RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 4 MAGGIO 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
L’uomo è il rifugio più fragile dell’uomo
NICOLAS GOMEZ DAVILA, In margine a un testo implicito, Adelphi, 2001, pag. 71
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SOMMARIO
BORGHI: I PIANI A CUI SI APPOGGIA CONTE VENGONO DA LONTANO
SOGIN BATTA UN COLPO SU UN SERIO CAMBIAMENTO
Brumotti smantella gang di pusher africani. Radical chic: “Buttatelo in mare”
LE CASE DEL VATICANO POTREBBERO OSPITARE 200MILA ITALIANI POVERI
Bibbiano, orrore senza fine: “Il bambino lo mandiamo all’ex Br”
“Confini”: sugli scaffali un saggio controcorrente, che ci ricorda l’importanza del Limes
The Bush show: verità e bugie della guerra infinita
IL MIRACOLO PIÙ GRANDE? HEGEL LO HA SPIEGATO
Gli anglosionisti stanno lanciando una psyop contro la Cina
Coronavirus: Il grande insabbiamento della Cina
“Non siamo qui per chiudere Spread”: il Götterdämmerung di Madame Lagarde
La figura misteriosa di Piero Sraffa
I Vampiri del Risparmio. Come la BCE distrugge le nostre Banche.
Affideresti la tua vita ad un computer? No? E allora perchè lo fai con le tue polizze?
LA RESPONSABILITÀ CIVILE DA ILLECITO TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI
Coronavirus e mafia, ecco i boss straisti che usciranno dal carcere (?)
Giorgio Napolitano e la Trattativa Stato-Mafia
Magistrato: “Dovevo dirigere il DAP ma ministro cambiò idea: i boss non mi volevano”
GIGANTESCA RISSA TRA IMMIGRATI A TORINO: 10 VOLANTI PER FERMARLI
Campania, 20mila immigrati in arrivo. Lega: “Assumere gli italiani, giovani e disoccupati”
Pera: “L’UE? Una banca, una impresa di assicurazioni e un istituto dove prendere soldi ma nessuna identità”
Ritardi, omissioni, errori: così l’Oms ha favorito la diffusione del coronavirus
La pazienza è finita
PERCHE’ DI MAIO LODA LA CINA?
Il panopticon digitale ai tempi del coronavirus: il totalitarismo della società trasparente
Draghi, Croce al Merito in Germania: «L’euro “cuore” del progetto dell’Europa»
IN EVIDENZA
BORGHI: I PIANI A CUI SI APPOGGIA CONTE VENGONO DA LONTANO
Grazie ad Inriverente vi proponiamo un video MOLTO ESPLICATIVO di Claudio Borghi sul MES sulla sua evoluzione da EFSF, e come si sia evoluto da una sorta di fondo emergenziale, tanto per tirare avanti in una situazione in cui si era vietato di garantire i debiti di stato dei paesi europei, in uno strumento di oppressione. Inizialmente si era perfino pensato che il MES avrebbe potuto emettere gli Eurobond, ma, a causa dell’opposizione dei paesi nordici, questo non è mai successo. Tremonti ha affermato che la sua idea prevedeva un MES con gli eurobond, come confermano dallo stesso Tremonti.
Un video da sentire per sapere la verità
VIDEO QUI: https://youtu.be/8Jy83Pl4VzI
FONTE:https://scenarieconomici.it/borghi-i-piani-a-cui-si-appoggia-conte-vengono-da-lontano/
SOGIN BATTA UN COLPO SU UN SERIO CAMBIAMENTO
La vicenda delle spese per comunicazione effettuate dalla Sogin, la società nata per la dismissione degli impianti nucleari italiani, che ha anche il compito di individuare e costruire il Deposito nazionale dei rifiuti nucleari, in assenza, almeno per il momento, di risposte concrete da parte della società, lascia aperti molti interrogativi che vanno anche al di là di quanto finora sottolineato e chiesto di chiarire anche a livello istituzionale. Proviamo a riassumere in poche righe la vicenda, ad uso di coloro ai quali fosse sfuggito qualcosa. La vicenda parte nel triennio 2013 – 2016 (ma non si sa se abbia ancora oggi strascichi o se si stiano attuando comportamenti simili), quando qualcuno all’interno dell’amministrazione di allora decise soggettivamente, senza avere, a quanto risulta dall’analisi del Decreto legge 31/2010 e successive modifiche e integrazioni, il supporto di uno strumento di legge che lo consentisse o lo autorizzasse, di far partire un piano di comunicazione dedicato al Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi che, tuttavia, non è mai stato autorizzato dal governo.
In tale quadro, si sarebbero sostenute spese per viaggi ed eventi di varia natura, incluse ripetute e forse promiscue visite in depositi situati in luoghi ameni come l’Andalusia e la regione dello Champagne in Francia, spese che non hanno giustamente trovato poi copertura e conforto proprio nelle voci dedicate al Deposito Nazionale, da parte dell’Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente) che finanzia la Sogin attraverso la bolletta elettrica che noi italiani paghiamo. Per maggior scrupolo di informazione tutto questo è perfettamente riscontrabile nei bilanci di esercizio e nel Bilancio di Sostenibilità della Sogin. Nonostante questo, la cosa per il momento non era ancora emersa.
Sarà la riservatezza, o forse una distrazione generale, oppure la complessità dell’azienda e del settore ad aver favorito l’immersione di questi fatti, che tuttavia riemergono a distanza, come un flusso carsico, in modo quasi inevitabile, quasi volessero rappresentare un monito a futura memoria anche per le gestioni presenti e future. La complessità del settore è senz’altro un fattore importante, ma lo è nel bene e nel male. Nel bene perché il sistema di decommissioning (lo smantellamento degli impianti nucleari) italiano è molto serio e probabilmente più accurato quanto a verifiche e controlli rispetto ad altri stati esteri. Nel male perché tale complessità può diventare, come spesso accade quando le burocrazie, anche quelle costruite internamente, sono troppo complicate o articolate, dominio di pochi che sui meandri delle procedure e, soprattutto, delle relazioni che tali procedure implicano, possono costruire carriere, rapporti ad uso privato, domini esclusivi per rendere sé stessi indispensabili e inamovibili e pazienza se magari i lavori rallentano o si fermano e se all’azienda non vengono riconosciuti oneri e costi che, in condizioni normali e con la corretta osservanza delle norme sarebbero stati riconosciuti, tanto è tutto così complicato che figuriamoci se qualcuno se ne accorgerà.
Il riconoscimento dei costi alla Sogin avviene attraverso un sistema di premi (e penalità, aggiunte dopo) curato dalla succitata Arera, che semplificando è basato sugli stati di avanzamento delle commesse legate allo smantellamento e alla costruzione del Deposito unico nazionale. Il tutto deve essere fatto a norma delle indicazioni tecniche della Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione), istituzione cronicamente sottodimensionata. A questo si aggiungono tutte le procedure legate al Codice Appalti, oltre a tutti gli strati autorizzativi regionali, comunali e quant’altro. Insomma una vera e propria giungla normativa e burocratica. Intendiamoci, non tutti i ritardi di queste commesse sono da ascrivere all’azienda, anzi nel caso del Deposito nazionale, infatti, sono stati i governi che si sono succeduti a non decidere, proprio la mancanza di tale decisione, sul Deposito Nazionale, impediva di procedere con il faraonico piano di comunicazione effettuato da Sogin nel 2015, che comunque, come da bilancio di esercizio e di sostenibilità, invece s’è fatto.
Allora vengono in mente altre domande, che vanno oltre il coinvolgimento dell’allora presidente e dell’attuale direttore delle relazioni esterne, fatto di facile deduzione o intuizione e comunque da precisare meglio nei suoi contenuti, e anche nei suoi gradi di gravità, da parte dell’azienda o da chi eventualmente farà le dovute verifiche. Un’azienda così complicata, in un settore così articolato, ha certamente funzioni organizzative dedicate a fornire informazioni a tutte le entità esterne coinvolte che, nel caso di specie, oltre alle citate Arera e Isin, erano anche i ministeri dello sviluppo economico, dell’ambiente, dell’università e della ricerca, oltre all’azionista ministero dell’Economia.
Guardando la struttura organizzativa dell’epoca (fonte, bilancio di esercizio 2015), se ne trovano almeno quattro: una è la citata direzione Relazioni Esterne, la seconda è la Divisione deposito nazionale e Parco tecnologico che, tuttavia, da un’analisi più approfondita sul sito della Sogin, sembra avere una funzione meramente tecnica, la terza è la funzione pianificazione e controllo che, citando il bilancio, è stata “scorporata nel corso del 2014 dalla Divisione corporate e posta a diretto riporto dell’amministratore delegato – al fine di garantire un monitoraggio puntuale dell’avanzamento economico delle attività Sogin con particolare riferimento al Decomissioning, garantendo inoltre un controllo puntuale dei dati di preventivo e consuntivo oggetto di reporting all’Autorità per l’energia elettrica e il gas”, e l’ultima è la Divisione regolatorio, il cui responsabile all’ora fino a giungere ai giorni nostri è rimasto invariato (non più “divisione” ma funzione di primo livello), con la seguente declaratoria: “Gestisce i processi di permitting ambientale, licensing e i rapporti con gli organismi di regolazione, in particolare l’Arera, presidiando e monitorando i processi connessi al sistema regolatorio del decommissioning” (fonte, sito Sogin).
Appare chiaro che qualcosa dev’essere andato storto, se nessuna delle funzioni indicate sopra, ma in particolare la Divisione Regolatorio, non si fosse accorta che si stavano mettendo in essere attività non dovute, non opportune ed es responsabile tremamente care. Possibile che il responsabile in tale incarico di Sogin nei confronti di Arera fosse così distratto da non accorgersi preventivamente che si stavano avviando attività che l’Autorità non avrebbe mai e poi mai riconosciuto? Possibile che, sempre il responsabile della Divisione Regolatorio, non abbia mai sollevato un’osservazione, un problema, un dubbio? Se le cose stessero davvero così, come sarebbe da catalogare un tale comportamento? Si sta parlando di una cifra che, bene che vada, balla fra 3,2 e 4,1 milioni di euro. Possibile che sfugga? Possibile che nessuno, anche in sede di programmazione o reporting, non abbia notato questa anomalia? Possibile che nessuno l’abbia segnalata al Cda o a chi in tale Consiglio ci doveva andare, per prendere una decisione, per votare? Oppure si tratta di fatti che rimangono in circoli ristretti, di amici veri o occasionali (o congiunti), che vengono infiocchettati per l’esterno in modo da renderli accettabili o normali.
Diciamo che fin qui sembra la trama di una storia di presunta mancanza di oculatezza e di sperpero di denaro pubblico, in cui si fa fatica a capire quanto la bilancia si debba posare su una presumibile superficialità, quanto sull’inerzia, su spese inutili o altro. Certo è che il settore, la materia trattata, i pericoli, sono così seri che l’azienda che gestisce tutto questo non può continuare sulla stessa linea compiendo scelte che vanno nella stessa direzione del passato. È solo una questione di buon senso, ci vuole semplice e banale buon senso, altrimenti ciò che emergerà e che la bilancia si poserà, volutamente, sull’inerzia, sulla mancanza di volontà per un vero e serio cambiamento. Se nei fatti tutto questo non accadrà, agli occhi dell’opinione pubblica e anche a quelli dei lavoratori dell’azienda stessa, sarà d’obbligo dedurre che chi ne risponderà non sarà solo una passata gestione, ma anche quella presente.
Brumotti smantella gang di pusher africani. Radical chic: “Buttatelo in mare”
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
LE CASE DEL VATICANO POTREBBERO OSPITARE 200MILA ITALIANI POVERI
Un universo dietro al quale c’è solo il Vaticano, che come una holding controlla una galassia di satelliti fatta di congregazioni, ordini religiosi, confraternite sparse ovunque nel mondo che, direttamente o attraverso decine di migliaia di enti morali (ma poco morali), fondazioni e società, possiedono e gestiscono imperi immobiliari immensi che nessuno forse è in grado di stimare con precisione.
Fini commerciali – Oltre a chiese, sedi parrocchiali, case generalizie, istituti religiosi, missioni, monasteri, case di riposo, seminari, ospedali, conventi, ospizi, orfanotrofi, asili, scuole e università infatti, la Chiesa SPA controlla anche fabbricati sedi di alberghi e strutture di ospitalità per turisti e pellegrini e tante, tantissime abitazioni civili in affitto. O sfitte.
Secondo il gruppo Re, che da sempre fornisce consulenze a suore e frati nel mattone, circa il 20% del patrimonio immobiliare in Italia è in mano alla Chiesa.
Un dato quasi in linea con una storica inchiesta che Paolo Ojetti pubblicò sull’Europeo nel lontano 1977 dove riuscì per la prima volta a calcolare che un quarto della città di Roma era di proprietà della Chiesa.
Un patrimonio immenso che però non si ferma appunto alla sola capitale dove ci sono circa 10mila testamenti l’anno a favore del clero e dove i soli appartamenti gestiti da Propaganda Fide – finita nel ciclone di alcune indagini per la gestione disinvolta di alcuni appartamenti – valgono 9 miliardi. La Curia vanta possedimenti importanti un po’ ovunque in Italia e concentrati, tra l’altro, in Veneto e Lombardia.
Quindi se oggi il valore del patrimonio immobiliare italiano supera quota 6.400 miliardi di euro, il valore in mano alla Chiesa si aggiri perlomeno intorno ai mille miliardi (circa il 15%). Se a questa ricchezza detenuta in Italia – dove pesa l’eredità di un potere temporale durato per quasi duemila anni – si aggiunge il patrimonio posseduto all’estero fatto di circa 700mila complessi immobiliari tra parrocchie, scuole e strutture di assistenza la stima, anche stavolta più che prudenziale, può raddoppiare almeno a 2mila miliardi. Numeri, questi, che nessuno conferma dall’interno della Chiesa perché per molti neanche esiste una stima ufficiosa. Ma da ambienti finanziari interpellati la cifra sembra apparire congrua. Cifra a cui si devono aggiungere, tra l’altro, investimenti e depositi bancari di ogni tipo.
Quindi, in Italia, escluse le strutture religiose o comunque adibite all’ospitalità del clero, parliamo di migliaia di abitazioni. Molte in affitto, ma molte altre sfitte:
Sfitte sì. Ma in attesa dei ‘profughi’ che arrivano in Italia coi corridoi umanitari e mantenuti con i soldi dell’8 per mille. Come Alì:
In tutta Italia si contano circa 3.300 case per ferie gestite dalla Chiesa, con un giro d’affari annuo stimato in 4,5 miliardi, e 200 mila posti letto.
Ecco, potremmo iniziare da qui: un bell’esproprio ‘populista’. Nazionalizzare il patrimonio immobiliare della Chiesa SPA non adibito al clero. Ci sono 3.300 case da distribuire a senzatetto italiani.
Lo vorrebbe anche Gesù, è scritto nel Vangelo “beati i poveri”. Non è vero, Bergoglio? Inizia a razzolare quello che predichi, fariseo.
Ps. Avendo così tanti posti letto da riempire, non sorprende fossero un tantino incazzati con Salvini e ora siano così tanto culo e tonaca con l’abusivo Conte:
FONTE:https://voxnews.info/2020/05/04/le-case-del-vaticano-potrebbero-ospitare-200mila-italiani-poveri/
BELPAESE DA SALVARE
Bibbiano, orrore senza fine: “Il bambino lo mandiamo all’ex Br”
Orrori a Bibbiano, chi è l’ex brigatista?
Il Resto del Carlino fa notare che i messaggi via chat estrapolati dai telefoni cellulari sequestrati agli indagati sono tantissimi e stanno dando vita a nuovi filoni di indagine ancora da sviluppare. Chi è l’ex Br a cui psicologa e dirigente dei servizi sociali volevano affidare un bambino? Al momento non si sa, non ci sono riscontri precisi, ma la vicenda potrebbe presto essere chiarito in seguito agli accertamenti del caso. Sta di fatto che Anghinolfi faceva riferimento a lui e non solo, stando a quanto emerso puntava anche a privilegiare l’assunzione di assistenti sociali vittime di abusi. “Cosa ne dici – domandava il dirigente – se nel titolo mettiamo ad esempio… assistente sociale di 35 anni abusata sessualmente dallo zio in età infantile, i genitori non le hanno creduto… si trova a lavorare su una segnalazione informale di una insegnante che le riferisce che una bimba le ha confidato” di aver subito un abuso. Pronta la risposta: “Mi sa molto hard… in due ore non ce la si fa (…) Tu vuoi infilare la parte psicologica personale dentro la professione. (…) Ma secondo me dovremmo metterla giù diversa”.
Un giudice “tonto”
I messaggi via chat però, come detto sopra, sono molti e variegati. Ad esempio le due indagate citano anche un magistrato, parlandone così: “E’ molto tonto. Non intende. Forse una spiegazione tecnica sarebbe auspicabile. Sai tipo quelle relazioni da ctu”, scrive Anghinolfi. Poi emerge di nuovo la convinzione dell’esistenza di una setta di pedofili attiva in Val d’Enza: “Fuori tutto si sta sgretolando per lasciare spazio alla nuova luce che dentro e fuori di noi già si intravede”, scrive sempre Anghinolfi, in questo caso a una dirigente del Comune di Bibbiano. “Affinché tutto questo non crei problemi bisogna assolutamente andare a scuola di silenzio e di stand by… permettete alla vostra terra interna di accogliere il fuoco della trasformazione nella calma più totale… (…) Ho interrotto il mio silenzio perché mi sembrava giusto informarvi dell’ingresso della terra yin cosa che ho sempre fatto…”.
Il sistema Bibbiano
Nonostante quanto emerso dalle indagini, la sinistra continua a ripetere che non esiste un sistema Bibbiano. Peccato che, stando alle intercettazioni riportate su La Verità da Francesco Borgonovo, siano proprio gli assistenti sociali della Val d’Enza a confermarlo. Le operatrici dei servizi parlano infatti tra loro del modo in cui Federica Anghinolfi e Francesco Monopoli, conducono il lavoro. “Hanno messo in piedi un sistema che per cambiare dovrà esplodere e lasciare morti e feriti sulla strada. La Federica per prima, ma subito dopo ci siamo noi”, dice un’assistente. Capito? Si parla esattamente di “sistema”. Una collega poi aggiunge: “Si è alimentata un’idea onnipotente del nostro servizio e questa cosa ha coperto tanti ragionamenti, anche a me per prima”. E ancora “Il fatto che non si venga mai ascoltati quando si dice di tirare il freno, venendo etichettati come negazionisti, è una manipolazione terribile”. Insomma, chi cercava di contrastare certi metodi veniva a sua volta incolpato di nefandezze. “Che si sia dato fastidio a qualcuno è indubbio con tutti questi allontanamenti”, fa notare un’assistente sociale.
Alessandro Della Guglia
FONTE:https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/bibbiano-orrore-bambino-mandiamo-ex-br-145623/?fbclid=IwAR3OzE4IzSVNmpyTPuTXh0eiSVnX5mqQDEiuBOSRDxHhaUfmhiG-ImSsCuI
CONFLITTI GEOPOLITICI
“Confini”: sugli scaffali un saggio controcorrente, che ci ricorda l’importanza del Limes
Viviamo nell’epoca dello sconfinamento e della dismisura. Se ne era accorto Olivier Rey, che al tema aveva dedicato un profondissimo saggio, capace di riassumere tutte le più evidenti manifestazione di questa tendenza al superamento dei limiti. Ci ha riprovato – in una diversa prospettiva – il giovane Fausto Andrea Marconi, che propone un lavoro coraggioso e “politicamente scorretto”, edito da “Passaggio al Bosco” e collocabile nel campo identitario.
Ha ancora senso, al tempo dello sradicamento globale, rimarcare l’importanza dei confini? La risposta è fin troppo scontata: le Comunità – nelle loro emanazioni popolari, nazionali o statuali – esistono in virtù di un centro che si pone in rapporto con una circonferenza, la quale esiste per rimarcare una diversità ed una alterità, tracciando una linea di demarcazione tra un Noi e un Loro.
Il mondo globale – con il suo soft power cosmopolita e livellatore – tende ad imporre una reductio ad unum dell’esistente: è il progetto mondialista della “società aperta”, dove le specificità sono soffocate nel mare magnum dell’indistinto e del ripetibile. In tal senso, il confine rappresenta un argine simbolico e fisico al “villaggio globale”, ribadendo l’esistenza di entità reali, fondate sulla permanenza di una sovranità e di un retaggio, in ordine con una storia, una cultura e una tradizione. Un riferimento assai attuale, sopratutto alla luce della fatale esposizione europea ai flussi migratori: i rischi insiti nell’ibridazione forzata – ampiamente dimostrati dalle ataviche instabilità delle società multietniche – saranno il banco di prova del prossimo decennio, che dovrà misurarsi con lo strapotere della finanza apolide e con il primato di un mercato che tenderà a trasferire nel campo umano quella mobilità perpetua che ha già imposto alle merci.
Ma l’autore va oltre, tracciando una vera e propria “storia del confine”: dalle prime forme di vita stanziale alle prime narrazioni del Mito; dalla costruzione dell’Urbe al Limes romano; dalle prospettive imperiali ai castelli del Medio Evo; dalla muraglia cinese alle Città-Stato di ogni epoca; dalla “cortina di ferro” alle recenti barriere anti-migratorie. i corsi e i ricorsi dell’umanità – da Roma a Schengen – sono passati in rassegna con l’appassionante scorrevolezza di un viaggio nella storia.
Il messaggio conclusivo, infine, è attuale e profondo allo stesso tempo, sublimando le funzioni orizzontali e verticali del Confine: importante – senza dubbio – è la sua capacità di tenuta rispetto alla disgregazione delle pratiche “no borders”; essenziale – però – resta la sua interpretazione interiore, da intendersi nella più profonda volontà di mantenere intatta quella “cittadella dell’anima” che rappresenta il metro e la misura di ogni Civiltà. Un richiamo a quell’Ordine – più alto e più nobile – che si impone quale linea di vetta spirituale e sacrale di una degna esistenza.
Un testo prezioso, che tratta un tema totale e complesso con la semplicità e la chiarezza di chi conosce la Via da percorrere: una riflessione – dunque – ma anche un monito alla tutela delle nostre identità. Tutte, ma ciascuna nel suo spazio. Solo così – nel rispetto delle differenze, degli equilibri e delle specificità – sarà possibile arginare il dilagare del caos.
FONTE:https://loccidentale.it/confini-sugli-scaffali-un-saggio-controcorrente-che-ci-ricorda-limportanza-del-limes/
The Bush show: verità e bugie della guerra infinita
Edito da Nuovi Mondi Media, San Lazzaro di Savena, 2003
194 pagine, € 11,00
ISBN 8890063068
di Giulio Fossà
“Il sistema economico degli Stati Uniti, che è il sistema economico
prevalente nel mondo, sta inventando questa guerra necessaria, sta
inventando questo pericolo terribile dell’Iraq, che in realtà fa ridere, non
esiste. Si è riusciti – e credo che sia l’esempio massimo della
disinformazia – a dimostrare che un paese, che non ha la bomba atomica, fa
paura a un paese che ha mille bombe e missili atomici.”
GIORGIO BOCCA
“I leader del moderno imperialismo sanno che prima di poter attaccare altri
paesi devono fare il lavaggio del cervello ai loro popoli, perchè ne hanno
paura. I giornalisti svolgono un ruolo chiave in questo senso. Non sono
realmente dei giornalisti.”
JOHN PILGER
“Ho il legittimo sospetto che la grande stampa sia collusa e partecipi come
parte a questa campagna politico militare.”
ENNIO REMONDINO
“I media ufficiali sono ormai diventati gli stenografi del Pentagono.
Prendiamo la NBC, il più grande network televisivo commerciale. Che cosa è
la NBC? La General Electric! E chi è la General Electric? Il più grande
produttore di armi del mondo! Pensate che la General Electric voglia la
guerra o la pace? Vogliono vendere i loro armamenti o no?”
DENNIS BERNSTEIN
“L’amministrazione Bush sta portando un attacco contro la gente e le future
generazioni nell’interesse di ristretti settori ricchi e potenti. In queste
circostanze è opportuno sviare l’attenzione dalla sanità, dalla sicurezza
sociale, dai debiti, dalla distruzione dell’ambiente e da una lunga lista di
sgraditi problemi. Lo stratagemma è quello di far paura alla gente. Come ha
scritto il grande satirico americano H.L.Mencken: “L’autentico obiettivo
della politica reale è tenere il pubblico in allarme (e quindi farlo
rumoreggiare per essere condotto alla salvezza), minacciandolo con serie
infinite di spauracchi tutti immaginari”
NOAM CHOMSKY
CULTURA
IL MIRACOLO PIÙ GRANDE? HEGEL LO HA SPIEGATO
Hippolyte Taine definì l’opera di Georg Wilhelm Friedrich Hegel come “un grande modello ligneo di una cattedrale che più tardi ci si sarebbe sforzati di costruire in pietra”. Nonostante i tentativi abbozzati per realizzare un simile progetto, la maggior parte degli epigoni di Hegel non lo ha però mai intrapreso con sufficiente decisione. Inoltre, nel corso degli anni la schiera dei suoi detrattori non si è affatto assottigliata. Anche se dalla riflessione hegeliana hanno tratto spunto – quando non il principale nutrimento – scuole filosofiche e discipline teoriche eterogenee e spesso discordanti, si ha l’impressione che in molti abbiano condiviso l’opinione di Karl Popper secondo cui Hegel, seguendo una logica arcaica e prescientifica, “estrae conigli fisici da cilindri metafisici”.
In effetti, l’opera hegeliana ha permeato il pensiero otto-novecentesco in un modo diverso da come hanno potuto influenzarlo altri “classici” della filosofia: non ha dato vita a correnti di pensiero tra loro parallele o congruenti, come è avvenuto per René Descartes, Immanuel Kant o Karl Marx, ma ha invece costituito un importante punto di riferimento per prospettive speculative tra loro anche molto diverse. Ciò è abbastanza evidente, in particolare, per il secolo che si è da poco concluso. Basti pensare per esempio all’influenza avuta dal pensiero hegeliano sulla storia del marxismo e sulla psicoanalisi, sull’esistenzialismo sartriano e jaspersiano, sulla teologia protestante e, in genere, sulle varie forme di “storicismo”.
Un’efficacia tanto polivalente potrebbe essere interpretata come una prova del successo del suo progetto filosofico, che s’imperniava sulla convinzione di poter legittimare scientificamente la funzione conoscitiva di una nuova metafisica razionale. Infatti, se le categorie ontologiche e spirituali individuate da Hegel hanno potuto condizionare tanta parte del pensiero successivo e ispirare teorie tanto diverse, ciò significa probabilmente che esse sono riuscite ad andare oltre i presupposti filosofici propri dei singoli ambiti scientifici e a cogliere “regressivamente” – com’era nelle intenzioni di Hegel fin dai tempi della Fenomenologia dello spirito – le dinamiche conoscitive più profonde nei loro lineamenti più evidenti e, proprio per questo, meno facilmente riconoscibili.
D’altra parte, la lista dei suoi confutatori durante gli ultimi due secoli non è meno eterogenea di quella dei suoi estimatori, e ciò potrebbe invalidare la precedente conclusione circa il successo della sua rifondazione della metafisica. Dopo Schopenhauer – che considerava Hegel “un maestro di ciarlataneria” – e Friedrich Nietzsche – che parlava dell’hegelismo come di una “malattia intellettuale” – nel nostro secolo si è assistito ad una serie di prese di posizioni riconducibili in prevalenza a prospettive neoempiriste o neokantiane. Nelle aspre valutazioni critiche di Russell, dei neopositivisti o di Popper, si evidenzia infatti una idiosincrasia per la filosofia di Hegel che lascia intravedere dei fraintendimenti tanto puntigliosi quanto virtualmente chiarificatori. Tali fraintendimenti, tuttavia, hanno la loro origine in concezioni che, proprio in quanto neoempiriste o neokantiane, risalgono a quelle stesse dicotomizzazioni metafisiche che Hegel aveva inteso superare e, pertanto, essi testimoniano che un simile preteso superamento è perlomeno problematico.
Il fattore che, più di ogni altro, ha contribuito a rendere, grosso modo fino agli ultimi trent’anni del Novecento, reciprocamente sorde le opposte fazioni dei neo e degli anti-hegeliani viene comunemente designato con il nome di “dialettica”. Purtroppo per i seguaci di Hegel, i denigratori del loro maestro non erano soliti sorvolare sulle ambiguità non risolte dei suoi testi e non tendevano a considerarle inevitabili conseguenze della loro ricchezza. Inoltre, replicando alle loro obiezioni con argomentazioni evasive o liquidatorie, i seguaci di Hegel hanno a lungo continuato a produrre controasserzioni hegelo-mimetiche dialogicamente poco efficaci, che non hanno certo contribuito ad arricchire l’hegelismo di nuovi sviluppi chiarificatori. Solo negli ultimi decenni gli estimatori e i critici di Hegel sembrano aver trovato un linguaggio comune: il dibattito intorno alla sua opera ha infatti fornito preziosi lumi intorno a ciò che debba intendersi in essa per “Contraddizione” (Widerspruch) e oggi, grazie anche ad alcuni studiosi italiani come Sergio Landucci, Francesco Berto, Diego Marconi, – tanto per citare solo alcuni dei più noti – anche la comprensione della “logica” hegeliana pare aver compiuto qualche decisivo passo avanti.
Nel tentativo di riassumere, per chi non ha ancora provato a leggere le sue opere, la complessità del pensiero hegeliano, la sua straordinaria articolazione interna e la sua capacità di cogliere il nesso profondo tra conoscenza e realtà potremmo citare una delle sue sentenze più famose: “tutto ciò che è razionale è reale, tutto ciò che è reale è razionale”. Una stessa legge dialettica regola per Hegel il processo che conduce l’essere dalla potenza all’atto e il processo conoscitivo che tale processo comprende e rivela. Nella natura così come nella storia, e in quella dello “spirito” in particolare, si può conoscere solo quanto asseconda e rivela leggi razionali, e ciò è tutto quanto ha senso voler comprendere. Albert Einstein disse una volta che il “miracolo più grande” era che il mondo fosse conoscibile; ma Hegel aveva già spiegato, oltre un secolo prima, che si trattava di un miracolo spiegabile razionalmente ricorrendo alla sua filosofia.
FONTE:http://opinione.it/cultura/2020/04/28/gustavo-micheletti_taine-hegel-descartes-popper-kant-marx-nietzsche-landucci-berto-marconi-einstein-cilindri-metafisici/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Gli anglosionisti stanno lanciando una psyop contro la Cina
Forse la narrazione “è stata la Russia” stava diventando stantia. O forse i leader dell’Impero hanno finalmente capito che la Cina è persino più pericolosa per l’Impero che non la Russia. Ma il mio istinto mi dice semplicemente che gli Anglosionisti stanno perdendo le staffe per aver perso la faccia “ad ampio spettro” a causa della loro enorme cattiva gestione (medica e, ancora di più, politica) di questa crisi socio-economica indotta dalla pandemia, e ora stanno puntando il dito praticamente contro tutti (inclusi loro stessi).
La Russia ha avuto un ruolo cruciale, poiché è stato a partire dalla guerra di informazione contro la Russia che i leader dell’Impero si sono inventati ciò che ora io chiamo le “regole di prova stile Skripal” cioè l’“altamente probabile”. Avendolo tutti gli Europei accettato in maniera servile in nome della “solidarietà” (solidarietà con cosa esattamente, viene raramente specificato), questo principio era, diciamo, “ingenuamente ragionevole” e avrebbe funzionato anche questa volta. Di nuovo, personalmente non ne sono così sicuro. Molto è cambiato negli ultimi due anni: non solo alla fine gli Europei hanno scoperto quanto fosse totalmente stupida e incredibile l’intera favola Skripal, ma il livello di disgusto e anche di odio verso Trump e gli Stati Uniti è improvvisamente aumentato. Inoltre, la Cina ha molto di più da offrire all’Europa, rispetto agli Stati (dis)Uniti in via di disgregazione: quindi, perché stare dalla parte dei perdenti? Ultimo ma sicuramente non meno importante, gli Europei scopriranno (e alcuni lo hanno già fatto) che agli Stati Uniti non gliene frega un accidente non solo dei normali Europei, ma nemmeno delle classi dirigenti europee.
[Inciso: un rapido studio della storia dimostra che quando le elite sfruttatrici stanno andando alla grande, tutte queste si sostengono fedelmente a vicenda; quando però le cose cominciano ad andare male, immediatamente si voltano le spalle. Il migliore e recente esempio di questo fenomeno è lo scisma delle elite governanti degli Stati Uniti, che, a partire dalle elezioni di Trump, si sono immediatamente voltate le spalle, e ora stanno combattendo ferocemente come “ragni in una lattina” (per usare una espressione russa). Infatti, è così vero che può essere usato persino come strumento diagnostico molto affidabile: quando i tuoi nemici sono tutti uniti, allora sono probabilmente fiduciosi della loro vittoria ma, appena si voltano le spalle, tu sai che le cose stanno andando molto male per i tuoi avversari. Allo stesso modo, ora vediamo come i cittadini dell’Europa meridionale si stiano davvero arrabbiando con il loro “alleati” europei del nord (Macron sembra eseguire gli ordini di Trump [in inglese] anche se usa un linguaggio più attento e diplomatico). Infine, il modo in cui la CIA ha una sua politica estera, il Pentagono un’altra e il Dipartimento di Stato la sua (anche se limitata alle sanzioni e alle accuse) dice praticamente tutto quello che serve sapere per vedere quanto sia diventata profonda la crisi sistemica dell’Impero]
Mentre sono rimaste pochissime persone realmente intelligenti all’interno del Governo americano, ci sono ancora molti “intelligenti in posizione orizzontale”, e non gli è servito tanto tempo per scoprire che questa pandemia gli ha dato un’occasione d’oro per bloccare tutti i fallimenti e gli sbagli fatti con la Cina. Gli elementi? Davvero semplice :
- Negli Stati Uniti la propaganda anti-cinese ha una lunga storia [in inglese] ed era davvero facile ravvivarla.
- La maggior parte degli Americani ha una reazione completamente irrazionale alla parola “comunista”, quindi è davvero facile per qualsiasi uscita di propaganda americana menzionare nella stessa frase Partito Comunista Cinese e “bugie” e risultare credibile, indipendentemente da qualsiasi altra cosa sia affermata nella frase (come, diciamo, una prova concreta).
- La plutocrazia americana è terrorizzata dal potere economico e industriale della Cina, da cui la diffamazione verso aziende come Huawei o DJI, che vengono dichiarate essere una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti. Date la colpa di tutto ai Cinesi, e gli oligarchi americani lo adoreranno!
- Cina e Russia hanno una relazione che è anche più profonda di qualsiasi alleanza. Io la chiamo “simbiosi”, la Cina invece parla di “Partnership globale strategica per il coordinamento della nuova era”, mentre la Russia la definisce “alleanza fondamentale”. Qui le parole non contano affatto, ciò che importa è che Russia e Cina stanno insieme (che è ciò che intendono con “coordinamento”) contro l’Impero, e che siano completamente falliti i tentativi americani (effettivamente pochi e maldestri) di spezzare questa alleanza.
- Come per ogni nuova pandemia, la Cina ha impiegato del tempo per capire la natura di ciò che stava succedendo, ed è stato estremamente facile accusarla di un occultamento deliberato (mentre dire che la Cina ha informato il mondo già il 31 dicembre viene ovviamente omesso, così come la presenza di una delegazione multinazionale dell’OMS per indagare sul tema). In realtà, si potrebbe accusare la Cina di essere troppo aperta, permettendo la diffusione di varie stime e ipotesi anche prima che il Governo cinese avesse stabilito tutti i fatti. E’ un caso perfetto di “come fai, sbagli”.
- La cultura politica americana è: il 99.99% di tutti gli Americani crederà letteralmente ad OGNI bugia, non importa quanto sia evidentemente stupida, riguardo al resto del mondo, piuttosto che accettare una qualche verità spiacevole sugli Stati Uniti. Quindi dare la colpa ad un’altra potenza, specialmente se comunista, ottiene un riflesso condizionato di approvazione da parte della stragrande maggioranza degli Americani.
- Quando l’OMS non ha creduto alla propaganda americana, è stata una grande mossa da parte di Trump togliergli i finanziamenti. Non solo gli Stati Uniti dovevano ancora all’Organizzazione Mondiale della Sanità milioni di dollari (50 o 200 a seconda delle fonti), quindi il facile pretesto per non pagare è stato accusarla di essere pro-Cina. E’ ovvio che per Trump le Nazioni Unite sono inutili, se non come capro espiatorio, e questo è stato il modo perfetto per prenderlo di nuovo di mira.
- Come per qualsiasi evento spaventoso, ha preso il via un vero tsunami di voci completamente infondate e assolutamente sciocche, non appena è stato chiaro che questo era un evento importante e tutta la macchina della propaganda americana stava “solo facendo la cronaca” piuttosto che inventare delle storie.
- Anche la Cina è una grande minaccia per gli interessi americani in Asia, e questa pandemia ha fornito un’opportunità perfetta per gli Stati Uniti di presentare rapporti di Taiwan come rapporti della Cina (che è un vecchio trucco). Per quanto riguarda il Governo di Taiwan, questo è stato più che contento di trovare ancora un altro pretesto per odiare la Cina, e anche qui nulla di nuovo.
- Alla fine, gli economisti americani non ci hanno messo molto a scoprire che questa pandemia avrebbe avuto un effetto devastante sulla “migliore economia nella storia della galassia”, quindi dare preventivamente la colpa di tutto alla Cina è il modo perfetto per Trump e i suoi padroni neoconservatori di sviare la colpa da loro stessi.
Le storie che sono state quindi inventate, sono state tutte magnifiche. Qui di seguito alcune delle mie preferite:
- L’FBI dice che degli Stati stranieri hanno hackerato i centri di ricerca americani per fare delle scoperte sul Covid-19 [in inglese] (sebbene questo articolo punti il dito sull’Iran e non sulla Russia o sulla Cina, imposta molto bene il tono del “siamo sotto attacco”: notate che il plurale di “Stati stranieri”).
- Gli Stati Uniti lanciano una “indagine su vasta scala” nel laboratorio di Wuhan [in inglese]
- Uno studio ha provato che il coronavirus è stato una creazione umana, come dichiarato dal francese vincitore del Premio Nobel per la medicina? [in francese] (eccellente mossa, dà autorevolezza alla questione grazie alla citazione di una celebrità, non importa che ci siano voci molto più credibili che dicono che questa teoria è una fesseria).
Ce ne sono molte altre, e sono sicuro che le avete viste anche voi.
Alla fine e inevitabilmente, questa strategica psyop ha alzato la posta e FOXnews (logicamente) ha trasmesso questo vero capolavoro: “Senatore Hawley: le vittime del coronavirus devono denunciare il Partito Comunista Cinese” [in inglese]. E’ geniale davvero. “Ho perso il lavoro, che siano i comunisti cinesi a indennizzarmi” è musica per le orecchie della maggior parte degli Americani.
In questo momento, quasi tutte le dichiarazioni americane sono semplicemente delle bugie [in inglese] ma appena la Cina, con il tempo, alla fine rilascerà informazioni più corrette e precise, questi dati corretti/aggiornati saranno immediatamente interpretati come la prova che inizialmente i Cinesi mentivano coscientemente, e non come l’effetto che i Cinesi stessi stanno gradualmente facendo maggiore chiarezza su ciò che è successo davvero. Di nuovo, questo è il tipico caso di “come fai, sbagli”.
Dovrei dire che c’è un’altra ragione che potrebbe contribuire alla decisione degli Stati Uniti di dare la colpa alla Cina: non è ancora chiaro da dove sia venuto il virus, ma una delle possibilità è che abbia avuto origine negli Stati Uniti e sia stato portato in Cina dagli Americani (il punto qui è se lo abbiano fatto deliberatamente o meno). Per quanto riguarda le notizie che dichiarano che gli Stati Uniti stiano deliberatamente coprendo la reale entità del disastro negli Stati Uniti [in inglese], queste informazioni vengono ignorate.
Inoltre, ora è dolorosamente ovvio che i politici americani abbiano totalmente mal interpretato la situazione, e che all’inizio abbiano detto che era un problema cinese o che era “non peggiore di un’influenza stagionale” o entrambe le cose. Questo è solo l’ultimo caso di ciò che io chiamo il “narcisismo messianico americano”, che porta i leader americani a credere alla loro stessa propaganda solo per scoprire che la realtà esiste ancora là fuori, e che è drammaticamente differente dalle illusioni che hanno la maggior parte degli Americani.
Ora tutti questi politici americani (i “Republicrat” così come i “Demoblican”) [gioco di parole per intendere Repubblicani e Democratici] devono correre e pararsi collettivamente il culo. Quale modo migliore per riuscirci, se non dare la colpa di tutto alla Cina?
Come ho detto prima, è ingegnoso ma, sicuramente, non molto intelligente.
Gli Stati Uniti sono ancora bloccati con una guerra invincibile contro la Russia (come ricordo sempre a tutti, questa guerra è fatta all’80% da informazione, dal 15% di economia e solo di un 5% di cinetica). Aprire un “secondo fronte” su larga scala ha senso in termini di convenienza politica a breve termine, specialmente in un anno di elezioni; ma sul lungo periodo è controproducente e disastroso. Infatti, se c’è una cosa che la storia ci insegna, è che aprire un secondo fronte quanto non sei nemmeno in grado di gestire il primo, è un suicidio. Ma a chi importa della storia, specialmente negli “Stati Uniti d’Amnesia”? Inoltre, quando siete assolutamente eccezionali e assolutamente superiori, perché dovreste preoccuparvi della storia delle “miserevoli” persone comuni e delle nazioni là fuori? E’ sufficiente definirli “posti di merda” e sventolare la vostra bandiera (fatta in Cina). Questo è ciò che passa per “sembrare presidenziale” in questi giorni…
Indipendentemente da ogni cosa detta prima, l’impeto di questa campagna sinofoba è troppo grande per essere invertito o fermato. E dal momento che viene sostenuta dalla gran parte della classe politica americana, probabilmente continuerà anche dopo le elezioni presidenziali americane (dando per scontato che si svolgano).
Tuttavia, tutto questo pone la domanda: che cosa è successo veramente? Qual è la verità?
La verità è che nessuno davvero lo sa. Ci vorranno probabilmente degli anni per avere il quadro completo e, ancora più tempo, per avere i dati corretti. Quali dati corretti? Bè, TUTTI: portatori, resistenza, fasce d’età, comorbilità, le caratteristiche esatte di questo virus (e delle sue varie mutazioni), quanto siano efficaci i vari test, quale farmaco antivirale può essere d’aiuto, gli effetti collaterali, se il vaccino anti-tubercolosi in un qualche modo aiuta il corpo a combattere il virus, ecc.
In questo momento, io non credo che ci sia qualcuno che lo sappia davvero, persino la percentuale dei portatori asintomatici cambia di ordine di grandezza in base a chi lo chiedi. Certo, alcune ipotesi sono, per definizione, più vicine alla verità rispetto ad altre, ma quali siano quelle più vicine è ancora molto difficile da accertare.
La cosa fondamentale da tenere in mente adesso è che la maggior parte di ciò che vediamo ora ha ben poco a che vedere con qualsiasi indagine scientifica. Ciò che vediamo è un tentativo di usare questa pandemia per finalità politiche, finanziarie e geostrategiche.
E per favore non pensate che sia solo Trump! Ricordate solo ciò che la Pelosi diceva ancora a febbraio!
VIDEO QUI: https://youtu.be/eFCzoXhNM6c
Questo era almeno due mesi dopo che la Cina aveva avvertito l’OMS che si stava sviluppando una grande crisi!
Ma la Pelosi, proprio come Trump, pensa solo al potere, ai soldi e all’influenza, non alla sicurezza dei “miserabili” che i Democratici odiano così tanto (così come i Repubblicani, certamente, solo che non lo dicono apertamente come faceva Hillary, ma proprio la frase di Trump “prendile dalle parti basse” dice tutto quello che dovete sapere in merito al suo reale rispetto per i gli esseri umani suoi simili!).
C’è poi un altro rischio molto reale: quando la situazione andrà di male in peggio per gli Stati Uniti e, in particolare, per la sua rielezione, Trump potrebbe decidere di fare ciò che molti politici fanno in questa situazione, e cioè iniziare una grande guerra. Prima della pandemia, gli Stati Uniti non avevano il coraggio di cominciare una guerra con l’Iran ma, ora che la pandemia sta paralizzando l’economia mondiale e tutti i lati orribili del sistema capitalistico transnazionale stanno diventando evidenti, non mi sorprenderei che Trump possa dare il via ad una guerra con l’Iran solo per sviare le molte accuse contro di lui. L’Idiota-in-Capo ha ordinato alle forze della Marina americana al largo delle coste dell’Iran di (non vi sto prendendo in giro) “colpire & distruggere” [in inglese] qualsiasi nave militare iraniana che “molestasse” la Marina americana. Da quanto sembra, non riesce ancora a capire che, se qualsiasi nave della Marina americana eseguisse un tale ordine, si troverebbe presto a gestire uno sciame di missili antinave iraniani. Chiaramente, il narcisismo messianico e una rabbiosa megalomania semplicemente non permettono a Trump di capire che gli Iraniani sono veri, che sono assolutamente risoluti e che, a differenza degli Stati Uniti, hanno attentamente analizzato le conseguenze di ogni possibile guerra tra Iran e gli Stati Uniti, e, anche se non provocheranno deliberatamente una tale guerra, la combatteranno se necessario, con infinitamente più tenacia degli Stati Uniti.
[Inciso: come un tipico sbandieratore politico americano, Trump probabilmente pensa che, se tutto va male, gli Stati Uniti posso usare la bomba atomica contro l’Iran e vincere. Ha ragione solo per la prima parte della frase ma, oh, ha COSI’ torto sulla seconda parte. Se le bombe atomiche vengono usate contro l’Iran, allora ci sarà una lunga e totale guerra per cacciare fuori dal Medio Oriente sia gli Stati Uniti sia l’entità sionista. Ma questo è un argomento per un altro giorno]
I politici americani mi ricordano quella persona che viveva in una capanna artica e decide di bruciarla per avere il riscaldamento di cui ha bisogno: certo, questa strategia funzionerà, per un po’, ma solo a costo di un disastro maggiore in futuro. Questo è ciò che praticamente TUTTI i politici americani hanno fatto con questa pandemia, ed è per questo che non accetteranno mai alcuna responsabilità su nulla.
Guardate questo simpatico asinello sulla destra.
Non sarebbe la mascotte e il simbolo perfetto per i partiti politici americani e per molti politici americani che non pensano ad altro che coprirlo?
C’è un’altra cosa di cui vorrei parlare: ci sono molte persone che amano annotare con cura tutte le volte che qualcuno ha predetto che questa pandemia si sarebbe verificata. Prendono queste dichiarazioni di avvertimento come prova di una cospirazione. La verità è che la comunità scientifica e anche il pubblico generale (almeno quei pochi che leggono ancora i libri) erano pienamente a conoscenza del fatto che fosse solo una questione di tempo che si verificasse un tale pandemia, perché la nostra società ha reso inevitabile un simile evento. Solo un esempio:
Ne lontano 1995 la giornalista americana Lorrie Garrett [in inglese] ha pubblicato un eccellente libro intitolato “La peste che verrà: le nuove malattie emergenti in un mondo senza equilibrio”, in cui spiega perché e persino come una pandemia globale sarebbe arrivata a causa proprio della natura della nostra società moderna. Vi raccomando vivamente questo libro, malgrado ora abbia un quarto di secolo: è scritto molto bene, facile da leggere e dà valide ragioni sull’inevitabilità di queste pandemie (e non c’è bisogno di ricorrere alle teorie non comprovate di guerra biologica).
La storia ci dimostrerà che noi tutti, il nostro intero pianeta, non ha preso seriamente questo e molti altri avvertimenti. Chiedetevi che cosa sia più facile per un politico: accettare che l’intero nostro ordine socio-politico sia insostenibile e assolutamente pericoloso (o “senza equilibrio”, per usare l’espressione della Garrett) o dare la colpa di tutto ai comunisti cinesi e al loro “programma segreto di guerra biologica”?
Penso che la risposta sia ovvia.
Il Saker
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Articolo del Saker pubblicato The Saker il 23 aprile
Traduzione in italiano a cura di Elvia Politi per Saker Italia.
[I commenti in questo formato sono del traduttore]
FONTE:http://sakeritalia.it/america-del-nord/gli-anglosionisti-stanno-lanciano-una-psyop-contro-la-cina/
Coronavirus: Il grande insabbiamento della Cina
- Un’altra persona è appena scomparsa. Ai Fen, un medico cinese, che (…) ha affermato che i suoi superiori avevano messo a tacere i suoi primi avvertimenti sul coronavirus, sembra essere svanita nel nulla. (…) Sono scomparsi anche i giornalisti che hanno visto quello che è accaduto a Wuhan.
- “Nessuno è stato in grado di studiarlo. Come si può affermare che non sia sfuggito da un laboratorio, se non si può avere accesso al laboratorio? In effetti, abbiamo visto Pechino fare del proprio meglio per impedire ai virologi e agli epidemiologi di recarsi a Wuhan.” – Gordon Chang, in Die Weltwoche, 31 marzo 2020.
- Questo è un altro grosso problema. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, che potrebbe avere un ruolo chiave nel fare luce sulle origini dell’epidemia di Wuhan, è ora accusata di essere “complice del coronavirus cinese”.
L’11 gennaio, il governo cinese ha annunciato che il mercato umido di Wuhan è stato all’origine dell’epidemia di coronavirus. Lo stesso regime cinese in seguito ha affermato che il virus “potrebbe non aver avuto origine in Cina” e dopo ancora le autorità cinesi hanno iniziato a sostenere che sono stati i soldati americani ad aver portato il virus a Wuhan. Quale scienziato o istituzione stimata può ora fidarsi di tutto ciò che arriva dalla Cina? (Photo by Kevin Frayer/Getty Images) |
Abbiamo pagato caro le menzogne della Cina.
“Questo è uno dei peggiori insabbiamenti della storia umana, e il mondo sta affrontando una pandemia globale”, ha dichiarato il deputato americano Michael T. McCaul, influente membro repubblicano della Commissione per gli Affari Esteri del Congresso, prima che la comunità dell’intelligence statunitense arguisse, in un rapporto riservato alla Casa Bianca, che la Cina ha nascosto l’origine e l’entità della catastrofica epidemia di coronavirus.
“Il fallimento [del Partito comunista cinese] ha scatenato un contagio globale che ha ucciso migliaia di persone”, ha scritto il 1° aprile scorso il cardinale Charles Maung Bo, presidente della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche. “Mentre rileviamo il danno arrecato alle vite di tutto il mondo, dobbiamo chiederci: chi è il responsabile?”
“…c’è un governo che ha la responsabilità primaria, a motivo di ciò che ha fatto e di ciò che ha mancato di fare, e questo è il regime del Partito comunista cinese a Pechino. Vorrei essere chiaro: è il PCC a essere responsabile, non il popolo della Cina. (…) Bugie e propaganda hanno messo in pericolo milioni di vite in tutto il mondo. (…) Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’intensa repressione della libertà di espressione in Cina. Avvocati, blogger, dissidenti e attivisti della società civile sono stati rastrellati e sono scomparsi.”
Un’altra persona è appena scomparsa: Ai Fen, un medico cinese che ricopriva l’incarico di responsabile del pronto soccorso dell’Ospedale centrale di Wuhan, aveva lavorato con il compianto dottor Li Wenliang. Ai, la quale ha affermato che i suoi superiori avevano messo a tacere i suoi primi avvertimenti sul coronavirus, sembra essere svanita nel nulla. Secondo 60 Minutes Australia, non si sa dove si trovi. Sono scomparsi anche i giornalisti che hanno visto quello che è accaduto a Wuhan. Caixin Global ha riferito che ai laboratori che hanno sequenziato il virus nel dicembre scorso era stato ordinato dalle autorità cinesi di consegnare o distruggere i campioni e di non rendere noti i risultati. “Se avessi saputo che cosa sarebbe successo, me ne sarei infischiata dei rimproveri da parte dei miei superiori. Ne avrei parlato con chiunque, dove avrei potuto”, aveva detto Ai Fen in un’intervista a marzo. Queste sono state le sue ultime parole.
Ma nessuna parola è stata spesa su come sia iniziata questa pandemia. Mercato umido? Una grotta piena di pipistrelli? Pangolini? O laboratori di armi biologiche? Non ci sono medici, giornalisti, analisti od osservatori internazionali stranieri a Wuhan. Se il virus è uscito da un mercato ittico o da una grotta, perché la Cina ha ostacolato le indagini a tal punto? Perché a dicembre, Pechino ha ordinato agli scienziati cinesi di distruggere le prove del virus? Perché i funzionari cinesi hanno affermato che sono stati i soldati statunitensi a portare il virus a Wuhan? Perché dovrebbe essere considerato increscioso il fatto che un presidente americano definisca “cinese“, un virus che ha avuto origine in Cina.
Chi ha annunciato l’11 gennaio che il mercato umido di Wuhan è stato all’origine della sua epidemia? Il regime cinese. È stato successivamente scoperto che il primo caso noto di Covid-19 risaliva al 17 novembre 2019.
Lo stesso regime cinese ha in seguito affermato che questo coronavirus “potrebbe non aver avuto origine in Cina”. Quale scienziato o istituzione stimata può ora fidarsi di tutto ciò che arriva dalla Cina?
Molti autorevoli scienziati hanno respinto l’affermazione che il virus Covid-19 è un patogeno ingegnerizzato. Questa conclusione pare sia basata sul fatto che Wuhan ha due importanti laboratori di ricerca sul virus: il Centro Wuhan per il controllo e la prevenzione delle malattie, che sembra sorgere a meno di un miglio dal mercato, e l’Istituto di Virologia di Wuhan, che ha un livello 4 di biosicurezza (BSL-4), ed è un laboratorio che si occupa dei patogeni più letali al mondo, situato a soli sette miglia dal mercato. La notizia è stata immediatamente ed enfaticamente liquidata come una “teoria cospirazionista“.
Questi scienziati sostengono che un virus ha probabilmente avuto origine tra la fauna selvatica prima che si diffondesse nell’uomo, trasmesso probabilmente attraverso un mercato alimentare a Wuhan. Dicono che mediante il sequenziamento genetico, sono riusciti a identificare il colpevole del Covid-19 come un coronavirus dei pipistrelli. Fine della storia? La scienza per fortuna inizia ponendo domande per poi cercare risposte.
Sembra che i pipistrelli non siano stati venduti al mercato umido di Wuhan. In uno studio del gennaio scorso, The Lancet ha rilevato che il primo caso di Covid-19 a Wuhan non aveva alcun legame con il mercato. L’articolo di Lancet, scritto dai ricercatori cinesi di diverse istituzioni, ha circostanziato che 13 dei 41 dei primi casi non avevano alcun legame con il mercato. “Tredici casi non correlati, è un gran numero”, ha commentato Daniel Lucey, uno specialista in malattia infettive presso la Georgetown University. Com’è iniziata l’epidemia?
“Ora sembra chiaro che il mercato del pesce non è l’unica fonte del virus, ma ad essere sinceri, non sappiamo ancora da dove provenga il virus”, osserva Bin Cao, specialista in malattie respiratorie polmonari della Capital Medical University, e co-autore dell’articolo di Lancet.
Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha affermato che il Partito comunista cinese sta nascondendo le informazioni sul coronavirus.
Se non lo sappiamo, è necessario essere aperti a tutte le possibilità.
“A meno di 300 metri dal mercato del pesce si trova la filiale di Wuhan del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie”, ha scritto David Ignatius del Washington Post.
“Ricercatori di quella struttura e del vicino Istituto di Virologia di Wuhan hanno pubblicato articoli sulla raccolta dei campioni del coronavirus nei pipistrelli provenienti da tutta la Cina, allo scopo di studiarli per prevenire future malattie. Uno di questi campioni è sfuggito accidentalmente o sono stati depositati rifiuti pericolosi in un luogo da dove poi si è diffuso il virus?”
La “raccolta dei campioni dei virus” presumibilmente non esclude la possibilità di un “virus sfuggito accidentalmente”. Peggio ancora, se la Cina non è in grado di proteggere i propri laboratori, dovrebbe essere ritenuta responsabile e costretta a pagare per il devastante danno globale.
“Gli esperti sanno che il nuovo coronavirus non è un’arma biologica. Non sono d’accordo sul fatto che possa essere sfuggito accidentalmente da un laboratorio di ricerca”, ha dichiarato The Bulletin of the Atomic Scientists. Il professor Richard Ebright del Waksman Institute of Microbiology della Rutgers University, e un eminente esperto di biosicurezza, concorda con gli autori di Nature Medicine che il coronavirus non è stato deliberatamente manipolato. Ma Ebright ritiene possibile che la pandemia COVID-19 sia iniziata come un incidente nel laboratorio di Wuhan, noto per aver studiato i virus dei pipistrelli:
“La raccolta di virus o l’infezione da virus di animali con le caratteristiche di trasmissione del virus dell’epidemia costituirebbe un rischio sostanziale di infezione per un addetto al laboratorio e tramite l’addetto al laboratorio per la popolazione”.
Ebright ha inoltre affermato che i coronavirus dei pipistrelli vengono studiati a Wuhan a livello di biosicurezza 2, “che fornisce solo una minima protezione” rispetto al BSL-4 che ha un livello di sicurezza superiore.
“Noi non sappiamo cosa sia accaduto, ma ci sono molte ragioni per credere che si sia trattato di una fuoriuscita di qualche tipo”, ha detto a Die Weltwoche Gordon Chang, esperto di Cina.
“Nessuno è stato in grado di studiarlo. Come si può affermare che non sia sfuggito da un laboratorio se non si può avere accesso al laboratorio? In effetti, abbiamo visto Pechino fare del proprio meglio per impedire ai virologi e agli epidemiologi di recarsi a Wuhan. Il team dell’Organizzazione Mondiale della Sanità si è recato a Wuhan per circa mezza giornata con una sola parte del team.”
Questo è un altro grosso problema. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, che potrebbe avere un ruolo chiave nel fare luce sulle origini dell’epidemia di Wuhan, è ora accusata di essere “complice del coronavirus cinese“. Fino al 14 gennaio, l’OMS ha affermato che secondo le autorità sanitarie cinesi nel Paese non vi era stata ancora alcuna trasmissione all’uomo del coronavirus.
La Cina presenta rischi di biosicurezza per l’intero pianeta. Un anno prima che fosse identificato il primo caso di Covid-19 a Wuhan, agenti di protezione doganale e delle frontiere statunitensi all’aeroporto di Detroit hanno fermato un biologo cinese che trasportava nel proprio bagaglio tre fiale con l’etichettatura “Anticorpi”. Secondo un rapporto redatto dall’intelligence tattica dell’FBI, come si legge sul sito di Yahoo News:
“L’ispezione della scritta sulle fialette e il destinatario dichiarato hanno indotto il personale preposto all’ispezione di ritenere che quanto contenuto nei flaconcini possa essere utilizzabile per la Sindrome Respiratoria del Medio Oriente (MERS) e per la Sindrome Respiratoria Acuta Grave (SARS)”.
Perché la Cina ha a che fare con virus pericolosi?
Secondo Yanzhong Huang, un ricercatore di salute globale presso il Council on Foreign Relations:
“Si ritiene che una violazione della sicurezza all’interno di un laboratorio del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie abbia causato a Pechino nel 2004 quattro casi sospetti di SARS, tra cui un decesso. Un incidente simile ha provocato nel dicembre del 2019 un’infezione da brucellosi per 65 addetti al laboratorio dell’Istituto di Ricerca Veterinaria di Lanzhou. Nel gennaio scorso, un rinomato scienziato cinese, Li Ning, è stato condannato a 12 anni di prigione per aver venduto animali usati negli esperimento ai mercati locali”.
A febbraio, Botao Xiao e Lei Xiao della South China University of Technology di Guangzhou hanno scritto in un documento di ricerca:
“Oltre alle origini della ricombinazione naturale e dell’ospite intermedio, il coronavirus killer probabilmente viene da un laboratorio a Wuhan. Potrebbe essere necessario rafforzare il livello di sicurezza [sic] dei laboratori ad alto rischio biologico”.
Xiao ha poi detto al Wall Street Journal di aver ritirato l’articolo perché “non era supportato da prove dirette”.
In passato, si erano già verificati degli incidenti nei laboratori cinesi. Nel 2010, i ricercatori pubblicarono come dato di fatto: “Il caso più famoso di un ceppo di laboratorio sfuggito è il virus della riemergente influenza A sottotipo H1N1, osservato per la prima volta in Cina nel maggio del 1977 e in Russia subito dopo”. Il virus potrebbe essere sfuggito da un laboratorio che cercava di produrre un vaccino in risposta all’allerta di pandemia di influenza suina negli Stati Uniti.
Nel 1999, Ken Alibek, disertore negli Stati Uniti ed ex primo vicedirettore del settore ricerca e produzione del programma di armamento biologico sovietico, rivelò che secondo i funzionari sovietici la Cina aveva subìto un grave incidente in uno degli impianti biologici segreti, causando due gravi epidemie di febbre che flagellarono il Paese alla fine degli anni Ottanta. “I nostri analisti”, ha scritto Alibek nel suo libro, Biohazard, “hanno arguito che tali epidemie vennero provocate da un incidente verificatosi in un laboratorio in cui gli scienziati cinesi stavano cercando di trasformare le malattie virali in armi”.
Nel 2004, l’Organizzazione Mondiale della Sanità rese noto che due ricercatori di un laboratorio di Pechino si infettarono mentre lavoravano su campioni del virus della SARS (Sindrome Respiratoria Acuta Grave). L’OMS denunciò violazioni delle procedure di sicurezza e il direttore del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie, Li Liming, rassegnò le dimissioni. La rivista Science inoltre affermò che “per la terza volta in meno di un anno, un’epidemia di SARS sembra aver avuto origine da un errore commesso in un laboratorio”.
Inoltre, tre anni fa, quando la Cina aprì il laboratorio a Wuhan, Tim Trevan, uno specialista di biosicurezza del Mayland, disse a Nature di essere preoccupato per la sicurezza dell’edificio perché “le strutture in cui tutti si sentono liberi di parlare e la trasparenza delle informazioni sono importanti”. Libertà di espressione e informazione libera è esattamente quello che il regime cinese ha contrastato a dicembre e gennaio.
Un video cinese di un ricercatore di Wuhan, Tian Junhua, che è stato diffuso poche settimane prima dello scoppio dell’epidemia a Wuhan, mostra Junhua, che cattura in una grotta pipistrelli portatori di virus. Nel video (prodotto dalla China Science Communication, gestita dalla China Association for Science and Technology), Tian dice:
“Non sono un medico, ma lavoro per curare e salvare le persone. (…) Non sono un soldato ma lavoro per salvaguardare un’invisibile linea di difesa nazionale”.
Pare che Tian abbia anche asserito:
“Mentre lavoro ho paura delle infezioni e di perdermi. A causa della paura, faccio ogni passo con estrema cautela. Più mi sento spaventato, più eseguo ogni dettaglio con cura. Perché il processo di ricerca dei virus è anche il modo più facile per esporsi a essi. Spero che questi campioni di virus vengano conservati solo per la ricerca scientifica e che non verranno mai utilizzati nella vita reale”.
Per un mese, il Partito comunista cinese, invece di combattere il contagio, ha fatto del suo meglio per censurare tutte le informazioni sull’epidemia di Covid-19. Dopo che il 20 gennaio il presidente Xi Jinping ha annunciato una “guerra del popolo” contro l’epidemia, i servizi di sicurezza cinese hanno perseguito 5.111 casi di “fabbricazione e diffusione deliberata di informazioni false e dannose”. I difensori dei diritti umani hanno documentato diversi tipi di punizione, tra cui arresti, sparizioni, multe, interrogatori, confessioni forzate e “rimproveri educativi”.
Successivamente, la Cina ha mentito sul numero reale dei morti. Ci sono foto di lunghe file di urne funerarie accatastate che vengono salutate dai familiari nelle strutture funerarie di Wuhan. All’esterno di tali strutture, camion in attesa hanno caricato 2.500 urne. Secondo i dati ufficiali cinesi, a Wuhan sono 2.548 i morti per Covid-19. Secondo un’analisi di Radio Free Asia, sette strutture funerarie di Wuhan hanno distribuito 500 urne funerarie ciascuna per 12 giorni consecutivi, dal 23 marzo al 5 aprile – data in cui ricorre il tradizionale giorno della “pulizia delle tombe” – un lasso di tempo in cui si sarebbero contate 42 mila urne, o dieci volte di più rispetto alla cifra ufficiale.
A febbraio, i forni crematori di Wuhan hanno lavorato 24 ore al giorno per far fronte al massiccio afflusso di salme infette. A quanto pare, le autorità di Wuhan hanno esortato i familiari delle vittime a seppellire i morti “in modo rapido e silenzioso“.
Ma “virus naturale” non esclude l’ipotesi che sia sfuggito da un laboratorio dove i patogeni vengono raccolti e studiati. Gli autori di Nature Medicine “ci lasciano dove eravamo prima: con una base per escludere [un coronavirus] costruito in laboratorio, ma con nessuna base per escludere un incidente di laboratorio”, ha commentato il professor Ebright.
“Potrebbe infuriare un dibattito su quale centro [di ricerche] è coinvolto, ma a questo punto sembra innegabile che un centro sia stato direttamente coinvolto con ricerche sui virus, anche se non necessariamente sulla creazione di un virus”, ha scritto padre Renzo Milanese, un missionario cattolico di lunga data a Hong Kong.
“In altre parole, nella fase iniziale il virus è passato da un centro di ricerche a Wuhan. È anche fuori discussione che le autorità fossero a conoscenza della pericolosità del virus, non hanno informato nessuno e hanno cercato di tenere nascosti i fatti”.
Il senatore americano Josh Hawley ha presentato una risoluzione che chiede un’indagine internazionale sulla gestione della diffusione del virus da parte della Cina. Secondo Hawley:
“Il Partito comunista cinese era a conoscenza della realtà del virus già a dicembre, ma ha ordinato ai laboratori di distruggere i campioni e ha costretto i medici a tacere. È tempo di aprire un’indagine internazionale sul ruolo che la loro copertura ha avuto nella diffusione di questa devastante pandemia”.
Ammettere un errore, come hanno fatto i giapponesi dopo l’incidente nucleare di Fukushima nel 2011, potrebbe essere per un Paese un modo per essere nuovamente accettato dalla comunità internazionale. Censurare, negare e insabbiare, come sta facendo la Cina, non lo è.
“La Cina afferma che il virus letale non è sfuggito dal suo laboratorio biologico”, ha dichiarato Steven W. Mosher, un esperto di Cina del Population Research Institute. “Bene. Lo dimostri pubblicando i registri di ricerca del laboratorio di Wuhan”.
Giulio Meotti, redattore culturale del quotidiano Il Foglio, è un giornalista e scrittore italiano.
FONTE:https://it.gatestoneinstitute.org/15887/coronavirus-cina-insabbiamento
ECONOMIA
“Non siamo qui per chiudere Spread”: il Götterdämmerung di Madame Lagarde
“We are not here to close spreads“. Sono bastate queste parole di Christine Lagarde, pronunciate durante l’abituale conferenza stampa che chiude la riunione del direttivo BCE, a scatenare il panico su mercati già messi a dura prova dall’emergenza coronavirus. Pochi minuti prima la stessa BCE aveva annunciato un pacchetto di stimoli che già era stato istantaneamente considerato dal mercato stesso come inadeguato e insufficiente (120 miliardi aggiuntivi per il Quantitative Easing, misure di liquidità per le banche, nessun abbassamento ulteriore dei tassi).
Questi i fatti, con una Lagarde costretta in corsa a rettificare rilasciando un’intervista alla CNBC. Le interpretazioni variano, da chi sostiene la tesi della semplice “gaffe” a chi ci vede un deliberato attacco all’Italia teso a spianare la strada alla troika e al saccheggio del paese da parte di potentati esteri. Nessuna di queste interpretazioni radicali e poco sfumate appare convincente.
Facciamo quindi uno sforzo per approfondire l’analisi e partiamo dall’inizio cercando, senza la presunzione di essere addentro a meccanismi complessi politicamente ed economicamente, di fornire il quadro in cui queste decisioni sono maturate.
Allo sguardo superficiale di molti, più o meno familiari con i temi economici, l’immagine di Mario Draghi potrebbe apparire rafforzata dopo il disastro di ieri. Durante il suo ministero (è opinione diffusa) il whatever it takes e le conseguenti politiche monetarie iper espansive (dalle operazioni di liquidità di TLTRO al robustissimo Quantitative Easing) tranquillizzarono i mercati, garantendo una doppia crescita sia sull’azionario che sull’obbligazionario, crescita che, specie sul secondo, non sarebbe scorretto definire bolla.
In realtà, se vogliamo evitare una sorta di dicotomia da romanzo popolare in cui al buon Mario, difensore dell’Italia e delle sue genti, viene contrapposta l’algida Christine, crudele ed incapace vampiro franco tedesco, sono necessari alcuni chiarimenti.
La politica suo tempo messa in atto da Draghi è riassumibile in due punti: a) tutela della rendita e quindi del valore degli asset finanziari azionari ed obbligazionari e b) politica monetaria espansiva tale da consentire ai paesi dell’area mediterranea (ma più in generale a tutti i sistemi economici schiacciati dalle politiche di austerità) di funzionare a un livello minimo senza precipitare nella catastrofe totale.
La realtà è quindi ben distante dalla rappresentazione agiografica di Draghi ritornata in auge ieri dopo il disastroso (non) intervento della Lagarde. Draghi non è mai stato un tecnico competente e infallibile posto a tutela dei paesi dell’area mediterranea, un uomo della provvidenza capace di salvarci dal baratro (come se la sorte di “noi” lavoratori rientrasse nei calcoli che governano le faide che oppongono i vari pezzi diversi della classe dirigente). Al contrario, l’ex governatore era un abile e pragmatico custode degli interessi delle oligarchie dominanti, ben consapevole di come il castello di carte della UE (e ancora di più del neocapitalismo patrimoniale del XXI secolo) si reggesse su basi fragilissime, che richiedevano un costante sostegno della banca centrale per evitare un tracollo che avrebbe portato alla distruzione di quel modello (Unione Europea, ma prima ancora capitalismo globale e senza contrappesi post 1989) su cui quegli stessi dominanti avevano costruito il proprio privilegio.
I limiti di questo modello, l’inevitabilità strutturale della crisi al primo shock esterno, li abbiamo già descritti altrove. Ma tornando a Draghi e tirando le somme: dobbiamo archiviare il “Super Mario” che ci è stato raffigurato in questi anni: difensore di un (astratto) “benessere comune” in un (fittizio) mondo senza classi (che invece esistono eccome come esiste la strutturale ed irriducibile alterità dei loro interessi), difensore degli interessi dell’area euromediterranea (in realtà “poliziotto buono” della grande prigione a cielo aperto nota come Eurozona). A questo simulacro propagandistico va sostotuito, nella nostra analisi, il Draghi reale: quello che, con la sua azione, ha salvato il sistema ieri creando le condizioni, come spiegato su queste stesse pagine, per uno choc più brutale oggi: bolla su azionario e obbligazionario cresciuta a rotta di collo grazie alle politiche espansive della BCE ed economia export oriented che ha garantito ricchi surplus al capitale, mentre il grosso del mondo del lavoro (lavoratori dipendenti e, in parte, piccoli autonomi) annaspava nelle secche dell’austerità, del precariato e della compressione della domanda interna.
Rimessi nel contesto i “meriti” di Draghi possiamo però aggiungere che, nel breve termine, la sua azione era almeno coerente. Il sostegno ai mercati era indubbio e questo garantiva al sistema quella minima funzionalità tale da consentire anche a chi stava in fondo alla scala sociale e geografica della ricchezza di tirare a campare.
Inquadrato correttamente il fenomeno – Draghi, possiamo passare all’esame di quello Lagarde. Giurista, politica, ex presidente del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde non è un banchiere di professione, tantomeno un banchiere proveniente, come Draghi, dalla scuola delle banche centrali nazionali. Se con il suo predecessore ogni conferenza della Bce sembrava un esercizio di raffinata interpretazione di sfumature, la Lagarde si è dimostrata il classico elefante in cristalleria. Una frase come “non siamo qui per contenere gli spread” sarebbe stata eccessiva anche in una chiacchierata da bar: pronunciata in una conferenza stampa della BCE, dopo il varo di misure palesemente inadeguate rispetto a quelle del predecessore, e nel pieno di una brutale crisi sanitaria ed economica, ha provocato un disastro di proporzioni epocali. E fin qui la cronaca fattuale su cui tutti (tranne qualche ultras), devono concordare.
Poi vi è l’interpretazione, come dicevamo. Attacco all’Italia? Semplice gaffe? Probabilmente né l’una né l’altra. Infelice, la frase è infelice. Ma più che gaffe sarebbe meglio chiamarla palese inadeguatezza al ruolo. Fermarsi qui sarebbe, comunque, banalizzante. Certe scelte di politica monetaria sono collegiali e rappresentative di interessi e linee di pensiero. Nella fattispecie la Lagarde, sin dal suo esordio, era stata presentata come un compromesso tra Draghi e i falchi germanofili (che sostenevano candidati alternativi: Weidmann o un equivalente esponente di qualcuno dei paesi satellite… un olandese un finlandese, poco conta). Già questo compromesso, in un’architettura fragile come quella europea, era un passaggio a vuoto. Le oligarchie tedesche vogliono comandare e trarre i maggiori surplus dall’euro area ma senza pagare il minimo pegno per questa posizione di predominio. La posizione espressa da Draghi, lasciando per un momento da parte le contraddizioni strutturali di UE e del capitale in sé, ne garantiva il dominio mitigando, almeno lato monetario, le ripercussioni più deteriori, e tuttavia ancora non bastava alle elite tedesche, che hanno sempre mostrato una palese insofferenza ed un sentimento di superiorità ben poco funzionale: “Noi comandiamo” è il loro enunciato implicito “ed estraiamo plusvalore da tutta la catena sociale e geografica del sistema economico europeo, non solo per la nostra forza relativa, ma perché siamo i migliori. Perché se tutti fossero come noi le cose funzionerebbero senza problemi.”. Evidente, in questo approccio, una incapacità patologica di ammettere il proprio ruolo prevaricante, una arroganza e rigidità facilitate da una massa di maitre a penser il cui unico fine pare quello di a stimolare l’ego del dominante (geografico e sociale) in nome della sua suprema competenza.
Cosa provoca questa visione del mondo? Come si inserisce la Lagarde in questo contesto? Partiamo dalla seconda risposta. Come abbiamo detto la Lagarde doveva essere un candidato di compromesso, espressione di un paese che vorrebbe condividere la cabina di regia ma che, nei fatti, sta a metà strada tra il cuore tedesco e la periferia mediterranea. Le oligarchie francesi però (perché sempre di oligarchie parliamo, non dimentichiamocelo mai: i lavoratori Tedeschi, sebbene possano godere di qualche piccola rendita di posizione, sono stati i primi ad essere bastonati dalle riforme Schroeder/Merkel, mentre quelli francesi se provano a protestare assaggiano il manganello di Macron) sono confuse ed incapaci di esprimere una egemonia politica coerente. Non sono al livello dei collaborazionisti italiani, che ricordano i raj indiani al servizio dell’impero britannico, ma non sono assolutamente in grado di controbilanciare lo strapotere tedesco. Si accontentano di scorribande mediterranee con esiti peraltro discutibili. Di qui una candidatura mediocre e inadeguata come quella della Lagarde, pensata come compromesso, e attratta, per mancanza di peso specifico, verso soluzioni più drastiche di quelle che persino un Weidmann avrebbe mai potuto adottare.
E ora concludiamo con la risposta alla prima domanda. Cosa provoca questa visione del mondo? E’ un attacco deliberato all’Italia, un ulteriore attacco alle classi lavoratrici per costringerle a ulteriori sacrifici sociali? La risposta, nonostante tutto, penso sia negativa. A meno di pensare che vogliano consapevolmente scatenare una crisi di proporzioni colossali, che sarebbe praticamente impossibile contenere e che andrebbe probabilmente a distruggere quanto da loro accumulato, non penso vi sia la volontà, da parte delle classi dominanti, ed in particolar modo di quelle tedesche, di accelerare la crisi ora. D’altronde, certo, i BTP sono stati venduti massicciamente ieri. Ma insieme ad essi lo sono stati non solo tutti i titoli dell’area mediterranea, ma persino i titoli francesi. E i Bund tedeschi non hanno reagito, come al solito, da bene rifugio ma semplicemente sono rimasti invariati. Se poi guardiamo al comparto azionario la situazione è ancora più disastrosa. Istituti finanziari che venivano venduti con punte del 20%: tra questi Deutsche Bank, che già in situazione normale è in uno stato comatoso. Diffondere il virus dell’incertezza (per rimanere in tema di attualità) non sembra essere certo una scelta vincente per una Germania con un sistema finanziario già molto fragile e ancora meno per classi dominanti che negli ultimi anni hanno avuto come obiettivo centrale proprio la tutela del valore dei loro asset finanziari.
E allora se gaffe è poco e attacco deliberato è troppo rimane solo la spiegazione più banale: un’ottusa rigidità da parte di chi domina un certo sistema (geograficamente le elites tedesche, in senso sociale la borghesia tout court) nel concedere ai subalterni quel minimo di ossigeno necessario per tenere in piedi il castello di carte. D’altronde sono le stesse dinamiche che per anni abbiamo visto lato economia reale perpetrate ai danni dei lavoratori: ottusi massacri che in un’ottica di lungo periodo non convenivano nemmeno alle elites (perché se ammazzi la pecora poi non hai più modo di tosarla), e che ora incominciano ad applicarsi all’interno della sfera finanziaria.
“Resistere ad ogni costo, nessun tentativo di uscita!” urlava delirando Hitler a Paulus intrappolato nella sacca di Stalingrado. Sono passati quasi 80 anni e non hanno ancora imparato nulla.
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Articolo di Amos Piazzi per sakeritalia.it
FONTE:http://sakeritalia.it/economia/non-siamo-qui-per-chiudere-spread-il-gotterdammerung-di-madame-lagarde/
La figura misteriosa di Piero Sraffa
economista torinese Piero Sraffa è stato un personaggio particolarmente interessante seppur poco noto al grande pubblico. Estremamente colto e perfezionista quasi maniacale, Sraffa amava la solitudine, nutrendo una forma di intolleranza per la semplicità di pensiero. Generoso con i pochi amici e completamente disinteressato al potere, ha condotto un’esistenza in costante equilibrio tra una profonda insicurezza ed un estremismo settario. Nato nel 1898 a Torino da famiglia benestante, segue nei primi anni della sua vita la carriera del padre Angelo, prestigioso docente universitario. Sraffa si laurea nel 1920 in Giurisprudenza all’Università di Torino, con una tesi ad indirizzo economico “L’inflazione in Italia durante e dopo la guerra” il cui relatore è Luigi Einaudi, futuro presidente della Repubblica, con cui rimarrà sempre in buoni rapporti.
Negli stessi anni conosce Antonio Gramsci, di cui sarebbe diventato il più grande amico e sul cui rapporto parleremo in seguito. Dopo la laurea ed una breve esperienza nel settore bancario, Sraffa studia per oltre un anno alla London School of Economics, ed in Inghilterra avrà modo di conoscere John Maynard Keynes che lo invita a collaborare sul suo Economic Journal. Tornato in Italia si dedica all’insegnamento presso l’Università di Perugia, ma dopo l’arresto di Gramsci e a causa della crescente tensione causata dalle sue origini ebraiche decide di accettare l’invito di Keynes a trasferirsi al Trinity College di Cambridge nel 1927.
La carriera a Cambridge
E’ proprio al Trinity College che Sraffa denota la sua scarsa attitudine all’insegnamento. Da un lato sembra terrorizzato all’idea di fronteggiare gli studenti, dall’altro le sue teorie economiche finissime sono forse fin troppo elaborate anche per un pubblico qualificato. E’ lo stesso Keynes in una lettera alla moglie Lydia Lobokova ad esprimere queste preoccupazioni, parlando del lavoro di Sraffa afferma:
È molto interessante e originale ma mi chiedo se i suoi studenti lo capiranno a lezione.
Proprio per questo motivo dopo qualche anno di lezioni rimandate o completamente saltate da parte dell’economista torinese, Keynes decide di assecondare la grande sete di cultura e l’enorme passione per i libri di Sraffa, nominandolo bibliotecario della Marshall Library di Cambridge. Slegato dal ruolo di professore, Sraffa si dedica allo studio e intraprende una serie di rapporti con intellettuali ed economisti che avrebbero lasciato il segno negli anni a venire. In particolar modo si legò al filosofo e matematico Frank Ramsey che lo aiutò nell’elaborazione delle equazioni alla base dei suoi teoremi, e agli economisti Michal Kalecki e Nicholas Kaldor tra i maggiori esponenti della scuola post-keynesiana.
Di particolare importanza il suo rapporto con il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein, considerato da molti uno dei pensatori più importanti del ventesimo secolo. Wittgestein attribuisce a Sraffa un ruolo decisivo nel concepimento della sua opera più importante “Philosophical Investigations” (ricerche filosofiche) pubblicata postuma nel 1953, affermando che dopo le conversazioni con lui si sentiva come “un albero al quale fossero stati tagliati tutti i rami”. Ma i rapporti interpersonali furono spesso conflittuali e insoddisfacenti, diversamente dallo smodato amore che Piero Sraffa provava per i libri. Il pensiero di un libro pubblicato in maniera perfetta era una delle ragioni di vita dell’economista, così come un piccolo errore di stampa veniva considerato un vero e proprio crimine. Molti ritengono che proprio l’amore maniacale per il collezionismo librario sia stata la vera causa dell’isolamento sociale di Sraffa.
Il contributo alla teoria economica
Nonostante nella sua vita non sia stato uno scrittore particolarmente prolifico, tanto da far dire con ironia al Premio Nobel Amartya Sen che Sraffa considerava immorale scrivere più di una pagina al mese, i suoi numerosi articoli ed il suo unico libro “Produzione di merci a mezzo di merci” pubblicato nel 1960 hanno dato un contributo fondamentale al pensiero economico. Gran parte del lavoro di Sraffa è rivolto a recuperare la parte “ragionevole” del pensiero classico, cercando allo stesso tempo di confutare la teoria marginalista (che oggi chiameremmo neoclassica o neoliberista) che riteneva “aberrante”.
Nell’impostazione degli economisti classici come Adam Smith e David Ricardo, ma ripresa in seguito anche da Karl Marx per cui Sraffa non nascondeva le simpatie, è la quantità di lavoro a definire il valore di un dato bene. Per i marginalisti come Alfred Marshall o Frederick Von Hayek il valore del prodotto dipende invece dal grado di soddisfazione che i consumatori attribuiscono ai diversi prodotti, la soddisfazione o “utilità” tenderà a diminuire con il consumo di ogni unità aggiuntiva dello stesso bene. In pratica più il prodotto è desiderato e più è capace di soddisfare un bisogno e più vale. Per questo motivo la teoria marginalista si concentra sull’equilibrio economico e sulla ricerca di metodologie di allocazione delle risorse in modo efficiente. Ed è proprio questa ricerca spasmodica dell’efficienza, svuotata da ogni considerazione etica ed equitativa, la fonte delle maggiori critiche di Sraffa.
Sraffa dimostra l’impossibilità di concepire il capitale come una merce, di cui il profitto possa essere considerato il prezzo, essendo il capitale un insieme di mezzi di produzione eterogenei. Quindi il capitale non può essere misurato in termini di valore, indipendentemente dalla determinazione dei valori delle merci che lo costituiscono e anteriormente ad essa. Se questo non è possibile allora non è possibile nemmeno misurare il prodotto marginale del capitale, e nemmeno quello del lavoro. La conclusione è che non esiste la possibilità di risolvere il problema distributivo adottando l’impianto marginalista.
Con le sue complesse ricerche ed attraverso rigorosissimi teoremi matematici Sraffa è riuscito a risolvere in maniera logica il problema dei rapporti di scambio, il punto tradizionalmente debole degli economisti classici che era stata la causa dell’abbandono dell’impostazione classica a favore dell’aproccio marginalista. La sua ricostruzione magistrale delle opere di David Ricardo contribuì a rivalutarne in maniera esponenziale il pensiero e a chiarirne i punti travisati dalla predominante cultura neoclassica, tanto da valergli nel 1961 l’attribuzione della medaglia Söderström della Royal Swedish Academy of Sciences, antesignana del Nobel per l’economia introdotto solo nel 1969.
Anche la tormentata pubblicazione del suo unico libro può essere presa ad esempio della complessità non solo dei temi trattati ma anche della personalità dell’autore. Nell’idea originale avrebbe dovuto essere un testo molto corposo, comprensivo di una parte storica e di una elaborata critica all’economia politica.
In realtà è lo stesso Sraffa ad ammettere che gran parte della stesura del libro risale alla fine degli anni Venti, e che gli ci sono voluti 30 anni e 20 chilogrammi di note scritte a mano e più volte abbandonate per giungere alla stampa del volume di sole 120 pagine. L’insoddisfazione per non essere riuscito nella ciclopica impresa che si era autoimposto si evidenzia nella prefazione dove Sraffa afferma che la sua opera è una mera “premessa” auspicando che la critica vera e propria all’economia politica venga tentata “più tardi da qualcuno più giovane e meglio attrezzato per l’impresa”. Numerosi sono gli aneddoti riportati anche nella produzione fisica del libro, con Sraffa che ottiene dall’editore Giulio Einaudi, figlio dell’amico Luigi, di poter interloquire direttamente con il tipografo, rimarcando l’importanza di spazi, virgolette e tipologia di caratteri. Ovviamente il risultato finale risulterà molto insoddisfacente per Sraffa che contesterà anche la fascetta del libro.
I rapporti con Gramsci
Piero Sraffa conobbe Antonio Gramsci a Torino nel primo dopoguerra, iniziando a collaborare giovanissimo alla rivista “L’Ordine Nuovo” creata proprio nel 1919 da colui che due anni più tardi fu tra i fondatori del partito comunista italiano. Un’amicizia importante che venne vissuta dapprima con frequentazioni a Torino e a Roma, e poi in via epistolare in seguito all’arresto di Gramsci avvenuto nel novembre 1926. I due si confrontano su molti temi, dall’analisi economica alle soluzioni politiche, ma Sraffa tenendo fede al suo carattere, matura una sua visione che non sempre è in linea con quella di Gramsci e tantomeno con quella del Partito Comunista, a cui comunque Sraffa non si iscriverà mai.
Sraffa sottolineava l’importanza di un fronte comune tra borghesi, socialisti e comunisti per contrastare l’avanzata del movimento fascista e soprattutto per gestire la transizione una volta caduto il regime, Gramsci invece rimase fedele alla linea del partito, ovvero della necessità di instaurare una vera e propria dittatura del proletariato attraverso il socialismo reale, senza lasciare spazio ad alcun compromesso. E questo che farà dire a Sraffa in uno degli scambi epistolari “che il Partito comunista, oggi, non può fare niente o quasi niente di positivo”.
Dopo l’incarcerazione di Gramsci il rapporto continua attraverso una fitta corrispondenza. Sraffa oltre ad occuparsi delle questioni legali relative alla possibile scarcerazione, farà anche da tramite tra Gramsci e il Partito Comunista Italiano confinato a Parigi. Proprio il rapporto epistolare ha dato adito a molte illazioni, alcuni sostengono che Sraffa fosse in realtà uno strumento nelle mani del PCI e del PCUS di Togliatti per controllare l’indisciplinato Gramsci, che cominciava a manifestare qualche segnale di dissenso con il comitato centrale. In realtà il disallineamento del partito dal suo fondatore rafforzò la fiducia tra Sraffa e l’amico. Da “comunista indisciplinato” Sraffa si mostrò insofferente e poco propenso a ubbidire alla rigorosa disciplina dell’epoca. Questa reiterata dimostrazione di lealtà ed amicizia con Gramsci provocò qualche dissidio con Togliatti, per molti storici questa sarebbe anche la causa per cui nel dopoguerra la figura di Sraffa fu messa per lungo tempo da parte.
Si capisce quindi come la figura eccentrica e per certi versi misteriosa di Piero Sraffa meriti comunque una riflessione attenta, sia per il contributo economico rilevantissimo per la dottrina eterodossa, ma soprattutto per la sua sfida intellettuale, quella di portare ogni ragionamento alla massima complessità possibile, in modo da sfidare chiunque ad affrontare criticamente le proprie convinzioni per trarne ancora più forza.
FONTE:https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/economia/la-figura-misteriosa-di-piero-sraffa/
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
I Vampiri del Risparmio. Come la BCE distrugge le nostre Banche.
Andrea Enria è un economista italiano, dal novembre 2018 presidente del consiglio di sorveglianza della BCE dopo essere stato presidente dell’ EBA, l’autorità bancaria europea. Ex Bankitalia, con curriculum bocconiano. Quindi un pezzo da novanta della tecnocrazia europea dei “competenti”. Il 18 febbraio scorso ha tenuto un intervento di fronte al Comitato Interparlamentare (dove sono presenti rappresentanti dei singoli parlamenti nazionali e del parlamento europeo). Ci è sembrato utile riportare e commentare ciò che ha detto, ciò che non ha detto e ciò che, ragionevolmente, intendeva. Sono tematiche spesso avvolte in una sorta di incomprensibile misticismo finanziario, che rende quasi impossibile all’ uomo della strada comprendere i termini del dibattito. Abbiamo fatto del nostro meglio per squarciare questo velo di Maya.
Key risks in the euro area banking sector
The recent economic expansion in the euro area has helped to strengthen the resilience of euro area banks. Banks now have much stronger capital and liquidity positions than they did before the crisis. The quality of banks’ assets has also improved, but the legacy of non-performing loans (NPLs) is still weighing on a number of banks; it adversely affects their profitability and their ability to grant new loans. The supervisory framework for NPLs developed by the ECB promotes the active management of NPL portfolios and recommends targeted action to deal with the stock of legacy assets and prevent the future build-up of new NPLs.
Partiamo dalla annotazione di Enria sulla questione NPL, che fino a un anno fa era sulle prime pagine dei maggiori giornali e che oggi è provvisoriamente uscita dalla ribalta. Facciamo una premessa per i meno informati. Gli NPL sono quei prestiti bancari che non sono stati ripagati nei tempi dovuti, come capitale o come interessi, e che quindi il sistema finanziario è costretto a svalutare a bilancio creando perdite in conto economico e di conseguenza (se non sufficienti i relativi accantonamenti) “buchi” nel patrimonio della banca stessa. Quelle che in Italia con termine ben più adeguato vengono chiamate “sofferenze”. Per inciso: lasciamo stare la differenza tra “sofferenze”, “incagli” e “ritardi”, che distingue i vari livelli di “gravità della situazione” ; annotiamo solamente come la “sofferenza” indichi una situazione di insolvenza e non un semplice ritardo o una posizione di difficoltà recuperabile con un piano di rientro.
Cosa dice Enria? Dice che oggi le cose vanno meglio, addirittura meglio di prima della crisi. Ha ragione?
Diciamo di si. Concediamogli l’esagerazione (addirittura “meglio della crisi”, viene detto, cosa non vera) visto anche che sottolinea come in alcuni casi (ed in alcuni paesi verrebbe da aggiungere) il recupero è stato comunque incompleto. Il punto critico sta però in quello che dice dopo e in quello che non dice. La supervisione BCE spinge per una gestione attiva del portafoglio sofferenze e “consiglia” (sarebbe meglio ordina) lo smaltimento degli stock pregressi ed azioni per evitare che se ne formino altri. Cosa significa questa formula? Significa che le banche, soprattutto quelle dei paesi più indebitati (come l’Italia) hanno dovuto, nel pieno della crisi, liquidare in fretta e furia gli stock di sofferenze accumulati. Questo ha chiaramente inciso sul prezzo di recupero di quelle posizioni, posizioni che forse, con un tempo maggiore per la gestione interna e adeguate politiche economiche, avrebbero potuto essere chiuse in maniera più redditizia per gli istituti. Ha inoltre inciso sull’erogazione del credito in un momento di congiuntura negativa, reso necessari pesanti aumenti di capitale che hanno depresso le quotazioni azionarie e, nei casi peggiori, provocato default che hanno coinvolto risparmiatori privati a cui erano state vendute le “solidissime” obbligazioni subordinate.
Chiariamoci: le sofferenze sui prestiti fanno parte del rischio d’impresa come fa parte del rischio che il privato si assume (quello che l’obbligazione bancaria, a sua volta un prestito, non venga rimborsata). Ma lungi dal promuovere il risanamento (come sostiene Enria) quelle regole così stringenti (non applicate ad altre banche, di altri paesi, con minori NPL ma posizioni estremamente esposte in derivati) hanno accentuato il crollo e la crisi. Certo, alla fine i bilanci sono stati (parzialmente) risanati. Ma il discorso di Enria ricorda Tacito e la sua famosa massima “fecero un deserto e lo chiamarono pace”: hanno desertificato il sistema creditorio italiano e lo hanno dichiarato risanato.
Ancora più dannose dei pessimi interventi regolamentari della Banca Centrale Europea sono state le politiche di austerità promosse messe in campo dai governi nazionali, costretti dalle pressioni e dalla moral suasion della BCE. Mentre da un lato l’ Istituto di Francoforte allargava i cordoni della borsa per “garantire liquidità” a parole (ma, di fatto, soprattutto per sostenere il valore della rendita obbligazionaria tramite quantitative easing , Keynesismo per rentier), dall’ altro la stessa autorità consigliava (“consigli” poco meno persuasivi di ordini) quelle politiche di austerità per la base sociale e produttiva che hanno causato un peggioramento ed un incancrenimento di una crisi finanziaria già di per sé brutale. Quindi la BCE è responsabile per aver contribuito alla creazione di quella abnorme montagna di sofferenze soprattutto nei paesi periferici, la cui gestione ha preteso poi di disciplinare, come abbiamo visto, con una severità del tutto controproducente. Insomma, ora va tutto (abbastanza) bene. Nel frattempo però le loro “regole” e soprattutto le loro pressioni sulle politiche economiche hanno a più riprese aggravato il problema che, a sentire loro, è stato brillantemente risolto. Non c’è che dire, come distorsione della realtà è degna di un romanzo di Philip Dick. Torniamo al discorso di Enria:
Weak bank profitability and low market valuations are a source of concern. Action is required to enhance cost efficiency and improve the long-term viability of business models.
In questo passo il nostro riesce davvero a superarsi. In sostanza ci dice: “i bassi profitti bancari e le basse valutazioni di mercato sono causa di preoccupazione. Dovete tagliare i costi e costruire modelli stabili di lungo periodo. “.
I profitti delle banche (e di conseguenza le valutazioni di mercato) sono bassi perchè il quantitative easing e i tassi a zero hanno schiacciato i tassi bancari verso lo zero rendendo praticamente inesistente il classico business di intermediazione del credito. In più, come detto prima, promuovendo politiche di austerità e di gestione frettolosa delle sofferenze i “tecnici” di Francoforte hanno causato perdite notevoli. La soluzione però è sempre la solita: taglio dei costi, cambio del business model. Tutti sappiamo cosa significa taglio dei costi: lasciate persone a casa, quelle che lavorano pagatele meno e fatele lavorare di più. Quanto al business model, Enria arriva tardi: è già cambiato. Cosa hanno fatto le banche? Da intermediari del credito (mestiere a rischio e con poche soddisfazioni con i tassi a zero) sono passati a diventare sempre più venditori di prodotti. Macchine da commissioni. E’ questo quello che intende Enria con business model sostenibile? Piazzare prodotti di risparmio gestito per lucrarci commissioni? Certo, nel breve periodo funziona. Il rischio sta in capo al privato e la remunerazione è ottima. Peccato che quando il gioco si romperà (e si romperà) molti clienti si troveranno in mano carta straccia strapagata su cui hanno pagato, per giunta, onerose commissioni. E peccato ancora di più che questo modello continui ad allargare la forbice tra base produttiva e mercati finanziari. Sempre più liquidità viene dirottata su mercati già inondati dai vari quantitative easing, sempre meno viene indirizzata al sistema. Come allocazione delle risorse è un incubo, come profitti di breve evidentemente no. Cosa possa succedere è facilmente intuibile. Torniamo ad Enria, che traccia un primo bilancio:
The risks to the environment in which euro area banks operate are currently tilted to the downside, amid geopolitical uncertainties, financial market volatility and tightening financing conditions. Banks also face challenges related to their IT systems and cybersecurity as digitalisation is proceeding.
Questo è il vero capolavoro del discorso. I rischi dipendono da “incertezze geopolitiche, volatilità dei mercati e restrizioni nell’erogazione del credito”. Tutte condizioni che evidentemente piovono dal cielo e non sono, come invece abbiamo dimostrato, collegate a precise scelte di politica economica e monetaria di cui la BCE è prima responsabile. Spingi i governi a deprimere la base, inondi i mercati di liquidità per difendere il valore degli asset, spingi le banche a fare altrettanto con le scelte di politica monetaria e poi concludi menando il can per l’ aia: “si ragazzi, potrebbe anche crollare tutto (soprattutto se smettiamo di drogare il sistema), ma non è responsabilità di nessuno. Queste cose capitano, per evidente volontà divina”.
Remaining steps towards completing banking union
While we have come a long way since the establishment of the Single Supervisory Mechanism (SSM) four years ago, the banking union is far from complete and the banking sector remains largely segmented along national lines. We need help from you as legislators at the European and national levels to improve this situation.
Da qui in poi il tono cambia. La genericità, le omissioni, il compitino da terza ragioneria, eseguito per analizzare la situazione attuale e gli eventuali rischi, lascia spazio al banchiere algido, preciso, che sa benissimo ciò che vuole e lo comunica chiaramente ai legislatori presenti (il dominus è lui, gli altri sono esecutori. Strano concetto di democrazia).
Senso del discorso: prima un buffetto di incoraggiamento. “Siete stati bravi, abbiamo fatto parecchia strada da quando abbiamo creato il Single Supervisiory Mechanism (S.S.M.)”. Poi i compiti per casa “C’è ancora troppa frammentazione nazionale nel sistema bancario europeo. Datevi una mossa a cambiare ciò.”.
La situazione è assolutamente surreale. Avessimo dei politici e non dei passacarte qualcuno si sarebbe alzato a chiedergli perchè dovrebbero cedere ogni forma residua di potere e controllo sul sistema bancario alla BCE. Se non per idealismo e lealtà verso gli elettori, almeno per una questione di autoconservazione del proprio potere. Ma abbiamo dei passacarte e non dei politici. E quindi si creano queste scene kafkiane in cui una autorità formalmente sottoposta a controllo, consiglia (leggi: ordina) ai formali detentori (in rappresentanza) della sovranità di suicidarsi. Con questi ultimi che applaudono.
Cosa è, infatti, il “Single Supervisory Mechanism”? In breve è il trasferimento alla BCE, in seguito a decisione assunta nel 2012, della sorveglianza sui requisiti di credito degli istituti sistemici nazionali. Il potere di inviare le famose “letterine”: fate un aumento di capitale, diminuite NPL etc.
Insieme all’ SRM, “Single Resolution Mechanism” (sigle che ricordano un romanzo distopico), il braccio armato che deve agire in caso di banche in dissesto, il S.S.M. è il pilastro della gestione bancaria europea.
Naturalmente questo svuotamento delle funzioni di controllo nazionali viene narrato (tra conflitti di interesse, rappresentanze di classi sociali occultate e hubris tecnocratica) come la vittoria suprema dell’efficienza, una efficienza che sin ora è sempre stata smentita nella pratica altrettanto perentoriamente di quanto era affermata in teoria. Proseguiamo:
We welcome the progress reached on the risk reduction agenda, including all efforts to reach a final agreement on the banking package. This will mark an important milestone towards the completion of the banking union and should help to pave the way towards a European deposit insurance scheme. There are, however, still obstacles to the integrated management of bank capital and liquidity within cross-border groups operating in the banking union. This is also hindering the prospects for cross-border mergers, which are necessary to reduce the excess capacity we still have in the system.
The smooth operation of the SSM also requires a higher degree of harmonisation, as the application of different rules and processes in each Member State unduly complicates the conduct of supervisory tasks and jeopardises the level playing field. This is the case, for instance, for fit and proper assessments.
In sostanza more of the same: centralizzare, centralizzare e ancora centralizzare. Traduzione per il colto e l’ inclita: “Noi abbiamo predisposto il Leviatano, con la vostra gentile e servile collaborazione, ma ci sono ancora parecchi ostacoli per la strada. Questi limiti creano difficoltà ad eventuali ed auspicabili maxi fusioni continentali e (non enunciato ma pensato) lasciano aperta la porta, finchè le strutture bancarie hanno una fisionomia nazionale, a possibili scelte di nazionalizzazione da parte di governi non inquadrati con il verbo di Francoforte.”. Non che ad oggi vi sia il rischio, verrebbe da aggiungere lato nostro, ma evidentemente non si sa mai. E quindi, proseguendo:
We welcome the Euro Summit agreement reached last December on the ESM common backstop to the Single Resolution Fund and in particular the recognition that it can be used to provide both solvency and liquidity support. We are still missing a common framework for bank liquidation, enabling a smooth managed exit of defaulted banks from the market, as is the case in the United States, for instance.
“Apprezziamo l’accordo raggiunto nell’Eurogruppo dello scorso Dicembre con cui ci avete gentilmente concesso carta libera trasformando l’ESM (il fondo salva stati) in un’organizzazione comunitaria. Quindi le decisioni ora passano dal livello governativo alla Commissione (di fatto alla BCE). D’ora in poi chi vuole accedere al Fondo si prende le “riforme” comprese nel pacchetto, senza odiose negoziazioni bilaterali che, per così dire, spaventano tanto i mercati. Le accettate e basta. Certo, tanto che eravate in ballo, potevate darci piena autorità sulle liquidazioni di banche in crisi. Ma siamo sicuri che adesso che ve lo abbiamo ricordato farete un altro passo verso il suicidio. “. E arriviamo così alle:
Conclusion
The banking union has been successful in promoting a more resilient banking sector. But it is still failing to deliver an integrated domestic market for banking business. Rather than smoothing idiosyncratic shocks to individual Member States, the banking sector still operates as a shock amplifier. A financial integration agenda for the banking union should rank high among the priorities of legislators and authorities for the next five years.
Thank you for your attention.
Conclusione. “Siamo quasi allo scacco matto (anche se poi non abbiamo alcuna idea di come gestire le ripercussioni delle nostre azioni, sia economicamente che politicamente). Ma ci sono ancora delle resistenze che potrebbero sfruttare quelle briciole di sovranità residua per imporre linee diverse di interventismo statale a prioritaria tutela del lavoro e dell’accesso al credito rispetto agli interessi dei rentier. Quindi sbrigatevi ad eliminarle.
D’altronde lo facciamo per voi: il sistema bancario ad oggi amplifica le crisi sistemiche invece di calmierarle (e invece, da come abbiamo analizzato sopra la politica della BCE fa… ehm fa esattamente da amplificatore). Quindi non baloccatevi con strane idee di nazionalizzazione, programmazione, controllo dei capitali. La crisi è arrivata e si è incancrenita perchè non avete fatto abbastanza per spingere il modello tecnocratico alle sue ultime conclusioni.”.
Questa è la narrazione di Enria (e quindi della BCE): le crisi arrivano dal nulla (nella prima parte non è riuscito ad impostare nessuna forma di analisi coerente, limitandosi ad elencare i rischi e nascondere gli squilibri del modello economico in vigore e le colpe della BCE nel disastro). Quindi, non potendosi formulare una diagnosi attendibile delle cause del disastro, abbiate fede in noi, consegnateci sempre più poteri e tutto andrà per il meglio. Del resto, noi siamo i “tecnici”. Se questo non è accaduto in passato basta non dirlo, basta glissare sulla reale narrazione degli eventi e passare direttamente alla competente enunciazione delle misure necessarie. Necessarie a chi non viene precisato. Ma siamo sicuri che ai passacarte, formalmente rappresentanti dei cittadini, non sarà venuto in mente di chiederlo.
***
Articolo di Amos Pozzi per Saker Italia del 22 febbraio 2019
FONTE:http://sakeritalia.it/economia/i-vampiri-del-risparmio-come-la-bce-distrugge-le-nostre-banche/
Affideresti la tua vita ad un computer? No? E allora perchè lo fai con le tue polizze?
giovedì 2 ottobre 2014
Sei sicuro di conoscere bene il mondo delle assicurazioni?
Come abbiamo visto nei precedenti articoli esistono clausole, in particolare per le polizze auto, estremamente pericolose dal punto di vista economico, per il cliente.
Si tratta di clausole che vengono inserite il più delle volte per abbassare il prezzo, scaricando però un grosso rischio sulle spalle dei clienti dei clienti che, in caso di sinistro, dovranno provvedere di tasca propria.
Data la delicatezza dell’argomento, appare quindi sorprendente come molti utenti si affidino per l’acquisto di una polizza auto (prodotto, lo ripetiamo, tutt’altro che semplice) ai comparatori online, che trovano sì il prezzo più basso, ma non possono offrire una chiara consulenza sul prodotto che una persona sta acquistando.
I migliori offrono il dettaglio delle garanzie presenti in ciascuna polizza proposta, ma sei proprio sicuro di conoscere bene l’”assicuratese”?
Sei proprio sicuro che un sistema informatico che si limita ad estrapolare dati da altri sistemi informatici possa offrirti un prodotto migliore di uno studiato da un essere umano che ascolta le tue esigenze, ti pone domande precise e si impegna a trovare la corretta soluzione?
Il fai da te è divertente, ed anche un ottimo modo per rilassarsi, ma siamo sicuri che sia la soluzione migliore quando si tratta della tua sicurezza e di quella dei tuoi cari?
Una clausola mal capita può fare la differenza tra un danno pagato dalla compagnia ed uno pagato di tasca tua.
Sei proprio sicuro che valga la pena risparmiare qualche euro per rinunciare al “fattore uomo”?
Luca Campolongo
www.sosimprese.info
FONTE:http://www.ilnord.it/c-3584_Affideresti_la_tua_vita_ad_un_computer_No_E_allora_perch_lo_fai_con_le_tue_polizze
GIUSTIZIA E NORME
LA RESPONSABILITÀ CIVILE DA ILLECITO TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI
Avv. Gabriele Borghi
Sommario: 1. La responsabilità civile cd. speciale nel prisma dell’art. 82 del GDPR – 2. Il nuovo principio di responsabilizzazione: la responsabilità civile in funzione preventiva – 3. L’analisi e la gestione del rischio nell’attività di trattamento dei dati personali
1. La responsabilità civile cd. speciale nel prisma dell’art. 82 del GDPR
A seguito dell’abrogazione dell’art. 15 del D.Lgs. n. 196/2003, ad opera dell’art. 27 comma 1 lettera a) n. 2 del D.Lgs. n. 101/2018, l’art. 82[1] del Regolamento UE n. 2016/679 (GDPR) costituisce, allo stato attuale, l’unica norma di diritto sostanziale che riconosce, in modo specifico, il diritto al risarcimento del danno (patrimoniale e non patrimoniale[2]) conseguente ad un illecito trattamento dei dati personali.
Dall’analisi della complessa formulazione della normativa in parola – composta da ben sei paragrafi – si evince che la stessa possieda le caratteristiche di una responsabilità civile cd. speciale, giacché il Legislatore comunitario ha ritenuto di andare ben oltre al generico impianto della responsabilità civile cd. comune (la quale, a parere della dottrina dominante, consiste nella responsabilità del chiunque, ossia di un soggetto non qualificato che pone in essere una condotta illecita contraria all’ordinamento giuridico), statuendo espressamente che le figure soggettive tipizzate (ossia, il Titolare ed il Responsabile del trattamento, nell’ambito delle rispettive competenze previste dal GDPR) siano gravate tanto da obblighi di condotta tipici, articolati e complessi quanto da disposizioni di principio – tra le quali primeggia quello di accountability – che investono, a prescindere dalla sussistenza o meno di un rapporto contrattuale con il soggetto interessato, tutta la loro attività.
Si registra, dunque, nell’impianto complessivo del nuovo regolamento comunitario un marcato cambio di visione rispetto alla previgente Direttiva CE n. 95/46: infatti, il Legislatore eurounitario ha spostato l’attenzione della prospettiva regolatoria dalla mera autodeterminazione mediante declinazione dei diritti e garanzie del soggetto interessato (da attuare in caso di violazione delle regole del trattamento) alla più moderna ed efficiente gestione e prevenzione del rischio del trattamento da parte del Titolare e/o del Responsabile, sul presupposto, peraltro, della natura imprenditoriale del trattamento di dati (altrui).
Altresì, si osserva, nello specifico, che la tutela procedimentale prevista dal GDPR – posta a presidio della liceità, correttezza e trasparenza del trattamento dei dati personali – non è diretta esclusivamente alla protezione dei diritti fondamentali e delle libertà individuali del soggetto interessato, ma anche a tutela di interessi collettivi di categoria tesi al buon funzionamento del mercato e dell’ordinamento giuridico in generale.
In tale ottica, risulta, quindi, coerente la scelta, operata dal Legislatore comunitario, di lasciare indeterminata la categoria dei soggetti tutelati, giacché, ai sensi dell’art. 82 del GDPR, “chiunque” subisce un danno può attivare il rimedio risarcitorio: nello specifico, il danneggiato, seppur indeterminato, può essere soltanto una persona fisica in ossequio al Considerando n. 14 del GDPR e, per altro verso, può essere, altresì, un soggetto differente rispetto all’interessato purché riesca a dimostrare di aver subito “un pregiudizio di natura diversa dal trattamento di dati personali altrui”, avendo fatto legittimo affidamento sull’esattezza e completezza di tali dati.
Per tali ragioni, è opportuno inquadrare l’art. 82 GDPR all’interno dell’alveo della responsabilità extracontrattuale, atteso che è proprio il danno cagionato dal Titolare o dal Responsabile del trattamento a costituire un nesso di relazione con la sfera giuridica del soggetto interessato, potendo escludersi, siffatta responsabilità, soltanto mediante la prova (diabolica), posta in capo agli asseriti danneggianti, circa la non imputabilità dell’evento dannoso registratosi[3].
2. Il nuovo principio di responsabilizzazione: la responsabilità civile in funzione preventiva
L’appena descritto cambio di prospettiva deriva dal citato principio di accountability[4], il quale non solo caratterizza ed informa la nuova normativa europea sulla protezione dei dati ma manifesta, in particolar modo, un nuovo orientamento di politica del diritto, basato sulla gestione del rischio.
Infatti, il GDPR non prevede più soltanto prescrizioni dirette e precise alla cui mancata applicazione segue l’irrogazione di una sanzione (si pensi alle misure minime di sicurezza previste dal Legislatore italiano, contenute nell’Allegato b) del Codice della Privacy, oggi abrogato), bensì, all’opposto, si fonda su un obiettivo da realizzare secondo modalità (che saranno poi oggetto di successiva valutazione da parte dell’autorità di controllo e del giudice) che lo stesso Titolare e/o Responsabile del trattamento deve, di volta in volta, determinare in ragione della maggiore responsabilizzazione.
Si passa, dunque, da un approccio normativo che dettava indicazioni assai precise ad uno che impone a tali soggetti di modulare la concreta attuazione dei principi sanciti, in astratto, dalla normativa in materia.
A tal riguardo, si osserva, altresì, che l’accountability viene descritto come un meccanismo a due livelli, uno obbligatorio ed uno, invece, volontario: il primo livello sarebbe costituito da un obbligo di base vincolante per tutti i Titolari (e Responsabili) del trattamento, e comprenderebbe l’attuazione e la formalizzazione delle misure e/o procedure (es. adozione di un modello organizzativo) nonché la conservazione delle relative prove; viceversa, il secondo livello includerebbe sistemi di responsabilità di natura volontaria eccedenti le norme di legge cd. minime, in relazione ai principi fondamentali di protezione dei dati e/o in termine di modalità di attuazione o di garanzia dell’efficacia delle misure poste in essere.
Sulla scorta di ciò, si può affermare che tale principio configuri un modello di responsabilità volto alla prevenzione del danno, al punto che la responsabilità civile può essere definitiva soltanto una delle epifanie dell’accountability; in altri termini, la responsabilizzazione ex ante si declina come responsabilità ex post[5].
3. L’analisi e la gestione del rischio nell’attività di trattamento dei dati personali
Tenuto a mente quanto poc’anzi affermato, è opportuno ora osservare che l’ambito nel quale il principio di accountability ha – senza dubbio – un’applicazione più evidente è quello della sicurezza dei dati personali; per raggiungere tale obiettivo, il GDPR impone al Titolare (e al Responsabile) del trattamento di adottare delle misure tecniche ed organizzative ritenute idonee a garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio (di accessi, usi, modifiche, divulgazioni, perdite, distruzioni o danni accidentali, non autorizzati ovvero illegali).
Il processo teso alla scelta delle misure di sicurezza si articola nella fase di analisi e valutazione del rischio, ed in quella successiva rappresentata dalla gestione del rischio.
Per quanto concerne il primo aspetto, si deve ricordare, innanzitutto, che la valutazione del rischio[6], richiesta al Titolare ed al Responsabile del trattamento, è suscettibile di mutare in base al decorso del tempo, con la conseguenza che risulta di primaria importanza l’effettuazione della stessa in modo periodico e continuativo.
Tanto premesso, nell’ambito della sicurezza dei dati personali essa può articolarsi in quattro differenti fasi: definizione dell’operazione di trattamento e del suo contesto: è necessario definire la natura del trattamento posto in essere, la tipologia dei dati personali trattati, le finalità di trattamento, gli strumenti utilizzati a tale scopo, i soggetti interessati ed, infine, gli eventuali destinatari dei dati trattati; comprensione e valutazione dell’impatto: è opportuno valutare l’impatto che una possibile perdita di dati possa avere sui diritti e sulle libertà fondamentali delle persone fisiche; definizione di possibili minacce e valutazione della loro probabilità[7]: risulta doveroso valutare a quali minacce (esterne o interne) è esposto il Titolare (e/o il Responsabile) del trattamento, sulla base del contesto in cui viene effettuato il trattamento preso in considerazione, oltre ché la probabilità che queste minacce si verifichino; valutazione del rischio, da eseguirsi sulla base delle risultanze ottenute nelle fasi precedenti.
A seguito della valutazione del livello di rischio, il soggetto attivo del trattamento deve, quindi, procedere con la selezione delle misure di sicurezza appropriate ed adeguate per la protezione dei dati oggetto di trattamento, onde così diminuire – nella fase di gestione del rischio (risk management) – il valore della probabilità che un determinato evento lesivo si verifichi.
Nello specifico, le misure di sicurezza da scegliere devono, tuttavia, garantire, secondo i dettami del GDPR, che vengano trattati, per impostazione predefinita, soltanto i dati personali necessari per ogni specifica finalità di trattamento (data protection by default) e che, infine, la protezione dei dati sia garantita sin dalla fase di progettazione (data protection by design).
A tal uopo, gli strumenti utilizzabili sono da individuarsi nelle seguenti due macro categorie: strumenti di natura tecnica: in via soltanto esemplificativa, se ne riportano alcuni: a) pseudonimizzazione dei dati personali: modalità di trattamento in cui i dati personali non possono essere attribuiti ad un interessato specifico senza l’utilizzo di informazioni aggiuntive; b) cifratura dei dati personali: processo di codificazione e protezione delle informazioni, mediante l’utilizzo della crittografia e della criptoanalisi; c) back up periodici dei dati memorizzati; d) protezione della rete e dei propri sistemi attraverso dei controlli di accesso adeguati; misure organizzative interne: ad esempio: a) trasmissione, in modo periodico, a tutto il proprio personale delle informazioni riguardanti le norme sulla sicurezza dei dati ed i connessi obblighi normativi; b) distribuzione chiara delle responsabilità e delineazione netta delle competenze in tema di trattamento dati; c) utilizzo dei dati personali soltanto in osservanza delle istruzioni impartite dalla persona competente ovvero in base alle norme vigenti in materia; d) protezione dell’accesso alle sedi, agli hardware e software, ivi inclusi i controlli relativi all’autorizzazione dell’accesso.
In conclusione, occorre, dunque, che il soggetto attivo del trattamento ponga in essere una complessa attività di valutazione (tecnica, giuridica ed organizzativa), un’analisi dei rischi e dei costi, una scelta sulle misure di sicurezza da adottare, l’istituzione di un presidio, l’emanazione di policy interne ed, infine, un attività di monitoraggio continuo e periodico.
Per di più, tutto ciò deve essere adeguatamente formalizzato ed attuato, onde così consentire al Titolare e/o al Responsabile del trattamento di assolvere all’onere della gravosa prova liberatoria impostagli per andare esente da eventuali ipotesi di responsabilità civile da trattamento illecito dei dati personali.
NOTE
________________________________________________________________________________
[1] Si impone un’operazione ermeneutica estensiva dell’art. 82 del GDPR, posto che non può ritenersi che il diritto al risarcimento del danno alla privacy sussista unicamente nel caso in cui il danno sia causato da una violazione del GDPR; una siffatta interpretazione restrittiva si porrebbe, infatti, in contrasto sia con il Considerando n. 146 sia con il Considerando n. 80, giacché quest’ultimo spiega testualmente che con la locuzione “trattamento non conforme al presente regolamento” si intende anche “il trattamento non conforme agli atti delegati e agli atti di esecuzione adottati in conformità del presente regolamento e alle disposizioni del diritto degli Stati membri che specificano disposizioni del presente regolamento”. A parere di chi scrive, anche la violazione di atti di cd. soft law, adottati da parte del Garante della Privacy, legittima chiunque abbia subito un danno derivante da tale violazione a far valere il suo diritto in giudizio per fini risarcitori.
[2] La tematica della risarcibilità dei danni non patrimoniali (sovente connessi alla tutela dell’immagine, del decoro e della dignità dell’essere umano) risente dell’altalenante giurisprudenza in materia la quale ha, talvolta, negato il risarcimento dei danni alla privacy sulla scorta della prevalenza del principio di tolleranza su quello di legalità, stante l’accertata tenuità della lesione subita dal soggetto danneggiato; in via generale, è, altresì, necessario ricordare che la giurisprudenza ha, da tempo, sposato il principio del cd. danno conseguenza, negando la sussistenza di un danno in re ipsa derivante dalla mera violazione della disciplina sul trattamento dei dati personali ed imponendo al danneggiato, onde vedersi accordato il risarcimento, la dimostrazione – anche mediante il mezzo presuntivo – di un effettivo pregiudizio prodottosi nella propria sfera giuridico-economica: cfr. ex plurimis: Corte di Cassazione Sez. I Ord. n. 207 del 8.1.2019.
[3] L’inversione dell’onere della prova che la norma europea dispone consente, per un verso, di aumentare la protezione del danneggiato, stante la difficoltà che questi potrebbe incontrare – in specie in riferimento alla realtà digitale in cui oggi si svolge la maggior parte dei trattamenti dei dati personali – nel dimostrare la colpa dell’autore del trattamento; per altro verso, permette di responsabilizzare il soggetto attivo del trattamento, il quale, per andare esente da responsabilità, non può limitarsi a fornire la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione ma ha l’onere di dare la prova positiva di aver impiegato tutte le misure di prevenzione ragionevoli e comunque normalmente adeguate a scongiurare il danno, essendo, peraltro, tenuto a stare al passo con il progresso tecnologico e ad aggiornare le misure adottate al continuo evolvere delle tecniche di prevenzione del danno.
[4] Tale concetto è già presente dal 1980 nelle Linee Guida della OECD (Organisation for Economic Cooperation and Development), in base alle quali “Un Titolare del trattamento dei dati dovrebbe essere responsabile per il rispetto delle misure che danno attuazione ai principi” (“A data controller should be accountable for complying with measures which give effect to the [material] principles stated above”). Inoltre, all’interno del parere n. 3/2010 a firma del Gruppo di lavoro Art. 29 per la protezione dei dati è stato affermato che tale termine può essere tradotto in differenti modi, fra i quali: responsabilità; affidabilità; assicurazione; obbligo di rendicontare; attuazione dei principi concernenti il trattamento dei dati personali. Infine, sull’accountability si segnala il ruolo trainante del progetto ‘‘Accountability- Based Privacy Governance’’ promosso da The Centre for Information Policy Leadership che ha coinvolto circa 60 partecipanti internazionali, fra i quali Garanti, industrie ed accademici.
[5] In questo senso: E. Tosi, “Responsabilità civile per illecito trattamento dei dati personali e danno non patrimoniale”, 2019, Giuffrè.
[6] Di solito, il calcolo del rischio si ricava dalla moltiplicazione tra la probabilità che una determinata minaccia presa in considerazione si verifichi ed il danno massimo ipotizzabile che può comportare quella medesima minaccia.
[7] Per fornire delle linee guida in tale fase, l’ENISA ha elaborato, all’interno del “Manuale sulla sicurezza nel trattamento dei dati personali” del Dicembre 2017, alcune domande che i soggetti attivi del trattamento possono farsi per comprendere il grado di esposizione dei dati personali trattati rispetto alle minacce informatiche e la probabilità che queste si verifichino.
FONTE:http://www.salvisjuribus.it/la-responsabilita-civile-da-illecito-trattamento-dei-dati-personali/
Coronavirus e mafia, ecco i boss straisti che usciranno dal carcere (?)
- Pubblicato: 20 Aprile 2020
Nota del Dap per segnalare i “detenuti con più di 70 anni e con malattie”
di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari
“Siamo stanchi di essere strumentalizzati, umiliati, vessati e usati come merce di scambio dalle varie forze politiche”. Correva l’anno 2002 quando, con queste parole, il boss corleonese Leoluca Bagarella, cognato del capo dei capi Totò Riina, interveniva in videoconferenza dal carcere de L’Aquila, durante un processo sulla faida di Alcamo, annunciando lo sciopero della fame per protestare contro il 41 bis (il regime carcerario cui sono sottoposti gli imputati di mafia).
Da quando, a seguito della strage di Capaci, alla legge Gozzini dell’ordinamento penitenziario fu introdotto il secondo comma, per i boss mafiosi quello del 41 bis è stato un chiodo fisso.
A quasi diciotto anni di distanza da quella “lettera-proclama” il capomafia, sanguinario stragista, potrebbe davvero vedere esauditi i propri desideri di “libertà”, anche fosse per un breve periodo, fuori dal carcere.
Per assurdo la “soluzione” potrebbe venire dall’emergenza sanitaria del Coronavirus.
L’allarme è scattato nel momento in cui è emersa l’esistenza di una circolare, trasmessa per conto del Direttore generale del Dap Giulio Romano, inviata a tutti i penitenziari italiani, con un oggetto generico “Segnalazione all’autorità giudiziaria”, invitando a comunicare “con solerzia alla Autorità giudiziaria, per le eventuali determinazioni di competenza”, il nominativo di quei detenuti che hanno più di 70 anni e sono affetti da determinate patologie.
Quel che salta immediatamente all’occhio è la data, quella del 21 marzo, ovvero quattro giorni dopo l’approvazione del decreto Cura Italia con cui il governo affrontava il problema del sovraffollamento, prevedendo gli arresti domiciliari per i detenuti che abbiano una condanna “non superiore a 18 mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena”.
Quel provvedimento, interveniva specificatamente per quelle posizioni già in “esecuzione di pena” e non potevano rientrare nella casistica tutti quei soggetti che avevano commesso reati gravi (come ad esempio quelli richiamati dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, maltrattamenti in famiglia o stalking).
Boss a rischio libertà
Il documento del Dap, però, non fa alcun richiamo al cura Italia e non fa distinzione tra detenuti. Ed è proprio quella mancata distinzione che ha fatto scattare l’allarme negli ambienti giudiziari perché così si includono anche quei soggetti sottoposti al regime carcerario del 41 bis. Si parla di una “popolazione” di 74 boss al carcere duro, a cui si aggiungono le diverse centinaia di detenuti in Alta sicurezza, che potenzialmente rientrerebbero nella “casistica” dei soggetti a rischio.
E l’elenco dei nomi, al netto del “peso” e della “storia” criminale, è di quelli “eccellenti” e fa rabbrividire: dallo stesso Leoluca Bagarella, al cassiere della mafia Pippo Calò, al boss Nitto Santapaola fino ad arrivare al camorrista Raffaele Cutolo, o gli ‘ndranghetisti Pasquale Condello, Giuseppe Piromalli e Umberto Bellocco. L’elenco, stilato nei giorni scorsi da L’Espresso, è ancor più grande se si guarda a Benedetto Capizzi, Antonino Cinà, Carmine Fasciani, Vincenzo Galatolo, Teresa Gallico, Raffaele Ganci, Tommaso Inzerillo, Salvatore Lo Piccolo, Piddu Madonia, Nino Rotolo e Benedetto Spera. Nomi di primissimo piano che hanno gestito il potere di Cosa nostra, alcuni dei quali hanno fatto parte della cosiddetta Cupola, ‘Ndrangheta e Camorra negli anni prima e dopo le stragi.
Un segnale di distensione
Quando fu emesso il “Cura Italia” il Consiglio superiore della magistratura intervenne, spaccandosi sul parere da dare sul decreto. Da una parte chi riteneva la misura troppo blanda, dall’altra si erano espressi in maniera forte magistrati come Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita, arrivando a definirlo come un “indulto mascherato” e un “pericoloso segnale di distensione”.
Per assurdo quello che sta accadendo attorno alle carceri in queste settimane presenta un quadro più allarmante che addirittura va anche oltre a quelle indicazioni di Governo, che comunque avevano circoscritto la casistica dei soggetti che potevano ottenere un regime di detenzione alternativo.
E’ accaduto, infatti, che anche i detenuti per mafia in attesa di giudizio definitivo, abbiano ottenuto la concessione dei domiciliari. Il caso recente più eclatante è stato quello di Rocco Santo Filippone imputato nel processo ‘Ndrangheta stragista dove, assieme al capomafia palermitano Giuseppe Graviano, è accusato di essere il mandante degli attentati contro i carabinieri (in cui morirono anche i brigadieri Fava e Garofalo), avvenuti tra il 1993 ed il 1994.
Ma ancor prima provvedimenti analoghi erano stati presi nei confronti del boss di Lamezia Terme Vincenzino Iannazzo, condannato in appello a 14 anni e mezzo e in attesa di sentenza definitiva; o quello per l’ergastolano di origini siciliane, Antonio Sudato, 67 anni, che si trovava rinchiuso nel carcere di Sulmona.
E come nella circolare del Dap anche quelle decisioni prese da Gip, Gup e Presidenti delle Corti, non facevano riferimento al decreto del governo.
Quell’indicazione, infatti, veniva in qualche maniera “superata” da un’altra, trasmessa i primi di aprile dal procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi a tutte le Procure generali d’Italia. Un documento in cui si suggeriva di considerare il carcere come “extrema ratio”. Caso vuole che proprio in quelle date sono iniziate le scarcerazioni.
Scelte condizionate
Se si mettono assieme il documento del Dap del 21 marzo e i suggerimenti del Procuratore generale della Cassazione, ci si accorge che in entrambi i casi non si parla di provvedimenti vincolanti, ma la “patata bollente” viene lasciata nelle mani del singolo giudice chiamato ad assumere le proprie “determinazioni di competenza”, assumendosi di fatto ogni responsabilità qualora accada qualcosa al detenuto che ha presentato l’istanza tramite il proprio legale. E dal momento che già i primi provvedimenti sono stati presi in questa direzione cosa impedisce alla “Bagarella&co” di sperare nella “nuova visione” generata dall’emergenza sanitaria mondiale?
Probabilmente c’è chi dirà che i soggetti sottoposti al “carcere duro” non rientrano in alcun modo nella categoria di coloro che potevano sperare nelle scarcerazioni, ma lo stesso si diceva per i detenuti al 41bis. E abbiamo visto come è andata a finire.
Proteste carceri
Certo è che il momento che si sta attraversando non è dei migliori. Il clima che dai primi di marzo si registra dentro e fuori le carceri è agitato. Gli scontri che, da nord a sud, si sono sviluppati contemporaneamente in più parti d’Italia, lo testimoniano.
Anche in questo caso la tempistica salta all’occhio. E fa riflettere che provvedimenti e circolari siano arrivati poche settimane dopo gli scontri all’interno delle carceri, addirittura con tanto di evasioni, dietro cui – secondo ipotesi investigative a cui varie procure stanno lavorando – ci sarebbe la criminalità organizzata.
Rivolte che richiamano alla memoria i tempi in cui dalle carceri si protestava proprio per condizionare le scelte della politica o le decisioni del Dap.
Un modus operandi che ciclicamente sembra ripresentarsi nel corso del tempo. E ancora una volta tornano in mente le parole di Bagarella nel suo “editto”: “Abbiamo iniziato una protesta civile e pacifica… Tutto ciò cesserà nel momento in cui le autorità preposte in modo attento e serio dedicheranno una più approfondita attenzione alle problematiche che questo regime carcerario impone”. Correva l’anno 2002.
Oggi, come allora, i capimafia tornano a parlare di incostituzionalità del 41 bis (vedi Graviano al processo ‘Ndrangheta stragista).
Anche la “rivolta interna” sembra aver portato i suoi primi frutti mentre dall’esterno, associazioni per i diritti dei detenuti, penalisti, prelati, segmenti del mondo della politica e dell’informazione, hanno avviato un vero e proprio “tam-tam” chiedendo a gran voce, senza fare distinzione, amnistie e indulti senza maschere.
Fermo restando che la salute dei detenuti è fondamentale, uno Stato serio che non voglia essere prono o complice, non può permettere che gli stupratori della nostra democrazia, che hanno commesso omicidi, estorsioni, corruzioni, traffico di stupefacenti e stragi, possano ottenere anche un solo beneficio. Quando vennero uccisi Falcone e Borsellino i mafiosi brindarono sulle loro morti. Qualora venissero aperte le porte del carcere per gli autori delle stragi di Capaci e via d’Amelio la trattativa Stato-mafia “finalmente” andrebbe in porto con il trionfo dei boss. I ministri della Giustizia e degli Interni, Bonafede e Lamorgese, prendano nota.
In foto da sinistra dall’alto: Raffaele Cutolo, Leoluca Bagarella, Nitto Santapaola e Pasquale Condello
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Ardita all’Antimafia: ”Rischio che sentenza Consulta sia intesa come segnale cedimento”
Il 41bis, l’ago della bilancia nella strategia della “distensione”
Idee (folli) di governo sul 41-bis: ”Va rivisto”
I mafiosi dal 41 bis: ”Non vogliamo Di Matteo al Dap”
FONTE:http://www.antimafiaduemila.com/rubriche/giorgio-bongiovanni/78496-coronavirus-e-mafia-ecco-i-boss-stragisti-che-usciranno-dal-carcere.html
Giorgio Napolitano e la trattativa Stato-mafia
Pubblicato: 27 Aprile 2020
di Giorgio Bongiovanni – Video
Sulle recenti scarcerazioni di boss mafiosi, detenuti al 41 bis o in alta sicurezza, che per motivi di salute ed il rischio contagio Covid-19 hanno beneficiato della concessione dei domiciliari, si è acceso un forte dibattito politico-giuridico.
Magistrati come Nino Di Matteo, Sebastiano Ardita, Nicola Gratteri e Catello Maresca (per citarne alcuni) in questi giorni hanno espresso opinioni concordanti sulla gravità di questi provvedimenti.
In particolare proprio Di Matteo, membro indipendente del Csm, commentando la scarcerazione di un boss detenuto al 41 bis come Francesco Bonura, evidenziava il rischio che certi episodi possano essere letti come “un segnale tremendo che rischia di apparire come un cedimento dello Stato di fronte al ricatto delle organizzazioni criminali che si è concretizzato con le violenze e le proteste delle settimane scorse nelle carceri di tutta Italia”.
Urge, dunque, un intervento perché, così come ha detto il consigliere togato del Csm Sebastiano Ardita, “l’umanità dell’esperienza penitenziaria non può essere messa in discussione, ma finché esiste Cosa nostra è necessario il 41bis”.
Diamo atto che nei giorni scorsi il ministro della giustizia, Alfonso Bonafede, ha annunciato un provvedimento, che dovrebbe essere discusso in Consiglio dei ministri giovedì, con cui si punta a coinvolgere la Procura nazionale antimafia e antiterrorismo per evitare, da ora in poi, nuovi casi simili a quello Zagaria, Bonura o affini.
Va ricordato che il tema delle carceri, in particolare con l’abolizione del carcere duro e dell’ergastolo, era uno degli obiettivi principali che i boss di Cosa nostra avevano con la trattativa Stato-mafia, condotta a colpi di bombe.
Su quella stagione vi è stato un processo ed una sentenza. La Corte d’Assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto, in primo grado, ha condannato boss mafiosi, ufficiali del Ros e politici. In quel dibattimento vi furono testimonianze autorevoli come quelle dell’ex ministro della giustizia Claudio Martelli che aveva apertamente parlato di una “dialettica bombe-concessioni” che aveva portato ad un “cedimento unilaterale da parte dello Stato”. Oppure le parole dell’ex Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ascoltato in un’udienza straordinaria al Quirinale, il 28 ottobre 2014, aveva detto che le bombe del ’92 e ’93 furono un “aut-aut” allo Stato, un “ricatto a scopo destabilizzante di tutto il sistema”.
E pensare che prima di testimoniare l’allora Capo dello Stato aveva manifestato diverse resistenze a cominciare dal conflitto di attribuzione senza precedenti contro la Procura di Palermo per la nota vicenda delle intercettazioni tra lui e l’allora indagato Nicola Mancino (assolto in primo grado). Telefonate che i pm hanno sempre definito irrilevanti e che sono state poi distrutte dopo la decisione della Consulta.
Alcuni lettori, recentemente, sono tornati a chiederci di ricordare quella scandalosa vicenda.
Il nostro editorialista, il giornalista e scrittore Saverio Lodato, più volte ha messo in evidenza certi aspetti. Nel luglio 2013, intervenendo nel tradizionale convegno che abbiamo organizzato come ANTIMAFIADuemila in memoria di Paolo Borsellino e gli agenti di scorta, aveva ricordato quell’opposizione che veniva direttamente dal Colle. E lo stesso aveva ribadito durante la trasmissione di La7, Otto e mezzo, durante la puntata del 28 ottobre 2014, post-testimonianza Quirinalizia, in un accesissimo confronto con l’ex sindaco di Venezia, Massimo Cacciari. Interventi che riproponiamo ai nostri lettori per comprendere quanto sia scottante e scomodo il tema della trattativa Stato-Mafia. Un argomento che molti preferiscono non affrontare, nonostante le sentenze dicano chiaramente che “trattativa ci fu”. “La lotta alla mafia è una partita truccata – diceva Lodato nel 2013 -. La politica e la mafia, alla luce del sole, si mescolano fra di loro. Tutti gli italiani ormai lo hanno capito e lo sanno. Ma a nessuno è consentito aggredire il rapporto fra la mafia, la politica, gli affari. A nessuno è consentito indagare, cercare la verità, processare a far di tutto per arrivare a sentenza di condanna. Il Potere non lo vuole”. Lodato concludeva il suo intervento con una promessa: “Combatteremo sino alla fine nella speranza che gli assassini di mafia e gli assassini di Stato di Paolo Borsellino vengano un giorno assicurati alla giustizia insieme ai mandanti che li ispirano. Ce la faremo? E chi può dirlo? Ma una cosa è certa: in Italia c’è posto per tutti. Anche per sessanta milioni di italiani. Dei quali, non dimentichiamolo, fa parte Papa Francesco. Giuristi, storici, sociologi, giornalisti, uomini politici, ex uomini di Stato, capi di Stato, se ne facciano una ragione”. Una promessa che, a guardar bene, vale ancora oggi.
Foto originali © Imagoeconomica/Paolo Bassani
VIDEO QUI: https://youtu.be/7EBOG6CmXtg – https://youtu.be/oJM_WiftpR8
FONTE:http://www.antimafiaduemila.com/rubriche/giorgio-bongiovanni/78614-giorgio-napolitano-e-la-trattativa-stato-mafia.html
Magistrato: “Dovevo dirigere il DAP ma ministro cambiò idea: i boss non mi volevano”
Botta e risposta, durante la trasmissione Non è l’Arena su La7, tra il magistrato Nino Di Matteo e il Guardasigilli Alfonso Bonafede. Il magistrato ha raccontato che “Bonafede mi chiese se ero disponibile ad accettare il ruolo di capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria o, in alternativa, quello di direttore generale degli affari penali. Chiesi 48 ore di tempo per dare una risposta“, ma “quando ritornai, avendo deciso di accettare la nomina a capo del Dap (Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ), il ministro mi disse che ci aveva ripensato e nel frattempo avevano pensato di nominare Basentini“. Lo riporta Rai News.
Di Matteo ricorda che, nelle ore intercorse tra la proposta del ministro della Giustizia e la sua decisione, “alcune informazioni che il Gom della polizia penitenziaria aveva trasmesso alla procura nazionale antimafia ma anche alla direzione del Dap, quindi penso fossero conosciute dal ministro, avevano descritto la reazione di importantissimi capimafia, legati anche a Giuseppe Graviano e ad altri stragisti all’indiscrezione che io potessi essere nominato a capo del Dap”.
Quei capimafia, racconta, dicevano “se nominano Di Matteo è la fine”. Tuttavia, “al di là delle loro valutazioni – aggiunge – andai a trovare il ministro 48 ore dopo, avevo deciso di accettare la nomina a capo del Dap ma improvvisamente mi disse che ci aveva ripensato”. Incalzato dal conduttore, Massimo Giletti, Di Matteo puntualizza: “Al ministro dissi ‘Mi consenta di parlare con i miei famigliari prima di decidere’, e quando andai per dire che avrei accettato Dap, nel frattempo il ministro ci aveva ripensato o qualcuno l’aveva indotto a ripensarci questo non lo posso sapere. ‘La vorremmo come nostro collaboratore, può scegliere o essere nominato al Dap, e lo passo fare io subito, o può scegliere la direzione degli affari penali, ma in questo caso deve aspettare la maturazione di una situazione’, era la prima offerta di Bonafede”. Anziché la nomina al Dap, nel secondo incontro, “il ministro mi chiese di accettare il ruolo di direttore generale al ministero. Il giorno dopo gli dissi di non contare su di me perché non avrei accettato”, conclude Di Matteo.
FONTE:https://stopcensura.org/magistrato-dovevo-dirigere-il-dap-ma-ministro-cambio-idea-i-boss-non-mi-volevano/
IMMIGRAZIONI
GIGANTESCA RISSA TRA IMMIGRATI A TORINO: 10 VOLANTI PER FERMARLI
Centinaia riversati nelle strade di Torino nella giornata di ieri, incuranti le restrizioni dovute al coronavirus, nei quartieri multietnici di San Salvario e Barriera di Milano, dove nel corso del pomeriggio è scoppiata anche una gigantesca rissa tra immigrati.A fronteggiarsi sono stati due gruppi di immigrati nigeriani e marocchini e per riportare la calma è stato necessario l’intervento di 10 volanti della polizia. Purtroppo non hanno sparato a vista.
Sembra che la scintilla sia partita dal furto di una bicicletta e un cittadino marocchino è stato portato in Questura per accertamenti, mentre altre dieci posizioni sono al vaglio degli investigatori.
Alle 19,30 un’altra rissa ha impegnato almeno 8 pattuglie.
FONTE:https://voxnews.info/2020/05/04/gigantesca-rissa-tra-immigrati-a-torino-10-volanti-per-fermarli/
Campania, 20mila immigrati in arrivo. Lega: “Assumere gli italiani, giovani e disoccupati”
“Arriveranno da lunedì sul litorale domitio e sulla piana del Sele 20mila extracomunitari che potranno andare a lavorare nelle aziende, valuteremo in queste ore quali attività mettere in piedi con le Asl di Caserta e di Salerno per evitare che questo afflusso di lavoratori possa determinare nuovi focolai”. Lo ha annunciato il presidente campano Vincenzo De Luca.
“Nuovi schiavi in arrivo in Campania, alla faccia del Primo Maggio. Il lavoro è dignità, diritti e tutele, eppure è stato annunciato l’arrivo di 20mila braccianti nella nostra regione“. Così, in una nota, la “Lega Salvini premier della Campania” per la quale “Serve certamente manodopera per i nostri campi e il nostro settore agroalimentare, ma non possiamo reclutare migliaia di lavoratori a pochi euro, che spesso alimentano caporalato e sfruttamento”. “Chiediamo la reintroduzione dei voucher e la possibilità di assumere italiani disoccupati e giovani. Il partito del governatore De Luca è per la sanatoria degli immigrati, la Lega lotta per difendere la manodopera italiana ed evitare sfruttamento, concorrenza sleale e contrazione dei diritti. Prima i campani”, conclude la nota della Lega.
FONTE:https://stopcensura.org/campania-20mila-immigrati-in-arrivo-lega-assumere-gli-italiani-disoccupati-e-giovani/
PANORAMA INTERNAZIONALE
Pera: “L’UE? Una banca, una impresa di assicurazioni e un istituto dove prendere soldi ma nessuna identità”
Da più di due mesi siamo tutti coinvolti in una crisi che da sanitaria si è fatta vieppiù sistemica e capace di dissolvere molte decennali illusioni e rivelare la malattia spirituale che corrode sin nel midollo realtà dall’apparenza solida: l’UE, la statualità e la democrazia italiana, la nostra civiltà (che fu cristiana) nella sua cultura di massa e nella sua ideologia di fondo, la stessa Chiesa Cattolica.
In questa Italia in quarantena nuove illusioni sono sorte a riempire lo spazio lasciato dalle vecchie dissolte … illusioni però effimere destinate probabilmente a dissolversi appena la crisi economica che seguirà quella sanitaria farà sentire la sua morsa.
Si tratta allora di capire la crisi, culturale-spirituale di una civiltà prima che sanitaria e socio-economica, per poter ragionevolmente pensare al dopo-crisi, a come uscirne e a come e cosa ricostruire.
È l’interesse del nostro Osservatorio che ha avviato, a partire dal documento dell’arcivescovo Crepaldi, un Tavolo di Lavoro sul dopo-coronavirus per pensare cattolicamente una risposta alla crisi partendo dal patrimonio filosofico/teologico della Dottrina sociale della Chiesa.
Ne abbiamo parlato con il professor Marcello Pera, illustre filosofo, già ordinario di Filosofia della scienza all’Università di Pisa, uno dei pensatori più autorevoli del conservatorismo liberale italiano, senatore della Repubblica per quattro legislature, Presidente del Senato dal 2001 al 2006, intellettuale laico dei più sensibili alla Tradizione Cattolica, capace di intessere con papa Benedetto XVI un dialogo filosofico approdato a pubblicazioni e che dura tuttora.
Presidente, l’arcivescovo Crepaldi ha parlato di una UE “morta per coronavirus”, Ella ha invece retrodatato il decesso considerando il virus solo come ciò che tale (già avvenuta) morte ha manifestato. Chi ha ucciso l’UE? Di cosa e quando è morta?
Credo che nella sostanza siamo d’accordo. Senza il coronavirus non ci sarebbe stato il certificato di decesso dell’Unione Europea. Lì si è visto che l’Unione non è uno Stato federale né confederale, come è noto, ma neppure una comunità, perché non si fa carico delle difficoltà che colpiscono i suoi membri e alcuni in modo particolare. Piuttosto, è emersa la volontà egemonica di alcuni Stati di dettare le regole agli altri. Esattamente come accadde con la Grecia, solo che stavolta l’evento è stato meno cruento. Osservo poi che sono stati proprio gli europeisti, quelli che si portano sempre al petto la medaglia d’onore e si danno pacche sulle spalle di autocompiacimento, a rompere il giocattolo. Nel migliore dei casi, hanno trasformato l’Unione in una banca, un’impresa di assicurazione, un istituto che presta soldi e che ciascuno poi si strozzi quando deve restituirli. Non avendo mai messo in gioco la sua identità e il suo destino, l’Europa alla prima prova seria e drammatica si è sciolta. Un’accozzaglia di Stati che stanno insieme se fa comodo, che si osteggiano per lo più, sul coronavirus oggi, come ieri sull’islam e l’immigrazione.
Il problema è dunque l’identità stessa dell’Europa (prima ancora che dell’UE), il suo riconoscersi o meno nella Civiltà Cristiana e dunque la sua capacità di alterità rispetto alla Umma islamica e alle civiltà orientali. Ma l’Europa (prima ancora che l’UE) è ancora Civiltà Cristiana? L’Europa odierna, almeno nell’autocoscienza che ne ha la cultura prevalente, non si pensa proprio come emancipazione dal Cristianesimo, come liberazione dall’identità storica cristiana verso un universalismo tendenzialmente astorico, apolide e areligioso?
No, l’Europa non è più cristiana, o lo è sempre meno, non pensa di essere stata battezzata anche dal cristianesimo, e considera la religione cristiana un ostacolo al progresso. Dice di credere nei “diritti”, ma, primo, non sa spiegarsi da dove sono scesi, secondo, quando scopre che alcuni diritti non sono comodi o urtano altri diritti, semplicemente li ignora. Il diritto alla vita? Non vale per l’aborto. Il diritto alla famiglia e a far nascere figli? Non vale per le coppie omosessuali. Il diritto alla dignità? Non vale per l’eutanasia. Eccetera. Siamo al supermercato, dove ognuno sceglie ciò che gli piace, e guarda all’etichetta di provenienza. Se per caso trova che un prodotto è “made in Christendom”, lo scarta: non ha il marchio di garanzia.
Ritiene corretto affermare che l’UE, più che un tradimento artificiale dell’Europa, sia piuttosto la coerente ed estrema espressione istituzionale dell’Europa così come pensata dalla cultura post-cristiana? Allora la crisi dell’UE è in verità crisi dell’Europa come post-Cristianità?
Sì, è così. Non c’è un disegno deliberato, piuttosto uno sviluppo quasi automatico, inerziale. A partire dal Seicento e ancor più dal Settecento, l’epoca dei Lumi, l’Europa si è confrontata con la grande scissione, fra il sapere e la fede, la scienza, la morale, la politica e la religione. Questo evento, a mio avviso anche più traumatico della riforma protestante, non è mai stato assorbito. Nel migliore dei casi, sapere e fede sono andate su due binari paralleli, ignorandosi, nel peggiore si sono osteggiate. “Post-cristiana” vuol dire che la nostra cultura prescinde dal cristianesimo; anche quando non lo nega, ne nega la funzione morale, politica, culturale, oltre che salvifica. Questo dice il secolarismo di oggi. E poiché il secolarismo è la cultura ufficiale dell’Unione Europea, l’Unione Europea secolarizzata disconosce le sue radici.
Se la crisi è spirituale la risposta non potrà che collocarsi a quell’altezza. Dunque la morte dell’UE e la patologia dell’Europa che risposta debbono trovare? Dobbiamo arrenderci ad un inevitabile lutto oppure è ancora ragionevole lavorare per la Civiltà Cristiana d’Europa?
Se la crisi è spirituale, e lo è, allora le istituzioni non bastano a risolverla. Occorre una nuova cultura. E qui vorrei ridire ciò che ho detto tante volte. Il cristianesimo non è solo la fede nel Dio incarnato, crocifisso e risorto, è anche la cultura della centralità della persona, in cui si rivela la sua natura creaturale. È vero che l’una cosa è congiunta all’altra, ma sono distinte. Perciò, se si fa questa distinzione, è possibile che anche il laico, colui che, sul piano della fede, non ritiene di appartenere alla ecclesia di Dio, diventi un alleato per l’affermazione del cristianesimo, sul piano della cultura.
Questa pandemia ha visto anche l’eclissarsi della presenza pubblica della Chiesa. Per la prima volta in duemila anni si è celebrata la Pasqua senza il popolo, le Sante Messe da due mesi sono interdette ai fedeli, non si celebrano matrimoni, prime Comunioni, battesimi e cresime. Persino i defunti sono sepolti senza esequie. E tutto nel silenzio … abbiamo rinunciato a tutto, persino ai funerali per i nostri morti, senza alzare la voce, senza lamento. Come legge questa afonia della Chiesa?
Amaramente. La leggo come l’effetto della secolarizzazione della Chiesa. Se questa guarda solo alla propria dimensione storica, temporale, allora chiudere una chiesa è come chiudere un teatro, riunirsi in una chiesa è come assembrarsi in un cinema, andare ad una Messa è come partecipare ad un comizio. Si perde la dimensione spirituale, il Corpo di Cristo. I fedeli a Messa o al battesimo o ad un funerale sanno che esiste un rischio di contagio, ma sanno anche come calcolarlo, ridurlo, evitarlo. Se, per il loro “bene”, affidano allo Stato le decisioni nella sfera ecclesiale, allora lo Stato riduce la Chiesa solo alla sua dimensione istituzionale pubblica, e la Chiesa si adatta a questa rappresentazione. Sono rimasto colpito da tanto silenzio e amareggiato da tanto zelo di assecondare le misure di sicurezza e precauzione fissate dal governo. Purtroppo, l’esempio è venuto dall’alto. Il presidente Conte deve essersi molto stupito: credeva di essere autorizzato a trattare la Chiesa come un qualunque altro organismo secolare, e poi s’è trovato ad essere contraddetto e fortemente criticato. “Ma come?! — immagino che abbia detto ai suoi alti referenti vaticani — non eravamo d’accordo?”. Effettivamente, lo erano, ma poi i referenti, spinti dai credenti, hanno corretto l’errore. O così almeno spero.
La teologia della storia è inscritta nella stessa Divina Rivelazione, antico e neo testamentaria. Si pensi solamente al poderoso affresco universale che costituisce, nell’Apocalisse giovannea, lo sguardo di Dio sulla storia del mondo ricompresa nell’esito escatologico. Allo sfaldarsi dell’impero romano la Chiesa rispose con il De civitate Dei di Agostino. E poi lungo i secoli sempre storia e metastoria, tempo ed escaton costituirono felice dialettica per una lettura degli eventi alla luce della Rivelazione. Oggi la Chiesa, i suoi Pastori rivelano quasi un imbarazzo a leggere ciò che ci accade trascendendo l’ordine intramondano, illuminando gli eventi con la luce della Divina Rivelazione, portando l’ermeneutica dei fatti sul terreno teologico. Così facendo, cioè autocensurandosi nella funzione teofora di rendere presente nel mondo Dio e il Suo sguardo sulle cose, la Sua voce, la Chiesa non si condanna forse all’inutilità? Non sarebbe proprio questo lo specifico contributo della Chiesa al bene comune: manifestare Dio nel mondo?
Temo che sia accaduto qualcosa di irreparabile nel breve tempo. La Chiesa è andata incontro alla modernità, ha civettato con lo spirito dei tempi e si è auto-rappresentata come moderna. L’evento è traumatico, perché significa passare dalla dimensione della salvezza, l’escatologia, a quella della libertà, l’ideologia. Una Chiesa ideologizzata, che si occupa della giustizia sociale, dei diritti dell’uomo, del progresso civile, che cosa ha più da dire? Diventa una voce secolare fra altre voci secolari. E va a rimorchio del secolarismo. L’esempio più emblematico è l’ecologia: salvare il pianeta, o magari l’Amazzonia, non è come salvare l’anima. E per di più cercare di salvare il pianeta insistendo sulla intrinseca bontà della natura o sull’equilibrio turbato dall’uomo, equivale a professare un’ideologia. Per di più falsa dal punto di vista cristiano: nella teologia cristiana, non solo l’uomo, anche la terra è caduta, non è più l’eden, non dà più solo buoni frutti, somministra anche veleni, come il coronavirus. La terra caduta è tanto amica quanto nemica dell’uomo. Mitizzarla come madre buona che nutre i suoi figli è una forma di paganesimo.
La crisi più dura, lo abbiamo detto, sarà quella socio-economica con le inevitabili ricadute politico-istituzionali. Ma anche su questo terreno la vera questione è prima di tutto culturale-spirituale-ideologica: l’idea di uomo e di società, di res publica e di diritto, di lavoro e di relazioni sociali. Abbiamo visto, ad esempio, farsi strada ammirazione (e anche una certa emulazione, almeno in intenzione) per il modello cinese. Un totalitarismo che si avvale delle nuove tecnologie (intelligenza artificiale in primis) per un controllo capillare della popolazione e per una gestione centralizzata e statale della vita sociale ed economica. Tutto ciò non è inquietante? Come leggere questa convergenza tra un certo radical-progressismo occidentale (anche cattolico purtroppo) e il socialismo cinese?
Sì, il fenomeno è inquietante. La Cina, grazie ad una combinazione di potere tecnologico e dittatura politica, è proiettata alla conquista del mondo, sicuramente all’egemonia anche sull’America. Finirà male, io temo, questa storia, perché finirà con una guerra, che coinvolgerà anche l’Europa, anche se all’inizio preferirà giocare la parte del solo spettatore neutrale. Ma, timori di guerra a parte, a me pare che ci sia un errore politico grave del nostro, soprattutto italiano, atteggiamento verso la Cina. Si scambia un rapporto amichevole con un’alleanza. Non puoi dire che, siccome Trump non mi piace o non mi aiuta come vorrei, allora io cambio la mia posizione geopolitica. Il mondo occidentale è una civiltà, la Cina è un’altra. A meno che non si faccia una scelta ideologica di parte, il comunismo contro la democrazia, non si può trattare l’America come un soggetto fungibile. Anche noi siamo l’America.
Abbiamo anche visto, in Italia specialmente, una tendenza della politica ad abdicare le responsabilità delle scelte ai così detti esperti, in questo caso i virologi. Uno strabordare mediatico ma, anche direttivo e decisionale, di tecnici in nome “della scienza” sulla autorità politica (Parlamento in primis). Siamo poi arrivati anche alla creazione di organismi tecnico-governativi per il controllo dell’informazione (con il pretesto delle fake news) sempre in nome “della scienza”. Come è possibile un simile regresso nella cultura politica italiana? Come è possibile una simile rozzezza nell’idea di scienza?
Sugli esperti, sarei meno severo. Quando lo sono davvero e c’è bisogno del loro parere sono utili, purché si sappia come interrogarli, cioè non alla maniera “E voi che ne pensate?”, e purché l’ultima parola, quella della decisione, spetti a chi ha responsabilità politica. Non sono sicuro che questo sia sempre stato il modo dell’impiego degli esperti da parte del presidente Conte. Il suo ultimo decreto sa di gioco a nascondino. Peggio è l’organismo contro le fake news. Un istituto di controllo contro le fake news gestito dal governo è esso stesso un generatore di fake news. Ed ha una filosofia tra assolutista e paternalista: il governo, non la pubblica opinione, decide la verità e la somministra al popolo che non saprebbe scoprirla da sé. Spesso mi domando quale sia la cultura di Conte. Di un po’ liberale vedo ben poco.
Per ricostruire l’Italia e l’Europa dopo questa crisi epocale si dovrà prima pensare a cosa e come si vuole ricostruire. Il rischio è quello di ritrovarci tutti in una Europa modello cinese? Non con il partito unico al potere magari, ma con una presenza ipertrofica dello Stato nella vita socio-economica, con un controllo tecnologico esercitato sui cittadini (spostamenti, operazioni bancarie, acquisti, opinioni espresse sul web tutto tracciato), con libertà limitate e la realizzazione di quello Stato-Provvidenza tanto caro alla vecchia socialdemocrazia ma sempre condannato dal Magistero sociale?
Quello è lo Stato di Orwell. Dobbiamo scongiurarlo. Però, che, senza neppure saper bene che cosa sia, la maggioranza degli italiani sia favorevole alla app che li rintraccia e li avverte, non mi pare che prometta bene. Sembra che siano disposti a sacrificare tanto alla paura dei rischi della salute e della sicurezza. Il clima adatto per scivolare nello Stato assolutista o totalitario.
Il contributo della Dottrina sociale della Chiesa è tutto, invece, nella direzione opposta: natura spirituale della persona umana (dunque libera e razionale), carattere organico della vita associata dell’uomo (famiglia, corpi intermedi, comunità politica), attività economica rimessa alla libera iniziativa d’impresa, welfare rimesso alla socialità libera dei corpi intermedi, educazione come dovere/diritto dei genitori, concezione sussidiaria dello Stato, riconoscimento di un ordine giuridico naturale vincolante anche per lo Stato, valore spirituale del lavoro umano, proprietà privata come diritto naturale, ruolo pubblico della religione, etc… Cosa si oppone ad una ricostruzione d’Italia e d’Europa secondo i principi della DSC? Quali invece le forze che potrebbero giovarsi della DSC per la loro azione politico-culturale?
Guardi, alla fin fine sono e resto un laico, non mi faccia fondare lo Stato su una dottrina specifica, specie se è così dettagliata come la DSC. Il cristianesimo è importante nella mia vita per alcuni princìpi di salvezza e credo che lo impoverirei se lo riducessi ad alcune formule politiche che pure in gran parte apprezzo. È per questo che dissento dalla Chiesa sulla questione dei diritti fondamentali dell’uomo: tutta quella massa di diritti che oggi abbiamo non può essere fondata solo sul Vangelo, spesso è politica contingente. Pensi solo al diritto alla democrazia! Ho letto di teologi che sostengono che può esistere una dottrina morale della Chiesa, ma sono in dubbio che ne esista una politica. Sul tema sono debitore del mio vecchio e caro Agostino, così diffidente e anche ostile all’idea che la politica abbia funzione pedagogica e ancor meno salvifica. Uno stesso principio cristiano in tempi diversi può fondare istituti diversi. Meglio non fare della casistica.
Grazie!
FONTE:https://loccidentale.it/pera-lue-una-banca-una-impresa-di-assicurazioni-e-un-istituto-dove-prendere-soldi-ma-nessuna-identita/
Ritardi, omissioni, errori: così l’Oms ha favorito la diffusione del coronavirus
Il video è stato completamente ignorato dalla stampa mainstream e dai programmi Rai, che hanno preferito tacciare di complottismo chi si faceva le dovute domande sul precedente servizio del Tg Leonardo del 2015. Il video del 17 febbraio si chiude con il giusto interrogativo sul laboratorio BSL-4 di Wuhan: “Il nuovo coronavirus potrebbe essere uscito da qui?”.
Per il “Comitato tecnico-scientifico” di Report, gli italiani non si dovrebbero interrogare su ciò che è successo realmente in Cina, nonostante il 34 per cento dei primi infetti da Covid-19 non avesse avuto nessun contatto con il wet market di Wuhan, e nemmeno il paziente uno, e nonostante le carenze nei protocolli di sicurezza riscontrate proprio dallo stesso direttore del laboratorio BSL-4, Yuan Zhiming, in un articolo pubblicato dalla rivista specializzata Journal of Biosafety and Biosecurity, nel quale affermava: “Dovremmo prontamente rivedere le normative esistenti, le linee guida, le norme e gli standard di biosicurezza”. Perché tutto questo impegno per cercare di nascondere la possibile origine in laboratorio del coronavirus? Ci sono di mezzo possibili responsabilità dell’Organizzazione mondiale della sanità? L’agenzia speciale delle Nazioni Unite è presente da tempo a Wuhan con una propria delegazione.
Il ruolo dell’Oms in Cina
L’Oms opera direttamente con l’inserimento dei propri rappresentanti in sessantasei strutture in Cina. Tra questi, si possono evidenziare la National Health Commission of the People’s Republic of China (ministero della Sanità cinese) e il Chinese Center for Disease Control and Prevention (agenzia indipendente del National Health Commission), ovvero le istituzioni governative che hanno concesso le autorizzazioni necessarie al laboratorio BSL-4 e i relativi permessi per la manipolazione dei virus patogeni. Tutto ciò è documentato nel libro “Coronavirus.Tutto ciò che non torna sull’epidemia che ha scosso il mondo” edito da Altaforte Edizioni. Infatti l’Oms ha eletto il National High-level Bio-Safety Laboratory di Wuhan come proprio “laboratorio di riferimento”. Peraltro, il suddetto laboratorio è stato progettato, costruito e certificato attraverso una stretta partnership tra Cina e Francia.
Omissioni e ritardi dell’Oms
L’Oms ha diramato il primo rapporto epidemiologico solo il 21 gennaio, ben cinquantadue giorni dopo il primo caso accertato di coronavirus a Wuhan (primo dicembre 2019), e ventuno giorni dopo la chiusura del “wet market” di Wuhan. Addirittura, come riportato da un suo tweet pubblicato il 14 gennaio, l’Organizzazione affermava che “da indagini preliminari condotte dalle autorità cinesi non è stata trovata alcuna evidenza di trasmissione da uomo a uomo del nuovo coronavirus identificato a Wuhan”, nonostante il 9 gennaio precedente le autorità cinesi avessero già informato ufficialmente l’Oms in merito all’isolamento del virus, alla sua sequenza genetica, e al focolaio di polmonite registrato dal dicembre 2019. È altresì curioso che, già il 12 gennaio, l’Organizzazione mondiale della sanità, nel completo silenzio del suo centro direttivo, avesse già iniziato a fornire i kit per l’analisi RT-PCR (reazione a catena della polimerasi inversa), distribuiti con i tamponi dalle autorità di Pechino in tutta la provincia dell’Hubei dal 16 gennaio.
Sempre il 12 gennaionegli aggiornamenti sulle notizie dell’epidemia, l’Organizzazione mondiale della sanità scriveva: “L’Oms sconsiglia l’applicazione di eventuali restrizioni di viaggio e commerciali rivolti alla Cina in base alle informazioni attualmente disponibili su questo evento” perché “rassicurata della qualità delle indagini in corso e delle misure di risposta attuate a Wuhan e dell’impegno a condividere regolarmente le informazioni”. Dopo le pregresse epidemie di coronavirus, come Sars e Mers, e i sintomi comuni della malattia, non ci si spiega quindi il motivo della lenta risposta alla probabile emergenza dell’Oms, che ha portato alla veloce diffusione del coronavirus in tutto il mondo. A cosa serve un’onerosa agenzia speciale delle Nazioni Unite, con una fitta rete di rappresentanza distribuita in ogni angolo del mondo, se non nel monitorare le minacce alla salute globale prima che queste diventino pandemie? L’annuncio di “emergenza sanitaria globale” dell’Oms arriva solo il 30 gennaio, quando in Cina si registravano già 9.692 persone contagiate e 1.981 decessi. Il 16 febbraio l’Organizzazione invia finalmente una sua delegazione di esperti a Pechino per condurre un’indagine completa. Nel rapporto stilato, vengono evidenziati casi sospetti di coronavirus già nell’ottobre 2019, mentre non viene accertato l’ospite intermedio del virus, quello cioè che avrebbe causato il salto di specie da animale a umano.
L’Oms, il governo italiano e il “piano segreto”
Tutte le ordinanze, tutti i decreti e tutte le circolari del governo italiano sono stati redatti secondo i protocolli dell’Organizzazione mondiale della sanità, come ribadito più volte da Giuseppe Conte e dal ministro Roberto Speranza, il quale ha pure nominato come consigliere Walter Ricciardi, rappresentante italiano nel comitato esecutivo dell’Oms, scelto nel 2017 dal governo Gentiloni. Si rintraccia il primo apporto dell’Oms nella delibera del 31 gennaio 2020: “Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”. La delibera è la diretta conseguenza di un “piano secretato non spaventare la popolazione e lavorare per contenere il contagio” realizzato il 20 gennaio scorso, come ha poi affermato Andrea Urbani, direttore generale della Programmazione sanitaria del ministero della Salute. Nel testo pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, si legge: “Vista la dichiarazione di emergenza internazionale di salute pubblica per il coronavirus (PHEIC) dell’Organizzazione mondiale della sanità del 30 gennaio 2020; viste le raccomandazioni alla comunità internazionale della Organizzazione mondiale della Sanità circa la necessità di applicare misure adeguate”.
Quindi, il governo Conte si è subito sdraiato sulle posizioni dell’Oms e così ha continuato fino all’ultimo decreto varato in merito alla fase 2: “Vista la dichiarazione dell’Organizzazione mondiale della sanità del 30 gennaio 2020 con la quale l’epidemia da Covid-19 è stata valutata come un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale; vista la successiva dichiarazione dell’Organizzazione mondiale della sanità dell’11 marzo 2020 con la quale l’epidemia da Covid-19 è stata valutata come ‘pandemia’ in considerazione dei livelli di diffusività e gravità raggiunti a livello globale”. Pure la chiusura totale dell’Italia, decreto varato dal governo quando i buoi ormai erano fuggiti dalla stalla, è coincisa con la dichiarazione ufficiale di pandemia sancita dall’Oms l’11 marzo. Perciò, il governo ha avviato tardivamente il piano di contenimento del virus, quando si registravano già 10 mila casi di contagio e 631 decessi, solo perché stava timorosamente aspettando le direttive dall’alto.
L’Oms e gli errori sulle mascherine
Pure sull’inutilità delle mascherine, il governo italiano ha seguito, senza contestare, le indicazioni dell’Oms, che per giunta non ha mai invitato preventivamente gli Stati alla produzione e all’acquisto dei dispositivi di protezione individuale. Durante la conferenza stampa della Protezione civile del 25 febbraio scorso, Walter Ricciardi affermava che “le mascherine alla persona sana non servono a niente”. Poi si è scoperto il problema degli asintomatici, ovvero le persone affette da Covid-19 che non mostravano segni della malattia, e che per questo non erano soggette alla quarantena obbligatoria. Se dall’inizio dell’emergenza tutti i cittadini fossero stati forniti di mascherine, che per un lungo periodo sono state introvabili a causa della miopia dell’Oms e del governo italiano, il virus probabilmente non avrebbe trovato la corsia di sorpasso libera.
La posizione di Ricciardi è stata ribadita anche il 20 marzo, durante una conferenza stampa, da Maria Van Kerkhove, responsabile per il coronavirus dell’Organizzazione mondiale della sanità: “Le mascherine servono a chi lavora in prima linea, se non ne avete bisogno per favore non indossatele”. Purtroppo l’Oms non ha fatto ancora marcia indietro. Nell’ultima versione del documento “Consigli sull’uso delle maschere nel contesto di Covid-19”, si legge: “L’uso delle mascherine nella collettività può creare un falso senso di sicurezza e causare la trascuratezza delle altre misure essenziali, come l’igiene delle mani e l’allontanamento fisico, comportando costi inutili e togliendo le mascherine a chi si occupa di assistenza sanitaria che ne ha più bisogno, soprattutto quando le mascherine scarseggiano (…) Il diffuso ricorso all’uso delle mascherine da parte di persone sane nel contesto sociale non è supportato dalle evidenze scientifiche attuali e comporta incertezze e rischi critici”. Nonostante quanto affermato dall’Oms e a cascata dalle istituzioni italiane, una ricerca dell’Università di Oxford e dell’Università di San Francisco, pubblicata il 27 aprile dalla rivista Evidence della Fondazione Gimbe, documenta che “indossare una mascherina di cotone riduce di 36 volte la quantità di virus trasmessa, ed è addirittura più efficace della mascherina chirurgica: ovvero si trasmette solo 1 trentaseiesimo della quantità di virus, diminuendo la carica virale e riducendo verosimilmente la probabilità del contagio, oppure determinando sintomi più lievi”. Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ha aggiunto: “I progressi della scienza hanno messo in luce che la trasmissione da soggetti asintomatici, largamente sottostimata, rappresenta il tallone d’Achille delle strategie per contenere la pandemia”.
Gli asintomatici e la giusta “ribellione” di Zaia
Il 15 aprile, l’autorevole rivista scientifica Nature ha pubblicato una ricerca, condotta dall’Università di Hong Kong, nella quale si dimostra che i soggetti asintomatici sono responsabili di almeno il 44 per cento dei contagi e per questo motivo “le misure di controllo della malattia devono essere adeguate per tenere conto della probabile trasmissione presintomatica”. Lo stesso dato è stato dimostrato dallo “Studio di Vo’” pubblicato il 16 aprile in preprint, condotto da un team di epidemiologi della Regione Veneto sul paese padovano di Vo’ Euganeo, dove è stato registrato il primo caso di decesso per coronavirus il 21 febbraio 2020. La ricerca condotta dal professor Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Medicina molecolare dell’università di Padova, ha confermato che “su una popolazione reale, quella di Vo’, di 2.800 individui al primo campionamento (effettuato a fine febbraio, dal 21 al 29) e di 2.300 al secondo campionamento (effettuato il 7 marzo), era asintomatico il 43 per cento dei positivi al virus”. Lo studio ha spinto la Regione Veneto ad impostare la campagna di tamponi per anticipare gli spostamenti del virus, nonostante non rispettasse i protocolli del ministero della Salute che seguivano i dettami dell’Oms. La strategia ribelle del presidente Luca Zaia si è poi di fatto rivelata efficace nel contenimento dei contagi. Contro la Regione Veneto, era intervenuto Walter Ricciardi che, il 27 marzo in diretta televisiva, affermava: “L’autonomia delle regioni ha determinato che si facessero tamponi a soggetti asintomatici, non seguendo l’evidenza scientifica“, ribadendo la posizione dell’Oms.
Il 18 aprile, intervenendo a Otto e Mezzo, il professor Crisanti aveva dichiarato: “C’è stata una grande confusione a livello centrale basata ostinatamente sull’adesione a direttive dell’Oms, su presupposti sbagliati. La verità era davanti a tutti. Il 26 febbraio, quando la Regione Veneto ha pubblicato i dati di Vo’, c’erano il 3 per cento degli infetti e il 45 per cento degli asintomatici. Io mi chiedo ma questi dati chi li doveva vedere? La Regione Veneto, l’Istituto superiore di sanità, il ministero della Salute o gli esperti della sanità? Ad un certo punto, su questi dati dovevano essere aggiustate determinate decisioni e determinate direttive”.
Se segui le direttive dell’Oms sbagli
Infatti, le direttive del ministro della Salute, Roberto Speranza, hanno escluso la possibilità di effettuare i test diagnostici ai soggetti asintomatici, sia nel protocollo del 27 gennaio, sia in quello del 9 marzo: “Il caso sospetto di Covid-19 che richiede esecuzione di test diagnostico: 1. Una persona con infezione respiratoria acuta (insorgenza improvvisa di almeno uno tra i seguenti segni e sintomi: febbre, tosse e difficoltà respiratoria); 2. Una persona con una qualsiasi infezione respiratoria acuta; 3. Una persona con infezione respiratoria acuta grave (febbre e almeno un segno/sintomo di malattia respiratoria – es. tosse, difficoltà respiratoria)”. Come evidenziato dai protocolli del ministero della Salute, le disposizioni hanno ricalcato “le nuove evidenze scientifiche e le indicazioni degli organismi internazionali Oms e ECDC”, ovvero la stessa Organizzazione mondiale della sanità che, al termine del sopralluogo in Cina del febbraio scorso, nel rapporto finale scriveva: “La percentuale di infezioni veramente asintomatiche non è chiara ma sembra essere relativamente rara e non sembra essere un fattore trainante della trasmissione”. Solo il primo aprile, la responsabile per il coronavirus dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Maria Van Kerkhove, sottolineerà la necessità di tracciare anche i casi asintomatici per prevenire la diffusione del coronavirus: “Sappiamo da ciò che abbiamo studiato in Cina che il 75% dei casi che non avevano mostrato i sintomi inizialmente li hanno alla fine mostrati”.
L’Oms e l’errore sull’immunità dei pazienti guariti
Il 24 aprile, il rapporto “Immunity passports” dell’Oms asseriva: “A questo punto dell’epidemia non ci sono prove sufficienti sull’efficacia di un’immunità mediata dagli anticorpi per garantire l’accuratezza di un ‘passaporto di immunità’ o di un ‘certificato zero-rischi’”. Quindi, l’Organizzazione mondiale della sanità affermava che non ci sono prove che i guariti siano immuni dal Covid-19. Qualche giorno dopo, il 29 aprile, arriverà una nuova evidenza scientifica che smentisce ancora una volta l’Oms. Infatti, la rivista Nature Medicine ha pubblicato la ricerca “Antibody responses to SARS-CoV-2 in patients with Covid-19“, dove si dimostra che non ci sono evidenze di persone ammalate di Covid-19 due volte: “Segnaliamo risposte anticorpali acute a SARS-CoV-2 in 285 pazienti con COVID-19. Entro 19 giorni dall’esordio dei sintomi, il 100% dei pazienti è risultato positivo all’immunoglobulina G (IgG) antivirale”. Ovvero, tutti i malati hanno sviluppato gli anticorpi entro 19 giorni e non esiste nessuna prova scientifica di seconde infezioni.
Bill Gates e l’indipendenza dell’Oms
In tanti si sono interrogati sulla presunta sudditanza dell’Oms al governo cinese che ha portato alla cattiva gestione dell’emergenza coronavirus, in primis il presidente americano Trump: “La realtà è che l’Oms non ha adeguatamente ottenuto, verificato e condiviso informazioni in modo tempestivo e trasparente”. Per questo motivo, il 15 aprile gli Stati Uniti hanno sospeso i finanziamenti destinati all’Organizzazione mondiale della Salute fino al termine dell’inchiesta avviata. Ciò che non è ancora stato sufficientemente evidenziato è però l’interdipendenza tra l’Oms e Bill Gates, secondo finanziatore mondiale alle spalle degli Stati Uniti nel 2018. Dallo scoppio dell’epidemia di coronavirus ad oggi, la Bill & Melinda Gates Foundation ha donato 415 milioni di dollari, destinati alla ricerca di una cura/vaccino e alla risposta globale all’emergenza, di questi 250 milioni di dollari in seguito all’annuncio di Trump in merito alla sospensione dei fondi all’Oms.
Questa azzardata commistione tra interesse pubblico (Oms) e privato (Gates) è perfettamente rappresentato dall’International Vaccine Access Center (Ivac) del John Hopkins Center for Health Security, che “dal 2003 è diventata partner affidabile di governi, agenzie internazionali, gruppi di ricerca e organizzazioni no profit che cercano di far progredire l’accesso alle vaccinazioni salvavita per tutte le persone”. L’Ivac è finanziato dall’Oms, dalla fondazione di Gates, dall’agenzia governativa americana Centers for Disease Control and Prevention, da diversi ministeri della Salute, da istituti di ricerca e dalle case farmaceutiche. Nel sito dell’Ivac si legge: “I vaccini aiutano a creare un mondo in cui le persone e le comunità sono libere dalle conseguenze sanitarie, economiche e sociali delle malattie prevenibili. Per contribuire a realizzare questa promessa rivolta a miliardi di persone in tutto il mondo, Ivac sviluppa conoscenza e supporto per il valore dei vaccini”. Questa affermazione è perfettamente in linea con l’agenda sanitaria di Bill Gates che prevede, come diverse volte affermato, il ritorno alla normalità tra uno o due anni, quando sarà disponibile globalmente un vaccino efficace contro il coronavirus e magari anche il libretto delle vaccinazioni tatuato sottopelle (ricerca realizzata e pubblicata a inizio gennaio 2020 grazie al sostegno della fondazione di Gates).
Ai primi di maggio è stata lanciata l’iniziativa della Commissione europea, dei capi di stato e di governo di Italia, Francia, Germania e Norvegia, che insieme col numero uno del Consiglio Ue, hanno annunciato un piano di cooperazione globale per la ricerca di un vaccino che azzeri il coronavirus, una mossa che coinvolgerà scienziati e autorità di normazione, industria e governi, organizzazioni internazionali, fondazioni e operatori sanitari. La Commissione europea ha dichiarato: “Sarà una cooperazione globale senza precedenti che coinvolgerà scienziati e autorità di normazione, industria e governi, organizzazioni internazionali, fondazioni e operatori sanitari. Sosteniamo l’Oms e siamo lieti di unire le forze con organizzazioni esperte come la fondazione Bill & Melinda Gates e il Wellcome Trust”. Non si era mai vista nelle pandemie precedenti una così robusta e tempestiva campagna globale per la scoperta, la produzione e la distribuzione del vaccino, come non si erano mai viste simili restrizioni alle libertà individuali delle persone. Perciò, suona come un lugubre presagio l’affermazione di Walter Ricciardi del 16 aprile: “Non ci sarà bisogno di introdurre l’obbligo per il vaccino contro il coronavirus perché la gente ha sperimentato cosa significa avere paura di una malattia”. Si potrà tornare alla reale normalità solo dopo l’inoculazione a tappetto del vaccino, resa di fatto obbligatoria dal terrorismo sanitario? Concludendo, non si può dimenticare che tra i finanziatori dell’Oms sono presenti diverse Big Pharma, come Roche, Sanofi, Johnson & Johnson, Merck, Novartis, Gilead Sciences e GlaxoSmithKline. Nessun conflitto di interessi?
Francesca Totolo
FONTE:https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/ritardi-omissioni-errori-oms-favorito-diffusione-coronavirus-155217/
POLITICA
La pazienza è finita
Marcello Veneziani MV, La Verità 28 aprile 2020
Un pericoloso mitomane si è impadronito dell’Italia e sotto la minaccia del virus tiene in ostaggio un intero popolo, violenta la libertà e paralizza il Paese, mandandolo alla rovina, fingendo però che è tutto sotto controllo, anzi ci ammirano e ci studiano in tutto il mondo come modello. Dietro di lui si nasconde un intreccio di poteri, caste, tecnocrati e una pletora di esperti, inclusi gli scienziati che in questa pandemia hanno detto poco, tante ovvietà e pareri discordi.
Non una linea strategica emerge dalla cosiddetta fase due, grotteschi perduranti divieti, assurde restrizioni a macchia di leopardo, senza alcuna logica e buon senso: la scuola liquidata sine die, le attività produttive col freno a mano, i trasporti pubblici resi di fatto impraticabili, perché se vi può accedere solo un quinto degli utenti abituali (in altre versioni meno di un decimo), e se si deve provvedere per ogni corsa una sanificazione, significa paralizzarli. E questo, di conseguenza, paralizza il traffico, perché tanti andranno in auto sapendo che devono aspettare un tempo almeno cinque vote superiore a quello prima atteso (visto lo scaglionamento); non arriveranno mai al loro posto di lavoro o destinazione.
La follia di poter raggiungere solo le case in regione, la follia di tutto l’impianto, la paralisi di tutto, la mancanza di veri, concreti aiuti, l’annuncio continuo di cifre astratte, sempre variabili, di “potenze di fuoco” che sono solo un fuoco di Sant’Antonio delle intimità di chi li annuncia.
La follia è che tutto questo avviene col tacito consenso, o col silenzio-assenso di tutti i poteri che contano: dal Quirinale ai Partiti, dal Parlamento ai poteri istituzionali e costituzionali. La sinistra si rifugia vigliaccamente dietro l’Abusivo che si è impossessato del potere, perché così lui si prende oneri e onori, e intanto toglie di mezzo l’opposizione. I grillini trafficano in cineserie ma sono contenti di vedere tramite lui risalire i consensi che erano in caduta libera, e tramite lui esercitare ancora potere, restare al governo pur avendo dato prova della loro assoluta incapacità, autocertificata in massa.
L’assurdo di questa situazione è che tutti costoro gridavano al timore del dittatore venuto da destra, il Salvini, o il Salvameloni di turno (o anche il Renzi), e intanto lasciavano instaurare un’autocrazia mediatica che non ha precedenti, l’Uomo solo al comando e al telecomando, venuto dal nulla, con poteri pressoché illimitati di costringere la popolazione a ogni genere di schiavitù e di impedimento. Col favore dei grandi media, non solo pubblici. E la stessa cosa si ripete a livello mondiale: tutti gridano e irridono al Dittatore Trump, mentre lasciano crescere il potere e l’influenza nel mondo della vera Dittatura, quella cinese, che ha gravi responsabilità nel virus e che ora si sta espandendo nel mondo, con ogni forma (incluso il 5G) e che trova nella nostra compagnia di burattini denominata governo il suo principale asino di Troia (cavallo sarebbe troppo) per insinuarsi.
Il suddetto millantatore abusivo continua a fare one-man-show in televisione, parla per un’ora su tutte le grandi reti – Rai, Mediaset, Sette – per non dire nulla, e lasciare tutto più sotto l’autocrazia. È ormai un rito di vanità in cui l’impostore si pavoneggia (Rito Pavone), annuncia vittorie in Europa che non ha mai conseguito, preannuncia cose che non rispondono mai alla realtà e limita la sua azione ai verbi perifrastici, stiamo in procinto di, stiamo per varare, stiamo sul punto di. Si vanta di tutto, per dirla con Gioacchino Belli: “Non faccio per vantarmi ma oggi è una bellissima giornata”. E poi il mantra ossessivo di questi giorni, dal primo scienziato all’ultimo telegiornalista, “non abbassare la guardia” che va tradotto a contrario: abbassatevi i pantaloni, in ginocchio, restate fermi, in catene.
Dopo due mesi di carcerazione di massa non è più sopportabile. È necessario non dico ribellarsi, insorgere, fermarlo. Ma quantomeno osservare, sì, le precauzioni sanitarie leggendole però in una chiave compatibile con la vita che riprende, la libertà ritrovata, il buon senso. Chiedo a questo proposito che anche le forze dell’ordine non accettino di diventare esecutori di un’autocrazia irresponsabile che non sa dove ci sta portando; naviga a svista, a orecchio, random. Chiedo loro che interpretino le norme il più possibile in modo duttile, non a danno degli italiani e dei loro primari interessi vitali, e della loro libertà primaria. La stessa cosa sento di chiedere a tutti i sacerdoti, nel nome di quello che anche la Conferenza Episcopale ha denunciato: nessun autocrate può impedire così a lungo l’esercizio elementare della propria fede, le messe. Non c’è nessuna ragione di salute, nessuna maglia di forza della salute, che può impedire questa essenziale libertà, primaria per i credenti. Basterà osservare le norme, distanziamento sociale, mascherine, cautela.
È finita la fase dell’obbedienza cieca, prona e assoluta. È finita la pazienza. Occorre cominciare una ragionevole obiezione di coscienza e di libertà, pur rispettando tutte le cautele, con realismo e con tutte le norme costituzionali. Altrimenti questo viaggio verso la dittatura sanitaria (come la chiamai ormai nei primi di marzo) sarà di sola andata; la sospensione che si prolunga nel tempo rischia di farsi sistemica e perlomeno ricorrente, incombente come una minaccia periodica e un deterrente di fronte a ogni libertà. Il paese si sta sfasciando e non possiamo pensare che l’unico rimedio sia preannunciare – a due mesi dall’emergenza- il prezzo politico alle mascherine. Smascheriamo piuttosto questo dispotismo vanitoso, di uno incapace di tutto. Questo non è dispotismo illuminato, ma dispotismo allucinato. Un incubo da cui svegliarsi.
FONTE:https://www.marcelloveneziani.com/articoli/la-pazienza-e-finita/
PERCHE’ DI MAIO LODA LA CINA?
lunedì 4 maggio 2020
”Perché Di Maio loda nuovamente la Cina proprio mentre Trump l’attacca? Cosa ne pensa il presidente del Consiglio Conte?”. E’ quanto si chiede il senatore di Fratelli d’Italia, Adolfo Urso, vicepresidente del Copasir in riferimento alle dichiarazioni del ministro degli Esteri all’Huffington Post subito dopo le rivelazioni del Segretario di Stato Usa. ”È davvero strano -aggiunge- che il ministro degli Esteri del Paese più colpito dalla pandemia sia giunto tempestivamente in soccorso della vulgata cinese, ringraziando ancora una volta Pechino per averci inviato qualche tonnellata di mascherine, invece di chiedere, come hanno già fatto i nostri principali alleati europei e occidentali, precise spiegazioni sulla origine del virus e sui colpevoli ritardi nel dare l’allarme al mondo, tanto più dopo le nuove gravi rivelazioni del segretario di Stato Pompeo”. ”Delle due l’una: o la nostra intelligence ha notizie diverse, che è bene condividere anche con i nostri alleati, o il ministro degli Esteri persevera nell’errore strategico di allineare l’Italia sul versante cinese, di fatto assolvendo a prescindere il regime di Pechino, anche a fronte delle nuove documentazioni dell’intelligence occidentale. A questo punto -conclude- è assolutamente necessario che il presidente del Consiglio chiarisca, anche in quanto Autorità delegata, negli organismi competenti”.
FONTE:http://www.ilnord.it/i-10063_PERCHE_DIMAIO_LODA_LA_CINA
SCIENZE TECNOLOGIE
Il panopticon digitale ai tempi del coronavirus: il totalitarismo della società trasparente
STORIA
Draghi, Croce al Merito in Germania: «L’euro “cuore” del progetto dell’Europa»
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