RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
8 FEBBRAIO 2022
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
La cosiddetta “abolizione della proprietà privata” […] voleva dire in realtà la concetrazione della proprietà in un numero di mani assai inferiore che per il passato. […] I nuovi proprietari erano un gruppo anziché una massa di individui.
GEORGE ORWELL, 1984, Mondadori, 1984, pag. 204-205
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SOMMARIO
Apologia di Mino Pecorelli, un gigante del giornalismo
A Rende, in provincia di Cosenza, un docente di 33 anni si è dato fuoco
La libertà è diventata “deroga rilasciata per grazia del Potere”
“Oggi le sigarette, domani il vino e le mignotte: sono finiti”
SANREMO E LA VERITA’ DELLO SPETTACOLO
BERGOGLIO A SAN REMO
Quando il ridicolo supera ogni immaginazione
NEMICI DELLA PROPRIETÀ PRIVATA E DELLA LIBERA IMPRESA SI CHIAMA COMUNISMO, MI PARE.
La paura degli idioti
“Green pass per tutta l’estate”: il governo insiste, ecco cosa ci aspetta nei prossimi mesi
Gli esperimenti letali del Pentagono in Georgia e Ucraina
Josep Borrell organizza l’assedio del Donbass e della Transnistria
ANNIENTARE (LA TRAMA E LA CRITICA?): NOTE SULL’ULTIMO ROMANZO DI MICHEL HOUELLEBECQ
L’educazione del futuro: i sette saperi di Edgar Morin
Il Mediterraneo, destino d’Italia – La via marittima dell’interesse nazionale
“NESSUNA PERSONA UMANA DOVREBBE VIVERE LÌ”: GLI ORRORI IN CORSO NELLA PRIGIONE DI DANBURY
Cosa si muove tra Saipem, Eni, Cdp e Technip
Riconoscimento e Rimozione storica – Incontro dedicato al Giorno del Ricordo
PLAUTILLA BRICCI. LA RIVOLUZIONE SILENZIOSA DELLA PRIMA ARCHITETTRICE
Il Consiglio d’Europa stronca il Green pass: le motivazioni messe nero su bianco
Impugnare o non impugnare la sanzione di 100 euro per violazione dell’obbligo vaccinale?
Va restituito lo stipendio al no vax sospeso
La condanna della dottrina Cebrowski non cambia nulla
L’Europa in trincea contro il nemico inventato
ESCALATION DELLE TENSIONI
UN PAPA MACELLAIO?
Brandi: macché “nuovo” Draghi. Ci sta facendo a pezzi
ZAMPETTI CI METTE LO ZAMPINO – POTREBBE SLITTARE AL 24 GENNAIO LA PRIMA SEDUTA DEL PARLAMENTO
PER L’ELEZIONE DEL CAPO DELLO STATO
Il Bis un complotto del Quirinale – Il Deep State de’ Noantri
Oxfam accusa Pfizer – ed altri diventano critici
PORZÛS – 7 febbraio 1945
EDITORIALE
IN EVIDENZA
Apologia di Mino Pecorelli, un gigante del giornalismo
Carmine “Mino” Pecorelli è una figura sfaccettata, la cui categorizzazione è estremamente complicata. Aldo Giannuli, nell’introduzione della recente raccolta di articoli intitolata “Così parlò Pecorelli”, lo definisce un “anarchico di destra” alla Stirner. Non possiamo sapere se al giornalista molisano la definizione sarebbe piaciuta ma presumiamo di sì. Pecorelli non ebbe padroni. Egli sfruttò la miriade di centri di potere che disseminavano la Roma primo repubblicana per ottenere notizie. Questo suo essere una scheggia impazzita lo condannò. Per molti Pecorelli è solo una delle numerosissime vittime dell’Italia dei terribilmente violenti anni ’70. Uno che sapeva troppo, uno che ricattava e uno che se l’è cercata. Pecorelli non era niente di tutto ciò. Probabilmente infatti il capo di Osservatorio Politico (OP) fu una delle poche persone che ha provato a far davvero luce su un periodo talmente intricato da far desistere molti da qualsiasi velleità di approfondimento. Ma non Pecorelli, che di approfondimenti ne fece molti, spesso criptati e incomprensibili per le persone normali ma molto vicini, se non perfettamente coincidenti, alla realtà.
Pecorelli nacque in Molise nel 1928. A 15 anni si arruolò nell’armata polacca di Anders e guerreggiò in tutto il centro Italia, venendo anche decorato. Finita la guerra si dedicò all’avvocatura, specializzandosi in diritto fallimentare. Ed è in questo contesto che fa il suo ingresso nei salotti buoni, ma non troppo, di Roma. Qua entra in quella zona grigia tra politici corrotti, imprenditori corruttori e agenti segreti di dubbia qualità. Dopo un periodo da addetto stampa per il ministro DC Fiorentino Sullo decide di diventare un giornalista. Prima lavora al giornale Nuovo Mondo d’Oggi dove si mette in mostra per le notizie di primissima mano dovute a rapporti previlegiati con membri dei servizi. Tra di essi c’è il suo collega Nicola Falde, con cui lavora appunto al Nuovo Mondo d’Oggi. Falde era un ex militare la cui mediocrità si rende palese dell’episodio di Telefono Giallo del 1988 che Corrado Augias dedica al collega barbaramente ucciso. In quella trasmissione l’ex collaboratore di Pecorelli si presenta eludendo tutte le domande e leggendo addirittura da un foglio una dichiarazione che sembrò confezionata. Pecorelli lasciò infine Nuovo Mondo d’Oggi e all’inizio degli anni settanta diede vita a Osservatore Politico (OP), in origine un ciclostilato per pochi addetti ai lavori. Il salto di qualità avvenne, forse non casualmente, in pieno sequestro Moro. Infatti nel 1978 OP divenne un settimanale presente e ben riconoscibile, anche se poco diffuso, nelle edicole di tutta Italia. E la tragedia del presidente della Democrazia Cristiana è un evento determinante anche nella vita professionale di Pecorelli. Da quel 16 marzo 1978 OP si sganciò da qualsiasi legame con qualsivoglia centro di potere. L’obiettivo era sostenere il salvataggio di Moro e la scoperta degli oscuri retroscena che da subito furono visibili a chi voleva vedere. Ma nel 1979, il 20 marzo alle 20.45 minuto più, minuto meno, Carmine “Mino” Pecorelli venne ucciso con 3 colpi di pistola tra cui uno alla bocca. Chi è stato? Ancora oggi non si sa e forse non verrà mai scoperto. L’inchiesta giudiziaria è stata riaperta nel marzo 2019 grazie all’impegno costante di Rosita Pecorelli, sorella di Carmine, e al libro di Raffella Fanelli “La strage continua”. La giornalista individua nell’area dell’estrema destra orbitante attorno ad Avanguardia Nazionale gli esecutori materiali dell’assassinio. Fanelli scrive inoltre di aver trovato l’arma del delitto grazie alle rivelazioni del terrorista di estrema destra Vincenzo Vinciguerra. Tale pistola apparteneva al membro di AN Domenico Magnetta. La probabile arma del delitto è stata però distrutta misteriosamente nel 2013. La ragione dell’omicidio, per Fanelli, sono le inchieste che Pecorelli stava facendo e che minacciavano di scoperchiare quel malefico vaso di Pandora che erano le relazioni tra eversione nera, politica e massoneria.
Le ipotesi
Partiamo dal presupposto che non ci sono colpevoli per questo omicidio. Non sono mai stati individuati né i mandanti e nemmeno gli esecutori materiali. Si sa solo che Pecorelli venne ucciso con una pistola calibro 7.65 che sparava proiettili Gevelot, francesi, molto rari e probabilmente facenti parte dell’arsenale della Banda della Magliana nascosto in un magazzino del Ministero della Sanità all’EUR. Un’altra caratteristica peculiare del delitto fu il colpo sparato in bocca, il primo partito dall’arma dell’omicida, tipico delle esecuzioni mafiose. La già citata inchiesta riaperta più di due anni fa non ha prodotto, ad oggi, risultati significativi. Le difficoltà nel risolvere un delitto avvenuto nel 1979 sono molte ma ciò che sembra mancare, ed è quello che è mancato in questi cinquantadue anni, è la volontà di dare giustizia a un padre di famiglia morto ammazzato. L’omicidio Pecorelli, nonostante il tempo trascorso, deve essere risolto. Solo così si farà giustizia.
DELITTO PASSIONALE
Scartato quasi subito dagli inquirenti, vale la pena riportarlo solo per dovere di cronaca. Pecorelli aveva una vita sentimentale piuttosto “vivace”. Non era sposato ma aveva due figli da due donne diverse e da tempo intratteneva una relazione con la sua segretaria, Franca Mangiavacca. Come già detto, questa ipotesi fu subito messa da parte.
I PADRINI DELLA PORNOGRAFIA
“I padrini della pornografia e l’omicidio Pecorelli” è il titolo di un libro scritto da Stefano Surace che elabora una teoria parecchio particolare secondo cui dietro la morte di Mino Pecorelli ci fosse un ambiguo giro di creazione e vendita di contenuti di carattere scabroso. Il tutto sarebbe stato però gestito da membri della magistratura di Stato, su cui Pecorelli aveva indagato e stava indagando con particolare attenzione. Lo scandalo che ne sarebbe derivato avrebbe rischiato, com’è palese notare, di screditare un’intera professione che guadagnava sulla pubblicazione tramite riviste e altri mezzi di materiale scandaloso. Surace afferma inoltre che una lunga pubblicazione su quella che lo stesso giornalista definì “pornomafia” sarebbe stata censurata. Occorre però fare una precisazione, su questa teoria, oltre al libro di Surace, non c’è davvero nient’altro. Pare quindi corretto affermare che questa ipotesi rimane del tutto marginale anche perché mai realmente presa in considerazione dalle varie indagini su Pecorelli.
I DOSSIER DEL SIFAR
Il Sifar è stato il Servizio Segreto delle forze armate dal 1949 al 1966. Gli agenti di questo ente governativo avevano stilato numerosissimi dossier frutto di azioni illegali quali intercettazioni all’oscuro della magistratura e pedinamenti non autorizzati ai danni di uomini politici, militari, magistrati, imprenditori e chiunque contasse qualcosa in Italia. Queste informazioni erano ovviamente usate per ricatti e scambi di favore. Probabilmente li usò nel 1964 anche il generale De Lorenzo, ex capo del Sifar stesso, per organizzare il Piano Solo con cui cercò di ottenere il potere tramite un colpo di Stato militare. Nota a margine, ma non troppo. Pecorelli si interessò anche a un altro tentativo di colpo di Stato che interessò la turbolenta Italia in quel periodo: il golpe dell’Immacolata del 1970. Questo colpo di Stato fu preparato da Junio Valerio Borghese, ex comandante della X Mas e molto vicino ad ambienti monarchici ma soprattutto alla destra eversiva. Il piano di Borghese saltò all’ultimo lasciando molte domande senza risposta. Chi aveva ordinato di non proseguire? Secondo alcuni furono i servizi americani. Secondo altri, tra cui Mino, il golpe era una montatura per permettere alla DC di emanare leggi repressive. Sempre secondo il direttore di OP, i protagonisti del falso tentativo anti democratico si potevano tranquillamente trovare tutti insieme nella sala d’aspetto degli uffici di Andreotti. Un nome che ricorrerà spesse volte da qui in avanti. Tornando a quei dossier molto scottanti. Quando il Sifar venne liquidato e sostituito dal gattopardescamente simile SID, queste schede informative illegali sarebbero dovute bruciare. Ma “il falò del Sifar” come una volta titolò in prima pagina Pecorelli sarebbe stato solo una montatura per fingere di essersi liberati di quei fascicoli così preziosi e pericolosi quando invece erano ben custoditi in un qualche armadio del SID. Il giornalista fece intendere che era in possesso di uno o più dossier nominalmente distrutti. Tuttavia è poco probabile che questa sia stata la causa della sua morte dal momento che era una questione già vecchia nel 1979. Inoltre nel frattempo anche il SID era stato sciolto da Andreotti che sfruttò le bambinesche rivalità tra il generale capo del Servizio Segreto Miceli e il suo ambizioso sottoposto Maletti. Tra parentesi Miceli e il suo predecessore, ammiraglio Henke, erano strettamente legati a Pecorelli e spesso lo usavano per attaccare i loro nemici. Soprattutto Miceli, attraverso il criptico capitano La Bruna, passava molte informazioni al giornalista di OP.
MI.FO.BIALI
Quando l’allievo carabiniere in borghese Ciro Formuso, allertato dalla Mangiavacca, vede il cadavere di Pecorelli corre a chiamare la centrale in un bar vicino via Orazio, luogo dell’omicidio. Accorrono subito in forze carabinieri e polizia. Con loro il PM Domenico Sica e il colonello piduista dei Carabinieri Antonio Cornacchia. Gli uomini di Cornacchia corrono a controllare la sede di OP, forse già perquisita da membri dei Servizi Segreti. Su questo particolare non si farà mai chiarezza dato che da subito escono fuori le testimonianze di poliziotti respinti al momento di entrare negli appartamenti di via Tacito da coloro che sembrerebbero essere membri dei Servizi. Comunque mentre i carabinieri e Cornacchia portano via scatoloni e scatoloni di materiale, Domenico Sica, magistrato molto esperto, corre a casa di Pecorelli dove scopre la tessera P2 del giornalista, su cui torneremo dopo, e un dossier letteralmente esplosivo: il MI.FO.BIALI. Tale documentazione recuperata a casa del giornalista e non nel suo ufficio, si ricordi questo particolare, trattava di un enorme scandalo all’interno della Guardia di Finanza che coinvolgeva una serie di personaggi che ora si andranno a vedere. Ma prima vale la pena spendere due parole su come questo dossier sia stato redatto. Era stato stilato dal SID su fogli bianchi, in modo da non poter essere usati in eventuali processi. Il MI.FO.BIALI era infatti frutto di intercettazioni illegali perché non autorizzate dalla magistratura ma dal ministro della difesa in carica nel 1974, anno in cui era iniziata la raccolta di tali informazioni: Andreotti. Quest’ultimo aveva deciso di iniziare l’operazione per scopi politici come riferì l’ex capo del SID Maletti. Infatti il “FO” dell’acronimo sta per Foligni, un cognome. Foligni Mario era il fondatore del Nuovo Partito Popolare, nato con l’ambizioso progetto di essere l’alternativa alla Balena Bianca (la DC), progetto poi fallito abbastanza velocemente. Egli è uno dei protagonisti principali di questa tenebrosa vicenda. Tuttavia quello che risulta evidente è la ragione per cui Andreotti volle creare questo dossier: per gettare discredito su una nuova formazione potenzialmente avversaria. Ma il Divo Giulio negò sempre il suo coinvolgimento in questo avvenimento anche perché ciò che, volontariamente o meno, aveva scoperto ha del clamoroso. Con il MI.FO.BIALI si scoperchia un incredibile sistema di corruzione all’interno della Guardia di Finanza che comprava petrolio dalla Libia, di cui BIALI è un anagramma, in cambio di armi comprate in chissà che modo dai vertici della stessa GDF. La vendita delle armi alla Libia di Gheddafi era ovviamente vietata da un duro embargo. E la scoperta di questo enorme affare avrebbe letteralmente fatto infuriare la NATO e soprattutto gli USA, allora impegnati in un duro braccio di ferro con il Paese nordafricano. Ma ancora più esplosivi erano i nomi coinvolti nell’affare. A capo di questa gigantesca operazione illegale, secondo il dossier, c’era niente di meno che il comandante generale della Guardia di Finanza Raffaele Giudice, sua moglie, il suo segretario particolare Trisolini e il vice comandante Lo Prete. Oltre al petrolio, la cui illegale esportazione coinvolgeva anche alti prelati e il fratello del premier di Malta, si aggiungeva anche l’esportazione di valuta, ovviamente, ça va sans dire, non a norma di legge. Un particolare impressionante e che ci fa capire molte cose riguardo le fonti di Pecorelli è che questo documento era teoricamente presente solo in una copia al SID. Il giornalista molisano invece non solo ne era in possesso ma ne pubblicava anche stralci. Ciò ovviamente provocò una reazione. Pecorelli fu anche invitato a una cena con Lo Prete in un esclusivo circolo a Roma, la Famija Piemonteisa. A fare da paciere tra le due parti, per far cessare la pubblicazione del MI.FO.BIALI, c’era il magistrato andreottiano Claudio Vitalone. La mediazione probabilmente andò a buon fine dato che Pecorelli smise di attaccare la Finanza, rivolgendosi velocemente e ferocemente a un altro obiettivo. Ciò accadeva a fine gennaio del 1979, 3 mesi dopo Pecorelli veniva freddato.
GLI ASSEGNI DEL PRESIDENTE
Ritroviamo Giulio Andreotti, sette volte primo ministro della Repubblica Italiana, in una copertina mai pubblicata di OP dal titolo “Gli assegni del Presidente”. Pecorelli sembrava essere arrivato in possesso di assegni intestati a persone inesistenti o semplici prestanome che però, in un modo o in un altro, erano riconducibili ad Andreotti o a membri dello staff molto vicini al Divo Giulio come Franco Evangelisti o Vitalone. Era un enorme giro di corruzione per ottenere favori politici e appalti vinti grazie a corsie preferenziali a loro volta acquistate a peso d’oro grazie a succose mazzette. Evangelisti pagò di tasca sua, o di Andreotti, 30 milioni di lire per far sì che Pecorelli non rendesse pubblico quel numero di OP già in tipografia. Segnale abbastanza evidente di quanto Andreotti temesse le rivelazioni del giornalista molisano con cui peraltro si era scambiato cordiali lettere sulla terribile emicrania che accumunava questi due protagonisti degli anni ’70 italiani. Strettamente collegato agli “assegni del presidente” era lo scandalo Italcasse di cui Pecorelli si era interessato in molteplici occasioni. L’Istituto di Credito delle Casse di Risparmio Italiane, appunto “Italcasse”, era pienamente coinvolto in quella che si può tranquillamente definire una “Mani Pulite” anticipata di 15 anni. Infatti questo istituto di credito foraggiava i partiti con fondi neri che servivano a coprire le spese di grandi apparati con altrettanto enormi spese. Inoltre il capo dell’Italcasse Giuseppe Arcaini era anche sospettato, e quasi sicuramente colpevole, di aver dato prestiti a persone che non avevano assolutamente presentato le dovute garanzie ma che probabilmente avevano ottimi agganci con eminenti rappresentanti politici. Tra loro c’era Gaetano Caltagirone, costruttore. Oltre ad essere destinatario di enormi prestiti, era anche uno degli obiettivi prediletti di Pecorelli che lo prendeva di mira senza alcuna pietà dalle colonne del suo settimanale. Questi attacchi, oltre ai già citati assegni del presidente che facevano tanto spaventare un uomo di solito glaciale come Andreotti potevano essere effettivamente un valido motivo per giustificare un omicidio così brutale.
COMINFORM
Insieme al dossier MI.FO.BIALI Sica in casa di Pecorelli trova il numero della tessera della P2 del giornalista, datata 1977. La P2, che verrà scoperta solo nel 1981, era una loggia massonica segreta con a capo Licio Gelli. Essa venne riconosciuta come associazione eversiva e la sua ombra si allunga su buona parte delle stragi avvenute durante il periodo della Strategia della Tensione tra il 1969 e il 1980 e anche su quasi tutti i misteri, e non sono pochi, che hanno caratterizzato gli anni ’70 italiani. I legami della P2 con l’estrema destra eversiva e con la malavita sono inquietanti e piuttosto forti. Ma Pecorelli si interessò soprattutto del Venerabile Maestro Gelli. Mino ebbe modo di entrare in possesso di documenti che testimoniavano il doppio gioco di Gelli durante la Seconda Guerra Mondiale. In quel periodo il futuro imprenditore toscano lavorava sia per i nazisti sia per i partigiani e venne anche coinvolto dell’omicidio di un capo dei partigiani malvisto dai quadri dirigenti del PCI oltre che alla cattura di un altro capo partigiano che verrà poi giustiziato dai tedeschi. Ma gli attacchi a Gelli non si riferiscono solo al passato. Pecorelli calca la mano anche per quanto riguarda gli eventi contemporanei ai due personaggi. Critica ferocemente le ambizioni di “rinascita democratica”, così com’era chiamato il programma di Gelli, e colpisce frontalmente tutta quella serie di personaggi di primissimo piano del mondo politico, economico e militare che facevano parte della P2 di Gelli. E infatti il primo processo sull’omicidio Pecorelli fu intentato contro Gelli stesso come mandante e “Giusva” Fioravanti e Massimo Carminati come esecutori materiali. Ma molto prima del processo e poco tempo dopo l’assassinio avvenne un fatto strano, un probabile depistaggio. Un informatore anonimo chiamò il PM titolare dell’indagine su Pecorelli, De Matteo, affermando che il mandante dell’omicidio era “Lucio”, e non “Licio”, Gelli. Diede anche il nome e la stanza dell’hotel dove risiedeva il presunto mandante che stava, secondo il misterioso informatore, scappando per l’Argentina con un passaporto diplomatico e riferì anche il luogo dove abitava questo potente ma sconosciuto imprenditore. De Matteo diede mandato al colonello Cornacchia di approfondire, cosa che colui che per primo aveva aperto il baule dove giaceva il corpo morto di Moro non fece mai. Forse perché anche lui era membro della P2. Tornando al processo, il fratello di Fioravanti, pentito, affermò che credeva che Giusva fosse l’esecutore materiale dato che Massimo Carminati, membro della Banda della Magliana, si rivolgeva sempre a lui quando c’era da compiere un omicidio per conto di terzi. Fioravanti infatti era un membro dei NAR, i Nuclei Armati Rivoluzionari, una formazione dell’estrema destra eversiva, legata anche ai Colonnelli Greci. NAR, Banda della Magliana e Gelli, ma più in generale la P2, avevano legami stretti e conclamati. Il processo si concluse con un nulla di fatto ma la pista sembra valida e porterebbe direttamente a quella sera di marzo in cui Pecorelli venne crivellato di colpi.
IL CASO MORO
La linea che collega l’omicidio di Pecorelli a quello di Aldo Moro ha dato il via alla creazione di teorie molto interessanti. OP fece il suo ingresso nelle edicole italiane proprio nel periodo del sequestro di Moro. La coincidenza non è ovviamente casuale. Pecorelli aveva in mano documenti inediti tra cui alcune notizie false che però pubblicava lo stesso, come quando affermò che il fautore del compromesso storico si trovava in un’ambasciata straniera. Potrebbe essere stato uno di questi documenti a costargli la vita. Pecorelli era in possesso di lettere inedite che Moro scriveva durante la prigionia, esse erano rivolte alla famiglia. Ma soprattutto il giornalista potrebbe avere avuto il famoso “Memoriale” di Moro in versione integrale. Infatti il segretario della DC scrisse una lunga serie di memorie in cui, oltre ad attacchi frontali ai suoi compagni di partito, in particolar modo Zaccagnini e Andreotti, rivelava anche segreti di Stato. Insieme a rivelazioni sullo scandalo Italcasse e al “Lodo Moro”, un patto stipulato da Moro stesso tra Italiani e Palestinesi in cui i primi lasciavano transitare liberamente i secondi sul suolo italiano in cambio di immunità dagli attentati, Moro potrebbe aver scritto anche e soprattutto riguardo l’operazione “Gladio”. Occorre fare una prima digressione. Gladio era un’operazione di “stay behind” della CIA che consisteva nella lotta contro il comunismo nei Paesi Occidentali attraverso operazioni di false flag, cioè ad esempio l’attribuire all’estrema sinistra la responsabilità di attentati in realtà commessi dall’apparato statale con il fine di isolare quell’area politica. Tra i compiti di Gladio c’era anche la preparazione di arsenali per la guerriglia in caso di invasione di un Paese del Patto di Varsavia. Ovviamente Gladio era coperta dalla completa segretezza e le rivelazioni di Moro avrebbe avuto effetti imprevedibili. Secondo molti studiosi di Pecorelli egli avrebbe ottenuto il memoriale integro e non quello “monco” dato alla stampa mainstream dal generale Dalla Chiesa. Quest’ultimo e Pecorelli avevano un rapporto molto proficuo e il molisano predisse anche il triste destino del suo informatore. Infatti Pecorelli scrisse che il generale Amen, così era chiamato Dalla Chiesa dal direttore di OP, sarebbe stato presto ucciso o “suicidato”. Cosa che poi effettivamente avvenne. Un sinistro legame di sangue quindi collega Pecorelli a Dalla Chiesa e a Varisco, amico dei due e membro dei Carabinieri, anche lui collegato al caso Moro. Il primo venne ucciso da ignoti, il secondo dalla Mafia e il terzo dalle BR. Il tutto nel giro di pochi anni. Sapevano troppo? Forse sì. Soprattutto Dalla Chiesa che, secondo le informazioni di Pecorelli, aveva avvisato Cossiga del luogo preciso in cui si trovava Moro ma il ministro dell’Interno notoriamente filo americano non intervenne. Perché? Forse perché qualcuno oltreoceano non voleva rivedere Moro vivo. A distanza di poco tempo dall’assassinio di Pecorelli avviene il secondo depistaggio della nostra lunga storia. Due ragazzi americani trovarono in un taxi un borsello contenente una scheda di Pecorelli con scritti i dettagli dell’omicidio e vari collegamenti che sembrano legare l’omicidio Moro e quello del giornalista. Il tutto è un falso fatto da Antonio “Tony” Chichiarelli, noto falsario di quadri di De Chirico. La sua figura merita un’altra digressione. Personaggio legato letteralmente a tutti gli ambienti della Roma oscura degli anni ’70, dai Servizi all’estrema destra, dalla sinistra extra parlamentare alla Banda della Magliana. Fu il creatore del falso comunicato numero 7, o della Duchessa, delle Brigate Rosse in cui si rivelava che Moro era stato ucciso e buttato appunto nel Lago della Duchessa, tra Abruzzo e Lazio. I mandanti di questo falso messaggio non sono mai stati appurati anche se è stato accusato, non del tutto infondatamente, il magistrato andreottiano Claudio Vitalone, successivamente indagato nel secondo processo relativo alla morte del giornalista. Secondo una teoria è Chichiarelli che incontra e si intrattiene per tre ore con Pecorelli il pomeriggio della morte di quest’ultimo. Comunque il ritrovamento di quel borsello sembra un qualcosa fatto ad arte per confondere le acque. Ma tutto cambia ancora con le rivelazioni di Tommaso Buscetta a Falcone nel 1993. Il pentito afferma che gli esecutori materiali dell’omicidio sono Bontate e Badalamenti, due vecchi boss della mafia poi spazzata via dai corleonesi, su richiesta dei fratelli Salvo per fare un favore ad Andreotti. Quest’ultimo era preoccupato dalle rivelazioni politiche che Pecorelli avrebbe potuto fare. Scoppia la bomba. Vengono indagati come mandanti Andreotti, il sodale magistrato Vitalone e Pippo Calò, rappresentate di Cosa Nostra a Roma. Il lungo processo, definito “il processo del secolo”, finisce con l’assoluzione di tutti gli indagati anche se i rapporti amichevoli tra il Divo e Cosa Nostra durante gli anni ’80 e prima vengono assodati anche in sede giudiziaria. Pecorelli non ha ancora trovato la pace.
Una digressione su un lato non ancora trattato dei rapporti tra Pecorelli e Andreotti è necessaria. Giannuli, nella già citata antologia di articoli proveniente da OP, avanza l’ipotesi che Pecorelli fosse a conoscenza del Noto Servizio. L’Anello, nome alternativo di quello che Pecorelli riteneva essere una sorta di apparato parastatale in mano ad Andreotti, era infatti citato più volte in molteplici articoli del giornalista molisano. D’accordo con Pecorelli c’è Licio Gelli, che dichiarò in un’intervista nel 2013 su Oggi “io avevo la P2, Cossiga Gladio e Andreotti l’Anello”. Il fatto che Pecorelli fosse a conoscenza di una struttura così segreta comporta due conseguenze. La prima è viene dimostrata ancora una volta la serietà del suo lavoro e la clamorosa competenza delle sue fonti. La seconda conseguenza è l’apertura di nuovi scenari per spiegare la vicenda di OP e del suo direttore.
Rimane però il fatto che una soluzione all’enigma Pecorelli non c’è ancora e proprio i mille rivoli della sua tragica vicenda umana rischiano di precludere una soluzione che faccia finalmente giustizia.
APOLOGIA
La nostra difesa di Pecorelli parte dal primo e più infamante luogo comune sul suo conto. Spesso il giornalista viene dipinto come un ricattatore che vendeva notizie per un tornaconto personale. Niente di più falso. Pecorelli morì relativamente povero, senza particolari ricchezze nascoste chissà dove. A riprova di ciò si sprecano le testimonianze dei suoi collaboratori e della coraggiosa sorella Rosita che descrivono un Pecorelli sempre indaffarato per trovare i fondi con cui pagare le tipografie e i suoi dipendenti. Sempre in affanno, tranne il pomeriggio del suo omicidio quando, parlando con la sorella, era sembrato contento per una notizia che lo “avrebbe reso ricco”. Quale fosse non lo sapremo mai. Forse Pecorelli si riferiva agli articoli sugli “assegni del Presidente” il cui contenuto non fu mai più recuperato. Nella già citata trasmissione di Augias, quest’ultimo disse che Pecorelli si sentiva burattinaio quando in realtà era un burattino di quegli uomini che fluttuavano misteriosamente nella cosiddetta “zona grigia”. Anche qui la verità sta da tutta un’altra parte e quasi si cade nella calunnia. Pecorelli era un uomo alla ricerca della realtà dei fatti. Tra i pochi che in quel periodo scavavano a fondo non avendo paura di ciò che potevano scoprire. Non era quindi né un burattino e men che meno un burattinaio. Un’altra accusa molto diffusa tra i detrattori del fondatore di OP è quella che lo etichetta come un’arma azionata da chi ne aveva bisogno nel momento che riteneva più opportuno. Questa vera e propria credenza deriva, come la sua fama di ricattatore, dal fatto che spesso Pecorelli barattava le notizie. Vero è che molte volte il giornalista molisano attaccava un personaggio, per poi fermarsi e ricominciare dopo un certo tempo. Ma ciò faceva parte del suo modus operandi. Un esempio sono gli articoli al vetriolo su Gelli, succeduti da una certa benevolenza che però durò brevemente per lasciare posto ad attacchi ancor più pesanti e diretti. Si diceva che Pecorelli fosse affetto da incontinentia pubblicandi, un latinismo abbastanza terribile ma che racchiude in sé l’anima del giornalista molisano: non poteva trattenersi dal pubblicare tutte le notizie che aveva. Rimane storicamente accettato che spesso Pecorelli scambiasse le notizie per altre, magari più interessanti. Tuttavia Pecorelli finiva per pubblicare tutto, facendo storcere molti nasi. Da sottolineare è anche la grandissima e affidabilissima rete di informatori che si era costruito il nativo di Sessano del Molise, in provincia di Isernia. Se da una parte è vero che personaggi come Miceli, attraverso La Bruna, lo utilizzavano come arma da usare contro avversari politici, è altrettanto vero che Pecorelli si era guadagnato la fiducia di personaggi di primo piano e di comprovata moralità come Dalla Chiesa e Varisco. Troppo raramente non viene prestata la dovuta attenzione alla mole di informazioni che Pecorelli raccolse. Informazioni che vennero messe insieme solo grazie a un instancabile lavoro personale del Pecorelli che si prodigò in ogni dove per ottenere succose esclusive con un solo obiettivo: la verità. La sua mente vivace arrivò ad interessarsi di tutti i misteri di un’Italia al centro di ogni tipo trama. Gli costò minacce, intimidazioni varie e un’auto bruciata come avvertimento ma non si fermò davanti a nulla. Inoltre il fondatore di OP fu anche il precursore di un tipo di giornalismo estremamente coraggioso, ben disposto a sporcarsi le mani per far emergere la verità dei fatti. La sua eredità venne raccolta soprattutto dai giornalisti dell’Espresso che continuarono alcune delle sue inchieste. Un’altra accusa mossa dai suoi innumerevoli detrattori è quello di aver praticato giornalismo pur non avendone le basi. Questo è vero, Pecorelli aveva una laurea in giurisprudenza e non aveva una vera e propria formazione giornalistica ma anticipò molte testate più blasonate in varie vicende. Ciò grazie alla sua impareggiabile rete di informatori. Ed era sicuramente più imparziale. Il Corriere della Sera, ad esempio, fu per tutti gli anni ’70 in orbita piduista e quindi perse inevitabilmente credibilità agli occhi di tutte le persone perbene. Il suo acume giornalistico diede vita a varie profezie che poi si rivelarono pienamente azzeccate. La più clamorosa fu quella che riguardava la sua stessa persona. Predisse infatti il suo omicidio dicendo ai lettori che, qualora gli fosse accaduto qualcosa, avrebbero subito capito chi ha armato la mano del suo assassino. Altra profezia è stata quella che riguardava Dalla Chiesa, suo informatore. Con lui Pecorelli ha avuto molteplici contatti. Il generale “Amen”, come era chiamato dal molisano, sarebbe stato suicidato perché sapeva troppi dettagli riguardo l’omicidio Moro. Infatti Dalla Chiesa, dopo aver piegato il terrorismo, venne letteralmente spedito in Sicilia. Circostanza che gli fece affermare amaramente “Mi mandano in una realtà come Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì”. Dalla Chiesa venne effettivamente ucciso abbandonato dallo Stato. Non fece nemmeno in tempo a dare il suo prezioso contributo contro la Mafia. Ciò rende strano il suo omicidio da parte di Cosa Nostra dato che non aveva fatto ancora fatto nulla contro quella organizzazione. Si avvera così la profezia di Pecorelli. Il rapporto tra i due ha aspetti inquietanti come ci viene narrato dal carabiniere Angelo Incandela. Quest’ultimo è stato il capo del carcere di Cuneo dove erano rinchiusi i brigatisti responsabili della morte di Moro. Incandela venne contattato da Dalla Chiesa che gli chiese di incontrarsi in tarda serata fuori dal suo carcere. Il carabiniere obbedì al suo superiore e a mezzanotte salì sull’autovettura del generale, prestando poca attenzione all’autista. Dalla Chiesa gli chiese di recuperare una registrazione, chiamata “salame”, che si trovava nelle fogne del carcere e che conteneva integralmente il memoriale di Moro. Incandela sembrò non capire così prese parola l’autista che, secondo la testimonianza del maresciallo di Cuneo, disse “Generale Amen, gli spiego io dove si trova” e iniziò una minuziosa spiegazione delle caratteristiche del luogo in cui si trovava quel documento così scottante. Incandela rimase perplesso ma capì che l’autista del generale era una di quelle persone che erano entrate nel carcere usando nomi fittizi. Ciò accadde prima che egli divenisse direttore del carcere ma, appena arrivato, notò subito questo strano particolare. Qualche tempo dopo, Incandela stava mangiando nel suo ufficio della prigione di Cuneo quando riconobbe l’autista di Dalla Chiesa, era il giornalista appena ucciso a Roma: Mino Pecorelli.
Per concludere, dopo la sua morte Pecorelli venne infangato in ogni modo: ricattatore, burattino e tutta una serie di epiteti poco gentili. Fu anche messo da parte dal mondo giornalistico che vedeva in lui un uomo troppo indipendente. Infatti, seppur di simpatie atlantiste, non risparmiava critiche agli USA così come attaccava frontalmente e senza risparmiarsi anche il PCI. Si mise contro tutti: DC, PCI, Servizi, P2, giornalisti e magistrati oltre all’eversione nera e agli imprenditori. Dal suo lato della barricata c’erano solo un manipolo di giovani collaboratori, la sorella, la piccola nipotina e la segretaria/compagna Franca Mangiavacca. Troppi i nemici da affrontare e da battere per far sì che ci fosse un lieto fine. E infatti non ci fu. Il primo scempio fu il simbolico sparo in bocca, lo “strumento degli infami” per la Mafia. Peccato che Pecorelli non lo fosse, anzi. Ma una nuova speranza c’è. Il recente procedimento giudiziario, la perseveranza della sorella Rosita e una nuova più attenta letteratura sul suo caso e sulla sua vita stanno togliendo la figura del giornalista di OP dal fango calunnioso in cui si era vergognosamente impantanata. Un giornalista coraggioso, capace con grande senso dell’intuito, troppo scomodo per essere lasciato libero di agire a briglie sciolte in un contesto piuttosto ingessato, conformista e ligio ai dettami del potere com’era il mondo della stampa italiana negli anni ’70. In quegli anni violenti e politicamente radicalizzati, quando un personaggio era troppo scomodo, veniva eliminato. E Pecorelli era scomodo a molte persone potenti, con legami dappertutto. Forse è anche per questa ragione che i due processi non hanno avuto alcun risultato e le indagini sono state lacunose in vari punti. Come disse Bertolt Brecht: “Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi”. L’Italia, di eroi, ne ha avuti, ne ha e ne avrà fin troppi. Forse Pecorelli non è uno di loro a pieno titolo ma il suo nome deve essere tolto dal fango così da restituirgli l’onore perduto.
FONTE: https://osservatorioglobalizzazione.it/progetto-italia/apologia-di-mino-pecorelli-un-gigante-del-giornalismo/
A Rende, in provincia di Cosenza, un docente di 33 anni si è dato fuoco
Federica Francesconi – 31 91 2022
Succede nell’Italia del governo dei “migliori”: a Rende, in provincia di Cosenza, un docente di 33 anni si è dato fuoco come forma estrema di protesta in seguito alla sospensione dal suo incarico per essersi rifiutato di sottostare al vile ricatto di farsi benedire con il veleno per topi delle multinazionali del farmaco.
Del gesto estremo esiste anche il video, ma non lo condivido per non urtare troppo la sensibilità dei benedetti, di quelli che nella loro miserevole vita tirano avanti con il mantra del “noi siamo a posto e voi no, gne gne gne”. Non sia mai che le loro coscienze narcotizzate dal perbenismo inoculato a forza di dosi possano improvvisamente risvegliarsi guardando le immagini scioccanti di un essere umano che si cosparge il corpo di benzina e poi si dà fuoco per finire in ospedale in condizioni gravi in prognosi riservata per le ustioni riportate.
Ma io sono convinta che neanche guardando dette immagini le loro coscienze, alcune in buonafede altre no, verrebbero scosse dalla loro drammaticità. Come non scossero il mondo sovietico all’epoca di Jan Palach, con la differenza che 50 anni fa l’Occidente fece finta di scandalizzarsi per la violazione dei diritti umani nell’Unione sovietica. Oggi, che è caduto ogni velo di ipocrisia, l’Occidente promuove la violazione dei diritti umani spacciandola per senso di responsabilità verso la comunità e per bene superiore collettivo. Sì, perché sospendere senza stipendio un docente è percepito dal gregge appecoronato ai diktat del “governo dei migliori” come un provvedimento buono e giusto. Il docente che si è dato fuoco diventa così il capro espiatorio su cui viene fatto ricadere tutto il male di cui soffre la comunità. Essa poi crede di potersene sbarazzare attraverso quello che assume i tratti di un vero e proprio rituale di magia nera. Nella sua ignoranza non sa che in questo modo il male che vorrebbe allontanare da sé si quintuplica. Questo è il pensiero delirante di cui soffrono buona parte degli italiani e nessuna evidenza che lo smentisca può farglielo rigettare.
Stando così le cose, gli italiani collaborazionisti si meritano l’aumento delle bollette, il rincaro dei carburanti, la chiusura e il fallimento delle loro attività e imprese, i figli disoccupati e i governi che li getteranno sul lastrico con sommo sadismo.
Solo nelle peggiori dittature i cittadini si danno fuoco per protestare. Ma voi continuate pure a credere di essere sotto il “governo dei migliori”. Lo diceva di sé anche la nomenklatura di partito ai tempi dell’Unione sovietica. Jan Palach si immolò come gesto di smascheramento di quella menzogna. La verità non può essere occultata per sempre e a voi, piccoli ometti impauriti, finirà con il trafiggervi con il suo potente raggio.
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10223516472957695&id=116526465
La libertà è diventata “deroga rilasciata per grazia del Potere”
INNESTO MORTALE
Uriel Crua
Si parla a gran voce delle “riaperture” negli altri Paesi Europei, in particolar modo di quelle in Danimarca dove la vita “è tornata a quella del 2019”. Ossia: niente lasciapassare, niente mascherelle. Niente di niente.
Ma facciamo attenzione a questo genere di proclami, perché in fondo si tratta sempre e soltanto di concessioni subordinate a un meccanismo di controllo di tipo sanitario. Il ragionamento è pressappoco il seguente: “visto che il patogeno è meno pericoloso, meno presente, non attacca i giovani etc, allora possiamo concedere una riapertura”.
Questo modus operandi è assai pericoloso perché connota una ormai consolidata accettazione del meccanismo di coercizione: apro quando lo dico io, e voi uscite dai recinti; chiudo se la Scienzah lo dice, e voi tornate nei recinti. L’innesto mentale è riuscitissimo, e nessuno se ne accorge ma anzi si plaude alla “civiltà” dei popoli del Nord [che pure in certi casi riuscirono persin peggiori di noi]
La vera vittoria invece sarebbe sì riaprire, ma scolpendo nella pietra – pena ergastolo per alto tradimento, se non altro – che MAI più vengano così fortemente compressi i diritti della cittadinanza al cospetto di una emergenza più o meno assodata. La vera vittoria sarebbe sì riaprire, ma perché si è riconosciuta nella gestione degli ultimi anni una metodologia dichiaratamente criminale che deve essere sancito non venga MAI più percorsa. Nemmeno pensata.
Ecco, questa sarebbe – come minimo – la via da intraprendere. Non sono “buoni” perché li fanno tornare in discoteca. Non sono “buoni” perché riconoscono che adesso il patogeno è meno pericoloso. Sono soltanto opportunisti che tentano di candeggiarsi il profilo pubblico, prima di tornare a bastonare il prossimo inverno.
Servirebbero almeno – come minimo – scuse pubbliche da parte dei mezzi di comunicazione, dei politicanti, delle forze dell’ordine. Dimissioni di massa e processi per alto tradimento .
Altrimenti è solo un altro giro di giostra per illusi.
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Da Repubblica:
Covid, Locatelli: “Obbligo di vaccino e Super Green Pass restino anche dopo il 30 giugno”
Il coordinatore del Cts chiede di prolungare le misure oltre la scadenza della legge attuale. “Avremo una primavera e un’estate tranquille, e non è detto che a ottobre la situazione tornerà critica. Il virus non se ne andrà, ma non ci ritroveremo in una situazione più difficile di quelle che abbiamo vissuto”
Locatelli ha interessi con Pfizer:
“Il Green Pass verrà mantenuto, e trasformato in patente etica, utilizzabile a discrimine dei potenti per lasciarci accedere, bontà loro, alle libertà di cui abbiamo diritto” (cit).
APPELLO CHE RIMARRÀ INASCOLTATO.
SE VOLETE SALVARE L’ECONOMIA E LA VOSTRA STESSA ATTIVITÀ:
Stanno distruggendo bla nostra economia sotto i nostri occhi e tanti, purtroppo, applaudono…
SENZA CAPIRE.
Pensate che non permettere a chi non sia in regola con il green-pass di entrare in posta o in banca, sia pensato per vessare i No-Vax?
No, cari!
E’ pensato per decimare i dipendenti delle poste, delle banche, dei servizi pubblici e per spostare tutto, il più possibile, online.
Pensate che l’obbligo di green-pass per i ristoranti e i bar sia pensato per vessare i No-Vax?
No, cari!
E’ pensato per far fallire 80.000 tra ristoranti, bar, palestre, centri estetici, parrucchieri e… da qui all’estate.
Pensate che il permettere l’acquisto di certi beni solo ai possessori di green-pass sia pensato per vessare i NO-Vax?
No, cari!
E’ pensato per spostare sempre più gli acquisti dai negozi fisici a piattaforme tipo Amazon e far fallire i negozi: la moneta scomparirà più velocemente e TUTTO sarà “controllato”
In breve, cari Italiani, questi DPCM non sono pensati per vessare i No-Vax, ma
per FREGARE TUTTI!
Volete salvare il posto di lavoro?
Non controllate i green pass a nessuno!
Un greenpass che non ha nessun fondamento sanitario visto che si è dimostrato che i vaccinati si contagiano quanto i non vaccinati.
NON DISCRIMINATE!
Fate entrare tutti negli uffici pubblici, nei ristoranti, nei locali!
Lasciate che chiunque acquisti tutto ciò che desidera!
Loro non hanno i mezzi per esercitare controlli capillari!
Schieratevi dalla parte degli Italiani.
Avete visto cosa ha fatto Speranza ai medici per “tachipirina e vigile attesa”?
Gli ha fatto fare il lavoro sporco e poi LI HA VENDUTI!
Volete fare la stessa fine dei medici… o vi accontentate delle “briciole”?
Aspettando risarcimenti, fallirete… Falliremo tutti!
Recuperate in fretta UMANITÀ e BUON SENSO.”
Gianluca Marletta
Una frase sospetta.
Da Agence France Presse:
Covid-19: l’Europa sta vivendo una tregua paragonabile a un “cessate il fuoco”, afferma l’OMS
La pandemia di coronavirus “non è finita” ma l’Europa sta vivendo una tregua paragonabile a un “cessate il fuoco”, ha stimato giovedì 3 febbraio l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), precisamente Hans Kluge, direttore dell’OMS per l’Europa, durante una conferenza stampa in linea.
I 53 paesi della regione stanno vivendo da diverse settimane un’esplosione nel numero di contaminazioni legate alla comparsa della variante Omicron. La situazione sanitaria è però considerata meno allarmante perché, anche se molto contagiosa, questa variante porta a forme meno gravi della malattia.
Nuove varianti “appariranno inevitabilmente” ma “è possibile rispondervi” senza riutilizzare “il tipo di misure dirompenti di cui avevamo bisogno prima”, stima Hans Kluge. Tuttavia, ha avvertito che la tregua sarebbe durata solo se le campagne di vaccinazione e il monitoraggio delle nuove varianti fossero continuate, mentre diversi paesi europei stavano allentando notevolmente le loro restrizioni sanitarie
Insomma: non v’illudete, ne arriverà una nuova. Continuate a vaccinarvi (con un “vaccino” che non raegisce a Omicron…) perché non è finita.
Il Financial Times già se lo domanda:
Dove e quando colpirà la prossima pandemia?
I funzionari sanitari sono in guardia, i fondi dei filantropi sono anche pronti, ma resta incerta la provenienza della prossima emergenza
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/la-liberta-e-deroga-rilasciata-per-grazie-del-potere/
“Oggi le sigarette, domani il vino e le mignotte: sono finiti”
«Se ora s’attaccano alle sigarette, e domani magari pure al vino e alle mignotte, vuol proprio dire che sono finiti». Sintesi perfetta, in idioma lucchese, firmata dal maestro Andrea Colombini, direttore d’orchestra. Con la sua infaticabile intelligenza e la sua verve sarcastica, Colombini dà voce all’anima della resistenza civile italiana di fronte al grottesco stritolamento delle libertà di tutti, inflitto (grazie anche a una buona dose di ottusità diffusa) con l’alibi della più grande “pandemia di asintomatici” della storia. Morale? Il governo dei pagliacci ora si appresta ad allestire l’apartheid del Tso anche per banche, sportelli pubblici, uffici postali e negozi, incluse le tabaccherie. Scelta davvero illuminata e strategica, per far perdere la pazienza ai santi: come se un genio del male si divertisse a mostrare l’infinita idiozia dei provvedimenti, inutilmente cattivi, improntati alla vessazione e alla persecuzione. Un po’ come quando i nazisti, ormai consapevoli di essere sconfitti – dice il musicista toscano – si ridussero a procurare il maggior danno possibile, per rabbia, di fronte a un destino ormai segnato.
Il furore più grande – sottolinea ancora Colombini, in web-streaming con Riccardo Rocchesso (giornalista, animatore di “100 Giorni da Leoni”) – deriva dalla prova di forza messa in atto da milioni di italiani: pur radicalmente contrari alle misure criminal-demenziali della “democratura” chiamata Draghistan, hanno accuratamente evitato di abboccare all’amo della violenza. «State fermi», ha incessantemente raccomandato l’alchimista Michele Giovagnoli, altro mattatore delle piazze, sodale di Colombini. Agli ultimi decreti-vergogna, la communiy di Giovagnoli (“Essere Solare”) risponde così: affiggendo un cuore sulle vetrine dei negozi, per invitare i clienti a entrare comunque. Si chiama disobbedienza civile: ne è stata campionessa Rosanna Spatari, titolare della Torteria di Chivasso (Torino). Assistita dall’avvocato Alessandro Fusillo, ha lottato come una leonessa per tenere aperto il suo bar. Alla fine, la Corte di Cassazione le ha dato ragione. Ed è solo un esempio, il suo, di questa nuova “Italia che resiste”, come un tempo cantava l’oggi silente De Gregori, sordomuto come tantissimi suoi illustri colleghi.
Storie che esemplificano – per i non addetti – la nozione scientifica di “speciazione”: una parte dell’umanità si separa dal “volgo disperso che nome non ha”, per tracciare una nuova traiettoria evolutiva. Esempio: alle ultime elezioni amministrative, lo scorso ottobre ha votato solo un italiano su due. E nelle grandi città, ai ballottaggi, ha raggiunto le urne appena un elettore su tre. Oggi, come ricorda Andrea Colombini, pare che il problema numero uno del paese sia l’identità del successore di Mattarella. Partiti e giornali non parlano d’altro. Peccato che i partiti facciano ridere la maggioranza dei cittadini, e che i giornali non li legga più nessuno. C’è qualcosa di addirittura empio, forse, nel voler comunque celebrare il rituale democratico del Colle, come se fossimo ancora in un regime pienamente democratico, in tempo di pace. Vivono, lorsignori, in un mondo parallelo? Pensano davvero che importi a qualcuno, se al Quirinale salirà l’ometto che – dopo aver chiuso i bancomat della Grecia – ora si appresta a blindare anche le tabaccherie italiane?
Lo stesso Colombini, inveterato toscanaccio sempre incline al vernacolo, fa i conti in tasca ai galantuomini tuttora sul ponte di comando. E’ semplice, dice: hanno perso. Presto non controlleranno più il paese, e lo sanno: gli italiani faranno di testa loro, come sempre (“fatta la legge, trovato l’inganno”). Dicono che alla manifestazione di Roma il 15 gennaio c’erano poche migliaia di persone? Ridicolo, erano almeno 350.000. Continuano a mentire? Sì: pare non sappiano fare altro. Ma chi li sta più ad ascoltare? Sempre meno persone. Che fai, imponi il mitico tampone anche a chi ha subito tre dosi di siero magico? E allora, dice Colombini, poi non ti devi stupire se milioni di italiani, quella famosa terza dose, non la faranno mai. E quindi come ti regoli, li chiudi tutti in casa? Auguri. Già oggi, bar e ristoranti hanno dimezzato i clienti. E il settore turistico alberghiero (dell’Italia, notare) sconta perdite catastrofiche: all’appello manca l’80% del volume d’affari. La scuola? Nel caos: decine di migliaia di insegnanti in quarantena, benché sottoposti all’inoculo sperimentale mRna.
Bella, la storia del siero magico. Non immunizza nessuno, ma ora viene imposto come Tso. E nel frattempo – storia ancora più bella – si continua a far finta che le normali cure non esistano: è l’unico sistema, per sperare di vedere ancora qualche ricovero. Per il Tar del Lazio, il protocollo-Speranza (Tachipirina e vigile attesa) è autolesionistico: è da pazzi impedire ai medici di curare i pazienti, usando i farmaci adatti in tempi ragionevoli. La sentenza è stata appena sospesa: ma per quanto, ancora, la verità potrà essere tenuta sotto il tappeto? Colombini cita il profeta supremo della sciagura mondiale, sua maestà Bill Gates. In tono più che dimesso, ha capitolato: abbiamo fallito, ha ammesso. La maggior parte della popolazione del pianeta non si è sottoposta ai nostri sieri e ritiene sia in opera un grande complotto. E vorrei vedere, chiosa Colombini: proprio Bill Gates aveva auspicato un bel taglio demografico, a nostre spese, in termini di “depopolamento”.
In altre parole, il Grande Reset sarebbe abortito. C’è rimasto sotto solo l’Occidente, e neppure tutto. La stampa inglese ha appena dato risonanza all’ultima sortita ufficiale dell’Oms: i sieri genici C-19 non sono più necessari. Molti paesi europei – Spagna in testa – hanno voltato pagina. Solo Austria e Francia paiono voler seguire l’esempio italiano: il peggiore. Ma sembrano in preda, ormai, a una quasi-disperazione. Un’altra fetta di verità arriva, a valanga, dallo Spallanzani di Roma, che ha analizzato i dati di San Marino: il vaccino russo Sputnik (vaccino vero, in quel caso) funziona molto meglio dei sieri genici in circolazione da noi – e, tra parentesi, non risulta che crei problemi all’organismo. Alla fine del suo cupo regime, il dittatore rumeno Nicolae Ceaucescu lasciò il palazzo presidenziale scappando via con l’elicottero per sfuggire all’assedio popolare. Raccomanda Colombini: noi invece continuiamo così, stiamo fermi e rinunciamo al Green Pass. Semmai, ridiamogli in faccia. E’ quello che si meritano. «Oggi le sigarette, domani il vino e le mignotte: sono finiti». E buon Quirinale a tutti.
(Giorgio Cattaneo, 21 gennaio 2022).
FONTE: https://www.libreidee.org/2022/01/oggi-le-sigarette-domani-il-vino-e-le-mignotte-sono-finiti/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
BERGOGLIO A SAN REMO
Impubblicabili 06.02.22 – Bruno Sacchini
Per fotografare la situazione economica del paese, ad onta del trionfalismo Drighignesco sfoggiato da tutti i giornali pagati solo per questo, bastano due dati: da una parte una crescita del pil del 6,5 per cento (inferiore in Europa solo alla Francia), dall’altra 300.000 imprese piccole e/o familiari che hanno chiuso i battenti o sono fallite.
Per cui non è più vero il detto degli economisti che “A rising tide lifts all boats”: ci sono barche che dal punto di vista del fatturato salgono alle stelle (i grandi conglomerati imprenditoriali o finanziari alla Bezos e Bill Gates) e le botteghe di vicinato che, non potendo competere con Amazon, chiudono.
Gettando sul lastrico decine o centinaia di migliaia di famiglie che da un giorno all’altro non hanno più niente da mettere sotto i denti.
Le due cose sono funzionali l’una all’altra e non è vero che la crescita è sempre a pelle di leopardo per cui basta aspettare e tutto si sistema.
Perché tutto si sistema se c’è uno Stato che, facendo perno sulla Banca Centrale pronta a investire a deficit dove c’è bisogno, taglia le disuguaglianze e impedisce il ritorno d’un sistema feudale in cui ci sono da una parte i super ricchi e dall’altra milioni di individui costretti a vivere di assistenzialismo (quando c’è) o morire.
Donde la scomparsa di quel ceto medio che da sempre (dalla nascita della democrazia nel Nord America del ‘700, vedi Alexis de Toqueville) favorisce l’esistenza di partiti moderati senza dei quali la democrazia muore.
Partiti che in Italia non esistono più, come si evince dallo sfascio di forze politiche che hanno portato a un Mattarella bis prodromico d’un presidenzialismo o d’una oligarchia di fatto che ribadisce ulteriormente lo status di colonia del nostro paese.
A dimostrazione dell’idiozia di tutti quei politici che, sognando una formazione di centro impossibile a realizzarsi oggi che il ceto medio sta scomparendo, fa intendere che le nostre èlites politiche e intellettuali vivono in un mondo a parte, che nulla sa e capisce delle sofferenze della gente comune.
Che fare dunque?
Nulla, assolutamente nulla perché questo sistema, nel quale sembra follia anche solo pensare a Sovranità Monetaria e Italexit, non è riformabile fino a quando non crollerà su se stesso e a quel punto, solo a quel punto, sarà possibile ricominciare.
Dalle macerie però.
Intanto, per chi crede, occorre pregare.
Vista anche la presenza d’un pontefice Amerindo che, invece di prestare orecchio alle sofferenze nostre e non solo dei migranti, va a farsi mondanamente intervistare in RAI da Fabio Fazio.
Magari per ribadire, come proclamato a suo tempo dal presentatore a due milioni di Euro (nostri) all’anno, che se non ci sono abbastanza vaccini la colpa è di chi non paga le tasse, col Papa subito a fargli eco.
A quando la sua partecipazione a San Remo?
FONTE: https://www.facebook.com/100007822153136/posts/3065411070396268/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Quando il ridicolo supera ogni immaginazione
Paolo Franceschetti – 13 01 2022
Un indigeno dell’amazzonia, definito eroe dal quotidiano Repubblica, porta in spalla il padre per 6 ore (ma su Huffington post le ore diventano 12) per farlo vaccinare contro il covid.
Tra l’altro, nell’articolo si precisa che il padre aveva contratto il covid, ed è risaputo che se hai già contratto la malattia il vaccino non solo è inutile ma addirittura dannoso.
Credo che la notizia sia inventata, prima di tutto perché gli indigeni sono in genere dotati di poteri psichici naturali e le cazzate le fiutano a intuito, ma soprattutto perché se il villaggio era lontano dalla civiltà, chi ha scattato la foto mentre questo novello Enea trasportava il padre a farsi un vaccino utile quanto un buco di culo supplementare in fronte?
Da quando ho saputo che siamo andati a vaccinare la popolazione del kiribati (un atollo del pacifico i cui abitanti erano noti per non conoscere l`influenza) non mi meraviglio più di nulla. Ma questa notizia supera ogni limite precedente al ridicolo.
Da notare che la foto dell’indigeno in questione compare pure su un articolo del 2015. Quindi è palesemente falsa.
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10227798314614081&id=1555907506
BELPAESE DA SALVARE
Roberto Saviano non è né Pier Paolo Pasolini né Leonardo Sciascia
Sandra Figliuolo 04 02 2022
Se fosse realmente un intellettuale e se fosse realmente scomodo non sarebbe stato tra i “superospiti” del programma ormai più mainstream in assoluto, per giunta della Rai, il festival di Sanremo. Nessuno l’avrebbe invitato per non turbare la gioiosa serata degli italiani.
Purtroppo per lui (e anche per noi), Roberto Saviano non è né Pier Paolo Pasolini né Leonardo Sciascia, non stimola alcun dibattito, se non le facili polarizzazioni da social. È un predicatore di banalità semplificate per un pubblico sedato dalle idiozie, che può diventare maître à penser soltanto in un contesto in cui la “Ragione” si esprime per tweet e slogan.
La memoria è una cosa serissima perché è la base di un popolo realmente democratico che conosce la sua storia e può dunque migliorarla, evitare di cadere in facili trappole politiche, che agisce con la testa e non con la pancia.
L’Italia è un Paese che non ha mai realmente fatto i conti col suo passato recente, soprattutto perché ha una storia fatta di buchi neri: non sa la verità sulle stragi per esempio. Non solo quella di via D’Amelio, ma su tutte quelle che, andando a ritroso, arrivano almeno fino a Portella della Ginestra.
Saviano, che non è Pasolini, non sa, figurarsi avere le prove. Ci dice dal palco dell’Ariston che ci vuole coraggio, che chi si gira dall’altra parte è colluso. Elementare, Watson. I vuoti, i buchi neri, le verità negate, i depistaggi, l’antimafia di facciata, i processi per far carriera? Non contano, non ne parla, Saviano, anche se sono proprio queste cose ad impedire al Paese di ricordare realmente.
Fa alzare tutto il teatro per ricordare Falcone e Borsellino, Saviano. Bello. Dà quel tono engagé alla kermesse dell’ovvietà. Peccato che, in questa ipocrisia pornografica, non serva assolutamente a nulla: ci laviamo due secondi la coscienza – da bravi cattolici davanti al confessore – e poi chi se ne fotte. Grazie a uomini come Falcone e Borsellino (e a tantissimi di cui ricordano il nome solo i loro poveri parenti) è cambiata la nostra storia. Ma loro sono “eroi” irraggiungibili, noi poveri mediocri, ci assolviamo e passiamo col rosso, paghiamo il posteggiatore, ci facciamo raccomandare (mica siamo fessi), ci facciamo i cazzi nostri (mica siamo pazzi: le sfide le lasciamo agli “eroi”).
C’è chi dice che l’importante è che se ne parli, come se i fatti terribili che hanno devastato questo Paese fossero prodotti da pubblicizzare, applicando alla memoria quindi becere logiche di marketing.
Se ne deve parlare certo, ma nei contesti giusti, non tra un balletto e uno sketch, non mentre una decina di deficienti vengono santificati come artisti, per giunta rivoluzionari. E soprattutto ne deve parlare chi ha qualcosa da dire e da raccontare, non certe icone dell’impostura costruite a tavolino.
Saviano condurrà a breve un nuovo programma in Rai, ma naturalmente non c’entra nulla con la sua predica di ieri sera, per la quale – ha tenuto a precisarlo – non ha percepito alcun compenso. Predica che non è servita assolutamente a nulla: oggi si parla di Drusilla e di altri anticonformisti per famiglie piccolo borghesi, oggi si parla di Iva Zanicchi, non della sua canzone, figuriamoci (io potrei scrivere un trattato sulla sua pausa tra “Prendi questa mano” e “zingara” nell’edizione del 1969, quando non ero neppure nata). Oggi non si parla di mafia, di memoria, di depistaggi. Oggi si continua a blaterare, esattamente come ieri e l’altro ieri e il giorno prima ancora. Oggi si continua a non ricordare e a non capire
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10228581964600719&id=1432247591
“Green pass per tutta l’estate”: il governo insiste, ecco cosa ci aspetta nei prossimi mesi
Green pass a oltranza, per tutta l’estate almeno. E frenata sulle discoteche, che possono rivelarsi “molto insidiose” se non si riesce a garantire un rispetto rigoroso dell’obbligo di certificato rafforzato per entrare. Questo l’appello lanciato attraverso le pagine del Messaggero da Walter Ricciardi, docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e consulente del ministro della Salute Roberto Speranza: “La prossima primavera avremo una notevole diminuzione dei casi positivi, ma dobbiamo continuare a essere prudenti”.
Ricciardi ha recentemente pubblicato il libro “Pandemonio” (editore Laterza) in cui ha ripercorso le tappe dell’emergenza Covid sottolineando gli errori commessi nei primi giorni della pandemia: “Allora non ero ancora consulente del ministero. Fu sbagliato bloccare i voli diretti dalla Cina, perché in questo modo in molti arrivavano da quella parte del mondo con le triangolazioni, senza che li potessimo tracciare. Solo Burioni e io dicemmo che era necessario imporre la quarantena a chi proveniva dall’area del contagio: non fummo ascoltati. La Lombardia ha pagato una sanità sì eccezionale sul fronte ospedaliero, ma poco presente sul territorio. E infatti all’inizio l’epidemia si è diffusa soprattutto nelle strutture ospedaliere”.
Nonostante i numeri attuali facciano ben sperare, con gli italiani che invocano da tempo un allentamento nelle restrizioni, Ricciardi ha però predicato calma: “Siamo in una nuova fase della pandemia, come ha detto Draghi. Non penso però che sia ancora il momento di riaprire le discoteche. O meglio: posso condividere questa scelta solo se si garantisce il rigoroso rispetto del protocollo sanitario, a partire dall’uso del Green pass rafforzato e il distanziamento. Ma temo che in una discoteca questo sia impossibile. Così può diventare un luogo di diffusione del virus”.
Il Green pass, invece, andrà “mantenuto per tutta l’estate. Non possiamo fare a meno delle regole della certificazione verde, altrimenti rischiamo una risalita. Questo sarà l’anno decisivo, possiamo uscirne, ma serve ancora prudenza”. Dello stesso parere il coordinatore del Cts Franco Locatelli, che a Repubblica aveva insistito sull’utilità di Green pass e obbligo vaccinale per gli over 50. C’è il rischio, insomma, di doversi rassegnare ad altri mesi di ingiustizie e discriminazioni gratuite a danno di una parte della popolazione, quella che non ha ancora ceduto al ricatto dei vaccini e viene per questo perseguitata come le streghe nel Medioevo.
FONTE: https://www.ilparagone.it/attualita/green-pass-per-tutta-lestate-il-governo-insiste-ecco-cosa-ci-aspetta-nei-prossimi-mesi/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Gli esperimenti letali del Pentagono in Georgia e Ucraina
Da documenti pubblicati dalla giornalista bulgara Dilyana Gaitandshieva emerge la partecipazione di mille soldati georgiani e 4.400 soldati ucraini a esperimenti biologici del Pentagono, condotti dal Richard Lugar Center for Public Health Research (Georgia).
Venivano testate le capacità di resistenza dei soldati a malattie come l’antrace e la salmonella.
Uno dei documenti pubblicati prescrive che la morte di una cavia umana debba essere segnalata entro 24 ore all’Istituto di ricerca dell’esercito USA sulle malattie infettive (U.S. Army Medical Research Institute of Infectious Diseases – USAMRIID).
Evidentemente i soldati georgiani e ucraini sono stati esposti a rischio di morte senza esserne informati.
«Documents expose US biological experiments on allied soldiers in Ukraine and Georgia», Dilyana Gaytandzhieva, Dilyana.bg, January 24, 2022.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article215502.html
Josep Borrell organizza l’assedio del Donbass e della Transnistria
A inizio gennaio l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica della sicurezza, Josep Borrell, si è recato con discrezione in Ucraina.
Ha raggiunto la linea di fronte del Donbass e si è intrattenuto con i funzionari della Missione d’assistenza dell’Unione Europea alle frontiere della Moldavia e dell’Ucraina (European Union Border Assistance Mission to Moldova and Ukraine – EUBAM) per mettere in atto il blocco economico della Transnistria.
Ufficialmente la UE è una potenza pacifica. Di fatto prepara gli scenari di guerra per la NATO.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article215265.html
CULTURA
ANNIENTARE (LA TRAMA E LA CRITICA?): NOTE SULL’ULTIMO ROMANZO DI MICHEL HOUELLEBECQ
di Gilda Policastro
[Dopo quella di Pellini, pubblichiamo la recensione di Gilda Policastro ad Annientare, ultimo romanzo di Michel Houellebecq].
In un’intervista recente a Radio Tre Daniele Giglioli ha dichiarato di non leggere più Houellebecq: era interessante agli esordi, ma non ha mantenuto le promesse (sintetizzo il pensiero del critico, che mi correggerà, ove il relata refero risultasse infedele o impreciso). Il giudizio non valeva tanto come una diminutio dello scrittore, quanto del ruolo del critico: chi lo aveva osannato a inizio carriera, Houellebecq, ha preso un granchio, perché poi “ha avuto una flessione spaventosa, si fa fatica a finire i suoi libri”. Al di là del giudizio del singolo critico, indubbiamente legittimo, c’è da domandarsi se sia davvero possibile che uno scrittore tradisca le premesse. Ammesso che la direzione intrapresa a un certo punto vada un po’ lontano rispetto agli esordi (di trent’anni prima, oltretutto), lo scrittore smette di essere tale, e, addirittura, si merita il silenzio della critica? Magari ci guadagna dei lettori, che è quello che davvero importa a chi scrive, ma il critico non è a sua volta un lettore? Dovrebbe, anzi, essere il primo lettore di uno scrittore, il suo interprete autorizzato (dalle competenze, dalle letture a tutto campo, dalla conoscenza dell’opera, appunto, e non del singolo libro, pescato randomicamente tra le migliaia che propone ogni anno il mercato di massa). Quindi il problema che si pone è se perda di più un autore a non essere letto da un critico, magari precocemente o avventatamente entusiasta, o il critico, rifiutandosi di seguirne il percorso. “Chi nasce tondo non può morire quadro”, dicevano le nonne. Quindi se Houellebecq meritava ai suoi esordi, non vedo perché smettere tout court di leggerlo. Prendiamo un esempio nostrano: Luigi Malerba, che parte altissimo nei primi anni Sessanta con i racconti de La scoperta dell’alfabeto e poi prosegue svettando con Serpente e Salto mortale. Negli ultimi anni (più o meno dal Fuoco greco in poi, ovvero dai Novanta e dunque a un trentennio dagli esordi, a sua volta) Malerba aveva orientato la sua produzione verso una narrativa più affabile, con più “trama” e meno volute gnoseologiche e linguistiche. Avrebbe fatto meglio a fermarsi quando era giovane e sperimentale? Non avrebbe dovuto tradire la consegna dell’innovazione della forma e della lingua, piegandosi alle ragioni del consumo di massa? E, ove fosse, abbiamo smesso di leggerlo, o, peggio, di considerarlo uno scrittore, per questa ragione?
Lascio l’interrogativo irrisolto, per entrare più nel merito. L’ultimo libro di Houellebecq, Annientare, uscito in contemporanea in Francia e in Italia, è stato molto recensito, ma non mi è capitato, in effetti, di leggere recensioni in senso stretto critiche, cioè scritte da un critico-critico, come lo sarebbe stata, per l’appunto, quella di Giglioli. Come mai? È davvero un autore solo pop, Houellebecq? Tanto da meritarsi un pezzo autocentrato come quello di Paolo Di Paolo sull’ “Espresso”, che viola sin dall’incipit l’interdetto della stagione aurea della critica, ovvero la recensione con l’io:
Le due volte che ho visto da vicino Michel Houellebecq non sapevo bene che cosa dire, che cosa dirgli. La seconda mi sono limitato a osservarlo a poca distanza – stretto in una giacca a vento scura, in una giornata tiepida, sorseggiava un caffè lungo stringendo la tazza fra le mani.
E si merita, il “mainstream” Houellebecq, anche (o solo) i lettori di Amazon, che oscillano senza sfumature dalla noia manifesta al credito incondizionato, ma, soprattutto, hanno preso assai male la sovrabbondanza di sogni nel testo (cito da alcuni pareri, così come sono riportati nel sito dei lettori-consumatori per antonomasia):
descrizione dei sogni del protagonista una noia mortale
I sogni che lagna
Si pensi ai sogni maldestri del protagonista
Annientare, perciò. Quel che se ne dice più spesso, nelle recensioni a stampa e nei siti (che si equivalgono, per qualità e profondità, e anzi, i siti sono spesso superiori alla carta, com’è ormai evidente a chi non sia in conflitto d’interessi: penso alla recensione di Valentina Sturli su “La balena bianca”, tra le prime ad uscire e tra le migliori lette finora), quel che se ne dice più spesso, dunque, è che l’autore “si è perso la trama per strada”. Ma anche che “è diventato buono, più umano”. Massimo Onofri sull’”Avvenire” individua questo tratto soprattutto nella vicenda amorosa (e nel sesso coniugale), che segnerebbe un ricongiungimento alla polarità positiva dell’esistenza, perché (cito a memoria) il romanzo non può presentarci solo il lato oscuro della vita (why not? Rileggere Siti, Contro l’impegno, a proposito del male in letteratura: non un vezzo ma un grimaldello conoscitivo). Scrollo tutte queste recensioni e mi chiedo se non abbia letto tutto un altro libro, o come si dice popolarmente, se non mi sono fatta un altro film. Che cosa ho letto? Propongo qui delle note aperte a un dibattito: non un saggio, non una recensione idiosincratica, non la mia esperienza con l’autore (anche perché non so che giacca a vento usi Houellebecq, non l’ho mai visto).
Il romanzo è molto lungo, ma, come ripetono su Amazon, è “scorrevole”, si legge in pochi giorni (due o tre, garantisce la bookgrammer Francesca Romana Capone). Si presenta come una spy story o un thriller vero e proprio, che si apre curiosamente (ma a dire il vero non troppo, per il genere) con un personaggio secondario, Bastien Doutremont, in forza ai servizi segreti. La Francia è minacciata da un gruppo di anonimi terroristi-hacker che fa girare in rete dei video minacciosi e truculenti. Uno di questi rappresenta la decapitazione di Bruno Juge, ministro dell’Economia e delle Finanze, il deuteragonista della vicenda, specie dal momento in cui diviene una sorta di candidato ombra alle imminenti presidenziali. Paul Raison, il protagonista, lo conosciamo a seguire come assistente di Bruno, o meglio suo “confidente”. Sappiamo subito che proprio come Bruno è in crisi con la moglie, Prudence, e che i due vivono da separati in casa. Al momento dell’ictus del padre Édouard, personaggio di spicco dei servizi segreti, conosciamo il resto della famiglia di Paul: la sorella Cécile, cattolica e di destra come il marito Hervé, notaio disoccupato. L’altro fratello, Aurélien, restauratore (come la madre morta: siamo in una famiglia in cui i figli non hanno paura di somigliare ai referenti genitoriali), con la moglie e “domina” Indy, una giornalista in carriera ma senza carriera, che ha avuto un figlio con l’inseminazione artificiale nonostante il marito non fosse sterile (per colmo di sadismo, scegliendo un donatore nero). Durante il ricovero di Édouard, che rimane in coma e finisce in stato vegetativo, ne conosciamo la devota compagna Madeleine, la donna badante con cui i vecchi delle società occidentali sono destinati a terminare i loro giorni, se non li si parcheggia in case di cura come nel romanzo non avviene (ed è forse l’episodio più umanista e romantico di tutto il libro, il ratto del padre dall’RSA). E poi Maryse, l’infermiera del Benin, complice del rapimento rocambolesco che riporterà Édouard a casa. Con lei il più debole e sfortunato dei fratelli Raison inizierà una relazione, interrotta tragicamente (qui evitiamo lo spoiler, pur non credendoci troppo, che davvero possa “rovinare” il piacere della lettura, nel caso di specie). La trama, va detto, si nutre soprattutto di coincidenze: tra le carte appartenute al padre Paul ritroverà degli elementi utili a decifrare la provenienza dei messaggi dei terroristi, tra satanismo cyborg e new-age. Ancora: la sera in cui decide di mettere alla prova la propria residuale virilità nell’auspicio di una ripresa della vita sessuale con Prudence, a cui pian piano si sta riavvicinando, l’escort a cui Paul si affida per un lavoro di bocca (alla Orazio) si rivela essere sua nipote, la figlia di Cécile che raggranella così il capitale necessario a intraprendere la carriera universitaria. E no, non sono d’accordo con Onofri: il sesso, elemento sempre decisivo nella narrativa houllebecqiana (sin dagli esordi benedetti dalla critica), ha qui dei tratti meno consolatori che funzionali: serve a restare in connessione materica quando la vita sta per diventare assenza di noi dalle cose, cioè quando la diagnosi (elemento cruciale del libro, non solo dell’intreccio) fa suonare l’allarme della fine. Una delle pagine migliori resta quella in cui il protagonista esamina in elenco non tanto le cose che perderà morendo, ma tutto quello che nel mondo continuerà a essere senza di lui (meno elegia e più “filosofia dolorosa ma vera”, avrebbe detto il tale). Del tutto anticlimatica e non all’altezza di chiudere cotanto libro è probabilmente l’ultima pagina, ma sorvoliamo sulla reincarnazione e il dialogo tra coniugi in cui Prudence dice a Paul di non essere afflitta per l’imminenza della sua morte perché sa che presto si ricongiungeranno. E domandiamoci, a libro chiuso, che cos’è Annientare? Risposta provvisoria, da confrontare alle vostre: una meditazione sulla vita, perciò anche sulla malattia e l’imminenza della morte. E la spy story? Se si è persa, è per un’ottima causa (che val bene una trama, secondo me), ovvero per completare il racconto di come la vita smetta di essere tale da un giorno all’altro e tutte le occupazioni, gli affari, gli intrighi politici, le beghe familiari, le defaillance sentimentali e sessuali cessino di essere materia, argomento, centralità. Ma, attenzione: sbaglia anche chi dice che il libro poteva cominciare direttamente a p. 600 (perché su questo sembrano tutti d’accordo: le pagine migliori sono le ultime 200). E no, non poteva. Perché questa meditazione esistenziale profonda (tanto più quanto vuol apparire superficiale, facendosi beffa di Epicuro o di Pascal, animali guida della formazione scolastica di ogni buon liceale), necessita di un’ampia premessa che quella vita nella sua insensatezza la mostri (e un po’ anche la dica, nelle parti sociologiche e meglio ancora etologiche). Houellebecq è convinto (giustamente) che ciascuno sia solo, con la propria morte. E un’anticipazione di questa solitudine è la difficoltà relazionale, di tutti i rapporti, senza esclusione. In una delle serate per l’appunto solitarie che precedono il (transeunte) ricongiungimento coniugale, Paul guarda un documentario sulla migale, significativamente la sera di un importante incontro politico:
“[…] un documentario dedicato ai nac, i nuovi animali da compagnia, che si soffermava in particolare sul caso della migale. Grosso ragno delle regioni calde, provvisto di un potente veleno, la migale non sopporta la compagnia di nessun altro animale, attacca sistematicamente qualsiasi creatura vivente introdotta nella sua gabbia, comprese le altre migale, compreso il suo proprietario, e continua ad attaccarlo perfino quando la nutre da anni, qualsiasi sentimento di attaccamento le rimane per sempre estraneo. In sintesi, come concludeva il commentatore del documentario, la migale “non ama gli esseri viventi”.
Questo disamore è lo stesso della natura nei confronti delle sue creature? Perché si arrivi a una conclusione (leopardiana, dunque estrema, senza speranza) è necessario anzi indispensabile dar conto dell’altra polarità: il tentativo della relazione, della pienezza, dell’incontro. Perché ci si arrivi, dunque, alla conclusione (che non è quella finto new-age della possibilità di reincarnarsi, ma la consegna della diagnosi, a un uomo qualunque, in un giorno qualunque), occorre che si sviscerino per bene tutte le ininfluenti premesse alla dissoluzione (o annientamento), i giri a vuoto (il “disordinare in mille cose”, avrebbe detto ancora Giacomino). Annientare è dunque anche paratestuale, alludendo al modo in cui la trama smette di essere importante, nel romanzo ipermoderno, di fronte alla casualità con cui la vita, al suo plateau, ci consegna fatalmente il conto. Fine della chiacchiera, nemmeno il tempo di ordinare il dolce, o un digestivo. Un Houellebecq certamente atteso, che prosegue il suo percorso nichilista insistendo, qui, sull’aberrazione del procreare (inevitabile il riferimento al “gene egoista”). Ma non ingannino i toni introspettivi (più che quelli caustico-cinici cui l’autore ci aveva abituati). Non ingannino i sogni, di cui il testo è punteggiato, in spregio alle attese del lettore Amazon: non sono sogni romantici o residui diurni, come nella tradizione romantica o psicanalitica. Sono incubi, come i video dei potenziali attentatori, non hanno un marcatore di soglia all’incipit, ma sono troncati da un segnale d’allarme esterno: la suoneria di un cellulare, il richiamo-epitome della realtà nel contemporaneo. La vita è azione, pungolo, trillo. Sogni e video sono invece il materiale di costruzione della realtà potenziale (virtuale, aumentata, metaverso o come la vogliamo chiamare) che è però una realtà ancora relazionale: esattamente quella che ci viene restituita dal plot, complicato fino all’impossibilità (o meglio all’indifferenza) nei confronti di un possibile scioglimento. Del resto, siamo nel 2027: non abbastanza lontani da non poterci riconoscere, ma in un futuro che non ci appartiene ancora del tutto (e il biennio passato ci ha insegnato quanto poco basti a cambiare il corso degli eventi in una realtà interconnessa: otto polmoniti anomale in Cina nel novembre del 2019 e a febbraio del 2020 si fermava il mondo). Ma che cosa ci importa, di chi fossero i terroristi e quale ne fosse lo scopo, se c’è una cosa più essenziale da dire e da mostrare? La riduzione dell’umano alla macchina biologica, al suo malfunzionamento, e crac. Con la constatazione forse ovvia ma non meno angosciastica dell’impermanenza, e soprattutto del fulmineo rivolgimento degli eventi nel loro contrario. Un riavvicinamento sentimentale che diventa premessa della fine: sarebbe questo, il sogno d’amore che corregge il nichilismo? In quale libro? Non in Annientare.
E dunque, la trama che non chiude è propriamente il pregio del libro: mollarla è il vero colpo di genio di un autore di razza, che il critico, rifiutandosi di leggere (perché scorrevole, troppo plot, troppo pop) si perde, his bad. I mille rivoli che apparentemente tutti si tengono, con le coincidenze e le interconnesioni (a volte plausibili a volte meno ma poco importa), tra spionaggio, famiglia, politica, economia, fecondazione artificiale, immigrazione, crisi di coppia, prostituzione giovanile, si rivelano tutti allo stesso modo inessenziali, fragili, inconsistenti, a petto del vero choc: il giorno in cui l’uomo senza particolari meriti e qualità, ma anche senza particolari mende o colpe, riceve, nello studio di un dentista, una diagnosi fatale. Il resto (la vita?) è mera attesa della morte, senza scene madri, e anzi è una scena abortita anche quella col padre, cui un autore lacrimoso e pop avrebbe minimo minimo consegnato una morale: entrambi malati terminali, i due si limitano a guardare i movimenti delle foglie (l’”animazione delle piante” che nella miglior poesia del Novecento è presagio di morte ma anche segnacolo di sopravvivenze mnestiche). Sono in attesa, stando a Prudence, di tornare, di quel mondo, a essere parte viva. O, quel che è più documentabile, finitudine e corpo morto, secondo la “nuova” versione, non saprei dire se davvero “più buona” dell’autore più cattivo della letteratura contemporanea.
FONTE: https://www.leparoleelecose.it/?p=43361
L’educazione del futuro: i sette saperi di Edgar Morin
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Il Mediterraneo, destino d’Italia – La via marittima dell’interesse nazionale
aAmdrea Muratore – 12 03 2021 RILETTURA
L’Italia negli scorsi anni ha avuto difficoltà a mettere a sistema i complessi interessi che vincolano la sua azione di politica estera al teatro mediterraneo. Come da più parti ricordato[3] gli ultimi decenni hanno visto l’Italia fluttuare inoperosa tra i diversi vincoli (europei e atlantici in particolare) cui la nostra politica estera era condizionata senza mai interpretarli in chiave realista. Ovvero cercando nell’agone mediterraneo la sua prima area d’azione. Come invece riuscito a lungo agli esecutivi della Prima Repubblica, capaci di cogliere le opportunità offerte dall’elaborazione di un’agenda strategica mediterranea.
Il professor Marco Giaconi, recentemente scomparso, ha sintetizzato[4] nella ricerca di “un ruolo occidentalista, ma autonomo, come vide lucidamente Fanfani” l’obiettivo di fondo ideale a cui i governi democristiani della Prima Repubblica ambirono, conseguendolo grazie alla visione strategica di figure come Enrico Mattei, Aldo Moro e lo stesso Fanfani. Ora, nel mondo competitivo della globalizzazione, all’Italia serve un’ulteriore consapevolezza della complessità degli scenari mediterranei e dei rischi e delle opportunità ad essi associati. A questo obiettivo tenderà la presente analisi, che proporrà l’agenda marittima del Paese partendo dai temi principali su cui una politica italiana volta a valorizzare la proiezione mediterranea dovrebbe insistere.
Tali temi riguardano, nell’ordine:
- Il versante geo-economico, con particolare riferimento alla necessità italiana di tutelare uno spazio strategico che rappresenta la linea di passaggio principale dei suoi traffici commerciali.
- La questione, alla precedente tutt’altro che disconnessa, della sicurezza energetica, che richiama alla necessità di una politica coerente per la copertura delle forniture di gas naturale e petrolio.
- La proiezione geopolitica e militare, il ruolo funzionale delle attività della Marina Militare nell’elaborazione dell’interesse nazionale e la partecipazione alla partita della territorializzazione del mare con l’identificazione delle Zone economiche esclusive (Zee).
- Il legame con i teatri africani e mediorientali e le conseguenti questioni securitarie connesse al rischio-Paese, al fattore immigrazione e alla prevenzione del terrorismo.
La via marittima dell’economia italiana
Il mare rappresenta, a livello globale, la via maestra per il traffico merci. Il recente rapporto Italian Maritime Economy realizzato dal centro studi Srm (collegato a Intesa Sanpaolo) segnala come il trasporto marittimo e la logistica ad esso collegata coinvolgano il 90% delle merci scambiate su scala planetaria e generino circa il 12% del Pil globale[5].
Passando al dettaglio dell’Italia, il rapporto conferma un trend di traffico stabile negli ultimi 5 anni intorno alle 480/490 milioni di tonnellate movimentate nell’anno, anche se nel primo semestre 2020 l’import/export via mare ha subito l’impatto dell’emergenza sanitaria, registrando un calo del 21%[6]. Per quanto riguarda il fronte di traffici da e per il Canale di Suez, proxy del movimento merci nel Mediterraneo, la prima metà del 2020 ha fatto segnare un forte calo delle spedizione dei container, pari al -15% (segno della frenata dell’export da e verso Cina), bilanciato però dai transiti di navi di altri settori: oil (+11%) e dry (+42%). Il fenomeno della cancellazione di spedizioni già programmate ha raggiunto a fine maggio 2,7 milioni di teu, pari all’11,6% della capacità totale di stiva, a fronte di una previsione globale di 7 milioni per l’anno intero[7].
In termini di valore, nel 2016 il 55% dei 90 miliardi di euro di merci importate proveniva dal mare, in un contesto che vedeva il Mediterraneo essere interessato da circa il 20% del traffico marittimo planetario[8]. L’importanza strategica del commercio marittimo non è solo constatabile da questi dati, ma anche dalla natura dei prodotti che l’Italia mobilita via mare: l’Italia è, sotto il profilo industriale, piattaforma manifatturiera agganciata alle catene del valore globali e economia di trasformazione. Di conseguenza, la via marittima della nostra economia va letta in combinato disposto con lo sviluppo dei settori strategicamente più legati a quello del commercio via mare: la cantieristica navale, la logistica, lo sviluppo infrastrutturale, la connettività.
Da non scordare, ovviamente, anche il tema del turismo, che con lo sviluppo di rotte di collegamento marittime trafficate ed efficaci ha un legame ombelicare, e settori come la pesca.
Guardando la questione a livello sistemica, l’importanza del mare e della blue economy per il sistema-Paese è segnalata dall’elevato ritorno garantito dagli investimenti in blue economy. Luca Sisto e Matteo Pellizzari, in un capitolo del saggio Geopolitica del mare, hanno analizzato dettagliatamente i numeri del valore aggiunto prodotto dal cluster marittimo: esso “contribuisce al prodotto interno lordo nazionale per 31,6 miliardi di euro (2,03%) e dà occupazione a circa il 2% della forza lavoro del Paese (471mila persone)” tra addetti e indotto. Risulta inoltre importante il fatto che il moltiplicatore del reddito e dell’occupazione siano pari rispettivamente a 2,63 e 2,77[9].
Una riflessione in particolare merita la questione infrastrutturale legata al ruolo delle autorità portuali. Esse sono state soggette alle dinamiche di sviluppo del Piano strategico per la portualità promosso dal governo Renzi, che si riproponeva l’obiettivo ambizioso di “fare sistema”. Tuttavia, nelle iniziative politiche a lungo termine poca chiarezza è stata fatta su quale scalo tra i principali (da Genova a Trieste, da Napoli a Taranto) dovesse acquisire maggiore centralità. Molto si è discusso, in particolare, del capoluogo giuliano, a lungo interessato da manovre cinesi funzionali alla ricerca di uno scalo italiano da inserire nel quadro della Nuova via della seta[10], opportunità ritenuta interessante anche dall’ex ministro degli Esteri Franco Frattini, secondo il quale ““Noi italiani abbiamo una possibilità straordinaria. I cinesi sono interessati a Trieste e Venezia, ce lo hanno detto chiaramente […]. Possiamo trasformare Venezia o il golfo di Trieste in uno degli snodi principali per i commerci che transitano verso il Nord Europa. Dovremmo cogliere al volo questa occasione. Fare arrivare ai nostri porti qualche centinaia di milioni di container provenienti dal Sud e che passano dal Canale di Suez, vuol dire risparmiare 15 giorni di navigazione intorno all’Africa”[11].
Tuttavia, l’aumento della competizione geopolitica tra Stati Uniti e Cina e lo scarso approccio sistemico dell’Italia ai rapporti con la Repubblica Popolare, oltre al vuoto decisionale sulle rimanenti infrastrutture strategiche hanno portato a una scarsa concretizzazione di questi nuovi scenari. Ben più ampia la visione della Germania, che per mezzo dell’autorità pubblica che gestisce il porto di Amburgo, Hhna, tra settembre e ottobre 2020 ha formalizzato un investimento miliardario nello scalo giuliano, risultando ben più consapevole rispetto a Roma delle opportunità dell’integrazione infrastrutturale tra le piattaforme industriali del Nord Italia e il cuore dell’Europa[12].
Sui porti, andrebbe garantita maggiore coordinazione tra i ruoli dei diversi scali (tipologie di merci e materie trasportate, subalternità dei porti minori a una ridotta serie di hub principali) e impostata un’accelerazione sulla costruzione di reti di trasporto intermodale, vincolando alla presenza di attori nazionali le alleanze con attori esteri. Non giocare la partita dei porti significa escludersi volontariamente dalla corsa strategica che coinvolge il Mediterraneo: e lo stesso vale anche per il sempre più caldo fronte energetico.
Pensare strategicamente la politica energetica mediterranea
La politica energetica del nostro Paese è fortemente vincolata all’agenda mediterranea, ma la risultante delle azioni intraprese negli ultimi anni ha condotto a scelte molto spesso contraddittorie. Questo per un’ampia gamma di fattori: in primo luogo, la difficoltà per il sistema-Paese istituzionale di ampliare il raggio d’azione e sfruttare come moltiplicatore di potenza[13] l’azione dei “campioni nazionali” del settore (Eni[14], Snam e Saipem soprattutto), che troppo spesso, come ricordato con lucidità da Alessandro Aresu[15], si trovano a dover svolgere una funzione di supplenza dell’azione politica; in secondo luogo, per la cronica difficoltà nel definire la strategia ideale per il mix energetico nazionale e cavalcare, di conseguenza, la svolta graduale verso la predominanza nel gas naturale, risorsa oltremodo contesa nel contesto mediterraneo; infine, proprio per i continui dietrofront e le incertezze che, dall’archiviazione definitiva del progetto South Stream nel 2014, ha caratterizzato la politica infrastrutturale connessa allo sviluppo dei gasdotti.
Trasversale a ciò è la discutibile scelta perseguita dai due più recenti esecutivi di “castrare” il settore nazionale di estrazione[16] riducendo gli spazi di manovra per l’estrazione di gas e petrolio nell’offshore nazionale.
Il “MED & Italian Energy Report” realizzato dal già citato centro studi Srm e dall’Esl@Energy Center del Dipartimento energia del Politecnico di Torino, studio a cui hanno collaborato il “Joint Research Center” della Commissione europea e la Fondazione Matching Energies ha nel 2019 misurato con precisione la dipendenza energetica del sistema Paese: “L’Italia ha il grado più elevato di dipendenza energetica dall’estero tra i maggiori paesi europei: il 78,6% contro il 47,3% della Francia, il 64% della Germania e il 76,3% della Spagna. Per il gas naturale, il peso dell’import è superiore al 90% (contro una media Ue di circa il 70%[17]”. Tutto questo nonostante una crescente spinta verso l’efficienza energetica e la valorizzazione delle rinnovabili che ha determinato rilevanti risparmi di energia stimati, nel periodo 2014-2018, in circa 11,8 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio[18].
Economia e geopolitica sono profondamente interrelate nel contesto dell’energia: fattispecie ancor più vera quando si fa riferimento all’animato teatro mediterraneo, reso estremamente competitivo dalla crescente sovrapposizione di interessi divergenti legati principalmente al gas naturale: dal giacimento egiziano “Zohr” a quello israeliano “Leviathan” nuovi giacimenti ridisegnano la geografia delle disponibilità energetiche; Stati estremamente dinamici come la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, in maniera molto spesso “corsara” sfruttano interpretazioni elastiche del diritto internazionale o vuoti di potere per inserirsi attivamente nella competizione per la sicurezza energetica nelle acque del Mediterraneo orientale; sul “Grande Mare” si proiettano poi le ombre della guerra fredda del gas[19] tra Stati Uniti e Russia, con Washington che ha promosso iniziative regionali (come l’alleanza greco-cipriota-israeliana che ha dato origine a EastMed) per silurare l’influenza del Cremlino.
Si aggiunga a ciò la spinta mondiale verso la decarbonizzazione, che porta gli attori più pragmatici, e i grandi colossi para-statali quali Eni e la francese Total, a puntare molte carte sull’oro blu. In un’intervista ad Avvenire, l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi ha usato toni di grande rilevanza politica sottolineando la necessità di riplasmare i rapporti economici tra le diverse sponde del Mediterraneo e evidenziando che “esistono singole volontà di supremazia ispirate a interessi geopolitici” che hanno il loro epicentro proprio nel gas naturale[20]. Realtà fattuale troppo spesso negata dall’Italia.
Presidiare le rotte del gas, diversificare fonti e fornitori in funzione della necessità e procedere a un riassetto del paniere di importazioni e produzioni interne per ridurre la dipendenza dai mercati stranieri e dalle tensioni geopolitiche del Mediterraneo è una sfida cruciale per il sistema-Paese[21].
Questo si riflette in altrettante necessità operative. In ordine crescente di distanza dal Paese, abbiamo la necessità di promuovere il rilancio dell’offshore gasiero adriatico abbandonato dal governo giallo-verde nel 2018-2019; la spinta a gestire le importazioni energetiche nordafricane (gas e, in misura ora minore, petrolio) tutelando e valorizzando la posizione italiana in Libia e Algeria; l’obbligo di fare i conti con la sempre più complessa contesa Mediterraneo orientale in cui, grazie ai nuovi giacimenti Zohr (Egitto, scoperto da Eni) e Leviathan (Israele) si sta sviluppando un nuovo hub regionale del gas e in cui, come detto, Erdogan appare come il cane sciolto e, come ha ricordato l’analista Mirko Mussetti nel suo pregevole saggio Axeinos!, il vero rivale strategico del nostro Paese[22]. Attivismo in Libia e mosse spericolate a Cipro insegnano.
Per gestire al meglio questa complessità, occorre capire che il sistema mediterraneo è tutt’altro che resiliente a shock politici o scenari imprevisti, e dunque risulta necessario una strategia geopolitica capace di bilanciare opportunità e rischi, e non destinata a mutare al variare delle coalizioni di governo o delle pressioni esterne, come accaduto nel contesto dell’addio a South Stream o nell’adesione frettolosa al consorzio EastMed a fianco di un Paese, la Grecia, che (legittimamente) era favorito dal lassismo italiano sul gas naturale e poteva dunque progettare di esportare l’oro blu estratto al confine tra le acque territoriali non presidiate da Roma[23].
L’accettazione del gas azero trasportato dal gasdotto Tap, al contempo, fa venire crescenti dubbi sulle motivazioni strategiche che, ai tempi della crisi ucraina del 2014, hanno definitivamente affondato South Stream, negoziato con forza bipartisan dai governi di Romano Prodi e Silvio Berlusconi nel primo decennio del nuovo secolo, e sulle favorevoli conseguenze sulla diversificazione energetica che la coesistenza dei due gasdotti avrebbe potuto garantire.
L’Italia e la Marina Militare nel Mediterraneo allargato
Economia ed energia sono dossier caldi e fondamentali che vanno coniugati con gli aspetti securitari che trasversalmente impattano con le dinamiche odierne del Mediterraneo. Il “Grande Mare” si affaccia su un arco di crisi che, dalla Libia al Medio Oriente, è stato notevolmente perturbato negli ultimi anni e per il nostro Paese le necessità securitarie impongono ragionamenti di ordine sistemico.
Dall’approvvigionamento delle fonti energetiche al libero mantenimento dei traffici marittimi, passando per la tutela degli asset italiani (dalle forze stanziate oltreconfine alle imprese presenti nel bacino del Mediterraneo) la proiezione strategica e militare nazionale è funzionale all’obiettivo di Roma di ottenere un contesto mediterraneo stabilizzato e in cui sia garantita la pacifica circolazione dei vascelli e degli scambi.
Nell’elaborazione strategica di Roma il concetto di sicurezza nei teatri marittimi non prende solo in considerazione il Mare Nostrum di romana memoria ma “quell’area che ha il nostro mare come bacino principale” ed è collegata “a tutti i mari e a tutte le aree che lo circondano e che, apparentemente, non rientrano nel suo ambito. Il Mediterraneo per come lo intendiamo noi è un mare piccolo, semichiuso, fondamentalmente secondario nelle logiche delle grandi potenze internazionali. Ma preso insieme ad altre aree ed altri bacini ad esso vicini o collegati culturalmente, politicamente e geograficamente, il Mediterraneo diventa il centro di interessi strategici fondamentali che ad esso sono connessi[24]”. Si parla dunque di “Mediterraneo allargato” coinvolgendo nello scenario geopolitico di riferimento il Mar Rosso, il Corno d’Africa, il Mar Nero, le sponde atlantiche dell’Africa settentrionale e, in profondità, il Sahel, legato strategicamente al Mediterraneo in quanto centrale nella rotta migratoria.
Da diversi decenni la Marina Militare, capace di adottare visioni strategiche complementari a quelle dell’Alleanza Atlantica, ha sviluppato una sensibilità geostrategica non sempre corrisposta dalla visione “continentale” della politica nazionale e in grado di travalicare la tradizionale visione eurocentrica delle priorità securitarie del Paese[25]. La Marina, ha ricordato l’analista Alberto De Sanctis, “appartiene al novero delle flotte europee di punta in termini di capacità belliche, bilanciamento complessivo, qualità dei mezzi e preparazione del personale[26]” e mantiene una grande capacità di elaborazione strategica.
Le linee guida della Marina, ha scritto Amedeo Maddaluno su Eurasia, non mettono in discussione il collocamento atlantico della forza navale italiana ma riconoscono la nascita di uno scenario multipolare in luogo di quello unipolare a guida statunitense, ribadendo, in evidente anticipo sulla politica, la presenza di un “interesse nazionale proprio, non sacrificabile sull’altare dell’Occidente”, che passa in larga parte per la sicurezza del Mediterraneo allargato[27].
La sicurezza economica, assieme a quella energetica, rientra senz’altro nel perimetro della sicurezza nazionale[28] ma non è chiaramente ad essa sovrapponibile. La Marina Militare ha saputo, negli ultimi tempi, garantire il presidio alla sicurezza nazionale italiana nel teatro del Mediterraneo allargato con operazioni anti-pirateria nel Golfo di Aden e nel Golfo di Guinea[29], con il contro-bilanciamento dell’attivismo turco nelle acque di Cipro, con la conduzione delle operazioni nelle acque oggetto di movimenti migratori, col sostegno alle Marine dei Paesi alleati e con il rafforzamento delle capacità di Maritime State building della vicina Libia. A partire dalla Legge Navale del 1975 lo sviluppo della flotta ha seguito l’intuizione dell’ammiraglio Gino de Giorgi secondo cui il mare e gli oceani sarebbero diventati un fondamentale terreno di confronto e, per dirla con l’ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte, il Lungotevere delle Navi è stato in grado di “capire la situazione geostrategica contemporanea e le future prospettive di evoluzione, richiamando l’attenzione della classe politica sull’obiettivo di evitare il declino della Marina[30]”. Gli stanziamenti degli ultimi anni hanno aumentato le disponibilità materiali della Marina, incrementando la disponibilità di naviglio multimissione adatto all’operatività autonoma in alto mare[31]. La crescente valorizzazione della capacità aeronavale[32], il progetto di fregate FREMM e il varo di unità di punta quali la nuova nave “Trieste” vanno nella direzione di aumentare le frecce all’arco della Marina Militare, favorirne l’operatività in diversi contesti ambientali e unire a una crescita qualitativa e quantitativa dei mezzi a disposizione anche una preparazione ai diversi tipi di confronto strategico e militare del XXI secolo.
La nuova sfida appare la corsa crescente alla territorializzazione del mare che sta andando in scena in tutto il bacino del Mediterraneo, attraverso la proclamazione di “Zone economiche esclusive” sulle acque territoriali secondo le prescrizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) firmata a Montego Bay il 10 dicembre 1982, una partita in cui Turchia, Libia, Grecia, Algeria sono, ai confini marittimi del Paese, intente a partecipare con forza e in cui anche Roma sta definendo le sue modalità di inserimento[33].
Non va inoltre sottovalutata l’attenzione prestata da Palazzo Marina per il nuovo dominio della competizione geopolitica e geostrategica, lo spazio, manifestata nel 2020 dalla creazione all’interno della Marina Militare di un Ufficio Spazio e Innovazione Tecnologica, fortemente voluta dal Capo di Stato Maggiore, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, che nelle linee guida strategiche per l’arma navale ha ricordato che “la Marina è chiamata nel quadro interforze a contribuire anche al potenziamento delle dimensioni cibernetica e spaziale”. Tali prospettive saranno in futuro suscettibili di un ulteriore e considerevole ampliamento, come ha avuto modo di ricordare Lorenzo Vita su Analisi Difesa[34]: “l’incrociatore portaelicotteri Garibaldi è diventato infatti oggetto di un ampio lavoro di ammodernamento che rientra nel progetto “SIMONA” (Sistema Italiano Messa in Orbita da Nave). L’obiettivo di questa iniziativa è quello di studiare la possibilità che il Garibaldi venga impiegato come piattaforma di lancio per satelliti”, aprendo dunque alla possibilità di un rafforzamento delle capacità di accesso autonome del nostro Paese allo spazio e alla partita economica e geopolitica che ruota attorno ad esso[35].
La Marina è punta di lancia del progetto geopolitico del Paese, e unisce le prescrizioni del dato geografico (come diceva Antonio Gramsci[36], “perché uno Stato dovrebbe rinunziare alle sue superiorità strategiche geografiche, se queste gli diano condizioni favorevoli?”) a un’elaborazione coerente della sicurezza italiana nel contesto multipolare, in cui le questioni economiche sono debitamente tenuta in considerazione. A Palazzo Marina la politica deve guardare per costruire al meglio un’agenda mediterranea che sappia indicare i temi prioritari.
Conclusioni
Nella prefazione a L’Italia nel mondo, saggio a più voci edito dal “Circolo Proudhon” nel 2016 il giornalista Fulvio Scaglione faceva, con puntualità, notare: “L’Italia vive di una schizofrenia di fondo che la esalta e la deprime allo stesso tempo. Godiamo e patiamo di una posizione geografica decisiva nel Mediterraneo”, evocativamente definito “il mare dov’è cominciato tutto e dove tutto continua a svolgersi. Siamo esaltati e frustrati da una fantasia politica che vorrebbe mettere a frutto quel patrimonio e, quando trova il modo per farlo, deve poi render conto a potentati maggiori e vincoli ineludibili[37]”.
L’analisi di Scaglione è ancor più rilevante alla luce di quanto considerato in questa analisi, che ha presentato la salienza e il peso strategico degli interessi e delle opportunità cui l’Italia si trova di fronte nel teatro mediterraneo, scenario nel quale ha potuto performare al meglio solo nei casi in cui politica e mondo economico hanno avuto la forza di pensare la regione come un tutt’uno organico e agire facendo sistema. La lezione di Mattei, Fanfani, Moro è nota e deve guidare il ragionamento nazionale di politica estera: l’Italia, media potenza ben ancorata ai principali consessi globali, non può fare a meno di vedere nel suo spazio geografico e geopolitico di riferimento il teatro primario d’azione.
I decisori strategici della Prima Repubblica seppero individuare un set di priorità (sicurezza energetica, commercio, prevenzione del terrorismo, diplomazia multilaterale) attorno a cui costruire una seria e coerente agenda mediterranea. Oggi ciò che manca alla politica è proprio la capacità di fare altrettanto, proiettando questa visione in un’ottica di lungo termine. L’interesse nazionale del Paese passa per le acque agitate del “Grande Mare”, crocevia di appetiti, interessi e problematiche di ampia portata e al contempo proiezione del Paese sul mondo. Voltare le spalle al Mediterraneo sarebbe dannoso, operare nelle sue dinamiche in maniera superficiale creerebbe danni ancora peggiori. Serve, al Paese, un grande sforzo organico per riscoprire la propria identità mediterranea e, al contempo, valorizzare gli asset presenti per ottenere obiettivi politici.
Arrivando al nocciolo della questione, si noterà che le priorità non sono mutate dai tempi della Prima Repubblica: commercio ed energia, ad esempio, sono temi ancor più salienti in questa fase storica che vede il Mediterraneo snodo di primaria importanza, mentre a Roma risulterebbe estremamente benefico uno sforzo diplomatico e politico capace di ridurre le tensioni politiche nel teatro mediterraneo, per governare le quale, come abbiamo visto, gli strumenti e le dottrine di hard power, non mancano. A fare la differenza sono gli uomini, i decisori strategici e gli operatori sul campo: solo da una grande comprensione della priorità dell’agenda mediterranea potrà nascere una coscienza politica in grado di rendere, nuovamente, l’Italia attore di primo piano nel “Grande Mare”.
[Articolo disponibile anche su Academia.edu]
[1] È il caso della serie di studi geopolitici che fa riferimento alla “Scuola di Monaco” e ai lavori di Karl Hausofer cfr. Michel Korinman, Quand l’Allemagne pensait le monde. Grandeur et décadence d’une géopolitique, Fayard, 1990
[2] Espressione resa celebre da un omonimo libro del saggista David Abulafia la cui lettura è estremamente consigliata per capire la complessità del vissuto storico del Mediterraneo.
[3] Lucio Caracciolo, Proviamo a esistere, Limes 5/2018 “Quanto vale l’Italia”.
[4] Andrea Muratore,Interesse nazionale, storia, cultura, identità: la grande sfida di riunire l’Italia, Osservatorio Globalizzazione, 31 luglio 2020.
[5] Rapporto Srm (Gruppo Intesa Sanpaolo) sulla Italian Maritime Economy: il 90% delle merci viaggia via mare, Industria Italiana, 5 ottobre 2020.
[6] Ibid.
[7] Ibid.
[8] AA.VV., Geopolitica del mare, Mursia, Milano 2018, pag. 8.
[9] Luca Sisto, Matteo Pellizzari, Il ruolo dei traffici marittimi nel sistema economico nazionale in AA.VV, Geopolitica del mare, op. cit., pag. 69.
[10] La Cina mette nel mirino Trieste, Inside Over, 13 febbraio 2019.
[11] Alessandra Spalletta, Così la Cina cambierà e metterà l’Occidente alle strette. Intervista a Franco Frattini, Agi, 3 marzo 2018.
[12] Per Trieste il Presidente dell’Autorità Portuale, Zeno d’Agostino, ha parlato di un ritorno del Paese alle prospettive strategiche dell’età asburgica, cfr. Arvea Marieni,Da Pechino ad Amburgo. La svolta di Trieste spiegata da Zeno D’Agostino, Formiche, 1° ottobre 2020.
[13] Andrea Muratore, Il paradosso di Eni: sostenuta all’estero, frenata all’interno, Inside Over, 27 marzo 2019.
[14] Su Eni nel Mediterraneo rimandiamo all’esaustiva analisi pubblicata da Gianmarco Gabriele Marchionna per “Analytica” sul tema dell’energy diplomacy.
[15] Dai campioni nazionali al golden power: le prospettive della tutela del sistema-Paese,Osservatorio Globalizzazione, 7 aprile 2020.
[16] Gianni Bessi, Il governo Conte II è amico o nemico dell’oil&gas?, StartMag, 25 dicembre 2019.
[17] Vito de Ceglia, Energia: Italia sale l’import e la spesa pubblica aumenta, La Repubblica, 9 aprile 2019.
[18] La situazione energetica in Italia: si consolida il ruolo delle energie rinnovabili e diminuisce la dipendenza estera, Ministero dello Sviluppo Economico, 11 luglio 2019.
[19] Guido Dell’Omo, Ecco qual è il ruolo dell’Italia nella guerra fredda del gas, Inside Over, 19 novembre 2018.
[20] Giacomo Gambassi, Descalzi (Eni): la sfida nel Mediterraneo? Lo sviluppo dei popoli, Avvenire, 5 gennaio 2020.
[21] L’autore ha studiato la questione in Il grande gioco del gas naturale, Eurasia – Rivista di Studi Geopolitici, Anno XVII Numero 2, aprile – giugno 2020, pp. 93-100.
[22] Mirko Mussetti, Axeinos! – Geopolitica del Mar Nero, GoWare, 2019, pag. 102
[23] Jacopo Giliberti,Metano, sarà sfruttato dai greci il giacimento davanti alla Puglia, Il Sole 24 Ore, 25 settembre 2019.
[24] Lorenzo Vita,Che cos’è il Mediterraneo allargato, Inside Over, 31 luglio 2018.
[25] Alberto De Sanctis, La nuova giovinezza della marina italiana, Limes 7/2019 “Gerarchia delle onde”, pag.30.
[26] Ibid.
[27] L’interessante articolo di Maddaluno è reperibile sul secondo numero del 2020 di Eurasia cfr. Amedeo Maddaluno, La dottrina navale italiana nel Mediterraneo allargato, “Eurasia” 2/2020, pag. 85-92.
[28] Sul tema si consiglia la riflessione di Andrea Moretti, viceispettore della Polizia di Stato in servizio alla Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, Riflessioni sul concetto di sicurezza nazionale, pubblicato sul numero di gennaio 2020 di “Rivista Marittima”.
[29]“Le ultime notizie, in tal senso, arrivano dall’esercitazione avvenuta nelle acque del Golfo africano e a cui ha preso parte la fregata Martinengo. Una manovra congiunta con la nave della Marina americana Uss Hershel “Woody” Williams e due pattugliatori della marina della Costa d’Avorio. Un addestramento che solo a una prima lettura potrebbe apparire superfluo, ma che in realtà nasconde una strategia molto profonda da parte della Marina che entra in uno scenario particolarmente importanti per i flussi commerciali, per le aziende italiane che operano nell’area e in generale per la tutela delle rotte dalla pirateria” cfr. Lorenzo Vita, Le operazioni italiane nei mari infestati dai pirati, Inside Over, 2 ottobre 2020.
[30] Andrea Muratore, La Marina e l’interesse nazionale: intervista all’ammiraglio Sanfelice di Monteforte,Osservatorio Globalizzazione, 16 febbraio 2020.
[31] Amedeo Maddaluno, op. cit.
[32] Ben analizzato nel citato articolo di De Sanctis per Limes.
[33] Sul contenzioso italo-algerino sui confini della Zee cfr. Il mare della Sardegna non è in vendita, Unione Sarda, 6 febbraio 2020.
[34] Lorenzo Vita, Dal mare allo spazio un nuovo dominio per l’Italia, Analisi Difesa, 10 marzo 2021.
[35] Consigliato sul tema il saggio dell’ingegnere aerospaziale e analista geopolitico Marcello Spagnulo, “Geopolitica dell’esplorazione spaziale” edito da Rubbettino.
[36] Antonio Gramsci, Le Quistioni Navali, «Quaderni dal Carcere», Q. VIII, Passato e Presente, Torino, Einaudi, 1954, pp. 211-212.
[37] Fulvio Scaglione, prefazione a AA.VV, L’Italia nel mondo, Circolo Proudhon, Roma 2016, pag. 6.
FONTE: https://osservatorioglobalizzazione.it/dossier/interesse-nazionale/mediterraneo-italia-interesse-nazionale-marina-militare/
DIRITTI UMANI
“NESSUNA PERSONA UMANA DOVREBBE VIVERE LÌ”: GLI ORRORI IN CORSO NELLA PRIGIONE DI DANBURY
Idetenuti del campo di correzione federale di Danbury nel Connecticut, noto anche come “Camp Cupcake”, sono stati sopraffatti dal COVID-19. Secondo le accuse formali dei senatori statunitensi Richard Blumenthal e Chris Murphy e del rappresentante Jahana Hayes, oltre la metà delle donne attualmente incarcerate a Danbury FCI è risultata positiva al COVID-19 questo mese, ricevendo spesso poca o nessuna assistenza dal personale, il che ha solo esacerbato la crisi in corso. I sostenitori chiedono un’azione immediata , inclusa la richiesta al Bureau of Federal Prisons di rilasciare tutte le persone incarcerate che sono vulnerabili dal punto di vista medico per finire la loro pena attraverso la reclusione domiciliare.
In questo episodio di Rattling the Bars , il co-conduttore in formazione Charles Hopkins, meglio noto come Mansa Musa, parla della crisi COVID in corso a Danbury con Dianthe Dawn Brooks e Wendy Kraus-Heitmann. Dianthe Dawn Brooks è un’organizzatrice di comunità che è stata precedentemente incarcerata nel campo di correzione federale di Danbury. Wendy Kraus-Heitmann è un’avvocato che ha una passione per la riforma della giustizia penale, la fine delle incarcerazioni di massa e l’assistenza alle persone colpite dalla giustizia che reclamano le loro vite. Vive nel Connecticut, dove lavora per garantire un alloggio ai cittadini di ritorno.
Pre-produzione/Studio/Post-produzione: Cameron Granadino
TRASCRIZIONE
Charles Hopkins: Benvenuto in questa edizione di Rattling the Bars . Un recente rapporto afferma che il 50% delle donne del Danbury Correctional Facility ha il COVID. Qui a parlarne sono Wendy e Dawn. Grazie a tutti per essere venuti.
Dianthe Dawn Brooks: Grazie per averci ospitato. Grazie.
Charles Hopkins: Mm-hmm (affermativo). Dacci un po’ di informazioni sulla prigione di Danbury. È una prigione federale o è una prigione statale? Ognuno di voi può prenderlo.
Dianthe Dawn Brooks: È una struttura federale che ospita uomini e donne. Hanno entrambi un campo, un mezzo per le donne e un mezzo per gli uomini. Medio di fascia bassa per gli uomini.
Charles Hopkins: Quante donne ci sono ospitate lì?
Dianthe Dawn Brooks: Attualmente nel campo ci sono 84 persone. Quando eravamo lì c’erano poco più di un centinaio di persone.
Charles Hopkins: 84 persone? Bene.
Dianthe Dawn Brooks: Sì.
Charles Hopkins: In quali condizioni vivono le donne, Wendy?
Wendy Kraus-Heitmann: Bene, è stato molto difficile in questo momento perché nel migliore dei casi le strutture a Danbury sono piuttosto fatiscenti e necessitano seriamente di riparazioni. Onestamente, l’intero posto deve essere demolito. Non supererebbe mai alcun tipo di ispezione sanitaria strutturale, costruzione, niente del genere. Quindi in questo momento si trovano in condizioni in cui non solo sono isolati e messi in stanze di quarantena, ma spesso non hanno un riscaldamento adeguato. Non hanno acqua calda un sacco di tempo. E non voglio dire che l’acqua calda si spegne di tanto in tanto. Voglio dire, la maggior parte delle volte è spento. E non è perché qualcuno sta premendo un interruttore per punizione o altro. È solo che la struttura è vecchia, decrepita e malandata. Quindi vengono messi in quarantena, segregati l’uno dall’altro in unità diverse.
E poi quando arriva il cibo, viene portato da un… Perché ci sono tre prigioni sullo stesso terreno. E così quando arriva il cibo ora non cucinano più da soli, proviene da una delle altre strutture. E sono in scatole di polistirolo. E molte volte, quando lo porti da un edificio all’altro, fa freddo ed è stato spostato molto, quindi è tutto confuso. E voglio dire, può sembrare piccolo, ma in realtà… Mi mescoli come carne con un po’ di salsa di mele. Non è una buona cosa. È difficile per loro ricevere cure adeguate. E stai parlando di persone che sono malate di COVID qui. Così…
Charles Hopkins: Giusto.
Wendy Kraus-Heitmann: Sì. È difficile per loro. E poi per di più, a causa del modo in cui sono messi in quarantena, non hanno avuto molto accesso, soprattutto un accesso decisamente non coerente, a e-mail, telefoni, video visite. È stato tutto tagliato. E ovviamente le famiglie sono molto preoccupate per loro. Perché non hai nessuna notizia di questo. In altre prigioni… Ad esempio, conosco qualcuno in questo momento che è al Federal Medical Center di Rochester, nella struttura per uomini, e nella loro unità hanno telefoni e computer. Così possono essere rinchiusi e continuare a comunicare con il mondo esterno. Ma a Danbury devi lasciare la tua unità per andare ai telefoni e ai computer. Quindi nessuno può andare da loro perché non possono tenerli separati gli uni dagli altri.
Charles Hopkins: Giusto.
Wendy Kraus-Heitmann: Sì. Quindi è stato davvero difficile, davvero difficile per le loro famiglie.
Charles Hopkins: Giusto. Destra. Perché pensi che ci siano così tanti casi di COVID a Danbury?
Dianthe Dawn Brooks: Perché non c’è la possibilità di avere una distanza di sei piedi. Sei in un cubicolo per il campo, sei in un cubicolo con un compagno di cuccetta. Non ci sono nemmeno sei piedi tra te e la persona con cui condividi quella cuccetta. E ogni cuccetta è letteralmente come i cubicoli dell’ufficio, uno accanto all’altro. E le strutture per gli uomini e le altre strutture per le donne, le donne giù per la collina nel mezzo, vivono in una grande stanza. Letteralmente. Le loro pareti del cubicolo sono mezze pareti. Così potevi vedere da un posto all’altro e tutti respirano uno sull’altro E così, non c’è proprio modo per loro di distanziarsi adeguatamente. Questo era lo scopo principale nel spingere per far uscire le persone da Danbury quando abbiamo avuto l’ordine del tribunale sotto il giudice Shea che potevano rilasciare quante più persone possibile nel CARES Act perché è impossibile per loro fare ciò che è giusto,
Charles Hopkins: E mentre parla del CARES Act, cosa sta facendo l’amministrazione per rimediare a questo?
Dianthe Dawn Brooks: L’amministrazione ha fatto molto poco. Il primo gruppo di persone che è stato rilasciato non è stato rilasciato perché hanno utilizzato correttamente il CARES Act. Sono stati rilasciati perché abbiamo letteralmente citato in giudizio il tribunale del Connecticut ed è stato un ordine che li ha obbligati a lasciar andare le persone senza i parametri di quanto tempo avevano e tutte le altre cose minori che stavano cercando di prendere in considerazione. Tale accordo transattivo è scaduto in ottobre. E sappiamo solo di una persona che ha lasciato la struttura ai sensi del CARES Act dalla scadenza di tale ordine.
Per il campo, non c’è davvero alcun motivo per cui le persone siano lì. Se sei arrivato al campo sei già basso o minimo nella maggior parte dei casi. Per essere in un campo devi essere considerato sicuro perché non ci sono porte chiuse e tutte queste varie cose. Potresti davvero uscire dai locali. Quindi l’idea che quelle persone non possano essere trasferite in isolamento domiciliare è davvero sciocca. Non ci sono barriere che impediscano loro di farlo al di fuori del BOP. È una prigione. Ha lo scopo di confinare le persone. E così, guardano a tutti i modi possibili per tenere qualcuno dentro contro ogni modo possibile per liberarlo.
Charles Hopkins: Giusto. Cosa sta succedendo fuori? Chi sta occupando quello spazio per cercare di evidenziare questo e portarlo a loro oltre a voi stessi?
Wendy Kraus-Heitmann: Va bene. Quindi nella community siamo davvero fortunati. Ci sono stati diversi gruppi. Uno di questi è il Consiglio nazionale per le donne e le ragazze incarcerate e precedentemente detenute. Hanno aiutato molto. In tempi diversi è stata coinvolta anche l’ACLU. E non c’è modo che io possa dire abbastanza su quanto lavoro e impegno hanno fatto le persone di FAMM, Families Against Mandatory Minimums. Ad esempio, hanno tutti sostenuto e cercato di parlare con politici, legislatori, persino il presidente, per cercare di fare qualcosa qui e nelle amministrazioni.
Ma non sono nemmeno solo loro. Ci sono gruppi di cliniche di difesa legale alla Quinnipiac Law School e anche a Yale. E ci sono anche un paio di posti che… E esito a nominarli perché non so quanto lo vogliano sapere che vogliono che sia fatto, ma sanno chi sono e apprezzeranno il grido. Ma ci sono stati un paio di studi legali che hanno tirato fuori il collo e hanno cercato di intentare alcune azioni per cercare di ottenere qualche informazione in più da lì in modo da poter avere statistiche e numeri in modo che quando andiamo in pubblico e diciamo, ehi , potrebbero rilasciare molto di più. Bene, come fai a saperlo? Quante persone? Bene, perché le loro statistiche lo dicono. E stiamo aspettando quelle statistiche in questo momento, ma sappiamo che sono lì perché abbiamo parlato con le persone all’interno che sono assolutamente idonee per CARES.
Dianthe Dawn Brooks: Inoltre, abbiamo Color of Change che ha lavorato con noi per quasi un anno su varie priorità. Al momento hanno una petizione relativa a Danbury. Puoi trovarlo sul loro sito Web Color of Change. E abbiamo anche avuto qualche coinvolgimento dal Ministero delle Signore della Speranza. Quindi non cercare di escludere nessuno.
Wendy Kraus-Heitmann: Sì. Non conosco nemmeno tutti i gruppi. Quindi grazie, Dawn, per essere intervenuta su di loro.
Charles Hopkins: Va bene. Ma abbiamo una vasta e ampia rete di persone che sostengono le donne a Danbury. Come stanno le donne? Bene, come sono i loro spiriti riguardo a cosa sta succedendo con loro?
Dianthe Dawn Brooks: Penso che tutti siano frustrati in questo momento. Sappiamo che l’amministrazione e il BOP potrebbero fare di più e semplicemente non lo stanno facendo. Abbiamo avuto diverse azioni nell’ultimo anno e mezzo. Quando siamo usciti per la prima volta l’anno scorso, abbiamo organizzato una protesta per evidenziare le condizioni che erano ancora in corso e il fatto che anche con l’ordine del giudice erano lenti nel rilasciare le persone. Ed è continuato. Quindi penso che in questo momento se dovessi parlare con qualsiasi difensore o entità diremmo tutti la stessa cosa. Potrebbero fare molto di più e semplicemente non lo sono. E quindi continueremo a fare pressione su di loro, sperando che a un certo punto qualcuno prenda una decisione giusta, ovvero liberare quante più persone possibile in modo che possano ridurre la diffusione di COVID e mantenere le persone al sicuro.
Charles Hopkins: Giusto. E cosa può fare il grande pubblico? Sappiamo di avere questa vasta rete come hai delineato. Ma cosa può fare il grande pubblico per aumentare l’attenzione sulle condizioni che le donne di Danbury stanno attraversando in questo momento?
Dianthe Dawn Brooks: Sto per iniziare. Wendy, potresti intervenire. Ma potresti iniziare con la firma di quella petizione, puoi chiamare il Congresso locale degli Stati Uniti e i senatori che hanno autorità legislativa sul BOP e sul Dipartimento di Giustizia. Puoi chiamare BOP e lamentarti. Ci sono molte pagine Facebook con azioni e ci sono anche alcune proteste in programma. Se si collegano alla rete, otterrebbero informazioni mentre avanziamo. Su Facebook, abbiamo una pagina, Non rimandarli indietro, e lascerò che Wendy se ne occupi da lì perché potrebbe spiegare.
Wendy Kraus-Heitmann: Va bene. Quindi, oltre a tutte queste cose, una delle cose che penso sia davvero difficile quando sei qualcuno che è ancora dentro di te è che ti senti completamente isolato dal resto del mondo. Anche se hai alcuni privilegi via e-mail o telefono, anche se le donne di Danbury non li hanno in modo molto coerente in questo momento, non è ancora la comunicazione senza ostacoli di cui le persone hanno la libertà di godere quando sono fuori, ovviamente. Quindi ci si sente molto soli. È come se le persone stessero solo andando avanti con le loro vite e non si preoccupassero di te. Quindi, se hai persone che sono dentro, manda loro delle lettere per carità. E ci sono diversi gruppi in cui puoi essere coinvolto che ti abbineranno alle persone.
C’è questo meraviglioso giornalista. È molto su Twitter, ma è molto, molto importante e ha pubblicato materiale a livello nazionale. Keri Blakenger. E ti metterà in contatto con persone che hanno bisogno di libri perché è il modo migliore per passare il tempo in assoluto. Ha un’intera lista di persone e libri che vorrebbero avergli inviato. E puoi fare cose del genere. Se vuoi aiutare qualcuno direttamente, solo per alzare il morale.
Abbiamo un gruppo, quando Dawn ed io siamo usciti, una delle cose che abbiamo notato subito è stata che le persone rischiavano di essere rimandate indietro. Ora che abbiamo fatto tutto questo lavoro per uscire, di certo non volevamo essere rimandati indietro. Così abbiamo formato un gruppo chiamato Don’t Send Us Back. C’è un sito web, dontsendusback.org, e si collega a tutti i nostri vari social media. Siamo su Twitter, siamo su Facebook. Abbiamo il sito web stesso. E ci coordiniamo l’uno con l’altro e ci diciamo cose come, fai attenzione a assicurarti di rispondere a tutte le tue chiamate quando chiamano. Fai attenzione a non usare colluttori che contengono alcol. Assicurati di controllare il collutorio perché può essere problematico se ti sei appena lavato i denti e poi vai a fare un etilometro. Sai? Cose del genere.
E anche solo aiutare le persone a districarsi nella burocrazia, a volte, per assicurarsi che stiano fuori. E inoltre, poiché sappiamo quanto siamo fortunati, letteralmente, ad essere fuori, quanto siamo estremamente fortunati, privilegiati, in alto, ad essere fuori, passiamo anche il tempo a tenere traccia delle persone che sono ancora dentro e scoprire cosa possiamo fare. Molti di noi, perché siamo usciti come abbiamo fatto, abbiamo molti contatti legali. Quindi li aiutiamo. Cerchiamo di indicare agli avvocati le situazioni in cui hanno bisogno di aiuto e in cui potrebbero aver bisogno di ulteriore aiuto. Ad esempio, le persone di Alderson in questo momento lo stanno attraversando in un modo orribile. Assolutamente come roba a livello di violazione dei diritti umani. E abbiamo cercato di aiutarli in ogni modo possibile allo stesso modo.
Quindi queste sono le cose che puoi fare. Ma una delle cose migliori che puoi fare e che ha un impatto maggiore, onestamente, è chiamare i tuoi rappresentanti del Congresso e i tuoi senatori perché sono quelli che hanno l’influenza sul BOP. E sono quelli che fanno cose come le riunioni del comitato giudiziario dove li trascinano lì dentro e fanno loro domande, e devono rispondere a loro. E quindi se stai scrivendo al tuo rappresentante per cantare come, ehi, questo è importante per me, questo aiuta. Lo fa davvero.
Charles Hopkins: Va bene, bene. Perché pensi che le prigioniere del carcere femminile siano sottoposte a un trattamento così duro a differenza degli uomini?
Dianthe Dawn Brooks: Penso che gli uomini si siano organizzati meglio. Fino a noi a Danbury non c’era stato un contingente di donne che si fosse davvero unito alla questione. Ci siamo organizzati mentre eravamo dentro. Quindi le cose che non ci sono piaciute ci siamo riunite per non andare alla mensa o cose del genere in cui gli uomini sono bravissimi. Ma le donne normalmente non sono così brave. E quindi questo lascia un po’ di spazio perché quando gli uomini iniziano a comportarsi male, immediatamente cedono e danno loro quello che vogliono ma non sono abituati alle donne che si uniscono. Quindi so che era stato fatto anni fa e l’abbiamo riportato indietro mentre eravamo lì. E continuiamo a cercare di dire alle persone che sono dentro ora, attraverso le loro famiglie e i loro cari, come possono unirsi in modo che possano continuare a combattere, quali informazioni inviare in modo che possiamo cercare di essere loro d’aiuto.
Ma penso che sia solo una mancanza di persone che capiscano davvero cosa rappresentano le prigioni. Questi campi vengono soprannominati Camp Cupcake e tutte queste cose diverse quando in tutta la realtà sono situazioni e luoghi orribili. Mancano di cure mediche, mancano di prodotti per la pulizia. Hai bagni con muffe e funghi. Hai condizioni semplicemente deplorevoli. Nessuna persona umana dovrebbe vivere lì. E quindi, l’idea che tu sia, perché sei in un campo, un po’ di lusso… So che la mia immagine di cosa fosse un campo, non essendo mai andato in prigione, era totalmente diversa dalla mia esperienza. E immagino che molte persone pensino la stessa cosa. E quindi, solo convincere le persone a capire davvero cosa rappresenta e quanto siano pessime le condizioni perché è insondabile quando ci pensi davvero.
Charles Hopkins: Grazie a tutti. Qualche idea finale che volete condividere con il pubblico? E voi tutti dividereste la cosa e ci dareste le vostre intuizioni su ciò che volete condividere con il pubblico.
Dianthe Dawn Brooks: Mi piacerebbe vedere quante più persone possibile scrivere lettere, chiamare i loro candidati al Congresso e al Senato, unirsi a FAMM, Color of Change, alcune di quelle organizzazioni che ci stanno aiutando affinché tu possa continuare a rimanere nella lista e ottenere informazioni mentre avanziamo con qualunque cosa stiamo facendo. Petizioni, a volte abbiamo chat su Facebook, ecc. E se hai una persona cara o conosci qualcuno lì, per favore non solo rimani in contatto con loro, ma se ottieni informazioni che potrebbero essere utili mentre ci organizziamo, puoi trovare sia Wendy che io su Facebook o Twitter. E ti diamo il benvenuto condividendo qualsiasi informazione che ci aiuterà a continuare a rimanere in contatto con le donne e gli uomini all’interno e ad andare avanti con i problemi che stanno avendo.
Wendy Kraus-Heitmann: Sì.
Charles Hopkins: E Wendy?
Wendy Kraus-Heitmann: Oltre a tutto ciò, con cui anch’io sono assolutamente d’accordo, una cosa che voglio davvero che la gente capisca è che questo non è solo un problema di Danbury. Siamo, cosa, nemmeno da tre settimane all’anno e già tre donne di Alderson sono morte di COVID. Tortino da campeggio. Ma stai scherzando? Questo è serio. E la cosa veramente tragica è che ci sono almeno due di loro che penso avrebbero potuto essere idonei a CARES e sicuramente sarebbero stati molto più vicini alle loro date di fine se i loro crediti per il primo passaggio fossero stati applicati in modo tempestivo. Eppure, sono stati rinchiusi in quella prigione per ottenerlo. Ed ecco la cosa. La gente dice tipo, beh, puoi avere il COVID anche fuori. Assolutamente puoi. E puoi anche scegliere il tuo trattamento. Puoi scegliere quando cercare assistenza medica. Puoi scegliere il tipo di farmaco da assumere o da non assumere. Sei tu a capo delle cose.
Quando vieni incarcerato, sei alla mercé di chi pensa che tu sia abbastanza malato da andare o meno in ospedale, abbastanza malato da meritare cure o meno. E va detto che alla base di tutto ciò che riguarda la carcerazione c’è la presunzione che il detenuto stia mentendo. Questa è la prima cosa con cui iniziano a presumere. Quindi se vai da loro e dici, sono malato. Sono ferito. Qualcuno mi ha picchiato. Qualcuno mi ha trattato male. I miei diritti vengono violati, la prima cosa che qualsiasi membro del personale o persona amministrativa, che si tratti del BOP o del governo, pensa che il detenuto stia mentendo. Quindi quando sei malato e infelice e hai bisogno di assistenza sanitaria e dici, sto morendo. Mandami in ospedale, pensano che lo dici per attirare l’attenzione. Pensano che lo dici solo perché vuoi andare da qualche parte in gita.
Quindi ti ignorano finché non sono davvero sicuri. È lì che trovi le storie di donne che partoriscono nelle celle di prigione. È come questo. E voglio davvero che le persone lo capiscano. Inoltre, che queste persone di cui stiamo parlando nei campi di prigionia federali, Dawn l’ha menzionato prima, che non ci sono serrature. Non ci sono recinzioni. E stanno ancora lì in queste condizioni deplorevoli perché non vogliono finire nei guai. Non vogliono ricevere più addebiti. Non vogliono essere riportati indietro dai marescialli. Hanno paura di finire nei guai. Stanno cercando di seguire le regole e stanno lì per quello. Quindi hai intenzione di dirmi che sono un pericolo nella comunità? Sei serio adesso? Avanti. Quindi dobbiamo far uscire queste persone. Non c’è motivo per cui non dovrebbero essere nelle comunità.
Dianthe Dawn Brooks: Quando prendi un posto come Danbury, il campo in particolare, non c’è nessun infermiere o dottore assegnato lì ogni giorno da un certo periodo di tempo. Hanno una persona che viene la mattina, il pomeriggio e la sera per somministrare medicine e ricevere visite di malattia. Ma non c’è nessuna persona fisicamente lì. Quindi, se ti succede qualcosa, devi aspettare che chiami il medico per venire all’edificio, a seconda di chi determina quale sia la priorità, dipende da quanto tempo ci vuole.
Abbiamo avuto scenari in cui le donne sono state… Ho avuto una reazione allergica alle arachidi mentre ero dentro e ci sono volute letteralmente circa due ore per alzare una persona. Per fortuna, non stavo morendo, ma ero già diventato rosso barbabietola, stavo iniziando a scoppiare. E l’idea che devi aspettare le visite mediche senza che qualcuno valuti davvero quanto sia grave. E se guardi le statistiche COVID di oggi su BOP, hanno raggiunto i numeri più alti dall’inizio della pandemia di personale e detenuti positivi al COVID. Quindi questo significa che non hanno imparato nulla da un anno e più fa quando abbiamo iniziato questo. E quindi devono essere disposti a fare qualcosa di diverso. E a meno che non lo richiediamo, non accadrà.
Charles Hopkins: Un’ultima domanda. Perché pensi che il BOP sia così riluttante a lasciar andare queste donne? Come hai sottolineato, la minore sicurezza e la minore sicurezza, possono letteralmente andarsene. Perché pensi che il BOP sia così duro nel non voler lasciare andare queste donne?
Dianthe Dawn Brooks: Ricordo ogni giorno alla gente che il BOP è responsabile di tenere una persona incarcerata. Il loro lavoro, i loro agenti penitenziari, il loro personale è retribuito in funzione del numero dei detenuti. Molti di loro hanno lo stesso atteggiamento, dovresti semplicemente stare zitto e fare il tuo tempo. Non si preoccupano delle condizioni, eccetera. Proprio come si parla di Code Blue all’interno dei dipartimenti di polizia, hanno alcuni di quegli stessi codici all’interno delle strutture correzionali. E quindi, non hai alcun diritto. Non sei percepito come una persona. Sei letteralmente percepito come un numero. Il tuo numero di registrazione è quello con cui sei conosciuto nella maggior parte dei casi. E quindi, disumanizza davvero la persona che è seduta lì incarcerata e cosa dovrebbe essere fatto per loro rispetto a ciò che è.
Wendy Kraus-Heitmann: Beh, penso che una delle prime cose da fare sia che il BOP debba essere ordinato di rilasciare chiunque sia idoneo a CARES. Non capisco perché sia anche una domanda. Ad esempio, la maggior parte delle carceri ha esaminato il CARES Act e, da quello che possiamo vedere, l’ha considerato un optional. Considerando quante persone abbiamo incontrato, i membri della famiglia che ci hanno contattato dicono, perché la mia persona non è fuori? Hanno così tanto tempo, come se non avessero mai avuto una possibilità, sono a basso rischio si chiama il loro punteggio di recidiva. Tipo, perché non sono fuori? Beh, non lo so. Semplicemente non vogliono.
E le persone hanno compilato i moduli chiedendo di essere valutati per il confinamento domiciliare CARES e hanno ricevuto una nota dal direttore dicendo tipo, beh, non abbiamo il COVID qui in questo momento. Quindi non lo faremo. In un’altra struttura, il direttore ha risposto che, anche se al momento c’era il COVID, stavano benissimo a gestirlo lì da soli. Quindi non avevano bisogno di usare CARES. È come se questa non fosse una scelta. Dovresti farlo tu. Il Congresso le ha dato un ordine diretto.
Charles Hopkins: Giusto. E Dawn, qual è il tuo ultimo pensiero?
Dianthe Dawn Brooks: Credo che dobbiamo fare un ulteriore passo avanti e dobbiamo guardare a come decarcerare questi sistemi carcerari nel loro insieme. Le prigioni non sono mai state progettate per le donne, quindi non dovrebbero esserci. Nella maggior parte dei casi, ci sono alternative. Dobbiamo guardare alla consulenza sulla salute mentale. Dobbiamo esaminare i programmi di trattamento della droga. Dobbiamo guardare ai motivi per cui le nostre donne stanno finendo per essere incarcerate e cambiamo il sistema. E nei casi in cui le persone commettono errori, troviamo delle alternative. Ci sono punti vendita della comunità che potrebbero essere utilizzati per tenere le persone fuori. Hanno usato efficacemente la reclusione domiciliare per 18 mesi per molti di noi che sono stati rilasciati. Abbiamo avuto il tasso di recidiva più basso della storia. E quindi, questo dimostra che si può fare. È dimostrato che potresti liberare le persone e la tua comunità sarebbe comunque al sicuro e non finirebbero per essere violate, ecc. E quindi usiamolo di più per esaminare alternative alle celle di prigione per le donne.
Charles Hopkins: Ora ce l’hai. Dawn e Wendy stanno scuotendo le sbarre. Grazie per esserti unito a noi in questa edizione di Rattling the Bars . Apprezziamo il vostro sostegno per queste donne di Danbury, per queste due donne che stanno facendo un lavoro straordinario per conto delle persone incarcerate in tutto il paese. Grazie mille.
Dianthe Dawn Brooks: Grazie mille per averci ospitato nello show, per esserti preoccupato del problema e per tutto il tuo team. Non vediamo l’ora di tornare di nuovo, si spera su un altro argomento che non sarà, perché lotteremo per liberare le nostre donne e i nostri uomini da questo processo.
Wendy Kraus-Heitmann: Sì. Grazie.
Charles Hopkins: A nome di Eddie e di me, ti ringraziamo per aver partecipato a questo episodio di Rattling the Bars . Grazie mille.
FONTE: https://therealnews.com/no-human-person-should-live-there-the-ongoing-horrors-at-danbury-prison
ECONOMIA
Cosa si muove tra Saipem, Eni, Cdp e Technip
Dal consiglio di amministrazione di Saipem (con i subbugli su Caio) allo sblocco di un progetto atteso da Technip. Il ruolo di Cdp e gli scenari
La sera del 2 febbraio – scrive oggi Il Messaggero – si è svolto un consiglio d’amministrazione straordinario di Saipem, la società di tecnologie per l’energia che ha recentemente annunciato che il suo bilancio civilistico del 2021 si chiuderà con perdite superiori al terzo del capitale sociale. Annuncio in totale controtendenza rispetto all’outlook diffuso circa tre mesi prima, con un piano strategico composto da investimenti per 1,5 miliardi di euro.
PRESENTI ENI, CDP E SCANNAPIECO
Al consiglio di amministrazione erano presenti i due maggiori azionisti di Saipem, ovvero Eni (che possiede una quota del 30,5 per cento) e CDP Industria (il 12,5 per cento). Dario Scannapieco, amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, ha tenuto una relazione per fare il punto sulle ultime performance in borsa della società: in tre sedute il titolo è calato del 31,9 per cento (ieri a 1,3 euro), “bruciando in tutto 624 milioni di capitalizzazione borsistica”, scrive Il Messaggero.
DECISIONI RINVIATE
Come ricostruito dal quotidiano, pare che Scannapieco abbia rimandato le decisioni sulla manovra finanziaria per Saipem – si parla di ricapitalizzazione – a un successivo consiglio di amministrazione, quando saranno disponibili i dati precisi sulle perdite.
CAIO “COMMISSARIATO”?
Sembra che Eni e CDP vogliano affiancare all’amministratore delegato di Saipem, Francesco Caio (entrato in carica l’anno scorso: qui i giudizi degli analisti), due propri nomi. Il Messaggero parla di un ‘commissariamento’ di Caio, perché CDP nominerebbe un nuovo direttore finanziario al posto di Antonio Paccioretti, mentre Eni un Chief Business Officer, andando dunque a ridimensionare le deleghe di Caio.
LE INDISCREZIONI RACCOLTE DA STARTMAG
Anche Startmag ha raccolto, nei giorni scorsi, varie voci che parlano addirittura di un’uscita di Caio da Saipem, che potrebbe passare a guidare le controllate statali Invitalia (benché il favorito sia Bernardo Mattarella) o Sace (dove si è da poco dimesso l’ex-presidente Rodolfo Errore, andato nel gruppo Ludoil).
Secondo un analista del settore sentito da Startmag, “la linea di Caio è semplice: incolpa la precedente gestione. Eppure sotto Cao la società si era ripresa, durante un lungo periodo di prezzo basso del petrolio. Adesso, con la ripresa che oramai tira da due anni, dovrebbe essere più semplice”. Cao è Stefano Cao, predecessore di Caio: è stato amministratore delegato di Saipem dal 2015 al 2021.
COSA SUCCEDERÀ A SAIPEM
Il Messaggero scrive che Saipem si è rivolta alla banca d’investimento Rothschild per affrontare il nuovo allarme sugli utili. Si parla di risorse di equity fino a 1,5 miliardi di euro e di interventi sul debito (se ne parlerà al consiglio d’amministrazione del 23 febbraio).
Oltre agli aggiustamenti a livello manageriale che Eni e CDP Industria potrebbero effettuare, pare che anche le banche siano in attesa di conoscere i dati definitivi. Sembra che la ristrutturazione di Saipem riguarderà dei term loan e non un finanziamento da 1 miliardo a quindici banche.
COSA C’ENTRA TECHNIP
Il Messaggero scrive che, dietro pressioni del ministero delle Finanze (come registrato da Startmag a dicembre), Scannapieco ha deliberato “la partecipazione a un finanziamento in pool” da circa 2 miliardi a Technip Energies Italy, divisione italiana (ha sede a Roma) di Technip Energies, gruppo francese e con sedi nel Regno Unito e negli Stati Uniti che, come Saipem, opera nel settore dell’ingegneria petrolifera e gasiera.
Cassa depositi e prestiti ha tardato nella delibera perché, come ricostruito da Startmag, Scannapieco (già vicepresidente della Banca europea per gli investimenti) è stato uno dei precursori degli standard ESG per la finanza, ovvero quei criteri che “misurano” la sostenibilità ambientale, sociale e di governance di un investimento.
Il finanziamento di cui parla anche Il Messaggero riguarda un complesso di raffinazione di idrocarburi (dunque poco compatibile con la linea “verde” della CDP di Scannapieco) in Egitto, ad Asyut. Alla cerimonia di firma dell’accordo tra Technip Italy e le autorità egiziane, a luglio 2020, erano presenti anche l’ambasciatore italiano e i rappresentanti di CDP e di SACE (gruppo Cassa depositi e prestiti), che aveva garantito il progetto.
CDP avrebbe dovuto coprire la metà del prestito per il progetto, ma ha ridotto l’impegno al 30 per cento: a coprire il resto della quota è subentrata UniCredit.
I NUMERI DI TECHNIP ENERGIES ITALY
Technip Energies Italy ha sede a Roma, a viale Castello della Magliana. È attiva dal 1995, conta 1352 addetti (al 30 settembre scorso) e possiede un capitale sociale di 68.000.000,00 euro. È controllata interamente dalla francese Technip Energies. Presidente del consiglio d’amministrazione è Marco Villa.
A fine 2020 l’azienda aveva un attivo di 643.754.013 euro e debiti per 519.027.019 euro. Il valore della produzione ammontava a 728.234.343 euro, mentre il totale dei costi a 658.415.092.
COSA FANNO TECHNIP E SAIPEM
Technip, il ministero dell’Economia e SACE – oltre che in questo caso anche Saipem, in maniera diretta – sono tutti coinvolti in un altro grande progetto sulle energie fossili: il progetto Arctic LNG 2 in Russia sul gas liquefatto. Alla firma dei contratti, nel dicembre 2018 a Palazzo Chigi, era presente anche Luigi Di Maio, allora vicepresidente del Consiglio e ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro.
FONTE: https://www.startmag.it/economia/saipem-cdp-technip
EVENTO CULTURALE
Riconoscimento e Rimozione storica – Incontro dedicato al Giorno del Ricordo
mercoledì 9 febbraio ore 18,30
ISPG – Istituto Studi Politici Giorgio Galli
propone incontro in videoconferenza dedicato al Giorno del Ricordo:
Giorno del Ricordo 2022: Riconoscimento e Rimozione storica
Mercoledì 9 febbraio 2022 – ore 18,30
Introduce: Rossana B. Mondoni scrittrice, consigliere ISPG
Intervengono:
Luciano Garibaldi scrittore, giornalista, vice presidente ISPG
Mauro Tonino ricercatore storico e scrittore friulano
Marino Micich direttore Società di Studi Fiumani
Coordina: Vinicio Serino antropologo, consigliere ISPG
Il programma completo al seguente link:
Partecipazione libera e gratuita.
Richiedere credenziali di accesso alla mail:
istitutostudipoliticigg@gmail.
L’ISPG partecipa all’iniziativa promossa dall’Università degli Studi internazionale di Roma – UNINT del 10 febbraio 2022, ore 11
programma e modalità di partecipazione al link:
Giorno del ricordo. L’esempio di Norma Cossetto (unint.eu)
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PLAUTILLA BRICCI. LA RIVOLUZIONE SILENZIOSA DELLA PRIMA ARCHITETTRICE
Nel 2019 il bestseller storico L’architettrice della nota scrittrice Melania Gaia Mazzucco ha portato all’attenzione del grande pubblico la rivoluzionaria nonché misconosciuta figura dell’artista romana Plautilla Bricci (1616-post 1690), prima architettrice – neologismo usato dalla Bricci stessa e restituito dagli studi d’archivio – nell’Europa preindustriale.
Il romanzo, frutto di una ricerca ventennale, è la biografia romanzata della vita dell’artista nella Roma papalina della controriforma, e si inserisce nella scia di romanzi, saggi e raccolte biografiche volti alla riscoperta delle grandi personalità femminili e del contributo intellettuale, spesso marginalizzato e trascurato, che hanno dato alla storia e alla società.
Oggi la Galleria Corsini di Roma ha scelto di omaggiare Plautilla Bricci, rimarcandone l’eccezionalità professionale nel panorama storico-culturale dell’epoca, con la prima mostra monografica a lei dedicata, Una rivoluzione silenziosa. Plautilla Bricci pittrice e architettrice, a cura dello Storico dell’Arte Yuri Primarosa, visitabile fino al 19 aprile 2022.
L’esposizione, che raccoglie per la prima volta l’intero corpus grafico e pittorico dell’artista, si snoda attraverso le ricche sale della Galleria Corsini, unica quadreria del ‘700 romano rimasta inalterata, quasi a suggerire un dialogo ideale tra le opere della Bricci e quelle dei tanti artisti a lei contemporanei, che forse ebbe modo di conoscere.
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La Storia di Plautilla Bricci
Introdotta nell’ambiente artistico grazie a un padre illuminato, Giovanni Bricci, artista poliedrico ed eccentrico, Plautilla fu incoraggiata a fare della sua passione un lavoro e a ritagliarsi un ruolo di spicco nella vita culturale del paese, all’epoca dominata da uomini. Probabile frequentatrice dell’atelier del Cavalier d’Arpino, amico fraterno del padre, Plautilla ottenne le prime commissioni artistiche negli anni trenta.
La mostra di Palazzo Corsini ne ricostruisce l’iter artistico a partire dalle relazioni amicali e di sodalizio artistico con figure di rilievo che l’aiutarono ad affermarsi nella vita culturale della capitale, in primis l’abate Elpidio Benedetti (1609-1690), consigliere fidato del Cardinale Mazzarino, mecenate e appassionato d’arte, al quale fu legata da un rapporto di reciproca stima e amicizia, un’affinità elettiva che durò tutta la vita e la portò a mettere a punto nel 1660 assieme a lui l’ambizioso progetto, mai realizzato, per la scalinata di Trinità dei Monti.
In mostra anche la prima commessa pubblica affidata da Benedetti alla giovane artista, l’icona carmelitana raffigurante la Madonna col bambino (1640), dipinta per la Basilica di Santa Maria in Montesanto a Roma, fulgido esempio di pittura devozionale, genere pittorico prediletto da Plautilla, realizzata con uno stile volutamente arcaicizzante.
L’opera, a cui furono attribuite proprietà taumaturgiche, è legata a una leggenda che ebbe un risvolto importante nella vita della Bricci: si dice che l’artista, in difficoltà nell’ombreggiare il volto della Vergine, decise di riposarsi e al suo risveglio trovò l’opera completa e perfettamente rifinita. In virtù di tale miracolo Plautilla Bricci fece voto di castità, assicurandosi una notevole autonomia e mettendosi al riparo in un colpo solo dai pericoli di un matrimonio combinato e anche di una vita monastica, naturale conseguenza per le donne nubili.
Proseguendo nel percorso espositivo, il visitatore avrà modo di conoscere i capolavori della maturità dell’artista degli anni settanta, in primis la lunetta a tempera proveniente dai Musei Vaticani, raffigurante la Presentazione del Sacro Cuore di Gesù all’Eterno Padre (1672), e orgogliosamente firmato «Plautilla Briccia romana invenit e pinxit», e le due tele provenienti da Poggio Mirteto, lo Stendardo della Compagnia della Misericordia (1675), raffigurante la nascita e il martirio del Battista, e la Madonna del Rosario (1683-1687), entrambe restaurate e ripulite per l’occasione.
I capolavori architettonici: la Cappella Benedetti in San Luigi dei Francesi e la Villa del Vascello
Tra il 1676 e il 1680 Plautilla Bricci è attiva nella Chiesa barocca di San Luigi dei Francesi, ove dirige l’esecuzione della Cappella Benedetti, affianco alla più nota Cappella Contarelli, famosa per ospitare il ciclo pittorico del Caravaggio dedicato a San Matteo.
La cappella, dominata da un magniloquente altare barocco impreziosito da rilievi e sculture che ricordano l’arte del contemporaneo Bernini, presenta anche un’elegante tela di stampo classicista, San Luigi IX di Francia tra la Storia e la Fede (1676-1680), anch’essa esposta in mostra, ove il monarca francese viene raffigurato con effigi che incarnano poteri regali e spirituali, nonché come precursore ideale di Luigi XIV, di cui l’abate Benedetti era fermo sostenitore, nonché agente su suolo romano.
L’ultima sezione della mostra è dedicata a quello che probabilmente fu il capolavoro architettonico nonché il progetto più ambizioso di Plautilla Bricci, Villa Benedetta fuori Porta San Pancrazio, elegante struttura a tre piani nota come la Villa del Vascello, per la peculiarità della forma, simile a un vascello sopra uno scoglio.
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Plautilla Bricci, sempre su illuminata commissione dell’abate Benedetti, potè ricoprire un ruolo assolutamente inedito per una donna, dirigendo i lavori della fabbrica e lavorando fianco a fianco con artisti del calibro di Pietro da Cortona e Giovanni Francesco Grimaldi, che si occuparono del ciclo pittorico della villa.
Rovinosamente distrutta dalle cannonate dell’esercito francese nel 1849, oggi della Villa resta ben poco: un muro di cinta e la facciata d’ingresso sul Gianicolo, che consente comunque di farsi un’idea dell’eccentricità del progetto per via della superfice ondulata e delle false grotte, in linea con l’estetica barocca.
Il visitatore a Palazzo Corsini avrà dunque la preziosa opportunità di visionare i primi progetti del Vascello, esposti dopo un delicato intervento di restauro, per farsi un’idea della straordinaria inventiva di una donna che non ha avuto paura di reclamare spazi che le erano stati negati.
FONTE: https://www.frammentirivista.it/plautilla-bricci-la-rivoluzione-silenziosa-della-prima-architettrice/
GIUSTIZIA E NORME
Il Consiglio d’Europa stronca il Green pass: le motivazioni messe nero su bianco
Il Consiglio d’Europa (organizzazione con sede a Strasburgo, distinta dall’Ue, istituita nel 1949 dalla Convenzione europea dei diritti umani con 47 Paesi firmatari, tra cui l’Italia) dà una bella stoccata all’obbligo vaccinale e al Green pass, misure introdotte formalmente o surrettiziamente nella maggior parte dei Paesi europei tra cui l’Italia. Come racconta Stefano Valentino su Il Fatto Quotidiano, “un rapporto approvato a fine gennaio a larga maggioranza ha bocciato l’utilizzo delle certificazioni per punire i non vaccinati. Gli Stati vengono esortati a ‘informare i cittadini che nessuno deve farsi vaccinare se non lo vuole e a garantire che nessuno sarà discriminato se non è vaccinato’”.
Il testo, intitolato “Vaccini Covid-19: questioni etiche, legali e pratiche”, sostiene che il concetto di passaporto vaccinale (Green pass) è “contrario alla scienza”, in assenza di dati sull’efficacia dei vaccini nel ridurre la contagiosità e sulla durata dell’immunità acquisita. Questo testo, spiega ancora Il Fatto, “scredita di fatto i decreti dell’esecutivo di Mario Draghi che penalizzano i non vaccinati con divieti volti testualmente alla ‘prevenzione di SarsCov2’, ossia alla neutralizzazione di infezioni e contagi. I vaccini approvati dall’Ema si sono rivelati efficaci nel prevenire le forme gravi del Covid (ricoveri e decessi). Non impediscono invece al virus di infettare l’organismo e trasmettersi a terzi. È quanto emerge da trial clinici, bugiardini e studi condotti sulle varianti Delta e Omicron”. E quindi non dai no vax.
FONTE: https://www.ilparagone.it/attualita/consiglio-europa-stronca-green-pass/
Impugnare o non impugnare la sanzione di 100 euro per violazione dell’obbligo vaccinale?
Ricorso contro la multa di cento euro per gli over cinquanta non vaccinati: opportunità o trappola del governo?
Con la scelta di sanzionare con una multa di 100 euro chi non accetta di vaccinarsi il Governo ha deciso di inasprire la pressione nei confronti dei cittadini.
Inizialmente ho considerato tale sanzione un’opportunità. Visto che l’esecutivo ha previsto il ricorso al Giudice di Pace, contrariamente alle altre violazioni covid che passano prima per la fase innanzi alle Prefetture, stavolta si apre la possibilità di raggiungere la Corte Costituzionale con rapidità. Ovvero interessando i Giudici di Pace aumentano certamente le probabilità che almeno uno di loro sul territorio nazionale sollevi fin da subito l’eccezione di incostituzionalità dell’obbligo, così consentendo alla Corte di pronunciarsi sul tema per la prima volta.
Tuttavia, specialmente con la nomina di Amato a Presidente della Corte Costituzionale stessa, le cui prime dichiarazioni pubbliche hanno riguardato proprio l’importanza di riconoscere il ruolo della scienza, così già anticipando la sua posizione sul tema, ho iniziato ad avere un enorme dubbio.
Forse il Governo vuole proprio che la questione sia portata alla Corte per arrivare ad una sentenza che legittimi il proprio operato. Il vantaggio di sollevare la questione in riferimento alla multa di cento euro é chiaro: visto che la Corte non può trattare temi non collegati alla fattispecie in esame, la legittimità dell’obbligo sarebbe valutata scindendo tale azione dal ricatto lavorativo.
Questo agevolerebbe il lavoro di Amato, che dovrebbe effettivamente indurre i colleghi a passare sopra i dati su efficacia ed effetti collaterali connessi al trattamento imposto (cosa comunque non semplice visti i precedenti degli anni novanta e i dati attuali), ma quantomeno non dovrebbe motivare sul perché sia lecito vietare ogni lavoro, togliendo ogni forma di sostentamento, a chi non si é vaccinato.
Ovvio che poi un’eventuale sentenza favorevole sulla questione multa sarebbe in ogni caso spesa dall’esecutivo per legittimare tutto il resto, mettendosi così anche al riparo dalle centinaia di migliaia di denunce per violenza privata che gli italiani hanno depositato in questi giorni proprio in merito al ricatto lavorativo.
A rafforzare questa ipotesi anche il fatto che per un over cinquanta che non svolge alcun lavoro la sanzione una tantum di cento euro non rappresenterebbe un motivo sufficiente per accettare il trattamento sanitario.
Insomma impugnare potrebbe essere un boomerang e allora l’opzione migliore da valutare diventerebbe quella di non pagare le sanzioni e attendere.
Attendere cosa? O un intervento della Consulta sul ricatto lavorativo che stiamo in tutti modi cercando di provocare con le numerose cause in corso, oppure l’affermazione di un partito “no pass” come Italexit che certamente cancellerebbe ogni sanzione emessa in virtù delle illecite “norme covid” come primo atto di governo.
FONTE: https://www.ilparagone.it/attualita/impugnare-o-non-impugnare-la-sanzione-di-100-euro-per-violazione-dellobbligo-vaccinale/
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Va restituito lo stipendio al no vax sospeso
- Retribuzione al dipendente pubblico no vax
- Dipendente pubblico sospeso dal servizio e dalla retribuzione
- La privazione della retribuzione provoca danni gravi e irreparabili
Retribuzione al dipendente pubblico no vax
Il TAR del Lazio con decreto n. 726/2022 (sotto allegato) accoglie il ricorso di un dipendente pubblico, sospeso dal lavoro e dalla retribuzione per violazione degli obblighi in materia di obbligo vaccinale e certificazione verde. Sospendere la retribuzione, unica forma di sostentamento di vita, presenta infatti profili di dannosità grave e irreparabile. Accolta quindi l’istanza cautelare. Il giudizio prosegue per la trattazione collegiale.
Alle stesse conclusioni il Tar Lazio è giunto con i decreti n. 721/2022 e 724/2022 (sotto allegati)
Dipendente pubblico sospeso dal servizio e dalla retribuzione
Un lavoratore ricorre al TAR del Lazio contro il Ministero della Giustizia per chiedere l’annullamento, in primis, del provvedimento del 4 gennaio 2022 che gli è stato notificato lo stesso giorno e con il quale è stata disposta la sua sospensione immediata dal servizio e dalla retribuzione fino alla comunicazione dell’avvio del primo ciclo vaccinale o della somministrazione della dose di richiamo e, in ogni caso non oltre il termine di 6 mesi, a partire dal 15 dicembre 2021, come previsto dall’art. 2, comma 3 del dl n. 172/2021.
Chiede quindi anche l’annullamento di tutta un’altra serie di provvedimenti che impongono la certificazione verde a certe categorie di lavoratori e di tutti gli atti presupposti, collegati, antecedenti e posteriori, con condanna altresì dell’Amministrazione al risarcimento dei danni subiti e subendi.
La privazione della retribuzione provoca danni gravi e irreparabili
Il TAR del Lazio accoglie l’istanza cautelare avanzata in quanto la sospensione della retribuzione e quindi della principale fonte di sostentamento di vita produce in effetti un pregiudizio grave ed irreparabile, poiché tuttavia vengono sollevate anche questioni relativi a profili di illegittimità costituzionale delle norme che impongono la certificazione vaccinale a certe categorie di lavoratori pubblici, viene fissata udienza per la trattazione collegiale in data 25 febbraio 2022.
Scarica pdf Tar Lazio n. 726/2022
Scarica pdf Tar Lazio decreto n. 721-2022
Tar Lazio decreto n. 724-2022.pdf
FONTE: Va restituito lo stipendio al no vax sospeso https://www.studiocataldi.it/articoli/43804-va-restituito-lo-stipendio-al-no-vax-sospeso.asp#ixzz7KHeL2gfs
(www.StudioCataldi.it)
PANORAMA INTERNAZIONALE
La condanna della dottrina Cebrowski non cambia nulla
Per un anno, Washington ha discusso la dottrina Rumsfeld/Cebrowski di distruggere le strutture statali per concludere che aveva portato al disastro in Iraq. Ma questo non ha cambiato nulla. Il vicepresidente Dick Cheney ha perseguito il suo piano per annientare l’Iran che ha portato a scaramucce in Libano e Georgia. Per voltare pagina sordida dei mandati di George W. Bush e della generalizzazione della tortura, il Deep State organizza l’elezione di Barack Obama. D’ora in poi si parlerà del colore della pelle del presidente, più della sua politica.
Questo articolo è tratto dal libro Under Our Eyes .
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LA COMMISSIONE BAKER/HAMILTON
In Iraq le cose stanno andando di male in peggio. Il governo provvisorio succeduto all’Autorità provvisoria non è riuscito a stabilizzare il paese. Una volta dissipato l’effetto “shock e stupore” dei bombardamenti alleati, la popolazione si è svegliata e si è accorta del saccheggio e della distruzione operati dall’Autorità Provvisoria. Fin dai primi giorni, gli Stati Uniti hanno bruciato gli archivi e la biblioteca nazionale. Dapprima depredarono quelli dei musei nazionali i cui tesori non erano stati nascosti in tempo. Hanno metodicamente privatizzato l’economia socialista del paese a proprio vantaggio, con l’aiuto dei “loro” specialisti come l’ex presidente bulgaro Petar Stoyanov o l’ex primo ministro russo Yegor Gaidar.
Ovunque i soldati smobilitati dall’occupazione statunitense si stanno riorganizzando e si stanno ribellando contro di lui. Per vincere la rabbia degli iracheni, l’ambasciatore americano, John Negroponte, decide di spezzare la loro unità e provocarli a lacerarsi a vicenda. Con il supporto del suo vecchio amico Elliot Abrams e Liz Cheney a Washington, ha quindi creato un gruppo sunnita responsabile dell’attacco agli sciiti e un gruppo sciita responsabile del massacro dei sunniti. Negroponte era già diventato Direttore della National Intelligence per gli Stati Uniti quando iniziò la Guerra Civile. La discesa agli inferi inizia con il gigantesco attacco contro la moschea sciita Al-Askari di Samarra il 22 febbraio 2006, che ha ucciso più di mille persone. Sebbene non sia rivendicato, è generalmente attribuito all’Emirato islamico in Iraq, il futuro Daesh.
In termini concreti, i risultati di questa guerra possono essere riassunti come segue: il presidente Saddam Hussein è stato rovesciato con falsi pretesti; il paese è stato metodicamente saccheggiato dagli uomini responsabili del colpo di stato dell’11 settembre; e nonostante la presenza di 170.000 GI e diverse migliaia di miliardi di dollari investiti, il Paese è nella morsa di una guerra civile tanto atroce quanto artificiale.
La classe dirigente di Washington è divisa sul fatto che abbiano ottenuto un pezzo della torta o siano stati costretti a pagare per l’operazione. Alla fine, il Congresso ha deciso di creare una commissione bipartita incaricata di trovare una via d’uscita dall’avventura irachena. È co-presieduto da due personalità ritenute neutrali dai due gruppi: il repubblicano James Baker e il democratico Lee Hamilton. Il primo è stato Segretario di Stato, poi consulente del fondo di investimento Carlyle Group che gestiva i beni delle famiglie Bush e bin Laden; il secondo è stato il relatore sulle riserve petrolifere in Medio Oriente, poi vicepresidente della commissione presidenziale d’inchiesta sull’11 settembre.
Per quasi un anno, la Commissione Baker/Hamilton ha esaminato non solo l’Iraq, ma l’intera politica mediorientale degli Stati Uniti e in particolare Libano, Siria e Iran. Il 6 dicembre 2006 è giunta alla conclusione che il progetto di guerre successive contro tutti gli Stati della regione deve essere abbandonato (dottrina Rumsfeld/Czebrowski) e, al contrario, negoziare un ritorno alla pace con la Siria e l’Iran [ 1 ] .
Durante il procedimento della Commissione, Cheney e Rumsfeld hanno fatto pressioni sui militari affinché affrettassero la guerra contro l’Iran ei suoi alleati sciiti. Tentano di attivarlo più volte prima che il rapporto venga consegnato. Diversi alti ufficiali, lasciando la riserva loro imposta, hanno accusato Rumsfeld di non essere l’uomo per il lavoro e hanno chiesto pubblicamente le sue dimissioni. I soldati trovano evidente sostegno nell’opinione pubblica, consapevole della situazione disastrosa in Iraq. Alla fine, durante la sua sconfitta elettorale alle elezioni di medio termine, il presidente George Bush Jr ha deciso di licenziare l’eterno Rumsfeld (74 anni) e di sostituirlo con un membro della Commissione Baker/Hamilton. Baker volendo mantenere il suo status di “saggio neutrale”, sarà il repubblicano Robert Gates, ex direttore della CIA.
Per tutto il 2007, gli uomini dell’11 settembre hanno tentato scherzi sporchi. Discretamente, i contingenti spagnolo, francese e italiano della Forza di interposizione delle Nazioni Unite tra Israele e Libano sono sotto il comando della NATO. Dopo l’assassinio di Rafic Hariri e la guerra israeliana, ci avviamo verso un terzo round a Beirut. Contemporaneamente, sei bombe atomiche vengono spostate illegalmente dalla base di Minot alla base di Barksdale, e sono pronte per andare in Medio Oriente [ 2 ] . All’ultimo momento, l’operazione viene annullata. Un satellite spia che controlla l’autodistruzione del Medio Oriente. I suoi resti cadono in Perù.
Infine, il direttore dell’intelligence nazionale, il vice ammiraglio John Michael McConnell, pubblica un documento riservato secondo il quale l’Iran ha interrotto il suo programma nucleare civile per diversi anni, almeno per quattro anni. In questo modo impedisce a Dick Cheney di ripetere il colpo delle armi di distruzione di massa che gli avevano permesso di giustificare l’attacco all’Iraq. I generali si stanno ribellando all’amministrazione Bush e la fanno conoscere.
LA GUERRA CONTRO GLI SCIITI NON AVRÀ LUOGO IN LIBANO
Il capo del Comando Centrale – sovrintendente alle guerre in Afghanistan e Iraq – l’ammiraglio William Fallon, è un veterano del Vietnam. È perfettamente consapevole che le sue truppe sono esauste e che non saranno in grado di condurre una contro-guerriglia contro la Resistenza irachena e una guerra contro l’Iran allo stesso tempo. Utilizzando i rapporti che aveva instaurato durante la sua carriera, ha preso contatti con personalità iraniane e ha negoziato con la Repubblica islamica alla presenza di rappresentanti russi e cinesi. Il 2 marzo 2008 ha incontrato segretamente il presidente Mahmoud Ahmadinejad a Baghdad. I due uomini riescono a trovare un terreno comune. L’Iran è pronto a ritirare i suoi commando dalle aree sensibili del Grande Medio Oriente (Afghanistan e Iraq, Bahrain e Libano, ecc.) se gli Stati Uniti faranno lo stesso.
Furioso, Dick Cheney rinnega l’ammiraglio. Tradito dalla sua famiglia, Fallon si dimette. Teheran ha reagito fornendo massicciamente armi alla Resistenza irachena, libanese e palestinese.
Esulta il comandante delle forze Usa in Iraq, il generale David Petraeus. Sostituisce l’ammiraglio Fallon come capo di CentCom e inonda la stampa con la sua versione degli eventi in Iraq. Assicura a chiunque ascolti che l’aumento del suo numero (” l’impennata “) gli ha permesso di dominare la Resistenza e che le cose stanno per normalizzarsi.
La realtà è ben diversa. I mercenari di John Negroponte sono infatti riusciti a contrapporre gli sciiti ai sunniti e viceversa, ma se i gruppi armati si combattono l’uno contro l’altro, la popolazione non sta realmente partecipando a questa guerra civile. A poco a poco, le persone si rendono conto di essere vittime di manipolazioni. Decine di migliaia di giovani disoccupati a loro volta sono entrati in resistenza contro l’Occupazione.
Il generale Petraeus, consigliato dall’esperto australiano David Kilcullen, decide di tornare e pagarne 80.000 (10 dollari al giorno). La stragrande maggioranza delle operazioni anti-americane cessa quindi, anche se è ovvio che quando cesserà il pagamento, gli 80.000 “collaboratori” delle forze di occupazione si rivolteranno contro di loro, e questa volta con le armi che il Pentagono ha appena consegnato loro. Indipendentemente da ciò, Petraeus vuole solo risparmiare tempo; tempo per firmare contratti leonini per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi e per ottenere l’immunità legale per le sue truppe e il mantenimento ad aeternam delle sue basi militari.
Petraeus si presenta oggi come uno dei massimi esperti di antiterrorismo, a dir poco usurpato. È un generale di sala che ha fatto carriera servendo come collegamento tra il Pentagono e il Congresso, non sul campo di battaglia. Inoltre, ha trascorso la maggior parte del suo tempo in Iraq abusando di bambine piuttosto che risolvere qualsiasi cosa.
Comunque sia, il segretario alla Difesa, Robert Gates, chiede una tregua di un anno tra i due gruppi che stanno dividendo il Pentagono e, da lì, una sospensione degli interventi statunitensi nel mondo.
Gli uomini dell’11 settembre tollerano, ma non si arrendono. Dal momento che non possono strumentare gli eserciti americani, si rivolgono agli inglesi e agli israeliani. Questi ultimi sono pronti a vendicarsi da un lato di Hezbollah e della Siria e, dall’altro, a compiere un raid in Iran come fecero nel 1981 su un reattore atomico iracheno.
Tuttavia, i loro bombardieri non hanno una portata sufficiente. Londra si offrì quindi di fornire loro aeroporti più vicini, in Georgia. Il presidente Mikheil Saakashvili accetta di affittare due basi militari a Israele. Gli inglesi installano uno dei loro cittadini nel suo governo, mentre gli israeliani mettono uno di loro, David Kézerachvili, come ministro della Difesa.
Nel frattempo, in Libano, il primo ministro Fouad Siniora sta cercando di interrompere le comunicazioni interne della Resistenza e i trasporti tra Hezbollah e l’Iran per facilitare il prossimo attacco israeliano al suo paese. Siniora è l’ex contabile della famiglia Hariri e notoriamente un agente dei servizi segreti giordani. Dà istruzioni per sabotare la rete telefonica terrestre che Hezbollah ei suoi alleati hanno acquisito con l’aiuto di ingegneri iraniani. La Resistenza sarà quindi costretta a utilizzare il telefono fisso dello Stato o una delle tre reti mobili, tutte controllate dal nemico israeliano. Inoltre, sottrae a Hezbollah la pista di atterraggio che l’aeroporto di Beirut gli ha messo a disposizione per mantenere un ponte aereo con Teheran. Molti aerei operano una rotazione lì per inviare giovani libanesi ad addestrarsi con le Guardie Rivoluzionarie e la milizia Bassijis. Questi inviano in cambio un consistente arsenale, inclusi innumerevoli missili.
Hassan Nasrallah, segretario generale di Hezbollah, chiede al Primo Ministro di ritirare queste istruzioni che definisce una “dichiarazione di guerra”. Questo li mantiene, mentre si prepara una nuova guerra contro Libano, Siria e Iran. Il 7 maggio 2008, Hezbollah ha invaso gli edifici governativi e le case private dei funzionari. In poche ore, i servizi di sicurezza dello stato sono stati disarmati e Hezbollah ha trionfato. Più discretamente, le truppe d’élite del Partito di Dio attaccano un bunker situato sotto l’ex quartier generale della Future Television(di proprietà della famiglia Hariri). Ospita il centro operativo delle forze britanniche, americane, israeliane e giordane. Gli ufficiali stranieri riescono a fuggire attraverso un passaggio sotterraneo e raggiungono la spiaggia. I gommoni li portano al largo dove vengono prelevati da una nave statunitense. Avendo preservato la Resistenza, Hezbollah si ritirò.
Questa vittoria lampo porterà all’accordo di Doha. La Coalizione del 14 marzo, unita attorno alla famiglia Hariri, sta negoziando per mantenerlo al governo, mentre Hezbollah non si preoccupa e chiede piena libertà per difendere il Paese.
Se l’annientamento di Hezbollah dovrà aspettare, quello dell’Iran è in corso.
LA GUERRA FALLITA CONTRO L’IRAN
Nel Caucaso, convinto che il sistema che ha concesso all’Occidente lo protegga, il presidente Saakashvili prende l’iniziativa di attaccare l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia. Questi due stati, uniti alla Georgia durante l’era sovietica, si dichiararono indipendenti allo scioglimento dell’URSS, senza essere riconosciuti dalla comunità internazionale. Sapendo che la maggior parte degli osseti e degli abkhazi ha la doppia nazionalità russa, il presidente Dmitry Medvedev autorizza le sue truppe a intervenire. Il suo primo ministro, Vladimir Poutine, assume la direzione delle operazioni. Con sorpresa di tutti, iniziò bombardando le due basi militari prese in affitto da Israele, mettendo a terra i loro aerei, poi attaccò l’esercito georgiano.
I media occidentali ignorano la presenza di Israele e la questione iraniana. Assicurano che l’esercito russo è totalmente obsoleto. Secondo loro, è stata in grado di vincere solo perché la Georgia non era attrezzata. Forse. Forse no. La Russia, che tutti credevano devastata dalla dissoluzione dell’URSS e dai saccheggi dell’era di Eltsin, è in via di ripresa.
Nessuno dei due campi americani interessati a rivelare l’accaduto, Washington ha chiesto al suo agente francese, Nicolas Sarkozy, di “negoziare” la pace. In realtà non c’è niente da negoziare: la Georgia ha sbagliato e ha perso. Israele non è in grado di spiegare la sua presenza.
Sarkozy va pancia a terra a Mosca per incontrare il presidente Medvedev. Durante il suo viaggio, proveniente dall’aeroporto, osserva un’ampia campagna di affissioni della rivista Profile . Il suo ritratto appare in copertina, chiede al suo ambasciatore di conoscerne il contenuto. Questo è uno studio che avevo scritto sulla base dei legami familiari del Presidente con uno dei tre fondatori della CIA [ 3 ]. Arrivato al Cremlino, Sarkozy viene ricevuto dalla sua controparte. Ma non appena i due uomini si sono seduti, la porta si riapre ed entra il primo ministro Vladimir Putin. Quando Sarkozy cerca di stabilire le sue condizioni, Putin, senza dire una parola, gli pone davanti sul tavolo una copia della rivista, girando la copertina verso il francese, come racconterà in seguito. In definitiva, è quindi Sarkozy ad accettare le condizioni russe, suscitando la rabbia dei suoi partner centroeuropei.
TERRORE DI STATO
Durante i suoi due mandati, George W. Bush ha terrorizzato il mondo musulmano. Non solo ha sostenuto il rimodellamento dei confini del Grande Medio Oriente in modo che non rimanesse nessuno stato con più di 10 milioni di abitanti, non solo ha attaccato l’Afghanistan e l’Iraq uccidendo almeno 3 milioni di innocenti, ma ha anche sottoposto almeno 80.000 musulmani torturare.
A differenza dei programmi TV e dei film di Hollywood, la tortura non è mai stata efficace quando si tratta di informazioni affidabili. Si tratta, tuttavia, di una modalità di governo immemorabile. Lei è deterrente.
Nell’antichità e nel medioevo questa pratica barbara non veniva usata per pretendere informazioni, ma per costringere i condannati a firmare le confessioni che erano state preparate per loro. Durante la seconda guerra mondiale, i nazisti ricorsero alla tortura su vasta scala. Hanno ottenuto solo informazioni accessorie in questo modo. I loro veri interrogatori, secondo le istruzioni di Hanns Scharff, non hanno praticato violenza e hanno invece ottenuto ogni tipo di informazione affidabile. I loro aguzzini terrorizzavano le popolazioni, assicurandone il potere, ma suscitando così la Resistenza che le sconfisse.
Il vicepresidente Dick Cheney ha tenuto una dozzina di incontri alla Casa Bianca per decidere quali tecniche sarebbero state usate contro i musulmani. Il consigliere per la sicurezza nazionale Condoleezza Rice, il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, il segretario di Stato Colin Powell, il procuratore generale John Aschcroft e il direttore della CIA George Tenet hanno partecipato e hanno parlato degli esperimenti condotti davanti ai loro occhi.
Pochissimi dittatori si sono piegati a tali pratiche, nemmeno il cancelliere Hitler. Tanto che John Ascroft finisce per rifiutarsi di venire a questi incontri dichiarando: “La storia non ci perdonerà per quello che abbiamo fatto”.
Se l’opinione pubblica occidentale ha sentito parlare della base di Guantanamo, di Abu Ghraib in Iraq e delle prigioni segrete della CIA, non è stata informata delle prigioni della Marina nelle stive delle navi da guerra che navigano in acque internazionali. 17 di queste prigioni galleggianti sono state identificate: USS Bataan, USS Peleliu, USS Ashland, USNS Stockham, USNS Watson, USNS Watkins, USNS Sister, USNS Charlton, USNS Pomeroy, USNS Red Cloud, USNS Soderman, USNS Dahl, MV PFC William B Baugh, MV Alex Bonnyman, MV Franklin J. Phillips, MV Louis J. Huage Jr, MV James Anderson Jr. da rilasciare e rimandare nel loro paese.
Nessuno può essere sorpreso dopo che alcuni parenti di queste vittime manifestino un odio per l’Occidente e si impegnino senza pensare in nessun gruppo che afferma di ribellarsi contro di esso.
Il colonnello Lawrence Wilkerson, capo di stato maggiore di Colin Powell, ha dichiarato in una testimonianza scritta durante un processo a Guantánamo che l’amministrazione era ben consapevole del fatto che la maggior parte delle persone detenute lì non aveva alcun legame con il terrorismo.
Quanto alla tortura, i sei leader “democratici” di cui sopra hanno deciso di mettere alla prova le teorie del professor Martin Seligman sulla possibilità, non di ottenere informazioni, ma di inculcare un comportamento [ 4 ] .
pendente
sullo studio della tortura cinese durante la guerra di Corea del professor Albert D. Biderman della Rand Corporation,
sulle pratiche della CIA durante la Guerra Fredda alla Political Warfare Cadres Academy (Taiwan) e alla School of Americas (Panama) – esposte nel manuale di Kubark –,
sugli esperimenti di controllo mentale del Progetto MK-Ultra della CIA,
e sullo studio della “mente araba” (sic) del professor Raphael Patai,
l’ex presidente dell’American Psychological Association, Martin Seligman, ha ideato un metodo volto a spezzare la personalità degli individui (teoria dell'”impotenza appresa”) e creane uno nuovo per loro.
Nessun media occidentale ha raccolto le informazioni che ho pubblicato sull’argomento in Russia nel 2009. Bisognerà aspettare che gli psicologi americani traducessero il mio articolo – subito smentito dal professor Seligman –, che la loro associazione aprisse un’indagine, e soprattutto tutto quel rapporto della senatrice Diane Feinstein su 119 casi di prigionieri della CIA, così che finalmente scoppi lo scandalo.
Per inciso, Diane Feinstein stabilisce che, a parte le urla dei torturati, gli Stati Uniti non hanno mai raccolto una confessione che colleghi gli attentati dell’11 settembre ad Al-Qaeda [ 5 ] . Ha anche implicato due studenti di Seligman, che hanno mostrato un raro sadismo durante la supervisione di “ampi interrogatori”, Bruce Jensen e il vescovo mormone James Mitchell.
LA PRESIDENZA OBAMA
È in questo contesto che si è verificata la crisi dei mutui subprime e il crollo finanziario che ne è derivato. Il 15 settembre 2008 la banca Lehman Brothers è crollata nonostante un fatturato annuo di 46,7 miliardi di dollari. Il contraccolpo colpisce l’intero sistema finanziario globale. A dire il vero, questo fallimento e quelli che ne sono seguiti avevano solo pochi legami con l’attività economica reale, ma hanno sconvolto l’intero settore bancario. Sono un’opportunità per le amministrazioni Bush e Obama di prosciugare il tesoro nazionale e salvare i loro donatori.
Gli Stati Uniti devono assolutamente ridurre drasticamente il proprio stile di vita e fare giganteschi tagli al budget. Le guerre aspetteranno.
Fu allora che finirono i due mandati di George W. Bush e fu eletto il candidato democratico, Barack Obama. Se la stampa internazionale ha ritenuto che il presidente Bush fosse troppo stupido per governare e che il suo vicepresidente lavorasse dietro le quinte, non ha ammesso che Dick Cheney non fosse solo questo vicepresidente ma anche uno dei membri del “governo di continuità” .che ha organizzato il colpo di stato dell’11 settembre. Quindi farà finta di credere che il potere risieda nella Casa Bianca e che Obama sarà un vero presidente.
La mentalità americana si adatta facilmente a “ripulire il passato”. Pertanto, quando un imprenditore fallisce, si accontenta di dichiarare fallimento senza pagare i suoi creditori. Mentre in Europa è processato e generalmente condannato al divieto di esercitare il management, negli Stati Uniti può creare immediatamente un’altra società e continuare la sua attività. Allo stesso modo, in ogni elezione presidenziale – esclusa quella di Donald Trump – il nuovo Presidente non si presenta come responsabile dei crimini commessi dai suoi predecessori. Barack Obama eccelle in questo registro. Si impegna senza ridere a ridurre unilateralmente gli arsenali nucleari e portare alla pace nel mondo, sollevando fragorosi applausi e ricevendo in anticipo il Premio Nobel per la pace. Nello stesso registro, La propaganda atlantista celebra il colore della propria pelle come segno della fine del razzismo e del trionfo dell’uguaglianza. Infatti, sotto i suoi mandati, le associazioni dei suprematisti bianchi brumeranno e la polizia prenderà l’abitudine di uccidere i neri senza essere perseguita.
Barack Obama è figlio di un americano e di un keniota. È stato cresciuto dal secondo marito di sua madre, l’indonesiano Lolo Soetoro, e poi da sua nonna materna, Madelyn Dunham. Suo padre e suo patrigno erano studenti dell’East-West Center delle Hawaii, l’equivalente statunitense della Patrice Lumumba Peoples’ Friendship University russa. Sua madre e suo patrigno lavoravano per la CIA in Indonesia al tempo del colpo di stato di Soeharto. Sua nonna materna gestiva conti della CIA in Estremo Oriente presso la Bank of Hawaii a Honolulu . Eletto senatore dell’Illinois, ha girato l’Africa per la CIA sotto la copertura della sua responsabilità parlamentare [ 7 ]. Il lancio della sua campagna elettorale presidenziale è finanziato dal miliardario iracheno-britannico Sir Nadhmi Auchi, vicino al primo ministro Tony Blair e all’MI6. Finanziando Obama, Auchi apparentemente agiva per conto della Corona d’Inghilterra. Divenuto presidente, Barack Obama sceglierà di comporre la sua prima amministrazione molti membri della segretissima Pilgrim’s Society, l’associazione anglo-americana presieduta dalla regina Elisabetta II.
Si scopre che, con ogni probabilità, Barack Obama non è nato cittadino americano alle Hawaii, ma suddito della Corona britannica in Kenya, cosa che avrebbe dovuto impedirgli di essere eletto presidente secondo la Costituzione. In ogni caso la nonna ha testimoniato di aver assistito alla sua nascita in Africa, ma forse l’ha confusa con un altro dei suoi nipoti. I registri hawaiani non hanno conservato il registro della sua nascita, ma senza dubbio sono stati archiviati in modo improprio. La Segreteria di Stato gli concesse una borsa di studio come studente straniero, ma forse aveva imbrogliato per beneficiarne. Successivamente, il servizio stampa della Casa Bianca pubblicherà una copia del suo certificato di nascita, che però risulta essere falso. Un movimento marginale si sta sviluppando per sfidarne la legittimità.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article213729.html
L’Europa in trincea contro il nemico inventato
La Nato, ignorando le richieste di garanzia di pace della Russia, è riuscita a trasformare questo Paese in un aggressore. Sta mobilitando tutti gli eserciti dei Paesi membri e ha iniziato una gigantesca esercitazione navale nel Mediterraneo, proprio mentre la Russia ne avvia una annunciata da tempo.
Il Dipartimento di Stato, «quale misura precauzionale contro una possibile invasione russa dell’Ucraina», ha ordinato l’evacuazione dei familiari e di una parte del personale dall’Ambasciata Usa a Kiev, che con 900 funzionari è tra le maggiori in Europa, e ha elevato a livello 4 di rischio, il massimo, l’avvertimento ai cittadini statunitensi di non andare in Ucraina. Subito dopo il Foreign Office ha annunciato, con la stessa motivazione, il ritiro del personale dall’Ambasciata britannica a Kiev. Queste operazioni di guerra psicologica, miranti a creare allarme su una imminente invasione russa dell’Ucraina e delle tre repubbliche baltiche, preparano una ulteriore e ancora più pericolosa escalation Usa-Nato contro la Russia.
La Casa Bianca ha annunciato che il presidente Biden sta considerando di «dispiegare diverse migliaia di soldati Usa, navi da guerra e aerei nei paesi Nato del Baltico e dell’Europa Orientale». Si prevede che inizialmente arriveranno 5.500 soldati Usa che, unendosi ai 4.000 già in Polonia e seguiti da altre migliaia, estenderanno al Baltico il loro schieramento permanente, come ha richiesto la Lettonia. Speciali convogli ferroviari stanno già trasportando carrarmati Usa dalla Polonia all’Ucraina, le cui forze armate sono da anni addestrate, e di fatto comandate, da centinaia di consiglieri militari e istruttori Usa affiancati da altri della Nato. Washington, che l’anno scorso ha fornito a Kiev armi per l’ammontare ufficiale di 650 milioni di dollari, ha autorizzato Estonia, Lettonia e Lituania a trasferire all’Ucraina armamenti Usa in loro possesso, in particolare missili Javelin. Altri armamenti sono forniti dalla Gran Bretagna e dalla Repubblica Ceca.
La Nato comunica che i paesi europei dell’Alleanza stanno mettendo le loro forze armate in stato di prontezza operativa e inviando altre navi da guerra e aerei da combattimento agli schieramenti in Europa Orientale. L’Italia, con i cacciabombardieri Eurofighter, ha preso il comando della missione Nato di «polizia aerea potenziata» in Romania. La Francia è pronta a inviare truppe in Romania sotto comando Nato. La Spagna sta inviando navi da guerra nelle forze navali Nato e cacciabombardieri in Bulgaria. L’Olanda si prepara a inviare caccia F-35 in Bulgaria. La Danimarca invia caccia F-16 in Lituania. Ieri è iniziata nel Mediterraneo la grande esercitazione navale Nato Neptune Strike ’22 sotto il comando del viceammiraglio Eugene Black, comandante della Sesta Flotta con quartier generale a Napoli Capodichino e base a Gaeta. All’esercitazione, che dura 12 giorni, partecipa la portaerei nucleare Usa Harry Truman col suo gruppo di battaglia, comprendente 5 unità lanciamissili pronte all’attacco nucleare per «rassicurare gli Alleati europei soprattutto sul fronte orientale minacciato dalla Russia».
Subito dopo la Nato Neptune Strike ’22, si svolgerà in febbraio l’esercitazione Mission Clemenceau 22 che vedrà impegnate, in una «Operazione di tre portaerei», la francese Charles de Gaulle a propulsione nucleare col suo gruppo di battaglia, comprendente anche un sottomarino da attacco nucleare, che entrerà nell’Adriatico; la Harry Truman col suo gruppo di battaglia e la portaerei italiana Cavour con a bordo gli F-35. Anche questa esercitazione, ovviamente, è diretta contro la Russia.
Mentre la Nato intima alla Russia di «de-escalare», avvertendola che «qualsiasi ulteriore aggressione comporterà un alto costo per Mosca», i ministri degli Esteri dell’Unione Europea (per l’Italia Pietro Benassi in sostituzione di Luigi Di Maio) – riuniti a Bruxelles e collegati in teleconferenza col segretario di stato Usa Blinken – hanno decretato ieri altre misure contro la Russia. L’Unione Europea dei 27, di cui 21 appartengono alla Nato sotto comando Usa, riecheggia l’avvertimento Nato alla Russia, dichiarando che «qualsiasi ulteriore aggressione militare contro l’Ucraina avrebbe pesantissime conseguenze per la Russia». In tal modo la UE partecipa alla strategia della tensione, attraverso cui gli Usa creano fratture in Europa per mantenerla sotto la loro influenza.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article215425.html
ESCALATION DELLE TENSIONI
Washington e Londra colpite da sordità
Gli Stati Uniti hanno finalmente risposto alla proposta russa di un Trattato a garanzia della pace, ma solo per rifiutarsi di discutere le argomentazioni del Cremlino. Contestualmente hanno organizzato una vasta campagna mediatica in cui si accusa la Russia di preparare l’invasione dell’Ucraina a febbraio. Kiev ha risolutamente smentito. Una mescolanza d’isteria e confusione si propaga nella Nato, sicché Londra ne approfitta per ridestare le reti stay-behind. Nel frattempo l’asse russo-cinese si rafforza.
Questo articolo è il seguito di:
1. «La Russia vuole costringere gli USA a rispettare la Carta delle Nazioni Unite», 4 gennaio 2022.
2. «In Kazakistan Washington porta avanti il piano della RAND, poi toccherà alla Transnistria», 11 gennaio 2022.
3. «Washington rifiuta di ascoltare Russia e Cina», 18 gennaio 2022.
La proposta russa agli Stati Uniti di un Trattato bilaterale che fissi garanzie a tutela della sicurezza, resa pubblica dal Cremlino il 17 dicembre 2021, ha ricevuto una duplice risposta dagli Stati Uniti e dalla Nato il 26 gennaio 2022, ossia dopo un mese e mezzo.
La proposta russa prevede che entrambi i Paesi rispettino la Carta delle Nazioni Unite e che Washington rispetti altresì l’impegno verbale di non estendere la Nato oltre la linea Oder-Neiße, che separa Germania e Polonia.
La risposta statunitense è segreta, ma il segretario di Stato Antony Blinken ha garantito che Washington rifiuta qualsiasi limitazione all’allargamento della Nato. Il ministro della Difesa britannico Ben Wallace si è spinto oltre, dichiarando alla Camera dei Comuni: «Molte nazioni sono entrate nell’Alleanza non perché la Nato le abbia obbligate, ma per libera scelta dei governi e dei popoli».
Il ministro degli Esteri russo, Sergueï Lavrov, ha ricordato che Stati Uniti, Regno Unito e tutti gli Stati membri dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) sono firmatari della Dichiarazione di Istanbul del 1999 e di Astana del 2010. Due documenti firmati da 57 capi di Stato e di governo che sanciscono due principi:
1. Ogni Paese è libero di aderire a un’alleanza militare di propria scelta;
2. Ogni Paese ha l’obbligo di non rafforzare la propria sicurezza a danno di quella degli altri.
Ebbene, non v’è dubbio che l’adesione alla Nato di Paesi ex membri del Patto di Varsavia e la conseguente installazione sul loro territorio di armi statunitensi minacci la sicurezza della Russia.
L’osservazione di Ben Wallace è fattualmente falsa. Basti ricordare il referendum del 30 settembre 2018 sull’adesione della Macedonia del Nord alla Nato: il 91,46% dei votanti ha risposto “sì”, ma rappresentavano solo il 33,75% degli elettori. Inoltre nessuna adesione alla Nato è valida fino a quando la candidatura non è accettata da ogni Stato membro dell’organizzazione.
La risposta della Nato, anch’essa segreta, è stata spiegata dal segretario generale Jens Stoltenberg [1]. Contiene tre proposte e una richiesta:
– riapertura delle rispettive missioni diplomatiche di Nato e Russia;
– riavvio delle discussioni sul controllo degli armamenti e sulle regole da applicare ai missili di medio e corto raggio;
– nuove regole di trasparenza per le esercitazioni militari e le dottrine nucleari;
– evacuazione di Transnistria, Crimea, Abcasia e Ossezia del Sud, che l’esercito russo occupa rispettivamente in Moldavia, Ucraina e Georgia.
Le tre proposte mirano a ridurre il rischio di guerra nucleare. Divergono da quel che si conosce della risposta USA in quanto dovrebbero essere oggetto di veri e propri negoziati. Sono la dimostrazione che i membri della Nato sono consapevoli del rischio di guerra nucleare.
La pretesa che i russi lascino Transnistria, Crimea, Abcasia e Ossezia del Sud prova ancora una volta che il blocco occidentale non riconosce ai popoli il diritto di decidere per loro stessi, enunciato dalla Carta delle Nazioni Unite. La storia dimostra che questi quattro territori sono abitati da popoli diversi da moldavi, ucraini e georgiani. Non c’è stata pulizia etnica. Ogni popolo ha scelto l’indipendenza con un referendum. Per di più la Crimea indipendente ha chiesto di aderire alla Federazione di Russia, che ha accettato.
Stati Uniti e Nato agiscono come se di fronte alla Russia fossero colpiti da sordità.
In queste ultime settimane Bulgaria, Danimarca, Spagna, Estonia, Italia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Regno Unito hanno inviato armi in Ucraina o vi hanno dispiegato truppe per difenderla [2]. La stampa statunitense e britannica ha diffuso voci su una possibile invasione russa dell’Ucraina a febbraio; la stampa dell’Europa centrale, orientale e del Baltico ne ha calcato le orme. Eppure il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, nonché il ministro della Difesa, Oleksij Reznikov, hanno ripetutamente affermato che non c’è alcun rischio d’invasione e che l’Ucraina non è minacciata a breve termine [3].
Questa cacofonia all’interno del blocco occidentale sbalordisce. È la conferma che gli Stati Uniti ragionano prescindendo dalla realtà. Certamente la Russia si aspettava che gli Stati Uniti rifiutassero la sua proposta di Trattato, ma non era preparata alle grossolane esternazioni prive di argomentazioni della controparte e al fatto che le proprie ragioni venissero ignorate. Il presidente Joe Biden sembra propendere per la strategia del folle (Madman Theory), che fu già del predecessore Richard Nixon nei confronti dell’URSS: proferire in tono minaccioso intenzioni incoerenti per intimidire e fare indietreggiare l’avversario. Oppure, secondo la formula del professor Thomas Schelling, lanciare «una minaccia che lascia spazio all’azzardo». Una strategia che nella guerra del Vietnam è stata un fallimento. È poco probabile che adesso conseguirà lo scopo, tanto più che l’équipe del presidente Vladimir Putin è molto più abile di quella del Primo Segretario Leonid Brežnev. È il bluff del giocatore di poker contro il calcolo del giocatore di scacchi.
La tensione sull’Ucraina potrebbe facilmente trovare soluzione diplomatica. Innanzitutto perché, sebbene Washington e Bruxelles (sede della Nato) rammentino in continuazione che ne abbia diritto, l’adesione dell’Ucraina all’Alleanza non può essere immediata e nemmeno a medio termine. Inoltre perché basterebbe che l’Alleanza reiterasse la dichiarazione del 1996 di non avere «alcuna intenzione, alcun piano, alcuna ragione di dispiegare armi nucleari sul territorio di nuovi membri» – i tre “no” – perché a breve termine, sul piano militare, tutto rientri nell’ordine [4]. Ciò non toglie che il problema posto dalla Russia non è la presenza di armi USA in Ucraina, ma, in termini più generali, il rispetto dei Trattati.
Mentre i due Grandi si baloccano in questo strano gioco, alcuni alleati degli Stati Uniti pongono dei distinguo.
Innanzitutto il Regno Unito, che ha ridestato le reti stay-behind della guerra fredda. Spesso ci dimentichiamo che, storicamente, l’Alleanza Atlantica è stata istituita da Stati Uniti e Regno Unito congiuntamente. Certamente, come disse Charles De Gaulle, la Nato non è che il paravento della dominazione statunitense sull’Europa – il supremo comandante dell’Alleanza è infatti sempre un ufficiale USA – ma le decisioni politiche sono prese da Washington e Londra assieme, il resto degli alleati non sono che vassalli. Non è quel che dice il Trattato Nordatlantico, ma è quanto abbiamo potuto verificare per l’ennesima volta nella guerra contro la Libia: il Consiglio Atlantico non è mai stato riunito per decidere l’attacco a Tripoli perché alcuni membri erano contrari. La decisione è stata presa in una riunione segreta a Napoli unicamente da Stati Uniti e Regno Unito, alla presenza alcuni alleati da loro scelti.
Il ruolo di signori feudali assunto durante la guerra fredda aveva indotto Washington e Londra a incrementare le reti stay-behind per interferire nella politica interna degli Stati membri, in linea di principio con il loro assenso, ma a loro insaputa [5]. Queste inframmettenze hanno condotto all’assassinio in Italia del presidente del Consiglio Aldo Moro, nonché al rovesciamento in Grecia del regime repubblicano e all’instaurazione del regime dei colonnelli. In Francia, la Nato ha sostenuto l’OAS (Organisation de l’Armée secrète) [organizzazione paramilitare clandestina attiva durante la guerra d’Algeria, ndt], che ha compiuto per suo conto una quarantina di attentati contro il presidente De Gaulle. Il Pentagono ha rivelato pubblicamente che queste reti – mai dissolte, nonostante i molti proclami – sono state estese all’Ucraina [6]. La Russia ne ha dedotto che quest’ultima è di fatto membro dell’Alleanza, senza però poter contare sull’art. 5 del Trattato Nordatlantico, che ne tutelerebbe la sicurezza.
Londra ha altresì annunciato che avrebbe rafforzato il sostegno militare alla Polonia nel quadro di un’alleanza trilaterale con l’Ucraina [6]. In poche settimane Varsavia è diventata l’hub dal quale transitano tutti gli aiuti a Kiev. Ma i polacchi non vogliono esporsi eccessivamente. Per questo hanno proposto alla Russia di consentirle d’ispezionare le basi USA in Polonia, a condizione che i polacchi possano a loro volta ispezionare le basi russe nell’enclave di Kaliningrad [7].
Stati Uniti e Regno Unito sono preoccupati del poco entusiasmo del nuovo governo tedesco del cancelliere Olaf Scholz.
– Berlino ha rifiutato il permesso di sorvolo del proprio territorio da parte di aerei britannici che dovevano consegnare armi all’Ucraina. I Trattati prevedono che i tedeschi non avrebbero potuto opporsi se la richiesta fosse partita dal Pentagono.
– Berlino chiede di separare la questione ucraina dall’entrata in funzione del gasdotto Nord Stream 2, indispensabile all’economia tedesca.
– Infine Berlino non rispetta l’impegno di destinare il 2% del PIL alla difesa, ne utilizza infatti solo l’1,5%.
Il segretario di Stato Antony Blilnken è andato personalmente a far la ramanzina al governo Scholz, ma la Germania non negozia con la Russia perché arenata nelle trattative interne della coalizione di governo.
Per quanto riguarda la Francia, il presidente Emmanuel Macron ha riaperto le trattative “Formato Normandia” per l’applicazione degli Accordi di Minsk e così pacificare l’Ucraina. Ha avuto un lungo colloquio con l’omologo russo Vladimir Putin, ma il problema è altrove: sono gli ucraini che rifiutano di applicare l’Accordo, da loro tuttavia firmato. È Kiev che fomenta la guerra civile nel Donbass.
Torniamo a Washington. La classe politica statunitense è unanimemente contro la Russia, però è divisa sui mezzi da usare per piegarla. Per tre settimane hanno discusso possibili tremende sanzioni che però, se adottate subito, sanzionerebbero Mosca prima dell’invasione dell’Ucraina e senza timore di rappresaglie. Più seriamente, i Repubblicani sostengono le proposte dell’Heritage Foundation [8]; i Democratici s’aggrappano invece a quelle del Center for American Progress [9]. Tutti sono pienamente consapevoli che rispettare gli impegni assunti all’OSCE con la firma delle dichiarazioni d’Istanbul del 1999 e di Astana del 2010 sarebbe l’inizio della fine. L’“impero americano” è minacciato non dalla Russia, ma dal diritto internazionale rimasto finora inapplicato.
Il problema da porsi è quindi: quali mezzi la Russia è pronta a mettere in atto per costringere Washington a rispettare il diritto internazionale (come inteso dalle Nazioni Unite, non già dagli Stati Uniti)? Il viceministro degli Esteri russo, Sergeï Riabkov, aveva lasciato aleggiare un possibile trasferimento di missili a Cuba o in Venezuela. Ma il vicepresidente del Consiglio di Sicurezza, Dmitry Medvedev, ha dichiarato che era «fuori questione» perché sarebbe una scelta contraria agli interessi dei due Paesi [10]; un modo per sottolineare che la presenza di armi USA in Europa centrale e orientale è contraria agli interessi dei Paesi che le alloggiano.
Bisogna quindi rivolgere lo sguardo altrove. Alla Siria, per esempio. Infatti Siria e Russia hanno iniziato manovre aeree militari congiunte sopra il Golan, territorio giuridicamente siriano secondo l’ONU, illegalmente annesso da Israele nel 1981. Tsahal non ha osato sparare. Il rispetto dei Trattati non concerne soltanto gli Stati Uniti, ma anche Israele.
La lentezza di Washington nel rispondere alla proposta fatta dai russi a fine 2021 e l’evidente isteria del Congresso hanno ridestato la Cina. Beijing ha preso atto del 2022 National Defense Authorization Act (NDAA), promulgato il 27 dicembre 2021: prevede un budget della Difesa (bombe atomiche escluse) gigantesco: 768 miliardi di dollari! Nessuno ha letto il testo per intero (2.186 pagine), ma la filosofia è isolare la Cina. Così Wang Yi, ministro degli Esteri cinese, non ha mancato di avvertire l’omologo statunitense Blinken… di rispondere alle «giustificate» domande di Mosca. Passo dopo passo l’intesa russo-cinese si consolida; un asse davvero troppo potente per Stati Uniti e alleati.
Ultima osservazione. Quando il 23 gennaio Washington ha informato Mosca che la risposta scritta stava per arrivare, ha precisato che desiderava fosse mantenuta segreta [11]. La Russia ha accettato. L’unica spiegazione possibile della richiesta è che la Casa Bianca intenderebbe tenere discorsi di diverso tenore secondo gl’interlocutori. L’Occidente abbandona la democrazia per la diplomazia segreta.
NOTE
[1] “Jens Stoltenberg Press Conference”, by Jens Stoltenberg, Voltaire Network, 26 January 2022.
[2] “L’Europa in trincea contro il nemico inventato”, di Manlio Dinucci, Il Manifesto (Italia) , Rete Voltaire, 25 gennaio 2022.
[3] «US warns Russian attack may be ’imminent,’ Ukraine disagrees: Here’s why», Conor Finnegan, ABC News, January 26, 2022.
[4] «Nato honesty on Ukraine could avert conflict with Russia», Samuel Charap (Rand), Financial Times, January 14, 2022.
[5] Nato’s Secret Armies: Operation Gladio and Terrorism in Western Europe, Daniele Ganser, Frank Cass (2004).
[6] “Liz Truss’ speech to the Lowy Institute”, by Liz Truss, Voltaire Network, 21 January 2022.
[7] «Poland ready to make deal with Russia – media», Jonny Tickle, Russia Today, January 28, 2022.
[8] « Seven Rules for Exiting Misplaced U.S. and NATO Talks with Russia », Daniel Kochis & Luke Coffey, Heritage Foundation, January 14, 2022.
[9] «How the United States Should Respond if Russia Invades Ukraine», Max Bergmann, Center for American Progress, January 25, 2022.
[10] « Rusia considera que la reacción de Estados Unidos a sus exigencias “no es positiva” », Javier G. Cuesta, El País, 25 de enero de 2022.
[11] Аккаунт полковника Кассада в Telegram, 23 января 2022 г.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article215469.html
UN PAPA MACELLAIO?
Giuseppe Grigenti 7 02 2022
L’intervento di papa Francesco a «Che tempo che fa» mi è piaciuto, ma ci sono stati tre passaggi che mi hanno fatto sobbalzare sulla sedia, il primo perché mi ha sorpreso, il secondo perché incomprensibile alla maggior parte degli spettatori e il terzo perché mi è parso da un lato di rottura rispetto alla tradizione della filosofia cristiana, ma dall’altro non coraggioso fino in fondo. Quello che mi ha sorpreso è stato il suo ricordo di quello che voleva fare da grande quando era bambino, cioè il macellaio per fare soldi (!?); non riuscivo a crederci, perché in genere l’animo innocente dei bambini ha orrore per lo squartamento della carne degli animali e non ha (ancora) alcun interesse per i soldi; ma poi ho pensato che ha voluto esprimere così, con un’iperbole retorica shakespeariana, il legame eterno tra il sangue e il denaro. Il passaggio incomprensibile (per me geniale, ma mi occupo di pensiero tardo-antico) è stata la sua risposta a quali sono oggi i mali della Chiesa, cioè il pelagianesimo e lo gnosticismo; io ritengo che questo sia il vero punto di frattura tra i gesuiti e i massoni, ma nessuno l’ha capito, e per comprenderlo occorre leggere la sua enciclica «Gaudete et exultate». Infine, il passaggio filosofico di rottura rispetto al pensiero filosofico cristiano è stato quando ha parlato dei sensi, elogiando il senso del tatto rispetto agli altri quattro; tutta la filosofia greca e cristiana ha sempre puntato sull’eccellenza conoscitiva della vista e dell’udito, mentre ha ritenuto infimo il senso del tatto dal punto di vista gnoseologico; del resto è l’unico senso che condividiamo con le piante, mentre gli altri quattro li condividiamo anche con gli animali, che ci possono pure superare (ad esempio, le aquile nella vista, i pipistrelli nell’udito, i cani nell’olfatto, gli orsi nel gusto); per Bergoglio, l’eccellenza del tatto consiste nel fatto che è il senso della carità, quello con cui tocchiamo e sentiamo il dolore degli altri, nel contatto della pelle; ma se il tatto è il senso del dolore, allora a maggior ragione è il senso del piacere, il senso dell’eros. Per analogia con i due sensi mediani: il gusto si elogia solo per la sua capacità di sentire l’amaro, o anche il dolce? L’olfatto si elogia solo per la sua capacità di sentire la puzza o, molto di più, per il profumo? Il Logos che si fa carne sperimenta solo la passione del dolore o anche quella del piacere?
FONTE: https://www.facebook.com/1369642729/posts/10228756949173137/
POLITICA
Brandi: macché “nuovo” Draghi. Ci sta facendo a pezzi
Mario Draghi ha sempre fatto degli sfaceli: ha agito come un traditore della patria. Io non prendo nemmeno lontanamente in considerazione l’ipotesi di un Draghi che torna sui suoi passi; basta vedere qual è stata la sua azione nel momento in cui è arrivato a Palazzo Chigi. Aveva le mani legate? Ma dove? I partiti si sono stesi ai suoi piedi in maniera vergognosa. E i media lo hanno divinizzato, come già fecero con Monti. Un premier che anche solo accarezzi l’idea di cambiare, rispetto alla deriva neoliberista e anti-patriottica di Draghi, non avrebbe mai firmato una robaccia come il Pnrr. Non ci avrebbe mai legato a una robaccia come il Recovery Fund. Non avrebbe mai firmato il Trattato del Quirinale. Non avrebbe mai difeso il Green Pass (che, dati alla mano, sta distruggendo la nostra economia). Nell’azione di Draghi, purtroppo, io vedo un’enorme coerenza con quello che ha fatto, fino a questo momento.
Che poi lui di notte sia tormentato dagli incubi, su quello che sta facendo, mi può interessare fino a un certo punto; io devo basarmi su quello che vedo. E quello che vedo è un premier che, ancora una volta, sta facendo quello che gli è riuscito meglio in tutta la vita, cioè: liquidare. E’ un liquidatore, ed è quello che sta accadendo. A seguito dell’azione di Draghi, la nostra economia (non che prima se la passasse meglio) ha subito l’ennesima mazzata: come certificato dai dati di Confcommercio, il Green Pass ha causato un crollo dei consumi interni: cosa che per un keynesiano sarebbe un problema immenso, perché un keynesiano punterebbe soprattutto sul mercato interno e al ritorno dello Stato come centro dell’economia, non come ente vessatorio e burocratico, pronto a imporre le tasse. Al contrario, un keynesiano dovrebbe concepire uno Stato che aiuta famiglie e imprese con la spesa pubblica: ma non è quello che abbiamo visto, in questi mesi.
Anzi: abbiamo visto un ulteriore indebitamento di famiglie e imprese. E il Pnrr, che ci viene spacciato come piano nazionale di resilienza e ripresa (“per il culo”, io aggiungo), è un piano di smantellamento e di suicidio assistito per la nostra economia. Addirittura, ormai, lo dicono i grandi sovranisti del “Sole 24 Ore”, che qualche giorno fa si sono accorti che, dentro il Pnrr, ci sono delle clausole di ammodernamento e conversione “green” che saranno letali, per le nostre piccole e medie imprese (ma non lo saranno per il comparto industriale tedesco, che guardacaso è già pronto per questa conversione). Noi siamo il paese delle piccole e medie imprese: che non verranno aiutate, in questa conversione, perché devono essere distrutte (come direbbe Draghi, con la “creative destruction”). Nella visione che secondo me Draghi ha ancora, le piccole imprese devono essere spazzate via; sono le grandi imprese, che devono andare avanti, i grandi conglomerati industriali, le grandi multinazionali. Ma se tu fai fuori le piccole e medie imprese, tu distruggi il 95-97% del tessuto industriale italiano: tu fai fuori l’Italia.
Stessa cosa per quanto riguarda il Recovery Fund. Non se ne può parlare come dei “soldi che ci dà l’Europa”: sono pochi soldi, a strozzo, in ritardo, a rate, legati a delle condizionalità suicide. Ne vogliamo citare una a caso? Dobbiamo mantenere un “avanzo primario” vergognoso, che poi peraltro abbiamo fatto per trent’anni: quindi lo Stato deve tassarci più di quanto spende per famiglie, pensioni e servizi. Non solo: anche nel Recovery ci sono delle clausole “green” che ci impediscono di fare determinate scelte. Non solo: c’è una conversione forzata verso il digitale e c’è la lotta al contante, verso cui io e tanti altri siamo contrarissimi, perché è una questione di controllo: se tutto passa attraverso il pagamento telematico, dall’altra parte basta un “click” e tu non ti muovi e non vivi più, se non hai più il denaro contante.
Aggiungo che c’è un’accelerazione del processo di esproprio, da parte delle banche, degli immobili in mano a imprese che sono indebitate. Un indebitamento scellerato, aggravato negli ultimi due anni: prima il lockdown, poi il Green Pass. Immaginate cosa ci sta per cascare addosso. In più, aggiungo che Valdis Dombrovskis (commissario europeo per il commercio, ndr) ha detto chiaramente che tra un anno, un anno e mezzo, tornerà il maledetto Patto di Stabilità. E purtroppo, questa gente non scherza quasi mai, quando parla. L’Italia, ci dicono, è il primo “beneficiario” del Recovery Fund. Attenti: per metà sono soldi in prestito, che dobbiamo restituire; per l’altra metà sono soldi, tra virgolette, a fondo perduto, ma in realtà basati sul bilancio comune europeo: che ci vedrà solo leggermente come percettori netti. Infatti, sempre il “Sole 24 Ore” ha ammesso che finora siamo stati contributori netti: abbiamo dato più soldi di quelli che ci sono tornati indietro.
Alla fine di tutto questo, quindi, noi ci ritroveremo più indebitati, dal punto di vista dello Stato e da quello delle famiglie e delle imprese. E tornerà il maledetto Patto di Stabilità, che la prima cosa che considera è il tuo debito pubblico. Se a questo aggiungiamo che il Pil non sarà cresciuto come ci dicono (perché la crescita del 6% dopo un crollo del 10% è ridicola, è il cosiddetto “rimbalzo del gatto morto”), la differenza tra debito e Pil – che è quella che ci interessa, e che deriva dai famigerati trattati europei, Maastricht in primis – sarà la prima ad essere vista, da coloro che non aspettano altro per dirci: visto? E’ aumentato il differenziale debito-Pil. E quindi: austerità. Perché quello che ci aspetta è questo, purtroppo. E’ un circolo vizioso. E quindi cosa avrebbe dovuto fare, Draghi, se davvero si fosse risvegliato con un afflato keynesiano o patriottico?
Avrebbe dovuto mettere in discussione tutti i trattati europei. Non avrebbe mai dovuto implementare una robaccia come il Green Pass, perché era certo – da subito – che avrebbe distrutto l’economia italiana. E vedrete tra qualche mese, quando arriverà la stangata delle bollette, a causa del rincaro delle materie prime: altra cosa su cui Draghi non ha fatto niente. Lui ha grande voce, in Europa, e l’Unione Europea non ha fatto alcuna vera politica di strategia industriale: stiamo ancora dietro alle cavolate “gretine”, che non hanno nulla a che vedere con la tutela dell’ambiente (che invece è assolutamente nobile) e ci hanno esposto a una crisi di inflazione delle materie prime che si abbatterà, guardacaso, sui cittadini qualsiasi: su cui, però, non sta cadendo alcuna pioggia di miliardi. Ora, tutto questo non si sposa nemmeno lontanamente con la speranza che Draghi stia cambiando.
Io vedo, purtroppo, un Draghi maledettamente coerente con le sue posizioni di sempre. L’aspetto legato alle logge massoniche? Non metto in dubbio che vi siano degli scontri, all’interno di queste logge, di questi gruppi sovranazionali che vanno al di là delle bandiere e dei grandi partiti. E’ un problema che ha questo periodo storico: pian piano, il potere viene spostato sempre di più verso il sovranazionale: per questo le democrazie sono esautorate del loro potere e della loro rappresentanza. Ma questo non toglie il fatto che quello che abbiamo visto finora, purtroppo, è un Draghi totalmente in linea con quello che abbiamo visto dal ‘92 in poi: un liquidatore al servizio dell’alta finanza. E alla fine del suo mandato (che terminerà chissà quando) noi ci ritroveremo con un’economia a pezzi, con piccole e medie imprese acquistate da grandi conglomerati stranieri. Ed è quello che Draghi fa: quello che ha fatto per tutta la vita.
(Matteo Brandi, dichiarazioni rilasciate su YouTube nella trasmissione “Il Gladiatore”, di “Border Nights”, con Gioele Magaldi e Fabio Frabetti, il 3 febbraio 2022. Autore e blogger, brillante polemista, Brandi è l’animatore di un neonato soggetto politico, “Pro Italia”).
FONTE: https://www.libreidee.org/2022/02/brandi-macche-nuovo-draghi-ci-sta-facendo-a-pezzi/
ZAMPETTI CI METTE LO ZAMPINO – POTREBBE SLITTARE AL 24 GENNAIO LA PRIMA SEDUTA DEL PARLAMENTO PER L’ELEZIONE DEL CAPO DELLO STATO
DA QUEL MOMENTO CI POTREBBE ESSERE UNA SOLA VOTAZIONE AL GIORNO – SECONDO I MALIGNI SAREBBE STATO UGO ZAMPETTI, SEGRETARIO GENERALE DEL QUIRINALE, A PREMERE SU FICO – IL PIANO? CREARE IL PANTANO, PORTARE LA VOTAZIONE PER LE LUNGHE E, A QUEL PUNTO, SPINGERE I PARTITI A CONVERGERE SUL BIS A MATTARELLA…
10 DIC 2021 RILETTURA
Estratto dell’articolo di Laura Cesaretti per “il Giornale”
(…) Fino a qualche giorno fa, sembrava certo che la seduta del Parlamento a Camere riunite in seggio elettorale sarebbe iniziata il 18 gennaio. Tocca al presidente della Camera Roberto Fico (chi l’avrebbe mai detto) decidere la fatidica data, che sarà ufficialmente resa nota il 3 gennaio. Ma ieri ha iniziato a circolare l’ipotesi, suffragata da fonti autorevoli, che la convocazione potrebbe slittare di una settimana, al 24 gennaio.
ROBERTO FICO AKA MANUEL FANTONI
E che ci sarà una sola «chiama» al giorno, per evitare sovraffollamenti prolungati causa Covid. Un calendario che avrebbe ripercussioni politiche notevoli, se venisse confermato: per trovare in tempo il sostituto di Mattarella rimarrebbe un fazzoletto risicato di giorni, aumentando la pressione sui grandi elettori, anche perché i primi tre giorni sarebbero caratterizzati dal quorum necessario dei due terzi del Parlamento.
Nel Palazzo si raccolgono interpretazioni maligne sul possibile slittamento: secondo diverse fonti, a premere su Roberto Fico per il cambio di calendario sarebbe il potente segretario generale del Quirinale, Ugo Zampetti (che fino al 2015 è stato segretario generale della Camera, e conosce a menadito gli anfratti dei regolamenti parlamentari).
«Attraverso il calendario – dice una fonte Pd – Zampetti lavora per la rielezione di Mattarella, perché più ci si avvicina alla sua scadenza senza una soluzione “ampia”, più si impone come dato di fatto la necessità di un bis». Un lavorio che andrebbe incontro agli auspici di molti dem, perché sarebbe l’unica chance per avere un capo dello Stato espressione della propria area, ma contro la volontà chiaramente espressa da Mattarella.
LO ZAMPINO DI ZAMPETTI – IL POTENTISSIMO SEGRETARIO DEL QUIRINALE SI STA MUOVENDO NELL’OMBRA PER IL MATTARELLA-BIS. L’OPERAZIONE, GIÀ BENEDETTA DA LUIGI DI MAIO, È CONCEPITA IN ACCORDO CON FEDERICO D’INCÀ, MINISTRO M5S PER I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO, E DARIO FRANCESCHINI, MINISTRO PD DELLA CULTURA – IL PIANO PIACE A SU-DARIO PERCHE’ UN BIS DI MATTARELLA GLI PERMETTEREBBE DI METTERSI IN CORSA AL PROSSIMO GIRO…
FONTE: https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/zampetti-ci-mette-zampino-potrebbe-slittare-24-gennaio-prima-292394.htm
Il Bis un complotto del Quirinale – Il Deep State de’ Noantri
da Dagospia
ZAMPETTI CI METTE LO ZAMPINO – POTREBBE SLITTARE AL 24 GENNAIO LA PRIMA SEDUTA DEL PARLAMENTO PER L’ELEZIONE DEL CAPO DELLO STATO – DA QUEL MOMENTO CI POTREBBE ESSERE UNA SOLA VOTAZIONE AL GIORNO – SECONDO I MALIGNI SAREBBE STATO UGO ZAMPETTI, SEGRETARIO GENERALE DEL QUIRINALE, A PREMERE SU FICO – IL PIANO? CREARE IL PANTANO, PORTARE LA VOTAZIONE PER LE LUNGHE E, A QUEL PUNTO, SPINGERE I PARTITI A CONVERGERE SUL BIS A MATTARELLA…
Leggerlo nell’originale:
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/il-bis-un-complotto-del-quirinale-il-deep-state-de-noantri/
SCIENZE TECNOLOGIE
Oxfam accusa Pfizer – ed altri diventano critici
Vaccino Pfizer per neonati e bambini sotto i cinque anni: 5 fatti che devi sapere
Così la OXFAM titola una seria accusa contro la Pfizer e i poteri che vogliono inoculare i neonati. Stavolta l’accusa non può essere disprezzata come proveniente da NoVax che scrivo sui social né da compllottisti che “non credono nella scienza””. Oxfam è la rispettata ONG contro la fame e la povertà nel mondo.
Un capoverso cruciale punta il dito sugli scandalosi profitti del business, su cui tutti tacciono:
“Mai nella storia i governi hanno acquistato così grande quantità di dosi di vaccini per una malattia, e la produzione su larga scala dovrebbe ridurre i costi, consentendo alle aziende di applicare prezzi più bassi. Tuttavia, secondo quanto riferito, l’UE ha pagato prezzi ancora più alti per il suo secondo ordine da Pfizer/BioNTech. Si prevede che la drammatica escalation dei prezzi continuerà in assenza di un’azione del governo e con la possibilità che siano necessarie inoculazioni di richiamo per gli anni a venire. Il CEO di Pfizer ha ventilato potenziali prezzi futuri fino a $ 175 per dose, 148 volte in più rispetto al potenziale costo di produzione … “L’analisi delle tecniche di produzione per i principali vaccini di tipo mRNA prodotti da Pfizer/BioNTech e Moderna – che sono stati sviluppati solo grazie a finanziamenti pubblici per un importo di 8,3 miliardi di dollari – suggeriscono che questi vaccini potrebbero essere prodotti a partire da 1,20 dollari a dose”.
Qui sotto l’integrale:
Il gigante farmaceutico spinge il vaccino per i bambini piccoli nonostante il fallimento degli studi clinici
È previsto che Pfizer chieda alla FDA un’autorizzazione all’uso di emergenza del suo vaccino COVID-19 nei neonati e nei bambini piccoli già oggi. Pfizer, insieme a BioNTech, il suo partner tedesco nella produzione del suo vaccino COVID, spera di iniziare a iniettare bambini di appena 6 mesi in tutto il mondo, a partire dagli Stati Uniti alla fine di questo mese.
- Pfizer e la FDA stanno andando avanti NONOSTANTE il fallimento dei suoi studi sui farmaci sui bambini sotto i 5 anni
Pfizer e BioNTech hanno già riferito a dicembre che,
“due dosi del vaccino pediatrico non sono riuscite nei bambini di 2, 3 e 4 anni a innescare una risposta immunitaria paragonabile a quella generata negli adolescenti e negli anziani”.
La società ha affermato quindi, tuttavia, di aver raggiunto una “risposta immunitaria adeguata nei bambini di età compresa tra 6 mesi e 2 anni”.
- È già prevista una terza dose
A causa dei risultati deludenti delle prove del regime a due dosi nei bambini sotto i 5 anni, Pfizer ha immediatamente iniziato a testare una terza dose su quei bambini, modificando il suo studio per prevedere una terza iniezione a ciascuno dei bambini partecipanti otto settimane dopo il loro secondo sparo.
Un funzionario anonimo dell’amministrazione ha riferito che un briefing dei funzionari sanitari federali da parte di Pfizer, che includeva il dottor Anthony Fauci, il principale consigliere medico della Casa Bianca per la sua risposta al coronavirus, includeva,
“una ‘conversazione robusta’ secondo cui tre dosi sarebbero state probabilmente molto meglio di due iniezioni [nei bambini sotto i 5 anni]… Ma per arrivare a tre, devi prima fare due iniezioni… C’è interesse nel vedere questo andare avanti.”
- La terza dose può già essere aggiunta alla dose programmata per lattanti e bambini piccoli entro aprile
Pfizer ha annunciato a gennaio che prevede che i dati su questo terzo scatto saranno disponibili entro aprile. Il Washington Post ha aggiunto che, secondo “persone esperte”, la presentazione di questi nuovi dati dovrebbe portare alla sua aggiunta al programma di vaccinazione per i bambini piccoli:
“Una volta che tali informazioni saranno state presentate, le autorità di regolamentazione dovrebbero autorizzare una terza dose del vaccino pediatrico. ” Sappiamo che due dosi non sono sufficienti e lo capiamo”, ha detto una delle persone che hanno familiarità con la situazione. ‘L’idea è, andiamo avanti e iniziamo la revisione di due dosi . Se i dati reggono nella presentazione, potresti iniziare i bambini alla loro linea di base primaria mesi prima rispetto a se non fai nulla fino a quando non arrivano i dati della terza dose .’” [enfasi aggiunta].
- La dose è molto più piccola della dose per adulti
La versione del vaccino da somministrare ai bambini di età inferiore ai 5 anni è una dose di 3 microgrammi per iniezione , un decimo della dose del vaccino per adulti. I bambini di età compresa tra 5 e 11 anni ricevono dosi di 10 microgrammi mentre gli adulti, così come i bambini di età pari o superiore a 12 anni, ricevono 30 microgrammi in ciascuna iniezione. Come per gli adulti, le due iniezioni sono programmate a tre settimane di distanza.
- La quota di mercato e il margine di profitto di Pfizer sono destinati a salire
Con una popolazione globale di oltre 600 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni, Pfizer Inc. ( PFE ) amplierà notevolmente la sua quota di mercato per i vaccini COVID-19 se la sua richiesta per l’uso multidose in questa fascia di età sarà approvata. Sebbene la società in precedenza avesse previsto “un fatturato di 26 miliardi di dollari per 1,6 miliardi di dosi di vaccino, quindi a un costo medio per dose di 16,25 dollari”, il costo per dose è destinato a salire.
Oxfam, un’organizzazione globale che combatte la povertà e l’ingiustizia, spiega ,
“Mai nella storia i governi hanno acquistato così grandi dosi di vaccini per una malattia e la produzione su larga scala dovrebbe ridurre i costi, consentendo alle aziende di applicare prezzi più bassi. Tuttavia, secondo quanto riferito, l’UE ha pagato prezzi ancora più alti per il suo secondo ordine da Pfizer/BioNTech. Si prevede che la drammatica escalation dei prezzi continuerà in assenza di un’azione del governo e con la possibilità che siano necessari colpi di richiamo per gli anni a venire. Il CEO di Pfizer ha suggerito potenziali prezzi futuri fino a $ 175 per dose, 148 volte in più rispetto al potenziale costo di produzione …
“L’analisi delle tecniche di produzione per i principali vaccini di tipo mRNA prodotti da Pfizer/BioNTech e Moderna – che sono stati sviluppati solo grazie a finanziamenti pubblici per un importo di 8,3 miliardi di dollari – suggeriscono che questi vaccini potrebbero essere prodotti a partire da 1,20 dollari a dose”.
Un libro agilee ben documentato sui crimini di Big Pharma
Bassetti: “Green pass in estate? Se resta com’è, tutti in piazza”
“Se il Green pass” covid in Italia “è stato messo per far vaccinare la gente, e io l’ho sempre sostenuto per questo, allora dovrebbe esaurire il suo compito, se invece il Green pass è stato messo per altro allora devono spiegare ai cittadini la ragione per cui l’hanno messo. Io da medico, oltre il 31 marzo non lo sostengo. Quindi sarà una decisione politica, non sanitaria e dovranno spiegarlo agli italiani. Però a quel punto non ci sarà soltanto chi c’è stato fino ad oggi in piazza, ma ci saranno tutti perché non avranno più nessuno che li difende“. Così all’Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive all’ospedale San Martino di Genova, sull’ipotesi di mantenere l’obbligo di Green Pass per tutta l’estate.
Grazie a Bassetti, finalmente alleato e amico.
Grazie anche a Crisanti:
CRISANTI: “PFIZER E MODERNA TIRINO FUORI I DATI DEI TRIAL IN CORSO; CI DEV’ESSERE CHIAREZZA SUI DATI CHé DA 8-9 MESI NON SI SA PIÙ L’EFFETTO DELLE VACCINAZIONI”
https://twitter.com/MenteBionda/status/1489934675099340801
A quale titolo e con quale competenza Klaus Davi, che è un pubblicitario, ha titolo per dire la sua sul Covid, i vaccini ed esigere contro i NoVax le “leggi antiterrorismo”? Perché lui? un Padrone del Discorso.
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/oxfam-accusa-pfizer-ed-altri-diventano-critici/
STORIA
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