
RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
5 NOVEMBRE 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
La felicità non esiste. Non ci resta che essere felici senza.
ROLAND JACCARD, Dizionario del perfetto cinico, Excelsior1881, 2009, pag. 64
https://www.facebook.com/manlio.presti
https://www.facebook.com/dettiescritti
Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
Tutti i numeri della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com
Precisazioni
www.dettiescritti.com è un blog intestato a Manlio Lo Presti, e-mail: redazionedettiescritti@gmail.com
Il blog non effettua alcun controllo preventivo in relazione al contenuto, alla natura, alla veridicità e alla correttezza di materiali, dati e informazioni pubblicati, né delle opinioni che in essi vengono espresse.
Nulla su questo blog è pensato e pubblicato per essere creduto acriticamente o essere accettato senza farsi domande e fare valutazioni personali.
Le immagini e le foto presenti nel Notiziario, pubblicati con cadenza pressoché giornaliera, sono raccolte dalla rete internet e quindi di pubblico dominio. Le persone interessate o gli autori che dovessero avere qualcosa in contrario alla pubblicazione delle immagini e delle foto, possono segnalarlo alla redazione scrivendo alla e-mail redazionedettiescritti@gmail.com
La redazione provvederà doverosamente ed immediatamente alla loro rimozione dal blog.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
SOMMARIO
E se un magistrato volesse imputare i firmatari delle autodichiarazioni?
Pazienti prigionieri, la telefonata: «Tutto ciò che vi dicono fuori non è vero»
Dottor Citro: «O sono ignoranti o ordini superiori volevano i morti» – Video
Non si suicidano. Sono ammazzati.
PANDEMIA E CACCIA ALLE STREGHE, ORIZZONTI FUTURIBILI
Manzotti «E se la coscienza non fosse dentro di noi»
IL DRAGO: MITO E SIMBOLO
COLLOQUIO EINSTEIN – TAGORE
Due Portland, stessa visione. No al riconoscimento facciale
Alunni interrogati con una benda sugli occhi, scoppia il caso a Scafati.
SEZIONI UNITE, DISCRIMEN TRA ESTORSIONE ED ESERCIZIO ARBITRARIO DELLE PROPRIE RAGIONI
Germania, egemone delirante.
LOCKDOWN SELETTIVO E L’IMMOBILISMO TATTICO DI CONTE
QUALI SACRIFICI?
Il gioco del poliziotto buono e cattivo, tattica per imporre la decisione gradualmente
L’uomo artificiale
ANTONINO PIO E MARCO AURELIO
EDITORIALE
E se un magistrato volesse imputare i firmatari delle autodichiarazioni?
Manlio Lo Presti – 5 novembre 2020

Anche in questo modulo, che la popolazione deve firmare in forza di un ATTO AMMINISTRATIVO DI TERZO LIVELLO (dpcm) E NON IN FORZA DI LEGGE, abbiamo il solito giochino delle citazioni di normative con il rimbalzo delle scatole cinesi per rendere difficile capirci qualcosa.
MODELLO DI AUTODICHIARAZIONE QUI: https://www.interno.gov.it/sites/default/files/2020-10/modello_autodichiarazione_editabile_ottobre_2020.pdf
Da notare che il modello cita gli artt. 46 e 47 della legge 445 del 2000, omettendo deliberatamente l’art. 49 dove è indicato il secco divieto di fare autodichiarazioni sul proprio stato di salute!!! (1)
Sarà pertanto necessario analizzare i contenuti nei rimandi elencati sul modulo perché firmare la autodichiarazione sul proprio stato di salute è vietato dal DPR 445 del 2000, art 49 che, appunto, proibisce seccamente la autodichiarazione sul proprio stato di salute.
TUTTO CIÒ PREMESSO
Firmare di fronte a un pubblico ufficiale significa commettere un falso, come paradossalmente esplicitato, a titolo di minaccia, sul modello stesso!!!!! (Art. 495 C.P.) e come previsto dall’ultimo dpcm (2)
Da quando è iniziata questa sarabanda, non ho incontrato un solo legale sottolineare questa problematica … NESSUNO!!!
Mi chiedo perché, ma forse ne conosco i motivi.
Nessuno mi proibisce di pensare che, ORDINANDO LA RACCOLTA DI TUTTE LE AUTODICHIARAZIONI FIRMATE DALLA POPOLAZIONE, potrebbe attivarsi, motu proprio, l’azione giurisdizionale di uno o più giudici per incriminare di violazione del sopracitato art. 495 C. P. COLPENDO TUTTI COLORO CHE HANNO FIRMATO TEMPO PER TEMPO LA CRIMINOGENA AUTODICHIARAZIONE AL PUNTO RIGUARDANTE IL PROPRIO STATO DI SALUTE!
Vediamo cosa accadrà, ma questo scenario non è del tutto “peregrino”…
Nessun avvocato né l’Ordine degli Avvocati stanno preparando linee difensive a tutela dei cittadini???
NON ACCETTO DI CREDERE AD UNA TALE OMISSIONE PROFESSIONALE
Aspettiamoci che qualche magistrato si alzi una mattina
– sempre e comunque dietro ordine di settori dissidenti degli ALTI COMANDI –
e proceda alla denuncia di tutti i firmatari…
P. Q. M.
TUTTI I CITTADINI POTRANNO ESSERE IMPUTATI E SANZIONATI FEROCEMENTE EX ART. 495 CODICE PENALE ITALIANO per mendacio di fronte ad un pubblico ufficiale!
Siamo tutti sotto questa spada di Damocle.
L’ORDINE E’ QUELLO DI METTERE SOTTO SCACCO LA POPOLAZIONE PER LA SUA SOTTOMISSIONE CON QUESTA CACCIA ALLE STREGHE GIURIDICA
Uno scenario da incubo, ma utile per spingere la ex-italia al collasso definitivo, come da copione scritto SEMPRE DA “ALTRI”
NE RIPARLEREMO
NOTE
- https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2020/11/04/covid-con-dpcm-torna-autocertificazione-in-tutta-italia_ffbd7557-bd0f-44cd-8d22
- https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2020/11/04/275/so/41/sg/pdf
IN EVIDENZA
Pazienti prigionieri, la telefonata: «Tutto ciò che vi dicono fuori non è vero»
Pazienti prigionieri negli ospedali? Telejato, un’emittente siciliana, ha raccolto la testimonianza di un paziente ricoverato nel nosocomio di Partinico (Palermo).
“Gli infermieri mi stanno trattando per quello che possono ma c’è mancanza anche della terapia. La terapia di questa mattina ce l’hanno fatta alle 13:50, quando dovevamo fare la seconda”. Sono le parole di un paziente covid – raggiunto telefonicamente dalla redazione di Telejato – ricoverato all’Ospedale Partinico, in provincia di Palermo.
L’uomo ha raccontato di vivere una situazione assurda e fuori da ogni logica. “Al mio compagno di stanza manca un lenzuolo. Un infermiere per provare le flebo ha spruzzato l’acqua sui nostri cuscini e abbiamo dormito bagnati”.
Quando il giornalista gli ha chiesto se era in contatto con i parenti e perché questi non fossero andati a denunciare l’accaduto ai carabinieri, ha risposto che la famiglia era tutta in quarantena.
Pazienti prigionieri negli ospedali
“Siamo abbandonati a noi stessi. C’è carenza di tutto, ci attaccano delle flebo e ci dicono che sono degli antibiotici ma non conosciamo il motivo per cui ce li fanno. Ci sono pazienti con lenzuola sporche di sangue già da 4/5 giorni e nessuno le cambia”.
Nel continuare a descrivere la situazione racconta che nel loro reparto ci sono state anche persone che avrebbero dovuto essere in psichiatria.
“La prima notte ci hanno dato una persona mentalmente instabile. Io e il mio compagno di stanza abbiamo vegliato tutta la notte perché voleva buttarsi giù dalla finestra. Lui apriva la finestra e noi la chiudevamo”.
“Mi sembra di essere entrato in un film dove non c’è nessuno che mi dà uno sguardo. Non c’è una parola di conforto, un dottore che mi abbia detto «C’è questo problema». Non so niente, la mia fortuna è parlare con lei. Sono 5 giorni che non vedo nessuno, che mi hanno buttato qui”.
“Mi moglie mi chiama ma non sa niente, mi chiede come sto e io le dico che sto bene. Ho due figli minori a casa che ancora aspettano di poter fare il tampone per tornare a scuola. Sono incarcerati in casa e io sono incarcerato in ospedale”.
Quando il giornalista ha detto che quella situazione era a dir poco incredibile, il paziente ha risposto che se non la si vive non ci si può credere.
“Tutto quello che vi dicono all’esterno non è vero, tutto quello che stiamo vivendo qui è surreale. Non so come andrà a finire. Non so se è un cartone animato o se siamo su Scherzi a parte”.
L’uomo ha raccontato di essere stato inizialmente ricoverato a Palermo per una broncopolmonite ma che, al momento, non aveva né febbre né difficoltà respiratorie.
VIDEO QUI: https://www.facebook.com/141124fc-38a8-4ab1-bfe4-ed2d269c07da
FONTE: https://www.oltre.tv/pazienti-prigionieri-telefonata-dicono-fuori-vero/
Dottor Citro: «O sono ignoranti o ordini superiori volevano i morti» – Video
Il dottor Massimo Citro ha rilasciato un’intervista in cui elenca tutte le informazioni che le istituzioni hanno nascosto ai cittadini.
Massimo Citro è un medico chirurgo e ricercatore scientifico. Ha una specializzazione in Psicoterapia ed è il direttore dell’istituto di ricerca IDRAS.
Tra le sue ricerche più significative troviamo il Trasferimento Farmacologico Frequenziale (TFF). È una metodica che permette di somministrare le proprietà farmacologiche di molte sostanze attraverso un circuito elettronico.
In una sua recente intervista, il dottor Citro non ha edulcorato i termini e ha iniziato il suo intervento dichiarando: «Questo secondo me è un colpo di Stato mondiale».
Il dottore ha affermato che l’infezione da SARS-CoV-2 è stata completamente stravolta dalla propaganda continua di istituzioni e giornali.
Per lo psicoterapeuta le informazioni che il Ministero avrebbe dovuto passare agli italiani sono del tutto diverse da quelle che hanno generato paura, come i bollettini giornalieri della Protezione Civile.
Il dottor Citro ha spiegato che in realtà avrebbero dovuto dire che questo virus, quasi 90 volte su 100, genera una banalissima sindrome influenzale o addirittura dei casi asintomatici.
Affermazione sostenuta anche dal candidato Nobel Stefano Scoglio che, già ad aprile, affermava che fosse una banale influenza.
Dottor Citro: «Hanno fatto credere che fosse peggio delle peste»
La problematica si estendeva quindi solo al 10% dei contagiati in cui l’infezione produceva una reazione immunologica che poteva portare a complicanze estremamente gravi se non mortali.
Tra le complicanze il medico elenca: la polmonite interstiziale bilaterale, l’attacco del virus al sistema immunitario, ai reni e al sistema cardiovascolare e soprattutto la CID (coagulazione intravasale disseminata). In un terzo dei casi ha colpito l’apparato digerente con sintomi non gravi e solo raramente ha avuto effetti a livello neurologico.
«Il punto è che lo Stato ha fatto credere alla gente che fosse qualcosa peggio della peste del Manzoni. Quello che ha vissuto la gente è il terrore che li ha portati a pensare che infettarsi fosse sempre rischioso o mortale», ha affermato il dottor Citro.
Secondo il medico avrebbero dovuto semplicemente allertare dell’esistenza di questo virus, spiegando che nella maggior parte dei casi sarebbe risultata come una semplice influenza, mentre in percentuali minori potevano verificarsi complicanze.
«Quello che il ministero della Salute avrebbe dovuto fare è insegnare ai cittadini come evitare le complicanze. Invece sono riusciti solo a dire di lavarsi le mani».
Ha lanciato una frecciatina al presidente del Consiglio Conte e al suo Comitato tecnico scientifico che dovrebbe essere composto dai migliori scienziati e medici. Allora perché non hanno mai detto niente su come prevenire questa infezione?
Quello che avrebbero dovuto spiegare le istituzioni
Il dottor Citro ha spiegato che le complicanze si manifestano a causa di un organismo intossicato e che quindi era fondamentale suggerire una dieta equilibrata e l’assunzione di vitamina C, vitamina D3 e zinco.
Non si suicidano. Sono ammazzati.
Maurizio Blondet 28 Ottobre 2020
Mi rimbalzano questo:
RIEPILOGO DEGLI EVENTI SUICIDARI AVVENUTI A PARTIRE DAL 01 GENNAIO 2020, DISTINTI PER DATA, LUOGO E CORPO/ARMA DI APPARTENENZA
Anche per quest’anno ho scelto di tenere aggiornata questa lista, so bene che non è piacevole ricordare questi eventi, ma è necessario per tenere sempre alta l’attenzione su queste tantissime morti per male oscuro che purtroppo vedono protagonisti gli uomini e le donne in divisa.
App. sc. q. s. Felice D’Auria
Delegato Cobar GdF Lombardia e Coir Italia nord occidentale.
- 2 gennaio Roma Guardia di Finanza;
2. 6 gennaio Tolmezzo (UD) Carabinieri;
3. 11 gennaio Pescara Carabinieri;
4. 18 gennaio Mineo (CT) Carabinieri;
5. 23 gennaio LaSpezia Polizia;
6. 26 gennaio Roma Polizia;
7. 29 gennaio Torino Polizia;
8. 4 febbraio Palazzolo (BS) Polizia Locale;
9. 14 febbraio La Spezia Marina Militare;
10. 24 febbraio Reggio Emilia Carabinieri;
11. 10 marzo Silandro (BZ) Carabinieri;
12. 2 aprile Como Polizia Penitenziaria;
13. 13 aprile Napoli Carabinieri;
14. 23 aprile Fasano fraz. Montalbano (BR) Aeronautica;
15. 4 maggio Forlì Carabinieri;
16. 11 maggio Trapani Polizia locale;
17. 12 maggio Firenze Guardia di Finanza;
18. 14 maggio Licata (AG) Carabinieri;
19. 19 maggio Padova Polizia Penitenziaria;
20. 20 maggio Portici (NA) Polizia Locale;
21. 23 maggio Bari Guarda di Finanza;
22. 28 maggio Fossano(CN) Carabinieri;
23. 30 maggio Bassano del Grappa (VI) Polizia;
24. 7 giugno Ravenna Capitaneria di Porto;
25. 8 giugno Cursi (LE) Polizia Penitenziaria;
26. 27 giugno Val di Cembra (TN) Polizia;
27. 30 giugno San Marzano di S. Giuseppe (TA) Guardia di Finanza;
28. 7 luglio Calitri (AV) Carabinieri;
29. 11 luglio Foligno (PG) Polizia,
30. 4 agosto Latina Polizia Penitenziaria;
31. 17 agosto Latina Polizia Penitenziaria;
32. 22 agosto Palermo, Polizia Penitenziaria;
33. 28 agosto Mesagne (BR), Marina Militare;
34. 11 settembre Desenzano del Garda (BS), Polizia di Stato;
35. 18 settembre Vercelli, Guardia di Finanza;
36. 19 settembre Roma, Guardia di Finanza;
37. 2 ottobre Milano, Polizia;
38. 8 ottobre Palermo, Carabinieri;
39. 8 ottobre Riva del Garda (TN), Carabinieri;
40. 9 ottobre Salerno, Polizia Locale;
41. 24 ottobre Mercato S. Severino (SA), Carabinieri.
STATISTICHE 2020
per territorio:
– 19 al nord
– 7 al centro
– 15 al sud
Per appartenenza:
6 Guardia di Finanza;
13 Carabinieri;
8 Polizia;
4 Polizia Locale;
4 Forze Armate;
6 Polizia Penitenziaria.
——————————————————
STATISTICHE Anno 2019
per territorio:
– 33 al Nord;
– 14 al centro;
– 13 al sud;
– 7 sulle isole.
Per appartenenza:
– 17 Carabinieri;
– 18 Polizia di Stato;
– 9 Forze Armate;
– 11 Polizia Penitenziaria;
– 6 Guardia di Finanza;
– 5 Polizia Locale;
– 1 vigile del fuoco.
Segui il canale telegram: https://t.me/notiziedallarappresentanza
In Francia è ancora peggio; ma è un fatto che al suicidio, così tragicamente frequente nel personale addetto all’ordine pubblico, non corrisponda alcuna volontà di domandarsi quale sia l’origine del “male oscuro”, e come eventualmente curarlo. Se sia curabile.
Non si sono uccisi, questi agenti. Sono stati ammazzati : dalla mancanza di legittimità del sistema, patologia politica acutissima ormai in Italia, e in Europa.
Cito il mio Ortega:
“La funzione di comandare e ubbidire è quella decisiva in ogni società. Appena in essa si intorbida la questione di chi comanda e chi obbedisce, tutto il resto risulterà adulterato e senza ordine. Perfino la più segreta intimità di ciascun individuo rimarrà perturbata e falsificata”.
Ora, è evidente che sono proprio gli agenti dell’ordine quelli che ogni giorno, nelle loro funzioni, si scontrano con la percezione che “chi comanda non dovrebbe comandare”, che coloro che emanano leggi, leggine e decreti, non dovrebbero essere lì, che i padroni della “legalità” sono radicalmente disonesti ed occupano il potere senza autorità. Sono loro che constatano che quelle leggi, leggine, dcpm, violano un principio più fondamentale della vita della società, che non sanno definire (sono gente rozza), ma che scontra con categorie elementari del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto; ed è tuttavia nello steso tempo “legale”, e loro devono far rispettare quelle leggi e leggine insensate, cangianti, che dichiarano legale ciò che nel fondo delle coscienza anche ottenebrate, continua ad essere sentito come a-normale, invertito.
Noi cittadini consapevoli (pochi) vediamo con rabbia che in Italia “il potere di comando è per costituzione fraudolento”; che Mattarella non convoca il Consiglio Superiore della Magistratura nemmeno dopo lo scandalo Palamara e la sua anche più scandalosa troncatura da parte di un ordine giudiziario che si è comportato come una cosca, anzi setta e cosca insieme perché esercita i suoi arbitri in base a una ideologia, pregiudizialmente concretata nelle sentenze.
Ma i poliziotti, di questi magistrati sono dipendenti; hanno provato giorno dopo giorno l’arbitrio dei loro giudizi, quando fermano un clandestino violento e spacciatore, e il giudice lo rilascia regolarmente. Agli occhi dei giudici prevenuti, loro – gli agenti – sono sospetti da controllare; loro sanno di essere trattati da potenziali delinquenti, al punto che nei loro uffici preferiscono vivere continuamente sotto le telecamere di sorveglianza perché, quando la zingarella li accuserà presso il sostituto procuratore di averla palpata, o lo spacciatore di essere stato pestato, possono dimostrare di non essere colpevoli. Ma ciò significa che sotto sorveglianza permanente non sono quelli che dovrebbero esserci sottoposti, i delinquenti, bensì loro: rovesciamento, inversione di quell’ordine fondamentale che, loro, dovrebbero far rispettare nella società. Loro vivono la frustrazione di perseguire i reati e vedere chi li commette, immediatamente rilasciato, e il delinquente già arrestato più volte che li deride perché si sa protetto e immune dalla “giustizia” dell’ideologo-procuratore. Loro devono trattenersi dall’usare la violenza – legittima , ma ormai illegale – mentre lo spacciatore extracomunitario la usa come e quanto vuole, anche contro innocui passanti.
Ancora peggiore la posizione degli agenti di custodia, col loro misero stipendio da servitori essenziali dello Stato:
“Io sono della penitenziaria, vi assicuro che è meglio andare in guerra che in sezione. Aggressioni, insulti, minacce, offese sono all’ordine del giorno. Se denunciamo noi finisce tutto a tarallucci e vino; ad una piccola accusa di un utente scattano indagini che neanche al pool antimafia fanno. Per non parlare della processione di politici finti buonisti”.
La frustrazione usura. Peggio: abbrutisce.
“L’abbrutimento – scrive Ortega y Gasset – non è altro che l’accettazione, come stato abituale e costituito, di una anormalità, di qualcosa che, mentre si accetta, continua a sembrare irregolare, indebita. E siccome non è possibile trasformare in normalità ciò che nella sua essenza è anormale e fraudolento, l’individuo finisce per adattarsi lui all’irregolare, rendendosi omogeneo alla anormalità o fraudolenza” fondamentale che è lo stato italiano, e da decenni.
Gli agenti “dell’ordine” troppo spesso escono individualmente dalla contraddizione insostenibile, primaria ed elementare di dover obbedire al “disordine” decretato da giudici ingiusti e leggi sovvertitrici dell’ordine delle cose, sparandosi un colpo. Non essendo nemmeno più vagamente cristiani, perché anche la Chiesa ha disertato dal suo compito vitale essenziale, vi comanda chi non deve comandare.
Ma attenzione: la questione di chi comanda e chi ubbidisce divenuta – e mantenuta – torbida, sta deformando nella più segreta intimità anche ciascuno di noi, ci falsifica dentro, tutti senza eccezione, come popolo – a tal punto l’uomo è “sociale” e “storico” prodotto della storia-cultura-diritto nazionale e della società deformata che accettiamo. Senza la forza (morale) di ribellarci, di sacrificare anche la vita per espellere chi comanda senza legittimità, anche noi collettivamente ci suicidiamo. Cosa sono le torme dei nostri giovani che consumano la vita senza un progetto, nelle discoteche, droga e sesso, senza futuro; quei giovani che non sanno nulla del passato, che non studiano né lavorano e si coprono di tatuaggi di cui i Maori si vergognerebbero, non fanno che incarnare “la falsificazione più completa del proprio essere per accomodarlo a quella frode iniziale. Non può sostenersi con decoro nella Storia una società il cui Stato, il ci potere di comando, è per costituzione doloso e sleale”. Ortega y Gasset, La ribellione delle masse-
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/non-si-suicidano-sono-ammazzati/
ATTUALITÁ SOCIETÀ COSTUME
PANDEMIA E CACCIA ALLE STREGHE, ORIZZONTI FUTURIBILI
Brian Levack, in un pregevole saggio del 1987, esaminava il fenomeno della caccia alle streghe in Europa, una mattanza che raggiunse l’acme nei secoli XVI e XVII. Questo evento, che si protrasse per oltre trecento anni, fu dovuto, per l’illustre docente di Austin, a vari fattori di carattere culturale, sociale e giuridico. L’idea del maleficium era antica quanto l’uomo e le “insane arti” erano temute soprattutto dal popolo, mentre erano considerate con scetticismo dalle classi elevate. A partire dall’autunno del Medioevo, tuttavia, s’impose, in quest’ultime, la concezione che vi fosse un’organizzazione clandestina di streghe e stregoni, unita da uno scellerato patto col diavolo. Essa avrebbe costituito un’anti-società che minacciava la sopravvivenza della “stessa civiltà cristiana”.
Teologi, pensatori, giuristi, ecclesiastici, in altre parole, facendo proprie alcune credenze del volgo, elaborano in un teorema che prevedeva l’esistenza di una frangia eversiva, di una forma particolare di eresia, che sfidava trono e altare, voluti e benedetti da Dio. Siffatta idea, condivisa da cattolici e protestanti, grazie a ulteriori contributi, giunse a enucleare un “concetto cumulativo” di stregoneria che partorì opere come il “Formicarius” (1437), il “Malleus maleficarum” (1486), il “Compendium maleficarum” (1608) e altri scritti simili, divenuti le fondamenta dottrinali della caccia alle streghe. Fra gli ulteriori contributi, poco prima richiamati, vi era la misoginia, le frequenti epidemie di peste, la paura per l’ordine pubblico. Le jacqueries contadine e le rivolte erano, in vero, molto diffuse e “i disordini terrorizzavano le classi dominanti”, timorose di perdere il potere. A ciò si aggiunga una riforma di carattere giuridico, che pesò notevolmente sull’evolversi degli eventi: il passaggio da un sistema di procedura penale accusatorio a uno inquisitorio. Tutto questo generò una psicosi collettiva e una dinamica del sospetto, per cui qualsiasi comportamento non conforme agli stereotipi sociali, ogni atteggiamento considerato deviante, poteva essere “unto” di stregoneria. Non solo, l’accusa di esercitare la magia nera poteva essere un’utile arma per eliminare avversari di qualsiasi genere, dal fastidioso vicino di casa, al concorrente agguerrito, fino al contendente politico.
Mi sembra che taluni argomenti dello studio di Brian Levack siano attinenti alla situazione attuale. Prima di tutto la pandemia è, per sua natura, un ritorno al passato e richiama scenari che pensavamo fossero relegati in pagine di storia e di letteratura. La solitudine e il senso di precarietà imposto dal lockdown evocano le pagine di Albert Camus con quell’accettazione “di vivere giorno per giorno, e soli di fronte al cielo”. Anche la premessa di Giovanni Boccaccio al “Decameron” pare avere passaggi profetici. “La mortifera pestilenza” ha, infatti, avuto inizio “nelle parti orientali”, e la scienza si è rivelata impotente ad arginarla dato che “né consiglio di medico, né virtù di medicina alcuna pareva che valesse”, mentre sono, apparsi in “numero…grandissimo” sul palcoscenico dei media, soloni “senza alcuna dottrina” che pontificavano su tutto e su tutti. Inoltre, il contagio ha avuto un effetto deleterio sulla ragione, spesso ritiratasi di fronte all’avanzare di un’istintualità illogica, dettata dal panico.
La psicosi collettiva delle età passate sembra, dunque, essere di nuovo alle porte e, ammantata di disagio sociale, di crisi economica, d’incertezza, comporta, a sua volta, nuove dinamiche del sospetto e un acuirsi del confronto, degenerato di frequente in scontro, in ostilità ad personam, verso chi la pensa in modo diverso. In una situazione siffatta, vi è il rischio di una nuova barbarie ideologica, che soffochi tolleranza e convivenza con la cappa di una partecipazione faziosa e viscerale a un contesto di idee, spesso confuso ma oltremodo definito nella propria indeterminatezza. Dietro questo rischio ve ne è un altro, ancor più grave, il timore di una “verità” dogmatica, imposta per legge e il riaffacciarsi del reato di opinione col quale colpire e azzittire chi esprime una diversità di pensiero. Tutto questo bolle nel calderone del Covid-19 e, mentre la tensione sociale sale di giorno in giorno, il fantasma di una nuova caccia alle streghe si affaccia sul mondo globalizzato dalla paura.
FONTE: http://opinione.it/societa/2020/11/05/luigi-pruneti_brian-levack-caccia-alle-streghe-civilt%C3%A0-cristiana-teorema-eresia-disordini-stregoneria-lockdown-panico-psicosi-collettiva-paura/
CULTURA
Manzotti «E se la coscienza non fosse dentro di noi»
Andrea Lavazza martedì 4 febbraio 2020
La nuova ipotesi dello studioso dello Iulm: «L’esperienza cosciente è al di fuori di noi, nel mondo, non nel nostro corpo»
La coscienza è quella cosa che scompare quando ci addormentiamo e ritroviamo al risveglio, e che può subire modificazioni di diverso grado quando assumiamo sostanze come alcol o droghe oppure quando entriamo in coma. Questa definizione vaga e imprecisa ci fa intuire piuttosto bene di che cosa stiamo parlando, ma la scienza che vuole spiegare un fenomeno naturale ha bisogno di specificare meglio e di mettere confini chiari. Forse è per questo che la coscienza (intesa non in senso morale) resiste agli innumerevoli tentativi di spiegazione. Che sia prodotta dal cervello è una convinzione condivisa dalla maggior parte degli studiosi (non sono però scomparsi i dualisti alla Cartesio), eppure questo dato non è sufficiente per capire come sorga. Riccardo Manzotti, uno studioso italiano dalle competenze a largo spettro (è ingegnere e psicologo, ora insegna filosofia teoretica allo Iulm di Milano), da molti anni si occupa di coscienza cercando un approccio nuovo, che possa superare l’impasse in cui sembra trovarsi la ricerca. La sua posizione innovativa e certamente controversa è presentata in dettaglio nel volume La mente allargata. Perché la coscienza e il mondo sono la stessa cosa, appena pubblicato in italiano (Il Saggiatore, pagine 340, euro 25). La versione originale è uscita in inglese, frutto di un lungo soggiorno di studio al Mit di Boston. La mossa che può cambiare il gioco, secondo l’espressione anglosassone, è eliminare la concezione classica di coscienza su cui si arrovellano pensatori e neuroscienziati per fare posto all’idea che gli esseri umani siano identici agli oggetti esterni che esistono relativamente al loro corpo. Della mela che sta di fronte non c’è una copia di qualche tipo dentro la nostra testa, bensì siamo noi, con il sistema nervoso specifico di cui siamo dotati, a dare efficacia causale agli oggetti complessi che incontriamo con tutte le loro caratteristiche (cioè a fare sì che essi producano un effetto). L’assunzione (ontologica) che sta alla base della teoria è che enti e proprietà siano relative, cioè legate tra loro: la facciata di un palazzo dipende dal corpo che ha di fronte, le immagini dalla riflettanza della luce, il peso dalla gravità della terra. Ma questo non significa per Manzotti che sia la mente a creare il mondo, come ritiene l’idealismo; di per sé la mente non esiste, esistono corpi e oggetti secondo quanto spiega la fisica, anche se cade l’oggettività assoluta. E nel libro l’autore cerca di mostrare come la sua teoria possa essere sottoposta a una verifica empirica, rispondendo anche a molte possibili obiezioni, in un linguaggio chiaro e diretto, che forse non soddisferà tutti gli addetti ai lavori, ma ha certamente il merito di aprire il dibattito a un pubblico più ampio.
Professor Manzotti, perché la coscienza è uno degli ultimi grandi misteri della scienza?
«Finora la coscienza ha completamente eluso il metodo scientifico. Nessuno ha mai ‘fotografato’ un’esperienza cosciente. Le neuroscienze hanno raccolto molti dati sull’attività neurale, ma niente di diretto. Tutto quello che sappiamo sui neuroni e il cervello non richiede la coscienza. Eppure, ciascuno di noi fa continuamente esperienza del mondo, delle emozioni, di sé stesso. Se non lo sapessimo per esperienza diretta, la scienza non avrebbe alcun motivo di sospettare che in parallelo al funzionamento delle sinapsi accade qualcosa come la nostra esperienza cosciente. Questo fallimento ripetuto ha tutte le caratteristiche del fatto irriducibile su cui si infrange il modello dominante di ricerca scientifica e che porta a una rivoluzione nel senso di Thomas Kuhn. È il fatto, appunto, scandaloso che richiede di rivedere il metodo».
La sua proposta della ‘mente allargata’ si presenta come ‘rivoluzionaria’. Che cosa significa che coscienza e mondo sono la stessa cosa?
«Gran parte della ricerca sulla coscienza, sia in filosofia sia nelle neuroscienze, si basa su un luogo comune: il soggetto e l’oggetto sono separati. Come nel famoso quadro di Magritte, La condizione umana, il soggetto è visto come una camera che guarda al mondo esterno attraverso le porte dei sensi. Questo modello non ha mai funzionato. Ci sono due termini, il nostro corpo e l’oggetto esterno. Quando facciamo esperienza dell’oggetto esterno, nessuno capisce come sia possibile che il nostro corpo, che è quello che è – cioè cellule, sangue, neuroni – diventi l’esperienza di una mela rossa, per esempio. Nel nostro cervello non ci sono schermi su cui si proietta il mondo esterno. La mia ipotesi è radicale e anche molto semplice. L’idea è che ci siamo sempre sbagliati nel cercare noi stessi nel corpo. Il nostro corpo è una condizione necessaria per farci esistere, ma noi non siamo dentro il corpo. L’ipotesi radicale è che noi siamo tutt’uno con il mondo esterno. Non siamo un cervello, abbiamo un cervello».
Perché sarebbero insoddisfacenti tutte le altre teorie sulla coscienza?
«Perché le altre teorie muovono dalla contrapposizione tra soggetto e oggetto e quindi si trovano a dover giustificare l’impossibile, ovvero come può il soggetto uscire da sé stesso (sia esso una mente immateriale come voleva Cartesio o un cervello come propongono le neuroscienze) e raggiungere un mondo esterno che gli è estraneo. Per riuscire in questa impresa impossibile, molti autori sono costretti a ricorrere a ipotesi insostenibili che vorrebbero dare al nostro cervello ‘strani’ poteri che dovrebbe permettere ai nostri neuroni di fare cose impossibili, come vedere il mondo esterno o avere proprietà invisibili. Le altre teorie presuppongono che il nostro cervello sia in qualche modo speciale e in questo modo cadono in quel narcisismo cosmologico già denunciato da Freud. Il nostro cervello non è speciale, così come il nostro Dna e la posizione della Terra nell’universo. Le neuroscienze sono antropocentriche nella loro ingenuità nel credere che siamo dentro la nostra testa».
Ma se il nostro cervello non è l’autore della coscienza dove trovare il materiale di cui è fatta la nostra esperienza?
«La risposta, nella mia prospettiva, è di una semplicità disarmante: è il mondo stesso. Quando vedo una mela rossa, di che cosa è fatta la mia esperienza se non della mela rossa stessa? Fare esperienza di una mela, vuol dire solo che quella mela è parte di ciò che noi siamo. L’esperienza è un caso di esistenza. Percepire qualcosa è essere quella cosa. Noi siamo fatti dagli oggetti che esistono relativamente al nostro corpo, e non dalle relazioni. I sensi sono quelle strutture relativamente alle quali esistono gli oggetti esterni. In una frase, i sensi (e il nostro corpo più il cervello), sono il sistema di riferimento rispetto al quale esiste un mondo di oggetti relativi. Questi oggetti relativi, ma assolutamente fisici, sono la nostra esperienza cosciente. Noi siamo là, nel mondo, non qui, nel corpo».
FONTE: https://www.avvenire.it/agora/pagine/manzotti-la-scienza-che-cerca-la-coscienza
IL DRAGO: MITO E SIMBOLO
di Carla Amirante
Relazione al Convegno internazionale Il simbolo nel mito attraverso gli studi del Novecento, Recanati – Ancona ottobre 2006 – Pubblicata nell’omonimo volume di Atti del Convegno, Ancona 2008
Abstract
Il saggio prende in esame la figura del Drago sottolineando la sua origine antichissima – addirittura preistorica – e la sua longevità, che gli ha permesso di giungere fino ai nostri giorni come personaggio mitico simbolo di forza e potenza.
La sua presenza nel passato, anche come divinità, presso tutte le genti del globo è stata caratterizzata in maniera differente, nelle varie epoche storiche e diverse aree
geografiche, per quanto riguarda sia il suo aspetto fisico, sia i suoi tratti psicologici ed intellettuali. Questa varietà di significati di cui è stato caricato, ora come immagine negativa di violenza bruta, primordiale e distruttiva, ora come personificazione di qualità positive, ha permesso a questo animale mitico di nascere con certezza più di seimila anni fa, di giungere vitale ai nostri giorni e di entrare nell‟epoca del futuro in ottima forma come protagonista di storie fantastiche.
Il suo percorso storico, dopo una prima apparizione in epoca preistorica, incomincia con le prime civiltà mesopotamiche ed egizia e prosegue con i Greci, gli Ebrei e le popolazioni del Nord-Europa. Ovviamente si è posta un’attenzione particolare alla cultura dell’Estremo-Oriente, Cina e Giappone, dove il Drago è stato venerato e profondamente sentito, entrando addirittura nel vissuto quotidiano. Infine non si sono volute trascurare le credenze dei popoli ancora primitivi alla fine dell‟800.
La ricerca termina con un rapido excursus sul drago nell’arte, incluso il settore cinematografico.
Generalità
Il Drago è un animale decisamente fuori dal comune, è l’essere favoloso e grandioso per eccellenza, che raccoglie in sé elementi sia positivi che negativi a seconda delle epoche storiche o dei luoghi geografici presi in esame. Esso, nelle molte storie in cui è presente, non figura come il primo attore ma sicuramente come un comprimario molto importante, ed è sempre una figura di grande prestigio ed autorevolezza che non va sottovalutato mai, sia che agisca a fin di bene sia che procuri devastazioni e morti.
Il termine drago deriva dalla parola greca drákōn, che a sua volta prende origine dal verbo dérkesthai che significa “guardare”, e dalla parola latina drăco (nom.), dracōnen (acc.): entrambi i termini si pongono in relazione con la vista, infatti una delle caratteristiche più importanti del Drago è quella di possedere uno sguardo acutissimo e paralizzante.
La sua vita è lunghissima perché inizia in tempi lontanissimi e giunge fino ai tempi nostri rinverdita dal cinema, dalla televisione e dalla narrativa Fantasy. La sua nascita si perde nella notte dei tempi ed è coeva a quella delle divinità più antiche con le quali spesso si trova in lotta per il dominio del mondo. Il suo aspetto del resto, a testimonianza della sua antichità, è molto simile agli unici draghi veramente esistiti, che sono stati i dinosauri, vissuti nel mesozoico, circa cento milioni di anni prima dell’uomo ed estintisi alla fine del cretaceo (65 milioni di anni fa). La credenza della loro reale esistenza si può spiegare, secondo la teoria di F. Dacque, in una memoria originaria di essi che si sia fissata nel DNA dell‟uomo anche se quest’ultimo è venuto al mondo molto tempo dopo.
Vi può essere anche un’altra teoria che spieghi simile credenza, basata sul fatto che in vari luoghi della terra sono state rinvenute ossa e carcasse di giganteschi animali preistorici. Questi ritrovamenti, inspiegabili per gli uomini del tempo antico hanno creato la leggenda dell‟esistenza del Drago.
Possiamo anche pensare ad una visione della natura fantasiosa e poetica, doti che certo non mancavano negli uomini primitivi, che hanno voluto vedere nelle forme particolari delle montagne, dei fiumi od anche delle nuvole delle figure straordinarie e favolose simili a persone o animali fantastici, tra cui il Drago.
Il Drago ha caratteristiche fisiche multiformi: infatti, benché sia in origine nato con sembianze di gigantesco rettile, con il trascorrere dei secoli ha assunto forme più complesse, frutto della fantasia dei vari popoli: converrà quindi prendere in esame tutte le sue diverse manifestazioni.
La sua prima apparizione sulla scena dell’immaginario umano è quella di enorme serpente, ed infatti la costellazione, che da lui prende il nome di Drago, ha proprio la forma di un lungo rettile ed occupa un posto astronomico di vitale importanza, perché, a causa della precessione degli equinozi, il polo celeste compie ogni 25765 anni il giro completo di una circonferenza il cui centro si trova sul dorso di questa costellazione. Inoltre i due nodi, quello ascendente e quello discendente, i punti degli equinozi, erano visti come la testa e la coda del Drago: il primo è il punto in cui il Sole, all‟inizio della primavera, interseca l’equatore celeste ed il secondo, quello in
cui sempre questo astro lo incrocia di nuovo in autunno, ed inoltre in questi punti le orbite dei pianeti e della Luna si incontrano con l’eclittica dando luogo alle eclissi di Sole. Sappiamo quanto gli uomini antichi fossero superstiziosi e dessero grande importanza ai fenomeni astronomici, per cui nelle eclissi di Sole immaginavano che il Drago divorasse la Luna. Sempre legati all‟immagine del serpente furono i nomi scelti per indicare le stelle più brillanti della costellazione: Eltanin, dall’arabo al-tinnin, “il serpente”, e Thuban, “la testa del serpente”.
In seguito da enorme serpente primordiale, esso divenne prima mostro marino od altro animale mostruoso, poi, con le civiltà che si evolvevano e tendevano ad antropomorfizzare la natura ed i suoi fenomeni, un essere metà uomo e metà bestia, fino a nascondersi sotto sembianze umane; perciò il suo percorso evolutivo è stato molto eterogeneo: in principio serpente, poi animale di enormi dimensioni e di fattezze mostruose tali da incutere grande terrore, in seguito coccodrillo alato che sputava lingue di fuoco, ed infine uomo o donna nell‟aspetto esteriore.
Ci sono stati Draghi che, oltre ad avere il corpo di grosso e lungo serpente, hanno avuto le fauci di un coccodrillo, con le corna sulla testa, ma senza zampe ed ali. Altri invece sono completi di tutto, possiedono da due a quattro zampe, due ali, un corpo ricoperto da una corazza di squame che li protegge dai colpi dei nemici rendendoli invincibili, molte teste, che una volta tagliate ricrescono, una cresta dentellata lungo il dorso, lingua e coda biforcute ed inoltre sputano fuoco e fiamme dalla bocca e dalle narici.
I Draghi celesti, soprattutto di origine cinese, sono provvisti di grandi ali che permettono loro di volare molto in alto e velocemente sino al sole.
Ci sono inoltre varie suddivisioni tra i draghi in base al loro colore, bianco, nero, rosso ecc. oppure in base alle loro scaglie d’oro, d’argento, di bronzo ecc. ed ancora suddivisioni a seconda che le scaglie siano formate da pietre preziose come lo smeraldo, il rubino, l’ametista ecc. . La dimora del Drago può essere, in relazione alla sua struttura fisica, il cielo come l‟abisso dei mari, una profonda caverna, una pianura desolata, un vulcano in piena attività, un bosco, perché egli è, a seconda dei casi, un animale celeste, terrestre o acquatico.
Queste caratteristiche fisiche hanno un significato ben preciso: in base ai colori ed alla materia di cui sono fatti, i draghi hanno infatti doti diverse, poteri particolari.
Se le differenze in base all’aspetto esteriore possono essere molte, in comune hanno la vista acutissima, lo sguardo paralizzante, l‟udito molto fine ed un olfatto eccezionale, gli artigli e zanne capaci di sgretolare torri, mura e rocce. Altra caratteristica molto importante di questo animale è la sua capacità di nascondersi sotto diverse sembianze comprese quelle umane, come quelle di un bel giovane o di una graziosa vergine, per meglio raggiungere i suoi scopi non sempre encomiabili; ma per poter usare il suo soffio pestifero e mortale deve riacquistare il suo vero aspetto.
Abbiamo visto sia gli aspetti esteriori diversi che quelli comuni e questa varietà di caratteri riaffiora anche nella personalità del Drago, che in Cina ed in estremo Oriente in genere è un‟entità positiva e si presenta come un essere saggio e sapiente, mentre mano a mano che ci si sposta verso l’Occidente e l’Europa esso perde gli aspetti buoni e diviene addirittura simbolo del male, sotto le cui sembianze si può nascondere il diavolo stesso.
Si può dire che il Drago incarna negli aspetti positivi i simboli della forza, della sapienza nel dare saggi consigli e giuste risposte, oppure il ruolo di attento custode del tesoro perché protegge ricchezze e cose sacre contro intromissioni non degne, può addirittura svolgere una funzione apotropaica capace di scongiurare sciagure varie come catastrofi, alluvioni, incendi e malanni; invece se visto in senso negativo, esso incarna vari vizi: l’avidità, perché nasconde e custodisce i tesori utili all’uomo, come l’immortalità o la scienza universale; la voracità, perché divora vitelli, pecore ed esseri umani; la concupiscenza, perché gli vengono offerte le fanciulle vergini; ed ancora il male assoluto, perché in lui si cela il diavolo.
Descritte in grandi linee le caratteristiche fisiche e morali, può affermarsi che il Drago come immagine risponde pienamente al concetto di simbolo perché, analizzando il termine, si evidenziano gli stretti legami che intercorrono con esso.
Brevemente dirò ciò che già sappiamo del termine simbolo: esso è una parola di origine greca formata dalla preposizione syn e dal verbo ballo, che uniti significano “metto insieme”. In origine con questa parola si designavano le due unità di un oggetto spezzato che poteva essere ricomposto in seguito, così ogni singola parte era riconoscimento dell‟altra. Con il tempo questo termine ha acquistato il significato di “stare in luogo” e perciò di funzione rappresentativa di qualcos‟altro, con forte somiglianza od analogia tra termine ed oggetto simboleggiato.
Analizzando la figura del nostro Drago, la prima impressione che ricaviamo è che la sua persona è fortemente legata alla natura per il fatto stesso di essere un animale. Egli è una grossa bestia primordiale che con la sua forza e la sua mole possente evoca la grandiosità della natura, della terra ai suoi albori gestativi durante le ere preistoriche. Il drago come animale del sottosuolo provoca le eruzioni dei vulcani ed i terremoti, come animale degli abissi marini genera i maremoti e come animale celeste dà luogo a temporali, tuoni ed uragani; il più delle volte egli unisce in sé tutte
queste potenzialità in quanto possiede le tre caratteristiche naturali, di essere marino o lacustre, terrestre e celeste.
Fermo restando lo stretto legame tra il Drago, elemento visibile del simbolo e l‟entità astratta rappresentata, andremo a ricavare altre impressioni e simbologie frutto del pensiero degli uomini, che evolvendosi hanno voluto attribuirgli caratteristiche sempre più complesse.
Spiegare la sua lunga vita è difficile sia per l’estensione del territorio in cui si è mosso, in pratica tutto il pianeta ed anche il cielo sovrastante, sia per la nascita, avvenuta chissà quando, forse in epoca preistorica, e spiegata in maniera diversa dalle religioni antiche, sia infine per le azioni compiute da lui fino ai giorni nostri, tante e multiformi.
Il Medio-Oriente. Rispettando l‟ordine cronologico ufficiale del sorgere delle civiltà, inizieremo dal Medio-Oriente, e precisamente dalla Mezzaluna fertile con la divinità del Caos acquatico Tiamat e il suo sposo, la divinità dell’abisso Apsu, le più antiche divinità del pantheon religioso babilonese, che rappresentavano l’oscurità, la pericolosità ed il mistero di una natura impossibile da dominare.
L’articolo continua qui:
FONTE: https://www.academia.edu/39642169/Il_Drago_mito_e_simbolo
COLLOQUIO EINSTEIN – TAGORE
14 luglio del 1930, Caputh, periferia di Berlino. Un uomo si avvicina a una casa in legno. Ha una veste molto particolare, soprattutto per i tedeschi dell’epoca, che lo guardano incuriositi. L’uomo è indiano, ha una barba lunga, bianca. Sembra un santone, un mistico dalla fronte ampia. Al di sotto di questa, due occhi vivaci, che osservano, scrutano. Lo accompagna un altro uomo, in abiti più tradizionali, almeno per gli occidentali: è il dottor Mendel, l’amico comune, l’anello di congiunzione che sta per unire due delle più grandi menti al mondo. Lui, “l’asceta”, è Rabindranath Tagore, poeta e filosofo indiano – nonché premio Nobel nel 1913 – nato in una famiglia di bramini, la casta sacerdotale induista. La casa a cui ha appena bussato è il “buen retiro” di Albert Einstein, scienziato geniale che ha teorizzato la Relatività Ristretta e Generale, e che qui ama passare il suo tempo libero, lontano dal caos della città.
Due figure così lontane, almeno in apparenza. Due uomini che hanno dedicato la loro vita ad aspetti così lontani tra loro: la spiritualità e la scienza. Due uomini che vivono agli antipodi, uno in Germania e l’altro in India. Ed è proprio questo che ha stuzzicato la curiosità del dottor Mendel, che tanto ha insisto affinché i due s’incontrassero. “Cosa mai potrebbe nascere dall’incontro di queste due figure?”, si chiede da qualche giorno il dottore, che però ha colto una sottigliezza. Nonostante la palese diversità, pensa Mendel, i loro pensieri hanno molti punti in comune, a partire dall’amore per la conoscenza.
E il pensiero di Mendel trova riscontro nella lunga chiacchierata che i due tengono nel salotto della casa in legno, opportunamente registrata e poi trascritta in un articolo che apparirà l’anno successivo nella rivista Modern Review.
Le due menti ci mettono poco a carburare, evitando qualsiasi tipo di convenevoli. Lo scienziato tedesco domanda a bruciapelo: “Credi che il divino sia isolato dal mondo?“. La risposta di Tagore è immediata: “Non è isolato. L’infinita personalità dell’uomo comprende l’universo. Non c’è nulla che non possa essere compreso dalla personalità umana, e questo prova che la verità dell’universo è una verità umana“. Ma Einstein ribatte prontamente: “Ci sono due diverse concezioni sulla natura dell’universo: il mondo come unità dipendente dall’umanità, e il mondo come realtà indipendente dal fattore umano“. Tagore prende una manciata di secondi, e con calma risponde: “Quando l’universo è in armonia con l’uomo, conosciamo l’eterno come Reale e ne sentiamo la bellezza”. “Ma questa è una concezione puramente umana dell’universo”, la pronta battuta di Einstein, che però non riesce a proseguire, interrotto immediatamente dal poeta: “Il mondo è un mondo umano – afferma piantando gli occhi vivaci in quelli del tedesco – la sua visione scientifica è anch’essa quella di un uomo scientifico. Pertanto il mondo senza di noi non esiste; è un mondo relativo, la cui realtà dipende dalla nostra coscienza. C’è una qualche misura di ragione e di piacere che gli conferisce verità ed è la misura dell’uomo eterno le cui esperienze sono rese possibili attraverso le nostre esperienze”. Lo scienziato tenta di mettere all’angolo il mistico: “Questa è una realizzazione dell’entità umana”. “Sì certamente, un’entità umana che noi dobbiamo comprendere per mezzo delle nostre emozioni e attività. Noi comprendiamo l’uomo supremo, che non ha limitazioni individuali, per mezzo delle nostre limitazioni”.
Una breve pausa, poi prosegue, evidenziando le differenze delle loro materie: “La scienza si occupa di ciò che non è confinato nell’individuale; è il mondo impersonale e umano delle Verità. La religione realizza quelle Verità e le unisce con i nostri bisogni più profondi. La nostra coscienza individuale della Verità guadagna così un significato universale. La religione conferisce valore alla Verità, e noi conosciamo la Verità così bene attraverso la nostra armonia con essa”. Incalzato dalla risposta di Tagore, Einstein controbatte, chiedendogli se la verità, allora, o la bellezza, non sia indipendente dall’uomo. “No”, afferma l’indiano.”E se gli esseri umani non ci fossero più, l’Apollo del Belvedere non sarebbe più bello?”. La risposta di Tagore è sempre negativa, “No!”.
Un sospiro, Einstein riflette su quanto detto dal suo ospite: “Concordo con questa concezione della bellezza, ma non con quella della verità”. “Perché no? – chiede Tagore – La verità è realizzata attraverso gli uomini“. “Non posso provare che la mia concezione sia giusta – afferma socraticamente lo scienziato – ma questa è la mia religione”. Tagore avanza, quindi, la sua spiegazione: “La bellezza è insita nell’idea di perfetta armonia, cioè nell’essere universale; la Verità è la perfetta comprensione della mente universale. Noi individui ci avviciniamo a queste attraverso i nostri errori e sviste, con il sommarsi delle nostre esperienze, attraverso l’illuminazione delle nostre coscienze. Come potremmo altrimenti conoscere la verità?”. “Non posso provarlo – ripete Einstein – ma io credo nell’argomento pitagorico che la verità sia indipendente dagli esseri umani“.
“L’intera mente umana comprende la verità; le menti indiane e quelle europee si incontrano in una comprensione comune”, ribadisce il poeta indiano, a cui, però, Einstein risponde con un dubbio: “Il problema è se la verità sia indipendente dalla nostra coscienza”. Dubbio prontamente fugato da Tagore: “Ciò che noi chiamiamo Verità giace nell’armonia tra l’aspetto soggettivo e quello oggettivo della realtà, i quali appartengono entrambi all’uomo super-personale”. Il tedesco, non trovandosi d’accordo, afferma: “Noi facciamo cose con le nostre menti, anche nella nostra vita quotidiana, per le quali non siamo responsabili. La mente riconosce delle realtà esterne a essa, indipendenti da essa. Per esempio – indicando il tavolino in legno vicino a loro – se nessuno fosse in questa casa, il tavolo resterebbe dov’è”. “Certo, rimane fuori dalla mente individuale, ma non dalla mente universale. Il tavolo è ciò che è percepibile da qualche tipo di coscienza che possediamo”.
Sul viso di Einstein spunta un sorriso, quasi si aspettasse quella risposta: “Ma se nessuno fosse in casa, il tavolo continuerebbe a esistere, e questo è già scorretto dal suo punto di vista, perché noi non possiamo spiegare cosa significa dire che ‘il tavolo’ è lì, indipendentemente da noi. Il nostro punto di vista naturale sull’esistenza della verità separata dall’umanità non può essere spiegata o provata, ma è una credenza che non può mancare a nessuno, neanche a esseri primitivi. Noi attribuiamo alla verità un’oggettività superumana. Ci è indispensabile – questa realtà che è indipendente dalla nostra esistenza e dalla nostra esperienza e dalla nostra mente – anche se non possiamo spiegare cosa significa”.
Piccato dalla risposta dello scienziato, Tagore risponde: “La scienza ha provato che il tavolo come oggetto solido è un’apparenza e perciò quella cosa che la mente umana percepisce come tavolo non esisterebbe senza la mente. Allo stesso tempo si deve ammettere il fatto che la realtà fisica definitiva non è altro che una moltitudine di centri di forze elettriche in movimento, che appartiene anch’essa alla mente umana. Nell’apprendimento della verità c’è un conflitto esterno tra la mente umana universale e la stessa mente confinata nell’individuo. Il processo continuo di riconciliazione prosegue nella scienza, nella filosofia, e nell’etica. In ogni caso, se ci fosse una qualsiasi verità assoluta staccata dall’umanità, per noi sarebbe assolutamente non esistente.
Il sorriso di Einstein diventa una risata, e divertito esclama: “Mi permetta, ma allora io sono più religioso di voi!”. A questa affermazione, Tagore replica: “La mia religione è nella riconciliazione dell’uomo super-personale, dello spirito universale, nel mio essere individuale”.
Da questo incontro nacque una sincera amicizia, e tante altre chiacchierate. Tagore tornò a visitare lo scienziato. Il loro incontro dovrebbe essere ricordato come un chiaro segno di vicinanza tra scienza e religione, due mondi che possono coesistere nel mondo e nell’uomo, a dispetto dei guelfi e ghibellini che ancora oggi si fanno la guerra senza rendersi conto che, in effetti, sono due facce, due realtà, appartenenti alla stessa medaglia.
FONTE: https://www.academia.edu/29725961/Colloquio_fra_Einstein_e_Tagore_la_verit%C3%A0_%C3%A8_dentro_o_fuori_di_noi
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Due Portland, stessa visione. No al riconoscimento facciale
Negli USA durante il weekend e fino a martedì la popolazione è stata impegnata non solo con le elezioni presidenziali ma anche con il rinnovo di tutti i 435 seggi della Camera, un terzo di quelli del Senato, l’elezione dei governatori locali e con ben 129 referendum in 35 Stati.
Nel weekend a Portland, nel Maine, si sono svolti ben cinque referendum popolari, in parte osteggiati dai membri dell’esecutivo locale e da alcuni lobbisti che hanno speso milioni di dollari nel vano tentativo di screditare mediaticamente le proposte, specialmente quelle riguardanti le politiche abitative e quelle salariali.
Ma con il secondo dei cinque referendum i cittadini di Portland si sono opposti all’utilizzo del facial recognition da parte degli agenti di polizia.
Avevamo già parlato degli studi che hanno scoperto come le tecnologie possono promuovere la profilazione razziale e le disparità nella giustizia penale, tendendo ad identificare erroneamente le donne e le persone di colore, causando migliaia di arresti ingiustificati, ma l’esito del referendum rappresenta una vittoria per la tutela dei diritti di tutti i cittadini nei confronti delle condotte delle forze dell’ordine, facendo di Portland l’ultima di una lunga lista di città degli Stati Uniti a vietare le tecnologie di riconoscimento facciale.
In particolare si prevede che verrà rafforzato il divieto dell’uso della tecnologia di sorveglianza del riconoscimento facciale da parte della polizia e di altri funzionari pubblici.Il governo locale già lo scorso agosto aveva concordato una sospensione dall’utilizzo dei software di riconoscimento facciale nell’attività di polizia criminale, con l’intesa che l’eventuale esito positivo del referendum avrebbe sostituito la loro ordinanza.
Ora che è stato approvato, il provvedimento non potrà essere toccato per almeno cinque anni.
La nuova misura permetterà ai cittadini-vittime di citare in giudizio la municipalità di Portland per sorveglianza illegale chiedendo un risarcimento tra 100 dollari a 1.000 dollari per ciascuna violazione. Non potranno essere utilizzate le prove acquisite attraverso tali tecniche poiché ottenute illegalmente e la violazione dell’ordinanza sarà d’ora in poi motivo di sospensione o di licenziamento, qualora reiterata, per i funzionari della città.
A settembre invece nell’omonima e ben più nota città, la capitale dell’Oregon, era stato approvato, dopo un lungo iter iniziato a novembre 2019, quello che è stato definito come “il più severo divieto municipale di riconoscimento facciale del paese”, che colpisce non solo i soggetti pubblici ma anche le imprese private, mettendo al bando le tecnologie di riconoscimento facciale da alberghi, ristoranti e negozi a partire dal 2021, prevedendo multe di 1000 dollari al giorno per ciascuna infrazione.
L’ordinanza in questo caso è stata adottata perché secondo il consiglio comunale “le comunità nere, indigene e di colore sono state sottoposte a una sorveglianza eccessiva e all’impatto disparato e dannoso derivato dall’uso improprio della sorveglianza“. Aggiungendo che è stato documentato come le tecnologie per il riconoscimento dei volti “danno vita ad un’inaccettabile discriminazione razziale e di genere” motivo per cui la città “deve adottare ogni misura precauzionale fino a quando queste tecnologie non saranno certificate e sicure da usare e le questioni relative alle libertà civili non saranno risolte”.
DIRITTI UMANI
Alunni interrogati con una benda sugli occhi, scoppia il caso a Scafati.
Il “nuovo metodo educativo” ideato da una professoressa di latino e greco, irrispettoso nei confronti dei ragazzi e contrario a ogni indicazione ministeriale.
La didattica a distanza (dad) sta mettendo a dura prova la metodologia tradizionale di insegnamento e di apprendimento. C’è chi, come una zelante professoressa di latino e greco del liceo Caccioppoli di Scafati (NA), sta mettendo a punto un metodo innovativo per garantire il corretto svolgimento delle lezioni: l’interrogazione degli studenti bendati.
Un tempo lontano nei licei non c’erano classi, ma giardini o viali in cui il maestro e i discepoli camminavano discutendo delle più nobili arti e discipline. Questo presupponeva interesse e grande considerazione da parte degli uditori e, allo stesso tempo, serietà da parte di chi parlava. In una parola ciò che rendeva possibile il trasferimento della conoscenza era il rispetto reciproco tra le parti, proprio quello che sembra venuto meno a Scafati.
Non si faccia l’errore di ascrivere il problema alla dad. Un liceale dedito all’inganno non ha bisogno di essere bendato, la vita ben presto gli insegnerà che ha ingannato sé stesso. D’altro canto, un professore di liceo che ha bisogno di bendare i suoi alunni vuol nascondere le sue carenze in materia di indagine valutativa e soprattutto in rapporto al rispetto e all’importanza della ricchezza delle relazioni umane.
Per un docente ci sono tanti modi per fare prove incrociate che consentano di verificare se le conoscenze di uno studente siano tali da essere traducibili in competenze e abilità da applicare nelle diverse situazioni problematiche che gli si presentano. Si consideri ad esempio che esistono applicazioni in grado di svelare in pochi secondi se una traduzione è plagiata e questo i nativi digitali, millenials o generazione Z lo sanno bene.
L’episodio è ancor più grave se si guarda alla recente raccomandazione del Ministero, in applicazione della legge 20 agosto 2019 n. 92, di promuovere l’insegnamento trasversale dell’Educazione Civica. Essa mira non solo a conoscere ed apprezzare il sistema che regola la nostra convivenza civile, ma a formare anche una certa Cittadinanza Digitale.
Cittadinanza digitale, questa sconosciuta, è l’arma fondamentale per educare all’uso consapevole, leale e rispettoso i mezzi di comunicazione virtuali partendo dalla scuola dell’infanzia fino alla scuola Secondaria di Secondo Grado.
Sorprende che una professoressa di latino e greco, edotta nella nobile arte dell’educazione così come attuata dagli antichi, abbia completamente perso il contatto non solo con i riferimenti culturali che dovrebbe ogni giorno essere in grado di illustrare ai suoi allievi ma anche con le più recenti direttive nell’ambito dell’insegnamento.
FONTE: https://www.infosec.news/2020/10/30/wiki-wiki-news/alunni-interrogati-con-una-benda-sugli-occhi-scoppia-il-caso-a-scafati/
GIUSTIZIA E NORME
PANORAMA INTERNAZIONALE
Germania, egemone delirante.
Mentre tutti gli occhi sono rivolti alle elezioni Usa, Alastair Crooke si domanda inquieto: che cosa vuole la Merkel? Perché corteggia una rivoluzione? Crooke è un ex diplomatico britannico, ex dirigente dell’intelligence, che ha voltato le spalle quel mondo dei conflitti senza fine (non a caso abita a Beirut, dove ha fondato il Conflict Forum) e distilla analisi geopolitiche di rara acutezza.
Nell’imminenza dei risultati che devono decidere chi sarà alla Casa Bianca, la Germania ha offerto agli Usa un “New Deal” millitare, nell’apparente intento di rimettersi in buona con The Donald. Lo ha notato solo MittDolcino, apponendo la parola “Clamoroso” al fatto: “Il ministro della difesa tedesco, Annegret Kramp-Karrenbauer (AKK) (che poi sarà il successore di A. Merkel in caso di vittoria trumpiana, ndr), di un New Deal con gli USA di Trump, un armistizio insomma”. Un piano alla pari: la Germania si propone come egemone su tutta Europa, unico vero sovrano, (Macron che ha vere forze armate è buttato da parte da questa proposta di accordo diretto Berlino-Washington).
Articolo da leggere:
Ed ecco come la vede Crooke: “La Germania ha appena offerto a Washington “ un dolce affare ” in cui l’Europa – con la Germania in testa – accetta in pieno la strategia a tutto campo dell’America di isolare e indebolire la Russia e Cina. E in cambio sta chiedendo agli Stati Uniti di accettare la leadership tedesca di un’entità europea “ politica di potenza ” che viene portata alla pari con gli Stati Uniti. Senza mezzi termini, la Germania punta allo status di “ superpotenza ”, al vertice di un “Impero” dell’UE per la nuova era. Putin ha preso atto di tale metamorfosi (la Germania aspira a essere una superpotenza) durante il suo recente discorso a Valdai .
Ma questa offerta agli Usa arriva quando ci sono troppi “pezzi in movimento” , dice Crooke, che qui si distanzia da Mitt: ” in primo luogo, lo stratagemma della Germania è subordinato alle speranze di una vittoria di Biden, che può non accadere. E poi, anche il presidente Macron cerca per se stesso, e per la Francia, la leadership dell’Europa – con quest’ultima in qualche modo subordinata a una Brexit senza accordo in corso alla fine dell’anno, che indebolirebbe ulteriormente una Merkel disanimata e in dissolvenza. La Francia, vuole organizzare lei il “grand reset” dell’Europa: uno “spazio” regolamentare e imposto dai valori [laicità, lgbt, eccetera], sostenuto da un regime fiscale e di debito comune che ricostruirebbe l’infrastruttura economica della Francia.
E se invece vince Trump? “Ci si può aspettare che punga e sgonfi ogni aspirazione tedesca (o francese) di prosciugare parte del potere americano, per quanto il ministro degli esteri tedesco lo abbia avvolto nella carta-regalo più scintillante, dicendo che gli Stati Uniti non tanto perdono potere, ma acquisiscono “un partner forte a parità di condizioni”. (Pensate come sarà contento Trump di questa degnazione).
“L’idea che l’Europa possa attuare questa partnership attraverso la proposta dell’adesione della Germania “verso l’Occidente come sistema di valori“, sistema che è “a rischio nella sua interezza“, e che dunque solo la Germania e gli Stati Uniti insieme possono mantenere forte – sembra un po ‘ un sogno ad occhi aperti. Anche quando parla di “difendersi contro l’inequivocabile sete di potere russa e le ambizioni cinesi per la supremazia globale”, che secondo la AKK dovrebbe attirare Trump come il miele il calabrone.
Perché non dimentichiamo che oltre a Trump, ci sono “Cina e Russia, che stanno vedendo il gioco . Berlino sembra aspettarsi che il primo, la Russia, continui come se nulla fosse storto [per esempio fornendo come sempre il gas]. Annegret Kramp-Karrenbauer sembra pensarla così (è sia ministro della Difesa, sia presidente della CDU, il partito della Merkel).
E ha parlato di contenere del “capitalismo cinese controllato in modo aggressivo dallo stato”, creando una sfera commerciale europea aperta solo a coloro che vogliono rafforzare e sostenere l’ordine liberale basato su regole – e al quale gli altri stati devono ‘sottomettersi’ (in questo caso la parola è di Macron). Questo, lo scheletrico progetto di come Bruxelles si propone di raggiungere l’ ‘“autonomia strategica” (il termine è di Charles Michel, il belga presidente del consiglio europeo).
Ecco alcuni estratti dell’“accordo ” di Annegret Kramp-Karrenbauer nel discorso del 23 ottobre:
“… Soprattutto, l’America ci ha dato ciò che chiamiamo ‘Westbindung’… Westbindung, per me, è e rimane un chiaro rifiuto della storica tentazione dell’equidistanza. Westbindung ci lega saldamente alla NATO e all’UE e ci lega strettamente a Washington, Bruxelles, Parigi e Londra. Ci posiziona chiaramente e giustamente contro una fissazione romantica sulla Russia – e anche contro uno stato corporativo illiberale che rifiuta partiti e parlamenti [cioè la Cina] … Westbindung è la risposta alla famosa “questione tedesca”, la domanda su cosa rappresenta la Germania … Solo l’America e l’Europa insieme possono mantenere forte l’Occidente, difendendolo dall’inconfondibile sete di potere russa e dalle ambizioni cinesi di supremazia globale …
“Essere il donatore [in un processo di ‘dare e avere con gli Stati Uniti] ci richiederebbe di prendere un ferma posizione politica di potere. Giocare ambiziosamente il gioco geopolitico. Ma anche guardando tutto questo, ci sono ancora alcuni americani che non sono convinti di aver bisogno della NATO. Lo capisco. Perché manca ancora una cosa: che gli europei agiscano con la forza [militare] da soli, quando arriva il momento critico. In modo che gli Stati Uniti possano vedere l’Europa come un partner forte a parità di condizioni, non come una damigella in pericolo.
Come si può vedere, il dilemma tedesco è anche un dilemma europeo. Restiamo dipendenti [dagli Stati Uniti], ma allo stesso tempo dobbiamo fare da noi . Nel rafforzare l’Europa in questo modo, la Germania deve svolgere un ruolo chiave … consentendole di operare in modo più indipendente e allo stesso tempo più stretto con gli Stati Uniti … ”. ”.
Tre grandi questioni geopolitiche qui si intersecano, chiosa il britannico : in primo luogo, la Germania si sta trasformando politicamente, in un modo ha inquietanti paralleli con la sua trasformazione nel quadro europeo quale era prima della Prima Guerra Mondiale [la potenza del Kaiser: qui è palesemente l’inglese che si allarma]. Quindi è vero, la “ questione tedesca ” sta riaffiorando (ma non nel modo che lo intende AKK): quando è caduto il muro di Berlino, la Russia ha sostenuto la riunificazione della Germania perché ha riposto le sue speranze sulla Germania come partner per il più ampio progetto di unificazione: la costruzione di un ‘ Grande Europa ‘.
Speranza che si è rivelata una chimera: la Germania, lungi dal sostenere l’inclusione della Russia, ha invece favorito l’espansione dell’Europa e della NATO ai confini della Russia. L’UE – sotto la pressione degli Stati Uniti – stava formando una Grande Europa che alla fine avrebbe incluso tutti gli stati d’Europa, tranne la Russia .
“Ma così facendo, l’Europa occidentale ha assorbito nell’UE il tumore della neuro-ostilità dell’Europa dell’Est per la Russia. Berlino, nel frattempo, ha giocato sull’ostilità viscerale dell’America verso la Russia, più come uno strumento per costruire il suo spazio europeo fino al confine russo. La Germania quindi ha dato la priorità ad alleviare le antiche antipatie dell’Europa orientale, al di sopra di qualsiasi tentativo reale di un rapporto con la Russia. Ora la Germania vuole ‘ripetere il gioco’: in un’intervista di luglio, Annegret Kramp-Karrenbauer ha detto che la leadership russa deve “confrontarsi con una posizione chiara: siamo ben fortificati e, in caso di dubbio, pronti a difenderci. Noi vediamo cosa sta facendo la Russia e non permetteremo che la leadership russa la faccia franca ” [sic].
Ebbene: mi hai ingannato una volta … ma due ..? L’episodio di Navalny è stata l’ultima goccia. Era una palese menzogna . Merkel e Macron sapevano che era una bugia. E sapevano che lo sapeva anche Mosca. Eppure entrambi hanno preferito lanciare ai russofobi di casa un altro “osso”.
“Adesso, Mosca ha chiuso con loro”, conferma Crooke . ” Il vero enigma è perché Mosca ha sopportato questa commedia così a lungo. La risposta forse sta nell’aquila russa a due teste, le cui teste sono rivolte in direzioni opposte: una verso l’Europa e l’altra verso l’Asia. L’ovvia impostura della Merkel ha messo alla prova la fiducia della Russia, una volta di troppo, definitivamente. Le élite russe possono protendersi verso l’Europa, ma la loro base guarda ad Est. Navalny è stata la goccia di umiliazione che ha fatto traboccare il vaso.
“Ora Macron – ancora energico, ma anche lui politicamente indebolito – spera di indebolire ulteriormente la forza della Merkel (in termini mercantili), attraverso la messa a punto di una Brexit senza accordo nel Regno Unito che colpirebbe l’enorme surplus commerciale della Germania verso la Gran Bretagna, proprio nel momento in cui la Germania sta perdendo mercati: in Russia (e ora forse in Cina); e l’America, se Trump fosse rieletto, probabilmente sferrerà una guerra commerciale con l’Europa.
“Il piano di Bruxelles per un ‘grande ripristino’ – trasformare l’economia europea e la sfera sociale – attraverso l’automazione e la tecnologia il “verde” è, come ha notato Tom Luongo, delirante: “L’illusione dell’Europa di poter soggiogare il mondo sotto i suoi valori [lgbt, apertura frontiere, anti-sovranismo eccetera], imponendo le sue regole e standard a tutti noialtri, Cina inclusa, mentre ancora una volta agiscono verso l’Est come delegati degli Stati Uniti – e nello stesso tempo l’Europa pretende di mantenere il suo rango ideale – è delirante”.
“Delirante”, perché la Cina sarà pure un “capitalismo di stato controllato in modo aggressivo” in neuro-lingua di AKK, però è anche un grande “Stato-civiltà”, con i suoi valori distinti . Bruxelles ha un bel definire il suo spazio di regole e direttive come “aperto”, ma è chiaramente escludente e non multilaterale. L’attuazione di questa politica finisce solo per portare il mondo verso lo stabilirsi di sfere normative distinte e separate – e verso una recessione più profonda”.
Poi Croocke affonda il coltello:
“Sul piano pratico, al contrario della prima fase Covid i governi in carica in Europa avevano più o meno l’appoggio dei loro cittadini, questo picco di infezione attuale lo sta distruggendo. Proteste e rivolte si accendono sempre più in tutta Europa. Episodi di violenza sono stati accolti con rabbia e orrore dalle autorità, che dichiarano di credere che la criminalità organizzata e i gruppi estremisti siano all’opera per innescare un incendio politico”, criminalizzando il dissenso [vedi Lamorgese]
“Alla disoccupazione strutturale – già molto alta nella prima fase – va ora aggiunta un’altra ondata di disoccupazione irreversibile, e di nuovo nel settore dei servizi. Per le piccole imprese e i lavoratori autonomi è un incubo. La rabbia cresce man mano che chi perde i mezzi di sussistenza osserva che i dipendenti pubblici stanno attraversando questo episodio, praticamente indenni.
“C’è una confusione assoluta mentre i governi cercano di quadrare il mantenimento dell’economia, con il contenimento degli infetti da ospedali, senza ottenere nessuno dei due.
“In questa rabbia crescente fermenta un oscuro sospetto: c’è chi vede il Covid come una pura cospirazione. Ci si può non credere, ma non è certo da cospirazionisti vedere che i governi europei hanno consapevolmente utilizzato la pandemia per aumentare i loro strumenti di controllo sociale. “Questo è stato concordato in previsione dei cambiamenti impliciti nel “Grande Reset”? E’ un fatto che, fin dall’inizio, i governi occidentali hanno chiamato le loro misure come “di guerra” – e come guerra che richiedeva un’economia diretta dallo stato – ed obbedienza da tempo di guerra.
“Stiamo vedendo accendersi una guerra culturale. Toni di rabbia acutissimi nelle strade degli Stati Uniti. Qui, in Europa, sospetti che la vita culturale venga chiusa per preparare gli europei all’annegamento delle loro identità culturali nel grande melting-pot deciso da Bruxelles. Queste paure possono essere fuori luogo, ma esistono e sono virali.
“Quello che è in gioco è il tessuto politico e la coesione sociale dell’Europa, e i suoi leader non sono solo confusi: hanno paura”.
Insomma, dice Crroke:
Ridotti come sono i governi europei, come pensa la Merkel di gestire insieme la disoccupazione d massa e le rivolte, la perdita di industrie e di sbocchi commerciali, con la grandiosa offerta di alleanza militare alla pari fatta agli Stati Uniti? Come si può sognare di ampliare la forza militare al punto da far paura alla Russia e ottenga il rispetto di Trump e di Xi, e contemporaneamente applicare il Grand Reset di Davos, che prescrive la trasformazione “verde e sostenibile” dell’economia europea e la robotizzazione a tappeto, che significherà disoccupazione strutturale aggiuntiva per milioni di europei? E perché ha scelto proprio questo momento, Merkel, per offendere in modo irreversibile la Russia con la menzogna Navalny e voltare le spalle persino al Nord Stream 2 nel mentre le proteste di massa dei senza-lavoro stanno diventando rivolta? I leader europei “vogliono la rivoluzione”?
Ecco illustrato il carattere delirante dell’egemonia tedesca, fuori tempo massimo sulla storia.
(Noi che ricordiamo il caro Irlmaier, vediamo in questo delirio egemonico merkeliano la preparazione incosciente della messa della Russia con le spalle al muro, con quel che seguirà. Che Dio abbrevi questo tempo. )
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/germania-egemone-delirante/
POLITICA
LOCKDOWN SELETTIVO E L’IMMOBILISMO TATTICO DI CONTE
Lo scorso 30 ottobre il quotidiano “La Repubblica” ha pubblicato un interessante articolo in cui ha anticipato ampi stralci di uno studio compiuto dai ricercatori del prestigioso Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), presieduto da un servitore dello Stato di alto livello come Giampiero Massolo ed il cui direttore generale, Paolo Magri, è un altro vanto di questo Paese, per la sua chiara fama a livello internazionale. Secondo le anticipazioni giornalistiche, lo studio avrebbe esaminato la possibilità di adottare una diversa strategia per arginare il Coronavirus e le importanti conclusioni indicherebbero che “isolare le persone anziane può salvare migliaia di vite; tenere a casa gli anziani ridurrebbe le vittime ed allontanerebbe la chiusura indifferenziata”. In altre parole, una strategia mai presa in considerazione dal Governo italiano, cioè, un lockdown selettivo, per classi d’età, applicato in modo non generalizzato, come è stato fatto finora, ma limitando la quarantena solo alle persone più anziane e con pregresse patologie, avrebbe il vantaggio di evitare migliaia di morti tra le persone più fragili, consentendo, al contempo, la possibilità di tornare ad una vita simil normale per le persone meno fragili, a cui verrebbero imposte meno restrizioni fino al termine dell’emergenza sanitaria.
È evidente che si tratta di una questione molto delicata che va affrontata nel massimo rispetto della dignità della persona, garantendo la massima assistenza e tenendo presente che, alle persone più adulte e, in generale, ai più fragili, sia il buon senso che la buona educazione, oltre che la Costituzione della Repubblica, impongono che debba essere loro riconosciuto, semmai, qualche diritto in più rispetto agli altri e giammai qualche diritto in meno. Tuttavia, in una situazione come quella che stiamo vivendo ormai da molti mesi in balia di questo virus, una delle poche cose che abbiamo capito con certezza è che il Covid-19, pur colpendo indistintamente l’intera popolazione senza alcuna differenziazione di età, si sta rivelando letale soprattutto per le persone più anziane e che, in molti casi, sono già affette da altre patologie. Per cui, secondo lo studio dell’Ispi anticipato da “La Repubblica”, si potrebbe aprire “una discussione serena, ma urgente” per impostare una diversa strategia operativa e, cioè, la concreta possibilità di “separare le persone più fragili dai meno fragili”, garantendo a 360 gradi la dovuta assistenza per le loro necessità. Questa linea è anche un cavallo di battaglia di questo giornale che, in diversi articoli, ha ripetutamente sollecitato l’opportunità di un cambio di strategia in questa direzione per fronteggiare meglio l’emergenza sanitaria, senza subirla passivamente, ma andando alla ricerca di percorsi alternativi per non lasciare il virus padrone della partita. In proposito, va ricordato che questa strategia è stata suggerita dal Governo israeliano che, all’inizio della fase pandemica dello scorso febbraio, attraverso il ministro della Difesa, Naftali Bennett, conscio delle subdole modalità di trasmissione del virus, mise in guardia il suo popolo ammonendo che “nulla è più letale di un abbraccio tra nonno e nipote”. Tale strategia di isolamento mirato è stata recentemente adottata anche dal governo degli Stati Uniti che sta evidentemente seguendo il consiglio del saggio popolo, notoriamente molto amico di quello americano.
Tornando al pregevole articolo de “La Repubblica” contenente le anticipazioni dello studio dell’Ispi, va segnalato che è molto preciso anche sulle percentuali numeriche che comporterebbe questa delicatissima decisione. Infatti, attingendo direttamente alla fonte giornalistica, segnala che “l’82 per cento dei deceduti per Covid ha più di 70 anni ed il 94 per cento ne ha più di 60. La letalità del virus cresce in modo esponenziale con l’età, uccidendo meno di 5 persone su 10mila nella fascia d’età compresa tra i 30 ed i 39 anni, ma oltre 7 persone ogni 100 tra gli ultraottantenni”. Quindi, secondo il citato studio, “sarebbe sufficiente isolare gli ultra ottantenni per dimezzare la mortalità diretta del virus e se venissero isolati efficacemente gli ultrasessantenni, la mortalità sarebbe dieci volte inferiore”.
Sempre “La Repubblica”, in un altro passaggio dell’articolo, fa riferimento anche alle conseguenze sul piano economico che il lockdown mirato comporterebbe e, sempre attingendo al citato studio, rappresenta che “dal punto di vista economico e lavorativo, un lockdown selettivo per fasce d’età permetterebbe di evitare i contraccolpi più severi. In Italia, l’anno scorso 2,3 milioni di persone (il 9 per cento della forza lavoro) erano ultrasessantenni, i lavoratori over 65 si riducono a 600mila (il 2,4 per cento del totale), mentre gli over 70 sono circa 130mila (lo 0,5 per cento del totale)”. Quanto all’ipotetica riduzione della pressione sugli ospedali, sempre secondo lo studio consultato da “La Repubblica”, “tra coloro che, a causa del Covid-19, necessitano di ricovero in terapia intensiva, una persona su due ha più di 63 anni, 3 persone su quattro hanno più di 56 anni” e, quindi, anche da questo punto di vista, i vantaggi sarebbero evidenti, perché, secondo l’Ispi “isolando in maniera efficace gli ultra sessantenni si potrebbe ridurre di quasi i tre quarti la pressione sul sistema sanitario”.
L’articolo de “La Repubblica” offre importanti spunti di riflessione e discussione e permette di ricordare che, già in un nostro articolo del 20 aprile, si era accennato a perplessità per il fatto che, a distanza di quasi 50 giorni dalla chiusura totale del Paese, il Governo non avesse fatto un solo passo in avanti verso un lockdown selettivo poiché era già palese che l’alta letalità interessava soprattutto i più fragili. Ma anche in un articolo dello scorso 29 ottobre si era indicato che uno dei motivi che ha reso inadeguata la risposta sanitaria alla seconda ondata è dipeso anche dal fatto che il Governo non ha preso in considerazione la possibilità di isolare le persone più fragili, allestendo apposite strutture e con personale dedicato ed il cambio di strategia poteva essere comodamente esaminato proprio a cavallo tra la fine della prima ondata, coincisa con i primi di maggio, quando le terapie intensive si sono svuotate, e l’inizio della seconda ondata, coincisa con l’inizio di ottobre, quando la curva epidemiologica ha ripreso a crescere, guarda caso, a distanza di due-tre settimane dalla riapertura delle scuole fortemente voluta dal ministro della Scuola, Lucia Azzolina e che, invece, andava rinviata di qualche mese perché la scienza aveva ampiamente previsto il rischio di una seconda ondata.
Lo studio dell’Ispi dà un contributo importante perché va nella direzione di non subire passivamente il virus fornendo soluzioni alternative all’immobilismo tattico, anche se non è di semplice applicazione e non va scambiato per una sorta di “Bibbia”, ma è auspicabile che funga da input per il Governo e per i suoi tecnici, per procedere, in modo razionale e con le dovuta assistenza medica, umana e psicologica, a separare le persone più fragili fino al termine dell’emergenza sanitaria, perché questa difficile scelta consentirebbe al paese di andare avanti con minor danno per la salute delle persone a rischio, ma con evidenti vantaggi per la tenuta del sistema economico visto che i soggetti “non isolati” tornerebbero ad una vita più o meno normale.
Inoltre, sulla possibilità che, nei prossimi giorni, il governo possa dichiarare un nuovo lockdown, la partita è delicata, si presenta incerta e si gioca sulla tenuta del sistema sanitario e, soprattutto, sull’analisi quotidiana dell’aumento delle terapie intensive, che, almeno fino a questo momento, sta indubbiamente reggendo, perché, ad esempio, il 31 ottobre, anche se è stata registrata la cifra iperbolica di 32mila nuovi positivi, tuttavia, il correlativo l’aumento della pressione sulle terapie intensive è stato pari a sole 95 unità, quindi, il dato è meno impressionante di quanto sembri. Ed è proprio su questo punto che si sta giocando, all’interno del Governo, la partita tra falchi e colombe e, cioè, tra chi, come il Partito Democratico, vorrebbe un lockdown immediato per l’alto numero dei nuovi positivi e chi invece, come Giuseppe Conte ed una parte del M5S, che preferirebbero aspettare che le terapie intensive arrivino a completa saturazione prima di chiudere tutto e ciò potrebbe anche non rendersi necessario, qualora la seconda ondata dovesse ridursi in modo apprezzabile prima che le terapie intensive esauriscano i posti a disposizione. Una rischiosa corsa contro il tempo. Per questo Conte è contrario ad un nuovo costosissimo lockdown dell’intero Paese, anche perché teme rivolte di piazza ed è perfettamente consapevole che se riuscisse a superare la seconda ondata senza chiudere tutto, potrebbe rivenderselo come un successo personale, visto che la sua popolarità, in queste ultime settimane, è ai minimi, come segnalato dal sondaggista Nando Pagnoncelli su “Il Corriere della sera” del 31 ottobre. Ed il premier starebbe pagando proprio l’immobilismo dimostrato per arginare la seconda ondata, sebbene fosse stata ampiamente preannunciata dai virologi.
Nel frattempo, stanno progressivamente aumentando nel Paese le manifestazioni di protesta dopo il Dpcm del 25 ottobre con cui Conte ha disposto ulteriori restrizioni alle attività commerciali ed è grave che la protesta abbia anche registrato episodi di aggressione alle forze dell’ordine, ma questo significa che la gente è davvero stanca e bisogna tenerne conto, anche se non potrà mai e poi mai aver ragione chi ricorre a metodi violenti. Inoltre, le proteste stanno avvenendo su tutto il territorio nazionale, per cui è quantomeno azzardato sostenere che a Napoli la protesta sarebbe stata agevolata dalla camorra, perché se qualcuno protesta da qualche altra parte è semplicemente “esasperato” mentre se protesta a Napoli lo fa per qualche altra oscura ragione. Non è così, sebbene sia notorio che nell’area metropolitana napoletana prospera la malavita organizzata, ma è comunque grave che altissimi rappresentanti delle istituzioni, locali e nazionali, abbiano contribuito ad alimentare sospetti, danneggiando enormemente l’immagine della città che rappresentano. Meglio prenderla a ridere ed in proposito non può non venire in mente una strepitosa battuta del grande attore Massimo Troisi che, nel suo film capolavoro “Ricomincio da tre”, disse che “un napoletano non può viaggiare perché, se viaggia, lo scambiano regolarmente per un emigrante”. Quindi, ci piace immaginare che, in questo momento, dopo aver ascoltato, dall’alto, qualche inesattezza sulla sua amata città, con la sua unica ed inimitabile ironia, stia pensando che “un napoletano non può nemmeno scendere in piazza perché, se lo fa, lo prendono per un camorrista”.
Quindi, un lockdown selettivo, per classi di età, potrebbe essere una valida alternativa da vagliare attentamente per provare ad andare oltre l’immobilismo tattico del Governo senza violare la Costituzione e mancare di rispetto agli anziani ed è ragionevole ipotizzare che possa ricevere i favori proprio dell’attuale compagine governativa, visto che è costituita da una base molto giovane; infatti, i ministri Luigi Di Maio ed Azzolina sono poco più che trentenni, i ministri Paola De Micheli, Roberto Speranza, Alfonso Bonafede e Stefano Patuanelli sono quarantenni, il premier Conte è poco più che cinquantenne, come i ministri Roberto Gualtieri e Francesco Boccia, ma tutto questo non può non tenere conto del fatto che, in questo Paese, come in molte altre parti del mondo, il potere decisionale vero non è nelle mani né dei trentenni, né dei quarantenni e nemmeno dei cinquantenni, ma il più delle volte è gestito dai sessantenni, dai settantenni e dagli ottantenni. Sovviene, in proposito, una riflessione di Aristotele, il grandissimo filosofo greco, allievo di Platone e maestro di Alessandro Magno, che, nel secondo libro della “Retorica”, scritta in età matura, traccia un articolato parallelo tra i comportamenti dei giovani e quelli degli anziani, sottolineando, tra numerose altre cose, che “i giovani sono inclini alla pietà e compiono ingiustizie per arroganza, mentre gli anziani sono compassionevoli, diffidenti e compiono ingiustizie per cattiveria”.
FONTE: http://opinione.it/politica/2020/11/03/ferdinando-esposito_coronavirus-lockdown-ispi-giuseppe-conte-roberto-speranza-governo-quarantena-assistenza-anziani-ospedali-partito-democratico-m5s/
FONTE: https://www.facebook.com/andrea.zhok.5/posts/1690932161088176
Il gioco del poliziotto buono e cattivo, tattica per imporre la decisione gradualmente
Lisa Stanton – 4 novembre 2020
SCIENZE TECNOLOGIE
L’uomo artificiale
05 gennaio, 2020
Questo articolo è stato pubblicato in versione ridotta su la Verità del 31 gennaio 2020 con il titolo “L’intelligenza artificiale non esiste ma serve a renderci come macchine”.
Non passa giorno senza che ci si imbatta nell’annuncio di nuove e vieppiù audaci applicazioni dell’intelligenza artificiale: quella all’indicativo futuro che guiderà le automobili, diagnosticherà le malattie, gestirà i risparmi, scriverà libri, dirimerà contenziosi, dimostrerà teoremi irrisolti. Che farà di tutto e lo farà meglio, sicché chi ne scrive immagina tempi prossimi in cui l’uomo diventerà «obsoleto» e sarà progressivamente sostituito dalle macchine, fino a proclamare con dissimulato orgasmo l’avvento di un apocalittico «governo dei robot». Questo parlare di cose nuove non è però nuovo. La proiezione fantatecnica incanta il pubblico da circa due secoli, da quando cioè «la religione della tecnicità» ha fatto sì che «ogni progresso tecnico [apparisse alle masse dell’Occidente industrializzato] come un perfezionamento dell’essere umano stesso» (Carl Schmitt, Die Einheit der Welt) e, nell’ancorare questo perfezionamento a ciò che umano non è, gli ha conferito l’illusione di un moto inarrestabile e glorioso. Come tutte le religioni, anche quella della «tecnicità» produce a corollario dei «testi sacri» degli officianti-tecnici un controcanto apocrifo di leggende popolari in cui si trasfigurano le speranze e le paure dell’assemblea dei devoti. Delle leggende non serve indagare la plausibilità, ma il significato.
Per intelligenza artificiale (IA) si intendono le tecnologie in grado di simulare le abilità, il ragionamento e il comportamento degli esseri umani. Risulta dunque difficile capire da che punto in poi l’IA si distingua, ad esempio, da una piccola calcolatrice che svolge un’attività propria della mente umana (il calcolo, appunto), o da un personal computer che già simula molte abilità dell’uomo per via riduzionistica, scomponendole cioè in enti numerabili. Il concetto di IA sembra perciò essere più ottativo che tecnico. Non introduce alcuna rivoluzione ma identifica piuttosto, sotto un’etichetta accattivante e di dubbia solidità epistemica, lo sforzo e l’auspicio di sviluppare tecniche informatiche sempre più sofisticate e potenti. Che poi queste tecniche finiscano sempre per replicare, potenziandole, alcune funzioni della mente umana è ovvio in definizione, essendo state concepite e create proprio da quella mente e proprio con quell’obiettivo, fin dall’inizio.
Ciò che appassiona delle più recenti applicazioni dell’IA (cioè del computer) è la crescente capacità di elaborare input non rigidamente formalizzati, come ad esempio le riprese fotografiche, i tratti somatici, le basi di dati incoerenti e – soprattutto – il linguaggio. Quest’ultimo, espressione libera e creativa che si rigenera in continuazione (Noam Chomsky), rappresenta in effetti il banco di prova più importante. Per essere compiutamente decifrato esige non solo la corretta comprensione delle pur complesse norme sintattiche, ma anche quella dei sottotesti e contesti culturali, simbolici, emotivi (comprensione semantica). Ben più che uno strumento, il linguaggio è l’incarnazione dell’intelligenza che nel linguaggio si (ri)crea, traduce gli infiniti rivoli dell’esperienza individuale e sociale e si comunica agli altri. L’assalto cibernetico a questo impervio monte, che tanto ricorda l’impresa babelica finita proprio nel caos delle lingue, è solo ai suoi timidi inizi e sinora ha prodotto metafore matematiche più o meno promettenti per avvicinarsi ai misteri della mente. Ma per quanta strada si possa percorrere in questa direzione, resteremmo comunque ontologicamente lontani dall’obiettivo.
L’intelligenza non è solo funzionale, non si limita cioè a risolvere i problemi ma li pone, li formula e li dispone secondo gerarchie. In ciò è insieme condizionata e finalizzata dal soggetto che la esprime, ne è definita anche etimologicamente perché espressione indissolubile e diretta dei suoi fines, dei limiti che ne tracciano l’irripetibile e indivisibile identità: desideri, preferenze, paure, affetti, educazione, empatia e relazioni sociali, fede nella trascendenza, corporeità, morte e molto altro. Se la competenza logico-matematica è terreno comune a tutti gli uomini e a tutte le macchine, il suo esercizio è invece asservito alle gradazioni e alla mutevolezza della condizione di ciascuno. Una macchina non può ragionare come un uomo semplicemente perché non è un uomo, proprio come un bambino non ragiona come un adulto, un ricco come un povero, un sano come un ammalato, un ateo come un cristiano, un aborigeno come un europeo ecc. Occorre allora chiedersi il perché di questa finzione, di negare il naturale rapporto di complementarietà tra i due domini con la pretesa che possano, per qualcuno anzi debbano, sovrapporsi fino a confondersi e sostituirsi.
***
Qui azzardo due risposte. Se il soggetto intelligente guarda dentro (intŭs lĕgit) la propria condizione nel mondo per formulare gli obiettivi da sottoporre ai processi logici e computazionali eventualmente delegabili a un algoritmo, se opera cioè una «scelta preanalitica» (Mario Giampietro) che antecede e informa quei processi, resta scoperto il problema di chi detterebbe ex multis gli obiettivi alle macchine affinché le si possa chiamare «intelligenti». Come il «pilota automatico» di Mario Draghi, l’IA guiderà da sola e supererà brillantemente ogni ostacolo, ma verso quale meta? Escludendo l’ipotesi apocalittica (quella in cui se la darebbe da sola), sarà inevitabilmente la meta iscritta nel codice dai suoi committenti, che governando il codice godranno del privilegio di imporre i propri modelli etici, politici ed esistenziali a tutti, ovunque esista un processore e una scheda di rete. Dal groviglio delle sofisticazioni tecniche emergerebbe allora una più lineare dinamica di dominio dell’uomo sull’uomo, dove la citata finzione non sarebbe altro che una variante della pretesa tecnocratica, di incapsulare gli interessi e i moventi di una classe in una procedura sedicente asettica, inalterabile e necessaria, sottraendoli così alle resistenze delle altre forze sociali. Per chi si è lasciato mettere in ceppi dalle «ferree leggi» dell’economia (cioè dalle priorità di qualcuno, secondo le sue premesse e la sua visione del mondo) e da «lo dice la scienza» (idem), non sarà difficile accettare che la soluzione migliore sia quella partorita dai ventriloqui della marionetta cibernetica e «intelligente».
La seconda ipotesi chiama in causa il limite dell’uomo, cioè la sua definizione. Numerosi indizi fanno temere che, nel sentire comune, la riduzione del corredo soggettivo e plurale delle intelligenze umane in un sottogruppo acefalo di procedure erga omnes sia intesa non già come un impoverimento, ma come un salutare superamento della brulicante e imprevedibile complessità di pensieri, comportamenti e moventi del formicaio umano, e quindi dei «pericoli» che vi si anniderebbero. La macchina (si pensa) non «tiene famiglia» e non ha nulla da perdere né da guadagnare e quindi (si pensa) non può che fare «la cosa giusta» per tutti. Dalla tentazione così squisitamente adamitica e gnostica di separare anzitempo la zizzania dal grano scaturisce l’illusione di distillare processi cognitivi e decisionali infallibili – o comunque i migliori possibili – disattivando tutto ciò che può generare l’«errore»: fragilità, affetti, inclinazioni, dolo, ma anche e in ultima istanza l’incomputabile libero arbitrio, la libertà di ciascuno. Si è però visto che l’unità indissolubile di intelligenza e soggetto rende vana questa illusione, il cui solo risultato può essere quello di spostare l’arbitrio in poche mani potenti, omologando il resto. Ma poco importa. Più forte è il disgusto e la paura dell’indisciplinabile incognita uomo, il desiderio di spuntarle le armi incatenandola e negandola nella sua essenza distintiva, quella pensante. Questa brama del non vivente, di spegnere il coro dissonante delle intelligenze per ridurli alla monodia degli zombie, non si misura solo dai sogni – assurdi anche tecnicamente – di dare scacco matto a truffa e corruzione grazie alle transazioni elettroniche certificate, di «eliminare (sic) le mafie» con il denaro virtuale o i brogli con le macchinette per votare, ma in modo ancora più diretto dall’eugenetica morale di chi vorrebbe espungere «l’odio», «la paura» e altri sentimenti «cattivi» (partendo, ça va sans dire, dalla più tenerà età, nei casi estremi fino al sequestro ideologico o fisico dell’infanzia), ridurre al silenzio agli specialisti della salute, del clima e dell’economia che non ripetono a pappagallo una tesi o mettere in cima ai valori politici «l’onestà», cioè l’esecuzione demente, sicut ac machina, di una legge scritta, immaginando così di programmare gli umani.
Osserviamo la realtà. Nella pratica, quasi tutto ciò che oggi si fregia sui rotocalchi e nei parlamenti dell’etichetta di IA – cioè la digitalizzazione, in qualunque modo o misura la si applichi – è molto lontano dal requisito di portare la macchina nel modus cogitandi et operandi degli esseri umani per mettersi al loro servizio. All’opposto, le sue applicazioni implicano la necessità o persino l’obbligo che siano invece gli uomini ad adeguarsi alle procedure della macchina e a servirla. Ad esempio, se davvero avessimo a che fare con un’intelligenza umanoide di silicio che si integra con discrezione nella nostra struttura mentale, che bisogno avremmo di lamentarci della mancanza di «cultura digitale»? Non dovrebbe toccare al calcolatore l’onere di assorbire la nostra cultura? E a che pro insegnare il «coding», la lingua dei computer, a tutti i bambini? Di salutarlo (boom!) come «il nuovo latino»? Non dovevano essere i robot a parlare la nostra lingua? E perché addannarci con procedure telematiche, moduli online, assistenti telefonici, PEC, app, PIN, SPID, registri elettronici ecc. e stravolgere il nostro modo di lavorare e di pensare per servire al calcolatore la «pappa pronta» da digerire? Perché faticare il doppio per trasmettergli le nostre fatture nell’unico formato che riesce a comprendere, quando un mediocre studente di ragioneria sarebbe stato in grado di decifrarle in ogni variante formale? E perché spendere tempo, quattrini e salute nervosa per imparare tutte queste cose? Il «deep learning» non doveva essere una prerogativa dei nuovi algoritmi? Insomma, si ha l’impressione che la celebrata umanizzazione della macchina si stia risolvendo proprio nel suo contrario: in una macchinizzazione dell’uomo. Che l’impossibilità – lo ripetiamo: ontologica – di portare i circuiti nei nostri ranghi stia producendo il risultato inverso di fletterci, costi quel che costi, alla rigida cecità della loro legge.
Certo, possiamo raccontarci che questi sono solo paradossi transitori che servono a perfezionare e a istruire l’IA affinché spicchi presto il volo promesso. Ma la verità è un’altra ed è sotto gli occhi di tutti. È che l’IA è la nostra intelligenza, l’IA siamo noi. Non ci parla dei progressi dell’ingegneria e della scienza, ma di un auspicato progresso dell’uomo chiamato a spogliarsi dei suoi difetti – cioè di se stesso – per rivestirsi della stolta obbedienza, della prevedibilità e della governabilità dei dispositivi elettronici. Se nella prima fase questa transizione si è imposta con la seduzione dei suoi vantaggi, dal personal computer in ogni casa ai servizi internet gratuiti fino alla connettività mobile, in quella successiva deve forzare la mano magnificando i suoi benefici e rendendoli in ogni caso obbligatori con qualche pretesto penoso: la semplificazione, il risparmio, il progresso-che-non-si-può-fermare. È la fase in cui ci troviamno oggi: quella del 5G, degli elettrodomestici e delle automobili in rete, dei telefoni che non si spengono mai, della telematizzazione kafkiana dei servizi pubblici e, insieme, dei mal di pancia di chi si preoccupa, resiste e dubita, anche perché le promesse di miglioramento sociale che hanno accompagnato la precedente ondata sono state tutte miseramente disattese (che si parli di crisi proprio da quando si parla di «rivoluzione digitale» è un dettaglio che non tutti hanno trascurato di notare). Nel frattempo qualcuno, reso audace dallo Stato innovatore-coercitore, scopre le carte e prepara la terza e ultima fase in cui gli esseri umani dovranno accogliere le macchine anche nel proprio corpo e non più solo nei pensieri, con l’impianto di circuiti e processori collegati agli organi o direttamente al cervello. Con tanti saluti ai computer che diventano intelligenti, l’intelligenza diventerà un computer e l’uomo «sarà allora bardato di protesi prima di diventare egli stesso un artefatto, venduto in serie a consumatori diventati a loro volta artefatti. Poi, divenuto ormai inutile alle proprie creazioni, scomparirà» (Jacques Attali, Une brève histoire de l’avenir).
***
Questa riflessione non sarebbe completa senza chiedersi: perché? Qual è il senso di questo processo e del suo essere salutato come una mano santa, o almeno come una sfida a cui non ci si deve sottrarre? Indubbiamente a qualcuno non dispiacerà l’idea di tracciare, controllare e condizionare ogni azione o pensiero di ogni singolo individuo, ovunque e in qualunque momento. Né di assoggettare i popoli a processi e processori automatici che non lasciano scampo, privi di riflessione e di empatia e perciò inesorabilmente fedeli al mandato, fosse anche il più atroce. Ma anche questo sogno o incubo non sarebbe nuovo. La psicopatologia dell’onnipotenza e la volontà di dominio sono sempre esistite. Più triste è invece l’assenso delle cavie che si prestano a un siffatto esperimento di subumanesimo: dai politici che assecondano beoti le mode globali e le impongono ai cittadini, ai cittadini stessi che si immaginano pionieri di un’ubertosa età del silicio. C’è, evidentemente, un problema di percezione che non può essere solo effetto della propaganda. Una civiltà che desidera superare l’umano non può che essere profondamente scontenta di sé. È una civiltà delusa e intrappolata, incapace di raggiungere gli obiettivi che si è imposta ma altrettanto incapace di respingerli e di riconoscerli come ostili al proprio bisogno di prosperità e giustizia. Non riesce a immaginare un’alternativa e immagina allora che l’anello marcio della catena siano proprio i suoi membri: gli uomini deboli e irrazionali, indegni della meta. Umso schlimmer für die Menschen! Nasce da qui, dalla percezione strisciante di un fallimento epocale, l’illusione di salvarsi incatenando i passeggeri ai sedili e di sopprimerne le salvaguardie per espiare la «vergogna prometeica» (Günther Anders) di non essere all’altezza delle proprie creature, anche politiche. Per comprendere le radici di questa disperazione è quindi inutile interrogare gli ingegneri. Le tecnologie, intelligenti o meno, sono solo il pretesto di una fuga da sé che andrebbe affrontata almeno abbandonando la tentazione puerile di soluzioni «perfette» e perciò estranee al mistero irriducibile di un’umanità in cui «si mescolano polvere e divinità» (Fritjof Schuon), che vive nella quantità mentre aspira all’innumerabile e dissemina le sue verità provvisorie in miliardi di anime. Rimarrà il compromesso di una vita non certo geometrica e rassicurante come un videogioco, ma proprio per questo possibile, forse anche degna di essere vissuta.
STORIA
ANTONINO PIO E MARCO AURELIO
L’APOGEO ROMANO DELL’IMPERO SECONDO ANDREA CARANDINI
Per il lettore è difficile distaccarsi da un libro, come questo intitolato “Antonino Pio e Marco Aurelio. Maestro e allievo all’apice dell’impero”, edito dalla Rizzoli, di cui è autore un esimio e grande studioso del mondo antico, quale è Andrea Carandini. Nel suo libro, Carandini, da grande studioso del mondo antico, citando l’opera fondamentale di cui è autore lo storico Svetonio, “Le vite dei dodici Cesari”, osserva che nel secondo secolo, tra il 96 ed il 180, si succedono al vertice del potere imperiale cinque imperatori considerati degni di stima e ammirazione: Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio, e Marco Aurelio. Altri imperatori, appartenenti alla dinastia Giulia Claudia e ai Flavi, sempre secondo Svetonio, erano stati governanti mediocri e poco avveduti.
Per capire come l’impero con il governo di Antonino Pio e di Marco Aurelio riuscì a raggiungere l’apogeo, Carandini ricorda quanto fosse importante la competenza e la responsabilità nella conduzione di un governo così delicato e complesso, vista la sua vastità territoriale. Infatti, l’imperatore Adriano si preoccupò di assicurare una formazione filosofica, letteraria e giuridica di primordine ai suoi successori, affidando l’educazione di Lucio Vero e di Marco Aurelio ai migliori intellettuali e pensatori greci del suo tempo. L’imperatore Adriano, è stato il fautore di una organizzazione dell’ordine politico che ha reso possibile nel II secolo gli anni aurei dell’impero, di cui si occupa lo storico Carandini attraverso il racconto della vita di Antonino Pio e di quella di Marco Aurelio.
La successione alla guida dell’impero avveniva per merito, nel senso che attraverso la adozione dell’erede designato l’imperatore in carica stabiliva chi dovesse succedergli al momento della morte, scelta che cadeva su chi fosse considerato capace e competente. Soltanto la discendenza femminile da Traiano, ricorda lo studioso, assumeva valore, ovvero quella che passava da Ulpia Marciana, sorella dell’imperatore, e da Salonina Matidia, figlia di Marciana, e le sue figlie Vibia Sabina, moglie di Adriano, e Rupilia Faustina, madre di Faustina Maggiore, che sarà la moglie di Antonino Pio. Sono queste donne della ricca e raffinata aristocrazia romana, che portano in dote l’impero ai loro mariti, destinati ad assurgere al sommo potere romano.
È straordinaria la capacità di Carandini di far comprendere al lettore la differenza esistente tra la corrente filosofica dello Stoicismo, che aveva formato il carattere e la personalità di Antonino Pio e, soprattutto, di Marco Aurelio, e lo stile di vita dovuto alla famosa seconda sofistica, che, invece, esercitò grande potere di seduzione sulla figura di Lucio Vero. A questo proposito, nel libro vi è un capitolo dedicato alla figura di Erode Attico, che agli occhi dei romani incarnava e personificava i vizi e la predilezione per la ostentazione e la vita dissoluta, la cui provenienza era legata al mondo culturale orientale. Ritornato a Roma, dopo essere stato proconsole nelle provincie dell’Impero in Asia, Antonino Pio viene invitato a fare parte del consiglio, una sorta di consiglio di Stato, istituzione che sotto il suo impero assunse un ruolo preminente rispetto al senato, ed in cui erano presenti i vertici del potere imperiale come il prefetto del pretorio ed il prefetto urbano.
Antonino, seguace degli stoici, ha rinunciato al fasto, scegliendo uno stile di vita improntato alla sobrietà e semplicità. Antonino Pio, di cui Marco Aurelio ha delineato un ritratto memorabile nel suo libro immortale “Pensieri”, era molto accorto nella guida dell’impero e non assumeva nessuna decisione rilevante senza prima consultare gli esperti che sedevano nel consiglio, istituzione il cui ruolo era stato accresciuto dal suo predecessore Adriano, che aveva delimitato i confini dell’Impero, pensando e supponendo che dovesse durare per l’eternità. Antonino Pio ci appare come l’imperatore che ha impersonato l’apice dell’Impero, anche se ha accresciuto il carattere monarchico del medesimo. Durante gli anni del suo governo, la frontiera è stata avanzata di trenta chilometri, fino alla Britannia, e questa è stata, storicamente, l’estensione maggiore raggiunta dall’Impero romano.
Marco Aurelio, divenuto imperatore con l’approvazione del senato e dei pretoriani, ha voluto associare nell’esercizio politico del governo dell’Impero romano Lucio Vero, per rispettare la volontà dell’imperatore Adriano, che aveva dato precise disposizione a proposito della terza generazione per la successione alla guida del vasto impero. Scrivendo in greco il suo libro fondamentale intitolato “Pensieri”, Marco Aurelio ricorda i filosofi stoici come Zenone e Epitteto da cui aveva appreso a sopportare la fatica, ad accontentarsi di poco, a sapere fare da sé, a non occuparsi delle cose altrui, ad avere il senso della libertà e responsabilità, a non provare attrazione per l’artificiosa ed esibita eloquenza dei sofisti, a volgere lo sguardo sempre ed in ogni circostanza alla ragione e a leggere i testi con grande attenzione filologica.
Nel libro vi è un capitolo dedicato alla orazione di Elio Aristide, intellettuale che tenne una orazione pubblica nel 144. In questo testo letterario, l’autore osserva nella sua orazione pubblica che a Roma regna una grande e bella uguaglianza tra l’umile ed il grande, tra il povero ed il ricco, tra l’aristocratico e chi ha umili origini. La costituzione, nota Publio Elio Aristide, che ha dato vita all’ordine politico imperiale, si basa su di un compromesso tra tre forme diverse di governo: la monarchia, la oligarchia e la democrazia. Nel libro il professore Carandini ricorda, da grande intellettuale e studioso, l’indistinzione tra il potere politico e la religione pagana, a capo della quale vi era Giove, fatto che spiega come sovente siano stati divinizzati gli imperatori a cui vennero dedicati alcuni templi.
La decadenza dell’Impero romano iniziò a causa di tre eventi, mentre era guidato l’Impero da Marco Aurelio, descritti e indicati nel libro: la pestilenza proveniente dall’Oriente, la pressione dei barbari che si erano spinti fino alle porte di Ravenna, e la diffusione del Cristianesimo, che metteva in discussione la sacralità dello Stato romano. Alla fine di questo libro bello e colto, il professore Carandini ricorda, citando un giudizio di Isaiah Berlin, che tra i greci e noi nella storia umana si sono avuti tre svolte epocali; la nascita dell’Ellenismo, il Rinascimento in Italia nel Quattrocento, e la formazione della corrente letteraria del Romanticismo in Germania alla fine del Settecento. Un libro che gronda erudizione da ogni pagina. Pregevoli i saggi, a firma di giovani studiosi, che seguono alla dotta esposizione di Andrea Carandini.
Andrea Carandini, “Antonino Pio e Marco Aurelio. Maestro e allievo all’apice dell’impero”, Rizzoli
FONTE: http://opinione.it/cultura/2020/10/28/giuseppe-talarico_andrea-carandini-anonino-pio-marco-aurelio-maestro-e-allievo-all-apice-dell-impero-rizzoli-svetonio-adriano-stoicismo-cristianesimo-rinascimento-romanticismo/
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°