RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
5 OTTOBRE 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Ora che la scienza è forte e la religione debole,
gli uomini scambiano la medicina per magia
(Einstein)
LOU MARINOFF, Le pillole di Aristotele, Piemme2003, pag. 13
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SOMMARIO
Dove ci porta l’Homo Covidicus
Feti sepolti senza consenso
Giardino degli Angeli, la risposta del San Camillo
Case all’asta: +25% in un solo anno
«L’ABBRACCIO» DI EGON SCHIELE, TRA PASSIONE E MALINCONIA
Quello che Romanzo di una strage non dice
Famiglie: il vero welfare sono i nonni. Una stima del loro compenso
Voci dal sottosuolo
Falsi ricoveri terapia intensiva,scoperta truffa da 10,5 mln
Le operazioni italiane nei mari infestati dai pirati
Viganò: l’Anticristo odia Trump e ama Bergoglio e la Cina
CINQUE SAGGI DA LEGGERE SU NATURA, ECOLOGIA E FILOSOFIA
Francia: Più terrorismo, più silenzio
Disabili psichici e coronavirus, emergono altre morti taciute
Maddalena: il debito con l’Ue ci rende schiavi degli stranieri
La spy-economy di Goldman Sachs
Finanza contro il clima. Gli attivisti alla UE: «Cacciate BlackRock»
Bce apre all’euro digitale: come funzionerà e quando partirà
Il dottor Mariano Amici ha vinto il ricorso al Tar
Se l’Ufficio Tributi non interviene sono guai per i proprietari di casa
Scandalo OMS e ONG: 51 donne congolesi violentate dagli operatori umanitari
L’Homo sapiens e la disoccupazione
Il “gioco degli specchi”: Giuda, Bergoglio e la gerarchia ecclesiastica
La vera “guerra” nel Vaticano: il caso che scoperchia tutto
Una voce fa tremare la Chiesa: “In gioco i destini del mondo”
Pieni poteri, ma per il nostro bene: la dittatura più ipocrita
Distanziamento: arriva il badge che «Cambia la modalità di muoversi»
Amazon, il tuo vigilantes di fiducia
Giappone, Kenzaburo Oe: media e governo, complicità atomica
Aleksandra Petrovna: la suora reale
IN EVIDENZA
Dove ci porta l’Homo Covidicus, alle code sovietiche
“Homo Sovieticus” fu l’essere creato dal comunismo “reale”, dall’asfissiante e monocorde indottrinamento emanante da tutti i media e dalla repressione onnipresente con la paura di vedersi appioppare una “decina”, condanna a dieci anni al Gulag. Era l’operaio che rubacchiava il materiale della fabbrica, sapeva bene che l’abbondanza esaltata dalla propaganda non esisteva (faceva le code) ma “seguiva l’autorità dello Stato nella sua valutazione della realtà, adottava un atteggiamento di sfiducia e ansia nei confronti di qualsiasi cosa estranea e sconosciuta”, “incapace di pensare in modo critico; si aspetta – e pretende – che tutto gli venga fornito dallo Stato”, dava prova di “obbedienza o accettazione passiva di tutto ciò che il governo impone”, pur senza crederci del tutto “, bugiardo onesto, schizofrenico ideologico, sempre pronto a mutilazioni mentali costanti e volontarie” – il famoso bis-pensiero descritto da Orwell.
Vedete come ha fatto presto a nascere l’Homo Covidicus, il gemello sintetico del Sovieticus. Quella schiacciante maggioranza che indossa la mascherina non perché davvero la creda efficace contro il virus, ma come atto di lealtà e obbedienza verso il governo (molti portano la mascherina in odio a Salvini…). La maggioranza schiacciante che si fa polizia per l’ordine costituito più arbitrario e costrittivo, le donne che urlano sui tram e bus ad un colpevole: “Metta quella fottuta mascherina! Sul naso!” ; quella maggioranza che esercita i quindici minuti dell’odio contro i “no-vax”, i “negazionisti”, i “complottisti-terrapiattisti” senza nemmeno bisogno di essere convocata dal regime…Quelli che assistono alla distruzione economica e psicologica di loro stessi (via disoccupazione e miseria di massa) e della loro comunità economica – distruzione deliberata e mondiale – inveendo contro i “sovranisti” e negazionisti e rallegrandosi che “restiamo nell’euro” e abbiamo “i diritti LGBT”.
Nel regime staliniano, “lo stato assegnava uno status sociale, per cui gli individui adottavano volti, o maschere, che permettevano loro di rientrare nelle categorie sociali prescritte dal regime; molte “ persone lavorarono su di loro per diventare perfetti cittadini sovietici”, rivela l’immane opera di indagine sugli diari privati e gli archivi familiari dei cittadini dell’URSS, intrapreso dagli Annales francesi” “ Questi lavori hanno rivelato come gli individui interiorizzassero le norme e i valori del discorso ufficiale”.
Ricordiamo che l’homo sovieticus veniva in due versioni: quella dei dominati, che abbiamo sommariamente descritto, e quella dei dominanti. Così anche l’Homo Covidicus.
Che cos’era quella che spudoratamente a Mosca si auto-definiva “dittatura del proletariato”, infatti? Era – come la nostra oggi – una dittatura di “Ricchi di Stato”. Degli statali che s’erano impadroniti dello Stato e lo divoravano, mentre facevano strage dei cittadini nel GuLag, nell’Holodmor; che dallo Stato “prendevano”, senza “dare” (se non carestie, e proiettili alla nuca, quelli in abbondanza ilimitata, come i tamponi).
Erano quelli che – mentre il sovietico comune faceva le code quando arrivavano i calzini di filanca, lo zucchero, il latte – avevano accesso ai negozi riservati dove abbondavano caviale, storione, whisky scozzese, sigarette Lucky Strike e dischi pop occidentali il cui solo possesso in mano ad un dominato, scoperto dal Kgb, l’avrebbe proiettato nel GuLag per dieci anni.
Si chiamava Nomenklatura, nome che rivela il loro carattere buro-statale. Del tutto separati, anche mentalmente, dal popolo e dalle sofferenze che gli provocarono – con la loro amministrazione ideologica fecero collassare l’economia zarista, una delle più prospere della storia, in regime di code ossia di massima inefficienza (un economista gorbacioviano calcolò che nelle file si perdevano 65 miliardi di ore-uomo l’anno, era come se 35 milioni di russi “lavorassero” a fare la coda, contro 31 milioni impiegati nelle industrie). E in 70 anni di potere assoluto, questa Nomenklatura mai si pose nemmeno il problema di alleviare queste mostruosità umane, sociali ed economiche, di riorganizzare la distribuzione: gli andava bene così. Esenti da ogni compassione, ma anche da ogni razionalità.
Oggi la Nomenklatura di Gualtieri e Conte, sostenuta dai 5S e da tutti i ricchi di Stato (dalla Rai ai ministeri, dirigenze inadempienti, strapagati parassiti pubblici), sta facendo collassare l’economia del -10% (o più), provoca milioni di disoccupati, con la stessa spietata indifferenza: totalmente separata dal popolo, ignorante del funzionamento di una società complessa e dei danni permanenti che gli infligge con i suoi arbitri, favoleggia di acciaierie pulite che andranno ad idrogeno, e di economia verde e sostenibile che realizzerà con i 209 miliardi dell’Europa, che non arriveranno mai.
Sotto la Nomeklatura c’erano gli apparatchik; capi-fabbriche, scrittori ed attori, giornalisti del regime – che, anche se non acceso ai negozi del caviale, avevano la precedenza nell’assegnazione di auto (che i dominati dovevano aspettare anni), nell’assegnazione di appartamenti spaziosi e delle desideratissime vacanze a Soci.
La massa sovietica dominata non aveva casa ma una stanza in coabitazione, la cucina in comune con l’altra famiglia coabitante e pronta alla delazione per guadagnare credito verso il Partito e allargarsi quando l’una veniva arrestata. L’Homo Sovieticus Inferior si metteva docilmente in fila per la frutta fresca, l’arrivo delle salsicce e persino (nel 1929-34) del pane, come dopo per l’assegnazione di un’auto che sarebbe arrivata 3 anni in ritardo, sapendo che gli apparatchik gli passavano davanti, e campava per tutta la vita del grigio triste pane sovietico, delle grigie inenarrabili salsicce, borsh e cetrioli in salamoia; e il solo colore della loro vita era il quartino di vodka, super tassato, che comprava con uno sconosciuto, con cui lo condivideva aspettando il tram nel gelo: scena che ho visto personalmente a Kiev.
Le masse dell’Homo Covidicus Inferior sono quelle che si mettono volontariamente in coda per farsi “fare il tampone”, lo lasciano fare i loro figli piccoli (anche se provoca lesioni) e si affolleranno docilmente a farsi inoculare il vaccino – qualunque vaccino, senza chiedersi cosa ci hanno messo dentro.
L’homo covidicus superior, apparatchik, comincia a fare la sua comparsa: nelle maestre kapò che ordinano il tampone allo scolaretto perché “ha starnutito”, che vietano il prestito di una penna a chi ha dimenticato l’astuccio, il preside che chiama la Digos perché una maesra non porta la mascherina. I medici e pediatri he infliggono l’invasivo e pericoloso tampone (il solo genere di cui c’è abbondanza illimitata) con sempre maggiore sadico compiacimento, andando a caccia dei “positivi” come il KGB andava a caccia dei”deviazionisti”, nemici di classe che si celavano tra chi raccontava barzellette antisovietiche nella cucina in comune dell’appartamento.
Come nella vecchia URSS, anche qui di sono le “voci dal sottosuolo”:
“Stanno mettendo le madri nella condizione di non chiamare i pediatri per paura che avvenga attivata la procedura Covid.”, dice una su twitter. “La nostra pediatra, col malcelato godimento di chi si schiera coi forti: eh sì, alla fine toccherà a tutti, la macchina funziona”, risponde un dissidente che cercava di sottrarre il suo bambino al tampone.
“Cosa significhi rinviare 18 milioni di prestazioni sanitarie solo Dio lo sa”.
Tutti soffocano dentro le mascherine senza chiedersi perché né per quanto tempo. Anzi: tutti pronti ad accettare – e volentieri – lo stato d’emergenza prolungato fino al 31 gennaio, anzi ad aprile, pronti a indossare le mascherine all’aperto, e a qualunque nuova restrizione sadicamente inutile e arbitraria venga comandata:
non si canta o suona in strada, non si deve essere in più di sei, vietata la pizza Margherita, i bambini “positivi” espulsi dalla scuola, sempre nuove multe da 400 a 1000 euro per la violazione di “norme deliberatamente imprecise e cangianti”.
Così dice Karine Bechet-Golovko, giornalista e intellettuale franco-russa, che dunque ha nella memoria i tempi sovietici. “Per non morire, si deve cessare di vivere, in fondo è logico. E tutti i governi obbediscono all’OMS, e le raccomandazioni di questa hanno distrutto d’un soffio la gerarchia delle norme, messo fine a secoli di civiltà politico-giuridica”.
L’istruzione scolastica non più impartita:
Voci dal sottosuolo: “Immaginate una classe che non esiste più fisicamente, con studenti a letto mentre sgranocchiano schifezze e sentono musica davanti a un poveraccio che parla dal teleschermo. I genitori al lavoro. È scuola? E questo per una influenza inferiore alla Asiatica..”
le università amputate dall’obbligo di “lezioni” magisteriali da tenere con youtube e zoom, che le priva del loro essenziale valore, essere luoghi di riflessione e di cultura, quindi anche di presa di distanza critica; e “questo mondo in gestazione non può consentire il pensiero e la critica”.
“E’ un mondo di morte quello che viene instaurato. Morte della cultura sociale, delle tradizioni umane di trasmissione. Morte dei rapporti d’affetto, delle carezze, dei baci. Morte dell’economia reale, che suppone lavoro concreto. Morte dell’uomo, che ha bisogno di tutte queste cose per svilupparsi”.
Come il socialismo reale (realmente dittatura dei ricchi di stato) proclamava far sorgere dall’abolizione della proprietà l’Uomo Nuovo, e ottenne l’Homo Sovieticus, così ci troviamo attorno le masse dell’Homo Covidicus – che nella sua forma compiuta, non ha più “nessun contatto umano, nessun piacere, si chiude in casa dopo essersi chiuso in una maschera”, per fantomatiche ragioni di salute, per non prendere il virus? “Ti viene da chiederti: queste persone hanno più paura della morte, o della vita?”.
E’ appunto questa la questione: una umanità senza Dio ha paura della morte ed anche allo stesso tempo della vita. Si restringe dentro, non ha ragioni di lottare per qualcosa che superi la sussistenza. E’ la fine di chi “vive di solo pane”: che gli mancherà anche il pane. Questi cooperano ad un ritorno del mondo dove, quando si vedeva una fila, ci si metteva, chiedendo speranzoso “Cosa danno?”, il mondo della penuria e del non-lavoro..
Senza memoria. Quella che aveva ancora Afanassievna Kharkova, nata nel 1922, figlia di una donna che era stata figlia di un pope e quindi – avendo avuto un’ottima educazione nella Russia zarista – aveva trovato occupazione come insegnante nelle superiori della scuole sovietiche. Lei. la ragazzina, ha scritto un diario. “A scuola ci veniva detto quanto fossero cattive la religione, la Chiesa e tutte le feste religiose per il popolo e quanto fossero cattivi i preti, papi come li chiamavano. Ero stupefatta. Com’era possibile? Il nonno era così buono! E tutte le feste religiose erano così belle! Ma non ho osato contraddire la maestra. Nel 1930 vietarono di fare l’albero di Natale. Per la prima volta nella mia vita, non avevamo un albero di Natale. Come mi dispiaceva, ricordando gli alberi di Ermolino! L’insegnante ha spiegato che la foresta sarebbe morta a forza di abbattere abeti. Forse era vero? Ci ho pensato a lungo senza riuscire a capire con il mio cervello bambina. Dov’era la verità? Sapevo che per secoli in tutta la Russia le persone facevano l’albero per Natale e Capodanno. Stavano davvero distruggendo la foresta? Tutti questi pensieri non mi lasciavano in pace. La chiesa di Paveltsev è stata chiusa. Poco dopo abbiamo saputo che anche Ermolino era stata chiusa, che il nonno e la nonna erano stati dekulakizzati, che la loro casa con tutti i loro averi, la mucca e il cavallo era stata sequestrata! Perché tutto questo? Dove e come avrebbero vissuto adesso? Ero molto triste e non riuscivo a capire dove fosse la loro colpa..”.
Feti sepolti senza consenso
Interviene il garante della privacy: aperta istruttoria
«Questa non è la mia tomba». Eppure lì su quella croce nel campo 108 del cimitero Flaminio (a Roma) una donna trova il suo nome, accanto a centinaia di altri. Lei, come molte altre donne, hanno affrontato un’interruzione di gravidanza, ma pur non avendo richiesto la sepoltura del feto scopre, a distanza di tempo che senza nessun consenso e in barba a ogni regola sulla privacy, qualcuno lo ha fatto per lei. «È un’azione punitiva, è come dire: lo seppellisco io per te. Trovare il mio nome su quella croce sembra voler dire: ecco tu hai abortito, ora tutti lo sanno» racconta la ragazza.
Si allunga la lista delle donne che, leggendo quel primo post coraggioso di una donna su Facebook, hanno deciso di verificare di persona se in quel campo ci fosse anche il proprio nome. L’eco della vicenda ha messo in moto anche le istituzioni, ieri sono state presentate due interrogazioni: una alla Regione Lazio e l’altra al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, su iniziativa della deputata di Liberi e Eguali Rossella Muroni e della consigliera regionale Marta Bonafoni. Entrambi gli atti hanno trovato l’approvazione di molti parlamentari fra cui l’ex presidente della Camera Laura Boldrini. Il Garante per la protezione dei dati personali ha inoltre deciso di aprire un’istruttoria, definendo la vicenda «dolorosissima». In questo caso è doverosa una riflessione anche sulla scelta del simbolo religioso, nessuna delle donne che poi si è ritrovata le generalità pubbliche aveva specificato orientamento religioso. Altra violazione.
Immediatamente è iniziato il ping-pong delle responsabilità. Dapprima l’Ama, municipalizzata che gestisce i lavori cimiteriali, che ha respinto ogni responsabilità: «La sepoltura del feto è stata effettuata su specifico input dell’ospedale» e poi la risposta della struttura dove sono stati praticati gli aborti, il San Camillo di Roma: «La gestione e seppellimento sono di completa ed esclusiva competenza di Ama dunque la violazione della privacy è avvenuta all’interno del cimitero». Il Regolamento di polizia mortuaria del 1990, che fa addirittura capo al regio decreto del 9 luglio 1939, distingue tra tre casi possibili in caso di aborto: i bimbi nati morti (superate le 28 settimane) vengono sempre sepolti; i feti con una presunta età di gestazione tra le 20 e le 28 settimane cui spetta l’interramento in campo comune con permessi rilasciati dall’unità sanitaria locale, e i “prodotti del concepimento”, cioè di una presunta età inferiore alle 20 settimane, considerati rifiuti speciali ospedalieri, quindi non destinati alla sepoltura, ma alla termodistruzione. Sulla vicenda è intervenuto anche Massimo Gandolfini, leader del Family Day, che ha commentato: «La legge prevede che ogni Regione possa stabilire se concedere alla donna che abortisce libertà di scelta sulla sepoltura del feto. Io credo che sia sbagliato. Il feto va sepolto sempre – precisando però che – scrivere invece il nome e cognome della madre sulla tomba è una procedura sbagliata e sciocca».
Dopo la forte attenzione mediatica riservata alla vicenda, adesso qualcosa sembra muoversi. I Radicali promettono battaglia e l’Associazione Differenza Donna, da sempre dalla parte delle donne e contro la violenza, promette una class action. «Il prossimo passo sarà un’azione collettiva, tutte le donne che hanno subito questa grave violazione istituzionale devono esserne al corrente. Ci stiamo muovendo, non ci fermeremo» dice la Presidente dell’associazione Elisa Ercoli. Dopo lo sdegno, la ricerca della verità e la volontà di individuare le responsabilità per far luce su quello che sembra un “meccanismo” collaudato dove a pagare le conseguenze però sono sempre e solo le donne, stigmatizzate, ancora una volta, per le loro scelte.
FONTE: https://www.ilriformista.it/feti-sepolti-senza-consenso-interviene-il-garante-della-privacy-aperta-istruttoria-165116/
Giardino degli Angeli, la risposta del San Camillo
Il comunicato dell’ospedale esclude ogni tipo di responsabilità sulle modalità di sepoltura dei feti
Dopo il comunicato di AMA, anche l’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini ha inteso prendere una posizione circa quanto accaduto in relazione alla vicenda del Giardino degli Angeli. All’interno del comunicato viene esclusa ogni tipo di responsabilità sulle modalità di sepoltura del feto tanto per l’Ospedale quanto per l’ASL di competenza. In pratica viene rappresentata una situazione di segno nettamente opposto rispetto a quanto invece è stato sostenuto dall’ente gestore dei Cimiteri Capitolini.
Le precisazioni fornite riguardano soprattutto la questione dell’identificazione del feto con il nome della madre. Sono in tal senso richiamate le esigenze di svolgere gli adempimenti prescritti da una specifica norma di legge (art. 7 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285) per cui l’informazione è necessaria esclusivamente per provvedere ai permessi di trasporto e di sepoltura (oltre che ovviamente per la compilazione del certificato di nascita e di morte). Viene chiarito che tutti i documenti sono poi consegnati all’AMA insieme al certificato medico legale della ASL per la presa in carico dei feti e per procedere alle attività di competenza del cimitero. Nulla emerge circa l’attribuzione dell’epigrafe, che è un’attività non svolta da parte dell’Azienda Ospedaliera né della diffusione dell’informazione al di fuori dell’ambito esposto.
La Direzione generale dell’Azienda Ospedaliera ha inoltre inteso chiarire che “Le successive attività relative al trasporto, alla gestione e seppellimento del feto sono di completa ed esclusiva competenza di AMA”. Viene ribadito insomma che “Azienda ospedaliera ed Asl di competenza in alcun modo concorrono ad alcuna scelta in merito alle attività di seppellimento.”. Sostanzialmente, viene radicalmente escluso che ogni eventuale violazione possa essere riconducibile o in capo all’Ospedale o ai suoi operatori. Anzi, la fonte del problema di violazione della privacy viene espressamente indicata come essere nella gestione del Cimitero Flaminio.
Eufemisticamente parlando, il quadro delle responsabilità che appare così profilarsi dalle vicende e dalle rispettive dichiarazioni degli enti coinvolti non ha affatto pennellate nitide ma sembra essere un dipinto dai contorni piuttosto confusi.
Certamente, l’intervento dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali contribuirà a fornire maggiore chiarezza a quanto accaduto, andando a definire a conclusione dell’attività istruttoria sia i ruoli dei soggetti coinvolti sia le corrispondenti responsabilità.
FONTE: https://www.infosec.news/2020/10/03/news/riservatezza-dei-dati/giardino-degli-angeli-la-risposta-del-san-camillo/
Case all’asta: +25% in un solo anno
Lo rivela il Rapporto semestrale sulle aste immobiliari del Centro Studi Sogeea. Il valore complessivo stimato è di circa 3,5 miliardi. Simoncini: «serve un fondo di tutela per chi è in difficoltà»
di Laura Cavestri
Le case all’asta in Italia, rilevate al 31 dicembre 2019, sono 23.904 (di cui 194 sono le procedure che riguardano alberghi, bed & breakfast, motel, campeggi e simili) con un aumento del 25% rispetto allo scorso anno. Lo rivela il Rapporto semestrale sulle aste immobiliari del Centro Studi Sogeea, presentato questa mattina in Senato. Il valore complessivo stimato ammonta a circa 3,5 miliardi di euro, per un potenziale incasso per l’Erario di oltre 310 milioni di euro di imposte sulla casa.
Il quadro della situazione
È sempre la fascia di reddito medio-bassa – evidenzia il Rapporto – a pagare il tributo più rilevante alla crisi: il 67% delle case in vendita (quasi 2 su 3) ha un prezzo inferiore ai 100mila euro, percentuale che sale fino all’88% se si prendono in esame anche gli immobili il cui prezzo è compreso tra 100mila e 200mila euro, molto probabilmente appartenuti a impiegati, piccoli imprenditori, artigiani e commercianti. Categorie esposte a crescenti difficoltà e che, sul lungo periodo, si sono trovate a versare un dazio altissimo, arrivando a intaccare anche il patrimonio più prezioso come quello della prima casa.
Più della metà degli immobili residenziali in vendita (13.152 unità) si concentra nel Nord del Paese. A guidare la classifica, infatti, c’è la Lombardia (3.343). A seguire ci sono la Sicilia (2.720), il Lazio (2.565 immobili), il Veneto (2.265) e la Toscana (2.151). Sopra quota mille e 500 immobili anche il Piemonte (1702), la Campania (1.610).
A livello di province, invece, spiccano le 1.443 case all’asta di Roma. Seguono Vicenza (944), Catania (846) e Bergamo (800).
Sul versante turistico ricettivo le strutture all’asta sono 194. Firenze e Trento sono le città con più alberghi in vendita (13); seguono Grosseto (10) e Pistoia (8). Il mercato delle aste immobiliari, dunque, offre notevoli opportunità d’investimento. Molti istituti bancari mettono a disposizione strumenti finanziari ad hoc per procedere all’acquisto e i meccanismi di vendita all’asta sono trasparenti e semplici: chi ha disponibilità di denaro può realizzare dei veri e propri affari e c’è sempre la possibilità di farsi seguire da un tecnico o da un professionista del settore per avere la sicurezza di non commettere passi falsi.
Tra le numerose vendite all’asta sono presenti anche immobili di pregio come, tanto per fare degli esempi romani, il Cinema Adriano (Via Cicerone, valore 27 milioni); il Cinema Roma (Piazza Sonnino, valore 2,3 milioni); il Cinema Ambassade (via Accademia degli Agiati, valore 2,6 milioni); il Multisala Atlantic (Via Tuscolana, valore 11 milioni); il Daniel’s Hotel (Via Frattina, valore 3,9 milioni); il secondo piano di Palazzo Fusconi Pighini (Piazza Farnese, valore 3,1 milioni).
Nel resto d’Italia si segnalano l’isola di Tessera (Venezia, valore 2,2 milioni); Villa Corner del XVI sec. (Monselice, valore 3,2 milioni); Villa Odescalchi (Como, valore 2,3 milioni e il Castello di Ozegna (Torino, valore 1,1 milioni).
Il parere
«Troppo spesso – ha sottolineasto Sandro Simoncini, docente di Urbanistica e di Economia delle Imprese all’Università Uninettuno e direttore scientifico del Centro Studi – quando parliamo di case all’asta ci si dimentica la storia “dolorosa” di quell’immobile. Chi compra oggi non la fa semplicemente per investire i suoi soldi, ma per realizzare un progetto di vita. Lo stesso progetto che per qualcun altro, purtroppo, è naufragato in un fallimento. Per questo sarebbe opportuno creare un fondo di salvaguardia che possa aiutare un imprenditore o un proprietario a conservare il proprio immobile».
In ogni caso, ha concluso Simoncini, «Un aumento del 25%rispetto all’anno scorso deve far riflettere il legislatore: non serve aumentare, come in passato, le vendite detassando le imposte sulle alienazioni degli immobili all’asta, ma occorre limitare il più possibile le posizioni debitorie, ormai così numerose e importanti».
FONTE: https://www.ilsole24ore.com/art/case-all-asta-25percento-un-solo-anno-ACcczTIB?refresh_ce=1
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
«L’ABBRACCIO» DI EGON SCHIELE, TRA PASSIONE E MALINCONIA
L’abbraccio è uno dei dipinti più famosi di Egon Schiele. Conosciuto anche con il titolo de Gli amanti, la dualità dell’opera non sta solo nel titolo: i due corpi ritratti nell’opera si stringono infatti con passione e allo stesso tempo con dolore e malinconia. Lo spettatore coglie i due amanti nel momento più intimo della loro relazione: un abbraccio passionale governato dal sentimento di amore e dalla paura di perdersi. Lo spettatore si intromette all’interno della sfera privata della giovane coppia.
Per Schiele l’intimità non è solo rappresentazione di un’unione fisica, ma soprattutto della connessione umana. La passione traspare dall’armonia che i due corpi emanano. Indicatore di questo aspetto è l’azione delle mani: strette fortemente e allo stesso tempo dolcemente appoggiate l’una sul corpo dell’altro.
«L’abbraccio» di Egon Schiele: analisi dell’opera
Datato 1917, questo dipinto presenta una visione dall’alto sui corpi congiunti di due amanti. Il punto di vista rende lo spettatore quasi un “guardone”, poiché l’occhio viene incitato a spiare il momento d’intimità. I due amanti sono collocati l’uno affianco all’altra, i loro corpi nudi si uniscono in un abbraccio che trasmette allo stesso tempo dolcezza e passione.
La giovane donna è rappresentata frontalmente, il compagno invece è di spalle. La curiosità dello spettatore viene stimolata dal fatto che non è possibile dare un volto definito a questi personaggi. I volti non sono rappresentati in modo netto e sono visibili solo alcuni tratti sfuggenti. A parlare al posto degli occhi degli amanti sono i loro corpi, che esprimono un connubio tra malinconia e felicità.
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Le donne di Egon Schiele
L’anatomia dei muscoli raffigura un misto di morbidezza e di forza, indice dello stato d’animo della coppia: la forte passione e la forte paura di perdere l’amore della vita. La giovane donna incarna per il suo amante la sicurezza. Le linee sono taglienti, affilate e penetranti, secondo lo stile che caratterizza le opere di Schiele. Questa linea così graffiante provoca un senso di tormento e di dolore esistenziale. Anche l’anatomia dei corpi riflette questo stato d’animo, come si può notare dalla tensione muscolare e dalla schiena magra e spigolosa dell’uomo.
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L’erotismo triste di Egon Schiele
I colori dell’incarnato ricordano una fisicità trascurata: tocchi di giallo, di bianco, di verde, di marrone e di rosa che rimandano all’immagine di un corpo estremamente magro. La parte superiore dei due corpi è congiunta, mentre quella inferiore, a partire dal ventre, segue un movimento di progressivo allontanamento. Questo dettagli trasmette il senso di paura di una separazione forzata o di una perdita. La vicinanza dei due volti ricorda alla lontana quella dei protagonisti de Il bacio di Gustav Klimt.
Leggi anche:
«Il bacio» di Klimt, l’eleganza del desiderio
Entrambi esponenti del movimento di Secessione viennese, Schiele e Klimt hanno voluto instaurare un dialogo diretto con lo spettatore attraverso la fisicità di una coppia di amanti.
Quello che Romanzo di una strage non dice
Maso Notarianni
Un film parziale, troppo parziale. Non perché la storia che racconta è troppo complicata per essere racchiusa tutta in un film. Ma perché Giordana non fa davvero i conti con la gigantesca attualità di una storia che non ho vissuto da testimone (sono nato nel ’66) ma che ho vissuto da cronista anni dopo: mi ricordo la telefonata di Guido Salvini – il magistrato che ha riaperto le indagini su piazza Fontana negli anni ’90) il giorno della prima sentenza che confermava la sua inchiesta (Maso, ho chiamato prima te di mio padre, te lo dovevo, sei stato il primo a credere nel mio lavoro. E’ andata bene!).
Sul film di Giordana (come anche sulla strategia della tensione, a partire dalle carte processuali) ho letto tutto. E ho trovato un solo commento molto azzeccato: nessun “doppio Stato”, ma doppia Costituzione (Miguel Gotor, la Repubblica, 1 aprile 2012).
Ma bisogna ricominciare daccapo, dall’inizio. Il doppio Stato cos’è? E’ la teoria, uscita anche dai lavori della Commissione Stragi secondo la quale c’era uno Stato legalitario, costituzionale, fedele ai principi della Repubblica nata dalla Resistenza e un pezzo dello Stato deviato, parallelo, che non rispettava la Costituzione democratica e che faceva di tutto per instaurare in Italia una dittatura.
Passo indietro, necessario, perché oramai nessuno più ricorda cos’era questa Repubblica nata dalla Resistenza. E perché molti dei lettori di oggi, manco l’hanno vissuta, quella Repubblica.
L’Italia esce dalla Seconda guerra mondiale un po’ sconfitta (il fascismo) e un po’ no (la resistenza e il governo Badoglio) e entra nel dopoguerra portandosi appresso – grazie anche alla amnistia voluta dal comunista Togliatti – quasi l’intero apparato dello Stato fascista: prefetti, funzionari ministeriali, tutori dell’ordine, servizi segreti.
Altrove, il mondo viene diviso tra i vincitori. Da una parte i Paesi che dovranno (per un accordo, non perché lo vogliono) stare sotto l’influenza e il tallone dell’Unione Sovietica ancora staliniana e dall’altra i Paesi che dovranno (anche loro lo stesso accordo firmato tra i vincitori) stare sotto l’influenza dei paesi occidentali vincitori della guerra: Stati Uniti e Regno Unito.
Tutto fila liscio? No, né da una parte né dall’altra del mondo le cose si stabilizzano. Al di là della cortina di ferro, questo lo sanno in tanti, i movimenti riformatori che colpirono alcuni dei paesi “comunisti” vennero schiacciati dai cingoli dei carri armati sovietici.
Ma anche al di qua della cortina, nel cosiddetto mondo libero (veniva davvero chiamato così), non sono tutti contenti del loro presente. In Grecia, in Spagna, in Portogallo, le istanze di libertà e di progresso che avrebbero voluto maggiore distribuzione della ricchezza accumulata dai grandi proprietari (terrieri o industriali) vennero schiacciate sotto i cingoli di dittature feroci che pur di impedire la vittoria dei socialisti e dei comunisti hanno causato decine di migliaia di vittime.
E in Italia? In Italia la situazione era del tutto particolare. I partigiani, checché ne dicano (o non dicano) i libri di storia voluti dai berluscones e dai loro complici annidati a “destra” come a “sinistra”, hanno contribuito enormemente alla sconfitta del fascismo e del nazismo. E la Costituzione repubblicana, della Repubblica che non per fantasia si è definita “nata dalla Resistenza”, è stata scritta anche da quei comunisti e da quei socialisti e da quei cattolici progressisti che nella Resistenza hanno combattuto.
Una Costituzione avanzata, avanzatissima ancora oggi. Che si fonda sul lavoro, e dice dei diritti delle persone, della prevalenza dell’interesse collettivo su quello individuale, della necessità della tutela della proprietà privata sì, ma solo fino a che questa non vada a intaccare gli interessi di tutti che sono più importanti. Che dice no alla guerra e anche tante altre cose che, fossero state rispettate, avrebbero fatto una Italia decisamente migliore.
Ma c’era un’altra cosa del tutto anomala, in Italia: c’era un partito comunista non solo eccentrico rispetto al blocco sovietico, ma anche fortissimo per voto popolare.
C’era dunque in Italia il presupposto perché si costruisse quel che altrove e ancora oggi non si è riusciti a costruire. Un mondo migliore, dove giustizia, libertà, uguaglianza di diritti doveri e possibilità fossero davvero reali. E questo, ovviamente, faceva paura ai potenti di allora come fa paura ai potenti di oggi.
E faceva paura al di qua e al di là della cortina, perché avrebbe potuto essere un esperimento contagioso e destabilizzante di quell’ordine uscito dalla seconda guerra mondiale.
Per questo, alla Costituzione repubblicana figlia della Resistenza e scritta col sangue, formalmente in vigore, se ne è sostituita una che avrebbe usato il sangue per scrivere la storia, e in vigore sostanzialmente.
Una costituzione sostanziale e maledettamente concreta che per funzionare si è servita di quegli apparati dello Stato nati e cresciuti sotto la dittatura fascista, che nulla avevano in comune con quelli che sarebbero stati necessari per costruire e far vivere la Repubblica. Quegli apparati dello Stato che hanno usato i rottami della storia nostrana che erano i neofascisti per impedire a questo Paese di progredire. Da soli? Certamente no. Non da soli avevano agito o avrebbero potuto agire i regimi in Spagna, in Portogallo, in Grecia. Non da soli avrebbero potuto agire indisturbati come hanno agito in Italia. E infatti la storia della strategia della tensione si intreccia innumerevoli volte con le vicende della Grecia, della Spagna, del Portogallo.
Le sentenze dei tribunali, lo hanno detto in tanti in questi giorni, non hanno scritto i nomi dei colpevoli degli innumerevoli attentati2 attraverso i quali questo paese è stato “destabilizzato per stabilizzare”. Ma la Storia, quella che poi si può scrivere sui libri, l’hanno molto ben delineata, con tanto di documenti, testimonianze non anonime, ricostruzioni puntigliose e puntuali.
In sintesi, quelle sentenze ci dicono che la strategia della tensione l’hanno materialmente messa in atto i fascisti, sotto la guida e la regia degli apparati dello Stato che erano a loro volta non autonomi ma guidati passo dopo passo da coloro i quali avevano in affido la parte occidentale del mondo. Non stiamo parlando degli “apparati deviati”: i deviati, in questa lunga e sanguinosa storia sono stati i pochi sinceri democratici nelle istituzioni che hanno pagato spesso con la vita il loro voler servire la Costituzione nata dalla Resistenza con le loro inchieste. E coloro che seguivano passo passo gli esponenti dei nostri Servizi non erano a loro volta dei deviati, ma erano stati mandati nel nostro Paese (come avevano già fatto altrove) perché si affiancassero ai nostri apparati statali nel progettare e costruire quella destabilizzazione che avrebbe stabilizzato l’Italia nel loro seno. Quegli uomini non si sono limitati a osservare e a dare suggerimenti. Le inchieste hanno provato che agenti statunitensi hanno insegnato ai fascisti di Ordine Nuovo a progettare attentati e a costruire le bombe3 che da subito dopo la guerra, dalla strage di Portella delle Ginestre in poi, hanno condizionato pesantemente la vita politica e sociale italiana, contrastando anche con i metodi della guerra non ortodossa, della guerra a bassa intensità, quei tentativi di rinnovamento che gli italiani chiedevano. Che non erano poca cosa, per gli equilibri mondiali. A partire dal tentativo di emancipare il sud e la Sicilia dalla mafia (con la quale le truppe liberatrici avevano stretto una santa alleanza per poter avanzare indisturbate nel ’44 e nel ’45), dalla gestione clientelare, dallo sfruttamento della terra e dei braccianti per finire con il grande movimento operaio prima e studentesco poi che portarono al nostro Paese prima che agli altri le più avanzate riforme del lavoro (culminate con lo Statuto dei Lavoratori), della scuola (culminata con la riforma dei decreti delegati del 1973) e della vita sociale (aborto, divorzio, abolizione dei manicomi ecc ecc).
Questa grande ondata di riforme (le quali, oggi, vengono smantellate pezzo a pezzo senza bisogno di stragi e di attentati) stava mettendo in discussione quell’ordine precostituito e deciso a tavolino dai vincitori della Seconda guerra mondiale. E stava portando pezzi importanti di Democrazia Cristiana ad aprirsi alla collaborazione con il Partito Comunista.
Questo è il quadro in cui nacque e crebbe la strategia della tensione che il film di Giordana racconta troppo parzialmente, utilizzando come base per il suo film una inverosimile teoria (quella di Paolo Cucchiarelli e del suo libro Il segreto di Piazza Fontana) secondo la quale gli attentati furono progettati e attuati contemporaneamente dagli anarchici (quindi la sinistra) e dai fascisti con l’aiuto di qualche pezzettino di servizi segreti deviati, dando così un colpo al cerchio e uno alla botte. E’ un bene che si sia tornati a ragionare su quegli anni, perché sono stati chiusi in un cassetto troppo velocemente e con troppi colpi alle botti e ai cerchi.
E’ vero che oramai fanno parte della Storia, perché il mondo intero è radicalmente cambiato nel 1989 quando il muro di Berlino è crollato e sotto le sue macerie è stato sepolto non solo il comunismo ma l’intero movimento operaio occidentale.
Ma la doppia Costituzione esiste oggi forse anche più di ieri. E il non aver giudicato (non nei tribunali, ma nella coscienza collettiva) la seconda metà dello scorso secolo per quel che è stata davvero, ha traghettato l’incompiutezza della nostra democrazia (che ha prosperato anni con un Stato formalmente di diritto che sostanzialmente era invece costruito consapevolmente fin dalle più alte cariche dello Stato sulla illegalità) nel nostro presente.
Un presente nel quale è normale che tutto quel che ci accade intorno (soprattutto per quanto riguarda le scelte politiche) sia incontrollabile, e quindi prescinda dal nostro impegno politico e sociale.
Per questo i nuovi “partiti” sono fatti come sono fatti, per questo i “politici” sono così tanto distanti dalla vita reale e concreta delle persone. Hanno tutti imparato, a destra come a sinistra, che lo Stato si può dirigere meglio dietro che davanti alle quinte.
E questo punto, che il film di Giordana, Romanzo di una strage, non centra, è proprio quello che di importante ci sarebbe da dire sul romanzo delle stragi.
Nota 1: le conclusioni della Commissione stragi
[…]Il quadro descritto, per il profilo che concerne le responsabilità politiche, muta però a far data dalla metà degli anni ’50 e cioè dal momento in cui diviene chiaramente percepibile un “ritrarsi” dei vertici politici dall’assunzione di specifiche responsabilità e il correlativo innescarsi di una delega sempre più ampia da parte del vertice politico in favore di apparati amministrativi e burocratici. […]
[…]Dopo la guerra, infatti, i servizi segreti dei principali Paesi industrializzati invece di rientrare nell’alveo di una “corretta” attività di spionaggio e controspionaggio militare si trasformarono in costose agenzie informative, con bilanci di centinaia, talora di migliaia di miliardi. La divisione del mondo in due sfere di influenza contrapposte fece sì che ai servizi segreti di molti Paesi venissero affidati – o che dagli stessi venissero in via di fatto assunti – compiti che non competevano loro, a difesa con ogni mezzo dello status quo internazionale. E’ nota quindi questa generale utilizzazione dei servizi segreti in chiave marcatamente politica, in un periodo storico nel quale la situazione internazionale autorizzava la massima spregiudicatezza. E’ peraltro indubbio che il fenomeno di un’accentuata autonomia politica dei servizi abbia assunto in Italia intensità maggiore ed abbia riguardato anche altri apparati istituzionali. E’ probabilmente questo l’ambito in cui più chiaramente si è manifestato – e per un lungo periodo – il limite sostanziale di sovranità, che derivava dalla situazione internazionale. […]
Nota 2: gli attentati della strategia della tensione (da Wikipedia)
- Il 1 maggio1947 a Portella della Ginestra avvenne una strage collocata storicamente solo di recente nella Strategia della tensione. Morirono 11 persone e ci furono 27 feriti.[7][8]
- Nel corso del 1969 vennero compiuti degli attentati considerati prodromi di quelli del 12 dicembre: bombe del 25 aprile 1969 e attentati ai treni dell’estate 1969.
- Il 12 dicembre 1969 avvenne un attentato a Milano, la strage di Piazza Fontana; morirono 17 persone e 88 furono ferite.
- Il 22 luglio 1970 un treno deragliò sui binari sabotati precedentemente da una bomba nei pressi della stazione di Gioia Tauro: morirono 6 persone e 66 furono ferite.
- Il 17 maggio 1973 avvenne la strage della Questura di Milano, in cui morirono 4 persone e altre 46 rimasero ferite.[9]
- Il 28 maggio 1974 avvenne la strage di Piazza della Loggia, a Brescia, in cui morirono 8 persone e altre 102 rimasero ferite.
- Il 4 agosto 1974 avvenne l’attentato al treno Italicus a San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna, in cui morirono 12 persone e altre 105 rimasero ferite.
Nota 3: gli agenti Usa in Italia
Strage di Piazza Fontana spunta un agente Usa. (Giovanni Maria Bellu, La Repubblica 11 febbraio 1998)
Piazza Fontana, depistaggi Cia (Paolo Biondani, Corriere della Sera 16 gennaio 2001)
«Teddy», Carret e «John». La Ftase che indirizzava gli ordinovisti in riva all’Adige (Angiola Petronio, Corriere del Veneto 13 maggio 2010)
FONTE: https://www.eilmensile.it/2012/07/27/quello-che-romanzo-di-una-strage-non-dice/
ATTUALITÁ SOCIETÀ COSTUME
Famiglie: il vero welfare sono i nonni. Una stima del loro compenso
2 Ottobre 2020, di Alessandra Caparello
Famiglie: il vero welfare sono i nonni. Ecco quanto dovrebbero percepire di compenso
Chi ha figli lo sa: l’aiuto dei nonni, specie per chi lavora, è fondamentale e prezioso, il vero welfare delle famiglie italiane.
Ma se fosse un lavoro regolarmente retribuito, quanto dovrebbero essere pagati i nonni? A fare i conti è il portale Prontopro.it secondo cui, prendendo in considerazione tutte le mansioni svolte, e le relative paghe orarie riconosciute a chi esercita gli stessi mestieri come lavoratore professionista, attingendo ad un database di 600.000 professionisti, suddivisi su 500 categorie di servizi, il salario per i nonni si attesterebbe intorno ai 3.200 euro al mese.
“Servirebbe un bonus ad hoc per i nonni, un riconoscimento pubblico del loro ruolo sociale, alla stregua del bonus baby sitter”, conclude Alice Figaroli, responsabile comunicazione di prontopro.it.
l welfare sono i nonni, quanto dovrebbero essere pagati
Il vero welfare sono i nonni. Da autisti privati, accompagnano i nipoti a scuola e alle attività pomeridiane, sport e musica, servizio che, se fosse remunerato, prevederebbe un compenso di circa 20 euro all’ora.
I nonni sono anche chef a domicilio che dovrebbero percepire in media 55 euro a commensale. Grande il loro aiuto anche nello svolgimento dei compiti, servizio che in genere è pagato circa 20 euro all’ora.
Ma dopo lo studio è tempo di divertirsi: diventando dei veri e propri animatori, i nonni percepirebbero un compenso orario di 50 euro. Ma sono anche un valido aiuto psicologico per risolvere i piccoli e grandi problemi che spesso i bambini e gli adolescenti possono incontrare nel cammino della vita, una consulenza psicologica che potrebbe costare fino a 55 euro all’ora.
Infine i nonni spesso aiutano anche nella gestione della casa, stirando o riordinando, attività che darebbero diritto ad un compenso di 15 euro all’ora.
FONTE: https://www.wallstreetitalia.com/famiglie-il-vero-welfare-sono-i-nonni-una-stima-del-loro-compenso/
BELPAESE DA SALVARE
Voci dal sottosuolo
VACCINI: Reazioni avverse dal Belgio. Sindrome di Stevens-Johnson e CANCRO FULMINANTE con amputazione gamba!
Di seguito riportiamo due importantissime e inquietanti reazioni avverse ai vaccini dal Belgio.
Belgio. Bambina di 4 mesi a seguito del vaccino “infanrix hexa” (esavalente) ed “prevenar 13” (contro la meningite) sviluppa la sindrome di Stevens-Johnson che inizialmente dà sintomi simili a quelli dell’influenza e successivamente scatena dolorose e visibilissime eruzioni cutanee.
Facendo una banalissima ricerca, su un qualsiasi motore di ricerca, della “sindrome di Stevens-Johnson” viene riportato apertamente che trattasi di reazione avversa a farmaci o vaccini.
Un’altra testimonianza di un’altra madre su facebook:
“Mia figlia si è trovata con un cancro fulminante al femore a seguito di un vaccino alla coscia che è rimasta gonfia e rossa. Dopo due mesi è stata amputata la gamba.
Inizialmente non abbiamo collegato il cancro al vaccino. Finché un’infermiera ci ha chiesto se avessimo fatto un vaccino poco prima.
(L’originale qui:
http://initiativecitoyenne.be/2017/10/l-horreur-des-deputes-francais-votent-l-obligation-vaccinale-sans-rien-savoir-des-consequences-penales-qui-vont-avec.html
“Togliere i figli agli etero omofobi”:
Dario Accolla chi è?
Sessualizzazione dell’infanzia e direttive OMS: il caso del Friuli e il compito dei genitori
di Lucia Comelli
Ho letto con molto interesse l’articolo che questo Blog ha dedicato l’altro ieri alla sessualizzazione dell’infanzia come prossima tappa della rivoluzione sessuale[1]: i suoi fautori spacciano l’educazione sessuale precoce dichiarando l’intentodi evitare gravidanze indesiderate, prevenire gli abusi e fermare le malattie sessualmente trasmissibili, in realtà mirano ad influenzare le abitudini e gli affetti dei bambini, le loro azioni e i loro atteggiamenti, rendendo gradualmente concepibile nella nostra società la liberalizzazione dei rapporti sessuali tra adulti e minori, anche bambini.
Quello che non emerge dall’articolo è che la sessualizzazione dei bambini viene promossa attivamente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dalle istituzioni europee collegate: vi basti leggere il documento “Standard for Sexual Education in Europe”. Concepito dalla sezione europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, esso fornisce le linee guida dell’educazione sessuale dei bambini (a partire dalla prima infanzia) di 53 Paesi, tra europei e zone limitrofe. Il documento dell’Oms – composto di 65 verbosissime pagine – si apre chiarendo che il compito di condurre i bambini e i ragazzi alla scoperta delle loro facoltà sessuali ricade prima di tutto sulla scuola, sugli psicologi, psicoterapeuti e sessuologi e non sui genitori che “non sono all’altezza del compito”, anche perché spesso “si imbarazzano ad affrontare l’argomento”.
Ma anche gli insegnanti non sono considerati un elemento positivo al riguardo, come evidenziano i corsi di educazione sessuale organizzati nelle scuole italiane che si ispirano ai suddetti Standard.
Il Corso di prevenzione delle gravidanze indesiderate e delle infezioni sessualmente trasmesse tra gli adolescenti delle classi prime o seconde delle scuole secondarie della provincia di Udine[2],di cui mi sono interessata, ad esempio, non prevede – durante gli interventi degli operatori – la presenza dell’insegnante in classe[3], giudicata negativamente come un elemento di disturbo.
Questa indicazione esclude a priori che – in un percorso di educazione all’affettività – la letteratura, la filosofia, le scienze e le altre discipline, così come la professionalità e l’umanità dei docenti possano contribuire positivamente a quell’Integrazione dei diversi aspetti – somatici, emozionali, intellettivi e sociali – dell’esistere sessuale, in cui consiste – almeno a parole – secondo l’OMS, la salute sessuale.
Gli studenti non possono quindi confrontarsi con i propri docenti sulle affermazioni – che magari li hanno turbati – degli esperti esterni; oltretutto la richiesta esplicita agli insegnanti, presente nel progetto, di abbandonare l’aula costituisce un illecito, in quanto la presenza di un esperto esterno per progetti svolti in orario curricolare non esonera il personale docente dalla diretta responsabilità sulla vigilanza degli alunni e sul controllo delle complessive condizioni ambientali nelle quali viene effettuata quella determinata attività[4].
Un altro elemento critico di tali corsi (così come dei corsi contro l’omofobia, ispirati – almeno nella mia regione – alla teoria gender[5]), è l’informazione spesso carente, se non inesistente, sul loro contenuto fornita alle famiglie: una mancanza che contrasta con la descrizione, alquanto particolareggiata, fornita dalla scuola per altre iniziative – come le uscite didattiche. Il consenso richiesto per legge ai genitori degli allievi coinvolti può considerarsi informato se non viene fornito alle famiglie, assieme al relativo modulo, la possibilità di prendere visione del progetto e dei test somministrati durante il corso[6]? I genitori sono consapevoli del fatto che uno degli obiettivi dichiarati di questo, come di altri consimili progetti, è quello di stabilire un contatto diretto tra i loro giovanissimi figli e i consultori presenti sul territorio, e quindi un accesso autonomo alla contraccezione e allo stesso aborto[7]?
Quanto ai contenuti proposti, se l’intenzione dichiarata del progetto (e di altri consimili) è quella di stimolare gli adolescenti a far proprie le diverse dimensioni, corporea, affettiva, cognitiva e sociale, che devono integrarsi per raggiungere una vita sessuale soddisfacente, (p. 4) -leggendo con attenzione – presentazione e test (vedi sotto)[8], si capisce che l’intervento degli esperti è di tipo informativo (non educativo) e riguarda sostanzialmente la sfera sessuale cioè la prevenzione delle malattie infettive (in primis HIV), la contraccezione e, se serve, il ricorso all’aborto. Come si evince dalle domande del test somministrato agli allievi prima e dopo l’intervento, gli incontri si incentrano sulla trasmissione di informazioni di natura igienico-biologica, in un’ottica individualistica e non relazionale, quindi riduttiva rispetto al vissuto familiare dei ragazzi e alle stesse dichiarazioni iniziali del Corso.
TAMPONI ATTENZIONE
VISTA L’ORDINANZA Di ZAIA PRESTA MOLTA ATTENZIONE ALLA SEGUENTE PRECISAZIONE REDATTA DA UN MEDICO!!!
ATTENTI A CHI ESEGUE IL TAMPONE!
- IL TAMPONE FARINGEO È UN ATTO MEDICO;
- IL TAMPONE NASALE È UN ATTO MEDICO-SPECIALISTICO;
- DEVE ESSERE IL MEDICO E LO SPECIALISTA CHE COME ATTO MEDICO E TERAPEUTICO NE DECIDONO LA ESECUZIONE;
- DEVE ESSERE IL MEDICO E LO SPECIALISTA CHE CONSIDERATO IL RAGIONAMENTO CLINICO DELLA PERSONA, DECIDE DI EFFETTUARE L’ESAME;
- GLI ESAMI DEVONO ESSERE PRESCRITTI DAL MEDICO E NON DA ALTRE PERSONE!!!
- I TAMPONI ESEGUITI ATTUALMENTE DEVONO ESSERE ESEGUITI SOLO DA PERSONALE MEDICO SPECIALIZZATO IN OTORINOLARINGOIATRIA QUALSIASI ALTRA PERSONA CHE LO ESEGUE COMPIE IL REATO PENALE DI ESERCIZIO ABUSIVO DELLA PROFESSIONE MEDICA (Art. 348 C.P.);
- TUTTI I TAMPONI ESEGUITI NON NON POSSONO ESSERE CONSIDERATI VALIDI SE ESEGUITI DA PERSONALE NON MEDICO SPECIALISTA IN OTORINOLARINGOIATRIA;
- CHIUNQUE ABBIA DATO L’AUTORIZZAZIONE È COMPARTECIPE DI ESERCIZIO ABUSIVO DELLA PROFESSIONE MEDICA. SIA LA PERSONA CHE ESEGUE IL TAMPONE, SIA SIA CHI HA DATO L’AUTORIZZAZIONE, SONO PERSEGUIBILI PENALMENTE SE NON MEDICI SPECIALISTI IN OTORINOLARINGOIATRIA (Art.348 Codice Penale)
PRECISAZIONE NECESSARIA PER IMPEDIRE ABUSI SULLE PERSONE
DOTT. ALBERTO MOSCHINI
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/voci-dal-sottosuolo/
Falsi ricoveri terapia intensiva,scoperta truffa da 10,5 mln
Indagine Guardia di finanza in clinica Catanzaro, sequestro beni
1 ottobre 2020 – ANSA CATANZARO
Oltre 10 milioni di euro di rimborsi dal Servizio sanitario regionale percepiti illecitamente tra il 2013 ed il 2019 anche a fronte di oltre mille falsi ricoveri in terapia intensiva coronarica. E’ la presunta truffa scoperta dai finanzieri del Comando provinciale di Catanzaro che stamani hanno notificato la misura del divieto per 12 mesi di esercitare attività professionali o imprenditoriali a Rosanna Frontera, di 56 anni, e Giuseppe Failla, di 65, rispettivamente legale rappresentante e direttore generale della clinica Villa Sant’Anna di Catanzaro, nota struttura sanitaria nonché centro di riferimento regionale di alta specialità per il trattamento e la cura delle malattie cardiovascolari. I due sono indagati per truffa aggravata e continuata ai danni del servizio sanitario e frode nelle pubbliche forniture. I finanzieri hanno anche sequestrato beni per 10,5 milioni di euro a carico della clinica, degli stessi Frontera e Failla e del direttore sanitario pro tempore Gaetano Muleo, di 75 anni, in carica dal 2010 e fino ad agosto 2019.
L’indagine è partita ad inizio 2019 ed è stata condotta dai finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria con il coordinamento del procuratore aggiunto Giancarlo Novelli e dei pm Vito Valerio e Chiara Bonfadini e la direzione del procuratore Nicola Gratteri. Secondo le indagini, la truffa ruotava attorno al reparto di unità terapia intensiva coronarica (Utic), ufficialmente operante nella clinica ma che in realtà, secondo l’accusa, non è mai entrato in funzione. Sin dal 2013, infatti, la casa di cura era accreditata con il Servizio sanitario alla gestione di posti-letto Utic, destinati al trattamento delle patologie cardiache acute. Dalle indagini, secondo la Procura, è emerso “inequivocabilmente”, invece, che il reparto non era mai stato concretamente avviato, risultando privo di attrezzature conformi agli standard e del personale medico e paramedico adeguatamente preparato e in numero idoneo a garantire turnazione e assistenza “h24”. I pazienti cardiologici acuti venivano assistiti nei reparti di cardiologia o di unità terapia intensiva post-operatoria, mentre i posti letto ufficialmente destinati al reparto Utic ospitavano ricoveri ordinari.
Grazie a questo sistema, secondo l’accusa, la casa di cura è riuscita a ottenere tra il 2013 e il 2019 dal Servizio sanitario regionale un illecito profitto di 10,5 milioni di euro e sul totale di tali somme, il gip Gaia
Sorrentino ha disposto la misura del sequestro preventivo ai fini della confisca. Nei confronti degli indagati viene ipotizzato anche il reato di violenza o minaccia per costringere taluno a commettere un reato perché, una volta appreso dell’esistenza dell’indagine, avrebbero minacciato alcuni medici di conseguenze sul piano lavorativo e personale nel caso in cui non avessero ritrattato o quantomeno rimodulato le dichiarazioni rilasciate ai finanzieri sul mancato funzionamento del reparto Utic. Le indagini proseguono per accertare l’eventuale coinvolgimento di altri dipendenti della clinica e delle strutture pubbliche (es. Asp di Catanzaro e regione Calabria), deputate alla gestione e alla verifica dei requisiti necessari per l’accreditamento.
FONTE: https://www.ansa.it/calabria/notizie/2020/10/01/falsi-ricoveri-terapia-intensivascoperta-truffa-da-105-mln_a856bd48-49f7-4d3f-974f-333e22dbff10.html
CONFLITTI GEOPOLITICI
Le operazioni italiane nei mari infestati dai pirati
Il Golfo di Guinea appare a molti come un luogo lontano, tendenzialmente fuori dagli interessi nazionali italiani e di molte nazioni europee, in particolare di quelle che si affacciano sul Mediterraneo. Ma la realtà muta velocemente in questi tempi e cambia soprattutto con il cambiamento dei trasporti, del commercio e della localizzazione delle risorse. Così non deve sorprendere che l’Italia guardi al Golfo di Guinea come un luogo non più così periferico rispetto alle strategie nazionali, considerandolo come una sorta di appendice di quel Mediterraneo allargato che è da tempo il pilastro della politica estera italiana.
Le ultime notizie, in tal senso, arrivano dall’esercitazione avvenuta nella acque del Golfo africano e a cui ha preso parte la fregata Martinengo. Una manovra congiunta con la nave della Marina americana Uss Hershel “Woody” Williams e due pattugliatori della marina della Costa d’Avorio. Un addestramento che solo a una prima lettura potrebbe apparire superfluo, ma che in realtà nasconde una strategia molto profonda da parte della Marina che entra in uno scenario particolarmente importanti per i flussi commerciali, per le aziende italiane che operano nell’area e in generale per la tutela delle rotte dalla pirateria. Non a caso, come spiega la Marina stessa, l’addestramento prevedeva uno scenario in cui il pattugliatore ivoriano Sekongo interpretava un mercantile “piratato” e poi una nave che effettuava uno sversamento illecito di idrocarburi. Questi due elementi sono considerati essenziali della nostra strategia a ovest dell’Africa: difesa dagli attacchi della pirateria locale e protezione del mercato degli idrocarburi.
Il tema è centrale ma molto spesso sottovalutato. A confermarne l’importanza è stato lo stesso capo di Stato Maggiore della Marina, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, che intervistato da Repubblica ha ricordato come “nel Golfo di Guinea ci sono stati in due anni 192 attacchi con 121 marinai presi in ostaggio per chiedere riscatto”. Navi francesi, ma anche americane, spagnole e portoghesi monitorano da tempo le rotte dell’occidente africano per cercare di tutelare i traffici marittimi, di gas e petrolio che giungono fino all’Europa o puntano verso l’altra sponda dell’Atlantico. Ed è un tema che adesso diventa sempre più importante per un’Italia impegnata lì non solo con Eni, ma anche con molte aziende nazionali di diversi settori. Se a questo si aggiunge il traffico delle super-navi cargo che preferiscono la circumnavigazione dell’Africa a Suez per entrare nel Mediterraneo (e arrivare poi anche Italia) risulta evidente il perché di una missione in un settore solo fisicamente distante da Roma, ma non strategicamente.
“Per adesso la pirateria è ancora litoranea: restano nascosti nelle foreste e nei fiumi lungo la costa e si spingono fino a 60 miglia. Colpiscono mercantili in movimento lento o alla fonda, senza rubare il carico o sequestrarli: prendono quello che possono portare via e rapiscono uomini dell’equipaggio. Senza il nostro intervento tenderanno a ingrandirsi e farsi più aggressivi” spiega l’ammiraglio Cavo Dragone. Ed è una missione che ricorda molto da vicino quanto già avvenuto al largo della Somalia dove le marine di moltissime nazioni (tra cui quella italiana) hanno operato contro la pirateria cercando di limitare attacchi che stavano mettendo a dura prova il commercio mondiale. La rotta che collega il Mediterraneo al Golfo Persico e all’Oceano Indiano è una delle più importanti al mondo. Ed è chiaro che nell’ambito della tutela della libertà di navigazione queste operazioni servono anche a imporre la propria presenza, impostando rapporti non solo tra le potenze ma anche nei confronti degli Stati rivieraschi. Oltre al controllo – inevitabile – dei partner e degli avversari. Il controllo di rotte, stretti e di basi commerciali e di risorse, è del resto essenziale non solo nei confronti del proprio Paese, ma anche per monitorare gli altri. Lo conferma la presenza militare a Gibuti e lo certifica, adesso, l’occhio che si posa sulla Guinea. E su cui l’Italia non può cedere spazi.
FONTE: https://it.insideover.com/politica/guinea-italia-marina-militare.html
Viganò: l’Anticristo odia Trump e ama Bergoglio e la Cina
Ormai libero dal mio incarico ufficiale, l’ispirazione confidatami da Papa Benedetto mi permette di rivolgermi al presidente Trump con la massima libertà, evidenziando quale sia il suo ruolo nel contesto nazionale e internazionale, e quanto la sua missione sia decisiva nello scontro epocale che va delineandosi in questi mesi. La Santa Sede appare oggi assalita da forze nemiche. Io parlo come vescovo, come successore degli apostoli. Il silenzio dei pastori è assordante e sconvolgente. Alcuni addirittura preferiscono appoggiare il Nuovo Ordine Mondiale allineandosi alle posizioni di Bergoglio e del cardinale Parolin che, frequentatore del Bilderberg Club, si è servilmente sottomesso ai suoi diktat, alla stregua di tanti esponenti politici e dei media mainstream. Sono persuaso che quanto ho denunciato nella mia lettera aperta al presidente Trump dello scorso giugno sia ancora valido e possa costituire una chiave di lettura per comprendere gli eventi che stiamo vivendo. La spaccatura in seno all’episcopato americano è il risultato di un’azione ideologica condotta sin dagli anni Sessanta specialmente dalle università cattoliche – e dai gesuiti in particolare – nella formazione di intere generazioni di giovani.
L’indottrinamento progressista (sul fronte politico) e modernista (sul fronte religioso) ha creato un supporto ideologico al Sessantotto iniziato con il Concilio Vaticano II, come peraltro ha confermato Benedetto XVI nel suo saggio “Principi di teologia cattolica”: «L’adesione ad un marxismo anarchico ed utopistico (…) è stata sostenuta in prima linea da tanti cappellani universitari e di associazioni giovanili, i quali vi vedevano lo sbocciare delle speranze cristiane. Il fatto dominante si trova negli avvenimenti del Maggio 1968 in Francia. Sulle barricate v’erano dominicani e gesuiti. L’intercomunione realizzata durante una Messa ecumenica in sostegno alle barricate fu ritenuta una specie di pietra miliare nella storia della salvezza, una sorta di rivelazione che inaugurava una nuova era del cristianesimo». Questa spaccatura negli Stati Uniti, divenuta oggi ancor più evidente nell’imminenza delle elezioni presidenziali, è diffusa anche in Europa e in Italia: i vertici della Chiesa hanno voluto compiere una scelta radicale – e a mio parere sciagurata – preferendo accodarsi al pensiero mainstream dell’ambientalismo, dell’immigrazionismo, dell’ideologia Lgbt piuttosto di ergersi coraggiosamente contro di esso e proclamare fedelmente la Verità salvifica annunciata da Nostro Signore.
Una scelta che ha subito un balzo in avanti a partire dal 2013, con l’elezione di Jorge Mario Bergoglio, ma che rimonta ad almeno sessant’anni fa. È significativo che anche allora i gesuiti – e tutta l’intelligencija cattolica di sinistra – guardassero alla Cina di Mao come ad un interlocutore privilegiato, quasi un propulsore delle istanze di presunto rinnovamento sociale, esattamente come oggi “La Civiltà Cattolica” di Spadaro guarda alla Cina di Xi Jinping. I gesuiti, che hanno appoggiato la guerriglia in America Latina e che nel Maggio francese erano sulle barricate, oggi usano i social con rivendicazioni analoghe, sempre con lo sguardo rivolto a Pechino e con lo stesso livore nei riguardi dell’America. Accusare Trump di non essere cristiano per il solo fatto di voler proteggere i confini della nazione; evocare lo spettro del sovranismo come una sciagura, mentre viene favorita la tratta degli esseri umani; tacere dinanzi alla persecuzione dei cristiani in Cina ed altrove, o alle migliaia di profanazioni di chiese che avvengono da mesi in tutto il mondo: tutto questo non è divisivo?
Padre James Martin è il portabandiera dell’ideologia Lgbt e nonostante questo – anzi, in virtù di questo – è stato nominato da Bergoglio come Consultore della Segreteria per le Comunicazioni della Santa Sede. La sua opera – questa sì, veramente “divisiva” nel senso peggiore del termine – serve a rinsaldare, all’interno del corpo ecclesiale, una quinta colonna dell’agenda progressista, in modo da creare una spaccatura ideologica e dottrinale in seno alla Chiesa e far credere che le istanze del progressismo, ivi compresa la cosiddetta omoeresia, vengano dalla base. Mi si permetta di ricordare le parole dell’arcivescovo americano monsignor Fulton J. Sheen (1895-1979): «Il rifiuto di prendere posizione sui grandi problemi morali è di per sé una decisione. Esso rappresenta un tacito assenso al male. La tragedia del nostro tempo è che coloro che credono nella virtù mancano di fuoco e di convinzione, mentre coloro che credono nel vizio sono pieni di appassionata convinzione». Impariamo a separare chi è con Cristo da chi è contro di Lui, visto che non è possibile servire due padroni.
L’espressione “Deep Church” rende bene l’idea di quello che avviene parallelamente a livello politico e a livello ecclesiale. La strategia è la medesima, come identici sono gli scopi e, in ultima analisi, la mens che vi sta dietro. In questo senso la “Deep Church” è per la Chiesa ciò che il “Deep State” è per lo Stato: un corpo estraneo, illegale, eversivo e privo di qualsiasi legittimazione democratica che usa l’istituzione in cui si è incistato per ottenere scopi diametralmente opposti a quelli dell’istituzione stessa. Ne è un esempio John Podesta, “cattolico” liberale, democratico, già collaboratore di Bill e Hillary Clinton, e collegato al Centre for American Progress di John Halpin. In una mail dell’11 febbraio 2012, Sandy Newman scrive a Podesta chiedendogli indicazioni per «piantare i semi di una rivoluzione» nella Chiesa in materia di contraccezione, aborto e parità di genere. Podesta risponde confermando che per ottenere questa «primavera della Chiesa» (si noti l’assonanza con la“primavera conciliare”) erano stati creati la Catholics in Alliance for the Common Good e Catholics United. Queste associazioni ultra-progressiste sono state finanziate da George Soros, come le fondazioni dei gesuiti e il viaggio apostolico di Bergoglio negli Usa nel 2015.
Va inoltre ricordata la congiura della Mafia di San Gallo, volta a spodestare Benedetto XVI, di concerto con Obama e la Clinton che consideravano Joseph Ratzinger un ostacolo alla diffusione dell’agenda mondialista. Come giudico l’operato di Trump? Mi limito ad osservare quello che ha fatto Trump negli anni del suo mandato presidenziale. Ha difeso la vita del nascituro, tagliando i fondi alla multinazionale dell’aborto Planned Parentood e, proprio in questi giorni, emanando un provvedimento che impone cure immediate ai neonati non uccisi dall’aborto: fino ad oggi erano lasciati morire o usati per espiantare loro organi destinati alla vendita. Trump sta combattendo la pedofilia e il pedosatanismo. Non ha aperto nuovi fronti di guerra e ha ridotto drasticamente quelli esistenti, stipulando accordi di pace. Ha ridato a Dio il diritto di cittadinanza, dopo che Obama aveva addirittura cancellato il Natale e imposto misure che ripugnano all’animo religioso degli americani. E osservo anche la guerra mediatica mossa dalla stampa e dai centri di potere nei riguardi del presidente: è stato demonizzato sin dal 2016, nonostante egli abbia democraticamente ottenuto la maggioranza dei suffragi.
Si comprende bene che l’odio verso Trump – non dissimile da quanto avviene in Italia nei confronti di ben più morbidi esponenti dell’opposizione – trova la propria motivazione nella consapevolezza del suo ruolo fondamentale nella lotta al Deep State e a tutte le sue ramificazioni interne ed estere. La coraggiosa denuncia del comunismo – di cui gli Antifa e i Black Lives Matter sono la versione global e la dittatura cinese l’incubatore – viene in qualche modo a sanare il silenzio della Chiesa, che nonostante gli accorati appelli della Vergine Maria a Fatima e a La Salette ha preferito non rinnovare la condanna di questa ideologia infernale. E se monsignor Sanchez Sorondo può impunemente affermare contro ogni evidenza che «la Cina è lamigliore realizzatrice della dottrina sociale della Chiesa», c’è da rallegrarsi per le parole del presidente degli Stati Uniti e per quelle non meno coraggiose del suo Segretario di Stato, Pompeo.
Bergoglio non ha voluto incontrarlo? Siamo ormai giunti al paradosso, al ridicolo. Certi atteggiamenti sembrano più confacenti ai capricci di uno scolaro indisciplinato che non alla prudenza e al protocollo diplomatico. Pompeo denuncia la violazione dei diritti umani in Cina e da Santa Marta arriva la piccata risposta: “E io non gioco più”. Sono comportamenti indegni, dei quali iniziano a provare malcelata vergogna anche gli stessi membri del cerchio magico di Bergoglio. Il quale non solo non riceve il Segretario di Stato per non sentirsi dire “ore rotundo” che l’America non rimarrà a guardare mentre la Chiesa si consegna nelle mani di una feroce dittatura, ma non risponde nemmeno alla richiesta del cardinal Zen di esser ricevuto in udienza, confermando la precisa volontà del Vaticano di rinnovare la sua sottomissione al Partito Comunista Cinese. Se Trump perde le elezioni presidenziali, verrà meno l’ultimo kathèkon (2Tes 2, 6-7), ossia ciò che impedisce al “mistero dell’iniquità” di manifestarsi, e la dittatura del Nuovo Ordine Mondiale avrà nel nuovo presidente americano un alleato, dopo aver già conquistato alla propria causa Bergoglio.
Joe Biden non ha una consistenza propria: egli è solo l’espressione di un potere che non osa mostrarsi per quello che è, e che si nasconde dietro un personaggio totalmente inadeguato alla carica di presidente degli Stati Uniti, anche per le sue degradate condizioni di salute mentale; ma è proprio nella sua debolezza per le denunce pendenti, nella sua ricattabilità per i conflitti di interessi, che Biden si mostra come una marionetta manovrata dall’élite, un fantoccio nelle mani di persone assetate di potere e disposte a tutto per espanderlo. Ci troveremmo dinanzi a una dittatura orwelliana voluta dal “Deep State” e dalla “Deep Church”, in cui i diritti che oggi consideriamo fondamentali e inalienabili verrebbero conculcati, con la complicità dei media mainstream. Voglio evidenziare che la religione universale auspicata dalle Nazioni Unite e dalla massoneria trova nei vertici della Chiesa Cattolica attivi collaboratori che ne usurpano l’autorità e ne adulterano il magistero. Al Corpo Mistico di Cristo, posto come unica arca di salvezza per l’umanità, si sta opponendo “il corpo mistico dell’Anticristo”, secondo la profezia del venerabile arcivescovo Fulton Sheen.
Ecumenismo, ambientalismo malthusiano, pansessualismo, immigrazionismo sono i nuovi dogmi di questa religione universale, i cui ministri preparano l’avvento dell’Anticristo prima dell’ultima persecuzione e della vittoria definitiva di Nostro Signore. Ma come la resurrezione gloriosa del Salvatore è stata preceduta dalla sua passione e morte, così la Chiesa si avvia verso il proprio Calvario; e come il Sinedrio pensava di aver eliminato il Messia crocifiggendolo, così la setta infame crede che l’eclissi della Chiesa preluda alla sua fine. Rimane un “piccolo resto”, fatto di cattolici ferventi, proprio come ai piedi della croce restavano la madre di Dio, San Giovanni e la Maddalena. Noi sappiamo che i destini del mondo non sono nelle mani dell’uomo, e che il Signore ha promesso di non abbandonare la Sua Chiesa: «Le potenze dell’inferno non prevarranno» (Mt 16, 18). Le parole di Cristo sono la roccia della nostra speranza: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).
(Carlo Maria Viganò, dichiarazioni rilasciate a Francesco Boezi per l’intervista “Una voce fa tremare la Chiesa: in gioco i destini del mondo”, pubblicata dal “Giornale” il 1° ottobre 2020. Monsignor Viganò, espressione della Chiesa più tradizionalista, è stato nunzio apostolico negli Stati Uniti, nominato da Papa Ratzinger).
FONTE: https://www.libreidee.org/2020/10/vigano-lanticristo-odia-trump-e-ama-bergoglio-e-la-cina/
CULTURA
CINQUE SAGGI DA LEGGERE SU NATURA, ECOLOGIA E FILOSOFIA
No, non la solita lista di tirate ambientaliste per evitare la fine, l’apocalisse, il disastro ambientale. Proponiamo cinque bei saggi, tutti di grande spessore teorico, per vederci un po’ più chiaro in questi tempi di crisi, decidere di cambiare, se stessi, gli altri, il mondo.
Aldo Leopold, «Pensare come una montagna. A Sand County Almanac»
Leopold è tra i padri del conservatorismo americano. Fu professore e insieme guardia forestale. Scrisse questo libro, che è un capolavoro, lungo il corso di una vita; libro nel quale sono alternate riflessioni filosofiche sulla bellezza della wilderness, della natura selvaggia, a brevi saggi naturalistici. Il più rilevanti di tutti è quello che dà anche il nome all’edizione italiana, pubblicata grazie allo splendido lavoro di PianoB edizioni, Pensare come una montagna (acquista), nel quale Leopold invita il lettore a disincarnarsi dalla propria prospettiva per potersi innalzare a quella di un massiccio montuoso, con i suoi tempi lunghissimi, i suoi equilibri invisibili ma concreti, il brulicare di forme di vita che ne popolano le pendici. Il saggio di Leopold, una via di mezzo tra memoir e resoconto scientifico, ha inaugurato la grande tradizione filosofica dell’etica ambientale, che in Italia si studia poco, ma altrove è una disciplina affermatasi già da anni. Ma il valore dell’opera di Leopold non è solo l’aver contribuito ad accendere la consapevolezza per l’equilibrio ecologico, per l’importanza della salvaguardia della natura; il suo valore sta soprattutto nel fare della natura un oggetto di contemplazione estetica. La natura è bella, e la bellezza detta legge: ciò che è bello non può essere sfregiato, distrutto, rovinato, come è orripilante immaginare la Nike di Samotracia possa venir sfregiata, distrutta, rovinata. Esercitare l’occhio a questa modalità del contemplare, a questa bellezza vicina ma nascosta, trasformando ad un tempo se stessi, il proprio agire, la propria vita: ecco cosa Leopold ci ha indicato.
Maurice Merleau-Ponty, «La Natura»
Sono le lezioni tenute dal grande filosofo francese Maurice Merleau-Ponty al Collège de France negli ultimi anni ’50 del secolo scorso. In esse Merleau-Ponty abbozza una nuova definizione della nozione di “Natura”, ripercorrendone ad un tempo l’origine e la storia. Quello di Natura (acquista) è un concetto che si sviluppa a partire dalla Modernità, con Cartesio, il quale, attraverso la cesura metafisica che separa mente e corpo, res cogitans e res extensa, fa della natura un meccanismo estraneo all’uomo, un tutto materiale inesauribile, sfruttabile, violentabile. A questa concezione, che lentamente oggi sta mostrando tutte le sue debolezze, Merleau-Ponty ne propone una alternativa, elaborata a partire dal confronto con la grande stagione romantica della Naturphilosophie, con Goethe e soprattutto Schelling; una natura considerata come quel pre, quel passato mai scalzabile che sopravanza ogni formazione organica, animale, umana, e che dunque ci vincola ad un residuo, per l’appunto, naturale, terreno, materiale. Noi, in fondo, siamo parte della natura – ma come? In un rapporto di lateralità, scrive Merleau-Ponty, o meglio, in un rapporto chiasmico, di incrocio tra la dimensione passiva e attiva dell’agire, del peso naturale-animale sul quale si innalza, senza svincolarsi, la prassi umana. Le intuizioni di Merleau-Ponty non si fermano qui, ma rielaborano, alla luce delle più recenti acquisizioni nel campo della meccanica quantistica, una nuova idea di natura, che mette in questione e ridimensiona tutto ciò che la tradizione ci ha consegnato. Ecco dove inizia il lavoro del filosofo: pensare ciò che resta impensato nella scienza naturale; dare un nuovo volto a ciò che chiamiamo natura.
Donna Haraway, «Chthuluchene. Sopravvivere su un pianeta infetto»
Il titolo del libro è impronunciabile, ma va bene così. Geniale filosofa della scienza, innovativa pensatrice del cyborg, importante figura negli studi femministi, la Haraway tenta in questo saggio coraggioso (acquista) di pensare un mondo dopo la sua fine – o meglio, un modo dopo quella fine che ha recentemente preso il nome di Antropocene. L’Antropocene è l’era geologica nella quale l’intervento dell’uomo è diventato così massiccio e rilevante, da aver inaugurato un nuovo tempo storico. L’Antropocene è la fine del mondo, la fine del mondo, la fine di un mondo. Come pensare, allora, il mondo che deve venire, del quale l’umano non è più il centro? Con un linguaggio immaginifico, speculativo, che bagna nella fantascienza e negli studi di genere, Haraway tenta di pensarlo, il mondo, e lo fa in maniera provocatoria, ricordandoci le radici ctonie che ci collegano alla terra, della quale guardiani veri e simboli emblematici sono aracnidi, polipi, figure tentacolari, mostruose, capaci di convivere con il disagio di un mondo alterato.
Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, «La nuova alleanza: metamorfosi della scienza»
Ilya Prigogine vinse il nobel per la chimica nel 1979 per i fondamentali contributi nello studio delle cosiddette strutture dissipative, quei fenomeni – che stanno alla base della vita – nei quali il mantenimento dell’equilibrio si produce attraverso un dispendio di energia. Isabelle Stengers, che ai tempi de La nuova alleanza (acquista) era dottoranda a Bruxelles sotto la guida dello stesso Prigogine, ha scritto saggi importantissimi di filosofia della scienza, occupandosi inoltre, negli ultimi decenni, dei problemi legati alla crisi climatica. La nuova alleanza è un testo programmatico: si propone di riformare la scienza attraverso un ridimensionamento dei rapporti tra i diversi ambiti del sapere. La base di quest’operazione è indicata dai due autori in una nuova concezione della natura, la quale, dopo Bohr, Heisemberg, Schrodinger e compagnia, deve perdere quell’aura di staticità e fissismo che invece le aveva donato Newton. Il testo potrebbe essere letto insieme a quello già suggerito di Merleau-Ponty (il quale peraltro è citato ne La nuova alleanza) proprio perché, al di là dell’obbiettivo squisitamente epistemologico, permette anch’esso di elaborare un’idea di natura nuova, una natura poetica, poietica, creatrice e traboccante di vita, della quale l’uomo non è altro che un ripiegamento su se stessa, e non un atollo impegnato a combattere tra il caso e la necessità.
Jason W. Moore, «Antropocene o Capitalocene?»
Storico dell’ambiente e professore di economia politica a Binghamton, nello stato di New York, Moore è una delle voci più autorevoli per quanto riguarda la critica al concetto, oggi assai di moda, di Antropocene (acquista) . L’abbiamo già detto: l’Antropocene sarebbe quell’era geologica successiva all’Olocene, caratterizzata da un massiccio e riconoscibile intervento umano sulla terra. Secondo Moore, se la nozione geologica –stratigrafica – di Antropocene funziona ed è utile in maniera euristica (cosa, peraltro, sulla quale i geologi discordano), altrettanto non vale per la nozione che Moore definisce alla moda di Antropocene: quella invalsa negli studi di scienze sociali ed umane, quella che vede nel anthropos, l’uomo, la forza geologica capace di introdursi nella storia, alterandone i tempi lunghi dell’evoluzione ambientale. Sì, dice Moore – ma quale uomo?Non certo l’eschimese o l’indiano jivaro, ma, piuttosto, l’uomo occidentale, o, ancora meglio, il capitalista, il capitalismo: è il capitalismo che crea, sfruttandola, quella natura che l’immagine dell’Antropocene ci presenta (ancora) come separata dall’uomo. Allora bisognerà, ed è questo che tenta Moore, disfare quei fili intrecciati sotto il concetto univoco ed equivoco di Antropocene, un concetto che confonde prima ancora di rendere ragione di un fenomeno che è, primariamente, economico, legato a un determinato modo di produzione, a una determinata dinamica scambistica e non, astrattamente, all’uomo. Ecco che anche la crisi ecologica assume un aspetto nuovo: non più quello di un destino umano, troppo umano, in qualche modo inevitabile, ma il prodotto più maturo della modernità.
FONTE: https://www.frammentirivista.it/saggi-natura-ecologia-filosofia/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Francia: Più terrorismo, più silenzio
- Questo tipo di estremismo è riuscito anche a trasformare molti cittadini europei in prigionieri, persone che si nascondono nei loro Paesi, condannate a morte e costrette a vivere in case sconosciute insieme ai loro amici e familiari. E noi ci abbiamo fatto l’abitudine!
- “Questa mancanza di coraggio nel seguire le orme di Charlie ha un prezzo, stiamo perdendo la libertà di parola e una forma insidiosa di autocensura sta prendendo piede.” – Flemming Rose, Le Point, 2 settembre 2020.
- “In poche parole, la libertà di espressione è in pessime condizioni in tutto il mondo. Anche in Danimarca, in Francia e in tutto l’Occidente. Questi sono tempi difficili; le persone preferiscono l’ordine e la sicurezza alla libertà.” – Flemming Rose, Le Point, 15 agosto 2020.
Il 25 settembre, a Parigi, due persone sono state accoltellate e sono rimaste gravemente ferite all’esterno dell’ex redazione di Charlie Hebdo, in cui nel 2015 furono assassinati 12 redattori e fumettisti della rivista satirica. Nella foto: Vigili del fuoco e paramedici portano via dal sito dell’attacco una vittima ferita. (Foto di Alain Jocard/AFP via Getty Images) |
Il 25 settembre, a Parigi, due persone sono state accoltellate e sono rimaste gravemente ferite all’esterno dell’ex redazione di Charlie Hebdo, in cui nel 2015 furono assassinati dagli estremisti islamici 12 redattori e fumettisti della rivista satirica. Il sospettato dell’attentato, in custodia cautelare, è indagato per terrorismo.
Gli accusati di omicidio della strage del 2015 sono attualmente sotto processo a Parigi.
Poco prima dell’attacco a coltellate, il 22 settembre, la direttrice delle risorse umane di Charlie Hebdo, Marika Bret, non è tornata a casa. In effetti, non ha più una casa. È stata costretta a fuggire a seguito di gravi e concrete minacce di morte lanciate contro di lei dagli estremisti islamici. La donna ha deciso di rendere pubblica la propria “esfiltrazione” dal suo domicilio da parte dell’intelligence francese per allertare sulla minaccia dell’estremismo in Francia.
“Vivo sotto la protezione della polizia da cinque anni”, ha raccontato la Bret al settimanale Le Point.
“I miei agenti di sicurezza hanno ricevuto minacce specifiche e dettagliate. Avevo dieci minuti per fare le valigie e lasciare la casa. Dieci minuti per rinunciare a una parte della propria vita sono un po’ poco ed è stato molto violento. Non tornerò dove abito. Sto perdendo la mia casa per via dell’odio, quell’odio che inizia sempre con la minaccia di instillare la paura. Sappiamo come può finire.”
La Bret ha inoltre affermato che la Sinistra francese ha abbandonato la “battaglia per la laicità“.
Dall’inizio del processo agli uomini accusati di essere gli autori dell’attacco alla sede di Charlie Hebdo, nel 2015 – e soprattutto con la ripubblicazione delle vignette su Maometto – Charlie ha ricevuto minacce di ogni tipo, comprese quelle di al-Qaeda. Oggi, alla rivista satirica la sicurezza è imponente. “L’indirizzo della nostra redazione è segreto, ci sono cancelli di sicurezza ovunque, porte e finestre blindate, agenti di sicurezza armati, difficilmente riusciamo a fare entrare qualcuno”, ha dichiarato la Bret.
Attualmente, ci sono 85 poliziotti a proteggere i giornalisti di Charlie.
Marika Bret è un’altra clandestina della libertà di espressione in Francia, il Paese di Voltaire. Il primo fu un professore di filosofia, Robert Redeker. Il 17 settembre 2006, Robert Redeker si alza presto per scrivere un articolo per il Figaro sull’Europa alle prese con l’islamismo. Tre giorni dopo, era in una casa sicura e in fuga.
Lo scorso gennaio, Mila O., una sedicenne francese, ha espresso commenti offensivi sull’Islam in un video in diretta su Instagram.
“Durante la diretta streaming, un ragazzo musulmano le chiede un appuntamento che lei rifiuta di dargli dicendo di essere gay. Il giovane risponde accusandola di razzismo e definendola una ‘sporca lesbica’. In un video furioso in streaming, successivo agli insulti ricevuti, Mila replica con veemenza asserendo che ‘odia la religione'”.
E la ragazza dice tra l’altro:
“Conosci la libertà di espressione? Non ho esitato a dire quello che pensavo. Detesto la religione. Il Corano è una religione di odio. Non c’è altro che odio in esso. Questo è ciò che penso. Dico quello che penso (…) l’Islam è m*rda. (…) Non sono affatto razzista. Non si può essere razzista nei confronti di una religione. (…) Dico quello che voglio, dico quello che penso. La vostra religione è una m*rda. Il vostro Dio, gli metto un dito nel c*lo….”.
Dopo che l’indirizzo della sua scuola era stato pubblicato sui social media, Mila è stata costretta a lasciare l’istituto e a traferirsi in un’altra scuola, questa volta tenuta segreta.
Il giornalista Éric Zemmour è stato aggredito più volte sotto casa, mentre la giornalista franco-marocchina Zineb el Rhazoui si è vista pubblicare sui social l’indirizzo della sua abitazione.
Nel frattempo, a suo merito, il presidente francese Emmanuel Macron ha difeso il diritto di Charlie Hebdo alla libertà di espressione. La blasfemia, egli ha dichiarato, non è un reato”.
“La legge è chiara:[in Francia] abbiamo il diritto alla blasfemia, alla critica, alle caricature delle religioni. L’ordine repubblicano non è un ordine morale (…) ciò che è fuorilegge è incitare all’odio e attaccare la dignità.”
In un procedimento giuridico del 2007, i giudici hanno stabilito che “in Francia è possibile offendere una religione, le sue figure e i suoi simboli (…) ma, non chi la professa”.
Tuttavia, le parole coraggiose delle autorità francesi sembrano innocue, smorzate e sorde rispetto alla forza della violenza e dell’intimidazione estremista.
Il fondamentalismo islamico è già riuscito a rimpiazzare non solo migliaia di cristiani perseguitati – come Asia Bibi, costretta a fuggire in Canada dopo essere stata assolta dall’accusa di blasfemia in Pakistan. Questo tipo di estremismo è riuscito anche a trasformare molti cittadini europei in prigionieri, persone che si nascondono nei loro Paesi, condannate a morte e costrette a vivere in case sconosciute insieme ai loro amici e familiari. E noi ci abbiamo fatto l’abitudine!
Il giorno della condanna a morte iraniana contro Salman Rushdie per il suo romanzo I versi satanici, lo scrittore e sua moglie, Marianne Wiggins, furono prelevati dalla loro casa a nord di Londra, dal servizio segreto inglese, per essere portati nella prima delle oltre cinquanta “case sicure” in cui Rushdie è vissuto per i dieci anni successivi.
Il parlamentare olandese Geert Wilders – il cui nome, il prossimo sulla lista dei “bersagli”, era scritto su un foglio di carta infilzato con un pugnale nel petto di Theo Van Gogh, il regista olandese accoltellato a morte – vive in case sicure dal 2004. “Io sono in carcere”, egli dice “e loro se ne vanno in giro liberamente”.
Dieci anni fa, anche una giornalista del Seattle Weekly, Molly Norris, disegnò una caricatura di Maometto in solidarietà con gli autori minacciati di South Park. L’ultimo articolo di giornale che ha parlato di lei rilevava:
“Avrete notato che la striscia di Molly Norris non è contenuta nel numero di questa settimana Questo perché Molly non esiste più (…) su consiglio degli specialisti della sicurezza dell’FBI, lei si trasferirà e cambierà nome…”.
Il quotidiano danese Jyllands Posten, che nel 2005 pubblicò per primo le vignette su Maometto, ha rinunciato. Il giornale ha deciso di non ripubblicare le caricature del Profeta dell’Islam quando Charlie Hebdo le ha riproposte in prima pagina. Flemming Rose, il responsabile della cultura del Jyllands Posten che ha pubblicato le vignette sul quotidiano, è ancora scortato da guardie del corpo. “Ammiro davvero il coraggio di Charlie“, ha dichiarato Rose.
“Eroi che non hanno ceduto alle minacce o alla violenza. Sfortunatamente, nessuna pubblicazione in Francia o in Europa si comporta come Charlie. Ecco perché credo che in Europa esista una legge – non scritta – contro la blasfemia. Non sto criticando i giornalisti e gli editori che fanno questa scelta. Non possiamo incolpare le persone che, a differenza di Charlie, non mettono in pericolo la propria vita. Ma non lasciamoci ingannare: questa mancanza di coraggio nel seguire le orme di Charlie ha un prezzo, stiamo perdendo la libertà di parola e una forma insidiosa di autocensura sta guadagnando terreno.”
Nei giorni scorsi, il nuovo direttore del Jyllands Posten, Jacob Nybroe, ha ribadito:
“Non le pubblicheremo più. Ho confermato questa linea editoriale quando sono arrivato e ho ricevuto molti applausi. Potrò sembrare un vigliacco, ma non possiamo farlo”.
I nomi dei vignettisti danesi sono apparsi sulla stessa “hit list” che al-Qaeda ha pubblicato con il nome del direttore di Charlie Hebdo, Stéphane Charbonnier, ucciso nel massacro del 2015. Il vignettista danese Kurt Westergaard è vivo solo perché durante un attacco terroristico alla sua abitazione è riuscito a nascondersi.
Oggi, la sede centrale del Jyllands Posten ha vetri antiproiettile, sbarre e lastroni metallici, filo spinato e videocamere. Si trova di fronte al porto di Aarhus, la seconda città più grande della Danimarca, ed è sorvegliata giorno e notte. Ogni porta automatica, ogni ascensore richiede un badge e un codice. Si entra come se fosse un caveau di una banca. Si apre una porta e quando si richiude si apre quella di fronte. I redattori entrano uno alla volta. “In poche parole, la libertà di espressione è in pessime condizioni in tutto il mondo. Anche in Danimarca, in Francia e in tutto l’Occidente. Questi sono tempi difficili; le persone preferiscono l’ordine e la sicurezza alla libertà”, ha dichiarato Rose.
Se tutti noi non difendiamo le nostre libertà, presto non le avremo più.
Giulio Meotti, redattore culturale del quotidiano Il Foglio, è un giornalista e scrittore italiano.
FONTE: https://it.gatestoneinstitute.org/16580/francia-terrorismo-silenzio
DIRITTI UMANI
Disabili psichici e coronavirus, emergono altre morti taciute
17 decessi, 4 riconosciuti a San Colombano al Lambro. La mancanza di strumenti di protezione e il conflitto con i sindacati nel silenzio di Ats e Prefettura
Sono 17 i decessi che da inizio marzo, secondo alcune fonti tra i dipendenti, sono stati causati dalla pandemia da coronavirus tra i 325 ospiti del Centro Sacro Cuore, una residenza sociosanitaria per disabili psichici a San Colombano al Lambro (Milano) di proprietà della Provincia lombardo-veneta dell’Ordine ospedaliero San Giovanni di Dio – Fatebenefratelli.
Di questi, 12 sono stati resi noti nei giorni scorsi dal quotidiano locale “Il Cittadino” di Lodi attraverso un articolo e una lettera al giornale. Ma solo quattro morti, tutti anziani, sono stati registrati ufficialmente come deceduti per Covid19.
Dopo il caso dell’Istituto Bassano Cremonesini di Pontevico (Brescia), dal mondo delle strutture residenziali per i disabili psichici emerge così un’altra vicenda di contagio da coronavirus Covid19 nella quale sono rimaste colpite molte persone tra le più fragili.
L’identikit del Centro Sacro Cuore…
Questa volta il focolaio ha colpito un’istituzione di un grande ordine religioso a San Colombano al Lambro, un comune di 7.400 abitanti che è l’unica exclave della città metropolitana di Milano fra le province di Lodi e di Pavia. Il Centro Sacro Cuore di Gesù è una struttura di riabilitazione psichiatrica e per disabili psichici condotta dai padri dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio – Fatebenefratelli accreditata con la Regione Lombardia e il Servizio sanitario nazionale.
Offre servizi di residenzialità psichiatrica e posti letto socio-sanitari. Fanno parte della struttura anche tre centri diurni: uno per disabili, con una capienza di 30 ospiti; il centro socio educativo con 15 ospiti e il servizio di formazione all’autonomia, che può seguire fino a 35 persone. La struttura è organizzata in padiglioni e comunità riabilitative, composte dalla comunità riabilitativa di assistenza (Cra) San Camillo e dalla Cra Padre Emilio Bassi, strutturate in quattro appartamenti ciascuna in cui risiedono cinque Ospiti ciascuno.
e dei suoi 325 ospiti
Le comunità accolgono ospiti tra i 18 e 50 anni, con sindromi schizofreniche, disturbi affettivi, disturbi di personalità e accolgono anche ospiti con misure di prescrizione giudiziarie provenienti da residenze per l’esecuzione di misure di sicurezza (Rems) per gli autori di reati affetti da disturbi mentali e socialmente pericolosi, da carceri o da case di cura e custodia.
Vi sono poi comunità protette ad alta intensità (Cpa) che dispongono di 20 posti letto ciascuna: San Vincenzo De Paoli, San Giovanni Di Dio, San Raffaele, Don Carlo Gnocchi, San Bassiano e Sant’Agostino. Accolgono ospiti con misure di prescrizione giudiziarie con disturbi dello spettro schizofrenico e gravi disturbi di personalità e dell’umore, con patologie psichiatriche gravi associate a notevoli gradi di compromissione delle autonomie personali, disturbi da dipendenza da alcool.
Vi sono anche comunità riabilitative ad alta intensità che accolgono ospiti affetti da patologie psicorganiche, ritardi mentali gravi o medi e disturbi psichiatrici. Del Centro Sacro Cuore fa poi parte la Residenza sanitaria assistenziale per disabili (Rsd) San Riccardo Pampuri che accoglie ospiti tra i 18 e i 65 anni, che presentano gravi e gravissime disabilità con notevole compromissione dell’autonomia nelle funzioni elementari e ai quali sono stati tentati inutilmente tutti gli altri interventi riabilitativi, sanitari e psico-sociali.
Per approfondire
I problemi di sicurezza sanitaria interna
Ora la situazione al Centro Sacro Cuore sta lentamente tornando alla normalità, ma, secondo numerose fonti interne alla struttura, nelle scorse settimane il focolaio ha causato alcune decine di infetti tra i pazienti, tra i quali una dozzina con gravi sintomi ricoverati negli ospedali di Sant’Angelo Lodigiano e di Lodi.
Vi sono stati poi numerosi casi di infezione tra il personale, con una cinquantina di operatori finiti contemporaneamente in malattia su alcune centinaia che lavorano nella Rsd.
Il tutto, denunciano i dipendenti, a causa di problematiche di sicurezza sul lavoro causate dal ritardo nella messa a disposizione dei dipendenti dei dispositivi di protezione individuale (mascherine, coprivesti idrorepellenti) e agli ospiti di dispositivi sanitari (termometri e quant’altro).
Alcune immagini trasmesse a Valori mostrano dipendenti del Centro Sacro Cuore che, invece delle coprivesti idrorepellenti, indossano sacchi della spazzatura condominiali trasparenti e invece di mascherine FFp dispongono di coperture inidonee a prevenire i contagi in ambienti infetti.
I timori per le famiglie dei dipendenti
Quando le voci su quello che accadeva dentro il Centro Sacro Cuore si sono sparse sui social network e in paese (e il decesso per coronavirus di un operatore sanitario del Centro andato in pensione solo il primo marzo), hanno causato inquietudine e timori per la sicurezza sanitaria delle decine di famiglie dei dipendenti. Alcuni consiglieri comunali di opposizione di San Colombano al Lambro il 18 aprile hanno chiesto per iscritto informazioni sulla situazione del Sacro Cuore al direttore sanitario della struttura.
…e le domande inevase della comunità locale
Le loro domande il 22 aprile hanno ottenuto come risposta un “no comment” per “motivi di privacy”, con l’aggiunta che eventuali risposte sarebbero state fornite solo “nelle sedi istituzionali”, ovvero Ats e Prefettura di Milano, competente per la presenza nel Centro di alcuni ospiti con disabilità psichiche che hanno commesso reati. La stessa richiesta è stata così avanzata dai consiglieri comunali di minoranza al sindaco di San Colombano al Lambro, che ha tempo 10 giorni per rispondere.
Riunioni di emergenza, ammortizzatori sociali e interinali
Da parte loro i vertici del Sacro Cuore, come risulta da due verbali a disposizione di Valori, il 10 e il 14 aprile hanno tenuto due riunioni per la “gestione dell’emergenza Covid19”, cercando una interfaccia con l’Ats competente in modo da poter ottenere la messa a disposizione di dispositivi di protezione individuale e uno screening degli ospiti e dei dipendenti.
Ma non basta: il Centro Sacro Cuore il 15 aprile ha concordato con i sindacati la sospensione dei rapporti di lavoro e l’utilizzo degli ammortizzatori sociali per una decina di dipendenti, cercando con alterne fortune di coprire i vuoti dell’organico causati dalla malattia di decine di dipendenti attraverso il ricorso a contratti interinali. E il 22 aprile ha concordato con i sindacati il ricorso all’anticipo dell’80% dell’indennità prevista dal Fondo integrativo salariale e la fruizione dei riposi compensativi.
La dura risposta dei sindacati
Ma non tutti i sindacati hanno accettato: in una nota ai dipendenti, la Fials-Confsal territoriale ha spiegato di ritenere «del tutto ingiustificato il ricorso agli ammortizzatori sociali, peraltro non meglio precisati» anche per «le modalità sbrigative ed autarchiche utilizzate quasi che i dipendenti fossero pacchi da collocare».
Il sindacato non ha capito «i motivi per cui un ente ecclesiastico, con finalità di assistenza e cura dei più deboli, si precipiti ad adottare queste forme di risparmio» e ha concluso che «l’assenza di motivazioni congrue e quindi legittime dimostri l’intenzione di usare questo mezzo estremo nel tentativo di incutere timore nel personale dipendente».
Fials-Confsal, che ha diffidato il Centro Sacro Cuore dal proseguire nella sua azione, ha chiesto «l’applicazione di tutte le precauzioni sanitarie del caso, compresa la predisposizione e l’effettuazione degli screaning necessari per stabilire l’entità dei contagi tra gli operatori e i pazienti ponendo gli eventuali operatori positivi sotto la tutela dell’infortunio e non degli ammortizzatori sociali e i pazienti avviati alle cure che il caso prescrive tassativamente».
L’Ordine dei Fatebenefratelli, un gigante con 400 strutture nel mondo e 22 in Italia
Il Centro Sacro Cuore è una delle oltre 400 strutture in 52 Paesi dei cinque continenti, delle quali una ventina in Italia, che fanno capo all’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio, popolarmente chiamato Ordine del Fatebenefratelli, fondato nel 1572. L’ordine, che a livello mondiale dalla casa generalizia di Roma governa 22 Province, 6 delegazioni provinciali e una delegazione generale, è un gigante dell’assistenza religiosa, spirituale e medicosanitaria agli ammalati e vede l’Italia divisa tra la Provincia Romana e quella Lombardo Veneta. Le strutture gestite nel mondo danno lavoro a oltre 45mila collaboratori e contano su 8mila volontari. In Italia le comunità sono 22. A Roma è presente la curia generalizia in via della Nocetta, dalla quale per la Provincia Romana dipendono l’ospedale San Giovanni Calibita dell’Isola Tiberina, la Farmacia Vaticana ed il Centro studi internazionali.
Ci sono poi l’Ospedale San Pietro (Roma), l’Istituto San Giovanni di Dio (Genzano), il Soggiorno San Raffaele (Alghero), l’Ospedale Sacro Cuore di Gesù (Benevento), l’Ospedale Madonna del Buon Consiglio (Napoli), l’Ospedale Buccheri La Ferla (Palermo) e l’Ospedale San Nicolò (Perugia), oltre a due centri clinici nelle Filippine. Alla Provincia Lombardo Veneta , oltre al Centro Sacro Cuore di San Colombano al Lambro, fanno capo la Residenza Sanitaria Assistenziale San Carlo Borromeo di Solbiate con Cagno, la Casa di Riposo e di Accoglienza San Pio X di Romano d’Ezzelino, l’Irccs Istituto Centro San Giovanni Di Dio Fatebenefratelli di Brescia, l’Ospedale Sacra Famiglia di Erba, il Centro Sant’Ambrogio di Cernusco sul Naviglio, l’Ospedale San Raffaele Arcangelo di Venezia, il Presidio Ospedaliero Riabilitativo Beata Vergine della Consolata di San Maurizio Canavese, la Casa di Riposo Residenza Protetta Villa San Giusto di Gorizia e la Casa di ospitalità Fatebenefratelli dei Piani d’Invrea (Varazze).
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Il Fatebenefratelli risponde
Ecco la risposta del responsabile dell’area comunicazione della Provincia Lombardo Veneta dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio (Fatebenefratelli):
«Il Centro di riabilitazione psichiatrica “Sacro Cuore” di San Colombano al Lambro è di proprietà ed è gestito dall’Ente Provincia Lombardo Veneta dei Fatebenefratelli, che rappresenta l’articolazione territoriale dell’Ordine Ospedaliero fondato da San Giovanni di Dio. Per missione ci dedichiamo ai malati e ai bisognosi coniugando l’attenzione al corpo e allo spirito nel rispetto della persona e della sua individualità, affiancando il paziente come professionisti della salute.
L’Ordine possiede e gestisce direttamente numerose strutture sociosanitarie e sanitarie nel mondo, oltre a istituti di ricerca. Tutte le strutture sanitarie della Provincia Lombardo Veneta sono convenzionate con il Sistema sanitario nazionale.
Lo stretto rapporto che ci lega ai diversi sistemi sanitari regionali in cui operiamo riflette la volontà di offrire i nostri servizi a tutti i cittadini, ci impegna a rispettare precisi standard assistenziali e normative vigenti, periodicamente verificate dagli organi competenti.
Proprio tali normative peraltro ci indicano che ogni dato di carattere sanitario attinente all’emergenza Covid-19 può essere divulgato solo da Regione Lombardia.
Non ci risultano i problemi citati. Fin dall’inizio dell’emergenza, con risorse proprie e grazie alla disponibilità dei nostri collaboratori, abbiamo adottato scrupolosamente le misure di contenimento del Covid 19 fissate dalla Regione Lombardia.
Infatti è stata disposta fin dal 21 febbraio la chiusura del Centro agli accessi esterni e istituito un’unità di crisi multidisciplinare che quotidianamente vigila sul rispetto delle indicazioni operative e sulle misure di profilassi da adottare.
È noto che esistano problemi di fornitura di tamponi, questione peraltro sollevata anche dalla Provincia Lombardo Veneta in passato. Pertanto in ordine ai decessi, rispetto ai 325 ospiti della struttura, possiamo confermare in quanto notizia già divulgata che quattro anziani sono deceduti per Covid 19.
Dobbiamo inoltre precisare che, secondo procedura, quando un ospite mostra sintomi di Covid-19 viene immediatamente isolato e disposto il suo ricovero all’ospedale più vicino, dove purtroppo, in alcuni casi, l’esito della patologia può essere infausto».
FONTE: https://valori.it/disabili-psichici-coronavirus-altre-morti-taciute/
ECONOMIA
Maddalena: il debito con l’Ue ci rende schiavi degli stranieri
Per la prima volta nella storia si assiste a una doppia tragedia di carattere universale. Da un lato la distruzione ambientale che avanza senza soste, destando enormi preoccupazioni soprattutto per lo scioglimento delle calotte polari e l’estinzione dei ghiacciai che alimentano le sorgenti di acqua potabile. Dall’altro lato l’aumento, che sembra irrefrenabile, dell’infezione da corona virus, che, secondo dati ufficiali, ha superato il milione di decessi e 33 milioni di contagi, creando più morti di Aids e malaria messi insieme, accertati nel 2019. E c’è una malattia ancora più grave, quella che Cicerone chiamava la imbecillitas mentis, cioè l’indebolimento della logica e l’indifferenza generale, al punto che il negazionismo ha raggiunto quote inimmaginabili (si pensi ai due veneziani, convinti che la terra è piatta, i quali su una barca volevano raggiungere il confine del mondo e sono stati salvati per miracolo nei pressi dell’isola di Ustica). Per quanto riguarda l’economia, c’è oscurità nelle proposte avanzate dal nostro governo, che si dibatte tra 557 proposte (tra loro scollegate) per l’utilizzo del Recovery Fund, mentre non decide, come vorrebbero il Pd e lo stesso Visco, governatore della Banca d’Italia, per l’acquisizione dei prestiti del Mes.
Nessuno ha capito che più l’Italia si indebita, più diviene schiava degli stranieri, ed è costretta a continuare a svendere le proprie fonti di produzione di ricchezza e, addirittura, l’intero territorio nazionale. L’Italia, invero, ha una sola via da percorrere, revisionare il debito attuale, che per la quasi totalità è stato messo sulle nostre spalle dalle ciniche operazioni del mercato generale, che fece schizzare i tassi d’interesse fin oltre il 30%, dopo che Andreatta, con lettera del 12 febbraio 1981, impedì alla Banca d’Italia di comprare i buoni del Tesoro rimasti invenduti. Si tenga presente in proposito che dalla speculazione, che è un fatto illecito, non possono nascere diritti di credito, e quindi detto debito pubblico, come ha già scritto Paolo Ferrero, deve ritenersi inesistente. Non bisogna poi assumere nuovi debiti di qualsiasi natura e far ricorso invece all’emissione di una moneta di Stato, la cui circolazione è limitata al territorio nazionale. Fatto questo non vietato dai Trattati e ritenuto necessario da economisti della portata di Joseph Stiglitz e James Kenneth Galbraith. Fondamentale poi è ricorrere ricostituzione del “patrimonio pubblico italiano”, facendo ricorso alle rinazionalizzazioni dei servizi pubblici essenziali, delle fonti di energia e delle situazioni di monopolio, come prescrive il più volte citato articolo 43 della nostra Costituzione.
Se l’Italia non riprende la ricchezza nazionale che le appartiene a titolo di sovranità, non uscirà mai dal ginepraio nel quale l’hanno gettata molti governanti traditori della Patria attraverso le micidiali “privatizzazioni”. E a questo punto bisogna ricordare che le delocalizzazioni e le svendite di imprese strategiche devono essere vietate dal governo con l’uso del Golden power. Per quanto ci risulta mai utilizzato. Solo ricostruendo l’Italia sul piano finanziario ed economico, riprendendoci il patrimonio pubblico, che è nella proprietà pubblica del popolo a titolo di sovranità, potremo uscire da questa impasse, piuttosto che asservirci allo straniero. Ma i nostri governanti, con a capo il ministro del Tesoro Gualtieri, e ora anche il governatore della Banca d’Italia Visco, vivono ancora in un mondo diverso, e non si rendono conto, ad esempio, che le Autostrade sono proprietà pubblica del popolo italiano e che Atlantia è soltanto gestore di questo bene. Mentre il governo ha il dovere imprescindibile, se davvero volesse agire con disciplina e onore, di utilizzare l’unica via che la legge gli impone: quello della revoca delle dette gestioni a causa delle inadempienze contrattuali del detto gestore, anche se avvenute due anni fa. Si ricorda che la prescrizione contrattuale è di 10 anni, mentre quella aquiliana è di 5 anni, secondo il vigente Codice civile.
Inappropriate sono anche le discussioni che si fanno nei confronti dell’Europa, alla quale noi non abbiamo “ceduto” la nostra sovranità, ma soltanto “limitato” il suo esercizio per perseguire, in condizioni di parità con gli altri Stati, la pace e la giustizia fra le nazioni, e non per arricchire i paesi più forti ai danni dei più deboli, come vuole il pensiero predatorio neoliberista, accolto in pieno dai manovratori dell’Europa (con qualche recente eccezione da parte della Ursula von der Leyen). Tale pensiero predatorio neoliberista ha portato addirittura la Corte Europea a dichiarare lecita la costituzione di paradisi fiscali all’interno dell’Unione, fatto che dimostra una subordinazione a detto pensiero anche da parte di detti giudici. L’Italia deve agire con dignità ed onore e deve essa scegliersi i suoi partner internazionali, escludendo, allo stato dei fatti, Olanda, Austria, Danimarca, Finlandia, Svezia e i paesi del blocco di Visegrad, e aprendo invece ai paesi a lei più vicini per tradizione e cultura, come Spagna, Grecia e Portogallo. “Quisque artifex fortunae suae”, ciascuno è artefice della propria fortuna, e mai, come in questo momento, l’Italia deve liberarsi da idee sopraffattrici imposte dagli stranieri e agire per la sua salvezza, tenendo presente che l’obiettivo ultimo da raggiungere è la “salus rei pubblicae”, la salvezza della Patria.
(Paolo Maddalena, “L’Italia più si indebita più diventa schiava degli stranieri, serve l’emissione di una moneta di Stato”, da “L’Antidiplomatico” del 28 settembre 2020. Il professor Maddalena, eminente giurista italiano, è vicepresidente emerito della Corte Costituzionale e presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”).
FONTE: https://www.libreidee.org/2020/10/maddalena-il-debito-con-lue-ci-rende-schiavi-degli-stranieri/
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
La spy-economy di Goldman Sachs
Enrico Piovesana
La più potente e discussa banca d’affari del mondo, la statunitense Goldman Sachs, voleva sfruttare le informazioni geopolitiche riservate dell’agenzia privata d’intelligence americana Stratfor per fare insider trading e speculare sui mercati valutari e dei titoli di Stato.
E’ una delle più scottanti notizie emerse da una valanga di email aziendali della Stratfor ‘hackerate’ lo scorso 26 dicembre da Anonymous e ora pubblicate da WikiLeaks: cinque milioni di messaggi di posta elettronica risalenti al periodo 2004-2011 che svelano il coinvolgimento della società texana in attività illecite di spionaggio di attivisti per conto del governo Usa e di aziende multinazionali (Dow Chemical, Lockheed Martin, Northrop Grumman, Raytheon), riciclaggio di denaro e, per l’appunto, speculazione finanziaria.
L’anno scorso, dopo due anni di incubazione, l’ex alto dirigente di Goldman Sachs, Shea Morenz, e il fondatore e presidente di Stratfor, George Friedman (figlio di ungheresi sopravvissuti all’Olocausto), hanno dato vita a un fondo d’investimento denominato StratCap. Di cosa si tratti lo spiega chiaramente, in una mail riservata dello scorso 5 settembre, lo stesso Friedman: “StratCap userà le nostre informazioni e analisi per commerciare nel campo degli strumenti geopolitici, in particolare titoli governativi, valute e simili nei mercati dei Paesi emergenti”.
Nella stessa mail (indicata come “riservata a uso interno, da non diffondere e discutere all’esterno”), Friedman spiga come il dirigente di Goldman Sachs abbia ideato il progetto StratCap investendovi appositamente oltre 2 milioni di dollari (oltre ad altri grossi finanziamenti diretti a Stratfor) e come Morenz sia entrato nel consiglio di amministrazione della stessa Stratfor. “Abbiamo già fornito consulenza ad altri hedge fund: ora, grazie a Morenz, ne abbiamo uno nostro”.
Il fondo StratCap, che sarebbe dovuto diventare operativo sui mercati finanziari nella primavera 2012, va così ad aggiungersi alla lunga lista di scandali e attività poco chiare che hanno visto coinvolta la superbanca americana per cui hanno lavorato anche Romano Prodi, Mario Draghi e Mario Monti.
FONTE: https://www.eilmensile.it/2012/02/28/la-spy-economy-di-goldman-sachs/
Finanza contro il clima. Gli attivisti alla UE: «Cacciate BlackRock»
Il gigante della finanza diventa consulente della UE su temi di sostenibilità ambientale. Ma il conflitto di interesse sul fossile è dietro l’angolo. 92 organizzazioni si mobilitano
Matteo Cvallito – 5 maggio 2020
La Commissione Europea cancelli il contratto di consulenza siglato con il colosso finanziario BlackRock sul tema dell’integrazione dei fattori sociali, ambientali e di governance (ESG) nella regolamentazione bancaria. È la richiesta avanzata in questi giorni da 92 organizzazioni della società civile del Continente, tra cui Oxfam, Greenpeace e Fondazione Finanza Etica, in una lettera indirizzata alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e ai suoi vice Valdis Dombrovskis e Frans Timmermans.
Dalla UE «una scelta sbagliata»
Nel mirino «il conflitto di interesse» che caratterizzerebbe il gigante della gestione patrimoniale: oltre 7 trilioni di dollari di asset in portafoglio alla fine dello scorso anno. Sarebbe tuttora troppo esposto sui titoli del fossile (gas e petrolio, in primis), sostengono i promotori dell’iniziativa, per risultare davvero credibile come consulente.
«Una scelta sbagliata», insomma, secondo Kenneth Haar, esponente della coalizione Change Finance e ricercatore presso Corporate Europe Observatory, che sottolinea il peso di un intreccio di interessi particolarmente profondo.
Il problema, osservano infatti gli attivisti, non riguarderebbe solo l’insieme degli investimenti nel settore oil & gas, ma anche le numerose e variegate partecipazioni di BlackRock nel comparto bancario, esposto a suo volta nel settore fossile come nel più classico dei circoli viziosi.
Una consulenza da 280 mila euro
Ma facciamo un passo indietro. Nelle scorse settimane l’Unione Europea, attraverso la Direzione Generale FISMA (il servizio della Commissione responsabile della politica dell’UE in materia di banche e finanza), ha incaricato BlackRock di produrre uno studio sui sistemi di integrazione dei fattori ESG all’interno della Vigilanza bancaria europea, per orientare le strategie di business e le politiche di investimento delle banche.
Il contratto di consulenza, da 280 mila euro, chiede a BlackRock di definire essenzialmente due cose: in primo luogo l’insieme delle pratiche necessarie a integrare i fattori ESG nell’analisi del rischio; in secondo luogo le strategie di sviluppo della finanza verde e dei prodotti finanziari sostenibili. Ed è qui, osservano i critici, che i problemi diventano palesi.
Rischio climatico e sostenibilità
Elaborando la sua Strategia sulla Finanza Sostenibile, infatti, la Commissione Europea ha sviluppato a sua volta due aspetti decisivi: la Non-Financial Reporting Directive, che impone in sostanza alle banche, alle società finanziarie e alle grandi imprese di rendere note le informazioni sul proprio impatto sul clima, e la cosiddetta Tassonomia, la classificazione, delle attività che possono essere definite “sostenibili” per l’ambiente (rispetto alla quale, poi, imprese e investitori dovranno dire quanto sono allineati).
Nel primo caso si tratta di definire l’impatto delle attività finanziarie sul cambiamento climatico e i rischi che quest’ultimo pone alle strategie di investimento. Un fondo particolarmente esposto sul settore petrolifero, ad esempio, non solo contribuisce al finanziamento di un comparto dannoso per l’ambiente, ma rischia anche di esporsi a forti perdite, in uno scenario in cui gli asset fossili si deprezzino di fronte al calo della domanda associato a politiche ambientali più severe da parte dei governi. Nel secondo caso si entra invece nel complesso delle definizioni, ovvero nella necessità di identificare quali prodotti finanziari siano autenticamente sostenibili e quali invece non lo siano.
BlackRock e la tassonomia in una relazione complicata
BlackRock, notano i critici, è stata da subito particolarmente critica nei confronti della tassonomia europea, proponendo una lettura più soft della questione. Dal punto di vista della società finanziaria, infatti, un prodotto può essere definito sostenibile quando è stato acquistato o collocato sul mercato tenendo conto dei rischi ambientali per l’investitore. Ma questa visione non considera l’impatto delle imprese sull’ambiente e sul clima. Una visione volutamente miope e parziale, che rischierebbe di contribuire all’introduzione di regole annacquate, troppo favorevoli alla finanza e incapaci in definitiva di tutelare l’ambiente e le persone.
Larry Fink scopre Greta
Il tema del rischio finanziario posto dai cambiamenti climatici non rappresenta certo una novità per BlackRock. Nel settembre dello scorso anno, l’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA), un ente di ricerca statunitense, ha stimato in circa 90 miliardi di dollari le perdite patite dal colosso finanziario nell’ultimo decennio a causa della sua esposizione sul settore fossile. Nel gennaio di quest’anno il Ceo di BlackRock Larry Fink ha inviato una lettera agli investitori per sottolineare la preoccupazione della società nei confronti del cambiamento climatico e l’impegno ad aumentare la quota di investimenti sostenibili e a disinvestire dalle aziende che traggono più del 25% dei loro ricavi dal settore del carbone.
Da BlackRock oltre $17 miliardi al carbone
Ma i dubbi sulle buone intenzioni restano. BlackRock, osservano i firmatari della lettera, è tuttora il primo investitore globale nel settore fossile con partecipazioni complessive per 87,3 miliardi di dollari nel solo comparto azionario. I suoi investimenti nei titoli delle società del carbone valgono 17,6 miliardi. E a tutto questo, ovviamente, si aggiunge il sostegno indiretto al settore.
«BlackRock è uno dei principali azionisti della maggior parte delle grandi banche europee, tra cui Santander, Deutsche Bank, BNP Paribas, ING e CréditAgricole, che investono fortemente in progetti e aziende di combustibili fossili», si legge nella missiva alla Commissione UE. «BlackRock – prosegue la lettera – ha anche una partecipazione importante in molte banche globali, tra cui una quota del 6,77% di JPMorgan, una banca nota per il finanziamento dei combustibili fossili». Esposizioni sufficientemente alte, osservano i critici, da giustificare l’allarme sull’implicito conflitto d’interesse della società.
Rettifica: una versione precedente di questo articolo indicava in circa mezzo milione di dollari l’importo del contratto di consulenza. Fonti vicine alla questione hanno successivamente precisato a Valori quanto segue: “La Commissione europea era disposta a pagare 550.000 euro per lo studio, ma l’offerta di BlackRock ammonta a soli 280.000 euro. Questo è l’importo effettivo che BlackRock riceverà dalla Commissione”.
FONTE:https://valori.it/finanza-clima-ue-blackrock/
Bce apre all’euro digitale: come funzionerà e quando partirà
2 Ottobre 2020, di Alessandra Caparello
Si affiancherebbe al contante, senza sostituirlo: parliamo dell’euro digitale, la moneta emessa dalla banca centrale europea in forma elettronica a cui tutti i cittadini e le imprese avrebbero accesso per effettuare pagamenti giornalieri in modo rapido e sicuro e tutto digitalmente. Senza più il bisogno di ricorrere al contante.
Il prossimo 12 ottobre partirà una consultazione pubblica di un rapporto che valuta pro e contro dell’adozione della moneta digitale e redatto dalla task force dell’Eurosistema. La decisione definitiva sull’introduzione di questa moneta digitale spetterà poi al Consiglio Direttivo.“L’introduzione di un euro digitale sosterrebbe la spinta dell’Europa verso la continua innovazione, contribuendo inoltre alla sua sovranità finanziaria e al rafforzamento del ruolo internazionale dell’euro (…) L’opportunità di emettere o meno la valuta digitale è per la Bce una questione rilevante e urgente, che stiamo analizzando con le banche centrali nazionali dell’area dell’euro.
Così Fabio Panetta, già direttore generale della Banca d’Italia e ora membro del Comitato esecutivo della Bce, come riporta Il Sole 24 Ore, in un blog si schiera a favore dell’introduzione della valuta digitale.
Come funzionerà l’euro digitale
Il cripto euro si affiancherebbe al contante, senza sostituirlo. Sarà complementare a quello attualmente in circolazione. L’Eurosistema continuerà a emettere contante in ogni caso.
L’euro appartiene ai cittadini europei e la nostra missione è esserne i custodi”, ha dichiarato la presidente della Bce Christine Lagarde. “I cittadini europei stanno ricorrendo sempre di più alla tecnologia digitale nei loro comportamenti di spesa, risparmio e investimento.
Il nostro ruolo è mantenere la fiducia nella moneta, assicurando anche che l’euro sia pronto ad affrontare l’era digitale. Dovremmo essere preparati all’emissione di un euro digitale qualora ce ne fosse bisogno”.
Tra i vantaggi dell’euro digitale spicca il fatto che essendo emessa da una banca (in questo caso la Bce) non dovrebbe subire le oscillazioni legate alla blockchain come invece si verifica per le criptovalute più famose, che vengono scambiate senza l’ausilio di istituti finanziari.
FONTE: https://www.wallstreetitalia.com/bce-apre-alleuro-digitale-come-funzionera-e-quando-partira/
GIUSTIZIA E NORME
Il dottor Mariano Amici ha vinto il ricorso al Tar contro l’ordinanza di Zingaretti sulla vaccinazione obbligatoria
Se l’Ufficio Tributi non interviene sono guai per i proprietari di casa
Sperando di fare cosa gradita e utile per i contribuenti coinvolti nella vicenda delle “ cartelle pazze” del Comune di Monte Argentario di cui all’articolo di Umberto Rapetto del 16.09.2020 mi permetto di fare alcune considerazioni e di dare qualche consiglio.
Molti contribuenti proprietari di immobili siti nel Comune di Monte Argentario hanno ricevuto, per posta ordinaria, due avvisi di pagamento, emessi dall’Agenzia delle Entrate Riscossione di Grosseto, richiedenti il pagamento della Tassa Rifiuti per l’anno 2020 , ognuno di identico importo e per lo stesso anno.
Una prima domanda è: gli avvisi riportano un numero identificativo diverso e quindi per l’Agenzia della Riscossione sono due debiti diversi e distinti e, allora, per non sbagliare quale dei due va pagato?
Il Comune di Monte Argentario ha comunicato sul proprio sito che deve essere pagato l’avviso riportante la dicitura “comprensivo di tributo provinciale”.
La seconda domanda è: il secondo avviso da chi e come viene annullato?
A mio parere il Comune, accortosi dell’errore, deve annullare d’ufficio il secondo avviso, comunicandolo al contribuente e all’Agenzia della Riscossione , altrimenti si corre Il rischio che tra qualche mese o anno, se nel frattempo non interviene il provvedimento di sgravio, l’Agenzia della Riscossione potrebbe richiedere il pagamento del secondo avviso con aggiunta di sanzioni e interessi.
Ultima domanda è:: se il Comune non emette lo sgravio dell’avviso errato il contribuente cosa deve fare?
In questo caso il contribuente si deve attivare o personalmente o attraverso un professionista presentando una istanza di annullamento in autotutela non all’Agenzia della Riscossione ma all’Ente impositore che nel caso specifico è il Comune di Monte Argentario richiedendo lo sgravio totale dell’avviso errato ed attendere l’esito che dovrà essere necessariamente favorevole.
Augusto Michele Bruno di Belmonte
FONTE: https://www.infosec.news/2020/09/17/un-messaggio-in-bottiglia/se-lufficio-tributi-non-interviene-sono-guai-per-i-proprietari-di-casa/
IMMIGRAZIONI
Scandalo OMS e ONG: 51 donne congolesi violentate dagli operatori umanitari
L’Organizzazione Mondiale della Sanità aprirà un’inchiesta sulle violazioni sessuali che avrebbero commesso operatori umanitari nella Repubblica Democratica del Congo. Le equipe erano impegnate nell’ambito di interventi nella lotta contro l’ebola. Cinquantuno donne hanno affermato di essere state sfruttate o di avere subito abusi sessuali da uomini, per lo più stranieri, che si erano qualificati come operatori umanitari e sanitari a Beni nel Nord-Kivu, provincia fortemente colpita dalla 10ma epidemia di ebola tra il 2018 e giugno di quest’anno.
Oltre agli operatori umanitari e sanitari dell’OMS, le donne hanno accusato anche personale dell’Agenzia per le Migrazioni (OIM), di Medici senza Frontiere (MSF), Oxfam, World Vision, ALIMA (Alliance for International Medical Action), nonchè personale del ministero della Sanità congolese.
Le violenze sarebbero state perpetrate tra il 2018 e il 2020. L’agenzia di stampa New Humanitarian e la Fondazione Reuters hanno condotto indagini per oltre un anno. E, secondo quanto riferisce Reuters, le signore avrebbero lavorato come cuoche o donne per le pulizie con contratti a termine per stipendi che variavano tra $ 50 e $ 100 mensili, corrispondenti oltre al doppio della paga normale.
In un comunicato di martedì scorso, l’OMS ha fatto sapere che tutte le persone identificate implicate nel caso, dovranno rispondere personalmente dei gravi atti commessi, delle conseguenze, compreso il licenziamento immediato. “Tradire le persone che seguiamo nelle comunità è un atto irreprensibile”, ha specificato l’OMS nel suo comunicato. È quanto riporta Africa Express.
FONTE: https://stopcensura.org/scandalo-oms-e-ong-51-donne-congolesi-violentate-dagli-operatori-umanitari/
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
L’Homo sapiens e la disoccupazione
Tra Redditi di cittadinanza, scimmie nude ed aspiranti Buddha, proviamo a ragionare sulla natura umana.
Qual è il rapporto tra l’uomo e il lavoro? Perché esiste la disoccupazione? In che modo aiutare chi il lavoro non ce l’ha? Tra Redditi di cittadinanza, scimmie nude ed aspiranti Buddha, proviamo a ragionare sulla natura umana.
VIDEO QUI: https://youtu.be/Kh_02VuUB0s
L’Homo sapiens e la disoccupazioneTulipømanie è un progetto di Educazione critica alla Finanza realizzato dalla Fondazione Finanza Etica.
FONTE: https://valori.it/homo-sapiens-disoccupazione/
PANORAMA INTERNAZIONALE
Il “gioco degli specchi”: Giuda, Bergoglio e la gerarchia ecclesiastica
Danilo Quinto – 2 ottobre 2020
Anche ai tempi di Gesù, c’era chi era molto attento al denaro. Prima di vendere Gesù ai Sommi Sacerdoti per trenta denari – la somma che a quei tempi serviva per comprare uno schiavo – come racconta il Vangelo (Gv 12, 1-8), il traditore si lamentò con il Maestro quando questi accettò, in una casa di Betània, dove si trovava anche Lazzaro, che Maria, la sorella di Marta, Gli cospargesse i piedi di olio profumato di vero nardo, molto prezioso (il suo valore era pari a quello di un salario che un operaio percepiva in un intero anno di lavoro), per poi asciugarli con i suoi capelli, con la casa che si riempì del profumo dell’unguento.
Dice San Giovanni che quel che Giuda affermò in quell’occasione («Perchè quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?»), non lo disse «perchè gli importasse dei poveri, ma perchè era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro».
Immaginiamo che fosse davvero esigua la cassa degli apostoli e che il traditore, attraverso piccoli furti quotidiani, abbia maturato la predisposizione d’animo per poi vendere Gesù ai Suoi carnefici. Constatiamo che la sua lagnanza, quindi, abbia costituito solo un atto d’ipocrisia, perchè, come scrive San Paolo (2 Cor 11,14-15), «Spesso i servitori di satana si mascherano da servitori della giustizia».
Anche Bergoglio è molto attento al denaro – in questo caso non si tratta di una piccola cassa, ma delle enormi finanze vaticane – e la comunicazione ufficiale, sia vaticana, sia “para-vaticana”, sia laica, sottolinea dall’inizio del suo mandato gli sforzi immani che egli compie per sanare le storture. Sforzi vani, considerati i risultati, soprattutto in termini di scelta dei suoi collaboratori.
Alcuni, addirittura, sottolineano che la sua elezione sia stata dovuta principalmente all’obiettivo di risanare, dal punto di vista finanziario ed economico, i metodi, le procedure e i comportamenti interni rispetto ai poteri della curia, alla necessità della sua “riforma”, com’è stato ripetutamente sbandierato. In altri termini, il “Gruppo dei chierici di San Gallo” (dal nome della località Svizzera dove ogni anno si riunivano) o altrimenti detto da mons. Ivo Fürer, l’ospite del gruppo, “Una cerchia di amici” (chierici di alto rango e riformisti, che inizialmente comprendevano – come elenca Wikipedia – Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano; Paul Verschuren, vescovo di Helsinki; Jean-Félix-Albert-Marie Vilnet, vescovo di Lilla; Johann Weber, vescovo di Graz-Seckau; Walter Kasper, vescovo di Rottenburg-Stoccarda (in seguito cardinale), e Karl Lehmann, vescovo di Magonza (in seguito cardinale), per poi inglobare il cardinale Godfried Danneels, arcivescovo di Maline-Bruxelles; Adrianus Herman van Luyn, vescovo di Rotterdam; 2001: Cormac Murphy-O’Connor, arcivescovo di Westminster (in seguito cardinale); Joseph Doré, arcivescovo di Strasburgo; Alois Kothgasser, vescovo di Innsbruck, in seguito arcivescovo di Salisburgo; Achille Silvestrini, cardinale della Curia romana, mentore dell’attuale Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte; Ljubomyr Huzar, arcivescovo maggiore di Leopoli degli Ucraini; José Policarpo, patriarca di Lisbona) o “Gruppo di San Gallo” (nome diventato pubblico dopo un capitolo completo ad esso dedicato nella biografia del cardinale Godfried Danneels, pubblicato nel 2015 dagli storici della Chiesa Karim Schelkens e Jurgen Mettepenningen) o, in alternativa, “Mafia di San Gallo” (come la chiamava il compianto mons. Livi) e “club di San Gallo” – al quale si deve l’indicazione del nome del cardinale Bergoglio per il Conclave del 2013, che avrebbe dovuto eleggere il successore di Benedetto XVI, aveva l’intento di trovare … un buon amministratore per la Chiesa.
L’obiettivo del “Gruppo”? Far fallire la Chiesa. Farla fallire non solo dal punto di vista spirituale e trascendente – ci voleva poco, in realtà, per raggiungere questo risultato, considerati il “terreno preparato” e la devastazione operata nei decenni precedenti, da molto prima del Concilio Vaticano II (anche l’ultimo papa santo, Pio XII, almeno negli ultimi 10 anni del suo pontificato, dovette fronteggiare una poderosa corrente modernista e progressista che cercava di abbattere tutte le certezze che derivano dal deposito della fede) – ma farla fallire dal punto di vista economico e, quindi, finanziario. Depredare la cassa. Svuotarla. Tant’è che in questi 7 anni, come mai in precedenza – nonostante Bergoglio e i suoi intenti, tutti lodevolissimi e così tanto decantati – hanno operato, all’interno del Vaticano, all’interno del suo “mondo economico”, come le cronache giornalistiche hanno impietosamente raccontato, personaggi di tutti i tipi. Affaristi, faccendieri, brokers, predatori finanziari. Con responsabilità interne? Forse. Questo dovranno accertarlo i giudici vaticani (che nel caso di Becciu, si pronunceranno – se si pronunceranno – dopo decisioni di estromissione già prese e questo è obiettivamente un fatto gravissimo) o quelli dei Paesi coinvolti dagli scandali che si sono susseguiti.
L’ultimo scandalo – sarà l’ultimo?, non lo crediamo – che coinvolgerebbe il cardinale Becciu e di riflesso i suoi familiari, sarà sicuramente oggetto di altri capitoli di libri di questo o quell’autore che inneggeranno all’opera di “pulizia” di Bergoglio, contrastata dai suoi nemici o di altre inchieste dell’Espresso e di Repubblica, la testata che l’ex arcivescovo di Buenos Aires – come egli stesso ha dichiarato – legge tutte le mattine.
A noi, questi scandali interessano molto poco. Anzi, per nulla. Come il Vangelo dimostra, anche ai tempi di Gesù esistevano i ladri e uno di questi – come San Giovanni afferma – faceva parte dei dodici apostoli. Gesù lo sapeva e non era certamente questo che gl’importava. Gl’interessava che l’anima del traditore non si dedicasse alle cose della Terra, che si ravvedesse, che si pentisse, che non continuasse nella sua perdizione. Anche quando Giuda lo rimprovera per essersi fatto cospargere i piedi del prezioso olio di nardo, senza pensare ai poveri, Gesù – che conosce di Giuda tutto, anche la sua ipocrisia nel citare i poveri a sproposito, accadeva duemila anni fa, come accade oggi – delicatamente gli dice: «Lasciala fare, perchè lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». L’insegnamento è grande. Gesù richiama lui e soprattutto i discepoli al dovere, manifestato magnificamente da Maria in quell’occasione, di essere splendidi nel culto di Dio. «Opus enim bonum operata est in me», riporta Matteo nel suo Vangelo («Essa ha compiuto un’azione buona verso di me»).
La domanda da porre è questa: è splendida la Chiesa agli occhi di Dio, compie cose buone per Lui o vuole occuparsi solo ed esclusivamente delle cose della Terra? Un’altra questione è ancora più decisiva, considerata la situazione senza precedenti che sta vivendo la Chiesa. Siamo sicuri che una buona parte della gerarchia ecclesiastica non sia proprio dalla parte di Giuda, piuttosto che dalla parte del Cristo? Perchè viene esaltata la figura di Giuda, perchè si dice che fosse un “povero uomo pentito” o che si sarebbe salvato, con l’espiazione derivata dal suo suicidio? Non è forse più coerente ed anche comodo, rispetto ai “programmi moderni” che vengono enunciati della “Chiesa in uscita”, stare dalla parte di colui che – nel caso descritto dal Vangelo di Giovanni – invece di adorare Dio, pensa ai poveri? Non è forse comprensibile, rispetto ai “progetti” in atto – e qui il ragionamento si fa ancora più sottile – che il “messaggio” che si vuole dare al “popolo di Dio”, abituato da secoli a fare l’elemosina come opera di misericordia corporale che è principio di dissoluzione senza l’opera di misericordia spirituale, sia quello di “stare attento” a continuare a farlo, perchè in questo momento l’elemosina la si darebbe ad una “spelonca di ladri”? D’altra parte, che cosa si è fatto credere sul tema della pedofilia, se non che la Chiesa fosse piena zeppa di predatori seriali?
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/l-gioco-degli-specchi-giuda-bergoglio-e-la-gerarchia-ecclesiastica-danilo-quinto-2-ottobre-2020/
La vera “guerra” nel Vaticano: il caso che scoperchia tutto
Dopo il caso di Becciu, si scatena il conflitto tra ratzingeriani e bergogliani. La disputa è antica: ecco chi la combatte
Il caso Becciu sembra diventare ogni giorno che passa qualcosa di più. Perché a prescindere dalla singola “cacciata”, quello che sta accadendo tra le mura leonine fornisce assist a ricostruzioni complessive su quali siano le “guerre” presenti in Vaticano. Perché di “guerra” si sta parlando. “Ho sentito il cardinale Becciu, ma credo che si questa vicenda sia meglio non fare commenti” ha detto di recente il cardinale e segretario di Stato, Pietro Parolin. Il motivo dell’allontanamento non è tanto chiaro.
O meglio, più di qualcosa è emerso, ma Becciu si sta difendendo dalle accuse. E un conto è quello che può essere accaduto, ossia quello che viene ventilato o ipotizzato, un altro quello che è davvero accaduto.
Non sembra sia previsto un processo in cui Becciu possa replicare a quanto gli sarebbe stato contestato dal pontefice argentino: ovvero il peculato. Non dovrebbe quindi esserci alcun luogo né momento in cui emergano i fatti e il cardinale possa smentire le accuse. Il condizionale è d’obbligo, ma mentre scriviamo il caos scaturito da questo fulmine a ciel sereno per piazza San Pietro non si è ancora dipanato. Tutto ruota attorno all’Obolo di San Pietro ed alla sua gestione. Becciu avrebbe destinato alcune somme a società riconducibili a suoi familiari: questo è il succo delle accuse non confermate. In queste ore, poi, è emerso persino che alcuni denari potrebbero aver finanziato coloro che accusavano il cardinale George Pell di abusi in Australia. A riportarlo, tra gli altri, è stato Il Corriere della Sera. Pell, dopo un lungo processo, è stato del tutto scagionato. Becciu e Pell rappresentano, in estrema sintesi, i due poli attorno cui si è sviluppata in questi anni la “guerra” per il modus operandi da preferire sulla situazione dei conti in Vaticano. I sospetti, quindi, sembrano allargarsi. Becciu però smentisce. Ma come ha fatto il Papa a ricevere queste informazioni, vere o false che siano?
Tutti i veleni del Vaticano e il sospetto di Becciu: “So chi è stato a colpirmi”
Monsignor Perlasca, stando a quanto riportato in questi giorni dall’Adnkronos, avrebbe avuto un ruolo nella cacciata di Becciu. Perlasca, infatti, avrebbe riportato a Jorge Mario Bergoglio le informazioni che avrebbero portato alla perdita dei diritti cardinalizi per Becciu. L’agenzia sopracitata, su Perlasca, scrive anche quanto segue: “Protagonista suo malgrado del terremoto in Vaticano che ha portato alle “dimissioni” del cardinale Angelo Becciu è monsignor Alberto Perlasca, ex braccio destro di Becciu all’epoca in cui era Sostituto agli Affari generali come capo ufficio amministrativo della prima sezione della Segreteria di Stato, già indagato per peculato in concorso con Gianluigi Torzi e Raffaele Mincione in relazione all’investimento di 454 milioni di euro derivanti, secondo gli investigatori vaticani, dalle donazioni dell’Obolo di San Pietro”. L’intreccio è complesso, ma Papa Francesco avrebbe trovato in Perlasca un confidente importante. Una voce che avrebbe rivelato i motivi per cui Becciu, dopo un’udienza privata, si è dimesso. Così usa la formula: le dimissioni sono formalmente di Becciu, ma le cose non stanno così: è Bergoglio che ha deciso. Diverso e difficile è comprendere se quanto raccontato da Perlasca, sempre in via presuntiva, corrisponda al vero o no.
Bufera si abbatte sul Vaticano: Becciu rinuncia al cardinalato
Trattasi non solo della gestione di soldi (quelli dell’Obolo di San Pietro): in questa storia, che è tutta da dimostrare, contano anche gli equilibri interni. E questa è forse una delle poche certezze di questa vicenda. Il cardinale Angelo Becciu non è più il prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi. Ma Becciu non era un tradizionalista, un conservatore o un oppositore dell’ex arcivescovo di Buenos Aires: Becciu è sempre stato considerato un “bergogliano”. Non solo: il porporato sardo, avendo perso i suoi diritti cardinalizi, non prenderà parte al prossimo Conclave. Un unicum o quasi nella storia del diritto canonico, qualcosa che Jorge Mario Bergoglio non aveva ancora disposto. Un cardinale, insomma, che rimane tale, ma che viene privato delle facoltà che la stessa porpora conferisce. Gli addetti ai lavori non possono lasciar passare un avvenimento così: in molti, tra giornalisti e commentatori, cercano di comprendere in queste ore se ci sia dell’altro attorno a questa vicenda.
La versione di Bux
Mons. Nicola Bux ha collaborato con Joseph Ratzinger anche durante il pontificato del tedesco. Bux è insomma una voce che se ne intende di “cronaca vaticana”, per quanto i suoi interessi siano soprattutto teologici. Abbiamo deciso di domandare al monsignore cosa stia succedendo nella Chiesa cattolica: “La Chiesa – premette il presbitero – sta attraversando la crisi della fede, conseguenza della penetrazione del principio marxista: la prassi (cioè la pastorale, ndr) precede la verità. Si tratta di un “errore metafisico e antropologico” secondo Karol Woityla, che stiamo pagando caro. La crisi morale è conseguenza della crisi di fede. Tuttavia, come ha detto il card.Ruini, ha sempre meno rilevanza il cattolicesimo politico di sinistra, che occupa le élite, le curie e le sacrestie: non esprime più la gran parte dei cattolici, praticanti e non. Bisogna supplicare il Signore affinché non faccia andare avanti l’autodemolizione della Chiesa cattolica. Cosa dobbiamo fare? Proclamare sempre la verità. Così avrebbe reagito san Girolamo, che era nella Curia Romana ai tempi di papa Damaso: col suo temperamento ardente, assai suscettibile, che riusciva a temperare con la penitenza”.
La guerra interna in Vaticano: così hanno fatto fuori Becciu
Bux pretende che sul caso Becciu le sue valutazioni non vengano scorporate. Ne fornisce anche alcune teologico-culturali, ma c’è spazio anche per una disamina complessiva del momento vissuto in Santa Sede: “In Vaticano sono sette anni di disastro: dopo gli abusi sessuali siamo a quelli finanziari. Il vertice della Chiesa è scomparso sotto il Covid, il papa non è più visibile perché non può viaggiare e non può ricevere i fedeli. Al suo posto, gli ecclesiastici che dicono con mite fermezza la verità sono diventati i riferimenti autorevoli della Chiesa”. La portata della questione, insomma, è bella pesante. Veniamo al caso Becciu. Cosa sta succedendo? “La vicenda del card. Becciu è atipica, in quanto l’affaire è stato reso pubblico dal Papa in anticipo sull’Espresso: sembra concordato prima. È noto che il Papa ha un rapporto preferenziale con Repubblica, di cui fa parte l’Espresso. La sporcizia sale e, nell’opinione pubblica internazionale, trascina la Chiesa con i suoi uomini sempre più in basso. In aggiunta – continua Bux -, deve far riflettere che, l’ex Sostituto, sia stato scelto come tale dall’allora segretario di stato, il card. Bertone, di cui sono note le responsabilità; anche se, dopo la rinuncia di Benedetto XVI, è Francesco che gli dà in tutti questi anni nuovi incarichi sì da operare a tutto campo, senza che nessuno, dal vertice alla base, abbia battuto ciglio, tranne il card.Pell e forse qualcun’altro”. Per comprendere ulteriori elementi, dunque, bisognerebbe forse guardare anche ai “correntismi” presenti in Vaticano.
Becciu come “guardiano della rivoluzione”
Becciu, come abbiamo anticipato, era uno stretto collaboratore di Jorge Mario Bergoglio. Non era conservatore come il cardinale Gherard Ludwig Mueller, che non è stato riconfermato alla Congregazione per la Dottrina della Fede o tradizionalista come il cardinal Raymond Leo Burke, che è stato escluso dalla Congregazione per i vescovi e da altre realtà ecclesiastiche. Becciu, chiediamo a mons. Bux, non era un uomo fidato di Francesco? “Effettivamente – argomenta Bux – è strano che il papa non ne sapesse nulla e l’abbia nominato (Becciu, ndr) delegato per l’Ordine di Malta e poi messo a capo della Congregazione per le Cause dei Santi. Perché ora Becciu preferisce il silenzio? Ha in serbo dossier? Quanto al papa: si può anche pensare che non sia facile scegliere i collaboratori, tuttavia quanto sta accadendo, è conseguenza del criterio psicologistico oggi prevalente, a cominciare dai seminari: esso è diventato il criterio decisivo per la scelta di un candidato all’episcopato, come al sacerdozio, al posto del criterio teologico. La sociologia e la psicologia sono scienze empiriche che si distinguono in base alla loro origine che sta nell’ateismo o nell’agnosticismo”. Dunque? “Invece, si dovrebbe ricorrere a S.Tommaso che, per individuare un vero pastore, offre questo criterio: ‘quando incombe il pericolo del gregge ogni pastore spirituale deve affrontare il sacrificio della vita corporale’. Succede invece, come per la Cina, che chi si preoccupa di questioni decisive per la fede cattolica, non viene considerato. Quando si disprezzano i testimoni della fede che hanno pagato con il sangue la loro fedeltà alla Chiesa e al papa, viene vanificata la Croce di Gesù Cristo: questo non è senza conseguenze per la Chiesa”. Forse Bux, in questo passaggio, si riferisce al cardinale Zen, che è contrario all’accordo tra la Repubblica popolare cinese e il Vaticano per la nomina dei vescovi e che, giunto a Roma per incontrare Francesco, non è stato ricevuto dal pontefice argentino.
La questione del processo
Di processo a Becciu per ora non si parla, ma non è detto che in Santa Sede stiano evitando l’argomento. Conviene attendere. Un processo – dice ancora Bux – “sarebbe doveroso, dato che si invoca la trasparenza. Molti si chiedono se al card. Angelo Becciu non dovesse essere concessa la possibilità di un giusto processo; invece è stato privato di tutti gli incarichi. Il sopruso ha preso il posto del diritto. Joseph Ratzinger ebbe a ricordare che il papa non è un monarca assoluto, ma è, come i credenti, tenuto all’obbedienza alla Parola divina e alla Tradizione, ed è garante di questa obbedienza. La situazione in Vaticano ricorda gli ultimi anni dell’Unione Sovietica, quando si invocava la Glasnost: ma il regime era al crepuscolo”.
Gli schieramenti in Vaticano: ecco sostenitori e critici del Papa
Quelle di Bux, era immaginabile, sono parole forti. Bux approfondisce la sua analisi, facendo presente come alcune argomentazioni utili per chiarire lo stato delle cose odierne della Chiesa siano presenti in un’opera a firma di un cardinale olandese: “Nel suo recente libro-intervista a cura di Andrea Galli, il cardinale Willem Jacobus Eijk, osserva che la Chiesa è caduta in una delle più profonde crisi di fede della sua storia e non si trova oggi nella posizione migliore per trasmettere la fede alla società. Molti laici e molti pastori sono confusi riguardo ai contenuti della fede”. E la soluzione quale sarebbe? “Solo dopo aver messo in ordine la propria casa, la Chiesa sarà di nuovo davvero capace di evangelizzare il mondo. Ecco, “mettere ordine” significa mettere Dio al primo posto, dando a lui il giusto culto; chi manipola la liturgia, manipola facilmente anche la morale. Tuttavia, deve passare questa generazione, ma – afferma Eijk – rimarranno nella Chiesa “coloro che credono, che pregano, che hanno un rapporto personale con Cristo”.
Altre teste cadranno?
Dicono che giri una “lista nera”. Una “black list” composta da chi avrebbe deluso il Papa. E che quindi altre “teste” potrebbero “cascare”. Dopo quella di Becciu, s’intende. Corrisponde al vero, monsignor Bux? “Tutto è possibile, perché un regno diviso in se stesso… . Una parte della Chiesa fa lo stesso gioco di chi sostiene l’immigrazione di massa e l’islamismo radicale, e colpevolizza chiunque difende la propria cultura, le frontiere e la civiltà. Prima la Chiesa era il più grande ostacolo a ciò e al marxismo ateo. Per questo è stato deciso che andava demonizzata e distrutta dall’interno. Obiettivo che sembra raggiunto, a guardare un certo mondo ecclesiale. Questo pontificato, poi, anche tra i suoi sostenitori è considerato intellettualmente debole nella qualità dell’insegnamento e destabilizzante, e da non pochi laici ritenuto ideologico e senza impronta carismatica”.
Ecco la critica attesa: “I cattolici europei al 90% non vanno più in chiesa, non pochi sacerdoti difettano della più elementare ortodossia e talora della morale. Si può parlare di bancarotta. Ma nessuno dei cortigiani e degli opportunisti potrà scamparla: non tanto per la provenienza del denaro dall’Obolo di san Pietro, dai Fondi CEI ecc., e nemmeno per il fatto che Becciu aveva già suscitato sospetti sulle operazioni da lui condotte, fino all’immobile di Londra, ma per essersi opposto alla legge antiriciclaggio voluta da Benedetto XVI e aver fatto allontanare il presidente IOR Gotti Tedeschi e il defunto card. Nicora”. E quindi cosa dovrebbe fare la Chiesa cattolica per monsignor Bux, già collaboratore di Benedetto XVI? Bux conclude, sostenendo che la Chiesa debba tornare ad occuparsi di Catechismo e di Dottrina cattolica. Se non altro perché c’è chi vorrebbe sapere – afferma – cosa significa davvero “essere cattolici”.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cronache/nuova-guerra-vaticano-caso-becciu-scoperchia-tutto-1894001.html
Una voce fa tremare la Chiesa: “In gioco i destini del mondo”
I toni di monsignor Carlo Maria Viganò sono i consueti. Quelli che hanno avuto modo di palesarsi già in altre occasioni. L’uomo che ha chiesto le dimissioni del pontefice argentino per via del caso McCarrick continua la sua battaglia, che è volta a quella che potrebbe essere definita “restaurazione”. La “rivoluzione” di papa Francesco non piace al cosiddetto “fronte tradizionale”. E l’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti è forse la voce più decisa in questo che appare davvero alla stregua di un combattimento tra due “schieramenti”. Quello che sta accadendo all’interno della Chiesa cattolica e le elezioni americane di novembre finiscono così con l’intrecciarsi, in un contesto che per Viganò costituisce un vero e proprio “scontro epocale”. Perché se Trump dovesse perdere – in estrema sintesi – sarebbe un male per tutti i cattolici. Papa Francesco, nel contempo, prosegue nella sua opera riformistica, certo che la strada della “Chiesa in uscita” sia l’unica percorribile per il futuro del cattolicesimo. E gli scontri elettorali non sembrano avere per il Vaticano il valore che invece viene attribuito dai “tradizionalisti”. Difficile, nella società contemporanea, individuare un cammino differente rispetto a quello scelto da Jorge Mario Bergoglio. Com’è noto, però, c’è pure chi non è d’accordo, e boccia di netto l’azione del Santo Padre. Una bocciatura che non riguarda solo il piano dottrinale o quello pastorale, ma anche il terreno geopolitico. In questo senso, quanto dichiarato da monsignor Viganò all’interno di questa intervista è di certo incasellabile all’interno di quella dialettica continua che sta interessando la vita ecclesiastica ormai da qualche anno. Ma è solo una delle posizioni che circolano. Altri sono persino persuasi che l’ex arcivescovo di Buenos Aires non possa essere sottoposto a critiche di questa tipologia dall’interno dell’Ecclesia. Ma questi, come ricorda un inflazionato adagio cinese, sono “tempi interessanti”. Quelli in cui le vicende pronosticabili sono davvero poche. Nessuno si sarebbe aspettato la rinuncia di un pontefice, come nel caso di Benedetto XVI. Così come nessuno poteva pronosticare che un arcivescovo chiedesse ad un successore di Pietro di farsi da parte. Ascoltare i protagonisti di ogni storia, in specie di storie importanti come queste, è tuttavia, in maniera rinomata, il dovere del giornalismo.
Monsignor Viganò, come mai ha scritto una lettera in favore di Trump?
Benedetto XVI mi fece sapere, il 14 agosto 2011, che era sua convinzione che in quel momento la mia posizione provvidenziale era la Nunziatura negli Stati Uniti d’America. Così mi scrisse: “Vorrei comunicarLe che ho riflettuto e pregato in riferimento alla sua condizione dopo gli ultimi avvenimenti. La dolorosa notizia della scomparsa di Sua Eccellenza Mons. Pietro Sambi mi ha confermato nella convinzione che la Sua posizione provvidenziale in questo momento sia la Nunziatura negli Stati Uniti d’America. D’altra parte, sono certo che la Sua conoscenza di questo grande Paese L’aiuterà a prendere in mano l’impegnativa sfida di questo lavoro, che in molti sensi risulta determinante per il futuro della Chiesa universale”. Il mio incarico ufficiale in quell’immenso e amato Paese si è concluso, ma quella sfida, a cui papa Benedetto quasi profeticamente aveva fatto riferimento e in cui mi aveva coinvolto, è più che mai aperta, anzi è diventata sempre più drammatica, assumendo dimensioni tremende: il destino del mondo si sta giocando in quest’ora proprio sul fronte americano. Ormai libero dal mio incarico ufficiale, l’ispirazione confidatami da papa Benedetto mi permette di rivolgermi al presidente Trump con la massima libertà, evidenziando quale sia il suo ruolo nel contesto nazionale ed internazionale, e quanto la sua missione sia decisiva nello scontro epocale che va delineandosi in questi mesi.
Addirittura uno scontro epocale?
La Santa Sede appare oggi assalita da forze nemiche. Io parlo come vescovo, come successore degli apostoli. Il silenzio dei pastori è assordante e sconvolgente. Alcuni addirittura preferiscono appoggiare il Nuovo ordine mondiale allineandosi alle posizioni di Bergoglio e del cardinale Parolin che, frequentatore del Bilderberg Club, si è servilmente sottomesso ai suoi diktat, alla stregua di tanti esponenti politici e dei media mainstream. Sono persuaso che quanto ho denunciato nella mia lettera aperta al presidente Trump dello scorso giugno sia ancora valido e possa costituire una chiave di lettura per comprendere gli eventi che stiamo vivendo. Essa rimane un invito alla speranza.
La Chiesa cattolica americana, in relazione alle presidenziali e non solo, appare spaccata. Il Papa dice che dividere è opera del demonio, ma il frazionamento dell’episcopato americano è evidente. Cosa succede?
La spaccatura in seno all’episcopato americano è il risultato di un’azione ideologica condotta sin dagli anni Sessanta specialmente dalle università cattoliche – e dai gesuiti in particolare – nella formazione di intere generazioni di giovani. L’indottrinamento progressista (sul fronte politico) e modernista (sul fronte religioso) ha creato un supporto ideologico al Sessantotto iniziato con il Concilio Vaticano II, come peraltro ha confermato Benedetto XVI nel suo saggio Principi di teologia cattolica: “L’adesione ad un marxismo anarchico ed utopistico (…) è stata sostenuta in prima linea da tanti cappellani universitari e di associazioni giovanili, i quali vi vedevano lo sbocciare delle speranze cristiane. Il fatto dominante si trova negli avvenimenti del Maggio 1968 in Francia. Sulle barricate v’erano dominicani e gesuiti. L’intercomunione realizzata durante una Messa ecumenica in sostegno alle barricate fu ritenuta una specie di pietra miliare nella storia della salvezza, una sorta di rivelazione che inaugurava una nuova era del cristianesimo“.
Una spaccatura che interessa solo gli Stati Uniti?
Questa spaccatura negli Stati Uniti, divenuta oggi ancor più evidente nell’imminenza delle elezioni presidenziali, è diffusa anche in Europa e in Italia: i vertici della Chiesa hanno voluto compiere una scelta radicale – e a mio parere sciagurata – preferendo accodarsi al pensiero mainstream dell’ambientalismo, dell’immigrazionismo, dell’ideologia Lgbt piuttosto di ergersi coraggiosamente contro di esso e proclamare fedelmente la Verità salvifica annunciata da Nostro Signore. Una scelta che ha subito un balzo in avanti a partire dal 2013, con l’elezione di Jorge Mario Bergoglio, ma che rimonta ad almeno sessant’anni fa. È significativo che anche allora i gesuiti – e tutta l’intelligencija cattolica di sinistra – guardassero alla Cina di Mao come ad un interlocutore privilegiato, quasi un propulsore delle istanze di presunto rinnovamento sociale, esattamente come oggi La Civiltà Cattolica di Spadaro, s.j. guarda alla Cina di Xi Jinping. I gesuiti, che hanno appoggiato la guerriglia in America Latina e che nel Maggio francese erano sulle barricate, oggi usano i social con rivendicazioni analoghe, sempre con lo sguardo rivolto a Pechino e con lo stesso livore nei riguardi dell’America.
Ma dividere è “opera del demonio”…
È vero che dividere è opera del demonio: Satana semina divisione tra l’uomo e il suo Creatore, tra l’anima e la Grazia. Il Signore invece non divide, ma separa: Egli crea un confine tra la Città di Dio e la Città di Satana, tra chi Lo serve e chi Lo combatte. Egli stesso separerà i giusti dai malvagi nel giorno del Giudizio (Mt 25, 31-46), dopo essersi posto ‘come pietra di inciampo’ (Rm 9, 32-33). Separare la luce dalle tenebre, il bene dal male, secondo l’insegnamento del Signore, è doveroso, se vogliamo seguire Cristo e rifiutare Satana. Ma occorre separare anche quando si sceglie chi meglio tutela i diritti e la Fede dei Cattolici da chi solo nominalmente si proclama cattolico e nei fatti promuove leggi palesemente in contrasto con la legge divina e la legge naturale. Così come è divisivo il Pastore che mette in guardia il gregge dagli attacchi dei lupi (Gv 10, 1-18). Accusare Trump di non essere cristiano per il solo fatto di voler proteggere i confini della nazione; evocare lo spettro del sovranismo come una sciagura, mentre viene favorita la tratta degli esseri umani; tacere dinanzi alla persecuzione dei cristiani in Cina ed altrove, o alle migliaia di profanazioni di chiese che avvengono da mesi in tutto il mondo: tutto questo non è divisivo?
Joe Biden è un abortista, ma alcuni ambienti cattolici americani sembrano sorvolare su questo aspetto. Guardi, per esempio, a James Martin. Cosa ne pensa?
Padre James Martin, s.j. è il portabandiera dell’ideologia Lgbt e nonostante questo – anzi, in virtù di questo – è stato nominato da Bergoglio come Consultore della Segreteria per le Comunicazioni della Santa Sede. La sua opera – questa sì, veramente “divisiva” nel senso peggiore del termine – serve a rinsaldare, all’interno del corpo ecclesiale, una quinta colonna dell’agenda progressista, in modo da creare una spaccatura ideologica e dottrinale in seno alla Chiesa e far credere che le istanze del progressismo, ivi compresa la cosiddetta omoeresia, vengano dalla base. In realtà sappiamo bene che i fedeli sono molto meno inclini alle innovazioni di quanto non si voglia far credere all’opinione pubblica, e che il voler mostrare una presunta “volontà popolare” per legittimare scelte incompatibili con l’insegnamento perenne della Chiesa è un escamotage al quale si è già fatto ricorso tanto a livello ecclesiale (pensiamo alla riforma liturgica, che nessuno chiedeva) quanto a livello civile (ad esempio l’ideologia gender). Mi permetta di ricordare le parole dell’arcivescovo americano mons. Fulton J. Sheen (1895-1979): “Il rifiuto di prendere posizione sui grandi problemi morali è di per sé una decisione. Esso rappresenta un tacito assenso al male. La tragedia del nostro tempo è che coloro che credono nella virtù mancano di fuoco e di convinzione, mentre coloro che credono nel vizio sono pieni di appassionata convinzione“. Impariamo a separare chi è con Cristo da chi è contro di Lui, visto che non è possibile servire due padroni.
Lei ha parlato di “deep church”. Possibile ne esista una? Da chi è composta?
L’espressione “deep church” rende bene l’idea di quello che avviene parallelamente a livello politico e a livello ecclesiale. La strategia è la medesima, come identici sono gli scopi e, in ultima analisi, la mens che vi sta dietro. In questo senso la “deep church” è per la Chiesa ciò che il “deep state” è per lo Stato: un corpo estraneo, illegale, eversivo e privo di qualsiasi legittimazione democratica che usa l’istituzione in cui si è incistato per ottenere scopi diametralmente opposti a quelli dell’istituzione stessa. Ne è un esempio John Podesta, “cattolico” liberale, democratico, già collaboratore di Bill e Hillary Clinton, e collegato al Centre for American progress di John Halpin. In una mail dell’11 Febbraio 2012 Sandy Newman scrive a Podesta chiedendogli indicazioni per “piantare i semi di una rivoluzione” nella Chiesa in materia di contraccezione, aborto e parità di genere. Podesta risponde confermando che per ottenere questa “primavera della Chiesa” (si noti l’assonanza con la “primavera conciliare”) erano stati creati la Catholics in alliance for the common good e Catholics united. Queste associazioni ultra-progressiste sono state finanziate da George Soros, come le fondazioni dei Gesuiti e il viaggio apostolico di Bergoglio negli Usa nel 2015. Va inoltre ricordata la congiura della Mafia di San Gallo, volta a spodestare Benedetto XVI, di concerto con Obama e la Clinton che consideravano Joseph Ratzinger un ostacolo alla diffusione dell’agenda mondialista.
Da cattolico e da consacrato, come giudica l’operato di Trump?
Mi limito ad osservare quello che ha fatto Trump negli anni del suo mandato presidenziale. Ha difeso la vita del nascituro, tagliando i fondi alla multinazionale dell’aborto Planned Parentood e, proprio in questi giorni, emanando un provvedimento che impone cure immediate ai neonati non uccisi dall’aborto: fino ad oggi erano lasciati morire o usati per espiantare loro organi destinati alla vendita. Trump sta combattendo la pedofilia e il pedosatanismo. Non ha aperto nuovi fronti di guerra e ha ridotto drasticamente quelli esistenti, stipulando accordi di pace. Ha ridato a Dio il diritto di cittadinanza, dopo che Obama aveva addirittura cancellato il Natale e imposto misure che ripugnano all’animo religioso degli americani. E osservo anche la guerra mediatica mossa dalla stampa e dai centri di potere nei riguardi del Presidente: è stato demonizzato sin dal 2016, nonostante egli abbia democraticamente ottenuto la maggioranza dei suffragi. Si comprende bene che l’odio verso Trump – non dissimile da quanto avviene in Italia nei confronti di ben più morbidi esponenti dell’opposizione – trova la propria motivazione nella consapevolezza del suo ruolo fondamentale nella lotta al deep state e a tutte le sue ramificazioni interne ed estere. La coraggiosa denuncia del Comunismo – di cui gli Antifa e i Blm sono la versione global e la dittatura cinese l’incubatore – viene in qualche modo a sanare il silenzio della Chiesa, che nonostante gli accorati appelli della Vergine Maria a Fatima e a La Salette ha preferito non rinnovare la condanna di questa ideologia infernale. E se mons. Sanchez Sorondo può impunemente affermare contro ogni evidenza che “la Cina è la migliore realizzatrice della dottrina sociale della Chiesa”, c’è da rallegrarsi per le parole del presidente degli Stati Uniti e per quelle non meno coraggiose del suo Segretario di Stato Pompeo.
Bergoglio non incontrerà il Segretario di Stato americano, a quanto pare.
Siamo ormai giunti al paradosso, al ridicolo. Certi atteggiamenti sembrano più confacenti ai capricci di uno scolaro indisciplinato che non alla prudenza e al protocollo diplomatico. Pompeo denuncia la violazione dei diritti umani in Cina e da Santa Marta arriva la piccata risposta: “E io non gioco più”. Sono comportamenti indegni, dei quali iniziano a provare malcelata vergogna anche gli stessi membri del cerchio magico di Bergoglio. Il quale non solo non riceve il Segretario di Stato per non sentirsi dire ore rotundo che l’America non rimarrà a guardare mentre la Chiesa si consegna nelle mani di una feroce dittatura, ma non risponde nemmeno alla richiesta del cardinal Zen di esser ricevuto in udienza, confermando la precisa volontà del Vaticano di rinnovare la sua sottomissione al Partito Comunista Cinese.
Lei ha organizzato un “Rosario per Trump”? Come mai?
Sono stato sollecitato da più parti a lanciare questa iniziativa e non ho esitato ad aderirvi, facendomi promotore di questa crociata spirituale. Questa è una guerra senza quartiere, in cui “Satana è sciolto dalle catene e le porte degli inferi” tentano in ogni modo di prevalere sulla stessa Chiesa. Una simile contraddizione si fronteggia soprattutto con la preghiera, con l’arma invincibile del Santo Rosario. L’impegno dei cattolici in politica, sotto la guida dei loro pastori, costituisce l’azione concreta come cittadini e membri tanto del Corpo Mistico di Cristo quanto del corpo sociale: il cattolico non è un dissociato, che in chiesa crede che Dio sia autore e signore della vita ma nell’urna o in parlamento approva l’uccisione di bambini innocenti. A questa azione di ordine naturale si affianca – si deve affiancare – la consapevolezza che le vicende umane, e con esse gli eventi sociali e politici, hanno una dimensione spirituale trascendente, nella quale l’intervento della divina Provvidenza è sempre determinante. Per questo motivo, il cattolico non si astrae dal mondo, non fugge dall’agone politico aspettando passivamente che il Signore intervenga con la folgore, ma al contrario dà un senso al proprio agire quotidiano, al proprio impegno nella società, dandogli un’anima, uno scopo soprannaturale. La preghiera, in questo senso, invoca al Signore del mondo e della storia quelle grazie, quell’aiuto speciale che solo Lui può dare tanto all’azione del privato cittadino quanto all’opera del governante. E se in passato anche dei re pagani hanno potuto essere strumenti di bene nelle mani di Dio, questo può avvenire ancor oggi, in un momento in cui la biblica battaglia tra “figli delle tenebre e figli della luce” è giunta ad un punto cruciale.
Quali scenari attendono i Cattolici del mondo nel caso Trump dovesse perdere?
Se Trump perde le elezioni presidenziali, verrà meno l’ultimo kathèkon (2Tes 2, 6-7), ossia ciò che impedisce al “mistero dell’iniquità” di manifestarsi, e la dittatura del Nuovo ordine mondiale avrà nel nuovo presidente americano un alleato, dopo aver già conquistato alla propria causa Bergoglio. Joe Biden non ha una consistenza propria: egli è solo l’espressione di un potere che non osa mostrarsi per quello che è, e che si nasconde dietro un personaggio totalmente inadeguato alla carica di Presidente degli Stati Uniti, anche per le sue degradate condizioni di salute mentale; ma è proprio nella sua debolezza per le denunce pendenti, nella sua ricattabilità per i conflitti di interessi, che Biden si mostra come una marionetta manovrata dall’élite, un fantoccio nelle mani di persone assetate di potere e disposte a tutto per espanderlo. Ci troveremmo dinanzi a una dittatura orwelliana voluta dal “deep state” e dalla “deep church”, in cui i diritti che oggi consideriamo fondamentali e inalienabili verrebbero conculcati, con la complicità dei media mainstream.
Vuole evidenziare altro?
Voglio evidenziare che la religione universale auspicata dalle Nazioni Unite e dalla massoneria trova nei vertici della Chiesa Cattolica attivi collaboratori che ne usurpano l’autorità e ne adulterano il Magistero. Al Corpo Mistico di Cristo, posto come unica arca di salvezza per l’umanità, si sta opponendo “il corpo mistico dell’Anticristo“, secondo la profezia del Venerabile Arcivescovo Fulton Sheen. Ecumenismo, ambientalismo malthusiano, pansessualismo, immigrazionismo sono i nuovi dogmi di questa religione universale, i cui ministri preparano l’avvento dell’Anticristo prima dell’ultima persecuzione e della vittoria definitiva di Nostro Signore. Ma come la Resurrezione gloriosa del Salvatore è stata preceduta dalla Sua Passione e Morte, così la Chiesa si avvia verso il proprio Calvario; e come il Sinedrio pensava di aver eliminato il Messia crocifiggendoLo, così la setta infame crede che l’eclissi della Chiesa preluda alla sua fine. Rimane un “piccolo resto”, fatto di cattolici ferventi, proprio come ai piedi della Croce restavano la Madre di Dio, San Giovanni e la Maddalena. Noi sappiamo che i destini del mondo non sono nelle mani dell’uomo, e che il Signore ha promesso di non abbandonare la Sua Chiesa: “Le potenze dell’inferno non prevarranno” (Mt 16, 18). Le parole di Cristo sono la roccia della nostra speranza: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).
FONTE: https://it.insideover.com/religioni/vigano-intervista-una-voce-tremare-chiesa.html
POLITICA
Pieni poteri, ma per il nostro bene: la dittatura più ipocrita
Nel governo che tentò di aumentare il margine operativo per l’Italia (deficit) e provò a varare un abbozzo di welfare aggiuntivo (reddito di cittadinanza), Matteo Salvini – il Mostro, l’Uomo Nero – promosse la mini-riforma delle pensioni (Quota 100) e caldeggiò il taglio drastico della pressione fiscale (Flat Tax), dopo aver costretto l’Europa a farsi carico degli sbarchi dei migranti, respinti da ogni altro paese e convogliati tutti verso l’Italia. Ostacolato in ogni modo, in un esecutivo inceppato fin dall’inizio per volere dei poteri forti che impedirono a Paolo Savona di coordinare la politica economica, lo stesso Salvini – sull’onda del grande consenso raccolto – osò pronunciare l’espressione alla quale fu prontamente crocifisso: “pieni poteri”. Era un modo, improvvido, per chiedere di poter passare dalle parole ai fatti, con il conforto democratico del suffragio popolare. Errore catastrofico: gli chiusero ogni spiraglio, costringendolo alla resa anche mediante il consueto assedio giudiziario all’italiana. Contro di lui – solo per cancellarlo – fu messo in piedi il nuovo governo. I 5 Stelle arrivarono a rinnegare se stessi, alleandosi con i loro nemici storici: il “Partito di Bibbiano” e persino l’odiato Matteo Renzi. Dettaglio: il premier rimase lo stesso di prima, quello che collaborava amabilmente col vicepremier Salvini, approvando anche il blocco delle navi cariche di migranti. Non solo: i famosi “pieni poteri” invocati da Salvini sono ora esercitati – e nel modo che vediamo – dall’oscuro Giuseppe Conte, mai eletto e mai votato da nessuno. Agli italiani, nel giro di pochi mesi, “l’avvocato del popolo” è arrivato a infliggere l’impensabile. Serviva un pretesto coi fiocchi, ed è arrivato: si chiama Covid. Quanto sia grande, la voglia di “pieni poteri”, lo dimostra – in piccolo – l’infimo Nicola Zingaretti, presidente del Lazio e segretario del partito che tiene in piedi il governo nato unicamente per espellere Salvini. Poche ore dopo aver subito la sentenza del Tar laziale, che gli impedisce di imporre l’obbligo vaccinale per l’influenza, Zingaretti ha sfoderato un’altra imposizione: l’obbligo di indossare la mascherina ovunque, nel Lazio, anche all’aperto, come già avviene in Campania (centrosinistra) e in Sicilia (centrodestra). Avvertiva Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: queste misure vessatorie pensate a livello regionale – l’inutile Tso vaccinale per l’influenza e l’obbligo di mascherina in strada – sono solo l’antipasto per un ulteriore giro di vite nazionale. Detto fatto: dopo aver terrorizzato i cittadini a mezzo stampa, scambiando i contagi per ricoveri, ora il Governo dei Pieni Poteri – unico in Europa a prorogare lo stato d’emergenza – medita apertamente di imporre la “museruola” a tutti gli italiani, ovunque si trovino: come se il coronavirus fosse ancora una grave minaccia per la quale non esistono cure, e come se la mascherina fosse davvero un efficace strumento di limitazione del contagio. Da più parti, nel mondo, si levano proteste contro il “partito dei pieni poteri”: in Belgio, i medici denunciano la gestione autoritaria dell’emergenza, raccomandata dall’Oms, con prescrizioni giudicate gratuite, inutili, pericolose per la salute, disastrose per l’economia e gravemente incostituzionali, contrarie alle libertà democratiche. Un dialogo tra sordi: i sanitari spiegano che il Covid ormai è curabile, visto che i rimedi sono stati messi a punto e la mortalità del morbo è praticamente irrisoria; ma questo non basta a convincere i decisori, affezionati come sono ai “pieni poteri” che il coronavirus ha loro regalato. L’Italia, poi, vince in solitaria la gara: in nessun altro paese europeo il lockdown è stato così prolungato, così rigido e così privo di contromisure sociali, al punto che l’economia è in ginocchio. L’altra notizia – ferale – è che molti italiani credono ancora alla televisione, cioè ai bollettini di Conte e alle funeree previsioni degli esperti di corte, inutilmente smentiti dai medici a cui il governo impedisce in ogni modo – anche censurando il web – di parlare ai cittadini. A completare la catastrofe politica, si segnala la resa dell’opposizione: Matteo Salvini (insieme alla Meloni) si è arreso ai “pieni poteri”. Lega e Fratelli d’Italia non hanno reagito, alle imposizioni di quella che i detrattori chiamano “dittatura sanitaria”. Non hanno chiamato gli italiani in piazza, non hanno lanciato raccolte di firme, non hanno promosso azioni dimostrative: hanno evitato persino di dar vita a una protesta, a oltranza, nelle aule del Parlamento (appena amputato, via referendum, su invito dei massimi esponenti mondiali del “partito dei pieni poteri”). Salvini e Meloni si sono anzi impegnati – come se fossimo in tempo di pace – nella campagna elettorale per le regionali, nei giorni in cui studenti e insegnanti venivano costretti a vivere una sorta di allucinazione collettiva, quella della scuola ai tempi del Covid. «Salvini sugli sbarchi ha ragione, non ha violato nessuna legge: ma dobbiamo incastrarlo lo stesso». Le scandalose intercettazioni che imbarazzano settori della magistratura sono state portate alla luce dal processo a Luca Palamara, il presidente dell’Anm che ha ammesso di aver svolto, per anni, la funzione di “accomodatore”, per conto delle correnti politiche che “governano” le toghe, condizionando la giustizia. Ma, con un colpo di spugna – il divieto di citare come testimoni ben 126 colleghi magistrati – ecco che anche i “panni sporchi” della magistratura si apprestano ad essere lavati in casa, nel silenzio del Quirinale. Del resto, non sono questioni che possano interessare la maggioranza degli italiani, calamitata da ben altre attrazioni: il campionato di calcio, ma soprattutto i bollettini quotidiani sui contagi. Non stupisce: l’opinione pubblica è manipolata da molto tempo. Agli spettatori, negli ultimi tempi, erano stati proposti efficaci film dell’orrore: prima l’Isis, poi Greta. L’Isis, cioè: una banda di feroci tagliagole (fanatici isolati e pazzi, senza amici nel partito dei “pieni poteri”) che poteva scorrazzare impunemente in tutta Europa, seminando strage. Non un arresto, un interrogatorio, una confessione, una vera indagine. Mai nulla: solo l’uccisione dei killer, muti per sempre. Variante drammaturgica dell’Isis, la piccola Greta: ovvero il mutamento climatico (sempre avvenuto) spacciato come problema di oggi, causato dall’attività umana. Traduzione: la colpa è nostra. Corollario: il vero problema – l’inquinamento – passa in secondo piano. Verità nascosta: i grandi inquinatori, sempre loro, sono gli sponsor occulti della piccola fiammiferaia svedese, e per noi hanno in mente il grandioso business della riconversione “green” della finanza, col pretesto di qualche pennellata “verde” da dare all’economia. Di Green Deal parla anche il Governo dei Pieni Poteri, quello italiano. Le sue indicazioni per il Recovery Fund sono fuori dalla portata di qualunque genio letterario. Per risollevare l’Italia dal disastro causato dal lockdown “cinese”, modello Wuhan, i signori che dettano le parole al ventriloquo Conte hanno escogitato le seguenti trovate: tracciamento universale del cittadino, guerra al denaro contante, invio in orbita di una “costellazione” di satelliti 5G. Il tempo stringe, e assomiglia a un cappio: vaccinazioni obbligatorie, mascherine obbligatorie. I signori cittadini sono invitati (anzi, costretti) a dimenticarsi di tutte le loro vite precedenti, quelle in cui potevano dire la loro. Il Governo dei Pieni Poteri – unico, anche qui – ha persino varato un’istituzione di sapore staliniano come il “Ministero della Verità”, per eliminare dal web le voci più scomode. Se qualcuno pensa che tutto questo sia in qualche modo normale, è fuori strada: deve aver capito male. Non è normale nemmeno che l’inviato della Casa Bianca si scomodi per venire in Italia ad accusare il Papa di aver stretto una sorta di “patto col diavolo”, concedendo al regime cinese qualcosa che la Chiesa non aveva mai accordato a nessun governo: il potere di nomina dei vescovi. Non è normale neppure questo, infatti: non è normale che sia il partito comunista di Xi Jinping a stabilire chi e come amministrerà i cattolici in Cina, cioè la patria mondiale dei Pieni Poteri, il grande paese dove è nato il problema che oggi sta letteralmente devastando e ricattando il pianeta con l’arma della paura. Non c’è niente di normale, in tutto quello che sta succedendo. Anni fa, il grande Primo Levi ricorse a un apologo letterario per descrivere le modalità psicologiche attraverso cui il cittadino si può trasformare gradualmente in prigioniero, dapprima inconsapevole: vede che qualcuno sta costruendo un recinto, ma non sospetta che – un brutto giorno – quel filo spinato diventerà il perimetro, chiuso e invalicabile, della nuova prigione di massa. E’ notorio che proprio gli ebrei, nella Germania nazista, furono gli ultimi ad aprire gli occhi sulla sorte che li attendeva. «Non può essere vero»: è sempre il pensiero ricorrente, al primo impatto con un possibile abominio. E’ naturale, umanissimo. E lo sanno bene gli autori della narrazione pubblica, i cosiddetti “padroni del discorso”. Mai far vedere il recinto, tutto insieme: meglio un tratto di filo spinato, uno soltanto, e naturalmente “per il nostro bene”, per la nostra sicurezza (sanitaria, magari). Non lo vedete? Persino lo scettico Donald Trump, il “mandante” dell’uomo che ha osato rimproverare il Papa, ora è ricoverato per Covid, proprio all’indomani della missione romana di Pompeo. E quindi: oggi, vaccini e mascherine (e domani, chissà). Ma la domanda è sempre la stessa: fino a che punto l’ex cittadino, ora trattato come suddito, accetterà di subire i Pieni Poteri? (Giorgio Cattaneo, “Pieni poteri, per il nostro bene: la dittatura più bella del mondo”, dal blog del Movimento Roosevelt del 3 ottobre 2020).
SCIENZE TECNOLOGIE
Distanziamento: arriva il badge che «Cambia la modalità di muoversi»
È arrivato il badge che garantisce il distanziamento tra colleghi in ufficio: prima suona, poi vibra e infine si illumina.
Non è una novità perché già da marzo si parlava di dispositivi che avrebbero garantito il distanziamento in luoghi come uffici e scuole.
Braccialetti e badge che, con diversi stimoli, avvisano chi li indossa della vicinanza di un collega.
Il funzionamento è semplice: se due persone sono troppo vicine, prima il dispositivo suona, poi vibra e infine emette una luce rossa.
Ne ha parlato Il Sole 24 ore informando che i dipendenti di Reale Mutua useranno questi dispositivi.
L’azienda sviluppatrice del dispositivo Smart Proximity è Engineering che, nel sito, descrive il prodotto per il distanziamento in ufficio come «il primo strumento con cui attuare norme comportamentali corrette».
«La nostra piattaforma Smart Proximity risponde a questa sfida mettendo in campo una soluzione facile e con costi strutturali contenuti, in grado di monitorare in tempo reale il rispetto delle distanze, individuare possibili cluster e analizzare i comportamenti dei lavoratori nel rispetto della privacy».
Test sui dispositivi per il distanziamento in ufficio
Uno dei responsabili dell’hub di innovazione di Reale Mutua, dopo un test su 300 dipendenti in diverse sedi, ha affermato: «Ha funzionato da subito».
«Gli allarmi sono piuttosto fastidiosi, quindi dopo un primo periodo di adattamento i dipendenti cambiano le loro modalità di muoversi all’interno degli uffici. Imparano a mantenere in modo naturale e senza sforzo la giusta distanza tra loro».
I commenti che si possono trovare in rete sotto la notizia dei dispositivi per il distanziamento in ufficio sono per la maggior parte negativi: «Prossimo step la scossa elettrica oltre all’allarme».
Ancora: «Cani di Pavlov», «Ma dove vogliono arrivare. Comportamenti criminali da dittatura. Nemmeno in carcere».
Il rischio è che questa nuova normalità di cui tanto ci stanno parlando, fatta di mascherine, igienizzante e distanziamento, annulli la nostra umanità.
Perito chimico, appassionata di rimedi naturali e tutto quello che riguarda la salute in generale. Interessata ai metodi educativi dolci che lasciano libertà al bambino. Amante della cucina.
Fare buona informazione è il suo scopo primario.
E-mail: baldidenise1982@gmail.com
FONTE: https://www.oltre.tv/distanziamento-arriva-badge-cambia-modalita-muoversi/
Amazon, il tuo vigilantes di fiducia
Novità in arrivo per il 2021: Ring, azienda che fa parte della galassia Amazon, ha annunciato Always Home Cam.
Dopo il lancio dell’allarme per auto, del Car Cam e del Car Connect, l’ultimo prodotto presentato è un drone autonomo in grado di volare all’interno della casa per dare al proprietario una visuale a 360 gradi di ciascuna stanza ogni volta si voglia quando non si è in casa.
Una volta che ha finito di volare e controllare l’abitazione, la Always Home Cam torna autonomamente al suo dock per ricaricare la batteria.
Jamie Siminoff, fondatore e chief inventor di Ring, afferma che si tratta senza dubbio di un incredibile passo avanti nella domotica domestica, dal momento che con un’unica videocamera, per giunta acquistabile ad un costo accessibile – si parla di poco piu di 200 euro –, si può tenere sotto controllo un intero appartamento o una villa senza dover ricorrere all’istallazione di una videocamera per ciascuna stanza, inoltre l’utilizzo del drone fa si che non vi siano punti ciechi.
L’idea di Ring non è legata solo alla sicurezza: se una persona esce di casa e non si ricorda se ha chiuso o meno una porta, se ha lasciato accesa una luce, aperta l’acqua o una finestra, potrà verificarlo usando il drone.
Always Home Cam è completamente autonomo nel controllo dell’abitazione, registra in 1080p e, grazie all’intelligenza artificiale, sfrutta la computer vision per evitare gli ostacoli. Ciò non toglie che i proprietari possono stabilire quale percorso debba prendere e dove possa entrare, andando a configurare, al primo utilizzo, la mappa della casa. Il drone può essere comandato per volare su richiesta o programmato per alzarsi in volo e riprendere nel momento in cui viene rilevato un disturbo o una potenziale intrusione da un sistema di allarme collegato a Ring.
Da non sottovalutare il fatto che la società abbia aggiunto un sistema di crittografia video end-to-end opt-in, nonché l’opzione per disabilitare completamente il feed “Neighbors”, che consente agli utenti di visualizzare la criminalità locale in tempo reale e discuterne con le persone nelle vicinanze.
FONTE: https://www.infosec.news/2020/09/29/wiki-wiki-news/amazon-il-tuo-vigilantes-di-fiducia/
STORIA
Giappone, Kenzaburo Oe: media e governo, complicità atomica
Gabriele Battaglia
@Chen_the_Tramp
Nella conferenza stampa di preparazione per quella che probabilmente sarà una delle manifestazioni antinucleari più grandi della storia giapponese, Kenzaburo Oe, premio Nobel 1994 per la letteratura, ha dichiarato che la scelta pro atomo del sua Paese è figlia della collusione tra il governo nipponico dell’immediato dopoguerra e i maggiori media.
Lo scrittore 77enne ha in particolare puntato l’indice contro Matsutaro Shoriki, magnate dell’informazione che controllava il Yomiuri Shimbun, e contro il primo ministro Yasuhiro Nakasone, quella specie di Andreotti giapponese (classe 1918, ancora in vita) che ha caratterizzato la vita politica del Sol Levante dagli anni Cinquanta alla fine degli anni Ottanta.
“Nakasone disse che, visto che non disponeva di risorse, il Giappone avrebbe avuto bisogno di trovare una nuova fonte di energia, che gli Stati Uniti avevano già inventato”, Oe ha dichiarato ai giornalisti. “Gli Stati Uniti fornirono gratuitamente al Giappone il know-how, le macchine e il combustibile che è poi diventato il primo stock di quelle scorie nucleari che ora ci procurano un grosso problema”.
Nakasone – che ebbe diversi incarichi istituzionali prima di diventare Primo ministro nel 1982 – è stato un grande promotore dell’energia nucleare fin dagli anni Cinquanta.
Matsutaro Shoriki, che per qualche tempo era stato alla guida dell’agenzia governativa per la scienza e la tecnologia, “colse al volo questa opportunità” e con il suo giornale promosse incondizionatamente la tecnologia, ha detto Oe.
“La struttura fondamentale del Giappone in cui viviamo oggi è stata definita in quel momento e da allora va avanti. È questo che ha portato alla grande tragedia” di Fukushima, ha aggiunto.
Per la manifestazione di lunedì prossimo, gli organizzatori sperano nella partecipazione di almeno 100mila persone.
Anche il premio Oscar e compositore Ryuichi Sakamoto e molti altri personaggi della cultura giapponese si sono adoperati per la protesta antinuclearista. Tra questi, il giornalista Satoshi Kamata e il commentatore economico, politico e sociale, Katsuto Uchihashi.
Durante la conferenza stampa, proprio Kamata ha affermato che il Primo ministro Yoshihiko Noda ha bellamente ignorato la volontà del popolo quando, meno di 24 ore dopo avere ricevuto una petizione di segno contrario firmata da sette milioni e mezzo di giapponesi, ha ordinato il riavvio dei reattori presso l’impianto nucleare di Oi. Kamata ha definito il gesto del premier “molto offensivo”.
Uchihashi ha invece denunciato la sostanziale non copertura delle manifestazioni contro l’atomo da parte dei media giapponesi.
“Prima dell’11 marzo 2011, tutti i media hanno avuto un ruolo di primo piano nel sostenere il mito della sicurezza nucleare … È ora importante che sappiano e facciano sapere ciò che vogliono i cittadini che partecipano a questo movimento”, ha aggiunto Kamata.
FONTE: https://www.eilmensile.it/2012/07/13/giappone-kenzaburo-oe-media-e-governo-complicita-atomica/
Aleksandra Petrovna: la suora reale
Nacque in palazzo imperiale e concluse la sua vita in una modesta cella monastica. Conobbe l’amarezza della calunnia, la pace interiore conseguente all’adempimento del messaggio di Dio e la dolcezza nell’assistenza ai sofferenti. Sperimentò su sé stessa le difficoltà di una grave malattia e la gioia di una guarigione miracolosa. E il Monastero Pokrovskij da lei fondato a Kiev, è rimasto un luogo di fede e preghiera anche negli anni più difficili dell’ateismo militante.
La granduchessa Aleksandra Petrovna Romanova, nacque a San Pietroburgo il 2 maggio 1838 con il titolo di principessa di Oldenburg. Suo padre era Pëtr Georg’evič Oldenburgskij (Pietro Giorgio di Oldenburg), figlio della granduchessa Ekaterina Pavlovna. Sua madre era Teresa di Nassau, pronipote dell’imperatore Pavel I (Paolo I).
Fu battezzata con il rito protestante e ricevette il nome di Alexandra Friederike Wilhelmine von Holstein-Gottorp. Il 25 gennaio 1856, si convertì all’Ortodossia assumendo il nome di Aleksandra Petrovna e sposò il granduca Nikolaj Nikolaevič Romanov (detto il Vecchio), che era il suo prozio. Da questo matrimonio nacquero due figli: Nikolaj e Pëtr.
La vita matrimoniale della Granduchessa non si rivelò felice. Come scrisse il conte Sergej Dmitrievič Sheremetev: “Il marito di Aleksandra Petrovna, il granduca Nikolaj Nikolaevič Romanov detto il Vecchio, era degno di un destino migliore, era degno di più attenzione, più calore umano, ma Aleksandra Petrovna non poteva dargli tutto questo. Con lui era dura e sarcastica. Lo spinse via bruscamente, con freddezza inammissibile. Lei aveva sete di attività, cercava popolarità, fingeva di essere una principessa russa, non capiva lo spirito dell’Ortodossia, amava la vanità della carità come uno sport e non come un’attrazione del cuore. Orgogliosa, secca, prepotente, ma anche insolitamente spiritosa e sarcastica, fingeva volentieri di essere umile e semplice. Lei, secondo la sua ambizione, aveva bisogno di un marito dotato di grande mente e forza di volontà“.
Suo marito, era un appassionato del balletto, aveva un’amante, la ballerina Ekaterina Gavrilovna Čislova, con la quale conviveva apertamente e con la quale ebbe cinque. Per giustificare in qualche modo il suo comportamento frivolo agli occhi dello zar Aleksandr II (Alessandro II), dopo dieci anni di matrimonio il granduca Nikolaj Nikolaevič Romanov (detto il Vecchio) convocò il confessore della Granduchessa, il rettore della chiesa domestica del Palazzo Nikolaev, l’arciprete Vasilij Lebedev’ ed accusò pubblicamente sua moglie di adulterio.
L’imperatore Aleksandr II (Alessandro II) non cercò di comprendere cosa fosse accaduto e non convocò la Granduchessa per ascoltare le sue osservazioni. Con il pretesto di un trattamento terapeutico, inviò la Granduchessa lontano da San Pietroburgo. Il trattamento in realtà era davvero necessario, in quanto poco tempo prima, la carrozza nella quale viaggiava si era ribaltata e la granduchessa Aleksandra Petrovna subì una grave lesione alla spina dorsale, che successivamente ne minò la salute rendendogli impossibile camminare. Nel 1879, la Granduchessa lasciò San Pietroburgo per sempre e si stabilì a Kiev.
L’imperatore Aleksandr III (Alessandro III), salito al trono dopo l’assassinio di suo padre, la invitò a tornare a San Pietroburgo. Ma in una lettera indirizzata all’imperatore, Aleksandra Petrovna scrisse: “Vivere a San Pietroburgo con la mia grave malattia e con l’umore della nostra casa, con la mia debolezza, è disastroso. L’unica speranza di guarigione è una vita defunta. Vivere a Kiev sarebbe una gioia spirituale per me“.
La granduchessa Aleksandra Petrovna si concentrava completamente sulle opere di beneficenza. Nel 1887, il principe Obolenskij la descrisse come segue: “Appare in mezzo alla corte come una specie di santa sciocca o benedetta. E lo è davvero, e il suo comportamento è genuino. Inoltre, non è solo una santa sciocca, ma una santa sciocca russa, con tutti gli istinti, i gusti e le simpatie della donna russa più semplice. Ma quanto bene fa e come lo fa, solo coloro che ne hanno beneficiato lo sanno. Tutto questo mi sembra così straordinario che sono pronto a pensare che ci sia qualcosa di portentoso in questa eccentricità“.
Il principe non si era sbagliato. In effetti, questa “eccentricità” alcuni anni dopo sfociò nella grande impresa del “monachesimo vivente” – una tendenza che si stava poi diffondendo nel paese e presupponeva non solo la più stretta aderenza alle regole monastiche dei santi Sava il Consacrato e Teodoro lo Studita, ma anche un servizio pratico all’umanità sofferente.
Nonostante i continui e intensivi trattamenti sanitari, Aleksandra Petrovna non poteva ancora muoversi da sola. Costretta su una sedia a rotelle, trovava conforto nella preghiera e nella lettura del Salterio, che chiamava “una fonte di gioia eterna“. Imbevuta dell’idea di “monachesimo vivente”, scrisse in una delle sue lettere: “Il monachesimo vivente è lo stendardo che mi sta tanto a cuore. Nessun voto e nessuna regola monastica ti impedisce di amare il prossimo come te stesso, di servire i malati, di nutrire i poveri“.
“Княжий” монастырь (Monastero “principesco”), questo era il nome del Monastero dell’Intercessione di Kiev prima della rivoluzione del 1917: un monastero unico. Una volta occupava un territorio molto vasto a Lukjanovka sul pendio della pittoresca montagna dell’Ascensione. Ora Lukjanovka è uno dei prestigiosi quartieri centrali della città, ma durante gli anni della fondazione del monastero costituiva la periferia di Kiev. Questo fu il luogo scelto dalla granduchessa Aleksandra Petrovna per fondare il suo monastero.
Nel 1888, Aleksandra Petrovna iniziò a cercare un posto nelle vicinanze della città per creare un monastero che unisse preghiera e ampia carità. La tradizione vuole che dove ora sorge il monastero vi fosse il giardino di una certa Feodosija Didkovskaja. Il beato Teofilo di Kiev (morto nel 1853), amava pregare in quel giardino. A suo tempo predisse che in quel luogo sarebbe stato creato un “monastero principesco“.
Dopo la morte del marito (13 aprile 1891; il matrimonio non fu formalmente sciolto), Aleksandra Petrovna prese segretamente i voti monastici con il nome di Anastasija. Nel Monastero dell’Intercessione creò un moderno ospedale per i poveri con l’unica sala radiografica presente a Kiev, allestì una farmacia gratuita, una scuola e un orfanotrofio per ragazze, ricoveri per malati terminali e per non vedenti. Grazie alle elevate competenze dei medici da lei assunti, la mortalità durante le operazioni avvenute nell’ospedale del monastero, non era superiore al 4%, un tasso percentuale incredibilmente basso per quel tempo. Nell’ospedale del monastero, Anastasija stessa si sottopose a diverse operazioni alla spina dorsale, al fine di poter stare in piedi e camminare. Pian piano, le sue condizioni di salute migliorarono e Anastasija riuscì a camminare di nuovo. Lei attribuì tale risultato ad un miracolo conseguente alle sue preghiere.
Anastasija viveva in una cella semplice, vendette tutti i suoi gioielli donò tutto il ricavato per il mantenimento delle istituzioni da lei fondate. Svolgeva le funzioni di assistente chirurgo durante le operazioni, sovrintendeva al programma ospedaliero, all’alimentazione e alla vita spirituale dei pazienti, era in servizio presso i letti dei pazienti operati.
La Granduchessa svolse anche un ruolo attivo come rappresentante del Consiglio degli orfanotrofi del Dipartimento delle istituzioni dell’Imperatrice Maria Fëdorovna, che era diretto da suo padre, il principe di Oldenburg. Grazie all’operato della Granduchessa fu accumulato un capitale, con il quale furono sostenuti 23 orfanotrofi che ospitarono cinquemila orfani. Durante la Guerra Russo-Turca, la granduchessa Aleksandra Petrovna organizzò anche un distaccamento sanitario a proprie spese.
Nel 1896, lo zar Nikolaj II (Nicola II) e sua moglie visitarono la “zia Sasha”. L’Imperatore donò una grossa somma privata per l’ampliamento dell’ospedale e ordinò di finanziare annualmente 80 mila rubli dal Tesoro di Stato per il mantenimento del monastero. Alla presenza della coppia reale, fu inaugurata una chiesa consacrata nel nome di San Nicola. Il progetto della chiesa fu realizzato da Pëtr Nikolaevič, il figlio più giovane di Aleksandra Petrovna. Con i fondi donati dallo Zar, nel 1897-1898 fu aperto anche un nuovo edificio ospedaliero e furono migliorate le attrezzature mediche.
Nel 1897, quando la città fu minacciata da un’epidemia di tifo, Anastasija, in altri monasteri di Kiev, riuscì ad organizzare diversi ospedali specializzati.
La “suora reale” morì dopo gravi sofferenze all’ora 01:20 della notte tra il 12 e il 13 aprile 1900. La seppellirono, secondo la sua volontà, nel cimitero del monastero; sulla tomba fu installata una semplice croce di pietra.
Nonostante le due guerre mondiali e la devastazione che ha subito l’Ucraina, il Monastero della Santa Intercessione è sopravvissuto, ed è sopravvissuta anche la tomba di Aleksandra Petrovna. Le monache del monastero e i numerosi pellegrini onorano quotidianamente la memoria della suora Anastasija, granduchessa Aleksandra Petrovna, principessa di Oldenburg.
Per decisione del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa ucraina, il 24 novembre 2009 la suora Anastasija è stata canonizzata come santa locale.
Luca D’Agostini
Fonti
Zoia Belyakova, The Romanov Legacy: The Palaces of St. Petersburg, Hazar Publishing, London 1994
Charlotte Zeepvat, The Camera and the Tsars, Sutton Publishing, Gloucestershire 2004
К. П. Победоносцев и его корреспонденты: Письма и записки» / С предисловием Покровского М. Н.. — Т. 1, полутом 2-й. — М.-Пг., 1923
Великая княгиня Александра Петровна
FONTE: http://www.madrerussia.com/aleksandra-petrovna-la-suora-reale/
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