RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 5 maggio 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta …
ALESSANDRO MANZONI, Il cinque maggio, 1821
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SOMMARIO
Iniziano i rastrellamenti casa per casa
Silvestri: «La democrazia non può essere sospesa, nemmeno per un minuto»
La pandemia non diventi pretesto per l’autoritarismo
Il narcisista patologico e la paralisi del Paese
I garanti europei sparano a salve
Contro le seconde case emerge la cultura madurista del governo e l’invidia sociale sui social
VI PREGO CONCEDETEMI IL SEGUENTE SFOGO
FASE 2: ORA VIENE FUORI PAPA BERGOGLIO
La decretazione d’urgenza nella giurisprudenza costituzionale
Il 5 maggio di Alessandro Manzoni
L’Arcangelo Michele nella religione ortodossa
“La legge dei Padri” di Turow e il fallimento dei buoni propositi sessantottini
Separare i familiari contagiati dalle proprie famiglie
Rispunta la solita idea della patrimoniale: inefficace, dannosa e statalista
L’alternativa a elemosine Ue e Troika? Il messaggio di Standard & Poor’s che ci ricorda i punti di forza dell’Italia
Decreto Cura Italia: le novità in tema di sanzioni, patenti e Rca
L’ATTESTAZIONE (DI DICHIARAZIONE) DI SUSSISTENZA DI CAUSE DI FORZA MAGGIORE
Bonafede resiste sulla poltrona. Ma le accuse di Di Matteo pesano
Altri due sbarchi di migranti a Lampedusa: in 136 sull’isola
Contro i lavoratori dipendenti
Lavoro e libertà
La geopolitica delle rotte marittime
OGGI LA SENTENZA DI KARLSRUHE: DAL “TUTTO OK”, ALLA DE-EXIT , ALLA FINE DELL’EURO
Costruire il proprio destino
Amazon, occhio alla truffa dell’account bloccato
15 aprile 1944: uccidendo il 70enne Gentile i partigiani mostrarono il loro volto anti-italiano
EDITORIALE
Iniziano i rastrellamenti casa per casa
Manlio Lo Presti 5 maggio 2020
Continua a girare di soppiatto l’intenzione di strappare dalle proprie case, anche con la violenza, i cittadini ritenuti contagiati da una autorità sanitaria esterna ed insindacabile, cioè anche contro il parere delle famiglie. (1)
Gli “espertoni-supertecnici-fate-presto” che stanno governando al posto dei politici corrotti e rattrappiti dalla paura di essere colpiti dai ricatti incrociati, seguiranno le seguenti strategie:
- Il restringimento delle libertà civili per progressiva sottrazione, cioè un passo per volta. Un giorno un divieto, poi un altro il giorno dopo e così via. Il metodo è quello della rana bollita e della gallina di Stalin;
- Necessità di intraprendere azioni odiose per motivi di emergenza: un FATE-PRESTO che hanno creato LORO grazie al loro cinismo e odio contro la popolazione italiana;
- Imporranno la soluzione dopo aver portato i problemi al loro massimo distruttivo con la tecnica del rinvio e della improvvisa accelerazione quando decidono di imporre la LORO soluzione dopo aver provocato il disastro;
La soluzione anti-contagio con il “rastrellamento casa per casa” viene invocata nel video con voce studiatamente piana e lenta dal medico che finge di rammaricarsi per il fatto che la popolazione non abbia accettato spontaneamente di farsi aggiogare e trascinare dentro strutture dove può essere “suicidata”. Un trattamento eugenetico riservato ai più ribelli con eutanasie eseguite verso le 2,30 di notte.
VIDEO QUI: https://www.youtube.com/watch?v=OKdX-asfZzQ&t=21s
Costoro invocano una regolamentazione ministeriale. Attenzione! Nel filmato il camice bianco dice “ministeriale”, perché una LEGGE DEI RASTRELLAMENTI FORZATI CASA PER CASA non sarebbe votata dal Parlamento, per quanto corrotto, screditato e ricattato possa essere, nel timore di una ribellione popolare o, quantomeno, cinicamente, di un tracollo elettorale.
Non sappiamo ancora quale potrà essere l’architettura delle esclusioni per ritorsione che dovrebbero subire coloro che si rifiutano di farsi massacrare spontaneamente.
Azzardiamo un elenco molto probabile:
- di tipo sociale
- di tipo lavorativo con mobbing esteso, trasferimenti coatti, minacce, violenze psicologiche, sanzioni disciplinari, figli strappati alle famiglie
- di tipo economico, con blocco di carriere, revoche di indennità concesse dall’alto, licenziamenti
- di tipo culturale, con divieti di accesso a strutture culturali, intrattenimento, sport, ingresso in supermercati, farmacie, locali chiusi, ecc.
Stanno eseguendo la diffusione a grappolo e a martello una serie di proposte diverse fra loro ma tutte utilizzate per limitare le libertà civili, umane e di movimento dei cittadini.
Un trattamento, questo che non viene minimamente riservato ai cosiddetti MIGRANTI-PAGANTI-VOTANTI-RISORSE-INPS. Loro vengono tutelati da una rete vischiosa e oscura di protezioni del DEEP STATE DE’ NOANTRI (buonisti, neomaccartisti, antifa, quadrisex, transumanisti, cattocomunisti) e dalla magistratura ad esso collegata a filo quadruplo.
Da una parte, abbiamo il filone “rastrellamento”.
Dall’altra, abbiamo il dispiegamento di dispositivi di controllo a distanza, ti terra, di mare e di aria:
- braccialetti elettronici
- tatuaggi ipodermici invisibili ma leggibili da scanner appositi
- microchip RFID ipodermici
- programmi di tracciamento installati sui cellulari, per ora su base volontaria, salvo poi essere oggetto di ritorsioni mediante un infernale coacervo di discriminazioni sopra elencate
- programmi installati all’insaputa degli utenti dalle centrali delle compagnie telefoniche, su ordine esecutivo dei servizi segreti italiani
- minacce per forzare la compilazione di modelli totalmente illegali di autodichiarazioni, per umiliare e punzecchiare la popolazione che deve capire di essere sottomessa e basta
- elicotteri continuamente in volo sulle città
- migliaia di telecamere
- centinaia di droni sule città, nelle strade, sulle coste (si! Quelle coste dove non è finora possibile controllare l’arrivo di migliaia di barchini con i ridetti migranti-paganti)
Questa formidabile PANOPTIKON elettronico, psicologico, giudiziario deve funzionare contro la popolazione di cittadini italiani che pagano le tasse (quelli da lavoro dipendente al 100), ma non deve MAI essere applicato ai migranti-risorse-INPS perché sarebbe RAZZISMO!!!
La novità del “rastrellamento casa per casa” come a via Rasella è una repressione nuova la cui applicazione è studiata da tempo e soprattutto contro la volontà dei cittadini che devono SUBIRE E BASTA, fermi e a cuccia nei recinti previsti.
TUTTO CIÒ PREMESSO
Ricordiamoci che i piani alti, le élites ci considerano CIBO e, quando non siamo più sfruttabili, diventiamo SPAZZATURA da eliminare con l’eutanasia notturna di massa non terapeutica, da eseguire anche contro la volontà dei familiari e strappati dai familiari.
Il resto è retorica e finzione, tragica finzione a cui molti vogliono credere incautamente girando la testa dall’altra parte …
NOTE
IN EVIDENZA
Silvestri: «La democrazia non può essere sospesa, nemmeno per un minuto»
Gaetano Silvestri scherza al telefono, «sono agli arresti domiciliari pur senza aver commesso alcun reato». In questi giorni così drammatici e stranianti per tutti il presidente emerito della Corte Costituzionale ed ex rettore dell’Università di Messina come sempre ha indicato una strada e teorizzato soluzioni calandosi nella realtà attuale, scrivendo un illuminante e fondamentale saggio articolato su cinque tematiche attualissime, pubblicato sul sito di Unicost.
Che fa comprendere per la sua cristallina chiarezza non soltanto ai giuristi ma anche ai non addetti ai lavori cosa sia successo sul piano delle garanzie costituzionali, visto il “frenetico” susseguirsi di provvedimenti adottati dal governo, o meglio “dall’uomo solo al comando”, per fronteggiare la pandemia, gli ormai famosi Dpcm, ovvero i decreti della presidenza del Consiglio dei ministri. La “carta bianca” che in molti hanno criticato e che qualcuno auspica. Il presidente ha accettato di rispondere ad alcuni quesiti.
Presidente la nostra democrazia è in pericolo, è stata “sospesa”?
«Non direi. Oggi il rischio è la diffusione della convinzione che i diritti e le garanzie fondamentali siano sospendibili e che ci si incammini – come in qualche momento è stato fatto – su questa via. Occorre che ci si renda conto che la democrazia non può essere sospesa neppure per un minuto, anche se diritti e doveri possono essere esercitati diversamente in circostanze differenti».
Il concetto di “eccezionalità” come si deve affrontare e come è stato affrontato secondo lei in questi frangenti? Si è agito in maniera corretta?
«È pericoloso parlare di eccezionalità come situazione giuridicamente regolabile a piacimento. Mi sembrerebbe più corretto trattare le situazioni di emergenza come “specifiche”, sempre sotto l’impero della Costituzione».
Alcuni provvedimenti emanati erano “fuori legge”?
«L’espressione “fuori legge”, a proposito di alcuni provvedimenti statali, regionali o locali mi sembra fuorviante, perché evoca l’idea di illeciti penali. Si è trattato invece, a mio avviso, di deviazioni dall’ordine costituzionale delle fonti e dalla distribuzione ordinata delle competenze, che non assumono rilievo penale, ma solo istituzionale (nel caso diano luogo a sconfinamenti tra organi costituzionali) o amministrativi (se non si verifichino al massimo livello). Il rilievo penale potrebbe sorgere tuttavia se queste deviazioni venissero ripetute nella consapevolezza di sovvertire l’ordine costituzionale delle competenze».
La Carta costituzionale è stata “violata”?
«In qualche caso sì. Del resto in tutti i casi in cui la Corte costituzionale pronuncia una sentenza di accoglimento, si può dire che la Carta è stata violata».
Il Parlamento è stato messo o s’è messo fuori gioco da solo in questa “emergenza”? Insomma, per dirla con Celentano, era assolutamente necessario essere “rock” e non “lenti”?
«Si può essere veloci e attenti. Faccio un solo esempio: si potrebbero convertire i decreti legge in commissione, previa una facile modica dei regolamenti parlamentari. Si eviterebbe così di tagliare fuori il Parlamento con la scusa della sua “lentezza”».
Ma nel nostro Paese, esiste ancora la “separazione dei poteri” oppure è divenuta una mera illusione?
«Per fortuna ancora esiste. Purtroppo si fa strada il mito del “capo”. Aspiranti duci e ducetti reclamano “pieni poteri”. Il culto dell’uomo forte torna ad apparire all’orizzonte, come nel XX secolo, quanto Mussolini, Hitler e Stalin furono divinizzati con le spaventose conseguenze che tutti conosciamo. Non abbiamo bisogno di uomini eccezionali, ma solo di governanti onesti, laboriosi e responsabili. La separazione dei poteri resta ancora oggi l’antidoto più efficace contro l’abuso del potere».
E sulla predominanza velata dell’economia nei procedimenti decisionali lei cosa pensa?
«L’economia è fondamentale come base della politica e delle istituzioni. Ma prima dell’economia c’è la persona umana, con i suoi diritti innati, che nessun calcolo economico può annullare. Oggi tende a prevalere un cinismo iper-liberista e globalista che antepone i profitti ai diritti. Occorrerebbe recuperare il primato della persona che ci è stato tramandato dai nostri Padri costituenti».
Ma non abbiamo forse creato dei meccanismi legislativi d’intervento troppo farraginosi quando bisogna agire subito?
«I meccanismi legislativi possono essere semplificati. Ma occorrerebbe rendersi conto che le lungaggini parlamentari non dipendono dalle regole costituzionali, ma da un sistema politico frammentato, inutilmente rissoso, con una maggioranza che tende a prevaricare ed un’opposizione che tende a bloccare. Mettete insieme queste due tendenze e nessun meccanismo istituzionale potrà mai funzionare».
Qual è il corretto rapporto tra i provvedimenti emanati dal governo e la potestà d’intervento dei presidenti delle regioni o dei sindaci, che oltretutto non sono tutti uguali vista la “specialità” di alcuni? Abbiamo assistito giorno dopo giorno a molta confusione istituzionale o è stata una normale dialettica tra organismo governativo centrale e diramazioni periferiche?
«Che vi possa essere una certa dialettica tra Governo nazionale e governi regionali e locali è un fatto naturale e fisiologico. Lo scontro, la confusione e i conflitti nascono dall’incertezza dei confini, che dovrebbero essere tracciati, per le situazioni di emergenza, da leggi emanate, con calma, nelle situazioni ordinarie. Ciò non è stato fatto in passato. I risultati li stiamo vedendo. Speriamo che le difficoltà attuali siano monito e sprone per varare una legge generale sull’emergenza, frutto di un dialogo vero tra maggioranza (qualunque essa sia) e opposizione (qualunque essa sia)».
Lei come vede la questione che si è posta dell’attraversamento dello Stretto sul piano prettamente giuridico?
«Non entro nel merito di singole problematiche. Mi limito a ricordare che l’art. 120, primo comma, della Costituzione stabilisce che le Regioni non possono «adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni». Solo lo Stato può valutare l’impatto nazionale delle restrizioni al transito da una Regione all’altra».
Un’ultima domanda, secondo lei cosa ci aspetta dopo nei “rapporti di forza” tra le varie componenti democratiche del Paese, il cosiddetto regionalismo tramonterà?
«Spero proprio di no. Si deve trattare però di un regionalismo cooperativo, non dualista e competitivo. La Repubblica si fonda su due princìpi supremi: unità e solidarietà. Se uno dei due o (Dio ne guardi!) entrambi vengono meno, tutto è perduto. I cittadini italiani stanno dando una grande prova di forza morale e responsabilità. Ciò mantiene la speranza che, passata la tempesta, si possa ricostruire sulla base del prezioso patrimonio di valori racchiuso nella Costituzione. La tutela delle autonomie regionali e locali fa parte di questo patrimonio».
FONTE:https://gazzettadelsud.it/articoli/politica/2020/04/17/silvestri-la-democrazia-non-puo-essere-sospesa-nemmeno-per-un-minuto-7dd96d5a-bc64-4a55-989c-7b9d3b5c08d2/
La pandemia non diventi pretesto per l’autoritarismo
Caro Presidente Sergio Mattarella,
Non possiamo fare a meno di notare che mentre «gli operatori della sanità pubblica e privata combattono valorosamente contro il coronavirus, molti governi dispongono misure che restringono indefinitamente le libertà e i diritti fondamentali. Invece di alcune ragionevoli limitazioni alla libertà, prevale un confinamento con minime eccezioni, l’impossibilità di lavorare e produrre e la manipolazione delle informazioni. Alcuni governi hanno individuato un’occasione per arrogarsi un potere smisurato. Hanno sospeso lo Stato di diritto e addirittura la democrazia rappresentativa e il sistema giudiziario».
I virologi e gli scienziati – senza avere certezze ma anzi bisticciando tra loro – sono diventati i sacerdoti della nuova religione ai tempi del virus. E i parlamenti, con il pretesto del contagio da coronavirus, non si riuniscono o si riuniscono “a ranghi ridotti”.
Per converso un comunicato di autorevoli medici, pubblicato in questi giorni, mette in causa il modo in cui sono diffusi ogni giorno i dati concernenti l’epidemia.
Una anche elementare conoscenza epistemologica mostra che i dati dei decessi sono privi di ogni valore scientifico se non sono messi in relazione con la mortalità annua nello stesso periodo e con le cause effettive del decesso.
E’ noto, d’altra parte, che sono contati come deceduti per Covid-19 anche i pazienti morti per altre cause.
E ci si chiede chi abbia scelto i componenti della task force costituita recentemente per affrontare la cosiddetta fase 2, alcuni dei quali hanno chiesto, contro ogni principio di uguaglianza giuridica, l’immunità per le conseguenze delle loro azioni.
Con il Premier che gioca al poliziotto buono e al poliziotto cattivo con i cittadini, dicendo loro cosa possono fare, cosa gli viene concesso, cosa è consentito. È una democrazia questa?
Questo è l’elenco di tutte le nostre libertà sequestrate: limiti alla circolazione (art. 16 Costituzione), divieti di riunione (art. 17), chiusura di scuole (art. 33 Cost.), chiese (art. 19 Cost.) e tribunali (art. 24 Cost.) limitazioni alla proprietà privata, con divieto di raggiungere le seconde case (art. 42 Cost.), chiusura di cinema, teatri, musei, bar, ristoranti, imprese e attività commerciali e professionali (art. 41 Cost.) oltre alle note – ed è il punto tragico di partenza – limitazioni alla libertà personale (art. 13 Cost.).
La presidente della Consulta Marta Cartabia, proprio nella relazione sull’attività della Corte,afferma: “Nella Carta costituzionale non si rinvengono clausole di sospensione dei diritti fondamentali da attivarsi nei tempi eccezionali, né previsioni che in tempi di crisi consentano alterazioni nell’assetto dei poteri’’.
A proposito della libertà personale Sabino Cassese, giurista ed ex giudice della Corte Costituzionale, ha spiegato che «la libertà personale (art. 13) può esser limitata solo dal giudice, salvo casi eccezionali, ma per un tempo limitato. L’articolo 13, che detta una norma residuale, per ogni tipo di libertà della persona (anche le norme sulla ‘privacy’ trovano il loro fondamento in tale norma) è stato dimenticato, come se riguardasse solo l’alternativa libertà/arresto-imprigionamento. Neppure la più terribile delle dittature ha limitato la libertà di andare e venire, e di uscire da casa, per di più selettivamente limitata, per categorie di persone o a titolo individuale, indicate in atti amministrativi».
E la Costituzione, con i diritti fondamentali, che fine ha fatto? In cerca di autocertificazione pure lei?
«Su entrambe le sponde dell’Atlantico – scrive Vargas Llosa – risorgono lo statalismo, l’interventismo e il populismo con un impeto che fa pensare a un cambio di modello lontano dalla democrazia liberale e dall’economia di mercato. Vogliamo esprimere con energia che questa crisi non deve essere fronteggiata sacrificando diritti e libertà che è costato caro conseguire. Respingiamo il falso dilemma che queste circostanze obbligano a scegliere tra l’autoritarismo e l’insicurezza, tra l’Orco Filantropico e la morte».
Anche l’Alto Commissario delle Nazioni unite per i diritti umani Michelle Bachelet ha ammonito i paesi a rispettare lo stato di diritto, limitando nel tempo le misure eccezionali, al fine di evitare una “catastrofe” dei diritti umani: «Danneggiare i diritti come la libertà di espressione può causare danni incalcolabili. Data la natura eccezionale della crisi è chiaro che gli Stati hanno bisogno di ulteriori poteri per rispondervi. Tuttavia, se lo Stato di diritto non è rispettato, l’emergenza sanitaria può diventare una catastrofe per i diritti umani, i cui effetti dannosi supereranno a lungo la pandemia stessa. I Governi non dovrebbero usare i poteri di emergenza come arma per mettere a tacere l’opposizione, controllare la popolazione o rimanere al potere»
Come le sembrano queste parole di elementare garanzia dei principi democratici?
Purtroppo oggi il modello cinese più che una scelta sanitaria sembra essere diventato una scelta politica. Ma noi siamo uomini liberi, italiani, occidentali. E rivendichiamo le nostre libertà ed i nostri diritti. Altro che modello cinese.
Presidente Mattarella, per questo le chiediamo di fare qualcosa. Faccia sentire la sua voce. La libertà, in democrazia, è il bene più prezioso. Sospesa, ristretta, confinata, autocertificata, non è più libertà. E la democrazia muore lentamente diventando l’anticamera dell’autoritarismo.
A tutto questo noi diciamo no. E lei?
Adriana Sanetti, Anna Maria Sanetti, Alain Elkann, Anna Maria Repice, Alberto Bagnai, Alessandro Sansoni, Andrea Bonuomo, Andrea di Consoli, Andrée Ruth Sammah, Angelo Crespi, Arianna Alessandrini, Benedetta Lorenzale, Bernard-Henri Levy, Bruna Barbato, Camilla Corti, Camillo Langone, Carlo Vulpio, Chiara Giordano, Christian Elettra Iacheri, Claudio Messora, Claudio Pierantoni, Clint Eastwood, Daniel Oren, Davide Rondoni, Delia Mangiaracina, Diego Bernardi, Dimitri Buffa, Domenico Moretti, Edward Luttwak, Edoardo Sylos Labini, Elena Loewenthal, Eleonora Ortica, Enea Franza, Enzo Palumbo, Fabrizio Barberini, Fabrizio Sequi, Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno, Fabio Arcangeli, Filippo Arcangeli, Francesca Dalla Monica, Francesca Filauri, Francesco Bonanni, Franco Bechis, Franco Torchia, Gaetano Pesce, Gaetano Savatteri, Gianfranco Vissani, Gianluca Lorenzale, Gianluigi Paragone, Gianni Morelembaum, Giordano Bruno Guerri, Giuliana Pogni, Giovanni Corti, Giuliano Cazzola, Giulio Giorello, Gloria Gallo, Lara Rincicotti, Lella Curiel, Lillo di Mauro, Luca Salsi, Lucilla Gallo, Marco Scotto Lavina, Marco Castoldi (Morgan), Margaret Mazzantini, Margherita Delle Vedove, Massimiliano Lenzi, Mariapia La Malfa, Massimo Boldi, Maurizio Donadoni, Monica Ferrando, Nazzareno Di Stefano, Nicola Porro, Ornella Muti, Paolo Barbato, Paolo Barnard, Paolo Becchi, Paolo Bianchini, Paolo Dias, Petros Markaris, Pietro Carriglio, Paolo Riparbelli, Pietrangelo Buttafuoco, Red Ronnie, Roberto Giuliano, Roberto Mezzaroma, Sergio Castellitto, Stefano Morelli, Tahar Ben Jelloun, Ubaldo Bonuccelli, Vittorio Pezzuto, Vittorio Sgarbi
FONTE:https://ilgiornaleoff.ilgiornale.it/2020/05/03/la-pandemia-non-diventi-pretesto-per-lautoritarismo/
Il narcisista patologico e la paralisi del Paese
Federica Francesconi – 29 04 2020
Dice, il narcisista patologico, che è stato convinto a prorogare la paralisi del Paese dopo aver letto il rapporto delle due task force (quelle che hanno sostituito il Parlamento), in cui viene ricostruito uno scenario ipotetico di 200 mila pazienti in terapia intensiva se si fossero allentate troppo le misure di contenimento.
Numeri inverificabili, semplici allucinazioni di esperti demiurghi odiatori di popolo.
Ma come mai i super-esperti al servizio di Sua Maestà non hanno previsto sei milioni di poveri in più dopo tre mesi di chiusura? E le centinaia di suicidi per disperazione che tra un mese diventeranno migliaia? E la depressione e l’ansia a livelli preoccupanti che serpeggiano tra gli italiani? E la distruzione del tessuto produttivo, vera ancora di salvezza del Paese?
Questo scenario catastrofico i mariuoli al servizio di Sua Altezza Lo Specchio riflesso non solo non lo hanno previsto ma qualora lo vedessero in azione lo guarderebbero con un sorriso compiaciuto. Questa dissociazione mentale subentra quando in nome della sicurezza dei cittadini si sacrificano i più elementari diritti, come quello ad avere il pane ogni giorno e il diritto a sperare nel futuro. Diritti spazzati via da una serie di grafici e algoritmi del contagio, e prossimamente di app di tracciamento, che instaurano una vera e propria dittatura hi-tech dove l’essere umano e ridotto a mero numero, a dato computerizzato.
La mia anima non sarebbe voluta ri-nascere in un’epoca di annichilimento programmato dell’umanità. Dove sono i versi delle Odi di Pindaro? Dove i gesti clamorosi di Gesù al Tempio di Gerusalemme che cacciava i mercanti? Dove le invettive di Savonarola contro la crudeltà del potere? Dove la bellezza del Pantheon in cui cielo e Terra si fondono in un’unica cosa?
Al posto Cristo, di Ottaviano Augusto, di Pindaro e di Savonarola oggi abbiamo lo sguardo gelido di Colao, il narcisismo di Conte, il collaborazionismo dei politici al disegno di distruggere l’Italia e l’imperdonabile silenzio di Mattarella.
Mentre la nave Italia affonda i topi demiurghi hi-tech brindano.
FONTE:https://www.facebook.com/federica.francesconi.3/posts/10219132691685903
I garanti europei sparano a salve
“Non vai a caccia di un uomo come Dominic Morgan con un coltello ed una pistola, ci vai con un esercito o te ne resti a casa”
Perdonatemi la citazione tratta dalla nuova serie TV sulla finanza, ma non noto differenze con l’ultimo report presentato da Brave, il browser noto per la sua attenzione alla privacy e per un sistema che ricompensa, mediante basic attention token, i propri utenti dei contenuti sponsorizzati che essi stessi acconsentono di visualizzare, che analizza l’inefficienza del sistema del GDPR così come attualmente funziona nei Paesi membri dell’Unione Europea.
Alcuni problemi li avevo già evidenziati due mesi or sono: specialmente il Garante italiano, sebbene fosse primo in Europa per numero di provvedimenti sanzionatori, questi erano economicamente poco consistenti.
Oggi il quadro non è cambiato di molto. Nonostante molte Big Tech hanno dovuto adottare da tempo delle policy per conformarsi ai precetti del Regolamento 679/2016, emerge che troppo spesso le indagini nei confronti degli Over the Top non vengano adeguatamente e celermente portate avanti, a dispetto di efficienza, effettività e rapidità che, in quanto corollari del buon andamento, richiamato dall’art. 97 Cost., almeno in Italia, dovrebbe orientare l’azione della macchina amministrativa.
Il rapporto, con la prefazione di Johnny Ryan, direttore delle relazione industriali di Brave, evidenzia come l’inefficienza derivi dal fatto che troppo spesso i Governi nazionali “abbandonano” le autorità garanti (DPA): limitata autonomia di spesa e mancanza di personale con competenze tecniche adeguata sono i fattori che rendono impotente l’ordinaria amministrazione di un Garante, al punto da spingerle ad evitare di attaccare gli Over the Top, per timore che non possano permettersi poi il costo di difendere legalmente le loro decisioni contro la potenza di fuoco legale che le big company possono schierare.
La colpa è dei Governi. Essi, in palese violazione di quel che il GDPR all’art. 52 par. 4 prescrive – Ogni Stato membro provvede affinché ogni autorità di controllo sia dotata delle risorse umane, tecniche e finanziarie, dei locali e delle infrastrutture necessari per l’effettivo adempimento dei suoi compiti e l’esercizio dei propri poteri, compresi quelli nell’ambito dell’assistenza reciproca, della cooperazione e della partecipazione al comitato -, minano l’operatività delle stesse Authorities.
Alcuni dati aiutano a chiarire meglio:
- In totale vi sono 305 specialisti tecnologici ma, solo 6 Garanti ne hanno più di dieci, mentre 7 Garanti ne hanno non più di due. Perfino il garante inglese (UK’s ICO), che è il più grande in Europa e ha riscosso 312,5 milioni di euro, pari al 76% della somma degli introiti derivanti dai provvedimenti dell’intero Spazio Economico Europeo, può contare solo sul 3% dei suoi funzionari come esperti tecnologici.
- 14 Garanti hanno meno di 5mln di euro annui di budget, e l’incremento degli stanziamenti economici, dopo aver raggiunto l’apice a cavallo dell’entrata in vigore del GDPR, sta diminuendo
Per quanto attiene ai singoli paesi, spicca la Germania dove ci sono più di 100 specialisti nel settore tech, tra quelli che operano all’interno dell’Autorità nazionale e quelli nei singoli Land, ed ha, insieme al Regno Unito, una dotazione economica intorno ai 60mln di euro annui.
L’Italia invece, a fronte di 170 effettivi all’interno del Garante, solo 8 sono soggetti esperti tecnologici, ed il budget è di circa 30mln di euro.
Non può essere tralasciato il caso della Commissione irlandese per la protezione dei dati, alla quale, secondo il principio one stop shop, fanno capo tutte le multinazionali, specialmente americane, la cui sede legale europea è posta, per i benefici fiscali di cui godono, in Irlanda, che trattando dati transfrontalieri hanno a che fare con un’unica Autorità di Controllo.
Sebbene tale Garante abbia un budget che sfiori i 17milioni di euro e 21 specialisti tecnologici, pari al 15% dei suoi dipendenti, mentre aumentano le denunce, il numero di effettivi e la dotazione economica hanno avuto una drastica decelerazione e così a fronte di oltre 120 istruttorie poste in essere di cui più di 20 su grandi aziende, nessuna sanzione è stata ancora elevata.
Brave ha presentato una denuncia in seno alla Commissione Europea con la speranza che questa agisca con una procedura di infrazione verso gli Stati inadempienti, altrimenti se non si agisce contro i Big tech, questi restano intoccabili.
Dall’entrata in vigore del GDPR, ossia da quasi due anni, la multa più alta è stata quella del Garante francese a Google, di 50 milioni di euro, ossia un decimo di quanto genera ogni giorno, briciole rispetto al loro fatturato annuo. Se non si cambia rotta la situazione rimane simile a quel che ho studiato sul manuale di procedura civile, dove si dice che l’esecuzione indiretta non serve se l’obbligato ha un patrimonio talmente ingente da essere insensibile al pagamento della somma, portando l’esempio di un patrizio dell’antica Roma, Lucio Verazio, che durante le sue camminate per la città era solito portare sempre con sé uno schiavo, il quale reggeva un vassoio su cui erano presenti dei sacchetti di monete da 25 assi ciascuno. In questo modo il nobile, appena incontrava qualcuno che non gli stava a genio, faceva partire il manrovescio e pagava immediatamente il suo debito con la giustizia.
Le proposte della tech company per uscire da questa crisi guardano in 3 direzioni:
1) Aumentare la dotazione economica dei garanti, specialmente per potersi difendere in giudizio ed evitare che essi non provvedano a contestazione per paura di querelle legali e ritorsioni economiche;
2) Aumentare i team di esperti tecnologici, andando a remunerarli in maniera adeguata per attrarre giovani talenti;
3) Creare un’unità investigativa a livello centrale, in Europa, che aiuti i singoli DPA nelle indagini tecnologiche, ove oggigiorno si concentra il maggior numero di problemi legati alla riservatezza dei dati.
La speranza è che i Garanti vengano dotati di tutti gli strumenti e le risorse necessarie per perseguire lo scopo per il quale sono stati costituiti e, qualora si trovino in presenza di gravi violazioni, facciano uso del potere di irrogare sanzioni che, ai sensi dell’art. 83 del predetto regolamento, possono arrivare fino al 4 % del fatturato mondiale totale annuo dell’esercizio precedente.
FONTE:https://www.infosec.news/2020/05/05/news/riservatezza-dei-dati/i-garanti-europei-sparano-a-salve/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Contro le seconde case emerge la cultura madurista del governo e l’invidia sociale sui social
In tutto questo, la cosa più grave, il vero punto politico è che tutta la filosofia scatenatasi, anche sui social, contro le seconde case mette spavento. E questo ceto medio si sente, intanto, inerme, indifeso. È una filosofia secondo la quale la proprietà privata è un furto e quindi ben vi sta, a voi “ricconi”. Roba da mentalità parodistica dei Soviet e della Kommunalca da Dottor Zivago. Un signore osa replicare sui social: è riccone pure chi “trova la vecchia cascina ereditata dalla nonna occupata dagli zingari?”. Si legge che a una signora in Veneto sia accaduta una cosa del genere, con conseguente intervento dei carabinieri per sgomberare la piccola casa occupata da clandestini nordafricani. Altri sembrano come costretti a giustificarsi, dicendo che quelle seconde case non sono per le vacanze. Ecco, ma anche se lo fossero e fossero state edificate solo per questo sarebbe un reato? A che punto si è ormai arrivati in questo disgraziato Paese, con alla guida del governo, con tutto rispetto, un premier che non aveva mai fatto fino a quell’incarico politica, con un partito-movimento maggioritario ancora solo in Parlamento? Ovvero i 5 Stelle, un movimento che ha fatto e continua a fare del decrescismo, del divanismo da reddito di cittadinanza, del motto uno vale uno una sorta di imperativo categorico che sembra stia utilizzando la tragedia coronavirus per attuare davvero il proprio tragico disegno.
Sono figlia di un signore, self made man, che la casa, ora di mia proprietà, per me seconda casa, essendo da moltissimo tempo residente a Roma, la realizzò dopo aver rifiutato un posto da impiegato statale, prendendo la sua cinquecento alle tre del mattino per andare a sbattersi dal Centro Italia nel Sud Italia, fino a Foggia. E lo fece certo per una legittima ambizione personale che però, proprio in nome di quella, contribuì tra milioni di italiani a completare l’A1 e poi a realizzare la Napoli-Bari. Non fu esattamente una passeggiata. Furono sogni realizzati ma anche sacrifici inimmaginabili, per la classe politica in auge ora, di milioni di italiani che ricostruirono il Paese, che gli dettero la spina dorsale viaria, completata in soli 8 anni ed esposta come esempio al Museo di Arte Moderna di New York. Furono italiani che contribuirono a modernizzare un Sud dove c’erano ancora fogne a cielo aperto, dove un piccolo manager non veniva compreso in italiano neppure dai suoi stessi operai a fianco dei quali lavorava e poteva esser preso anche a sassate con la sua famiglia se magari osava redarguire qualcuno che non aveva fatto bene il proprio lavoro. Non è razzismo. Non sono opinioni. Ma sono fatti molto precisi, di cui sono testimone in presa diretta, della situazione allora di una parte del nostro Paese e non certo per colpa di questa stessa parte del Paese.
La Questione Meridionale non è certo un’invenzione. E persiste ancora oggi. E comunque sono fatti precisi che testimoniano l’ambizione, il gusto di gettarsi nella mischia, di assaporare il rischio (avrebbe detto Sergio Marchionne), ma anche il calvario di milioni di italiani che contribuirono a cambiare le cose, a modernizzare e unire in modo concreto il Paese. È un furto la proprietà privata costruita a questo prezzo? Non lo è per questi piccoli “eroi”, ma non lo è neppure per chi la casa se la costruì, con i risparmi di una vita, semplicemente per le vacanze al mare, dando così lavoro a tutto il settore turistico alberghiero e al suo vasto indotto. Non è furto né per il piccolo manager né per un grande imprenditore come Flavio Briatore. Furto rischia di diventarlo solo per un Paese al quale è toccata la sciagura di esser guidato da un governo che più a sinistra nella storia repubblicana non c’era mai stato. Fino a sconfinare nel venezuelano madurismo. Ora non si facciano polemiche? Per favore basta con frasi così. Almeno per un po’ di rispetto nei confronti di chi l’Italia la ricostruì davvero, nel senso letterale del termine. Mattone su mattone, pietra su pietra, traversina su traversina. La proprietà privata è la libertà, sacra e inviolabile.
FONTE:http://www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/contro-le-seconde-case-emerge-la-cultura-madurista-del-governo-e-linvidia-sociale-sui-social/
BELPAESE DA SALVARE
FASE 2: ORA VIENE FUORI PAPA BERGOGLIO
Domenica scorsa proprio alla vigilia di questo 4 maggio che era stato annunziato come data della “ripartenza”, del “via alla “ripresa”, sulla questione del virus abbiamo avuto l’intervento del Papa. Papa Bergoglio. Avevamo già scritto che di fronte al dilagare della pandemia, la Chiesa Cattolica si era fatta da parte rispetto ai suoi usuali interventi che nella storia si sono avuti di fronte a certe catastrofi. Niente interventi, niente implorazioni al Padreterno per ottenere, e direi “a peste…libera nos Domine”, non tridui, novene, preghiere e funzioni collettive, implorazioni di miracolose soluzioni rivolte al Padreterno.
L’impressione che la Chiesa Cattolica, quella di Papa Bergoglio non intendesse “compromettersi” con una campagna di implorazioni e preghiere all’Altissimo destinata a lasciare il tempo che avrebbe trovato, sembrava più che fondata. Un atteggiamento in verità poco conforme alla funzione stessa di una confessione religiosa. Quando il Governo venne fuori con toni trionfanti proclamando il 4 maggio data della “ripresa” così che all’incertezza ed al mistero dell’epidemia e del suo espandersi sembrava doversi sostituire il problema del raccogliere i cocci di una società così duramente colpita, la Chiesa ha, dopo essersi assicurata una soluzione concordataria della libertà degli assembramenti per le funzioni religiose, ripreso la sua funzione di maestra morale e di etica sociale. Insomma dopo essere stata latitante nella Fase 1, sembra non volere rimaner fuori da un suo ruolo protagonistico o quasi nella Fase 2. Tutto ciò è relativo naturalmente al fatto che queste Fasi hanno inizio e fine diversi nelle varie parti del Mondo in cui l’epidemia è arrivata a colpire le popolazioni.
Chiesa social-cattolica dunque, intenzionalmente diversa dalla Chiesa tradizionale. Chissà nel suo quasi esilio che cosa ne pensa Papa Ratzinger.
Anche se questa “ripresa” era stata assai ottimisticamente fissata per la data odierna del 4 maggio in cui invece si è piuttosto scatenata una confusione di “permessi” per la popolazione italiana, si direbbe che la Chiesa non possa rimanere fuori della partita. Così il Coronavirus pare abbia fornito un’occasione per calcare la mano a chi deve prendere atto che è oramai difficile parlare di Chiesa Cattolica volendo indicare qualcosa di identico a ciò che essa era nel secolo XIX.
Non è escluso che dagli ammonimenti e dalle pretese di indicazioni sulla “ripresa” che la Gerarchia Cattolica non è più restia a profondere all’Italia e più o meno negli stessi termini al resto del Mondo, vengano fuori idee e principi migliori di quelli che cercano di darci quelli del Governo Conte, che è pur sempre il Governo dei Toninelli e dei Bonafede.
Vedremo, ma doverosamente dico, vedrete, come andrà. La Storia non ammette previsioni e declinazioni del futuro. Certo è che quella che è la “novità” di una Chiesa Cattolica come quella di Papa Bergoglio, è difficile che qualcuno avesse pensato fosse concepibile.
Mauro Mellini
ilcircolaccio
FONTE:http://www.italyflash.it/2020/05/05/fase-2-ora-viene-fuori-papa-bergoglio/
La decretazione d’urgenza nella giurisprudenza costituzionale
CORTE COSTITUZIONALE – Servizio Studi
a cura di Riccardo Nevola
Settembre 2017 STU 304 – PAGINE 261
Il testo scaricabile qui:
https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU_304_Decretazione_urgenza.pdf
FONTE: https://www.cortecostituzionale.it/
CULTURA
Il 5 maggio di Alessandro Manzoni
Testo della poesia
1. Ei fu. Siccome immobile,
2. dato il mortal sospiro,
3. stette la spoglia immemore
4. orba di tanto spiro,
5. così percossa, attonita
6. la terra al nunzio sta,
7. muta pensando all’ultima
8. ora dell’uom fatale;
9. né sa quando una simile
10. orma di pie’ mortale
11. la sua cruenta polvere
12. a calpestar verrà.
13. Lui folgorante in solio
14. vide il mio genio e tacque;
15. quando, con vece assidua,
16. cadde, risorse e giacque,
17. di mille voci al sonito
18. mista la sua non ha:
19. vergin di servo encomio
20. e di codardo oltraggio,
21. sorge or commosso al subito
22. sparir di tanto raggio;
23. e scioglie all’urna un cantico
24. che forse non morrà.
25. Dall’Alpi alle Piramidi,
26. dal Manzanarre al Reno,
27. di quel securo il fulmine
28. tenea dietro al baleno;
29. scoppiò da Scilla al Tanai,
30. dall’uno all’altro mar.
31. Fu vera gloria? Ai posteri
32. l’ardua sentenza: nui
33. chiniam la fronte al Massimo
34. Fattor, che volle in lui
35. del creator suo spirito
36. più vasta orma stampar.
37. La procellosa e trepida
38. gioia d’un gran disegno,
39. l’ansia d’un cor che indocile
40. serve, pensando al regno;
41. e il giunge, e tiene un premio
42. ch’era follia sperar;
43. tutto ei provò: la gloria
44. maggior dopo il periglio,
45. la fuga e la vittoria,
46. la reggia e il tristo esiglio;
47. due volte nella polvere,
48. due volte sull’altar.
49. Ei si nomò: due secoli,
50. l’un contro l’altro armato,
51. sommessi a lui si volsero,
52. come aspettando il fato;
53. ei fe’ silenzio, ed arbitro
54. s’assise in mezzo a lor.
55. E sparve, e i dì nell’ozio
56. chiuse in sì breve sponda,
57. segno d’immensa invidia
58. e di pietà profonda,
59. d’inestinguibil odio
60. e d’indomato amor.
61. Come sul capo al naufrago
62. l’onda s’avvolve e pesa,
63. l’onda su cui del misero,
64. alta pur dianzi e tesa,
65. scorrea la vista a scernere
66. prode remote invan;
67. tal su quell’alma il cumulo
68. delle memorie scese!
69. Oh quante volte ai posteri
70. narrar se stesso imprese,
71. e sull’eterne pagine
72. cadde la stanca man!
73. Oh quante volte, al tacito
74. morir d’un giorno inerte,
75. chinati i rai fulminei,
76. le braccia al sen conserte,
77. stette, e dei dì che furono
78. l’assalse il sovvenir!
79. E ripensò le mobili
80. tende, e i percossi valli,
81. e il lampo de’ manipoli,
82. e l’onda dei cavalli,
83. e il concitato imperio
84. e il celere ubbidir.
85. Ahi! forse a tanto strazio
86. cadde lo spirto anelo,
87. e disperò; ma valida
88. venne una man dal cielo,
89. e in più spirabil aere
90. pietosa il trasportò;
91. e l’avvïò, pei floridi
92. sentier della speranza,
93. ai campi eterni, al premio
94. che i desideri avanza,
95. dov’è silenzio e tenebre
96. la gloria che passò.
97. Bella Immortal! Benefica
98. Fede ai trïonfi avvezza!
99. Scrivi ancor questo, allegrati;
100. che più superba altezza
101. al disonor del Golgota
102. giammai non si chinò.
103. Tu dalle stanche ceneri
104. sperdi ogni ria parola:
105. il Dio che atterra e suscita,
106. che affanna e che consola,
107. sulla deserta coltrice
108. accanto a lui posò.
Parafrasi affiancata
1-3. Egli (Napoleone) non c’è più, è morto. Come le sue spoglie senza memoria, dato l’ultimo respiro, rimasero immobili,
4. prive di una così grande anima,
5-6. così la terra rimase scossa e incredula alla notizia della sua morte,
7. pensando in silenzio all’ultima
8. ora dell’uomo che ha segnato il destino;
9. e non sa quando una simile
10. impronta di un piede d’uomo
11-12. verrà a calpestare la sua polvere insanguinata.
13-14. Il mio ingegno poetico lo vide trionfante sul trono e non si espresse;
15. quando, con continui cambiamenti di sorte,
16. fu sconfitto, tornò grande e fu piegato definitivamente,
17-18. non ha mischiato la sua voce al suono di mille voci:
19. immune dalla lode servile
20. e dalle offese vili,
21. ora (il mio ingegno poetico) si risveglia commosso dinnanzi all’improvviso
22. scomparire di un raggio così luminoso;
23. e innalza sulla tomba un canto
24. che forse non morirà mai.
25. Dall’Italia (Alpi) all’Egitto, (Piramidi)
26. dalla Spagna (Manzanarre) alla Germania (Reno),
27-28. ogni progetto di quell’uomo mai esitante era seguito dalla sua realizzazione;
29. si manifestò dall’Italia meridionale (Scilla) alla Russia (Tanai: è il fiume Don),
30. dall’uno all’altro mare.
31. È stata una gloria reale? Lascio ai posteri
32. la difficile decisione: noi
33. ci inchiniamo a Dio, l’Alto
34. Creatore, che volle imprimere in Napoleone
35-36. un’impronta più vasta del suo spirito creatore.
37. La tempestosa e trepidante
38. gioia di un grande progetto,
39. l’ansia di un animo che, indomabile,
40. obbedisce, pensando già al comando;
41. e lo raggiunge e ottiene un riconoscimento
42. in cui era folle sperare;
43. egli sperimentò tutto: la gloria,
44. più grande dopo il pericolo,
45. la fuga e la vittoria,
46. il regno e il pesante esilio:
47. due volte fu sconfitto (a Lipsia e Waterloo),
48. due volte tornò sul trono.
49. Egli pronunciò il suo nome (si proclamò imperatore): due secoli (il 1700 e il 1800),
50. armati l’uno contro l’altro,
51. sottomessi si volsero a lui,
52. come aspettando la sua decisione sul loro destino;
53-54. egli impose il silenzio e si sedette in mezzo ai due secoli come arbitro.
55-56. E scomparve, e finì i suoi giorni nell’ozio, in un’isola così piccola (Sant’Elena),
57. fatto oggetto di grandissima invidia
58. e di profonda compassione,
59. di odio implacabile
60. e di amore incondizionato.
61-62. Come incombe e si abbatte sulla testa del naufrago l’onda,
63-65. la stessa onda su cui poco prima scorreva lo sguardo del poveretto, alto e proteso ad avvistare
66. invano rive lontane;
67-68. simile scese su quell’anima la grande quantità di ricordi!
69-70. Oh, quante volte cominciò a raccontare di se stesso
71. e sulle pagine destinate a durare eternamente
72. si posò la sua mano stanca!
73. Oh, quante volte, al silenzioso
74. terminare di un giorno ozioso,
75. chinati gli occhi lampeggianti,
76. incrociate le braccia sul petto
77-78. si fermò e l’assalì il ricordo dei giorni passati!
79-80. E ripensò agli accampamenti sempre spostati, alle trincee colpite,
81. e al lampeggiare delle armi dei soldati,
82. all’assalto della cavalleria,
83. agli ordini concitati
84. e all’immediato ubbidire.
85-86. Ahimè, forse l’animo spossato si lasciò andare ad uno strazio così grande
87-88. e si disperò; ma giunse dal Cielo una mano forte
89-90. e, mossa a compassione, lo trasportò in un’atmosfera più serena;
91-92. e lo indirizzò, attraverso i fiorenti sentieri della speranza,
93. ai luoghi eterni, verso il premio (il Paradiso)
94. che supera tutti i desideri dell’uomo,
95-96. dove la gloria terrena, ormai passata, è dimenticata, non conta più.
97-98. Bella immortale! Fede portatrice di bene, abituata ai trionfi!
99. Scrivi anche questo trionfo, rallegrati;
100. perché nessun uomo più grande di Napoleone
101-102. si è mai chinato ad adorare la disonorante Croce (il Golgota è il luogo della crocifissione di Cristo).
103. Tu (Fede) dagli stanchi resti mortali,
104. allontana ogni parola cattiva;
105. quel Dio che fa disperare e fa risorgere,
106. che dà dolore e consolazione,
107. sul letto di morte abbandonato da tutti,
108. riposò accanto a lui.
L’Arcangelo Michele nella religione ortodossa
Da oltre mille anni, l’Arcangelo Michele è il custode delle terre russe. Noi ortodossi riconosciamo in lui il nostro protettore dalle forze oscure. L’Arcangelo Michele ha salvato la nostra Patria molte volte dall’invasione del nemico. Ad esempio, quando nel 1239 il tataro Batu Khan, nipote di Gengis Khan e fondatore del khanato dell’Orda d’Oro nella Russia meridionale nel XIII secolo, voleva impadronirsi di Velikij Novgorod. L’Arcangelo Michele impedì al khan di attaccare la città.
Quando più tardi, nella città di Kiev, il tataro Batu Khan vide un affresco raffigurante l’arcangelo Michele, comprese che era lui che non gli aveva consentito di conquistare Velikij Novgorod.
Da allora, sulle bandiere militari dei soldati russi, si possono vedere le immagini dell’archistratega dell’esercito di Dio. Ancora oggi, l’arcangelo Michele è il protettore delle Forze Armate Russe ed è presente nel simbolo all’interno dello stemma della Federazione Russa.
Chi è l’Arcangelo Michele? Che ruolo riveste nella vita della Chiesa ortodossa e della fede cristiana? Lo scoprirete leggendo questo articolo!
Iniziamo ricordando che noi ortodossi celebriamo l’arcangelo Michele il giorno 8 novembre di ogni anno.
L’arcangelo Michele è un angelo di importanza fondamentale. Le Scritture ci insegnano che, oltre a quello fisico, esiste un grande mondo spirituale abitato da esseri intelligenti e gentili chiamati angeli. La parola “angelo” in greco significa “messaggero”. Le Sacre Scritture li chiamano così perché Dio, attraverso di loro, spesso comunica la Sua volontà alle persone. Qual è esattamente la loro vita nel mondo spirituale in cui vivono e qual è la loro attività? Non sappiamo quasi nulla e, in sostanza, non siamo in grado di capire. Sono in condizioni completamente diverse da quelle materiali: il tempo, lo spazio e tutte le condizioni di vita hanno un contenuto completamente diverso. Il prefisso “archi” ad alcuni angeli indica il loro servizio più elevato rispetto ad altri angeli.
Il nome Michael deriva dall’espressione “Mi-ka-El” che in ebraico significa “Chi è come Dio“.
La Sacra Scrittura, che parla dell’apparizione di angeli a varie persone, ne nomina solo alcuni, apparentemente quelli che hanno una missione speciale nell’instaurare il Regno di Dio sulla Terra. Tra questi ci sono gli arcangeli Michele e Gabriele, citati nei libri canonici della Scrittura. L’arcangelo Gabriele di solito appariva ad alcuni giusti come un messaggero dei grandi e gioiosi eventi riguardanti il popolo di Dio. Nel libro di Tobia, l’arcangelo Raffaele dice di se stesso: “Sono Raffaele, uno dei sette santi angeli che offrono le preghiere dei santi e ascendono alla gloria del Santo“. Da qui la convinzione che ci siano sette arcangeli in cielo, uno dei quali è l’arcangelo Michele.
L’Arcangelo Michele nelle Scritture è chiamato il “principe“, “il capo dell’esercito del Signore” ed è raffigurato come il principale combattente contro il diavolo e ogni illegalità tra le persone. Quindi, il suo nome di chiesa è “archistratega”, cioè il capo guerriero. Così, l’arcangelo Michele apparve a Giosuè come assistente, quando gli israeliti conquistarono la Terra Promessa. È apparso al profeta Daniele nei giorni della caduta del regno babilonese e dell’inizio della creazione del regno messianico. Daniele fu predetto dell’aiuto del popolo di Dio dall’Arcangelo Michele durante le imminenti persecuzioni sotto l’Anticristo. Nel libro dell’Apocalisse, l’arcangelo Michele appare come il principale combattente della guerra contro il diavolo-drago e altri angeli ribelli. “E c’è stata una guerra in paradiso: Michele e i suoi angeli hanno combattuto contro il drago, e il drago e i suoi angeli hanno combattuto contro di loro, ma non hanno resistito, e non c’era posto per loro in paradiso. E il grande drago fu scacciato, l’antico serpente chiamato diavolo e Satana“.
Nello spirito delle Sacre Scritture, alcuni padri della Chiesa vedono l’arcangelo Michele come un partecipante ad altri eventi importanti nella vita del popolo di Dio, dove, tuttavia, non è chiamato per nome. Ad esempio, viene identificato con il misterioso pilastro di fuoco che precedette gli israeliti durante il loro volo dall’Egitto e distrusse le orde del faraone nel mare. Gli viene attribuita la sconfitta dell’enorme esercito assiro che assediò Gerusalemme sotto il profeta Isaia.
La Chiesa ortodossa onora l’Arcangelo Michele come difensore della fede e combattente contro le eresie e tutti i mali. Sulle icone è raffigurato con una spada infuocata in mano o una lancia che infilza il diavolo sottomesso a terra. Spesso l’arcangelo Michele è raffigurato mentre calpesta Lucifero e, come vincitore, con un ramo verde nella mano sinistra e una lancia nella mano destra, in cima alla quale vi è uno stendardo bianco raffigurante una croce rossa, al fine di commemorare la vittoria della croce sul diavolo.
Il Crisostomo russo e arcivescovo di Cherson Nevinnij, scrisse: “L’arcangelo Michele fu il primo a ribellarsi contro Lucifero (Satana), quando questo si ribellò contro l’Onnipotente. Si sa come sia finita questa guerra, la caduta di Satana dal cielo. Da allora, l’arcangelo Michele non ha smesso di lottare per la gloria del Creatore e del Signore di ogni sorta, per l’opera di salvare la razza umana, per la Chiesa e i suoi figli“.
L’arcangelo Michele è un angelo la cui immagine appare nell’ebraismo, nel cristianesimo e nell’islam. Secondo la religione cristiana, l’arcangelo Michele è a capo del Sacro esercito, composto da angeli e arcangeli, quindi gli è stato dato il titolo di archistratega.
Ma anche se l’arcangelo Michele è venerato in tre religioni del mondo, l’origine della sua immagine è avvolta nel mistero. I ricercatori non sono d’accordo su una teoria unica. Si ritiene che il nome di Michele fosse noto già nell’VIII secolo a.C. ed era usato da persone che abitavano le rive del Tigri e dell’Eufrate. Gli storici sostengono che le leggende del santo sono radicate nella religione dell’antica Persia, in cui era consuetudine dividere i guerrieri della luce e dell’oscurità in due campi opposti.
La storia dell’arcangelo Michele risale a più di un secolo fa, la Bibbia è la sua fonte. La Bibbia racconta che molto tempo prima che il primo uomo apparisse in paradiso, scoppiò una guerra. Michele e i suoi angeli con permesso divino combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli. Fu una battaglia ammirabile, poiché si combattevano con l’intelletto e con la volontà. San Michele, per lo zelo dell’onore dell’Altissimo, di cui ardeva il suo cuore e armato della sua divina forza come della propria umiltà, resisteva alla delirante superbia del drago dicendo: “L’Altissimo è degno di onore, lode e riverenza, di essere amato, temuto e obbedito da ogni creatura. Egli è potente nell’operare tutto quanto la sua volontà vuole e ad un tempo niente egli può volere che non sia molto giusto, poiché egli è increato e indipendente da ogni altro essere. Egli ci diede il nostro stesso essere per sua sola grazia, creandoci e formandoci dal nulla, e può così creare altre creature quando e come sarà suo beneplacito. La ragione vuole dunque che noi, prostrati e umiliati dinanzi a lui, adoriamo la sua maestà e la sua regale grandezza. Venite dunque, angeli, seguitemi: adoriamolo e lodiamo i suoi ammirabili ed imperscrutabili giudizi e le sue perfettissime e santissime opere. È Dio altissimo, sopra ad ogni creatura: tale non sarebbe se noi potessimo pervenire a comprendere le sue grandiose opere. È infinito in sapienza e bontà, è ricco nei suoi tesori e benefici, e come Signore di tutto, che di nessuno ha bisogno, può comunicarli a chi più gli piace, né può fallire nella sua scelta. Può amare chi ama, donarsi a chi ama e amare chi vuole, innalzare, accrescere ed arricchire chi gli è gradito, ed in tutto sarà sempre saggio, santo e potente. Adoriamolo con rendimento di grazie per avere deciso la meravigliosa opera dell’incarnazione, per avere onorato il suo popolo e averne decretato la redenzione in caso di caduta. Adoriamo colui che è un’unica Persona in due nature, divina e umana; riveriamolo e accogliamolo come nostro capo; proclamiamo che è degno di ogni gloria, lode e magnificenza e come autore della grazia e della gloria esaltiamone la virtù e la divinità“.
Con queste armi combattevano l’arcangelo Michele e i suoi angeli, e con forti dardi ferivano il drago e i suoi, che da parte loro li avversavano con bestemmie. Tuttavia, non potendo resistere alla vista del santo principe, il drago era dilaniato dal furore e per il tormento che ciò gli infliggeva avrebbe voluto fuggire; ma la divina volontà ordinò che non solo fosse castigato, ma altresì vinto, e a suo dispetto conoscesse la verità e il potere di Dio. Diceva dunque bestemmiando: “Ingiusto sei, o Dio, ad elevare la natura umana al di sopra di quella angelica. Io sono l’angelo più eccellente e bello e a me si deve il trionfo. Io porrò il mio trono sopra le stelle, sarò somigliante all’Altissimo e mai mi assoggetterò ad alcuno di natura inferiore, né mai consentirò che alcuno mi preceda o sia più grande di me“. Le stesse cose ripetevano gli apostati seguaci di Lucifero. Ma replicò loro l’arcangelo Michele: “Chi c’è che possa uguagliarsi o mettersi alla pari col Signore che abita nei cieli? Ammutolisci, o nemico, nelle tue spropositate bestemmie, e poiché l’iniquità ti ha posseduto, allontanati da noi, o infelice, e con la tua cieca e maliziosa ignoranza incamminati alla tenebrosa notte e al caos delle pene infernali. Ma noi, o spiriti del Signore, adoriamo e veneriamo questa fortunata donna che darà al Verbo eterno carne umana, e riconosciamola nostra Regina e signora“.
È difficile tradurre in parole quanto avvenne in quella memorabile battaglia. La sintesi è che Dio volle che Lucifero fosse ignominiosamente precipitato giù dal cielo con terrore e spavento dei suoi seguaci e con stupore degli angeli santi. L’Apocalisse soggiunge e dice: “Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli. Il santo principe Michele scagliò giù dal cielo Lucifero, trasformato in drago, con questa invincibile parola: «Chi è come Dio?», la quale fu così efficace da precipitare quel superbo gigante con tutti i suoi eserciti e lanciarli con formidabile ignominia negli inferi, cominciando, dal momento stesso del suo sventurato castigo, a portare i nuovi nomi di drago, serpente, diavolo e satana, che gli impose il santo arcangelo nella battaglia e che attestano la sua iniquità e malizia“.
Quindi i cattivi non prevalsero, perché l’ingiustizia, la menzogna, l’ignoranza e la malizia non possono prevalere contro l’equità, la verità, la luce e la bontà, né mai queste virtù possono essere superate dai vizi. Perciò dice il testo sacro che da allora in poi non si trovò più posto per loro nel cielo.
L’immagine dell’arcangelo Michele è sempre presente in ogni chiesa ortodossa russa. L’arcangelo Michele è stato spesso rappresentato da artisti di epoche diverse. La sua immagine è popolare nella pittura e nella pittura di icone, sculture e vetrate. Di solito, l’arcangelo è dipinto in armature militari, modernizzato secondo il tempo in cui il personaggio è stato creato. Appare davanti allo spettatore nelle vesti di un legionario romano, dotato di una spada ordinaria o fiammeggiante. A volte una lancia appare nelle sue mani, che si trova nei disegni, dove funge da difensore del percorso verso l’albero della vita.
La testa dell’arcangelo è raramente protetta da un elmo, è invece sempre cinta da una corona che simboleggia il potere. A volte l’arcangelo Michele regge uno scudo decorato con un monogramma di lettere greche intrecciate “X” e “P”, le stelle di David e la croce. Inoltre, l’arcangelo Michele appare nelle immagini mentre colpisce Lucifero, il serpente o il mostro.
Nelle icone russe, l’arcangelo Michele è anche raffigurato in sella ad un a cavallo di un cavallo alato e mentre suo un corno.
Le icone ortodosse raffigurano l’Arcangelo Michele innumerevoli volte. L’icona più famosa che raffigura l’Arcangelo Michele è stata dipinta dal famoso pittore russo di icone Andrej Rublëv. L’arcangelo Michele è raffigurato come un guerriero in abiti scarlatti con ali dorate e una lancia tra le mani. La sua fronte è adornata da lunghi capelli fluenti sulle spalle, il suo sguardo è penetrante e rivelatore.
Inoltre nella religione ortodossa, l’arcangelo Michele, armato di spada è di guardia alle porte del paradiso. Ciò è indicato da alcune immagini ortodosse, in cui l’alone del santo è costituito da un ornamento floreale, nonché da una raccolta di miracoli dell’arcangelo Michele che ci è giunta dal Medioevo.
Vediamo allora quali sono i miracoli attribuiti all’arcangelo Michele.
Un miracolo compiuto dall’arcangelo Michele è avvenuto a Colossi, in Frigia. Molto tempo prima dell’Incarnazione di Cristo, l’arcangelo Michele mostrò in vari modi la sua sollecitudine e la sua benevolenza per il genere umano, e dopo la venuta del Salvatore in questo mondo, i segni del suo amore si fecero ancora più grandi per i cristiani. Allorché andò ad attraversare la Frigia per annunciarvi il Vangelo, l’apostolo Giovanni profetizzò, una prossima provvidenziale visita del principe degli arcangeli, Michele, in un luogo di nome Cheretopa. In effetti, poco tempo dopo, sgorgò miracolosamente da terra una sorgente che guariva tutte le malattie. Uno dei numerosi fedeli, di cui la figlia era stata guarita da quest’acqua, fece costruire sui luoghi, in segno di riconoscenza, una bella chiesetta dedicata all’arcangelo Michele. Settant’anni più tardi, andò a rinchiudersi in quella chiesa, per praticarvi l’ascesi e servire da sacrestano, un giovane uomo, di nome Archippo, originario di Ierapoli. Il suo zelo ed il suo amore per Dio erano tali che acquistò ben presto la fama di fare miracoli. Furioso di vedere questi prodigi compiersi e le grazie abbondare dalla sorgente miracolosa, il diavolo risvegliò la gelosia dei pagani dei dintorni. Dopo aver a più riprese insultato e colpito il giovane Archippo, essi pensarono una notte di murare la sorgente, ma invano, poiché il l’arcangelo Michele era invisibilmente presente per impedirglielo. Essi non si scoraggiarono e tentarono di deviare il fiume che scorreva nelle vicinanze, perché inondasse la chiesa ed i fedeli che si trovavano lì in permanenza. Ma l’impresa restò senza successo. Un’altra volta, essi deviarono due fiumi che scorrevano più su della chiesa, costruirono una muraglia e si prepararono a romperla per far inghiottire la chiesa dalle acque. Ma l’arcangelo Michele apparve al benemerito Archippo, lo rassicurò, e, simile ad una colonna di fuoco, si tenne davanti alle acque furiose che devastavano la collina. Nel momento in cui esse arrivarono vicino a Lui, colpì la pietra con la punta del bastone che aveva in mano e la roccia si aprì, lasciando passare le acque, come in un gorgo naturale, deviandole dalla chiesa. E poiché è da allora che il fiume fu come assorbito dalla roccia che quel luogo si chiama “Chonais” (imbuto), a gloria di Dio ed in onore del nostro protettore, il santo arcangelo Michele.
A Roma c’è una grande statua del tutto particolare a ricordare un miracolo dell’arcangelo Michele. La statua dell’arcangelo Michele si trova in cima a Castel S. Angelo e la sua presenza ha determinato l’attribuzione del nuovo nome al Mausoleo di Adriano. L’iconografia di questa statua è però profondamente diversa da quella canonica. L’impianto del corpo è statico, non esprime quell’energia dinamica alla quale siamo abituati. Non sta compiendo l’azione ma è fermo mentre sta per compierla. È appena atterrato, sotto i suoi piedi non c’è il diavolo, Lucifero o il drago contratto e vinto. L’arcangelo Michele tiene il braccio sollevato, nell’attimo sospeso prima di rinfoderare la spada. Un gesto di pace e di misericordia.
Gregorio Magno era subentrato nel settembre del 590 a Pelagio II, morto a causa della tremenda pestilenza arrivata dall’Egitto nell’anno precedente, che mieteva sempre più morti e sembrava non voler cessare.
Il Papa decise allora di organizzare a una litania settiforme, cioè una processione divisa in sette cortei alla quale parteciparono tutti gli ordini del clero e l’intera popolazione. Essi attraversarono così le vie della città, per portare a San Pietro l’immagine di Maria Salus Populi Romani, conservata in Santa Maria Maggiore e dipinta dall’evangelista Luca.
Gregorio di Tours, nell’Historiae Francorum e Iacopo di Varazze, nella Legenda Aurea, raccontano il memorabile prodigio in modo incalzante e accorato. Durante la processione, in una sola ora erano morte ben ottanta persone, ma papa Gregorio non smetteva di incoraggiare ad andare avanti con fede. Man mano che il corteo si avvicinava a San Pietro, l’aria diventava più leggera e salubre. Giunti al ponte che collegava la città al Mausoleo di Adriano, allora chiamato Castellum Crescentii, d’improvviso scesero dal cielo schiere di angeli che cantavano quelle che sarebbero diventate le parole del Regina Coeli.
Gli angeli planarono ancora più in basso per galleggiare sulle teste dei presenti e infine circondare il dipinto di Maria. Gregorio guardò in alto e sulla cima del castello vide la grande figura armata dell’arcangelo Michele mentre asciugava la spada dal sangue e la riponeva nel fodero. La peste a Roma era finita.
Nel tempo, in memoria dell’accaduto, il castello mutò il toponimo in Sant’Angelo e in cima fu costruita una cappella che verso la fine dell’XI secolo fu rimpiazzata da una statua dell’arcangelo Michele, prima in legno e poi sostituita da alcune in marmo e in bronzo. Nel cortile del castello è conservata la versione risalente al periodo di Paolo III, opera del toscano Raffaello da Montelupo, datata al 1544, in marmo e rame, alta poco più di 3 metri e restaurata dal Bernini nel 1660.
La statua che invece tutti noi possiamo oggi ammirare sul fastigio del mausoleo è opera dello scultore fiammingo Peter Anton Verschaffelt, che vinse il concorso indetto da papa Benedetto XIV Lambertini in occasione del Giubileo del 1750. Inaugurata solo nel 1572, la grande statua (m 4,70 x 5,40) ha un impianto classicheggiante, formato da trentacinque pezzi di bronzo sostenuti da un’intelaiatura interna, sostituita nel 1986 da una in acciaio e titanio.
Il legame dell’arcangelo Michele con la liberazione dal pericolo delle epidemie si evince anche dall’episodio avvenuto presso uno dei santuari micaelici più celebri, quello sul Gargano, quando durante la peste del 1665 apparve al vescovo lucchese Berardino Puccinelli e gli raccomandò di raccogliere le pietre del santuario per essere usate con devozione contro il morbo, che in effetti afflisse tutto il regno di Napoli, ma risparmiò il territorio di Manfredonia. Il vescovo vi incise la sigla M † A e le distribuì a tutta la popolazione. Sul luogo dell’apparizione pose una statua dell’arcangelo, mentre una copia la mandò a Lucca, scolpita con pietra proveniente da grotte vicine e che si trova tuttora a Lucca nell’antica chiesa di San Michele in Foro.
Ecco la traduzione di una preghiera quotidiana da rivolgere all’arcangelo Michele: “O santo Arcangelo, abbi pietà di noi, peccatori, che esigiamo la tua protezione e misericordia, salvaci, servitore di Dio da tutti i nemici visibili e invisibili, donaci forza contro l’orrore della mortalità e l’imbarazzo del diavolo, rendici degni di presentarci al nostro Creatore nell’ora del nostro giudizio. O santissimo, grande Michele Arcangelo! Non disprezzare noi peccatori che stiamo pregando per il tuo aiuto e la tua intercessione, ma concedici il privilegio di glorificare il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo con te per sempre“.
Il nome dell’Arcangelo Michele è associato a molti eventi in tutti gli angoli del mondo.
Sul Monte Athos c’è un intero monastero associato al nome dell’Arcangelo Michele. Secondo la leggenda, un ragazzo trovò un ricco tesoro. I ladri lo vennero a sapere e lo torturarono per farsi dire dove l’aveva nascosto. L’arcangelo Michele apparve, apparente disperse i ladri e salvò il ragazzo. Con i soldi trovati, il nobile bulgaro Dohiar costruì un tempio su Athos, dedicato all’arcangelo Michele.
I francesi credono che sia stato l’arcangelo Michele a comparire di fronte a Giovanna d’Arco e sia stato lui a liberare il paese dagli orrori della Guerra dei Cent’anni. I cristiani dei Balcani affermano che l’arcangelo Michele apparve ai martiri Flora e Laurus per insegnare loro come maneggiare i cavalli. E i copti egiziani attribuiscono miracoli all’arcangelo Michele.
Innumerevoli chiese in tutto il mondo sono state dedicate all’arcangelo Michele. Una delle più belle e più importanti è la Cattedrale dell’Arcangelo Michele che si trova a Mosca, nella Piazza delle Cattedrali all’interno del Cremlino.
Fu ricostruita fra il 1505 ed il 1508 sotto la supervisione dell’architetto italiano Aloisio Nuovo (noto in Russia con il nome di Aleviz Frjazin Novyj e forse identificabile con il veneziano Alevisio Lamberti da Montagnano), sul sito su cui sorgeva una cattedrale precedente, costruita nel 1333 da Ivan I di Russia. Contiene affreschi del XVI e XVII secolo, alcuni dei quali dipinti da Jakov di Kazan’, Stepan di Rjazan’ e Iosif Vladimirov fra il 1652 ed il 1666. La lavorazione della pietra risente chiaramente dal Rinascimento italiano. Contiene un’iconostasi dorata in legno scolpito d’altezza di tredici metri con icone del XVII e XIX secolo e lampadari a braccia del XVII secolo. All’interno di questa cattedrale furono sempre celebrate tutte le vittorie delle armate zariste.
Gli zar ed i gran principi di Mosca (tra cui Ivan I di Russia, Demetrio di Russia, Ivan il Grande, Ivan il Terribile) sono stati sepolti all’interno della cattedrale: sono presenti 46 pietre tombali ornate in pietra bianca (1636-1637) e casse in bronzo dorato (1903). Lo Zarevic Dmitrij Ivanovič di Russia, figlio di Ivan il Terribile, vi venne tumulato nel Seicento.
Qui si trova anche la tomba dell’imperatore Pietro II di Russia, l’unico monarca discendente da Pietro il Grande presente all’interno del Cremlino (e l’unico dei suoi discendenti con Ivan VI di Russia a non essere sepolto nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a San Pietroburgo).
Luca D’Agostini
Fonti
“La legge dei Padri” di Turow e il fallimento dei buoni propositi sessantottini
Ci sono tutti gli ingredienti per rendere “La legge dei Padri” (Mondadori, 1996) il grande romanzo americano, che racconta gli Stati Uniti da una insolita prospettiva. Una comunità del 1969 in cui vivevano diversi ragazzi e ragazze e che ruotava intorno all’università di Berkeley e a un feroce attivista politico maoista, Loyel Eddgar, che ha una compagna, June, e un figlio piccolo, Nile. Poi ci sono l’intrepida Sonny, figlia di un’attivista femminista e il suo compagno Seth. Poi ci sono Hobie il “nero” e il movimento delle Pantere Nere.
La storia si snoda su due diversi piani temporali. Il secondo è il 1995 quando Sonny è diventata giudice del tribunale penale nella città di Kindle County e si ritrova a capo del processo in cui Nile Eddgar è accusato di aver ucciso sua madre, June, tramite lo spacciatore e ras della mafia afro-americana di zona, Hardcore/Trent, che aveva in custodia in qualità di suo addetto alla libertà vigilata (lavoro trovatogli dal padre). La difesa di Nile, rappresentata dall’amico Hobie, cerca invece di dimostrare come dietro l’omicidio ci sia Loyel, nel frattempo diventato influente senatore democratico.
Il romanzo è puntuale, maniacale nella descrizione psicologica dei personaggi ma anche nella contestualizzazione. Soprattutto, è lo sviluppo delle vite dei singoli personaggi che apre lo squarcio più terribile sul fallimento dei buoni propositi sessantottini di una certa parte politica. La guerra tra bianchi e neri, la segregazione razziale, il divario sociale, le istanze rivoluzionarie dei movimenti della contestazione, l’accenno di lotta armata fatto sia dai maoisti che dalle Pantere Nere alla fine degli anni ’60 e all’inizio dei ’70, tutto viene inesorabilmente frullato all’interno di un’aula di tribunale nella quale salgono a galla le “migliori intenzioni” cancellate dalla spietata realtà dei fatti.
A metà degli anni ’90 gli Stati Uniti hanno conosciuto i violentissimi riots nelle periferie delle grandi città dalla West e della East Coast (che la musica rap ha cercato di interpretare) e il sogno di una integrazione e/o normalizzazione sociale si è infranto; non per via del capitalismo, che pure viene messo sotto accusa; è l’ideologia che stava alla base di quelle istanze movimentiste che ha miseramente fallito. Gli Stati Uniti degli anni ’90 erano un luogo meno sicuro e più benestante. Ma spietatamente privo di gratitudine. Non importa se il senatore Eddgar è davvero colpevole dell’omicidio su commissione di sua moglie (tanto è vero che il giudice Sonny interromperà il processo). Lui è l’imputato della storia dell’ultimo scorcio di secolo. E gli individui con le loro vicissitudini quotidiane che gli scorrono attorno e che fanno parte del suo passato e che si ritrovano tutti lì in quell’aula di tribunale (Seth anche, finito a fare il reporter) saranno la giuria che si guarderà allo specchio e si ritroverà invecchiata, velleitaria e in balia di un destino inafferrabile.
FONTE:http://www.atlanticoquotidiano.it/recensioni/la-legge-dei-padri-di-turow-e-il-fallimento-dei-buoni-propositi-sessantottini/
DIRITTI UMANI
Separare i familiari contagiati dalle proprie famiglie
In Italia c’è chi ha pensato anche che sia utile separare i familiari contagiati dalle proprie famiglie. Noi di Byoblu vi avevamo già informato delle dichiarazioni fatte da Mike Ryan, il capo del Programma di emergenze sanitarie dell’OMS, il quale sosteneva una soluzione simile.
Nel nostro Paese sarebbe il Presidente della provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti (Lega), ad esprimere lo stesso parere. In una video-conferenza Fugatti afferma: “Non è facile convincere queste persone (…) non abbiamo la potestà di imporre questo a meno che non ci sia un intervento normativo, così abbiamo posto questo tema al ministro Speranza”.
Non è mancata la risposta immediata del docente di Scienze naturali Enzo Pennetta che avverte: “Oggi separano chi è infetto dal nucleo familiare, domani potrebbero isolare chi la pensa diversamente”. Ci spostiamo poi negli USA dove proseguono le proteste dei cittadini armati in Michigan contro il lockdown.
Intanto il Papa, come Michelle Bachelet l’Alto commissario ONU per i diritti umani, in occasione della giornata mondiale della libertà di stampa, invoca un “Giornalismo libero al servizio di tutte le persone, specialmente di quelle che non hanno voce”.
Infine, lanciamo anche noi di Byoblu un appello al Presidente Giuseppe Conte affinché si occupi di più dei bambini, che soffrono maggiormente l’impossibilità di movimento e la restrizione dei contatti umani. #Byoblu24 Ci stiamo organizzando per la difesa della libertà di espressione.
Hanno già firmato 70mila persone la campagna #CogitoErgoParlo.
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ECONOMIA
Rispunta la solita idea della patrimoniale: inefficace, dannosa e statalista
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Ed anche in occasione di questa crisi devastante prodotta dalla tragedia del coronavirus qualcuno per racimolare un po di Euro ha riproposto questo odioso balzello (tassare tutti i redditi superiori agli 80.000 euro), diffondendo, oltretutto, all’interno del corpo sociale ulteriore veleno, quello dell’invidia di classe, come se non bastasse la rabbia degli italiani (si parla di circa 10 milioni di poveri nel nostro Paese, più 3 milioni rispetto al prima del virus) che non riescono nemmeno a dar da mangiare alla propria famiglia.
E cosi si riaffaccia l’ipotesi di una patrimoniale, che già nel passato si era dimostrata oltre che inefficace anche dannosa perché crea un clima di paura e di sfiducia trai risparmiatori, che pagano regolarmente le tasse; in quel ceto medio cioè che è stato già tartassato e distrutto nel corso degli ultimi anni e che ciònonostante ancora sostiene quasi per intero il gettito dello Stato.
Oltretutto la proposta viene avanzata quando è alle viste il varo d un prestito nazionale volontario da offrire ai nostri concittadini per sostenere la ripresa economica del Paese, come proposto da più parti, e che potrà avere “chances” di successo solo in un clima di fiducia e di consapevolezza della necessità di dimostrare al mondo intero che noi siamo i primi a credere nel futuro dell’Italia, diventandone i protagonisti, in base al “principio di sussidiarietà”.
Nella dottrina sociale della Chiesa i confini dello Stato rispetto alle autonomie private sono definiti appunto dal principio di sussidiarietà a cui tutte le società sono «gravemente obbligate ad attenersi» (San Giovanni Paolo II). Questo principio stabilisce che, «siccome non è lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare» (Enciclica “Quadragesimo Anno” di Pio XI, del 1931).
Compito dello Stato, dunque, è fare quello che i privati non riescono a fare da soli: è per organizzare questo “di più” che lo Stato ha diritto di esigere i necessari tributi. (cfr. Riccardo Pedrizzi, Fede, Economia e Sviluppo Edizioni Patheon).
Al principio di sussidiarietà si contrappone così lo statalismo, che dilata la spesa pubblica e, di conseguenza, aumenta la pressione fiscale. Lo stato moderno perciò allarga sempre più le sue funzioni e assume continuamente nuovi compiti. A mano a mano che la sfera del pubblico si allarga, la sfera del privato si comprime e con essa si comprime lo spazio della libertà personale. Di qui anche la necessità di avere dei “corpi intermedi” che stiano tra la persona e lo Stato, e che, come diceva il pensatore francese controrivoluzionario Louis de Bonald, proteggono la libertà per il solo fatto di esistere. Soppressi i corpi intermedi, la persona si sradica e diventa astratta, perde libertà e autonomia.
Alle esigenze diffuse, che si sono amplificate anche a seguito della tragedia della epidemia del coronavirus, va riproposta l’attualità politica del principio di sussidiarietà alla luce della formula: «tanta libertà quanta è possibile, tanto Stato quanto è necessario».
FONTE:https://www.secoloditalia.it/2020/05/rispunta-la-solita-idea-della-patrimoniale-inefficace-dannosa-e-statalista/
L’alternativa a elemosine Ue e Troika? Il messaggio di Standard & Poor’s che ci ricorda i punti di forza dell’Italia
Perché il mercato compra ancora Btp? Non per Bce, non per il Mes-Omt, non per il fantomatico Recovery Fund, non per fede europeica. Lo spiega Standard & Poor’s: il mercato compra ancora Btp, perché l’Italia ha un’economia diversificata e ricca, nessun debito estero, il debito privato più basso del G7. Per evitare la patrimoniale che causerebbe il crollo del sistema bancario, Carlo Messina pensa ad una congrua remunerazione. I tedeschi non sono d’accordo e progettano di fare imporre la patrimoniale dalla Troika
“Speravo che in Italia qualcuno si sarebbe chiesto perché uno dei Paesi più ricchi del mondo ha un Stato che da anni chiede elemosine dall’Unione europea che include Stati molto meno ricchi. Estrema inefficienza imposta dalla magistratura organizzata? Il costo della casta?”
Edward N. Luttwak, da Twitter
Le chiacchiere delle comari. Perché il mercato compra ancora Btp? Certo, lo fa a tassi crescenti, il Btp quinquennale è stato appena collocato ad un rendimento lordo dell’1,928 per cento, quello trentennale al 3,129… Ma, se avesse paura di non essere rimborsato, chiederebbe il 5 o il 7 per cento. Perché non ha questa paura, al tempo in cui il deficit tende all’8 per cento ed il debito al 155,7 per cento del Pil, al tempo in cui la spesa per interessi passa dal 3,3 al 3,7 per cento del Pil. Crede davvero che l’Italia saprà sostenere, per vent’anni, un avanzo primario del 5 per cento, uno sforzo mai visto in natura?
No problem, risponde il Sole24Ore: c’è Bce. “L’Italia può contare sul sostegno della Bce che non si è risparmiata in queste settimane nel fornire supporto sui mercati”. “Senza la Bce saremmo probabilmente nel mezzo di una pesantissima crisi finanziaria e lo Stato non avrebbe risorse per muoversi”, aggiunge Cottarelli.
Peccato che i grandi acquisti di Bce durino solo sinché la fase critica della pandemia di Covid-19 si sarà conclusa. Peccato, che Bce stia acquistando molti più Btp che Bund e nei prossimi mesi sarà vero il contrario, visto che deve sempre prevalere la capital key. Per soprannumero, Bce non può acquistare più di 1/3 dei Bund in circolazione. Infine, il 5 maggio Karlsruhe emetterà sentenza. Anche andasse tutto bene, ci ricorda Penati, i soldi di Bce bastano solo a finanziare le nuove emissioni: “Non c’è paracadute se il Tesoro avesse difficoltà a rinnovare il debito in scadenza”. Ma non andrà tutto bene.
No problem, risponde l’ad di Banca Intesa Carlo Messina: c’è il Mes-Sanitario, “senza condizioni… Sarebbe ideale in quanto permetterebbe di agganciare il programma OMT, che dura tre anni e ha il vantaggio di non avere limiti quantitativi”.
Peccato che tali affermazioni siano errate: il Mes-Sanitario non consente a Bce di attivare lo OMT, lo OMT non è illimitato, Mes-Sanitario non è “senza condizionalità”. Come confermato dalla bozza di “Term sheet”, nel frattempo fatta filtrare dal Mes.
No problem, risponde il Sole24Ore: c’è il Recovery Fund, “una variabile decisiva… Occorre accelerare al massimo i tempi… un credibile e massiccio piano di finanziamento del nuovo Piano per la ricostruzione, il segnale non potrà che essere univoco”.
Peccato che la bozza filtrata dalla Commissione descriva una robetta: un “fondo per la ripresa mirato e temporaneo” da 320 miliardi. Aggiungiamo pure 100 miliardi del Sure, fanno appena 420 miliardi, da dividersi fra tutti i Paesi Ue, quindi anche Polonia, Estonia, etc. Per giunta, in gran parte a titolo di prestito secondo l’art. 122 TFUE che prevede “condizioni”, esattamente come il Mes, ma senza neppure il teorico appiglio agli acquisti OMT di Bce.
No problem, risponde Sallusti de il Giornale: “La salvezza dell’Italia non può che passare dall’Europa. Che avvenga per senso di giustizia, per solidarietà o per interesse, a questo punto poco importa”. L’Europa è una religione. Amen.
Peccato che il mercato sia ateo. Quindi, deve esserci qualche altro motivo.
Back to the world. Il motivo ce lo squaderna, bel et bien, Standard & Poor’s, che ha appena confermato il rating bbb dell’Italia. Nel suo ultimo rapporto, uscito venerdì.
L’Europa? Beh, “gli attuali assetti dell’Eurozona non sono ottimali”. Sì, certo, Bce “is backstopping”, sta sostenendo il Btp. Ma ciò vale per qualunque Paese del mondo. Inoltre Bce è incapace di raggiungere “l’obiettivo di inflazione (…) Tra oggi e il 2022, prevediamo che l’inflazione in Italia rimarrà significativamente al di sotto dell’obiettivo del 2 per cento circa della Bce”. In una parola, l’Eurozona genera uno “svantaggio rispetto alle aree monetarie più antiche come gli Usa e la Gran Bretagna e, per l’Italia, “comporta una perdita di flessibilità monetaria quando le tendenze della competitività divergono da quelle degli altri grandi membri dell’Eurozona”.
Meglio guardare altrove.
E non si fa gran fatica, perché il concetto è scritto chiaro: “L’economia diversificata e ricca, il credito netto sull’estero ed il debito privato più basso del G7”.
Cominciamo dal fondo: “I livelli del debito privato italiano sono i più bassi, sia nel G7 che nell’Europa occidentale. Alla fine del 2019, il debito di famiglie e società non finanziarie sommava al 110 per cento del Pil contro il 114 in Germania, il 150 in Spagna e il 250 nei Paesi Bassi”, “i livelli di debito privato (famiglie più imprese) sono i più bassi nel G7 e i più bassi dell’Europa avanzata”. Non basta? “Incluso il debito del settore finanziario, i livelli complessivi del debito privato in Italia sono diminuiti di 48 punti di Pil, addirittura più del debito pubblico, che è aumentato (27 punti), dall’inizio della crisi finanziaria globale”.
Al punto che, “uno dei motivi della bassa crescita dell’Italia è la propensione del settore privato a risparmiare piuttosto che a spendere” (!). Non le mitiche “mancate riforme strutturali”, non “la burocrazia”… ma il risparmio. Per meglio dire, il disindebitamento: gli italiani sono stati troppo bravi a pagare i propri debiti, perciò non crescono (!!). Qualcuno lo spieghi a Cottarelli.
Risaliamo. “L’Italia è un creditore esterno netto. Il surplus delle partite correnti è l’ottavo in ordine di grandezza al mondo”. Non solo, “prevediamo che la posizione netta del creditore esterno in Italia continuerà ad aumentare nel prossimo decennio”, perché il coronavirus porta con sé un calo dell’export ma pure dell’import, sicché “l’Italia continuerà a gestire un avanzo delle partite correnti di circa il 2,6 per cento del Pil rispetto al 3 per cento dell’anno scorso”.
Il tutto, grazie alla sua economia diversificata e ricca: “Dopo la Germania, l’Italia è l’economia più aperta del G7, con esportazioni pari al 32 per cento del Pil italiano. L’Italia rimane il settimo maggiore esportatore al mondo ed è un’economia diversificata e ricca, senza una singola categoria di esportazione superiore al 4,5 per cento del totale”.
Morale: “Riteniamo che livelli di debito pubblico ancora più elevati possano essere sostenibili in economie come quella italiana”. Nonostante gli attuali assetti dell’Eurozona non siano ottimali e nonostante il perenne fallimento di Bce a raggiungere un pur miserando obiettivo di inflazione.
A very Italian Dilemma. Risolto il mistero: il mercato compra ancora Btp, perché emessi da uno Stato seduto sul debito privato più basso del G7, su nessun debito estero netto.
In una parola, l’Italia non ha debito. Per paradossale che possa sembrare, questo è ciò che comprende il mercato. Perché sa che lo Stato potrà sempre finanziarsi ricorrendo alla ricchezza dei propri Sudditi.
Per lo stesso motivo, non ha alcun senso tutto questo parlare di ricorso ad aiuti europei, giacché nessuno mai ha “salvato” un Paese che non ha debito. Agli italiani che lo invocano, i tedeschi ridono semplicemente in faccia. E fanno bene, i tedeschi.
Problema, i Sudditi dello Stato italiano, oggi, non finanziano il loro Signore. Di nuovo Carlo Messina: “Solo il 4 per cento dei titoli di Stato è nei portafogli delle famiglie italiane. È da qui che occorre cominciare per una svolta”. Come? “Rendimenti competitivi”, “il problema fondamentale è il tasso di interesse”. Chiosa Onado, “se oggi i risparmiatori italiani hanno pochi titoli in portafoglio… è perché i tassi di interesse degli ultimi anni sono scesi a livelli prossimi allo zero… Occorre quindi puntare su condizioni diverse e più convenienti rispetto a quelle oggi diffuse”.
Obiettivo? Messina, “far salire dal 5 al 10-20 per cento la parte del debito pubblico controllata dal risparmio privato italiano”. Chiosa Onado, prepararsi a quando le banche centrali avranno cessato di comprare.
Già dicemmo su Atlantico Quotidiano, che avremmo visto l’establishment baloccarsi con la idea del prestito a lungo termine o irredimibile, ventilata da Monti e De Bortoli, dal viceministro Misiani, da Giovanni Bazoli, persino dalla Grande Sardina. Con Messina ed Onado, assistiamo ad una lieve maturazione: concederebbero un rendimento decente, quanto meno. Perseverano, però, nell’errore di pensare che ciò sia possibile fare in regime di libera circolazione dei capitali. Non considerano che un modesto tasso di interesse non consentirà mai ad attirare un simile monumentale travaso di risparmio dai conti correnti ed asset al Btp, dell’ordine di 500-750 miliardi almeno; nemmeno in grazia de “l’orgoglio di essere italiani”, invocato da Messina. Per attirarlo, lo Stato dovrebbe offrire un tasso di interesse talmente alto, da rendersi per ciò stesso inaffidabile. Non considerano, insomma, che il travaso potrà spontaneamente avvenire unicamente in regime di repressione finanziaria: di controlli movimenti capitali.
Pure Minenna è fermo alla alternativa secca fra “congrua remunerazione” e patrimoniale, eventualmente in forma di prestito forzoso.
Ma ci arriveranno.
Meanwhile in Germany. Ci arriveranno perché una sola cosa è possibile in regime di libera circolazione dei capitali: la patrimoniale. Con buona pace di Enrico Letta.
Certo, i nostri l’hanno scartata. Bazoli: “La patrimoniale non è possibile politicamente, e darebbe un gettito inferiore alle aspettative”. Messina: “Non si può imporre alle famiglie italiane”. Le ragioni le spiega Penati: “Una mega patrimoniale risolutiva, senza un’uscita dall’euro… causerebbe il crollo del sistema bancario”.
Per sfortuna loro, i tedeschi non l’hanno scartata affatto. Come ci mostrano due recenti articoli.
Il primo, di Daniel Stelter, un ascoltato consulente aziendale: “In nessun Paese il settore privato è così poco indebitato come in Italia! In nessun luogo le famiglie sono così poco indebitate e solo in Germania le società hanno meno debiti rispetto al Pil (…) Non solo, le famiglie italiane, secondo tutti i dati disponibili, sono significativamente più ricche di noi tedeschi, ma sono anche meno indebitate”. Bref: “Quindi, è naturale sollevare la questione del perché l’Italia non si aiuti da sola. Ovviamente, non si tratta di un problema di debito eccessivo, bensì di un’errata distribuzione tra il settore statale e quello privato”.
Le stesse cose che diceva Messina, come si vede. La ricetta, però, è opposta: “Gli italiani hanno un patrimonio privato di 9.900 miliardi di euro. Il debito dello stato italiano è di 2.500 miliardi di euro. Prima del coronavirus, il Pil italiano era di 1.800 miliardi di euro. Una tassa del 20 per cento sulla ricchezza privata ammonterebbe a 1.980 miliardi di euro: allo stato resterebbero, quindi, debiti per 520 miliardi di euro, che corrispondono a meno del 30% del Pil”. Da far tremare le ginocchia.
Ma non è tutto: “La Germania – prosegue Stelter – dovrebbe offrire il proprio aiuto, in particolare con investimenti diretti, prestiti e sostegno mirato al sistema sanitario. In cambio, dovremmo sollecitare la partecipazione del settore privato italiano”. Tradotto: se mai Roma chiedesse accesso al Mes, in cambio la Troika non porterà soldi, ma li porterà via. Li porterà via dai conti correnti degli italiani.
Il secondo, Sven Afhüppe, sul prestigiosissimo Handelsblatt: “Osservando le statistiche della Banca centrale europea, si nota che i cittadini dei Paesi attualmente più interessati dal coronavirus, come l’Italia, la Spagna o la Francia, sono significativamente più ricchi rispetto alla Germania. Questo non è solo perché la proprietà immobiliare in questi Paesi è significativamente più grande. Piuttosto, la distribuzione della forza finanziaria tra lo stato e il settore privato è in un precario squilibrio… Cittadini ricchi, stato povero”.
Di nuovo, le stesse cose che diceva Messina. Di nuovo, la ricetta è opposta: “In Italia, a differenza della Germania, la richiesta di maggiori tasse sulla eredità e sulla ricchezza per finanziare gli oneri speciali della pandemia della coronavirus, è assolutamente giustificata”.
Di nuovo, la soluzione è collegata all’intervento del Mes: “L’assegnazione degli aiuti dovrebbe essere collegata a requisiti di riforma specifici”. Requisiti di riforma specifici, che sono, appunto, la patrimoniale.
Capito, cari Messina e Bazoli, cosa vi stanno cucinando in Germania? Vi stanno cucinando esattamente quella “mega patrimoniale risolutiva, senza un’uscita dall’euro … [che] causerebbe il crollo del sistema bancario” e che suscita il giustificato terrore di Penati.
Una alternativa la avete: far imporre il controllo movimenti capitali. In fretta. Idealmente stasera. Al più tardi dopo che il 5 maggio avrà parlato Karlsruhe. Fate presto!
FONTE:http://www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/lalternativa-a-elemosine-ue-e-troika-il-messaggio-di-standard-poors-che-ci-ricorda-i-punti-di-forza-dellitalia/
GIUSTIZIA E NORME
Decreto Cura Italia: le novità in tema di sanzioni, patenti e Rca
Una Circolare del Ministero dell’Interno fornisce chiarimenti e note operative alla luce delle modifiche introdotte in sede di conversione del D.L.18/2020
Avv. Laura Biarella
Il Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, con una Circolare del 30 Aprile, indirizzata a Prefetture, Questure, e i vari Compartimenti di Polizia, ha fornito alcuni chiarimenti in ordine agli effetti, sui termini dei procedimenti amministrativi e sull’efficacia degli atti amministrativi, prodotti dalla modifica di alcune norme del decreto Cura Italia (d.l. n. 18), ad opera della legge di conversione, n. 27 del 24 aprile 2020.
Sommario
- Le modifiche in sede di conversione
- Termini procedimentali
- Termini per irrogare le sanzioni per il mancato rispetto delle misure di contenimento
- Termini per la comunicazione dei dati personali e della patente di guida
- Scadenza di validità della patente di guida
- Proroga termini in ambito assicurativo
- Notifica atti e verbali a mezzo posta
Le modifiche in sede di conversione
Premettendo che talune modificazioni, introdotte in sede di conversione al Cura Italia, concernono articoli relativi alla sospensione dei termini dei procedimenti amministrativi, il Viminale ha reputato necessario fornire ulteriori precisazioni ed indirizzi operativi rispetto a quelli già forniti con precedenti circolari.
Termini procedimentali
Quanto ai termini procedimentali, la legge di conversione aggiunto il comma 1 bis all’articolo 103 del Cura Italia, secondo il quale il periodo di sospensione previsto dal I comma, fino al 15 aprile, trova applicazione pure per i termini di notificazione dei processi verbali di esecuzione del pagamento in misura ridotta, di svolgimento di attività difensiva, nonché per la presentazione di ricorsi giurisdizionali. Con l’entrata in vigore del decreto legge n. 23 dell’8 aprile, il periodo di sospensione deve essere aggiornato alla luce di quanto stabilito dall’articolo 37 del medesimo decreto, il quale ha prorogato al 15 maggio il termine del 15 aprile, indicato dal comma I dell’articolo 103 del Cura Italia. Per l’effetto, il Ministero dell’Interno ha chiarito che il termine vigente del 15 maggio è riferibile anche ai procedimenti sopraindicati, i cui termini, di conseguenza, risultano sospesi dal 23 febbraio al 15 maggio.
Termini per irrogare le sanzioni per il mancato rispetto delle misure di contenimento
I termini per irrogare le sanzioni previste dall’articolo 4 del decreto legge n. 19, come anche quelli per la presentazione dei relativi scritti difensivi, si intendono sospesi fino al 15 maggio.
Termini per la comunicazione dei dati personali e della patente di guida
La sospensione dei termini di cui all’articolo 103, I comma, del Cura Italia, comprende anche i termini per la comunicazione dei dati personali e della patente del guidatore del veicolo, di cui all’articolo 126 bis del C.d.S., nonché per ottemperare all’invito di presentarsi all’ufficio di Polizia per dare informazioni ovvero esibire documenti, come indicato da una circolare del Viminale del 2 Aprile. Lo stesso Ministero chiarisce che anche tali termini risultano sospesi fino al 15 maggio.
Scadenza di validità della patente di guida
L’articolo 104 del Cura Italia, in tema di validità dei documenti di riconoscimento ed identità, tra i quali è compresa anche la patente di guida, è stato modificato in sede di conversione, dove è stato precisato che la proroga al 31 agosto produce effetti unicamente per i documenti con scadenza a decorrere dal 31 gennaio, come peraltro era stato già indicato nella circolare del MIT del 19 marzo.
Proroga termini in ambito assicurativo
L’articolo 125 del Cura Italia ha previsto che, fino al 31 luglio, il periodo entro cui la compagnia è tenuta a mantenere la garanzia prestata tramite il contratto assicurativo scaduto, e non ancora rinnovato, viene portata a 30 giorni. Per effetto della modifica apportata in sede di convenzione, la stessa previsione trova applicazione per i contratti scaduti e non ancora rinnovati e per i contratti che scadono nel periodo ricompreso tra il 21 febbraio e il 31 luglio.
Di conseguenza, la copertura assicurativa si intende valida fino ai successivi 30 giorni dalla scadenza, anche per tutti i contratti che già risultavano scaduti e non rinnovati nell’intervallo tra il 21 febbraio e il 16 marzo, e ciò per quanto concerne gli effetti che detta previsione produce per eventuali violazioni ex articolo 193 C.d.S., accertate tra il 21 febbraio ed il 16 marzo. Il Viminale ha precisato, inoltre, che la proroga della copertura assicurativa fino a 30 giorni, trattandosi di una estensione della garanzia operativa per i soli contratti scaduti, non si applica ai contratti rispetto ai quali è stata richiesta la sospensione di validità.
Per effetto delle suindicate disposizioni, fino al 31 luglio è consentita la circolazione di veicoli con polizza scaduta fino a 30 giorni successivi rispetto alla sua validità. Inoltre, fino al 31 luglio non è applicabile il la disposizione contenuta nel comma 3, primo periodo, dell’articolo 193 C.d.S., secondo il quale in ipotesi di circolazione con assicurazione scaduta sussiste la possibilità di ridurre alla metà la sanzione amministrativa pecuniaria, quando l’assicurazione del veicolo è comunque resa operante nei 15 giorni successivi il termine previsto dall’articolo 1901, comma 2, c.c. Detto termine è di 15 giorni ma resta assorbito nella possibilità di non applicare sanzioni per 30 giorni successivi alla scadenza.
Notifica atti e verbali a mezzo posta
In sede di conversione è stato finanche modificato l’articolo 108 del Cura Italia, così fornendo nuove indicazioni sulle modalità di notifica di atti giudiziari e verbali di contestazione di illeciti stradali a mezzo posta, quindi statuendo che dal 30 aprile, che corrisponde alla data di entrata in vigore della legge di conversione, per effettuarla, si seguiranno di nuovo le procedure ordinarie dettate dalla legge n. 890 del 1982. L’articolo 108 ha inoltre statuito che per atti e verbali depositati presso gli uffici postali e non ritirati dagli interessati tra il 17 marzo ed il 30 aprile, la compiuta giacenza, ai sensi dell’articolo 8 della legge 890, inizia decorre dal 30 aprile. Per l’effetto, per tali atti, la notifica si intende validamente effettuata al 10 maggio. Tuttavia, per l’adempimento degli obblighi o l’esercizio delle facoltà concesse al destinatario degli atti, deve essere considerata la sospensione dei procedimenti, con la conseguenza che anche per gli atti ed i verbali in questione, che sono da considerare notificati per compiuta giacenza dal 10 maggio, gli effetti per i destinatari principiano a decorrere dal 15 maggio.
MINISTERO DELL’INTERNO, CIRCOLARE 30 APRILE 2020>> SCARICA IL PDF
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FONTE:https://www.altalex.com/documents/news/2020/05/02/decreto-cura-italia-rca-patenti-sanzioni
L’ATTESTAZIONE (DI DICHIARAZIONE) DI SUSSISTENZA DI CAUSE DI FORZA MAGGIORE PER EMERGENZA COVID-19 RILASCIATA DALLA CAMERA DI COMMERCIO
Di fronte alla difficoltà di molte imprese nostrane ad adempiere alle proprie obbligazioni contrattuali a causa della situazione creatasi a seguito delle misure di emergenza introdotte dalla scoperta di focolai di coronavirus anche nel nostro Paese ed in considerazione delle conseguenze contrattuali e risarcitorie che ciò può comportare, specialmente per le imprese italiane che operano nel commercio internazionale, il Ministero dello Sviluppo Economico, con circolare n. 0088612 del 25 marzo 2020, ha chiarito che le Camere di Commercio possono rilasciare attestazioni si sussistenza di cause di forza maggiore.
Ciò ha lo scopo di intervenire in particolare a supporto delle imprese italiane che operano con l’estero, per agevolare la prova dell’esistenza di una situazione di forza maggiore, ossia imprevedibile al momento della conclusione del contratto e non imputabile alla parte inadempiente, che tuttavia impedisce o ritarda l’adempimento di obbligazioni assunte contrattualmente dalla parte, al fine di escluderne la responsabilità e salvaguardare il rapporto contrattuale inciso dalla situazione emergenziale.
Per essere più precisi, la Camera di Commercio non potrà verificare ed attestare l’effettiva esistenza di una causa di forza maggiore, restando pertanto discutibile l’effettiva efficacia probatoria del documento in un eventuale contenzioso relativo ad eventuali ritardi e/o inadempimenti contrattuali ed alle loro conseguenze.
Per essere chiari, ove al contratto sia applicabile la legge italiana – circostanza non scontata – e salve eventuali specifiche previsioni contrattuali a tal riguardo, per sottrarsi a responsabilità ai sensi dell’art. 1218 del Codice Civile italiano, ovvero alle altre conseguenze applicabili in caso di ritardo o inadempimento della propria prestazione, sarà il debitore a dover dimostrare la sopravvenienza di una situazione di impossibilità, che era imprevedibile usando l’ordinaria diligenza e comunque a lui non imputabile, prova tutt’altro che semplice da dare, in considerazione del livello di prova richiesto dalla giurisprudenza in materia di forza maggiore ed impossibilità di ovviare all’impedimento mediante altre soluzioni ragionevoli che potrebbero consentire ugualmente l’esecuzione dell’obbligo contrattuale in questione.
Ciò potrebbe variare ove il contratto in questione fosse soggetto alla legge di un altro paese o previsioni di convenzioni internazionali.
Ciò premesso, il documento che potrà essere rilasciato dalle Camere di Commercio su richiesta delle imprese interessate consiste in realtà in una dichiarazione, in lingua inglese, sullo stato di emergenza in Italia conseguente all’emergenza epidemiologica da Covid-19 e sulle restrizioni imposte dalla legge per il contenimento dell’epidemia, nell’ambito della quale la Camera di commercio attesta meramente di aver ricevuto dall’impresa richiedente una dichiarazione in cui detta impresa afferma di non aver potuto assolvere nei tempi agli obblighi contrattuali precedentemente assunti per motivi imprevedibili e indipendenti dalla volontà e capacità aziendale, in considerazione delle restrizioni disposte dalle Autorità di governo e allo stato di emergenza in atto in Italia.
Si tratta pertanto di un’attestazione che ha ad oggetto la dichiarazione – di parte – di sussistenza di cause di forza maggiore, senza che tuttavia dia luogo a verifiche con forza di accertamento circa il fatto dichiarato dall’impresa interessata.
Si sottolinea pertanto che tali attestazioni non sembrano idonee a sostituire l’onere della prova in capo al soggetto impossibilitato ad adempiere o in ritardo nel proprio adempimento contrattuale, pur rappresentando tuttavia un ulteriore strumento a disposizione delle nostre imprese che ben può avere una sua efficacia argomentativi nei rapporti tra le parti e che potrebbe comunque essere utile richiedere e tenere nel cassetto, se ci si trova in siffatte circostanze, anche in vista di possibili futuri contenziosi, unitamente ad ogni altro elemento utile a dimostrare, all’occorrenza, le cause dell’impossibilità e gli sforzi sopportati al fine di superare, o cercare di superare, gli impedimenti emersi nel corso dell’emergenza Covid-19 per adempiere, per quanto possibile, alle proprie obbligazioni, anche attraverso soluzioni alternative ragionevolmente possibili.
Ciò anche in considerazione del fatto che la norma speciale di cui all’art. 91 del D.L. Cura Italia di recente convertito in legge n. 27/2020, introdotta con riguardo alla responsabilità per ritardi o inadempimenti contrattuali non esclude automaticamente la responsabilità della parte inadempiente, ma impone al giudice di valutare a tali fini i rispetto delle misure di contenimento adottate dalle autorità italiane, anche con riguardo ad eventuali decadenze o penali connesse a ritardi o inadempimenti.
FONTE:http://www.salvisjuribus.it/lattestazione-di-dichiarazione-di-sussistenza-di-cause-di-forza-maggiore-per-emergenza-covid-19-rilasciata-dalla-camera-di-commercio/
Bonafede resiste sulla poltrona. Ma le accuse di Di Matteo pesano
Di Matteo era il tipico esemplare di magistrato osannato dai Cinquestelle. Lotta alla mafia boom boom. Magari anche con qualche svarione, però nella cosiddetta narrazione questa roba ci stava bene.
Bonafede “prescritto” dal Pd su Di Matteo
Poi, tutto si lacera. Bonafede propone incarichi di rilievo a Di Matteo, a cui non dispiacerebbe la guida del dipartimento delle carceri, il Dap. Quando devono chiudere la pratica Bonafede ci ripensa.
Oggi il Pd – ed è fantastico – rimprovera Di Matteo: ma insomma, sono passati due anni! In pratica Bonafede resterebbe l’unico italiano a cui applicare una sorta di prescrizione breve…
Ma non è uno scherzo. Perché si racconta che tra la decisione di nominare Di Matteo a quella di non nominarlo più ci sia stato uno strano giro di intercettazioni portate a conoscenza del ministro. Il che sarebbe ancora più grave. Da arresto.
Di più. Nelle conversazioni si percepiva la rivolta dei mafiosi detenuti nel caso di nomina di Di Matteo. Per il quale non abbiamo alcun motivo di simpatia così come non si dovrebbe averla per nessun magistrato, proprio nel nome del principio di indipendenza.
Ma abbiamo il diritto di sapere se per un ministro nelle carceri deve comandare Cosa Nostra. E se non è così – come sinceramente auspichiamo – se Bonafede non si dimette è perché querela Di Matteo. Altro non può esserci.
Quelle accuse vanno chiarite. E Mattarella?
Assistiamo stupiti alla lite in corso e ci chiediamo fino a che punto può arrivare. Uno come Di Matteo non va in televisione a lanciare quelle accuse senza avere frecce al suo arco. Bonafede ha il dovere di essere molto preciso, altro che dire che il magistrato “ha percepito male”. Non facciamo ridere, per favore, perché c’è solo da piangere.
Perché mentre questi due se le danno di santa ragione, gli ergastolani escono di galera e Bonafede scarica su altri le responsabilità politiche che esistono eccome.
La trasmissione “Non è l’Arena” in cui è divampata la polemica ha avuto una eco enorme. Bonafede pensa che il fuoco possa spegnerlo con un post su Facebook che indispettisce il suo avversario di oggi. Perché è sempre Di Matteo a confermare tutto quello che ha detto da Giletti.
Anche qui, dovrà parlare chi dice di non voler parlare mai. Ma se uno è ministro e l’altro membro del Csm c’è anche chi è presidente del Consiglio superiore della Magistratura e si chiama Sergio Mattarella. Il Capo dello Stato deve pretendere che esca fuori la verità perché senza verità i due contendenti non possono restare entrambi al loro posto. E magari farla sapere anche al popolo italiano e ai tanti che soffrono per una giustizia che non funziona. Sul tavolo c’è anche questo, tra politica e magistratura.
IMMIGRAZIONI
Altri due sbarchi di migranti a Lampedusa: in 136 sull’isola
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Contro i lavoratori dipendenti
Lavoro e libertà
Una questione aporetica?
Si dice libera quella cosa che esiste per la sola necessità della sua natura, e che si determina ad agire da sé sola; mentre necessaria, o piuttosto coatta, quella che è determinata da altro ad esistere ed operare secondo una certa e determinata ragione
Baruch Spinoza
Per essere concreta e avvertirvi, ma anche per costruire un orientamento, in questo scritto, io voglio parlare, sebbene finirò con astrarre concetti e situazioni, delle condizioni di vita materiale di Cristina, autista di ambulanze del pronto soccorso e operatrice di primo soccorso, per il servizio privato convenzionato con la sanità pubblica, costretta ad aprire partita iva, poi assunta con contratto a termine alle stesse medesime condizioni della partita iva, e che adesso ha aperto un negozio per animali; voglio parlare di Giovanni, fonico audio video per una società appaltatrice della Rai e di molte reti TV, che per più di 10 anni ha fatto tutti i giorni ore di lavoro straordinario per mansioni appartenenti ad un livello contrattuale molto più remunerato di quello in cui lo hanno inquadrato e dimesso per giunta per il mancato pagamento dello straordinario che era obbligato a svolgere; e voglio parlarvi di Ugo, avvocato del lavoro che difende lavoratrici e lavoratori e guadagna qualcosa, davvero, solo se vince le cause nonostante lavori anche nelle cause che non vince (che si sa, alla fine sono i giudici a decidere!); voglio parlarvi di Stefano, un quadro nel CCNL Commercio, dapprima per note società di comunicazione e poi per una grande fondazione culturale, e che sebbene ben pagato dopo colpi di testa e trattative all’ultimo rischio, di fatto non smette mai di lavorare. Di Luigi, rider di Foodora, di Elena, grafico editoriale, pubblicitaria, che crea siti web ed è web designer, e che dipinge, di Grazia, maestra precaria, di Stefano, giornalista, voglio parlarvi delle operaie e degli operai della fabbrica sociale che è il mondo della produzione di valore da cui veniamo sfruttati ogni giorno.
Sproni – Il lavoro come questione: «la produzione della produzione».
In questi giorni «domiciliari», complice una pandemia e la crisi del lavoro tout court, ho ripensato a uno scambio sorto sui social network di qualche tempo fa, stimolato dalla recensione che Giuseppe Allegri ha fatto su OperaViva Magazine, dal titolo «Dentro, oltre e contro la società automatica» del saggio di Bernard Stiegler, «La società automatica. 1. L’avvenire del lavoro»1. Il dibattito sorto dentro di me, e che poi ho «socializzato», e su cui sono stata sollecitata a ragionare, ruota intorno alla ormai annosa questione teorica e dicotomica tra lavoro subordinato e lavoro autonomo e alle loro tutele, questione che si riflette sulla dicotomia salario/reddito, nel tempo dell’intera vita messa a lavoro2, e quindi sul tema del non lavoro. Allegri, con Stiegler, nella sua recensione, espone il tema in maniera più sottile e raffinata, con la descrizione del senso dell’opera di Stiegler, in questi termini: «contribuire a fomentare l’invenzione di una società post-salariale dentro e contro le sfide dell’innovazione tecnologica nella società digitale che diviene automatica».
E in effetti, Stiegler, in uno degli oltre cento paragrafi di cui si compone il saggio, capitolo dal titolo «Il diritto del comune, il lavoro e il sapere», pone la necessità di «configurare il nuovo pharmakon» che è il linguaggio contemporaneo, e cioè la scrittura reticolare in cui il web consiste, che distruggerebbe il simbolico (!?) e aprirebbe a un destino «automatico»; Stiegler si esprime chiaramente verso la necessità di «porre nuovamente la questione del diritto», «su nuove basi», «non solo dal punto di vista della tecnologia del potere, ma anche da quello farmacologico, imprescindibile per la costituzione organologica dell’individuazione noetica3, e in quanto apre originariamente la questione dell’ergon (opera), dunque del lavoro come trans-formazione… bisogna ripensare il lavoro in relazione con la fine dell’impiego (e ben lungi dalla fine del lavoro…), che ne ha sovradeterminato la comprensione sottomettendolo alle dogmatiche del capitalismo caratteristiche del XX secolo: il lavoro torna a essere la prima questione. L’impiego ha disintegrato il lavoro così come la governamentalità integralmente computazionale disintegra oggi l’individuazione collettiva. Il lavoro non è l’impiego, non possono essere confusi, a meno che non si consideri il lavoro solo come la costrizione a sussistere… Piuttosto il lavoro è costitutivo sia del piano dell’esistenza che di quello della consistenza… ripensare il lavoro all’epoca degli automi che nel giro di vent’anni avranno liquidato la maggior parte degli impieghi è farne la funzione-chiave di un nuovo concatenamento della politica, dell’economia, dei saperi»4.
Ecco, non posso non essere d’accordo con la posizione di Stiegler sulla centralità del lavoro – e per ora su questo – nel nostro mondo contemporaneo, sulla necessità di ripensarlo, sull’opportunità di scrivere ex novo le regole che sovraintendono alla libertà e alla dignità di chi lavora. Non ci soffermeremo sulla nota distinzione, operata già da molti tra cui Hanna Arendt in Vita Activa, tra «Lavoro, opera e azione», così come quella classica tra vita contemplativa e vita activa, e tuttavia questo affascinate stimolo va, a mio avviso connesso con la realtà materiale storica. Se politicamente le considerazioni di Stiegler costituiscono un forte sprone rispetto all’obiettivo (più o meno realistico nel breve, medio e lungo periodo) dell’emancipazione dalla schiavitù del lavoro, d’altro canto, nella realtà dei fatti, sembra poco interessante (e a tratti deleterio) porre la questione nei termini per cui, ferma la necessità di un reddito universale e incondizionato (e aggiungerei dignitoso, perché sfido a vivere una vita dignitosa con un reddito di base di € 600/700 al mese) il lavoro autonomo/indipendente, sarebbe preferibile a quello subordinato/salariato; e poco funzionale, se non addirittura ontologicamente errata, ritengo anche la contrapposizione netta tra «reddito» e «salario», laddove il reddito è una misura universalistica e slegata dalla prestazione di lavoro, mentre il salario è il compenso esclusivamente del lavoro subordinato (a tempo determinato e part time, di apprendistato, tirocinio, ecc.), pur non esaurendo le forme di remunerazione delle altre tipologie di lavoro: coordinato e continuativo, autonomo, professionale, a prestazione, a chiamata, intermittente, in nero, ecc… né le tipologie di compensi previsti per tutte queste altre tipologie. Ciò che voglio dire è che il lavoro non si remunera solo attraverso il «salario», e non è il salario (inteso come una delle forme di remunerazione del lavoro) a distinguere il lavoro che sopravvive dall’impiego che va morendo, potendo parlare, indifferentemente di salario, retribuzione, assegno di ricerca, un onorario, cachet, paga, (riferendoci sempre a del denaro in cambio di una prestazione di lavoro), come di forme di compenso del lavoro (non per forza sotto forma di impiego, in greco «emplekô»: avvolgo, intreccio, tesso; «emplekòmai»: do opera, attendo), e che l’eliminazione del salario, cui «la sinistra» resterebbe, malinconicamente e in modo nefasto, legata, impedendo l’evoluzione del lavoro liberato dalla «dipendenza», forse non basta a eliminare la strutturale distinzione e asimmetria tra sfruttatori e sfruttati.
Il tempo: quale indipendenza nel lavoro indipendente?
«In tutte le condizioni il tempo di lavoro che necessita alla produzione dei mezzi di sussistenza ha interessato gli uomini, sebbene ciò non avvenga nella stessa maniera nei gradi di sviluppo. In ultimo, quando gli uomini lavorano in una qualunque maniera l’uno per l’altro, il lavoro ottiene anche una forma sociale… Il segreto della forma di una merce sta dunque solo nel fatto che tale forma ridà agli uomini come uno specchio l’immagine delle caratteristiche sociali del loro proprio lavoro, come proprietà sociali naturali di quelle cose, e perciò ridà anche l’immagine del rapporto sociale tra produttori e lavoro complessivo, facendolo sembrare come un rapporto sociale tra oggetti che esista al di fuori di loro5… Ma che cos’è una giornata lavorativa? Comunque sia, è meno di un giorno naturale di vita»… tuttavia «il capitale è lavoro morto che resuscita, come un vampiro, solo succhiando lavoro vivo, e tanto più vive quanto più ne succhia»6.
Dal rapporto annuale «Il mercato del lavoro 2019»7, pubblicato il 09.03.2020 sul sito dell’ISTAT, emerge che «su 23,4 milioni di occupati, circa 18 milioni sono lavoratori dipendenti, mentre gli indipendenti sono 5,4 milioni circa; aumentano le diseguaglianze territoriali, nel 2019 la distanza tra il Mezzogiorno e il Centro-nord è di oltre 20 punti per il tasso di occupazione; Nel Mezzogiorno il part time involontario sfiora l’80% contro il 58,7% nel Centro-nord… la probabilità di essere in part time involontario per una donna occupata è circa tre volte superiore a quella di un lavoratore; inoltre in Italia il ricorso al part time si lega più a strategie delle imprese che a esigenze degli individui»; quanto ai licenziamenti, nel 2018 se ne sono registrati 579 mila cui non si cumulano le dimissioni per giusta causa. Un abuso costante dello strumento dei contratti a tempo determinato, nonostante le modifiche introdotte dal d.l. 87/2018 (decreto dignità) convertito nella l. n. 96/2018 e ulteriormente modificato dalla legge n. 128/2019, si registra nonostante il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato continui ad essere la «forma comune» dei rapporti di lavoro sia per il diritto interno che per quello eurocomunitario.
Per quanto riguarda la qualificazione dei rapporti di lavoro (autonomo/subordinato), è utile prendere in considerazione il d. lgs 81/2015 come da ultimo modificato, all’art. 2, co.1, e che comunque non si applica alle pubbliche amministrazioni, il quale prevede che «… si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali». Il tema del lavoro nelle piattaforme (che automatiche ancora non sono, quanto alle direttive impartite alla gente che pedala e che consegna) è interessante in merito al dibattito di cui ci stiamo occupando su autonomia e subordinazione8. Con il darsi del capitalismo cognitivo, ciò che sfugge alla determinazione classica del prezzo del lavoro (e quindi della sua «equa» remunerazione) in funzione del valore prodotto, è il tempo come misura adeguata, è la crisi del concetto di valore stesso, quindi. Prendiamo l’Art. 36 della Costituzione italiana che riconosce il diritto di chi lavora «ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». Quantità e qualità, libertà e dignità.
Stando a questi parametri, il lavoro autonomo oggi è sottopagato rispetto al lavoro dipendente (lungi da me l’esaltazione di quest’ultimo, ma restiamo sull’analisi), nella maggior parte dei casi, proprio per l’assenza di retribuzioni minime al di sotto delle quali non sono garantite libertà e dignità, e anche quando vi sono tariffari fissati dalla legge, questi non rientrano nelle tutele del lavoro, perché chiunque ha una partita iva si deve rivolgere al giudice civile per chiedere una condanna al pagamento, come fosse un’impresa, non al giudice del lavoro, anche le possibilità di sindacalizzazione risultano imprese titaniche9. E poi c’è il «corollario» della malattia non pagata (le ferie, ça va sans dire), della difficoltà di accedere alle diverse forme di «disoccupazione» o di «maternità», perché alcuni lavori non è possibile quantificarli in giornate di lavoro. Scrivo un libro per un compenso di x euro: quante giornate di lavoro sono calcolabili come corrispettivo del compenso unico che ho ricevuto per completare l’opera? A complicare ancor di più le cose vi è poi la categoria del «lavoro immateriale», che può essere dipendente (salariato), o autonomo/indipendente.
Nel capitolo terzo di «Il lavoro immateriale», intitolato, «La mobilitazione totale», André Gorz, precisa che «l’attività di produzione di sé è una dimensione necessaria di ogni lavoro immateriale e che questo tende a fare appello alle stesse capacità e alle stesse disposizioni personali delle attività libere al di fuori del lavoro… È impossibile sabotare un lavoro che mobilita la nostra capacità senza incorrere nel disprezzo proprio e degli altri… Il problema, allora, consiste nel sapere come non investire la propria dignità in un’attività indegna… Per il solo fatto di essere contrattuale, il rapporto salariale riconosce la differenza, anzi la separazione delle parti contraenti e dei rispettivi interessi. Esso ha un carattere emancipatore in quanto limita il diritto dei datori di lavoro e gli obblighi dei salariati a una determinata prestazione di lavoro. Traccia perciò una frontiera tra la sfera del lavoro e quella della vita personale, privata»10.
Un rapporto contrattuale sinallagmatico è un rapporto che in teoria circoscrive diritti ed obblighi reciproci. Non a caso, nei rapporti di lavoro dipendente, a rafforzare tale carattere di limite al potere datoriale, vigono anche i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, che nascevano in epoca fascista per neutralizzare la lotta di classe, ricevevano un riconoscimento formale nella Costituzione del ’48 e si stabilizzavano come strumento di contrattazione sociale reale solo nel «biennio di lotta» 1968-1970, lotte che hanno altresì prodotto l’ormai compianto «Statuto dei lavoratori» (l. n. 300/1970). Ancora, la durata massima della giornata di lavoro è sempre a norma dall’art. 36. Cost., stabilita dalla legge in 8 ore di lavoro, ed è altresì costituzionalmente previsto il «diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite» cui non si può rinunziare, cioè si tratta di diritti indisponibili perché fondamentali e quindi irrinunciabili (pensiamo al paradosso delle ferie forzate).
Ma a parte il dato macroscopico di limiti al potere datoriale che, sempre teoricamente, sono posti per i lavoratori e le lavoratrici subordinati, e non per quelli autonomi (perché ontologicamente liberi di decidere quanto tempo lavorare, salvo poi la necessità imprescindibile di garantirsi una vita libera e dignitosa…), l’elemento contrattuale ha anche un valore simbolico, come percezione del limite personale di ciascuno all’immedesimazione col proprio lavoro. Ma mentre può, quindi, sussistere la percezione della differenza tra il tempo della vita e il tempo del lavoro, occorre prestare attenzione al fatto che, nell’ambito del lavoro immateriale, esiste un alto livello di formazione e/o specializzazione, per essere competitivi sul mercato del lavoro.
Queste spicciole considerazioni, hanno a mio avviso il senso di mettere in guardia dal ritenere la qualificazione del lavoro autonomo come una conquista, al contrario11. Non c’è necessariamente identificazione tra prestazione di lavoro autonoma, e quanto intende Marx con il lavoro liberato dallo sfruttamento e cioè come «manifestazione di libertà», «oggettivazione/realizzazione del soggetto», «libertà reale», «autorealizzazione dell’individuo»12. In queste condizione poste dal liberismo sfrenato, «la vita diventa il capitale più prezioso. La frontiera del lavoro e non lavoro si cancella, non perché le attività lavorative e quelle non lavorative mobilitano le stesse competenze, ma perché il tempo della vita ricade interamente sotto il dominio del calcolo economico, sotto il dominio del valore»13. Ma se il lavoro fosse la realizzazione della nostra libera personalità, dire che la nostra intera vita è messa a lavoro è un dato positivo o negativo?
Il saggio che mi è servito per focalizzare questo punto lo devo a Cristina Morini e Andrea Fumagalli, che in «La vita messa a lavoro: verso una teoria del valore-vita», approfondiscono la questione in tal senso: «le caratteristiche del lavoro del biocapitalismo sono molteplici e aprono nuovi scenari analitici: esse hanno a che fare con l’attività relazionale (è dunque lavoro relazionale), con l’attività di apprendimento e di trasmissione di conoscenza (è dunque lavoro linguistico-cognitivo), con l’attività di produzione di immagini e di senso (è dunque lavoro simbolico), con l’attività del corpo e dei sensi (è dunque lavoro corporeo e sensoriale), con la messa in gioco dei sentimenti e della cura (è dunque lavoro affettivo). In una parola, il lavoro nel biocapitalismo è la summa delle facoltà vitali-cerebrali-fisiche degli esseri umani. Lo definiamo per semplicità biolavoro» per brevi punti caratterizzandolo in come il superamento tra: la «separazione tra tempo di vita e tempo di lavoro»; la «separazione tra luogo di lavoro e luogo di vita»; la «separazione tra produzione e riproduzione»; la «separazione tra produzione, circolazione e consumo»14.
E mentre assistiamo alla creazione di applicazioni che consentono screening medici dettagliatissimi da remoto, o che offrono la possibilità di tracciare la storia delle future interazioni tra le persone (con il solo scotto di creare banche dati ancora più dettagliate in vista del controllo globale), emblematico, in questo periodo di emergenza sanitaria, è la sperimentazione massiva dello smart working, immerso nel biocapitalismo cognitivo. Così, mentre per il lavoro dipendente è agevole delimitare l’invasività di questa modalità di svolgimento della prestazione di lavoro, complice l’esistenza di una normativa a riguardo, tra diritto alla disconnessione e il limite ai poteri di controllo datoriale15, tema che ha a che fare con la salute psicofisica di chi lavora e con il diritto al riposo, nel lavoro autonomo tale confine è indecifrabile, al più resta relegato alla coscienza individuale. Praticamente per non produrre riducendo tutto a mercanzia, si dovrebbe smettere di vivere, o inventare nuove forme di vita individuale e collettiva.
Il reddito: quale autonomia nel lavoro autonomo?16
Se questa idea di una autonomia davvero autonoma, di una «bella» indipendenza, si consolida nei Tribunali, con sentenza crudeli nei confronti di lavoratrici e lavoratori salariati/subordinati/finti autonomi (come avviene sempre più spesso), in vista di una emancipazione dalla schiavitù del lavoro che non può non partire dalla concreta trasformazione delle relazioni di produzione, e abbracciando un dato ideologico poco connesso con esse, questa prospettiva (ipotetica), della non ancora – società post salariale (perché non ancora – automatica, soprattutto nel lavoro cognitivo/immateriale, ma si pensi alla logistica, ai rider, alle colf e badanti e al lavoro di cura, al lavoro artistico in generale, al lavoro sportivo), si ripercuote in modo concretamente molto negativo sulla vita delle persone. Bisogna perciò essere molto responsabili nel calibrare gli slanci, e nello sbandierare soluzioni. Nei Tribunali, si finisce, concretamente, ad assolvere, a darla vinta, agli imprenditori sfruttatori perché sarebbe più bello se fosse possibile scegliere se, quando come e su cosa lavorare, teoricamente.
Quanto, quindi ai mezzi di produzione, guardando grossomodo in faccia alla realtà, al momento non possediamo fabbriche, non possediamo piattaforme, non possediamo grossi aggregati di diritti d’autoreo di brevetti, non possediamo sistemi di accumulazione globale di dati, non possiamo costosi software, non abbiamo un accesso libero alla rete, abbiamo i computer, e la potenza dei nostri corpi, le nostre competenze, attitudini, intelligenze, insieme alla possibilità della libera scelta di disporre del nostro tempo.
D’altra parte come si costruisce un nuovo modello economico? Ne abbiamo il potere? Perché, in fin dei conti, io penso che il lavoro vada pagato dignitosamente (attraverso un salario, una retribuzione, un assegno, un onorario, un cachet…) e penso pure che c’è molto poca autonomia nel cosiddetto lavoro autonomo (nella committenza è implicita una parte di eterodirezione), perché il lavoro è autonomo davvero solo se già si posseggono i mezzi per godere di una vita dignitosa (che non è costituita solo dal mettere un piatto a tavola, e avere un tetto sulla testa, ma anche dall’accesso alla cultura, all’arte, ai viaggi, all’ozio, allo svago, allo sport, al desiderio, all’immaginario, ecc.). Ad oggi la questione del reddito di base universale e incondizionato, del reddito di esistenza, del reddito di autodeterminazione (dispositivi diversi dall’attuale reddito di cittadinanza ispirato ad una concezione workfaristica della vita) si presenta, almeno, duplice: c’è chi in esso vede il mezzo per sottrarre la vita all’immaginario mercantile e alla messa a lavoro totale, e chi in esso vede una necessaria retribuzione del tempo fuori lavoro il cui contributo alla produttività del lavoro è diventato decisivo.
A mio avviso oggi non è tanto da considerarsi l’an della misura (di una misura ancora vergognosamente inattuata, e immagino come necessaria, in tal senso, una direttiva europea che ne obblighi ciascuno stato membro alla istituzione), ma il quantum! Un quantum che non può non essere misurato sul costo medio di una vita libera e dignitosa, che questo quantum contribuisca a raggiungere questo costo medio per chi ha un reddito da lavoro, ovvero che ne costituisca l’intero ammontare poco importa, ma va determinato il costo medio reale pro capite di una vita libera e dignitosa. Perché forse in Francia gli intermittenti dello spettacolo hanno delle garanzie economiche maggiori rispetto all’Italia, ma se ci si ammala o si va in maternità un ingaggio lo si perde comunque e il sostegno che si riceve, non può mai compensare il valore del lavoro/vita che si è perduto (che implica anche aspetti non economicamente rilevanti nel lavoro autonomo, mentre in quello subordinato non sempre, almeno, anche perché grossomodo il posto di lavoro lo si conserva).
Il lavoro nello spettacolo risulta paradigmatico, anche in merito alla misure apprestate dal Governo italiano per far fronte all’emergenza lavorativa ed economica conseguente al distanziamento sociale attuato per contenere la diffusione del virus Covid-19. E così, mentre migliaia di lavoratrici e lavoratori continuano ad andare nelle fabbriche (non – ancora automatizzate) rischiando evidentemente la vita, e Confindustria spinge per una riapertura totale delle attività produttive in nome del profitto, altre migliaia di lavoratrici e lavoratori, come quelli del settore dello spettacolo dal vivo (ma ogni forma di prestazione occasionale, in nero, di lavoro di cura, artistico, sportivo, per citarne solo alcune), restano per lo più senza diritti, senza tutele e senza mezzi di sostentamento.
Ci troviamo, anche a mio avviso, a vivere uno stato di eccezione, per dirla alla Agamben17, il quale, sebbene sulla connotazione epidemica del Covid-19 ha toppato, sulla accettazione incondizionata di misure repressive della libertà personale ma non della libertà di «produrre, consumare e crepare», ci ha visto lungo. Tali misure si concretano ogni giorno negli abusi dei pubblici ufficiali che infliggono multe, sempre più spesso in modo insensato e fuori-legge, sempre più spesso a persone che escono di casa per lavorare. Perché lo stato di eccezione, non si misura solo con il dato tecnico-giuridico giustificato dall’emergenza (distinguendosi questa da quella eccezione di schmittiana memoria), ma anche con il governo della vita, nel presente e nel futuro, e con la nostra capacità di adattamento alla coercizione, anche incosciente.
La solita «In – conclusione»
Per voler tornare al punto dai cui siamo partite, e cioè porre nuovamente la questione del diritto su altre basi, ma anche la questione della lotta connessa alla appropriazione e alla riappropriazione dei diritti, è bene sottolineare che qui l’obiettivo è mettere in luce una «contraddizione fondamentale»18 nel pensiero giuridico liberale, contraddizione che, a mio avviso agiamo spesso inconsapevolmente, anche quando assumiamo come dicotomici i termini lavoro autonomo/lavoro subordinato e reddito/salario, mettendo insieme argomenti retorici doppi che risolvono i casi in modi opposti, incompatibili e che corrispondono a distinte visioni della natura umana e della realizzazione delle persone. Questa contraddizione, illuminata storicamente dai Critical Legal Studies, è almeno triplice:
1) è quella tra valori o desideri, ritenuti arbitrari e soggettivi, e fatti oggettivi e soggettivi nella ricerca della verità morale.
2) è quella tra individualismo e «altruismo» o comunitarismo (altruismo che Dunkan Kennedy identifica come l’accettazione di standard attenti alla situazione concreta, di principi ad hoc).
3) è quella tra volontarismo (l’azione umana sarebbe il prodotto della volontà individuale che si autodetermina) e determinismo (attraverso cui l’attività dei singoli è il risultato della struttura esistente).
Andrebbe, allora, recuperata l’originalità dell’analisi critica che risiede nel mostrare come queste opposizioni non siano delle opposizioni alternative, ma rientrino organicamente nella struttura della società contemporanea, la determinino sin dall’origine del sistema socio-politico ed economico capitalistico, il quale, quindi, non è in grado di superare realmente questi contrasti perché fondato su di essi. Il diritto (la dottrina giuridica) è un’entità relativamente autonoma, nella quale non ci si scontra per finta ma in cui si combattono delle battaglie mortali per il potere da parte dei gruppi sociali organizzati. Il pensiero giuridico tradizionale ha sempre privilegiato uno, e solo uno, dei termini della contraddizione fondamentale. É ora di smetterla di semplificare misurando retoricamente la giustezza dell’una o dell’altra posizione, è ora di provare a comprendere davvero l’incommensurabilità della cooperazione sociale e riappropriarsene, perché il domani che ci aspetta sarà caratterizzato dalla messa in opera di tutta la nostra potenza contro un sistema di controllo e sussunzione globale che noi stessi dobbiamo essere in grado di fronteggiare, guardando in faccia tutta la crudeltà della realtà che viviamo e vivremo.
Sarebbe molto utile, a mio avviso, provare a fare una ricostruzione storica delle modifiche della l. n. 300/70 e con essa confrontarci sulle opzioni possibili oltre che teoricamente anche in termini pragmatici, di proposta e lotta sul miglioramento delle tutele del lavoro (e del non lavoro) tout court, insistendo quindi sulla «disciplina» normativa applicabile ai casi concreti e non sulla «creazione di nuove fattispecie», parametro privilegiato anche dalla Corte di Cassazione nella Sent. n. 1663 del 24/01/2020, che esprimendosi sull’art. 2, d. Lgs. 81/2015 in merito ai riders, ha esteso a questi ultimi tutte le tutele del lavoro subordinato, e parallelamente tenendo imprescindibilmente conto della urgenza di un reddito universale, incondizionato e dignitoso.
Breve bibliografia online sul reddito:
CLAP – Camere del lavoro autonomo e precario,
https://www.dinamopress.it/news/cose-reddito-quarantena/?fbclid=IwAR2c0nVtfF0JIuE5MTfOidTRy9tjN1Bn0WBpvifTlXmkfn2mhfbx30P0bhA
BIN Italia,
https://www.bin-italia.org/emergenza-covid-19-ampliare-la-platea-del-reddito-di-cittadinanza-renderlo-piu-universale-possibile-eliminare-condizionalita-e-obblighi-delle-politiche-attive/?fbclid=IwAR08kpFuidDE9aolcd3LBB-tV-5RuQoK1ZzMtx9SZnX3nvx-LD7PZy0ASyA;
https://www.bin-italia.org/miseria-della-quarantena-ricchezza-del-possibile-riflessioni-sulla-necessita-di-un-reddito-di-base-alla-luce-del-covid-19/?fbclid=IwAR3J3MrvtRq6V2DDyDlifW9m6wOH0I0UoSe478Mofi-wd9lZRkOcyyfu4vE
https://www.bin-italia.org/contro-la-subordinazione-diritti-reddito-liberta/
Cristina Morini
https://ilmanifesto.it/reddito-di-base-liberare-il-tempo-autodeterminare-la-vita/
Intervista a Cristian Marazzi
https://www.forumalternativo.ch/2020/04/17/un-reddito-di-base-incondizionato-come-via-d-uscita/?fbclid=IwAR3vorI6MBFc7MS017DGeNnR-VeSp0bcy0alINbQpVmEbZzGwi2cjWmrc5w
NOTE
1. | ↩ | B. Stiegler, La società automatica. 1. L’avvenire del lavoro, Meltemi, 2019. |
2. | ↩ | Antonio Negri e Michael Hardt, Il lavoro di Dioniso, manifestolibri, 1995, p. 13-17 «Il concetto di lavoro fa riferimento, innanzi tutto, al problema del valore. Nell’uso che ne facciamo, infatti, i concetti di lavoro e di valore si implicano a vicenda. Con lavoro intendiamo una pratica che produce valore. In questo senso il lavoro funziona come chiave di analisi della società permeata dalla produzione di valore. Mettere a fuoco il processo di valorizzazione sembra il metodo più adeguato per riconoscere la produzione non semplicemente come creazione di conoscenze e di identità, ma della società e delle soggettivazioni che la animano – in ultimo, per riconoscere la produzione della produzione… il lavoro non può essere definito semplicemente come attività, ma come specifica attività socialmente riconosciuta in quanto produttiva di valore». |
3. | ↩ | Nella fenomenologia di E. Husserl (1859-1938), per «noesi» si intende l’aspetto soggettivo del processo conoscitivo, cioè la pluralità delle operazioni con cui si giunge a prendere coscienza dell’oggetto dell’esperienza (per es. il giudizio, il ricordo, la percezione, ecc.). |
4. | ↩ | Bernard Stiegler, La società automatica. 1. L’avvenire del lavoro, Meltemi, 2019, pag. 281-284; |
5. | ↩ | Karl Marx, Il Capitale, Libro Primo Il processo di produzione del capitale, Sez. Prima, Merce e denaro, par. 4 «Il carattere di feticcio della merce e il suo segreto», Newton Compton, 2005, pp. 76-77 |
6. | ↩ | Ivi, p. 181 |
7. | ↩ | https://www.istat.it/it/files//2020/03/Nota-stampa-Rapprto-mercato-del-lavoro-2019.pdf, si confronti anche con https://www.documentazione.info/occupazione-in-italia-ecco-i-numeri; |
8. | ↩ | Corte di Cassazione, Sent. n. 1663 del 24/01/2020 |
9. | ↩ | Su questo, già André Gorz, Metamorfosi del lavoro. Critica della ragione economica, Bollati Boringieri, 1992, pp. 75-84 |
10. | ↩ | Andé Gorz, Il lavoro immateriale, pag. 17-19; Continua Gorz, nel capitolo dedicato all’imprenditore di se stesso: «la sussunzione totale della produzione di se da parte del capitale incontra dunque dei limiti insuperabili, almeno fino a quando sussiste tra l’individuo e l’impresa, tra la forza-lavoro e il capitale, una eterogeneità che permette alla prima di sottarsi al gioco, di rifiutarsi alla messa al lavoro totale. Basta enunciare questo ostacolo alla sussunzione totale perché balzi agli occhi il mezzo per aggirarlo: la differenza tra il soggetto e l’impresa, tra la forza lavoro e il capitale deve essere soppressa: la persona deve diventare in se stessa un’impresa, deve diventare in sé stessa, in quanto forza-lavoro, un capitale fisso che richiede di essere continuamente riprodotto, modernizzato, valorizzato…deve essere il proprio produttore, il proprio datore di lavoro e il proprio venditore, costringendosi a imporsi i vincoli necessari per assicurare la vitalità e la competitività dell’impresa che essa è. Insomma: il salariato deve essere abolito». |
11. | ↩ | Federico Chicchi, Anna Simone, La società della prestazione, Ediesse, 2017, sul tema dell’imprenditoria del se dal punto di vista sociologico. |
12. | ↩ | Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, vol. I, 1968, p. 278-279 |
13. | ↩ | ivi, 5. La vita è business, p. 19 -20 «dovranno esserci solo imprese individuali di prestazione di servizi individuali. Ciascuno deve sentirsi responsabile della propria salute, della propria mobilità, della propria attitudine agli orari variabili, dell’aggiornamento delle proprie conoscenze. Deve gestire il proprio capitale umano per tutta la durata della vita, continuando a investire in essa con stage di formazione, e capire che la possibilità di vendere la propria forza-lavoro dipende dal lavoro gratuito, volontario, invisibile mediante il quale saprà produrla continuamente di nuovo». L’azienda potrà quindi scaricare su una massa di collaboratori esterni, interinali, temporanei, indipendenti veri o falsi, professionisti di alto livello, «una parte crescente del costo (del valore) della forza-lavoro. Essa esternalizza a loro spese tutto o una parte del costo della formazione continua, dell’assicurazione malattia, dell’assicurazione vecchiaia. Acquista i loro servizi trattandone il prezzo, li mette in concorrenza tra loro, si riserva la possibilità di far variare in forti proporzioni il volume di lavoro che chiede loro, senza doversi preoccupare della durata del lavoro stesso, senza dover licenziare, assumere, indennizzare». |
14. | ↩ | Andrea Fumagalli, Cristina Morini, in Sociologia del Lavoro, 115/2009 – pp. 94-116, e liberamente scaricabile sul sito Academia.edu a questo link https://www.academia.edu/8658241/La_vita_messa_a_lavoro_verso_una_teoria_del_valore-vita, pag. 8 e 9 citate, ma si vedano anche i seguenti riferimenti alle pag. 3 e 4: «Nel biocapitalismo il valore risiede insomma, innanzitutto, nelle risorse intellettuali e relazionali del soggetto, e nella sua capacità di attivare scambi che possano essere tradotti in valore di scambio, cioè «monetizzabili». Non si mette più sul mercato forza lavoro o astratte giornate-uomo bensì una soggettività con un suo patrimonio esperienziale, relazionale, creativo, la «potenza» del soggetto. Se nel modello fordista era facile calcolare il valore del lavoro sulla base di un output medio e di una professionalità legata all’esperienza e alla formazione del lavoratore, nel biocapitalismo il valore del lavoro perde quasi ogni possibilità di concreta definizione. L’autonomia del lavoro intellettuale rispetto a quello materiale non è un fatto naturale, originario e immutabile, nel capitalismo. Essa ha avuto possibili esplicazioni nel corso dell’organizzazione del lavoro e della produzione, particolarmente accentuate in determinate fasi storiche (il lavoro intellettuale che partecipa alla direzione e all’organizzazione del lavoro manuale). Tutto ciò è ancora effettivo, oggi? La produzione e l’organizzazione del lavoro propri del biocapitalismo non vanno introducendo qualcosa di diverso, oggi? Che cosa si intende per lavoro materiale e che cosa per lavoro intellettuale? Sia il lavoro intellettuale che quello materiale devono essere ricondotti, per capirne la reale funzione, non a una categoria generale ma in «forma storica determinata». Ragionare sul problema del valore presuppone anche la messa in discussione di una separazione che ci appare, anch’essa, poco rappresentativa di una realtà che sembra attualmente avere piuttosto nella sussunzione di tutte le differenze uno dei suoi principali punti di forza. La complessità del mondo viene scomposta e messa al servizio di un criterio di produttivita», ma si veda anche Cristina Morini, https://operavivamagazine.org/la-cura-del-capitale/ |
15. | ↩ | S. Apa, Smart working al tempo del Coronavirus fra diritto alla disconnessione e poteri di controllo. |
16. | ↩ | Sul reddito di base, onde evitare di dilungarmi oltremodo, alla fine del saggio, indicherò una bibliografia base sul tema, prodotta solamente negli ultimi mesi, in cui il dibattito su questo corposo e significativo tema, si è moltiplicato esponenzialmente. |
17. | ↩ | https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-una-domanda |
18. | ↩ | A. Andronico, La decostruzione come metodo. Riflessi di Derrida nella teoria del diritto, Giuffrè Editore, 2002. |
FONTE:https://operavivamagazine.org/lavoro-e-liberta/
PANORAMA INTERNAZIONALE
La geopolitica delle rotte marittime
L’osservazione delle rotte marittime dice molto sulla storia degli uomini, dei loro scambi, e della loro volontà di potenza. L’espansione del commercio ha spinto l’uomo a conquistare gli oceani, le rotte si sono spostate e ampliate. Le potenze marittime hanno tracciato rotte, esplorato stretti e scavato canali in grado di cambiare i rapporti di forza globali. Fino a disegnare il mondo in cui oggi si muovono risorse naturali, manufatti e navi da guerra.
Introduzione
Uno degli argomenti dialettici della geopolitica è la contrapposizione tra potenze di terra e potenze di mare. Al di là delle semplificazioni che spesso caratterizzano questo approccio, di sicuro c’è che dietro la visione strategica di potenze terrestri e marittime c’è una concezione diversa – spesso opposta – di immaginare lo spazio, il diritto, la politica e la strategia per la conquista dell’egemonia. Se guardiamo alla storia moderna e contemporanea, vediamo che le potenze di terra come Russia, Cina e Germania hanno una vocazione spaziale possessiva, vocata al dominio diretto dello spazio confinante. Una concezione del potere produttivista e disciplinata, dove lo spazio vitale è spazio nazionale, destinato a scontrarsi inevitabilmente con in limiti dell’espansione territoriale.
Se invece guardiamo alle potenze di mare come l’Inghilterra, l’Olanda, la Spagna e successivamente fino ad oggi gli Stati Uniti, vediamo un approccio mercantile, una visione universale e un’attitudine coloniale. Una vocazione spaziale connettiva idealmente senza limiti, fondata sul controllo delle rotte commerciali e degli snodi e colli di bottiglia su cui queste fanno perno. Le potenze marittime hanno prodotto grandi aggregati transcontinentali unificati dal commercio, e il mondo che oggi definiamo “globalizzato” non è altro che questo: un grande aggregato transcontinentale di relazioni commerciali composta da navi che attraversano gli oceani, lungo rotte e colli di bottiglia oggi controllati direttamente o indirettamente dagli Stati Uniti, l’unica potenza in grado di attivarsi rapidamente in tutti i punti nevralgici dei sette mari. I trasporti aerei e le telecomunicazioni globali (grazie cavi che attraversano gli oceani) avrebbero meno significato senza questa interconnessione marittima.
Cenni storici
A partire dalla fine del XV secolo, la padronanza degli strumenti di navigazione e il progresso tecnico della costruzione navale hanno permesso agli europei di allontanarsi dalle loro coste per lanciarsi alla conquista degli oceani. Cristoforo Colombo tracciò una prima rotta transatlantica alla ricerca di un passaggio marittimo verso l’India, imbattendosi nel continente americano. Successivamente, fu il portoghese Vasco da Gama a trovare il passaggio verso l’India, costeggiando l’Africa occidentale e passando per il capo di Buona Speranza. Queste due rotte segnano l’inizio di una conquista oceanica che dalla fine del XVIII secolo collegherà commercialmente l’intero pianeta. Un secolo dopo, la costruzione di due enormi canali, Suez in Egitto e Panama in America centrale, intensificherà questo movimento e aprirà nuove rotte.
Nel 1869 il canale di Suez viene aperto alla navigazione. L’enorme progetto franco-egiziano collega il Mar Rosso al Mediterraneo, permettendo alle navi di compiere il viaggio dalla Cina alla Francia in 40 giorni contro i 50 della rotta che circumnaviga l’Africa. Un risparmio di tempo e denaro che ha ridato centralità al Mare Nostrum. Lungo 190km, il canale di Suez ospita più dell’8% del traffico marittimo mondiale ed è controllato dall’Egitto. Ancora oggi è un passaggio fondamentale, di recente è stato ampliato di 35km per raddoppiare la sua capacità di passaggio. Pochi anni dopo l’apertura di Suez, sono gli americani a lanciare un altro progetto di costruzione: il canale di Panama, che aprirà nel 1914 dopo circa 30 anni di lavori. Il passaggio collega l’oceano Atlantico e Pacifico, senza dover più circumnavigare tutto il Sudamerica passando da Capo Horn, permettendo così di risparmiare oltre 12.000km di tragitto. Il canale di Panama percorre 77km attraverso l’America centrale, vede transitare circa il 5% del commercio mondiale ed è stato anch’esso potenziato fino a raddoppiarne la capacità grazie a un complesso sistema di chiuse.
Il mare oggi
La rivoluzione costituita dall’apertura di questi due giganteschi canali è stata accompagnata da un forte aumento del tonnellaggio delle imbarcazioni. Oggi su una nave vengono trasportate 100 volte più merci rispetto a un secolo fa. Ciò riduce i costi e piazza il commercio marittimo in testa rispetto a tutte le alternative, un primato impareggiabile che riguarda quasi il 90% del commercio mondiale. Oggi sono oltre un milione le navi che solcano le autostrade del mare. Si è passati da mezzo miliardo di tonnellate trasportate negli anni ’50 a circa 11 miliardi nel 2017, distribuiti come segue: 40% di prodotti sfusi, principalmente minerali e cereali, 32% di idrocarburi e 27% di merci.
Lo sviluppo del traffico marittimo e delle navi container ha contribuito alla crescita inarrestabile del commercio mondiale, che ha progressivamente abbandonato le rotte storiche che collegavano Europa e America attraverso l’Atlantico per orientarsi verso il Medio Oriente e l’Asia. Oggi a primeggiare nel commercio mondiale sono la Cina e i suoi vicini. Nel 2018 tra i primi venti porti commerciali globali, 15 erano asiatici di cui 9 cinesi. L’aumento delle merci e degli scambi trasportate via mare ha donato un grande potere ai paesi che controllano i colli di bottiglia – choke points – del mare, quei punti di passaggio obbligatori che se venissero bloccati interromperebbero l’intero traffico mondiale. Vista l’importanza che ha assunto l’interscambio tra Europa, Asia e Medio Oriente, oggi i passaggi più importanti sono lo stretto di Malacca e lo stretto di Hormuz.
Il passaggio più importante è lo stretto di Malacca. Situato tra l’Indonesia, la Malesia e Singapore, è larga solo 30km. Lo stretto è saturo, da solo concentra il 15-20% del traffico mondiale. Per la Cina il transito navale nello stretto di Malacca è questione di vita o di morte, da esso dipendono gli approvvigionamenti energetici e le esportazioni. La determinazione con cui Pechino promuove il progetto delle nuove vie della seta e punta al controllo del Mar Cinese Meridionale è dovuto proprio a questo, a controllare e trovare alternative a questo passaggio obbligato (argomenti trattati qui e qui).
Il secondo passaggio fondamentale è lo stretto di Hormuz, il vaso di Pandora geopolitico per eccellenza. Largo circa 30km, lo stretto controllato congiuntamente da Iran e Oman è il luogo in cui passa circa un terzo del petrolio mondiale. Oggi il libero transito di Hormuz è più importante per l’Asia che per l’Europa, ma in caso di grave crisi con le potenze occidentali l’Iran potrebbe prendere il controllo dello stretto destabilizzando il commercio mondiale, rendendo necessaria una reazione militare degli Stati Uniti, a quel punto chiamati a ristabilire davanti agli occhi del mondo la loro supremazia. Durante il 2019 diverse petroliere hanno subito attacchi attribuiti all’Iran, le tensioni per ora si sono attenuate ma possono riaccendersi in qualsiasi momento (argomento trattato qui).
Un altro passaggio obbligato nel Medio Oriente è lo stretto di Bab el-Mandeb, l’ingresso dall’oceano Indiano al Mar Rosso, quindi al canale di Suez e al Mediterraneo. Situato tra il Gibuti e lo Yemen, questo passaggio (anch’esso largo solo 30km) è teatro di tensioni a causa degli scontri tra i ribelli Huthi, sostenuti dall’Iran, e il governo yemenita, sostenuto dall’Arabia Saudita e dai separatisti del sud. Sull’altra sponda il corno d’Africa e la Somalia, paese instabile base dei pirati dell’età contemporanea. In mezzo a tanta instabilità, il piccolo stato africano di Gibuti ha fatto di necessità virtù offrendo a più Paesi stranieri la possibilità di insediare basi militari. Oggi a Gibuti ci sono basi di USA, Francia, Italia (con una base di supporto), Cina e Giappone.
Ai progetti di rafforzamento logistico e militare delle rotte esistenti e alla costruzione di alternative, si aggiunge l’apertura “naturale” delle nuove rotte marittime al Polo Nord. Negli ultimi 40 anni il riscaldamento globale ha ridotto la superfice della banchisa durante i mesi estivi, e aperto nuove rotte. La più spettacolare è la rotta transpolare che passa dal Polo Nord, inaugurata nel 2017 ma accessibile solo a potenti rompighiaccio (specialità della marina russa). Questa rotta si aggiunge ad altre due, precedentemente navigabili solo per poche settimane in estate: il passaggio a nord-ovest, lungo le coste americane, canadesi e groenlandesi (danesi), e il passaggio a nord-est, lungo le coste russe ormai accessibile da maggio a ottobre.
La Russia fa affidamento su questa rotta, che accorcia di un terzo il tempo di percorrenza tra Rotterdam e Shanghai. Se il riscaldamento globale dovesse continuare, la Russia si troverebbe in una posizione strategica nel commercio mondiale, rafforzando il rapporto strategico tra Mosca e Pechino. Questa rotta però passa attraverso stretti poco profondi che rendono la navigazione difficile, e manca di infrastrutture portuali adeguate a svilupparsi. Oggi, il transito riguarda principalmente il trasporto di LNG russo e l’interesse dei cinesi, che l’hanno inserito nel progetto delle nuove vie della seta (argomento trattato qui). Un’altra via con cui per Pechino cerca di eludere gli stretti di Malacca e Hormuz, soggetti al controllo americano in Medio Oriente e nell’Indo-Pacifico.
Conclusione
La contrapposizione tra potenze di terra e potenze di mare continuerà ad animare il dibattito sulla geopolitica, ma indubbiamente la competizione tra potenze è ancora una volta in mare che trova la massima espressione. Nonostante le guerre commerciali dichiarate dal presidente degli Stati Uniti, i rischi globali e i venti di de-globalizzazione, i numeri attuali e le previsioni ci dicono che il commercio marittimo cresce e continuerà a crescere. Anche il successo del progetto cinese delle nuove vie della seta dipende dalla conquista delle rotte marittime che corrono lungo il Rimland, non certo dalle linee ferroviarie che dovranno (o meglio: dovrebbero) correre lungo l’Eurasia. La rinnovata sintonia strategica celebrata il 24 febbraio da Donald Trump e Narendra Modi asse portante del concetto di Indo-Pacifico “libero e aperto” – dove per “libero” si intende dalla Cina, e “aperto” al transito commerciale – non fa altro che confermarlo: la partita geopolitica del secolo si deciderà in mare.
FONTE:https://www.geopolitica.info/la-geopolitica-delle-rotte-marittime/
OGGI LA SENTENZA DI KARLSRUHE: DAL “TUTTO OK”, ALLA DE-EXIT , ALLA FINE DELL’EURO
Oggi si pronuncerà la Corte Costituzionale tedesca di Karlsruhe sulla legitimità degli acquisti di titoli in euro da parte della BCE secondo quelle che sono le modalità del QE. Questacausa era stata richiesta quasi con il benestare di CDU e CSU per seppellire l’epoca Draghi ed aprire ad un innalzamento dei tassi di interesse, nell’illusione di risollevare la “Seconda colonna” del sistema pensionistico tedesco, basata sugli investimenti in titoli pubblici, invece, per il pessimo tempismo, rischia di diventare la tomba nucleare.
Il governo tedesco non ha cercato di anticipare la sentenza, ma , visto il precedente con gli OMT, non c’è molto ottimismo. Anche a Francoforte, come riporta SZ, si è passato il weekend a predisporre delle eventuali contromisure in caso di sentenza negativa. Quali scenari si prospetano dopo la sentenza?
- La Corte costituzionale dichiara gli acquisti regolari. In questo caso nulla cambia nelle relazioni fra BCE e Bundesbank e fra Germania e Unione. Potremmo addirittura assistere ad una intensificazione degli acquisti tramite il PEPP (Pandemic Emergency Purchase Program), per ora fermo a 750 miliardi, un terzo di quanto effettuato dalla FED. Si andrebbe verso una monetizzazione del debito, ma anche verso un forte allentamento delle tensioni interne all’area euro. Sarebbe un forte segnale che almeno uno strumento nell’Unione funzione per il mantenimento di un processo comune;
- la Corte Costituzionale pone dei forti limiti all’esecuzione delle operazioni di QE , come ad esempio ponendo dei limiti dimensionali rispetto al debito, cioè ripristinando in modo secco la barriera del 33% del debito acquistabile, di proporzione fra gli stati, con la reintroduzione della “Capital Key”, e l’obbligo di cedere i titoli prima della scadenza.Tre misure che , limitando le dimensioni e le qualità del QE , verrebbero a renderlo oggettivamente inutile ed esporrebbero i debiti pubblici dei paesi UE più deboli alla speculazione. A fronte di questa sentenza avremo diverse prospettive:
- nell’immediato la BCE cercherebbe di imitare i danni con comunicati pubblici, congiunti con la Commissione ed altri organi UE, che cercherebbero di tranquillizzare i mercati circa l’impegno della Banca Centrale nella tutela della moneta unica Verrebbero gridati con continuità, ma sarebbero solo parole perchè, con l’imposizione dei limiti,comunque qualcosa è saltato ed i debiti italiano, spagnolo,portoghese e perfino francese sarebbero più esposti. La Francia sinora ha ainvestito molto più dell’Italia nella ripresa da Covid;
- la Corte Costituzionale verrebbe a vincolare l’operatività della Bundebank, ma non del board della BCE. Già in passato il board ha agito con il voto contrario della BuBa quindi semplicemente la BCE potrebbe ignorare l’azione della Banca Tedesca. Però a questo punto tutta l’azione della BCE sarebbe illegittima in Germania, e sarebbero soprattutto illegittime, come ha notato Luciano Barra Caracciolo in un suo ottimo articolo su Orizzonte 48, rendendo quindi non più conformialla legge le norme che hanno segnato l’entrata della Germania nell’area euro. La Corte Costituzionale Tedesca può estendere il suo potere sulla legislazione degli enti e dei soggetti giuridici tedeschi, non può comandare nè entri sovra nazionali (la BCE) nè enti di altri paesi, quindi l’unico serio strumento sarebbe “Forzare” l’uscita dalla zona euro della Germania. in una causa scatenata dalla CDU-CSU, una grandissima vittoria per i sovranisti di AfD;
- la BCE può cercare di allinearsi alle decisioni della Corte Costituzionale Tedesca, limitando il QE , decisione che si ripercuoterebbe soprattutto sui titoli di stato italiani. Magari, per reazione, potrebbe aumentare la spinta verso i tassi negativi e gli strumenti LTRO verso il sistema bancario, come ha già fatto con il PELTRO, per far si che sia il sistema creditizio a fare lo “Sporco lavoro” del QE. Ricordiamo che, nonostante le minacce del dowgrading, la domanda del debito pubblico italiano nelle ultime aste è stata 8 volte l’offerta e solo l’inefficienza del sistema ad asta marginale ha impedito un crollo del rendimento. Nel breve periodo questa strategia potrebbe anche funzionare, ma nel 2021, con gli effetti del Coronavirus completamente esplicitati dal punto di vista del PIL e del debito, non ci sarebbe più spazio per i giochetti. Anche la “Segregazione” che molti auspicano, mi sembra improbabile perchè sarebbe la fine dell’Unione: dopo la morte di Scheghen (libertà di movimento dei delle persone) e la parziale fine della libertà di movimento dei beni(caso mascherine), avremmo anche la fine del movimento dei capitali, ed a quel punto l’Unione non sarebbe che un mucchio di funzionari iperpagati fra Lussemburgo, Bruxelles e Francoforte. Quindi o si inventano qualcosa di nuovo (ad esempio monete secondarie negli stati nazionali, con un ritorno al regime morbido del “Serpente monetario”, magari sotto forma di monete fiscali e di debiti monetizzati), oppure salterebbe tutta la baracca, con passaggio intermedio nel default di alcuni debiti sovrani.
Da domani le prospettive potrebbero essere completamente diverse. Il futuro sta cambiando, forse solo gli iper europeisti di Roma non lo capiscono.
FONTE:https://scenarieconomici.it/oggi-la-sentenza-di-karlsruhe-dal-tutto-ok-alla-de-exit-alla-fine-delleuro/
POLITICA
Costruire il proprio destino
Giulio Gisondi intervista Vladimiro Giacché
Meno di un mese fa Giuseppe Conte affermava “faremo da soli”, qualora la scelta per l’Italia fosse stata quella di ricorrere al Meccanismo Europeo di Stabilità. La decisione del Consiglio europeo del 23 aprile è stata, invece, proprio quella di ricorrere al MES, alla BEI, al fondo per la disoccupazione SURE, con l’ipotesi, ancora poco chiara, d’istituire un Recovery Fund temporaneo, finanziato dai singoli Stati e che dia, non si sa bene se prestiti o trasferimenti ai paesi che ne necessitano. Ne abbiamo discusso con Vladimiro Giacchè, Presidente del Centro Europa Ricerche, dalla metà degli anni Novanta nel settore bancario e finanziario, nonché storico della filosofia e autore di saggi e monografie tra cui La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea (2008), Anschluss. L’annessione: l’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa (2013, nuova ed. 2019).
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Dott. Giacchè, come valuta le misure adottate dall’ultimo Consiglio Europeo? Perché non liberare la BCE dal divieto di monetizzare gli Stati, come stanno facendo le maggiori banche centrali del mondo?
Si è passati dal proclamato rifiuto di utilizzare uno strumento come il MES che non ha senso in questo contesto, perché basato sul debito e perché a noi porterebbe molto poco denaro rispetto al fabbisogno che si è creato a seguito di quest’emergenza (stiamo parlando di qualcosa come 37 miliardi di euro al massimo), all’accettazione di un pacchetto di strumenti che include il MES e in cui l’aspetto comune è che tutti comportano un aumento del debito. Questo vale per il MES, per la BEI e anche per il fondo di assicurazione SURE, che è sostanzialmente diverso da quello che fu proposto dall’Italia qualche anno fa.
Allora non si parlava di prestiti, ma si parlava di fondi (simili ai fondi strutturali) per consentire un assorbimento della disoccupazione meno traumatico ai paesi che erano in difficoltà. Fu una proposta lanciata dall’allora ministro Padoan nel 2014, ma per la quale non si trattava di prestiti.
Tutto questo non va bene perché c’è un’altra possibilità per affrontare quest’emergenza, ed è qualcosa di più di una possibilità, nel senso che è quello che stanno facendo tutte le banche centrali del mondo tranne una, ossia monetizzare il debito: consentire un’espansione monetaria finalizzata alla spesa per l’emergenza in atto, ossia attuare una monetizzazione del maggiore debito derivante dalle spese che (non la sola Italia, ma tutti gli Stati europei) dovranno sostenere. Si rifiuta questa via perché nei Trattati europei è scritto chiaramente che è fatto in generale divieto alla BCE di finanziare il debito degli Stati. In realtà si potrebbe osservare che probabilmente con un po’ di buona volontà – tenendo presenti i rischi per la tenuta della moneta unica nella presente situazione – anche questa previsione potrebbe essere superata senza dover neppure cambiare i Trattati. Ma accettiamo il presupposto: noi siamo quindi di fronte a un meccanismo scritto nei Trattati che non si vuole cambiare e su cui non si vuole intervenire neppure in presenza di un’evidente catastrofe come quella attuale.
All’obiezione secondo cui “è scritto nei trattati” bisognerebbe rispondere rovesciando il discorso. È possibile che neppure quando crolla il mondo e ti rendi conto che gli strumenti che messi in campo sono inadeguati e pericolosi ti viene voglia di cambiare strada? Questa secondo me è una perfetta metafora dell’Unione Europea attuale. L’Unione Europea attuale è quella cosa che non cambia strada neppure in presenza di calamità di questo tipo. E qui c’è un tema che secondo me è assolutamente fondamentale, perché è del tutto evidente, ma lo era già nella crisi precedente, che questo approccio sia stato fortemente negativo, soprattutto per alcuni paesi. Ma allora perché dobbiamo riproporlo all’infinito?
Quali saranno gli effetti del MES sull’economia italiana e sul suo sistema bancario?
Ciò a cui ci si è formalmente attaccati negli ultimi giorni è che il MES, presuntamente, non avrebbe condizionalità in questo caso. Questo è assolutamente falso. Già il dire che si possano spendere i soldi esclusivamente per le spese mediche è una condizionalità. Ma c’è di peggio: come previsto dal trattato istitutivo del MES, che non è stato modificato in quest’occasione, il MES stesso potrà decidere a posteriori, non all’unanimità ma a maggioranza qualificata, di applicare delle condizionalità ai prestiti che sono stati fatti. È stato detto abbastanza chiaramente anche dai nostri interlocutori europei in questi giorni che così sarà. Per cui siamo di fronte a una situazione paradossale, in cui per avere dei prestiti che sono assolutamente insufficienti rispetto al fabbisogno attuale, ci andiamo a infilare sostanzialmente in un meccanismo che ci imporrà delle politiche restrittive e di austerità.
È quello che abbiamo già visto in Grecia, anche se con tutte le differenze del caso, perché la situazione italiana è molto diversa per vari motivi: a cominciare da un motivo che tutti dimenticano sempre, cioè l’entità dell’economia italiana all’interno dell’eurozona. Mentre la Grecia poteva essere realisticamente minacciata da Schaeuble dicendo “vi sbatto fuori”, sbattere fuori l’Italia significherebbe che dopo un paio d’ore l’unione monetaria non esiste più. Questo è un punto abbastanza importante perché costituirebbe a mio giudizio, e continuerà oggettivamente a costituire, un elemento di forza negoziale per il nostro paese e non di debolezza.
Tuttavia, si è scelto prima d’imboccare la strada di un negoziato che non aveva molto senso, perché anche i Coronabonds sono ulteriore debito e perché era chiaro che alcuni paesi non li avrebbero accettati, per cui si sarebbe comunque finiti negozialmente in vicolo cieco. Come era logico che, poi, finiti in questo vicolo cieco, ci si sarebbe accontentati delle vaghe promesse sul Recovery Fund: un fondo che, se va bene partirà l’anno prossimo e le cui caratteristiche sono molto incerte – ma sono pronto a scommettere qualsiasi cosa che anche in quel caso si tratterà di prestiti, per cui non cambierebbe la sostanza. In ogni caso, ci si è accontentati da un lato di quelle promesse, dall’altro si è accettato quello che veniva offerto sin da subito, cioè il MES.
L’unico dato positivo in questa situazione, che di elementi positivi non ne ha molti, è che il MES nel quale ci siamo infilati o in cui ci infileremo a breve – e ho visto che venerdì 24 il Parlamento non ha votato una mozione che avrebbe impegnato il governo a rifiutare a ogni modo l’utilizzo del MES – non ha le clausole peggiorative su cui si lavorava da un annetto e mezzo e che stavano andando in approvazione proprio quando è scoppiata l’emergenza coronavirus. Per cui se non altro avremo la versione precedente, che è “meno peggiore” di quella che si stava mettendo in piedi. Ovviamente una parte consistente del nostro mondo politico sarebbe stata favorevole anche a questo secondo MES, con clausole parecchio peggiorative rispetto a quello in cui ci siamo comunque infilati. Ma questo è un altro discorso.
Nel 2012 la Corte costituzionale tedesca si è espressa sulla ratifica del MES, vietando che questo conservi per i ministri e il per Parlamento tedesco quel carattere di segretezza che possiede, invece, per gli altri paesi europei. Il prossimo 5 Maggio la stessa Corte si esprimerà per decidere della costituzionalità del programma di Quantitave Easing della BCE. Lei ha mostrato in un suo saggio (Costituzione italiana contro trattati europei: il conflitto inevitabile, 2015) l’incompatibilità dei principi della nostra Costituzione rispetto ai Trattati europei. Ma perché, allora, non agire anche noi di conseguenza? Si tratta d’incapacità o incomprensione?
Forse per un certo periodo per incomprensione. Ma credo che oggi non si possa più dire questo perché le cose sono ormai molto chiare. Ci sono molti lavori di costituzionalisti che evidenziano in maniera chiara le criticità che ha un’adozione acritica dei Trattati europei. Non sono neanche sicuro che si tratti d’incapacità. C’è la volontà di perseguire un disegno inscritto nella meccanica del “vincolo esterno”, cioè l’idea che questo paese abbia bisogno di un vincolo da fuori per migliorarsi, per essere più competitivo, per risolvere i problemi sociali che le sue classi dirigenti non sono riuscite a risolvere sul terreno della dialettica interna al paese. Questo secondo me è un gravissimo errore. Del resto, abbiamo ormai un’ampia base induttiva per dire che le cose non sono andate benissimo da quando abbiamo deciso di adottare vincoli esterni sempre più stringenti.
C’è quindi questo elemento fortemente ideologico, ma anche un aspetto che credo stia diventando sempre più cruciale, cioè il fatto che abbiamo fatto ruotare tutto intorno a un’interpretazione eccessivamente generosa, e quindi sbagliata, dell’articolo 11 della Costituzione. Si è dato per scontato che la CEE, poi l’Unione Europea, non fossero incompatibili rispetto alla nostra Costituzione e quindi da accettare, senza discutere, tutte le norme particolari emanate all’interno del framework normativo dei Trattati europei; cosa che, appunto, gli altri non fanno. Peraltro, proprio gli esempi contenuti nella domanda ci dimostrano l’importanza di leggere bene l’articolo 11 della Costituzione, che non parla di “cessione”, ma di “limitazioni” della sovranità, e le condiziona tra l’altro alla “parità di condizioni” con gli altri Stati.
Ora, è evidente che se rispetto a una norma europea ho dei vincoli che valgono verso il mio parlamento, ma non verso il parlamento di un altro paese che ha firmato quello stesso accordo, qui la parità di condizioni è venuta meno. Dal mio punto di vista, la parità di condizioni è venuta meno in misura assolutamente sostanziale a partire dalla crisi dei subprime e con la cosiddetta crisi del debito pubblico in Europa, perché lì si sono alterati profondamente i rapporti di forza, per cui i Trattati successivi sono stati firmati da alcuni paesi sotto un vincolo di ricatto. Questo è il punto fondamentale. Il fiscal compact è un gigantesco ricatto nei confronti di alcuni paesi e non ha alcuna motivazione economica plausibile in termini di benessere per questi paesi, come del resto abbiamo visto molto chiaramente nel nostro caso. Sicuramente occorrerebbe una maggiore consapevolezza dei problemi che sono impliciti in un’accettazione acritica e totale di quello che è contenuto nei Trattati europei, sin dai trattati istitutivi ma anche a livello di singole normative. Penso di poter dire che per quanto concerne per esempio la cosiddetta unione bancaria europea, si tratta di una normativa dagli effetti fortemente asimmetrici sui paesi membri e che nel nostro caso ci hanno pesantemente sfavorito. In molti casi, credo ci sia un tema di migliore capacità negoziale, ma anche poi di necessità di un intervento della Corte costituzionale, quando le asimmetrie siano troppo stridenti.
Lo scorso ottobre, all’Università la Sapienza, lei ha presentato una relazione sulla storia dell’economia cinese. Ci sono elementi della storia economica cinese degli ultimi cinquant’anni che possono essere applicati o utili all’Italia?
Parlerei sempre con molta cautela di applicazioni. Questa cautela è fatta propria dagli stessi cinesi, i quali sono sempre molti attenti a non porre la loro esperienza come un modello, sostenendo – ritengo a ragione – che in passato il concetto di modello e di Stato guida abbia fatto abbastanza danni. L’economia cinese attuale credo possa essere caratterizzabile come un’economia mista, in cui c’è una forte componente privata, ma in cui le leve strategiche non sono in mano ai privati. Questo avviene attraverso un uso della programmazione molto spinto e attraverso un particolare tipo di imprese, ovvero quelle di proprietà pubblica, semi pubblica o con partecipazione pubblica, le quali sono il braccio che traduce in pratica gli orientamenti strategici di Pechino in economia.
Il primo tema è proprio questa parola: strategia o orientamenti strategici. Non è un caso, secondo me, che Stephen Roach, uno dei massimi esperti della Cina contemporanea, abbia individuato qualche anno fa nella perdurante presenza di una strategia economica una caratteristica importante della Cina contemporanea. Qui abbiamo un primo elemento, secondo me, che è un elemento molto divisivo: ha senso nel 2020, parlare di strategia in termini economici? La strategia è qualcosa che pianifico in partenza e che adatto alle situazioni. È questa la metodologia della Cina, che è sempre molto attenta a fare un passo dopo l’altro, adattandosi alle situazioni esterne, ma sempre sulla base di una strategia, di una pianificazione. Questo è molto diverso dagli aggiustamenti a posteriori che avvengono in un’economia esclusivamente di mercato in cui tutto è lasciato alla libera dinamica di domanda (pagante) e offerta.
La cosa forse più interessante dell’esperimento cinese è che se noi andiamo a vedere in profondità come funziona, c’è un mix delle due cose: vengono rifiutati gli opposti fondamentalismi, quello del mercato che ha trionfato dopo gli anni Novanta, così come quello di una pianificazione assoluta e presuntamente onnisciente, che in realtà non è mai esistita in concreto da nessuna parte, se non nella mente e nelle intenzioni di qualcuno. L’economia cinese sembra riuscire a muoversi, almeno sino a questa crisi, con successo combinando questi due estremi. E questo non è un fatto soggetto a opinione, ma lo dicono i numeri.
La verità è che parlare di questo ha per noi un effetto un po’ straniante, dato che noi un’economia mista la eravamo fino a prima delle privatizzazioni di massa degli anni Novanta. Era un modello che, con tutti i suoi limiti e una crescente fatica nel mantenersi (dovuta a tanti fattori ma non alla proprietà pubblica delle imprese), era riuscito a far avanzare l’economia italiana. I più straordinari successi dell’economia italiana, quelli che vengono colti nel secondo dopo guerra, dal 1945 alla metà degli anni Sessanta, avvengono sotto l’egida di questo sistema che era appunto un’economia mista. Io credo che un’organizzazione dell’economia che sappia contemperare questi due elementi sia assolutamente necessaria e che, da questo punto di vista, si possa imparare anche dal modello cinese in qualche modo, benché come dicevo di modello in senso proprio non si possa parlare, e non se ne possa parlare in particolare per i paesi industrialmente avanzati. La Cina, se è in qualche modo un modello, lo è per paesi in via di sviluppo che stanno cercando di effettuare anch’essi quel catching up, quel recupero di un’arretratezza storicamente determinata rispetto ai paesi più avanzati, che sinora è riuscito in maniera abbastanza spettacolare alla Cina. Ma per noi il discorso è differente: noi alcune caratteristiche dell’economia mista le avevamo e abbiamo deciso di disfarcene e, a mio giudizio, con risultati non troppo brillanti.
Potremmo riacquisire quegli strumenti che abbiamo abbandonato? Quale sarebbe il percorso da intraprendere per riacquisire anche solo un po’ di quella sovranità necessaria per attuare il programma di Stato sociale espresso dalla Costituzione? Che fare o cosa è possibile fare?
La verità è che attualmente in Italia non è possibile fare molto. Siamo in un contesto caratterizzato da numerose rigidità e da numerose impossibilità. Questo contesto è segnato dalla cornice che è stata creata, costruita in particolare dal trattato di Maastricht, ma a ben vedere già dall’atto unico europeo e che ha il suo condensato, anche simbolico, nella moneta unica. Ora, il problema è che l’assetto dei trattati dice molto chiaramente che i paesi che sono uniti, si trovano in una mutua concorrenza imperniata sulla concorrenza sul piano dei diritti del lavoro tra gli Stati (la “moderazione salariale”) e sul piano della fiscalità. È evidente che, finché questo meccanismo è in essere e finché non si riesce a trovare la capacità di cambiare schema, sarà molto difficile invertire la tendenza.
Mi sembra però che d’altra parte la situazione attuale richieda in qualche modo degli atti di coraggio e li imponga anche. Questo è contraddittorio rispetto ai trattati.
Altre contraddizioni sono emerse in passato. Nel 2008 e nel 2009 tutta la normativa sugli aiuti di Stato è stata buttata alle ortiche per qualche anno, così che gli altri Stati hanno messo a posto i problemi del loro sistema finanziario, mentre noi non lo abbiamo fatto e ci siamo trovati con un grave gap dopo. Anche adesso ci sono forti tensioni ed è evidente che gli aiuti di Stato vengono alleggeriti, come le normative sull’unione bancaria stanno già venendo alleggerite. Ecco, forse questo è un momento buono per osare qualcosa. Ma bisogna avere le idee chiare su un punto: il punto di caduta non è una generica liberazione da Bruxelles o da Francoforte. Il problema è che cosa in concreto vuoi costruire. Perché è evidente che se io voglio costruire il liberismo più liberista del mondo, non ho alcun interesse a uscire da questa cornice di riferimento. Viceversa, ce l’ho se intendo ripristinare uno Stato sociale degno di questo nome, tornare a conferire allo Stato un ruolo che non sia soltanto quello di tappare i buchi quando c’è una crisi.
Questa è una fase in cui probabilmente una capacità di sperimentazione e anche di rottura di certi schemi sarebbe pagante. E questo è anche uno dei motivi per cui sono profondamente deluso dal comportamento del governo italiano in occasione della trattativa di queste settimane. Perché trovo veramente singolare che non sia abbia neppure la capacità di dire quello che ormai scrive anche il Financial Times, ossia che questa è una fase in cui è necessario che vi siano degli interventi delle banche centrali che monetizzino il debito. Se non siamo neppure capaci di ottenere questo in una situazione di emergenza di questo tipo, è lecito nutrire qualche dubbio sulla possibilità di modificare il modello economico che è stato costruito negli ultimi decenni.
Vorrei porle un’ultima domanda che guarda alla sua formazione storico-filosofica. Lei si è formato alla Scuola Normale di Pisa, con una tesi sulla Scienza della Logica di Hegel, ed è di recente di recente pubblicazione il suo Hegel. La dialettica (2020). Qual è stato, a suo avviso, il ruolo della filosofia negli ultimi trent’anni all’interno delle logiche e delle dinamiche del libero mercato, e quale quello che auspicherebbe per essa oggi?
È una domanda complicata. Dagli anni della mia formazione non mi sono poi più occupato di filosofia in termini accademici. Mi sono formato in Normale tra il 1982 e il 1986, poi ho fatto il perfezionamento, quello che oggi si chiama dottorato di ricerca, interrompendolo per un anno per il servizio militare, e terminandolo nel 1990.
Certi processi che poi son venuti chiarendosi erano in fieri, ma già abbastanza visibili, allora. Iniziava una fase fondamentale di sfiducia nelle capacità degli esseri umani associati di decidere il proprio destino. L’Unione Sovietica e i paesi dell’est europeo erano già palesemente in crisi nella seconda metà degli anni Ottanta, in realtà già da molto prima. Non si capiva molto bene quello che stava succedendo in Cina – e devo dire che qualcuno non l’ha capito neppure adesso, quindi allora eravamo giustificati… In generale era tutta la filosofia che cominciava a cambiare il suo orientamento: non era più un orientamento politico, approccio che aveva avuto dei limiti, perché significava avere una filosofia ancella della politica, cosa che dal mio punto di vista non è mai andata bene. Ma ora la filosofia diventava edificazione scissa dalla prassi, proposizione di modelli un po’ astratti di vita, di vita morale, di vita buona, sempre più mild, sempre più smussati, sempre meno spigolosi, sempre meno – per usare questa brutta parola – classici.
Se qualcuno mi dovesse chiedere cosa auspico per l’immediato futuro direi una ripresa dei classici. Il che non significa tornare a pensare che lì dentro ci sia tutto. Non sto parlando nemmeno di singoli autori, quanto di un’impostazione, della classicità come solidità di modelli di vita, come organicità di modelli di società. Io non credo che questa fase, che qualcuno ha contraddistinto come “liquida”, aggettivo applicato un po’ a tutto, sia una fase destinata a rimanere tale. Penso che anche l’ellenismo fosse una fase liquida. Ci sono dei periodi storici che possono essere confrontati con la nostra. Credo che quello su cui si debba avere fiducia è la capacità del pensiero di afferrare la propria storia. O magari come voleva Hegel, comprendere la storia appena passata, quella che sta tramontando e che il pensiero sistematizza, seppur vi sia in lui anche una spinta abbastanza evidente verso la costruzione attuale e il futuro. Credo che la cosa più importante sia ripristinare e recuperare la fiducia nella capacità del pensiero di comprendere il proprio mondo. Ecco, da questo punto di vista, quando penso alla classicità penso a questo, a questo tipo di fiducia. Dopo di che, alla fiducia devono seguire anche i risultati e i risultati devono essere vagliati da una filosofia ulteriore che rifletterà su quello che si è costruito, sul rapporto che si è riusciti a costruire con le conoscenze scientifiche dell’epoca. Quest’ultimo è un punto particolarmente importante che si è spesso banalizzato in un senso o nell’altro: da un lato, la filosofia regina delle scienze; dall’altro, la filosofia come guardiano delle scienze, come chi viene a spiegare agli scienziati la metodologia che loro hanno adoperato per fare una scoperta (com’è ovvio, generalmente gli scienziati ritengono completamente inutile questo tipo di lavoro e di approccio). Credo, però, che questa sorta di conoscenza, questa meta conoscenza, questa riflessione di secondo livello sia, invece, il carattere proprio della filosofia e sia il suo carattere proprio anche quello di far parlare tra loro livelli di linguaggio e di realtà differenti. Credo che sia questo il proprium autentico della filosofia. Quello che auspicherei è una ripresa di tutto questo, il che significa un recupero della fiducia per gli esseri umani associati di contribuire a costruire il proprio destino. Ecco, questa è la fiducia che si è persa negli ultimi anni: credo che questo sia riscontrabile a livello sociale e anche nei risultati più recenti della filosofia.
FONTE:https://www.sinistrainrete.info/politica/17666-vladimiro-giacche-costruire-il-proprio-destino.html
SCIENZE TECNOLOGIE
Amazon, occhio alla truffa dell’account bloccato
La e-mail viene inviata alla potenziale vittima simulando la provenienza dal Servizio Clienti e con una grafica contraffatta
Le ore di permanenza forzata fra le mura domestiche ha risvegliato nei più desideri o compulsioni di shopping online. Così, le piattaforme di e-commerce si sono fatte più trafficate, al punto che hanno dovuto addirittura contingentare le spedizioni visto il rilevante incremento di attività da parte degli utenti.
Tali circostanze sono però note anche ai cybercriminali, i quali hanno progettato alcune campagne di phishing specificamente dedicate ai marketplace online. Oggetto di allerta recente è una campagna condotta nei confronti degli utenti della piattaforma Amazon, tramite l’e-mail “Il tuo account è stato bloccato!!!”.
La finta e-mail viene inviata alla potenziale vittima simulando l’indirizzo mittente del Servizio Clienti, e una veste grafica contraffatta utilizzando il formato grafico standard delle comunicazioni di Amazon induce a credere alla sua genuinità. Il messaggio di allerta riguarda alcuni tentativi di accesso non autorizzati all’account Amazon del destinatario e la comunicazione del conseguente blocco automatico per la prevenzione di frodi, con l’invito ad attivare la procedura dedicata allo sblocco ed al recupero della piena funzionalità dell’account.
In questo modo l’ignara vittima è invitata a cliccare su un link per accedere ad un sito di phishing, a sua volta abilmente contraffatto tramite logo, veste grafica, indirizzi ufficiali per somigliare all’originale. Una volta all’interno del sito, è possibile accedere alla procedura di sblocco inserendo nei moduli di login le credenziali e, successivamente, altri dati personali di registrazione e di pagamento. I dati inseriti vengono così rubati dai cybercriminali, i quali realizzano in questo modo l’operazione fraudolenta in danno dell’utente.
Analizzando lo schema impiegato si trovano tutti gli elementi ricorrenti tipici di una campagna di phishing, ovverosia: una comunicazione verosimigliante (per layout grafico e contenuti), l’invito a compiere un’azione tempestiva per rimediare ad un danno (il blocco dell’account), il reindirizzamento ad un sito esterno tramite il quale sono inserite direttamente dalla vittima le proprie credenziali e altre informazioni personali.
Come agire per la propria tutela in questo e altri casi analoghi?
In ogni caso, è sempre bene non aver fretta nell’agire e verificare la genuinità della comunicazione anche mediante una ricerca esterna (nel caso: e-mail su account Amazon bloccato, e controllando l’indirizzo del mittente). In molti casi si può già trovare una segnalazione (su forum o portali di alert) riguardante la campagna di phishing. Inoltre, si può anche accedere direttamente alle informazioni relative alla funzione desiderata (nel caso: sblocco account Amazon) e alla pagina autentica senza dover cliccare il link all’interno dell’e-mail. In entrambe le ipotesi si può evitare di cadere vittime della truffa mediante alcuni semplici accorgimenti.
È bene ricordare che la maggior parte di questo tipo di attacchi sono condotti su larga scala e mirano a colpire utenti spesso poco preparati ed inconsapevoli, e di conseguenza possono essere scoperti con relativa facilità adottando alcuni comportamenti prudenti.
FONTE:https://www.infosec.news/2020/05/05/news/sicurezza-digitale/amazon-occhio-alla-truffa-dellaccount-bloccato/
STORIA
15 aprile 1944: uccidendo il 70enne Gentile i partigiani mostrarono il loro volto anti-italiano
Gentile rimane un gigante nella storia d’Italia
Gentile è un gigante nella storia d’Italia. Ministro, senatore, filosofo, docente universitario, accademico d’Italia, fondatore della enciclopedia Treccani, autore della riforma della scuola, e molto altro ancora. Su di lui si sono scritti trattati, libri, articoli, saggi, ma il suo assassinio non è mai stato condannato ufficialmente dalla sinistra né dai suoi intellettuali. All’epoca, il Partito Comunista non condannò l’omicidio, anche se l’efferato assassinio divise il fronte dei partigiani, che peraltro era egemonizzato dal Pci.
L’assassino di Gentile ebbe pure la medaglia d’oro
Il suo assassino, Bruno Fanciullacci, “Massimo”, in seguito ebbe pure la medaglia d’oro al valor militare, con una motivazione del tutto edulcorata delle sue azioni da terrorista. Alcuni comuni toscano gli hanno intitolato vie e dedicato strutture, compreso quello di Firenze dove il 15 aprile due partigiani spararono all’anziano filosofo inerme. Fanciullacci faceva parte dei Gap, il gruppo guerrigliero organizzato dal Pci dopo l’8 settembre. I Gap non erano una forza militare, ma un gruppo che compiva attentati, sabotaggi, azioni contro gli eserciti regolari nemici. Azioni eroiche come quella di via Rasella, per intenderci. Come vogliamo chiamarlo?
Il partigiano sopravvisse di poco alla sua vittime
“Massimo” si distinse da subito per il suo carattere violento e sanguinario. Partecipò in prima persona ad attentati contro esponenti della Rsi o presunti collaborazionisti. Dopo appena sei giorni dall’omicidio di Gentile, partecipò all’attentato contro Bruno Landi, noto fascista fiorentino, che rimase ferito. Pochi giorni dopo finì a Villa Triste, da dove lo liberarono armi alla mano altri partigiani. Nel luglio continuò con le sue azioni violente e illegali, fino a che rientrò il galera, grazie a una delazione non si sa di chi. Certo non dei fascisti. . Morì per una raffica di mitra di un milite fascista mentre tentava di fuggire.
Un attentato terrorista preparato con cura
Così il carnefice di Gentile non sopravvisse di molto alla sua innocente vittima. L’assassinio fu preparato con grandissima cura, cosa che i comunisti hanno sempre fatto nelle esecuzioni di chi non la pensa come loro. Gli orari di Gentile furono esaminati, così come i suoi spostamenti. Ma va detto che il bersaglio era facilissimo, perché non aveva scorta e girava disarmato. Quel giorno Fanciullacci e tale Igniesti attesero Gentile davanti la casa dove risiedeva, alla Salviatina sotto Fiesole. Si avvicinarono con dei libri sottobraccio all’auto in cui Gentile stava tornando a casa. Scambiandoli per degli studenti, Gentile abbassò il finestrino per ascoltarli ma ricevette subito una raffica di colpi.
Come al solito, dopo l’assassinio fuggirono
I due poi si dileguarono in bicicletta e si nascosero a casa del pittore Ottone Rosai, che stigmatizzò duramente l’accaduto. La rappresaglia fascista fu fermata la sera dalla stessa famiglia di Gentile, per confermare il costante atteggiamento del filosofo contro la violenza e per la pacificazione nazionale. L’allievo di Gentile, tale Giovanni Spadolini, scrisse un articolo di fuoco condannando il fatto che non fosse stato proclamato il lutto nazionale ed elogiando il popolo fiorentino per la massiccia partecipazione ai funerali di Gentile, tenutesi in Santa Croce il 18 successivo.
Mussolini: chi ha ucciso Gentile era un anti-italiano
Si è delineata, anche con l’omicidio di Gentile, la strategia comunista messa a punto in questo periodo e poi perseguita sempre: quella di colpire gli elementi fascisti più capaci, onesti, concilianti, retti, al fine di eliminare le persone che un domani potessero ricostruire l’Italia. E questo si è visto in numerosi omicidi politici dei Gap. Il commento di Mussolini fu il più illuminante: “Giovanni Gentile non è stato ucciso soltanto perché era fascista, egli è stato assassinato perché italiano e il suo assassino non è un patriota italiano”.
La resistenza si divise su questo ignobile gesto
La resistenza, come detto, si divise su questa ennesima atrocità. La prima, vaga, rivendicazione dell’atto terroristico si ebbe sull’Unità, che parlò di “giustizia popolare” che si abbatteva sul traditore Giovanni Gentile… E mentre il Pci quasi incondizionatamente approvò, il Partito d’Azione si divise, così come lo stesso Cln, che sconfessò anche dei volantini di rivendicazione. Quasi tutti si scaricarono la coscienza dicendo che l’omicidio era un atto di guerra e che Gentile alla fine se lo era meritato perché fascista. Democristiani compresi. E ancora oggi, sulla biografia di Fanciullacci nel sito dell’Anpi, non c’è traccia dell’omicidio di Gentile.
FONTE:https://www.secoloditalia.it/2020/04/15-aprile-1944-uccidendo-il-70enne-gentile-i-partigiani-mostrarono-il-loro-volto-anti-italiano/
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