RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
5 GENNAIO 2022
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Quando trionfa l’imbecillità, essere sconfitti è un onore.
MARCO TAISA, Aforismi sulla stupidità umana, Barbera Editore, 2010, pag. 70
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SOMMARIO
IL BOOM DELLE VACANZE, LE BOLLETTE NON PAGATE E IL GAS IN SICILIA
La pretesa obbedienza morale a un sistema immorale
COVID19: tra Invulnerabili e Disarmati
Thomas Lerooy. Bellezza all’ombra delle stelle
CHISSA’ PERCHE’ PER LA SINISTRA DAL PENSIERO UNICO PATRICK ZAKY E’ PIU’ OMOSESSUALE DI TUTTI GLI OMOSESSUALI UCCISI NEI PAESI ARABI.
Affari presenta il libro “Non facciamo cerimonie!” di Enrico Passaro.
Pronti per uscire scaglionati in ordine alfabetico?
UN ANNO FA , SONO ANCORA IN GIRO A FARE DANNI ?
LE RADICI DELLA RESILIENZA
“LA TAVOLETTA” DI ROBERTO CALASSO
Noi, robot
Dolore, il divenire carne di una verità. Parte I: Dolore e verità
Nawalny: intrighi internazionali di geopolitica
“Voi No-Vax non siete esseri umani” (In Germania, di nuovo)
Romano Prodi, l’euro un favore ai cinesi. Vent’anni dopo, la verità: chi ha voluto la moneta unica, chi ci ha guadagnato
Mission accomplished
UN ANNO FA
Il trionfo delle Bufale!
scevà
Come cambia la politica estera americana da Trump a Biden
Ucraina: il grande pericoloso gioco – Intervista all’Ambasciatore Vento
Sarà Babbo Natale a portarci il prossimo Presidente della Repubblica
L’effetto Flynn capovolto: il QI medio sta calando fino a mezzo punto all’anno
Il quoziente di intelligenza, che era sempre in crescita, ora sta diminuendo
EDITORIALE
IL BOOM DELLE VACANZE, LE BOLLETTE NON PAGATE E IL GAS IN SICILIA
In questo periodo si discute molto di assegnazione dei sussidi governativi e di contributi al pagamento delle bollette energetiche alle famiglie in difficoltà. Va evidenziato che la erogazione dei sussidi deve avere carattere straordinario e tempi limitati di erogazione per riprendere ad intraprendere una pianificata politica di investimenti strutturali aventi lo scopo di riattivare ed incrementare la capacità produttiva del Paese e di conseguenza il rafforzamento e la crescita della domanda interna di beni e di servizi. Va anche detto che l’assegnazione dei sussidi sarà efficace se sarà attuata selettivamente sulla base di regole semplici, senza a presenza di “eccezioni” che rendono contorta e difficoltosa la applicazione delle norme di riferimento. Sarebbe opportuno escludere da tali sussidi tutti coloro che hanno potuto prenotare pacchetti turistici e vacanze in Italia e all’estero.
Costoro non potranno invocare lo stato di bisogno certificabile per l’ottenimento del contributo-sussidio, che sarebbe difficile da dimostrare avendo pagato simili spese del tutto secondarie rispetto all’urgenza del pagamento delle bollette energetiche! Tale verifica preventiva consentirebbe di dare una forte spallata alla ignobile cultura del piagnisteo tutta italica e consentirebbe di indirizzare le risorse alle famiglie veramente bisognose evitando inutili e dispendiosi finanziamenti a pioggia e i conseguenti abusi che abbiamo incontrato con il reddito di cittadinanza assegnato a coloro che non ne avevano diritto, o anche a decine di migliaia di immigrati che, appena avuto il beneficio, sono ritornati repentinamente nel loro Paese di origine, alla faccia della inclusione buonista!
La lista dei vacanzieri è facilmente reperibile ottenendo i tabulati delle società di carte di credito e del tracciamento dei pagamenti bancomat. Ad una eventuale obiezione all’uso di queste informazioni perché potrebbero costituire una violazione del diritto alla riservatezza dei dati personali, si può tranquillamente affermare che tale diritto è stato da circa due anni palesemente e continuamente violato per motivi di controllo sociale di massa, per dare la caccia ai non vaccinati, ecc. In questo caso, si potrebbero invocare legittimi motivi di tutela delle risorse disponibili assegnabili a coloro che sono veramente bisognosi! Il criterio di erogazione a pioggia ricorda strutture societarie da terzo e quarto mondo e non più giustamente, a modelli sociali liberali e democratici.
Infine, la dilatazione dei costi energetici può essere coperta con lo sfruttamento dei giacimenti di gas esistenti nella penisola. Come riportato dal maggiore giornale economico italiano a febbraio 2019, il più importante si trova a Gela, definita il Texas d’Italia. Lo sfruttamento di questi giacimenti è quasi totalmente spento per l’imposizione di comprare la benzina delle compagnie nordamericane che determinano liberamente e pericolosamente il prezzo di vendita alla pompa, provocando spinte inflazionistiche che aumentano le disuguaglianze e la tenuta sociale dei Paesi colpiti.
Ritornare allo sfruttamento del gas siciliano e la ricerca di altre fonti energetiche da parte dell’Eni possono essere una occasione per l’Italia per riprendersi degnamente il proprio posizionamento economico e strategico internazionale. Tranquilli tutti! Non c’è un altro della statura di Mattei che proverà a trovare rapidamente fonti interne non utilizzate. Chi ha provato a farlo è stato bersagliato da un mandato di cattura esibito teatralmente in pieno vertice europeo. Non ci sarà quindi un’altra Bascapé a regia angloamericana.
Abbiamo i nostri politici, bellezza!
TEMI TRATTATI
BOOM DELLE VACANZE, LE BOLLETTE NON PAGATE, GAS IN SICILIA, sussidi governativi, bollette energetiche,
crescita della domanda interna, cultura del piagnisteo, finanziamenti a pioggia, inclusione buonista,
pagamenti bancomat, controllo sociale di massa, Gela il Texas d’Italia, gas siciliano, Eni,
Enrico Mattei, Bascapé
FONTE: https://www.opinione.it/cultura/2022/01/04/manlio-lo-presti_la-tavoletta-dei-destini-roberto-calasso-adelphi-2020-146-pagine-18-euro/
IN EVIDENZA
La pretesa obbedienza morale a un sistema immorale
di Silvia D’Autilia
Il 15 dicembre 2021, secondo quanto previsto dal D.L. n.172 dd. 26-11-2021, entrerà in vigore l’obbligo vaccinale per le categorie professionali del comparto scuola e forze dell’ordine, pena la sospensione dello stipendio. Ebbene, che il contenimento della pandemia avrebbe traghettato verso dimensioni nuove della vita, della politica e della socialità non avevamo dubbi; certo, mai avremmo immaginato mediante il dispiegamento di una simile ipocrisia.
Ipocrisia dei media
Hanno scritto e riscritto: “è boom di prenotazioni”, “successo enorme della campagna vaccinale”, “le somministrazioni procedono spedite”, “file di pentiti all’hub”, omettendo però il dato più importante: le barbare modalità con cui, per una fascia di popolazione, hanno raggiunto questi traguardi, ovvero minacciando letteralmente una fetta di lavoratori di revocare d’emblée i personali meccanismi di sopravvivenza minima. L’entusiasmo giornalistico avrebbe potuto essere appena appena lecito e tollerabile se riferito a una crescita delle somministrazioni a posteriori di un disteso clima culturale e mediatico di confronto, discussione e chiarimento dei dubbi di indecisi, riluttanti, renitenti, pardon “no-vax”: categoria sociale à la page per raccogliere soggetti animati da multiformi istinti irrazionali, antiscientifici, terrapiattisti, anarchici, estremisti e analfabeti. (In meno di 60 anni, è completamente sfumato tutto lo sforzo storico e filosofico profuso da Michel Foucault per dimostrare la facilità con cui il potere stigmatizza ed emargina parti della società di cui di volta in volta e di epoca in epoca non sa letteralmente che farsene, ma pazienza!).
Invece, se non fosse bastato il danno, si è pure dovuto assistere alla beffa di una pseudoesposizione al contraddittorio meticolosamente controllata e curata: nei principali format televisivi, se il dissenso ha trovato accoglienza è accaduto alla sola condizione di essere messo velocemente con le spalle al muro, nonché ridicolizzato dall’ortodossia dominante. E così capita di dover sentire una Lilli Gruber, all’interno del suo programma Otto e mezzo, domandare se è vero che non c’è apertura all’opposizione al suo fedelissimo ospite Beppe Servergnini, il quale prontamente, scuotendo la testa e rassicurando che non è così, garantisce che possiamo davvero dormire sonni tranquilli. Ma accade anche che uno stimatissimo Mario Monti si lasci sfuggire l’auspicio di prendere “a somministrare un’informazione meno democratica” vista la situazione di guerra in cui ci troviamo: come in guerra bisogna “restare uniti” – litania in ottemperanza della quale in questi due anni è stata smantellata anche l’ombra del vecchio stato di diritto- per accettare qualsiasi imposizione veicolata dall’informazione ufficiale. Non ce ne voglia l’esimio Monti, ma no, non siamo ancora così ingenui da pensare che la sua sia stata un’uscita indesiderata. Tutt’altro: l’occasione era più che ghiotta e appetitosa per istituzionalizzare formalmente una volta di più e col plauso della maggioranza dell’opinione pubblica ciò che a livello informativo vige ormai già indisturbato e collaudato dietro l’egida del momento emergenziale. E passiamo al Direttore Mentana. Lui va direttamente al punto e senza tanti giri di parole apertis verbis dichiara di non voler dare per principio la parola a esponenti “no-vax” perché ospitare uno stregone (sic!) anziché uno scienziato rende un cattivo servizio all’informazione. Ma guarda! Almeno qualche cornicetta diplomatica il Direttore la poteva mettere, invece no, che motivo c’era? La strada era già fin troppo spianata per ricevere sufficiente consenso. La strategia è semplice: riduci un numero N di persone a una categoria sinonimo di ignoranza e semidelinquenza; produci l’indignazione nella società addossandogli responsabilità pari a tutti i mali della terra e il terreno è pronto, senza vergogna né pudore, per istituire un Indice delle informazioni proibite 2.0.
Ipocrisia degli intellettualini benpensanti e illuminati
Dall’altare dei loro iracondi profili social hanno insultato, dileggiato e deriso con ogni mezzo linguistico a loro disposizione – e magari poi son gli stessi che moraleggiano su politicamente corretto e linguaggio inclusivo per le minoranze di loro comodità – a danno di una parte di cittadini che ha e ha avuto la sola colpa di aver esercitato una scelta che aveva tutto il diritto di compiere. Nemmeno l’analisi pubblicata qualche settimana fa dalla rivista scientifica The Lancet dal titolo “Covid 19: stigmatising the unvaccinated is not justified” (COVID-19: stigmatizzare i non vaccinati non è giustificato)” ha posto un argine alla spirale di odio e malvagità. L’articolo sostanzialmente dimostrava – alla luce della sopravvenuta scoperta della minore durata d’efficacia dei vaccini e della possibilità che anche i vaccinati contagiano o vengano contagiati – come fosse estremamente sbagliato stigmatizzare i non-vaccinati. Di fatto, poiché le tesi ivi contenute indebolivano tutto l’assetto politico, e non affatto sanitario, gravitante attorno al Green Pass, gli opinion leader nostrani – Andrea Scanzi e Selvaggia Lucarelli garantiscono per tutti – hanno ben pensato di voltare pagina, rincarare la dose e plaudire al Super Green Pass del Governo nella consueta misera opera di avallo e sottoscrizione di ogni diktat. Così, a partire dal 6 dicembre, anche l’utilizzo dei mezzi di trasporto locali è stato vincolato al tesseramento verde (mentre indiscrezioni dell’ultima ora dicono che è già allo studio l’ipotesi biglietto elettronico con incorporato pass sanitario in nome del Dio Green). Il tutto con un impiego senza precedenti di controllori e forze dell’ordine deputati a dare la caccia al dodicenne sprovvisto di QRcode. In effetti, due anni di Dad e mesi e mesi di ricatto “vaccino o niente vita sociale/sportiva” non avevano ancora coronato il processo di completa mortificazione di questi ragazzi. Ed è proprio questo il principale campanello d’allarme che più di ogni altro dovrebbe ribaltare l’attuale maggioritario paradigma culturale: nessuna scienza può dirsi tale se nella sua applicazione implica oppressione. È il punto di congiuntura più prezioso di cui disponiamo per saldare con coerenza scienza e storia, anzi per rendere la scienza – come voleva Gramsci – una categoria stessa della storia, che, agendo consapevolmente per conferme e smentite, guadagna così l’autorevolezza del suo procedere. In soli due anni di pandemia abbiamo assistito a una quantità enorme di dietrofront, correzioni e aggiustamenti in corsa d’opera. A Febbraio 2020 il virologo Roberto Burioni rassicurava che il rischio Covid in Italia era praticamente a zero; la scorsa primavera la veterinaria Ilaria Capua asseriva che col vaccino in due mesi saremo stati fuori dalla pandemia; è stata prescritta la somministrazione di AstraZeneca alle donne under 60, poi solo alle over 60 e poi definitivamente ritirato; la copertura vaccinale è stata prima garantita per 9 mesi, poi per 6, oggi addirittura per 5 o 3; l’immunità di gregge si sarebbe raggiunta col 70% dei vaccinati, poi con l’80, poi col 90, ora col 100. È inaccettabile che sia così? Assolutamente no: l’errore abita la natura stessa dello sviluppo scientifico; ma proprio perché lo deve preconsiderare non può, in nessuna sua fase, muoversi nel dogma salvifico e messianico o nei granitici verdetti specialistici, né istituire verità assolute, né rifiutare di esercitare un pensiero prudente e peculiarmente calibrato sui soggetti-oggetto delle sue ricerche se non si vuole sortire l’effetto-ed è proprio quello che spesso pare- di scambiare la scienza per show di prima serata in una bulimia senza fine di pareri esperti e competenti. Ma riavvolgiamo il nastro e torniamo a due anni fa: avremmo mai saputo immaginare questa compressione dell’esistenza nel benestare continuo della sentenza tecnica? E la produzione di tanta discriminazione sociale proprio per effetto di quest’assolutizzazione? La situazione è talmente drammatica da aver persino superato di gran lunga quella monodimensionalità di cui parlava Herbert Marcuse. Siamo nella fase dell’iperneutralità tecnica, dove quel che va bene per uno va sicuramente bene per tutti: vecchi, giovani, adolescenti, bambini. Non esistono più esperienze, nè vissuti personali, nè anamnesi soggettive, ma una compatta patina di “bene comune” legifera e governa il mondo, un’unica coscienza felice regna sovrana, inebetita dalla convinzione che tutto quel che accade è sicuramente razionale, sensato e così etico e morale che non ha bisogno alcuno di essere interrogato e soppesato. In poche parole: il sonno profondo del pensiero onesto.
Ipocrisia delle masse
È di qualche settimana fa lo sconcertante articolo de La Repubblica che si pregiava di aver finalmente elaborato l’identikit del perfetto “No Pass”: sottoistruito, tra i 30 e i 50 anni, e di destra. En plein! Se non ci fosse da ridere per la grossolaneria di analisi al sapore di reminiscenze lombrosiane che pensavamo di esserci definitivamente lasciati alle spalle, ci sarebbe proprio da piangere. La retrocessione culturale, in termini di marginalizzazione, stigma e caccia al nemico scorre ormai sempre più inesorabile, al punto che non si capisce più se sono i corpi che, dopo un po’ di mesi dal vaccino, perdono l’immunità dal virus, o se sono le menti che, dopo mesi e mesi di maniacale bombardamento mediatico, perdono l’immunità dalla protervia e dalla stupidità, alla distanza dalle quali si viene generalmente educati e scolarizzati nei primissimi anni di vita. Nel saggio Stigma, identità negata Erving Goffman considera la nascita di uno stereotipo il principale effetto del processo d’identificazione di caratteristiche sociali utili a produrre discriminazione. Si tratta di un fenomeno riferito sia all’autopercezione della propria identità individuale che sociale se, come è stato ben teorizzato dalla fenomenologia, lo sguardo esterno veicola veri e propri mondi di significati. Ne è conseguito un enorme “effetto Pigmalione” per il quale, erette le categorie “no-vax” e “no green pass”, si è preso ad affibbiargli le qualunque responsabilità in un processo di continua soddisfazione delle aspettative sociali. Non abbiamo forse visto attribuire a queste categorie la responsabilità del contagio di intere città e regioni? (Mentre, per esempio, il mancato potenziamento dei trasporti, il mancato smistamento delle classi pollaio e la sospensione dello smartworking non rappresentavano alcun problema.) Non abbiamo forse visto attribuire a queste categorie la colpa della saturazione ospedaliera? (Mentre anni e anni di tagli, precarizzazioni e privatizzazioni non scomponevano minimamente l’osservatore.) Non abbiamo forse visto attribuire a queste categorie il dilagare di antiscientismo e ignoranza? (Mentre sulla censura del dubbio e sulla criminalizzazione del dissenso davvero nessun problema.) E così via, potremmo procedere a iosa.
Ipocrisia delle istituzioni
Il nodo nevralgico della questione – oramai è chiaro – ruota attorno all’asimmetria tra la deresponsabilizzazione istituzionale e la massima responsabilità richiesta ai singoli cittadini: se, dopo tutti questi mesi, la politica non è stata in grado d’imporre alcun obbligo vaccinale serio, senza alcun ricatto di revoca di diritti fondamentali come il lavoro o lo studio, né è stata capace d’imporre una vaccinazione certa e compatta almeno per quelle fasce sociali per cui il virus è statisticamente più pericoloso, come si può pretendere però da parte dei cittadini la massima forma di responsabilità, financo da parte di coloro che hanno riportato effetti avversi dopo le prime dosi o da parte di coloro affetti da patologie che temono possano interagire negativamente col vaccino? Ma perché qualcuno, tra politici, giornalisti, intellettuali e media, non si è preso briga di metter nero su bianco una volta per tutte questi punti? Ebbene, a un anno esatto dall’inizio della campagna vaccinale, vale forse la pena di riflettere più approfonditamente sul concetto di responsabilità e sulla leggerezza con cui si suole approcciare la specificità dei singoli corpi e quella che credevamo essere la loro inviolabilità. L’argomento è centrale perché l’assunzione di un impegno istituzionale nell’imporre una determinata pratica agirebbe di fatto sulle persone forse non convincendole definitivamente ma tranquillizzandole della sensatezza e necessità della misura. Invece il ricorso al consenso informato agisce letteralmente da tappabuco di ogni contraddizione e a sostituzione di tutti gli scudi penali collegati alla somministrazione. Si replicherà che il consenso informato è oramai in medicina una pratica largamente adottata. Naturalmente. Ma siamo quasi sempre di fronte a situazioni alle quali sceglie deliberatamente il soggetto di sottoporsi e se anche non sceglie di sottoporvisi, il conseguente rifiuto non implica però ex abrupto la perdita o il condizionamento di una buonissima fetta di diritti né addirittura la sospensione dal lavoro. Del resto, Ulrich Beck, nel suo testo La società del rischio, lo aveva già abbondantemente spiegato: situazione emergenziale e assunzione di responsabilità sono due concetti che non possono proprio essere accostati. La formalizzazione stessa dell’emergenza implica che, poiché tutto quel che accade in questa fase rientra in cornici politiche eccezionali in cui è necessario agire in tutela di un rischio maggiore, automaticamente si frammenta la responsabilità per le conseguenze e gli effetti – i cosiddetti mali minori – dei provvedimenti adottati. Il rischio è in sostanza l’istituzionalizzazione della tecnica impunita al comando. Se c’è un’urgenza di cui oggi le istituzioni farebbero bene a occuparsi è la crepa sempre più profonda di sfiducia e scetticismo di molti cittadini nei loro confronti. Due anni di pandemia hanno dimostrato fin troppo bene quanto il ponziopilatismo della tecnocrazia non guardi in faccia davvero nessuno ma agisca escludendo e isolando chi desiste a conformarsi. E così possiamo sentire tranquillamente un Lopalco, epidemiologo, suggerire di non invitare i non vaccinati in casa propria a Natale. O l’infettivologo Bassetti suggerire di mandare i carabinieri casa per casa a scovare i no-vax. O il nobile Burioni istituire paragoni tra sorci e no-vax. E così avanti con la lunga trafila di angherie che sembrano aver fatto definitivamente svanire molti dei principali valori culturali che educatori e insegnanti erano chiamati a trasmettere quotidianamente: l’inclusione, la partecipazione, l’ascolto delle minoranze, la trasparenza, l’apertura al dissenso e al dubbio. Invece, a partire dal prossimo 15 dicembre, non un obbligo effettivo ma una minaccia di sospensione remunerativa in caso di mancata somministrazione o rinnovo vaccinale penderà su queste categorie, che, per effetto di uno strano autogol e di un’attenta ironia della sorte, sono le stesse che devono e dovranno consegnare strumenti di interpretazione e critica della realtà, anche quando il ricatto si sostituisce al diritto a tempo indefinito, non permettendo più a nessuno di potersi dire davvero al sicuro.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/societa/21855-silvia-d-autilia-la-pretesa-obbedienza-morale-a-un-sistema-immorale.html
COVID19: tra Invulnerabili e Disarmati
| Attualità, Civica, Daniele Vittorio Comero
Il discorso conclusivo del 2021 del Presidente della Repubblica
Ha toccato il tema del COVID19:“…I vaccini sono stati, e sono, uno strumento prezioso, non perché garantiscano l’invulnerabilità ma perché rappresentano la difesa…”. In pratica, nonostante lo scudo del farmaco, si è vulnerabili. Mattarella, lanciando il messaggio, ragiona sulla base di numeri reali. Occorre ricercare questi dati. L’Istituto Superiore della Sanità nell’ultimo Bollettino 2021, del 28 dicembre, fornisce un quadro completo (tabelle n.5 e n.6) sui nuovi gruppi sociali ridisegnati dall’azione sanitaria: vaccinati completi con terza dose booster (5,6 milioni), vaccinati completi da più di 120 gg. (26,3 milioni), vaccinati completi con meno di 120 gg. (13,6 milioni), vaccinati incompleti (1,5 milioni), non vaccinati (6,9 milioni). I diagnosticati positivi nell’ultimo mese (tab. 5) sono oltre 570mila persone. Tra questi solo 170mila sono ‘non vaccinati’. I positivi vaccinati sono tanti, specie quelli che hanno superato i 120 giorni dall’ultima dose, per cui si spiega la necessità di una terza dose ‘booster’ di sostegno e forse di altre successive.
Ha senso la stretta del Governo?
Dai dati dell’Istituto S. Sanità si rileva che i positivi al COVID19 sono per il 75% asintomatici e per un 20% con lievi sintomi. Sui gruppi di positivi, da un punto di vista statistico, il confronto va fatto utilizzando i tassi, calcolati su 100mila abitanti (tab. 6), dove si vede che i tassi di mortalità sono bassi, al massimo 3 decessi su 100mila persone, nel gruppo di età tra i 12 e 59 anni. Il pericolo è certamente presente per le classi di età molto avanzate, oltre gli 80anni. Il tasso di mortalità dovuto alla normale influenza è stimato in 25 decessi ogni 100mila persone nelle stagioni influenzali 2016/2018 secondo la rete EuroMOMO. Allora, cosa c’entrano gli studenti e i lavoratori? Il Governo dovrebbe valutare i dati prima di imporre l’estensione del super green pass a tutti i lavoratori, visto che la pretesa non ha giustificazione nei numeri, ma solo politica. Ultima nota, i tassi di ‘positività’ tra i vari gruppi sono differenti, ma della stessa grandezza numerica: 2.760 per i non vaccinati e 1.209 casi/per 100mila tra i ‘vaccinati con dose booster’. Una differenza che non può giustificare alcuna stretta sanitaria.
Ultimo dell’anno sera, ora di cena, in tanti ci siamo accomodati in poltrona per sentire il discorso del Presidente della Repubblica conclusivo del 2021 e del settennato. Un classico appuntamento reso gradevole dalla capacità di sintesi di Sergio Mattarella. Il discorso completo è disponibile sul sito del Quirinale. Dopo una breve introduzione tocca il tema del COVID19:
“In queste ore in cui i contagi tornano a preoccupare e i livelli di guardia si alzano a causa delle varianti del virus – imprevedibili nelle mutevoli configurazioni – si avverte talvolta un senso di frustrazione. Non dobbiamo scoraggiarci. Si è fatto molto.”
Vero, non dobbiamo scoraggiarci, vero che le varianti siano imprevedibili nel loro sviluppo, visto che è stato predisposto un ordinato sistema di classificazione utilizzando l’alfabeto greco. Si è partiti dalla prima famigerata versione base, per arrivare dopo qualche mese alla Δ ‘delta‘, che è la 4° lettera; ora si parla della variante Ο ‘omicron‘, che utilizza la 15° lettera. Il salto dal 4° al 15° posto probabilmente indica che stanno girando parecchie altre varianti, che vi è grande velocità di mutazione nel virus. Il presidente Mattarella prosegue con una affermazione che, almeno nelle sue intenzioni, dovrebbe rincuorare gli Italiani:
“I vaccini sono stati, e sono, uno strumento prezioso, non perché garantiscano l’invulnerabilità ma perché rappresentano la difesa che consente di ridurre in misura decisiva danni e rischi, per sé e per gli altri.”
Ammetto di aver avuto un attimo di incertezza, una reazione istintiva al pensiero “…non perché garantiscano l’invulnerabilità”, è una negazione, quindi afferma che si è vulnerabili, si può essere feriti nonostante lo scudo del farmaco. Questa frase è utilizzata da una persona colta, un giurista molto preparato, che sicuramente ha in mano i numeri reali della situazione, per cui è certamente il passaggio principale del discorso di fine anno, quasi un messaggio in codice a chi vuol capire. La frase non è sfuggita ai critici di professione, come Nicola Porro che scrive (Se n’è accorto pure Mattarella: i vaccini falliscono – (nicolaporro.it) :” …noi lo sapevamo: la punturina anticovid non è la panacea di tutti i mali e va accompagnata con le cure domiciliari, con la ricerca per gli antivirali e con tutto quello che occorre. Il vero errore, fatto dai sacerdoti della liturgia del terrore, è stato quello di santificare il vaccino per ritrovarsi nella malta quando Omicron ha iniziato a bucare le due dosi in appena quattro mesi. La pandemia dei no vax si è trasformata nella pandemia dei vaccinati.”
A questo punto c’è bisogno dei dati, quelli che il Capo dello Stato avrà visto prima di scrivere il suo discorso. Prima di dare il via all’operazione ricerca, può essere utile sentire cosa dicono oltreoceano. In un articolo del 17 dicembre apparso sul sito della Johns Hopkins Bloomberg Scuola di Salute Pubblica di Baltimora (USA) dal titolo
due medici specialisti, Anna P. Durbin e William John Moss Direttore Esecutivo International Vaccine Access Center, rispondono ad alcune domande sulla variante ‘Omicron’. L’intervistatrice rileva che stiamo solo sentendo parlare della variante ‘Omicron’ e chiede: cosa sappiamo dei vaccini e di questa nuova variante, che ha molte mutazioni?
“Sappiamo che la variante ha mutazioni multiple, ma voglio sottolineare che è ancora la proteina spike di SARS-CoV-2. Quindi, anche se ci sono molte mutazioni, ci sono così tante parti della proteina che sono le stesse che sono contenute nel vaccino. Stiamo prevedendo che gli anticorpi non neutralizzano o uccidono il virus così come potrebbe [uccidere] il ceppo originale, ma le persone avranno quella che chiamiamo “memoria” perché sono state vaccinate. La risposta immunitaria di una persona riconoscerà parti del virus dell’omicron e ciò fornirà una certa protezione: semplicemente non sappiamo quanto.
Stiamo ancora aspettando che arrivino i dati per vedere quanto siano gravi le infezioni da omicron sia nelle persone vaccinate che in quelle non vaccinate e quanto sia trasmissibile [la variante].”
Domanda: quello che stiamo sentendo è che dovremmo tutti correre fuori e ottenere booster ora che l’omicron è qui ?
“Non sappiamo quanto durerà la protezione da un booster, ma penso che sia un suggerimento ragionevole in assenza di prove reali, e avremo alcune di queste prove nelle prossime settimane.”
Una situazione molto imbarazzante, pensando che il virus Sars cov2-19 è certamente partito da un gigantesco laboratorio cinese, che ha raccolto finanziamenti pubblici e privati da mezzo mondo, dopo due anni ne sappiamo ancora poco. Almeno, ufficialmente è così. Sarà vero?
Possiamo solo andare alla ricerca di dati che possano aiutare a capire la situazione, come quelli presentati dall’Istituto Superiore della Sanità. Nel suo ultimo Bollettino del 2021, compilato il 28 dicembre, aggiornato il 31.12, espone i dati nazionali riassuntivi in due tabelle – la n.5 e n.6 – molto interessanti, che ci permettono di capire meglio come sono composti i nuovi gruppi sociali ridisegnati dall’azione sanitaria del ministro Speranza:
-
vaccinati completi con booster
-
vaccinati completi con scadenza di 120 gg. superata
-
vaccinati completi con meno di 120 gg.
-
vaccinati incompleti
-
non vaccinati
Quanti sono e come hanno reagito al Covid19, lo si può vedere in questa porzione della tabella 5 del bollettino I.S.S.:
I dati sono molto esplicativi, parlano da soli, i vaccinati infettati sono tanti, specie quelli che hanno superato i 120 giorni dall’ultima iniezione. Questa è la spiegazione tecnica della necessità di una terza dose ‘booster’ (dall’Oxford English Dictionary: si tratta di una dose di vaccino che accresce e rinnova gli effetti di un’inoculazione precedente). Il numero di infettati vaccinati è superiore a quello dei non vaccinati, però da un punto di vista statistico metodologico, il confronto andrebbe fatto a parità di gruppi e di condizioni (il gruppo dei vaccinati solo in pochi casi è costretto ai test di diagnosi, mentre i non vaccinati sono molto più controllati e testati). In prima battuta si può ovviare con i numeri indice – tassi – rapportando tutti i dati sulla stessa base di riferimento, in questo caso 100mila abitanti. La tab. 6 riporta i tassi di confronto:
La tabella è ricchissima di informazioni, per cui ognuno può trarre il pezzo che più gli interessa. Il ministro Brunetta dovrebbe studiarla bene prima di chiedere l’estensione del super green pass a tutti i lavoratori, visto che la pretesa non ha alcuna giustificazione scientifica, vuol dire che la motivazione è solo politica.
Segnalo solo che i tassi di “positività” tra i vari gruppi sono purtroppo della stessa grandezza numerica. Come i tassi di mortalità fino a 39 anni, che fortunatamente sono bassissimi, a segnalare che il pericolo è solo per alcune classi di età, molto avanzate, che certamente non sono gli studenti e i lavoratori.
Daniele Vittorio Comero
PS.: il grafico messo in evidenza in testa all’articolo riporta l’andamento della mortalità settimanale in Italia, negli ultimi anni, fino a Natale2021,
la linea spezzata evidenzia l’eccesso/difetto rispetto al valore medio degli ultimi anni. Si vede bene che la mortalità è perfettamente normale per il periodo in corso e che siamo in attesa del solito picco influenzale.
Dati di confronto con l’influenza stagionale:
https://vaccination-info.eu/it/schede-informative-sulle-malattie/influenza
Secondo le stime, nei paesi dell’UE/SEE che partecipano alla rete EuroMOMO il tasso di mortalità dovuto all’influenza è arrivato a 25 decessi ogni 100.000 persone nelle stagioni influenzali 2016/2017 e 2017/2018.
FONTE: http://www.civica.one/invulnerabili-o-disarmati/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
Thomas Lerooy. Bellezza all’ombra delle stelle
26 mar — 5 lug 2015 al Petit Palais di Parigi, Francia
Tornando alle sue origini, quando all’inizio del XX secolo il Petit Palais acquistava le opere di artisti viventi per costruire la sua neonata collezione, il Musée des Beaux-Arts de la Ville de Paris invita l’arte del XXI secolo a dialogare con le sue celebri collezioni di arte antica.
Il Petit Palais rinnova così il suo legame con l’arte contemporanea dando carta bianca per la prima volta a Thomas Lerooy, artista belga classe 1981. Le sue opere – una ventina di sculture e disegni – sono state installate nelle sale delle collezioni permanenti al primo piano, con una breve incursione nel giardino del patio. Appena fuori dal museo sul lato di Avenue Winston Churchill, i visitatori sono accolti da un Manneken-Pis (Petit Jean) rivisitato, un omaggio mascherato allo scultore Jérôme Duquesnoy (1570-1641) oltre ad essere un’introduzione al mondo onirico e burlesque di Thomas Lerooy.
Sebbene possa sembrare sorprendente in un ambiente classico, l’opera di Thomas Lerooy ha legami stretti e produttivi con l’arte antica, da cui attinge, meglio sfruttarla per i propri scopi. Si fa riferimento all’arte romana antica tanto quanto a quella del Rinascimento, del Classicismo o del Manierismo. Un nudo in stile antico trafitto da bottiglie di vetro (Speaking in Tongues), putti con la testa di teschio (The Kiss) o San Sebastiano trafitto da una freccia (Falling Apart Together) – ogni opera è ispirata alle fonti dell’arte occidentale. Lo sfruttamento dei simboli, sia religiosi che profani da parte di Lerooy, illustra il suo approccio al “significato attuale dei motivi della storia dell’arte e delle relazioni tra un’opera d’arte, lo spazio e lo spettatore”. – Tanguy Eeckhout, 2007
Questo approccio trova un nuovo mezzo di espressione e arricchimento attraverso il contatto con le collezioni del Petit Palais, che danno origine a scambi tanto peculiari quanto istruttivi durante tutta la mostra. Un esempio è l’eloquente faccia a faccia tra la scultura Destroy Everything You Touch e il monumentale Cristo sulla croce di Léon Bonnat (1833-1922). A contatto con questo dipinto realista dell’Ottocento, l’opera contemporanea di Lerooy è permeata da un valore che va oltre l’immagine del sacrificio subito dal Signore per la redenzione dei peccati dell’uomo. Al contrario, il chiodo in bronzo argentato nella scultura di Lerooy aggiunge alla nostra comprensione della Crocifissione offrendoci qui sotto una diversa interpretazione dell’acme del martirio. La mostra è punteggiata da tali dialoghi individuali, che gettano una nuova luce sulle antiche opere del Petit Palais, dando allo stesso tempo uno spaccato del mondo interiore di Thomas Lerooy.
Come una danza macabra, i sogni e le fantasie dell’artista fiammingo ruotano intorno al visitatore in gioiosa frenesia. Mostri, scheletri e creature ibride abitano l’universo grafico e scultoreo di Lerooy che si trova a cavallo del confine tra Simbolismo e Surrealismo. L’immagine del teschio, che è onnipresente nel suo lavoro, fa riferimento alla brevità della nostra presenza sulla Terra, un tema inerente alle vanità del XVII secolo, di cui il Petit Palais ha alcuni esempi raffinati.
La natura allegorica e fortemente significativa delle opere si combina con una malizia tipica della loro origine fiamminga che, da Brueghel a James Ensor, ha sempre tolto il bordo alla natura sinistra dell’arte belga. L’umorismo – antidoto alla bruttezza – opera nelle opere di Lerooy, così come inietta vita ai grossolani dipinti caravaggeschi del vizio e della miseria di Roma, da vedere nella mostra Les Bas-fonds du Baroque, in mostra al Petit-Palais nello stesso periodo di quella di Thomas Lerooy.
FONTE: https://wsimag.com/art/14463-thomas-lerooy-beauty-in-the-shadow-of-the-stars
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
CHISSA’ PERCHE’ PER LA SINISTRA DAL PENSIERO UNICO PATRICK ZAKY E’ PIU’ OMOSESSUALE DI TUTTI GLI OMOSESSUALI UCCISI NEI PAESI ARABI. CHISSA’ PERCHE’…
Tonio De Pascali 21 12 2021
L’Egitto è un Paese arabo moderato, in cui si professa liberamente la propria fede e vi sono 10 milioni di cristiani.
L’Egitto è un Paese arabo con una democrazia autoritaria, vero, ma sempre uno Stato in cui si tengono libere elezioni e le donne camminano senza chador. Al contrario di tutti i Paesi arabi, dove la democrazia è una chimera ed il chador , quello brutto, è obbligatorio per tutte le donne. Che vengono decapitate solo per un tradimento coniugale.
L’Italia tutta festeggia per Patrick Zaky libero, lo invitano in tv come una star alla messa cantata comunista di Che tempo che fa.
Patrick Zaky, da studente Erasmus, viene spacciato per ricercatore universitario, che invece è un ruolo di docenza.
Patrick Zaky, guarda caso è gay.
Si fosse mai vista l’intellighenzia del PENSIERO UNICO scomodarsi, che so, per quelle decine di omosessuali decapitati in Arabia Saudita (dove Renzi tiene , ad esempio, conferenze ben pagate).
Si fosse mai vista, questa intellighenzia, protestare per quegli innumerevoli omosessuali che nella Siria occupata dagli integralisti islamici, venivano buttati, bendati e legati, dal quinto piano di un edificio.
Chissà perchè…..
Così va il mondo.
FONTE: https://www.facebook.com/100015824534248/posts/1121315191739288/
Affari presenta il libro “Non facciamo cerimonie!” di Enrico Passaro.
Il direttore di Affari, Angelo Maria Perrino, presenta il libro scritto dal Responsabile dell’Ufficio del Cerimoniale di Stato. Diretta Instagram. Gli ospiti
Il direttore Angelo Maria Perrino presenta il libro “Non facciamo cerimonie!” di Enrico Passaro. Diretta Instagram sulla pagina di Affari. Ospite il sindaco di Milano, Beppe Sala
Oggi alle 18, il direttore di Affaritaliani.it, Angelo Maria Perrino, modera la presentazione del libro “Non facciamo cerimonie! A spasso nelle vicende del protocollo di Stato” di Enrico Passaro (Responsabile dell’Ufficio del Cerimoniale di Stato e per le Onorificenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri) al Palazzo delle Stelline.
Enrico Passaro ha fatto da cerimoniere per sette premier, nell’ordine Silvio Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte e ora Mario Draghi.
“Non facciamo cerimonie!”, al Palazzo delle Stelline la presentazione del nuovo libro di Enrico Passaro. Tra gli ospiti, Giuseppe Sala e…
Tornano gli incontri alle Stelline. Lunedì 22 novembre, alle ore 18, nel pienissimo centro di Milano, la Fondazione Stelline presenta il nuovo libro “Non facciamo cerimonie! A spasso nelle vicende del protocollo di Stato”. Ad aprire l’evento, il saluto del presidente della Fondazione, PierCarla Delpiano.
Successivamente, il prefetto di Milano Renato Saccone si occuperà dell’introduzione. Interverranno poi, durante la serata, Stefano Buffagni, Parlamentare alla Camera dei Deputati, Enrico Passaro, autore del libro e Responsabile dell’Ufficio del Cerimoniale di Stato e per le Onorificenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Stefano Rolando, Docente IULM e direttore scientifico dell’Osservatorio sulla comunicazione pubblica, il public branding e la trasformazione digitale e, infine, un ospite d’eccezione: Giuseppe Sala, sindaco di Milano in carica dal giugno 2016.
A condurre la presentazione del libro “Non facciamo cerimonie! A spasso nelle vicende del protocollo di Stato” è il direttore di Affaritaliani.it, Angelo Maria Perrino. L’appuntamento si terrà presso il Palazzo delle Stelline, situato in corso Magenta 61.
FONTE: https://www.affaritaliani.it/libri-editori/affari-presenta-il-libro-non-facciamo-cerimonie-di-enrico-passaro-768215.html
BELPAESE DA SALVARE
Pronti per uscire scaglionati in ordine alfabetico?
Federica Francesconi – 20 12 2021
Questa la proposta di Cartabellota, un altro dei guru della pseudoscienzah da salotto, per fermare la variante omicron a cui il Natale proprio non piace, e che quindi ha deciso di diventare più virulenta proprio in periodo natalizio.
Capito? 3 dosi, due anni di lockdown e di restrizioni sempre più assurde alla libertà per arrivare a marciare in ordine alfabetico come dei bravi ed ubbidienti soldatini. Il degno finale di una tragicommedia che ha decretato che il cervello delle meduse è più sviluppato di quello dell’italiano medio. Sublime pantomima all’italiana, o meglio, alla cinese, che vedrà il Signor Rossi, il cognome più diffuso in Italia, vedersi precedere nelle uscite domenicali per darsi al consumismo dal Signor Cicirinella.
Non so voi, ma io ho esaurito il mio repertorio di insulti e perculamenti.
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10223304026126657&id=1165264657
UN ANNO FA , SONO ANCORA IN GIRO A FARE DANNI ?
Sisto Ceci 4 01 2022
E con questi uomini , il centrodestra pretende di tornare prossimamente al governo .
Negli ultimi scampoli dei lavori parlamentari, prima delle ferie natalizie , uno dei due dioscuri leghisti , i bodyguard del pensiero politico/ economico di Capitan Salvini , ovvero B & B , Bed and Breakfast ,Bagnai e Borghi , per la precisione Bagnai , poi , a cose fatte , difeso da Borghi , si e’ lasciato andare ad una delle sue indimenticabili esternazioni ,da tempo raccolte scrupolosamente da un suo devoto agiografo e in corso di pubblicazione nell’anno che verra’ , di questo tenore ” In un afflato europeista , il 1 settembre 1939 , la Germania invase la Polonia ,perseguendo a modo suo , diverso nelle forme ma non nella sostanza , l’obiettivo di una unificazione del Continente a suo uso e consumo ” Ebbene nella sua mirabile sintesi storiografica , Bed – Bagnai assegna all’attuale UE il ruolo del GRANDE REICH GERMANICO MILLENARIO ,grondante del sangue di decine di milioni di morti , voluto da Hitler – Merkel , cogliendo ,fra i 2 , solo sfumature trascurabili nelle modalita’ realizzative , rispetto al modello originario . Visto che era in tema avrebbe potuto anche indicare chi nel ruolo di Adolf Eichman , chi meglio della Van der Lyen ? e compilare un elenco delle localita’ adatte ad accogliere l’apertura dei nuovi campi ricreativi in cui dovrebbero trovare posto i dissidenti del Grande Disegno. Ed e’ un vero peccato, che, per ragioni anagrafiche ,il prof Cipolla , indimenticato autore del fortunatissimo pamphlet ” Le leggi fondamentali della stupidita’ umana ” tradotto in tutto il mondo , non abbia potuto conoscere di persona la storia dei magnifici 2 , Bed & Breakfast , Borghi und Bagnai, ne avrebbe fatto , sicuramente , il capitolo centrale dello scritto , devolvendo loro anche una parte consistente dei diritti di vendita ……. e poi qualcuno ancora dice che con la cultura non si mangia
FONTE: https://www.facebook.com/100031860510496/posts/628807408191271/
LE RADICI DELLA RESILIENZA
Gli elementi della resilienza possono aiutare a trasformare le avversità in un’opportunità di crescita
Lynn Jaffee – The Epoch Times – 16 dicembre 2021
Molti anni fa, ho seguito una lezione di una donna che stava preparando la sua tesi di dottorato sul tema della solidità psicologica. Era una suora, ma non il tipo di suora in bianco e nero che ricordo quando ero piccola. Questa particolare suora indossava camicie di flanella e di tanto in tanto imprecava anche, ma non è quello che ricordo di più. Ciò che mi è rimasto impresso nel corso dei decenni è stato il suo studio sulla solidità psicologica e su cosa significhi esattamente.
Nella medicina cinese, gli antichi dicevano che se lo “shen” era luminoso, il paziente sarebbe sopravvissuto; ma se lo shen era spento, la prognosi non sarebbe stata così buona. Shen, in cinese, è l’idea che lo spirito, la coscienza, i ricordi e l’essere di una persona risiedono nel suo cuore ma si riflettono nei suoi occhi. Come praticante di questa medicina, sono d’accordo che guardare negli occhi di una persona è un buon indicatore del suo spirito o della sua solidità psicologica, e può essere un indicatore della prognosi.
Negli anni trascorsi da quando ho sentito la tesi di Suor “Flanella”, ho pensato al tema della solidità psicologica e al perché alcuni pazienti sembrano ignorare grandi dolori o disabilità, mentre altri sono completamente annientati da disturbi di salute relativamente insignificanti. E anche se non ho tutte le risposte, una parola continua a saltare fuori per spiegare tali fenomeni: resilienza.
La resilienza è la capacità di riprendersi rapidamente da una situazione difficile. Mi fa pensare all’elemento del legno nella medicina cinese: dai germogli verdi che spuntano dalla terra ogni primavera alla forza flessibile del legno stagionato che può piegarsi senza rompersi.
La resilienza non è una cosa o l’altra, ma è la somma di diversi elementi che formano il tutto. I componenti della resilienza sono anche gli strumenti che aiutano a superare i momenti difficili, tra cui:
La perseveranza. I giapponesi hanno un proverbio: Cadi sette volte, alzati otto. Non mollare quando le cose si fanno difficili è una componente chiave della resilienza, sia che si tratti di qualcosa di semplice come continuare a suonare la chitarra anche se ti fanno male i polpastrelli, sia che si tratti di qualcosa di travolgente come continuare a essere efficienti nonostante un grande dolore o una malattia.
L’ottimismo. Sapere che le cose andranno bene anche quando le carte sono contro di te.
La gratitudine. Personalmente, durante alcuni giorni molto bui, ho scoperto che essere grato per ciò che non andava male, apprezzare le persone intorno a me e riconoscere i piccoli miracoli nella mia vita è ciò che mi ha fatto e continua a farmi andare avanti.
La fiducia di poter gestire i momenti difficili, anche quando ci si trova in mezzo. La sicurezza di sé nelle proprie capacità di farcela significa che, alla fine, ce la farai.
Un forte gruppo di supporto è un elemento essenziale della resilienza. Sapere di avere persone nella propria vita che ci coprono le spalle quando le cose vanno male può darci la forza di andare avanti.
(Avanti, amici di ComeDonChisciotte!)
La flessibilità. Essere in grado di vedere le cose in sfumature di grigio, piuttosto che in bianco e nero, o di fermarsi e guardare la situazione da un punto di vista diverso, richiede flessibilità. Inoltre, come l’elemento legno nella medicina cinese, essere in grado di piegarsi senza rompersi è l’essenza della resilienza.
L’umorismo. Quando la tua vita si sta sgretolando intorno a te, essere in grado di buttarla in umorismo mantiene le cose in prospettiva e allevia la tensione. Chiaramente, ci sono momenti in cui l’umorismo non è appropriato, ma sono rari.
La gentilezza e l’empatia. Le parole gentili hanno la capacità di cambiare in meglio l’intera giornata di qualcuno. Certo, può essere davvero difficile essere felice per qualcuno che ha appena ottenuto il lavoro dei suoi sogni proprio quando tu sei stato recentemente licenziato. Tuttavia, la realtà è che la loro felicità non rende la tua situazione peggiore, a meno che tu non voglia cadere nella trappola dei confronti. È del tutto possibile che dire qualcosa di gentile o essere sinceramente felici per la buona fortuna di qualcun altro possa farti sentire un po’ meglio.
Tutti noi conosciamo persone che ispirano soggezione per la loro capacità di vivere pienamente nonostante le grandi difficoltà. In poche parole, è la differenza tra far fronte e rimanere bloccati. Che la chiamiate resilienza o solidità psicologica, l’abilità di affrontare, riprendersi e forse anche imparare qualche lezione dai momenti difficili della vita è il modo in cui li superate e forse ne uscite anche più forti.
Fonte: https://www.theepochtimes.com/mkt_breakingnews/the-roots-of-resilience-2_4144204.html
Traduzione di Cinthia Nardelli per ComeDonChisciotte.
FONTE: https://comedonchisciotte.org/le-radici-della-resilienza/
CULTURA
“LA TAVOLETTA” DI ROBERTO CALASSO
Si succedono rapidamente riflessioni in lunghe frasi che rimandano allo stile oracolare dei pensatori del mondo antico e al più recente Nietzsche. I personaggi immortali e le figure di seconda linea intrecciano i loro destini, prendono partito ora in una fazione, ora in un’altra. Cercano di annientarsi reciprocamente e poi creano gli umani per rovesciare su di essi le loro contraddizioni e le nefandezze. I protagonisti chiamati in causa sono numerosi ed è difficile ricordarli tutti. Ci viene in aiuto un curatissimo indice dei nomi posto alla fine del testo. Vi è compreso l’intero pantheon delle religioni mesopotamiche che muove i fili del mondo dal diluvio in poi. La descrizione degli Dei è asciutta ma spesso ricca di acute intuizioni. Nessuna retorica misterica sulle azioni degli Annunaki quasi sempre descritti in modo molto diverso in altre trattazioni in circolazione.
La tavoletta dei destini riassume le regole dell’universo alle quali anche gli Dei più combattivi e ribelli devono conformarsi. I Destini rappresentano un ordine ineffabile che governa la totalità dietro le quinte lasciando credere agli Dei di muoversi autonomamente. Questa tavoletta può rimandare alle tavole della Legge consegnate a Mosè. Ogni religione ricorda in diversa misura questa consegna di alcune regole da rispettare e far rispettare. L’affascinante libro di 146 pagine è la tappa finale di un percorso durato quasi quarant’anni. Roberto Calasso ci ha donato un itinerario che si snoda in undici “stazioni”. È compito nostro cercare di capirne le implicazioni sul piano storico, religioso, filosofico. Sta a noi farlo diventare una parte fondamentale del nostro cammino individuale.
La tavoletta dei destini di Roberto Calasso, Adelphi 2020, 146 pagine, 18 euro
FONTE: https://www.opinione.it/cultura/2022/01/04/manlio-lo-presti_la-tavoletta-dei-destini-roberto-calasso-adelphi-2020-146-pagine-18-euro/
Noi, robot
Parafrasando Benedetto Croce, potremmo anche dire: perché non possiamo non dirci ebrei. Perché gli ebrei, a differenza di altri, hanno saputo conservare la memoria di ciò che la tradizione dice che noi uomini siamo: una vera e propria macchina del tempo.
“Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, poiché tu hai lottato contro Dio e contro gli uomini, ed hai vinto”. Giacobbe gli disse: “Ti prego, dimmi il tuo nome”. Ma quello rispose: “Perché chiedi il mio nome?”. E qui lo benedisse (Genesi)
Nel linguaggio del teatro l’espressione latina “deus ex machina” indica la ri-soluzione di una situazione ingarbugliata, che è tale da non trovare apparentemente una soluzione. Ma, vediamo prima di cosa si tratta e poi diciamo della soluzione, che tuttavia finisce per essere essa stessa una risoluzione e quindi la ripetizione di qualcosa che è già dato, ovvero la soluzione stessa.
La costruzione latina e/ex + ablativo è usata con una possibile triplice funzione di complemento di moto da luogo, complemento di materia, partitivo.
Nel primo caso è quindi l’”imago dei” che promana dalla “machina”. Analogamente, la funzione del complemento di materia è quella di indicare la sostanza (aristotelica) di cui si compone una “cosa” (nel senso latino del termine e quindi alla stessa stregua del significato di “ente” in greco), in senso sia proprio sia figurato. Analogamente, ancora, l’articolo partitivo è utilizzato per introdurre una quantità della parte in relazione a un imprecisato e imprecisabile intero. Così che nella frase l’espressione “deus” è parte di un sistema, senza poter stabilire con “vera certezza”, direbbe Parmenide, se l’elemento “deus”, in senso proprio o figurato, sia interno o esterno all’intero sistema in questione.
E allora il dio che emerge dalla macchina rappresenta non una soluzione bensì la risoluzione, l’unica possibile, al dubbio amletico circa il significato dell’essere tutto intero e di ogni sua parte che nell’essere, per così dire, appare. E cioè come appare in definitiva all’occhio della mente e dei sensi, senza per questo che possiamo comprenderne il significato. O il perché, come del resto sanno bene sia i bambini che gli adulti: perché è così? Perché così è.
E cos’è? C’è forse una soluzione, nient’affatto ingarbugliata (Alessandro e il nodo di Gordio), che sia diversa dal dubbio, dall’immagine dell’
“implesso” di cui ripetutamente ci dicono Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend nel loro Il mulino di Amleto? Parmenide non ha dubbi: il giorno, che rappresenta la luce (dio in vedico, linguaggio protomadre del sanscrito, greco e latino) è anch’esso, come le tenebre, in sé, “notte densa e pesante”.
Parmenide usava le categorie della scienza di Democrito, il quale credeva che la materia si componga di atomi per l’appunto duri o anche densi e pesanti. Oggi, si dice piuttosto che la materia non sia altro che energia e che la materia sia solo un comportamento dell’energia stessa. Modo di credere che non cambia la sostanza della risoluzione della mente, che opera per separazioni ed esprime una risoluzione incerta anch’essa, allo stesso modo della soluzione sensitiva, che si manifesta in tutta evidenza parziale e incerta.
Per tanto, Platone chiamava il cosmo greco “la macchina del tempo”. E, in definitiva, questo saremmo anche noi umani: una “macchina”. Ciò che oggi più comunemente chiamiamo “robot” e che, in ebraico moderno, è significato anche da uno degli usi del termine golem. Il golem è una “imago dei” tratta dalla Qabbalah. Nel Tanakh (Salmo, 16), Il golem è descritto come un mostro (dal latino monstrum, monstrare e cioè apparso, apparire), “una massa ancora priva di forma”, da cui, dopo l’azione d’infusione dell’anima, nasce il primo uomo Adamo. Il golem è un gigante d’argilla, privo d’intelligenza ma dotato di una forza sovrumana, in tutto e per tutto un demone o meglio, per l’appunto, un “gigante”. E, in effetti, quella dei giganti non è una storia diversa da questa.
Angelo Giubileo
FONTE: https://www.pensalibero.it/noi-robot/
Dolore, il divenire carne di una verità. Parte I: Dolore e verità
Enrico Orsenigo, psicologo iscritto all’Ordine degli Psicologi del Veneto. Laureato con una tesi magistrale dal titolo “Scenari dell’altro: posizione, funzione, traiettoria”. Nei suoi articoli si occupa di fenomenologia dell’estraneo, post-democrazia e psicologia interculturale.
Nel saggio Il dolore, Viktor von Weizsäcker lo descrive nei termini di una «verità che è divenuta carne»:
In primo luogo in questa direzione: che solo attraverso il dolore posso esperire ciò che è mio e tutto ciò che ho. Che il dito del piede, il piede stesso, la gamba mi appartengono, e che dalla terra su cui poggio fino ai capelli tutto mi appartiene, lo esperisco mediante il dolore; e mediante il dolore esperisco anche che un osso, un polmone, un cuore e un midollo sono là dove sono, e ciascuno di essi duole secondo un suo proprio linguaggio, cosí come ogni organo si esprime col suo proprio «dialetto». Che io abbia tutti questi organi posso evidentemente pervenire a notarlo anche altrimenti, ma soltanto il dolore mi insegna a comprendere quanto essi mi siano cari; l’importanza e il valore per me di ciascuno di essi singolarmente preso vengo a esperirli solamente attraverso il dolore, e questa legge del dolore determina in egual maniera l’importanza per me del mondo e delle cose che lo compongono[1].
Il dolore fa resistenza, e in questo modo agisce nel soggetto come amplificatore di realtà. Contorna il sé, instaurando una differenza percettiva. Il dolore c’è e contribuisce alle significazioni umane, viceversa viene provocato artificialmente per sopperire alla mancanza del sentimento originario. Ma, questa operazione di reperimento di un sentimento, spesso sfocia in rimedi auto-lesionistici e narcisistici.
Il dolore, nelle sue emersioni naturali originarie, rende raccontabili le verità intime ad esso legate. Esiste per invitare alla narrazione delle intensità vissute. Il patimento e l’attesa si configurano come assistenti vocali, movimenti del vissuto che preme sul corpo, in attesa di una trasformazione vocale, di una traduzione in racconto prima, in riflessione parlata poi.
In assenza di un dolore come resistenza, in assenza di un tempo vissuto nel dolore e in attesa di una sua trasformazione in parole, accade l’espulsione dell’Altro, l’entrata nella centripetazione dell’io a vuoto. Elias Canetti chiama «nudità dell’anima»[2] la mancanza di protezione dinanzi all’Altro che rende vulnerabili, ma è tale vulnerabilità che fessura il soggetto inserendolo nel principio di realtà.
Non può esistere una vita umana priva di dolore, priva di imprevedibilità dell’Altro. La mancanza di queste caratteristiche, centrali nella nostra specie, significa la mancanza di interi universi di sentimenti. Perché il dolore e l’imprevedibilità in materia di corpo e di confine corporeo, dischiude alla conoscenza di una gamma vertiginosa di esperienze dell’interiorità e dell’esteriorità, tra cui l’attesa, la speranza, l’inquietudine, il desiderio, nello specifico l’attesa del bene, la speranza in un cambiamento, l’inquietudine del domani che può essere ancora così, il desiderio di un sentire diverso. Le promesse di benessere e felicità a oltranza, spinte dai due canali comunicativi principali delle società occidentali e che rispondono al nome di moda e pubblicità, sono promesse che nondimeno contengono delle dosi di rischio. È consistente la lista di rischi connessi all’espulsione, dalla vita di milioni di persone, dei sentimenti cosiddetti negativi: primo fra tutti la scomparsa dello slancio vitale che segue un periodo di disagio e di tristezza, slancio che dischiude la narrazione dell’accaduto. Il dolore forza la narrazione, soverchiando la quotidianità e facendosi spazio nel soggetto che può resistergli solo trasponendo in grammatica quanto prova. Quello che il soggetto addolorato prova non è riconducibile ad altra esperienza: è una unicità della verità non conosciuta dal soggetto di dolore, pur tuttavia abitando il medesimo.
Ora una trasposizione in versi poetici che bene risponde a quanto argomentato più sopra. Si tratta degli ultimi versi della poesia Perché? (1916) Di Giuseppe Ungaretti, contenuta nella raccolta Il Porto Sepolto:
Si è appiattito
come una rotaia
il mio cuore in ascoltazione
ma si scopriva a seguire
come una scia
una scomparsa navigazione
Guardo l’orizzonte
che si vaiola di crateri
Il mio cuore vuole illuminarsi
come questa notte
almeno di zampilli di razzi
Reggo il mio cuore
che s’incaverna
e schianta e rintrona
come un proiettile
nella pianura
ma non mi lascia
neanche un segno di volo
Il mio povero cuore
sbigottito
di non sapere[3].
Il cuore non sa, ma continua a non essere un buon motivo per smettere la trasformazione in voce e parola scritta della carne che trema e fa male. Il linguaggio può raccogliere, con le sue strategie tra cui la metafora, una amalgama di vissuti e avvicinarsi al vero che, certo, non sarai mai tanto vero quanto il sentire la carne che fa male, ma sarà il diversivo indispensabile per tentare di sopportare il medesimo sentire. Rimane identico, ma in termini freudiani legato a una organizzazione, resa possibile dall’operazione di scandagliamento. Ancora: la necessità non riguarda la comprensione totale di quanto si prova dentro; la necessità riguarda l’avvicinarsi al vero attraverso una ulteriore formula meno vicina alla carne, pur tuttavia mantenendo intatta l’esperienza della carne. Il linguaggio e di conseguenza la parola scritta servono a questo: dare la possibilità al soggetto di mantenere il fuoco dell’attenzione sull’esperienza del dolore. Nella poesia di Ungaretti si è di fronte a una «fine del mondo», un trauma “apocalittico” che risponde al nome di guerra; infatti, a differenza di altre sofferenze, questa, rimane una domanda aperta: perché? È la domanda di ogni dolore, ma nel caso specifico del poeta, è una domanda che non si esaurisce. La guerra trasporta in superficie il peggio del reale, senza mediazioni. È diversa da molte altre condizioni che innescano il dolore, e che per loro natura mantengono la possibilità di una efficace ed esaustiva traduzione in altri piani espressivi. Se da un lato il dolore della carne porta con sé un nucleo di verità che, con il giusto sostegno degli strumenti dell’introspezione, può essere conosciuto, avvicinato, osservato, dall’altro lato esiste un dolore provocato dal reale che accadendo senza maschere, accadendo nella sua più totale trasparenza, non consente una sana estrospezione; questa seconda spezione rimarebbe simbolicamente monca, giacché tutto si esaurisce nella vista di un fuori orrorifico.
Se, come diceva Cesare Pavese, «l’unico modo di sfuggire all’abisso è di guardarlo e misurarlo e discendervi»[4], la situazione che ha condotto Ungaretti a scrivere la poesia Perchè? Si rifà già all’abisso, lo incarna come situazione limite e impossibile e irreparabile, dischiude uno spazio limitatissimo alla comprensione. Un abisso esteriore che lascia ai significati solo l’inutilità del loro esserci o meno. Ma il dolore di Pavese è differente, esistenziale e allo stesso tempo molto quotidiano e per questo legato al modo di stare nel divenire-ambiente[5], termine del lessico minkowskiano che serve ad indicare l’incessante ed eterno procedere dell’esistenza. Le cariche che Pavese individua nel dolore sono la paurosità, la sgradevolezza, il distacco tra la realtà e l’anima, la possibilità di elevarsi fino al reale, la percezione alterata del corpo come qualcosa di remoto. Ancora: non considerava il dolore un segno di nobiltà, anzi, lo riteneva una cosa bestiale e naturale; sfuggevole ad ogni presa e per questo straziante nel suo lasciare indifeso il soggetto. Genera un’attesa di sofferenza e sussulti, dove nascono comportamenti per necessità, utili solo a spezzare il tempo, «rompere la corrente del tempo, pur di sentire che accade qualcosa, che la durata eterna del dolore bestiale si è un istante interrotta – sia pure per intensificarsi»[6]. L’autore definisce il dolore tenendo conto della struttura temporale ad esso collegata. Infatti, nel testo già citato dello stesso, sono numerosi i riferimenti alla ripetizione, inesauribilità, eternità, inderogabilità del tempo del dolore. Come già è stato detto, Pavese viene risucchiato dall’angoscia per l’esistenza, pur tuttavia riuscendo a trasformare i sussulti della carne in pagine strazianti e ricche di intuizioni e risonanze emozionali. Fino alla fine, rimase attento allo sconvolgimento che l’inquietudine e l’angoscia gli provocavano. Di notte, per esempio, avvertiva ogni rumore che, come amplificato e diretto verso il suo corpo, lo risucchiava fino al momento terrificante in cui «mi crolla il cervello e crolla il mondo»[7]; e qualche riga più avanti, riflettendo su quanto appena successo, si chiede: «mi riprendo a denti stretti, Ma se un giorno non ce la faccio a riprendermi?».
Il tempo del dolore, sia in Ungaretti che Pavese, è il tempo della verità. Certo, il modo di declinare la propria ricerca dentro questo tempo è molto diverso, ma quello che accomuna i due è la sfibrante (e non passiva, non pessimista) e volontaria conoscenza dell’esistenza di un tempo che resiste ad ogni attesa, ogni speranza, che decide in maniera irrevocabile. Una conoscenza le cui sonde gettate non toccano il fondo, non possono toccarlo ed entrambi lo sanno già al grado secco di gettata.
Rivivere il dolore è un movimento cardine della vita e testimonia la comune fondazione ontologica umana; riconduce nella interiorità l’esteriorità dell’esperienza delle cose (Rainer Maria Rilke docet), per poi riprodurre e ricondurre di nuovo all’esterno, attraverso lo slancio vitale e etico che si fa ragionamento od opera, la virtualità di quanto accaduto dentro.
Note:
[1] V. von Weizsäcker, Il dolore, in Filosofia della medicina (trad. it. L. Bottani e G. Massazza, Guerini e associati, Milano 1990, p. 97).
[2] E. Canetti, Das Geheimherz der Uhr: Aufzeichnungen 1973-1985, Carl Hansen, Munchen 1987 (trad. it. G. Forti, Il cuore segreto dell’orologio. Quaderni di appunti 1973-1985, Adelphi, Milano 1987).
[3] G. Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1969, pp. 93-94.
[4] C. Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino 1952, p. 37.
[5] E. Minkowski, Le temps vécu. Ètudes phénoménologiques et psycopathologiques, D’Artrey, Paris 1933 (trad. it. G. Terzian, Il tempo vissuto. Fenomenologica e psicopatologia, Einaudi, Torino 1971).
[6] C. Pavese, Il mestiere di vivere, op. cit., p. 191.
[7] Ivi, p. 343.
FONTE: https://ilpensierostorico.com/dolore-il-divenire-carne-di-una-verita-parte-i-dolore-e-verita/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Nawalny: intrighi internazionali di geopolitica
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Questo matrimonio non s’ha da fare, né domani né mai!
L’avvelenamento di Alexej Nawalny, un politico russo critico del Cremino che in volo da Tomsk a Mosca – 20 agosto 2020 – si sentì mancare, ha scatenato una guerra mediatica internazionale. L’aereo atterrò subito in emergenza a Omsk, dove nel locale ospedale Nawalny cadde in coma. La famiglia chiese il trasferimento del paziente in Germania, la Russia non obiettò, e dal 22 agosto 2020 Nawalny è ricoverato all’ospedale Charité di Berlino dove i medici hanno diagnosticato avvelenamento da inibitori delle colinesterasi. I media tedeschi collegarono l’episodio Navalny al progetto Nord Stream 2. Il quotidiano Frankfurter Allgemeine del 3 settembre 2020 titolò: “Esame dell’essere per l’Occidente”. “Se il governo Merkel continua a sostenere il Nord Stream 2 dopo l’avvelenamento di Nawalny, esso potrebbe risparmiarsi l’indignazione, al prossimo tentativo di assassinio”.
Il condotto di gas russo Nord Stream 2 verso la Germania è al 94% completato. Gli USA dicono che non deve essere proseguito, sotto pena di sanzioni economiche, alcune già imposte da Trump contro persone individuali e società impegnate nel progetto (20 dicembre 2019). Il governo americano vi si oppone perché “aumenterebbe la dipendenza dell’Europa per somministrazione di energia dalla Russia”. Prona al comando, la società Allseas, coinvolta nella posa di condutture sottomarine, ha gettato la spugna, in attesa di ricevere “guida per la necessaria chiarificazione regolatoria, tecnica e ambientale dalle autorità americane”.
Il portavoce di Nord Stream 2, Jens Mueller, ha comunicato che il “completamento del progetto è essenziale per l’approvvigionamento europeo di energia. Continueremo la nostra opera in vista di veloce conclusione”. Ulrike Demmer, portavoce del governo tedesco, mise in chiaro che “il governo tedesco si oppone a sanzioni extraterritoriali, sono interferenza nei nostri affari interni”. Il Ministro degli esteri tedesco Heiko Maas reagì affermando che questioni di politica di approvvigionamento di energia europea devono essere decise in Europa senza interferenza di chicchesia. “Sarebbe un precedente molto pericoloso se un Paese terzo imponesse le sue regole sulla sovranità europea e sulle sue basi di diritto”, disse Michael Harms. Decidere sulle questioni interne è un attributo fondamentale di sovranità. La Corte internazionale di giustizia lo ha ricordato nella causa Nicaragua v. United States of America: “È proibita l’interferenza su condotte rispetto alle quali ogni Stato ha il diritto di decidere liberamente in base al principio di sovranità”. Sanzioni extra-territoriali emesse da Stati individuali sono violazione del diritto internazionale.1
Il Ministro degli esteri americano ha minacciato: “La correità con la Russia nei suoi perversi progetti di influenza non verrà tollerata”. Il Senatore Ted Cruz disse: [Questo gasdotto] “è una minaccia critica alla sicurezza nazionale americana”. Realistico, Robert McNally precisò: “Vogliamo che comprino il nostro gas [di scisto e fratturazione idraulica] non quello russo”. Nel gennaio del 2019, Trump nominò Richard Grenell (il bully a Berlino)2 ad Ambasciatore in Germania. Grenell avvertì BASF, Uniper e numerose altre società che operano nel settore delle condutture russe di esportazione di energia di aspettarsi pesanti sanzioni se avessero continuato a partecipare nel progetto Nord Stream 2.3 L’Ambasciatore disse che risponde a lunga pratica U.S. “di assicurare che nessuna nazione eserciti inopportuna influenza sull’Europa”. L’ordine americano di abbandonare il progetto Nord Stream 2 sta minacciando di destabilizzare i legami economici transatlantici della Germania, già messi a dura prova dal comportamento bizzarro e bizzoso di Trump. Sembrava che gli USA non sarebbero riusciti a superare la resistenza tedesca, sono passati i tempi quando Adenauer poteva dire al Parlamento tedesco (7 febbraio 1952): “Se l’intera libera Europa si unisse e si mettesse a braccetto con gli Stati Uniti, salveremmo tutto ciò che ci è caro, la libertà e la pace”.
In soccorso dell’obiezione americana al progetto ora c’è questo avvelenamento di Alexej Nawalny che, notizia di ieri, fortunatamente è uscito dal coma ed è reattivo.
Corollario: con l’avvelenamento di Nawalny, la Merkel non avrebbe più scuse per continuare a sostenere il progetto. L’affaire Nawalny è giunto al momento giusto per fare crollare la resistenza tedesca4.
Con un poco di fantasia, e il ripasso di Machiavelli, il mondo dovrebbe identificare chi aveva incentivo ad avvelenare il politico russo. E l’America dovrebbe ricordare le parole di Thomas Paine: “Chi vuole assicurarsi la propria libertà deve proteggere da oppressione anche il suo nemico”.
Nicola Walter Palmieri
1 Peter Altmeier (Ministro tedesco): It “is not the time to further escalate and threaten with further extraterritorial, that is, illegal sanctions”, German Press Agency – DPA, 22 maggio 2020.
2 Redaktion Handelsblatt, 14 gennaio 2019.
3 Royal Dutch Shell, Wintershall, Ruhrgas, Engie, Nederlandse Gasunie, OMV, Saipem.
4 V. Guido Felder, “Nawalny-Attentat gefährdet Nord Stream 2″, Blick, 5 settembre 2020
FONTE: http://www.civica.one/nawalny-intrighi-internazionali-di-geopolitica/#more-844
DIRITTI UMANI
“Voi No-Vax non siete esseri umani” (In Germania, di nuovo)
Sai di essere entrato in una zona di follia particolarissima quando un ufficiale di polizia ti dice che sei un criminale semplicemente perché non sei vaccinato. È esattamente quello che è successo l’altro giorno in Germania. L’ufficiale di polizia ha insistito sul fatto che l’uomo non vaccinato era “un assassino” perché “potrebbe infettare qualcuno” e che “non è un umano”.
Il bizzarro alterco è stato pubblicato su Twitter il 12 dicembre 2021 (vedi sopra). In risposta, l’uomo non vaccinato dice al poliziotto che è lui quello che ha “perso tutta l’umanità”. Davvero. Chi pensava che avremmo mai visto il giorno in cui gli individui saranno contrassegnati come “assassini” e “non umani” in base al solo stato di vaccinazione?
È oltre l’irrazionale. Ma poi di nuovo, la follia non obbedisce alla ragione, e secondo il professor Mattias Desmet, uno psicologo belga, il mondo è stato davvero ipnotizzato in uno stato di psicosi di massa. 1
La “psicosi da formazione di massa” è la spiegazione di come i tedeschi accettarono le atrocità del partito nazista negli anni ’30, ed è la spiegazione del perché così tanti in tutto il mondo ora sostengono l’apartheid medico e la disumanizzazione dei non vaccinati.
La stigmatizzazione e la disumanizzazione dei non vaccinati è tanto più irrazionale se si considera che il vaccino COVID non previene l’infezione o la diffusione del virus. Coloro che hanno ricevuto una, due o anche tre dosi stanno ANCORA contraendo l’infezione, ea tassi sempre crescenti, e la stanno diffondendo sia ai vaccinati che ai non vaccinati.
Focolai tra le popolazioni “completamente vaccinate”, isolate sulle navi da crociera, ad esempio, si sono verificate in diverse occasioni, dimostrando che le vaccinazioni non riescono a prevenire le epidemie. I colpiti da COVID sono chiaramente altrettanto “pericolosi” e probabilmente “uccidono” i loro simili come quelli che non sono stati colpiti.
Chiunque sia ancora in grado di pensare in modo chiaro ed equilibrato vedrà che i conti non tornano.
Sfortunatamente, la maggior parte dei paesi sta vivendo una psicosi delirante di massa. Sono stati manipolati facendogli credere ad assurdità altamente irrazionali. La stessa operazione psicologica era in atto negli anni ’30, quando gli ebrei, gli anziani e gli infermi e gli handicappati mentali e fisici furono disumanizzati e accusati di essere portatori di malattie e altri mali sociali.
Nel breve video sopra, Marian Turski, sopravvissuta ad Auschwitz, ora 94 anni, descrive la crescente disumanizzazione e l’ostracismo avvenute nella Germania nazista, che alla fine si sono concluse con l’Olocausto. Ora, siamo di nuovo davanti allo stesso bivio. Molti, come l’ufficiale di polizia tedesco, stanno scegliendo la strada battuta della storia ripetuta.
Le punture Covid perpetuano la pandemia?
Il 20 novembre 2021, The Lancet ha pubblicato una lettera di Gunter Kampf, intitolata “COVID-19: stigmatizzare i non vaccinati non è giustificato”. 2 “Negli Stati Uniti e in Germania, funzionari di alto livello hanno usato il termine pandemia dei non vaccinati, suggerendo che le persone che sono state vaccinate non sono rilevanti nell’epidemiologia del COVID-19”, scrive Kampf.
Tuttavia, aggiunge: “Ci sono prove crescenti che gli individui vaccinati continuano ad avere un ruolo rilevante nella trasmissione”. Continua citando le statistiche del Massachusetts, dove sono stati identificati 469 nuovi casi di COVID-19 nel luglio 2021. Di questi, 346 (74%) erano completamente o parzialmente colpiti e 274 (79%) erano sintomatici.
La stigmatizzazione e la disumanizzazione dei non vaccinati è tanto più irrazionale se si considera che il vaccino COVID non previene l’infezione o la diffusione del virus. Coloro che hanno ricevuto una, due o anche tre dosi stanno ANCORA contraendo l’infezione, ea tassi sempre crescenti, e la stanno diffondendo sia ai vaccinati che ai non vaccinati.
Focolai tra le popolazioni “completamente vaccinate”, isolate sulle navi da crociera, ad esempio, si sono verificate in diverse occasioni, dimostrando che le vaccinazioni non riescono a prevenire le epidemie. I colpiti da COVID sono chiaramente altrettanto “pericolosi” e probabilmente “uccidono” i loro simili come quelli che non sono stati colpiti.
Quando una delle due decisioni – la decisione di prendere la dose o di rifiutarla – si traduce in te che poni lo stesso identico livello di rischio per gli altri, come si può dire che uno è più pericoloso dell’altro? Chiunque sia ancora in grado di pensare in modo chiaro ed equilibrato vedrà che i conti non tornano.
Sfortunatamente, la maggior parte dei paesi sta vivendo una psicosi delirante di massa. Sono stati manipolati facendogli credere ad assurdità altamente irrazionali. La stessa operazione psicologica era in atto negli anni ’30, quando gli ebrei, gli anziani e gli infermi e gli handicappati mentali e fisici furono disumanizzati e accusati di essere portatori di malattie e altri mali sociali.
Nel breve video sopra, Marian Turski, sopravvissuta ad Auschwitz, ora 94 anni, descrive la crescente disumanizzazione e l’ostracismo avvenute nella Germania nazista, che alla fine si sono concluse con l’Olocausto. Ora, siamo di nuovo davanti allo stesso bivio. Molti, come l’ufficiale di polizia tedesco, stanno scegliendo la strada battuta della storia ripetuta.
Stigmatizzare i non vaccinati è ingiustificato
Il 20 novembre 2021, The Lancet ha pubblicato una lettera di Gunter Kampf, intitolata “COVID-19: stigmatizzare i non vaccinati non è giustificato”. 2 “Negli Stati Uniti e in Germania, funzionari di alto livello hanno usato il termine pandemia dei non vaccinati, suggerendo che le persone che sono state vaccinate non sono rilevanti nell’epidemiologia del COVID-19”, scrive Kampf.
Tuttavia, aggiunge: “Ci sono prove crescenti che gli individui vaccinati continuano ad avere un ruolo rilevante nella trasmissione”. Continua citando le statistiche del Massachusetts, dove sono stati identificati 469 nuovi casi di COVID-19 nel luglio 2021. Di questi, 346 (74%) erano completamente o parzialmente colpiti e 274 (79%) erano sintomatici.
Anche i valori di soglia del ciclo utilizzati durante i test PCR erano altrettanto bassi indipendentemente dallo stato di vaccinazione COVID (mediana 22,8 cicli, che riduce al minimo il rischio di risultati falsi positivi), “indicando un’elevata carica virale anche tra le persone che erano completamente vaccinate”, osserva Kampf. Questi dati sono una chiara prova che i colpi di COVID non possono porre fine alla pandemia e potrebbero infatti impedire che si estingua naturalmente. Kampf continua: 3
“Negli Stati Uniti, entro il 30 aprile 2021 sono stati segnalati un totale di 10.262 casi di COVID-19 nelle persone vaccinate, di cui 2725 (26,6%) erano asintomatici, 995 (9,7%) sono stati ricoverati e 160 (1,6%) sono deceduti. In Germania, il 55,4% dei casi sintomatici di COVID-19 in pazienti di età pari o superiore a 60 anni riguardava individui completamente vaccinati e questa percentuale aumenta ogni settimana.
A Münster, in Germania, si sono verificati nuovi casi di COVID-19 in almeno 85 (22%) delle 380 persone completamente vaccinate o guarite dal COVID-19 e che frequentavano una discoteca.
Le persone vaccinate hanno un minor rischio di malattie gravi ma sono ancora una parte rilevante della pandemia. È quindi sbagliato e pericoloso parlare di pandemia dei non vaccinati.
Storicamente, sia gli Stati Uniti che la Germania hanno generato esperienze negative stigmatizzando parti della popolazione per il colore della pelle o la religione.
Invito i funzionari di alto livello e gli scienziati a fermare la stigmatizzazione inappropriata delle persone non vaccinate, che includono i nostri pazienti, colleghi e altri concittadini, e a fare uno sforzo extra per riunire la società”.
Umani oggi, non umani domani
È importante rendersi conto che non puoi rispettare la tua via d’uscita da questa tirannia. Se scegli di farti vaccinare contro il COVID perché non vuoi essere stigmatizzato, non ci può essere fine alla tua adesione a futuri booster, indipendentemente dal costo per te o per la tua famiglia.
In breve tempo – una manciata di mesi al massimo – verrai improvvisamente e arbitrariamente considerato di nuovo una minaccia non vaccinata per la società, anche se hai già ricevuto uno, due o tre colpi mortali.
Niente di tutto questo avrà importanza. Non ottieni punti per la conformità passata. A sei mesi dalla tua seconda o terza dose, il tuo stato passerà da verde a rosso, da umano a non umano, letteralmente da un giorno all’altro. Sei di nuovo “non vaccinato”, fino o a meno che tu non riceva un altro richiamo. Questo ciclo continuerà finché non sarai morto. Sei un gioco? È così che vuoi passare il resto della tua vita?
Macron: “I No-Vax non sono più cittadini”
Macron subito si adegua. Sui francesi che rifiutano la vaccinazione covid: “Quando la mia libertà minaccia quella degli altri, divento irresponsabile. Un irresponsabile non è più un cittadino». Sempre più in profondità nel totalitarismo orwelliano…
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/voi-no-vax-non-siete-esseri-umani-in-germania-di-nuovo/
ECONOMIA
Romano Prodi, l’euro un favore ai cinesi. Vent’anni dopo, la verità: chi ha voluto la moneta unica, chi ci ha guadagnato
GIuliano Zulin 03 gennaio 2022
«Tutti ricordiamo la prima volta che abbiamo tenuto in mano una banconota in euro. Vent’ anni dopo, l’euro è una delle valute più potenti del mondo. L’euro riflette anche i nostri valori, come valuta globale per gli investimenti sostenibili. Ed è un forte simbolo di unità»: questo il tweet di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, per ricordare il ventennale della moneta unica. Sempre sui social, David Sassoli, presidente dell’europarlamento, scrive: «L’euro è un simbolo di pace e integrazione, la realizzazione di una visione politica storica, di un continente unito con una moneta unica per un mercato unico. Buon 20esimo compleanno, euro!». E poteva mancare un ricordo di Romano Prodi, uno dei promotori della divisa continentale? «Riteniamo l’euro soltanto un fatto di rilevanza economica. Guardate però che è un fatto di rilevanza politica perché l’Europa con una moneta unica ha una forza enormemente più grande nel mondo. Quando si preparava l’euro – rivela l’ex premier ulivista su Rai Radio1 – e avevo degli incontri con i presidenti cinesi, quelli non chiedevano altro che dell’euro. Del resto, non gli interessava praticamente niente. Dicevano: “Noi vogliamo l’euro perché se accanto al dollaro c’è l’euro, allora ci sarà posto anche per la nostra moneta”. Così si capisce il concetto politico di pluralismo della gestione del mondo che stava dietro l’introduzione dell’euro. Non era mica solo il giochino dei banchieri come qualche stupidotto ha definito l’euro», sottolinea il Professore: «Era il grande inizio del cambiamento del mondo. Che poi è avvenuto a metà perché con la grande crisi l’euro ha faticato ad espandersi, ma adesso ha ripreso. E veramente accanto al dollaro comincia ad esserci un euro con un suo ruolo, non ancora paragonabile a quello del dollaro, ma certamente importante».
I numeri in realtà smentiscono Prodi, basti pensare alla sua storica frase: «Con l’euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più». Intanto va detto che fuori dagli Stati Uniti circolano dollari per un ammontare pari a 13mila miliardi, mentre fuori dai Paesi euro si trovano appena 3,4 mila miliardi di euro. Inoltre, a parte i cinesi, pochi Stati continentali hanno beneficiato della divisa unica. Un paio di anni fa il report del think tank tedesco Cep aveva stabilito vincitori e vinti dell’unione monetaria. Ebbene, da quando c’è l’euro, ogni cittadino tedesco ha guadagnato in media 23mila euro, ogni italiano ne ha persi 74mila. Anche gli olandesi sono diventati più ricchi (+21mila euro pro capite), mentre ci hanno rimesso, oltre a noi, francesi (-55.996), portoghesi (-40.604 euro) e spagnoli (-5.031 euro).
Dall’introduzione della moneta unica – ricordava il prestigioso centro studi di Friburgo – un’erosione della competitività internazionale ha portato «a una minore crescita economica e al calo delle entrate fiscali. Grecia e Italia, in particolare, hanno attraversato gravi difficoltà per il fatto che non sono state in grado di svalutare la propria valuta». Anche Prodi ha puntato il dito contro Italia e Grecia, in riferimento all’esplosione dei prezzi dopo il primo gennaio 2002. «Solo in questi due Paesi c’è stato questo fenomeno, perché in entrambi non si è voluto sorvegliare. Il mio governo aveva stabilito, Ciampi aveva fatto tutti decreti tecnici, primo: che ci fossero obbligatoriamente per almeno 6 mesi i prezzi sia in lire che in euro. In modo che la gente vedesse com’ era fatto il cambio. Secondo: bisognava stabilire le commissioni provinciali per il controllo. Non è stato fatto. E la gente se n’è approfittata». Ah… Troppo facile prendersela con il governo Berlusconi, quello che gestì il passaggio da lira a euro. Sono i numeri dei 20 anni successivi ad aver segnato una stagnazione ventennale, causata da due motivi principali: boom dei prezzi immobiliari, legati al basso costo del denaro (grazie all’euro), e mancata crescita dei salari (impostata dalla Germania per esportare di più). Un mix micidiale che ha impoverito l’Italia.
FONTE: https://www.liberoquotidiano.it/news/europa/29971909/romano-prodi-euro-voluto-cina-favore-chi-guadagnato-moneta-unica.html
Mission accomplished
di Marco Ferri
Entro Natale, Draghi porta a termine le 51 riforme previste dal Pnrr che consentono all’Italia di ricevere la seconda rata di 20 miliardi di euro.
L’atlantista ed europeista ha compiuto la missione.
A questo punto Draghi può anche ascendere al Colle, trionfando alla prima votazione. Ormai la politica economica e sociale italiana è incardinata su montanti prestabiliti, nessun governo può modificare la corsa delle ante, che sono spalancate per i capitali, che sono invece chiuse a chiave per la redistribuzione della ricchezza, l’unica prospettiva che avrebbe avuto la possibilità di modificare i livelli alti di disuguaglianza, tra i più alti in Europa.
Tanto più se a controllare che nessun governo forzi quella porta ci va proprio lui, cioè quello che l’ha disegnata, costruita, messa in opera.
Il disegno restauratore della borghesia italiana ha trovato nella pandemia una locomotiva che ha accelerato nei fatti il viaggio della controriforme costituzionali, cosicché non è più compito dello Stato “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” (Art.3).
Compito della Repubblica è diventato, invece, rimuovere gli ostacoli alla ripresa, cioè i diritti della moltitudine degli individui che devono accettare tutto pur di racimolare un reddito che consenta loro una sopravvivenza dignitosa.
Il nuovo Capo dello Stato sarà il presidente di una repubblica liberista, lo attendono nuovi e più entusiasmanti traguardi sulla via dell’accumulazione, della deregulation, della rottura del patto sociale che teneva in equilibrio i rapporti di forza tra capitale e lavoro.
La coalizione di governo che oggi ha fatto da figurazione speciale, potrà pure tentare di interpretare ruoli da protagonista, ma il copione è stato già scritto, il regista già stato scelto. Sarà tragedia o farsa?
Senza più freni inibitori, l’arroganza dei poteri, la rivincita su i più deboli, il bla bla bla demagogico, la criminalizzazione della protesta sociale potranno essere assunti a pieno titolo dal prossimo governo. All’Europa non importa del tasso di democrazia del nostro paese, interessa la solvibilità dei prestiti e la profittabilità degli investimenti a fondo perduto.
Su questo piano, Draghi è un CEO credibile, capace e affidabile. E farà quello che serve, “wherever it takes”.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/21862-marco-ferri-mission-accomplished.html
UN ANNO FA
Sisto Ceci – 19 12 2021
Vi siete mai chiesti perche’ la COOP ha cercato in ogni modo , e’ tutto documentato in ” Falce e Carrello”, di distruggere Esselunga , la risposta e’ semplice e ce la fornisce oggi la Nielsen sul SOle24ore : produttivita’ delle catene distributive , vendite annue/produttivita’ in € al metroquadro :
ESSELUNGA : € 17.700
COOP : € 7.350
In un regime di concorrenza normale non c’e’ partita e allora si ricorre all’intimidazione mafiosa , al blocco delle licenze con la complicita’ delle amministrazione rosse ,l’autorizzazione all’apertura di un SMK Esselunga a Firenze e’ arrivata dopo 34!!!!!! anni, ai piani commerciali studiati su misura per COOP , alle denunce , alle querele .Per i comunisti il mondo deve andare alla velocitA’ che decidono loro , non ci puo’ essere uno piu’ bravo , se c’e’ deve sparire, usando ogni mezzo , con Caprotti ci hanno provato in ogni modo lecito e illecito .HANNO SEMPRE PERSO , ANCHE IN TRIBUNALE .CON 10/100/1000 CAPROTTI E L’ITALIA SI SAREBBE RISOLLEVATA IN POCHISSIMO TEMPO .
FONTE: https://www.facebook.com/100003155916615/posts/4987174181397730/
IMMIGRAZIONI
LA LINGUA SALVATA
scevà
1. Definizione
Scevà (adattamento italiano di Schwa, trascrizione tedesca del termine grammaticale ebraico shĕvā /ʃəˈwa/, che può essere tradotto con «insignificante», «zero» o «nulla») è il nome di un simbolo grafico (meglio, di un segno paragrafematico) ebraico costituito da due puntini [:] posti sotto un grafema normalmente consonantico, per indicare l’assenza di vocale seguente o la presenza di una vocale senza qualità e senza quantità, quindi di grado ridotto.
Lo scevà è un suono vocalico neutro, non arrotondato, senza accento o tono, di scarsa sonorità (➔ vocali); spesso, ma non necessariamente, una vocale media-centrale. È trascritto con il simbolo IPA /ə/ (➔ alfabeto fonetico) e nel quadrilatero vocalico ha una posizione centrale.
2. Nelle lingue
Lo scevà è molto comune nelle lingue del mondo, come allofono (➔ allofoni) di fonemi vocalici atoni, soprattutto in fine di parola.
In inglese è la vocale protonica (➔ protonica, posizione). In francese è prodotta con un leggero arrotondamento delle labbra e risulta essere meno centrale ma comunque sempre atona: fenêtre «finestra» si pronuncia isolatamente [fəˈnɛːtr] ma nel parlato veloce può anche diventare [fnɛːtr], anche se fonologicamente il nesso /fn/ non è accettato in francese. Ciò vale anche per il nesso /ʃt/ e la pronuncia di jeton «gettone» [ʃəˈtɔ̃] o [ʒəˈtɔ̃] che nel parlato veloce diventa [ʃtɔ̃]. È atono anche nell’albanese dell’Italia meridionale (➔ albanese, comunità), per es. nella stessa parola arbëreshë «albanese», che si pronuncia [arˈbəreʃ].
In alcuni casi lo scevà può anche essere vocale tonica. In bulgaro e in afrikaans possono trovarsi scevà tonici (accentati), mentre in inglese bird «uccello» ha pronunce come [bəːd] con nucleo sillabico lungo e centrale [ə], ma anche pronunce come [bɜːd], con vocale centrale semibassa.
3. Proprietà
Foneticamente, lo scevà è il risultato di un ➔ indebolimento dell’articolazione di vocali (sia anteriori sia posteriori), che in posizione atona sono articolate più centralmente rispetto al loro target naturale (➔ fonetica articolatoria, nozioni e termini di). Articolatoriamente si tratta di vocali non completamente realizzate e prodotte con un grado di apertura intermedio, con la lingua in posizione centrale e dalla qualità indistinta.
Fonologicamente tale indebolimento può essere considerato una riduzione qualitativa della vocale nel suo passaggio da tonica ad atona. Il processo di riduzione vocalica è uno tra più diffusi al mondo e si realizza in molte lingue, come catalano, portoghese, inglese, tedesco e neerlandese (Nespor 1993: 92).
In italiano lo scevà non è presente come fonema (avendo l’italiano standard solo vocali distinte e nette), ma solo come variante libera, o in alcuni casi contestuale (➔ allofoni), di quasi tutte le vocali.
4. Nei dialetti
Lo scevà appare invece in diversi dialetti del Centro e del Sud d’Italia. In alcuni dialetti, come quelli di Napoli (➔ Napoli, italiano di) e Bari, la riduzione a scevà delle vocali finali neutralizza opposizioni flessive o distinzioni morfologiche (Loporcaro 2009: 124).
Ad es., a Molfetta (Bari) la differenza tra alcune opposizioni, a causa di una riduzione a scevà della vocale finale, si riconosce solo dall’articolo: [rəˈfːuekə] «il fuoco» e [uˈfuekə] «il focolare»; [rəˈvelə] «il velame» contro [uˈvelə] «il velo» (Merlo 1917a: 91). Nel dialetto di Trebisacce (Cosenza) il plurale è segnalato solo dalla vocale tonica interna che ha subito un processo di ➔ metafonia: /neˈpote/ «nipote» è foneticamente [neˈpotɘ], mentre /neˈputi/ «nipoti» diventa [neˈputə], sicché il plurale è riconoscibile solo grazie alla vocale tonica interna (Romito et al. 1997 e 2006; Romito & Gagliardi 2009; Loporcaro et al. 1998). In altri dialetti la differenza è segnalata dal ➔ raddoppiamento sintattico: ad es., in napol. [o ˈvriːtɘ] è «il (pezzo di) vetro», mentre [o ˈbːriːtɘ] con raddoppiamento di /v/ e rafforzamento in [bː] è «il vetro (come materiale)» (Merlo 1917b: 105-111) (➔ neutro; ➔ massa, nomi di).
La riduzione a scevà del vocalismo finale atono è criterio fondamentale di alcune delle principali isoglosse (➔ isoglossa) usate per classificare i ➔ dialetti italiani. Tutti i dialetti alto-meridionali sono infatti caratterizzati dalla neutralizzazione delle qualità vocaliche e dalla riduzione in scevà delle vocali finali o intermedie.
Studi
Loporcaro, Michele (2009), Profilo linguistico dei dialetti italiani, Roma – Bari, Laterza.
Loporcaro, Michele et al. (1998), La neutralizzazione delle vocali finali in crotonese: un esperimento percettivo, in Unità fonetiche e fonologiche. Produzione e percezione. Atti delle VIII giornate di studio del Gruppo di fonetica sperimentale (Pisa, 18-19 dicembre 1997), a cura di P.M. Bertinetto & L. Cioni, Pisa, Scuola Normale Superiore, pp. 91-100.
Merlo, Clemente (1917a), L’articolo determinativo nel dialetto di Molfetta, «Studi romanzi» 14, pp. 69-99.
Merlo, Clemente (1917b), Proposte di aggiunte ai §§ 36/352, 383/384 della “Italienische Grammatik” di W. Meyer-Lübke, «Studi romanzi» 14, pp. 100-112.
Nespor, Marina (1993), Fonologia, Bologna, il Mulino.
Romito, Luciano et al. (1997), Micro e macrofenomeni di centralizzazione nella variazione diafasica: rilevanza dei dati fonetico-acustici per il quadro dialettologico del calabrese, in Fonetica e fonologia degli stili dell’italiano parlato. Atti delle VII giornate di studio del Gruppo di fonetica sperimentale (Napoli, 14-15 novembre 1996), a cura di F. Cutugno, Roma, Esagrafica, pp. 157-176.
Romito, Luciano et al. (2006), Uno studio degli esiti metafonici nei dialetti dell’area Lausberg: un’introspezione sulla natura della sillaba, in Analisi prosodica. Teorie, modelli e sistemi di annotazione. Atti del II convegno nazionale dell’Associazione italiana di scienze della voce (Fisciano, 30 novembre – 2 dicembre 2005), a cura di R. Savy & C. Crocco, Fisciano, EDK, vol. 2º, pp. 538-565.
Romito, Luciano & Gagliardi, Daniela (2009), La metafonia in alcuni centri del nord Calabria: verso una mappa regionale, in Id., V. Galatà & R. Lio (a cura di), La fonetica sperimentale: metodo e applicazioni. Atti del IV convegno nazionale dell’Associazione italiana di scienze della voce (Univfonteersità della Calabria, 3-5 dicembre 2007), Torriana, EDK, vol. 4º, pp. 423-437.
FONTE: https://www.treccani.it/enciclopedia/sceva_(Enciclopedia-dell’Italiano)/
PANORAMA INTERNAZIONALE
Come cambia la politica estera americana da Trump a Biden
L’unilateralismo di Trump ha indebolito il rapporto con gli alleati, permettendo agli avversari di approfittarne. Ma per Biden ripristinare la leadership americana non sarà semplice
(Asiablog.it) — Le elezioni americane hanno decretato un vincitore. Si tratta di Joe Biden, senatore di lungo corso ed ex vicepresidente di Barack Obama. La sua vittoria gli è valsa ben 306 grandi elettori, contro i 232 del suo avversario, Donald Trump. Quest’ultimo, dal canto suo, sembrerebbe essersi convinto dell’irregolarità del procedimento elettorale, nonostante non sussistano prove di quanto affermi.
Il presidente uscente lascia un Paese profondamente diviso e la cui leadership mondiale è messa sempre piu in discussione. Nei suoi quattro anni da Commander in Chief, Trump si è approcciato alla politica estera in modo diverso rispetto ai suoi predecessori, ma il principio dell’America First non ha fatto altro che favorire la proliferazione di piccoli e grandi centri di potere alternativi.
La politica estera di Trump: personalismo e incertezza
Prima di addentrarsi in ogni discussione circa la politica estera, bisogna fissare una volta per tutte che la politica estera è terreno di condivisione ed è dunque errato dipingere il presidente come un “dictator“, un uomo che può dire e fare ogni cosa. Il presidente degli Stati Uniti ha meno poteri di quelli che gli vengono attribuiti da alcuni commenatori. Basti pensare che esistono diverse istituzioni e diversi apparati che possono bypassarlo: le due camere, i Servizi, il Dipartimento di Stato, il Tesoro, l’establishment repubblicano e alcune potenti organizzazioni economiche. È per questo che associare le mosse di un Paese, per di più se democratico, ad un solo uomo, significa ignorare la storia e la geografia di quella entità. Il leader rappresenta solo il centro di potere dominante.
Detto questo, l’orientamento assunto dall’ultima amministrazione a stelle e strisce è stato spavaldo e scostante, proprio come il carattere del suo presidente. Innanzitutto Trump ha abbandonato l’approccio multilaterale alla base della politica estera statunitense da oltre settant’anni, basata su un’insieme di istituzioni nella cui costruzione e nel cui funzionamento il ruolo di Washington è stato centrale.
Gli esempi in questo senso si sprecano. Trump ha messo in discussione più volte la NATO, definendola «obsoleta», denunciando l’«iniqua» ripartizione degli oneri (il cosiddetto burden sharing) e accusando gli stati europei di approfittarsi della protezione americana. Si è ritirato dall’accordo di Parigi sul clima, dall’accordo con l’Iran sul nucleare e dal TPP (Partnerariato Trans-Pacifico), uno dei più grandi accordi commerciali mai sottoscritto in America. Ha indebolito la diplomazia statunitense, non nominando nuovi diplomatici americani in alcuni Paesi importanti e facendo nomine controverse in altri. Ha puntato su una politica iper-personalistica, basata più sull’intuito che sull’intelligence, credendo di poter mettere fine da solo a crisi decennali, come nel caso della Corea del Nord, il cui arsenale nucleare è invece oggi più largo di quanto lo era prima dello storico vertice con Kim Jong-un sull’isola di Sentosa, a Singapore, nel 2018.
Inoltre, il facoltoso imprenditore di New York è riuscito a smobilitare parte delle truppe statunitensi in punti sensibili per la politica internazionale, a partire dalla Siria: una pugnalata alle spalle dell’alleato curdo nonché un errore strategico, in quanto la presenza americana sbarrava il passo alle mire turche e russe. Ulteriore elemento destabilizzante è stato l’assassinio del potente generale iraniano Qasem Suleimani, parte di un più ampio piano mirante a indebolire l’influenza della Repubbica islamica nella regione: l’ennesimo piano fallimentare, dato che l’omicidio non ha fatto altro che spingere il Paese sciita a dedicarsi alla cosa estera con maggiore assertività.
Le misure del 45º presidente americano sono state vissute con una certa incredulità da parte degli alleati europei, in particolare da Germania e Francia. L’Europa ha accusato Trump di non rispettare le norme previste dal diritto internazionale, come nel caso degli accordi con l’Iran o delle minacce statunitensi di iniziare una guerra commerciale con l’UE: minacce che si sono effettivamente tradotte in fatti con l’imposizione di nuovi dazi che hanno danneggiato i rapporti commerciali tra le due parti.
La rivalità tra Trump e Bruxelles non era meramente economica. Il magnate newyorkese rifiutava tutto quello che il sistema europeo rappresenta: un progetto politico post-nazionale, basato sull’interdipendenza tra Paesi e sviluppato sul superamento del concetto di sovranità statale. Tutto il contrario della visione “America First“, cioè il trionfo dello stato come entità dominante della politica internazionale.
Per Trump le negoziazioni commerciali devono avere un vincitore e un perdente. L’UE, invece, fonda buona parte della sua forza sul concetto che sia possibile trovare accordi win-win, che non scontentino nessuna delle parti coinvolte. Due visioni conflittuali che hanno spinto l‘Europa tra le braccia della Cina, aprendo le porte alla penetrazione russa nell’Europa Orientale.
Le cose sono peggiorate con la pandemia di Covid-19, gestita in maniera discutibile dall’amministrazione americana, con Donald Trump che è arrivato allo scontro aperto con i cinesi. Certo, i rapporti con Pechino non si sono inaspriti con la crisi sanitaria, dato che entrambi i Paesi hanno affrontato una dura guerra commerciale, che sembra aver danneggiato ulteriormente gli Stati Uniti, soprattutto in vista della chiusura del RCEP, il più grande accordo di libero scambio della storia per volumi economici.
Molti continuano ad insistere sul fatto che Trump non abbia fatto una guerra. Questo è vero, ma nel Ventunesimo Secolo le guerre non sono più soltanto militari, come il terrorismo e la guerra dei dazi con la Cina dimostrano. Inoltre andrebbe ricordato che nel 2019 l’esercito americano ha lanciato 7.423 bombe sull’Afghanistan, il numero più alto degli ultimi 10 anni, e che all’inizio del 2020 Trump avrebbe chiesto ai suoi consiglieri di mettere a punto una strategia che mirasse a colpire un sito nucleare iraniano.
Cosa aspettarsi da Joe Biden?
É inutile girarci attorno. Ciò che gran parte della Comunità Internazionale si aspetta da Joe Biden è che riporti gli Stati Uniti a ricoprire il ruolo di leadership politica, economica e morale che ne aveva fatto il perno dell’ordine multilaterale dal secondo dopoguerra in poi. Da senatore di lungo corso e da ex vicepresidente, Biden ha delineato più volte le fondamenta della sua politica estera. Si tratta di una visione basata sulla ricostruzione dell’immagine dell’America all’estero e sul tentativo di restituire a Washington la sua autorevolezza e la sua credibilità nel mondo.
Ad attendere il presidente eletto c’è una sfida, però, tutt’altro che semplice. Quattro anni di presidenza Trump hanno scosso nel profondo la fiducia degli alleati e non è detto che il cambio della guardia alla Casa Bianca possa bastare per rifocillarla. Internamente Biden si troverà a fare i conti con le pressione di un’opinione pubblica sempre più contraria all’interventismo americano negli affari globali e al contempo critica verso la Cina. Il presidente dovrà scegliere un approccio per accontentare le due parti: costruire un terreno fertile su cui impiantare i semi di un multilateralismo tendente ad una interazione negoziale di tipo pacifico oppure delineare un confine netto tra “noi e loro”.
La politica estera della futura amministrazione Biden tornerà a basarsi sul principio di deterrenza, come durante la Guerra fredda. Questa volta, però, non si parla più di missili bensì di nuove tecnologie che proteggano le comunicazioni dai tentativi di penetrazione cinesi e russi. Un altro pilastro verterà sulla promozione dei diritti umani e della democrazia, che si traduce in una maggiore durezza nei confronti dei regimi autocratici e antidemocratici. Si prevede che Biden non promuoverà né legittimerà regimi pessimi sotto il punto di vista del rispetto dei diritti dei propri cittadini, come fatto invece da Trump con i suoi incontri con Kim Jong-un. Presidenti autoritari come il brasiliano Jair Bolsonaro, l’egiziano Abdel Fattah al-Sisi e il filippino Rodrigo Duterte non troveranno un amico alla Casa Bianca disposto a guardare dall’altra parte.
Inoltre Biden ha espresso chiaramente la volontà di riportare gli USA nel mondo del multilateralismo, rafforzando la NATO e rientrando nelle istituzioni dalle quali Trump si era ritirato. Dall’OMS all’Unesco, passando per la Commissione ONU sui diritti umani e gli accordi di Parigi. Senza trascurare l’accordo sul nucleare iraniano.
Ma gli anni del Tycoon non possono essere cancellati così facilmente. Hanno lasciato un’eredità dentro e fuori gli Stati Uniti. Il disimpegno e l’interruzione dell’approccio multilaterale hanno indicato la vulnerabilità e i limiti dell’azione statunitense e soprattutto hanno lasciato la possibilità agli altri Paesi di cercare soluzioni alternative.
A Biden, e al suo entourage, l’onere politico di ripresentarsi come l’alternativa migliore.
FONTE: http://www.asiablog.it/2020/11/30/politica-estera-trump-biden/
Ucraina: il grande pericoloso gioco – Intervista all’Ambasciatore Vento
Lo scenario Ucraina-USA-Russia-UE, con aggiornamenti al mattino del 30 dicembre 2021
Intervista all’Ambasciatore Vento. Roma 22 dicembre 2021
Da circa un mese si sente discutere parecchio di Ucraina, di minacce e contro minacce. Biden fa la voce grossa, per quel che gli riesce. “L’ammassamento di truppe continua” ha detto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg nella recente conferenza stampa riferendosi alle grandi manovre militari in Russia verso il confine con l’Ucraina. “Faremo tutto il necessario per assicurare la sicurezza dei nostri alleati“, ha proseguito il segretario generale sottolineando come al contempo “l’Alleanza atlantica rimane pronta al dialogo per favorire la de-escalation“. Uno strano concetto questo, come se la Russia dovesse chiedere il permesso a Joe Biden per le proprie manovre militari sul suo territorio.
Abbiamo chiesto un parere all’ambasciatore Sergio Vento, che è stato consigliere diplomatico di numerosi presidenti del Consiglio, di grande esperienza internazionale, già ambasciatore a Washington, Parigi e all’ONU.
Ambasciatore che cosa sta succedendo in Ucraina?
“Tutto è nato nella primavera del 2014, dopo la rivolta popolare di piazza Maidan a Kiev e l’annessione della Crimea alla Russia.
Queste manovre militari con movimenti di reparti alle frontiere rivela l’intenzione di Putin di trattare le numerose questioni aperte con gli USA, la Nato e Kiev, più che di invadere il Donbass. Speriamo che il surriscaldamento dei toni sia solo una parte della scena.”
Se si osserva la mappa geografica si nota che l’oggetto del contendere è una modesta regione situata nel punto più a est dell’Ucraina e quindi dell’Europa. Che importanza ha il Donbass?
“L’Ucraina è una nazione slava composita, enorme da un punto di vista geografico, che va da Leopoli a ovest, lungo tutto il mar Nero fino al Donbass a est. E’ una terra che è stata sempre contesa nei secoli, per il fatto che non ha difese naturali. Il Donbass però è una regione industrializzata, con alta presenza di miniere e impianti siderurgici per la produzione di acciaio. Produzioni non più strategiche. Una volta sarebbe stata un’area importante.”
( nella mappa si vedono le due piccole repubbliche situate del Donbass -in rosso- Immagine tratta da ilquotidianoditalia.it)
Allora, che cosa rende così nervosa la Russia in questa vicenda?
“La minaccia di un allargamento della Nato a est, fino a inglobare ex territori dell’Urss come l’Ucraina. L’adesione al Patto atlantico è ritenuta una provocazione e una minaccia politico-militare insopportabile per Putin, e dai russi in generale. In trent’anni la Nato – Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico – si è allargata molto, quasi a dismisura verso est.”
Soluzioni nel breve periodo ci sono?
“Il rilancio dei negoziati a quattro di Minsk – con Francia e Germania nel ruolo di mediatori e garanti – sarebbe una buona soluzione negoziale. Si potrebbe arrivare a un blocco delle forniture militari ai contendenti, cioè alle due repubbliche costituitesi nel Donbass, successivamente alla concessione di una vasta autonomia ai territori russofoni in territorio ucraino.”
Qualcuno ha interesse a fomentare la tensione?
“Forse la Polonia, visti i suoi storici rapporti con l’area. Anche altri paesi, in pratica vari ambienti nella Nato producono tensioni.
La Polonia è anche la pedina più avanzata a est degli USA.”
Molti pensano che la tensione serva ad altri scopi, ad esempio nello scacchiere energetico. Infatti, il prezzo del gas è schizzato ieri del 20% senza alcun apparente motivo. Il pensiero va subito al gasdotto Nord Stream 2, che dovrebbe rifornire l’Europa da nord, guarda caso completato tre mesi fa e ancora inattivo con vari pretesti, con i Verdi tedeschi schierati inspiegabilmente contro.
“Il Nord Stream 1 è entrato in funzione nel 2014, un secondo gasdotto farebbe abbassare i prezzi dell’energia. Una situazione che gli USA non vedono di buon occhio, visto che la sua autosufficienza energetica richiede prezzi di mercato più elevati, per cui cercano di spaccare l’accordo tra Germania e Russia. Il nuovo governo tedesco per ora non ha preso posizione.”
L’Europa e l’Italia che ruolo giocano?
“Ieri il premier Draghi in conferenza stampa è stato molto realista e concreto nel ribadire che la via del negoziato è l’unica perseguibile.
Auspicio che mi sento di condividere in pieno, visto che non ha alternative, almeno per l’Italia.”
Il richiamo a quanto detto dal presidente del Consiglio Mario Draghi nella conferenza stampa di fine anno di ieri è importante. Sulle tensioni in Ucraina, ha spiegato che i paesi europei non hanno un deterrente militare credibile nei confronti di Mosca – di missili, navi e eserciti – potendo contare solo sulla Nato, che ha priorità strategiche diverse, nell’Indo-Pacifico.
Draghi ha detto: “Se vogliamo adottare delle sanzioni che prevedano anche il gas, siamo veramente capaci di farlo? Siamo forti abbastanza? È il momento giusto? Chiaramente la risposta è no”.
Quindi, esclusa l’opzione militare, Draghi non ritiene che quella economica sia idonea.
L’U.E. non ha forti capacità di trattativa diplomatica, ancor meno con la Russia, per cui non rimane altro da fare che lavorare per un dialogo con Putin, visto che il presidente russo sembra disponibile.
Se si volesse descrivere la crisi Ucraina nel Donbass, in Europa, con una metafora sanitaria, che va molto di moda oggi, sarebbe come curare una normale infezione cutanea ad una spalla con il ricovero e l’amputazione del braccio. Il chirurgo, molto bravo, una volta eseguita l’operazione e riscossa l’abbondante parcella potrebbe prodigarsi in attenzioni verso il menomato, nel proporre, con lieve accento yankee, un efficiente arto artificiale.
Daniele Vittorio Comero
Post scriptum 24.12.2021
L’intervista all’Ambasciatore Vento è del 22 dicembre pomeriggio. L’articolo è stato pubblicato alla sera, poco dopo la mezzanotte. La mattina successiva, giovedì 23 dicembre, alle ore 10 il presidente Putin ha tenuto la sua conferenza stampa annuale con 500 giornalisti da tutto il mondo. Una maratona di quattro ore di domande. Sulla vicenda dell’Ucraina ha chiesto garanzie alla Nato e agli USA di non ulteriore allargamento, cioè di rispettare i patti assunti a suo tempo. La Repubblica riporta che l’Occidente, per Putin, ha «tradito, palesemente truffato» Mosca quando negli Anni ’90 promise: “Non un pollice a Est!”. «L’ulteriore espansione della Nato verso Est è inaccettabile. Siamo noi a piazzare missili ai confini Usa? No. Sono gli Stati Uniti che sono già sulla soglia di casa nostra. Come reagirebbero gli americani se portassimo i nostri missili al confine statunitense con il Canada o il Messico?». Dopo di che le Agenzie stampa riportano che, a sorpresa, ha coinvolto l’Italia: «L’Italia potrebbe avere un ruolo nella normalizzazione delle relazioni tra Russia e Ue e anche sulla linea delle trattative che sono in programma ora tra la Russia e la Nato» scrive l’ANSA «Noi col signor Draghi abbiamo più volte parlato al telefono. Siamo in contatto in un’atmosfera cordiale e costruttiva, su una serie di questioni che riguardano l’Italia nel campo dello sviluppo dei nostri legami economici e certamente in questo senso mi riferisco a un livello e a un atteggiamento così benevolo delle nostre relazioni».
La traduzione è molto formale, però si intuisce quale potrebbe essere il nuovo ruolo dell’Italia.
Aggiornamenti stampa al mattino del 30 dicembre 2021
(da Rai News)
Russia e Usa fissano un incontro per discutere della sicurezza dell’est Europa. L’Alto rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza dell’Unione Europea non gradisce che la UE non sia stata interpellata
La partita della Russia sullo scacchiere internazionale si gioca su molti tavoli. Dall’approvvigionamento del gas all’Europa tramite il Nord Stream 2 alle pressioni esercitate sull’Ucraina. Tutte cose che riguardano da vicino l’Unione Europea che però sembra fare fatica a far sentire la sua voce in merito. …. Nel frattempo, Russia e Usa hanno concordato un colloquio a Ginevra per il 10 gennaio, con al centro il tema della sicurezza in Europa dell’Est. Questo fatto non è piaciuto all’Alto rappresentante Ue per la Politica estera e di sicurezza, Josep Borrell: “Se Mosca vuole parlare dell’architettura di sicurezza in Europa e delle garanzie di sicurezza da gennaio, come annunciato, allora non si tratta solo di una questione tra America e Russia”, ha sottolineato Borrell., aggiungendo che “l‘Ue deve essere presente in questi negoziati; tali negoziati hanno senso solo se si svolgono in stretto coordinamento con l’Ue e con la partecipazione dell’Ue“.
(dall’Agenzia Sputnik)
Putin: la Russia avvierà le forniture di gas tramite il Nord Stream-2 non appena l’Europa lo vorrà
La Russia sarà pronta ad avviare immediatamente le forniture di gas all’Europa se i Paesi europei decideranno di lanciare il Nord Stream 2, ha affermato il presidente russo Vladimir Putin: “Ora, ovviamente, tutto dipende dai nostri partner, i consumatori in Europa, nella Repubblica federale [di Germania]. Non appena decideranno di iniziare a lavorare, grandi volumi, volumi aggiuntivi di gas russo inizieranno immediatamente a fluire verso l’Europa. Permettetemi di ricordarvi che si tratta di 55 miliardi di metri cubi all’anno”, ha detto Putin.
Il lancio del gasdotto Nord Stream 2 porterà a prezzi del gas più bassi non solo per l’Europa, ma anche per l’Ucraina, ha aggiunto Putin.
FONTE: https://www.civica.one/il-pericoloso-grande-gioco-sullucraina/
POLITICA
Sarà Babbo Natale a portarci il prossimo Presidente della Repubblica
In realtà nessun partito vuole come Presidente Draghi, perchè questo porterebbe ad elezioni anticipate e nessun partito è pronto ad andare al voto.
Se ci fosse una logica politica, Mario Draghi verrebbe eletto nella prima votazione al posto di Mattarella. Ma con un accordo collettivo di mantenere in piedi l’attuale maggioranza con un nuovo premier, possibilmente un suo ministro ed il nome più adatto dovrebbe essere quello di Daniele Franco, il reggente dell’Economia. Purtroppo le cose non stanno così. In realtà nessun partito vuole come Presidente Draghi, perchè questo porterebbe ad elezioni anticipate e nessun partito è pronto ad andare al voto. Soprattutto la palude dei cento deputati che hanno mutato casacca e sanno benissimo che non avrebbero alcuna possibilità di venire rieletti. I partiti sono tutti debolissimi e senza una guida forte. Non ci sono leader. Il più lucido sembra essere Berlusconi, che in questo vuoto si è inserito ed è ora alla ricerca di elettori. Non esiste neppure un mediatore o un vecchio ” pontiere ” in grado di estrarre dal cappello il nome giusto. Si inventano incontri tra i partiti, ma il” caminetto ” non esiste più. E lo spauracchio del taglio dei parlamentari e di una legge elettorale inadeguata lasciano aperte tutte le soluzioni, anche quelle più scellerate. Anche i sindacati si sono divisi e Landini si è inventato uno sciopero generale. La politica è in agonia e non per colpa della pandemia. L’ultima speranza è riposta nelle mani di Babbo Natale che sulla slitta abbia anche un vero pacco regalo.
Roberto Caputo
FONTE: https://www.pensalibero.it/sara-babbo-natale-a-portarci-il-prossimo-presidente-della-repubblica/
SCIENZE TECNOLOGIE
L’effetto Flynn capovolto: il QI medio sta calando fino a mezzo punto all’anno
In passato, numerosi studiosi vollero definire la capacità intellettuale di un individuo. Venne quindi creato un test utile per calcolare il Quoziente Intellettivo che prendesse in considerazione sia l’intelligenza fluida che quella cristallizzata. Con fluida si intende la capacità di risolvere nuovi problemi quando ci vengono presentati; con cristallizzata si intende la capacità di eseguire dei compiti e di risolvere problemi che già conosciamo.
James R. Flynn, professore neozelandese, prese in considerazione i vari test del QI effettuati e notò come, anno dopo anno, i punteggi incrementavano in modo considerevole. Le ricerche di Flynn rivelarono un aumento di 13,8 punti nei punteggi del QI tra il 1932 e il 1978. Si parla quindi di un aumento di 0,3 punti all’anno. In sostanza, le persone ottenevano un punteggio più alto nei test del QI rispetto alle generazioni precedenti al ritmo di circa 3 punti ogni 10 anni. Tuttavia, recenti studi hanno sottolineato come l’”effetto Flynn” si stia capovolgendo. I numeri che Flynn vedeva aumentare ogni anno, iniziarono improvvisamente ad abbassarsi.
La discesa verso l’effetto Flynn capovolto
Negli Stati Uniti, venne eseguito uno studio dove vennero coinvolti circa 9000 bambini e adolescenti (età compresa tra i 6 e i 17 anni) presi da nove diversi istituti statunitensi. Gli studenti presi in considerazione fecero un test all’anno (ad ogni cambio classe) dal 1989 al 1995. Si notò un abbassamento del QI, nonché prima prova della diminuzione dell’effetto Flynn. Negli anni successivi, questo regressione ha avuto ulteriori conferme, arrivando a chiamare questo fenomeno “effetto Flynn capovolto”.
Venne eseguito uno studio analogo in Norvegia, ma in questo caso vennero prese in considerazione 730.000 persone. I giovani persero circa 7 punti di QI ad ogni generazione dagli anni ’70 fino al 2009. Si dimostrò soprattutto in Europa l’effetto Flynn capovolto, con punteggi di QI in rapida discesa.
Da cosa è dovuto questo calo del QI?
Flynn, notando il calo repentino del QI da una generazione all’altra, ha cercato una spiegazione che potesse giustificare ciò. Il professore sostiene che l’anormale regressione sia dovuta da uno stile di vita non salutare. Una cattiva alimentazione, l’insufficiente quantità di sonno e i nuovi hobby dei ragazzi sono fattori che comportano l’abbassamento del QI. Infatti, ora i ragazzi mangiano sempre meno pesce e prodotti che garantiscono una quantità sufficiente di acidi grassi insaturi, indispensabili per un corretto sviluppo del sistema nervoso. Inoltre, oramai il tempo libero dei giovani è orientato ai giochi per computer, piuttosto che alla letteratura. La tecnologia porta i giovani ad estraniarsi dalla vita sociale e, di conseguenza, dallo svolgimento di conversazioni. Televisione e internet hanno ricondotto l’uomo indietro, che non comunica più a parole ma con immagini.
Se vogliamo nuovamente capovolgere l’effetto Flynn, in positivo, dobbiamo far in modo che le nuove generazioni vivano una vita basata sul contatto umano e non sull’illusione che ogni giorno ci offre la tecnologia. Per salvare questa situazione bisognerebbe fare in modo che i bambini non stiano attaccati al pc o al cellulare, ma che abbiano a che fare con giochi stimolanti per la mente, soprattutto nei primi anni di vita. La vita che ci offre una playstation o un computer non stimola il contatto con gli altri e, inoltre, non stimola le nostre capacità.
FONTE: https://qrios.it/effetto-flynn-capovolto-qi-medio-calando-fino-mezzo-punto-anno/3008/
Il quoziente di intelligenza, che era sempre in crescita, ora sta diminuendo
di Christophe Clavé
La graduale scomparsa dei tempi (congiuntivo, imperfetto, forme composte del futuro, participio passato) dà luogo a un pensiero quasi sempre al presente, limitato al momento: incapace di proiezioni nel tempo. La semplificazione dei tutorial, la scomparsa delle maiuscole e della punteggiatura sono esempi di «colpi mortali» alla precisione e alla varietà dell’espressione. Solo un esempio: eliminare la parola «signorina» (ormai desueta) non vuol dire solo rinunciare all’estetica di una parola, ma anche promuovere involontariamente l’idea che tra una bambina e una donna non ci siano fasi intermedie.
Meno parole e meno verbi coniugati implicano meno capacità di esprimere le emozioni e meno possibilità di elaborare un pensiero. Gli studi hanno dimostrato come parte della violenza nella sfera pubblica e privata derivi direttamente dall’incapacità di descrivere le proprie emozioni attraverso le parole. Senza parole per costruire un ragionamento, il pensiero complesso è reso impossibile. Più povero è il linguaggio, più il pensiero scompare. La storia è ricca di esempi e molti libri (Georges Orwell – 1984; Ray Bradbury – Fahrenheit 451) hanno raccontato come tutti i regimi totalitari hanno sempre ostacolato il pensiero, attraverso una riduzione del numero e del senso delle parole. Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. E non c’è pensiero senza parole.
Come si può costruire un pensiero ipotetico-deduttivo senza il condizionale? Come si può prendere in considerazione il futuro senza una coniugazione al futuro? Come è possibile catturare una temporalità, una successione di elementi nel tempo, siano essi passati o futuri, e la loro durata relativa, senza una lingua che distingue tra ciò che avrebbe potuto essere, ciò che è stato, ciò che è, ciò che potrebbe essere, e ciò che sarà dopo che ciò che sarebbe potuto accadere, è realmente accaduto?
Cari genitori e insegnanti: facciamo parlare, leggere e scrivere i nostri figli, i nostri studenti. Insegnare e praticare la lingua nelle sue forme più diverse. Anche se sembra complicata. Soprattutto se è complicata. Perché in questo sforzo c’è la libertà. Coloro che affermano la necessità di semplificare l’ortografia, scontare la lingua dei suoi «difetti», abolire i generi, i tempi, le sfumature, tutto ciò che crea complessità, sono i veri artefici dell’impoverimento della mente umana.
Non c’è libertà senza necessità. Non c’è bellezza senza il pensiero della bellezza.
FONTE: https://www.italiaoggi.it/news/il-quoziente-di-intelligenza-che-era-sempre-in-crescita-ora-sta-diminuendo-2490366
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