RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
7 OTTOBRE 2021
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
I geni sono quelle persone che forniscono le idee ai cretini che verranno vent’anni dopo.
ROLAND JACARD, Diizonario del perfetto cinico, Excelsior1881, pag. 70
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SOMMARIO
Ci siamo già convertiti al transumanesimo ma non lo ammettiamo
COME SI CONVINCE UN’INTERA POPOLAZIONE AD ODIARE I NON VACCINATI
VIDEO ESPLOSIVO di Fauci e funzionari HHS
La Porta dell’inferno di Auguste Rodin
Il prof. Paolo Maddalena spiega chi è Mario Draghi
Il Pentagono conferma che la “guerra senza fine” continua
IL PENTAGONO PREPARA UNA NUOVA GUERRA IN ASIA SUDORIENTALE
Essere Carlo Freccero, da Guy Debord al complotto de’ noantri
Trappola per Sorci 2: aumentare il panico rendendo chiaro chi controlla cosa
Come gli ospedali imbrogliano sulle statistiche
Covid-19: due NESSI, due misure?
L’attualità di Orwell in tempi di pandemia: il controllo non solo fisico ma anche psicologico
La transizione “ecologica” al nucleare
La spesa dello Stato secondo l’Agenda 2030
Draghi si presenta agli industriali con la sua vecchia ricetta: svalutazione interna
LICENZIAMENTO IN CASO DI RIFIUTO DEL VACCINO
Se la sinistra sta vincendo la guerra culturale è perché ha vinto nel gioco della semantica
AUKUS: NEL PACIFICO NON C’È SPAZIO PER GLI EUROPEI
Germania: i deputati aumentano da 598 a 735. In Italia li abbiamo appena tagliati a 400
Il voto autunnale e la catastrofe M5S: fine dell’era tripolare
I mangiafuoco i burattini e l’Aspen Institute
Foibe: la parte giusta, quella sbagliata e chi sbagliava dalla parte giusta
IN EVIDENZA
Ci siamo già convertiti al transumanesimo ma non lo ammettiamo
Il mondo sta cambiando molto in fretta. Durante l’epidemia di Covid il denaro si è concentrato nelle mani di pochissimi. I nuovi oligarchi sono transumanisti. Senza rendercene conto abbiamo già accettato la loro ideologia e stiamo cominciando a metterla in atto. I medici occidentali hanno rinunciato a curare la malattia e a noi appare ovvio che si punti tutto sull’ARN messaggero. Non importa se la strategia è mortifera, abbiamo ormai assimilato questo modo di ragionare.
L’isolamento deciso dalla politica per contrastare il Covid-19 ha favorito una redistribuzione mondiale delle ricchezze a favore di pochi protagonisti della Rete (Microsoft, Alphabet…). Nel medesimo tempo, alcuni fondi d’investimento (Vanguard, Blackrok…), che già gestivano somme astronomiche di denaro e potevano imporre i propri interessi agli Stati, sono passati nelle mani di poche famiglie. Esistono ormai differenze di ricchezza stratosferiche fra un numero esiguo di super-miliardari e il popolo.
Le classi medie, che iniziarono lentamente a sgretolarsi dopo la caduta dell’URSS e l’inizio della globalizzazione finanziaria, stanno scomparendo. Di fatto, i sistemi democratici non si oppongono a questi divari di ricchezza, repentini e giganteschi.
Come sempre accade nei periodi di cambiamento di sistema politico, la classe sociale che aspira al potere impone la propria visione. Nel tempo in cui viviamo è il transumanesimo: l’idea che i progressi scientifici consentano una trasformazione della biologia umana fino a vincere la morte. Quasi tutti i cinquanta patrimoni più ingenti del mondo sembrano aderire alla fantasia secondo cui la tecnica sostituirà gli uomini, come la scienza spodestò le superstizioni.
Per imporre la nuova doxa, i detentori di queste immense ricchezze hanno iniziato a controllare i nostri pensieri e a costringerci ad agire secondo la nuova ideologia. Il fenomeno più recente è proprio la nostra reazione alla pandemia di Covid-19. Storicamente, e senza eccezioni, nelle precedenti epidemie i medici cercavano di curare i malati. Ma questo è il mondo che fu. Nel nuovo mondo transumanista nessuno deve essere curato, tutti devono essere protetti con una nuova tecnologia, l’ARN messaggero. La maggior parte degli Stati sviluppati vietano ai medici di curare i pazienti e alle farmacie di vendere medicinali che potrebbero aiutare i malati (idrossiclorochina, ivermictina e così via). Una rivista medica di riferimento, The Lancet, ha persino pubblicato un articolo secondo cui un vecchio farmaco utilizzato da milioni di persone uccideva i malati di Covid che lo assumevano. I giganti d’internet censurano gli account che ne fanno l’apologia: a ogni costo bisogna far sì che l’ARN messaggero divenga la sola e unica scelta.
Non sono un medico. Non conosco l’efficacia di questi farmaci. Ma devo constatare come il dibattito venga chiuso ancor prima d’iniziare. Non m’intrometto nella discussione scientifica, mi limito a prendere atto dell’impossibilità della discussione.
Ma la diatriba che oppone l’ARN messaggero alla medicina tradizionale non è conclusa. Il 22 settembre 2021 Joe Biden ha organizzato un vertice globale virtuale per distribuire 500 milioni di dosi di vaccino ARN messaggero. Con generale sorpresa, gli Stati che avrebbero dovuto ricevere un dono tanto generoso hanno boicottato il summit: non pensano che l’ARN messaggero sia la soluzione che fa per loro [1].
Per comprenderne la ragione basta una calcolatrice: gli Stati che hanno puntato tutto sull’ARN messaggero hanno una mortalità per milione di abitanti multipla di 20-25 volte di quella degli Stati che invece hanno autorizzato le cure mediche.
Ci lasciamo affascinare dal transumanesimo perché non ci poniamo domande sul divieto di curare il Covid. Ma fuori dall’Occidente il transumanesimo non è altrettanto influente.
PROPAGANDA
La storia ci ha insegnato che per imporre un nuovo regime occorre innanzitutto addomesticare le persone affinché agiscano concordemente alla nuova ideologia. Dopo che i sudditi hanno cominciato a ubbidire, è molto difficile retrocedere. Il dado è tratto. La propaganda ha operato a dovere; non mira infatti a controllare il discorso, ma a usarlo per modificare i comportamenti [2].
Siccome abbiamo tutti rinunciato a sperimentare cure contro il Covid, tutti abbiamo aderito prima all’ARN messaggero, ora al green-pass. Siamo pronti a entrare nel nuovo regime − da non confondere con la “dittatura”, concetto del mondo d’antan − che non sappiamo come sarà, ma che stiamo costruendo.
Gli Stati sono minacciati dall’accentramento di grandissime ricchezze possedute da pochissimi, in genere più potenti delle nazioni. Infatti, mentre gli Stati hanno spese ineludibili e dispongono di esigui margini di manovra, le nuove concentrazioni di ricchezza possono in qualsiasi momento prendere gli investimenti da qui e spostarli là. Sono molto rari i fondi sovrani che possono competere, quindi quasi tutti ne dipendono.
I MEDIA CORPORATIVI
I media corporativi (corporate media) si sono messi di buona lena a servizio del progetto. Da molto tempo, in particolare dopo la fine della guerra fredda, il giornalismo si autodefinisce ricerca dell’obiettività, benché sia noto a tutti si tratti di qualcosa che concretamente non esiste.
In un tribunale non viene chiesto ai testimoni di dar prova di obiettività, ma si esige che «dicano la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità». Ognuno di noi percepisce la verità in modo parziale, perché condizionato dalla propria situazione. In un incidente che coinvolge un pedone, la maggior parte dei testimoni-pedoni gli daranno ragione; la maggior parte dei testimoni-automobilisti invece affermeranno che la ragione sta dalla parte della vettura. Soltanto l’insieme delle testimonianze permette di ricostruire l’accaduto.
I media corporativi hanno reagito all’avvento dei nuovi protagonisti della comunicazione (blog e social-network), dapprima cercando di screditarli: sono toccanti, ma non sono abbastanza preparati, sono su un piano diverso dal nostro. I giornalisti professionisti hanno stabilito una distinzione fra libertà di pensiero − per tutti − e libertà d’informare − soltanto per loro. Poco a poco si sono trasformati in maestri di scuola: gli unici autorizzati a dare il voto, bellio o brutto che sia, a chi tenta d’imitarli. A questo scopo si sono inventati la verifica delle affermazioni (fact checking), come se il loro lavoro fosse assimilabile a un gioco televisivo.
Preoccupati che responsabili politici potessero mettersi dalla parte degli elettori, invece che dalla parte dei detentori dei grandissimi patrimoni, i media corporativi hanno esteso la verifica ai politici. Non si contano più le trasmissioni dove un leader è sottoposto al fact checking della redazione. Il discorso politico, che dovrebbe essere un’analisi dei problemi della società e dei modi di risolverli, è ridotto a una serie di dati verificabili negli annuari statistici.
I media corporativi si sono inizialmente affermati come “quarto potere”; in seguito, dopo aver assorbito gli altri, sono diventati il Principale Potere. Dobbiamo la nozione di Quarto Potere al politico e filosofo britannico del XVIII secolo Edmund Burke: un potere che s’è formato affiancandosi agli altri, ossia ai poteri spirituale, temporale e dei commons (i popolani). Burke, conservatore liberale, non ne contestava la legittimità, che però oggi − e ognuno può constatarlo − non si fonda su valori, bensì sul denaro dei proprietari.
La gamma degli argomenti trattati dai media corporativi continua a restringersi, discostandosi sempre più dalle analisi e concentrandosi soltanto su dati verificabili.
Così vent’anni fa i giornali che contestavano le mie tesi le presentavano sommariamente, per poi immediatamente screditarle, definendole «complottiste». Oggi non osano nemmeno più riassumerle: non sono “verificabili”. S’accontentano di liquidarmi come «non affidabile». E di fronte a giornalisti non professionisti più giovani, i media si limitano a insultarli. Il fossato che separa gli uni dagli altri è sempre più profondo.
Un fenomeno particolarmente evidente nel caso dei Gilet Gialli, semplici cittadini che protestavano contro quest’evoluzione sociologica del mondo, prima che l’isolamento ne favorisse il trionfo. Ricordo una deputata che, durante un dibattito su una rete televisiva d’informazione continua, chiedeva a un’esponente dei Gilet Gialli quale sussidio avrebbe soddisfatto i manifestanti. Risposta: «non abbiamo bisogno di sussidi, vogliamo un sistema più giusto». I media corporativi si sono rapidamente liberati da individui come la signora, che riflettono sui problemi della società, sostituendoli con altri, portavoce di rivendicazioni concrete e immediate. Hanno fatto tutto il possibile per censurarne il pensiero.
VOTI BELLI O BRUTTI
Altra soluzione studiata dalla nuova élite dominante: il ripristino dell’Index librorum prohibitorum. Un tempo la Chiesa − che non era soltanto comunità di credenti, ma anche potere politico − pubblicava l’elenco di libri proibiti per tutti, tranne che per il clero. L’intenzione era proteggere il popolo dagli errori e dalle menzogne dei contestatori. L’Indice fu abolito. Per reazione, i credenti privarono la Chiesa del potere politico.
Ex responsabili della NATO e dell’amministrazione Bush hanno istituito allo scopo una società newyorkese, NewsGuard, incaricata di stilare una lista dei siti internet non affidabili, fra cui Réseau Voltaire [3]. Dal canto loro NATO, Unione Eueopea, Bill Gates e qualche altro hanno creato CrossCheck, che finanzia in particolare i Décodeurs [decodificatori] di Le Monde [4]. Pare che la proliferazione esponenziale delle fonti d’informazione abbia fatto fallire il progetto.
Un metodo più recente consiste nel definire a priori non già cosa sia affidabile, ma addirittura cosa sia Verità.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha varato una «Commissione contro la disinformazione e il complottismo», il cui presidente, il sociologo Gérald Bronner, sostiene che lo Stato dovrebbe istituire un organismo per stabilire la Verità sulla base del «consenso scientifico». Bronner ritiene inaccettabile che la parola di «un professore universitario equivalga a quella di un Gilet Giallo» [5].
Certamente un metodo non inedito. Nel XVII secolo Galileo sostenne che la Terra girava attorno al Sole e non viceversa. I predecessori di Bronner gli opposero diversi passaggi delle Sacre Scritture, all’epoca considerate fonte rivelata di conoscenza. Il “consenso scientifico” indusse la Chiesa a condannare Galileo.
La storia della scienza brulica di esempi analoghi: quasi tutti i grandi scopritori sono stati avversati dal “consenso scientifico” dell’epoca. Il più delle volte le loro idee sono riuscite a trionfare non già con la dimostrazione, ma grazie alla morte di chi le contrastava: i leader del “consenso scientifico”.
[1] “Boicottaggio generale del Summit Globale contro il Covid-19”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 28 settembre 2021.
[2] “Le tecniche della propaganda militare moderna”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 18 maggio 2016.
[3] “UE, NATO, NewsGuard e Réseau Voltaire”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 5 maggio 2020.
[4] “Dietro Décodex ci sono NATO e Unione europea”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 16 febbraio 2017.
[5] “Emmanuel Macron vara una commissione contro la disinformazione e il complottismo”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 2 ottobre 2021.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article214295.html
COME SI CONVINCE UN’INTERA POPOLAZIONE AD ODIARE I NON VACCINATI
Silvana De Mari
La nostra conoscenza va avanti mediante schemi preformati: è così che funziona la mente umana. Uno di questi schemi è l’omogeneità di dimensioni, per quanto riguarda le azioni umane, di causa ed effetto: a una causa enorme corrisponde un effetto enorme e viceversa.
Se venissero ad arrestare il mio vicino di casa con mitra, cani, gente col passamontagna che scende dagli elicotteri e blindati, io mi convincerei che si tratta di un pericoloso terrorista. L’idea che sia un tizio normale del tutto innocente e che tutto quello che succede, cani, elicotteri, blindati sia una follia, è scartata dal mio cervello in quanto inverosimile, ma anche intollerabile. Per prenderla in considerazione dovrei accettare il concetto che vivo in uno stato folle e convivere con la paura che prima o poi verranno a prendere anche me con lo stesso spiegamento di mezzi.
Noi siamo sempre stati abituati all’idea che lo sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, la Shoah, sia stata scatenata dall’antisemitismo. È il contrario: è lo sterminio che ha scatenato l’antisemitismo. L’antisemitismo era ben più forte nell’ ‘800 e non si è scatenato nessun genocidio. La Germania non era una nazione particolarmente antisemita, anzi era una delle meno antisemite. L’antisemitismo era più forte in Spagna, ma la Spagna non solo non ha perseguitato gli ebrei, ma anzi nelle sue ambasciate ne ha salvati il più possibile. Prima che arrivassero i tedeschi con l’idea dello sterminio, le varie nazioni dove si è scatenato l’inferno con la collaborazione atroce dei locali, la Grecia, l’Ucraina, l’Ungheria, i territori dell’ex Jugoslavia, erano luoghi dove l’antisemitismo certo esisteva, ma stagnava e certo non impediva una pacifica convivenza.
Il potere hitleriano scatenò la persecuzione per antisemitismo, certo, ma ancora di più per motivi politici, la necessità del capro espiatorio, la necessità di una guerra facile, la persecuzione di civili, che galvanizzasse facendo sentire uniti e forti. Nella mente di tutti si formò un pensiero: se li stanno perseguitando fino alla morte evidentemente sono cattivissimi. E io non me ne sono mai accorto.
LA CRIMINALIZZAZIONE DELLA VITTIMA
Questo procedimento mentale si chiama criminalizzazione della vittima. Tanto più perseguitati, tanto più ritenuti colpevoli, tanto più odiati. Nessuno odiava gli ucraini prima dello sterminio, non avevano differenze etniche o religiose, non esisteva un anti-ucrainismo, ma sei milioni di creature umane hanno pagato la necessità di un capro espiatorio e di un nemico a portata di mano e disarmato, facile da distruggere. Mentre li stavano affamando li hanno odiati sempre di più. Gli attivisti del partito comunista entravano nella fattorie per sottrarre l’ultimo sacchetto di grano nascosto irridendo gli affamati, bastonando il padre di famiglia se trovavano qualcosa da mangiare. La disorganizzazione era tale che non fu possibile spostare tutto il grano requisito, il grosso marcì nei silos guardato da uomini armati, mentre i bambini morivano come mosche e grida su cartelloni colorati ricordavano che il cannibalismo era vietato.
Alcuni valorosi giornalisti riuscirono a rendersi conto del disastro, riferendo anche del cannibalismo, le cui vittime erano spesso bambini, che muoiono per primi. L’informazione fu bollata come fake news, usava anche allora, anzi coloro che testimoniavano l’orrore furono accusati di mentire, di inventare per odiare il comunismo persino la scemenza che i comunisti mangiano i bambini. Nessuno in Cambogia odiava così tanto i borghesi, i medici e i professori. Durante lo sterminio l’odio ha raggiunto punte incredibili con sadismi inenarrabili.
Il supposto rapporto di omogeneità tra causa ed effetto ha determinato una conseguenza ovvia: il lock down ha creato l’illusione di una malattia terrificante. Era impensabile che ci rinchiudessero agli arresti domiciliari, tutti anche i bambini, che facessero fallire imprese, che spingessero al suicidio se non per motivi terrificanti. Se viene imposto un vaccino (o cosiddetto tale) con pena di perdita dei diritti civili per i renitenti, si creano nella mente di tutti tre certezze purtroppo false:
1) che questo vaccino sia sicuro;
2) che questo vaccino sia indispensabile e efficace;
3) che quindi restituirà la vita sottratta, la libertà perduta e che solo l’inoculazione del 100% della popolazione può creare la possibilità della normalità.
ANCHE UN VACCINATO PUÒ AMMALARSI IN FORMA SEVERA
Nella mente di molti, questi convincimenti sono totali, come altri erano certi della colpevolezza degli ucraini così da ucciderli senza rimorsi. Queste menzogne sono date per assodate, in maniera molto più totale di quanto avrebbero potuto fare studi medici sull’argomento, anche perché questi studi non esistono, ma se il vaccino viene imposto, tutti danno per scontato che questi studi esistano e siano inoppugnabili. In realtà il vaccino non può essere reso obbligatorio proprio perché è sperimentale e perché non è né efficace, non immunizza, né sicuro (ricevo mail spaventose) e soprattutto fronteggia una malattia che può essere curata. Per questo occorre ricorrere al Green pass, a spingere a farlo dopo aver firmato un foglio dove ci si assume tutta la responsabilità, con disprezzo e minacce: così tutti si convincono che i vaccini siano efficaci e sicuri senza aver visto uno straccio di documentazione medica che attesti queste affermazioni.
I vaccini e supposti tali per la Sars covid 19 non sono efficaci a dare immunità. Non solo non bloccano la malattia, ma possono addirittura scatenare una malattia più grave per il cosiddetto fenomeno ADE. Sto curando molte persone ammalate benché vaccinate e molti di loro hanno la malattia in forma severa. Che un vaccinato non si ammali in forma severa lo potete raccontare a qualcuno che non li sta curando, quindi non raccontatelo a me. Mi arrivano notizie dagli ospedali torinesi che mi convalidano questa affermazione.
Chi afferma che solo i non vaccinati finiscono in rianimazione sta mentendo. Soprattutto questi farmaci non sono sicuri: le persone continuano a morire, continuano a soffrire. Innumerevoli sono gli effetti collaterali minori (come la cefalea continua e le poli artralgie, che rendono la vita penosa, mi sento bruciare ha scritto qualcuno, non posso più usare le mani, non posso più fare le scale). Un’umanità dolente che nessuno ascolta, nessuno certifica e che si paga le cure di tasca propria. Innumerevoli sono i ragazzi con pericardite e miocardite.
QUELLO CHE I TELEGIORNALI NON DICONO
È morta Giulia di 16 anni. Giulia aveva un rischio zero di morte per malattia da coronavirus. La sua morte quindi è stata causato obbligandola a un qualcosa che lei non voleva subire e che ha subito perché obbligata dagli insegnanti, dalle compagne, che hanno esercitato pressioni deridendola. A 16 anni sei disposto a fare qualsiasi cosa pur di non essere il reietto. Giulia è morta dopo che sua madre ha firmato un foglio su cui c’era scritto che era lei che chiedeva il vaccino perché se ne assumeva tutta la responsabilità.
Nessuno pagherà per la morte di Giulia, ma noi la portiamo nel cuore. Quello che è successo a lei non deve più succedere. La somministrazione di vaccini e cosiddetti tali al di sotto dei 18 anni deve essere bloccata immediatamente. Il diritto al lavoro, alla vita, a uscire, ad andare a cinema, ad andare a scuola senza che gli stessi insegnanti ti indichino al pubblico ludibrio sono diritti sanciti dalla Costituzione. Diritto vuol dire qualcosa cui hai diritto, non qualcosa che ti viene concesso se accetti una determinata cosa. Un diritto è qualcosa che nessuno può toglierti, non qualcosa che qualcuno ti concede. I nostri diritti costituzionali ci sono stati tolti. Per lavorare i lavoratori devono subire farmaci sperimentali o dissanguarsi per dolorosi tamponi, mentre i sempre più preziosi e leggiadri sindacati si occupano di jus soli, istanze LGBT e sessi degli angeli.
Della mia salute decido io: non mi vaccino. Preferisco il covid. Esercitando il mio diritto di non vaccinarmi non danneggio nessuno. Chi lo afferma, mente. Danneggerei gli altri se impedissi loro di curarsi o di vaccinarsi con un vaccino valido, o anche con un vaccino problematico se a loro fa piacere averlo. Danneggio gli altri perché questo vaccino funziona solo se ci vaccinano tutti? Magari con una dose ogni anno, meglio ogni sei mesi? Allora non è un vaccino valido. Prendete atto di questa verità, e ringraziate Speranza Robertino che ha speso i vostri soldi per comprarne duecento milioni di dosi per sessanta milioni di abitanti.
E noi che pensavamo che il peggio del peggio fossero quelli dei banchi a rotelle. Ridateci la Azzolina e fatela ministro della salute pubblica. Arcuri viceministro. Meglio di questi. Sperperavano i soldi in maniera innocua. Almeno non pretendevano che i le sedicenni morissero di trombosi, e i quattordicenni ne restassero invalidi.
Nota di BastaBugie: Mario Draghi e Sergio Mattarella hanno sponsorizzato l’odio verso i non vaccinati. Per approfondire, clicca sui link qui sotto.
DRAGHI ISTIGA ALL’ODIO CONTRO I NON VACCINATI
Il banchiere prestato alla politica dichiara: ”L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire, sostanzialmente. Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire: non ti vaccini, ti ammali, contagi, qualcuno muore”
di Paolo Gulisano
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6672
Drammatico appello di un 48enne marchigiano: “dopo il vaccino Pfizer del 7 luglio sono stato colpito da paresi dei muscoli della deglutizione. Non riesco più a mangiare
Un 48enne di Osimo (Ancona), Tony Taffo, nelle scorse ore ha lanciato, in un video, un drammatico appello sulla sua pagina Facebook.
Denuncia di essere stato costretto a sottoporsi alla somministrazione della dose di Pfizer e di essere stato colpito da una paresi dei muscoli della deglutizione. L’appello è rivolto a qualsiasi medico che lo possa aiutare.
In un secondo messaggio scrive “dopo il vaccino non riesco più a deglutire, è come se avessi una parte del muscolo deglutitorio paralizzato. Tutto è iniziato il 7 luglio in modo graduale. Ora sono due mesi che riesco a deglutire solo un po’ di brodo con omogenizzato ben sciolto e passato al colino. Ma la mia situazione sta peggiorando non vedo una bella fine. Sto vivendo un incubo ho molta paura”.
VIDEO ESPLOSIVO di Fauci e funzionari HHS
[Health & Human Services, l’ente statale USA preposto alla protezione della salute] che letteralmente complottano per lanciare “un nuovo virus dell’influenza aviaria” per imporre il vax “universale” mRNA
6 Ottobre 2021 – Umberto Pascali
Una granata dopo l’altra scoppia nelle mani dei Covid-isti
INCREDIBILE SERVIZIO TELEVISIVO AL TGR DI BOLZANO
Si è tenuta come da programma nella Sala di Rappresentanza del Consiglio provinciale di Bolzano la presentazione di uno studio realizzato in Germania sulle autopsie di persone che poco prima di morire erano state vaccinate. I risultati sono sconvolgenti.
Ad organizzarlo, Josef Unterholzner, capogruppo del Partito Enzian in Trentino che si scaglia apertamente contro i vaccini.
I tre ricercatori, prendendo in esame 10 autopsie di persone morte entro due settimane dalla seconda vaccinazione avrebbero riscontrato gli eccessi di reazioni autoimmuni. Ben 5 morti su 10 sarebbero da ricondurre al vaccino!
Troveranno impiccato anche questo?
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/video-esplosivo-di-fauci-e-funzionari-hhs-health-human-services-lente-statale-usa-preposto-alla-protezione-della-salute-che-letteralmente-complottano-per-lanciare-un-nuovo-virus-dell/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
La Porta dell’inferno di Auguste Rodin
LUGLIO 15, 2018 DI ADO
Per quasi trent’anni, Auguste Rodin fu impegnato nella creazione de La porta dell’Inferno e l’opera diventò per lui una vera ossessione.
Auguste Rodin, La porta dell’Inferno, 1880-1917, altorilievo in gesso, cm 635 x 400 x 94. Parigi, Musée d’Orsay
Descrizione
La Porta dell’inferno è costituita oggi da 186 personaggi. In alto, si trova il gruppo intitolato Ombre. Invece il celebre Pensatore si trova sul trumeau. L’inquietante gruppo del Conte Ugolino è visibile sul battente di destra. A sinistra invece compaiono le statue di Paolo e Francesca.
Interpretazioni e simbologia
La prima ispirazione per la Porta dell’Inferno fu la Divina Commedia di Dante Alighieri. Gustave Dorè aveva già realizzato un ciclo di incisioni nel 1861 e Rodin tenne presente inizialmente queste immagini. In seguito lo scultore trasse molte energie e idee dalla sua relazione con la giovane Camille Claudel. Dopo aver illustrato le poesie di Charles Baudelaire, “I fiori del Male”, lo scultore si ispirò al clima simbolista dell’opera.
La Porta dell’inferno fu per Rodin una vera ossessione e si protrasse per 27 anni. Lo scultore francese decise di creare una scultura monumentale. Il tema fu dedicato ai gironi infernali e tra i dannati oltre a temi danteschi Rodin scolpì le donne che amò.
I committenti e la storia espositiva
Edmond Turquet, ministro delle belle arti di Parigi, nel 1880, incaricò Rodin di realizzare una porta decorativa per l’ingresso del futuro Museo delle Arti decorative della città. A Rodin vennero dati cinque anni per realizzare il progetto. Il gesso ospitato nel Musée d’Orsay risale al 1917 ed è esposto come scultura e non come porta decorata.
La fusione in bronzo è conservata presso il Musée Rodin di Parigi. Nel 1917 la curatrice del Museo, Léonce Bénédite, convinse Rodin a realizzare una fusione de La Porta dell’Inferno.
La storia dell’opera
Lo scultore iniziò a progettare La Porta dell’Inferno consultando i suoi disegni, realizzati cinque anni prima, durante il viaggio in Italia. I dieci pannelli di Lorenzo Ghiberti realizzati per la porta del paradiso del Battistero di Firenze impressionarono molto il maestro.
Rodin disegnò così per un anno intero fino ad arrivare ad undici progetti. Elaborò quindi un primo calco in cera in 10 pannelli. Fece inoltre un secondo calco sul quale distribuì una composizione di piccole figure che riprendeva il Giudizio Universale di Michelangelo dipinto sulla parete dietro all’altare della Cappella Sistina a Roma.
Lo scultore, però, lasciò presto l’idea di pannelli fissi e decise per una composizione libera. Dal 1882, in seguito all’assegnazione di nuovi spazi, Rodin iniziò a costruire le impalcature per una porta di 4,5 metri in altezza e 3,5 metri in larghezza.
Nel gennaio del 1883, Rodin stava procedendo a rilento e i giornali cominciarono a pubblicare voci preoccupanti sul suo lavoro. Anche un ispettore delle Belle Arti fece visita allo studio del maestro. Il funzionario scrisse una relazione molto negativa e rimandò la seconda visita di sei mesi. Rodin fu così costretto ad accelerare il suo lavoro. Nel suo studio si affollarono così modelli e aiutanti. Il maestro lavorò creando piccole figure in argilla che venivano poi riprodotte in gesso e fissate sulla porta.
L’ispettore tornò quindi nell’atelier di Rodin nel novembre del 1883 e fece, invece, un rapporto molto positivo. Da questa data, così lo studio dell’artista diventò un laboratorio di creatività nel quale le idee per la porta furono trasformate in statue autonome. La committenza infatti fu molta e il maestro si trovò a dover soddisfare tante richieste.
Le prime indiscrezioni della stampa e la curiosità del pubblico
Nel 1885 il giornalista Mirbeau descrisse su La France la statua del Conte Ugolino. L’articolo suscitò nuovamente molto interesse verso la Porta dell’Inferno di Rodin che ormai misurava 6,50 metri di larghezza per 3,50 metri di altezza.
Dopo cinque anni di lavoro Rodin elaborò più di 200 figure. Il Ministro Turquet fece molta pressione ma il maestro rimandò la fusione in bronzo. Dal 1890 al 1900 infatti lo scultore creò molte copie dei bozzetti.
Nel maggio del 1901 il Ministero comunicò ad Auguste Rodin il compimento del progetto del Museo della Arti Figurative. Negli anni seguenti Rodin si dedicò all’assemblaggio aprendo la strada alla scultura contemporanea.
Rodin morì all’età di 77 anni nel 1917. I tecnici ricostruirono La porta dell’Inferno, nel 1928 grazie alla mappatura ritrovata negli archivi di Rodin. Fu così eseguita una fusione in bronzo completa. Invece la versione incompleta che il maestro decise di mostrare durante l’Esposizione Universale si trova intatta nello studio, accanto alla sua abitazione di Meudon.
Le sculture più importanti della Porta dell’inferno
Rodin iniziò modellando la statua nota come Il Pensatore che inizialmente era intitolata Il creatore. Nel terzo modello della porta in gesso Il Pensatore venne poi collocato in alto, come a vegliare su tutte le figure della porta. Il processo creativo procedette così eliminando e sostituendo continuamente le statue.
Le prime ad essere eliminate furono due grandi statue di Adamo ed Eva collocate ai lati della porta. Adamo era una statua ispirata ai corpi di Michelangelo. Eva invece fu modellata sul corpo della sua modella preferita, Adele, una ragazza italiana. Adele però lasciò improvvisamente il maestro e l’idea venne abbandonata. Il non finito sul corpo di Eva fu però utilizzato per le opere future. Rodin riprese la statua di Adamo e la elaborò con il titolo Ombre. Creò poi un gruppo di tre nudi maschili, disposti vicini, da collocare poco sopra il Pensatore come monito all’umanità. Le figure però hanno le mani amputate per sottolineare la crudeltà di Satana.
La comparsa di Camille Claudel
Ispirato dalla sua relazione con la giovane Camille Claudel, Rodin pensò ad un gruppo statuario che raccontasse la vicenda di Paolo e Francesca, i due amanti dannati rappresentati nella Divina Commedia. Nel 1886 Il bacio fu considerato troppo paradisiaco e Rodin lo eliminò dal progetto della Porta dell’Inferno. Lo espose così nel 1887 come scultura isolata che ebbe subito successo. Nel 1888 il Governo francese gli commissionò una versione in marmo che divenne il simbolo dell’amore universale. Il bassorilievo di Paolo e Francesca si trova comunque all’interno della porta.
Il corpo di Camille fu di grande ispirazione per Auguste Rodin e lo scultore durante la loro relazione creò opere molto sensuali. Nacque così la statua definita la Rana o Lussuria e si diffusero le voci su comportamenti sconvenienti nell’atelier di Rodin. Nello stesso periodo lo scultore creò la figura dell’uomo che cade, considerata una scultura innovativa insieme a La Lussuria. Il maestro pensò così di unire le due figure per creare un gruppo intitolato Il Rapimento.
Les Fleurs du Mal di Charles Baudelaire
In seguito alla realizzazione di illustrazioni per I Fiori del Male di Baudelaire, leggendo la poesia “La Bellezza (Beauté)”, pensò al suo gruppo che rinominò Io sono Bella (Je suis belle). La conoscenza dell’opera di Baudelaire portò così Rodin a ripensare la sua porta adattandola all’opera simbolista del maestro francese.
Nuovamente ispirato dal suo legame con Camille Claudel, Rodin eliminò un altro gruppo dalla porta. Si tratta di un uomo e una donna nudi e abbracciati che intitolò L’eterna Primavera. Nel 1890 separò altre due figure intitolando la scultura L’eterno Idolo.
La rottura con Camille Claudel
Presto tra Camille Claudel e il maestro i legami si logorarono. La giovane partì così per Londra. Tornò però presto a lavorare nello studio di Parigi. Camille sviluppò progressivamente un precario equilibrio mentale. La giovane donna divenne paranoica e manifestò violente crisi di gelosia nei confronti di Rodin. In questo periodo nacque il gruppo chiamato Fugit Amor. Lo scultore lo riprodusse da una piccola versione inserita nella porta.
Un gruppo presente ne La Porta dell’Inferno si ispira ad una scultura di Jean-Baptiste Carpeaux. Si tratta di Ugolino e i suoi figli, il conte italiano imprigionato in una torre a Pisa con i figli. Abbandonati in una cella compirono atti di cannibalismo. Nel 1885 il gruppo venne descritto da un critico, Mirbeau, su La France, che ne fece una descrizione inquietante.
Altra opera molto nota, nata da bozzetti per la porta, è la Danaide, la Venere riprodotta in marmo che divenne presto famosa. Si tratta di una delle figlie di Danao. La giovane sconta la condanna riempiendo una botte senza fondo nell’Inferno. La sua colpa è quella di aver ucciso il marito su ordine del padre. Camille prestò il suo corpo anche per questa statua.
I laboratori di Rodin
In seguito alla commissione della Porta dell’Inferno Auguste Rodin ottenne dallo Stato uno spazio nel quale creare. Lo scultore allestì il nuovo studio presso il 182 di rue de l’Université di Parigi nell’agosto del 1880. Nel 1882 lo Stato gli assegnò due nuovi laboratori accanto al primo con grandi spazi vuoti.
L’esposizione Universale di Parigi del 1900 e il Pavillon Rodin
Il maestro, con l’esposizione universale del 1900, si impegnò nell’allestimento del suo padiglione in Place de l’Alma. Nel grande spazio commissionato a sue spese, lo scultore espose 168 opere autonome tratte dalla Porta dell’Inferno. Si trattò della sua prima grande personale. Inoltre il grande lavoro era destinato ad essere inaugurato proprio in quell’occasione. Poco prima dell’apertura però Rodin di decise smontare la Porta lasciando solo la superficie di ancoraggio.
Il gesto è giustificato dagli storici dalla consapevolezza di Rodin di essere ormai uno scultore profondamente cambiato. Forse fu il Monumento a Balzac, del 1898, dallo stile più sintetico ed astratto, a spingerlo a ripensare la sua intera opera. Il monumento, accostato al Bacio, rivelò a Rodin la sua evoluzione stilistica ormai irreversibile. La statua di Balzac con la sua essenzialità spinse lo scultore ad esporre la porta nuda, con le sole tracce posteriori. L’opera è così priva del realismo precedente alla modernità del Balzac.
FONTE:https://www.analisidellopera.it/auguste-rodin-la-porta-dellinferno/
BELPAESE DA SALVARE
Il prof. Paolo Maddalena spiega chi è Mario Draghi
VIDEO QUI: https://youtu.be/-cglYv8XXmY
Il Prof. Paolo Maria Maddalena spiega chi è Mario DRAGHI e perchè non può essere né Presidente del Consiglio, né Presidente della Repubblica. Agisce contro la Costituzione.
“Draghi è servo dell’Europa, fa quello che gli impone l’Europa e non si preoccupa dei danni che produce all’economia Italiana. In questo modo egli ci porta alla rovina”.
Paolo Maddalena è Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale.
FONTE: https://www.imolaoggi.it/2021/10/06/paolo-maddalena-chi-e-mario-draghi/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Il Pentagono conferma che la “guerra senza fine” continua
Secondo il portavoce del Pentagono, ammiraglio John Kirby, il presidente Joe Biden è autorizzato a bombardare cellule di Daesh in Afghanistan, in virtù della legge del 2001 che autorizza l’uso della forza militare (Authorization for Use of Military Force − AUMF).
Si tratta di un’interpretazione perlomeno estensiva del testo, dal momento che Daesh all’epoca non esisteva.
Ma, soprattutto, durante i negoziati di Ginevra (la cosiddetta Yalta 2) sembrava che il presidente Biden volesse rinunciare alla legge 2001 AUMF, che autorizza la “guerra senza fine” (strategia Rumsfeld/Cebrowski).
FONTE: https://www.voltairenet.org/article214275.html
IL PENTAGONO PREPARA UNA NUOVA GUERRA IN ASIA SUDORIENTALE
L’Islam politico contro la Cina
Probabilmente siete consapevoli di essere informati in modo incompleto su ciò che sta accadendo in Myanmar e probabilmente non avete sentito parlare della coalizione militare che si sta preparando ad attaccare questo paese. Tuttavia, come qui spiega Thierry Meyssan, gli eventi attuali sono stati organizzati da Riad e da Washington fin dal 2013. Non prendete posizione prima d’aver letto questo articolo e averne assimilato le informazioni.
Nel perseguire la sua Grande strategia di estensione del dominio della guerra [1], il Pentagono ha anche preparato la strumentalizzazione dei curdi nel Medio Oriente, una guerra civile in Venezuela e una guerra usurante nelle Filippine. Tuttavia, questi conflitti dovranno ancora aspettare, a beneficio di un quarto teatro di operazioni: la Birmania, sul cammino verso la Cina.
In occasione della riunione del Consiglio di sicurezza dell’ONU del 28 settembre, l’ambasciatrice degli Stati Uniti e alcuni dei suoi alleati hanno accusato il governo di coalizione di Myanmar di “genocidio” [2]. Questo parolone – che nel diritto europeo indica un massacro di massa, ma nell’ordinamento statunitense si applica a un metodo di assassinio anche quando il criminale faccia solo una vittima – è sufficiente per Washington per giustificare una guerra, con o senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza, come già si è visto in Jugoslavia [3]. La riunione del Consiglio di Sicurezza si è svolta su richiesta dell’Organizzazione della Conferenza islamica (OIC).
Per conciliare i fatti con la loro narrazione, gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia, che hanno celebrato – al tempo della “Rivoluzione Zafferano” – sia Aung San Suu Kyi (2007) sia i monaci buddisti per la loro resistenza nonviolenta dittatura dello SLORC [4], hanno ora semplicemente messo insieme l’esercito birmano, la vincitrice del Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi [5] e tutti i buddisti del paese [6] nel campo dei malvagi.
La Birmania non ha mai conosciuto la pace civile a seguito del dominio straniero, britannico e poi giapponese [7]. È più facile da destabilizzare da quando la giunta SLORC ha accettato di condividere il potere con la Lega Nazionale per la Democrazia (LND) e da quando sta cercando di risolvere in modo pacifico i molti conflitti interni del paese.
Per un caso della geopolitica, la Birmania lascia passare attraverso il suo territorio l’oleodotto che collega lo Yunnan cinese al Golfo del Bengala, e ospita stazioni cinesi di sorveglianza elettronica delle rotte navali che passano al largo delle sue coste. La guerra in Birmania è quindi più importante per il Pentagono che stoppare le due “Vie della seta” in Medio Oriente e in Ucraina.
Eredità dalla colonizzazione britannica, tra le popolazioni birmane discriminate si trovano 1,1 milioni di discendenti dei lavoratori bengali che Londra spostò all’interno dell’Impero delle Indie verso la Birmania: i Rohingya [8]. Accade che questa minoranza nazionale – non una minoranza etnica – sia musulmana, laddove la grande maggioranza dei birmani siano buddisti. Infine, durante la seconda guerra mondiale, i Rohingya collaborarono con l’Impero delle Indie contro i nazionalisti birmani.
Nel 2013, quando il Pentagono e la CIA avevano schierato le orde jihadiste in Siria e lì vi tenevano una guerra di posizione, l’Arabia Saudita ha creato un’ennesima organizzazione terroristica alla Mecca, il Movimento per la Fede (Harakah al-Yaqin). Il gruppo, che dichiara di riunire i Rohingya, è in realtà controllato dall’organizzazione pakistana Ata Ullah, che combatté i sovietici in Afghanistan [9]. Il regno saudita ospitava la più grande comunità maschile Rohingya, dopo la Birmania e davanti al Bangladesh, con 300.000 lavoratori maschi senza le loro famiglie.
Secondo un rapporto dei servizi di intelligence bengalesi, anteriore alla crisi attuale, il Movimento per la Fede agisce da un anno con una scissione della Jamaat-ul-Mujahideen bengalese intorno allo slogan “Il Jihad dal Bengala a Baghdad”. Questo gruppuscolo ha giurato fedeltà al califfo di Daesh, Abu Bakr al-Baghdadi, e ha raccolto nella stessa coalizione i Mujahidin indiani, Al-Jihad, Al-Ouma, il Movimento degli Studenti Islamici dell’India (SIMI), il Lashkar- e-Toiba (LeT) e il pakistano Harkat-ul Jihad-al-Islami (HuJI). Questo progetto è stato finanziato dalla fondazione Revival of Islamic Heritage Society (RIHS)del Kuwait.
Quando, meno di un anno e mezzo fa, nel marzo 2016, lo SLORC accettò di condividere il potere con il partito di Aung San Suu Kyi, gli Stati Uniti tentarono di strumentalizzare il premio Nobel per la pace contro gli interessi cinesi. Sapendo che sarebbe stato loro difficile manipolare la figlia del padre dell’indipendenza birmana, il comunista Aung San, allora incoraggiarono il Movimento per la Fede – «non si sa mai…» -.
Nel settembre del 2016, Aung San Suu Kyi rappresentava il suo paese all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite [10]. Assai ingenuamente, spiegò i problemi del suo popolo e gli strumenti che stava mettendo in atto per risolverli gradualmente, a partire da quello dei Rohingya. Quando tornò a casa, si rese conto che i suoi ex sostenitori statunitensi erano in realtà i nemici del suo paese. Il Movimento per la Fede ha lanciato una serie di attacchi terroristici, tra cui quello alla stazione di polizia di confine a Maungdaw, dove 400 terroristi saccheggiarono l’arsenale uccidendo 13 persone fra doganieri e soldati.
Aung San Suu Kyi ha perseverato e ha mirato a costituire una commissione consultiva per analizzare la questione Rohingya in modo da presentare un piano concreto volto a porre fine alla discriminazione di cui è oggetto la minoranza. Questa commissione era composta da sei birmani e tre stranieri: l’ambasciatore olandese Laetitia van den Assum, l’ex ministro libanese (che in realtà rappresenta la Francia) Ghassan Salamé, e l’ex segretario generale dell’ONU Kofi Annan, in qualità di presidente della commissione.
I nove commissari intrapresero un lavoro di rara qualità, nonostante gli ostacoli birmani. I partiti politici non riuscirono a far sciogliere la commissione da parte dell’Assemblea nazionale ma riuscirono a far adottare una mozione di sfiducia nei confronti della commissione da parte dell’assemblea locale di Arakan (lo Stato in cui vivono i Rohingya). In ogni caso, i commissari hanno presentato il loro rapporto il 25 agosto con possibili raccomandazioni da attuare e senza trappole, con il vero scopo di migliorare le condizioni di vita di ciascuno [11].
Lo stesso giorno, i servizi segreti sauditi e statunitensi hanno dato il segnale della risposta: il Movimento per la Fede, rinominato dai britannici Esercito di salvezza dei Rohingya dell’Arakan, diviso in 24 squadre d’assalto, ha attaccato diverse caserme dell’esercito e della polizia, causando 71 morti. Per una settimana le truppe birmane conducevano un’operazione anti-terroristica contro i jihadisti. 400 membri delle loro famiglie fuggivano in Bangladesh.
Tre giorni dopo, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha iniziato a chiamare tutti i capi di Stato dei paesi musulmani per avvisarli del «genocidio dei Rohingya». Il 1° settembre, il giorno della più importante festa musulmana, l’Eid al-Adha, ha pronunciato un vibrante discorso a Istanbul, nella sua attuale veste di presidente dell’Organizzazione per la cooperazione islamica, al fine di salvare i Rohingya e sostenere il loro Esercito di salvezza [12].
Tuttavia, questi jihadisti non hanno affatto difeso i Rohingya, ma sono intervenuti sistematicamente per sconfiggere i tentativi di migliorare le loro condizioni di vita e porre fine alle discriminazioni che li colpivano.
IMMAGINE
Il 5 settembre, il presidente del Consiglio del discernimento iraniano, Mohsen Rezaei, ha proposto di unire le forze di tutti gli Stati musulmani e di creare un esercito islamico per salvare i «fratelli Rohingya» [13]. Si tratta di una presa di posizione tanto più importante in quanto il generale Rezaei è un ex comandante in capo dei Guardiani della Rivoluzione.
Mentre l’esercito birmano aveva interrotto tutta l’attività nei confronti dei terroristi, diversi villaggi Rohingya venivano bruciati, mentre la popolazione rakhine dell’Arakan linciava dei musulmani, ai suoi occhi tutti legati ai terroristi. Secondo i Rohingya, era l’esercito birmano a bruciare i villaggi, mentre secondo l’esercito birmano erano i jihadisti a farlo. Gradualmente, tutti i Rohingya che vivevano nel nord dell’Arakan si sono rifugiati in Bangladesh, ma curiosamente non i Rohingya che vivono nel sud dello Stato.
Il 6 settembre, una delegazione ufficiale turca è andata in Bangladesh per distribuire cibo ai rifugiati. Era guidata dal ministro degli esteri Mevlüt Çavuşoğlu e dalla moglie e dal figlio del presidente Erdoğan, Bilal e Ermine.
Nei paesi musulmani, una massiccia campagna di disinformazione garantiva, con fotografie a sostegno, che i buddisti massacravano in massa i musulmani. Naturalmente, nessuna di queste foto era stata scattata in Birmania, e queste false dichiarazioni sono state smascherate una dopo l’altra. Ma in quei paesi in cui la popolazione è scarsamente istruita, queste foto risultarono convincenti, mentre le smentite rimasero inascoltate. Solo il Bangladesh aveva riserve sul ruolo dei jihadisti e ha assicurato al Myanmar la sua cooperazione contro i terroristi [14].
L’11 settembre l’attuale Presidente dell’Organizzazione della Conferenza islamica (OIC), Recep Tayyip Erdoğan, è apparso davanti al comitato scientifico dell’Organizzazione riunito ad Astana (Kazakistan), che non ha competenza «per salvare i Rohingya».
Il giorno seguente, il 12 settembre, la Guida della Rivoluzione, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha preso una sua posizione. Molto preoccupato per la proposta del generale Rezaei, vigilava per delegittimare la guerra di religione in preparazione, lo “scontro di civiltà”, a parte mettere in discussione la presenza di una donna a capo di uno Stato. Stava pertanto cercando di chiudere la porta a un impegno militare dei Guardiani della Rivoluzione. Dichiarava: «È abbastanza possibile che il fanatismo religioso abbia svolto un ruolo in questi eventi, ma questo è un tema molto politico, in quanto è il governo di Myanmar a esserne responsabile. E alla testa di questo governo c’è una donna crudele, vincitrice del Premio Nobel per la Pace. In realtà, questi eventi hanno firmato il certificato di morte del Premio Nobel per la Pace» [15].
Subito a Teheran, il presidente sheikh Hassan Rohani ha invitato l’esercito regolare a partecipare al conflitto in preparazione. Il 17 settembre, i capi di stato maggiore iraniani e pakistani sono entrati in contatto per unire le loro forze nella crisi [16]. Si tratta della prima iniziativa militare, ma riguarda l’esercito iraniano (che sta già lavorando con i suoi omologhi turchi e pakistani per difendere il Qatar) e non dei Guardiani della Rivoluzione (che combattono a fianco dei siriani contro jihadisti). L’Iran fornisce anche massicci aiuti ai rifugiati.
Il 19 settembre, Erdoğan, ignorando le spiegazioni di Aung San Suu Kyi [17] e sfruttando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha convocato il gruppo di contatto dell’OIC per chiedere a tutti gli Stati membri di sospendere qualsiasi commercio con il Myanmar e chiedere al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di prendere una decisione [18].
Uscendo finalmente dall’ombra, l’Arabia Saudita ha affermato di sostenere discretamente i Rohingya da 70 anni e di aver già offerto loro 50 milioni di dollari di aiuti durante questo periodo. Il re Salman ha aggiunto una donazione di 15 milioni di dollari [19]. L’ambasciatore saudita alle Nazioni Unite a Ginevra, Abdulaziz bin Mohammed Al-Wassil, ha mobilitato il Consiglio dei diritti umani.
Dimenticando le guerre che stanno conducendo in Iraq, Siria e Yemen, la Turchia, l’Iran e l’Arabia Saudita, ossia le tre principali potenze militari musulmane, si sono rinsaldate attraverso un semplice riflesso comunitario [20] e si sono posizionate accanto ai Rohingya. Tutte e tre hanno designato il nemico comune: il governo della coalizione dell’esercito birmano e Aung San Suu Kyi.
Questa inversione completa della situazione in Medio Oriente ha già avuto un precedente: le guerre della Jugoslavia. In Bosnia-Erzegovina (1992-95) e Kosovo (1998-99), i paesi musulmani e la NATO hanno combattuto fianco a fianco contro i cristiani ortodossi legati alla Russia.
In Bosnia Erzegovina, il presidente Alija Izetbegović si attorniò dello statunitense Richard Perle, che lo consigliava diplomaticamente e guidava la delegazione bosniaca durante gli accordi di Dayton. Sul piano mediatico, beneficiava della consulenza del francese Bernard-Henri Lévy, a detta di costui, mai smentito. Infine, sul fronte militare, si appoggiava sui consigli del saudita Osama bin Laden, che organizzò per lui la Legione araba e ricevette un passaporto diplomatico bosniaco. Durante il conflitto, sostenuto dalla NATO, Izetbegović ha ricevuto pubblicamente il sostegno della Turchia, dell’Iran e dell’Arabia Saudita [21].
Il conflitto kosovaro ha avuto inizio con una campagna terroristica dell’esercito di liberazione del Kosovo (UÇK) contro Belgrado. I combattenti sono stati addestrati da forze speciali tedesche su una base della NATO in Turchia [22]. L’attuale capo del servizio segreto turco, Hakan Fidan, era l’ufficiale di collegamento con i terroristi in seno allo stato maggiore della NATO. Ora è il capo del MIT, l’intelligence turca, ed è il numero due del regime. All’inizio della guerra, 290mila kosovari scapparono dalla Serbia per tre giorni per cercare rifugio in Macedonia. I televisori occidentali mostrarono a piacimento questa lunga fila di fuggitivi che camminavano lungo una linea ferroviaria. Tuttavia, secondo i pochi milioni di macedoni che li hanno ricevuti, non esisteva alcuna ragione oggettiva per questa migrazione, ampiamente controllata dalla NATO. Poco importa: questo spostamento di popolazione è stato usato per accusare il presidente Slobodan Milošević di reprimere in modo sproporzionato la campagna terroristica che colpiva il suo paese e la NATO gli dichiarò guerra senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza.
Il lavoro sporco che si sta preparando estende il teatro delle operazioni verso Oriente. Il Pentagono non ha la possibilità di imporre un’alleanza turco-iraniano-saudita, ma non ne ha bisogno. In Jugoslavia, questi tre Stati sono stati coordinati dalla NATO per quanto non avessero contatti diretti. Tuttavia, combattere fianco a fianco in Birmania li costringerà a trovare accordi in Iraq, Siria e Yemen; e perfino in Libia. Considerando la devastazione del Medio Oriente e la perseveranza delle popolazioni nel resistere, il Pentagono può lasciare questa regione a guarire le sue ferite per un decennio senza temere di vedere sorgere la minima capacità di opposizione alla sua politica.
All’indomani della riunione del Consiglio di Sicurezza che ha posto le basi per la guerra futura contro la Birmania, il segretariato di stato ha informato il presidente Barzani che gli Stati Uniti non sostengono l’indipendenza di un Kurdistan in Iraq. Il Pentagono non può in effetti mobilitare la Turchia e l’Iran nel sud-est asiatico e nel contempo mettersi a fregarli proprio a ridosso delle loro frontiere. Ma’sud Barzani, che si era impegnato senza lasciarsi vie di uscita per il referendum sull’indipendenza, dovrebbe presto ritirarsi dalla vita politica. Soprattutto dal momento che l’esposizione delle bandiere israeliane a Erbil, massicciamente trasmessa dai canali televisivi arabi, persiani e turchi, gli ha alienato tutti i suoi vicini.
Se lo scenario del Pentagono continua così come lo possiamo anticipare, la guerra contro la Siria dovrebbe finire a causa della mancanza di combattenti, partiti per andare lontano, a servire “l’Impero americano” in un nuovo teatro operativo.
Matzu Yagi
[1] Fonte: The Pentagon’s New Map, Thomas P. M. Barnett, Putnam Publishing Group, 2004. Analisi: «Gli Stati Uniti e il loro progetto militare mondiale», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Haïti Liberté (Haiti) , Rete Voltaire, 22 agosto 2017.
[2] « Myanmar : le Secrétaire général demande “une action rapide” pour mettre fin au “cauchemar” des Rohingya dans l’État de Rakhine », Compte-rendu du Conseil de sécurité, Onu, 28 septembre 2017. Référence : CS/13012.
[3] Il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno già fatto redigere l’atto d’accusa contro il Myanmar, persino prima degli eventi attuali: Countdown to Annihilation : Genocide in Myanmar, Penny Green, Thomas MacManus & Alicia de La Cour Venning, Queen Mary University of London, 2016. Persecution of the Rohingya Muslims ; Is Genocide Occurring in Myanmar’s Rakhine State ; a Legal Analysis, Allard Lowenstein, Yale University, 2016.
[4] « Birmanie : la sollicitude intéressée des États-Unis », par Thierry Meyssan, Abiad & Aswad (Syrie), Réseau Voltaire, 5 novembre 2007.
[5] The Burma Spring: Aung San Suu Kyi and the New Struggle for the Soul of a Nation, Rena Pederson, Foreword by Laura Bush, Pegasus, 2015.
[6] Neither Saffron Nor Revolution: A Commentated and Documented Chronology of the Monks’ Demonstrations in Myanmar in 2007 and Their Background, Hans-Bernd Zöllner, Humboldt-University, 2009.
[7] Burma/Myanmar: What Everyone Needs to Know, David Steinberg, Oxford University Press, 2013.
[8] Pour être plus précis, il y a eu des immigrés bengalis en Birmanie avant la domination britannique, mais l’immense majorité des Rohingyas descend des travailleurs déplacés par les colons. NdA.
[9] “Myanmar’s Rohingya insurgency has links to Saudi, Pakistan”, Simon Lewis, Reuters, December 16, 2016.
[10] “Speech by Aung San Suu Kyi at 71st UN General Assembly”, by Aung San Suu Kyi, Voltaire Network, 21 September 2016.
[11] Towards a peaceful, fair and prosperous future for the people of Rakhine, Advisory Commission on Rakhine State, August 2017.
[12] “We won’t Leave Rohingya Muslims Alone”, Presidency of the Republic of Turkey, September 1, 2017.
[13] “Rezaei urges Muslim states to defend Rohingya Muslims”, Mehr Agency, September 6, 2017.
[14] “Bangladesh offers Myanmar army aid against Rohingya rebels”, AFP, August 29, 2017.
[15] « Myanmar : le Guide critique les défenseurs des droits de l’homme », Leader.ir, 12 septembre 2017.
[16] “Iranian, Pakistani Top Military Commanders Stress Need for Ending Myanmar Muslims’ Plights”, Fars News, September 17, 2017.
[17] “Aung San Suu Kyi speech on National Reconciliation and Peace”, by Aung San Suu Kyi, Voltaire Network, 19 September 2017.
[18] «OIC Contact Group on Rohingya calls for UN Resolution on Myanmar», Organisation of Islamic Cooperation, September 19, 2017.
[19] « Le Serviteur des Deux Saintes Mosquées accorde un don de 15 millions de dollars aux réfugiés Rohingyas », Saudi Press Agency, September 19, 2017.
[20] The Rohingyas : Inside Myanmar’s Hidden Genocide, Azeem Ibrahim, Hurst, 2016.
[21] Comment le Djihad est arrivé en Europe, Jürgen Elsässer, préface de Jean-Pierre Chevènement, éditions Xenia, 2006.
[22] « L’UÇK, une armée kosovare sous encadrement allemand », par Thierry Meyssan, Notes d’information du Réseau Voltaire, 15 avril 1999.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article198144.html
CULTURA
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Trappola per Sorci 2: aumentare il panico rendendo chiaro chi controlla cosa
Bigino “…for dummy” per capire bene come ci hanno servito in Italia, anche se all’estero non va meglio coi tamponi non invasivi gratuiti oltre che auto-gestiti, perché tanto il problema è il GP, come si ottiene nel paese di turno dipende solo dalla crudeltà di chi ti sta governando (indovidiamo quella del drago?) e nel caso specifico nostro, dal fatto che qualcuno ci ha venduto alle farmaceutiche già da diversi anni e adesso sono “passate a ritirare il rateo” sull’investimento. Naturalmente come ho già detto, sono sempre stati i bambini il vero obbiettivo, quelli che stiamo già vedendo morire come mosche senza poterci fare nulla.
Poi mi stanno sfraciullando tutti gli zebedei dicendo che senza i social non ci sarebbero le proteste. Bene, ecco la risposta di “chi comanda” e ha i bottoni per spegnere quando vuole il giocattolino che ci è stato dato “in prestito” e lo dico subito, vorrei tanto sbagliarmi ma credo dovremo abituarci a questo oltre che alle epidemie e ai disastri ambientali, la mano è la stessa:
FONTE: https://comedonchisciotte.org/forum/notizie-dallitalia/trappola-per-sorci-2-aumentare-il-panico-rendendo-chiaro-chi-controlla-cosa/
Come gli ospedali imbrogliano sulle statistiche
(video rivela le tattiche degli ospedali per tenere alta la paura)
Fantastico video (9 minuti) dove il grande Del Bigtree (autore di Vaxxed 1 e 2) riporta un pezzo di riunione zoom trafugata dove si vede una consulente legale/direttrice del personale di un ospedale che dà dei suggerimenti su come gonfiare le statistiche per tenere alta la paura e costringere la gente a vaccinarsi. In particolare suggerisce ad una impiegata poco convinta che si inseriscano, fra i ricoverati per Covid, anche quelli che non sono lì per Covid ma per altre patologie, basta che in passato siano risultati positivi ai tamponi.
(un po’ come ci aveva detto Zaia in una sua famosa uscita dell’anno scorso).
Molto indicativa la battuta del collega: “meglio se ne parliamo a quattr’occhi di questa cosa….”
(forse aveva il sentore che l’altra collega fosse poco incline a mentire così spudoratamente, o forse capiva che detto nel corso di una riunione, ancorchè interna, fosse rischioso e potesse trapelare, cosa che poi è effettivamente successa, perchè abbiamo il video…)
E così, anche se loro cercano di imbrogliare e gonfiare i numeri reali, come nel caso degli aborti indotti da vaccino, o della percentuale dei morti DOPPIA fra i vaccinati rispetto ai non vaccinati, le bugie hanno le gambe corte e la Verità, prima o poi, viene a galla.
Eccolo là i nostri angeli, i nostri salvatori, i nostri eroi: preoccupati unicamente di gonfiare le statistiche, di tenere alta la paura, di mandarci tutti al macello della vaccinazione obbligatoria, ricorsiva, di massa. Ma la giustizia divina non li risparmierà.
(prometto che prima o poi ve lo sottotitolo)
VIDEO QUI: https://www.ingannati.it/wp-content/uploads/2021/09/HospitalTacticsForScare.mp4
FONTE: https://www.ingannati.it/2021/09/24/come-imbrogliano-sulle-statistiche/
Covid-19: due NESSI, due misure?
Se sei Covid+ e muori di infarto, la diagnosi di morte è Covid-19.
Se ti vaccinano contro Covid-19 e muori di infarto, la diagnosi di morte è Infarto.
Quanto sopra potrebbe sembrare una battuta di spirito, ma non lo è. E’ quello che sta succedendo in Italia e ovunque il costume sia sempre più riplasmato dai media occidentali e dai loro ripetitori. Eppure ciò è in aperta contraddizione con la Logica che, da Aristotele in poi, dovrebbe guidare il corretto ragionamento.
Nella pratica clinica, autopsie comprese, non si può mai affermare una diagnosi con sicurezza assoluta (probabilità = 1) né escluderla (probabilità = 0). Si possono solo formulare ipotesi diagnostiche più o meno plausibili. Cercherò di chiarire questo fatto con un esempio estremo, diciamo pure “scandaloso” per il buon senso comune: una persona uccisa con dozzine di proiettili potrebbe aver avuto un arresto cardiaco per lo spavento al vedere che il killer stava per ucciderla: nessuna autopsia potrà mai escludere tale ipotesi, per quanto remota essa sia. La causa di morte sarà “ferite di arma da fuoco” con probabilità 0,999…9 e “arresto cardiaco” con probabilità 0,000…1).
Passando a gruppi di persone (cioè in epidemiologia), una correlazione statisticamente significativa non implica un nesso causale. Cioè: il rapporto causa-effetto è possibile ma non è né dimostrato né (tantomeno) escluso. Vediamo come esempio le due situazioni che seguono:
1) Casi di morte associata a positività dei test per SARS-CoV-2: il nesso causale (cioè: il virus ha ucciso la persona) è possibile ma non è né dimostrato né escluso.
2) Casi di morte associata a vaccinazione anti SARS-CoV-2: il nesso causale (cioè: il vaccino ha ucciso la persona) è possibile ma non è né dimostrato né escluso.
Fin qui l’inoppugnabile teoria. E la pratica?
I casi del primo tipo (morte associata a test positivo) vengono regolarmente analizzati dall’Istituto Superiore di Sanità. Al 16 dicembre 2020 sono state esaminate 5.962 cartelle cliniche, da cui risulta che in media c’erano 3,6 altre gravi patologie pre-esistenti e che solo nel 3,1% dei decessi non vi erano altre patologie (1). Si tratta di un campione estremamente rappresentativo di tutti i 63.573 casi registrati dall’inizio della cosiddetta “pandemia” (2). Su quei dati si è sviluppata la polemica “morti CON / morti PER” Covid-19, ma pochi hanno evidenziato il nocciolo del problema così chiaramente come il governatore del Veneto Luca Zaia. In una conferenza stampa del 27 agosto, Zaia dice che, data una positività del test, da quel momento in poi la diagnosi di morte è sempre e comunque “Covid-19”. Egli commenta due volte: “è un assurdo ma oggi si ragiona così” e “purtroppo è sbagliato però è così”.
Ma allora i medici sono impazziti? No, dal 20 aprile 2020 è “impazzita” l’OMS che ha cambiato i criteri (3), con grande soddisfazione del suo azionista di maggioranza, nonché piazzista di vaccini con enormi profitti, Bill Gates.
Conclusione: nei casi del primo tipo il nesso causale viene sempre affermato, anche se ciò comporta un errore di logica.
I casi del secondo tipo (morte associata a vaccino) vengono indagati mediante esame autoptico. Il caso più clamoroso riguarda 29 morti in Norvegia (4), ma vi sono casi in tutto il mondo (5), Italia compresa.
In tutti quei casi finora è emersa qualche grave patologia associata (tranne il riferimento 14, sotto), la quale viene sistematicamente registrata come causa di morte. Anzi, le dichiarazioni ufficiali si spingono all’assurdità logica di escludere un pur possibile nesso causale fra vaccino e morte (6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, … ).
Conclusione: nei casi del secondo tipo il nesso causale viene sempre escluso, anche se ciò comporta un errore logico di segno opposto a quello commesso nei casi del primo tipo.
Insomma, si potrà anche contestare tutto ma non l’evidenza che i mass media, i politici e i vertici della sanità stanno applicando il trucco dei due pesi, due misure. Anzi, due nessi, due misure!
Per risolvere la contraddizione logica di tutto quanto sopra restano solo tre ipotesi:
A) L’informazione è dominata da una élite di personaggi SI-VAX-A-PRESCINDERE, con uno stuolo di ripetitori acritici fra le autorità politiche e sanitarie (15);
B) L’informazione è dominata da una élite di personaggi SI-COVID-A-PRESCINDERE, con uno stuolo di ripetitori acritici fra le autorità politiche e sanitarie;
C) Entrambe le precedenti.
In questo contesto di schiavitù globale non ci indigniamo nemmeno per il fatto che l‘Italia sta al 41mo posto nella classifica mondiale per indipendenza dell’informazione, dopo Botswana, Burkina Faso e Repubblica Ceca (16).
Un noto proverbio recita: “chi paga la banda sceglie le musiche”. E chi è che paga la banda di giornalisti e politicanti (inclusi molti politicanti della Sanità) a livello locale, nazionale e globale?
1) Epicentro ISS, revisione cartelle cliniche al 16/12/2020
2) L’OMS non ha mai dichiarato ufficialmente lo stato di pandemia per CoViD-19. Tutto quello che abbiamo è una conferenza stampa in cui il DG Ghebreyesus dice: “Abbiamo valutato che CoViD-19 può essere caratterizzata come una pandemia”. Nessun documento scritto, protocollato, da parte degli organi competenti in base allo statuto dell’OMS: Assemblea Generale (art. 21a) o Consiglio Direttivo (art. 28i).
3) OMS cambia i criteri di diagnosi di morte
4) La Stampa: “coincidenza temporale, nessun allarme
5) La California sospende il vaccino Moderna: troppe reazioni gravi
6) Covid: infermiera morta dopo vaccino, autopsia ESCLUDE legame
7) Medico di Mantova morto per attacco cardiaco, il giorno prima si era vaccinato: “NESSUNA CORRELAZIONE, patologie preesistenti”
8) Covid: Svizzera, 91/enne morto dopo vaccino, NESSUN NESSO.
9) Germania: morte 10 persone poco dopo la vaccinazione contro il coronavirus,. Gli specialisti PARTONO DAL PRESUPPOSTO CHE IL DECESSO NON SIA LEGATO AL VACCINO.
10) Repubblica.it: “(autopsia) dovuta, MA SI TRATTAVA DI PERSONE IN CONDIZIONI GIA’ MOLTO GRAVI”.
12) Mantova: “EVENTO IMPROVVISO LEGATO A CONDIZIONI PREESISTENTI”
13) Genova, anziana in Rsa muore per emorragia cerebrale dopo vaccino Covid. La Regione: “AL MOMENTO NESSUN NESSO”.
14) Infermiera muore nel sonno “CAUSE NATURALI” (ma viene CENSURATA l’informazione che era stata vaccinata)
15) Sì-vax-a- prescindere: perdona loro perché non sanno quello che fanno!
16) Italia 41ma per libertà di stampa
FONTE: https://comedonchisciotte.org/covid-19-due-nessi-due-misure/
L’attualità di Orwell in tempi di pandemia: il controllo non solo fisico ma anche psicologico
A volte i classici del passato possono aiutarci a comprendere la contemporaneità. È il caso di “1984”, nono romanzo di George Orwell, che ci catapulta in una dimensione distopica governata dal Grande Fratello, un’entità minacciosa, ispirata per molti versi ai dittatori del secolo scorso. L’opera di Orwell descrive la vita di Winston Smith, impiegato del Ministero della Verità, un ente pubblico destinato alla censura della storia, alla cancellazione di ogni nome o evento ostile alla narrazione univoca del regime: “Se tutti i documenti raccontavano la stessa favola, ecco che la menzogna diventava un fatto storico, quindi vera”, scrive Orwell. Una lucida premonizione della Cancel Culture che, invece di confrontarsi laicamente con il passato, preferisce sbarazzarsene tirando acqua al mulino del politically correct.
È curioso come Winston annoti le proprie riflessioni libertarie su un diario cartaceo. Immagine dal forte significato allegorico: la carta ospita il pensiero di chi scrive, le sue riflessioni, la sua unica e inimitabile visione del mondo. Proprio per questo Hitler e i suoi seguaci organizzarono nel 1933 le cosiddette “Bücherverbrennungen”, grandi roghi in cui vennero bruciati migliaia di libri avversi all’ideologia nazista e dunque ritenuti dannosi per la tenuta del regime.
Ma ciò che più inquieta del romanzo di Orwell è la dittatura del pensiero unico: al regime non basta mantenere il potere ed esercitarlo a proprio piacimento. No, vuole manipolare la mente dei cittadini, pretendendo non solo la loro sottomissione fisica, ma anche quella psicologica. Non esiste vita privata: tutto passa al vaglio dello Stato, ogni attività è funzionale alla propaganda del Big Brother. Per controllare meglio i suoi sudditi, il regime ricorre al “teleschermo”, uno strumento con cui il Grande Fratello può osservare ogni movimento, carpire ogni informazione, riconoscere ogni potenziale sintomo di dissenso. E che cos’è il teleschermo se non un odierno trojan che invade, spesso immotivatamente, la sfera privata del cittadino rivelandone i segreti e le debolezze?
“1984” ha tanto da insegnarci in questo periodo di pandemia, in cui il dibattito pubblico ha assunto caratteri surreali. Ogni voce eretica viene bollata di “negazionismo”. Chiunque invochi maggiori riaperture viene accusato di minimizzare la pericolosità del virus. Dimenticando che molti studi, come quello condotto dall’Università di Stanford, attestano l’inefficacia delle chiusure sul piano sanitario. Ma l’importante è ridicolizzare e/o criminalizzare l’interlocutore, in linea con la peggiore tradizione socialista. Ne sono un esempio i peana contro la movida e il “liberi tutti” che abbiamo letto su molti giornali e ascoltato su tutte le tv.
La spettacolarizzazione e la drammatizzazione del Covid attuate nell’ultimo anno e mezzo si riflettono nei rapporti con gli altri: i vicini di casa si denunciano l’un l’altro segnalando gli “assembramenti della porta accanto”. Proprio come accade in “1984”, dove Winston fatica a stringere qualunque amicizia per paura di essere tradito e consegnato al regime: “Non si avevano amici, allora si avevano camerati.” È lo “psico-reato”. I pensieri costituiscono un pericolo e la loro manifestazione può essere punita con la morte: “La guerra è pace, la libertà è schiavitù e l’ignoranza è forza.” Fortunatamente non siamo ancora arrivati a quel punto, ma all’inferno si arriva a piccoli passi. E Orwell lo aveva compreso.
FONTE: http://www.atlanticoquotidiano.it/recensioni/lattualita-di-orwell-in-tempi-di-pandemia-il-controllo-non-solo-fisico-ma-anche-psicologico/
ECONOMIA
La transizione “ecologica” al nucleare
La causa umana del riscaldamento del clima è una teoria molto contestata negli ambienti scientifici, ma non dalle Nazioni Unite, dove lavora un gruppo di esperti incaricati di formulare politiche pubbliche in termini scientifici, il GIEC. Il governo tedesco e i proprietari del gruppo di distribuzione Metro finanziano invece l’MCC di Berlino, che va molto oltre. Sono organismi che promuovono il nucleare come «fonte di energia ecologica».
L’Orologio del clima, installato da Roberto Cingolani sulla facciata del Ministero della transizione ecologica, ha iniziato il countdown: mancano meno di 7 anni alla catastrofe climatica provocata dal riscaldamento globale. L’orologio è tarato sulle previsioni dell’istituto Mcc di Berlino [1], non su quelle della Ipcc (la Commissione Onu sul cambiamento climatico [2]). Essa calcola che la temperatura media globale, aumentata di circa 1 °C dal livello preindustriale del 1750, potrebbe salire nel 2050 (ossia in tre secoli) di 1,5 °C, principalmente a causa della CO2 (anidride carbonica) immessa nell’atmosfera dalle attività umane, che provoca una intensificazione dell’effetto serra. Secondo gli scienziati Onu, contribuisce secondariamente al riscaldamento globale la più intensa attività del Sole, che per altri scienziati è invece la causa principale.
Nella Pre Cop di Milano, di cui il ministro Cingolani è stato principale organizzatore, il complesso quadro scientifico del cambiamento climatico e delle sue conseguenze ambientali è stato spettacolarizzato con tecniche da film catastrofico. Di fronte alla previsione «scientifica» che tra sette anni il pianeta Terra sarà travolto dalla catastrofe climatica, i 400 giovani radunati da Cingolani a Milano da tutto il mondo hanno chiesto che l’industria delle fonti fossili sia chiusa entro il 2030 e che i governi smettano di finanziarla fin da ora, sostituendola con fonti green che non emettano CO2. Il ministro Cingolani si è impegnato a realizzare tale obiettivo.
Ci sarebbe effettivamente modo di farlo, se l’Italia avesse un piano strategico per realizzare un sistema energetico integrato basato sul solare fotovoltaico e soprattutto termodinamico (con specchi che concentrano i raggi del Sole), e su grandi parchi eolici soprattutto offshore (con turbine eoliche installate su bassi fondali o galleggianti). L’innovativo progetto del solare termodinamico messo a punto dal Premio Nobel Carlo Rubbia, che avrebbe permesso di produrre un terzo del fabbisogno italiano di energia elettrica con alcune centrali solari a emissioni zero, fu deliberatamente affossato e ora tale tecnologia viene usata in Cina. La realizzazione di parchi eolici offshore viene ostacolata, tanto che ce n’è solo uno a Taranto.
La «soluzione» il ministro Cingolani, però, ce l’ha: il nucleare (v. articolo del direttore di Greenpeace Italia sul manifesto del 3 settembre). Cingolani lo ha dichiarato in modo aperto e polemico quando è stato invitato da Renzi alla Scuola di formazione politica di Italia Viva. Il ministro ha quindi patrocinato un convegno di sostenitori del nucleare. Non a caso dopo che ha incontrato John Kerry, inviato speciale del Presidente Usa per la gestione del clima, riconvertitosi da oppositore a sostenitore del nucleare. A Cingolani si è accodato subito Salvini, che ha detto: «Una centrale nucleare in Lombardia? E che problema c’è?». Anche in Italia dunque si è radicata la potente lobby del nucleare, che ha già ottenuto nella Ue un primo, fondamentale risultato: il Centro congiunto di ricerca, incaricato dalla Commissione Europea, ha incluso il nucleare tra le «fonti energetiche verdi» sostenute e finanziate dall’Unione Europea per eliminare entro il 2050 le emissioni di CO2.
La UE rilancia così l’industria nucleare nel momento in cui è in profonda crisi a causa dei crescenti costi e problemi tecnici. Mentre le centrali solari possono produrre più elettricità di quelle nucleari, senza costi aggiuntivi né pericolose emissioni, solo per stoccare provvisoriamente l’enorme quantità di scorie radioattive prodotte dalle centrali nucleari della Ue si prevede una spesa di 420-570 miliardi di euro. Si aggiunge l’enorme cifra necessaria allo smantellamento delle centrali stesse, che per la maggior parte hanno raggiunto o superato l’età limite di 35 anni, divenendo sempre più costose e pericolose. Intanto l’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha autorizzato lo scarico in mare di oltre un milione di tonnellate di acqua radioattiva, accumulatasi nella centrale nucleare di Fukushima dopo l’incidente del 2011. col risultato che aumenteranno le morti per cancro provocate da questa «fonte energetica verde».
Il Manifesto (Italia)
[1] Diversamente da quanto suggerisce il nome, questo istituto non è un organismo di ricerca scientifica, ma un think tank politico. Nota di Rete Voltaire.
[2] Più precisamente, il Gruppo di esperti intergovernativi sull’evoluzione del clima (GIEC) è un organismo dell’Organizzazione metereologica mondiale, sotto patrocinio del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente. Fu creato su impulso dell’allora primo ministro del Regno Unito − di formazione scientifica − Margaret Tatcher, per contrastare i sindacati britannici dei minatori del carbone appoggiando il nucleare quale fonte d’energia pulita. Gli scienziati membri del GIEC non ne fanno parte in quanto scienziati, ma come funzionari in rappresentanza dei rispettivi Paesi. Il GIEC non è istituzione scientifica, bensì politica. Non ha titolo per criticare tale o talaltra teoria, può soltanto preparare un “consenso” sulla formulazione scientifica delle politiche pubbliche. Si legga «Il pretesto climatico» (studio in tre parti) di Thierry Meyssan, Oknako (Russia), Rete Voltaire, 11 maggio 2010. Nota di Rete Voltaire.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article214300.html
La spesa dello Stato secondo l’Agenda 2030
Un ottimo studio sperimentale pubblicato dalla Corte dei conti riclassifica il bilancio dello Stato in funzione degli obiettivi e dei target dell’Agenda 2030 dell’Onu. Nel 2020 segnato dalla pandemia, molta la spesa pubblica su disuguaglianze e povertà, poca quella su ambiente, clima e sostenibilità.
La pandemia e gli Obiettivi dell’Agenda 2030
Nel preambolo dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, l’Organizzazione delle Nazioni Unite dichiara che il programma d’azione universale tracciato nei 17 Obiettivi e 169 traguardi mira a “fare passi audaci e trasformativi”, necessari a “portare il mondo sulla strada della sostenibilità e della resilienza”. L’Agenda si presenta quindi come lo strumento per qualificare in modo immediato obiettivi di policy interconnessi e indivisibili che, declinati in azioni più specifiche, possano bilanciare le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: quella economica, sociale e ambientale.
La Corte dei conti, nell’ambito della Relazione sul Rendiconto generale dello Stato 2020, ha individuato nell’Agenda 2030 una nuova chiave di lettura per rappresentare la varietà dei fenomeni che incidono sulle decisioni di bilancio dell’operatore pubblico. Il bilancio dello Stato riclassificato per Obiettivi/target dell’Agenda potrebbe consentire, in prospettiva, di interpretare – come si rileva nella presentazione del lavoro – i risultati delle politiche di spesa adottate dal legislatore anche alla luce dell’incidenza che queste avranno sul conseguimento degli stessi target e obiettivi dell’Agenda 2030. Anche per questo motivo, lo studio sperimentale avviato dalla Corte nell’ambito della programmazione dei controlli per il 2021, apre una prospettiva nuova, sotto il profilo metodologico, a tutti quegli enti delle amministrazioni pubbliche, soprattutto Regioni ed enti locali, che hanno inserito l’Agenda nella loro attività di programmazione finanziaria.
L’impiego di classificazioni condivise permette, del resto, di rendere confrontabili i risultati delle politiche di bilancio adottate sia dalle diverse istituzioni pubbliche che operano sul territorio e a livello centrale, sia tra i diversi Paesi che hanno scelto di riconoscersi negli obiettivi dell’Agenda. Si tratta di un confronto ancora più necessario in questa particolare fase della crisi determinata dalla pandemia.
Va segnalato, in tal senso, che secondo le Nazioni Unite impegnate nel monitoraggio dell’Agenda 2030, sarà proprio la strategia scelta da ciascun Paese per superare la crisi a determinare le politiche di bilancio dei prossimi anni nel segno della sostenibilità. Gli Stati avranno la possibilità di superare gli effetti sociali ed economici della pandemia se sapranno individuare una via d’uscita fondata su interventi rivolti soprattutto a incrementare e rendere accessibili i sistemi sanitari nazionali a tutti (Goal 3), a predisporre misure coordinate di politica monetaria e finanziaria a sostegno del lavoro (Goal 8), a rafforzare i sistemi nazionali di protezione sociale (Goal 10).
In perfetta sintonia con le Nazioni Unite, l’atto appena assunto (il 22 giugno scorso) dal Consiglio dell’Unione Europea afferma che la crisi generata dal Covid-19 non permette più di scegliere se perseguire gli Obiettivi dell’Agenda 2030, ma rende necessaria un’accelerazione delle politiche di investimento verso il loro raggiungimento anche attraverso il varo di riforme strutturali urgenti.
Cresce, pertanto, il livello di responsabilità degli Stati membri per l’attuazione dell’Agenda e aumenta contestualmente – come auspicato dal Consiglio europeo – la necessità di integrarla negli strumenti di pianificazione nazionale, nelle strategie di sviluppo, nonché nei quadri di bilancio.
Classificare e misurare per riconoscere le politiche
Entrando nel merito del lavoro della Corte dei conti si rileva che l’esercizio di riclassificazione è stato svolto sui dati di spesa (stanziamenti definitivi) del Rendiconto generale dello Stato per il 2020. Le linee guida del metodo utilizzato possono essere riepilogate in pochi punti.
Va detto, in premessa, che lo schema classificatorio dell’Agenda 2030 per Obiettivi/target è stato utilizzato per individuare specifiche aree di policy al primo livello (Obiettivi) e puntuali azioni di policy al secondo livello (Target). Trattandosi di una prima sperimentazione, il metodo utilizzato ha “filtrato” la descrizione degli Obiettivi/target da specifici riferimenti a misurazioni, scadenze e target finalizzando l’operazione a individuare esclusivamente l’area di policy.
Le questioni connesse alla misurazione e valutazione delle politiche da realizzare con l’attuazione degli Obiettivi/target saranno affrontate – come viene spiegato nel lavoro – solo in una fase successiva, con la messa a punto di metodologie, strumenti e indicatori specifici di carattere sia quantitativo che qualitativo.
La Spesa primaria finale del Rendiconto 2020 ha costituito il campo di osservazione per la riclassificazione, che ha tuttavia riguardato soltanto le funzioni cosiddette istituzionali delle amministrazioni, ossia quelle relative alla loro attività caratteristica, mentre le spese per il personale e il funzionamento degli uffici (escluse, quindi, dalla spesa primaria finale) saranno analizzate e attribuite nella seconda fase della sperimentazione una volta consolidato il metodo.
Le spese del bilancio dello Stato secondo l’Agenda 2030
Il primo risultato che emerge dalla riclassificazione secondo l’Agenda 2030 mostra che il metodo utilizzato ha consentito di intercettare circa il 60 per cento della spesa primaria finale impiegata per la realizzazione delle attività caratteristiche dei Ministeri.
Fonte: Corte dei conti, Relazione sul Rendiconto generale dello Stato 2020
Si tratta di oltre 470 miliardi di euro di stanziamenti definitivi di spesa che si concentrano (circa 153 miliardi, come si vede nel grafico qui sopra) in particolare nell’Obiettivo 10-Ridurre le disuguaglianze. Guardando, poi, al livello dei target, emerge che il 90 per cento della somma è stata destinata a finanziare “Politiche salariali e di protezione sociale” (target 10-4).
In un anno caratterizzato da interventi di sostegno a gran parte dei settori economici e di aiuti alle famiglie, gli Obiettivi dell’Agenda hanno permesso di rappresentare in modo particolarmente efficace l’orientamento della spesa pubblica. I riflessi finanziari dei provvedimenti adottati dal legislatore per fronteggiare, con misure straordinarie di spesa, l’emergenza sociale ed economica generata dalla crisi, si possono cogliere infatti in modo immediato attraverso lo schema di classificazione dell’Agenda 2030 così fortemente caratterizzato da traguardi di sostenibilità, inclusione, protezione sociale.
Le diverse misure varate per attenuare gli effetti determinati dal blocco delle attività produttive hanno, del resto, modificato in modo profondo, nel 2020, il Bilancio dello Stato nel corso della sua gestione. L’emanazione di numerosi e specifici provvedimenti legislativi emergenziali (dl 18/2020 “Cura Italia”, dl 23/2020 “Liquidità, dl 34/2020 “Rilancio”, dl 104/2020 “Agosto”, dl 137/2020 “Ristori”) hanno comportato, infatti, l’individuazione di nuovi capitoli o piani gestionali, nonché l’introduzione di variazioni, anche significative, sulle dotazioni già previste.
Si è trattato di interventi che hanno inciso in modo significativo sulla distribuzione della spesa corrente e di quella in conto capitale, sottolineando il carattere assolutamente straordinario dell’esercizio finanziario, nonché lo sforzo effettuato dalle amministrazioni centrali per dare effettività e concretezza alle notevoli risorse stanziate.
Lo sforzo finanziario, nel complesso, si è concentrato in poche missioni di spesa riconducibili ad alcuni Obiettivi “Pilastro” dell’Agenda. Come la riclassificazione mette bene in evidenza, oltre a concentrarsi nell’Obiettivo 10 mirato alla riduzione delle disuguaglianze (con il 32,6% di risorse stanziate), le risorse statali hanno alimentato con ulteriori 180 miliardi di euro i target relativi all’Obiettivo 3 “Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età” (19,1%) e 8 “Incentivare una crescita economica, duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti” (18,9%).
La straordinarietà della crisi pandemica, a cui è stata data risposta con misure altrettanto straordinarie, ha pertanto fortemente indirizzato l’esercizio di riclassificazione verso tali Obiettivi, influenzando di conseguenza anche il punto di osservazione iniziale. Sarà pertanto necessario continuare a svolgere l’esercizio anche per gli anni successivi per verificare l’effettivo orientamento dei governi verso gli Obiettivi di sostenibilità.
Sul versante opposto, la residualità che si osserva per gli stanziamenti nel settore della sostenibilità climatica e ambientale (Goal 14) e di gestione delle acque e delle strutture igienico-sanitarie (Goal 6), oltre a mettere in evidenza quali siano state le priorità assegnate alle politiche nel 2020, segnala quanto sia importante provare a individuare nell’orizzonte del legislatore i legami e le strette interconnessioni tra le dimensioni economiche, ambientali e sociali delle misure di policy emanate.
Un’angolazione, questa, che potrebbe essere introdotta, in prospettiva, anche allo scopo di individuare, nelle politiche di spesa attuate dalle amministrazioni, le trasversalità e le interconnessioni tra le dimensioni citate. Ricostruire il quadro sistemico sottostante a tali decisioni permetterebbe infatti di interpretare in modo più approfondito gli obiettivi di policy collegati all’Agenda 2030 e consentirebbe di corredare i dati di bilancio anche con gli indicatori per la misurazione dello sviluppo sostenibile e il monitoraggio dei suoi obiettivi prodotti dall’Istat (in coerenza con l’Inter-agency and Expert Group on SDG Indicators, IAEG-SDGs).
Il quadro fornito dall’Istat, nel maggio 2020, nel momento più drammatico della pandemia, era riuscito in tal senso a descrivere – seppure sulla base delle prime informazioni disponibili a quella data – le interconnessioni tra gli Obiettivi dell’Agenda 2030 e la pandemia. Gli indicatori statistici facevano emergere i forti i legami tra gli Obiettivi economici e ambientali: a partire dalla Salute e benessere (Obiettivo 3), le interconnessioni osservate mostravano che gli effetti della pandemia si iniziavano a osservare soprattutto nell’aumento della Povertà (Obiettivo 1) e delle Disuguaglianze (Obiettivo 10). Gli stessi Obiettivi su cui si rilevano, nella sperimentazione svolta dalla Corte dei conti sul Rendiconto dello Stato, gli interventi di spesa più consistenti attuati nel 2020. Gli stanziamenti di bilancio riconducono, infatti, alle “Politiche di protezione sociale” (10.4) gran parte dei provvedimenti, varati nel corso del 2020, finalizzati a trasferire le risorse per finanziare misure previdenziali e di protezione speciale “straordinarie” per mitigare gli effetti della crisi sui lavoratori.
La classificazione proposta dalla Corte dei conti segnala, in conclusione, che è stato individuato un metodo da cui si potrebbe partire per integrare gli Obiettivi dell’Agenda 2030 nelle diverse fasi del ciclo del bilancio, a partire dal momento della programmazione fino alla fase della rendicontazione.
Riconoscere in modo immediato con quali priorità le risorse pubbliche vengono destinate a realizzare politiche sostenibili e orientate al benessere collettivo, permette di comprendere i processi decisionali di bilancio e di svolgere monitoraggi trasparenti e accessibili anche in vista dell’avvio del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. L’invito della Commissione Europea a integrare gli Obiettivi dell’Agenda 2030 nel semestre europeo, nel quadro finanziario pluriennale (QFP) e nello strumento per la ripresa Next Generation EU potrebbe rappresentare l’occasione per consolidare un metodo di monitoraggio.
* Maria Letizia D’Autilia, ricercatrice Istat distaccata presso la Corte dei conti.
** Il lavoro riflette esclusivamente le opinioni dell’autrice, senza impegnare la responsabilità delle istituzioni di appartenenza.
FONTE: https://sbilanciamoci.info/la-spesa-dello-stato-secondo-lagenda-2030/
Draghi si presenta agli industriali con la sua vecchia ricetta: svalutazione interna
Draghi ha fatto un gran discorso all’assemblea di Confindustria, giovedì. La prima grande novità è che egli vede l’inflazione: “l’aumento dei prezzi e la difficoltà nelle forniture in alcuni settori. L’economia globale attraversa una fase di aumento dei prezzi, che riguarda anche i prodotti alimentari, i noli e tocca tutte le fasi del processo produttivo. Non sappiamo ancora se questa ripresa dell’inflazione sia temporanea o permanente, strutturale”, ma non lo esclude. Anzi, scopo del discorso è presentare le sue proposte per fermare l’inflazione.
Fermare l’inflazione. Già, ma come? Anzitutto, con investimenti specifici nei semiconduttori, ma è roba per il “lungo periodo”. Poi, con un consorzio di acquisti Ue per le materie prime, ma quasi gli scappa da ridere mentre lo dice, visto il paragone che egli fa con un supposto “successo” del consorzio di acquisto Ue pei vaccini … che tutto è stato meno che un successo, viste le condizioni capestro imposte dai venditori. Infine, la sua soluzione regina: se l’inflazione “dovesse rivelarsi duratura, sarà particolarmente importante incrementare il tasso di crescita della produttività, per evitare il rischio di perdita di competitività internazionale”.
Incrementare il tasso di crescita della produttività. Già, ma come? Apparentemente, con il mitico Recovery Fund. E qui egli si dilunga specialmente sulle virtù salvifiche delle riform€ che lo accompagnano: la concorrenza, anzitutto … cioè a dire la messa a gara delle concessioni marittime e balneari che (secondo lui) sarebbero “rendite”; riforma della giustizia; semplificazioni; e poi la flex-security, necessaria visto che “la transizione ecologica non è una scelta, è una necessità” ma (lo aveva spiegato lo scorso maggio a Porto) causerà molti disoccupati. Senza dimenticare “la struttura ministeriale per la gestione e il monitoraggio del Piano”, “la consultazione pubblica sulla banda larga” e “gli importanti investimenti nei porti e nello sviluppo dell’economia del mare”. Tutto ciò consentirà (secondo lui) di “sciogliere i nodi strutturali che legano da anni il nostro Paese”.
Ma sciogliere i nodi strutturali basta ad incrementare il tasso di crescita della produttività e, quindi, a fermare l’inflazione? No, non basta. Lo dice lui stesso: “un governo che cerca di non far danni è già molto, ma non basta purtroppo per affrontare le sfide dei prossimi anni”. Non basta.
* * *
E perché non basta? A causa delle sfide dei prossimi anni. E quali sono queste sfide? “in primis le tensioni geopolitiche, il protezionismo, ma anche il probabile mutare delle condizioni finanziarie, il graduale affievolirsi degli stimoli di bilancio”.
Tale affermazione è in contraddizione con altre che lui fa nel discorso: che “il Governo da parte sua non ha intenzione di aumentare le tasse” e che “questa fase richiede una politica di bilancio equilibrata ed efficace”. Una contraddizione che lui nel discorso non scioglie. Ma la soluzione della quale è evidente a chiunque abbia presente che le condizioni finanziarie e, quindi, la possibilità di fare stimoli di bilancio dipendono non da Draghi, ma dagli acquisti di Bce. E, siccome Draghi vede l’inflazione, conseguentemente egli non può non vedere pure la fine degli acquisti. D’altronde, Reuters ha appena confermato che Bce vede l’inflazione ben meno temporanea e ben più alta delle proprie previsioni ufficiali. E la stessa Reuters ha confermato che l’illusione italica di sostituire il programma di acquisti straordinari PEPP con un aumento del programma di acquisti ordinari APP è, appunto, una illusione. Come potrebbe mai, Draghi, non aumentare le tasse se Bce lo abbandona?
Dunque, ed è Draghi a dirlo, il mutare delle condizioni finanziarie produrrà l’affievolirsi degli stimoli di bilancio … nonostante il Recovery Fund. Ebbene, per forza che il Recovery non basta per affrontare le sfide dei prossimi anni: sarà compensato da una stretta monetaria e fiscale. Ripetiamolo: non è un sovversivo NoEuro anti-sistema a dirlo … ma il Gran Maestro di tutti gli €risti!
* * *
Che gli resta? Un appello all’unità nazionale: “occorre essere uniti per non aggiungere incertezza interna a quella esterna”. Per fare cosa? Per fare ciò che si fece negli anni del boom economico prima dell’autunno caldo del 1969: un “sistema di relazioni industriali”, caratterizzato da una notevole moderazione salariale. La vecchia politica dei redditi, per l’occasione ribattezzata “un patto economico, produttivo, sociale del Paese”, “una prospettiva economica condivisa”, “mettersi seduti tutti insieme e cominciare a parlare”, “una prospettiva di sviluppo – o vogliamo chiamarla patto – a beneficio anche dei più deboli e delle prossime generazioni” … ma sempre della vecchia politica dei redditi si tratta.
Orbene, la politica dei redditi è quella cosa per cui il costo del lavoro cresce solo in proporzione all’aumento della produttività. A sua volta, la produttività è il rapporto fra il valore della merce prodotta ed il costo delle ore lavoro necessarie a produrla. Ma le imprese non producono se non vendono. Quindi, perché i salari aumentino, è necessario che aumentino le vendite delle imprese. Tali vendite possono aumentare in tre modi:
- anzitutto, in presenza di una crescita generalizzata della domanda. Ma è lo stesso Draghi implicitamente ad escluderlo, quando parla di tensioni geopolitiche, protezionismo, mutare delle condizioni finanziarie e affievolirsi degli stimoli di bilancio.
- in secondo luogo, le vendite possono aumentare perché le imprese conseguono un vantaggio competitivo attraverso nuovi investimenti. Ma queste ultime investirebbero solo a condizione di poter operare in un quadro finanziario stabile, cioè a condizione di essere certe di non dover subire una ripetizione del 2011: cosa che solo Bce potrebbe promettere e non promette, anzi. D’altronde, è lo stesso Draghi implicitamente ad escluderlo, quando parla del mutare delle condizioni finanziarie e dell’affievolirsi degli stimoli di bilancio. Sì, certo, a Draghi è partita la vena lirica: chiama le imprese a “la responsabilità nazionale” (che non può essere altro che fare investimenti), per poi scadere nella peggio retorica (“vorrei che la pagina che state scrivendo oggi con il vostro impegno fosse ricordata come un momento storico … Sono certo, conoscendo le virtù dell’impresa, che sarà una pagina di cui l’Italia andrà fiera”). Ma sono parole vuote;
- in terzo luogo, le vendite possono aumentare perché le imprese aumentano i prezzi meno dell’inflazione, se pure il costo del lavoro aumenta meno dell’inflazione ovvero gli stipendi vengono semplicemente tagliati. Quest’ultimo non è un caso limite: ha ampi precedenti (il ministro De Stefani, 1922-23), esempi contemporanei (Alitalia) ed è stato esplicitamente indicato da Draghi nella famosa lettera a Berlusconi del 2011 (“il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego … se necessario, riducendo gli stipendi”). Il povero Enrico Letta, il quale festeggia e dice di voler fare “sul modello di quello che fece Ciampi”, non ha capito che Ciampi operava dentro condizioni monetarie che si facevano espansive, mentre qui sarebbe l’inverso. Sarà possibile acquisire il consenso del lavoro a concedere un proprio impoverimento sostanziale dentro un nuovo 2011? Ne dubitiamo fortemente.
Insomma, è quella di Draghi una nuova prospettiva di sviluppo? No, non è nuova. Ma solo la ennesima ripetizione della sua vecchia ricetta: la svalutazione interna. L’ultima volta la aveva espressa ai Lincei. Questa vecchia prospettiva di sviluppo può funzionare? Sì, potrebbe. Ma è completamente dipendente dal benvolere di imprese e lavoro. Il quale, a sua volta, dipende dal benvolere di Bce. E, siccome il benvolere di Bce sta per trasformarsi in un nuovo 2011: Draghi è in trappola.
* * *
Può Draghi uscire dalla trappola? Dentro l’Euro, solo ricorrendo allo stato di eccezione. Alla Assemblea di Confindustria, egli ha scandito: “nessuno può chiamarsi fuori”.
Perché, viene da domandarsi, perché non posso tirarmi fuori? Se mi tiro fuori, cosa mi succede? Draghi non lo dice. Ma loda il Green Pass come “uno strumento di libertà, di sicurezza”. Cioè, loda uno strumento esplicitamente autoritario come uno strumento di libertà: la repressione è libertà, il nero è bianco, il gatto è un cane, il cavallo bianco dell’imperatore era nero … e nessuno può chiamarsi fuori.
È già pronto il Green Pass per togliere dal mercato gli imprenditori che non avranno aderito al patto di sviluppo? È già pronto il Green Pass per togliere lo stipendio ai lavoratori che si saranno chiamati fuori dalla politica dei redditi? È già pronto il Green Pass per togliere i soldi dai conti correnti di chi non li avrà investiti come vuole Draghi? È già pronto il Green Pass per escludere dai seggi gli elettori che non vorranno votare per il partito della responsabilità nazionale? Non ci stupiremmo. D’altronde, il Green Pass ha fatto saltare ogni vincolo costituzionale, nel tripudio dei partiti, nel silenzio delle Corti e con la firma del presidente della Repubblica. Ormai tutto è possibile.
FONTE: http://www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/draghi-si-presenta-agli-industriali-con-la-sua-vecchia-ricetta-svalutazione-interna/
GIUSTIZIA E NORME
LICENZIAMENTO IN CASO DI RIFIUTO DEL VACCINO
Pubblicato 24 August 2021 | by Valerio Carlesimo
Il datore di lavoro può licenziare il dipendente che non si vaccina?
L’art 32 Cost. al secondo comma stabilisce il principio per cui nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Disposizione che ad oggi risulta assente per tutte le categorie professionali, eccetto che per il personale medico sanitario in merito al quale vige l’obbligo di vaccinazione. Con il D.L. n. 44 del 2021 il legislatore ha introdotto da un lato lo scudo penale dei vaccinatori e dall’altro l’obbligo di vaccinazione del personale sanitario, che costituisce titolo per lo svolgimento della professione. .La Corte Costituzionale si è pronunciata più volte sulla materia, a partire dalla sentenza n. 258/1994 per giungere alla più recente sentenza n. 5/2018, delineando i presupposti affinché l’obbligo vaccinale possa ritenersi compatibile con i principi dell’art. 32 Cost. In particolare, la Cote Costituzionale ha stabilito che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art 32 Cost[1]:
– se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stata di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri (sentenza 1990, n. 307);
– se vi sia la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato salvo che per quelle sole conseguenze temporanee e di scarsa entità;
– se nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio sia prevista la corresponsione di un’equa indennità in favore del danneggiato (sent. 307/1990[2]).
La nuova disciplina ha destato da un lato dubbi di costituzionalità: Al punto A) della sopracitata sentenza, la Corte Costituzionale afferma che l’autodeterminazione dell’individuo può essere limitata dall’obbligo vaccinale qualora il trattamento imposto sia diretto, oltreché a migliorare o a preservare la salute dello stesso, anche a preservare lo stato di salute degli altri.
In sostanza, la compromissione di un diritto fondamentale dell’individuo deve essere necessariamente controbilanciata da un vantaggio – proporzionale alla limitazione imposta – per l’interesse della collettività.
Ora, allo stato dei fatti, gli studi scientifici che sono stati elaborati non forniscono al riguardo una linea chiara e condivisa, non dimostrano cioè se ed in quale misura il vaccino sia uno strumento idoneo a non contrarre il virus ed a non contagiare gli altri.
Ciò è quanto emerge da un recente documento del 13 marzo 2021, in cui l’AIFA – Associazione Italiana del Farmaco ha posto in evidenza che “Gli studi clinici condotti finora hanno permesso di dimostrare l’efficacia dei vaccini nella prevenzione delle forme clinicamente manifeste di COVID-19, anche se la protezione, come per molti altri vaccini, non è del 100%. Inoltre, non è ancora noto quanto i vaccini proteggano le persone vaccinate anche dall’acquisizione dell’infezione. È possibile, infatti, che la vaccinazione non protegga altrettanto bene nei confronti della malattia asintomatica (infezione) e che, quindi, i soggetti vaccinati possano ancora acquisire SARS-CoV-2, non presentare sintomi e trasmettere l’infezione ad altri soggetti. Ciononostante, è noto che la capacità di trasmissione da parte di soggetti asintomatici è inferiore rispetto a quella di soggetti con sintomi, in particolare se di tipo respiratorio” [1].
Ad una diversa conclusione, invece, sembra essere giunto un recente studio effettuato in Israele, dal quale sembrerebbe che il vaccino (nello specifico, il Pfizer-BioNTech, unico vaccino somministrato nel Paese) è risultato efficace – con una percentuale che sfiora il 90% – nel prevenire l’infezione[2]. Ciò significa, dunque, che il vaccinato, dopo essere entrato in contatto con il virus, non solo non svilupperebbe la malattia, ma non correrebbe nemmeno il rischio di contagiare.
Nodale, dunque, appare la questione che riguarda l’idoneità del vaccino a prevenire l’infezione e, per l’effetto, a limitare significativamente il contagio. Una risposta in senso affermativo, anche se non con una percentuale del 100%, ma comunque tale da rendere proporzionato il rapporto tra limite al diritto del singolo e beneficio dell’intera collettività, appare fondamentale ai fini di un vaglio positivo in termini di legittimità costituzionale della normativa in questione.
Ulteriore condizione richiesta ai fini della compatibilità dell’obbligo vaccinale con l’art. 32 Cost., al punto b) della sopracitata sentenza, è che il trattamento imposto non incida negativamente sulla salute dell’individuo, fatte salve ovviamente quelle conseguenze che per entità e durata appaiono lievi e tollerabili.
Tale questione è di particolare attualità a seguito dei casi di decesso per eventi trombotici di alcuni individui che avevano ricevuto il vaccino Astrazeneca. Sul punto si è espresso l’EMA (European Medicines Agency), affermando che l’inoculazione del vaccino non può essere associata ad un incremento degli eventi di trombosi e che comunque, i casi che si sono verificati si configurano in un numero assai raro e marginale rispetto alle dosi somministrate[3].
Certamente, trattandosi di vaccini sperimentali, la scienza non è in grado ad oggi di potere individuare con certezza oppure in termini elevata probabilità tutti i possibili effetti collaterali conseguenziali al vaccino. Tant’è vero che nella nota informativa che viene fornita al paziente prima di procedere alla somministrazione del vaccino è espressamente previsto che non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza.
D’altronde, qualsiasi farmaco (si pensi alla tachipirina o all’aspirina), ha dei possibili, seppur rari, effetti collaterali che, tuttavia, la somministrazione comune ed abituale degli stessi porta ad escludere ed a non considerare.
Da ultimo, la Corte Costituzionale al punto c) affronta la delicata tematica della responsabilità dello Stato per i danni cagionati dal vaccino, evidenziando come ai fini dell’elemento oggettivo del reato sarà dirimente da parte dello Stato dimostrare di aver agito nel rispetto delle cautele che le attuali conoscenze scientifiche impongono.
Dall’altro lato la nuova disciplina si conforma a Costituzione nella misura in cui esonera dall’obbligo di vaccinazione anti-covid coloro i quali attestino e documentino la sussistenza di condizioni anche cliniche capaci di esporli a rischio per la propria salute: il vaccino imposto per legge, infatti a detta della Consulta deve non solo tutelare lo stato di salute del vaccinato ma tutelare anche quello degli altri ma non deve neanche incidere negativamente sulle condizioni del sottoposto, eccezion fatta per quelle conseguenze che appaiano normali e tollerabili. Innanzitutto, la vaccinazione è espressamente definita requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati, con la conseguenza che la sua mancanza determina la sopravvenuta e temporanea impossibilità di svolgere mansioni che implicano contatti interpersonali o che comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da Sars-CoV-2 Pertanto, il datore di lavoro che riceva dall’azienda sanitaria la comunicazione della accertata inosservanza dell’obbligo vaccinale da parte del lavoratore è tenuto ad adottare i provvedimenti dovuti: assegnazione del lavoratore – ove possibile – a mansioni diverse che non implichino rischi di diffusione del contagio; adibizione anche a mansioni inferiori con correlata decurtazione del trattamento retributivo, parametrato al lavoro effettivamente svolto; sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale ovvero fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021. L’aver dettato una disciplina obbligatoria di tal fatta esclusivamente applicabile al personale che svolga attività di interesse sanitario comporta, inevitabilmente, che l’analisi della materia si scinda in due ragionamenti, differenti, ma collegati: è proprio la selettività della nuova prescrizione a lasciare immutata la attualità e la necessità del discorso volto all’individuazione delle possibilità cui si trova dinanzi un datore di lavoro che deve gestire il rischio di contagio da Covid, nell’ottica della graduale ripresa delle attività lavorative in sicurezza, tra i propri dipendenti quando non svolgano attività di rilievo sanitario. Anticipando il risultato dell’indagine che si svolgerà, pare potersi concludere che un obbligo a sottoporsi al trattamento vaccinale non sia posto né possa essere desumibile dalle disposizioni vigenti.
Contrariamente a quanto sostenuto da alcuni, non pare che l’obbligo generale di sicurezza sancito dall’articolo 2087 c.c. possa fondare una prescrizione del genere: come noto, dal contratto di lavoro subordinato deriva in capo al lavoratore un diritto – soggettivo e indisponibile – a che il datore di lavoro adotti tutte le misure di prevenzione necessarie a proteggere la sua integrità fisica e morale, quale titolare di una posizione di garanzia ex lege che lo obbliga a garantire l’integrità fisica e morale del prestatore di lavoro, proteggendolo in via preventiva dai pericoli dell’ambiente lavorativo e rispettando la sua sfera personale, in diretta attuazione del precetto ex art. 32 Cost., di cui la norma del codice rappresenta applicazione qualificata ai luoghi di lavoro .
Stante la sua acclarata natura di norma di chiusura del sistema di prevenzione «con funzione di adeguamento permanente dell’ordinamento alla sottostante realtà socio-economica» , estensibile ad ipotesi e situazioni non espressamente considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione, ed il cui oggetto è destinato naturalmente a modificarsi col progredire della tecnica, delle conoscenze e dell’esperienza, sul quale convergono unanimemente dottrina e giurisprudenza ormai granitiche, si ritiene che l’articolo 2087 sia una norma aperta, il cui contenuto è volto a supplire alle eventuali lacune di una disciplina che non può ragionevolmente prevedere e normare qualunque fattore di rischio, ed è pertanto pronta a recepire le esigenze variabili del miglioramento dei livelli della sicurezza al progredire e mutare della tecnica e dell’organizzazione del lavoro. Il datore di lavoro è tenuto, pertanto, ad adottare tutte quelle misure ulteriori che risultino necessarie secondo gli standard tecnici più aggiornati, in forza del principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile. Il principio comporta di fatto l’imposizione di due precisi criteri direttivi: il datore deve adeguare i sistemi prevenzionali alle acquisizioni della più moderna tecnologia, e conseguentemente tenere aggiornate misure e mezzi di protezione; tale obbligo non può trovare attenuazione o limiti in motivazioni di ordine meramente economico.
Ciò considerato, ove si ritenesse di collegare un inespresso obbligo alla vaccinazione anti Covid del personale dipendente alle previsioni generali dell’art. 2087 cod. civ., ciò sostanzialmente significherebbe rimettere una tale imposizione «alle valutazioni del datore di lavoro effettuate in base all’“esperienza e tecnica” che sarebbero destinate a prevalere rispetto alla scelta del legislatore» di attuare il piano vaccinale su base volontaria. Il che pare, per vero, paradossale.
Né si rinvengono, in senso contrario, indicazioni dalla giurisprudenza costituzionale la quale, anche laddove ha sostenuto l’esistenza di un «dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui», ammettendo la possibilità di sottoporre la persona a trattamenti sanitari obbligatori, in prima battuta esitanti in accertamenti sanitari precauzionali, ovvero di prevedere particolari oneri cui assoggettarla «nel caso delle malattie infettive e contagiose, la cui diffusione sia collegata a comportamenti della persona, che è tenuta in questa evenienza ad adottare responsabilmente le condotte e le cautele necessarie per impedire la trasmissione del morbo» , lo ha fatto in senso del tutto particolare, puntellando la motivazione di una serie dettagliata di cautele, e solo quando vi era già stata, da parte del legislatore l’introduzione di una misura prescrittiva obbligatoria, ribadendo, infatti, sempre che spetta al legislatore e alla sua discrezionalità e responsabilità politica – tra l’altro molto ampia in questa materia – scegliere se prescrivere un accertamento o un trattamento sanitario, oppure se fornire strumenti diversi che implichino un diverso bilanciamento tra il fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività alla tutela della salute, ex art. 32 Cost., e la tutela del lavoro, ex artt. 1 e 4 Cost.
Nel dibattito sorto i primi mesi del 2021 sono state richiamate una serie di disposizioni del Testo unico, quali in particolare l’articolo 20, disciplinante gli obblighi dei lavoratori, e il 279, relativo alla attività di prevenzione e controllo cui è tenuto il datore per lavori che comportino esposizione ad agenti biologici, dalle quali, però, non pare potersi far derivare un obbligo attuale a sottoporsi alla vaccinazione anti Sars-CoV-2.
In senso critico, si rileva che l’art. 279 detta una prescrizione rivolta al datore di lavoro, vero ed unico destinatario di quella normativa, e pone in capo a questi il dovere di mettere a disposizione dei propri dipendenti i vaccini; la norma non si preoccupa minimamente della posizione soggettiva del lavoratore e non si può certo che così imponga al lavoratore di ricevere una prestazione sanitaria che – beninteso – non è nella disponibilità dei datori (rimanendo, sempre, con la vaccinazione anti Covid, anche quando si potrà procedere nei luoghi di lavoro, una attività di sanità pubblica di competenza e responsabilità del Servizio sanitario nazionale, come si è detto).
Dal canto suo, l’art. 20, insieme al generale e solidaristico dovere generale di cura della salute e della sicurezza propria e altrui, impone al lavoratore una serie di doveri specifici dei quali uno si riferisce esplicitamente ai trattamenti sanitari, ma riguarda esclusivamente i controlli sanitari previsti dallo stesso Testo unico o comunque disposti dal medico competente.
Considerata la previsione dell’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 81/2008, che dispone che la valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata qualora si renda disponibile una nuova misura che incida sulla prevenzione e protezione dei lavoratori, alcuni autori ritengono che la disponibilità di un vaccino efficace possa rientrare tra tali misure. In tal modo, infatti, il rischio per la salute e sicurezza viene non solo contenuto, ma addirittura eliminato alla fonte, “in una logica di prevenzione primaria”.
Pertanto, il datore di lavoro avrebbe l’onere aggiornare il piano di valutazione dei rischi, e successivamente, ai sensi dell’art. 41, comma 1, lett. b, del d.lgs. n. 81/2008, sottoporre a visita periodica i lavoratori per verificarne l’idoneità alla mansione specifica. In tale occasione, il medico competente dovrebbe valutare l’idoneità dei lavoratori alle mansioni, anche in relazione all’utilizzo di altri e diversi strumenti di contenimento del contagio.
La ricostruzione, sebbene estremamente suggestiva, non pare tuttavia risolvere definitivamente il problema. Da un lato, a ben vedere, ciò che accade è lo spostamento su un soggetto nuovo, il medico competente, dei ruoli e delle responsabilità che le precedenti ricostruzioni innanzi criticate addossavano al datore di lavoro o al lavoratore: una figura sicuramente più competente per definizione, ma sul quale viene a gravare un onere nuovo estremamente complesso. Dall’altro, gli stessi Autori precisano che la ricostruzione avanzata non renderebbe la somministrazione del vaccino indirettamente obbligatoria, ma costituirebbe un onere per il lavoratore per evitare che, in caso di mancata vaccinazione, possano determinarsi conseguenze sul rapporto di lavoro.
In altri termini, il lavoratore che non scelga di vaccinarsi andrebbe incontro ad un giudizio di inidoneità da parte del medico competente, proprio perché le sue condizioni sono diverse rispetto a quelle di un collega vaccinato. Come noto nessuno dei Paesi dell’Unione Europea ha, allo stato, disposto l’obbligo vaccinale, anzi a livello europeo, viene ribadita l’importanza dell’autonoma determinazione dei soggetti a vaccinarsi. Deve ricordarsi che tra i fattori protetti dalle norme eurocomunitarie e quindi nazionali vi sono anche le convinzioni personali dei lavoratori come espressamente indicato dall’art. 1 della direttiva 2000/78/CE. Non appare revocabile in dubbio che la scelta di non vaccinarsi corrisponda ad un’opinione personale legata a convinzioni dell’individuo meritevoli di attenzione da parte dello Stato. Chi non intende vaccinarsi lo fa per una scelta consapevole e precisa scelta personale, ritenendo invero che i benefici del vaccino non possano corrispondere ai rischi dello stesso, vuoi per una scarsa sperimentazioni dovuta al tempo, vuoi per una scelta radicale contro tale obbligo. Si tratta quindi di una precisa convinzione personale che rientra tra le cause di discriminazione contenuta dalla normativa europea della Convenzione EDU, nonché dall’art. 3 della Carta di Nizza. Potrebbe richiamarsi anche un principio generale di libertà della ricerca, tutelata anche dall’art. 33 Cost., ritenendo che i benefici del vaccino non siano ancora tali da compensare gli effetti negativi. Inoltre l’acquisizione dell’informazione sull’avvenuta vaccinazione o meno dei dipendenti configura un trattamento di dati personali particolari, soggetto alle disposizione dell’art. 9 del G.D.P.R.
Ci si chiede poi se il lavoratore che si rifiuti di vaccinarsi possa essere licenziato. Ora, chi aderisce alla tesi secondo cui il datore di lavoro può imporre il vaccino, sostiene che il rifiuto del lavoratore possa condurlo al licenziamento disciplinare o per giusta causa, o, secondo altri, per giustificato motivo oggettivo (per fatto attinente alla sfera del lavoratore e che potrebbe essere attuato una volta che sia terminato il blocco dei licenziamenti per g.m.o.). A parere di altri commentatori[3], secondo l’articolo 279, comma 2, lett. b) del d.lgs 81/2008, il datore di lavoro potrebbe disporre “l’allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell’articolo 42” dello stesso testo unico, il quale, all’articolo 42 appunto, prevede che il lavoratore, qualora sia inidoneo alla mansione specifica, possa essere adibito, ove possibile, ad altra mansione compatibile con il suo stato di salute e, se viene adibito a mansioni inferiori, conservi la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originaria. Quindi, in presenza di lavoratori non vaccinati, il datore di lavoro dovrebbe preventivamente verificare la possibilità di adibire tale lavoratore a mansioni diverse anche inferiori. Tale verifica, peraltro, andrebbe sempre fatta quando si intende procedere a licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Altri giuristi sostengono, più prudenzialmente, che sarebbe più opportuno adibire il lavoratore non vaccinato in oggetto allo smart working se possibile o comunque non licenziare il lavoratore non vaccinato ma sospenderlo dal altro di mettere retribuzione).
NOTE
[1] Quotidiano giuridico.it, “Vaccino anti-Covid: può il datore di lavoro imporlo, e in caso di rifiuto, licenziare il lavoratore?”, 08/01/2021, Professore Ichino Pietro, Professore Mazzotta Oronzo
[2] Altalex, “Il datore di lavoro può obbligare alla vaccinazone?”, 17/03/2021, Giulia Ippolito
[3] Filodiritto.it, “Vaccino contro il Covid 19: il datore di lavoro può imporlo? E se il lavoratore rifiuta, può licenziarlo?”, 22/01/2021, Monica Bombelli
FONTE: http://www.salvisjuribus.it/licenziamento-in-caso-di-rifiuto-del-vaccino/
LA LINGUA SALVATA
Se la sinistra sta vincendo la guerra culturale è perché ha vinto nel gioco della semantica
È di venerdì scorso, primo di ottobre, la notizia diffusa dalla Associated Press che un giudice federale americano, rifiutando la raccomandazione dei pubblici ministeri, ha condannato un rivoltoso del 6 gennaio alla libertà vigilata e ha suggerito che il Dipartimento di Giustizia è troppo duro con coloro che hanno fatto irruzione in Campidoglio rispetto alle persone arrestate durante le proteste antirazziste seguite all’omicidio di George Floyd. Il giudice della corte distrettuale degli Stati Uniti Trevor McFaddensi si è chiesto, in particolare, perché i pubblici ministeri federali non abbiano intentato più cause contro gli accusati nelle proteste estive del 2020, anche alla luce delle statistiche sui casi di sommossa nella capitale che non sono stati perseguiti.
Questo ha riportato inevitabilmente alla mente di chi scrive quando l’ex presidente George W. Bush ha paragonato gli “estremisti interni” ai terroristi islamici nel suo discorso sul 20° anniversario dell’11 settembre. “Abbiamo visto prove crescenti che i pericoli per il nostro Paese possono venire non solo da oltre i confini, ma anche dalla violenza che si accumula all’interno”, ha affermato. “C’è poca sovrapponibilità culturale tra estremisti violenti all’estero ed estremisti violenti in patria”, ha ammesso (bontà sua), “ma nel loro disprezzo per il pluralismo e per la vita umana, nella loro determinazione a contaminare i simboli nazionali, sono figli dello stesso spirito ripugnante”. In altre parole, è come se gli attacchi dell’11 settembre fossero essenzialmente la stessa cosa della rivolta di tre ore del 6 gennaio, come se le persone che hanno messo in atto l’11 settembre “fossero dello stesso spirito ripugnante” dei sostenitori di Trump. Come ha affermato il giornalista Glenn Greenwald parlando al talk show di Tucker Carlson su Fox News, ciò che Bush ha detto suggerisce che i rivoltosi del 6 gennaio dovrebbero essere trattati come quelli di al Qaeda. Naturalmente, tutto ciò “è musica per le orecchie dei liberal americani, i quali non vogliono altro che una nuova guerra interna al terrore, cioè trattare i loro avversari politici come l’amministrazione Bush ha trattato al Qaeda”.
Strano, non è vero? Come può un ex presidente repubblicano arrivare a tanto? Come può una persona sana di mente confrontare l’11 settembre e il 6 gennaio? Ma tant’è. Questi sono problemi che dovrebbero essere affrontati nella pratica e nella ricerca psichiatrica. Ma poi tutto, intorno a noi, ci ricorda quanto le cose siano cambiate in pochi anni sia nel mondo accademico sia nel più ampio dibattito culturale. Prendiamo il caso del filosofo e pedagogista Peter Boghossian, un professore della Portland State University che si è recentemente dimesso dal suo incarico con una fiammeggiante lettera aperta in cui accusava l’amministrazione universitaria di favorire un ambiente ostile alla ricerca intellettuale e al dissenso. “Agli studenti della Portland State non viene insegnato a pensare. Piuttosto, vengono addestrati a scimmiottare la certezza incrollabile degli ideologi”, ha scritto.
“Corpo docente e amministratori hanno abdicato alla missione di ricerca della verità dell’università e invece guidano l’intolleranza nei confronti delle convinzioni e opinioni divergenti. Questo ha creato una cultura dell’offesa in cui gli studenti ora hanno paura di parlare apertamente e onestamente”.
Si potrebbe dire che Boghossian sta reinventando l’acqua calda – beh, giusto, ma lui è un liberal, e tuttavia un liberal che osa puntare il dito contro un’università ormai divenuta illiberale. Nella sua lettera di dimissioni, il professore ha affermato che quando ha cercato di parlare contro il micidiale “illiberalismo”, ha dovuto affrontare aspre rappresaglie. “Più ho parlato di questi problemi, più ritorsioni ho dovuto affrontare”, ha scritto.
Ciò che il discorso di Bush ha in comune con quel che sono diventati i campus universitari – centri per l’indottrinamento di sinistra – è che entrambi sono in qualche modo il risultato del marxismo culturale e della sua influenza sulla società americana. Ovviamente questo non significa che George W. sia un cripto-marxista o qualcosa del genere, è semplicemente la prova che esiste un contesto semantico in cui la partita è persa ancor prima di iniziare, indipendentemente dal sentire e dalle convinzioni personali. Sono stati i leftist a vincere la guerra della semantica, e quindi sono loro che possono stabilire i termini e le premesse di qualsiasi dibattito, specialmente quelli all’interno delle élites e di altri importanti segmenti dell’opinione pubblica e del decision-making, e possono quindi vincere ogni volta.
Ma procediamo con ordine. Come chiarisce Michael Knowles nel suo recente libro Speechless: Controlling Words, Controlling Minds, il mondo accademico, che è stato completamente corrotto dalla political correctness, richiede conformità intellettuale. “Nel secondo decennio del 21° secolo”, scrive, “i riformatori politicamente corretti hanno minato i vecchi standard facendo appello alla ‘libertà di parola’ e inveendo contro la ‘censura’, ma non appena hanno infranto il vecchio ordine morale i radicals hanno iniziato a imporre un nuovo standard di discorso con tutta la forza e la rigidità a cui una volta affermavano di opporsi”. Come abbiamo visto, la political correctness ha raggiunto la sua apoteosi durante le prime settimane del 2021, “quando gli esecutori aziendali dei nuovi standard si sono presi la libertà di censurare un presidente degli Stati Uniti debitamente eletto”.
Come hanno reagito i conservatori all’attacco? Hanno offerto due risposte, dice Knowles, che hanno solo accelerato il progresso della campagna dei radicals:
“I conservatori più concilianti hanno semplicemente assecondato il processo, cedendo un pezzo di cultura dopo l’altro al politically correct. I loro fratelli più burberi si sono rifiutati di attenersi alla correttezza politica, ma ciononostante l’hanno effettivamente tollerata”.
Quel che è peggio, secondo Michael Knowles, è che i conservatori non sono riusciti a contrastare la correttezza politica “perché la scambiano per una campagna di ‘censura’ contro la ‘libertà di parola’ piuttosto che una competizione tra due standard di discorso e comportamento in competizione”. In altre parole, l’astuzia del politicamente corretto è che mira meno a erigere nuovi standard che a distruggere quelli vecchi: “Il politicamente corretto può essere inteso in questo modo come una sorta di ‘standard anti-standard’, che ha successo proprio persuadendo le persone ad abbandonare del tutto gli standard”, per esempio, in nome dell’’‘assolutismo della libertà di parola”.
Nel frattempo, in pochi decenni gli Stati Uniti sono diventati una nazione sempre più laica in cui fenomeni emblematici del nostro tempo, come l’ascesa improvvisa del transgenderismo e la “guerra al Natale”, intendono trasformare il buon senso in pregiudizio e le nozioni tradizionali di moralità in sistemi di oppressione. Ma se la sinistra ha vinto la guerra culturale, dice Knowles, è perché ha vinto il gioco della semantica. In effetti, mentre i conservatori considerano le parole come un mezzo per esprimere e ascoltare idee, i “sinistri” le vedono come instrumentum regni. Questa è precisamente l’idea alla base del politicamente corretto, che “contorce il linguaggio nel tentativo di rifare la realtà lungo linee di sinistra”.
Diligenti discepoli dei filosofi postmodernisti della scuola di Francoforte e del pensatore marxista italiano Antonio Gramsci, che ha gettato le basi per la lenta acquisizione della cultura da parte della sinistra, i “sinistri” si sono infiltrati con successo nelle scuole, nella religione, nell’arte, nello spettacolo, nella famiglia e, quel che più conta, nella lingua. Il sottotitolo di Knowles, dopotutto, la dice lunga: controllare le parole significa controllare le menti. E controllare le menti significa controllare le azioni. Una sfida micidiale. Perderla definitivamente sarebbe una sciagura totale.
FONTE: http://www.atlanticoquotidiano.it/rubriche/se-la-sinistra-sta-vincendo-la-guerra-culturale-e-perche-ha-vinto-nel-gioco-della-semantica/
PANORAMA INTERNAZIONALE
AUKUS: NEL PACIFICO NON C’È SPAZIO PER GLI EUROPEI
Usa, Regno Unito e Australia fanno fronte comune per frenare l’espansionismo cinese.
L’Europa rimane ai margini.
E il patto di sicurezza trilaterale fa perdere importanti commesse alla Francia, ma anche all’Italia.
di Salvatore Recupero
“La Francia è stata pugnalata alla schiena”. O almeno così dice Jean-Yves Le Drian, ministro degli Esteri francese. L’Australia, infatti, ha stralciato (senza il dovuto preavviso) il contratto con Parigi per la fornitura di sommergibili convenzionali dal valore di 90 milioni di dollari. Gli inglesi hanno avuto la meglio e si sono aggiudicati la commessa per la produzione di sommergibili a propulsione nucleare. La vicenda ha avuto e avrà conseguenze geopolitiche importanti. Prima di capire il perché, dobbiamo analizzare il contesto in cui è maturata questa scelta.
Che cos’è Aukus?
A questo proposito dobbiamo capire prima cosa significa Aukus. Quest’ultimo non è altro che l’acronimo delle tre nazioni (Australia, Regno Unito e Stati Uniti) che hanno firmato un patto di sicurezza trilaterale. L’accordo prevede (per il momento) che Stati Uniti e Regno Unito aiutino l’Australia a sviluppare e dispiegare sottomarini a propulsione nucleare, aggiungendosi alla presenza militare occidentale nella regione del Pacifico. Ma da chi deve difendersi Camberra? Dalla Cina, of course. L’annuncio è arrivato il 15 settembre scorso e ha scatenato un putiferio. Ovviamente, c’è stata una levata di scudi da parte di Pechino, ma a noi interessa di più l’impatto che l’accordo ha avuto su Parigi in particolare e in generale sull’Europa.
A farne le spese è stata la Francia che si è vista cancellare una commessa milionaria. Un fatto strano, anche perché Parigi nel 2016 (quando era stato firmato l’accordo) aveva ricevuto la “benedizione” di Washington. E allora perché stralciare il contratto? La risposta non è semplice ed è di natura politica, o meglio è legata alla strategia militare.
Come ha spiegato l’analista di Limes Dario Fabbri (1): “Acquistare una tecnologia miliare significa schierarsi al fianco del produttore in caso di guerra”. “Non poteva bastare solo la Francia in una contesa come questa per schermare l’Australia in caso di conflitto. Agli Usa serve che l’Australia utilizzi i propri armamenti per partecipare meglio al contenimento della Repubblica popolare”. Washington dopo aver abbandonato l’Afghanistan (che confina con la Cina per 90 km) deve contenere la Repubblica Popolare via mare. Quindi meglio gli inglesi che i francesi. Il Regno Unito, dopo essersi liberato dal pur flebile legame con Bruxelles, può risaldare i legami con i Paesi del Commonwealth. Londra, come diceva Churchill, tra l’Europa ed il “Mare aperto” sceglierà sempre quest’ultimo. Nulla di nuovo dunque. Questa vicenda, infatti, ci apre gli occhi anche sul significato geopolitico della Brexit. Ma, torniamo alla scelta di Camberra.
La Francia e l’Indo-Pacifico
L’ira di Parigi non si placherà facilmente. La reazione a caldo è stata quella di richiamare i propri ambasciatori negli Stati Uniti e in Australia. I francesi non accetteranno facilmente di essere tagliati fuori da quella parte del globo. I motivi sono tanti, non è solo una questione di grandeur.
Per comprendere quanto detto è necessario leggere il France’s Indo-Pacific Strategy (2) stilato a luglio dal ministero degli Esteri francese. La Francia (è bene tenerlo presente) è l’unico paese dell’Ue che ha territori nella regione dell’Indo‐Pacifico: i dipartimenti di La Réunion e Mayotte, le comunità della Nuova Caledonia e della Polinesia francese, il territorio di Wallis e Futuna e le Terre australi e antartiche francesi. Tutti questi territori rappresentano una popolazione di 1,65 milioni (più di un milione per i due dipartimenti nell’Oceano Indiano). Ovviamente, Parigi difende le sue posizioni con una ragguardevole presenza militare. C’è poi l’aspetto economico. Nel 2019, circa il 18% delle importazioni francesi proveniva dalla regione Indo-Pacifico, e circa il 14% delle esportazioni francesi era diretta verso quella regione. Questi flussi commerciali sono aumentati del 49% negli ultimi dieci anni. Bisogna altresì aggiungere che l’Eliseo “spende e si spende” parecchio in quei territori: gli investimenti diretti hanno rappresentato circa l’8% dei suoi investimenti globali nel 2019 (6% esclusa la Cina), pari a 113 miliardi di euro.
Detto questo, è chiaro che la Francia vuole fare il terzo incomodo tra Cina e Usa in quella parte del mondo. La scelta di Camberra ha sicuramente indebolito l’influenza di Parigi e soprattutto Biden ha mandato un chiaro messaggio all’Eliseo: qui non c’è spazio per gli europei. Tuttavia la Casa Bianca non vuole rompere completamente con Parigi.
La Francia verrà risarcita?
Secondo molti analisti per placare l’ira dei francesi gli americani hanno già pensato di lasciare mano libera ai cugini d’Oltralpe nel Sahel. Inoltre, Macron ne approfitterà per tessere la sua rete di alleanze nel Mediterraneo e non solo. Le elezioni presidenziali si avvicinano e l’Eliseo deve dimostrare di sapersi riprendere dallo smacco. Per questo Parigi ha venduto tre fregate alla Marina ellenica (3). La Grecia da tempo voleva rafforzare la propria flotta come già fatto per i caccia Rafale (sempre made in France) nei cieli. L’asse tra Macron e il premier greco Kyriakos Mitsotakis sta già dando i suoi frutti.
Ma l’Eliseo non si ferma certo qui. Sono previsti altri accordi. In primis, con la Repubblica Ceca (4): il ministero della Difesa ceco, infatti, ha dato il via libera all’acquisizione di 52 obici semoventi Caesar di Nexter Systems. L’accordo si aggira sui 335 milioni di euro. In secundis con la Romania (5): la Marina di Bucarest è interessata all’acquisto di mezzi navali prodotti da Naval Group, (il colosso francese che ha appena siglato la vendita delle fregate Fti alla flotta greca). Parigi, insomma, dopo lo schiaffo anglofono non resta a guardare nell’attesa di rifarsi nell’Indo-Pacifico.
Tornando all’Aukus, esso non ha danneggiato però solo la Francia. Prima di essere ufficializzato ha colpito anche l’Italia, in particolare Fincantieri. Purtroppo la vicenda non ha avuto spazio sui media nostrani.
Aukus colpisce Fincantieri
L’unico che ne ha parlato è stato Alberto Negri (6). L’ex inviato de Il Sole 24 Ore racconta che lo scorso giugno è saltata “la più grande commessa navale italiana degli ultimi decenni, quella all’Australia, per nove fregate, valore complessivo di circa 23 miliardi di euro. La commessa è stata vinta dall’inglese Bae Systems, superando altri due concorrenti, la Fincantieri e la spagnola Novantia. Si è trattato di una scelta politica più che tecnica e per questo ancora più bruciante”. La scelta, infatti, non aveva alcuna una giustificazione sul piano tecnologico: “Le Fremm italo-francesi – sottolinea lo Iai, l’Istituto affari internazionali – sono le più avanzate unità in servizio nel mondo. Non solo: la Fincantieri aveva previsto investimenti diretti in Australia per la costruzione delle navi e un ampio coinvolgimento dei fornitori locali”. Insomma, le prime vittime di Aukus siamo stati noi italiani.
L’Italia puntava molto su questa commessa. La diplomazia si era mossa in pompa magna: era stata organizzata una specifica crociera di una Fremm della marina e la visita in Australia di una delegazione governativa. Tutto sembrava andare per il meglio, ma poi Camberra ha deciso che non valeva la pena recidere il cordone ombelicale che la lega a Londra e, soprattutto, a Washington. Il risultato per noi è stata una sconfitta. Ma la stampa italiana ha preferito tacere, forse per non imbarazzare il governo Draghi.
L’unica considerazione che possiamo trarre da queste vicende è che l’Europa è come un cane legato ad un guinzaglio retrattile. Quando il nastro si allenta abbiamo l’illusione di essere liberi poi il padrone (la Nato e quindi gli Usa) schiaccia il pulsante e siamo costretti ad indietreggiare. Non si salva nessuno: al massimo ai francesi è lasciato qualche spazio d’autonomia in più. Ma solo se serve a fare la “guerra delle commesse” con l’Italia. Divide et impera: una tattica che funziona da sempre.
Il messaggio di Stoltenberg
Se poi qualcuno avesse ancora qualche dubbio sulla “sovranità europea” ci pensa Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, a spiegarci come vanno le cose. In un’intervista a Il Sole 24 Ore (7), il laburista norvegese ha spiegato che: “L’Unione Europea non sarà mai in grado di difendere l’Europa. In parte per motivi finanziari: l’80% della spesa militare della Nato giunge da paesi membri non Ue. In parte per motivi geografici: la Norvegia a Nord, la Turchia a Sud, il Canada, gli Stati Uniti e il Regno Unito a Ovest contribuiscono alla difesa dell’Europa”.
A poco serve la scelta di portare la spesa militare al 2% del Pil se poi questi soldi non sono destinati ad un progetto di difesa comune europea. Dunque ogni euro che gli europei investiranno in spese militari servirà solo a rafforzare la Nato, ossia l’organizzazione che limita la nostra sovranità. Tornando alla precedente metafora, il cane (l’Europa) non solo è legato al guinzaglio retrattile, ma è anche destinato a mordersi la coda. In sintesi non possiamo stupirci per i “sottomarini francesi” o per le “fregate italiane”. Che ci piaccia o meno, finché faremo parte dell’Alleanza Atlantica dovremo sottostare al volere di Washington.
1. Caso Aukus: Stati Uniti-Australia-Francia. Cosa è successo? Dario Fabbri su Limes.com 24 Settembre 2021
https://www.limesonline.com/lapprofondimento-di-dario-fabbri-caso-aukus-stati-uniti-australia-francia-cosa-e-successo/1250962. France’s Indo-Pacific Strategy, redatto dal Ministero degli Esteri francese pubblicato 01 Agosto 2021
https://au.ambafrance.org/IMG/pdf/en_indopacifique_web_cle0f44b5.pdf3. Fregate francesi per la Grecia: i primi effetti dell’Aukus. Rivista Italiana Difesa di Pietro Batacchi 29 Settembre 2021
https://www.rid.it/shownews/44194. Czechs sign deal to buy French truck-mounted artillery. Di Ap News 30 Settembre 2021
https://apnews.com/article/business-europe-prague-systems-ltd 02b5a883be52137b65b0a57827f5e1285. MApN: “Ferma disponibilità a firmare” l’accordo quadro per le quattro corvette Gowind 2500 con la società francese Naval Group, recentemente coinvolta nella crisi dei sottomarini. Di Agenzia G4 Media.Ro. Di Alexandru Stanescu 29 Settembre 2021
https://www.g4media.ro/exclusiv-mapn-isi-exprima-in-mod-ferm-disponibilitatea-de-semnare-a-acordului-cadru-pentru-cele-patru-corvete-gowind-2500-cu-compania-franceza-naval-group-implicata-recent-in-criza.html6. Aukus azzopperà le Fremm di Fincantieri? Riflessione pubblicato sulla pagina Facebook di Alberto Negri 19 Settembre 2021
https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=1778361029015456&id=1000052472765447. Stoltenberg (Nato): «Senza gli Usa l’Unione europea non sarà mai in grado di difendere l’Europa» Intervista a cura di Beda Romano Il Sole 24 Ore 25 Agosto 2021
https://www.ilsole24ore.com/art/stoltenberg-nato-senza-usa-l-unione-europea-non-sara-mai-grado-difendere-ue-AExhDle
FONTE: https://www.centrostudipolaris.eu/2021/10/07/aukus-nel-pacifico-non-ce-spazio-per-gli-europei/
Domenica scorsa si è votato in Germania per le elezioni federali, domani si voterà in Italia per le comunali e la Calabria. Vediamo che cosa hanno deciso i tedeschi. Il Bundestag è composto da 598 membri, appena 2 in meno dei 600 totali del nostro Parlamento bicamerale, 299 eletti direttamente in collegi uninominali (Erste Stimme-Primo voto) maggioritari e 299 su liste bloccate di Land proporzionali (Zweite Stimme-Secondo voto), che è quello decisivo perché la composizione finale deve rispettare la proporzione delle liste. Se un partito ottiene un numero di seggi superiore alla sua percentuale si aggiungono seggi, cosiddetti mandati aggiuntivi, per rispecchiare esattamente la proporzione risultante dal Secondo voto. Nel 2013, con Afd e FDP fuori dal Parlamento erano 631, ma nel 2017 con 6 partiti i membri erano 709. Quest’anno si è giunti al record di 735 seggi. Per rispettare la volontà degli elettori in Germania si aumentano i seggi, mentre in Italia sono stati ridotti, per premiare tre/quattro partiti, quelli maggiori.
La SPD ha vinto di stretta misura, ma la sinistra nel suo complesso ha perso specialmente nella ex DDR, con l’eccezione del Meclemburgo Pomerania Anteriore, la SPD ha guadagnato un 1% rispetto al 2017 e non ha recuperato i voti del 2013, il 29,44%, ma ora non c’è più come nel 2013 una maggioranza numerica teorica di sinistra SPD 193 + LINKE 64 + VERDI 63, 320 su 631, già venuta meno nel 2017 con 289 seggi su 709, a causa dei 40 seggi persi dalla SPD, non compensati dai 5 seggi conquistati dalla Linke e dei 4 dei Verdi. Nel 2021: SPD 206 + LINKE 39 + VERDI 118, arrivano a 363 su 735, a 5 seggi dalla maggioranza assoluta perché la Linke ha perso 30 seggi e il 3,65%. Di contro malgrado la perdita secca dell’UNIONE, soprattutto della CDU, – 7,8% in media e della AfD (Alternative für Deutschland) in percentuale e seggi, grazie al successo del FDP la destra ha vinto a livello federale. Per la seconda volta, come nel 2017, è possibile un governo UNION+FDP+AfD con 371 seggi (196+92+83) su 735, pari al 50,47%. Nel 2017 la virtuale maggioranza di destra era di 374 seggi su 709 seggi, quindi il 52,7%. La maggioranza nel 2021 è di solo 3 seggi, ma non è per questa ragione, che è improbabile un tale esito, ma per l’assoluto antieuropeismo della AfD, intollerabile per un partito, che esprime la Presidente, Ursula von der Leyen, della Commissione Europea. Nella Repubblica Federale Tedesca non esiste il fenomeno della migrazione da gruppo parlamentare ad altro nel Bundestag (nei Landtag è diverso) e pertanto è sempre valida la decisa risposta di Adenauer quando gli chiesero come avrebbe potuto governare in solitario con appena 2 voti di maggioranza: “Ce ne è uno di troppo!”.
Nella foto in evidenza, i leader dei tre principali schieramenti, ad un dibattito televisivo, da sinistra: Olaf Scholz (SPD), Annalena Baerbock (Verdi) e Armin Laschet (UNION CDU)
Nei collegi corrispondenti al territorio della ex DDR la debolezza della sinistra è la più evidente. Nel 2013 la LINKE con il 22,7% era il 2° partito e la SPD con il 17,9% il 3°. Nel 2017 la Linke con il 17,8% 3° partito e la SPD con 13,4% il 4°. Nel giro di appena 4 anni la sinistra è passata dal 40,6% al 31,2%. Nello stesso periodo alle elezioni federali la destra è passata dal 44,1%, composto da UNION 38,5% e AfD 5,6% al 49,5% con l’Unione al 27,6%, 1° partito e l’AfD al 21,9% al secondo posto. In queste elezioni la AfD è scesa dal 11,46% al 10,3%, ma è diventato il primo partito in Sassonia e in Turingia.
Berlino per la prima volta avrà una sindaca: è Franziska Giffey della SPD, ex ministra della Famiglia del governo di Angela Merkel. La SPD, che ha totalizzato il 21,4% – mentre i Verdi il 18,9% e la Linke il 14% – sembra destinata a continuare la sua attuale coalizione in municipio con i Verdi e la Linke, pur con qualche acciacco (SPD -0,2%, Linke -1,6%) , ma Berlino è un laboratorio per una nuova sinistra tedesca. Nella congiuntura attuale la SPD non può che tentare di fare un governo, Semaforo, cioè rosso SPD, giallo FDP e verde Grünen, una formula a guida socialdemocratica come nella Renania Palatinato, per scongiurare una coalizione Jamaica, con Liberali e Verdi a guida CDU come nello Schleswig-Holstein, che per la prima volta dal 1949 ha mandato nel Bundestag un deputato rappresentativo della minoranza danese.
Cosa sarà l’Europa nei prossimi anni post pandemia e quale sarà il suo ruolo nel mondo multipolare e la sua capacità di affrontare le sfide planetarie, dal riscaldamento globale con le ricadute ambientali, i flussi migratori, gli scenari di guerra e la digitalizzazione non dipenderà, purtroppo per i veri federalisti (non per gli europeisti d’accatto), dalle elezioni del Parlamento europeo del 2024, ma dalle elezioni federali tedesche appena svolte in questo 2021, dalle presidenziali e legislative francesi del 2022 e da quelle italiane del 2023, la scadenza naturale se non saranno anticipate nel 2022, come spera la destra per sfruttare a suo vantaggio l’ennesima legge elettorale incostituzionale, i cui effetti distorsivi sono aggravati dalla demenziale, perché eccessiva, riduzione del numero dei parlamentari della legge costituzionale n. 1/2020.
Con la Brexit i grandi paesi UE sono ridotti a tre, Germania, Francia e Italia, che non sono nelle loro migliori condizioni, ma nemmeno stanno meglio i paesi medio grandi a cominciare dalla Spagna, per finire con Romania e Polonia: le elezioni federali tedesche sono state quindi le prime elezioni europee della serie, che si conclude con le elezioni del Parlamento europeo del 2024. Per combinazione fortuita il prossimo anno è decisivo per i tre capi di Stato dei grandi Paesi UE, si dovranno eleggere i tredicesimi presidenti di Italia e Germania, da parte di assemblee speciali composte da parlamentari e rappresentanti delle articolazioni territoriali costitutive delle rispettive repubbliche. Il nono Presidente della Quinta Repubblica francese sarà eletto, invece direttamente dal popolo, mentre il nono Cancelliere federale sarà quello scelto dalla maggioranza di governo, che succederà alla Grosse Koalition della Merkel, che ha ancora una maggioranza assoluta di 406 seggi, il 54,93% dei seggi e il 49,8% dei voti validi. L’attenzione è tutta su questo aspetto nazionale.
Quello che è certo è che ci sarà un governo prima di Natale e che durerà quattro anni.
Felice Carlo Besostri
Vicepresidente Istituto Studi Politici Giorgio Galli – ISPG
Cartogrammi: mappa dei Seggi nei collegi (i colori corrispondono al partito vincitore) Seggi nelle liste
Fonte: Di Erinthecute – Derived from:Data from Federal Returning Officer, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=94854545
FONTE: https://www.civica.one/germania-i-deputati-aumentano-da-598-a-735-noi-li-abbiamo-appena-tagliati-a-400/
POLITICA
Il voto autunnale e la catastrofe M5S: fine dell’era tripolare
Attualità, Civica, Daniele Vittorio Comero, Elezioni e Riforme, Politica e Geopolitica
| |Non erano ancora state smontate le cabine elettorali e chiusi i seggi che già martedì 6 ottobre il Governo, dopo pranzo, si riuniva per varare un DDL molto pesante: una legge delega per una riforma fiscale e la revisione del catasto. Un passo decisamente forte da parte delle forze governative di sinistra, in primis il PD, con M5S e Forza Italia. La Lega si defila e non partecipa al voto in Consiglio dei ministri. Draghi dichiara candidamente in conferenza stampa che “l’azione del Governo non può seguire il calendario elettorale…”, per cui è solo un ‘caso’ che il governo si è riunito di corsa per farsi dare dal Parlamento la delega fiscale il giorno dopo il voto. Sono solo coincidenze. Ancora più interessante la seconda, sorniona, dichiarazione di Draghi “la riforma del catasto non è una patrimoniale, questo governo non aumenta le tasse”.
Le promesse, come è noto, in politica impegnano solo chi le ascolta e desidera prenderle per buone. Nessuno per ora dubita di Draghi però, è noto, che è il principale candidato alla presidenza della Repubblica nelle elezioni che si terranno tra quattro mesi, quando la delega quasi sicuramente sarà approvata dal Parlamento con qualche voto di fiducia e attivabile per produrre la solita cinghialesca cucciolata di Decreti legislativi. Lo scenario di Draghi al Quirinale comporterebbe una diversa gestione della delega, che potrebbe essere esercitata da un nuovo capo del governo, che non ha fatto alcuna promessa, per cui ancora più libero di tar-tassare gli italiani sulla casa e su tutte le cose visibili delle famiglie, magari giustificato dal peggioramento dei conti. Teoricamente non c’è da aver paura, volendo ci si può fidare di segretario PD Letta patron di tutta l’operazione fiscale. Rimane il problema del voto degli italiani. In democrazia il rispetto del voto è sacro, appunto, ma gli italiani chiamati alle urne il 3-4 ottobre che cosa hanno detto? Molte cose, certamente non si sono espressi per farsi mettere le mani in tasca dal fisco. Gli election day come quello di domenica scorsa sono sempre un po’ complicati da decifrare, viste le numerose sfide, nelle città metropolitane, nei molti grandi e piccoli comuni, nel collegio uninominale per la Camera a Siena e Roma, infine nella regione Calabria.
Vediamo queste ultime: in Calabria ha vinto nettamente il centro destra e il tentativo di De Magistris ha portato a poco. A Siena il seggio blindato dal centro-sinistra è andato a Enrico Letta, che ha poco da festeggiare, con il 49,9%. La gara è stata impari. Ogni sera tutti i TG, a tutte le ore, ci informavano visivamente dell’andamento della sola campagna elettorale di Letta, con relative interviste, mentre del suo avversario di centro destra non si conosceva ne il nome ne il volto; un esempio di par condicio poco democratica.
Nelle comunali, visto il risultato di Milano e Napoli, qualificati commentatori si sono affrettati ad assegnare la vittoria al PD. I conti si fanno alla fine con tutti i comuni e le somme raccontano tutta un’altra storia. La sinistra ha vinto dove aveva già vinto, idem la destra; l’unica novità ampiamente prevista è il crollo dei grillini, che nella precipitosa ritirata, simile ad una gloriosa disfatta, hanno liberato una valanga di poltrone sulle quali si stanno avventando i due soliti schieramenti che dominano il sistema politico italiano. Fine dell’epoca tripolare. Un periodo durato meno di dieci anni, che aveva portato una ventata speranza e di importanti novità. Ora si ritornati con i soliti conteggi tra Csx e Cdx, visto che al M5S è rimasto un solo sindaco eletto, oltretutto preso a prestito dalla sinistra.
Un bilancio nazionale sui partiti è possibile, si potrebbe partire da quanto proposto da YouTrend, diffuso da AGI, che ha calcolato che “la lista del PD emerge come quella complessivamente più votata, con il 18,8% – identica percentuale ottenuta in occasione delle Amministrative 2016. Il Movimento 5 Stelle, che in quell’occasione fu la seconda lista con il 17,4%, oggi precipita al 6,3%. Anche Forza Italia dal 2016 perde terreno, scendendo dal 7,2 al 4,8%. Crescono invece la Lega (da 5,2 a 7,4 per cento) e soprattutto FDI, che 5 anni fa fece registrare il 4,6% e oggi è la seconda lista dietro il PD con l’11%.” Certo, sono conteggi difficili da fare, sono da prendere con cautela per la presenza di molte liste civiche e liste personali di appoggio al candidato sindaco.
Per capire dove sono finiti i voti mancanti si possono osservare i flussi di voto, ad esempio quelli calcolati dal Cattaneo di Bologna, dove emerge che una buona parte dei grillini si sono astenuti, altri sono rientrati a sinistra. Anche la Lega ha avuto una parte di elettorato che ha preferito l’astensione. Un monito per gli esponenti governativi dei due partiti – ad esempio Conte e Giorgetti – che potrebbero avere seri problemi a mobilitare ancora un elettorato che ha bisogno di una spinta emozionale forte per tornare alle urne. In sintesi, è utile il grafico pubblicato da La Repubblica sui comuni al voto, riportato qui sotto, che pur incompleto, è molto chiaro: dai numeri emerge che per ora i due schieramenti sono in parità.
Il risultato finale verrà stabilito dopo i ballottaggi, del 17-18 ottobre, dove molte delle poltrone che a giorni verranno liberate dai grillini sono contese: 60 comuni, in cui solo nove partecipa un candidato del M5S. Nelle grandi sfide a Torino e soprattutto a Roma, la partita è apertissima. Proprio a Roma la Raggi, aiutata da esperti consulenti, ha tenuto la sua bandiera alta, pur arrivando quarta. Non ha tenuto i voti 2016,ma i voti M5S delle europee 2019 li ha trattenuti, come anche la capacità di gioco politico sul risultato finale, tra Michetti e Gualtieri, nonostante i pariolini di Calenda e Conte.
In questo quadro si muove Salvini, sentendosi soffocare, cerca di smarcarsi dal suo ex mentore ora nel governo, ha bisogno di mobilitare un elettorato che un domani potrebbe imputargli il costo di una riforma fiscale che certamente sarà dolorosa. In conclusione si registra la fine dell’era tripolare – centrosinistra, M5S e centrodestra – con l’implosione dei grillini. Gli ex-elettori grillini hanno mandato un messaggio chiaro: visto che il loro voto di protesta contro il sistema politico, prima affidato a Grillo e Casaleggio, ha portato per strane alchimie romane, il mandato nelle mani di un avvocato pugliese di stampo andreottiano, ora possono solo astenersi per protestare contro tali manipolazioni. Così il non voto cresce a dismisura.
FONTE: http://www.civica.one/il-voto-autunnale-e-la-catastrofe-m5s-fine-dellera-tripolare/
I mangiafuoco i burattini e l’Aspen Institute
…. e la ziniztra.
VIDIEO QUI: https://youtu.be/H7MBib1pxY4
-Salvini nel 2019 è stato fregato perché era convinto che anche il PD volesse andare alle elezioni. Era una trappola e se ne è accorto troppo tardi. I 5S hanno fatto il gioco che Grillo aveva promesso di fare all’ambasciatore americano in Italia sin dagli albori del Mov, cioè impedire che si formasse un asse sovranista capace di vincere le elezioni. Dopo la sconfitta della Le Pen era necessaria la sconfitta di Salvini e quindi…..
-La Magistratura (da république bananière) ha immediatamente preso in mano la situazione alla prima occasione e ordinato l’ indagine sulla bufala ‘corruzione internazionale’ della Lega. Le indagini vanno avanti da 3 anni, i soldi non ci sono per ammissione di tutti, il ‘ do ut des’ neanche perché la Lega ha sempre votato le sanzioni alla Russia. Ma i pm vanno avanti perché l’indagine è in realtà guidata da motivi politici. Se la Lega fosse ancora al 4% dell’elettorato la avrebbero già chiusa, anzi non la avrebbero neanche iniziata. Stessa cosa per gli assurdi rinvii giudizio per i casi delle ONG che portano i migranti.
-Si ripete un po’ quello che è successo con Craxi : gli USA vogliono una Italia sottomessa, non tanto perché il Bel Paese conti qualcosa ma perché potrebbe fare da apripista per Paesi che in Europa contano veramente come la Francia e la Germania. Salvini quindi se ne deve andare e i media italiani (con a capo La 7) hanno subito detto : obbedisco. Non passa giorno infatti nel quale si annuncia la fine della Lega o meglio di Salvini, la scissione, il tracollo elettorale. Gli scribacchini nostrani sono sempre stati così.
-Giorgetti non ha la stoffa da leader e l’operazione che gli è stata imposta cioè quella di riportare la Lega al livello folkloristico di Bossi, un partito regionale per l’autonomia del Nord,( che non avverrà mai ) a servizio della confindustria, è troppo complicata per un ragioniere come lui.
-Interessante notare come i poteri forti siano operosi anche nella campagna presidenziale francese con l’esplosione del caso Eric Zemmour che sta erodendo, in questo caso con programmi di estrema destra i consensi per la Le Pen.
FONTE: https://comedonchisciotte.org/forum/notizie-dallitalia/i-mangiafuoco-e-i-burattini/
STORIA
Foibe: la parte giusta, quella sbagliata e chi sbagliava dalla parte giusta
Alessandro Barbero è corso in soccorso di Tomaso Montanari, avallando la sua tesi che l’ Istituzione della Giornata del Ricordo di foibe ed esodo degli italiani da Istria, Dalmazia e Fiume è stata una manovra della destra neofascista per riequilibrare l’Istituzione della Giornata della Memoria dell’ Olocausto del popolo ebraico.
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