RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
7 GENNAIO 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Un coniglio si confidava con un serpente
e mentre il coniglio diceva “Io sarò un capo”,
il serpente diceva tra sé:
“Non sai strisciare”
BENI MONTRESOR, Amori e umori quotidiani, Bompiani, 2001, pag. 32
https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/
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Tutti i numeri dell’anno 2018 e 2019 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com
Precisazioni
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SOMMARIO
Morte di un vittorioso proconsole scomodo agli USA ai vertici iraniani
Quei misteri dietro la morte di Soleimani
L’ipotesi di un accordo tra Washington e Teheran dopo la morte di Soleimani
L’uccisione di Soleimani cambia gli scenari in Medio Oriente (e in Iran)
Ecco il ruolo degli 007 israeliani dietro l’attacco contro Soleimani
Tre possibili spiegazioni della morte di Soleimani
L’Iran ha scoperto un giacimento di petrolio da 53 miliardi di barili
Scoperto in Iran un nuovo maxi-giacimento di petrolio
50 bombe nucleari Usa dalla Turchia ad Aviano
LA MASCHERA E IL VOLTO
De Benoist: il liberalismo dei diritti è nemico dell’umanità
Chi e come ingabbia l’Italia con un golpe permanente dal 2011
BIBBIANO SEI MESI DOPO, CON PAOLO ROAT
Sardine di distrazione di massa
Gli Usa sottovalutano la reazione dell’Iran
Dal Medio Oriente al Mediterraneo, la lunga scia rossa del potere
VERSO LA GUERRA CIVILE.
IL TRAMONTO DELL’IMPERO USA,
Burg, Soros E L’Ebreo-Universale
“A Douma ci fu un false flag”: la mail che imbarazza l’Opac
Carceri private e schiavi al lavoro: l’ultimo scandalo Usa
DALLO STATO NAZIONALE DEL LAVORO ALLA GLOBALIZZAZIONE DEL CAPITALE
Appello a Liliana Segre: la Commissione attenta alla libertà
Roaring Twenties: “Impeachment globale” e la fine dell’era della globalizzazione liberale
Capire (davvero) i Derivati
Le lunghe mani dei Rothschild sulla Banca Centrale iraniana
UNO NESSUNO E CENTOMILA
Il papa strattonato
Iran. Gli Stati Uniti e il mondo multipolare preso in faccia. Il ruolo di Israele.
Xi dà il via al primo addestramento dell’esercito. Pechino si prepara al peggio?
L’ULTIMO “AMALEK” – PER ORA
CARO PAPA, ATTENTO ALLO STORICISMO ONTOFOBICO
L’indagine di Durham può inguaiare Obama
Scusi Presidente Mattarella, ma lei chi rappresenta?
Delirio transumanista del Ministro del 5G Pisano: “Uomo-Robot, avanti senza paura!” Dimissioni subito, non scherziamo!
5G sotto mentite spoglie, col microchip avanza
L’internazionale criminale: la Lega anticomunista mondiale
EDITORIALE
Morte di un vittorioso proconsole scomodo agli USA ai vertici iraniani
Manlio Lo Presti – 7 gennaio 2020
La eliminazione del generalissimo iraniano è una ripetizione di un copione che risale dagli imperi dell’antichità. Nulla di nuovo, come sempre.
Abbiamo un generale che si muove con grande abilità nel difficilissimo scenario mediorientale. Sa distillare alleanze e focalizzare avversari. Il suo operato aumenta più che proporzionalmente il suo prestigio e la sua influenza nello scacchiere iracheno-siriano. Viene per questo messo sotto osservazione da:
USA
Vertici religiosi iraniani per i quali nessuno è indispensabile e ne teme la popolarità crescente
Israele
Russia
Turchia.
La miscela omicida è pronta. La storia di Roma insegna. La sua cronaca è lastricata da colpi di mano di generali e del loro assassinio da parte del Senato non appena di ritorno a Roma vittoriosi e a capo di legioni fedelissime e armatissime.
Sempre per non dimenticare MAI che qualsiasi analisi geopolitica deve tenere in grande considerazione i percorsi del denaro, abbiamo la variante della scoperta recente di un giacimento di petrolio pari a circa 53 miliardi di barili!
Come al solito – per sviare da opportune riflessioni complessive – vengono costruite analisi sugli esecutori dell’operazione: Mossad, Cia, traditori all’interno dei vertici iraniani?
Focalizzando invece la pista del danaro (infallibile il detto inglese: follow the money) la visione appare diversa se teniamo conto dell’immenso giacimento di petrolio appena scoperto (1).
Il condottiero appare improvvisamente ingombrante agli USA e ai vertici iraniani ai fini della realizzazione di un maxiaccordo sulla commercializzazione di una enorme quantità di petrolio senza ricorrere ad una guerra. (2)
Contrariamente all’Iraq, l’Iran è meglio strutturato militarmente, possiede veramente armi nucleari in una quantità che è conosciuta solamente da coloro che le hanno fornite lungo il reticolo delle carovaniere asiatiche e non.
TUTTO CIO PREMESSO
Il copione previsto dai soliti spin doctors adesso prevede:
una ondata di proteste per due o tre mesi,
qualche scaramuccia ai confini,
minacce americane e accuse dei democratici.
attentati con varie vittime (il petrolio val bene una scia di morti in qualche aeroporto, scuola, ospedale di una o varie capitali straniere occidentali, vittime di cui non frega una BEATA a nessuno),
bombardamento mediatico di terra, di mare di aria di stampa web e catene televisive mondiali,
dichiarazioni multilaterali, opinioni di centri di ricerca universitari e privati,
200-300 dibattiti televisivi,
contese giuridiche e denunce per querela,
risse variopinte all’ONU,
azioni delle magistrature nazionali per intimidire qualcuno,
qualche omicidio politico,
scontri fra partiti e governi che cambiano,
borse valori in fibrillazione,
utilizzo dello spread come martello pneumatico,
un intervento “pacificatore” dell’ONU,
negoziati mediati da un Paese “terzo” il cui premier riceverà poi il Nobel per la pace,
accordi commerciali,
soldi a valanga,
aperture di sussidiarie Rothschild in Iran e in Siria per la intermediazione (riciclaggio) di una montagna di soldi,
un prossimo film da Hollywood
Con varianti imposte inevitabilmente dalla realtà concreta, il tracciato è questo.
NOTE
- https://it.insideover.com/guerra/misteri-morte-soleimani.html
- https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2020/01/04/lipotesi-un-accordo-washington-teheran-la-morte-soleimani/
IN EVIDENZA
Quei misteri dietro la morte di Soleimani
Matteo Carnieletto – 4 GENNAIO 2020
È da poco passata la mezzanotte quando un aereo partito dalla Siria atterra a Baghdad, la capitale dell’Iraq che, da alcuni giorni, è sconquassata dalle proteste. A bordo del velivolo ci sono due personaggi chiave della politica estera iraniana: il generale Qassem Soleimani, comandante delle Forze Quds, e Abu Mahdi al Muhandis, leader della milizia sciita Hashed. Il generale è da tempo nel mirino di Stati Uniti e Israele. Solamente pochi mesi fa, ad agosto, Tel Aviv aveva provato ad eliminarlo, senza però alcun successo. Occhi furbi e barba brizzolata ben curata, Soleimani sa muoversi con attenzione. A volte si sposta senza lasciare alcuna traccia; altre ancora, invece, si mostra in prima linea per inviare un messaggio ai suoi nemici, come quando si fa immortalare per le strade di Aleppo mentre, non molto lontano, infuria la battaglia contro le milizie jihadiste di Al Nusra. Il generale iraniano sa usare luci e ombre. Conosce il potere delle immagini. E della propaganda.
Quando atterra a Baghdad è tranquillo: conosce bene l’Iraq e non lo teme. “Probabilmente” – scrive Guido Olimpio sull’edizione cartacea del Corriere di oggi – “Soleimani si considerava coperto dall’immunità, aveva tante volte incrociato gli americani in Iraq e non lo avevano toccato”. La scorsa notte, però, qualcosa è cambiato e Soleimani è diventato un obiettivo da eliminare. Subito. La presunta immunità che lo proteggeva è saltata. Come mai?
La morte del generale è ancora avvolta in alcuni misteri. Il primo: non è
Continua qui: https://it.insideover.com/guerra/misteri-morte-soleimani.html
L’ipotesi di un accordo tra Washington e Teheran dopo la morte di Soleimani
4 GENNAIO 2020
La morte del generale a capo della Quds Force, Qassem Soleimani, del 3 gennaio, ha rappresentato un’ulteriore escalation nelle relazioni tra Washington e Teheran. Tuttavia, non è da escludere la possibilità di nuove intese.
Secondo quanto affermato dal Washington Post, l’uccisione di Soleimani potrebbe rivelarsi non del tutto disastrosa ma, al contrario, provvidenziale. Molti hanno considerato la decisione del capo della Casa Bianca, Donald Trump, “miope ed irresponsabile”, nonché una delle più insensate e “provocative” mai compiute da un presidente statunitense. Stando a quanto specificato, l’uccisione ordinata da Trump potrebbe scatenare reazioni pericolose non solo per gli Stati Uniti ma anche per Israele, che si troverebbe a far fronte allo “spaventoso arsenale” di Hezbollah, e per l’intera regione del Golfo.
Parallelamente, però, un Iran definito “scrupoloso” potrebbe decidere di non correre il rischio di una guerra totale soltanto perché uno dei suoi generali è stato ucciso, sebbene si sia trattato di una figura di spicco. Una delle strade che Teheran potrebbe intraprendere consiste nel rifiuto di “opzioni apocalittiche” nell’immediato, decidendo di aspettare e di continuare a mettere in gioco le proprie tattiche contro gli alleati di Washington, senza uno scontro fisico e attraverso un nuovo leader per la Quds Force.
Tuttavia, l’uccisione di Soleimani e gli episodi delle ultime settimane, tra cui l’attacco di ritorsione, del 29 dicembre, contro le basi delle milizie delle Brigate di Hezbollah in Siria e in Iraq, potrebbero rappresentare una sorta di deterrente nei confronti dell’Iran, e, allo stesso tempo, un modo per verificare se Teheran è in grado di impegnarsi in “iniziative diplomatiche”, con il fine ultimo di raggiungere un accordo migliore rispetto a quello sul nucleare del 2015, da cui Washington si è ritirata unilateralmente l’8 maggio 2018.
Negoziare con “Satana”, secondo quanto affermato dal Washington Post, potrebbe rivelarsi, quindi, un’alternativa per l’Iran. Nel 1988, un aereo di linea iraniano venne abbattuto dall’USS Vincennes. Sebbene fosse un incidente, l’episodio convinse il fondatore della repubblica islamica, l’Ayatollah Ruhollah Khomeini, che gli USA avrebbero presto offerto il loro sostegno al presidente iracheno Saddam Hussein nella guerra tra Iran e Iraq. Pertanto, temendo di dover affrontare la potenza statunitense, Khomeini accettò un cessate il fuoco mediato dalle Nazioni Unite, un atto così doloroso che lo paragonò a bere “un calice di veleno”.
In tale quadro, seduti ad un eventuale tavolo di negoziazioni, gli Stati Uniti dovranno altresì impegnarsi a non impiegare forza militare per minacciare altri leader o per minare la sopravvivenza del
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L’uccisione di Soleimani cambia gli scenari in Medio Oriente (e in Iran)
Paolo Mauri – 4 gennaio
Il generale Qasem Soleimani, comandante delle forze speciali delle Irgc, le Guardie della Rivoluzione Islamica dell’Iran, denominate Brigate al-Quds (tradotto Brigate Gerusalemme) è rimasto ucciso, insieme ad Abu Mahdi al-Muhandis, vice comandante delle Forze di Mobilitazione Popolari, una milizia sciita filoiraniana, e fondatore di Kataib Hezbollah, a poca distanza dall’aeroporto di Baghdad a seguito di un raid americano.
L’attacco di precisione è avvenuto dopo una notte di altissima tensione a causa delle numerose esplosioni che si sono registrate proprio nei pressi dello scalo aereo della capitale irachena. Nella mattinata di ieri è arrivata la conferma che il generale Soleimani è stato al centro di un decapitation strike americano su ordine diretto, questa la versione fornita dal Pentagono, dello stesso presidente Donald Trump. Anche Teheran, nelle parole del ministro degli Esteri Javad Zarif, ha confermato la morte del comandante delle Brigate al-Quds in un comunicato dai toni molto duri.
“L’atto di terrorismo internazionale degli Stati Uniti con l’assassinio del generale Soleimani, la forza più efficace nel combattere il Daesh, Al Nusra e Al Qaeda, è estremamente pericolosa e una folle escalation”, sono state le parole di Zarif.
Le Brigate al-Quds, anche dette Forza Quds, sono il ramo delle Irgc, i Pasdaran, che si occupano delle operazioni speciali iraniane all’estero: il gruppo è infatti impegnato in Siria e in Iraq al contrasto di quello che resta delle forze militari di Daesh, il gruppo terrorista di matrice wahabita che ha dato vita al sedicente Stato islamico. Le Brigate al-Quds vengono definite da Stati Uniti e Israele un gruppo terroristico, ma la realtà è diversa: la loro organizzazione – ed il fatto che siano a tutti gli effetti un ramo delle Forze Armate Iraniane – le pongono sullo stesso piano di altri reparti come la Delta Force, i Seal o i nostri incursori del Col Moschin, sebbene con compiti molto spesso diversi e che, per certi versi, possono essere letti come di stampo terroristico.
Il raid americano, che sarebbe stato condotto da droni col supporto di caccia F-15 che sono stati notati decollare dalle basi americane ha eliminato un comandante iraniano che si è trovato dalla stessa parte degli Stati Uniti e degli alleati della Coalizione in più di una occasione: in Afghanistan le Brigate al-Quds di Soleimani hanno contrastato l’attività dei Talebani legata al narcotraffico, problema fondamentale per l’Iran che si trovava ad essere attraversato dalle vie dell’oppio afghano.
Essere dalla stessa parte della barricata su alcuni fronti, però, non significa affatto essere alleati, soprattutto quando gli interessi regionali sono diversi e sono in aperto contrasto: le Brigate al-Quds in Siria hanno infatti combattuto anche le forze “anti-Assad” sostenute dagli Stati Uniti, i cosiddetti “ribelli moderati”, riducendole sulla difensiva anche grazie all’appoggio russo più o meno diretto. Russia che, però, ha sempre avuto una linea accomodante nei riguardi di Tel Aviv tollerando i numerosi raid aerei che le Idf hanno condotto in questi anni contro gli obiettivi iraniani in Siria, ritenuti essere la rete logistica per gli attacchi delle milizie filorianiane lungo i confini con Israele, almeno sino allo scorso 21 novembre quando il viceministro e rappresentante speciale per il Medio Oriente, Mikhail Bogdanov, ha condannato l’attacco israeliano: “La conduzione di raid aerei sul territorio
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Ecco il ruolo degli 007 israeliani dietro l’attacco contro Soleimani
Mauro Indelicato – 3 GENNAIO 2020
Gli echi delle esplosioni che nella notte tra giovedì e venerdì a Baghdad hanno ucciso il generale Soleimani, sono subito arrivati anche in Israele. Lo Stato ebraico è direttamente interessato dagli eventi accaduti in Iraq: il generale iraniano rimasto vittima del blitz era nella lista dei principali nemici del paese, un personaggio visto con sospetto per il suo ruolo di braccio militare e diplomatico di Teheran proteso verso il medio oriente. Per questo la notizia della sua morte non è certo potuta passare inosservata. Tuttavia, c’è un altro motivo per il quale il governo israeliano deve essere interessato al blitz avvenuto a Baghdad: secondo il sito Debka files, a fornire supporto all’operazione americana potrebbe essere stato anche il servizio di intelligence di Tel Aviv.
Un ruolo israeliano nella morte di Soleimani?
Debka files, come riporta l’AdnKronos, è un sito molto vicino ai servizi di sicurezza israeliani. E dunque i redattori potrebbero avere tra le mani notizie provenienti direttamente da fonti molto accreditate tra gli 007 di Tel Aviv. Per tal motivo, l’indiscrezione lanciata su questo sito potrebbe non essere così distante dalla realtà. In particolare, in un articolo pubblicato a poche ore dalla morte di Soleimani, si fa riferimento al possibile supporto degli israeliani alle mosse dell’intelligence Usa a Baghdad. I servizi segreti dello Stato ebraico, avrebbero dunque dato un decisivo supporto alla riuscita dell’operazione che ha eliminato uno dei volti più rappresentativi dell’Iran e dunque del paese accreditato come il peggiore nemico di Israele.
“Le nostre fonti – si legge sul sito – riportano che l’operazione contro Soleimani rappresenta una straordinaria impresa di intelligence da parte degli Stati Uniti, a cui è molto probabile che abbiano partecipato anche i servizi israeliani”. In che modo però, non è stato al momento specificato. Le forze americane hanno colpito chirurgicamente a botta sicura, consapevoli di centrare il bersaglio. Una sicurezza che lascia presumere un accurato e delicato lavoro di intelligence, che ha anticipato
Continua qui: https://it.insideover.com/politica/ecco-il-ruolo-degli-007-israeliani-dietro-lattacco-contro-soleimani.html
Tre possibili spiegazioni della morte di Soleimani
Federico Giuliani – 4 GENNAIO 2020
L’ordine di attaccare l’aeroporto internazionale di Baghdad, in Iraq, sarebbe arrivato direttamente da Donald Trump. Almeno questa è la versione fornita dal Pentagono. Il raid ha provocato la morte di dieci persone, cinque iracheni e altrettanti iraniani. Tra questi ultimi spicca il nome del generale Qassem Soleimani, capo delle milizie al-Quds dei Guardiani della Rivoluzione, cioè della forza d’élite dell’esercito della Repubblica islamica. La stessa incaricata di effettuare operazioni all’estero.
Soleimani non era solo uno degli uomini più potenti dell’Iran. Era temuto e rispettato anche in Medio Oriente, nel Golfo Persico e perfino in Asia, gestiva inoltre con sagacia la politica estera di Teheran e varie questioni interne. L’abile stratega, poi, non ha mai nascosto la sua vicinanza all’ayatollah Khamenei e all’ala più conservatrice della politica iraniana. Nel 2018, pochi mesi dopo che Trump decise di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare siglato con l’Iran nel 2015, Soleimani ringhiò contro Washington rilasciando parole inequivocabili: “Vi stiamo addosso. Arriviamo dove neanche vi potete immaginare. Noi siamo pronti. Se inizierete la guerra noi la finiremo”.
Ostacoli da eliminare e pressioni da alleggerire
Insomma, Soleimani non era certo un tipo facile da addomesticare. Trump se n’è accorto subito: le sue frasi a effetto sull’Iran riuscivano a incantare mezzo mondo tranne il generale. Pare inoltre che il presidente americano avesse intenzione di stringere un nuovo accordo con Teheran ma lui, Soleimani, non credeva agli yankee, tanto meno voleva fidarsi del tycoon. Da un certo punto di vista il capo di al-Quds rappresentava quindi una sorta di ostacolo tra la pazza idea diplomatica
Continua qui: https://it.insideover.com/guerra/perche-gli-stati-uniti-hanno-ucciso-soleimani-tre-possibili-speigazioni.html
L’Iran ha scoperto un giacimento di petrolio da 53 miliardi di barili
19:35, 11 novembre 2019
Per Teheran una “buona notizia” per un Paese piegato dalle sanzioni economiche americane
L’Iran ha annunciato la scoperta di un maxi giacimento petrolifero che potrebbe aumentare di un terzo le riserve nazionali, una “buona notizia” per un Paese piegato dalle sanzioni economiche americane. Il presidente, Hassan Rohani, lo ha presentato come “un piccolo dono del governo al popolo”.
“Abbiamo trovato un giacimento di petrolio contenente riserve stimate in 53 miliardi di barili”, ha spiegato il capo di Stato in un discorso a Yazd, nel centro del Paese. Alle fine del 2018 le riserve del Paese erano di 155,6 miliardi di barili, secondo l’ultima edizione della “Statistical Review of World Energy” pubblicata dal gruppo BP.
Numeri che classificavano l’Iran al quarto posto nel mondo alle spalle di Venezuela, Arabia Saudita e Canada. La notizia, se confermata, probabilmente gli farebbe guadagnare un ulteriore posto in classifica. Il giacimento, largo 2.400 chilometri quadrati e profondo 80 metri, si estende secondo Rohani “da Bostan a Omidiyeh”, due città nella provincia del Khuzestan, nel sud-ovest.
La scoperta potrebbe rappresentare una boccata d’ossigeno per l’economia iraniana, in forte sofferenza. Secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale, il Pil quest’anno crollerà del 9,5%. Nel quotidiano, gli iraniani fanno i conti con un’inflazione a doppia cifra, che sta gradualmente diminuendo, e una svalutazione del rial, che aumenta
Continua qui: https://www.agi.it/estero/iran_scoperta_giacimento_petrolio-6524489/news/2019-11-11/
Scoperto in Iran un nuovo maxi-giacimento di petrolio
Sarebbe di circa 50 miliardi di barili e farebbe aumentare le riserve di un terzo. Lo ha annunciato il presidente Rohani
- 10/11/2019
ANADOLU AGENCY VIA GETTY IMAGESTEHRAN, IRAN – NOVEMBER 5: (—-EDITORIAL USE ONLY MANDATORY CREDIT – “IRANIAN PRESIDENCY / HANDOUT” – NO MARKETING NO ADVERTISING CAMPAIGNS – DISTRIBUTED AS A SERVICE TO CLIENTS—-) Iranian President, Hassan Rouhani speaks during the opening ceremony of Free Innovation Factory in Tehran, Iran on November 5, 2019. (Photo by Iranian Presidency / Handout/Anadolu Agency via Getty Images)
L’Iran ha scoperto un nuovo giacimento petrolifero da circa 50 miliardi di barili nel sud del paese. Lo ha annunciato il presidente Hassan Rohani. Lo riportano i media iraniani, rilanciati dall’Associated Press.
I nuovi pozzi farebbero aumentare di un terzo le riserve di petrolio greggio dell’Iran che al momento afferma di disporre di circa 150 miliardi di barili. Il campo scoperto si trova nella provincia di Khuzestan, provincia ricca di petrolio.
Rohani ha fatto il suo annuncio in un discorso pubblico, durante la sua visita nella
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50 bombe nucleari Usa dalla Turchia ad Aviano
di Manlio Dinucci
Preparandosi a reagire a una possibile crisi in seno alla NATO, gli Stati Uniti hanno predisposto un piano di ritiro dalla Turchia delle loro testate nucleari. La base italiana di Aviano sarebbe la scelta strategica migliore, ma potrebbe non avere spazio sufficiente.
RETE VOLTAIRE | ROMA (ITALIA) | 1 GENNAIO 2020
Cinquanta testate nucleari sarebbero pronte a traslocare dalla base turca di Incirlik, in Anatolia, alla base Usaf di Aviano, in Friuli Venezia Giulia, in quanto gli Usa diffiderebbero sempre più della fedeltà alla Nato del presidente turco Erdogan»: lo ha riportato in questi giorni Il Gazzettino (il giornale del Nordest, soprattutto del Friuli Venezia Giulia), per evidente coinvolgimento territoriale, citando quanto dichiarato dal generale a riposo Chuck Wald della Us Air Force in una intervista all’agenzia Bloomberg del 16 novembre scorso [1]. Una conferma di quanto documenta da tempo il manifesto.
«Appare probabile – scrivevamo il 22 ottobre [2]– che, tra le opzioni considerate a Washington, vi sia quella del trasferimento delle armi nucleari Usa dalla Turchia in un altro paese più affidabile. Secondo l’autorevole Bollettino degli Scienziati Atomici (Usa), la base aerea di Aviano può essere la migliore opzione europea dal punto di vista politico, ma probabilmente non ha abbastanza spazio per ricevere tutte le armi nucleari di Incirlik. Lo spazio si potrebbe però ricavare, dato che ad Aviano sono già iniziati lavori di ristrutturazione per accogliere le bombe nucleari B61-12». La nostra notizia allora non venne ripresa.
ORA IL COORDINATORE nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, chiede al governo se conferma la notizia e di portare subito il problema alla valutazione del parlamento, poiché l’Italia verrebbe «trasformata nel maggiore deposito di armi nucleari d’Europa e questo silenzio del governo italiano è inaccettabile»; la stessa cosa chiede in un comunicato Rifondazione comunista: fatto singolare, entrambe le forze politiche non stanno in Parlamento. Il governo italiano da parte sua fa sapere che «la notizia è priva di fondamento». Non spiega però perché i maggiori esperti Usa di armi nucleari ritengano la base di Aviano «la migliore opzione europea dal punto di vista politico» per il trasferimento delle bombe da Incirlik. Il governo continua dunque a tacere – a partire dalle atomiche già stoccate ad Aviano e a Ghedi – e lo stesso fa il parlamento, perché la questione delle armi nucleari Usa in Italia è tabù. Sollevarla vorrebbe dire mettere in discussione il rapporto di sudditanza dell’Italia verso gli Stati uniti.
L’ITALIA continua così ad essere base avanzata delle forze nucleari Usa. Secondo le ultime stime della Federazione degli scienziati americani, in ciascuna delle due basi italiane e in quelle in Germania, Belgio e Paesi Bassi vi sarebbero attualmente 20 B-61, per un totale di 100 più 50 a Incirlik in Turchia. Nessuno però può verificare quante siano in realtà. I governi italiani hanno sempre taciuto; come tace la Regione Friuli Venezia E Giulia guidata dalla Lega «sovranista». Dalle stime risulta che gli Usa stiano diminuendo il loro numero, e non è tranquillizzante. Si preparano infatti a sostituirle con le nuove bombe nucleari B61-12. A differenza della B61 sganciata in verticale, la B61-12 si dirige verso l’obiettivo guidata da un sistema satellitare ed ha la capacità di penetrare nel
Continua qui: https://www.voltairenet.org/article208753.html
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
LA MASCHERA E IL VOLTO
Augusto Sinagra – 2 Gennaio 2020
Diceva Luigi Pirandello che nella vita si incontrano molte maschere e pochi volti.
Ora le maschere cominciano a cadere e i volti sono davvero inquietanti.
Non so chi gli ha scritto il discorso di fine anno, ma il figlio di Bernardo Mattarella, tra le tante prevedibili banalità e omissioni, ha detto una cosa inquietante: “Quando perdiamo il diritto di essere differenti, perdiamo il privilegio di essere liberi”. Sembra una bella riflessione, ma non è così.
Viviamo da tempo una situazione in cui non vi è più traccia di diritto ad essere “differenti”.
Il concetto potrebbe essere declinato in molti sensi: in senso democratico e politico, in senso costituzionale con riguardo ai diritti e alle libertà di esser differenti nella manifestazione delle idee, nel diritto di associazione e di manifestazione, nel diritto di professare qualsivoglia fede religiosa (il tutto con l’unico limite dell’ordine pubblico), e in tanti altri sensi ancora.
Ma non è così da tempo.
La negazione della differenza è stata icasticamente e violentemente proclamata dal Capo-sardine (l’uomo di Prodi e compagni) il quale con riferimento al Sen. Matteo Salvini ha dichiarato in modo impudente che Salvini “ha il diritto di parlare ma non di essere ascoltato”.
Questa situazione di pretesa e violenta adesione al “pensiero unico”, negatrice di ogni differenza, è nota a tutti a cominciare dal figlio di Bernardo Mattarella.
Stampa e TV non parlano più di sbarchi illegali di sedicenti “profughi” per impedire, appunto, un giudizio differente.
Allora i casi sono due: o il Capo dello Stato è in malafede e non denuncia, come sarebbe suo dovere, la situazione di diffusa violenza morale e cioè di negazione del “diritto alla differenza”, oppure non si rende
Continua qui: http://italiaeilmondo.com/2020/01/02/la-maschera-e-il-volto-di-augusto-sinagra/
De Benoist: il liberalismo dei diritti è nemico dell’umanità
Scritto il 08/12/19
«Femminicidi e disoccupazione giovanile di massa: cosa unisce queste due patologie sociali? C’è una causa che congiunge il matrimonio omosessuale e i confini spalancati alle immigrazioni di massa, i diritti gay con la denatalità e la delocalizzazione dei lavori in Asia? Il suicidio assistito con l’austerità imposta e l’iniquità sociale senza precedenti nella storia, e che nessuno si cura di rettificare?». Per quanto sembri incredibile, scrive il cattolico tradizionalista Maurizio Blondet, questi fenomeni apparentemente disparati hanno una sola causa: il liberalismo. Blondet non usa la parola “liberismo”, né la parolaccia “neoliberismo”: punta il dito proprio contro il liberalismo, da cui – secondo i libri di storia – è nato l’istituto della democrazia. In realtà, Blondet si riferisce all’ultimo saggio di Alain de Benoist, “Critica al liberalismo”, edito da Arianna. L’anziano giornalista, spesso acuto osservatore dell’attualità italiana e internazionale, lo definisce «testo capitale e arma intellettuale necessaria per la polemica filosofica e politica al totalitarismo vigente». Avvertenza: il liberalismo «non va confuso con la teoria economica, promotrice della libera concorrenza». Per de Benoist, pensatore e politologo della “Nouvelle Droite” francese, il liberalismo è innanzitutto «un’ideologia basata su un errore antropologico», ossia su un fatale equivoco sulla natura dell’uomo.
Alain De Benoist
Alla sua base – traduce Blondet, sul suo blog – c’è l’individualismo, inteso nel modo più radicale: «L’idea che esistono solo gli individui, che sono primari rispetto alla comunità», la quale «non è che somma di individui-atomi», che alla società «non devono niente». Secondo de Benoist, il liberalismo non è (come pretende essere) l’ideologia della libertà, ma «l’ideologia che mette la libertà al servizio del solo individuo, affrancato da ogni appartenenza», e trasformato essenialmente in consumatore. Questa teoria sostiene che l’uomo è anzitutto «quello che ha liberamente scelto di essere, interamente padrone di sé e delle sue scelte, a partire non da qualcosa che già c’è, ma a partire dal niente». In questo, Blondet ravvisa le tracce ideologiche della “sinistra fucsia” messa alla frusta da Diego Fusaro, fondatore di Vox Italia. Blondet evoca un «partito radicale di massa, imperante totalitariamente». E spiega: il guaio, secondo lui, è «l’idea che la libertà sia “il diritto di avere diritti”, che “lo Stato esiste solo per soddisfare i desideri individuali, subito elevati a diritti”». E’ la mentalità diffusa nell’uomo comune odierno, «che si sente “liberato” dai “tabù”, e si fa addirittura psico-poliziotto a difesa di questa ideologia, ormai “fatto sociale totale”».
Ma la più radicale asserzione del pensiero contro cui si scaglia de Benoist, aggiunge Blondet, viene dallo storico tempio intellettuale del liberismo, la Mont Pélerin Society, fondata nel ’47 nientemeno da Milton Friedman, Friedrich von Hayek e Karl Popper «per promuovere il libero mercato e la società aperta». La afferma un socio francese della Mont Pélerin, Bernard Lemennicier: ogni nazione, ha scritto, «è semplicemente un aggregato di esseri umani», quindi un «feticcio politico introvabile». Infatti, dice: «Come può una società avere dei valori e delle preferenze indipendentemente dai membri che la costituiscono?». Aggiunge Lemennicier: «Non bisogna ingannarsi sul sentimento di appartenenza. Non si appartiene ad una nazione, né a un territorio,
Continua qui: https://www.libreidee.org/2019/12/de-benoist-il-liberalismo-dei-diritti-e-nemico-dellumanita/
BELPAESE DA SALVARE
Chi e come ingabbia l’Italia con un golpe permanente dal 2011
Maurizio Blondet 30 Dicembre 2019
Il commento di Giuseppe Liturri alla lettera di Giulio Tremonti al Sole 24 Ore in cui l’ex ministro dell’Economia parla del ruolo di Francia e Germania, del Fondo Salva Stati e del “crepitare degli spread” …
Non sono in grado di fare una comparazione storica per valutare se questo sia un momento particolarmente difficile per la qualità dell’informazione nel nostro Paese. Confesso però tutta la mia preoccupazione nel vedere, da un lato, ragazzini impalcarsi e proclamare slogan privi di contenuti in favore di telecamere e con un’eco mediatica francamente sospetta e, dall’altro, nel vedere praticamente ignorato un articolo di un ex ministro dell’Economia che riporta fatti e circostanze di fondamentale importanza per l’Italia.
Il riferimento è alla lettera di Giulio Tremonti al direttore del Sole 24 ore, pubblicata il 27 dicembre, in risposta a un articolo relativo alla storia delle clausole di salvaguardia del 24 dicembre.
Di quell’articolo, Tremonti non contesta il “detto” ma il “non detto”. E quest’ultimo riguarda proprio il perché ed il come quelle clausole furono imposte all’Italia. E si torna così a quei giorni roventi dell’agosto 2011, quando i conti pubblici italiani furono valutati improvvisamente sull’orlo del baratro, quando solo pochi mesi prima ne era stata certificata la loro sostenibilità sia nelle Considerazioni finali di Mario Draghi (“…Grazie… a una prudente gestione della spesa durante la crisi, lo sforzo che ci è richiesto è minore che in molti altri paesi avanzati…”) che nei report del Fmi e della Commissione Ue (debito italiano a basso rischio di sostenibilità nel lungo termine).
Tremonti ribadisce, anche in questo intervento, che quella improvvisa pressione, esercitata con la lettera a firma Trichet/Draghi del 4 agosto, e culminata con il ‘Decreto di Ferragosto’ con cui si anticipava di un anno il pareggio di bilancio con una pesante correzione dei conti per ulteriori 20 miliardi, fu “…in realtà esercitata per forzare l’Italia verso l’ipotesi di un abnorme finanziamento al “Fondo Salva Stati”, fondo che avrebbe dovuto essere usato non per salvare la Grecia, ma le banche tedesche e francesi esposte a rischio sulla Grecia…”.
Tremonti proponeva infatti che la contribuzione degli Stati al fondo avvenisse in proporzione ai crediti vantati dalle banche di ciascuno Stato verso gli Stati in difficoltà. In questo modo l’Italia, le cui banche erano poco esposte verso Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo (Paesi che, in tempi diversi, hanno ricevuto i finanziamenti del EFSF/MES) avrebbe contribuito in modo molto ridotto al Fondo. Francia e Germania premevano affinché la contribuzione avvenisse in proporzione
Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/chi-e-come-ingabbia-litalia-con-un-golpe-permanente-dal-2011/
BIBBIANO SEI MESI DOPO, CON PAOLO ROAT
28 Dicembre 2019 giuseppegerminario
A sei mesi dalla formalizzazione delle indagini sulla gestione degli affidamenti dei minori a Bibbiano, la questione, dopo anni di sottovalutazione e di compiacenze, ha assunto finalmente una rilevanza nazionale.
Manca ancora la consapevolezza che la stessa abbia una dimensione nazionale che
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Sardine di distrazione di massa
Un botta e risposta di Giulietto Chiesa con alcuni lettori con una critica spietata al fenomeno artificiale delle sardine.
23 dicembre 2019 di Giulietto Chiesa.
SARDINE REPUBBLICANE
Ho letto la lettera a Repubblica. Sconcertante vuotezza. È sbalorditivo che ci sia molta gente, in qualche caso perfino persone normali, che dia credito a questa roba. Ma è un segno dei tempi. Folle solitarie si lasciano muovere dalle bollicine di superficie, scambiandole per correnti. L’unico interrogativo è questo: quanto tempo impiegheranno per sparire.
—— 21 dicembre
SARDINE: L’ENNESIMA MANOVRA DIVERSIVA
(Risposta a Leonello Carlo Boggero)
[…]
Buongiorno! Perché tanto livore contro le Sardine? Ma non basta lo sputtanamento continuo e gratuito dei giornali servi del pluricondannato milanese e dei tanti pennivendoli ammiccanti ai beceri padani, che abboccano i loro lettori nello stagno sovranista e nazionalista?
Scelgo questa tra le diverse lettere di protesta che ho ricevuto per il mio giudizio (che confermo) sulla lettera delle sardine alla Grande Sardina (Repubblica).
Perché è sintomatica. Nel senso che, riflette un’idea totalitaria di fondo: se non sei con gli uni, sei per forza con gli altri. Non è così, signor Boggero. Io critico le sardine perché le considero, come insieme, una illusione. Vedo con tutta chiarezza che sono il risultato di una manipolazione organizzata dalla classe dirigente (ormai allo sfascio ma non morta), sostenuta infatti (come non accorgersene?) da gran parte del mainstream (quattro canali tv e tutti i grandi giornali del centro sinistra e affini). Basata su un “neo anti-fascismo” che distrae il pubblico dal vero pericolo, rappresentato dai globalisti-consumisti-filoamericani-filo nato-filo neoliberismo, russofobi, che ci portano in guerra. Infatti, le sardine si guardano bene dal parlare della nostra sudditanza Nato e del denunciare il nostro stato coloniale. Il neo-antifascismo è uno specchietto per le allodole, perché il fascismo, quello storico, non è affatto alle porte. È solo un relitto archeologico.
Salvini è anche lui una marionetta-spauracchio per i gonzi che ci credono. Sulle questioni chiave della sovranità non ha mosso un dito quando era al governo con i 5 Stelle. Ammicca al fascismo? Direi che è piuttosto becero, non mi piace per niente. Ma non lo considero il pericolo principale. Il pericolo principale sono i Padroni Universali, che dettano anche a lui le stesse regole che dominano le azioni del governo italiano attuale. Il resto è puro teatro, per i gonzi che ci cascano. Le sardine le considero una manovra transeunte, che serve come diversivo preelettorale, per quanto ci saranno le prossime elezioni, se ci saranno. E, se non ci saranno, non sarà certo per colpa di Salvini. Il quale — come sto cercando di dimostrare — non conta niente. Fa paura solo a quelli che non hanno capito da dove viene il pericolo. Le sardine non sono molto diverse, per esempio, dal cosiddetto “Popolo Viola”, dai cosiddetti “Girotondi”, dalle altrettanto evidenti operazioni diversive auto-tranquillizzanti tipo “Occupy Wall Street”. O, come la più recente serie di “ondate giovanili” del tipo “Extinction-Rebellion”, o il “fenomeno Greta”.
Tutte cose già viste e riviste, che durano una stagione, riempiono le pagine e gli schermi, fanno scrivere fiumi d’inchiostro ai giornalisti scemi. E attraggono un pubblico del tutto ormai manipolabile e manipolato,
Continua qui: https://megachip.globalist.it/lettere/2019/12/23/sardine-di-distrazione-di-massa-2050792.html
CONFLITTI GEOPOLITICI
Gli Usa sottovalutano la reazione dell’Iran
Roberto Vivaldelli – 4 GENNAIO 2020
John J. Mearsheimer, uno dei più importanti e influenti studiosi di relazioni internazionali al mondo e distinto professore di Scienze Politiche presso l’Università di Chicago, celebre esponente della scuola del realismo politico contemporaneo, commenta in esclusiva su Inside Over l’operazione che nelle scorse ore ha ucciso Qassem Soleimani, uno dei leader più importanti dei Pasdaran e guida delle brigate Al Quds, morto sotto i colpi sparati da velivoli senza pilota americani. Un atto che il grande politologo americano descrive come “folle”.
“Donald Trump e i suoi consiglieri non hanno la minima idea che l’altra parte (l’Iran]) abbia una formidabile capacità di rappresaglia. Ci si chiede cosa stessero pensando quando hanno agito”, afferma. L’autore del celebre saggio La tragedia delle grandi potenze, ormai un classico della saggistica sulle relazioni internazionali, oltre che dell’ultimo La grande illusione. Perché la democrazia liberale non può cambiare il mondo, sottolinea che dopo l’uccisione di Soleimani gli Usa sono in un vicolo cieco. “Il problema fondamentale – spiega – è che qui non c’è una via d’uscita. Gli Stati Uniti sono impegnati a convincere l’Iran ad arrendersi e ciò non accadrà. Nemmeno Trump può farlo, per via delle pressioni, e questa è l’ultima cosa di cui ha bisogno in un anno elettorale”.
Le relazioni tra Iran e Usa
Lo scorso marzo, Mearsheimer raccontava, in un’intervista a Inside Over, perché, a suo dire, Teheran non rappresenterebbe una minaccia diretta né per gli Stati Uniti né per l’Occidente. “L’Iran – osservava il celebre studioso – non è una minaccia diretta per gli Stati Uniti. Non è nemmeno una minaccia indiretta. Primo, l’Iran non ha armi nucleari e ha firmato un accordo con le maggiori potenze mondiali che rende impossibile per Teheran sviluppare armi nucleari nel prossimo futuro. Secondo, l’Iran non ha missili che possano colpire la popolazione degli Stati Uniti. Terzo, l’Iran ha forze convenzionali deboli, che non possono essere utilizzate contro gli Stati Uniti o in qualsiasi altro Paese del Medio Oriente sotto l’ombrello della sicurezza americana. In quarto luogo, l’Iran non rappresenta una seria minaccia per attaccare un altro Paese nella sua regione. Non ha lanciato una guerra
Continua qui: https://it.insideover.com/politica/gli-usa-sottovalutano-la-reazione-delliran.html
Dal Medio Oriente al Mediterraneo, la lunga scia rossa del potere
–
4 GENNAIO 2020
Questo è il primo quadro generale strategico chiaro alla Turchia:
https://www.aa.com.tr/en/analysis/analysis-turkey-s-new-geostrategy-from-tripoli-to-doha-defending-an-area-/1682719 — https://defencereview.gr/stochopoiontas-ton-toyrkiko-stolo-o-fonikos-syndyasmos-am-39-block-2-exocet-kai-mirage-2000-apokleistikes-foto/ Iniziano a salire le acredini tra Grecia e Turchia, ma la UE vuole rimanere tassativamente neutrale e non aiuta la Grecia a difendere i propri spazi aerei. Per difendere gli interessi strategici d’oltremare la Turchia vorrebbe una sua base in Libia, vuole costruire un potere navale con base libica e iniziare a spostare la sua linea geopolitica di difesa oltre i suoi confini. Il potere dice che chi domina il Mediterraneo domina tre continenti. Leggendo bene l’articolo si comprende che la Turchia sta costruendo una linea dinamica di difesa particolare che spazia nel Mediterraneo, vuole toccare l’Oceano Indiano partendo dalla Libia arrivando fino alla Somalia, il Sultano vuole creare un’area di dominio. E’ un nuovo impero che vuole espandersi.
La Grecia si sta ricompattando perché si sente molto minacciata, ma rimane
Continua qui: http://www.orazero.org/dal-mediooriente-al-mediterraneo-la-lunga-scia-rossa-del-potere/
VERSO LA GUERRA CIVILE.
IL TRAMONTO DELL’IMPERO USA,
22 Dicembre 2019 – PRIMA PARTE_DI GIANFRANCO CAMPA
Qui sotto la prima di una serie di articoli di Gianfranco Campa che testimoniano ed analizzano la dinamica dello scontro politico interno agli Stati Uniti; un confronto che sta superando soglie di asprezza e violenza tali da innescare una condizione di vera e propria guerra civile strisciante. Questo sito ha dedicato all’argomento ormai decine di articoli e podcast senza però entrare direttamente nel merito di queste dinamiche. Lo scontro politico in corso non è solo espressione di una polarizzazione e frammentazione della formazione sociale americana, ma sta diventando un fattore scatenante e un moltiplicatore degli antagonismi e delle contrapposizioni irriducibili. Non è detto che una simile condizione conduca necessariamente al declino; l’esempio delle vicissitudini interne alla Roma antica deve indurre alla prudenza nelle previsioni. Con questa serie si partirà da testimonianze dirette per poi passare a considerazioni generali necessarie a comprendere non solo le dinamiche interne ma anche i riflessi geopolitici del conflitto in corso. Si vedrà che la rappresentazione istrionica e caricaturale, moralistica di questo conflitto, così in auge tra i soloni mediatici del nostro paese non fa che contribuire alla cecità e al provincialismo dei comportamenti delle classi dirigenti italiche e alla considerazione caricaturale che si stanno guadagnando nel mondo con tutta la loro buona volontà e incoscienza
Giuseppe Germinario
(Prima Parte)
“Questa è la mia collina di Armageddon, da qui combatterò la mia ultima battaglia, il mio ultimo atto”
LA COLLINA DI ARMAGEDDON
Erano i primi giorni di servizio effettivo, giorni di smarrimento, annebbiamento mentale e fisico, seguiti ad un estenuante corso di addestramento durato sette mesi. Ma non era finita! Ai sette mesi di accademia si aggiungevano i quattro mesi di addestramento sul campo. Quattro mesi di pratica, la prova del fuoco sulla strada, in auto, di pattugliamento con un altro agente seduto al fianco, specializzato nel valutare il rendimento ed il corretto adempimento al dovere. È sulla “strada” che devi dimostrare di aver appreso e di saper mettere in pratica i concetti di base propinati durante l’accademia di polizia. Un appuntamento giunto al quale di solito un buon 10-20% delle reclute fallisce l’obbiettivo e la realizzazione di una aspirazione.
Già nei mesi precedenti oltre il 30% dei commilitoni, compagni di accademia, tra di loro alcuni amici carissimi, erano stati rispediti a casa per aver fallito uno dei 187 esami previsti durante il corso. La durezza della selezione e la concreta possibilità di fallire spinge la maggior parte dei “rookies” a sviluppare un meccanismo di autodifesa. Per molti diventare un poliziotto rimarrà solo un miraggio, un sogno mai realizzato, riposto in qualche cassetto. Per questo ti guardi intorno e cerchi di trovare quella boa, quel salvagente che ti possa aiutare a rimanere a galla, almeno fino a quando non esci dal tunnel. I meccanismi di autodifesa per superare lo stress e gli ostacoli esistono, anche se sono più che altro espedienti emotivi che ti danno una apparente sensazione di coraggio e di adeguatezza. Chi si affida alle preghiere, chi allo yoga, chi alle bevande energetiche, chi invece alla raccomandazione di qualcuno in una posizione di potere. Tutti questi accorgimenti, lo ribadisco, non assicurano il successo nell’iter di addestramento. Neanche l’ultima soluzione, il sotterfugio può garantire la sopravvivenza; in California per arrivare ad essere poliziotto la raccomandazione non serve, gli esami non si possono aggirare o addomesticare.
Il turno comincia alle 07.00 e finisce alle 19.00. Arrivo al distaccamento 30 minuti in anticipo, entro nello spogliatoio e mi guardo intorno. UOMINI/DONNE, BUSSA PRIMA DI ENTRARE, annuncia il cartello affisso sulla porta. È il benvenuto in un distaccamento troppo piccolo per avere spogliatoi separati. Lo stress si fa sentire. Lo yoga non lo pratico, con le
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CULTURA
Burg, Soros E L’Ebreo-Universale
Gilad Atzmon – 5 GENNAIO 2020
Mentre la lobby ebraica e le sue squadre di psico-poliziotti sono indaffarate ad inquadrare e distruggere chiunque osi menzionare l’etnia di Soros, Avraham Burg, eminente politico israeliano, ex presidente dell’Agenzia Ebraica e presidente ad interim di Israele plaude a George Soros come alla perfetta icona di “Ebreo-universale.”
In un suo recente articolo su Haaretz intitolato “Preparatevi per il decennio ‘ebraico-universale’ di George Soros e della Open Society,” il politico israeliano afferma che solo “alcune persone hanno il coraggio di resistere ai nuovi tiranni del decennio al comando delle democrazie illiberali.” Apparentemente “una di queste persone di coraggio è Soros.” Secondo Burg, Soros “rappresenta un punto fermo ‘ebraico-universale,’ un simbolo ebraico alternativo a quello semplicistico abbracciato da Netanyahu, Trump e dai loro sostenitori.”
Secondo il concetto del cosiddetto “Ebraismo-universale,” il 52% degli Inglesi che vogliono separarsi dall’UE sono da considerarsi una “rumorosa minoranza suicida.” Sembra che il cosiddetto “Ebreo-universale” non sia molto tollerante nei confronti delle persone che votano per i Conservatori, Trump o Netanyahu. Questo “Ebreo-universale” sembrerebbe essere anche piuttosto ostile nei confronti di coloro che apprezzano i punti di vista dei Conservatori o che sono così sfortunati da avere la pelle bianca. E, come abbiamo scoperto, l’”Ebreo-universale” non è molto tollerante neanche nei confronti della letteratura e della libertà di parola. Abbiamo visto gli enti finanziati da Soros lavorare instancabilmente per bruciare libri, eliminare testi e persino rimuovere reperti storici ritenuti importanti dalle persone con cui [Soros] è in disaccordo.
Il concetto di Burg di Ebreo-universale non ha alcuna relazione con la nozione greca di “universale ” o di “universalismo.”
Anche se Burg non approva il volto barbaro di Israele e del Sionismo, in qualche modo considera Soros come l’incarnazione dell’impegno ebraico al Tikun Olam, cioè al perfezionamento del mondo. “Mentre così tanti Ebrei stanno facendo del loro meglio per diventare criminali ultra-nazionalisti e violenti, duri e insensibili, Soros rappresenta, forse inconsapevolmente, l’altro volto della civiltà ebraica, quello nascosto ed incantato, il cui obbligo principale è l’impegno di riparare le ingiustizie del mondo, non solo per gli Ebrei ma per tutti.” Tendo a pensare che il mondo sarebbe un posto molto più bello e più sicuro se gli Ebrei decidessero di essere leggermente meno appassionati nel salvare gli altri e si concentrassero invece nel mettere a posto il loro Stato Ebraico.
Nel suo commento su Haaretz, Burg fa riferimento al mentore di Soros, Karl Popper, autore di The Open Society and its Enemies [L’Open Society e i suoi nemici]. Secondo Popper, nessuna persona o organizzazione ha il monopolio della verità, quindi, maggiore è il numero di opinioni diverse tra le persone che vivono in pace e tolleranza l’una con l’altra, maggiori sono i benefici che ne derivano per tutti. Sfortunatamente, Soros e la sua Open Society non seguono il mantra filosofico di Popper. L’”universalismo-ebraico” di Soros è un costrutto divisivo. Frantuma la società in una varietà di segmenti identitari
Continua qui: https://comedonchisciotte.org/burg-soros-e-lebreo-universale/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
“A Douma ci fu un false flag”: la mail che imbarazza l’Opac
Roberto Vivaldelli – 28 DICEMBRE 2019
La storia sugli attacchi chimici in Siria potrebbe essere riscritta. L’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opcw o Opac) rimosse alcuni documenti che provavano una probabile operazione di false flag a Douma, il 7 aprile del 2018. I media internazionali, senza neanche attendere l’esito dell’indagine scientifica dell’organismo tecnico internazionale che vigila sul rispetto della Convenzione sulle armi chimiche, diedero immediatamente la colpa al governo siriano di Bashar al-Assad: esattamente a una settimana dopo, il presidente americano Donald Trump ordinò, assieme a Francia e Gran Bretagna, una serie di bombardamenti in Siria. Ora però, una nuova mail pubblicata da Wikileaks dimostra che l’Opac rimosse un documento che sarebbe potuto diventare essenziale per comprendere la verità su ciò che accadde quel giorno, in Siria.
Come riporta il sito della fondazione dell’ex senatore americano Ron Paul, in un’e-mail interna pubblicata da WikiLeaks venerdì, si legge come un alto funzionario dell’Opac abbia ordinato a un ispettore dell’organizzazione di rimuovere un documento “e ogni sua traccia” dall’archivio del registro dei documenti dell’organizzazione. Il documento in questione è una valutazione tecnica scritta dall’ispettore Ian Henderson dopo una missione conoscitiva a Douma, teatro del presunto attacco chimico.
La mail che sbugiarda la narrazione ufficiale
L’ispettore dell’Opac osserva che le prove raccolte a Douma contraddicono la narrazione ufficiale e apre all’ipotesi che gli islamisti ribelli – che avevano il controllo di Douma in quel periodo – abbiano condotto un’operazione di false flag – , sotto falsa bandiera, ovvero una messa in scena – per incolpare Damasco e indurre le nazioni occidentali ad attaccare Bashar al-Assad. La e-mail è stata scritta da Sebastien Braha, capo di gabinetto dell’Opac. La sua autenticità non è ancora stata confermata, ma l’organizzazione non ha mai affermato che nessuno dei documenti trapelati in precedenza non fosse reale.
Il rapporto finale dell’Opac faceva intendere che il governo siriano fosse
Continua qui: https://it.insideover.com/guerra/a-douma-ci-fu-un-false-flag-la-mail-che-imbarazza-lopac.html
DIRITTI UMANI
Carceri private e schiavi al lavoro: l’ultimo scandalo Usa
Scritto il 04/1/20
L’ultimo scandalo americano? Sarebbe «l’uso, da parte del multi-miliardario ebreo Mike Bloomberg, di call center operati da carcerati per la pubblicità della sua campagna presidenziale». Attenzione: la popolazione carceraria degli Stati Uniti è superiore di 21.100 unità rispetto alla somma dei detenuti di Cina e India, due paesi la cui popolazione complessiva è pari a otto volte quella degli States.
A denunciare lo sfruttamento professionale dei carcerati, nel “paese della libertà”, è un economista come Paul Craig Roberts, già viceministro con Reagan. A utilizzare manodopera reclusa sono colossi come Apple, ma non solo: stivali e abbigliamento per i militari vengono prodotti facendo lavorare i detenuti. «Chiaramente, le autorità hanno legittimato le carceri private e l’appalto del lavoro penitenziario a basso costo ad entità private che lo utilizzano a scopo di lucro», scrive Craig Roberts, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Secondo “The Intercept”, Bloomberg vale 54 miliardi di dollari, ed Apple molto di più.
Domanda: «Se Apple può usare il lavoro dei carcerati, perché non può farlo Bloomberg?
Quelli che ci guadagnano sono gli appaltatori che affittano i detenuti-lavoratori a Bloomberg, ad Apple, al Dipartimento della difesa: incassano il salario minimo statale per i lavori penitenziari, mentre i carcerati sono retribuiti con pochi dollari al mese».
In passato, ricorda Craig Roberts, i detenuti lavoravano alla manutenzione delle strade pubbliche e non venivano pagati. Ma attenzione: «Lavoravano per la comunità, che a sua volta pagava le spese della loro incarcerazione». Oggi invece «lavorano per le aziende private e generano profitti per le aziende private».
Secondo l’analista, «quello che stiamo vivendo è il ritorno del feudalesimo».
Sintetizzando: «Lo Stato arresta la gente e la incarcera nelle prigioni private». Sempre lo Stato, poi, «usa i soldi dei contribuenti per pagare le aziende private che gestiscono queste prigioni».
A quel punto, «questi centri di detenzione privati affittano il lavoro dei prigionieri
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ECONOMIA
DALLO STATO NAZIONALE DEL LAVORO ALLA GLOBALIZZAZIONE DEL CAPITALE
Luigi Copertino 24 Dicembre 2019
Dallo Stato nazionale del lavoro alla globalizzazione del capitale
Il Labour in Inghilterra ha perso le elezioni surclassato dai tories proprio sui temi sociali. E’ l’effetto interno della Brexit. Dietro il dibattito intorno ad essa, infatti, si nasconde l’esigenza di protezione sociale espressa dai ceti medi e dalla classe lavoratrice che i conservatori hanno saputo intercettare meglio dei laburisti, nonostante che con Corbyn il Labour fosse tornato su posizioni più di sinistra rispetto all’epoca Blair. Non deve, del resto, meravigliare il fatto che i tories abbiano all’improvviso mostrato un volto, diciamo così, “sociale”. In Inghilterra c’è una antica tradizione conservatrice antiliberista risalente a Benjamin Disraeli. Si tratta del cosiddetto “conservatorismo uninazionale”, una forma di conservatorismo nazionale con ampie aperture sociali, che rappresentò l’ideologia profonda del Tory in diverse fasi della sua storia, per gran parte del XIX secolo, nell’immediato primo dopoguerra e poi anche per tutti gli anni ’50, ’60 e ’70 del XX secolo quando i conservatori difendevano lo Stato sociale introdotto nell’immediato secondo dopoguerra dai laburisti. Neanche con Churchill i conservatori furono integralmente liberisti ed anzi ammiccavano ad un certo interventismo statale “paternalista” in funzione della stabilità sociale attraverso una almeno parziale redistribuzione della ricchezza. Solo con la Thatcher i tories diventarono integralmente neoliberisti, abbandonando il vecchio conservatorismo per un “nuovo conservatorismo” che si riallacciava alle componenti libertarians serpeggianti nel Tory Party sin da quando nel 1912 esso assorbì il partito liberale unionista. Nel 2010, quando era ancora sindaco di Londra, Boris Johnson dichiarò di essere un conservatore uninazionale. Non a caso egli ha ripreso i temi sociali di questa corrente conservatrice che, oltretutto, ha sempre guardato con diffidenza al progetto di unione europea.
Mentre, dunque, oltremanica prendeva forma la svolta di Johnson, in casa nostra, nel pieno della discussione parlamentare sul Meccanismo Europeo di Stabilità, 32 economisti di sinistra, contrari al Mes, hanno firmato un manifesto-appello rivolto al governo piddino-grillino chiedendo che l’Italia bloccasse, opponendo la sua non adesione, uno strumento finanziario pensato a tutto vantaggio del condominio franco-tedesco in Europa. Senza volerlo questi economisti hanno offerto un incredibile assist a Matteo Salvini il quale, infatti, durante la discussione parlamentare sul tema li ha ampiamente citati mostrando lo scollamento del governo rispetto alla sua cultura politica di provenienza. Per questo i 32 sono dovuti intervenire nuovamente su “Repubblica” per prendere le distanze dal capo della Lega ma al tempo stesso per pungolare ancora una volta il governo sedicente di sinistra affinché fossero fermate le trattative sul “Fondo Salva Stati”.
Quanto è accaduto in questi giorni ha evidenziato il fatto, storicamente certo, per cui il lavoro senza lo Stato resta privo di tutele a fronte delle spinte apolidi che da sempre animano il capitalismo specialmente nella sua versione finanziaria, quella oggi egemone nella fase terminale della modernità in passaggio alla postmodernità.
Guardando alla distanza, sotto un profilo storico, è innegabile che le classi popolari hanno conseguito grandi avanzamenti sociali soltanto all’interno della Stato nazionale mentre esse hanno iniziato ad indietreggiate con la sua destrutturazione. Sembra, tuttavia, che i 32 economisti non siano consapevoli di questo dato storico, salvo forse uno di essi.
Sergio Cesaratto, tra i firmatari del manifesto dei 32 contro il Mes, è forse l’unico tra i suoi colleghi ad aver compreso il ruolo svolto dallo Stato nazionale nella tutela e nell’innalzamento sociale dei ceti meno abbienti. Cesaratto infatti è autore di un piccolo saggio, reperibile sul web e sul suo sito personale, nel quale ha sostenuto, da sinistra, la temeraria tesi per cui bisogna rivalutare Friedrich List, ossia il padre del “Sistema nazionale di economia politica”, assertore nel secolo XIX del dirigismo e del protezionismo contro il liberismo manchesteriano. Per List solo una economia diretta, come quella che ai suoi tempi era in auge nei giovani Stati Uniti d’America (che infatti nascono dirigisti, con Hamilton, e non liberisti) garantisce la crescita organica dell’intero corpo nazionale. Secondo Cesaratto, List ha capito molte cose che sono sfuggite a Karl Marx il quale nutriva un impossibile sogno globalista sebbene di segno proletario. Lo stesso Cesaratto, del resto, è grande amico ed interlocutore dei peronisti, ossia dei fascisti argentini sebbene senza dubbio fascisti di sinistra.
Il tentativo dei 32 economisti di distanziarsi da Matteo Salvini, che li ha presi ad esempio di una scienza economica onesta e non asservita agli interessi dell’egemonia mercantilista tedesca, appare, alla luce del dato storico, un inutile ed artificioso tentativo retorico. Forse con Salvini, i nostri, non si intenderanno mai – benché un loro collega, anch’egli di sinistra, lo ha fatto fino a farsi eleggere deputato per la Lega, ci riferiamo ad Alberto Bagnai –, e siamo anche noi concordi sul fatto che ci sono molte cose criticabili nel leader leghista e che molti sono i suoi limiti culturali, financo politici. Ma certamente i 32 non possono non fare i conti con il concetto di sovranità nazionale che i sovranisti, pur con tutti i loro limiti (la tanto invocata sovranità deve essere giocata anche contro la Nato, come a noi piacerebbe, oppure no?), hanno innalzato a categoria del Politico. D’altro canto la sovranità nazionale è elemento imprescindibile della sovranità democratica. Essa nasce nel 1789 come bandiera della sinistra, ossia del “terzo stato”, contro la legittimità monarchica. La sinistra fucsia, come la definisce Diego Fusaro, prona ai poteri finanziari mondialisti, triste retaggio dell’utopia internazionalista, sembra averlo completamente dimenticato. Insieme alla sovranità nazionale la sinistra ha conseguentemente dimenticato le
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Appello a Liliana Segre: la Commissione attenta alla libertà
Scritto il 12/11/19
Questo scritto è un appello alla senatrice Segre, al suo coraggio, alla sua lucidità. Una delle più gravi violazioni in atto dei principi fondamentali della Costituzione e della stessa civiltà occidentale è la limitazione ai diritti di informazione, di insegnamento e di ricerca scientifica voluta dal pensiero unico e dai suoi beneficiari. La pubblica informazione è in mano a cinque grandi agenzie mondiali, controllate da capitali privati, dedite al filtraggio delle notizie, delle analisi e al consolidamento di un pensiero unico liberista-mercatista-globalista; ad esse quasi tutti i giornalisti e i mass media si attengono, anche quelli pubblici. I docenti, anche quelli universitari, persino quelli di filosofia, ricevono dalla politica direttive ideologiche afferenti al pensiero unico, cui devono attenersi per conservare il posto, far carriera, aver visibilità. La ricerca scientifica, con la stampa scientifica, è in gran parte finanziata e controllata da capitali privati che contrattualmente si riservano la proprietà dei risultati e il diritto di decidere che cosa divulgare e che cosa no; in tal modo il capitale orienta la scienza, il suo insegnamento, la sua applicazione, dall’economia alla medicina.
Ai medici in Italia è stato perfino vietato, sotto pena di radiazione, di esercitare il diritto di informazione dei pazienti sugli effetti dei vaccini obbligatori. Facebook esercita arbitrariamente il potere di oscurare i suoi utenti non allineati col pensiero unico (lo ha fatto anche a me, per un mese, durante la campagna elettorale europea).
Imperversa la pratica del grievance-mongering, o vittimismo di mestiere, consistente nell’attaccare, isolare, licenziare, oscurare persone che hanno espresso le proprie idee o preferenze nel rispetto della legge, e che strumentalmente il vittimista accusa di averlo offeso nella sua sensibilità religiosa o etnica o razziale o sessuale. Tutto ciò costituisce un’aggressione organica, sistemica, strategica, alla stessa esistenza di una società basata sulle predette libertà, ed esigeva l’urgente costituzione di una Commissione parlamentare per la tutela delle medesime libertà. Invece, hanno fatto la Commissione Segre per il controllo discrezionale della comunicazione via Internet (con possibilità di censura, punizione e oscuramento), onde limitare ulteriormente la libertà di informazione e di pensiero, col pretesto della lotta a un estremismo politico e a un razzismo o suprematismo o sessismo che, sì, esistono e sono talvolta lesivi di beni giuridici riconosciuti, ma sono già puniti dalle leggi italiane e che non hanno, né possono avere in questa fase storica, la forza materiale per minacciare la società.
L’istituzione della Commissione va vista e studiata insieme con altre due ‘riforme’: il tracciamento di ogni pagamento e versamento (con la costrizione a passare per una banca ad ogni transazione); l’imposizione di vaccinazioni di massa senza trasparenza sugli effetti reali dei prodotti inoculati (con l’Ema che vuole inserire dal 2022 le certificazioni vaccinali nei passaporti come condizione di validità). Le tre suddette riforme vanno comprese come strumenti fondamentali e integrati
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Roaring Twenties: “Impeachment globale” e la fine dell’era della globalizzazione liberale
Fyodor Lukyanov – 5 gennaio 2020
Oggi, trascorso un altro decennio, mentre il mondo attende l’arrivo del 2020, è del tutto appropriato guardare ai “ruggenti anni venti” del secolo scorso. Questi anni hanno segnato l’inizio dell’era della globalizzazione; mentre i nostri potrebbero vederne la fine.
Quando il mondo entrò negli anni ’20, aveva già sperimentato la devastazione della prima guerra mondiale. “La Grande Guerra”, uno dei conflitti più mortali della storia, aveva scioccato e traumatizzato tutti, ma tutti nutrivano anche la speranza che non avrebbero più visto l’umanità attraversare un simile calvario. Gli anni 1920 iniziarono come un periodo di vigorosa crescita economica. La globalizzazione è iniziata con l’introduzione del telegrafo, del telefono, della radio e dei viaggi in auto. Le grandi città hanno iniziato a sviluppare centri di commercio e affari internazionali, dominando anche le scene politiche e culturali. Ma i “ruggenti anni Venti” terminarono con la più grave depressione della nostra storia, seguita poco dopo dalla seconda guerra mondiale.
Oggi, un secolo dopo, la speranza sembra assente dal radar globale, soppiantata da una sensazione di crescente apprensione. E questa è probabilmente una buona notizia; più siamo attenti, meno è probabile che dovremo affrontare un disastro. Il mondo sta subendo grandi cambiamenti a un ritmo molto più elevato, abbiamo conflitti e sfide tra le nostre mani che possono essere paragonati ad alcuni dei peggiori episodi del 20 ° secolo. In questi giorni, troppo spesso, il mondo sembra essere sull’orlo dell’esplosione. Tuttavia, nessuno si aspetta una grande guerra. Il sistema globale è tenuto in vita dalle sfide globali come i cambiamenti climatici, nonché la deterrenza nucleare, la multipolarità emergente e le interdipendenze crescenti. Può essere rischioso, ma la speranza è che questi meccanismi di sicurezza siano sufficienti per tenerci a galla. Altrimenti, significherà solo che il sistema è troppo vecchio per continuare a funzionare.
Direi che il 2019 è l’anno del “licenziamento”. Gli sforzi disperati degli democratici americani per sbarazzarsi del presidente repubblicano si sono diffusi come un incendio, consumando non solo gli Stati Uniti ma il mondo intero. A un altro livello, e in un senso molto più ampio del termine, la destituzione è diventata la nuova tendenza globale. Il dissenso pubblico e i movimenti di protesta sono diventati virali. Venezuela, Moldavia, Georgia, Catalogna, Hong Kong, Iran, Iraq, Libano, Egitto, Francia, Cile, Bolivia, Colombia, Ecuador – questi nomi hanno tutti fatto notizia nel 2019. Questo è in aggiunta alle forze anti-sistema dicasi “populisti” che si arrampicano in varie elezioni. A livello locale le ragioni possono essere diverse, ma nel complesso la tendenza è chiara: le persone scendono in strada per dire alle autorità che hanno fallito nei loro compiti.
Nel mondo digitale, tutto funziona in modo molto più semplice e veloce. Prima, per organizzare un movimento di protesta, avevi bisogno di un nucleo: un partito, un’organizzazione, un leader o un’idea. Con finanziamenti adeguati, questo poteva svilupparsi nel tempo. Oggi, il pubblico globale sta navigando nello spazio dei social media e la chiamata di un
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FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Capire (davvero) i Derivati
Non si può capire l’economia senza sapere cosa sono i Derivati. Rimango sempre fortemente sorpreso nello scoprire che la stragrande maggioranza delle persone, compreso chi pontifica di economia nella Rete, non sa nulla dei derivati, associandoli ad un misterioso strumento finanziario. Invece è necessario coglierne il concetto profondo. Conviene allora chiarire due aspetti, il primo ha a che fare con l’origine del prodotto derivato; il secondo, riguarda il suo aspetto meramente speculativo.
LE ORIGINI: Senza girarci troppo attorno, dovete pensare ai derivati come a delle assicurazioni. Cosa fare per tutelarvi di fronte ad un imprevisto? Beh, di norma lo strumento preferito è l’assicurazione. Devo andare in un Paese pericoloso? Aspetta che mi assicuro! Possiedo un cane di grossa taglia che potrebbe anche scapparmi dal cortile? Meglio contrarre un’assicurazione! Bene, le assicurazioni si possono fare anche per lo scambio di beni.
Navigando sui siti specializzati di solito si leggono robe così: “i derivati sono strumenti finanziari complessi che, per la loro enorme diffusione sui mercati di capitali – consolidatasi nei primi anni dopo il Duemila – hanno finito per acquisire un ruolo di assoluta centralità nell’intera economia globale. Come si evince dal loro stesso etimo, i derivati non sono titoli muniti di un proprio valore intrinseco bensì derivano il loro valore da altri prodotti finanziari ovvero da beni reali alla cui variazione di prezzo essi sono agganciati: il titolo o il bene la cui quotazione imprime il valore al derivato assume il nome di sottostante”
Ecco che uno dopo aver letto una roba del genere fa finta di aver capito e passa a fare altro.
I derivati sono nati per tutelare in modo efficiente DOMANDA e OFFERTA di un determinato bene.
Facciamo subito un esempio: poniamo che Tizio voglia vendere una casa di sua proprietà e che Caio la voglia acquistare. Solo che Caio è impossibilitato ad acquistarla ora, hic et nunc. Tizio, dal canto suo, vorrebbe essere sicuro di venderla e teme che, rifiutando un confronto con Caio, magari poi non riuscirà più a venderla. Allora cosa si può fare? Beh, un contratto (futures). Stabilendo oggi il prezzo, versando una caparra e firmando un “compromesso” per ottenerne la consegna fisica fra qualche mese, quando dal Notaio ci sarà il rogito e il restante pagamento a saldo, tutti e due gli interessati si tutelano. Tizio ha la
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Le lunghe mani dei Rothschild sulla Banca Centrale iraniana
25 Febbraio 2014 RILETTURA
Pete Papaherakles è un giornalista dell’American Free Press. In un recente articolo ha denunciato un fatto che, se fosse confermato da ulteriori riscontri, sarebbe davvero grave e chiarirebbe tante cose. Secondo il giornalista indipendente americano, dietro le tensioni sociali in Iran e nel cosiddetto Medio Oriente vi sarebbero i Rothschild, la famosissima e antica famiglia di origine tedesco-giudaica che ha letteralmente inventato il settore bancario e finanziario europeo alla fine del Settecento.
La Repubblica Islamica dell’Iran è il più grande stato del Medio Oriente la cui banca centrale non è controllata, direttamente o indirettamente, dai Rothschild.
Sono ormai pochi gli Stati al mondo che hanno questa caratteristica: secondo il giornalista dell’AFP, prima dell’11 settembre 2011 erano otto gli stati che avevano una banca centrale indipendente dal Sistema bancario e finanziario “occidentale”.
Libia, Afghanistan, Iraq e Sudan sono stati sconquassati da guerre e pseudo-rivoluzioni, e le rispettive banche centrali sono entrate nell’orbita della “Famiglia dallo Scudo Rosso” (Rothschild, dal tedesco antico).
Cuba e Corea del Nord sono, con le dovute differenze del caso, gli ultimi baluardi di un socialismo reale novecentesco, baluardi che prima o poi imploderanno sotto i colpi di qualche sedicente rivoluzione colorata
Continua qui: https://www.identitainsorgenti.com/acquisti-in-corso-le-lunghe-mani-dei-rothschild-sulla-banca-centrale-iraniana/
PANORAMA INTERNAZIONALE
UNO NESSUNO E CENTOMILA
DI ANTONIO DE MARTINI
É tipico di molti regimi a partito unico disporre di una milizia e l’Iran non ha fatto eccezione.
In genere si tratta di organizzazioni di tipo paramilitare con gradi, gerarchie, accademie, ma l’unico «ufficiale e gentiluomo» che si rivelò un eccellente stratega e condottiero, fu il generale, poi maresciallo, Hasso Von Manteufel dell’esercito, dopo però un rapido passaggio in giovinezza nelle famigerate SS, a riprova che la legge dell’eccezione é fondata, ma non si ripete.
Ad Amburgo, città tradizionalmente di sinistra i cui borgomastri diventavano Cancellieri come Helmuth Schmitt, la strada che porta all’Accademia militare si chiama Manteufelstrasse senza che nessuno abbia mai mosso obiezioni.
Non così il maggior generale Suleimani della « Kuds force » – o Quds – come si ostinano a scrivere gli americani.
Il suo ruolo era più assimilabile a quello di un plenipotenziario per gestire la prima collaborazione Irano-americana in funzione anti Daesch.
Gli USA, capito che in Irak non l’avrebbero mai spuntata senza la collaborazione degli sciiti, si erano rassegnati a far reclutare una «milizia popolare sciita» perché i sunniti – spodestati da Bremer- erano tutti avversari del nuovo regime.
Suleimani ebbe una funzione di «endorsement» della campagna di reclutamento americana e di amministratore dei rifornimenti di uomini ed armi, da gestire in maniera da perseguire ANCHE obbiettivi di influenza iraniana oltre che di caccia ai jihadisti.
Inizialmente fu apprezzato, intervistato, il suo ruolo ingigantito.
Gli iraniani ne dilatarono il ruolo anche per la Siria.
Gli USA resisi conto di essere stati giocati e che la “loro”, milizia guardava a Teheran, se la legarono al dito.
Suleimani non è stato ucciso perché fulmine di guerra, ma perché gli USA dopo avergli dato notorietà internazionale, avevano disperato bisogno di sbandierare una vittoria degna di ridorarne il blasone e hanno spacciato per escalation strategica una vendetta alla siciliana.
Cosa cambia nel vicino oriente?
Un regime di teologi non ha uomini indispensabili. Elabora le strategie in modo corale. Altrimenti, dopo Khomeini sarebbero crollati.
Gli sciiti hanno una tradizione di sacrificio e obbedienza da quindici secoli
Continua qui: http://italiaeilmondo.com/2020/01/04/uno-nessuno-e-centomila-di-antonio-de-martini/
Il papa strattonato
Adestil 4 gennaio 2020
Avete cantonato…c’è stata la solita censura. Perciò dico sempre che finché in internet si commenta ciò che va in tv saremo sempre a rimorchio di chi decide l’agenda. Anche qui è così purtroppo.
Il video mandato in tutte le tv e giornali è tagliato e si vede solo la signora strattonare ,darei quasi ragione al Papa, il problema è che l’ho visto spesso che gli prendono le mani e lui è felice che gliele prendano…
Quando non è felice non è come detto qui sopra che perché non si vuole che gliele toccano ma perché sta accadendo qualcosa che non gli va in quel momento esplode..
La cinese gli stava parlando dicendo delle cose, tagliate (e questo subito fa pensar malissimo ) che significano cose precise ossia gli chiede perché il papa sta abbandonando la chiesa cinese (a Xi che la vuole reprimere e cancellare dai tempi di Mao)
«Aspetta, aspetta, abbi cura del popolo cinese! Sta perdendo la fede». Ovvero: «Hold, hold, look for the chinese village (termine usato impropriamente al posto di “people”). They are losing the faith!
VIDEO QUI: https://youtu.be/s1EO6jgjSEA
Una traduzione ufficiale non c’è e l’audio è pessimo.
L’inglese della donna secondo alcuni è quello parlato ad Hong Kong che ha una cadenza particolare essendo stata Inghilterra fino a poco tempo fa.
Costei ha fatto una cosa imperdonabile: si è fatto il segno della croce che per un eretico LGBT è come un vade retro satana…ci mancava pure che non si incazzava… nessuno si fa questo segno prima di lei nella
Continua qui:
Iran. Gli Stati Uniti e il mondo multipolare preso in faccia. Il ruolo di Israele.
ByALESSIA C. F. (ALKA) – 10 LUGLIO 2019 RILETTURA
È ora di provare a tirare un po’ le fila della megacrisi sfiorata tra Stati Uniti e Iran il 20 giugno scorso. Una prima riflessione, scritta con le notizie ancora calde, era questa: http://www.orazero.org/trump-un-grande-bluff-o-golfo-del-tonchino-redux/ dove già c’erano fondati dubbi sulla manipolazione della tensione tra i due Paesi. Vediamo di aggiungere qualche elemento alla singolare vicenda. L’ipotesi che la crisi fosse spontanea come i fiori a primavera non trova molti riscontri già un mese prima dell’abbattimento del drone.
UNA CRISI COSTRUITA AD HOC
14/5 – Fox News – Tucker Carlson criticizes John Bolton and Trump for planning war with Iran
VIDEO QUI: https://youtu.be/uGSBl53JBJg
Qualche punto interessante:
- per Bolton una guerra con l’Iran sarebbe come Natale, Ringraziamento e compleanno tutti insieme…;
- una crisi “manufactured”;
- Iran e USA (con… sfumature N.d.A.) desiderano distruggere lo stesso obiettivo: l’ISIS.
- NON ci sono informazioni che l’Iran voglia attaccare forze americane nella zona, anzi, tutto il contrario;
- desiderio di certe persone vicine al presidente di creare le condizioni di un nuovo “Gulf of Tonkin…”;
- niente di buono per l’America e il popolo americano;
e altro ancora.
20/6 – NYT – Il drone è caduto, ecco qualche indizio sugli incendiari e su chi frena: i soliti noti e i militari rispettivamente. Iran Us Drone https://www.nytimes.com/2019/06/20/world/middleeast/iran-us-drone.html Mr. Trump’s national security advisers split about whether to respond militarily. Senior administration officials said Secretary of State Mike Pompeo; John R. Bolton, the national security adviser; and Gina Haspel, the C.I.A. director, had favored a military response. But top Pentagon officials cautioned that such an action could result in a spiraling escalation with risks for American forces in the region.
21/6 – FoxNews – Un riassuntino per non farsi fregare. Tucker: US came within minutes of war with Iran https://www.youtube.com/watch?v=-c0jMsspE7Y
Anche qui un po’ di cosette:
- gran colpo di Trump, che blocca una rappresaglia “esagerata”, ribaltando le tesi dei suoi consiglieri: una decisione catastrofica che poteva mettere fine alla sua carriera politica “in un minuto”;
- soddisfazione di Bolton sui clamorosi successi nei “regime change” in Libia e Iraq;
- sempre Bolton entusiasta che già nel 2017 annunciava alla folla il rovesciamento dell’Iran pianificato per il… 2019.
Le ultime due da vedere per credere.
Quindi fermi tutti. Ma cosa è successo?
La premura di Trump sulle 150 probabili vittime della rappresaglia americana sembra una motivazione un po’ debole per lo stop; bastava tirare a un deposito di rottami nel deserto, o a una qualche grotta persa nelle montagne e proclamare di aver colpito importanti obiettivi, ma invece niente. Come mai Trump avrebbe cambiato idea, ammesso che fosse davvero convinto di attaccare l’Iran e stesse quindi recitando la parte del condottiero?
DETERRENZA O FIUTO?
23/6 – Secondo il WSJ sarebbe stato il capo degli Stati maggiori, il generale dei Marines Dunford, a tirare fuori le motivazioni giuste di fronte a Trump. Trump Bucked National-Security Aides on Proposed Iran Attack These people want to push us into a war… It’s so disgusting,’ president told confidant https://www.wsj.com/articles/trump-bucked-national-security-aides-on-proposed-iran-attack-11561248602
Proviamo a indovinare cosa potrebbe aver detto Dunford a Trump per raffreddare i suoi bellicosi propositi. Forse un discorso veloce e sintetico in stile militare? “Signor presidente, possiamo tirare delle belle mazzate
Continua qui: http://www.orazero.org/iran-gli-stati-uniti-e-il-mondo-multipolare-preso-in-faccia-il-ruolo-di-israele/
Xi dà il via al primo addestramento dell’esercito. Pechino si prepara al peggio?
Federico Giuliani – 3 GENNAIO 2020
Con un rapido colpo di penna, ieri Xi Jinping ha firmato un ordine di mobilitazione per l’addestramento delle forze armate cinesi, il primo del 2020. Lo ha reso noto l’agenzia Xinhua, che ha inoltre sottolineato come la mossa del presidente della Cina, nonché segretario del Partito Comunista cinese (Pcc) e presidente della Commissione militare centrale (Cmc) punti a “intensificare l’addestramento militare” delle truppe “in condizioni di combattimento reali e di emergenza”. Xi ha chiesto anche all’esercito di “mantenere un alto livello di prontezza”.
Tra le altre disposizioni è emersa l’esigenza di integrare “nuove forze nel sistema di operazioni congiunte” e migliorare “il sistema di valutazione”. In altre parole, serve rispettivamente una maggiore integrazione tra i vari reparti dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese (Elp) e un miglioramento dell’apparato strategico delle stesse forze armate. Anche nei primi giorni del 2019 Xi Jinping emise un ordine simile. In quell’occasione il leader cinese chiese alle forze armate di essere pronte per “una lotta militare globale”. “Tutte le unità militari devono comprendere correttamente le principali esigenze della sicurezza nazionale e
Continua qui: https://it.insideover.com/guerra/xi-da-il-via-al-primo-addestramento-dellesercito-pechino-si-prepara-al-peggio.html
L’ULTIMO “AMALEK” – PER ORA
Maurizio Blondet 3 Gennaio 2020
Sull’assassinio del generale Suleimani, un amico molto laico, che non vuole si faccia il suo nome, mi scrive:
“Permettere la nascita di Israele come “Stato degli Ebrei” è stato un errore che pagheremo caro perché ha immesso nei tempi moderni, e per il futuro, gli odii, i risentimenti, i veleni e le tossine di odi plurimillenari: contro”Babilonia”, contro “la Mesopotamia”, contro Roma, contro il cristianesimo, contro gli “amaleciti”. Sentimenti terribili, revanscisti e guerrafondai, alimentati da continue e strumentali falsificazioni della Storia”.
“Israele provocherà più di una guerra, anche nucleare, fino a coinvolgerci, e taglierà le radici geografiche del cristianesimo, come peraltro ha cominciato a fare”
Su radio e Tv, sento giornalisti chiedere ad “esperti”: come mai l’Iran è così “aggressivo”? Nessuno che ricordi come il presidente Trump, ovviamente su istigazione dei lubavitcher di famiglia, ha ripudiato la firma Usa dal piano di riduzione dell’arricchimento del materiale nucleare, che Teheran ha firmato e a cui ha tenuto lealmente fede, secondo le norme dei trattati internazionali, sperando di mettere la parola fine alle sanzioni.
La violazione degli usi civili internazionali l’ha realizzata Washington – pacta sunt servanda – nell’atto, gettando nel cesso (della storia) il valore della sua firma sotto i trattati sottoscritti e sputandosi sulla sua faccia senza vergogna.
E’ una lesione della elementare civiltà, la cui gravità gangsteristica è difficilmente capita. Quando la superpotenza straccia la sua parola data – non ha cercato nemmeno di rinegoziare, ha solo stracciato il trattato – vuol dire che ciò che promette al mondo – e al debole con cui ha firmato il patto – è solo la guerra. La guerra come unica relazione
Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/lultimo-amalek-per-ora/
CARO PAPA, ATTENTO ALLO STORICISMO ONTOFOBICO
Maurizio Blondet 3 Gennaio 2020
di Luigi Copertino
Nel suo discorso natalizio alla Curia, Papa Bergoglio ha constatato che non siamo più nell’età della Cristianità e che pertanto la Chiesa cattolica oggi «non è più l’unica che produce cultura, né la prima, né la più ascoltata. (…) perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata».
Citando, poi, il cardinale Newman – il grande teologo ottocentesco che compresi gli errori anglicani si convertì alla fede cattolica – il Papa ha ricordato che «Qui sulla terra vivere è cambiare, e la perfezione è il risultato di molte trasformazioni». Si tratta di una espressione tratta dall’opera “Lo sviluppo della dottrina cristiana” che maggiormente segnò l’avvicinamento di Newman al Cattolicesimo. Poi, però, il Papa specifica che per Newman: «Non si tratta ovviamente di cercare il cambiamento per il cambiamento, oppure di seguire le mode, ma di avere la convinzione che lo sviluppo e la crescita sono la caratteristica della vita terrena e umana, mentre, nella prospettiva del credente, al centro di tutto c’è la stabilità di Dio. Per Newman il cambiamento era conversione, cioè una interiore trasformazione. La vita cristiana, in realtà, è un cammino, un pellegrinaggio».
A supporto, il Pontefice ha rammentato che l’intera storia biblica è un cammino, segnato da avvii e ripartenze. Questa, del resto, fu la vicenda di Abramo ma anche quella dei seguaci di Gesù i quali: «… tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc5,11). La storia della Chiesa, che è il popolo di Dio, è cammino ma, ovviamente, non puramente geografico. Esso è anzitutto simbolico ossia è un invito a scoprire il moto del cuore che, paradossalmente, ha bisogno di partire per poter rimanere, di cambiare per potere essere fedele.
Pertanto, il Papa desume dal fatto che stiamo vivendo non semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento di epoca – nel quale tutto si trasforma velocemente, il modo di vivere come quello di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza – che l’atteggiamento migliore è quello di lasciarsi interrogare dalle sfide del tempo presente e di coglierle con le virtù del discernimento, della parresia e della hypomoné. «Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale, che non vuol dire passare a una pastorale relativistica». Il cambiamento, in questo caso, diventerebbe, per Papa Bergoglio, sempre più umano ed anche cristiano. Sarebbe sempre un cambiamento esterno, ma compiuto a partire dal centro dell’uomo, da una conversione antropologica. Per questo la Chiesa, ha dovuto precisare il Papa, deve sì avviare processi ma leggendo i segni dei tempi con gli occhi della fede e nella fedeltà al depositum fidei ed alla Tradizione.
Fin qui il Papa. Sul quale da tempo si abbattono gli strali di molti che, però, non guardano tanto all’essenza teologica, di fede, dei problemi sollevati, quanto purtroppo e piuttosto alla difesa di interessi consolidati fatti passare per Tradizione laddove sono solo autoreferenzialità che si fanno scudo della Tradizione ma che se venissero meno non verrebbe certo di meno la Tradizione.
Detto questo, però, è innegabile che da decenni nella Chiesa si parla e straparla di cambiamento pastorale e liturgico che non avrebbe dovuto, non dovrebbe, toccare il depositum fidei. Come, con un’altra immagine usata da papa Bergoglio nel suo discorso, colui che cambia vestito ma resta sempre lui, non perde identità.
Purtroppo non sembra proprio che il cambiamento dell’abito non abbia anche cambiato l’identità. Forse sbagliava l’antico adagio per il quale l’abito non fa il monaco. Lo scrivente lo dice da semplice cristiano che guarda i fatti e constata la realtà senza – ripeto – nessun allineamento con i cattolici conservatori che difendono interessi non propriamente collimanti con l’unico interesse veramente cristiano ossia la difesa della Verità di Fede, compresa la Dottrina Sociale Cattolica che non è una teologia del liberismo economico come pensano influenti cattolici americani o un noto banchiere cattolico che anche di recente su un quotidiano sovranista ha accusato il Papa di un presunto anticapitalismo, dimentico però degli strali preconciliari di Pio XI contro l’“imperialismo internazionale del denaro”.
Il primo dell’anno una amica ha inviato allo scrivente, su WhatsApp, una fotografia con la didascalia “a Messa a Ratisbona”. Nell’immagine appariva lo scenario interno della bellissima cattedrale medioevale di quella città tedesca praticamente vuota di fedeli, salvo qualche sparuto drappello. Probabilmente costituito per lo più di turisti come l’amica mittente.
Se, dunque, questi sono i risultati di decenni di cambiamento pastorale come continuare a sostenere che non c’è stato anche alcun cambiamento di identità tale da far scappare i fedeli? Ma, tant’è, la gerarchia
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L’indagine di Durham può inguaiare Obama
Roberto Vivaldelli – 2 GENNAIO 2020
La contro-inchiesta sulle origini del Russiagate condotta dal Procuratore John Durham potrebbe ora inguaiare seriamente l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Se, come verrà eventualmente appurato, c’è stata un’operazione di controspionaggio ai danni della Campagna di Donald Trump da parte delle agenzie governative, è difficile pensare Obama ne fosse totalmente all’oscuro. Come spiega il giornalista investigativo americano Eric Zuesse in un’inchiesta pubblicata su Strategic Culture Foundation, l’ex presidente degli Stati Uniti potrebbe finire in grossi guai giudiziari perché il più grande crimine che un presidente americano possa commettere è quello di agire contro la democrazia americana, la Costituzione, lavorando con poteri stranieri per prenderne il controllo oppure agendo all’interno per sabotare la democrazia stessa e le sue regole. “L’indagine sul Russiagate, che in precedenza si concentrava sull’attuale presidente degli Stati Uniti ha invertito la sua direzione e ora prende di mira il predecessore di Trump. Sebbene non possa più essere rimosso dall’incarico, deve rispondere alle leggi penali, come qualsiasi altro americano”.
Obama ha giocato sporco contro Trump?
Come ricorda Zuesse, un’ordinanza del 17 dicembre della Corte Fisa (Foreign Intelligence Surveillance Act) ha severamente condannato la condotta dell’Fbi sotto Obama, per aver ottenuto, il 19 ottobre 2016 (prima delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti), da quella Corte, con false pretese, un’autorizzazione federale per a iniziare le indagini sulla campagna presidenziale di Donald Trump, accusato di essere colluso con il governo russo. Centrale, secondo Zuesse, è comprendere il ruolo controverso del professor Stefan Halper. Nel frattempo, secondo quanto riportato da The Intercept, il procuratore John Durham prosegue le sue indagini e ha interrogato l’ex direttore della Nsa Michael Rogers.
Rogers ha incontrato Durham, in diverse occasioni, secondo due persone che hanno familiarità con la vicenda. Sebbene la sostanza di tali incontri non sia chiara, Rogers ha collaborato volontariamente, hanno affermato diverse persone a conoscenza della questione. Si tratta del primo ex direttore dell’intelligence interrogato da Durham nell’ambito della controinchiesta sul Russiagate che potrebbe inguaiare Barack Obama e la sua amministrazione. “È stato molto collaborativo”, ha detto
Continua qui: https://it.insideover.com/politica/lindagine-di-durham-puo-inguaiare-obama.html
POLITICA
Scusi Presidente Mattarella, ma lei chi rappresenta?
ByALESSIA C. F. (ALKA) – 17 febbraio 2019 RILETTURA NECESSARIA ED OPPORTUNA
–
17 FEBBRAIO 2019
Macron comunque aveva già scavalcato il Governo italiano e chiamato il Presidente
Il sogno inconfessabile di Matterella: “Governo tecnico dopo le elezioni europee”
Ma contemporaneamente sogna anche nuove elezioni
Purtroppo, non digerisce il governo giallo-verde, ha tentato di sostituirli con un Cottarelli, e farebbe di tutto per levarseli di torno. E poi c’è l’affaire Bankitalia su cui vuole avere l’ultima parola, infatti spetta al Presidente della Repubblica emanare il decreto sulle nomine del Consiglio Superiore di Bankitalia.
Nomine Bankitalia: a Mattarella l’ultima parola. Fake news sull’oro
In fondo cosa mi devo aspettare da un Presidente che al discorso del 31/12/2018 aveva lanciato solo frecciatine al Governo giallo-verde? Mattarella, insieme ad altri quattro gatti, continua a screditare il Governo ed è profondamente scorretto perché molte sue azioni sono mirate ad agire contro la volontà popolare degli italiani. E’ un uomo abituato a
Continua qui: http://www.orazero.org/scusi-presidente-mattarella-ma-lei-chi-rappresenta/
SCIENZE TECNOLOGIE
Delirio transumanista del Ministro del 5G Pisano: “Uomo-Robot, avanti senza paura!” Dimissioni subito, non scherziamo!
di Maurizio Martucci
Non scherziamo, un vero e proprio delirio transumanista! Le parole del Ministro dell’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione Paola Pisano si commentano da sole: con la scusa dell’inarrestabile progresso e del futuro fantascientifico sempre più alle porte, il tentativo di violare il Codice di Norimberga si manifesta alla luce del sole dopo soli tre mesi di dicastero. Svelato sui social l’abominevole progetto di fondere l’umanità con i cyborg, il 5G è solo l’inizio di un programma di ibridizzazione della specie. Non c’è dubbio, siamo sotto attacco, microchip, droni, digitalizzazione dell’esistenza e satelliti irradianti wireless dallo spazio sono l’inizio. Si salvi chi può! “Saranno i robot a salvare l’Uomo – scrive il ministro Pisano – Ne miglioreranno la vita, lo sottrarranno a rischi inutili e a lavori disumanizzanti e anzi gli permetteranno di migliorarsi e di migliorare la propria vita.” Le profezie turbo-illuministe dell’ex assessora di Torino puntano dritto al transumanesimo, cioè alla creazione di un ibrido, di un Uomo-Cyborg, con l‘Intelligenza artificiale destinata a soppiantare quella umana, così come posti di lavoro e risorse naturali dovranno farsi da parte. Proprio come si abbattono gli alberi. Siamo all’anti-Uomo, all’anti-Storia, all’anti-Natura. Chi l’ha deciso? Non si sa. Noi no. Ma così è.
Perché intanto “ci dobbiamo augurare il nuovo ibrido “uomo-macchina”, senza alcuna paura, perché alla parte macchina lasceremo i lavori usuranti, pericolosi e ripetitivi mentre alla parte uomo resterà l’intelligenza e la creatività. In Italia – chiude Paola Pisano senza più freni, nei panni della nuova mamma di Frankenstein – siamo già molto avanti e ci vorrebbe una vera “silicon Valley” della robotica, un hub produttivo dove sviluppare e far crescere il settore. D’altronde basta leggere i dati 2018 del WEF, citati da Bentivogli: nel 2025 perderemo 75 milioni di tipologie di lavoro ma ne
Continua qui:
5G sotto mentite spoglie, col microchip avanza
Il Transumanesimo (sdoganato in prima pagina sui giornali!)
di Maurizio Martucci
Ormai è chiaro: siamo sotto attacco! L’umanità, anzi il genere umano è sotto attacco. Per mano di teorie sotto mentite spoglie spacciate per ineludibile progresso, futuro e tecnologia forzata a cui non ci si può sottrarre se non si vuol tornare al medioevo o all’età della pietra, teorie deliranti d’onnipotenza che prefigurano l’ascesa di una vera e propria mutazione antropologia della specie, complice la connivenza di chi ripete all’ossessione che ‘tanto il progresso è questo e non lo si può fermare‘. Accorgersene non è difficile. E non basta più leggere le previsioni messe nero su bianco dall’ottima Enrica Perrucchietti nel libro Cyber-Uomo. Così come non basta più l’inchiesta televisiva di Report sul Transumanesimo. La disumanizzazione avanza spedita senza remore né freni etici o sanitari d’inibizione, e ce la buttano ormai davanti agli occhi e pure sotto al naso, cercando di
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STORIA
L’internazionale criminale: la Lega anticomunista mondiale
di Thierry Meyssan
Fondata a Taiwan da Chiang Kai-shek, Reverendo Moon e da criminali nazisti e di guerra giapponesi, la Lega anticomunista mondiale (WACL) con Nixon la prima volta estese i metodi contro-insurrezionali nel sud-est asiatico e nell’America Latina. Sette capi di Stato parteciparono alle sue riunioni. Poi, rediviva con l’era Reagan, divenne uno strumento del complesso militare-industriale degli USA e della CIA durante la Guerra Fredda. Gli furono commissionati omicidi politici e l’addestramento controinsurreazionale in tutti i conflitti, tra cui l’Afghanistan dove era rappresentata da Usama bin Ladin.
RETE VOLTAIRE | PARIGI (FRANCIA) | 3 LUGLIO 2016
lla fine della seconda guerra mondiale, i servizi segreti statunitensi utilizzarono fascisti, ustascia e nazisti per creare una rete di agenti anticomunisti: Stay-behind [1]. Se reclutati negli Stati Uniti i futuri agenti atlantici dovevano rimanere segreti, negli Stati sotto il controllo sovietico, al contrario, dovevano agire pubblicamente. Fu creata quindi, nel 1946, una sorta di ente internazionale per coordinare l’azione degli agenti orientali trasferiti in occidente: il Blocco delle Nazioni antibolsceviche (ABN). Fascisti ucraini, ungheresi, rumeni, croati, bulgari, slovacchi, lituani, ecc. si unirono sotto la guida di Yaroslav Stetsko. Ex-capo collaborazionista ucraino, Stetsko è considerato il responsabile del massacro di 700 persone, per lo più ebrei, a Leopoli del 2 luglio 1941.
Otto anni più tardi, alla fine della guerra di Corea, gli Stati Uniti sostituirono la Francia in Indocina [2]. Il presidente Eisenhower creò un sistema di difesa regionale diretto contro l’URSS e la Cina. L’8 settembre 1954, seguendo il modello della NATO, fu creata la SEATO che raggruppava Australia, Nuova Zelanda, Pakistan, Filippine, Thailandia, Regno Unito e Stati Uniti. Il 2 dicembre il dispositivo fu completato con un trattato di difesa bilaterale tra Stati Uniti e Taiwan [3]. In parallelo, la CIA, sotto la direzione di Allen Dulles, struttura i servizi spionistici di tali Stati e crea un’organizzazione di contatto tra i partiti anticomunisti nella regione. Quindi, viene creata attorno Chiang Kai-shek la Lega anticomunista dei popoli dell’Asia (APACL).
Oltre al presidente di Taiwan Chiang Kai-shek, l’APACL conta tra i suoi membri Paek Chun-hee, futuro presidente della Corea del Sud; Ryiochi Sasakawa, criminale di guerra divenuto milionario e benefattore del Partito liberale giapponese; e il Reverendo Sun Myung Moon [4], profeta della Chiesa dell’Unificazione. Inoltre, nelle file dell’APACL vi erano il generale Prapham Kulapichtir (Thailandia), il presidente Ferdinando Marcos (Filippine), il principe Sopasaino (Laos) [5] il colonnello Do Dang Cong, rappresentante del presidente del Vietnam Nguyen Van Thieu), ecc.
L’APACL è sotto il controllo totale di Ray S. Cline, allora capo della stazione della CIA a Taiwan [6], e pubblica l’Asian Bulletin redatto da Michael Lasater, futuro capo del dipartimento dell’Asia della Heritage
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