione permanente la popolazione.
Etica e diritto
A proposito del presunto “dovere di vaccinarsi”, non pensavo che spettasse ad autorità politiche di pronunciarsi su questioni etiche.
Mi auguro comunque che, per coerenza, presto il presidente della Repubblica, prima di cedere il testimone al suo successore, elevi il monito che non bisogna bere alcolici e consumare carne rossa o lavorata (ricordo a chi lo avesse dimenticato che, secondo la massima autorità sanitaria mondiale in materia, la International Agency for Research on Cancer (IARC), si tratta infatti di cancerogeni sugli umani), e non bisogna mangiare troppo e fare vita sedentaria, per non contribuire a una reale pandemia, che è quella dell’obesità o, come anche la si chiama, della diabesità.
Nello stesso monito, potrebbe cogliere l’occasione per auspicare che l’indice di massa corporea di ogni medico, e particolarmente di ogni presidente di ordine dei medici, fosse monitorato mensilmente, e che se per due volte consecutive superasse il valore 30, ciò comportasse la sospensione nel caso del medico, e le dimissioni immediate nel caso del presidente. Infatti un medico obeso (per non dire di un presidente di ordine) manda ai suoi pazienti un messaggio sanitario molto più fuorviante che se non si fosse sottoposto a nessuna vaccinazione, visto che di quest’ultima circostanza, dopo tutto, sarebbe consapevole solo lui (si veda anche qui).
Soprattutto – qui si passerebbe dall’etica al diritto, un campo che dovrebbe essere più familiare al Presidente – vorrei che dalla più alta carica dello Stato venisse l’auspicio che gli amministratori
delegati delle industrie che inquinano siano inchiodati alle loro responsabilità con altrettanto impegno e severità con cui chi circola in certi luoghi pubblici senza Green Pass viene identificato e multato dalle forze dell’ordine – tra le quali, peraltro, il disagio e la protesta stanno crescendo.
Per quanto riguarda la questione della costituzionalità, gli esperti di diritto costituzionale dovrebbero riconciliarsi con una nozione abbastanza semplice e che, al tempo stesso, né detrae dalla loro maggiore competenza in materia, né travisa la portata e il senso della Costituzione italiana.
La nozione è: mentre c’è talvolta bisogno di un esperto di diritto per valutare la compatibilità della Costituzione con possibilità di azione o di scelta che all’epoca della sua stesura non erano realizzabili, qualsiasi cittadino di media istruzione è in grado di capirne i principî fondamentali e come si applichino in contesti ordinari. Questo perché la Costituzione è il contratto sociale degli italiani. Trattarlo come uno di quei contratti commerciali le cui clausole in caratteri minuscoli capovolgono il significato manifesto del testo principale è un gratuito insulto ai Padri costituenti e alla Repubblica Italiana.
Che cos’è un “vaccinato”?
E adesso veniamo alle virgolette di “vaccinato”. Si potrebbe dire che non c’è niente di più semplice: si è vaccinati contro il covid-19 se ci si è fatti inoculare uno dei vaccini anti-covid-19.
Purtroppo non è così. Il concetto operativo di “vaccinato” è stato insensibilmente trasformato in quello normativo di “completamente vaccinato”. Nelle statistiche che vengono citate, ad esempio, per confrontare i ricoverati in terapia intensiva vaccinati con quelli non vaccinati, si intende che, se il vaccino è, per fissare le idee su quello maggiormente diffuso in Italia, il Comirnaty della Pfizer, la persona “vaccinata” è quella “completamente vaccinata”, alla quale cioè
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- sono state somministrate due dosi del vaccino;
- e siano trascorsi almeno 14 giorni dalla seconda dose.
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Quindi se a una persona è stata somministrata una dose del Comirnaty e prima che le venga somministrata una seconda dose si ammala e viene ricoverata con covid-19, essa sarà contata tra i ricoverati che non erano vaccinati.
Si potrà dire: giusto, in fondo non ha completato il ciclo vaccinale prescritto per quel certo vaccino. Ora, ciò sarebbe abbastanza corretto se a noi interessasse soltanto l’effetto dell’intero ciclo vaccinale nella prevenzione del ricovero “covid-19”.
Ma a noi interessa, o dovrebbe interessare, anche altro.
In particolare ci dovrebbe interessare sapere se chi ha assunto una sola dose sia a maggior rischio di chi non ne ha assunta nessuna: e non solo a rischio di un ricovero “covid-19”, ma anche di quello per altre malattie. L’assunzione anche di una sola dose del vaccino potrebbe avere effetti dannosi su certi individui e, tra l’altro, renderli più suscettibili dei “per niente vaccinati” al covid-19.
Analogamente, fino a qualche mese fa si poteva sentir affermare – con il tono apodittico di chi ha la licenza di dire qualsiasi sciocchezza, purché conforme alle direttive del governo – che i vaccini anti-covid-19 proteggevano per anni. Adesso si ammette che i dati epidemiologici raccontano una storia molto diversa, e che, per esempio, oltre i 5 mesi dalla prima dose la protezione diminuisce drasticamente. Così, le cifre più “fulgide” del confronto tra “vaccinati” e “per niente vaccinati” riguardano un intervallo temporale di
5 mesi – 21 giorni (intervallo tra le due dosi) -14 giorni (trascorsi dalla seconda dose)
cioè meno di 4 mesi. Be’, credo che nessuno, in tutta la storia della medicina, si sia mai vaccinato contro una qualsiasi malattia con la promessa di diminuire la probabilità di prendersi la malattia… soltanto per circa 4 mesi.
Se poi la malattia non è la peste bubbonica, ma una ipotetica infezione tale che, nella stragrande maggioranza dei casi, occorre sottoporsi a un test di dubbio valore per sapere di averla, è chiaro che questa offerta di prevenzione generalizzata è una proposta irragionevole.
Bisogna essere consapevoli dei giochi di parole che si stanno facendo per mettere nella luce migliore una campagna vaccinale che si era preannunciata come una delle più catastrofiche di tutta la storia delle vaccinazioni – e solo in questo ha confermato le previsioni. L’ultima notizia al riguardo è la dichiarazione di Anthony Fauci che il concetto di “completamente vaccinato” andrà ridefinito, con l’aggiunta di una o più dosi; per Fauci non si tratta di una semplice ipotesi: «Si tratta di quando, non se».
Rischi
Il 4 dicembre gli italiani sono stati informati da giornali e telegiornali di un effetto dei vaccini anti- covid-19 che sembra molto notevole: i non vaccinati rischierebbero di morire 9 volte più spesso dei vaccinati! Ecco la forma in cui la notizia è stata data:
«Dagli ultimi dati dell’ISS arriva l’ennesima conferma sull’efficacia dei vaccini anti Covid, soprattutto contro le forme gravi della malattia. Per un non vaccinato il rischio rispetto a un vaccinato da meno di 5 mesi è 10 volte maggiore di ricovero, 16 volte maggiore di terapia intensiva, 9 volte maggiore di morte: sono questi gli ultimi dati aggiornati dell’Istituto superiore di Sanità e contenuti nel documento esteso del monitoraggio settimanale pubblicato oggi, in cui si fa il punto sull’efficacia del vaccino nei 5 mesi.»
Su questa base ci sono state affermazioni come la seguente, di un professore di Malattie Infettive e direttore scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT), che in televisione è arrivato a dire che:
«“con l’obbligo vaccinale avremmo avuto 30 mila o 40 mila morti in meno” […] “Abbiamo visto- ha detto il professore – che c’è una riduzione di almeno sette-otto volte della mortalità in soggetti vaccinati, quindi il fatto che non sia stato messo l’obbligo vaccinale corrisponde a circa 30 mila, 40 mila morti in più”. Questo secondo Andreoni il conto approssimativo. Perché l’obbligo avrebbe consentito di raggiungere anche quelle persone troppo paurose e indecise, conducendole sulla strada di un vaccino che sta risparmiando un sacco di morti.»
Ora, lasciamo perdere il salto logico con cui da un dato che si vuole della natura di un fatto scientifico si passa a una prescrizione etico-giuridica. È possibile che chi fa queste dichiarazioni non se ne renda conto o è il clima eversivo in cui il nostro paese è palesemente immerso da quasi due anni che le rende psicologicamente “accettabili”?
L’idea alla base (“tutto, pur di salvare vite umane”) sarebbe peraltro una novità assoluta.
Come ho spiegato più volte, in Italia la mortalità per livelli di inquinamento che hanno costretto la Commissione Europea ad aprire procedure d’infrazione contro il nostro paese, e la mortalità per le già citate infezioni ospedaliere (che il suddetto professore dovrebbe conoscere molto bene), sono dell’ordine di quella che, in maniera estremamente ipotetica (come vedremo), sarebbe a parere del professore attribuibile all’assenza di un obbligo vaccinale. Oppure si considerino le morti per fumo di tabacco in Italia, stimate tra le 70.000 e 83.000 all’anno.
È sicuramente strano che certi luminari medici non si siano per tanti lunghi anni mai esposti, nella maniera severa e insistente con cui oggi lanciano i loro accorati appelli a vaccinarsi, per condannare i comportamenti istituzionali e individuali alla base di queste emorragie annuali di vite umane. E tra le cause istituzionali non dovrebbe essere mai dimenticata la ultradecennale serie di tagli alla spesa sanitaria, che l’attuale governo, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non solo non ha interrotto, ma, dopo una parziale correzione nel 2020, ha riconfermato (si torna indietro di 6 miliardi nel prossimo biennio 2022-23).
Ciò che invece non diminuisce mai, ma cresce (pandemia o no), è la spesa militare, di quasi 25 miliardi per il 2021, con un aumento dell’8,1% rispetto al 2020 e di ben il 15,7% rispetto al 2019. Anche questo capitolo di spesa ha lo scopo di salvare vite umane?
I «non vaccinati» negli ospedali
E i «non vaccinati» che affollerebbero le corsie degli ospedali? La questione è più sottile di ciò che sembra a prima vista.
► Innanzitutto, c’è la difficoltà descritta in G): le statistiche riguardano solo i ricoveri “covid-19”. Per esempio, se il vaccinato è colpito da una encefalite e ricoverato, ciò non viene contato come un ricovero “covid-19” a meno che non sia risultato positivo: quindi, ai fini del suddetto confronto, è come se non fosse avvenuto. Certo, un’accurata perizia (che non è affatto scontato che venga mai eseguita!) potrebbe poi (a volte molto poi) stabilire ufficialmente un nesso con l’avvenuta vaccinazione. Ma se ciò accadesse il caso sarebbe catalogato, comunque, tra le reazioni avverse riconosciute, non tra i ricoveri “covid-19”.
Si dirà: è giusto così, il vaccinato a cui il vaccino ha provocato un’encefalite ma che è rimasto negativo al tampone non è un «caso di covid-19». Ma dal punto di vista delle persone forzate – ad esempio per non perdere lo stipendio o il lavoro – a vaccinarsi, è veramente così importante che le gravi conseguenze subite, forse anche il decesso, non siano etichettate “covid-19”? In parole povere: a chi servono, realmente, statistiche di questo tipo – ai cittadini o agli spacciatori di vaccini?
Viceversa, come detto sopra, se un «non vaccinato» finisce in ospedale per qualsiasi causa e un tampone ivi effettuato lo trova positivo, eccolo istantaneamente trasformato in un un ricovero “covid-19” (si veda anche qui). Cadono le braccia a constatare che anche personalità accademiche di qualche rilievo sembrano prendere sul serio un sistema di censimento dei casi “covid-19” ospedalieri che è evidentemente truccato.
Come ho già scritto (insieme a molti altri autori), quando si deve valutare l’impatto sanitario di una campagna vaccinale le sole statistiche degne di considerazione sono quelle relative alla morbilità di ogni tipo e alla mortalità per tutte le cause. Se, insomma, si accerta un’aumentata incidenza di miocarditi e infarti, e/o un’aumentata mortalità tra i vaccinati, questo è un dato epidemiologico di gran lunga più importante che il sapere che ci sono stati più decessi “covid-19” tra i non vaccinati che tra i vaccinati.
► In secondo luogo, l’essere ricoverati come caso “covid-19” è un effetto sia della condizione clinica individuale sia della sua gestione sanitaria.
Delle disastrose linee guida emanate dal Ministero della salute si sa ormai abbastanza, e se ne è parlato anche in alcune trasmissioni televisive: non c’è alcun dubbio che sono state un fattore dell’aggravamento dei casi “covid-19” e dell’aumento della mortalità corrispondente.
Ma è essenziale anche chiedersi quanti di quelli che risultano ricoveri “covid-19” siano diventati tali solo dopo che un tampone, effettuato al momento dell’ammissione, è risultato positivo su un paziente ricoverato per tutt’altre ragioni. Per citare un esempio che riguarda la Gran Bretagna, a Londra la percentuale di ricoveri per ogni tipo di malattie diventati “covid-19” solo dopo l’entrata in ospedale è il 70%. Che questo fenomeno non abbia niente di “squisitamente inglese” l’avevo documentato oltre un anno fa e anche più recentemente.
► In terzo luogo, dire che la probabilità che un non vaccinato sia ricoverato per “covid-19” sia il doppio o 9 volte quella che lo sia un vaccinato, fa una certa impressione solo su chi non capisce di che cosa si sta parlando, ma da solo non è sufficiente per concludere che i non vaccinati avrebbero fatto meglio a vaccinarsi: si tratta infatti di una stima del rischio relativo, non assoluto, e le persone razionali decidono sulla base del secondo e non del primo. Anzi, le persone razionali decidono sulla base del proprio rischio assoluto – che dipende dall’età, dal lavoro, dallo stile di vita, dalla presenza o assenza di altre patologie e dall’assunzione, collegata, di farmaci. Un medico che non sia impedito dal fare il proprio mestiere da una gestione oppressiva e umiliante della sua professione da parte di Ordini obbedienti a strani ordini, potrebbe aiutare il cittadino a definire il proprio profilo di rischio e a decidere con maggiore consapevolezza.
A proposito della differenza tra rischio relativo e rischio assoluto, la seguente analogia può aiutare a capirne l’importanza: chi acquista 1 biglietto della lotteria ha un rischio 9 volte maggiore di non vincere nessun premio rispetto a chi ne ha comprati 9. Ne segue che dovremmo tutti acquistare 9 biglietti (o 90 biglietti, o 900 biglietti ecc.) della lotteria? Ci stiamo avvicinando alla fine dell’anno, questo problema necessita di una risposta urgente…
Vale la pena, in relazione alla propaganda indecente che i media di regime stanno facendo a favore delle vaccinazioni, sottolineare che il non vaccinato (autentico o “giornalistico”) che, dopo essere stato ricoverato come caso grave di “covid-19”, si dichiara pentito davanti alle telecamere di non essersi vaccinato commette tre errori:
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- il primo è ritenere che ridurre la probabilità di ricovero “covid-19” significhi mettersene del tutto al riparo;
- il secondo è assumere che, nel suo caso, il vaccino avrebbe avuto solo effetti benefici e non anche gravi conseguenze avverse;
- e il terzo, e più grande, è credere che aver rischiato di morire migliori la sua capacità di giudizio.
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Fatte queste necessarie premesse, esaminiamo più da vicino la base dell’affermazione sulle “9 volte meno spesso”, dopo essere tornati ancora una volta sul tema della letalità del covid-19.
Letalità: come quella del complesso delle similinfluenze
Consideriamo l’ultimo bollettino ISS aggiornato al 24 novembre 2021, e che è la fonte della suddetta affermazione. Ecco innanzitutto il bilancio:
«Dall’inizio dell’epidemia, sono stati segnalati al sistema di sorveglianza 4.954.380 casi [su una popolazione di 60,3 milioni di abitanti, cioè ] confermati di COVID-19 diagnosticati in Italia dai laboratori di riferimento regionali e 132.747 decessi.»
Quindi la letalità nel senso del rapporto tra il numero dei deceduti positivi e il numero dei positivi (quella che ho chiamato L3), è 2,6%, minore di quella al 7 aprile 2021, che era 3,0%. Come ho spiegato, il 2,6% coincide essenzialmente con la letalità delle similinfluenze: vale a dire la probabilità di decesso in chi ne sia colpito – quindi non la mortalità, che è meno di 1/12 di L3, cioè circa 0,21%: e anche a proposito di questa percentuale va ripetuto che i decessi tra i positivi non sono uniformemente distribuiti secondo l’età e lo stato di salute. La suddetta percentuale non aveva mai fatto invocare lo stato di emergenza. Se a un certo punto si deciderà di trattare il covid-19 come una similinfluenza, lo si farà tacitamente e, per citare un recente articolo di Doshi e Anderson, «le televisioni non ne parleranno».
Bisogna sottolineare anche che lo 0,21% non è la vera mortalità del covid-19, per le ragioni da me spiegate, e confermate nell’ultimo rapporto covid-19, che avverte:
«I soggetti a cui, per qualsiasi motivo, non viene effettuato il test non vengono conteggiati perché non rispondono alla definizione di caso di Covid-19 riportata nella circolare del Ministero della Salute n.705 dell’8 gennaio 2021. Inoltre, si sottolinea che un test sierologico positivo e il conseguente test molecolare o antigenico negativo attesta una pregressa infezione; questi casi pregressi, se non hanno mai effettuato un test molecolare o antigenico con risultato positivo non rientrano nella casistica dei casi positivi.»
Quindi, come da me già detto nel luogo citato, la mortalità vera del covid-19 è al massimo dell’ordine di quella similinfluenzale, ma molto probabilmente è nettamente inferiore (fino a meno di 1/5 di 0,21% – fino a meno di 0,04%: 40 su 100.000).
«Nove volte più alto»
Riprendiamo la definizione di «non vaccinato» secondo l’ISS, che voglio riportare testualmente:
«casi non vaccinati: tutti i casi notificati con una diagnosi confermata di infezione da virus SARS-CoV-2 che
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- non hanno ricevuto alcuna dose di vaccino, oppure
- sono stati vaccinati con prima o mono dose nei 14 giorni precedenti la diagnosi stessa, ovvero prima del tempo necessario per sviluppare una risposta immunitaria almeno parziale al vaccino.»
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Questo significa che i deceduti con diagnosi di covid-19 entro 2 settimane dalla prima dose di Pfizer, AstraZeneca, Moderna, o dalla somministrazione del «monodose» (ma bisognerebbe dire: ex monodose) Janssen, sono classificati come «non vaccinati». Ne segue che secondo l’uso dell’ISS “non vaccinato” include ma non coincide con “mai vaccinato”.
È solo un’innocente convenzione linguistica? No.
Se per esempio la “singola dose” provoca entro due settimane un abbassamento delle difese immunitarie che rende più facile contrarre il covid-19, oppure causa reazioni gravi di altro tipo, decesso incluso – questi effetti entreranno nelle statistiche dei «non vaccinati»!
Si noti che, quando vuole, l’ISS può andare molto per il sottile, come quando arriva a spaccare in 3
(letteralmente: cioè a dividere in 3 categorie) i «completamente vaccinati»:
entro 6 mesi | oltre 6 mesi | con dose aggiuntiva
Avrebbe quindi, per coerenza metodologica e trasparenza, potuto semplicemente aggiungere un’altra categoria e lasciare che i casi non vaccinati fossero quelli veramente non vaccinati: non vaccinati nemmeno con una dose. Per evitare confusioni li chiamerò “mai vaccinati”.
A questo punto possiamo tornare alla stima delle “9 volte”:
«Analizzando il numero dei ricoveri in terapia intensiva e dei decessi negli over 80, si osserva che il tasso di ricoveri in terapia intensiva dei non vaccinati (15 ricoveri in terapia intensiva per 100.000) è circa otto volte più alto di quello dei vaccinati con ciclo completo da meno di sei mesi (2 ricoveri in terapia intensiva per 100.000) e da oltre sei mesi (1,8 ricoveri in terapia intensiva per 100.000) mentre, nel periodo 1/10/2021 – 31/11/2021 [sic!], il tasso di decesso nei non vaccinati (82 per 100.000) è circa nove volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo entro sei mesi (9 per 100.000) e sei volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo da oltre sei mesi (11 per 100,000).»
Quindi si parla degli ultra-80 nel bimestre ottobre-novembre del 2021. In tale periodo i decessi “covid-19” degli ultra-80 sono stati 200 tra i «non vaccinati», e 423 tra gli altri. Quindi i «non vaccinati» hanno formato il 32% (cioè meno di un terzo) dei deceduti: una netta minoranza. Il rapporto lo chiama «effetto paradosso», come dire: “no, non è come vi sembra…”.
In realtà non c’è nulla di misterioso. Più dei 2/3 dei decessi “covid-19” (423 su 623) sono a carico della sottopopolazione che ha accettato di farsi inoculare dosi di sieri anti-covid-19, e questa è la stragrande maggioranza della popolazione vaccinabile, il che ha ovviamente effetti assoluti sulle stime che, come tra poco vedremo, non permettono di ricavare direttamente gli effetti relativi.
Il vero “paradosso”, insanabile, è duplice.
Da un lato la scelta di farsi “vaccinare” – vuoi completata, vuoi non completata, vuoi con terza dose, vuoi entro 6 mesi, vuoi dopo 6 mesi – non previene con certezza le forme gravi di covid-19, e nemmeno la morte “covid-19”. Ma non era stato detto per mesi e mesi l’esatto contrario, e cioè che se ti vaccini, almeno sei sicuro che non patirai le forme di covid-19 più gravi e pericolose per la vita? Ebbene, era falso e questi dati ne sono la più ufficiale delle confutazioni.
Possiamo quindi rassicurare chi abbia scelto di non aderire alla campagna vaccinale ma finisce ricoverato in ospedale con tampone positivo (“caso covid-19” ricoverato): se si fosse vaccinato, poteva ancora essere contagiato, ammalarsi in forma grave e dover essere ricoverato in un reparto “covid-19” (specialmente se il suo medico curante si era attenuto strettamente alle indicazioni ministeriali).
Prima di trattare questo punto, dobbiamo però dire qual è l’altro lato del paradosso. È che, in termini assoluti, c’è poco da fare: negli ospedali i vaccinati sono più dei non vaccinati ((cfr. anche il rapporto ISS del 31 dicembre 2021, p. 25).
Ora, da dove proveniva e proviene l’insistenza nel far vaccinare tutti?
Lo scopo ufficiale sarebbe ridurre la pressione sui reparti di terapia intensiva. Diciamo subito che la sincerità di questo proposito è messa in dubbio dalla circostanza che le percentuali di occupazione di tali reparti sono state via via rese più restrittive: prima la soglia critica era del 30%, adesso, con la legge di conversione del 6 settembre 2021, n. 126 del decreto-legge 105 del 23 luglio, è scesa, incredibilmente, al 10%.
Insomma, si stanziano 2,5 miliardi per il trattamento pensionistico dei giornalisti (vedi sopra), ma si stringe la cinghia quando si tratta di sanità!
Ma, se accettiamo queste regole del gioco – cioè regole perversamente disegnate per intensificare il giro di vite autoritario –, resta nondimeno indubitabile che sono i vaccinati a pesare di più sulle casse dello Stato: sono loro i più numerosi.
Se veramente si pensasse che la minoranza di mai vaccinati siano maggiormente a rischio, si potrebbe serenamente accettare che una piccola percentuale di essi vada a occupare la minor parte dei reparti di terapia intensiva, mentre il resto di essi sarà formato dai mai ammalati o dai guariti senza essere mai stati ricoverati – questi ultimi restando immuni per un anno o più, e anche a più largo spettro dei vaccinati rispetto alle varianti. Quindi perché mai si dovrebbe trasformare la campagna vaccinale in una guerra di religione? Chiaramente nessuna delle ragioni ufficialmente dichiarate per mascherare, se non difendere, questa trasformazione ha la minima verosimiglianza.
Rischio relativo
Veniamo adesso alla questione se chi non si è vaccinato corra un maggior rischio di chi si è vaccinato: cioè sull’interesse del singolo a vaccinarsi.
Come abbiamo visto, si tratta delle tesi T6 e T6bis: quelle della minore percentuale di casi gravi e decessi “covid-19” tra i vaccinati rispetto ai non vaccinati.
Al 6 novembre l’ISS dà come percentuale di «non vaccinati» over-80 il 5%; agli altri corrisponde quindi il 95%. Quindi si potrebbe dire, come fanno loro, che il rischio relativo di decesso “covid- 19” «non vaccinati»/vaccinati nella fascia over-80 è 9, cioè il rapporto:
200/5 : 423/95 = 8,98… circa 9.
Ma data la maniera in cui sono categorizzati i decessi, non sappiamo veramente quanti siano i decessi tra i mai vaccinati.
Supponiamo che i decessi “covid-19” dei mai vaccinati fossero il 30% di 200, cioè 60; allora il rischio relativo di decesso “covid-19” mai vaccinati/tutti gli altri nella fascia over-80 sarebbe il rapporto (approssimando, per il 6 novembre, al 4,5% la percentuale, al 25 dicembre, del 4,18 % per i mai vaccinati fornita dal Sole 24Ore):
60/4,5 : 563/95,5 = 2,26… cioè poco più del doppio
Meno impressionante, vero?
Naturalmente se saranno pubblicati dati ufficiali sui decessi tra i mai vaccinati provvederò subito (diversamente da come fanno le cosiddette “autorità”) ad avvertirne i miei lettori aggiungendo una nota in una nuova versione di questo articolo. Ciò che però abbiamo appena provato oltre ogni dubbio è che la scelta di costruire la strana categoria dei «non vaccinati» (in una maniera che, francamente, non verrebbe in mente a nessuna persona ragionevole che debba decidere se cominciare a vaccinarsi o no) ha un impatto potenzialmente importante sulle stime di efficacia dei vaccini.
Ciò detto, bisogna chiedersi ancora una volta: ci dobbiamo preoccupare solo del rischio di decesso “covid-19”? No: per decidere razionalmente dobbiamo stare attenti non solo all’«effetto paradosso», ma anche all’effetto ghigliottina (cfr. G)), come adesso vedremo.
Reazioni avverse
Consideriamo infatti le segnalazioni di reazioni avverse ai vaccini anti-covid-19 e consultiamo il 5o rapporto AIFA sulla «Sorveglianza dei vaccini covid-19»:
«Non sono state osservate sostanziali differenze dei tassi di segnalazione fra 1a e 2a dose dei vaccini Comirnaty e Moderna, che risultano in linea con il tasso cumulativo.»
E per quanto riguarda i decessi?
«In Italia, al 26 maggio 2021, sono state inserite 328 segnalazioni con esito “decesso” con un tasso di segnalazione di 1/100.000 dosi somministrate, indipendentemente dal nesso di causalità. […] In 211 casi il decesso è registrato dopo la prima dose, in 98 dopo la seconda (ove specificato nella scheda di segnalazione).»
Quindi le segnalazioni con esito “decesso” dopo la prima dose sono più del doppio di quelle dopo la seconda dose! C’è puzza di bruciato? Verifichiamo l’ultimo (finora) di questi rapporti, il 9o, che arriva al 26 settembre:
«Complessivamente, dopo aver verificato la presenza di duplicati, ovvero di casi per cui è stata inserita più di una segnalazione, 608 segnalazioni gravi riportano l’esito “decesso” al momento della segnalazione o come informazione acquisita successivamente al follow up. Il tasso di segnalazione è di 0,72/100.000 dosi somministrate, indipendentemente dalla tipologia di vaccino, dal numero di dose e dal nesso di causalità, simile a quello riportato nel Rapporto precedente. […] In 397 casi il decesso è registrato dopo la prima dose e in 211 dopo la seconda.»
Un po’ meno del doppio, ma siamo lì: la maggioranza (circa i 2/3) dei decessi, dall’inizio della campagna vaccinale, segnalati dopo una vaccinazione anti-covid-19 sono stati registrati tra la prima e la seconda dose. La seconda dose nel vaccino più diffuso, il Comirnaty, è somministrata dopo 21 giorni. Non è possibile sapere in quale delle 3 settimane dalla prima dose è avvenuto un decesso, ma ammettendo una distribuzione uniforme (anche se verosimilmente sarà proprio nelle prime 2 settimane che si è concentrata la stragrande maggioranza dei decessi “dopo la prima dose”), possiamo assumere che circa 2/3 delle segnalazioni di decesso associate al Comirnaty (cioè 2/3 di 397, ossia, approssimando, 265) sono state attribuite ai cosiddetti «non vaccinati»!
Come già detto, il fattore di sottosegnalazione è stimato tra 20 e oltre 100. Quindi al posto di 608 reazioni avverse fatali dovremmo considerare una possibile stima tra 12.160 e 60.800 per tutte le età in 9 mesi (gennaio-settembre 2021). In due mesi avremmo quindi una media di 2702-13.511 reazioni avverse fatali, che ovviamente non riguarderebbero i mai vaccinati. Prendendo, per metterci nelle condizioni più favorevoli ai vaccinisti, il valore minimo, otteniamo che il rischio relativo di decesso (non solo covid-19!) tra mai vaccinati e vaccinati connesso alla scelta vaccinale (se non vaccinarsi oppure sì) sarebbe minore di 1:
60/4,5 : ( 563+2702)/95,5 = 0,39…
In altre parole il rischio di decesso connesso alla scelta vaccinale per i vaccinati sarebbe due volte e mezza (1/0,39 = 2,56…) quello dei mai vaccinati!
Quindi:
se al rischio relativo di decesso “covid-19” si sostituisce il rischio relativo di decesso “connesso alla scelta vaccinale anti-covid-19”, risultano in svantaggio, sulla base di ipotesi plausibili, non i mai vaccinati ma i vaccinati.
Non presento la stima sopra riportata come certa, ovviamente, ma come perfettamente verosimile allo stato delle informazioni disponibili. In altre parole, è confermato che la campagna vaccinale anti-covid-19 in Italia potrebbe non aver salvato nemmeno una vita, anzi, potrebbe averle fatte perdere.
Prima di continuare la campagna vaccinale promuovendo dosi aggiuntive ed estensioni della popolazione vaccinabile, bisognerebbe avere dati molto più solidi, per non trasformare l’insistenza a vaccinare tutti in una specie di ultima carica… del generale Figliuolo.
Mortalità e vaccini anti-covid-19 – aspetti giudiziari
A considerazioni di questo tipo spesso si obietta: ma se fosse vero che la campagna vaccinale sta facendo morire le persone, come mai questo aumento della mortalità non si nota nelle statistiche?
Una parte della spiegazione l’abbiamo già vista: è perché le statistiche della mortalità si limitano ai decessi “covid-19”, che ovviamente sono solo una parte, e nemmeno la maggiore, dei decessi connessi alla scelta di vaccinarsi.
Ma – si obietta ancora – è sbagliato considerare le “segnalazioni con esito decesso” come equivalenti a “decessi causati dalla vaccinazione”. Ecco per esempio l’analisi fornita dal 9o rapporto AIFA:
«Continuano a non essere segnalati decessi a seguito di shock anafilattico o reazioni allergiche importanti, mentre è frequente che il decesso si verifichi a seguito di complicanze di malattie o condizioni già presenti prima della vaccinazione.»
In questa osservazione si esclude implicitamente che la vaccinazione abbia potuto far precipitare le «malattie o condizioni» preesistenti. Questo ci dovrebbe far ricordare qualcosa.
Nel 2017-18 la propaganda sanitaria insisteva sul dovere di vaccinarsi per proteggere gli immunodepressi che non potevano vaccinarsi (ecco un esempio tardivo che ha per protagonista la “famosa” ex ministra della Salute): 2-3 anni dopo essi diventano, inopinatamente fino a pochi mesi prima, i primi della fila vaccinale… E se muoiono? L’idea sembra essere: tanto “sarebbero morti comunque…”. È un argomento non solo sgradevole, ma anche incoerente: a che pro vaccinare persone in condizioni così precarie da rendere il bilancio rischi-benefici della vaccinazione nella migliore delle ipotesi fortemente incerto? Ma proseguiamo:
«Il 71,5% (435/608) delle segnalazioni con esito decesso presenta una valutazione del nesso di causalità con l’algoritmo dell’OMS, in base al quale il 59,5% dei casi (259/435) è non correlabile, il 30,6% (133/435) indeterminato e il 6,2% (27/435) inclassificabile per mancanza di informazioni sufficienti. Complessivamente, 16 casi (3,7%) sui 435 valutati sono risultati correlabili (circa 0,2 casi ogni milione di dosi somministrate), di cui 14 già descritti nei Rapporti precedenti. Le rimanenti 2 segnalazioni si riferiscono a 2 pazienti di 76 e 80 anni con condizione di fragilità per pluripatologie, deceduti per COVID-19 dopo aver completato il ciclo vaccinale.»
Quindi, su 608 segnalazioni “decesso”, 173 non «presenta[no] una valutazione del nesso di causalità con l’algoritmo OMS». Non è detto perché. Si continua a insistere sulla «fragilità» dei deceduti, che però è caratteristica anche della stragrande maggioranza dei decessi “covid-19”. L’unico punto fermo è:
secondo l’AIFA, 16 persone sono morte perché si erano vaccinate.
Ora: come fa questa ammissione a non demolire ipso facto ogni obbligo vaccinale anti-covid- 19? Un vaccino potenzialmente letale dovrebbe preoccupare, se non l’AIFA, almeno il governo.
In effetti una famosa sentenza della Corte Costituzionale su un ricorso della Regione Veneto, la n. 5 del 2018, enunciava così le tre condizioni per la non anticostituzionalità di un obbligo di trattamento sanitario:
«La legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con il parametro costituzionale se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria.»
Ne segue, in tutta evidenza, che un trattamento sanitario che può uccidere chi vi si sottopone è «incompatibile con il parametro costituzionale», e quindi non può essere imposto per legge – a nessun cittadino italiano, per non dire a intere categorie professionali.
Poiché immagino che questo punto del tutto ovvio sia stato fatto presente in numerosi ricorsi di sanitari e di personale scolastico, la domanda, questa sì obbligatoria, è: che cosa fa la magistratura? Insieme al Quarto Potere (i media) anche il Terzo Potere (quello giudiziario) è stato fagocitato dal Primo Potere (il governo), che nel frattempo aveva divorato, a colpi di decreti, anche il Secondo Potere (quello legislativo)? Lo Stato di diritto in Italia è eroso – si può dire – quotidianamente, come ben sottolineato da Giorgio Agamben, che ha anche parlato dell’«abolizione di quel principio fondamentale del nostro diritto che è la certezza della legge».
A proposito, la sentenza suddetta è anche nota come «sentenza Cartabia», e non è un caso di omonimia: si tratta di un membro del governo Draghi, anzi, è proprio l’attuale ministra della Giustizia. Almeno lei se ne dovrebbe ricordare.
Mortalità e vaccini anti-covid-19 – aspetti statistici
Consideriamo il seguente grafico, che confronta la mortalità per tutte le cause degli ultra-65 nel 2021 rispetto alla media dei 5 anni precedenti (compreso il 2020, quindi):
È chiaro da questo grafico che la media settimanale nel 2021 tra la 42a e la 50a settimana è sempre al di sopra della corrispondente media calcolata sul quinquennio precedente.
Un’analisi più ravvicinata mostra un fatto altamente inquietante: l’aumento nel 2021 della mortalità tra i giovani in Italia. Ecco come uno studioso indipendente compendia il suo accurato esame dell’argomento:
« La mortalità nella fascia di età 15-39 è sempre diminuita, negli ultimi 10 anni, di diversi punti percentuali ogni anno.
In soli due anni vi è stato un incremento: nel 2018 dello 0,2% e nel 2015 del 1,1%.
Solo nel 2021 si è presentato un incremento complessivo del 5,5 % sui dati reali e di quasi il 12% se prendiamo in considerazione la tendenza di lungo periodo alla decrescita.»
Un aspetto che ha colpito tutti gli osservatori neutrali della situazione epidemiologica internazionale è stato il gran numero di atleti colpiti da ictus, infarti e altri eventi gravi. Si tratta di persone giovani, sotto stretto o almeno periodico controllo medico, e che in passato solo molto raramente sembravano essere state vittime di tali eventi – o è solo un effetto della maggiore attenzione per questo genere di notizie nel clima pandemico? Era difficile pensarlo.
Ora uno studio ha passato in rassegna i problemi cardiaci insorti nei giocatori di calcio nei 6 anni precedenti il 2021, e ha confermato l’impressione che molti di noi si erano fatta: nel 2021 tali problemi sono raddoppiati rispetto al valore atteso.
Ci sono casi che, anche se non fatali, dovrebbero far riflettere. Ne cito uno, che trovo particolarmente significativo.
Il campione mondiale di apnea statica – uno sport che, come è ovvio, richiede capacità respiratorie eccezionali anche a livelli amatoriali – si chiama Florian Dagoury. Il suo primato è stato di aver trattenuto il respiro, da fermo, per il tempo lunghissimo di 10 minuti e 30 secondi. Ebbene, 40 giorni dopo la seconda dose del vaccino Pfizer è stato colpito da miocardite e pericardite. La diagnosi l’ha ricevuta quando, dopo aver constatato una riduzione significativa nella sua capacità di trattenere il respiro, si è fatto visitare da un cardiologo che gli ha ha detto che si trattava di un effetto collaterale comune per quel vaccino. Probabilmente la sua carriera è finita. Ancora una volta: per lui i benefici del vaccino hanno superato i rischi?
Per altri esempi si può consultare il sito Eventi Avversi, molto aggiornato (in particolare qui, qui, qui, qui, qui).
Costringere tanti atleti, di tutte le età, a vaccinarsi per accedere ai luoghi dove effettuare allenamenti e gare appare come qualcosa che non rientra in una logica sanitaria, ma è un odioso atto di forza, a cui solo personaggi di grandissima autorevolezza si sono potuti permettere di sottrarsi, come è il caso del campione mondiale di tennis Novak Djokovic (qui e qui). L’indifferenza dei propagandisti della campagna vaccinale anti-covid-19 per questo tipo di forzature e i loro esiti a volte drammatici, a volte addirittura infausti, in persone che rappresentano agli occhi di tutti un ideale di forza e salute rende difficile vederli nella luce di benefattori dell’umanità.
“No-vax”
Premetto che sono solidale con i titolisti dei giornali italiani, e capisco la loro invidia per quelli anglofoni. In inglese comporre per un articolo un titolo espressivo utilizzando poche e brevi parole è di gran lunga più facile che in italiano. E “no-vax” è stata in quest’ultimo anno una parola difficile da superare per brevità.
Il guaio è che non significa niente – oppure troppe cose. Una parola breve priva di un significato univoco può solo confondere l’opinione pubblica e impedire un fruttuoso confronto di idee. Forse è stata introdotta appunto per questo.
In effetti “no-vax” è quotidianamente utilizzata in tutte le seguenti accezioni, non esplicitate e non logicamente equivalenti. È definito, di volta in volta, “no-vax” chi soddisfa almeno una delle seguenti condizioni:
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- si oppone ai vaccini in generale;
- si oppone alle campagne vaccinali di massa in generale;
- si oppone all’obbligo vaccinale in generale;
- si oppone ai vaccini anti-covid-19;
- si oppone alla campagna vaccinale anti-covid-19;
- si oppone all’obbligo vaccinale per i vaccini anti-covid-19;
- si oppone alle forzature del consenso alla vaccinazione mediante il cosiddetto Green Pass;
- rifiuta personalmente di assumere vaccini in generale;
- rifiuta personalmente di assumere i vaccini anti-covid-19 nell’attuale situazione sanitaria;
- contesta la tesi della necessità dei vaccini per combattere il covid-19;
- contesta l’eziologia del covid-19 (e qui si aprirebbe uno spettro di alternative);
- contesta la gravità del fenomeno epidemiologico “covid-19”;
- si oppone all’invasività delle politiche sanitarie (con o senza vaccini) sul terreno dei diritti costituzionalmente garantiti.
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L’ultima condizione è particolarmente indicativa del magma creato dalla propaganda: si può essere “no-vax” anche se in realtà si hanno obiezioni di principio a tutte le forme antigiuridiche che può assumere la politica sanitaria, e anche se per di più si ritiene che i “vaccini anti-covid-19” non siano nemmeno vaccini.
Questa lista è già lunga ma non è esaustiva. Per esempio le differenze regionali nella mortalità nel corso della pandemia suscitano seri dubbi sulla natura del covid-19 . Ultimamente è stato anche notato:
«[…] appare chiaro che la mortalità 2020 in Lombardia, che ha sconvolto le coscienze di tutti, in realtà si era già verificata in Campania nel 2019. Bisogna dunque pensare che viviamo in una nazione in cui i cittadini muoiono nell’indifferenza generale un anno e provocano un allarme globale l’anno successivo? Da cosa dipende? Dalla zona d’Italia dove si verificano le morti, oppure dalla convenienza politica di ignorare i decessi del passato e sovraesporre quelli del presente?»
Porre interrogativi sulla regionalità del covid-19 che facciano dubitare della saggezza delle misure sanitarie adottate rientra anch’esso nell’ombrello semantico “no-vax”?
In ogni caso utilizzare la stessa parolina “no-vax” per tutte queste diverse posizioni crea un senso di accerchiamento, e fa sì che anche persone di solito equilibrate esordiscano, quando fanno un intervento pubblico in materia, praticamente scusandosi di esistere.
Alcuni assicurano: “Non sono contro i vaccini!” (variante più decisa: “Non sono mai stato contro i vaccini!”).
Altri aggiungono: “Anzi, mi sono già vaccinato contro il covid-19”.
I più zelanti precisano: “E aspetto ansiosamente l’n-ma dose, che ho subito prenotato”.
Altri ancora entrano nel melodramma: “E ho pure fatto vaccinare tutti e 12 i miei figli” (ispirato alla classica frase, qui abilmente adattata alle circostanze: “Lo giuro sulla testa dei miei figli”).
L’idea dietro questi autobiografismi sarebbe: ho pagato (anzi, ho strapagato) la mia quota della scommessa pseudosanitaria del governo, quindi adesso ho diritto di parlare sul covid-19 e i presunti vaccini.
E no, signori.
Il diritto di parlare è iscritto nell’articolo 21 della Costituzione, e per goderne non bisogna pagare alcuna quota di partecipazione: basta essere cittadini italiani.
Quanto alla logica, è chiaro che se un soggetto si è vaccinato, può averlo fatto – e gli auguro che l’abbia fatto – dopo aver tenuto conto del proprio profilo sanitario. Potrebbe darsi che nel suo caso vaccinarsi, poniamo, con il Vaxzevria di Astra-Zeneca fosse una scelta in cui i suoi benefici superavano i suoi rischi. E un tale calcolo è bene che rimanga confinato nella sua sfera privata, senza esternazioni che nella migliore delle ipotesi sanno di tribunale dell’inquisizione. Ciò nonostante, che cosa costui pensi di parecchi altri punti resta indeterminato, ed è questa la parte non solo più importante, ma anche la sola importante. O, più esattamente: la parte più importante sono gli argomenti che adduce a favore o contro.
Una variante tortuosa di “no-vax” è chi dice: “Non sarei contro la vaccinazione anti-covid-19, ma l’accetterei solo se il governo si assumesse la responsabilità di renderla obbligatoria!” (la parte in grassetto deve essere detta con tono di sfida).
In altre parole, questo peculiare critico del governo lo applaude quando esso obbliga sanitari e personale della scuola a vaccinarsi: solo che, per lui, non è abbastanza – l’obbligo deve essere universale! In alcuni casi questa è una provocazione, da parte di chi – evidentemente di ritorno dall’Isola-che-non-c’è dopo la fuga di Capitan Uncino – si è convinto che i governi che fin qui si sono succeduti abbiano suscitato le ire della Commissione Europea pur di pagare tempestivamente e completamente gli indennizzi relativi alle vaccinazioni pediatriche obbligatorie. È un’ipotesi nobile e affascinante, che meriterebbe però di essere approfondita consultando il sito del Coordinamento Nazionale Danneggiati da Vaccino.
Purtroppo anche queste prese di posizione stanno facilitando il compito a quella che è, a tutti gli effetti, una banda eversiva che si sta impadronendo da due anni gradualmente e quasi senza colpo ferire (ricordiamo i portuali di Trieste!) delle istituzioni del nostro Paese.
Conclusione
Lo scopo di questo articolo non è stato di passare in rassegna tutti gli argomenti dell’attuale discussione sui vaccini anti-covid-19. Questo non solo sarebbe impossibile (data la mole della letteratura internazionale sul tema – cercando “covid-19 vaccine” su PubMed si trovano, il 2 gennaio 2022, 15.922 risultati), ma è anche inutile ai fini della formazione di una decisione razionale in merito, sia sul piano individuale, sia sul piano politico. Le ragioni contrarie a questa scommessa sulla salute pubblica erano già decisive un anno fa, e quello che è successo nel 2021 non ha fatto altro che confermare quanto era prevedibile da parte di chiunque si fosse degnato di informarsi anche solo a partire dai dati ufficiali e non avesse un partito preso a chiudere gli occhi alla realtà.
Ora, mi rendo conto che la possibilità di convincere certi personaggi e ospiti televisivi abituali che quanto affermano sui meriti dei vaccini anti-covid-19 è falso è dello stesso tipo di quella di convincere Otello a non “uccidere” Desdemona, durante una rappresentazione della tragedia shakespeariana, gridando dalla platea: “Non farlo, è innocente!”. Naturalmente l’attore che impersona Otello ha letto la tragedia, e sa che Desdemona è innocente, ma sa anche che, nella finzione teatrale, deve ucciderla – fa parte del suo mestiere.
La ragione per cui, nondimeno, ho ritenuto necessario scrivere questo e i precedenti articoli è duplice.
Da un lato, contribuire a testimoniare, a beneficio se non altro degli storici di un futuro sempre più plumbeo e irrazionalistico, che non tutta la comunità scientifica e accademica è scritturabile.
Dall’altro, appoggiare la resistenza di chi (sanitari, poliziotti, studenti, vigili del fuoco, docenti ecc.) è ormai da due anni sotto un tentativo di sopraffazione senza precedenti nella storia recente, e che vorrebbe, in particolare, che i cittadini offrissero anche i propri figli come vittime sacrificali a un esperimento di massa non etico e metodologicamente senza né capo né coda.
Particolarmente odioso e insensato è l’obbligo al personale della scuola, che sta privando i giovani italiani di circa 40.000 docenti capaci e con esperienza i quali, giustamente, si rifiutano di sottostare a questo pericoloso e inutile sopruso – mentre il ministero dell’Istruzione osa pensare di sostituirli anche con non laureati, facendo strame della professionalità e di un autentico diritto allo studio.
Quanto ai vertici della chiesa cattolica, che sono venuti meno anche al rispetto per i propri valori tradizionali pur di favorire una strategia autoritaria di compressione dei diritti e depopolazione, non si può certo dire che la loro millenaria vicenda storica alimentasse grandi illusioni. Ma che cosa sarebbe potuto accadere quando al soglio papale fosse salito un gesuita – come è appunto avvenuto nel 2013 per la prima volta nella storia – era abbastanza chiaro a chi avesse letto le Provinciali (dalla 5a in poi) di Blaise Pascal.
Nel 1965 un prete cattolico aveva descritto perfettamente il tipo di problema etico di fronte a cui si trovano oggi tanti lavoratori, tanti genitori e tanti giovani:
«A dar retta ai teorici dell’obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell’assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore.
C’è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole.
Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto.
A questo patto l’umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico.»
Don Lorenzo Milani non divenne però né papa, né cardinale. Per la lettera aperta da cui questa frase è tratta fu processato per apologia di reato.
Un giorno, che spero vicino, chi ha detto di sì, con atti e omissioni, allo stato di emergenza con le sue leggi eccezionali e alla campagna vaccinale “a prescindere”, cioè senza argomenti o con argomenti dimostrati inconsistenti, sarà additato come traditore della Costituzione e della razionalità scientifica – con colpe tanto più gravi quanto più alta era la sua posizione di responsabilità.
FONTE: https://sinistrainrete.info/societa/21978-marco-mamone-capria-considerazioni-sul-primo-anno-di-una-strana-campagna-vaccinale.html
CONFLITTI GEOPOLITICI
RIA: LA CIA INVIERÀ MILIZIE SPECIALI AFGHANE IN UCRAINA
L’agenzia russa ha pubblicato testimonianze di una fonte secondo la quale i servizi segreti USA starebbero inviando 400 soldati “speciali” a Kiev
Secondo RIA Novosti, è probabile che i servizi segreti di Washington DC inviino in Ucraina un contingente di ex militari dell’esercito nazionale afghano, evacuati negli Stati Uniti dopo che i Taliban hanno preso il potere a metà agosto 2021. Così ha riferito all’agenzia stampa russa una fonte: “Stiamo parlando di un gruppo di combattenti di unità speciali attualmente sciolte, fino a 400 persone che agiscono sotto la supervisione della CIA. A questi mercenari saranno date armi americane.”
Inoltre, continua la fonte, secondo la quale tale decisione sarebbe presa per salvare in extremis il regime di Zelens’kyj, i mercenari potrebbero essere costretti a schierarsi un Ucraina sotto minaccia di revoca dell’asilo negli States, trovandosi ad oggi nella stessa condizione delle migliaia di afghani che hanno lavorato nelle basi americane durante il ventennio neocon, che vivono nei campi profughi americani non essendogli stato accordato nemmeno il permesso di residenza.
“Uno dei fattori motivanti”, nota l’interlocutore di RIA, “è il canone mensile promesso di diverse migliaia di dollari, che è molto significativo per i rifugiati che non hanno avuto fonti di reddito negli ultimi sei mesi. Inoltre, si presume che le vite degli ex militari afgani non abbiano valore per gli Stati Uniti – si dice che siano “gettati in combattimento senza addestramento”.
MDM 02/04/2022
FONTE: https://comedonchisciotte.org/ria-la-cia-inviera-milizie-speciali-afghane-in-ucraina/
Kiev rifiuta i feriti, e la milizia seppellisce i militari ucraini morti
Cosa succede a Marjinka – un reportage fotografico dal fronte di Dmitrij Astrakhan
Вооружённые Силы Новороссии (ВСН)
Il destino dei militari feriti e morti delle forze armate ucraine preoccupa i medici della Repubblica Popolare di Donetsk molto più del comando dell’esercito ucraino. L’ha detto l’inviato speciale di “Narodnykh Novostej“, a Marjinka, dove i combattimenti continuano. Ogni giorno che passa, l’intensità dei combattimenti a Markinka cresce. Cercano di guadagnare del tempo, i soldati delle forze armate ucraine rimasti in città, che sparano ininterrottamente con tutte le armi a disposizione. Raffiche di mortai, carri armati e artiglieria suonano misurati, come se ci fosse un enorme metronomo sul campo di battaglia. I suoni delle armi leggere sono da tempo rumore di sottofondo.
“Sai cosa c’è di straordinario? Nonostante tutte le assicurazioni di Zelenskij sull’assenza di nazisti, ce ne sono letteralmente tracce in ogni posizione liberata. Da qualunque parte, un muro è dipinto con svastiche, un dente di lupo (simbolo dei nazibattaglioni) o qualche altra schifezza. Pochi posti non ce li hanno”, dice uno dei combattenti della DPR.
Nonostante i combattimenti in corso e il pericolo di cadere sotto il fuoco da un momento all’altro, le squadre funebri della RPD lavorano a Marinka. Il loro obiettivo è raccogliere e trasportare i corpi dei soldati ucraini morti in un luogo sicuro per la successiva sepoltura, nonché informarne i parenti. Da parte ucraina, non c’è interesse sul destino dei loro militari. “Immagina, per tutto il tempo da quella parte non c’era una sola richiesta di evacuazione non solo dei morti, ma neanche dei feriti. Li ascoltiamo costantemente, persino abbiamo offerto una pausa. Sembra che non si preoccupino dei propri, per non parlare dei civili. E i nostri medici spesso curano i loro feriti. Cosa dopo? Beh, cosa, li mandiamo in ospedale, dove altro. Sono i nazisti che prendono in giro i prigionieri, non siamo animali “, i combattenti della repubblica non capiscono.
Vedendo tutto questo, si capisce, osserva il nostro corrispondente, che in Ucraina c’è il culto dell’indifferenza verso il prossimo. Kiev non accetta gli altri. Tale ideologia è al culmine. Ci vorrà tempo per curare tale malattia.
Ricordiamo che la mattina di giovedì 24 febbraio la Russia, su ordine del Presidente Vladimir Putin, lanciava l’operazione speciale per le circostanze attuali: la leadership delle Repubbliche Popolari del Donbas chiese aiuto alla Federazione Russa nel contesto dell’escalation delle forze armate ucraine. Il presidente ucraino Volodimir Zelenskij ripetutamente chiese di chiudere i cieli dell’Ucraina per trascinare la NATO nel conflitto. Tuttavia, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg affermò che le sue forze non dovrebbero essere presenti nello spazio aereo o territorio dell’Ucraina. Ciò fu confermato dal Pentagono.
FONTE: http://aurorasito.altervista.org/?p=23674
CULTURA
RACCONTO BREVE: METAMORFOSI SENZA METAFORE
Francesca Sifola 30 03 2022
Dal buio ai colori, dal pianto alla pace il suo humus interiore aveva mutato aspetto. Dall’antro più recondito delle sue vecchie impalcature l’Inconscio le aveva bucate attraverso la sofferenza a trecentosessanta gradi e le aveva smembrate in quei brevi e miracolosi piaceri, pescati ora qua ora là, che ti aiutano a continuare il percorso senza rinnegare la vitalità della vita.
Attraverso l’inconscio tirato fuori dal cassetto, aveva visualizzato in forma di filamenti luminosi, la perdita dei suoi tre uomini: il padre, il fratello, il suo amante.
I primi due erano entrati nell’altra Dimensione, o in altre Dimensioni, e, ora, lei li cercava un po’ qua un po’ là, allungando i rami dell’Esistenza che si espandevano, ne era certa, da una Dimensione all’altra. Il suo amante, invece, era ancora in questa, ma distante nello spazio e nel tempo, perché aveva deciso di spezzare sia i propri sogni, sia quelli di lei. Ma era anche successo che grazie a quell’Inconscio così operoso, scevro dall’occupare solo le teorie della psicoanalisi, niente era rimasto nel buio pesto al punto che, ora, sapeva di vivere con tutti e tre immersi dappertutto attorno a lei, non come Memoria, ma come tangibile e intangibile presente.
FONTE: https://www.facebook.com/francesca.sifola/posts/7232128883524382
SIAMO ETERNI
Visto che sia Spinoza che Severino pensano che siamo eterni, è opportuno chiedersi se dicono la stessa cosa, se intendono allo stesso modo “questo nostro essere eterni”.
Lasciamo rispondere a questa domanda Emanuele Severino:
” Nella prima parte dell’Ethica, Spinoza definisce la “causa sui” come ” id, cuius essentia involvit existentiam”. Ma come già nella metafisica scolastica e in Platone, questo “id”, che non può essere pensato non esistente, non è ogni non-niente, ma è quell’ente privilegiato. che è Dio. Anche Spinoza incomincia il suo discorso, pensando l’essere come ciò che può non esistere, e cioè identificando l’essere e il niente”.
(E. Severino, Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982, p. 182).
E ancora:
“Il sopraggiungere necessario degli eterni della terra è essenzialmente diverso dalla produzione delle cose del mondo da parte di Dio (‘res a Deo productae’) della “Sostanza” spinoziana, che sono pensati da Spinoza come l’intero Occidente pensa gli essenti, ossia come ciò la cui “essenza” “non implica necessariamente l’esistenza”, secondo quanto Spinoza afferma nella proposizione XXIV : rerum a Deo productarumk esentia non involvit existentiam”.
(E. Severino, Oltre l’uomo, oltre Dio, Il Melangolo, Genova 2002, p. 116).
E ancora:
“L’essente non è necessariamente legato né all’esistenza né all’inesistenza, cioè al nulla; giacché, proprio perch<é l’essenza della cosa prodotta da Dio non implica l’esistenza, non implica nemmeno l’inesistenza – tanto che, appunto, essa è prodotta da Dio. Questo non essere negato né all’esistenza né all’inesistenza è il senso fondamentale della libertà ontologica dell’essente { … ] in quanto libero da ognuna delle due, l’essente – la ‘res’ – è l’essentia”.
(E. Severino, Oltre l’uomo, oltre Dio, cit. pp. 116-117).
E ancora:
“La consonanza tra il destino della necessità e il determinismo spinoziano è un’apparenza – come è un’apparenza, qualora sia intesa come un tratto dominante, la consonanza tra incontrovertibilità e eternità dell’epistéme e l’incontrovertibilità e l’eternità del destino della verità”.
(E. Severino, Oltre l’uomo, oltre Dio,cit., p. 116.)
E infine:
“La consonanza tra il determinismo di Spinoza e la necessità che appare nel destino della verità è apparente perché i due tratti presuntivamente consonanti sono immersi in due contesti abissalmente diversi, essenzialmente dissonanti, che rendono a loro volta quei due tratti. Ciò non toglie che, per esempio, sia Gesù che Einstein abbiano pensato che il mondo esiste, e che per questo ci sia stata una consonanza tra i loro pensieri”.
(E. Severino, Oltre l’uomo, oltre Dio, cit, p. 118).
Vasco Ursini – Facebook – 11 12 2016
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
“Il massacro di Bucha”: il nuovo cinefantasy di Kiev su tutti i media filo Nato
Marinella Mondaini 3 04 2022
La violenza ideologica contro la Russia è fatta anche di notizie false che si susseguono una dopo l’altra.
Oggi l’Occidente ha lanciato la menzogna del “massacro di Bucha”, salita alla ribalta internazionale.
La Russia viene messa di nuovo messa alla gogna mediatica, inorriditi gli euroburocrati stanno già preparando altre sanzioni.
Questa immorale menzogna di Bucha viene smontata dal Ministero della Difesa della Federazione Russa, il cui testo traduco qui di seguito: “Tutte le foto e i video pubblicati dal regime di Kiev che testimonierebbero “i crimini dei soldati russi” nella città di Bucha (regione di Kiev) rappresentano un’altra provocazione del regime ucraino.
Per tutto il tempo in cui la città di Bucha è stata sotto il controllo delle Forze Armate russe non un solo civile è stato vittima di azioni violente. Nei centri cittadini della regione di Kiev i soldati russi hanno distribuito alla popolazione civile 452 tonnellate di aiuti umanitari. Gli abitanti di Bucha sotto il controllo delle Forze Armate russe si muovevano liberamente per la città e usavano i cellulari. Le uscite da Bucha non sono state bloccate. Tutti i cittadini avevano la possibilità di uscire liberamente dai centri abitati nella direzione nord, compreso verso la Repubblica della Bielorussia; inoltre le zone sud della città, compreso i quartieri abitati dai civili, venivano giorno e notte bombardati dai soldati ucraini per mezzo dell’artiglieria di grosso calibro, i carri armati e i sistemi reattivi di fuoco multiplo.
Vogliamo sottolineare in modo particolare che tutte le divisioni delle Forze Armate russe hanno lasciato definitivamente Bucha il 30 marzo, cioè il giorno dopo i colloqui tra Ucraina e Russia a Istanbul.
Oltre a ciò, il 31 marzo, il sindaco di Bucha, Anatolij Fedoruch, nel suo discorso tramite un video ha confermato che “in città non c’è rimasto nemmeno un soldato russo” e non ha parlato di “civili uccisi per le strade con le mani legate”. Ciò non fa meraviglia che tutte le cosiddette
“prove dei crimini a Bucha” sono apparse solo al quarto giorno, quando a Bucha sono arrivati i Servizi Segreti ucraini (SBU) e gli operatori della Televisione ucraina.
Di particolare rilievo è il fatto che tutti i corpi delle persone uccise, le cui immagini ha pubblicato il regime di Kiev, dopo come minimo 4 giorni non sono irrigiditi, non hanno le tipiche macchie da cadavere e non c’è il sangue che si scioglie nelle ferite.
Tutto questo conferma inconfutabilmente che le fotografie e le immagini di Bucha sono la solita messinscena, macchinazione del regime di Kiev, creata per i mass media occidentali, così come è stato fatto a Mariupol’ con il fake dell’ospedale ostetrico, il teatro e anche in altre città”.
Riassumendo la situazione odierna, si può affermare che la propaganda ucraina crea non solo dei semplici “fake”, ma dei veri e propri cortometraggi con una trama, con comparse e costumi.
I “cinefantasy” più rilevanti sono almeno 5:
1) i civili massacrati a Bucha “dai soldati russi”, che nella realtà sono stati massacrati dai nazisti ucraini quando i russi sono andati via;
2) il bombardamento dell’ospedale ostetrico a Mariupol’ “fatto dall’aviazione russa”, nella realtà smentito sonoramente dalla ragazza testimone, usata dagli ucraini che creare la falsificazione;
3) le lamentele dei miliziani del Donbass, che sarebbero stati mobilizzati con la forza, ma l’esame del video e della qualità della registrazione mostrano che si tratta di una scena montata;
4) i “soldati russi morti”: prima di girare il filmato, si sono dimenticati di togliere l’etichetta, sulla quale il nome del soldato è scritto in ucraino;
5) il bombardamento con l’artiglieria dei civili della città di Cernigov, che sarebbe stato “effettuato dai soldati russi”: nella realtà lì non c’è l’esercito russo e i corpi imbrattati sono vittime dei nazisti ucraini oppure si tratta di comparse, usate per girare il filmato.
MARINELLA MONDAINI
Scrittrice, giornalista, traduttrice. Vive e lavora a Mosca
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-il_massacro_di_bucha_il_nuovo_cinefantasy_di_kiev_su_tutti_i_media_filo_nato/40832_45836/
ECONOMIA
“La Russia torna al Gold standard”. Lo stupefacente abbaglio della contro-contro informazione
di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Mentre in Europa si rischia seriamente il razionamento energetico ed alimentare, i blog “mal-informanti”, alla sola vista dell’oro, non perdono tempo a prospettare il ritorno al “gold standard”. Ovvero la follia dei cambi fissi sulla quale è stato costruito il sistema-euro
Oggi proverò a fare chiarezza su alcuni temi, che in questi giorni vengono trattati in modo confusionale e falso; talvolta da chi li affronta in modo approssimativo e privo dei concetti scientifici di base; spesso da chi, invece, si schiera nel nutrito team della contro-contro informazione.
Si, cari Amici, siamo passati dall’informazione indipendente o contro-informazione (ovvero NOI, come ComeDonChishiotte ed altri), che per ovviare all’informazione a senso unico di regime, ci siamo presi sulle spalle l’onere di ricercare di raccontare i fatti e la realtà per ciò che è, ad esempi concreti e sempre più frequenti di contro-contro informazione.
Oggi, che Putin sta facendo vedere al mondo con i fatti, le falsità su cui è stato costruito il mondo globale, caratterizzato del “Dio mercato” sopra tutto e tutti (Stati democratici compresi); la contro-contro informazione ha iniziato il suo numero da circo del salto triplo, con l’intento di riportare il cittadino comune (che, proprio adesso inizia a comprendere), di nuovo in stato confusionale.
Tenere i popoli, il più possibile, lontani dalla verità è sempre stato il “must” per eccellenza, usato dall’élite, per mantenere saldamente nelle loro mani il bastone del comando. Come del resto, da quando il mondo è mondo, la lotta di classe ne è eternamente il suo “leitmotiv”.
Ma veniamo ai fatti. In riferimento alle dichiarazioni di Putin e le conseguenti azioni del Cremlino e della Banca Centrale di Russia, susseguitesi alle sanzioni inflitte dal mondo occidentale – nel mainstream ed in certi blog, si stanno mischiando una serie di concetti e previsioni che non trovano corrispondenza – nè con le parole, nè con i fatti oggetto delle azioni del presidente russo e tantomeno con le verità che la scienza economica ci insegna.
Il panico e la confusione sul web, lo ha scatenato una decisione della Banca Centrale di Russia, la quale è uscita con un comunicato molto chiaro che vi riporto qua sotto in originale, reperito direttamente dal sito ufficiale [1]:
Traduzione dall’inglese
Per bilanciare domanda e offerta nel mercato interno dei metalli preziosi, la Banca di Russia acquisterà oro da istituti di credito a prezzo fisso a partire dal 28 marzo 2022. Il prezzo sarà di 5.000 rubli russi per 1 grammo dal 28 marzo 2022 fino al 30 giugno 2022. Il livello dei prezzi stabilito consente di mantenere un’offerta stabile di oro ed il regolare funzionamento dell’industria mineraria dell’oro nell’anno in corso. Dopo il periodo specificato, il prezzo di acquisto dell’oro può essere adeguato tenendo conto dell’equilibrio emergente tra domanda e offerta nel mercato interno.
Dicevo, appunto, che alla vista di tutto questo: “apriti cielo” – frasi come “si ritorna al gold standard” e “la Russia ha connesso l’emissione del rublo alle riserve auree” – hanno riempito il web di notizie e commenti da parte degli eterni nostalgici.
A tutto ciò, in maniera determinante, ha contribuito il pur autorevole opinionista americano Tom Luongo, con l’uscita di questo suo articolo (#GotGoldorRubles? Russia Just Broke the Back of the West) – autorevole, spesso nelle analisi e nelle visioni geopolitiche, quanto approssimativo in fatto di temi di economia monetaria.
Luongo, in primis, si avventura in una spiegazione sulle finalità strategiche delle sanzioni, che sinceramente ha dell’incredibile. L’analista americano, in poche parole, afferma che le sanzioni sarebbero finalizzate a costringere la Russia a comprare beni reali con le sue riserve di oro, stante appunto il non poter disporre delle riserve bloccate. E una volta esaurite le riserve di oro con il rublo ridotto a carta straccia in conseguenza del preventivato default, la Russia non sarebbe stata più in grado di approvvigionarsi dal mondo esterno.
In secundis, poi arriva ad affermare, che tale mossa di connettere il rublo all’oro (in pratica un ritorno al gold standard), sarebbe la genialata di Putin, che avrebbe fatto fallire questo piano.
Andiamo in contro ordine e partiamo dal secondo punto.
Quello che la Bank of Russia dice nel comunicato sopra riportato, non è assolutamente interpretabile come la volontà di ritornare ad una politica del cambio fisso (gold standard), ovvero di connettere l’emissione del rublo alle riserve auree possedute.
Ma poi, oltre alla chiarezza delle parole, c’è la verità dei fatti, la quale ha dimostrato nei giorni scorsi, come appunto la politica del cambio fluttuante usata dal Cremlino nei confronti del rublo, è stata proprio la scelta che lo ha reso immune dal default, che molti garantivano certo.
Ma vediamo cosa invece dice il comunicato nella realtà. La Banca centrale russa, si dichiara disponibile a comprare oro ad un certo prezzo per un certo periodo di tempo. Non solo (bastava che Tom Luongo leggesse), la stessa ci dice anche i motivi per cui lo fa: “il livello dei prezzi stabilito consente di mantenere un’offerta stabile di oro ed il regolare funzionamento dell’industria mineraria dell’oro nell’anno in corso”.
Ora, già sento le voci dei commenti di alcuni: “ma tu, Megas, sei fissato con la MMT…..”
Scusate ma questa volta non posso esimermi:
“Siamo all’apoteosi della MMT e di Warren Mosler”
L’istituto centrale russo sta seguendo un preciso indirizzo di politica fiscale del governo. Ovvero mette a disposizione la sua potenza di fuoco (la moneta sovrana), per fare in modo di mantenere stabile l’offerta di oro che serve a tenere in vita l’industria estrattiva e quindi l’occupazione.
Se poi l’oro, come Putin ha fatto trasparire nel suo recente discorso [3] (che vi ho già riportato nell’articolo “Putin: l’era della globalizzazione è finita”), possa servire, anche ad una eventuale strategia per mandare in deficit il settore finanziario, lo vedremo in seguito. Ma questo non ha niente a che vedere, allo stato attuale, con il ritorno al gold standard.
Ma c’è di più, questa scelta, come ho detto, di politica fiscale del Cremlino, è l’ennesima dimostrazione, che il livello dei prezzi è deciso dalla spesa dello Stato e non dal mercato. O più correttamente, da quanto lo Stato è disponibile a pagare per un certo prodotto e/o servizio. E qui invito (chi ha voglia di capire ed approfondire), a leggersi l’ultimo lavoro fatto da Warren Mosler sull’inflazione e sul livello dei prezzi (“Un quadro per l’analisi del livello dei prezzi e dell’inflazione”).
Quindi, e qui veniamo ai problemi di casa nostra, se il livello dei prezzi è determinato dalla spesa dello Stato e non dai mercati, mi spiegate perché tutti noi stiamo pagando bollette da capogiro e la benzina come fosse champagne, oltre naturalmente ad assistere da anni, alla discesa dei nostri salari, come acqua dal cielo durante un temporale!?
Certo, anche i salari vengono determinati in base a quanto lo Stato è disposto a pagare per acquistare le nostre prestazioni. A tal proposito, la proposta dei Piani di Lavoro Garantiti (PLG) della MMT, è l’esempio più calzante.
Quello che sta facendo il Cremlino con l’industria mineraria è lì a dimostrare quanto vi sto affermando.
Ma torniamo al primo punto, ovvero alla presunta strategia, adombrata da Luongo, di costringere Putin a comprare beni reali usando le proprie riserve di oro.
Se ci infiliamo nel tunnel del tutto è possibile, nessuno (tantomeno il sottoscritto), può sapere mai dove andremo a finire; ma se usciamo da tutto questo e torniamo con i piedi per terra, quello che afferma Luongo, è una follia, che proverò a spiegare, sperando di riuscirci.
Per capire che l’intento delle sanzioni non è quello indicato dall’analista statunitense, basta analizzare il corretto funzionamento dei sistemi monetari. Ovvero come avvengono nella realtà gli scambi internazionali di beni e servizi contro riserve di valuta (in pratica estratti conto).
Prendiamo ad esempio l’Italia, dove Eni compra gas da Gazprom per 1 mld di euro (i nomi e le cifre sono soltanto un esempio, voglio solo cercare di far capire il concetto):
Eni si reca alla sua banca (Unicredit nome di fantasia) ed ordina un bonifico di 1 mld di euro con beneficiario Gazprom. Unicredit tramite il sistema dei pagamenti delle banche centrali, trasferisce 1 mld dal conto di Eni al conto di Gazprom. Nella realtà Eni e Gazprom hanno degli estratti conti, ma la gestione dei “bit” (euro in questo caso) rimangono nei computer delle banche. Per la precisione il miliardo in euro di cui è titolare Gazprom a bonifico avvenuto (la quale è libera di trasformarlo in rubli oppure di utilizzarlo per pagamenti in euro), resta segnato come riserva a disposizione della Banca di Russia presso la BCE.
Il problema, ormai noto, è sorto con il blocco delle riserve che l’istituto centrale russo detiene presso le banche centrali dei paesi sanzionatori. Riserve che, allo stato attuale non sono rese disponibili.
Alla banca centrale russa (che può creare riserve in rubli all’infinito), questo blocco crea danni limitati per non dire nulli, se escludiamo la gestione della quotazione del rublo.
Mentre, diversi problemi, li può creare al settore privato russo che si trova a non poter disporre degli incassi relativi alle forniture eseguite. Ed è proprio su questo punto (farei notare a Luongo), che invece il mondo occidentale voleva andare a colpire. Ovvero mandare in default il sistema economico-finanziario e produttivo russo, per costringere Putin alla ritirata.
Strategia, a mio modesto parere, alquanto folle, quanto manifesta della prepotenza abbinata all’ignoranza, di chi da anni colonizza il mondo usando la falsità più assoluta, in tema di reale e corretto funzionamento dei sistemi monetari moderni.
Purtroppo per i paesi ostili, Lo Zio Vladimir, sta dimostrando di comprendere alla perfezione, che il dollaro non è la santità delle monete, ma una moneta fiat esattamente identica a tutte le altre valute fiat.
Torniamo ora ad analizzare, sempre con un esempio pratico, lo scenario dopo che Putin ha richiesto, in maniera più che legittima, il pagamento in rubli:
a questo punto ENI, per acquistare la medesima fornitura di 1 mld di gas russo, deve sempre recarsi all’Unicredit, ma questa volta ordinando non più un bonifico in euro, bensì in rubli per il controvalore di 1 mld di euro. L’Unicredit, sempre tramite il sistema dei pagamenti delle banche centrali, questa volta deve acquistare rubli in cambio di euro. A questo ci pensa la BCE che intrattiene un rapporto di conto corrente con la Banca di Russia. Quindi, Francoforte e Mosca si scambiano nei loro conti di riferimento euro contro rubli per un controvalore di 1 mld. Ma i “bit” di euro e rubli scambiati rimangono sempre presso i computer delle banche centrali a cui fa riferimento la valuta. Ovvero, mi spiego meglio, gli euro rimangono come riserva della Banca di Russia presso la BCE, mentre i rubli, viceversa, rimangono come riserva della BCE presso la Banca di Russia
Lo so, gira la testa anche a me, ma è così!
Quello che però cambia, a questo giro, è il risultato finale, ovvero quello che vuole Putin e che invece non vorrebbero i paesi sanzionatori:
far atterrare sul conto corrente di Gazprom rubli disponibili ad essere spesi, invece di euro bloccati presso la BCE
Ora, se siete arrivati fino a qua e se avete compreso come è nato tutto questo, ovvero dal rendere indisponibili “asset di prima classe” (ed uso le esatte parole di Putin) – quali il dollaro e l’euro – tanto da far perdere la fiducia al presidente russo – vi immaginate cosa avrebbe comportato la “fantasia” di Tom Luongo, secondo la quale, ripeto, le intenzioni dei paesi ostili, sarebbero state quelle di portare la Russia, a fare acquisti esclusivamente in oro?
Il ragionamento di Tom Luongo fa acqua da tutte le parti, sia dal punto di vista matematico contabile che da quello logistico.
Primo, perché la Russia ha la bilancia commerciale attiva, ovvero vende all’estero più di quello che acquista e quindi, anche ipotizzando pagamenti in oro, materialmente non potrà mai esaurirlo.
Secondo, vi sembra plausibile in uno scenario, dove non ci fidiamo più di un trasferimento di un “bit” in dollari o euro, che Putin possa mai fidarsi di un trasferimento di un foglietto di carta seppur autografato dal più autorevole governatore, attestante che il suo oro si trova depositato presso i caveau della FED o della BCE?!
Alla conseguente risposta logica al quesito che vi ho posto, credo molti di voi, ci stiano già arrivando – e se per spiegarlo, a chi, ancora non lo avesse compreso, volessimo tornare all’esempio pratico a questo giro ad ogni ordine di acquisto di gas che ENI farebbe da Gazprom, dovrebbe esserci un forziere con polizia al seguito, diretto verso Mosca. Quand’unque ENI, riesca a reperire (fisicamente), l’oro necessario.
Insomma, Tom Luongo, con la sua previsione ci fa fare un giro nel tempo con ritorno al passato, riportandoci indietro di almeno 500 anni. Mentre noi, intanto nell’attesa che l’oro venga materialmente consegnato, per scaldarci, faremmo prima ad accendere il caminetto.
Fortuna del caso, a confermarmi di essere sulla strada giusta, è arrivata la notizia riportata dall’Agenzia di stampa AGI, che vi mostro fedelmente qua sotto:
https://comedonchisciotte.org/wp-content/uploads/2022/03/rsz_img_1566-768×724.jpg 768w” alt=”” width=”682″ height=”643″ class=”wp-image-138087 aligncenter b-loaded” />In un incontro chiarificatore tra il cancelliere tedesco Olaf Scholz e Vladimir Putin, quest’ultimo ha tenuto a precisare tranquillizzandolo, che finché Gazprombank rimarrà fuori dalle sanzioni, i clienti europei potranno continuare a pagare il gas russo in euro. Tanto poi sarà la stessa Gazprombank a convertirli in rubli.
Questo, secondo l’Agenzia di stampa, lo avrebbe riferito il portavoce del governo di Berlino, aggiungendo che: “Scholz ha espresso disaccordo con questa procedura durante la conversazione ma ha chiesto informazioni scritte per capirla meglio”.
Rimango basito dalle parole del cancelliere tedesco, in effetti non mi sembra che ci sia tanto da capire…… forse, è opportuno che Putin su quel foglietto gli faccia un disegnino!
NOTE
[1] Bank of Russia to buy gold in domestic market | Bank of Russia (cbr.ru)
[2] #GotGoldorRubles? Russia Just Broke the Back of the West – Gold Goats ‘n Guns (tomluongo.me)
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/politica-economica/22708-megas-alexandros-la-russia-torna-al-gold-standard-lo-stupefacente-abbaglio-della-contro-contro-informazione.html
E’ solo colpa nostra
Ti odio, ma per favore vendimi gas e petrolio, il mio preferisco lasciarlo nel sottosuolo
Facciamo una dovuta premessa, visto che oggi è necessario fare le dovute premesse, pena la flagellazione pubblica: quando si parla di lotta all’inquinamento e alle emissioni, nessuno sulla faccia del pianeta dice che si debba inquinare meno. Nemmeno coloro che, come me, identificano nel gretinismo uno dei mali assoluti della società moderna, non tanto in termini ideologici quanto in termini pratici, il movimento dei fan delle treccine è poco educato sulla materia e se da una parte ama scendere in piazza a urlare il proprio sdegno per lo scempio verso il pianeta, dall’altra pretende di poter guidare e consumare senza essere disposto a fare un passo indietro.
Questi movimenti sono composti da persone che sono state prima indottrinate e poi telecomandate (da chi ne trae profitto) per cavalcare il dogma ambientalista nella maniera sbagliata.
Che si debba porre un rimedio alle emissioni globali non ci piove, abbiamo già sfondato la barriera dei sette miliardi di persone sul pianeta e la curva è in crescita costante, soprattutto però a causa dello sviluppo demografico dei paesi del terzo mondo che sono proprio quei paesi che inquinano di più e ai quali certamente non si può negare il diritto allo sviluppo.
Il gretinismo è solo il sotto-movimento attualmente più noto di quello che in realtà è un fenomeno molto più ampio di nazi-ambientalismo che è il principale responsabile delle difficoltà che il mondo sviluppato sta attraversando in questo periodo.
Prima abbiamo visto la campagna ideologica per smantellare le centrali nucleari, che noi italiani imbecilli abbiamo visto bene di abbracciare, diventando così l’unico paese del G8 a frenare il proprio sviluppo perché costretto ad importare energia elettrica a costi maggiori dai confinanti paesi che nel frattempo, fregandosi le mani per la gioia, hanno incrementato le centrali nucleari a ridosso dei nostri confini nazionali per rivenderci l’elettricità con grandi sovrapprezzi. Il prezzo dell’energia è una componente fondamentale per la costruzione del PIL, se la paghiamo di più fatichiamo a produrre a prezzi competitivi.
Non dobbiamo scordarci che la campagna anti-nucleare è stata sponsorizzata probabilmente anche da governi stranieri (la Russia?) che avevano tutto l’interesse a venderci gas ma soprattutto è stata spinta in Italia da una società energetica che si definisce verde, ma che in realtà brucia gas e carbone, appartenente a un noto miliardario di sinistra, attraverso un quotidiano e un settimanale sempre appartenenti allo stesso miliardario di sinistra.
Società energetica che nel caso l’Italia si fosse dotata di centrali nucleari si sarebbe trovata immediatamente nella posizione di non poter competere sul mercato.
E allora via al terrorismo via stampa e via ai cortei no-nucleare di quegli italioti disposti a farsi telecomandare per pigrizia, pur di non educarsi autonomamente alla realtà dell’atomo.
Prima dei gretini però sono arrivati i grillini, il cui capo-comico voleva pale eoliche e pannelli solari per tutti, senza però fare i conti con la realtà conclamata che il solare, per ora, può reggersi solo se pesantemente sovvenzionato dallo stato. L’eolico dal canto suo avrebbe molto più senso, però la politica italiana ha visto bene di darsi la zappa sui piedi pur di non perdere i voti dei nazi-animalisti della LIPA e degli ambientalisti, che non volevano le pale eoliche perché ogni tanto affettavano un cardellino e perché le strade di cemento necessarie per far arrivare i mezzi per la manutenzione delle stesse avrebbero deturpato il paesaggio. Così come contrari erano coloro che preferivano mantenere pelate quelle quattro colline pelate necessarie per installare le pale eoliche, come se fossero un quadro del Tintoretto.
Indovinate un po’ da chi erano finanziati quei gruppi ambientalisti? Salta fuori che erano finanziati dal Kremlino. Imbecilli, cornuti e mazziati che ora devono fare i conti con la realtà di bollette energetiche salatissime.
E il gas italiano? Abbiamo giacimenti pronti per essere sfruttati in proprio ma anche quello non va bene, i 5 Stelle hanno fatto una crociata no-TAP, anch’essi finanziati da zio Putin, costringendoci a comprare il gas che ci manca dai gasdotti dello zio Putin. E quindi via ai cortei di migliaia di poveri imbecilli anche contro il TAP, che con il gas a zero ci avrebbe slegato dalla Russia. Gli stessi imbecilli che non vogliono il traffico gommato e che però si oppongono all’ampliamento della rete ferroviaria.
Tra tutti i coglioni del mondo, noi italiani siamo in cima alla classifica.
E se pensate che sul fronte atlantico le cose vadano meglio vi sbagliate. Gli USA stanno attraversando un periodo di pesanti rincari dei carburanti nonostante la quota di greggio di petrolio importato dalla Russia sia irrisoria.
La questione si fa ridicola quando si pensa che gli USA in realtà di petrolio nel sottosuolo ne hanno tantissimo, però il gretinismo e il terrorismo mediatico cavalcato dall’amministrazione dei DEM han fatto si che gli USA non solo non rilasciassero più licenze per la trivellazione ma chiudessero alcuni dei loro giacimenti.
E quindi per i politici di sinistra è meglio darsi la zappa sui piedi, aumentare i costi energetici, ridurre la gente alla fame e perdere di competitività a vantaggio della Cina.
Mossa insostenibile che poi ha costretto Biden ad andare a letto col nemico, piuttosto che cambiare idea e fare marcia indietro rivolgendosi alla produzione nostrana è meglio andare a elemosinare petrolio venezuelano dal dittatore figlio di Satana Maduro e negli ultimi giorni dagli Ayatollah iraniani, anch’essi terroristi figli di Satana. Pagandolo ovviamente salatissimo, sia in termini monetari che politici.
Date retta a Xi Jinping: quando dice che noi occidentali abbiamo perso il lume della ragione e intrapreso una strada decadente, ha sacrosanta ragione.
FONTE: https://www.infosec.news/2022/04/04/news/energia/e-solo-colpa-nostra/
PANORAMA INTERNAZIONALE
Ucrainizzazione dell’Europa
Aleksej Gumiljov, ДОНЕЦК ДНР НОВОСТИ ДОНБАССА НОВОРОССИИ
Non capisco assolutamente cosa stiano pensando. Tutti hanno sentito parlare di petrolio e gas. Ma un nordamericano urla a Putin in una stazione di servizio come se lui, mascalzone, non volesse vendere benzina ai nordamericani. Eppure Zadornov aveva ragione. “Beh, è stupido!”
Ma sai cosa urlerà presto il mondo? E lo so. “Putin ha inscenato un genocidio globale”. Perché c’è una catastrofica carenza di grano e fertilizzanti nel mondo che, tra le altre cose, comporta attentati all’allevamento di animali e ciao carestia globale, che sarà chiamata seconda carestia, non ucraina ma globale. Ne consegue che l’Africa sarà inevitabilmente coperta da un potente contraccettivo economico e socio-politico maledetto. E metterà in marcia gli africani e li salverà l’Unione Europea, che accetterà i profughi in partenza.
Una nuova ondata di visitatori, insieme a profughi arroganti dall’Ucraina, inizierà a portare gli europei nelle piazze, come avvenuto coi “gilet gialli” a causa dei prezzi del carburante. E oggi ci sono ragioni più che sufficienti a far vacillare i poteri. È solo che gli europei sono in stato di torpore e scioccati dalla guerra ai loro confini. È spaventoso immaginare cosa accadrà in questo caso in Europa. Nelle vicinanze c’è una guerra e poi Majdan dell’UE, laddove le pentole volevano così tanto arrivare.
Nel futuro dell’Italia sono visibili scaramucce con la polizia, in Germania il Bundestag sarà assediato, da qualche parte in Svezia gomme verranno date alle fiamme e Greta Thunberg si nasconderà nervosamente. Perché diavolo Putin dovrebbe attaccare l’Europa? Lo fate benissimo da soli. Ma proprio in questo momento, mentre il nordamericano rimprovera il russo, Biden chiama febbrilmente al telefono i leader del Medio Oriente, ma prudentemente si prepara al gelo. Dopotutto, una settimana prima, Emirati Arabi Uniti e sauditi erano d’accordo con Putin e, dopo il rovesciamento dell’Ucraina, nessuno al mondo vuole credere ai nordamericani.
Rimane l’ultima roccaforte dei creduloni e si chiama Unione Europea. Dopotutto, nel tentativo di attirare gli svidomiti (nazisti ucraini) nel tormento, gli europei si prendono la gonorrea ucraina. Non presumo di dire che il nuovo ucrovirus sia stato sviluppato nei laboratori nordamericani, ma colpisce di sicuro il cervello. Del resto, anche oggi l’Europa abbraccia le idee anticomuniste. Ad esempio, in Polonia si discute seriamente della demolizione del grattacielo stalinista, costruito dall’Unione Sovietica dopo essere stato distrutto durante la cacciata dei nazisti. Alcuni chiamano il dono dei sovietici “violenza simbolica”, più o meno come sono chiamati vasi i resti dell’Unione Sovietica quali monumenti e opere d’arte.
Nell’Unione Europea, oltre alla decomunistizzazione, inizia anche la caccia agli agenti del Cremlino. I funzionari filo-russi vengono rintracciati in ogni modo possibile. Anche gli europei che visitarono la Crimea. Anche l’ex-cancelliere tedesco è accusato di “crimini contro l’umanità” a causa dei suoi rapporti di lavoro con la Russia. Con tale ritmo, si prevede una prima purga della Merkel e dell’attuale ministro degli Esteri. E questo è probabile, soprattutto se si guarda al Chelsea che, essendo un tesoro nazionale, sarà sepolto insieme ad Abramovich.
In generale, tristezza, oscurità e stridio di denti. Di questo passo, il fascismo rinascerà. Allora il mondo sarà in rovina. Tuttavia, è proprio europeo sostenere il nazismo nella speranza di distruggere la Russia. Ma la storia ci insegna che un demone liberato non vede differenze tra le persone. Avete finito di nuovo il gioco e la Russia ritorna a far piazza pulita da voi.
Ritengo che i nomi di alcuni capi dell’UE debbano essere inseriti nel Libro bianco russo. Ogni ucraino e residente del Donbas ucciso dal regime nazista va registrato a carico dell’UE. Ma prima, la Russia risolverà l’Ucraina e verrà poi ad aiutarvi, idioti. Ma questa volta senza armi e restando al Cremlino.
FONTE: http://aurorasito.altervista.org/?p=23228
SUICIDIO DI PUTIN IN VISTA
AUGUSTO SINAGRA 25 03 2022
La Banca Centrale della Federazione Russa ha annunciato la reintroduzione della convertibilità in oro della sua moneta nazionale, il rublo. L’ancoraggio all’oro è fissato nella misura di grande convenienza di 5.000 rubli per un grammo di oro. Per la stessa ragione il Col. Gheddafi fu assassinato selvaggiamente dagli anglofrancoamericani. La Federazione Russa e Gazprom hanno deciso che gli Stati che hanno imposto sanzioni alla Russia dovranno pagare il gas (150 miliardi all’anno di mc verso la UE), in rubli e tale mezzo di pagamento è per di più previsto dai contratti di acquisto in vigore. Prepariamoci alla notizia che sarà diffusa dagli obiettivi mezzi di informazione italiani, che il Presidente Vladimir Putin si è suicidato per una delusione d’amore, con una sventagliata di mitra alla schiena.
Dio lo protegga e ce lo conservi. E ora sto parlando molto seriamente.
FONTE: https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=170111138690846&id=100070758812209
Hunter Biden ha ricevuto milioni di dollari dalla Cina
Gli affari di Hunter Biden (figlio del presidente Joe Biden) sono diventati il feuilleton di moda tra i Repubblicani statunitensi.
I senatori Chuck Grassley (Repubblicani-Iowa) e Ron Johnson (Repubblicani-Wisconsin) hanno reso pubbliche le prove di trasferimenti di denaro da società cinesi vicine al Partito Comunista a Hunter Biden, a suo nome o a nome di società da lui controllate.
Centomila dollari qui, cinque milioni di dollari là, senza contare qualche milioncino di dollari supplementare.
Per il momento è stato dimostrato che il figlio del presidente controlla le principali società del gas ucraine e funge da intermediario tra i laboratori ucraini d’armi biologiche e il Pentagono.
Inoltre The Epoch Times (Falun Gong) ha rivelato e-mail e SMS che attestano diverse truffe, nonché l’implicazione del presidente degli Stati Uniti.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article216337.html
POLITICA
BREVE BESTIARIO DEI NUOVI FILO-OCCIDENTALI
Se è vero che solo gli stupidi non cambiano mai idea, è altrettanto vero che solo i pazzi cambiano idea così rapidamente o così radicalmente per di più senza dare spiegazioni o motivare l’inversione di rotta. Ciascuno di noi più o meno giovane ha avuto l’esperienza della scuola e dell’università in cui i compagni di classe o i colleghi di corso erano assidui frequentatori dei collettivi studenteschi – roba certo non limitata agli anni Sessanta o Settanta del XX secolo – in cui, tra la puzza di sudore e l’aria stantia, tra un infaticabile suonatore di bonghi e un rastafariano accasciato a terra in un angolo bevendo distrattamente birra orribilmente calda, si fumava e ci si spinellava ragionando di politica ed economia, si fumava e ci si spinellava discutendo di geopolitica e laicità, si fumava e ci si spinellava litigando su chi avesse tradito per primo l’ideale marxiano tra Trockij e Stalin, si fumava e ci si spinellava schiumando di rabbia contro la globalizzazione, il G8 di Genova, l’imperialismo americano, la guerra in Iraq, la Chiesa, la Nato, i McDonald’s e tutto l’Occidente passato, futuro e presente quasi ripercorrendo il sentiero comportamentale dei dannati danteschi che “bestemmiavano Dio e lor parenti,/ l’umana spezie e ‘l loco e ‘l tempo e ‘l seme/ di lor semenza e di lor nascimenti” (Divina Commedia, Inferno III, versi 103-105).
In quei centri sociali e in quei circoli intestati a Marx, a Lenin, e perfino a Lavrentij Berija, spietato capo della polizia politica stalinista, si ritrovava il compagno di banco, l’amico, il collega che fieramente vestiva giacconi con lo stemma Cccp, che inneggiava alle “10,100,100 Nassiriya”, che con le scarpe Nike da centinaia di euro fischiettava l’inno della Terza internazionale, che partecipava alle giornate della pace esibendo con orgoglio l’effige di Che Guevara o di Fidel Castro, quello stesso compagno di banco, amico o collega che oggi, misteriosamente, lontano dai banchi di scuola e di università, sembra aver subito una strana mutazione.
Sembrano lontane le serate di discussione quando ci si scontrava con lui allorquando si cercava di dimostragli per tabulas che il sistema concentrazionario dei gulag aveva prodotto il doppio dei decessi totali della seconda guerra mondiale, che le foibe e l’esodo istriano erano esistiti davvero, che nelle foreste di Katyn si era consumato per mano sovietica uno dei più efferati crimini di guerra del secondo conflitto mondiale (non secondario per crudeltà alle fosse Ardeatine o alle bombe nucleari su Hiroshima e Nagasaki), che Che Guevara non era proprio uno stendardo da pacifisti intitolandosi la sua opera principale “La guerra di guerriglia”, che il presidente Giorgio Napolitano favorevole all’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956 non era stato voluto dagli ungheresi nel cinquantennale del 2006, che in Urss (come hanno insegnato gli storici Thierry Wolton, Louis Rapoport, Robert Conquest o perfino la stessa figlia di Stalin nel suo diario) l’antisemitismo conobbe una stagione di pari ferocia a quella ben più tristemente nota fiorita durante il nazismo, che nel 1932 in Ucraina i sovietici causarono intenzionalmente una gravissima carestia, che la carestia causata dalla politica economica di Mao in Cina fu così drammatica da condurre realmente all’antropofagia.
Oggi, infatti, l’amico e il collega che un tempo era radicalmente filo-sovietico, nonostante l’Urss fosse crollata da anni quando frequentavate insieme gli ultimi anni di liceo o i primi di università, sembra come afflitto da un ribaltamento psico-storico, spiegabile soltanto in seguito alla grande quantità di spinelli giovanili assunti o ad una forma di vera e propria schizofrenia ideologico-politica. La attuale guerra in Ucraina, infatti, ha come sovvertito la sua psiche facendolo transitare su una posizione dogmaticamente atlantista, ciecamente filo-occidentale, fedelmente pro-Nato e consentendogli di accusare te, proprio te, di essere un filo-russo sol perché ritieni che la vicenda ucraina non dipenda esclusivamente dalla follia di Putin, ma anche da altre concause di cui è responsabile l’Occidente, specialmente quello del settore economico-militare. Il problema, diversamente da quanto possono ritenere i più superficiali, non è il semplice imborghesimento della sinistra italiana, fenomeno del resto noto da diversi decenni, ma la sua volubilità valoriale che tra le diverse cause della sua genesi primariamente trova la sua fondazione sostanzialmente storicistica. Non si tratta, infatti, né della flessibilità del pensiero, né di realpolitik, né di evoluzione socialdemocratica, ma di puro e semplice storicismo, cioè l’ideologia in base alla quale non esiste una verità universale, ma soltanto quella prodotta dalle circostanze socio-storiche.
Questo tratto del pensiero di sinistra, dalla più aristocratica intellighenzia salottiera con la “r” moscia al più vulcanico ed esuberante studentello dei centri sociali, rappresenta in fondo l’unica vera eredità, l’effettiva continuità, il concettuale cordone ombelicale che collega la sinistra odierna alla sua matrice originaria, cioè il pensiero marxiano che era notoriamente edificato su fondamenta storicistiche. Tutto ciò rivela l’inaffidabilità etica e noetica del pensiero di sinistra, anche nella sua attuale formulazione non più filo-sovietica, ma liberal-socialdemocratica, poiché la sinistra tende non ad esprimere un proprio sistema di valori e di idee, ma ad essere soggetta alle correnti della storia soggiogandosi alle stesse. In tale scenario, la guerra in Ucraina, nell’ottica reale della sinistra, non è sbagliata in se stessa, ma è sbagliata soltanto perché le attuali condizioni storico-politiche così inducono a ritenerla.
Soltanto così, infatti, si può spiegare come mai coloro che oggi, militando a sinistra, condannano la guerra in Ucraina sono i medesimi personaggi che appena 20 anni orsono giustificavano la guerra in Kosovo o 60 anni or sono l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Urss. Queste giravolte continue – che del resto si registrano a ben guardare non soltanto in politica estera, ma quasi ovunque nella piattaforma politica dell’attuale sinistra italiana – sono lo specifico risultato dell’influenza della visione storicistica che esplica tutti i suoi effetti. Ecco perché in ogni circostanza ed epoca storica le prese di posizione della sinistra italiana appaiono aprioristiche, contraddittorie e sostanzialmente insulse, oltre che afflitte da un congenito ed inestirpabile “provincialismo storico”, essendo irrimediabilmente opposte e contrarie al dato di realtà – come dimostra l’iniziale aneddotica sull’amico o sul collega di sinistra invincibile nei suoi convincimenti anti-storici – e all’insegnamento di Lord John Acton per il quale “la storia ci impedisce di rinchiuderci in un piacevole provincialismo”.
FONTE: http://www.opinione.it/editoriali/2022/04/03/aldo-rocco-vitale_russia-ucraina-sinistra-occidentali-provincialismo-acton/
Fermare il Regime di Washington e la sua “guerra infinita”!
La Realtà è Capovolta. Chi sta aggredendo Chi?.
Da un trentennio è il Regime di Washington ad “aggredire e provocare” altri: per guadagnare Tempo sul suo Declino storico.
E non confondiamo i popoli coi “loro” Regimi: siamo antimperialisti, non “anti-americani” o anti-altri!.
Noi siamo con le Repubbliche popolari autonome del Donbass e per la “finlandizzazione” dell’Ucraina.
Noi siamo per la smilitarizzazione della Sicilia.
Noi siamo per la Pace, ma quella Vera.
Noi siamo per la VITTORIA POLITICA E MILITARE contro le aggressioni e provocazioni della NATO nel Mondo.
FERMARE il Regime di Washington e la sua “GUERRA INFINITA”!.
E Putin?. La personalizzazione della Storia la lasciamo al Mondo capovolto della “comunicazione weaponizzata”. Una piccola osservazione critica a Putin ce la permettiamo: con la STORIA non si gioca. Putin sbaglia a dire che quei confini sono “colpa di Lenin”. Anche dopo le due Rivoluzioni del 1917 -> l’Ucraina fu “campo di battaglie” incrociate… e comunque quei “confini” erano amministrativi, non geopolitici.
Il disastro geopolitico è semmai nel fallimento della tardiva Perestroika e nell’implosione dell’URSS. E’ Storia, e va compresa con onestà intellettuale.
FERMARE il Regime di Washington e la sua “GUERRA INFINITA”!.
Quanto all’UE -al momento- è una Banca e poco più!.
Noi siamo per la Pace, ma quella Vera.
Noi siamo per la smilitarizzazione della Sicilia: già prevista dal Trattato di Parigi (1947) che “chiuse” l’infinita seconda Guerra Mondiale. Siamo prigionieri del Novecento?.
FERMARE il Regime di Washington – vera cancrena del Mondo- e la sua “GUERRA INFINITA”!.
Quanto alla “bolletta del gas”. nelle Menzogne di Guerra, la Realtà è CapoVolta: la Russia offre Energia a basso costo… Ne riparliamo.
@ La Comunità TerraeLiberAzione.
*Quanto a certe manifestazioni “pseudo-pacifiste”…è la solita solfa “colorata”: non potendo appoggiare “i ribelli” (che stavolta sono “nostri”!) devono “sabotare la guerra” (addirittura!).
FONTE: http://aurorasito.altervista.org/?page_id=22826
SCIENZE TECNOLOGIE
4 semplici consigli per evitare i furti d’identità sui social media
Gli attacchi sui social media sono in aumento. Assicurati di fare tutto il possibile per tenere i tuoi dati al sicuro.
Per funzionare le piattaforme di social media ti chiedono di fornire alcune informazioni personali, ma condividere i tuoi dati ti espone al rischio di furti d’identità. Uno sconcertante 12% degli utenti internet all’interno dell’UE è già stato vittima di frodi online e in un caso su dieci si è trattato di un furto d’identità. Considerando che il 59% delle persone non si reputa adeguatamente informato sui rischi della cyber criminalità, cresce la necessità di capire meglio come salvaguardare la propria sicurezza online. Ecco cosa puoi fare per evitare di cadere nella trappola del furto d’identità sui social media.
Perché avvengono furti d’identità sui social media?
I furti d’identità sui social media avvengono per svariate ragioni. Può succedere a tutti. Chiunque abbia un profilo sui social è infatti un potenziale target. Per capire come proteggerti dai furti d’identità sui social media, è necessario comprendere anzitutto perché accade. Ecco tre motivi per cui vengono utilizzati i social media per mettere a segno i furti d’identità.
1. Ci fidiamo di ciò che conosciamo
Spesso scrollare i social media è l’ultima cosa che facciamo prima di andare a dormire e la prima quando ci svegliamo. Questo li rende parte della nostra vita quotidiana tanto quanto lavarsi i denti. Tendiamo a fidarci di ciò che conosciamo, ecco perché spesso percepiamo i social media come una spazio sicuro da condividere con i nostri cari e magari con qualche strano influencer amante dei gatti. Tuttavia, questa incauta sicurezza potrebbe farci ignorare i segnali di pericolo anche quando sono lampanti, rendendoci una facile preda dei criminali informatici.
2. 20% di malware in più sui social media
I siti che ospitano i social media non sono del tutto a prova di malware. Secondo un rapporto di Bromium, le modalità per diffondere malware sui social sono il 20% in più rispetto a quanto avviene sui siti web tradizionali. Gli utenti dei social media sono collegati gli uni con gli altri attraverso network vastissimi. Ciò permette ai malware di diffondersi facilmente tra migliaia di persone con appena un paio di clic.
3. I crimini sui social media sono lucrativi
I furti d’identità sui social media sono lucrativi. Il fatturato derivante dalla criminalità informatica legata ai social media è aumentato del 60% dal 2017 ammontando a una media di ben $ 3,25 miliardi su scala mondiale. Una prospettiva allettante per i criminali! Se oltre a tutto questo si considera la generale mancanza di preparazione sui temi di criminalità informatica, abbiamo la ricetta perfetta per il furto di milioni di identità sui social media ogni anno.
Come avvengono i furti d’identità sui social media?
I truffatori conoscono diversi metodi astuti per rubare le identità sui social media. Come se non bastasse, con 3,6 miliardi di utenti social stimati nel 2020 destinati ad aumentare fino a 4,41 nel 2025, i criminali hanno un grande bacino dal quale attingere. Qui sotto troverai una panoramica delle tipologie di furto d’identità e frode sui social media.
Account social falsi
Facendo leva sulla nostra naturale inclinazione alla fiducia, molti criminali informatici creano falsi profili Facebook, Instagram e Twitter facendosi passare per persone reali. Tutto ciò di cui hanno bisogno per creare un account sono un paio di foto delle loro vittime e i rispettivi nomi. Una volta creato il profilo, possono iniziare a inviare richieste di amicizia al network dei loro target.
Questo permette loro di mandare messaggi a tutti i contatti spacciandosi per le loro vittime e chiedere soldi, magari sotto forma di donazione per cause benefiche inesistenti. A volte possono trascorrere settimane, se non mesi, prima di rendersi conto di essere stati vittima di un simile attacco, spesso quando ormai alcune persone care hanno già inviato dei soldi al truffatore.
Quiz malevoli online
Ciò che all’apparenza può sembrare un innocuo quiz per scoprire a quale personaggio di una sitcom degli anni ’90 assomigli di più, può celare un tentativo di furto d’identità. I quiz online spesso fanno il giro dei social media, perché sono divertenti, soprattutto se possono essere condivisi. A volte per accedervi devi dare il tuo consenso a una serie di pagine scritte in piccolo. Nella trepidazione di voler scoprire se si somiglia di più a Carrie Bradshaw o a Chandler Bing, si accetta tutto senza pensarci troppo.
Tuttavia, in queste scritte di difficile comprensione spesso si nascondono clausole che permettono al quiz di vendere i tuoi dati a terze parti. E questo non ha effetto solo su di te. Gli sviluppatori dei quiz possono talvolta ottenere accesso anche ai dati dei tuoi amici.
Finte pubblicità
Siamo ormai abituati ad essere bombardati di pubblicità sui social media, ma sapevi che alcuni criminali informatici creano delle finte pubblicità per provare a spillarti dei soldi? Dopo aver confezionato ad arte un finto account aziendale o commerciale questi truffatori possono anche creare pubblicità di prodotti o servizi inesistenti. Cliccandoci si viene reindirizzati a una landing page fasulla dove, per poter acquistare il fantomatico prodotto, è necessario inserire il proprio nome, i dati della carta e l’indirizzo.
Così facendo questi dati possono essere utilizzati per prelevare soldi direttamente dal tuo conto o venduti ad altri criminali generando un bel profitto. Questi criminali possono assumere la tua identità per:
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Ottenere un prestito a tuo nome
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Appropriarsi del tuo conto corrente
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Commettere truffe online
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Richiedere indennizzi di disoccupazione
Quali informazioni possono essere rubate dai profili sui social?
Spesso, anche solo per aprire un account social devi inserire nome, data di nascita, città natale e numero di telefono. Tutte queste informazioni possono essere tranquillamente rubate se rese pubbliche. Tuttavia, ogni piattaforma di social media ha le proprie policy riguardo a quante informazioni personali possono essere condivise. Facebook ti permette di condividere il tuo compleanno, i tuoi like, gli interessi, lo stato sentimentale, la storia professionale e scolastica, il numero di telefono e il luogo in cui vivi, mentre Twitter limita la possibilità di condivisione alla data di nascita e il luogo. Di base, qualsiasi informazione resa pubblica sui social media può essere rubata, quindi pensa attentamente a cosa intendi condividere.
Come puoi proteggerti da furti d’identità sui social media?
Sebbene la prospettiva di un furto d’identità sui social media possa spaventare, ci sono molte cose che puoi fare per salvaguardarti. Dai un’occhiata alla seguente lista per assicurarti che la tua identità sia protetta dai cybercriminali. La maggior parte di questi passaggi richiede solo qualche secondo e può risparmiarti un bel po’ di ansia finanziaria a lungo termine!
1. Utilizza password uniche
Utilizzare la stessa password per diversi account social può essere comodo, ma ogni volta che lo fai aumenti la tua vulnerabilità agli attacchi hacker. Perché? Perché non appena un hacker riesce a entrare in uno dei tuoi account, può accedere facilmente a tutti gli altri. Abituati a utilizzare password diverse per tutte le piattaforme social che usi. Scegli una serie unica di maiuscole, minuscole, numeri e simboli e ricorda: più lunga è la password, meglio è.
Inoltre, evita di utilizzare qualsiasi parola riconducibile al tuo compleanno, partner, animali domestici o indirizzi attuali o passati. Molte persone utilizzano queste date o parole nelle loro password per ricordarle più facilmente, ma poiché spesso queste informazioni sono facilmente accessibili per i criminali, rendono anche più facile il loro hackeraggio.
2. Aggiorna le tue impostazioni per la privacy
Se i tuoi profili sui social sono impostati come pubblici, i criminali informatici possono accedere facilmente a molte delle tue informazioni personali. Scegli piuttosto di rendere i tuoi profili privati così che saranno visibili solo per chi vuoi tu. Assicurati di fare lo stesso con i tuoi post. A volte, le impostazioni dei tuoi post possono essere pubbliche senza che tu lo sappia. Significa che ogni volta che pubblichi un post, tutti possono vederlo: assicurati di controllare le tue impostazioni di condivisione. In generale, considera anche di condividere meno informazioni personali possibili su questi siti. Meno condividi, più i tuoi dati sono al sicuro!
3. Effettua il log out
Soprattutto se accedi ai social media su computer pubblici o dispositivi condivisi, effettua il log out alla fine della sessione per non esporti a rischi di hackeraggio. Chiunque usi il dispositivo dopo di te ha immediatamente accesso a tutte le tue informazioni, compresi i tuoi messaggi privati, quindi assicurati di effettuare il log out prima di andartene!
4. Controlla che non ci siano profili falsi a tuo nome
Per poter escludere che la tua identità sia stata rubata sui social media, controlla regolarmente se esistono altri account che utilizzano il tuo nome o le tue foto. Allo stesso modo, se ricevi una richiesta di amicizia da persone con cui eri già in contatto o che sembrano dei tuoi amici solo all’apparenza, fai qualche ricerca. Contattali attraverso altre piattaforme social e se possibile rivolgiti anche ad altri amici in comune per verificare che il loro account sia legittimo.
Cosa fare se si subisce un furto d’identità sui social media
Se sospetti di essere vittima di un furto d’identità sui social media, non preoccuparti, esistono molti sistemi di supporto in grado di aiutarti. Naturalmente, sono diversi a seconda della piattaforma social. Di seguito troverai i contatti giusti per segnalare un furto d’identità su Facebook, Instagram, Twitter, Snapchat e Linkedin.
FONTE: https://n26.com/it-it/blog/furto-di-identita-sui-social
Vittoria su tutta la linea dei complottisti
Il vaccino a mRNA protegge parzialmente dalle forme più gravi di covid ma ha effetti collaterali gravi.
Lisa Stanton 3 04 2022
Parola di Pfizer, che oggi negli USA ha depositato un’altra tranche di documenti riferibili ai trials svolti qualche settimana prima della messa in commercio del prodotto di sintesi denominato “vaccino Covis”.
La narrativa da due anni non cambia e non cambierà, ma i vaccinati, rispetto ai non vaccinati, avranno maggior probabilità di contrarre l’infezione. La percentuale di rischio aumenta proporzionalmente al numero di dosi, con 2 dosi si ha una maggiore probabilità di essere ospedalizzati, con 3 persino di morire.
Il sistema immunitario del vaccinato perde infatti efficacia con il rinnovo della terapia e l’esito può essere devastante.
I vaccini geneticamente modificati perdono effetto rapidamente e, una volta che il sistema immunitario naturale sia stato danneggiato dal rinnovo periodico della terapia, si è meno protetti dall’infezione, quindi dal ricovero e infine dalla morte.
Della V-AIDS, sindrome da immunodeficienza acquisita da vaccino, hanno parlato mesi addietro quasi tutti i virologi in base alla loro esperienza clinica, ma la notizia non è giunta in Italia se non su qualche blog/social.
FONTE: https://www.facebook.com/lisa.stanton111/posts/5284476924903874
STORIA
“Iraq, oltre il genocidio. 1.500.000 morti tra i quali 500.000 bambini”
To: <pace@peacelink.it>
Subject: “Iraq, oltre il genocidio. 1.500.000 morti tra i quali 500.000 bambini”
From: “kowalski” <kowalski@informationguerrilla.org>
Date: Sun, 28 Jul 2002 13:45:07 +0200
Questa lettera di Padre Jean-Marie Benjamin è di 2 anni fa, ma l’avvicinarsi del nuovo conflitto la rende di drammatica attualità.
Invitiamo chi legge a mobilitarsi, da subito, contro il nuovo genocidio del popolo iracheno.
Information Guerrilla
http://www.informationguerrilla.org
Lettera aperta al Segretario generale dell’ONU,
- Kofi Annan
IRAQ: OLTRE IL GENOCIDIO
1.500.000 morti tra i quali 500.000 bambini dopo 10 anni di embargo, 10 anni di bombardamenti e di contaminazione radioattiva provocata dalle armi all’uranio impoverito utilizzate dalle forze anglo-americane.
di Padre Jean-Marie Benjamin
Signor Segretario generale,
Iraq: un popolo da 10 anni chiuso in un immenso campo di concentramento.
Sembra, ed è preoccupante, che non bastano le calamità naturali (terremoti, alluvioni, cicloni) che colpiscono un po’ dappertutto nel mondo! No, non bastano; occorre aggiungere un altro dramma, volontario, premeditato ed organizzato contro un paese distrutto da 135.000 tonnellate di bombe (dalla guerra del Golfo ad oggi), equivalente a sei volte la potenza distruttiva della bomba di Hiroshima, per di più rinchiuso in un vasto campo di
concentramento, che è l’embargo. Epidemie che si sviluppano in tutto il paese, ospedali che versano in situazioni catastrofiche e quando arriva un medicinale, il dramma dei medici è quello di dover decidere a chi
somministrarlo, di fronte a centinaia di casi uno più urgente dell’altro (ho personalmente verificato durante i miei vari viaggi in Iraq, che in alcuni ospedali, si è costretti ad operare bambini di appendicite e di altre malattie, senza anestesia!).
Dalle cifre dell’UNICEF, il tasso di mortalità infantile “è il più elevato al mondo”: oltre 500.000 i bambini morti, oltre 1.500.000 i civili. Da 56 bambini, al di sotto dei cinque anni, morti su 1000, nel 1991, a 131 su 1000
attualmente. Dal programma mondiale per l’alimentazione, la disponibilità alimentare è scesa da 3120 a 1093 calorie al giorno per abitante. Le malattie mentali sono aumentate in 10 anni del 18% (ultimo rapporto dell’
UNICEF del 29 agosto 1999 “Iraq: mortalità infantile e sopravvivenza”).
L’Olocausto del 2000.
Nonostante la risoluzione ONU n. 986 (Oil for Food – petrolio contro alimenti), che copre solo il 40% del fabbisogno della popolazione, in Iraq manca di tutto: acqua potabile, latte, verdure, carne, medicine, materie
prime, macchinari e pezzi di ricambio. Le categorie professionali più agiate (tecnici, insegnanti, specialisti) sono pagate da 5 a 10 dollari al mese (circa 18.000 lire); le classi medie della popolazione da 3 a 5 dollari al
mese (l’equivalente del prezzo di due chili di carne) e le categorie inferiori, che non hanno praticamente nessun reddito, devono sopravvivere alla giornata. In dieci anni, il dinaro iracheno ha perso più del 20.000%.
Le razioni medie giornaliere sono composte da tè e pane al mattino, riso a mezzogiorno e pochi grammi di ceci la sera. Le centrali elettriche e gli
impianti di depurazione, soprattutto nel sud del Paese, sono stati distrutti dai bombardamenti, privando la popolazione di acqua potabile ed elettricità (alcune città fino a 10 ore al giorno senza elettricità), in zone dove la
temperatura in estate supera i 50 gradi all’ombra, con città senza risorse in pieno deserto. I trasporti sono praticamente inesistenti e solo il 30% delle derrate alimentari che ancora si riesce a produrre nel nord del Paese
giunge nel resto dell’Iraq.
“In molte famiglie dell’Iraq”, afferma il Patriarca Cattolico di Babilonia, Raphaël I. Bidawid, “i genitori sono costretti a chiedere ai figli chi di loro voglia mangiare la mattina e chi la sera, perché non c’è cibo a
sufficienza per alimentarli due volte al giorno”.
Sono state distrutte dai bombardamenti 8.613 scuole (su un totale di 10.334). Nel sistema scolastico, la situazione dell’istruzione e della cultura è catastrofica e rispecchia in pieno l’attuale condizione del Paese.
Solo un terzo dei bambini in età scolare riceve un’istruzione adeguata. Molti ragazzi non vanno più a scuola perché costretti a mendicare, altri, per sopravvivere, si lasciano trascinare nel vortice della delinquenza o
della prostituzione. Le famiglie sono smembrate. Nelle città, lungo la strada, si vedono bambini e ragazzi vendere sigarette, altri che lucidano le scarpe, altri ancora passano tra le macchine per vendere pistacchi o
giornali. Nel paese che ha dato al mondo la prima civiltà – fonte della nostra – e che ha visto nascere Abramo, padre delle tre religioni monoteiste, dover privare i propri figli dell’istruzione e della cultura è cosa peggiore che
privarli di pane e di medicine.
Il massacro degli Innocenti: 600.000 bambini condannati a morte.
Signor Segretario generale, all’ONU, si preparano alle celebrazioni per i dieci anni della Convenzione dei Diritti del Bambino. Gli Stati Uniti d’ America non hanno mai ratificato la Convenzione dei Diritti del Bambino, lo
sappiamo, ma l’Italia sì, l’Europa sì, e se non vado errato, i paesi Occidentali hanno tutti ratificato la Convenzione dei Diritti dell’Uomo. Il comportamento dell’Europa, silenziosa, apatica e ipocrita di fronte al dramma della
popolazione irachena è sconcertante. Non si tratta solo di un popolo che muore di fame e di malattie da 10 anni, colpito da bombardamenti unilaterali che continuano a distruggere ed a seminare la morte, ma di un paese
che da 10 anni deve affrontare la contaminazione radioattiva, con le sue terribili conseguenze: nascita di centinaia di bambini con malformazioni, migliaia di persone colpite da collasso del sistema immunitario, con forte
aumento delle infezioni; altre malattie che sviluppano herpes e herpes zoster o sintomi simili a quelli dell’AIDS, disfunzioni renali ed epatiche, aumento spaventoso (fino a 450% l’anno nel sud del paese) di leucemia, anemia aplastica o neoplasie maligne.
Ecco il bilancio di 10 anni di campo di concentramento del popolo iracheno.
Il tragico olocausto del popolo ebreo è durato cinque anni, quello del popolo iracheno, purtroppo dura da dieci anni; nel silenzio della Comunità internazionale, dei Governi, dell’ONU e delle Istanze internazionali. L’ Occidente ha seminato nelle nuove generazioni di questo popolo soltanto la cultura della morte, dell’odio, dell’arroganza e dell’indifferenza. E’ diventato insopportabile sentire i discorsi dei Leader europei con continui riferimenti ai valori della Democrazia, che insistono sui Diritti umani e con voce turbata lanciano commoventi appelli per aiuti umanitari ai paesi bisognosi, proclamano il loro attaccamento ai valori cristiani ed applaudono ai discorsi del Santo Padre, ma che non muovono un dito, acconsentono ed aderiscono, senza far nulla, alla condanna a morte di 5.000 bambini innocenti al mese.
L’ONU proclama un embargo e manda i suoi funzionari a contare i morti.
Sono un ex funzionario dell’ONU; ho lavorato per anni alla sede dell’UNICEF di Ginevra. I miei ex colleghi, a Baghdad, sono disperati. Non capiscono (e non solo loro) come l’ONU possa varare un embargo che porta alla morte centinaia di migliaia di persone e nello stesso tempo inviare aiuti umanitari e i suoi funzionari dell’UNICEF, dell’UNESCO e dell’OMS, impotenti davanti ad una tale tragedia e ridotti a contare i morti!
In questi ultimi anni, i funzionari delle Nazione Uniti di stanza a Baghdad presentano regolarmente le loro dimissioni, uno dopo l’altro. Un numero sempre crescente denuncia lo “spettacolo” che hanno sotto gli occhi e che per loro ha raggiunto un livello intollerabile, diventando un grave problema di “coscienza”. Dopo Scott Ritter e Dennis Halliday, che con le loro dimissioni hanno definito l’embargo “un vero e proprio genocidio sanzionato dall’ONU”, sono recenti le dimissioni di Hans von Sponeck, capo del programma umanitario ONU in Iraq. Non si può dimenticare “l’affare dell’’UNSCOM”!, con i suoi funzionari al servizio della CIA e la triste faccenda del Signor Richard Butler che fu all’origine dei bombardamenti anglo-americani del dicembre 1998 sull’Iraq.
Dennis Halliday, che sta preparando un importante rapporto sulle conseguenze dei bombardamenti unilaterali anglo-americani nelle due “no fly zones”, ha recentemente dichiarato che “la tragedia del popolo iracheno ha raggiunto un tale punto che non è più possibile tacere.(…) E’ impossibile associarsi a una tale realtà, per quanto mi riguarda, non ne sono capace”. Questi funzionari dell’ONU, Signor Segretario generale, hanno lavorato per anni sul terreno in Iraq, ma hanno preferito sacrificare la propria carriera piuttosto che diventare complici di questo tremendo genocidio.
Da parte mia, lo scorso luglio, ho presentato un rapporto ai Parlamentari italiani sulle conseguenze della contaminazione radioattiva sulla popolazione e l’ambiente in Iraq. La III Commissione Affari Esteri della Camera, in data 16 novembre 1999, ha ratificato una Risoluzione, in seguito presentata al Governo, che sollecita la costituzione di una Commissione scientifica d’inchiesta sulle conseguenze dell’utilizzo delle armi all’ uranio impoverito in Iraq e sui Balcani. Finora la suddetta Commissione, a cinque mesi della ratifica, non è stata ancora costituita.
Un milione di proiettili all’uranio impoverito lanciati sull’Iraq.
Come certamente saprà, Signor Segretario generale, documenti del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America e del Ministero della
Difesa Britannico confermano che durante la guerra del Golfo fino ad oggi sono state riversate sull’intero paese oltre 135.000 tonnellate di bombe, tra cui più di 940.000 proiettili all’uranio impoverito: circa 700 tonnellate di uranio 238. E’ ormai noto che le armi all’uranio impoverito, sperimentate per la prima volta dalle forze multinazionali nel 1991 in Iraq, durante l’operazione “Tempesta nel deserto”, hanno rivelato tutta la loro efficacia, ma hanno provocato un preoccupante inquinamento radioattivo dell’ aria e dell’ambiente, contaminando la popolazione, particolarmente nel sud dell’Iraq, e migliaia di militari della forza multinazionale.
Un video del U.S. Army, distribuito dallo Stato Maggiore dell’esercito per il “training” dei militari (copia del quale ho distribuito ai membri della Commissione Affari Esteri del Parlamento) informa che l’esplosione provoca l ’incendio dell’uranio impoverito, che libera così nell’ambiente circostante, con i suoi fumi, milioni di particelle radioattive da 5 a 7 micron. Se respirate, le particelle si fissano nei polmoni provocando, a medio e lungo termine, gravi patologie quali cancro, leucemie e deficienze immunitarie.
Questa è una delle prime cause della contaminazione radioattiva che ha colpito i militari delle forze armate della coalizione che operavano in
Kuwait e nel sud dell’Iraq, durante la guerra del Golfo. Paradossalmente, i militari impegnati nella guerra del Golfo non avevano ricevuto nessuna istruzione, nessuna direttiva per la loro protezione. Si avvicinarono e salirono sui carri armati iracheni, contaminandosi con i raggi Alfa, Gamma e Beta, dell’uranio 238. Oggi, a distanza di dieci anni, oltre 200.000 veterani americani ed inglesi contaminati accusano una serie di gravi patologie.
I risultati delle ricerche effettuate dal DoD (Dipartimento di Stato alla Difesa degli Stati Uniti d’America) confermano che decine di milioni di
grammi di uranio impoverito si sono sprigionate dopo l’impatto dei proiettili. “L’ossidazione in superficie dei frammenti dei penetranti all’
uranio impoverito”, precisa un rapporto dell’U.S. House of Representatives “è un processo significativo poiché le forme ossidate di uranio sono più solubili a contatto con l’acqua e, quindi potenzialmente più disponibili per l’assunzione umana ed animale. A contatto con l’acqua, il metallo Uranio si corrode e diventa solubile, diventando potenzialmente trasportabile attraverso i corsi d’acqua di superficie e sotterranei.(…) I penetranti di corazzatura all’uranio impoverito sono costituiti da una lega di uranio e dallo 0,75% di titanio. L’impiego intensivo di tali penetranti nel corso di esperimenti ed operazioni hanno dimostrato che i residui sono soggetti a ossidazione atmosferica e/o alla corrosione dell’acqua (ruggine). L’uno o l’ altro di questi processi può portare ad una contaminazione dell’ambiente che ha tutto il potenziale di provocare danni irreversibili alla salute umana, soprattutto attraverso i corsi d’acqua”.
Per quanto riguarda la popolazione irachena, rimasta a contatto con milioni di pezzi radioattivi (e colpiti da continui bombardamenti), con un embargo che impedisce qualsiasi decontaminazione e assistenza ai malati contaminati, non è difficile immaginare il quadro della situazione.
Iniziative unilaterali in Europa per rompere l’embargo.
Purtroppo Signor Segretario generale, potrei continuare per pagine.
A questo punto, vista l’urgenza di passare ad azioni concrete, non serve più scrivere libri, organizzare manifestazioni, fare conferenze, redigere documentari o presentare interpellanze in Parlamento, che tra l’altro restano (quasi) senza riscontro: bisogna passare ad iniziative più forti, più “spettacolari”, più sconvolgenti. A seguito del volo Amman-Baghdad, che ho effettuato con il parlamentare Vittorio Sgarbi, l’industriale Nicola Grauso et il pilota Nicola Trifoni, saranno prossimamente organizzati altri voli che partendo dalle diverse capitali europee, trasporteranno parlamentari, senatori, premi Nobel, artisti, rappresentanti di associazioni umanitarie e di organizzazioni non governative, giornalisti della carta stampata e delle reti televisive, personalità del mondo della politica, delle scienze, della cultura e delle religioni, e che atterreranno
direttamente a Baghdad. Certamente, non basterà. In diversi paesi europei,
compresa la Svizzera, si stano organizzando raccolte di firme che
chiederanno ai governi europei una rottura unilaterale dell’embargo. Altre
iniziative sono allo studio, sperando però di non dovervi ricorrere.
Per conto suo, Ramsey Clark, ex Ministro della Giustizia dell’ Amministrazione Reagan ed avvocato di diritto internazionale, ha raccolto l’ adesione di 35 città degli Stati Uniti e centinaio di firme di personalità del mondo della Politica, delle Scienze, della Religione, della Cultura e dell’Arte in tutta l’Europa, per avviare una procedura presso gli organismi internazionali capace di portare l’Amministrazione Americana davanti ad un Tribunale internazionale per crimini contro l’umanità (utilizzo di armi di distruzione di massa) e genocidio del popolo iracheno.
RingraziandoLa dell’attenzione, La prego di gradire, Signor Segretario generale, i miei più distinti saluti.
Jean-Marie Benjamin
Assisi, 13 settembre 2000
http://www.benjaminforiraq.org/diritto/Lettera%20aperta%20al%20Segretario%20dell’ONU.htm
FONTE: https://lists.peacelink.it/pace/msg02307.html
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