RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
4 FEBBRAIO 2022
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Qual è il governo migliore?
Quello che insegna a governare noi stessi.
(Goethe, Massime e riflessioni)
In: Il libro dei mille savi, Hoepli, 1967, pag. 407
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SOMMARIO
Come l’Inghilterra ha distrutto l’Italia
Intelligence, Solange Manfredi al Master dell’Unical: “La guerra psicologica è una guerra senza limiti
che emerge solo dopo che si manifestano gli effetti”
Intervista a Solange Manfredi: la strategia della tensione in Italia
La strage americana del Cermis, una ferita ancora aperta
L’erranza sulla scacchiera del mondo: “Rapporto confidenziale” di Orson Welles
CESARINI, LA VALLETTA NERA DI SANREMO: “NON SONO ITALIANA COME VOI, RESTO NERA”
LORENZA CESARINI, UN CACHET DI 25MILA EURO AD UNA MIRACOLATA PER FARCI LA PATERNALE SUL ‘RAZZISMO’
Direttore di Poste Centrali-siamo pronti ad accogliere le richieste di chiunque
GREEN PASS PER SEMPRE!
GLI AMERICANI VOGLIONO CHE L’ITALIA FACCIA LA GUERRA ALLA RUSSIA
Soros: Xi Jinping è finito…. Profezia o minaccia a vuoto?
Siria, capo Isis si fa saltare in aria durante raid Usa ordinato da Biden
Nato e Usa rispondono alla Russia: ecco il documento “filtrato” sui media
Ucraina, crocevia d’Europa: perché Kiev è strategica
Tutta la poesia d’Irlanda dal Medioevo a Yeats
CECITA’ DI MASSA!
GIORNALISTI PUTTANE DI REGIME
Bill Gates investe in Poste Italiane. L’Italia sta diventando una sua filiale?
“Finita l’emergenza, l’Italia deve tornare a tagliare il debito”: parola del falco di Bruxelles
BARBARA & CLAUDIA – Concerto il 17 marzo 2022 presso Auditorium – Roma
Faro Consob su Mps, scontro sui conti
Intervista al Prof. Maddalena: “Un secondo mandato è incostituzionale. Prevedo che Mattarella resti fino
alle prossime elezioni”
Mattarella rieletto, il programma di Draghi resta lo stesso: distruggere l’economia italiana
Briatore assolto, ma ora la sinistra giustizialista tace
DISCRIMINAZIONE E SEGREGAZIONE DI MINORI PER DECRETO LEGGE!
Carola, l’eroina fuori dalla legge
Scure islamista sulla libertà di stampa: in Francia 35 giornalisti sotto scorta
La Mocro Maffia alla conquista dell’Europa
Ucraina. Contrordine: l’invasione russa non è più imminente
Le autorità ucraine smentiscono Biden sulla minaccia russa
Chi comanda davvero alla Casa Bianca?
Il tempo è una pura percezione
72 anni di Nakba e la Negazione del Diritto al Ritorno
IN EVIDENZA
Come l’Inghilterra ha distrutto l’Italia
La giurista Solange Manfredi e il giornalista Giovanni Fasanella descrivono i documenti ufficiali desecretati che spiegano come gli Inglesi (e non solo) dal 1947 ad oggi hanno sabotato in tutti i modi la politica e l’economia italiana, diffamando la nostra nazione a livello mondiale e distruggendo il futuro di milioni di persone.
Estratti video dagli orginali:
– https://www.youtube.com/watch?v=cYIOn…
– https://www.youtube.com/watch?v=yE81l…
FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=Rih1_poaSGk
Intelligence, Solange Manfredi al Master dell’Unical: “La guerra psicologica è una guerra senza limiti che emerge solo dopo che si manifestano gli effetti”
02 Aprile 2021
Solange Manfredi , Giurista e Saggista, ha tenuto una lezione dal titolo “La guerra psicologica in Italia: i protocolli segreti” durante il Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
Manfredi ha esordito affermando che la guerra psicologica è una guerra occulta, che si combatte attraverso pressioni di diverso tipo. È una guerra senza limiti, sostenuta da interessi molto potenti, che emerge solo quando si manifestano i suoi effetti.
“I cardini fondamentali della guerra psicologica – ha affermato Manfredi – sono essenzialmente tre. Il primo cardine è la propaganda, che può essere di medio o di lungo periodo. Gli investimenti economici sulla propaganda sono enormi, secondi a livello mondiale solo agli investimenti per gli armamenti. Non è un caso, infatti, se le agenzie di public relations presentano un fatturato, in tutto il mondo, superiore a quello delle industrie automobilistiche”. “Non dimentichiamo – ha continuato – che nella guerra psicologica si utilizza la disinformazione per raggiungere gli obiettivi prefissati. Bisogna considerare, a tal proposito, che una popolazione poco istruita rende la disinformazione più efficace”.
Manfredi ha poi proseguito sostenendo che “il secondo cardine della guerra psicologica sono le operazioni psicologiche, i cui effetti sono rapidissimi. A tal proposito è utile sottolineare l’esperienza del Presidente degli Stati Uniti d’America Thomas Woodrow Wilson, il quale, dopo aver vinto le elezioni, nel 1916, dichiarò che non avrebbe trascinato l’America nel conflitto in corso in Europa. E tuttavia l’anno successivo istituì una Commissione per organizzare la propaganda in favore dell’intervento degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale. A tale scopo furono inviati 75.000mila conferenzieri nelle piazze e nelle scuole per cercare di influenzare l’opinione pubblica. Fu realizzata una potentissima campagna di volantinaggio e servizi giornalistici per narrare atrocità poste in essere dai soldati tedeschi ed austriaci, in realtà mai conpiute. In soli sei mesi l’opinione pubblica americana cambiò orientamento e si dichiarò favorevole ad un intervento diretto degli Stati Uniti nella Prima Guerra Mondiale”.
“Il terzo cardine della guerra psicologica – ha spiegato – è rappresentato dalle azioni di rinforzo del personale straniero. Le operazioni di guerra psicologica, infatti, richiedono una profonda conoscenza dell’obiettivo che si vuole colpire. Nel caso sia rappresentato da uno Stato, è necessario conoscerne la lingua, la cultura ed i modelli di comportamento. Pertanto, è fondamentale contare sulla collaborazione di cittadini locali oppure di persone che abbiano vissuto molto tempo nel Paese interessato e che quindi ne conoscano il contesto sociale”. A tal proposito, la docente ha richiamato il pensiero di Francesco Cossiga, il quale, nel suo libro “Abecedario”, spiega che è necessario far raggiungere al personale di rinforzo straniero gli alti livelli della vita politica, burocratica, scientifica e finanziaria del Paese, utilizzando le loro posizioni per raggiungere gli scopi prefissati nell’attacco.
“Le operazioni di guerra psicologica – afferma ancora Manfredi – vengono definite attraverso un preciso protocollo, e prevedono una o più azioni per raggiungere l’obiettivo. Si tratta di mettere in atto delle tecniche precise e sperimentate: prima si creano bisogni (sicurezza, lavoro, giustizia o altro), poi si impedisce per un certo periodo che i bisogni possano essere soddisfatti, quindi si suggerisce il comportamento, ovvero l’azione, per raggiungerli, in tutto in parte”.
“In Italia nel corso degli anni – ha affermato – si sono combattute diverse guerre psicologiche. Nel 1947, ad esempio, è iniziata una vasta operazione per influenzare il processo educativo che poi è stata estesa ad ogni settore della cultura del Paese. Nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino, nel nostro Paese vi sono verificati una serie di avvenimenti molto particolari. Il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti cercò di modificare la politica economica italiana. Ed il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, resosi conto che era crollato un sistema, cercò di spronare la classe politica italiana a cambiare strategia prima di essere travolta. Ma il suo messaggio rivolto alle Camere nel 1991 restò inascoltato. Nello stesso anno venne arrestato Mario Chiesa, esponente milanese del Partito Socialista Italiano, per aver accettato una tangente di sette milioni di lire. Nel 1992 scoppió il caso tangentopoli e vengono uccisi dalla mafia il politico siciliano Salvo Lima ed i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. In quello stesso anno venne eletto Presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro. Inoltre, dal 1990 al 1994 vennero compiuti circa cinquecento attentati nel nostro Paese, sotto la sigla “Falange Armata” che secondo alcuni era espressione di azioni statali di depistaggio mentre secondo altri derivazione della mafia. In quegli anni ed in quel clima politico termina la Prima Repubblica.
E la fine della guerra fredda, in definitiva, segna l’inizio della guerra economica e della guerra normativa”. A tal proposito, Manfredi ha ricordato che “la giurista Katharina Pistor, nel suo libro “Il Codice del Capitale”, spiega molto bene che non esiste la mano invisibile del mercato ma le dinamiche economiche vengono determinate dalle leggi elaborate dagli uffici legali delle multinazionali che condizionano l’economia degli Stati. A questo stato di cose, è difficile porvi rimedio sia perché le norme penetrano all’interno degli Stati non perché vincolanti,ma perché seguite da tutti, sia perché possono coinvolgere anche altri Stati. Pertanto, non serve più influenzare i singoli parlamenti, basta operare dove si formano le leggi per indirizzarle a produrre un determinato esito. Non è un caso se le banche dati e le più importanti riviste giuridiche sono in mano a multinazionali straniere”.
In conclusione, ha affermato Manfredi che “la guerra economica è soprattutto guerra normativa, devastante, nascosta e molto pericolosa. Per difendersi è necessario creare al più presto strutture di intelligence giuridica e costruire un nuovo modello educativo che non sia più iper-specializzato, non essendo strutturalmente in grado di far comprendere la realtà complessa dovuta all’avvento di internet ed alla globalizzazione”.
FONTE: https://ildispaccio.it/cosenza/269040-intelligence-solange-manfredi-al-master-dell-unical-la-guerra-psicologica-e-una-guerra-senza-limiti-che-emerge-solo-dopo-che-si-manifestano-gli-effetti
Intervista a Solange Manfredi: la strategia della tensione in Italia
Solange Manfredi è una giurista, ma non solo. Da anni si occupa di analizzare con un metodo storico i meccanismi psicologici usati per condizionare le popolazioni.
Ha raccolto le sue ricerche nel libro Psyops che spiega le operazioni psicologiche attuate in Italia.
Dopo gli attentati del 13 novembre, l’Europa è crollata in un clima di paura. Abbiamo chiesto a Solange Manfredi di spiegarci perché.
1. Nel libro “Shock Economy”, Naomi Klein parla dell’utilizzo di eventi traumatici come gli attentati per incutere timore nei cittadini e indurli a cedere parte delle loro libertà. Le sembra che stia avvenendo questo processo dopo la strage di Parigi del 13 novembre e la crescita del pericolo terrorismo?
Da molto tempo c’è la precisa volontà di scatenare la paura nella popolazione. Si può vedere ovunque. Facciamo un esempio banale: la televisione. “Non c’è una cosa che sia positiva. A parte i telegiornali che devono dare notizie e magari non sono sempre positive, se guardiamo le trasmissioni di approfondimento siamo arrivati a dei livelli assurdi. Parlano solo più dell’ISIS e di feroci terroristi. Poi decidiamo di passare ai documentari e troviamo Chi diavolo ho sposato, Anatomia di una mente criminale, Nightmare Next Door. Poi finalmente ci rilassiamo con una serie televisiva: Criminal Mind, Dexter, Bonds. Oggi non abbiamo neanche un minuto di televisione che non sia violenza pura o, per lo meno, aggressione. Anche nelle trasmissioni di cucina c’è un’aggressione verbale, una violenza psicologica paurosa. Tutto questo è assolutamente voluto.”
Lasciando perdere la TV, basta prendere un giornale. Lunedì c’è l’ebola, martedì il terrorismo, mercoledì il clima impazzito che combinerà disastri e così via. Si arriva a venerdì che il parterre delle nostre paure è completamente alimentato. Perché? Quando una popolazione ha paura, la sua capacità di analisi viene meno. “Anche la notizia più incredibile può essere creduta.”
Inoltre, la paura si autoalimenta perché si attivano delle piccole abitudini quotidiane, come controllare di aver messo l’antifurto, che sostengono la paura. Gli atti terroristici sono la manna per il potere perché sono eventi a cui seguono misure (spesso inutili e inadeguate per fronteggiare il problema) che hanno un altro scopo. “La paura è oggi un bacino molto importante per i partiti.”
Su cosa possono fare presa partiti oggi in forte calo?
Di nuovo, sulla paura. I partiti di destra e sinistra da anni continuano a dirci che cosa dobbiamo temere perché non hanno programmi. “Quelli di destra sulla criminalità e sugli immigrati, quelli di sinistra sulla sanità e ambiente.” Manfredi sottolinea che: “uno stato che ha paura è uno stato pericoloso.” La Storia insegna che la paura non si riesce a controllare. Non a caso, i maggiori intellettuali mondiali mettono in allarme su questo, ma lo fanno con i pochi mezzi a disposizione (spesso solo libri) e alcuni in Italia non vengono pubblicati. “Il momento che stiamo vivendo è molto pericoloso. Per noi. Probabilmente il pericolo maggiore sarà rappresentato da noi.”
2. Rimanendo sempre in Francia, crede che la paura sia stata usata pure nelle elezioni regionali del mese scorso in cui il premier Valls ha addirittura parlato di “guerra civile” in caso di vittoria del Front National? In quali altri casi si è fatto un uso “politico” del terrore?
Queste affermazioni dettate dal momento sono affermazioni che delle figure istituzionali dovrebbero fare attenzione a pronunciare. Quello che è successo in Francia, quello che tempo fa accadde con Alba Dorata, quello che succederà in Europa, se non si cambia, è la normale conseguenza di questo tipo di politica. Tutte le volte in cui si induce terrore nella popolazione, questa tende a rinchiudersi su se stessa e tende a cercare quello che le è familiare. Inoltre, non dimentichiamoci che la paura si innesta in un momento di crisi economica in un’Unione Europea che si è costruita su dei presupposti sbagliati e in un periodo storico in balia dell’incertezza provocata da una globalizzazione parassitaria.
Quando c’è una situazione di questo tipo, c’è sempre qualche leader che coglie la palla al balzo per ottenere il potere. Il loro identikit è simile poiché chiamano all’unità nazionale (invocando un’identità etnica, razziale o culturale). Infatti, sanno che in questo periodo storico funziona e porta loro molti voti. Le conseguenze sono tragiche, ma al leader che in quel momento vuole il potere non interessa.
Quello che è successo in Francia o con Alba Dorata non deve sorprendere. “Hitler tira fuori la superiorità della razza quando la scienza aveva già dimostrato che l’unione fra razze diverse fortifica. L’assunto di base era falso, ma con la propaganda condiziona l’intera Germania, un popolo colto rispetto ad altri.” Oggi c’è un continuo richiamo all’identità, ma è stato dimostrato che possiamo svilupparci solo attraverso gli scambi culturali. “Ogni cultura è diventata grande solo con l’incontro con altre culture”. Oggi, taluni invocano una chiusura rispetto all’Islam (gli stessi che, intanto, votavano per le “missioni di pace” e il Trattato di Lisbona, nda). Solange Manfredi ricorda che: “La nostra cultura deve all’Islam tantissimo: geometria, matematica, musica.”
Parlare oggi di difendere l’identità culturale rispetto all’Islam è sbagliato perché l’assunto di base è falso. Il riconoscimento (concetto inclusivo) è diverso dall’identità (concetto assoluto che non ammette discussioni), sostiene la Dott.ssa Manfredi.
3. Appunto, soprattutto sull’Islam c’è molta ignoranza e tanta strumentalizzazione.
Il presupposto della guerra psicologia è agire su una massa ignorante, cioè che non conosce. Ora ci parlano dell’Islam, del Medio Oriente, e mostrano gli Arabi come se fossero delle persone retrograde. Noi abbiamo creato tutto questo. Nel primo Novecento, il Medio Oriente era quasi completamente laico. “Fu dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1951, con il presidente Eisenhower che gli Stati Uniti decisero che, per evitare il contagio del comunismo in Medio Oriente, bisognava puntare sulla guerra santa, la jihad. Fu decisa un’operazione di guerra psicologica per fomentare il fondamentalismo islamico.” Prima, era una zona all’80% laica e avanzata.
Basti pensare che nel 1958 in Iraq c’era un ministro donna, ma chi lo direbbe dopo tutte quelle riprese di donne velate?
Baghdad è stata per lungo tempo la città più ricca e più grande al mondo. Durante i nostri “secoli bui”, a Baghdad c’era la Casa della Saggezza dove si riunivano tutti i più grandi saggi del mondo e conteneva una biblioteca di mezzo milione di libri. In più, c’era assoluta tolleranza religiosa. “Bisognerebbe conoscere la storia del Medio Oriente, ma non ascoltando quello che ci dicono in televisione”.
4. Dopo gli attentati e il divagare del motto “Je Suis Paris”, il comico Maurizio Crozza ha svelato l’inganno della strumentalizzazione dell’onda emotiva in prima serata. Altri personaggi hanno dichiarato di non voler lasciarsi intimidire dal terrorismo, appellandosi a rifiutare compromessi sulla sicurezza. Questi possono essere dei segnali sul fatto che la consapevolezza su queste “operazioni psicologiche”, come le ha chiamate nel suo libro, sta crescendo?
Da una parte c’è più consapevolezza, però bisogna fare un distinguo all’interno di questa fetta di popolazione. Da una parte, ci sono persone che “si costruiscono” per resistere agli attacchi; dall’altra c’è chi invece di “costruirsi” cerca “nomi e cognomi” di chi li sta prendendo in giro, ricadendo nell’inganno. Cercare i nomi, cercare la riunione, cercare il club segreto è, alla fine, inutile. Questo non significa che non esistano organizzazioni che si mettono d’accordo per organizzare taluni eventi, anzi.
Qual è il problema?
Il tempo che una persona perde per cercare i “mandanti” è inutile perché oggi c’è uno e domani lo hanno cambiato (in fondo, essi sono strumenti che vengono sostituiti quando scade la loro funzione). Monti, appartenente al Bilderberg e a altri “club” segreti, è rimasto in carica fino a quando serviva. Invece, fortificarsi per non essere più obiettivo di guerra psicologica è più utile. Come fare? Solange Manfredi spiega che è meglio individuare i meccanismi, aldilà delle persone e sottolinea che stanno crescendo i cittadini “forti”, purtroppo non così tanto da porre un argine a ciò che stanno preparando.
FONTE: https://www.ecplanet.org/node/1420
La strage americana del Cermis, una ferita ancora aperta
Andrea Bonazza
Trento, 3 feb – Era il 3 febbraio del 1998 quando un aeromobile da combattimento americano, decollato dalla base militare di Aviano, tranciò di netto i cavi della funivia del Cermis. Quel giorno non vi era nessuna pandemia o obbligo di green pass per turisti e sciatori. Le piste innevate sui monti della Val di Fiemme accoglievano turisti da mezza Europa e gli impianti di risalita riportavano gli stessi in quota per l’ennesima discesa. L’ultima.
A fungere da attrazione turistica, oltre la bellezza delle Dolomiti, erano ormai da diversi mesi le improvvise e incoscienti acrobazie che i caccia americani compivano sorvolando la Val di Fiemme. A bassa quota, sempre più bassa. Ma tra l’eccitazione dei vacanzieri ignari, incominciarono nella valle a levarsi voci di proteste: pastori e contadini trentini si lamentarono aspramente della pericolosità di simili incursioni aeree. “Vacche e capre le si spaventa e nol fa più il latte”, “cosa i fa che la guerra xe finia da un pezzo”, “prima o poi ghe scappa il morto”.
Cermis, “prima o poi ci scappa il morto”
A nulla valsero gli avvertimenti e le proteste dei valligiani contro una potenza, quella americana, arrivata fin qui nella seconda guerra mondiale per liberarci da un regime per poterlo sostituire con un altro. Nel 1998 in Italia non v’era la guerra. Essa però infiammava da diverso tempo a pochi chilometri dai nostri confini, lungo la sponda opposta del Mare Adriatico. In quel periodo i Balcani erano infatti un enorme campo di battaglia che non risparmiava confessioni religiose o etnie. Caduto il socialismo jugoslavo, genti e milizie iniziarono a massacrarsi tra loro per le rivendicazioni più svariate, a volte nobili, troppo spesso malvagie. L’Europa guardava preoccupata questa cruenta trincea alle sue porte. All’Italia sembrò di rituffarsi nel passato, nella sua storia che, proprio in quelle terre orientali tra le pietre del Carso e le onde della Serenissima, scrisse le sue pagine più buie.
La guerra oltre confine
Al di qua del confine, nell’Italia degli aperitivi e delle discoteche in Riviera, dei tafferugli domenicali e del dopo Mani Pulite, qualcuno una guerra la stava preparando forse da tempo. Colonia Nato dal 1945, l’Italia ospitava e ospita supinamente in casa un invasore militare esportatore di democrazia e libertà. Così dicono. Fatto sta che nella seconda metà degli anni Novanta le truppe Usa nella nostra penisola avevano un bel da fare tra addestramenti e logistica per le tante missioni all’estero. L’aeronautica dello Zio Sam fu allora la più attiva sia negli scenari esteri che a casa nostra da dove, un anno più tardi, nel 1999, in un accordo tra sinistra e americani l’allora presidente del consiglio Massimo D’Alema inviò gli aerei italiani a bombardare Belgrado con l’operazione Allied Force.
Un’arrogante bravata
La regione italiana più vicina al fronte orientale è da sempre il Friuli Venezia Giulia e, quel 3 febbraio ’98 alle ore 14:36, dalla base aerea di Aviano si alzarono ancora una volta in volo i Grumman EA-6B Prowler del corpo dei Marines per un esercitazione nel Triveneto. Uno degli aerei pilotato dal capitano Richard Ashby, volando troppo basso in un gioco incosciente e pericoloso per gli abitati sottostanti, un’ora dopo tranciò con l’ala del suo velivolo i cavi della funivia del Cermis. Una caduta di 150 metri in sette interminabili secondi che strapparono la vita a venti turisti europei. Tre italiani, sette tedeschi, cinque belgi, due polacchi, due austriaci e un’olandese morirono a causa dell’ennesima arrogante bravata alla “Top Gun” di piloti troppo esaltati dalle pellicole hollywoodiane. Una tragedia annunciata che poteva tranquillamente essere evitata se, anziché continuare a prostrarsi al padrone d’oltreoceano, i governanti italiani avessero ascoltato le proteste degli abitanti della Val di Fiemme.
Il processo e la vergogna
La scatola nera con i video e le registrazioni di volo dell’aereo Usa non venne mai rinvenuta e i piloti furono immediatamente rimpatriati negli Stati Uniti negandoli così alla giustizia italiana. L’allora presidente americano Bill Clinton si scusò pubblicamente per “l’incidente” ma rifiutò di consegnare i piloti ai tribunali italiani. Furono solo le decine di testimonianze dei cittadini e il sequestro del velivolo da parte della magistratura trentina a sancire la verità sull’intera vicenda. L’aereo incriminato era già pronto infatti per essere smontato e riparato ma, grazie al pronto sequestro da parte della magistratura italiana, i periti trovarono sul mezzo le inconfondibili prove di resti di cavo della funivia. In base alla Convenzione di Londra del 19 giugno 1951 sullo status dei militari Nato, la giurisdizione doveva essere statunitense e, quindi, il processo agli imputati si sarebbe dovuto tenere negli Usa nonostante le proteste di politica e magistratura italiana. Tra i componenti dell’equipaggio che quel giorno dilaniò i cieli di Cavalese vi erano il capitano Chandler Seagraves e il capitano William Rancy, entrambi addetti ai sistemi di guerra elettronica, e i capitani Joseph Shweitzer, navigatore, e, appunto, Richard Ashby, pilota e comandante dell’aereo.
Quest’ultimo venne assolto nel 1999 in quanto, a detta di Ashby, l’altimetro del velivolo era rotto e non distinse la reale altezza. Accusato di intralcio alla giustizia dopo che National Geographic mandò in onda una sua testimonianza in cui ammise di aver distrutto il video con le registrazioni di volo, Ashby scontò appena quattro mesi di detenzione nelle carceri militari Usa. Nel 2003 il Capitano dei Marines, Chandler Seagraves, giudicato colpevole di strage dalla giustizia italiana, venne vergognosamente promosso a Maggiore tra le polemiche della stampa europea.
Radiati con disonore dal corpo militare statunitense, nel 2008 Ashby e Shweitzer impugnarono la sentenza al fine di essere riammessi ma vennero a galla nuovi risvolti dell’intera vicenda. I due ammisero che nel processo del ’99 vi fu un patto segreto tra accusa e difesa nel quale si accordò la caduta dell’accusa di omicidio colposo per mantenere invece quella di intralcio alla giustizia. Nel 2009 la Corte d’appello degli Stati Uniti si pronunciò confermando la condanna di primo grado.
CasaPound omaggia le vittime del Cermis
Tra il silenzio dei media e l’imbarazzo politico nel ricordare questa tragedia con il suo epilogo, anche quest’anno CasaPound Italia ha voluto rendere omaggio alle vittime del Cermis. “Da Aviano al Cermis, ricordiamo le vittime degli Usa” è il testo dello striscione affisso oggi nei pressi della base Usaf di Aviano, in Friuli, a cui è stata accompagnata una deposizione di un mazzo di fiori al cippo dedicato alle vittime, presso il cimitero di Cavalese, in Trentino. “Gesti simbolici – dichiara in nota il movimento – per rinnovare la memoria di quelle vittime ancora senza giustizia. E la nostra promessa di rendere loro omaggio ogni anno, auspicando che mai più simili assurdi gesti possano costare una sola vita umana e che l’Italia tragga dal suo atteggiamento in quella triste vicenda il giusto insegnamento per saper essere non più colonia, ma Nazione”.
FONTE: https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/strage-americana-cermis-ferita-ancora-aperta-222822/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
di Paolo Lago
Rapporto confidenziale (Mr. Arkadin, 1955) di Orson Welles è un geniale assemblage di situazioni grandguignolesche e di peregrinazioni picaresche da un capo all’altro del mondo. Il mr. Arkadin del titolo è un mefistofelico miliardario (interpretato dallo stesso Welles) che incarica Guy Van Stratten (Robert Arden), un contrabbandiere e avventuriero americano, di cercare attraverso il mondo notizie sulla propria vita (afferma infatti di non riuscire a ricordare il modo in cui si è arricchito fino a raggiungere la sua straordinaria notorietà). I viaggi di Van Stratten si allineano, si succedono e si mescolano in modo assolutamente libero e disordinato, creando una quantità incredibile di incontri. Le avventure si svolgono in una modalità di flashback: è lo stesso personaggio a raccontarle all’ultimo uomo incontrato nella sua ricerca, l’ex galeotto Jacob Zouk. Van Stratten, come è stato osservato, si presenta come un narratore poco affidabile, caratterizzato da una eccessiva tendenza allo stupore e all’ingenuità; è stato infatti definito «malcerto, confuso, autodistruttivo» per cui «le sue reazioni aumentano l’effetto di irrealtà malsana delle situazioni e degli eventi»1.
Il film ha un aspetto frammentario che accentua ancora di più la casualità del succedersi delle avventure 2. Tale frammentarietà è dovuta sia alle condizioni difficili in cui fu girato (in fretta e con poco budget) sia ad una precisa scelta autoriale3. Le prime inquadrature ci mostrano un piccolo aereo in volo, mentre una voce fuori campo sta commentando la misteriosa apparizione, nei pressi di Barcellona, di un aereo senza pilota (sapremo in seguito che su quell’aereo si trova lo stesso Arkadin). Le immagini dell’aereo, quindi, già di per sé stesse, rimandano all’idea di viaggio; si potrebbero includere, perciò, all’interno dei «sintagmi a graffa». Secondo la definizione di Christian Metz, questi ultimi, appartenenti al tipo dei «sintagmi a-cronologici», servono ad evocare dei concetti che torneranno nel corso del film4. In questo caso, i sintagmi a graffa iniziali evocano in forma allusiva il motivo del viaggio utilizzando le ripetute inquadrature di un mezzo contemporaneo di spostamento come l’aereo. Essi sono a-cronologici rispetto alle vicende della storia in quanto si situano addirittura prima dei titoli di testa: il viaggio e lo spostamento veloce da una parte all’altra del globo saranno quindi le tematiche fondamentali del film.
Dopo le immagini che riprendono l’aereo in volo vediamo Van Stratten che, in una strada innevata di Monaco di Baviera, si sta recando da Jakob Zouk. È proprio a quest’ultimo, come accennato, che il personaggio narrerà l’intera vicenda del film. Il racconto inizia nel porto di Napoli allorché Van Stratten e la sua compagna di avventure Mily incontrano un uomo morente, un tale Bracco il quale confida ai due il nome di Gregory Arkadin. È proprio da questo nome che prenderanno il via le vicende picaresche di Van Stratten; quest’ultimo, infatti, dopo aver scontato la pena per contrabbando a Napoli, si mette sulle tracce del mefistofelico miliardario. La sua ricerca lo condurrà in Spagna dove Arkadin possiede un castello; qui conoscerà la figlia Raina che cercherà di sedurre per arrivare al padre. Il viaggio del personaggio prosegue attraverso le strade del paesino spagnolo di San Tirso; quelle spagnole sono in effetti vicende molto movimentate seguite da una macchina da presa che si muove essa stessa sulla strada offrendo immagini veloci e frammentarie (non a caso Mr. Arkadin sarà uno dei film preferiti dai teorici della Nouvelle Vague). Van Stratten e Raina si rincorrono per le strade correndo e parlando in modo concitato, imbattendosi ora nel gioco di alcuni ragazzi, ora in carri trainati da buoi e in un gregge di capre, poi di nuovo in un gruppo di ragazzi che giocano a palla. La propensione del personaggio a viaggiare viene quindi sottolineata in modo simbolico anche durante questi suoi movimenti più brevi: la velocità e l’andatura zigzagante che si oppone alla regolarità di una linea retta sembrano quasi evidenziare il disordine dei suoi viaggi successivi. In alcune sequenze, lo vediamo imbattersi in una processione di penitenti a San Tirso durante una festa religiosa; da una parte della processione si trova Raina, dall’altra Mily. Van Stratten allora, per spostarsi fra le due donne, si muove seguendo una linea zigzagante che taglia in due la teoria ordinata dei penitenti, che si muovono seguendo una rigida linea retta. Il personaggio si inserisce perciò come un elemento di disordine, libero da ogni vincolo nel suo spostamento, che si oppone all’ordine quasi geometrico scandito dai penitenti. Un movimento che – si potrebbe osservare – anticipa i viaggi attraverso il mondo, disordinati e senza una meta precisa, che successivamente gli commissionerà Arkadin.
Le avventure del film si succedono l’una all’altra con una straordinaria velocità: o i personaggi corrono rincorrendosi lungo una strada (come Van Stratten e Raina nell’episodio sopra accennato) oppure fanno a gara a chi riesce a prendere per primo un aereo per recarsi da una parte all’altra di un continente (come Arkadin e Van Stratten nelle sequenze finali ambientate all’aeroporto di Monaco). Oppure, ancora, gli spostamenti si allineano disordinatamente e iperbolicamente in rapida successione, come vediamo nelle inquadrature che mostrano le tappe dei viaggi di Van Stratten sul tabellone dell’aeroporto. Il personaggio viaggiatore, a San Tirso, capiterà anche (quasi per caso poiché non possiede l’invito) ad una festa in maschera ispirata alla pittura allucinata di Goya, organizzata da Arkadin nel suo castello. È proprio durante la festa, una volta appartatosi con Van Stratten, che Arkadin gli chiede di redigere un «rapporto confidenziale» su di lui, fingendo un’amnesia. È così che hanno inizio i fantasmagorici viaggi del personaggio: una vera e propria erranza nomadica sulla scacchiera del mondo. Il concetto di ‘nomadismo’ lo riprendo da alcune suggestive intuizioni di Deleuze e Guattari in Mille Piani, un’opera percorsa costantemente dal fascino per la dimensione nomadica alla quale i due studiosi applicano una valenza socio-politica. Innanzitutto, essi delimitano il concetto di spazio sul quale agisce il nomade, definendolo come «spazio liscio» da contrapporsi allo «spazio striato»: «lo spazio sedentario è striato da muri, recinti e percorsi fra i recinti, mentre lo spazio nomade è liscio, marcato soltanto da “tratti” che si cancellano e si spostano con il tragitto»5; al concetto di nomadismo viene attribuita una dimensione fortemente politica: il nomade è colui che si oppone all’apparato di Stato tramite una «deterritorializzazione» all’interno di uno spazio liscio-simbolo come il deserto6, possedendo interamente lo spazio sul quale agisce. Le parti del corpo del nomade «occupano e riempiono uno spazio alla maniera di un turbine, con possibilità di apparire in un punto qualunque»7.
Sia Arkadin che Van Stratten hanno la possibilità di apparire in un punto qualunque: il primo grazie al suo enorme potere, il secondo in funzione, appunto, del gioco libero e liberato che egli compie nel viaggiare da un capo all’altro del mondo come se si muovesse su una scacchiera e andasse in cerca delle pedine avversarie. La ricerca degli ex contrabbandieri, criminali, spie che Van Stratten attua attraverso l’Europa e il mondo viene introdotta da alcune immagini che, rifacendosi ancora alla classificazione di Metz, potrebbero essere incluse entro la definizione di «sequenza a episodi» : secondo lo studioso francese, essa mostra una serie di scenette che si succedono in ordine cronologico e che mostrano degli avvenimenti in rapida successione che non potrebbero essere trattati in modo più ampio all’interno della diegesi filmica8. La sequenza a episodi in questione vuole infatti alludere ai rapidi viaggi del personaggio: dopo l’inquadratura del tabellone di un aeroporto con i nomi delle città dove egli si recherà, lo vediamo muoversi in quelle stesse città e interloquire con svariati personaggi. Poi assistiamo agli episodi veri e propri: lo vediamo quindi parlare a Copenaghen con un domatore di pulci ammaestrate; a Amsterdam con un ricettatore; a Parigi con una baronessa decaduta, tutti personaggi che hanno conosciuto Arkadin e che, con lui, sono appartenuti all’universo del crimine di un’Europa postbellica. Il motivo dell’incontro assume qui proporzioni iperboliche: gli incontri sono ripetuti, velocissimi e disordinati e si attuano in brevissimo tempo ai quattro angoli del pianeta. Sembra che il tempo e lo spazio siano ormai ‘liberati’ in virtù di uno spostamento nomadico che assomiglia, paradossalmente, come osservavano Deleuze e Guattari, al rimanere fermi in un posto. La struttura picaresca, nel film di Welles, assume una dimensione antiquotidiana: il tempo ‘liberato’ fa sì che il viaggio possieda la capacità di andare oltre l’angoscia e la disperazione.
I personaggi viaggiano e si incontrano lungo spazi lisci ad una tale velocità che è come se rimanessero fermi in un posto. Basti ricordare la sequenza ambientata in Messico, dove Van Stratten si reca per cercare una vecchia amante di Arkadin: il personaggio telefona al miliardario per dirgli cosa ha scoperto, credendolo in Europa; poco dopo scoprirà che anch’egli si trova in Messico e lo sta osservando col binocolo da un luogo vicino. Il film si chiude riprendendo di nuovo le vicende di Van Stratten a Monaco con Jakob Zouk e, anche qui, avverrà un nuovo incontro con Arkadin: anche a Monaco Arkadin era già arrivato prima. Le sequenze finali ci mostrano un ultimo viaggio, quello fatto dai due per raggiungere Barcellona: all’aeroporto di Monaco essi si contenderanno l’ultimo volo, già occupato da Van Stratten, e il miliardario sceglierà allora di partire con un piccolo aereo alla volta della città spagnola. Ma, pensando che Van Stratten, sfuggito alla morte, abbia già detto a Raina la verità sul suo conto, cioè che egli, prima di arricchirsi, era un malvivente impegnato nella «tratta delle bianche», sceglierà di precipitare insieme all’aereo.
I turbinosi viaggi del film sono terminati; a questo punto possiamo osservare che dovunque si reca Van Stratten va anche Arkadin ed è sempre già là prima di lui. Quello dei due personaggi attraverso il globo è uno spostamento accelerato che giunge quasi ad annullare sé stesso. Essi appartengono a tutto il mondo e lo possiedono quasi senza muoversi dallo stesso luogo. Il viaggio c’è, sussiste sotto forme iperboliche e rapidissime ma è ridotto ad una dimensione ludica, è come se non ci fosse; è come se i personaggi, per percorrere centinaia e migliaia di chilometri, non si spostassero nemmeno dal luogo di partenza. Il movimento, come osserva Deleuze, diventa un «falso movimento»9, un’erranza senza senso sulla scacchiera del mondo.
- J. Naremore, Orson Welles ovvero la magia del cinema, trad. it. Marsilio, Venezia, 1993, p. 261.
- Definito da Naremore come «il più frammentato dei film di Welles» (ibid.).
- Cfr. ivi, p. 263: «Lo stile sconcertante e scoordinato del film di Welles è senz’altro in parte dovuto alle condizioni in cui è stato girato, ma è anche quello più appropriato a uno dei temi sotterranei che lo percorrono: la decadenza e la metamorfosi dell’Europa dopo la guerra».
- Cfr. C. Metz, Semiologia del cinema, trad. it. Garzanti, Milano, 1989, pp. 175-177.
- G. Deleuze, F. Guattari, Mille Piani. Capitalismo e schizofrenia, trad. it. Castelvecchi, Roma, 2010, p. 452.
- Cfr. ivi, p. 453: «Il nomade è là, sulla terra, ogniqualvolta si forma uno spazio liscio corrosivo che tende a espandersi in tutte le direzioni. Il nomade abita questi luoghi, resta in questi luoghi e li fa crescere. Di conseguenza si può dire che il nomade forma il deserto non meno di quanto il deserto formi lui. È vettore di deterritorializzazione. Aggiunge il deserto al deserto, la steppa alla steppa, con una serie di operazioni locali in cui l’orientamento e la direzione non smettono di variare».
- Ivi, p. 452
- Cfr. C. Metz, Semiologia del cinema, cit., pp. 181-182; per illustrare la sequenza a episodi Metz riporta proprio un esempio tratto dalla cinematografia di Welles, da Quarto potere (Citizen Kane, 1941).
- Cfr. G. Deleuze, L’immagine tempo. Cinema 2, trad. it. Ubulibri, Milano, 1989, p. 161: «Si produce allora un capovolgimento in cui il movimento cessa di farsi forte del vero e in cui il tempo cessa di subordinarsi al movimento e le due cose accadono contemporaneamente. Il movimento fondamentalmente decentrato diventa falso movimento e il tempo fondamentalmente liberato diventa potenza del falso che ora si svolge nel falso movimento (Arkadin sempre già là)».
FONTE: https://www.carmillaonline.com/2022/01/16/lerranza-sulla-scacchiera-del-mondo-rapporto-confidenziale-di-orson-welles/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
CESARINI, LA VALLETTA NERA DI SANREMO: “NON SONO ITALIANA COME VOI, RESTO NERA”
“Non sono una ragazza italiana come tante. Io resto nera”. Lorena Cesarini porta il business dell’antirazzismo a Sanremo 2022 sul palco dell’Ariston nella seconda serata del Festival. Se glielo dice qualcuno è ‘razzista’, se lo dice lei no. Confusa.
Per venticinquemila euro a botta:
VIDEO QUI: https://www.youtube.com/watch?v=G97XjoNABA4
FONTE: https://voxnews.info/2022/02/02/cesarini-la-valletta-nera-di-sanremo-non-sono-unitaliana-resto-nera-video/comment-page-5/
LORENZA CESARINI, UN CACHET DI 25MILA EURO AD UNA MIRACOLATA PER FARCI LA PATERNALE SUL ‘RAZZISMO’
In apertura di serata un’attrice, tal Lorenza Cesarini, seconda co-conduttrice del Festival, ha sfracassato i coglioni con un bizzarro monologo sul razzismo raccontando un episodio del quale sarebbe stata vittima per la sua presenza a SanremoSapete quanto ha preso la ‘vittima’ per questo boutade vittimista sul ‘razzismo’? Un cachet di circa 25 mila euro secondo i media è la cifra andata quest’anno alle vallette per una serata. C’è proprio grande razzismo.
Poi qualcuno si chiede come mai Sanremo è andato in onda anche durante la pandemia: è solo propaganda, della peggior specie. Ma non funziona mai, come si è dimostrano in tutti questi anni. Le persone sanno distinguere tra le canzonette e quello che vogliono pensare. Che è il contrario di quello che pensano questi propagandatori del trash.
FONTE: https://voxnews.info/2022/02/02/lorenza-cesarini-un-cachet-di-25mila-euro-per-farci-la-paternale-sul-razzismo/
BELPAESE DA SALVARE
Direttore di Poste Centrali-siamo pronti ad accogliere le richieste di chiunque
3 feb 2022
VIDEO QUI: https://www.youtube.com/watch?v=RIk_-igO_e8
FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=RIk_-igO_e8
GREEN PASS PER SEMPRE!
27 GENNAIO 2022
di Gianni Lannes
Incubo infinito? Non provvisorio ma definitivo e permanente. Il passaporto vaccinale, incostituzionale, anticostituzionale e dunque fuorilegge, è un mezzo digitale di controllo totalitario delle persone o un fine per sottomettere l’umanità senza piu’ identità, privandola dei propri diritti civili, universali e naturali? Di sicuro – attesta la scienza – il Green Pass non dispensa immunità virale.
Benvenuti nella nuova era dell’apartheid all’italiana in salsa avvelenata draghiana. L’ultima notizia propinata dai covidioti nel Belpaese: “Green pass illimitato con la terza dose, in arrivo la proroga senza scadenza del certificato vaccinale” che inizialmente in Italia aveva la durata di un anno. Il provvedimento allo studio del governicchio Draghi dovrebbe cancellare la scadenza del Green pass per chi ha incamerato nel proprio organismo la terza dose artificiale di siero vaccinale all’idrossido di grafene, spacciato addirittura per vaccino salvavita.Per coloro che si sono fatti iniettare la terza dose del Covid-19 il Green pass che sancisce la discriminazione sociale e abolisce i diritti civili di milioni di cittadini italiani, non avrà scadenza. La decisione è allo studio dell’esecutivo di mister Britannia, in attesa del parere degli enti regolatori del farmaco, Ema e Aifa (al soldo di Pig Pharma).
In punta di diritto esiste un conflitto insanabile tra il provvedimento illegittimo licenziato da Draghi il 24 dicembre 2021 (decreto legge 221) per diminuire forzosamente la validità del Green Pass da 9 a 6 mesi e la relativa normativa Ue. Infatti dal primo febbraio 2022 il lasciapassare digitale italiano durerà 6 mesi, mentre quello europeo ben 9. Perché per gli italiani la frequenza di cosiddetta “vaccinazione” è maggiore che per gli altri cittadini europei? A ben vedere, piu’ si riduce la durata della certificazione, piu’ sono le dosi che gli italiani sono tenuti a farsi somministrare per avere la patente covidiota.
Il decreto in vigore, che ha indicato le date per l’estensione dell’obbligo del super green pass a buona parte delle attività, approvato il 24 dicembre 2021, aveva previsto tra le nuove regole sul certificato eugenetico, l’anticipo da 5 a 4 mesi della possibilità di ricevere la terza dose e soprattutto il taglio della durata del Green pass per i vaccinati da 9 a 6 mesi a partire da questo febbraio.
Singolare coincidenza: il 21 dicembre 2021 la Commissione europea ha approvato un regolamento attuativo del Consiglio del Parlamento Ue, per garantire la libertà di circolazione all’interno del vecchio continente eterodiretto da Washington, stabilendo due principi relativi alla validità delle certificazioni: dal primo ciclo di vaccinazione la validità del certificato verde in Europa deve essere di 9 mesi; non devono essere stabiliti al momento limiti alla certificazione al richiamo o booster. Esattamente tre giorni dopo, il governicchio Draghi ha stabilito la riduzione del Green Pass a 6 mesi, sia per quanto riguarda le prime due dosi che la certificazione con il booster.
Anche uno studente universitario al primo anno di Giurisprudenza sa che il diritto nazionale se contrasta con quello europeo non è applicabile, dunque non puo’ valere. Perché allora tanta tracotanza tricolore?
A proposito: a breve il diritto di voto o di elezione sarà legato al ricatto del Green Pass? Ecco un primo assaggio: alla deputata Sara Cunial, rea di non essersi fatta siringare è stato impedito di votare il capo dello Stato. Tale procedura – ad personam – stabilita dal grullino Roberto Fico invalida per caso – ai sensi delle normative in vigore in uno Stato di diritto – la nomina del prossimo inquilino del Quirinale, preconfezionata da tempo? La XVIII legislatura durerà un altro anno, poi anche ai non marchiati dal toccasana delle multinazionali verrà negato il diritto al voto?
Esclusione e discriminazione sono notoriamente gli ingredienti totalitari di un regime eterodiretto dalla tecnocrazia, altro che democrazia, sia pure incompiuta.
Riferimenti:
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=green+passhttps://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=mattarellahttps://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=contehttps://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=draghihttps://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=coronavirus
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=covid
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=vaccini
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=green+pass
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=menzogna
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2022/01/emergenza-inquinamento.html
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=influenza
Gianni Lannes, IL GRANDE FRATELLO STRATEGIE DEL DOMINIO, Draco edizioni, Modena, 2012.
Gianni Lannes, VACCINI DOMINIO ASSOLUTO, Nexus Edizioni, Battaglia Terme, 2017.
Gianni Lannes, VACCINI CAVIE CIVILI E MILITARI, Nexus Edizioni, Battaglia Terme, 2018.
FONTE: http://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2022/01/green-pass-per-sempre.html
CONFLITTI GEOPOLITICI
GLI AMERICANI VOGLIONO CHE L’ITALIA FACCIA LA GUERRA ALLA RUSSIA
“AVETE 170MILA SOLDATI DA MANDARE A DIFENDERE I CONFINI DELL’UCRAINA”
27 GENNAIO 2022
Luttwak, che spesso ha posizioni interessanti, vuole che l’Italia faccia guerra alla Russia. In nome dell’Ucraina. Quando la metà orientale se votasse voterebbe per unirsi alla Russia.
La crisi ucraina “rivela la debolezza dell’Occidente contro la Russia, un Paese che ha il pil dell’Italia, ma che solo con le parole spaventa e minaccia i codardi”. E’ quanto afferma il politologo ed economista Usa Edward Luttwak, che in un’intervista all’Adnkronos commenta le tensioni internazionali legate al possibile intervento militare russo in Ucraina, non risparmiando pesanti critiche all’Italia, ma anche a Germania e Francia, accusando i rispettivi di governi di non fare abbastanza per difendere Kiev.
Secondo Luttwak, le forze ammassate dalla Russia al confine con l’Ucraina non sono sufficienti “per arrivare a Kiev”, ma il contingente a disposizione può solo “creare tensione, mordere e fare incursioni” ma non prendere il Paese.
Quello che Luttwak tiene a evidenziare è che “l’Alleanza Atlantica si sta sfasciando” e la responsabilità ricade in primis sul governo tedesco che “non solo non partecipa al salvataggio dell’Ucraina, ma sabota gli altri che vogliono difenderla. I tedeschi stanno agendo con la tipica loro incapacità strategica
Ma le critiche non risparmiano neanche l’Italia, di cui il politologo dice di non aver capito la posizione. “Ha 170mila soldati nelle caserme senza fare niente, per loro sarebbe un ottimo esercizio andare in Ucraina”, sferza Luttwak, secondo cui “il governo italiano deve prendere una posizione di sostengo al governo ucraino altrimenti è da irresponsabili. A meno che non voglia andare con i russi come i serbi. Non ci si può limitare dire ‘ci stiamo occupando dell’elezione del presidente della Repubblica’, una Nazione non è come un ragazzo che se va in bici non può mangiare il gelato”. E anche l’Ue, incalza, sta fallendo perché non sollecita i Paesi membri a intervenire.
“Con i tedeschi contrari, i francesi con i dubbi e gli italiani indifferenti, vuole dire che solo Stati Uniti e Gran Bretagna difendono l’Ucraina: una situazione assurda”, dice Luttwak, elogiando quindi l’operato dell’Amministrazione Biden, che “sta facendo il meglio che può”.
“Gli Usa stanno mandando armi e addestratori e sarebbe il momento anche che l’Italia partecipasse alla difesa con aiuti militari ovviamente”, prosegue Luttwak evidenziando come le sanzioni minacciate da Biden colpirebbero duramente Mosca. “Se la Russia entra in Ucraina, non potrà più usufruire dello swift come accade all’Iran, in altre parole sarà isolata finanziariamente – conclude – questo non vuol dire che la Russia non potrà più comprare il gelato come per altri Paesi finiti sotto sanzioni, ma inizierebbe a morire economicamente”.
E’ tipico dei mercanti anglosassoni pensare che le guerre si vincano solo coi soldi. Ricordatevi Stalingrado.
Comunque i 170mila dipendenti statali chiusi nelle caserme, ci servono a difendere i NOSTRI confini dai nostri veri NEMICI.
FONTE: https://voxnews.info/2022/01/27/americani-vogliono-litalia-faccia-guerra-a-russia-avete-170mila-soldati-da-mandare-a-difendere-confini-ucraina-%F0%9F%98%B1/comment-page-3/
Soros: Xi Jinping è finito…. Profezia o minaccia a vuoto?
George Soros sfida apertamente Xi Jinping, annunciando che ormai la sua fine è prossima. Lo speculatore che si diverte a giocare con la geopolitica, intervenendo all’Hoover Institution, ha esordito annunciando che il “2022 sarà un anno critico nella storia del mondo”.
Dopo aver accennato alle diverse scadenze importanti dell’anno (elezioni etc) ha spiegato che Xi ormai è finito. Diverse le criticità che porteranno alla scomparsa dell’imperatore d’Oriente.
Prima, fra queste, il malcontento degli oligarchi cinesi (ci permettiamo chiamarli così) arricchitisi con la leadership di Deng Xiao Ping, il quale, constatando che il suo Paese era uscito incenerito dalla rivoluzione culturale, aveva aperto sia alle società estere che a una certa privatizzazione interna, dando vita al miracolo economico cinese.
Ora Xi gli ha dichiarato guerra (un po’ quel che è successo in Russia con Putin), nello sforzo di riportare quelle imprese sotto il controllo privato. Da qui la resistenza contro l’attuale leader che si riverbera anche nel Partito comunista cinese.
Una resistenza non conclamata, ma aperta. Così Soros: “C’è una lotta che si sta preparando all’interno del PCC che è così aspra che ha trovato espressione in varie pubblicazioni di partito. Xi è sotto attacco da parte di coloro che sono ispirati dalle idee di Deng Xiaoping e vogliono vedere un ruolo maggiore per l’impresa privata”.
Altra criticità che alimenterebbe il malcontente, secondo Soros, il comparto immobiliare, che recentemente ha visto il crollo del colosso Evergrande, che sarebbe solo la punta dell’iceberg di una crisi del settore immobiliare, che in Cina si basa su una dinamica poco in uso in Occidente, che cioè il singolo compri la sua abitazione investendo nella sua costruzioe.
La crisi dell’immobiliare, quindi, oltre che vedere un aumento dei prezzi delle abitazioni, avrebbe creato un problema finanziario anche ai cittadini, che hanno investito soldi in società che sono andate in crisi, vedendo così polverizzati i propri risparmi.
Terzo fattore di criticità sarebbe quello demografico, cioè il collasso delle nascite, che impoverisce la nazione di energie e tanto altro (ad esempio, comporta un aumento della spesa per le pensioni non compensato da corrispettivi introiti), che la Cina ha affrontato dilatando l’odioso limite alle nascite.
La misura non starebbe funzionando, secondo Soros, e la popolazione cinese non sarebbe effettivamente di un miliardo e quattrocentomila persone, ma inferiore di almeno 150 milioni.
Infine, c’è il coronavirus, che i cinesi non stanno affrontando adeguatamente. I loro vaccini, infatti, erano stati creati per il Covid-19 alpha e non sarebbero efficaci per le varianti, tanto è vero che sono costretti a ricorrere a misure di contenimento ferree, chiudendo i focolai appena si accendono.
La politica del “Covid zero”, però, alla lunga sta estenuando la popolazione, a causa delle misure costrittive conseguenti. Peraltro, tale politica è inefficace contro una variante come la omicron, che con la sua alta contagiosità accende incendi prima che si possano contenere, con casi gravi non più controllabili (ovviamente, Soros appare più che contento di tale sviluppo, ma tale cinismo sanguinario fa parte del personaggio).
Sul punto, la minaccia di Soros: “il segreto colpevole di Xi Jinping [riguardo la vulnerabilità della Cina alla omicron ndr] è destinato a essere rivelato o durante le Olimpiadi invernali o subito dopo”.
Nel prossimo ottobre, ottobre, “il 20° Congresso del Partito comunista cinese deciderà se concedere a Xi Jinping un terzo mandato come Segretario Generale del partito”, ma Soros prevede che ciò non avverrà..
E conclude: “Ha cercato di imporre il controllo totale, ma ha fallito. Data la forte opposizione all’interno del PCC, l’elevazione accuratamente coreografata di Xi Jinping al livello di Mao Zedong e Deng Xiaoping potrebbe non verificarsi mai”.
“C’è da sperare che Xi Jinping possa essere sostituito da qualcuno meno repressivo in patria e più pacifico all’estero. Ciò eliminerebbe la più grande minaccia che le società aperte devono affrontare oggi e dovrebbero fare tutto ciò che è in loro potere per incoraggiare la Cina a muoversi nella direzione desiderata”.
Di fatto è una dichiarazione di guerra. Ma non è la prima volta che lo speculatore attacca la Cina pubblicamente. Nel 2016, scrivemmo una nota la sulla sua profezia riguardante un “atterraggio duro per l’economia cinese”, che secondo il tecno-finanziere era “praticamente inevitabile”» (La Cina mette nel mirino Soros “Ha dichiarato guerra allo youan“
). Allora non gli andò benissimo.
E però Soros ha calcolato bene i tempi: entrando a gamba tesa contro Xi proprio alla vigilia dell’apertura dei giochi olimpici, vuole in qualche modo mandare in fibrillazione il campo avverso in un momento più che importante. Vedremo se riuscirà a far danni o se, come altre volte, le sue profezie contro la Cina di Xi verranno smentite.
FONTE: https://piccolenote.ilgiornale.it/54403/soros-xi-jinping-e-finito-profezia-o-minaccia-a-vuoto
Siria, capo Isis si fa saltare in aria durante raid Usa ordinato da Biden
Nato e Usa rispondono alla Russia: ecco il documento “filtrato” sui media
Lorenzo Berti 3 febbraio 2022
Il testo delle risposte scritte da parte di Usa e Nato alle richieste di garanzia in materia di sicurezza internazionale avanzate dalla Russia è trapelato sui media nonostante l’accordo di non divulgazione da parte di entrambi gli attori coinvolti. Il documento è stato pubblicato ieri mattina dal quotidiano spagnolo El Pais. Vengono respinte le richieste russe di garanzia riguardo una possibile ulteriore espansione della Nato verso est che includa Ucraina e Georgia, secondo il principio per cui “gli Stati Uniti continuano a sostenere fermamente la politica di porte aperte della Nato”. Rifiutata anche la proposta russa di sottoscrivere un trattato bilaterale sulla sicurezza in Europa.
Le aperture alla Russia nel documento Nato
Oltre a questi dinieghi ci sono però anche una serie di aperture. Eccole
– Avvio di un dialogo bilaterale sul controllo degli armamenti nel campo dei missili a medio e corto raggio.
– Introduzione di limiti reciproci al dispiegamento di sistemi e forze missilistiche offensive in Ucraina.
– Impegno da parte di Stati Uniti e Nato a non dispiegare armi nucleari nell’Europa Orientale.
– Rafforzamento delle misure per la prevenzione di incidenti in mare e in aria;
– Rinuncia da parte della Nato al mantenimento di missili da crociera Tomahawk nelle sue basi in Romania e Bulgaria.
Putin: “Non sarà facile, ma troveremo una soluzione”
La risposta è stata comunque giudicata insufficiente dal presidente russo Valdimir Putin che ha accusato l’Occidente di “ignorare le preoccupazioni russe sulla sicurezza” e “usare l’Ucraina come mezzo per contenere Mosca”, convinto tuttavia che “alla fine troveremo una soluzione, anche se ci rendiamo conto che non sarà facile”.
Al di là delle dichiarazioni ufficiali non è detto però che non siano stati già raggiunti altri accordi sottobanco che non possono essere resi noti al grande pubblico, come già ipotizzato su questo quotidiano.
FONTE: https://www.ilprimatonazionale.it/esteri/nato-usa-rispondono-russia-documento-filtra-media-222811/
Ucraina, crocevia d’Europa: perché Kiev è strategica
L’eterno ritorno dell’Ucraina sta andando in scena da diversi mesi, amplificando una situazione di tensione ai confini orientali dell’Europa consolidata da anni: il braccio di ferro tra Kiev e la Russia, con la prima sostenuta alle spalle dall’Occidente a guida americana, è la fase più recente del post-Maidan e dei fatti inaugurati dall’annessione russa della Crimea nel 2014, ma si inserisce in un continuum che per un intero millennio ha visto l’Ucraina decisiva per le sorti dell’Europa orientale.
Vasta, pressoché priva di ostacoli naturali, terra di incontro e commistione tra popoli, crocevia tra Eurasia, Mar Nero, Mitteleuropa l’Ucraina è doppiamente limes: lo è per la Russia, che ne ha storicamente fatto la sua porta sull’Europa, ma lo è anche per il Vecchio Continente stesso, a corrente alternata nella sua volontà di ammettere Mosca al consesso europeo. Terra di valenza geopolitica per eccellenza, l’Ucraina è sempre stata confine, linea divisiva, terra di difficile inquadramento e dominio.
- Cinque risposte sulla crisi tra Russia e Ucraina
- Occupando la Bielorussia, Putin spaventa l’Ucraina
- Questione ucraina e crisi del gas, il doppio blackout europeo
Questi temi sono studiati con approfondimento dallo storico Giorgio Cella nel saggio Storia e geopolitica della crisi ucraina. Dalla Rus’ di Kiev a oggi, trattato che approfondisce queste dinamiche e inquadra l’Ucraina e la sua natura di crocevia strategico. Cella viaggia indietro nel tempo e parte nientemeno dalla Rus’ di Kiev, l’entità statuale sorta nel IX secolo come risultato dello stanziamento, avvenuto a partire dal secolo precedente, di alcune tribù vichinghe svedesi, chiamate Rus’, in alcune zone dell’Europa nordorientale abitate da tribù slave, finniche, baltiche. Esteso dal Mare di Barents al Mar Nero, il regno della Rus’ unì al suo interno tutte le terre decisive che hanno costituito il diaframma tra Vecchio Continente e Russia, le aree contese dagli Zar con il Granducato di Polonia e Lituania e la Svezia prima, la Prussia poi; lo Heartland, il “cuore geopolitico” del mondo indicato da Halford Mackinder come area da dominare per la supremazia in Eurasia; leterre di sangue contese e travolte dall’attività dei totalitarismi nazista e sovietico tra gli Anni Trenta e Quaranta; il cuscinetto creato da Stalin ai tempi della Guerra Fredda; infine, il fronte di avanzamento della Nato verso Occidente dagli Anni Novanta in avanti. Tutto questo è stato avviato dalla Rus’ di Kiev e dalla sua scelta di guardare all’Europa, suggellata con l’abbraccio del cristianesimo da parte del principe Vladimir I nel 980.
La scia dell’eredità della Rus’ di Kiev ha creato una faglia identitaria importante: la madre di tutte le nazioni russe si identifica, nel suo cuore profondo, con l’Ucraina e la sua capitale, e Cella sottolinea la valenza geopolitica e narrativa di questo fatto. La storia dell’epopea dei vichingi giunti sul Don e sul Dnepr per formare uno Stato multiculturale, mercantile, infine cristiano ha nei secoli continuato a emergere e riaffiorare come tema di discussione in termini di primato nazionalista e di contesa del passato, tra i principali di questa entità statuale medievale: la Russia e l’Ucraina.
Strutturandosi come popolo, la nazione ucraina ha nei secoli mostrato una costante coppia di comportamenti: la ricerca di patroni (o guide, addirittura) esterne come alternativa alla dominazione di Mosca e uno sguardo, spesso strumentalmente accentuato, alle dinamiche occidentali come contraltare alle mire di Mosca. L’unione di Lublino del 1569, ad esempio, contribuì a consolidare il dominio polacco-lituano con la confederazione tra i due Stati che rafforzava la presa della Polonia sull’Ucraina, mentre l’unione di Brest del 1596, ricorda Cella, condusse alla nascita della chiesa sui iuris greco-cattolica. Vero e proprio pied-a-terre anti-russo in una zona in cui, lo dimostra il caso della Chiesa ortodossa, la religione è tuttora importante fattore identitario.
Per secoli, non a caso, la maggiore garanzia del dominio russo sull’Ucraina, dopo la fine della dominazione della Polonia-Lituania, fu la volontà di scendere a patti con le peculiarità di una terra ben diversa dalla semplice accezione di “cuscinetto” che le è spesso cucita addosso. La rivoluzione del 1648 scoppiata per mano cosacco-ucraina, incarnata e capitanata dall’etmano Bohdan Chmel’nyc’kyj saldò nell’asse della fedeltà personale tra i Cosacchi e gli Zar le basi per l’egemonia russa sull’Ucraina, che sarebbe sostanzialmente durata fino all’epoca sovietica garantendo ai guerrieri del Don un rispetto sostanziale delle proprie tradizioni in cambio della fedeltà alla corona di San Pietroburgo.
In quei tempi l’espansione russa verso il Mar Nero aprì il vaso di Pandora di un’ulteriore questione destinata a segnare la storia russo-ucraina: la partita della Crimea. “La Crimea è una questione che si lega agli ultimi tre secoli di storia delle relazioni internazionali, ergo europee, precisamente dal 1783 quando la zarina Caterina II annesse la penisola all’impero russo, sottraendolo all’Impero Ottomano, che da secoli era il protettore di questo territorio di tradizione turcico-islamica, patria dei tatari di Crimea, per l’appunto, tutt’oggi presenti. Altro capitolo fondamentale di questa storia si trova nel 1954, anno del trasferimento della penisola crimeana al territorio ucraino per volere di Krushev”, ha dichiarato Cella in un’intervista a Il Domani d’Italia. L’atto di Krushev, spesso letto come una sorta di regalo del dirigente sovietico nato proprio in Ucraina alla sua terra d’origine per consolidarla come seconda Repubblica dell’Urss, è da Cella interpretato, invece, come definitiva consacrazione della dominazione imperiale sovietica, erede di quella zarista, rafforzata dopo l’era dello stalinismo in cui l’Ucraina fu “bersaglio” della repressione di massa, terra della tremenda carestia dell’Holodomor, infine area contesa con la Germania nazista e sede di alcune delle pagine più brutali dell’Olocausto.
Si arriva dunque all’epoca contemporanea, che sconta l’eredità del passato e le influenze strategiche delle dinamiche dell’ultimo trentennio: la fine della Guerra Fredda, la marcia a Est della Nato, l’influenza della riunificazione tedesca sugli assetti geoeconomici dell’Europa orientale, l’ingresso nell’Unione Europea, a fianco di Paesi caratterizzati da uno sfasamento della concezione temporale rispetto alla loro, creando il cortocircuito degli ultimi anni, ben evidenziato dal rafforzamento dell’asse di Visegrad e dall’influenza giocata da Stati come la Polonia su Bruxelles. Tutto questo ha enfatizzato la valenza geopolitica dell’Ucraina, a cui il grande dilemma sul rapporto con l’Occidente di Vladimir Putin, autore di una politica strategico-militare molto assertiva ma contraddistinto da una leadership che ha visto tendere al ribasso nell’ultimo ventennio tutti gli indicatori della potenza russa, ha aggiunto il resto. Sull’Ucraina si stanno scaricando sia le eredità di una storia che non passa, specie nell’Europa orientale che non dimentica traumi e influenze di lungo corso, che le contingenze di una politica internaizonale anarchica e competitiva. Avente, inevitabilmente, le pianure sarmatiche dell’Ucraina come uno dei maggiori oggetti del suo interesse.
FONTE: https://it.insideover.com/storia/ucraina-crocevia-deuropa-perche-kiev-e-strategica.html
CULTURA
Tutta la poesia d’Irlanda dal Medioevo a Yeats
3 Febbraio 2022 – 06:00
Piero Boitani conduce il lettore in un magico viaggio (anche per immagini) nella letteratura gaelica
L’Irlanda è uno straordinario giacimento di tesori poetici. Il passato celtico, intriso di magia, dove naturale e sovrannaturale si toccano e intersecano, un cattolicesimo dal generoso cuore pulsante, un senso di fiera ribellione in nome della propria indipendenza fanno in verità di quest’isola all’estremo occidente dell’Europa una capitale dello spirito europeo e della letteratura mondiale.
Jonathan Swift, Oliver Goldsmith, Oscar Wilde, Bernard Shaw, William Butler Yeats, Samuel Beckett, James Joyce: tutti questi giganti hanno sangue irlandese. Chi come me ama appassionatamente l’Irlanda, apprezzerà l’uscita di un volume come quello di Piero Boitani (Veder cose, Mondadori, pagg.394, euro 30, corredato da magnifiche foto) che non è una antologia né un saggio critico, ma è entrambe le cose nel racconto, come suggerisce il sottotitolo, di un viaggio dentro la poesia irlandese. Parte dal Canto di Amergin, del XII secolo, e non potrebbe partire meglio per dare la misura dello spirito celtico: «Io, vento del mare/ Io, onda dell’oceano/ Io, fragore dei marosi/ Io, cervo dalle sette corna/ Io, falco della roccia/ Io, raggio del sole». Una meravigliosa potenza cosmica, in cui sono coinvolti l’io e l’universo. Altri grandi testi medievali sono La grande razzia, poema epico che presenta il giovane eroe Cuchulain, l’Achille celtico, e La navigazione del Santo Brandano, che racconta il viaggio per mare del monaco Brandano e le sue mille avventure tra isole magiche, mostri e visioni. Anche se dal Medioevo arriva sin quasi ai nostri giorni, con Thomas Kinsella, John Montague, Eiléan Ni Chuilleanain (1942-), autrice di una femminile rilettura del mito di Odisseo, un po’ come ha fatto Alice Oswald con l’Iliade, in realtà il libro di Boitani è soprattutto incentrato su due figure, di cui in appendice viene anche tracciato un profilo biografico: William Butler Yeats, e Seamus Heaney.
Mi rallegro leggendo il giudizio sommamente positivo su un testo-chiave dell’opera yeatsiana come Leda e il cigno, che tradussi tantissimi anni sottolineandone la potenza mitopoietica, per la quale Boitani richiama Omero e Dante, Shakespeare e Goethe. Non dimentico il tempo in cui molti poeti italiani anche di spicco diffidavano di Yeats, così si espresse una volta con me Giovanni Giudici, e se ne tenevano lontani. Oggi Yeats appare come un autore capitale nel Novecento, con le sue metafore, le sue visioni, la sua propensione alla magia e insieme la forza del suo pensiero, la sua capacità di restituire alla poesia la forza del mito, sia quello sensuale, brutale, epifanico del cigno divino che copre Leda e la ingravida, sia quello di Sailing to Byzantium, che «attinge a una rarefazione ieratica» estranea ai sensi. Maud Gonne, la donna amata e irraggiungibile, la torre di Thor Ballylee, sua tanto desiderata dimora, tutto diventa simbolo nella stessa vita di Yeats.
Per Seamus Heaney è diverso. Yeats è troppo aristocratico e troppo poco cattolico per essergli padre. Heaney viene dal mondo contadino, lo rivendica in quella sua celebre poesia Scavare: il nonno e il padre scavarono la terra con la vanga, lui ora si trova a scavare il linguaggio, a usare la penna per salire dalla terra al vento. La fortuna di Heaney in Italia, al contrario di quella di Yeats, a cui pochissimi poeti si sono ispirati, tra tutti Rosita Copioli con infinita devozione, è stata subito vastissima e condivisa, favorita dal Nobel in misura maggiore di quanto avvenga di solito. Quando nel 1995 io e Dante Marianacci, allora direttore dell’Istituto di Cultura Italiana a Dublino, proponemmo Heaney al premio Flaiano, nessuno della giuria l’aveva mai sentito nominare, neppure Mario Luzi, che con la sua gentilezza mite e dolcissima ci disse che non lo conosceva, ma si fidava di noi. Heaney venne a prendere il Premio, contento perché con dieci milioni delle vecchie lire si sarebbe rifatto la libreria. Era presente l’ambasciatore irlandese, e ricordo il sorriso imbarazzato di Seamus quando dovette andare a salutarlo, in effetti aveva la camicia mezza fuori dei pantaloni, degli impensabili sandali su calzettoni di lana grigia, la chioma bianca tutta in disordine. Da lì a pochi mesi avrebbe ricevuto il Nobel, in tight davanti al re di Svezia, e avrebbe potuto rifarsi ben più di una libreria. Lo conoscevo da molto prima, e devo dire che non cambiò. Rimase quel poeta coltissimo e umile, senza nessuna postura di maestro. Quando cercavo di farlo parlare dell’IRA e di Bobby Sands, lo vedevo intristirsi, diventare elusivo. Dovevano risuonargli agli orecchi le parole di Danny Morrison, portavoce del Sinn Fein, che lui stesso aveva fatto echeggiare in una sua poesia, Rotta di volo: «Quando cazzo scriverai qualcosa/per noi?». Quando diventerai un repubblicano rivoluzionario? Ma questa non era la natura né il destino di Seamus Heaney. Continuò a scavare con la penna, a confrontarsi con Dante, a girare in auto per l’Irlanda pensando i suoi versi mentre era alla guida, battendo il ritmo sul volante. Salendo dalla terra, bellissima e insanguinata, al vento limpido della poesia.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/tutta-poesia-dirlanda-medioevo-yeats-2007290.html
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
CECITA’ DI MASSA!
28 GENNAIO 2022
Perché attualmente tanti individui non riescono a vedere la realtà? La risposta a questo quesito può arrivare dalla psicologia del comportamento umano. Lo psicologo britannico Patrick Fagan, studioso di psicologia dei consumi, evidenzia dieci motivi secondo i quali alcune persone non riescono a vedere nemmeno la realtà che gli si pone sotto gli occhi.
Eccoli in dettaglio:
1) Cecità volontaria (effetto struzzo)
Secondo questo effetto la mente tende a non riconoscere quello che potrebbe causare dolore e sconforto a livello psicologico. Per questo motivo essa tenderà ad ignorare ogni possibile fonte di tale dolore, ad esempio negando l’evidenza, asserendo che non è importante.
2) Regressione e paura della libertà
La libertà si presenta come un rischio e comporta l’assunzione di responsabilità. In molti invece desiderano ritornare alla comodità sottomessa dell’infanzia, dove l’adulto si prende cura del bambino e lo solleva dalle responsabilità. Accade quindi che molte persone si aspettano che lo Stato si prenda cura di loro.
3) Giustificazione del sistema
In molti pensano che sia praticamente impossibile che il sistema in cui sono cresciuti e da cui hanno tratto benefici possa causare danno. Si tende ad assumere che questo ponga sempre il nostro bene come assoluta priorità.
4) Gestione del terrore
L’idea della morte, o che la costruzione psicologica della propria realtà possa estinguersi, porta molte persone a chiudersi mentalmente e a diventare intolleranti verso le idee degli altri.
5) Conformismo
Si tende ad assumere che quello che fa la massa comportandosi in un dato modo, sia la cosa giusta da fare. “Se lo fanno gli altri, allora deve essere normale farlo”. Questa argomentazione risponde al terrore di essere ostracizzati, emarginati dal gruppo sociale.
6) Dissonanza cognitiva
Quando qualcosa non si allinea alle aspettative che un individuo ha del mondo e della realtà che lo circonda, questo causa tensione psicologica e si tende a minimizzare attraverso un meccanismo di difesa che porta al rifiuto ed alla negazione anche della realtà più evidente.
7) Pregiudizi di gruppo
In quanto animali sociali, molti tendono a rifiutare informazioni se queste entrano in conflitto con l’identità del gruppo sociale a cui si appartiene. “Se lo dicono gli altri, deve essere sicuramente sbagliato”. Questa posizione non può che polarizzare ancora i gruppi sociali.
8) Parsimonia cognitiva
In molti non hanno il tempo, l’energia e la volontà di processare nuove e più complesse informazioni che provengono dalla realtà circostante. Si preferisce quindi mantenere il proprio modo di pensare abitudinario.
9) Impotenza acquisita
In molti si autoconvincono (o sentono di essere) completamente impotenti rispetto alla propria condizione e per questo rinunciano ad ogni tentativo di modificare lo stato delle cose. Si diventa semplicemente passivi ed arrendevoli.
10) Autorità
Si tende a pensare implicitamente che chi occupa posizioni di comando o chi ha delle credenziali di autorità debba sapere necessariamente cosa fa, ovvero non possa sbagliare o cadere in errore. Ne consegue che l’individuo tenderà a seguire acriticamente le istruzioni e le regole imposte dall’autorità.
11) Il velo di Maya
I motivi sopra elencati sono dei blocchi psicologici, ovvero dei “veli di Maya”, come li avrebbe definiti il filosofo Arthur Schopenhauer. Essi impediscono di guardare oltre, di cogliere la realtà nella sua intima essenza, di svelare i meccanismi (a volte perversi) che muovono e controllano la società. I blocchi psicologici sono sapientemente innescati dal sistema di potere, con il fine di dividere la popolazione per meglio manipolarla e depotenziarla delle energie vitali.
FONTE: http://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2022/01/cecita-di-massa.html
GIORNALISTI PUTTANE DI REGIME
CON PIÙ MORTI DELLO SCORSO ANNO IL “VIRUS È IN RITIRATA” PERCHÉ LO DICE DRAGHI
ECONOMIA
Bill Gates investe in Poste Italiane. L’Italia sta diventando una sua filiale?
Era il 2004 quando Microsoft siglava il primo accordo commerciale con Poste Italiane. Sono passati sedici anni ma l’azienda del filantropo Bill Gates è ancora interessata ad una delle più grandi società italiane oltre che al Bel Paese in generale.
Quello comunicato ieri sera si chiama “Ambizione Italia #digitalRestart” ed è il più grosso investimento di Microsoft da quando è arrivata nella nostra penisola.
Il valore dell’operazione è di 1,5 miliardi in cinque anni, il piano prevede l’apertura di un data center nel nostro Paese e un fitto calendario di iniziative sul territorio per “diffondere” tecnologie come l’intelligenza artificiale e cloud computing nelle imprese e nei servizi al cittadino.
Jean-Philippe Courtois, executive vice president and president, Microsoft Global Sales, Marketing and Operations ha dichiarato “Puntare sul Cloud Computing, sull’AI… E sui programmi di formazione digitale rappresenta una grande opportunità per accelerare l’innovazione dell’ecosistema nazionale. La nostra missione è aiutare persone e organizzazioni italiane a realizzare il proprio potenziale”
Già, realizzare il proprio potenziale… Quali saranno i veri interessi dell’azienda di Bill Gates? La capillarità dell’azienda Poste Italiane potrebbe interessare per molti motivi ma di sicuro anche poter visionare i Big Data di molte aziende e cittadini italiani potrebbe essere utile alla multinazionale statunitense.
Dopo i vaccini, che quasi sicuramente verranno distribuiti da Bill ecco un’altra operazione sul territorio italico, che prevederebbe anche la realizzazione di AI Hub, dei centri “esponenziali” per facilitare l’inserimento dell’ l’intelligenza artificiale all’interno delle aziende.
Siamo in vendita al miglior offerente?
di Riccardo Rocchesso
FONTE: https://grandeinganno.it/2021/07/18/bill-gates-investe-in-poste-italiane-litalia-sta-diventando-una-sua-filiale/
“Finita l’emergenza, l’Italia deve tornare a tagliare il debito”: parola del falco di Bruxelles
Gabriele Costa – 25 gennaio 2022
Se uno accende la televisione, è tutto un inno al Pnrr, il fantasmagorico Piano nazionale di ripresa e resilienza (ex Recovery Fund, ex Recovery Plan). Secondo la vulgata – che noi abbiamo sempre contestato – sarebbero in arrivo soldi a palate che, nelle sagge mani di Mario Draghi, faranno rifiorire l’economia italiana. D’altronde, era stato lo stesso Draghi – per preparare la sua ascesa a Palazzo Chigi – a dire al Financial Times che per l’Italia il debito pubblico (magicamente) non era più un problema.
Qui Dombrovskis ci cova
Peccato solo che a Bruxelles non la pensino così. Anzi: il Pnrr, a dispetto del nome, non solo non porterà alcuna crescita, ma per i falchi Ue è anche una misura prettamente straordinaria. Finita l’emergenza pandemica, l’Italia dovrà tornare a tagliare deficit e debito. In pratica, la cura Monti. Che, purtroppo, abbiamo già sperimentato. «Nel complesso gli Stati membri hanno dei piani di bilancio che permettono un sostegno ai conti e agli investimenti. In alcuni casi, tuttavia, abbiamo una parola di cautela per quel che riguarda l’aumento della spesa nazionale di Italia e in parte di Lettonia e Lituania. Quando le condizioni lo permettono è necessario ridurre il deficit e far diminuire il debito», ha affermato Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione Ue.
Il (falso) problema del debito dell’Italia
A finire nel mirino del falco di Bruxelles, infatti, c’è l’aumento della spesa corrente di Lituania, Lettonia e Italia: «Per la Lituania è del 2,2% del Pil, per l’Italia dell’1,5%, e per la Lettonia è dello 0,8%. La nostra posizione – ha proseguito Dombrovskis – è assicurare che le misure di supporto siano temporanee e mirate, e che non lascino un onore permanente sulle finanze pubbliche, cosa particolarmente rilevante per gli Stati membri fortemente indebitati. Ecco perché abbiamo inviato questa piccola nota di cautela a questi tre Stati membri». Insomma, un’altra letterina che Bruxelles invia all’Italia, per ricordarle che – a breve – dovrà tornare a tagliare il debito. Ma come tutti sanno all’infuori della Ue, la diminuzione del debito è la misura perfetta per soffocare sul nascere qualsiasi ripresa economica. La pandemia lo ha reso ancor più evidente. Eppure, Bruxelles pare l’abbiano trasferita sulla luna.
FONTE: https://www.ilprimatonazionale.it/economia/finita-emergenza-italia-deve-tagliare-debito-parola-falco-bruxelles-221796/
EVENTO CULTURALE
BARBARA & CLAUDIA – Concerto il 17 marzo 2022 presso Auditorium – Roma
RHYTHM
Si sono da sempre distinte per l’originalità’ dei loro programmi ( arrangiati per loro dal M° G. D’Angelo) dove l’impostazione classica si fonde con i più’ diversi stili musicali. E’ proprio da qui che nasce RHYTHM, un viaggio in giro per il mondo attraverso i ritmi piu’ travolgenti dall’Europa al Sud America.
LUOGO: https://www.auditorium.com/evento/barbara_cattabani_claudia_agostini-25113.html
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Faro Consob su Mps, scontro sui conti
4 Febbraio 2022
L’Authority chiama i sindaci, dubbi su alcune poste una tantum. Oggi il collegio
GIUSTIZIA E NORME
Intervista al Prof. Maddalena: “Un secondo mandato è incostituzionale. Prevedo che Mattarella resti fino alle prossime elezioni”
Come redazione de l’AntiDiplomatico abbiamo avuto l’onore di intervistare il Prof. Paolo Maddalena, ex componente della Corte Costituzionale, noto difensore della Costituzione e dei beni pubblici in particolare.
Per la prima volta il noto giurista racconta la vicenda che lo ha visto protagonista come uno dei candidati alla presidenza della Repubblica nel gennaio del 2022. E sulla riconferma di Mattarella lancia messaggi chiari:
“Il presidente della Repubblica è eletto per 7 anni. Questo dice la Costituzione. Ci sono casi di necessità che possono derogare ma parlare di secondo mandato è incostituzionale. Si può dire che sia riconfermato per questo periodo di emergenza. Prevedo che Mattarella resterà fino alle prossime elezioni e poi Draghi auspicherà a prendere il suo ruolo”.
Buona visione: https://youtu.be/zdN1ApxNdqg
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-intervista_al_prof_maddalena_un_secondo_mandato__incostituzionale_prevedo_che_mattarella_resti_fino_alle_prossime_elezioni/5496_45016/
Mattarella rieletto, il programma di Draghi resta lo stesso: distruggere l’economia italiana
In pratica è lo stesso ordinamento costituzionale che comincia a scricchiolare in modo abbastanza impressionante, al punto che, nonostante l’articolo 85 della Costituzione affermi in modo chiaro che: “il Presidente della Repubblica è eletto per 7 anni“, facendo chiaramente intendere che è vietata la rielezione della stessa persona, la notizia del voto a Mattarella non ha destato in nessuno la preoccupazione di violare la Costituzione e di ritenere, quanto meno, che il prolungamento delle funzioni presidenziali di Mattarella potesse essere giustificato soltanto per uno stato di necessità e nei limiti di tempo della durata di quest’ultima.
Comunque, quello che mi preoccupa maggiormente è che si sta mettendo in atto un’opera di trasformazione dell’intera orditura dei principi e delle norme costituzionali.
In questo stato di cose non mi rivolgo ai partiti, che per altro hanno deciso di agire per una dipendenza dell’Italia dal mercato generale speculativo, ma mi rivolgo a tutti i lavoratori perché facciano sentire il valore più importante e fondamentale che costituisce la base della nostra Repubblica: per l’appunto il valore del lavoro.
Nel disegno costituzionale è escluso che il governo agisca nell’interessa della speculazione finanziaria e i fini della Costituzione sono sanciti molto chiaramente dall’articolo 3, comma 2, che pone il principio d’eguaglianza economica cui si collega lo sviluppo della persona umana, nonché la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese; nonché dall’articolo 4 della stessa Costituzione, il quale non solo sancisce il diritto fondamentale al lavoro, ma precisa altresì che ogni cittadino “ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società”.
Insomma secondo la Costituzione quello che conta è che tutti debbano lavorare e che tutti debbano godere in modo eguale dei frutti scaturenti dal lavoro. Viceversa i nostri governanti, spostando il centro di gravità sul mercato generale, esaltano la necessità dei licenziamenti, del lavoro precario e la minima retribuzione, anche questa in palese contrasto con l’articolo 36 della Costituzione, il quale precisa il minimo di eguaglianza economica che deve esserci fra i lavoratori dipendenti, e cioè il diritto “a una retribuzione in ogni caso sufficiente ad assicurare, a sé e alla famiglia, un’esistenza libera e dignitosa”.
Un principio ripreso dall’articolo 38 Cost., secondo il quale soltanto gli inabili al lavoro hanno diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.
Si deve capire che il sistema capitalistico neoliberista mira alla distruzione della persona umana e al concetto stesso di Stato-Comunità, aumentando e falsamente legalizzando il divario fra ricchi e poveri, i quali ultimi finiscono per diventare miserabili schiavi e mera merce di scambio.
Lo strumento che la Costituzione offre per l’attuazione di questo saggio disegno è costituito dal demanio costituzionale, cioè dell’appartenenza al Popolo di quei beni di preminente interesse generale, tra i quali sono da ricordare: il paesaggio, i beni artistici e storici (art. 9 Cost); i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia, le situazioni di monopolio e le industrie strategiche (art. 43 Cost.); tutti beni che per la loro ineliminabile funzione sociale sono da ritenere, ai sensi dell’articolo 42 Cost., proprietà pubblica demaniale del Popolo e quindi inalienabili, inusucapibili e inespropriabili e, in ultima analisi, non privatizzabili. Il contrario di quanto ha affermato e sta compiendo Mario Draghi.
Non mi resta che ribadire la necessità di attuare gli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 11, 41, 42, 43 e 118 della nostra Costituzione repubblicana e democratica
FONTE: https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/02/01/mattarella-rieletto-il-programma-di-draghi-resta-lo-stesso-distruggere-leconomia-italiana/6475044/
Briatore assolto, ma ora la sinistra giustizialista tace
27 Gennaio 2022
L’assoluzione di Briatore è ovviamente marginale per la sinistra giustizialista che lo aveva assalito ben dodici anni fa
DISCRIMINAZIONE E SEGREGAZIONE DI MINORI PER DECRETO LEGGE!
3 FEBBRAIO 2022
di Gianni Lannes
Mancano soltanto i campi di concentramento di mussoliniana memoria. Senza precedenti nel Belpaese, se non nelle leggi razziali fasciste imposte dal duce. Non era mai accaduto prima nell’Italia repubblicana, che un decreto-legge, ovvero una norma di rango giuridico inferiore, abolisse o sospendesse a tempo indeterminato i dettami costituzionali relativi alla libertà personale degli individui e discriminasse a scuola infanzia e adolescenza, che non si è piegata all’estorsione coercitiva del consenso, finalizzato alla triplice iniezione di sieri sperimentali Covid-19 spacciati per vaccini toccasana.
Il 2 febbraio 2022 il consiglio dei ministri presieduto da Mario Draghi (già affossatore dell’Italia dal 1992) ha annunciato l’ennesimo decretino fuorilegge ovvero incostituzionale e anticostituzionale (in via di emanazione), avallato come sempre da Sergio Mattarella col tacito beneplacito del passivo Parlamento, a cui spetta la funzione legislativa. Così, in palese violazione della Convenzione internazionale a protezione del fanciullo, ratificata in passato dallo Stato italiano e comunque sempre in vigore, nonché di tutte le normative nazionali e comunitarie a difesa dei minori d’età, di fatto bambini e ragazzi sani ma privi di marchiatura sierologica multinazionale, trattati come appestati, saranno divisi e allontanati da scuola, in sostanza puniti; inculcando in tal modo nell’opinione pubblica e nei loro coetanei che siano degli untori. Nella realtà atroce dei fatti, il livello delinquenziale delle autorità apicali italiane ha superato il consueto picco di mafiosità per sprofondare nei crimini contro l’umanità, in violazione anche dello Statuto di Roma, relativo alla Corte Penale Internazionale.
Per gli smemorati covidioti, i quattro principi fondamentali della Convenzione ONU sui diritti dei fanciulli sono:
Principio di non discriminazione (art. 2): impegna gli Stati che aderiscono alla Convenzione ad assicurare i diritti sanciti a tutti i minori, senza distinzione di razza, colore, sesso, lingua, religione, opinione del bambino e dei genitori.
Diritto alla vita, sopravvivenza e sviluppo (art. 6): impegna gli Stati membri a riconoscere il diritto alla vita del bambino e ad assicurarne la sopravvivenza e lo sviluppo, con tutte le misure possibili.
E c’è pure qualche foglio come la repubblica che loda l’iniziativa razzista della tecnocrazia imperante, in barba alla giurisprudenza antidiscriminatoria.
Eppure, l’articolo 3 della Costituzione italiana stabilisce inequivocabilmente:
«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Proprio in Italia, ancora nell’anno 2022, milioni di persone sono ancora discriminate per numerosi motivi, spesso alimentati da autorità e istituzioni: orientamento sessuale, etnia, religione, condizioni fisiche sociali e ancora piu’ sanitarie. L’esclusione e la discriminazione assume diverse forme: insulti, maltrattamenti, negazione dell’accesso ai servizi essenziali, esclusione sociale, violenza fisica, verbale, istituzionale e psicologica. A quando una Norimberga 2? C”è un giudice almeno a Berlino?
FONTE: http://sulatestagiannilannes.blogspot.com/
Carola, l’eroina fuori dalla legge
4 Febbraio 2022 – 06:00
Carola Rackete, l’eroina del mondo di sinistra e radical chic, rivela di essere stata ancora più talebana dell’accoglienza della Ong tedesca Sea Watch
PANORAMA INTERNAZIONALE
Scure islamista sulla libertà di stampa: in Francia 35 giornalisti sotto scorta
3 Febbraio 2022 – 12:21
Sempre più personalità, fra cui molti giornalisti e fumettisti, sono costrette a vivere sotto la protezione della polizia in Francia per via delle gravi minacce degli estremisti islamici
La Mocro Maffia alla conquista dell’Europa
Il pubblico italiano ha cominciato a familiarizzare con la Mocro Maffia il 6 luglio dello scorso anno, in occasione dell’agguato mortale al giornalista investigativo Peter de Vries, ma nel resto del Vecchio Continente di questa feroce organizzazione criminale nata nelle enclavi turco-marocchine del Benelux si scrive da anni, si investiga da un decennio e le si dedicano documentari e serie televisive.
Ora, con il brutale omicidio di un narcotrafficante marocchino per le strade di una tranquilla cittadina dell’Andalusia, anche la Spagna ha scoperto di avere un problema con la Mocro Maffia del temuto Ridouan Taghi.
Chi è nemico di Taghi muore
Chiclana de la Frontera, Andalusia, sera del 15 gennaio. Una signora sta portando a spasso il cane, quando si imbatte una macchina parcheggiata avvolta dalle fiamme. Allerta immediatamente i vigili del fuoco, i quali, giunti sul posto, sono costretti a chiamare la Guardia Civil. Dentro il veicolo, infatti, giace il cadavere carbonizzato di un uomo.
Aartselaar, Belgio, sera del 22 gennaio. Un 39enne viene avvicinato da due sconosciuti qualche istante prima di aprire la porta di casa. Lo chiamano per nome, assicurandosi che sia colui che stanno cercando, dopo di che estraggono delle pistole e fanno fuoco. Per lui, trasportato d’urgenza in ospedale, non ci sarà nulla da fare.
Un filo rosso come il sangue lega le brutali morti di fine gennaio che hanno sconvolto il piccolo paesino andaluso e la cittadina fiamminga. Perché entrambe le vittime erano in qualche modo legate alla Mocro Maffia, più di preciso al suo fondatore e padre padrone: Ridouan Taghi.
L’uomo assassinato a Chiclana de la Frontera si chiamava Ebrahim Buzhu, marocchino con cittadinanza olandese, ed era stato per lungo tempo uno dei soci più fidati di Taghi. Nel 2015, poi, la decisione di rivolgersi alla polizia di Utrecht per denunciare il boss mafioso. L’uomo ucciso ad Aartselaar si chiamava Bledar Muça, albanese con cittadinanza britannica, ed era il membro di un clan albanese in competizione con la Mocro Maffia per il controllo dello strategico porto di Anversa, la prima e principale porta d’accesso della cocaina in Europa. Entrambi, anche se per ragioni diverse, erano nemici di Taghi ed è per questo, forse, che sono stati ammazzati.
L’ascesa della Mocro Maffia
Taghi è nato a Bni Selmane (Marocco) nel 1977 ed è considerato il nemico pubblico numero uno del Benelux. Trasferitosi nei Paesi Bassi da giovanissimo, Taghi cresce nelle periferie di Utrecht ed entra nel crimine dopo aver abbandonato una carriera promettente – era uno studente modello al corso di laurea in scienze dell’educazione dell’università cittadina – a causa dei problemi economici della famiglia. L’assenza di clan autoctoni lo incoraggia a dar vita ad una propria banda, principalmente composta da connazionali e turchi, con la quale, in breve tempo, conquista le strade della città olandese e si fa un nome in tutta la nazione per via della violenza impiegata da lui e dai suoi gregari.
L’ascesa di Taghi comporta la discesa dei Paesi Bassi nella violenza. Perché se a Utrecht mancava la competizione, Amsterdam e Rotterdam avevano già le loro bande: alcune autoctone, altre surinamesi e afro-caraibiche, altre ancora turche e marocchine. Nessuna di queste, però, aveva un’inclinazione alla violenza paragonabile a quella di Taghi, che nel 2014, dopo aver assassinato gli ultimi due rivali storici – Gwenette Martha e Samir Bouyakhrichan –, diventa il re incontrastato del crimine organizzato olandese e getta le basi per la proiezione della Mocro Maffia nel mondo.
Dopo essersi impadronito dei porti olandesi, che gli valgono l’attenzione delle mafie che contano e lo fanno entrare nelle grazie di Raffaele Imperiale – il più importante camorrista dello scorso decennio –, Taghi posa lo sguardo su quelli del vicino Belgio, che, però, sono già controllati dai clan albanesi. Rincorrere questa nuova ambizione, però, gli costerà l’attenzione di una pluralità di polizie, di rivali dal grilletto facile e, non meno importante, della stampa.
Incurante delle conseguenze delle sue azioni, perché abituato, del resto, a uscire pulito dai processi grazie alle arringhe infuocate dei migliori avvocati dei Paesi Bassi e a testimoni che scompaiono o si tirano indietro all’ultimo, Taghi decide di muovere guerra contro chiunque si ponga sul cammino: dai clan concorrenti ai giornalisti – l’8 dicembre 2016 l’assassinio di Martin Kok e il 26 giugno 2018 l’attentato alla sede del De Telegraaf –, passando per uomini di giustizia – l’avvocato Derk Wiersum, ucciso il 18 settembre 2019 – e membri della sua stessa organizzazione – come il fratello di Nabil B., ex socio divenuto collaboratore di giustizia.
Pericoloso, sempre e comunque
Ricercato nell’ambito del primo maxi-processo di mafia della storia dei Paesi Bassi – il cosiddetto “processo Marengo” –, presso il quale è imputato di vari crimini, Taghi è stato tratto in arresto a Dubai il 16 dicembre 2019. Sul suo capo, all’epoca, pendeva una taglia di centomila euro – un altro record per la giustizia olandese.
Rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Nieuw Vosseveld (Vught), Taghi, in questi anni, è comunque riuscito a far parlar di sé. Lo scorso luglio l’assassinio del giornalista investigativo Peter de Vries, condannato a morte dal capo della Mocro Maffia per via delle sue inchieste. A inizio anno, invece, la scia di sangue dalle Fiandre all’Andalusia e la rivelazione choc delle autorità: Taghi aveva trovato il modo di contattare l’esterno e aveva trascorso il 2021 a pianificare un’evasione dal carcere “in stile Navy Seals”.
Una cosa, alla luce degli eventi, sembra più che certa: del temibile Taghi, che è capace di ordinare omicidi anche da dietro le sbarre ed è circondato di fedelissimi pronti a qualsiasi follia pur di liberarlo, si sentirà parlare ancora a lungo.
FONTE: https://it.insideover.com/criminalita/la-mocro-maffia-alla-conquista-dell-europa.html
Ucraina. Contrordine: l’invasione russa non è più imminente
L’America non dirà più che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è “imminente“. Così la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki, spiegando che la precedente comunicazione era erronea.
C’è da restare basiti, non solo per la leggerezza con la quale Washington tratta una crisi che ha il potenziale di scatenare la terza guerra mondiale, ma anche per l’insostenibile leggerezza dei media, che per giorni hanno ripetuto come un mantra tale affermazione, senza porre e porsi domande su un’affermazione evidentemente infondata (vedi Piccolenote).
Al di là, la situazione attuale vede due conflittualità, uno evidente, tra Mosca e Occidente, e uno che attraversa l’Occidente stesso, dove alcuni ambiti spingono per un confronto duro, a rischio guerra (ripresa della guerra del Donbass per esser chiari e non altro) e altri che invece stanno tentando convergenze.
Tale ultimo ambito vede in prima fila alcuni Paesi europei, che contano nulla però possono far da sponda all’amministrazione Biden, che sta tentando davvero un dialogo con la Russia.
Tale determinazione viene spiegata in un articolo di Anatoli Lieven su Responsibile Statecraft che analizza la riposta scritta degli Usa alle proposte russe, che doveva restare segreta ed è invece stata pubblicata dal Pais, allo scopo di affondare le trattative reali (a cui necessita il segreto).
Anzitutto Lieven spiega che la narrativa che vedeva le proposte russe del tutto strumentali, inviate solo per essere rigettate e avere così un pretesto per invadere era falsa, altrimenti, dopo che tale rigetto si è concretizzato, avrebbe invaso.
Il documento americano
Tali proposte sono reali e la risposta Usa, al di là delle ovvie ridondanze retoriche, esprime “la volontà di avviare un nuovo processo di riduzione degli armamenti nucleari e di concludere accordi sui missili a medio raggio in Europa, in particolare sullo stazionamento dei missili da crociera statunitensi Tomahawk nell’Europa orientale, a condizione che La Russia ricambi consentendo alla Nato una certa capacità di controllare il suo dispiegamento missilistico”.
Inoltre, pur ribadendo la possibilità che l’Ucraina entri nella Nato, rigettando così le richieste di Mosca, “non solo non esclude esplicitamente una moratoria sull’adesione per un determinato periodo di tempo, ma esprime anche la volontà di discutere ‘l’indivisibilità della sicurezza – e le nostre rispettive interpretazioni di quel concetto’. Questa è una frase usata dalla Russia nella sua opposizione all’espansione della NATO, e crea almeno qualche possibilità di un dialogo strategico più ampio e completo che potrebbe gettare le basi per risolvere i vari conflitti in Europa”.
E, sull’Ucraina, il documento Usa dettaglia: “Gli Stati Uniti sono pronti a discutere le misure di trasparenza reciproca basate su condizioni e impegni reciproci sia degli Stati Uniti che della Russia per astenersi dal dispiegare sistemi missilistici offensivi e forze permanenti con una missione di combattimento sul territorio dell’Ucraina”.
Certo, resta il nodo della Crimea, ma gli Stati Uniti, scrive Lieven, potrebbero sorvolare, dato che Mosca non cederà mai sul punto, essendo la base militare ivi collocata giudicata parte essenziale della sua sicurezza strategica (d’altronde, si potrebbe aggiungere, che dopo aver regalato il Golan siriano a Israele, è arduo per gli Usa chiedere alla Russia concessioni in tal senso).
E però, continua Lieven, “Il tono della dichiarazione degli Stati Uniti è fermo, ma educato. Evita frasi retoriche, insulti gratuiti e non solleva problemi aggiuntivi sui quali non ci sono possibilità di risoluzione e distruggerebbero soltanto ogni possibilità di accordo”.
“Non lo descriverei come un capolavoro di linguaggio diplomatico – continua Lieven – ma almeno si legge come se fosse stato scritto da adulti che hanno una certa conoscenza e comprensione della diplomazia. Peraltro, anche l’ultima dichiarazione del presidente Putin (nell’incontro di martedì con il premier ungherese Viktor Orban) suggerisce la volontà di negoziare” (la prima dichiarazione del presidente russo dopo la risposta Usa, rilasciata, peraltro, poco dopo un’ulteriore conversazione telefonica tra i ministri degli Esteri dei due Paesi).
L’intromissione della Nato
Diversa e molto più dura la risposta della Nato, consegnata in parallelo con quella americana. Così Lieven: il documento “esprime il desiderio della Nato per un ‘dialogo costruttivo’, ma lo accompagna con insulti reiterati contro la Russia. Ora, può darsi che alcuni di questi insulti siano davvero meritati. Ma chi pensa che insultare il proprio interlocutore sia un buon modo per iniziare un dialogo costruttivo non ha mai studiato il buon senso, tanto meno la diplomazia”.
Tanto che “se il segretariato della NATO – al contrario di Washington – fosse responsabile dei negoziati con la Russia, non ci sarebbe alcuna possibilità di accordo e si aprirebbero le porte alla possibilità di una guerra disastrosa”.
C’è quindi una discrasia tra Nato e Stati Uniti, con la differenza che Washington rappresenta una superpotenza e la Nato non si capisce bene chi rappresenti, essendo formalmente un’alleanza di più Stati, che peraltro non sono tutti concordi con certe pose muscolari.
“La dichiarazione della Nato – scrive Lieven – si conclude con un’eroica dichiarazione del fermo impegno della Nato nei confronti del principio che ‘un attacco a un alleato è un attacco contro tutti’. Ma dal momento che la Russia non ha alcuna intenzione di attaccare alcun alleato della Nato, la Nato può assumere pose così eroiche e la Danimarca e l’Olanda possono inviare i loro combattenti nella serena fiducia che in realtà non dovranno mai combattere”.
Quello prospettato da Lieven è un quadro non certo brillante, ma che pone in evidenza la divergenza tra la Nato, sulla quale è potente la presa dei neocon Usa, e l’amministrazione americana.
Peraltro, è più che logico che le trattative le conducano gli Stati Uniti e non un apparato militare come la Nato, che si è intromessa in maniera indebita in questa vicenda, dato che i cittadini dei Paesi aderenti hanno i loro legittimi rappresentanti eletti in tutt’altre sedi. È irrituale e inquietante che delle trattative di pace non siano condotte da organi politici, ma da militari. Come se la Difesa russa sovrapponesse la propria voce a quella di Mosca.
Detto questo, è illusorio aspettarsi correttivi sull’intromissione Nato, ma spiragli per la prosecuzione del dialogo ci sono, come dimostra anche il dietrofront della Psaki riportato all’inizio della nota.
FONTE: https://piccolenote.ilgiornale.it/54445/ucraina-contrordine-linvasione-russa-non-e-piu-imminente
Le autorità ucraine smentiscono Biden sulla minaccia russa
29 gennaio 2022
Mentre aumentano le tensioni in Ucraina, la crisi vive un piccolo giallo: nella telefonata tra Zelensky e Biden di giovedì, il presidente ucraino avrebbe detto a quello americano che la situazione non è grave come sostiene e che la Russia non minaccia un’imminente invasione. A riferire la divergenza è addirittura la Cnn, che ha ricevuto l’informazione da un funzionario ucraino che assisteva al colloquio.
Le divergenze e il gelo
Tale resoconto contrasta con il comunicato della Casa Bianca, che racconta di una valutazione concorde sul fatto che l’esercito russo avrebbe attaccato presto grazie al terreno “congelato”.
Una vera sciocchezza quest’ultima, dal momento che il gelo favorirebbe i difensori attestati a presidio piuttosto che gli attaccanti, che devono muoversi velocemente, ma tant’è, la propaganda ormai può fare a meno della verosimiglianza potendo contare sull’asservimento dei media.
Ovviamente la Casa Bianca ha smentito la Cnn, ma oggi il New York Times ribadisce che “i funzionari ucraini hanno criticato aspramente l’amministrazione Biden venerdì per i suoi minacciosi avvertimenti di un imminente attacco russo, dicendo di aver inutilmente diffuso l’allarme”.
E riferisce anche le dichiarazioni di Zelensky: “Continuano a sostenere questo tema”, riferendosi ai “ripetuti allarmi” Usa. “E lo rendono più forte e acceso possibile. Secondo me, è un errore”.
Già, un tragico errore, che però non viene corretto. Anzi, per soffocare l’emergere di valutazioni opposte, il Pentagono ha dichiarato che i russi avrebbero incrementato ancor più la loro minaccia, rendendo ormai pronte all’invasione le forze stanziate ai confini ucraini, come se davvero ciò potesse avvenire da un giorno all’altro (tre giorni fa, infatti, il Pentagono aveva dichiarato non c’erano “indicatori” in tal senso).
La variabile Cina
Convitato di pietra di tale tensione, oltre all’Europa, anche la Cina, alla quale, secondo la Reuters, gli Usa si sarebbero rivolti per una mediazione con Mosca. Non sappiamo valutare la veridicità della notizia, mentre val la pena riportare un’altro aspetto della crisi, sempre riguardante la Cina.
Così sul Global Times: “Se gli Stati Uniti provocano la Cina o la Russia, l’altro non sarà indifferente”. E nel testo si legge: “Quando si tratta di resistere alla pressione degli Stati Uniti, la Russia non è sola. La maggior parte del popolo cinese è disposta a vedere il governo cinese assistere la Russia”.
Insomma, gli Stranamore del Pentagono stanno giocando con una guerra globale, di cui beneficiano anzitutto i produttori d’armi Usa, come riferisce un articolo di Responsibile Statecraft dal titolo: “I CEO di Big War: c’è caos nel mondo e le nostre prospettive sono eccellenti”.
Peraltro, come accaduto in passato, una bella guerra, oltre che provare a rilanciare l’egemonia Usa nel mondo, farebbe da volano all’economia al collasso, ma sarebbe utile anche a ripristinare la presa del Potere sui cittadini, dal momento che quella provocata dalla pandemia va allentandosi.
Morire per Kiev?
Sulla crisi, un’interessante nota del Washington Post: “Il problema è che gli Stati Uniti non sanno esercitare bene l’arte della diplomazia. Ancora inebriati dall’idea di essere l’unica superpotenza mondiale dopo il crollo dell’Unione Sovietica, non scendiamo facilmente a compromessi; ci aspettiamo di fare a modo nostro”.
“Produciamo armi, abbiamo circa 800 basi militari al di fuori degli Stati Uniti – più basi che missioni diplomatiche (Le uniche basi militari russe al di fuori dell’ex Unione Sovietica sono in Siria). […] Parliamo di un ordinamento internazionale basato su regole, ma lo rispettiamo solo se le regole le facciamo noi, esonerandoci spesso dalla loro applicazione”.
Quindi, dopo aver ricordato come gli Usa abbiano rigettato senza esitazioni le richieste russe riguardo l’allargamento della Nato a Est, spiega: “Questa posizione è sciocca. Tre presidenti degli Stati Uniti – Barack Obama, Donald Trump e Biden – hanno già chiarito che gli Stati Uniti non hanno interesse nazionale a impegnare le truppe statunitensi per difendere l’Ucraina o la Georgia”.
“È improbabile che la NATO ammetta questi due Paesi […]. Eppure siamo pronti a ingaggiare battaglia insistendo sul fatto che l’Ucraina ha il diritto di aderire a un’alleanza militare difensiva che richiede agli Stati Uniti di difenderla”.
Gli artigli dei falchi e i dettagli segreti
In realtà, quel che sognano gli Stranamore Usa è di fare dell’Ucraina un nuovo Afghanistan per Mosca, attirando l’attacco russo e usando milizie agguerrite per avviare una guerra partigiana senza fine, grazie al supporto arriverebbe dai Paesi confinanti l’Ucraina dove sono stanziate le forze NATO. Calcolo alquanto inquietante per le tante variabili a rischio escalation.
Ma negli Usa non ci sono solo falchi. Purtroppo per Biden l’Ucraina è una spina nel fianco da quando si è vantato di esser riuscito a insabbiare un’inchiesta della magistratura ucraina sul figlio. Precedente che lo rende vulnerabile agli artigli dei falchi.
E però, resta un’analisi di Ria novosti – che purtroppo non ritroviamo più, pardon – che raccontava come nella conferenza stampa in cui Blinken sintetizzava i contenuti della risposta Usa alle proposte russe, interpellato sull’ingresso dell’Ucraina nella NATO aveva risposto alquanto nervosamente, dichiarando che nel testo c’era quanto gli Usa affermano da anni, cioè che tale adesione non si può negare.
Sul punto Ria ricordava come gli Usa avessero chiesto alla Russia di non divulgare la loro risposta. Così che l’analista di Ria si domandava, giustamente: se si ribadiva una posizione già espressa pubblicamente, perché la richiesta di riservatezza? Forse che nello scritto ci sono dettagli di rilievo?
Sempre su Ria, oggi: l’ambasciatore degli Stati Uniti in Russia “gli Stati contano sui continui contatti tra Lavrov e Blinken” per disinnescare la crisi. E la disponibilità al dialogo con la Russia espresso dal Segretario della NATO Stoltenberg. Vedremo.
FONTE: https://piccolenote.ilgiornale.it/54366/le-autorita-ucraine-smentiscono-biden-sulla-minaccia-russa
POLITICA
Chi comanda davvero alla Casa Bianca?
La salute del presidente americano è da sempre una grande preoccupazione per il mondo. Molto prima di Joe Biden e delle sue apparenti gaffe e dimenticanze, Woodrow Wilson riuscì a nascondere l’ictus subito il 2 ottobre 1919, nascondendosi dietro alla moglie e al suo medico per non cedere i poteri ad interim al vice Thomas Marshall, che aveva perso la sua fiducia nel corso degli anni. Più vicino a noi, nel 1955 Eisenhower subì un forte attacco cardiaco che lo costrinse a sei settimane di ricovero, dove governò con l’ausilio del suo vicepresidente Nixon, contattato via telefono. Negli anni ’80, l’età di Reagan era un motivo di contenzioso e di preoccupazione. Oggi, l’affaticamento di Joe Biden è monitorato con attenzione dai commentatori conservatori, come dimostra la viralità social della clip con il presidente che si appisola al vertice del Cop26.
Quindi la domanda è: chi comanda davvero alla Casa Bianca quando il presidente appare affaticato? L’età c’è: il prossimo 22 novembre saranno ottant’anni compiuti. Di sicuro non Kamala Harris, come accusava Trump durante la campagna elettorale 2020: la vicepresidente ha mostrato di non sapere esprimere una leadership forte nemmeno per quanto riguarda il compito che le è stato assegnato, ovvero risolvere la crisi migratoria al confine tra Messico e Texas. Allora bisogna andare verso un insider vero, che non viene dalla politica elettiva: identikit che corrisponde a quello di Ron Klain.
Parliamo di una figura che incarna un perfetto cursus honorum funzionariale: laurea all’università di Georgetown con perfezionamento in legge ad Harvard. Le sue prime esperienze lavorative che si ricordano sono tutte nelle istituzioni: negli anni ’80 lavora nello staff dell’allora deputato dem Ed Markey (oggi uno dei senatori dalle idee più radicali) e nel biennio 1987-88 fa parte dei collaboratori legali del giudice della Corte Suprema Byron White. Torna poi a lavorare per la politica, per la commissione giudiziarie del Senato come consulente legale capo ed è lui a supervisionare i lavori riguardanti la nomina di Clarence Thomas alla Corte Suprema. Da qui il salto verso la politica: nella campagna di Bill Clinton nel 1992 e poi come capo di gabinetto prima di Janet Reno e poi di Al Gore, fino alla campagna presidenziale del 2000. In queste due vesti si diffonde tra i dem la fama di Klain come di grande organizzatore e uomo macchina.
La stessa che ad assumere nuovamente il ruolo di capo di gabinetto di Joe Biden nel 2009 come vicepresidente e poi nel 2021 come presidente, passando per un altro ruolo delicato assunto il 17 ottobre 2014, quello di capo della task force contro la diffusione del virus Ebola negli Stati Uniti, nonostante non avesse alcuna esperienza in campo sanitario ed epidemiologico. Anche in questo caso, hanno prevalso le sue facoltà di organizzatore. Le stesse che non hanno lasciato alcun dubbio a Biden dopo la sua vittoria lo scorso novembre: “Voglio Ron”. Scelta quasi scontata, senza nemmeno il bisogno della conferma del Senato. Dopo un anno, il bilancio della sua esperienza è controverso: da un lato ha registrato un primo semestre quasi perfetto, nel quale tutto è filato liscio, dal varo del programma di ristori post Covid al piano vaccinale federale. Una persona quindi che sembra destinata a rimanere al suo posto, senza le porte girevoli dell’epoca trumpiana con ben quattro capi di gabinetto in quattro anni.
Però Klain ha un’abitudine che dice di avere per tenersi aggiornato sulle “opinioni delle elite”: essere un utente molto attivo di Twitter. E non uno qualunque, parliamo di una persona che attivamente diffonde messaggi pro-Biden e sfotte gli avversari, interni ed esterni. Il problema è che la sua bolla è molto orientata verso il mondo progressista che ovviamente costituisce solo una parte della coalizione vincente che ha portato l’attuale presidente alla Casa Bianca. Come quei repubblicani moderati che lo hanno votato perché stufi di Trump e perché vedevano nel messaggio moderato di Biden una speranza per una minore polarizzazione. Che fine ha fatto quel presidente? Certo non aiuta un Senato spaccato a metà, dove anche il problema cardiaco del senatore Ben Ray Lujan del New Mexico costringe a riprogrammare l’agenda legislativa.
C’è anche un fattore che ci fa tornare al nostro assunto di partenza: quanto comanda davvero Ron Klain? Come mai è immune alle critiche dure del Washington Post e del New York Times? Forse il presidente Biden, che sempre più appare affaticato, ha bisogno di delegare a una persona di assoluta fiducia.
Probabilmente c’entra anche la nota lealtà del presidente verso il suo staff, che lo ha portato a non silurare nemmeno uno dei principali artefici del disastro afghano come il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan. Klain ha avuto anche dei difensori, come il magazine progressista The New Republic, che ha detto che la sua cacciata non cambierebbe nulla. Di certo è che la percezione del presidente come troppo allineato a sinistra non è solo prerogativa del repubblicani, com’è scontato, ma anche degli indipendenti. Senza i quali la rielezione nel 2024 è di fatto impossibile.
FONTE: https://it.insideover.com/politica/chi-comanda-davvero-alla-casa-bianca.html
SCIENZE TECNOLOGIE
Il tempo è una pura percezione
Il tempo non è un fenomeno che sorge in sé e per se nell’universo. Potenzialmente non esiste il tempo come tale. Quel che chiamiamo tempo è una divisione arbitraria dei cicli di cui facciamo esperienza, basandoci sul parametro ciclico del cambiamento, di cui facciamo esperienza in questo livello della realtà. In altre parole… il tempo è una pura percezione.
E se tutto accadesse simultaneamente? E se il tempo non esistesse affatto?
Ho visto di recente una descrizione dell’universo, come percepito in fisica. Per citare William Brown (da non confondersi con il William Brown che lavora per il Resonance Project):
“Ciò che la scienza ha scoperto esplorando i livelli profondi della realtà, è che il nostro universo è strutturato in strati di creazione. Strati di creazione, dal livello classico e diverso, in superficie, delle percezioni quotidiane, ai livelli più profondi: le molecole, gli atomi, i nuclei, le particelle subatomiche, i mondi nei mondi.”
In sintesi Brown descrive questi livelli in questo modo:
“Il livello di superficie della realtà sensoriale è tipicamente chiamato “mondo classico”. Al di sotto di questo mondo classico, c’è il mondo delle molecole, gli atomi, ovvero il regno dei meccanismi quantici. Poi c’è il nucleo atomico e le particelle subatomiche che è il mondo della teoria del campo quantico, la meccanica quantistica relativista. Ed infine ecco emergere la teoria del campo unificato…” (William Brown: The Light Body)
Dunque tutto ciò ci porta ad una domanda cruciale…
Cosa è il Tempo?
Un collega di Einstein, il fisico John Archibald Wheeler, sviluppò una delle prime equazioni di gravità quantica nei primi giorni della unificazione della Teoria Quantica e della Relatività. Sebbene funzioni, questa equazione non incorpora il tempo come parametro fisico e i fisici trovano che questo sia inquietante…
“Quando venne quantizzata per la prima volta la Relatività Generale (diventando una teoria della gravità quantica) negli anni ’60 ad opera di John Wheeler, il risultato prediceva uno stato statico dell’universo, ovvero – non c’è alternativa – l’assenza del tempo.
Questa particolare soluzione alla quantizzazione della Relatività Generale è nota come l’equazione di Wheeler-DeWitt. Il risultato sembrò essere paradossale: come può l’universo essere statico ed immutabile, quando tutta la nostra esperienza è di cambiamento?” – William Brown da the Resonance Project Foundation.
Questa è proprio la questione che andiamo qui ad analizzare in questo articolo, dandole forse una risposta.
È interessante notare che le equazioni che sono generalmente accettate dall’establishment scientifico, suggeriscono sia che il tempo è una illusione, che l’universo sia di fatto statico. Ovviamente queste idee furono considerate fallaci perché non sostenevano i fatti, ovvero ciò che è chiaramente osservabile nell’universo. Ogni giorno vediamo il cambiamento e possiamo misurare il tempo, quindi deve essere vero.
E se potessimo cambiare la nostra percezione dell’universo e risolvere questo conflitto?
E se il tempo non ci fosse proprio nell’universo ed esso sia solo il risultato di un cambio di prospettiva all’interno di un universo statico, che in qualche modo non mostra un moto né un universo in cambiamento?
Per indagare meglio questa idea dobbiamo scoprire cosa sia veramente il moto.
Ma le cose si muovono veramente?
Nassim Haramein ha detto che ciò che percepiamo come moto è in realtà dovuto al fatto che la realtà a livello quantico lampeggia ad alta frequenza dentro e fuori l’esistenza e che la creazione, in effetti, appare e scompare oscillando tra la forma e la sua assenza e questo innumerevoli volte ogni secondo, dando cosi la sembianza del moto.
Quindi, tecnicamente, le cose non si muovono affatto in questo universo, ma appaiono e scompaiono in schemi leggermente diversi, che fanno apparire tutto ciò come moto.
Non è il campo unificato a lampeggiare, ma solo quella che noi percepiamo come materia solida, ovvero le particelle, i nuclei, le particelle sub-atomiche ed il mondo materiale.
In un certo modo, potrebbe essere tecnicamente più accurato chiamare ciò che facciamo ogni giorno …“micro teletrasporto”. Quando entriamo in un negozio e guidiamo la macchina, in realtà stiamo “teleportando” in minime quantità, assurdamente piccole, ma ad una frequenza estremamente alta, per dare la sembianza del moto.
Tuttavia questo moto accade solo “percettivamente” sui livelli energetici più bassi della creazione, ovvero il mondo materiale o il mondo classico in cui esistiamo per la maggioranza del tempo, e potenzialmente il livello atomico-molecolare della realtà.
Quindi al livello teorico e quantico della realtà … non c’è moto, ma un lampeggio dentro e fuori dall’esistenza di creazione; dal punto di vista del nostro livello, ciò appare come un moto fluido. Proprio come le persone nel video della tv che non stanno effettivamente muovendosi, ma sono i piccoli pixel che lampeggiano in reciproco coordinamento e la cosa fa sembrare che ci sia del moto.
Il fluire del Campo Unificato
Se percepite l’universo dal livello del campo unificato, immaginate che il campo unificato comprenda tutto, tutta la creazione, che tutto il passato e futuro siano codificati olograficamente dentro il campo unificato; tutto li esiste simultaneamente, inscritto nella struttura del vuoto
In altre parole, la creazione è sorta da questo campo unificato nella forma di particelle subatomiche, particelle, atomi ed elettroni, nuclei – che non sono che forme di energia condensata – energia senza forma condensata in una forma, mentre l’universo lampeggia dentro e fuori dall’esistenza. Ma NULLA È SOLIDO.
Per citare ancora Einstein:
“Quel che abbiamo chiamato materia è energia, la cui vibrazione è stata cosi abbassata da essere percepibile ai sensi. Non c’è materia.”
E queste manifestazioni di energia collaborano fra loro, guidate da una forza invisibile all’interno della creazione stessa, per formare cose più grandi che danno così l’idea di essere vere e totalmente solide, ma ora sappiamo che non è vero.
Immaginate che tutto esista simultaneamente. Immaginate che tutte le versioni dell’albero li fuori dalla finestra, in questo momento presente, dal momento della sua nascita a quello del suo apparente futuro, fino alla morte dell’albero stesso, siano codificate nello spazio e tempo, olograficamente presenti nel campo unificato.
Quindi nulla in realtà mai appare e scompare, si muove o persino cambia, è solo la nostra percezione della realtà a questo livello che da la sembianza del cambiamento.
In altre parole, tutta la realtà, tutto il tempo, tutto il moto, sono un semplice risultato della coscienza in movimento.
Se le dinamiche del fluido della teoria del “Black Whole” (“il tutto nero”) di Nassim sono corrette e se tali dinamiche sono in effetti l’origine della coscienza, allora questo è il fondamento della creazione e quindi scopriamo che il fondamento della creazione è un collasso senza forma in se stesse ed una corrispettiva creazione.
Di fatto non c’è moto nel mondo fisico, la fisica quantistica ce lo ha dimostrato quando ha scoperto che la realtà è un lampeggiare fuori e dentro l’esistenza.
Ci sono solo immagini olografiche che cambiano, quando la coscienza si espande e si contrae in se stessa.
E se il flusso del campo unificato all’interno dell’universo fosse esso stesso il meccanismo che fa sì che la realtà lampeggi dentro e fuori l’esistenza e che determini altresì il flusso del tempo?
Tutta la creazione e tutta l’attività della creazione, sono il risultato della coscienza che interagisce al suo interno con se stessa, creando coscienza ed è solo perché noi tutti condividiamo un comune consenso della realtà (nella più parte dei casi), che sorge il tempo sul pianeta.
Informazione codificata olograficamente
Può darsi abbiate visto immagini olografiche di una galassia o qualche altra immagine stampata su un foglio di plastica o una cartolina. Questa sembra essere statica, ma se spostate a vostra prospettiva, per esempio ruotando o muovendo la cartolina, sembra che la galassia ruoti.
Ma nulla è cambiato nella immagine. Tutte le informazioni sono rimaste li, codificate nella cartolina sin dall’inizio. Solo perché avete cambiato prospettiva, l’immagine apparentemente sembrava muoversi.
E se fosse così che funziona la realtà?
E se il moto e il tempo apparente che sperimentiamo siano solo il risultato della nostra prospettiva sulla creazione, determinata dal nostro livello di coscienza?
Il campo unificato è la struttura vuota che teoricamente si espande e collassa secondo le dinamiche del “black whole” (il “tutto nero”) di Nassim Haramein, ma tecnicamente non si sta muovendo.
E null’altro in realtà si muove perché tutto è fisso, cristallizzato e olograficamente codificato nella struttura vuota; il che significa che tutto è presente non-localmente ovunque e tutto accade simultaneamente.
Il Tempo è relativo
Il Tempo sarebbe percepito in modo diverso su Marte, rispetto alla Terra, perché la lunghezza dei suoi giorni è diversa, a causa della rotazione del suo “black whole” (ovvero le dinamiche del campo unificato che producono e sono prodotte dalla coscienza).
Il tempo non è un fenomeno che sorge in sé e per se nell’universo. Potenzialmente non esiste il tempo come tale. Quel che chiamiamo tempo è una divisione arbitraria dei cicli di cui facciamo esperienza, basandoci sul parametro ciclico del cambiamento, di cui facciamo esperienza in questo livello della realtà. In altre parole… il tempo è una pura percezione.
Se fossimo in un vuoto non ci sarebbe il tempo, perché non solo non ci sarebbero i cicli per misurarlo, ma non ci sarebbero oggetti con cui determinare il moto, quindi saremmo in una immobilità perpetua e senza tempo.
Nella sua serie di lezioni dal titolo Living Beyond Miracle (Vivere oltre i Miracoli), Wayne Dyer racconta la storia di un gruppo di minatori che hanno visto collassare su di loro la miniera, in Germania, e sono per questo stati intrappolati per un certo periodo di tempo. Senza luce naturale, senza poter giudicare i cicli dell’universo e quindi senza un parametro di riferimento per la loro percezione.
Erano in totale 7 uomini, intrappolati sottoterra e solo uno di loro aveva l’orologio. Costui non volle che le cose scappassero di mano mentre si trovavano in quello stato intrappolati sottoterra e cercò di alleggerire la paura e la preoccupazione dei suoi amici e disse che era passata 1 ora, ogni volta che ne passavano in realtà 2. Dato che nessuno aveva un orologio per convalidare il tutto, gli altri non furono in grado di dire la differenza.
Alla fine dei 7 giorni furono salvati e tutti sopravvissero ad eccezione dell’uomo con l’orologio. Si era assunto l’onere di dire che era passata 1 ora mentre in realtà ne erano passate 2: aveva rallentato il tempo per tutti gli altri ed aveva fatto si che gli altri cambiassero il loro “accordo” sul tempo, cosi che potessero percepire di essere bloccati sotto terra per la metà del tempo effettivo in cui essi lo furono.
“Fece in modo di cambiare l’accordo collettivo su ciò che costituiva il tempo e le persone sono “invecchiate” di conseguenza… ma lui non potè ingannarsi perché aveva un orologio.”
Un universo statico
“il Tao non agisce tuittavia è la radice di tutta l’azione.
il Tao non si muove e tuttavia è la fonte di tutta la creazione.”
– Lao Tzu
Abbiamo stabilito che la creazione non si muove e quindi sembra che anche questo campo unificato non si muova. Lo sappiamo perché abbiamo trovato che lo spazio che circonda la Terra, che un tempo si pensava emettesse un fruscio passandoci accanto, come fa l’aria quando passa vicino ad un oggetto in un tunnel ventoso, ora si dimostra essere completamente statico.
Non ci lanciamo nello spazio, come pensavamo e lo spazio stesso si espande e si contrae e qui non si muove a priori, ma da solo la sembianza del moto.
Poiché il campo unificato che è coscienza, si espande e si contrae e poiché siamo quella coscienza incarnata in un livello di realtà leggermente più denso, ovvero nel “mondo classico”, abbiamo posti in prima fila per il cambiamento apparente, il moto, il tempo e la realtà. Ma questo è solo, come affermano tutte le tradizioni antiche, perché siamo coscienza universale che si è condensata in questo livello di realtà per fare l’esperienza del mondo che cambia, del mondo delle cose. Della vita, della morte, della nascita, della rinascita e del tempo lineare.
L’unico problema è che ci siamo attaccati a questo mondo e siamo intrappolati in un movimento energetico (una turbolenza emotiva) dato che le cose muoiono e cambiano in apparenza, e sono transitorie.
Tornando ad Albert Einstein:
“Tutto è energia, che è tutto quel che c’è. Accordati alla frequenza della realtà che vuoi e non potrai che ottenere quella realtà. Non c’è un altro modo che questo. Questa non è filosofia, ma fisica.”
Autore: Brandon West / Articolo orginale: wakingtimes.com / Traduzione riassuntiva e rielaborazione linguistica a cura di: Cristina Bassi – thelivingspirits.net
FONTE: https://www.ecplanet.org/il-tempo-e-una-pura-percezione
STORIA
72 anni di Nakba e la Negazione del Diritto al Ritorno
15 05 2020
di Paola Di Lullo
Ne ho conosciuti tanti,di profughi palestinesi. Non abbastanza. Ma abbastanza perché sia in grado di raccontare la loro Memoria.
In un mondo in cui Memoria significa solo Olocausto, io oggi ricordo la memoria di chi, non nei campi di concentramento nazisti, ma in quelli istituiti nel loro stesso paese, o in Libano, dalle vittime diventate carnefici, continua ad aspettare che giustizia sia fatta.
Penso al vecchino del campo profughi di Deheisheh, Betlemme, che mi accolse in casa sua come una vecchia amica. Era originario del villaggio di Zakaria, mi disse.
Penso a Shahira, che vive nel campo profughi di Chatila, dove 38 anni fa, le falangi cristiane libanesi, con il supporto dell’esercito israeliano, sterminarono la sua famiglia, lasciando in vita solo lei ed i suoi tre figli. Shahira, originaria di Haifa , sguardo fiero ed indomito, resistenza, chiede giustizia, non intende rassegnarsi né arretrare . Vuole andare nella sua terra. Vuole poter posare i suoi piedi su quel terreno di cui oggi gode chi glielo ha rubato. Nessuna incertezza nella sua voce, sia quando condanna un massacro inutile, che aveva il solo scopo di annientarli, sia quando dice che lei andrà a casa sua, in Palestina…in tutta la Palestina.
Penso all’uomo che, lo scorso settembre, ci ha accompagnati in giro per i dintorni di Betlemme. Vive nel campo profughi di Aida, non ha lavoro, ma moglie e figli da sfamare sì. Si arrangia come può.
Penso all’anziana signora i cui quattro figli scomparvero durante il massacro di Sabra e Chatila. Non sono mai più stati ritrovati, né vivi né morti. Stava male, soffriva di cuore, si aggravava ogni anno, con l’avvicinarsi della ricorrenza. Inginocchiata la guardai piangere. E piansi anch’io. Penso ai tanti palestinesi incontrati a Gaza, su circa due milioni di abitanti, il 70/80% sono profughi.
Tutti loro hanno lo stesso desiderio : tornare nei loro villaggi, nelle loro case, persi il 15 maggio del 1948, all’indomani dell’autoproclamazione, ad opera di David Ben Gurion, dello stato d’Israele.
Al Nakba ( letteralmente ” catastrofe”, “disastro” ) è il temine con cui viene designato l’esodo della popolazione Palestinese costretta ad abbandonare le proprie terre e le proprie case, all’indomani della fine del mandato britannico in Palestina e della fondazione dello stato d’Israele, secondo quanto previsto dal Piano di Partizione della Palestina ( risoluzione 181 del 29 novembre 1947 ). Il 14 maggio 1948, alla scadenza del mandato britannico, David Ben Gurion autoproclamò lo Stato d’Israele.
Il 15 maggio del 1948 l’esercito sionista invase i territori palestinesi, impossessandosi delle terre, delle case e del futuro del popolo palestinese.
L’Inghilterra facilitò la strada agli ebrei, arrivati da Europa, Russia e America, per creare il proprio stato su terreni altrui, per colonizzare lentamente Il territorio palestinese, a poco a poco e con ogni possibile mezzo e modo.
Se risulta vero che immigrazioni di ebrei in Palestina, si erano già registrate sin dagli inizi del 1900, è altrettanto vero che, con la Dichiarazione di Balfour, del 2 novembre 1917, esse si intensificarono. L’allora ministro degli esteri inglese, Arthur Balfour scriveva a Lord Rothschild, principale rappresentante della comunità ebraica inglese, e referente del movimento sionista, di guardare con favore alla creazione di un “focolare ebraico” in Palestina, in vista della colonizzazione ebraica del suo territorio. Tale posizione del governo emerse all’interno della riunione di gabinetto del 31 ottobre 1917.
Al Nakba è stato il giorno in cui il popolo Palestinese si è trasformato in una nazione di rifugiati, in cui almeno 750.000 persone, l’85% dei palestinesi, sono state espulse dalle loro case e costrette a vivere nei campi profughi, sono state cacciate dalla terra che divenne Israele. Molti di quelli che non sono riusciti a scappare, o si sono ribellati, o in qualche modo rappresentavano una minaccia per il progetto sionista, sono stati uccisi.
Secondo le centinaia di fonti Palestinesi, Arabe, Israeliane ed Occidentali, sia scritte che orali, le forze sioniste hanno commesso decine di massacri contro i Palestinesi durante la cosiddetta “guerra” del 1948. Alcuni di questi sono ben noti e sono stati pubblicati, mentre altri non lo sono. In Appendice, alcuni dettagli delle stragi più note commesse per mano dell’ Haganah e del suo braccio armato, il Palmach, così come dalla Banda Stern, l’Irgun e altre bande paramilitari sioniste.
(L’Irgun Zvai Leumi è conosciuto come “Irgun” e Lochamei Herut Yisrael è conosciuto come “Lehi” o “Stern Gang”).
La comunità internazionale era al corrente di questa pulizia etnica, ma decise, soprattutto in occidente, di non scontrarsi con la comunità ebraica in Palestina dopo l’Olocausto. Le operazioni di pulizia etnica non consistono solo nell’annientare una popolazione e cacciarla dalla terra. Perché la pulizia etnica sia efficace è necessario cancellare quel popolo dalla storia e dalla memoria. Sulle rovine dei villaggi palestinesi gli israeliani costruiscono insediamenti per i coloni chiamandoli con nomi che richiamano quello precedente. Un monito ai palestinesi: ora il territorio è nelle nostre mani e non c’è possibilità di far tornare indietro l’orologio. Oppure costruiscono spazi ricreativi che sono l’opposto della commemorazione: vivere la vita, goderla nel divertimento e nel piacere. È un strumento formidabile per un atto di “memoricidio”.
Si conoscono più di 530 villaggi palestinesi che sono stati evacuati e distrutti completamente, con annesso il tentativo di cancellare addirittura l’esistenza di quegli agglomerati, eliminando foto dell’epoca, documenti e testimonianze di vita e cultura palestinese. Israele oggi continua ad impedire il ritorno a casa di circa otto milioni di rifugiati e continua ad espellere i palestinesi dalla loro terra, attraverso politiche razziste degne del peggiore apartheid. Il tutto sotto lo sguardo complice della “comunità internazionale”.
Queste operazioni assumono di volta in volta forme e nomi diversi, attualmente vengono chiamati “trasferimenti”. I rifugiati palestinesi sono fuggiti in diversi posti e la maggior parte di questi vive nel raggio di 100 miglia dai confini d’Israele, ospite negli stati arabi confinanti; alcuni sono fuggiti nei paesi limitrofi intorno alla Palestina, altri sono fuggiti all’interno della Palestina ed hanno vissuto nei campi profughi, costruiti appositamente per loro dalle agenzie ONU, e altri si sono dispersi in vari paesi del mondo.
Ogni 15 maggio il popolo palestinese e tutti i suoi sostenitori nel mondo commemorano la Nakba, tranne che in Palestina, dal momento che nel febbraio 2010 la Knesset ha varato una legge che proibisce di manifestare pubblicamente in Israele lutto e dolore il 15 maggio.
Tutti i rifugiati hanno un sogno in comune: ritornare nelle loro case di origine, e questo sogno è sancito da una risoluzione ONU, la 194, una delle circa 70 che Israele continua impunemente a violare.
APPENDICE
• MASSACRO DI HAIFA – 03/06/1937
I paramilitari dell’ Irgun ed i gruppi Lehi Zionist bombardarono un mercato di Haifa uccidendo 18 civili palestinesi e ferendone 38.
• MASSACRO DI GERUSALEMME – 01/10/1937
Un membro dell’organizzazione sionista dell’Irgun fece esplodere una bomba nel mercato ortofrutticolo nei pressi della Porta di Damasco a Gerusalemme uccidendo decine di civili palestinesi e ferendone molti altri.
• MASSACRO DI HAIFA – 07/06/1938
I paramilitari sionisti dell’ Irgun collocarono due autobombe in un mercato di Haifa uccidendo 21 civili palestinesi e ferendone 52.
• MASSACRO DI GERUSALEMME – 13/07/1938
10 palestinesi uccisi e 31 feriti in una massiccia esplosione nel mercato ortofrutticolo arabo nella Città Vecchia di Gerusalemme.
• MASSACRO DI GERUSALEMME – 15/07/1938
Un membro dei paramilitari sionisti dell’Irgun lanciò una bomba a mano di fronte ad una moschea di Gerusalemme mentre i fedeli stavano camminando proprio lì fuori. 10 morti e 30 feriti.
• MASSACRO DI HAIFA – 25/07/1938
I paramilitari dell’Irgun collocarono n’autobomba in un mercato arabo di Haifa, uccidendo 35 civili palestinesi e ferendone 70.
• MASSACRO DI HAIFA – 26/07/1938
Un membro dell’ Irgun lanciò una bomba a mano in un mercato di Haifa uccidendo 47 civili palestinesi.
• MASSACRO DI GERUSALEMME – 26/08/1938
Un’autobomba collocata dai paramilitari sionisti dell’Irgun esplose in un mercato arabo di Gerusalemme, uccidendo 34 civili e ferendone 35.
• MASSACRO DI HAIFA – 27/03/1939
I paramilitari Irgun fatto esplodere due bombe a Haifa uccidendo 27 palestinesi e ferendone 39.
• MASSACRO DI HAIFA – 19/06/1939
Paramilitari sionisti lanciarono una bomba a mano in un mercato di Haifa uccidendo 9 palestinesi e ferendone 4.
• MASSACRO DI BALAD AL-SHAYKH – 06/12/1939
I paramilitari dell’Haganah fecero irruzione nella città di Balad al-Shaykh catturando 5 residenti che poi uccisero. La città di Balad al-Shaykh è una città palestinese situata a est di Haifa.
• MASSACRO DI SEMIRAMIS – 05/01/1942
L’ Haganah bombardò il Semiramis Hotel situato nel quartiere Katamon di Gerusalemme. L’hotel crollò sui suoi ospiti, tutti palestinesi, uccidendo 19 persone e ferendone più di 20.
• MASSACRO DEL KING DAVID – 22/07/0946
Una bomba esplode al King David Hotel di Gerusalemme, quartier generale dell’amministrazine civile e militare britannica. ì, uccidendo 91 persone : 28 britannici, 41 arabi, 17 ebrei e 5 persone di diversa nazionalità. L’attentato viene rivendicato dal Lehi, chiamato dagli inglesi “la banda Stern”, e dall’Irgun.
• MASSACRO DI AL ABBASIYAH – 13/12/1947
Un gruppo di membri dell’Irgun travestiti da soldati britannici attaccarono il villaggio di Al Abbasiyah e aprirono il fuoco contro i suoi abitanti seduti fuori ad un caffè del paese. Bombardarono anche alcune delle loro case e posizionarono diverse bombe ad orologeria. Inoltre, i soldati britannici circondarono il villaggio e permisero agli assassini di fuggire dalla parte settentrionale del villaggio. Uccisero 7 persone e ne ferirono gravemente altre 7, 2 delle quali morte in seguito. Tra essi, un bambino di 5 anni.
• MASSACRO DI AL-KHASAS – 18/12/1947
73 sionisti del kibbutz “Maayan Baruch” attaccarono e spararono contro 5 lavoratori palestinesi sulla strada per andare a lavorare. Durante l’attacco, uno dei sionisti fu accoltellato ed ucciso spingendo il comandante del terzo battaglione Palmach, Moshe Kelman, ad ordinare un’ operazione di rappresaglia durante la quale furono bruciate case ed uccisiuomini di Al-Khasas. La relazione del comandante sionista osserva che furono uccise 12 persone, tutti donne e bambini.
• MASSACRO DI GERUSALEMME – 29/12/1947
Paramilitari Irgun gettato un barile pieno di esplosivo vicino a Bab al-Amud (Porta di Damasco), a Gerusalemme, che ha provocato la morte di 14 palestinesi e il ferimento di 27 altri.
• MASSACRO DI GERUSALEMME – 30/12/1947
Paramilitari Irgun gettarono una bomba da un’auto in corsa uccidendo 11 palestinesi.
• MASSACRO DI BALAD AL-SHAYKH – 31/12/1947
Una forza congiunta del primo battaglione Palmach e una brigata guidata da Haim Avinoam attaccarono il villaggio di Al-Balad Shaykh uccidendo 60 civili, secondo fonti sioniste. Tra gli assassinati, bambini, donne e anziani. Decine di case furono distrutte.
• MASSACRO DI AL-SHEIKH BREAK – 31/12/1947
Gruppi paramilitari sionisti irruppero nel villaggio di Al-Sheikh Break, uccidendo 40 palestinesi.
• MASSACRO DI AL-SARAYA AL-ARABEYA – 08/01/1948
Paramilitari sionisti utilizzarono un’autobomba per uccidere 70 civili palestinesi e ferirne decine.
• MASSACRO DI RAMLA – 15/01/1948
I soldati del Palmach e dell’Haganah bombardarono uno dei quartieri arabi di Ramla.
• MASSACRO DI YAZUR – 22/01/1948
Yigael Yadin, un comandante dell’Haganah, ordinò al comandante del Palmach, Yigal Allon, di procedere ad una operazione contro il villaggio di Yazur. Un gruppo del Palmach attaccò un autobus nei pressi di Yazur, ferendo il conducente e diversi passeggeri palestinesi. Lo stesso giorno, un altro gruppo attaccò un altro autobus uccidendo e ferendo diverse persone. Questi attacchi da parte del Palmach e delle Brigate Givati sui villaggi palestinesi e le auto continuarono per 20 giorni consecutivi, mentre altre unità hanno fecero esplodere delle bombe nei pressi delle abitazioni del villaggio.
Poi i paramilitari dell’Haganah decisero di attaccare il villaggio e bombardare unaa fabbrica di ghiaccio insieme a due edifici intorno. Un gruppo dell’Haganah aprì il fuoco sulla fabbrica di ghiaccio nel villaggio, mentre altri gruppi spararono e lanciarono bombe a mano sulle case del villaggio. Inoltre, un gruppo ingegneristico bombardò l’edificio Askandroni, la fabbrica di ghiaccio, ed uccise 15 persone.
• MASSACRO DI SA’SA – 14/02/1948
Una forza del Palmach fece irruzione nel villaggio di Sa’sa distrusse 20 case abitate, uccidendo 60 abitanti del villaggio, la maggior parte dei quali erano donne e bambini.
• MASSACRO DI GERUSALEMME – 20/02/1948
La Banda Stern rubò un veicolo dell’esercito britannico, lo riempì di esplosivo, e lo collocò di fronte al palazzo di Al Salam a Gerusalemme. L’esplosione uccise 14 palestinesi e ne ferì 26.
• MASSACRO DI HAIFA – 20/02/1948
Paramilitari sionisti attaccarono i quartieri palestinesi a Haifa con colpi di mortaio uccidendo 6 persone e ferendone 36.
• MASSACRO DI AL-HUSAYNIYYA – 13/3/1948
Paramilitari dell’Haganah fecero irruzione nel villaggio di Al-Husayniyya, distruggendo case con esplosivo e uccidendo più di 30 famiglie.
• MASSACRO DI ABU KABIR – 31/3/1948
I paramilitari dell’ Haganah effettuarono un attacco armato contro il quartiere di Abu Kabir a Jaffa. Distrussero case e uccisero i residenti in fuga dalle loro case per cercare riparo.
• MASSACRO DEL TRENO CAIRO-HAIFA – 31/03/1948
La Banda Stern posozionò bombe su un treno Cairo-Haifa, uccidendo 40 persone e ferendone 60.
• MASSACRO DI RAMLA – 01/03/1948
Paramilitari sionisti pianificarono ed eseguirono questa strage nel marzo 1948 in un mercato nella città di Ramla, uccidendo 25 civili palestinesi.
• MASSACRO DI JAFFA – 01/04/1948
La Banda Stern lanciò una bomba in una piazza affollata a Jaffa, uccidendo 15 persone e ferendone 98.
• MASSACRO DI AL-SARAYA – 01/04/1948
Il 4 Gennaio 1948 i paramilitari sionisti dell’Irgun collocarono una macchina piena di esplosivo ad Al-Saraya, vicino a Jaffa, distruggendo tutto ciò che vi era intorno, uccidendo 30 palestinesi e ferendone molti altri.
• MASSACRO DI AYN AL-ZAYTOUN – 05/04/1948
Ayn al-Zaytoun era un villaggio palestinese alla periferia di Safed, la cui popolazione era di 820 persone. Lo scrittore ebreo, Netiva Ben-Yehuda, scrive nel suo libro “Through the Ropes Binding” circa la il massacro di Ayn al-Zaitoun : “il 3 o il 4 del 1948,furono sparati circa 39 prigionieri legati.”
• MASSACRO DI DEIR YASSIN – 09/04/1948
Un gruppo di 120 paramilitari sionisti dell’Irgun Zvai Leumi (Irgun) e del Lochamei Herut Yisrael (Lehi o Stern Gang) ataccò il villaggio di Deir Yassin, accompagnati da carri armati.
Circa 100-120 dei suoi abitanti, per la maggior parte donne e bambini, furono massacrati. Il villaggio era una città palestinese di circa 750 abitanti, situata ad ovest di Gerusalemme. Il “massacro” in realtà si verificò in tre fasi distinte.
La sera del 9 aprile, il capo dell’Irgun esagerò pubblicamente il bilancio delle vittime, al fine di terrorizzare gli arabi in Palestina. Si era vicini alla fine del Mandato Britannico e la lotta arabo-ebraica subiva un’ escalation. La cifra 254 è quasi certamente un’ esagerazione, ma non è un’esagerazione araba.
Le loro considerazioni erano di natura economica, ma a mano a mano che si discuteva dei piani di attacco, si discuteva se massacrare tutti gli abitanti del villaggio o solo i maschi e tutti gli altri oppositori. Lo scopo era quello di spaventare i residenti arabi della Palestina e di vendicarsi per gli attacchi e le atrocità perpetrate contro le precedenti forze ebraiche. Un ordine del Comandante-in-capo dell’Irgun, Menachem Begin, avrebbe detto loro di osservare la Convenzione di Ginevra. Se questo ordine sia stato preso sul serio o tralasciato, effettivamente non è chiaro. È chiaro che la sera prima dell’attacco alcuni parlavano di infliggere grandi perdite per inviare un messaggio di paura agli arabi di Palestina.
• MASSACRO DI NASIR AL-DIN – 13/04/1948
Un gruppo mascherato, formato da forze dell’ Irgun e dello Stern Gang fece irruzione nel villaggio di Nasir al-Din aprendo il fuoco sui suoi abitanti e uccidendo 50 persone. Il giorno precedente, sia Nasir al-Din che Al-Shaykh Qadumi erano stati attaccati e 12 persone erano state uccise.
• MASSACRO DI QALUNYA – 14/04/1948
Una forza del gruppo paramilitare sionista Palmach fece irruzione a Qalunya, bombardò diverse case e uccise 14 dei suoi residenti.
• MASSACRO DI TIBERIADE – 19/04/1948
Paramilitari sionisti hanno bombardato una casa a Tiberiade, uccidendo 14 dei suoi abitanti.
• MASSACRO DI HAIFA – 22/04/1948
Paramilitari sionisti attaccarono Haifa ed occuparono case. strade ed edifici pubblici, uccidendo 50 palestinesi e ferendone 200. I residenti furono colti di sorpresa, così portarono le loro donne ed i bambini al porto turistico per spostarli nella città di Akka. Durante il tragitto furono attaccati dai paramilitari sionisti che uccisero100 civili e ne ferirono 200.
• MASSACRO DI SAFED – 13/05/1948
L’Haganah fece strage di circa 70 giovani di Safed, ma non ci sono dettagli su questo massacro.
• MASSACRO DI ABU SHUSHA – 14/05/1948
Paramilitari sionisti commisero un brutto massacro nel villaggio di Abu Shusha, uccidendo circa 60 dei suoi residenti, tra cui uomini, donne, bambini e anziani. Il massacro si concluse con l’espulsione di tutti gli abitanti del villaggio dalle loro case, che furono poi gradualmente demolite.
• MASSACRO DI BEIT DARAS – 21/05/1948
Una forza sionista supportata da carri armati circondò il villaggio di Beit Daras e aprì il fuoco su esso. La gente del villaggio, compresa la tragicità della situazione, decise di resistere al fuoco e difendere le proprie case a tutti i costi, esortando le donne, i bambini e gli anziani a lasciare il villaggio per ridurre le perdite. Le donne, i bambini e gli anziani si stavano dirigendo verso la zona sud del paese, in periferia, dove si scontrarono con i sionisti, nonostante fossero indifesi. Molti di loro furono uccisi, e le forze diedero fuoco a molte case, bombardandone altre.
• MASSACRO DI AL-TANTURA – 22/05/1948
Questo massacro fu portato a termine dal terzo battaglione della Brigata Alexandroni e il piano sionista era quello di attaccare il villaggio da due lati, nord e sud. Una delle brigate bloccò la strada, mentre una barca bloccò il percorso via mare. Ogni unità attaccante aveva una guida del vicino insediamento di Zikhron Ya’akov, i cui residenti conoscevano il loro modo per circondare il paese, e la leadership della brigata mantenne un’unità di riserva per le emergenze. Al-Tantura non cominciò una battaglia con l’Haganah, ma rifiutò le loro condizioni, così gli aggressori portarono gli uomini al cimitero del villaggio, li misero in fila, e ne uccisero 200-250.
• MASSACRO DI HAIFA – 20/06/1948
78 palestinesi furono uccisi e 24 feriti da una bomba piazzata all’interno di una scatola di verdura in un mercato ortofrutticolo di Haifa. I paramilitari dell’Irgun e del Lehi furono i responsabili.
• MASSACRO DI GERUSALEMME – 01/07/1948
Paramilitari dell’Irgun lanciarono una bomba alla Porta di Giaffa a Gerusalemme, uccidendo 18 civili e ferendone altri 40.
• MASSACRO DI TABRA TULKAREM – 02/10/1948
Un gruppo di paramilitari sionisti fermò dei cittadini palestinesi dell villaggio di Tabra Tulkarem e sparò su di loro, uccidendo 7 persone e ferendone 5.
• MASSACRO DI HAIFA – 28/12/1948
Paramilitari sionisti del quartiere di Al-Hadar, situato nella parte superiore di Al-Abbas Street a Haifa, fecero rotolare giù un barile pieno di esplosivo distruggendo case e uccidendo 20 cittadini arabi, e ferendone 50
NOTA DELLA PAGINA : tra il 1939 ed il 1948 lo stato d’Israele non esisteva ancora. Esistevano, tuttavia, già bande armate di sionisti, che provvidero a cominciare la “pulizia etnica” della Palestina, supportati dall’esercito inglese, di stanza in Palestina grazie al mandato britannico. Ricordiamo che il sionismo è un’ideologia POLITICA, teorizzata da Theoror Herzl nel 1897, che sostiene il diritto degli ebrei di fondare uno stato ebraico, in Palestina o in Uganda.
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-72_anni_di_nakba_e_la_negazione_del_diritto_al_ritorno/13944_34952/
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