RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 8 LUGLIO 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Gli uomini che tentano di fare qualcosa per il mondo sono sempre insopportabili
OSCAR WILDE, Detti e aforismi, Rizzoli, 2001, pag. 31
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Precisazioni
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La redazione provvederà doverosamente ed immediatamente alla loro rimozione dal blog.
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SOMMARIO
Le notizie che nessuno legge attentamente
Esercito nelle scuole per somministrare i test covid
Speranza, valuto TSO Covid-19 per chi non si fa curare
JK Rowling afferma di aver ricevuto “minacce di morte e stupro”
IL POLITICALLY CORRECT, NUOVO BIGOTTISMO MODERNO.
Schiavitù moderna e ipocrisia del politicamente corretto
The Island
BANDE PARAMILITARI DI MIGRANTI PRONTE ALL’ASSALTO
Stati Uniti, fuga dalle grandi città e dai disordini sociali
Il collasso delle zone occupate dai manifestanti antirazzisti
La vera pandemia si chiama “globalizzazione”
DPO: ok il prezzo è giusto! O no?
Protezione dati, come ti coinvolgo il DPO
Alcune teorie della cospirazione sono reali
IL MES NON È QUELLO CHE VI DICONO.
La difficile vita delle aziende online tra rischi, tutela della privacy e scarsa fiducia dei consumatori
Il debito pubblico dell’Italia può essere finanziato dal risparmio privato delle famiglie?
Deutsche Bank: multa da 150 milioni per relazione con Epstein
Il reato di subornazione, definizione e disciplina giuridica
Coronavirus, “bomba virale” dal Bangladesh: stop ai voli verso l’Italia, già 36 i positivi al tampone
Subornazióne
Se questo è il lavoratore a distanza del futuro, ESCI di casa adesso
Il lento sgretolamento della Repubblica francese
Matteo Salvini, Pietro Senaldi: il piano della sinistra? Una legge ad hoc per disarmarlo
Dopo le Sardine, le Zucchine: se il potere si tinge di verde
L’App Immuni e l’obbligo che non obbliga
Giulio Tarro intervistato da Becchi, tutta la verità sul coronavirus
239 scienziati rimettono in discussione la modalità di trasmissione del COVID-19
1919: l’Italia a Versailles. Storia e cronaca di una vittoria mutilata
EDITORIALE
Le notizie che nessuno legge attentamente
Manlio Lo Presti – 8 luglio 2020
Primo requisito: “le notizie non devono informare, ma servono per minacciare precisi destinatari”.
Secondo requisito: la credibilità della notizia appare quasi sempre suffragata quando è parzialmente vera.
Terzo requisito: la notizia è sparata, è diffusa con urgenza (diffondete prima che la cancellino: cosa che non avviene mai). Porta titoloni iperbolici, ecc. Lo scopo è suscitare emozioni come rabbia, sorpresa, ecc. In questo caso, i lettori si fermano al titolo senza guardare il contenuto. Si favoriscono “catene di S. Antonio” all’interno della rete, ormai ridotta a cassa di risonanza degli urlatori seriali e professionisti della provocazione e della sovversione.
La FRETTA perché “manca sempre tempo” deforma tutto, altera le facoltà cognitive e le facoltà di raziocinio in quanto obnubilati dalla nube tossica della corsa continua. La mancanza di tempo è una delle più spietate forme di potere e di controllo: la gente non deve avere il tempo di pensare e analizzare notizie ed eventi che circolano.
La mancanza di tempo cronica è inoltre un forte segnale di incapacità di gestire le proprie azioni e riflessioni. Ci vorrebbe una migliore ripartizione delle priorità.
TUTTO CIÒ PREMESSO
Bisognerà avere la forza di RECUPERARE IL TEMPO NECESSARIO PER ANALIZZARE GLI EVENTI DEL MONDO CHE CI CIRCONDANO, e senza fretta, ovviamente.
Riprendiamo a leggere articoli lunghi con calma, con la giusta attenzione.
Riprendiamoci il diritto di assaporare i contenuti.
Non sarà facile, ma già cominciare è un ottimo passo verso la libertà cognitiva
IN EVIDENZA
Esercito nelle scuole per somministrare i test covid
TG ComeDonChisciotte & Vero Giornale
VIDEO QUI: https://youtu.be/iYJhHw4uBQs
FONTE:https://comedonchisciotte.org/esercito-nelle-scuole-per-somministrare-i-test-covid-tg-comedonchisciotte-vero-giornale-7-luglio-2020/
Speranza, valuto TSO Covid-19 per chi non si fa curare
Il ministro della Salute Roberto Speranza lavora con i legali del ministero all’ipotesi di un trattamento sanitario obbligatorio per chi si sottrae alle cure contro il Covid-19.
Insieme all’ufficio legale del Ministero della Salute “sto valutando l’ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori nei casi in cui una persona deve curarsi e non lo fa”.
Lavora su un TSO Covid-19 il ministro della Salute Roberto Speranza dopo il caso del meccanico 65enne di Vicenza, il quale ha evitato i controlli sanitari al suo rientro da un viaggio in Serbia dove, ,lui ed altre persone, si sono ammalate di Covid-19 dopo essere entrate in contatto con un serbo affetto dalla malattia: quest’ultimo è poi morto, mentre il meccanico è in terapia intensiva.
Tuttavia l’unico strumento che funziona più degli altri è la persuasione, afferma il ministro Speranza intervistato dal quotidiano La Repubblica.
Senza il comportamento responsabile della stragrande maggioranza degli italiani oggi noi non saremmo riusciti a “piegare la curva”, dice il ministro.
Bene quindi il comportamento degli italiani, ma seria attenzione a chi vorrebbe sottrarsi per un motivo o per un altro ai controlli sanitari. In ballo c’è molto più che la libertà individuale, c’è il rischio di innescare focolai che potrebbero andare fuori controllo, appunto per i silenzi di chi sa di avere il Covid-19 ma continua a svolgere la sua vita come se nulla fosse.
Questo è il quadro emerso dalla vicenda di Vicenza, e Speranza come sempre ricorda che non bisogna abbassare la guardia e quindi il TSO Covid-19 potrebbe essere lo strumento legale da usare nei confronti degli irresponsabili sociali.
La presa di posizione di Zaia
Ieri il governatore del Veneto Luca Zaia ha deferito all’autorità giudiziaria il meccanico 65enne per aver assunto comportamenti socialmente non responsabili e per aver esteso il contagio in più città del Veneto.
L’uomo infatti aveva anche incontrato, per motivi non di lavoro, una donna di Padova anche lei ora infetta. Da quanto appreso, anche la donna non avrebbe subito detto di aver incontrato il meccanico.
FONTE:https://it.sputniknews.com/italia/202007059272294-speranza-valuto-tso-covid-19-per-chi-non-si-fa-curare/
Autore non indicato.
Le critiche alle opinioni dell’autore di “Harry Potter” JK Rowling sul movimento transgender si sono trasformate in “minacce di morte e stupro”, ma lei ha risposto con ancora maggiore veemenza, innescando un nuovo oltraggio sui social media.
“Ho ignorato i tweet falsi attribuiti a me e RTed ampiamente. Ho ignorato il porno twittato ai bambini su una discussione sulla loro arte. Ho ignorato le minacce di morte e stupro. Non lo ignorerò “, ha twittato domenica la Rowling, in risposta a un tweet che la accusava di chiamare le persone che assumono farmaci” pigri “.
In un thread di 11 parti, la Rowling ha lanciato l’accusa come una notizia falsa, rivelando che lei stessa ha fatto affidamento su farmaci per la salute mentale e ciò di cui si è messa in discussione sono gli ormoni e la chirurgia che sono spinti sui giovani nel tentativo di “trasferire” il loro genere , anche se potrebbe non essere ciò di cui hanno effettivamente bisogno o che desiderano.
“Molti, me compreso, credono che stiamo assistendo a un nuovo tipo di terapia di conversione per i giovani gay, che sono stati avviati su un percorso permanente di medicalizzazione che può comportare la perdita della loro fertilità e / o piena funzione sessuale”, l’autore ha scritto.
Ha quindi collegato a una serie di articoli a sostegno delle sue affermazioni in merito al fatto che i farmaci fossero spinti in modo troppo aggressivo nei confronti degli adolescenti, così come alcuni con persone che avevano finito per pentirsi della loro transizione di genere.
Anche su rt.com lo scisma online divide gli amanti di Harry Potter dopo che i siti dei fan si sono allontanati dal “transfobico” J.K. Rowling
“Come ho già detto molte volte, la transizione potrebbe essere la risposta per alcuni. Per altri, non sarà – testimone dei resoconti dei detrattori “, ha twittato Rowling.
L’autrice di Harry Potter ha chiarito la sua posizione sul movimento transgender in passato, sostenendo che non è contro il transgenderismo in sé, ma contro attivisti trans “tossici” che non consentono opinioni dissenzienti nella conversazione senza etichettare coloro che detengono opinioni come anti-transgender.
Anche su rt.com JK Rowling si rifiuta di inchinarsi e scusarsi per “svegliare la mafia” in posizione transgender
La Rowling ha iniziato a suonare campanelli d’allarme quando ha ridicolizzato un riferimento in una funzione su salute e igiene durante la pandemia di Covid-19 dalla piattaforma di sviluppo globale online Devex. Nel tentativo di essere più inclusivi, gli scrittori si erano riferiti a “persone che hanno le mestruazioni”, piuttosto che a “donne”.
La sua posizione ha causato un vero contraccolpo, con siti di fan stabiliti in omaggio ai suoi famosi romanzi di Harry Potter e persino agli attori del franchise cinematografico basati sui libri che si allontanano pubblicamente da lei.
Ma l’autore ha ancora rifiutato di arretrare. Oltre ai suoi tweet espliciti della domenica, è stato notato che recentemente ha smesso di seguire l’autore Stephen King su Twitter e ha eliminato un messaggio in cui lo aveva elogiato, dopo aver affermato, “le donne transgender sono donne”.
Anche su rt.com Trans le donne sono donne, afferma Stephen King, spingendo J.K. Rowling per non seguirlo più e annullare la sua lode
Il rifiuto della Rowling di tacere sull’argomento ha semplicemente rinnovato la critica dei manifesti sui social media.
“Ogni volta che mi dimentico di JK Rowling per un secondo, esce con un’altra dichiarazione esasperante”, ha twittato l’attrice “Shameless” Emmy Rossum, in risposta al thread di Sunday.
Tuttavia, Rowling ha ottenuto un certo sostegno pubblico, con altri su Twitter che hanno accusato i suoi critici di aver frainteso le sue parole come dichiarazioni anti-transgender invece di essere aperte a discutere semplicemente le opinioni che sta esprimendo.
Le critiche alle opinioni dell’autore di “Harry Potter” JK Rowling sul movimento transgender si sono trasformate in “minacce di morte e stupro”, ma lei ha risposto con ancora maggiore veemenza, innescando un nuovo oltraggio sui social media.
“Ho ignorato i tweet falsi attribuiti a me e RTed ampiamente. Ho ignorato il porno twittato ai bambini su una discussione sulla loro arte. Ho ignorato le minacce di morte e stupro. Non lo ignorerò “, ha twittato domenica la Rowling, in risposta a un tweet che la accusava di chiamare le persone che assumono farmaci” pigri “.
In un thread di 11 parti, la Rowling ha lanciato l’accusa come una notizia falsa, rivelando che lei stessa ha fatto affidamento su farmaci per la salute mentale e ciò di cui si è messa in discussione sono gli ormoni e la chirurgia che sono spinti sui giovani nel tentativo di “trasferire” il loro genere , anche se potrebbe non essere ciò di cui hanno effettivamente bisogno o che desiderano.
“Molti, me compreso, credono che stiamo assistendo a un nuovo tipo di terapia di conversione per i giovani gay, che sono stati avviati su un percorso permanente di medicalizzazione che può comportare la perdita della loro fertilità e / o piena funzione sessuale”, l’autore ha scritto.
Ha quindi collegato a una serie di articoli a sostegno delle sue affermazioni in merito al fatto che i farmaci fossero spinti in modo troppo aggressivo nei confronti degli adolescenti, così come alcuni con persone che avevano finito per pentirsi della loro transizione di genere.
Anche su rt.com lo scisma online divide gli amanti di Harry Potter dopo che i siti dei fan si sono allontanati dal “transfobico” J.K. Rowling
“Come ho già detto molte volte, la transizione potrebbe essere la risposta per alcuni. Per altri, non sarà – testimone dei resoconti dei detrattori “, ha twittato Rowling.
L’autrice di Harry Potter ha chiarito la sua posizione sul movimento transgender in passato, sostenendo che non è contro il transgenderismo in sé, ma contro attivisti trans “tossici” che non consentono opinioni dissenzienti nella conversazione senza etichettare coloro che detengono opinioni come anti-transgender.
Anche su rt.com JK Rowling si rifiuta di inchinarsi e scusarsi per “svegliare la mafia” in posizione transgender
La Rowling ha iniziato a suonare campanelli d’allarme quando ha ridicolizzato un riferimento in una funzione su salute e igiene durante la pandemia di Covid-19 dalla piattaforma di sviluppo globale online Devex. Nel tentativo di essere più inclusivi, gli scrittori si erano riferiti a “persone che hanno le mestruazioni”, piuttosto che a “donne”.
La sua posizione ha causato un vero contraccolpo, con siti di fan stabiliti in omaggio ai suoi famosi romanzi di Harry Potter e persino agli attori del franchise cinematografico basati sui libri che si allontanano pubblicamente da lei.
Ma l’autore ha ancora rifiutato di arretrare. Oltre ai suoi tweet espliciti della domenica, è stato notato che recentemente ha smesso di seguire l’autore Stephen King su Twitter e ha eliminato un messaggio in cui lo aveva elogiato, dopo aver affermato, “le donne transgender sono donne”.
Anche su rt.com Trans le donne sono donne, afferma Stephen King, spingendo J.K. Rowling per non seguirlo più e annullare la sua lode
Il rifiuto della Rowling di tacere sull’argomento ha semplicemente rinnovato la critica dei manifesti sui social media.
“Ogni volta che mi dimentico di JK Rowling per un secondo, esce con un’altra dichiarazione esasperante”, ha twittato l’attrice “Shameless” Emmy Rossum, in risposta al thread di Sunday.
Tuttavia, Rowling ha ottenuto un certo sostegno pubblico, con altri su Twitter che hanno accusato i suoi critici di aver frainteso le sue parole come dichiarazioni anti-transgender invece di essere aperte a discutere semplicemente le opinioni che sta esprimendo.
Testo originale:
JK Rowling says she got ‘death & rape threats’… but doubles down on transgender position
Criticism of ‘Harry Potter’ author JK Rowling’s views on the transgender movement has spilled over into “death and rape threats,” but she has responded to it with even greater vehemence, sparking fresh outrage on social media.
“I’ve ignored fake tweets attributed to me and RTed widely. I’ve ignored porn tweeted at children on a thread about their art. I’ve ignored death and rape threats. I’m not going to ignore this,” Rowling tweeted on Sunday, in response to a tweet accusing her of calling people who take medication “lazy.”
In an 11-part thread, Rowling blasted the accusation as fake news, revealing that she herself has relied on mental-health medication and what she takes issue with are hormones and surgery being pushed on young people in an effort to ‘transition’ their gender, even if that might not be what they actually need or want.
“Many, myself included, believe we are watching a new kind of conversion therapy for young gay people, who are being set on a lifelong path of medicalisation that may result in the loss of their fertility and/or full sexual function,” the author wrote.
She then linked to a number of articles to back up her claims about medications being pushed too aggressively to teenagers, as well as some featuring people who had ended up regretting their gender transition.
“As I’ve said many times, transition may be the answer for some. For others, it won’t – witness the accounts of detransitioners,” Rowling tweeted.
The Harry Potter author has made her stance on the transgender movement clear in the past, arguing that she’s not against transgenderism per se, but against “toxic”trans activists who don’t allow dissenting views into the conversation without labeling those holding such views as anti-transgender.
Also on rt.com JK Rowling refuses to bow down & apologize to ‘woke mafia’ on transgender position
Rowling first set off woke-mob alarm bells when she ridiculed a reference in a feature about health and hygiene during the Covid-19 pandemic by online global-development platform Devex. In an effort to be more inclusive, the writers had referred to “people who menstruate,” rather than ‘women.’
Her position has caused a real backlash, with fan sites established in homage to her popular Harry Potter novels and even actors from the film franchise based on the books publicly distancing themselves from her.
But still the author has refused to back down. In addition to her outspoken Sunday tweets, it was noted that she recently unfollowed author Stephen King on Twitter and deleted a message in which she’d praised him, after he claimed, “transgender women are women.”
Rowling’s refusal to remain quiet on the subject has merely renewed the criticism from woke posters on social media.
“Every time I forget about JK Rowling for a second, she comes out with another infuriating statement,” ‘Shameless’ actress Emmy Rossum tweeted, in response to Sunday’s thread.
However, Rowling has garnered some public support, with others on Twitter accusing her critics of misconstruing her words as anti-transgender statements instead of being open to simply debating the opinions she is expressing.
FONTE:https://comedonchisciotte.org/forum/articolo-segnalato-per-pubblicazione/jk-rowling-afferma-di-aver-ricevuto-minacce-di-morte-e-stupro-ma-conferma-la-sua-posizione-sul-transgender-jk-rowling-says-she-got-death-rape-threats-but-doubles/
IL POLITICALLY CORRECT, NUOVO BIGOTTISMO MODERNO.
Voglio proporvi questo video di Brandi – Donadel nel quale di presenta la grande ipocrisia, o il grande male, dei giorni attuali: il “Politically Correct”, la nuova intolleranza moderna, con la quale persone possono essere bullizzate, moralmente violentate, brutalizzate in nome del fatto che certe idee, attenzione, non violente, ma semplicemente rappresentanti un modo diverso di pensare, per alcuni violenti non possono espresse.
Il tutto in un hubrys di distruzione del passato , di rinnegamento delle proprie radici, che non ha precedente se non negli angoli più bui, come quello della Rivoluzione Culturale di Mao. Un vero rigurgito fascista,questo si, che sta portando a fenomeni ridicoli, come la rimozione della statua di Colombo dalla città di Columbus, tra l’altro statua donata dalla Città di Genova. A questo punto perchè Columbus non cambia nome in “Nullius”, nulla, perchè figlia del niente?
Un momento veramente triste in cui bisogna essere invece più forti e combattere per la libertà e per la conoscenza.
VIDEO QUI:https://youtu.be/Wr81u45Flxo
FONTE:https://scenarieconomici.it/il-politically-correct-nuovo-bigottismo-moderno/
Schiavitù moderna e ipocrisia del politicamente corretto
- Attualmente ci sono circa 9,2 milioni di schiavi neri in Africa. La schiavitù, secondo l’Indice Globale della Schiavitù, include il lavoro forzato, lo sfruttamento sessuale e i matrimoni coatti. – Global Slavery Index, 2018.
- “Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), oggi ci sono oltre il triplo di persone che vivono in una condizione di servitù forzata rispetto a quante ne sono state catturate e vendute nel corso dei 350 anni della tratta transatlantica degli schiavi”, Time Magazine, 14 marzo 2019.
- La schiavitù moderna frutta alle reti criminali circa 150 miliardi di dollari all’anno, poco meno del traffico di droga e di armi.
- “I Paesi del G-20 importano ogni anno prodotti a rischio di provenienza da lavoro forzato, generati tramite schiavitù moderna, per un valore di circa 354 miliardi di dollari.” – Global Slavery Index, 2018.
- Raichatou, una schiava maliana, nel 2013 ha raccontato al Guardian di essere stata ridotta in schiavitù all’età di 7 anni quando sua madre, anche lei schiava, morì. “Mio padre non poté fare altro che guardare quando il padrone di mia madre venne a reclamare me e i miei fratelli”, ha raccontato la donna. Ha lavorato gratis come domestica per quasi vent’anni ed è stata costretta a sposare un altro schiavo che non conosceva, in modo da poter fornire al suo padrone altri schiavi.
Mentre Black Lives Matter (BLM) e i suoi lacchè discutono incessantemente dell’obiettivo di cambiare i nomi delle strade e di rimuovere le statue, ignorano la sconcertante cifra di 40 milioni di vittime della schiavitù reale nel mondo, di cui circa 9 milioni di uomini, donne e bambini attualmente ridotti in schiavitù in Africa. Nella foto: Il 22 giugno 2020, vandali tentano di abbattere la statua dell’ex presidente americano Andrew Jackson a Lafayette Square, la piazza nei pressi della Casa Bianca, a Washington, D.C. (Foto di Tasos Katopodis/Getty Images) |
La cronaca è densa di notizie riguardanti i sostenitori del movimento Black Lives Matter (BLM) che hanno vandalizzato e abbattuto le statue di mercanti e di proprietari di schiavi e di chiunque essi ritengono sia stato coinvolto storicamente nella schiavitù. A Bristol, in Inghilterra, una statua del mercante di schiavi Edward Colston è stata abbattuta e gettata nelle acque del porto. In Belgio, le statue del re Leopoldo II sono state deturpate.
Questi attacchi hanno indotto alcune autorità locali a valutare se tutte le statue ritenute offensive della sensibilità attuale debbano essere rimosse. Il sindaco di Londra Sadiq Khan ha annunciato una commissione che valuterà le future sorti dei monumenti, come le statue e i nomi delle strade, nella capitale del Regno Unito.
Ciò che risulta incomprensibile è in che modo l’attacco alle vecchie statue di persone che sono morte da tempo dovrebbe servire a qualcuno, soprattutto a milioni di persone che a prescindere dal colore della pelle sono oggi ridotte in schiavitù. Sembrerebbe che gli attivisti BLM del politicamente corretto e i loro numerosi sostenitori che si sono messi in ginocchio non si preoccupino del dramma degli schiavi moderni, che si stima siano attualmente 40 milioni. Evidentemente, è molto più facile e presumibilmente più piacevole distruggere i monumenti storici occidentali piuttosto che avviare il difficile lavoro di abolire la schiavitù moderna.
Nello stesso Regno Unito, c’è una sconcertante gamma di schiavitù moderna, qualcosa che i fautori autoctoni del politicamente corretto ignorano tranquillamente mentre attaccano con ardore le statue in pietra e di bronzo. Secondo il Rapporto annuale sulla schiavitù moderna del 2019, redatto dal governo britannico, nel Regno Unito, ci sono almeno 13 mila potenziali vittime della schiavitù, anche se tale cifra è opinabile poiché il report governativo risale al 2014. Secondo il Global Slavery Index (Indice Globale della Schiavitù) del 2018, sono circa 136 mila le persone che vivono in una situazione di schiavitù moderna in Gran Bretagna.
La schiavitù nel Regno Unito assume la forma del lavoro forzato, della servitù domestica e dello sfruttamento sessuale. Albanesi e vietnamiti sono tra i gruppi che costituiscono la maggioranza degli schiavi.
I media britannici hanno riportato numerose notizie riguardanti diverse migliaia di vietnamiti, metà dei quali hanno meno di 18 anni, che vengono rapiti divenendo vittime del traffico clandestino che li porta nel Regno Unito, dove sono costretti a lavorare come schiavi nelle fattorie di cannabis. Lì, costituiscono una piccola parte della “vasta macchina criminale che rifornisce il mercato nero della cannabis da 2,6 miliardi di sterline”. Coloro che non sono costretti a lavorare nell’industria della cannabis vengono schiavizzati nei “negozi di manicure, nei bordelli e nei ristoranti o dietro le porte delle abitazioni private, lavorando come domestici”. A gennaio, BBC News ha pubblicato un articolo su una ragazzo vietnamita di nome Ba, che è stato rapito da una banda cinese e portato nel Regno Unito, dove il suo padrone cinese gli faceva soffrire la fame e lo picchiava ogni volta che una delle piante di cannabis non attecchiva.
Al BLM potrebbe non interessare molto la vita dei vietnamiti nel Regno Unito, dopotutto, per il movimento contano le vite dei neri, e quelle degli schiavi neri in Africa? Secondo il Global Slavery Index, attualmente nel continente africano ci sono circa 9,2 milioni di uomini, donne e bambini, che vivono in una situazione di schiavitù moderna, termine che include il lavoro forzato, lo sfruttamento sessuale e i matrimoni coatti.
“Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), oggi ci sono oltre il triplo di persone che vivono in una condizione di servitù forzata rispetto a quante ne sono state catturate e vendute nel corso dei 350 anni della tratta transatlantica degli schiavi”, ha riportato Time Magazine, nel marzo del 2019. Stando all’OIL, 25 milioni di schiavi moderni sono costretti a svolgere un lavoro forzato e 15 milioni sono vittime di matrimonio forzato.
Attualmente la schiavitù frutta alle reti criminali circa 150 miliardi di dollari all’anno, poco meno del traffico di droga e di armi. “La schiavitù moderna è senza alcun dubbio più redditizia ora che in qualsiasi momento della storia umana”, ha detto al Time Siddhart Kara, un economista del Carr Center for Human Rights Policy. Secondo il Global Slavery Index del 2018, “i Paesi del G-20 importano ogni anno prodotti a rischio di provenienza da lavoro forzato, generati tramite schiavitù moderna, per un valore di circa 354 miliardi di dollari.”
Nel 2017, sono emerse immagini scioccanti di vere e proprie aste di schiavi in Libia: la CNN ha documentato un episodio in cui uomini che parlavano arabo hanno venduto dodici nigeriani. Nel 2019, Time Magazine ha intervistato un migrante africano, Iabarot, che era stato venduto come schiavo mentre cercava di raggiungere l’Europa:
“Quando Iabarot raggiunse il confine meridionale della Libia, incontrò un tassista che con fare apparentemente amichevole si offrì di condurlo gratuitamente nella capitale, Tripoli. Invece, fu venduto a un ‘libico bianco’ o arabo per 200 dollari. Iabarot fu costretto a ripagare il suo ‘debito’ lavorando in un cantiere edile, uno schema che tornava a ripetersi ogni volta che veniva venduto e rivenduto”.
Lo sfruttamento sessuale costituisce una parte considerevole della schiavitù moderna. La mafia nigeriana, ad esempio, secondo un reportage del 2019 del Washington Post, gestisce il traffico di decine di migliaia di donne:
“Alcuni esperti affermano che tra il 2016 e il 2018 sono arrivate in Sicilia fino a 20 mila donne nigeriane, alcune delle quali minorenni, in un traffico coordinato tra i nigeriani in Italia e quelli nel loro Paese”.
Secondo un rapporto del luglio 2017 dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) delle Nazioni Unite:
“Nel giro di tre anni il numero delle potenziali vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale arrivate via mare in Italia è aumentato del 600 per cento. Un aumento che è continuato anche in questi primi sei mesi del 2017, con la maggior parte delle vittime che arriva dalla Nigeria”.
In questo rapporto, l’OIM ha stimato che l’80 per cento delle ragazze, spesso minorenni, provenienti dalla Nigeria – il cui numero è passato da 1.500 nel 2014 a oltre 11 mila nel 2016 – fossero “potenziali vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale”.
In alcune parti del continente africano, specialmente nel Sahel, la schiavitù è ancora radicata nella cultura tradizionale, anche se, ufficialmente, è stata bandita. In Paesi come il Mali e la Mauritania, la cosiddetta schiavitù ereditaria o “basata sulla casta” – in cui la schiavitù viene tramandata di generazione in generazione, in modo che gli schiavi nascano tali – è ancora praticata da qualcuno.
Si stima che nel 2013 circa 250 mila persone vivessero in condizione di schiavitù in Mali, dove la schiavitù non è illegale. Una schiava maliana di nome Raichatou, ha raccontato al Guardian nel 2013 di essere stata ridotta in schiavitù all’età di 7 anni quando sua madre, anche lei schiava, morì. “Mio padre non poté fare altro che guardare quando il padrone di mia madre venne a reclamare me e i miei fratelli”, ha raccontato la donna. Ha lavorato gratis come domestica per quasi vent’anni ed è stata costretta a sposare un altro schiavo che non conosceva, in modo da poter fornire al suo padrone altri schiavi.
Si è calcolato che in Mauritania fino al 20 per cento della popolazione è asservito, anche se la schiavitù è stata abolita ufficialmente nel 1981. Gli schiavi provengono principalmente dalla minoranza di etnia Haratin, mauri neri, mentre quasi la metà della popolazione è costituita da arabi o berberi. Secondo un reportage del Guardian pubblicato nel 2018:
“La schiavitù ha una lunga storia in questa nazione dell’Africa sahariana. Per secoli, i Mori arabofoni hanno fatto irruzione nei villaggi africani, dando vita a un rigido sistema di caste che esiste ancora oggi, con abitanti dalla pelle più scura che hanno un debito nei confronti dei loro ‘padroni’ dalla pelle più chiara. Lo status di schiavo viene tramandato di madre in figlio e gli attivisti che si battono contro la schiavitù vengono regolarmente torturati e detenuti. Tuttavia il governo nega sistematicamente l’esistenza della schiavitù in Mauritania, vantandosi di aver sradicato questa pratica”.
Il reportage descriveva altresì alcuni degli orribili destini degli schiavi Haratin:
“Aichetou Mint M’barack era una schiava ereditaria della zona di Rosso. Come sua sorella, venne portata via da sua madre e poi data a un membro della famiglia del padrone come serva. Si è sposata nella casa dei suoi padroni e ha avuto otto figli, due dei quali le furono portati via per diventare schiavi di altre famiglie. Nel 2010, la sorella maggiore di Aichetou riuscì a liberarla (…) dopo essere fuggita a sua volta dai suoi padroni quando loro versarono dei carboni ardenti addosso al suo bambino, uccidendolo”.
Black Lives Matter e numerosi dirigenti aziendali, professori universitari, personalità della cultura, dello sport e dei media che sostengono il movimento sembrano totalmente indifferenti al destino di persone come Aichetou. È molto probabile che essi non abbiano mai sentito parlare di lei e dei suoi innumerevoli compagni di sventura. Sono apparentemente vite di neri che non contano per nessuno tranne per le persone coraggiose che operano nelle organizzazioni locali che si battono contro la schiavitù.
Piuttosto, BLM e i suoi lacchè discutono incessantemente dell’obiettivo di cambiare i nomi delle strade e delle università e di rimuovere le statue, tutte cose che non fanno altro che indicare una virtù puerile. Perdono tempo a discutere se le persone che non sono mai state schiave dovrebbero ottenere risarcimenti da parte di chi non ha mai posseduto uno schiavo.
Assumere queste prese di posizione, ignorando la sconcertante cifra di 40 milioni di vittime dell’attuale schiavitù, non solo rappresenta gli abissi incommensurabili dell’ipocrisia del politicamente corretto, ma costituisce un insulto estremo a coloro che soffrono in silenzio la loro schiavitù, morendo lentamente a causa degli abusi fisici, sessuali ed emotivi che sono costretti a sopportare. Se c’è qualcosa di “offensivo”, beh, è proprio questo.
Judith Bergman è avvocato, editorialista e analista politica. È Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute.
FONTE:https://it.gatestoneinstitute.org/16201/schiavitu-moderna
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
The Island
Michael Bay é uno dei registi più sottovalutati dell’attuale panorama cinematografico.
I cinefili lo odiano, ritenendo le sue opere come “Armageddon” o “Pearl Harbour”, “pomposamente noiose”.
Eppure, come ancora una volta ci dimostra questo “The Island”, Bay ha invece un buon talento nella fluidità della narrazione, come ha sostenuto anche la rivista prestigiosa “Cahiers du Cinema”.
Non può certamente esistere un concetto autoriale nel Cinema di Bay, ma dalla meticolosa cura delle sue immagini é facile notare una passione non solo nel raccontare qualcosa, ma nel raccontarlo nel modo più fluido possibile, complice un montaggio che sappia dosare il tempo filmico creando un ritmo capace di travolgere le aspettative.
La regia di Bay può essere anche standard, nel seguire un manuale registico quasi scolastico, eppure non si può e non si deve definire banale.
E’ il dono della gestione spaziale nel cogliere nelle scene, soprattutto in quelle d’azione, tutta la forza delle immagini e la geometricità delle linee che delimitano il quadro cinematografico, con risultato un dinamismo vibrante che si alterna alla confusione della fotografia sgranata nelle scene di fuga sotterranea.
https://www.superguidatv.it/dettaglio-film/film-the-island-cast-trama/MV1756/
Questa volta siamo in territorio fantascientifico, un mondo futuristico che deve molto a Philip K. Dick (non é un caso se i richiami a “Minority Report” sono persistenti).
Al contrario della maggioranza dei film di fantascienza, in “The Island” i protagonisti non sono gli umani che devono combattere contro androidi/robot, bensì l’esatto contrario: La coppia Ewan McGregor/Scarlett Johansson e’ una coppia di cloni, teoricamente incapaci di provare sentimenti ed emozioni, ma chiaramente, dopo i replicanti di BladeRunner sappiamo che ormai tutto é possibile.
A coinvolgerci nelle vicende di questi due cloni é innanzitutto la direzione attoriale, che coglie in entrambi i protagonisti quella credibilità necessaria che li renda molto più umani di quelli veri; poi, la delineazione alienata/alienante che li rende creature fanciullesche ed innocentemente bisognose.
Ma ciò che rende “The Island” qualcosa di superiore alle solite “americanate d’azione” é la cura semiotica di Michael Bay, che imprime le immagini di significazioni e simbologie sotto la pelle, non solo quando sembra riprodurre un puzzle mentale tramite l’uso delle tecniche video-clippare (montaggio frastagliatissimo, 1000 immagini flashate al minuto), ma anche quando riprende a sé la classicità di un semplice campo lungo, proprio come l’ultima scena nella montagna, un urlo del bisogno di essere liberi, perché in fondo “The Island” è solamente e celatamente un film sulla libertà e sulla voglia di vivere.
Quella di Bay non solo è grande cura della superficie (estetica), ma anche cura di ciò che va oltre l’occhio, in un incontro tra spettatore e qualcosa che non é più solamente etica, ma condivisione e percezione emotiva di una morale non indifferente.
La frase: “Ah sei un clone…, quindi… oddio, sei vergine?”
Pierre Hombrebueno
FONTE:http://filmup.com/theisland.htm
CONFLITTI GEOPOLITICI
BANDE PARAMILITARI DI MIGRANTI PRONTE ALL’ASSALTO
“Gruppi di migranti nigeriani che in un primo momento collaboravano con le mafie per lo sfruttamento della prostituzione ed il traffico delle droghe, ora stanno organizzando bande paramilitari per controllare il territorio italiano”, a rivelarcelo un articolo del “Times” del 29 giugno 2017, a cui si sono aggiunte pubblicazioni del “The Guardian” dell’agosto scorso. Parlano di gang criminali nigeriane e centrafricane che operano in Italia, già soprannominate dall’intelligence britannica “I Vichinghi”: “I membri sono soliti portare il machete come arma – riferiscono le fonti britanniche – hanno prima controllato il traffico di esseri umani, ed oggi usano il capoluogo siciliano come punto d’approdo e smistamento in Italia per centinaia di migliaia d’immigrati clandestini”.
Secondo la stampa inglese il territorio italiano sarebbe ora a forte rischio di “tribalizzazione territoriale”, ovvero le bande di migranti potrebbero appropriarsi di aree e difenderle come usano fare nelle zone del centro Africa già attraversate da guerre civili e atavici conflitti tribali.
Rodolfo Ruperti, capo della polizia di Palermo, aveva dichiarato al Times che “la gang dei Vichinghi è sorta mentre la polizia sgominava l’organizzazione dell’Ascia Nera (struttura mafiosa nigeriana in Italia): quando elimini una gang, subito altre vengono a colmarne il vuoto”. Secondo le fonti britanniche si sarebbe ormai a cospetto di “organizzazioni molto gerarchiche, con capi presenti in ogni città”.
Il rischio secondo gli inglesi è che, messi alle strette (o progettando una supremazia sugli italiani) potrebbero anche armare i centri d’accoglienza, e coloro che vivono nei palazzi occupati, per fronteggiare le forze dell’ordine in eventuali focolai di guerriglia urbana: l’esempio dello sgombero nei pressi di Roma-Termini avrebbe potuto avere di queste conseguenze.
L’ulteriore restrizione dei flussi migratori verso la Gran Bretagna sarebbe stata operata dal governo di Londra dopo le relazioni dell’intelligence. Di più, il caso italiano sarebbe oggetto di studio e preoccupazione, al punto che Scotland Yard avrebbe consigliato maggiore controllo sui voli in entrata dall’Italia, e perquisizioni accurate sui vettori su rotaia e gomma che attraversano il canale. Dal canto loro i francesi hanno già in due occasioni fronteggiato gruppi paramilitari nelle banlieue parigine, ricorrendo all’esercito in supporto alla Gendarmerie.
Ma la politica italiana sarebbe quella di non allarmare la popolazione circa il rischio d’assalti da parte di gruppi “paramilitari extracomunitari”. Anche se bande sudamericane avrebbero già il controllo d’una decina di edifici a Milano e d’una zona non ben definita a Genova. Va rammentato che lungo l’Adriatico sarebbero già state segnalate bande di africani. Qualche funzionario di polizia ventila che ordini superiori avrebbero minimizzato il fenomeno, etichettandolo come ininfluente sotto il profilo dell’ordine pubblico. Evidentemente necessita attendere che si manifestino con i fatti, e cioè non basta qualche stupro o rapina per gridare al fenomeno diffuso.
Occorre che bande paramilitari di migranti assalgano aziende agricole e piccoli centri rurali, che s’approprino arma alla mano di pezzi del Paese… allora forse lo Stato democraticamente sonnacchioso si desterà, forse proponendo di dialogare con gli eventuali nemici. Il Papa ci dirà di perdonare loro ogni peccato, ma soprattutto qualcuno ci rammenterà che prima di tutto sono rifugiati politici.
FONTE: http://www.opinione.it/societa/2017/09/14/ruggiero-capone_migranti-nigeriani-paramilitari-times-the-guardian/
FONTE:http://www.opinione.it/societa/2017/09/14/ruggiero-capone_migranti-nigeriani-paramilitari-times-the-guardian/
Stati Uniti, fuga dalle grandi città e dai disordini sociali
Il Covid-19, ma soprattutto le tensioni sociali e le violente proteste antirazziste di queste ultime settimane, oltre alle incertezze economiche: negli Usa è in corso un vero e proprio “esodo” dalle città e dai grandi centri urbani verso le campagne. Gli statunitensi sono in cerca di una vita più serena, oltre che meno costosa, e chi può fa le valigie e si dirige verso le località rurali. Come spiega The Hill, questa tendenza è accelerata dalla tecnologia che dall’inizio della pandemia consente a molti di lavorare da remoto. Cittadini di tutte le età e di varia estrazione sociale si stanno spostando in numero record nelle piccole città, lontani dal caos. E no, non è colpa del Presidente Donald Trump, il perfetto capro espiatorio della sinistra Usa: come riporta The Hill, infatti, una tempesta perfetta di più fattori rende la decisione di lasciare le città principali del Paese come New York quasi obbligata. “La mancanza di un’adeguata pianificazione del governo locale ha portato il coronavirus a diffondersi cinque volte più rapidamente a New York rispetto al resto del Paese” scrive la testata americana.
Nella contea di Ulster, che confina a nord-ovest con la contea di Delaware, a nord con la contea di Greene nonché con la contea di Columbia e di Dutchess, gli abitanti sono quasi raddoppiati rispetto al 2016, con un boom di case vendute a marzo e ad aprile. Alcune persone alloggiano nelle loro case vacanza, ma i dati suggeriscono che molti hanno l’intenzione di abbandonare New York per sempre.
New York e le grandi città si spopolano
Si stima che circa un quarto di milione di residenti a New York si trasferiranno all’interno dei confini statali, mentre altri 2 milioni potrebbero trasferirsi definitivamente fuori dallo stato di New York. Più di 16.000 residenti si sono già trasferiti nella periferia del Connecticut. Le prime stime dicono che la città che non dorme mai sta anche perdendo un numero significativo di cittadini che si stanno trasferendo nelle aree rurali del New England e della Florida. Ma è una tendenza generale, che non riguarda solamente la Grande Mela. Oltre il 40 percento degli abitanti delle città ha cercato online case vendite. Redfin – nota agenzia di mediazione immobiliare con sede a Seattle – riferisce che oltre un quarto delle ricerche sul suo sito Web sono state fatte da persone che vivono a Seattle e San Francisco. Naturalmente, questo incide moltissimo sui prezzi degli immobili: se a San Francisco i prezzi delle case sono scesi di oltre il 50%, la domanda nelle aree rurali è aumentata in maniera vertiginosa, e i prezzi sono aumentati di quasi il 10%.
The Hill spiega inoltre che c’è stato un forte aumento di interesse nel trasferirsi nel Montana, e che la maggior parte delle richieste arriva dalla “progressista” California, uno dei luoghi più colpiti dal Covid-19. Le vendite immobiliari in Montana, infatti, sono superiori del 10% rispetto a quelle dell’anno scorso. Le zone rurali del Colorado, dell’Oregon e del Maine hanno visto simili aumenti nelle vendite immobiliari. Lo stesso dicasi del Vermont.
I cittadini scappano dai disordini provocati dagli antirazzisti
Seattle, Chicago, New York, Minneapolis: città assediate dai manifestanti antirazzisti, dove si sono create delle vere e proprie “zone occupate” dove la polizia non può nemmeno entrare. E dove la criminalità e la violenza regnano sovrane. Come nella già citata Seattle, dove le forze dell’ordine hanno ripreso il controllo della zona occupata (Chop) dopo tre settimane, nelle quali sono morti, a seguito di due diverse sparatorie, rispettivamente due ragazzi di 16 e 19 anni. Ad Atlanta, Georgia, una bimba di appena 8 anni è morta a seguito di una sparatoria consumatasi nella zona di Pryor Road 1238, nello stesso parcheggio del fast food “Wendy’s” nel quale venne ucciso Rayshard Brooks, dove uomini armati hanno aperto il fuoco contro l’auto sulla quale si trovavano la piccola e sua madre.
Situazioni dalle quali i residenti scappano, come conferma anche The Hill. “Disordini sociali e i picchi di tasso di criminalità urbana aumentano anche la possibilità di un forte aumento delle migrazioni dalle grandi città” sottolinea la testata. Anche se è ancora troppo presto per prevedere gli impatti politici di queste tendenze demografiche, che potrebbero essere anche molto significativi, questo esodo verso le campagne è lo specchio dell’America di oggi.
FONTE:https://it.insideover.com/politica/stati-uniti-fuga-dalle-grandi-citta-e-dai-disordini-sociali.html
Il collasso delle zone occupate dai manifestanti antirazzisti
Ancora morte e violenza nelle “zone occupate” dai manifestanti Usa. Come riferisce Fox 5 e come conferma la polizia, una bimba di appena 8 anni è morta a seguito di una sparatoria consumatasi ad Atlanta, il 4 luglio, nella zona di Pryor Road 1238, nello stesso parcheggio del fast food “Wendy’s” nel quale venne ucciso Rayshard Brooks, dove uomini armati hanno aperto il fuoco contro l’auto sulla quale si trovavano la piccola e sua madre. La bimba si chiamava Secoriea Turner: insieme a lei, nel fine settimana, sono morte altre due persone, mentre in totale sono 24 le persone coinvolte in sparatorie. A seguito della morte di Brooks, come ricorda l’Adnkronos, la zona è stata occupata da manifestanti antirazzisti.
“Avete ucciso una bambina”, ha detto il sindaco della città, Keisha Lance Bottoms, riferendosi ai manifestanti. La Bottoms ha riferito che ad aprire il fuoco sono stati “almeno due aggressori” e ha chiesto che le persone armate sgomberino l’area. La polizia non ha ancora identificato alcun possibile sospettato, ma ha descritto i due uomini: uno vestito di nero “come un cacciatore di taglie” e il secondo con una maglietta bianca. L’unità omicidi di Atlanta sta indagando sul caso.
Ancora morte e violenza nelle zone occupate dai manifestanti
L’uccisione del ventisettenne Rayshard Brooks, lo scorso giugno, davanti al “Wendy’s”, per mano della polizia, aveva scatenato l’inferno nella capitale della Georgia aprendo un nuovo fronte del conflitto razziale che scuote l’America. Il ristorante Wendy’s davanti al quale l’afroamericano è stato ucciso da un agente dopo aver fatto resistenza al suo fermo era stato dato alle fiamme. Poi l’occupazione della zona da parte dei manifestanti, conclusasi con il sangue e la tragica morte di Secoriea Turner. Chissà se il suo nome sarà ricordato come quello di George Floyd oppure i politicamente corretti si volteranno d’altra parte: la vita di Secoriera Turner vale forse meno di quella di Floyd?
L’incubo di Seattle
Su InsideOver abbiamo raccontato il tragico fallimento della “zona occupata” di Seattle. Abitazioni danneggiate, sporcizia e immondizia ovunque, graffiti: così si presenta il quartiere di Capitol Hill a Seattle – sei isolati nel centro cittadino – liberato ieri dalle forze di polizia dopo tre settimane di occupazione da parte dei manifestanti antirazzisti (Black Lives Matter, Antifa e altre organizzazioni della sinistra radicale americane). Su ordine della sindaca dem Jenny Durkan, infatti, nei giorni scorsi la polizia ha ripreso il controllo di Capitol Hill e della zona occupata (Chop): circa una dozzina di manifestanti sono stati arrestati dopo diversi avvertimenti delle forze dell’ordine di liberare area.
Tra sabato 20 giugno e domenica 21 giugno tre persone erano state ferite a seguito di una sparatoria e un diciannovenne è stato ucciso. Nel weekend successivo, un ragazzo di 16 anni ha perso la vita poco dopo essere stato trasferito in ospedale; l’altro, di 14 anni, è finito in terapia intensiva. Come ricostruito da Termometro Politico, già dal 12 giugno i residenti e commercianti della zona si sono trovati i negozi devastati e non potevano raggiungerli né lavorare, mentre i residenti non riuscivano a tornare a casa. Quando i commercianti hanno provato a parlare con i manifestanti, hanno poi scoperto che esistevano più fazioni e ognuna sosteneva di essere quella che comanda. Arriviamo al 14 giugno, quando due tossicodipendenti hanno distrutto l’orto dedicato agli afroamericani nell’indifferenza generale. Da lì la situazione è degenerata ulteriormente, con la morte del ragazzo di 19 anni di cui abbiamo già trattato. Segnalazioni di sparatorie, furti e stupri erano all’ordine del giorno.
Minneapolis e la zona occupata dagli “homeless”
Nei giorni scorsi a Minneapolis, città teatro dell’omicidio di George Floyd, a Powderhorn Park, è spuntato dal nulla un accampamento di oltre 300 homeless. Come riporta il New York Post, i residenti del quartiere hanno deciso in un primo momento di non chiamare la polizia e lasciare i senza tetto nelle loro tende improvvisate. Tuttavia, l’area è diventata il ritrovo ideale di spacciatori e criminali in genere e due persone sono finite all’ospedale a seguito di un’overdose. Carrie Nightshade è una mamma e faceva parte, spiega il New York Post, di un gruppo di “donne bianche” che avevano concordato di ignorare qualsiasi danno alla proprietà, inclusi quelli alla propria abitazione. Ma ora si sente a disagio nel lasciare che i suoi due figli, di 9 e 12 anni, giochino da soli nel parco. Un altro residente, Mitchell Erickson, ha chiamato la polizia quando è stato minacciato da due giovani fuori da casa sua, uno dei quali gli ha puntato una pistola al petto mentre gli intimava di consegnarli di le chiavi della sua auto. È la dimostrazione chiara e lampante che le forze dell’ordine sono necessarie per garantire la sicurezza dei cittadini. L’alternativa è l’anarchia, il caos. E la morte.
FONTE:https://it.insideover.com/societa/il-collasso-delle-zone-occupate-dai-manifestanti-antirazzisti.html
CULTURA
La vera pandemia si chiama “globalizzazione”
Fra i tanti libri che stanno uscendo dopo la pandemia, quello di Francesco Borgonovo è sicuramente uno dei più suggestivi (La malattia del mondo. In cerca della cura per il nostro tempo, UTET) Si tratta di una riflessione a tutto campo sullo stato attuale del mondo, i cui tratti essenziali il virus ha confermato e anzi reso ancora più chiari e accelerato. Borgonovo, che è uno dei più importanti giornalisti italiani (attualmente è vicedirettore de La Verità), scrive in modo chiaro, avvincente, e il volume si lascia leggere con facilità nonostante che egli sia costretto, dall’oggetto stesso, a mischiare fatti di cronaca (quella vissuta appunto in questi mesi) e riflessioni teoriche. Le quali ultime sono fatte di idee ben precise e organizzate, maturate nel corso della sua attività di questi anni ma verificate in questo libro con l’ausilio di filosofi, psicologi, esperti vari e riconosciuti, appositamente interrogati. E con riferimenti costanti alla grande letteratura e alla mitologia classica. Può quindi succedere che, nel mentre si parli del wetmark fatidico di Wuhan da cui si sarebbe originato il virus, si passi a teorizzare, sulle orme del Carl Schmitt de Il nomos della terra, di “potenze d’acqua” e “potenze di terra” che si contendono da sempre il dominio del mondo.
In verità, l’acqua è l’elemento attorno a cui Borgonovo fa girare un po’ tutta la narrazione: essa indica fluidità, instabilità, precarietà, incertezza. È cioè l’elemento dominante nel nostro mondo “malato”, non di coronavirus solamente ma di una malattia più profonda. Questa patologia si chiama globalizzazione, e vive dell’abbattimento di ogni confine o frontiera: fra gli Stati, fra le culture, fra le idee, fra i generi sessuali. È furia distruttrice e corrosiva di ogni limite, e cioè della tradizione, già individuata da Marx come propria del capitalismo (anche se egli preferiva, nota giustamente l’autore di questo libro, la metafora del gas rispetto a quella dell’acqua).
Essa ha raggiunto l’acme con il neoliberismo, che è un po’ il bersaglio principale di questo libro. Il “turbocapitalismo” ha compiuto, infatti, la più radicale delle operazioni: ha fatto credere ai tanti adepti delle culture minoritarie e delle “minoranze discriminate” di stare combattendo una battaglia di emancipazione e persino anticapitalistica, mentre, in realtà, l’ideologia del “politicamente corretto” è funzionale alle nuove logiche di un mercato diventato un assoluto. E che è disumanizzante nella misura in cui giudica tutto in termini di perdita o profitto. Il neocapitalismo vende anche le idee “rivoluzionarie” e critiche del vecchio ordine come prodotti. Esso ha anzi bisogno di idee che mettano in crisi i vecchi limiti e destrutturino realtà come la famiglia, la nazione, la religione, basate su un trasporto gratuito degli uomini e non commercializzabile.
Gli individui, sradicati e isolati, ridotti a semplice “materiale umano”, diventano così plasmabili e manipolabili: facili “prede” del potere pur credendosi liberi e unici (il narcisismo di massa è opportunamente solleticato). Si è conformisti sentendosi e credendo di essere anticonformisti: si è “ribelli” e non “rivoluzionari”. Borgonovo descrive in pagine riuscite e convincenti questa nuova dialettica del potere: che è in primo luogo economico ma si serve dei simboli e dell’immaginario, e perciò diventa estremamente pericoloso. Molto coinvolgenti sono le pagine sull’ambientalismo: tanto più critiche verso quella che è un’ideologia catastrofista di sapore gnostico, fatta propria da Greta ma anche dall’élite mondiale, quanto più l’autore ritieme e mostra come solo una rinnovata coscienza ecologica potrebbe farci uscire dalla crisi, cioè provare a guarire dalla “malattia del mondo”. Ritrovandogli appigli su cui poggiarsi, cioè un terreno solido, e riscoprendo l’idea del limite. Cioè, in poche parole, provando a mettere in scacco il potere talassocratico che ci avvolge e dirige. Occorre riscoprire l’idea del limite e combattere la dismisura, cioè quella hybris che ci ha portato a crederci i padroni dell’universo e a pensare che la natura, ma meglio sarebbe dire il creato, mai ci avrebbe presentato il conto. Il virus, che sia fuggito da un laboratorio o che sia figlio del forzato allontanamento dalle campagne proprio della rapida modernizzazione cinese, ci ha dimostrato il contrario.
FONTE:https://loccidentale.it/la-vera-pandemia-si-chiama-globalizzazione/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
DPO: ok il prezzo è giusto! O no?
Il che modo è possibile determinare il giusto compenso per le prestazioni di un DPO?
Forse è più facile dire quanti angeli possono danzare sulla capocchia di uno spillo che determinare quale possa essere il “giusto” prezzo per un DPO. Una risposta universalmente valida non esiste, e purtroppo occorre sempre dire: dipende. Dalle competenze richieste e dal lavoro da svolgere, ovviamente.
Vero è che consultando alcune gare e aggiudicazioni si possono riscontrare cifre offerte ed accettate che lasciano quanto meno perplessi, con incarichi annuali anche per 500 o 1.000 euro. È sufficiente un po’ di Google, e con una ricerca del nominativo spesso si riesce a vedere che questo soggetto (sia esso un professionista o una società) ha accumulato centinaia di incarichi. “Tante briciole fanno una panetteria” recita un noto proverbio. Certo, viene qualche dubbio circa la possibilità materiale di svolgere così tanti incarichi da parte di un unico soggetto.
Se si parla di persona giuridica o di team è bene ricordare che nel caso di incarico ricevuto, ciascun soggetto appartenente alla persona giuridica e operante quale DPO deve soddisfare tutti i requisiti degli artt. da 37 a 39 GDPR. Certamente, un tale livello di preparazione di così tanti consulenti fa apparire improbabile l’applicazione di costi degni di saldi stagionali.
Inoltre, giova ricordare che l’impianto sanzionatorio del GDPR non prevede alcun tipo di responsabilità in capo al DPO in quanto è l’organizzazione che designa tale funzione a dover garantire (ed essere in grado di dimostrare) di aver effettuato una selezione conforme ai requisiti della norma e di aver mantenuto l’effettività del ruolo svolto (per indipendenza, coinvolgimento, aggiornamento, etc.).
Certamente, in caso di sanzioni o azioni risarcitorie subite esiste una responsabilità civile di carattere disciplinare (nell’ipotesi di DPO interno) o professionale (nell’ipotesi di DPO esterno) per la corretta esecuzione dell’incarico così come definito dal GDPR e da eventuali precisazioni integrative convenute con il titolare o il responsabile del trattamento. Nelle ipotesi in cui sussista tale responsabilità, allora il DPO è tenuto al risarcimento del danno nei confronti dell’organizzazione solamente qualora sia possibile riscontrare un inadempimento sul fronte della diligenza “qualificata”, ovverosia richiesta in ragione della natura della prestazione da rendere e raffrontabile con gli standard professionali di riferimento. Per quanto riguarda la soluzione di problemi di particolare complessità, inoltre, sussiste una circoscrizione della responsabilità alle sole ipotesi di dolo o colpa grave. Di sicuro però non esiste alcuna possibilità di difesa o limitazione di responsabilità fondata sul “prezzo basso” convenuto per la prestazione.
Non esiste insomma esonero alcuno per un titolare o responsabile che violi il GDPR per “incauto affidamento” alle scelleratezze o all’assenteismo del proprio DPO. Semmai questi potrà rivalersi sul proprio (ex, si spera) DPO e cercare il ristoro del danno subito, ma in prima battuta sarà sempre chiamato a dover pagare sanzioni ed eventuali risarcimenti nei confronti degli interessati.
Forse, il problema del “prezzo” del DPO riguarda più la percezione del valore di tale funzione da parte delle organizzazioni.
Citando Wilde: “Oggigiorno si conosce il prezzo di tutto, ma non si conosce il valore di niente”. Possiamo però augurarci che il tempo sarà galantuomo (assieme a qualche intervento correttivo da parte del Garante), e che un domani si possa riconoscere diffusamente e con maggior certezza almeno il valore di tale funzione.
FONTE:https://www.infosec.news/2020/07/04/news/riservatezza-dei-dati/dpo-ok-il-prezzo-e-giusto-o-no/
Protezione dati, come ti coinvolgo il DPO
Il DPO deve essere “tempestivamente” e “adeguatamente” coinvolto nelle attività di trattamento dei dati
All’interno del procedimento relativo alla sanzione comminata da parte dell’autorità di controllo belga per il conflitto d’interessi del DPO emerge un profilo istruttorio tutt’altro che irrilevante (sebbene non abbia dato seguito al riscontro di alcuna violazione): la verifica dell’effettivo coinvolgimento della funzione.
L’art. 38.1 GDPR, infatti, impone al titolare o al responsabile del trattamento di assicurarsi “che il responsabile della protezione dei dati sia tempestivamente e adeguatamente coinvolto in tutte le questioni riguardanti la protezione dei dati personali”. Cosa comporta, su un piano operativo, tale obbligo? Come minimo: essere in grado di garantire e verificare l’effettivo coinvolgimento del DPO, definendo i flussi informativi e la ripartizione di ruoli e responsabilità all’interno dell’organizzazione.
Le informazioni documentate circa la “presenza” del DPO dovranno essere ad esempio ricercate:
- nelle procedure adottate dall’organizzazione;
- nelle assegnazioni di ruoli e responsabilità riferite alle attività (es. nella matrice RACI);
- all’interno delle istruzioni operative e dei modelli.
Le evidenze così ricavate sono indizi che possono comprovare un effettivo coinvolgimento “per sistema”, ricordando che però deve avere anche le caratteristiche di tempestività e adeguatezza. Circa la tempestività, l’approccio standard deve consistere in via generale nella consultazione sin dalle fasi iniziali di progettazione, variazione o analisi delle attività di trattamento dei dati personali comunque svolte da parte dell’organizzazione. Per quanto riguarda il parametro di adeguatezza, invece, occorre che il DPO non sia solamente informato bensì coinvolto (con il limite del conflitto di interessi, ovviamente). Occorre infatti che il suo parere comunque espresso sia tenuto in debita considerazione, anche e soprattutto nelle ipotesi di azioni difformi da parte dell’organizzazione, la quale dovrà essere in grado di documentarne correttamente le motivazioni (es. esigenze di budget, differimento per variazioni operative, etc.).
Ad esempio, è necessario che il DPO sia coinvolto all’interno dei gruppi di lavoro che si occupano di:
- svolgimento e riesame di una valutazione preliminare di impatto;
- valutazione di un incidente di sicurezza da cui può derivare una violazione di dati personali;
- riscontro alle richieste da parte degli interessati;
- valutazione dei fornitori di servizi che assumono il ruolo di responsabili del trattamento;
- verifica ed implementazione delle misure di sicurezza;
- progettazione di attività di trattamento di dati personali.
La designazione del DPO (e il suo effettivo coinvolgimento) ha la natura di un atto di organizzazione la cui responsabilità ricade sul soggetto designante (sia esso titolare o responsabile del trattamento), il quale sarà chiamato a dover dimostrare la propria conformità agli artt. 37, 38 e 39 GDPR in caso di controlli da parte del Garante Privacy.
FONTE:https://www.infosec.news/2020/07/07/news/riservatezza-dei-dati/protezione-dati-come-ti-coinvolgo-il-dpo/
Alcune teorie della cospirazione sono reali
unz.com
Qual è il modo migliore per sfatare una teoria della cospirazione? Chiamarla semplicemente “teoria della cospirazione”, un’etichetta che di per sé implica incredulità. L’unico problema è che ci sono state molte cospirazioni reali sia storicamente che attualmente e molte di esse non sono affatto di natura teorica. Cospirazioni di vario genere portarono alla partecipazione americana in entrambe le guerre mondiali. E per quanto si pensi al presidente Donald Trump, bisogna ammettere che è stato vittima di una serie di cospirazioni, prima per negargli la nomination al GOP, poi per assicurarsi che venisse sconfitto alle elezioni presidenziali e, successivamente, per delegittimare completamente la sua presidenza.
Prima di Trump c’erano state numerose “teorie” della cospirazione, molte delle quali erano abbastanza plausibili. Mi viene in mente il “suicidio” del segretario alla Difesa James Forrestal, seguito dall’assassinio di John F. Kennedy, che è stato credibilmente accreditato sia a Cuba che a Israele. E poi c’è stato l’11 settembre, forse la più grande cospirazione di tutti i tempi.
Israele sapeva chiaramente che stava arrivando, testimoni i Cinque Shlomo danzanti che saltellavano filmandosi nel New Jersey, mentre le torri gemelle crollavano. Anche i Sauditi potrebbero aver avuto un ruolo nel finanziamento e persino nella direzione dei presunti dirottatori. E abbiamo anche avuto la cospirazione dei neocon per fabbricare informazioni sulle armi di distruzione di massa irachene e la cospirazione in corso da parte degli stessi soggetti per rappresentare l’Iran come una minaccia per gli Stati Uniti.
Date le molteplici crisi attualmente in atto negli Stati Uniti, è forse inevitabile che la speculazione sulle cospirazioni sia ai massimi livelli di sempre. Per l’americano medio è incomprensibile come il paese sia diventato così incasinato, forse perché l’élite politica ed economica è fondamentalmente incompetente, quindi la ricerca di un capro espiatorio deve continuare.
Ci sono una serie di teorie cospirative sul coronavirus che stanno attualmente girando. Gli amanti della libertà e della critica, che credono che il virus sia in realtà una semplice influenza strumentalizzata per privarli delle loro libertà, sono convinti che molti nel governo e nei media abbiano cospirato per vendere ciò che è essenzialmente una frode. Uno di questi venditori di olio di serpente persiste nell’usare un’analogia, cioè che poiché numerosi americani restano uccisi in incidenti automobilistici, probabilmente sarebbe più appropriato vietare le auto piuttosto che richiedere l’uso di mascherine anti coronavirus.
Un’altra teoria molto in voga accusa il multimiliardario della Microsoft Bill Gates di aver tentato di impadronirsi del sistema sanitario mondiale attraverso l’introduzione di un vaccino per controllare il coronavirus, che presumibilmente lui stesso ha creato. L’errore in molte delle “cospirazioni” virali che fanno riferimento ad un regime totalitario o a un folle miliardario che usa una finta malattia per generare paura, in modo da ottenere il controllo sulla società, è che dà troppo credito alla capacità di qualsiasi governo o individuo di realizzare una frode di tale portata. Richiederebbe persone molto più intelligenti del tag team di Trump-Pompeo o persino di Gates, per convincere il mondo e migliaia di medici e scienziati che dovrebbero bloccare interi paesi per qualcosa di completamente falso.
Altre teorie sul coronavirus raccontano come il virus sia stato sviluppato negli Stati Uniti, esportato in Cina da uno scienziato traditore americano, ingegnerizzato a Wuhan e poi scatenato in Occidente, come parte di un complotto comunista per distruggere il capitalismo e la democrazia.
Ciò significherebbe che siamo già in guerra con la Cina, o almeno dovremmo esserlo. Poi c’è la teoria ampiamente accreditata secondo cui il virus è stato creato a Wuhan ed è sfuggito dal laboratorio. Da quel momento Pechino ha iniziato un insabbiamento, che rappresenterebbe la cospirazione. È un tema favorito dalla Casa Bianca, che non ha ancora deciso cosa fare al di là dell’assegnazione di appellativi divertenti alla malattia, quali “Pericolo Giallo”, quindi tutti i cappelli MAGA avranno parecchio da ridacchiare fino alle elezioni di novembre.
Ma scherzi a parte, ci sono alcune teorie della cospirazione che vale la pena prendere in considerazione rispetto ad altre. Una sarebbe il ruolo di George Soros e delle cosiddette Open Society Foundations, che lui controlla e finanzia e che sono implicate nei disordini sociali che stanno dilagando negli Stati Uniti. Le accuse contro Soros sono certamente scarse in fatto di prove, ma i mercenari della cospirazione segnalerebbero che questo è il segno di una congiura davvero ben pianificata, secondo cui l’89enne miliardario ebreo ungherese si sta impegnando da molto tempo. L’attuale serie di affermazioni su Open Society e Soros hanno generato oltre 500.000 tweet al giorno e quasi 70.000 post su Facebook al mese, principalmente da parte di conservatori politici.
Le accuse tendono a rientrare in due grandi categorie. La prima è che Soros assume manifestanti / teppisti e li ficca in manifestazioni dove vengono riforniti di mattoni e dispositivi incendiari per attizzare le rivolte. La seconda che Open Society sta finanziando, quindi favorendo il flusso destabilizzante di immigrati clandestini negli Stati Uniti.
Soros e i suoi sostenitori, molti dei quali sono ebrei, dicono di voler sostenere la democratizzazione e il libero commercio in tutto il mondo, e accusano di antisemitismo gli attacchi all’ungherese. Egli infatti è uno dei principali globalisti del mondo. Soros afferma di essere una “forza per il bene” secondo il cliché, ma è del tutto credibile che la sua fondazione da 32 miliardi di dollari non operi dietro le quinte per influenzare gli eventi, in modi che non possono certo definirsi democratici?
In effetti, Soros ha accumulato la sua vasta fortuna attraverso il capitalismo dell’avvoltoio. Ha guadagnato oltre $ 1 miliardo nel 1992 nella vendita allo scoperto di 10 miliardi di sterline inglesi, portando i media a definirlo “l’uomo che ha gettato sul lastrico la Banca d’Inghilterra”. È stato accusato di simili speculazioni sulle valute sia in Europa che in Asia. Nel 1999, l’economista del New York Times Paul Krugman scrisse di lui che “Nessun lettore di una rivista economica negli ultimi anni può non sapere che oggi esistono investitori che non solo spostano denaro in previsione di una crisi valutaria, ma in realtà fanno del loro meglio per innescare quella crisi, sia per divertimento che per profitto”.
Senza dubbio lungi dall’essere uno spettatore passivo che dà consigli utili ai gruppi democratici, Soros è stato fortemente coinvolto nella ristrutturazione degli ex regimi comunisti nell’Europa orientale ed ha avuto un ruolo nella cosiddetta Rivoluzione delle rose in Georgia nel 2003 e nella Rivoluzione di Maidan in Ucraina nel 2014, entrambe sostenute dal governo degli Stati Uniti e intese a minacciare la sicurezza regionale della Russia.
Soros odia in particolare il presidente Vladimir Putin e la Russia. Ha rivelato su un suo articolo (pagato da lui), del Financial Times di marzo, intitolato “L’Europa deve resistere alla Turchia per i crimini di guerra di Putin in Siria”, insinuando che Putin sarebbe ben lungi dall’essere una figura benevola che lotta per la giustizia.
La tesi è piena di errori di fatto ed è fondamentalmente un appello all’aggressione verso una Russia che descrive come coinvolta in bombardamenti di scuole e ospedali. Inizia con “Dall’inizio del suo intervento in Siria nel settembre 2015, la Russia non ha solo cercato di difendere il suo fedele alleato arabo, il presidente siriano Bashar al-Assad. Ha anche voluto riconquistare l’influenza regionale e globale che aveva perso dalla caduta dell’Unione Sovietica.” In verità la Russia non è “intervenuta” autonomamente in Siria. Putin fu invece invitato dal governo legittimo del paese a fornire assistenza contro vari gruppi, che cercavano di rovesciare il presidente al-Assad, alcuni dei quali erano collegati ad al Qaeda e allo Stato islamico.
E a parte Soros, pochi veri esperti sulla Russia affermerebbero che sta cercando di ricreare l’ “influenza” dell’Unione Sovietica. Mosca non ha le risorse per farlo e non ha manifestato alcun desiderio di perseguire quel tipo di agenda globale che era caratteristica dello stato sovietico.
Segue quindi un volo planato nell’iperbole: “Vladimir Putin ha cercato di usare le turbolenze in Medio Oriente per cancellare le norme internazionali e i progressi dei diritti umanitari internazionali acquisiti dalla seconda guerra mondiale. In effetti, a creare il disastro umanitario che ha trasformato quasi 6 milioni di siriani in rifugiati, non è stato un semplice sottoprodotto della strategia del presidente russo in Siria. È stato uno dei suoi obiettivi centrali.” Nota che nessuna delle affermazioni su Soros è sostenuta dai fatti.
L’articolo di Soros includeva anche un po’ di reminiscenze, soprattutto quando descriveva come “Nel 2014, ho esortato l’Europa a prendere coscienza della minaccia che la Russia stava ponendo ai suoi interessi strategici”. Quindi il pezzo rivela che Soros non sarebbe né conciliante né “diplomatico”, un chiaro segno che sceglie i suoi nemici sulla base di considerazioni ideologiche, che guidano anche le sue scelte su come inquadrare le sue imprese. Alla luce di tutto ciò, sarebbe così incredibile che George Soros fosse impegnato in una cospirazione, che è clandestinamente dietro almeno un po’ del caos di Antifa e Black Latter Matter, e responsabile del diluvio di immigrazione clandestina, che insieme hanno forse fatalmente destabilizzato gli Stati Uniti?
Philip Giraldi, Ph.D. è direttore esecutivo del Consiglio per l’interesse nazionale.
02.07.2020
Link: https://www.unz.com/pgiraldi/some-conspiracy-theories-are-for-real/
FONTE:https://comedonchisciotte.org/alcune-teorie-della-cospirazione-sono-reali/
ECONOMIA
IL MES NON È QUELLO CHE VI DICONO. Intervista di VOX TV a Fabio Lugano
Intervista di VOX ITALIA TV a Fabio Lugano sul tema del MES e del Recovery Fund.
Per quanto riguarda il MES il discorso cade sulle caratteristiche del meccanismo europeo di stabilità che lo rende più insidioso rispetto al normale indebitamento tramite BTP.
Quindi si cade sul Recovery, le cui caratteristiche sono ancora incerte e che non si sa se sarà un bene o un male per l’Italia.
Buon ascolto
VIDEO QUI:https://youtu.be/sumWhtWJ0pI
FONTE:https://scenarieconomici.it/il-mes-non-e-quello-che-vi-dicono-intervista-di-vox-tv-a-fabio-lugano/
La difficile vita delle aziende online tra rischi, tutela della privacy e scarsa fiducia dei consumatori
Negli ultimi anni è cresciuto notevolmente il numero delle imprese presenti nel mercato digitale, grazie allo sviluppo di piattaforme in grado di attirare consumatori e nuovi acquirenti. I servizi offerti dagli imprenditori sono attualmente i più diversi e nella fase di lockdown il numero di coloro che si sono rivolti alla Rete anche solo per acquistare generi alimentari è aumentato in maniera esponenziale. Le grandi catene di supermercati si sono attrezzate con app e strumenti simili al fine di agevolare chi, chiuso in casa a causa del Coronavirus, non ha voluto rinunciare a servizi efficienti e beni di prima necessità.
Tuttavia, il commercio elettronico non è la panacea di tutti i mali ed occorre analizzare le ripercussioni che il suo massiccio sviluppo comporta, sia in termini di sicurezza dei dati rilasciati dagli utenti sia in termini di qualità dei servizi offerti. Andiamo con ordine. Fare impresa online non è più utopia ma una realtà consolidatasi negli ultimi tempi. Gli imprenditori che avviano simili progetti sono giovani e lungimiranti: mirano a conquistare una fetta di mercato disposta a spendere denaro in maniera immediata e consapevole. Il che pare un ossimoro. Ma dare vita ad un’azienda oggi non è cosa semplice, non fosse altro per la burocrazia imperante che uccide chi tenta di concretizzare un’idea e porla al servizio degli altri. I costi che si affrontano per avviare la struttura imprenditoriale (il capitale iniziale insieme ad altri debiti necessari per potersi garantire l’esistenza) devono necessariamente essere recuperati; di qui la necessità di trovare un pubblico adatto all’offerta che si propone. Non si tratta di un ossimoro dunque (spesa immediata ma responsabile) bensì di un assunto fondamentale per capire le attuali dinamiche di mercato.
Altra cosa: il ricorso all’intelligenza artificiale, se da un lato aumenta (e non di poco) la performance aziendale, dall’altro può generare dei rischi. Non va sottovalutata infatti la circolazione dei dati personali dell’utente che acquista, utilizzando spesso carte di credito o carte prepagate. Ultimamente si è posto il problema della tutela di questi dati, soprattutto a fronte della normativa europea in materia (GDPR). Aumentano purtroppo le frodi e gli attacchi informatici, come hanno rilevato recenti ricerche sul tema. Ad esempio, l’Allianz Risk Barometer 2020 ha evidenziato che il cyber risk è diventato più pericoloso per le aziende rispetto al passato. Eppure un’impresa o è presente online o verrebbe da dire che non esiste.
E’ possibile conciliare entrambe le cose? Diciamo di sì, purché il commercio elettronico non diventi l’unico canale in cui poter esprimere la libertà di impresa. Il rapporto di fiducia tra chi crea un’azienda e il consumatore finale non dovrebbe venire mai meno, anzi; questo rapporto virtuoso andrebbe sempre alimentato, cosa che in Rete scarsamente avviene. Le distanze fisiche si annullano e qualsiasi cosa abbia da dire il consumatore finisce per diventare un reclamo. Insomma, ben vengano le imprese che sfruttano Internet per incrementare la propria fetta di mercato, ma attenzione a non far diventare questo l’unico modo in cui è possibile fare impresa. A volte porsi controcorrente paga: meglio un piccolo rivolo che un grande fiume. Quest’ultimo porta con sé anche detriti e scorie.
FONTE:https://loccidentale.it/la-difficile-vita-delle-aziende-online-tra-rischi-tutela-della-privacy-e-scarsa-fiducia-dei-consumatori/
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Il debito pubblico dell’Italia può essere finanziato dal risparmio privato delle famiglie?
7 Luglio 2020
Tra le misure per fronteggiare l’emergenza da COVID-19 si potrebbe pensare di coprire il debito pubblico dell’Italia con il risparmio privato delle famiglie? Cifre e analisi della situazione del nostro Paese
A causa della crisi post-COVID 19 che ci troviamo ad affrontare, si fa sempre più articolato il dibattito su quale siano le misure finanziarie più convenienti per l’Italia, tenendo conto della situazione del debito pubblico e del risparmio privato.
Secondo diversi osservatori e politici, oltre agli strumenti europei, come il MES o il Recovery Fund, il nostro Paese dovrebbe contare su altri strumenti per finanziare le prossime misure anti-crisi.
Tra questi troviamo, ad esempio, i BTP futura. Si tratta di Buoni del Tesoro Poliennali che, a differenza dei classici BTP, sono stati ideati per i piccoli risparmiatori e i cui proventi, come si legge nel documento pubblicato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, “vengono interamente utilizzati per finanziare i provvedimenti adottati dal Governo per affrontare l’emergenza da COVID-19”.
In molti si chiedono quindi se sia possibile riuscire a coprire l’enorme debito pubblico del nostro Paese con l’ingente risparmio privato delle famiglie italiane, viste anche le difficili trattative con i cosiddetti paesi frugali.
Il debito pubblico dell’Italia e il risparmio privato delle famiglie
Nell’ultimo incontro annuale con il mercato finanziario, il Presidente della CONSOB Paolo Savona ha reso noto che “a fine 2019 le Famiglie italiane disponevano di una ricchezza immobiliare, monetaria e finanziaria, al netto dell’indebitamento, pari a 8,1 volte il loro reddito disponibile, di cui 3,7 volte in forma di attività finanziarie, per un ammontare di 4.445 miliardi di euro”.
Sul sito del MEF si legge che nello stesso periodo, ovvero il 2019, il valore del debito pubblico è stato di oltre 2.409 miliardi di euro, a fronte di un PIL superiore a 1.787 miliardi.
Facendo un semplice calcolo percentuale, è possibile quindi osservare che il rapporto debito/PIL è del 134,8%, mentre quello riguardante il risparmio privato e il Prodotto Interno Lordo italiano si attesta al 248,7%.
Il modello Giappone e le differenze con l’Italia
Secondo questi dati non solo sarebbe quindi possibile coprire il debito pubblico con il risparmio privato, ma si riuscirebbe a realizzare un disavanzo di ben oltre il 100%.
Questo modello è stato adottato dal Giappone, dove, nonostante il debito nazionale sia addirittura sopra il 237%, circa il 90% di esso è detenuto dagli stessi cittadini. Così facendo il governo nipponico riesce a mantenere i tassi di interesse molto bassi e, su alcuni titoli, anche negativi.
Sarebbe però superficiale voler applicare lo stesso schema senza valutare le differenze di spesa per le pensioni, percentuale delle imposte e la fiducia che lega lo stato centrale ai cittadini come garanzia per la restituzione degli investimenti.
Tutti fattori su cui l’Italia, al momento, si trova in una posizione sfavorevole.
FONTE:https://www.money.it/debito-pubblico-Italia-risparmio-privato-famiglie
Deutsche Bank: multa da 150 milioni per relazione con Epstein
L’autorità di regolamentazione dei servizi finanziari di New York ha sanzionato la banca tedesca per non aver monitorato adeguatamente le attività del miliardario americano morto suicida in carcere lo scorso agosto, dopo essere stato arrestato con l’accusa di abusi sessuali
di MF-Dowjones07/07/2020 17:40
L’autorità di regolamentazione dei servizi finanziari di New York ha comminato a Deutsche Bank una multa di 150 milioni di dollari per non aver monitorato adeguatamente le proprie relazioni con Jeffrey Epstein, il miliardario e finanziere morto suicida in carcere lo scorso agosto, dopo essere stato arrestato con l’accusa di abusi sessuali.
La sanzione è stata emessa in parte anche per la relazione di “corrispondente” di Deutsche Bank con due banche europee coinvolte in scandali di riciclaggio di denaro. Le banche corrispondenti fungono da intermediari nelle transazioni internazionali, gestendo trasferimenti per altri istituti di credito che svolgono attività commerciali in Paesi in cui hanno operazioni limitate.
La multa dell’organismo di vigilanza statunitense arriva a distanza di un anno dall’arresto di Epstein con l’accusa di traffico di minorenni a scopo sessuale. Il ricco imprenditore americano è morto suicida mentre si trovava in carcere circa un mese dopo, costringendo il governo a porre fine al processo a suo carico.
La scorsa settimana però le forze dell’ordine hanno arrestato Ghislaine Maxwell, una confidente di lunga data di Epstein, riaccendendo le speranze dei pubblici ministeri per poter fare finalmente luce e svelare la tratta di minorenni che andava avanti da anni.
“ Deutsche Bank non è riuscita a monitorare adeguatamente l’attività dei clienti che la banca stessa riteneva essere ad alto rischio”, ha dichiarato il sovrintendente ai servizi finanziari Linda A. Lacewell, aggiungendo che “nonostante fosse a conoscenza dei precedenti penali di Epstein, la banca non è stata in grado, senza alcuna giustificazione, di rilevare o prevenire milioni di dollari in transazioni sospette”.
La sanzione del Dipartimento dei servizi finanziari di New York arriva dopo che Deutsche Bank ha recentemente ricevuto un nuovo ammonimento dalla Federal Reserve, relativo ai propri controlli sul riciclaggio di denaro delle proprie operazioni negli Stati Uniti, un segnale dei timori delle autorità americane per la capacità della banca di prevenire condotte criminali da parte dei clienti.
“Siamo consapevoli delle nostre mancanze riguardanti Epstein e delle debolezze dei nostri processi, abbiamo imparato dai nostri errori e dalle nostre lacune”, ha riferito un portavoce di Deutsche Bank.
FONTE:https://www.milanofinanza.it/news/deutsche-bank-multa-da-150-milioni-per-relazione-con-epstein-202007071749338061
GIUSTIZIA E NORME
Il reato di subornazione, definizione e disciplina giuridica
5 febbraio 2015
La subornazione è l’atto di istigare qualcuno a venire meno a un dovere al quale è tenuto per legge o per un obbligo socialmente rilevante.
In molti ordinamenti, quando il dovere al quale si istiga a venire meno è una prestazione dovuta per legge, è considerata un reato, tipicamente riguarda la prestazione di testimonianza e perciò la figura criminosa tipica è l’istigazione a prestare falsa testimonianza.
Il subornatore, di solito, ricerca la condotta illecita del subornato attraverso offerta o promessa di denaro o altra utilità, ed è oggetto di discussione in dottrina la configurabilità del reato se l’induzione viene commessa con violenza o attraverso la rappresentazione della promessa di un danno ingiusto.
Nel codice penale italiano la fattispecie è prevista dall’articolo 377, in precedenza “Subornazione”, adesso rubricato come “Intralcio alla giustizia”, secondo il quale:
“Chiunque offre o promette denaro o altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all’autorità giudiziaria ovvero a svolgere attività di perito, consulente tecnico o interprete, per indurla a commettere i reati previsti dagli articoli 371 bis, 372 e 373, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alle pene stabilite negli articoli medesimi ridotte dalla metà ai due terzi. La stessa disposizione si applica qualora l’offerta o la promessa sia accettata, ma la falsità non sia commessa. La condanna importa l’interdizione dai pubblici uffici”.
Nel 2006 alla norma è stato aggiunto il rimando alla violenza nell’induzione:
“ Chiunque usa violenza o minaccia ai fini indicati al primo comma, soggiace, qualora il fine non sia conseguito, alle pene stabilite in ordine ai reati di cui al medesimo primo comma, diminuite in misura non eccedente un terzo”.
L’aggiunta è a volte chiamata “articolo 377 bis”.
Respingendo il ricorso contro un provvedimento di restrizione cautelare intramuraria, la Corte di Cassazione ha suffragato la ricorrenza della subornazione nella sua perpertrazione attraverso violenza, nonché la configurabilità del tentativo stesso.
In che consiste la “subornazione2 di un testimone?
Si tratta di sicuro di uno dei delitti più spregevoli che si possano commettere in danno della giustizia.
La parola “subornare” è poco diffusa nel pubblico, significa dare o promettere a un testimone denaro o qualsiasi altra utilità ai fine di fargli deporre il falso.
Al testimone l’articolo 377 del codice penale nel testo vigente equipara la “persona informata sui fatti” ascoltata dal Pubblico Ministero o dall’Avvocato difensore in sede investigativa, mentre risale al testo previgente l’equiparazione al perito o interprete, che non sono testi, ma si impegnano a fare conoscere al giudice la verità.
La responsabilità penale di chi commette questo reato, o di chi agevola o istiga qualcuno a commetterlo, è molto grave perché, esclusivamente per il fatto di agire o “consigliare” l’azione, viene posta in pericolo automaticamente la ricerca della verità che avviene nel processo.
A questi fini non conta che il teste sia sentito dal Giudice, ma è sufficiente sia ammesso a deporre, mentre non è necessario che egli abbia accettato oppure no la “proposta indecente“.
Non conta che l’azione sia avvenuta in tempi anteriori all’ammissione, purché si debba, al di là del ragionevole dubbio, presumere compiuta proprio in vista della futura assunzione della veste di testimone.
Il reato non sussiste, ad esempio, quando la dazione di denaro o altra utilità sia avvenuta in adempimento di un contratto stipulato con il testimone in tempi anteriori e non sospetti, cioè prima che avvenisse il fatto sul quale deporre.
Non sussiste la subornazione, quando per il testimone manchi qualsiasi vantaggio economico ed uno scambio sia avvenuto nella più completa normalità, ad esempio l’interessato (commerciante di scarpe) aveva venduto al testimone, per il prezzo corrente, un paio di scarpe da costui regolarmente pagate.
L’elemento decisivo è il “vantaggio” economicamente valutabile anche se comparso in relazione a un contratto formalmente stipulato in forma di prestazioni corrispettive.
Ad esempio, vista la difficoltà notoria di trovare lavoro, una improvvisa “assunzione” del testimone presso la ditta dell’interessato è di sicuro un vantaggio.
Sussiste reato diverso e più grave se il teste (corrotto) dica poi davvero il falso.
La dottrina evidenzia che, perché l’azione costituisca subornazione, è necessario che sia diretta al fine criminoso indicato, cioè fare deporre il falso.
I tecnici parlano in questo caso di dolo specifico.
La volatilità di questo elemento al fine di escludere l’iscrizione nel registro dei reati della persona “imprudente“, si può dedurre quale sia.
Una volta provato il fatto oggettivo, viene lasciato dal Pubblico Ministero all’Autorità Giudiziaria nel processo approfondire l’atteggiamento della volontà per esaminare se l’imputato sia colpevole o innocente.
Colui che si è messo in questa situazione viene di solito rinviato a giudizio.
Chi non vuole “passare un guaio serio“, si deve tenere lontano da questi giochetti pericolosi lasciando in pace i testimoni.
Il dovere di cronaca ci impone di fornire sempre il maggiore materiale possibile nella trattazione degli argomenti.
In relazione a questo abbiamo ritenuto opportuno, conoscendone l’esistenza, includere come esempio di caso concreto una recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2014 che riportiamo di seguito.
Le Sezioni unite configurano il reato di “intralcio alla giustizia” per l’offerta “corruttiva” al consulente del pubblico ministero.
29 Settembre 2014
Cass., Sez. Un., p.u. 25 settembre 2014, Pres. de Roberto, Rel. Rotundo, Ric. Guidi (informazione provvisoria)
1. Il servizio novità della Corte Suprema di cassazione comunica che, in esito all’udienza pubblica celebrata il 25 settembre 2014, le Sezioni unite hanno affrontato la seguente questione:
“Se sia configurabile l’ipotesi di intralcio alla giustizia di cui all’art. 377 cod. pen. nel caso di offerta o di promessa di denaro o di altra utilità al consulente tecnico del pubblico ministero al fine di influire sul contenuto della consulenza”.
Secondo l’informazione provvisoria diffusa dalla Suprema Corte, al quesito è stata data soluzione affermativa.
La deliberazione è stata assunta sulle conformi conclusioni del Procuratore generale.
2. In attesa del deposito della motivazione della sentenza, si può fin d’ora ricordare che la soluzione del problema di diritto posto dal caso di specie è stata particolarmente laboriosa.
Si procedeva per una «offerta corruttiva» indirizzata al consulente tecnico designato dal pubblico ministero per lo svolgimento di una determinata indagine tecnica. Come per altri casi, si era riscontrato un inconveniente connesso al mancato adeguamento del codice penale alla riforma del codice di rito. Era avvenuto ad esempio per le false dichiarazioni rese al magistrato inquirente: non essendo più l’audizione delle persone informate sui fatti una “testimonianza”, la qualificazione della condotta era stata controversa, fino a quando non è intervenuta una previsione ad hoc da parte del legislatore. Un fenomeno analogo si è verificato, appunto, con riguardo alla “istigazione” alla corruzione”, attuata da chi in ipotesi offra del denaro al consulente designato affinché agisca in modo infedele, ed in senso favorevole agli interessi del promittente: non potrebbe parlarsi, infatti, di una “perizia” da falsificare
Questa l’opinione espressa anche dalle Sezioni unite, allorquando hanno sollevato questione di legittimità costituzionale nell’ambito dello stesso procedimento poi definito con la decisione qui in commento (ordinanza n. 43384 del 27/06/2013, in questa Rivista).
In sintesi. La consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero non sarebbe assimilabile ad una “perizia”, a fini di applicazione dell’art. 377 cod. pen.. Dunque, chi offre denaro al consulente per esprimere valutazioni contrarie alla sua scienza e coscienza, quando e finché non vi sia stata effettiva falsità, non potrebbe rispondere del reato di intralcio alla giustizia, che invece può essere contestato a colui il quale faccia proposte corruttive alla persona designata quale perito del giudice (art. 377 in relazione all’art. 373 cod. pen.). Di conseguenza, sempre secondo l’originaria prospettazione delle Sezioni unite, la prima fattispecie sarebbe qualificabile come istigazione alla corruzione (art. 322 cod. pen.): dal che però discenderebbe – di qui la violazione dell’art. 3 Cost. denunciata con l’ordinanza sopra citata – il paradosso di pene molto più alte (nel minimo addirittura il doppio) rispetto a quelle previste per la proposta corruttiva rivolta al perito nominato dal giudice.
La discriminazione era apparsa alla Corte non giustificata, data la sostanziale analogia di posizione dei destinatari dell’offerta, della condotta corruttiva e delle sue potenziali conseguenze. Un’analoga irrazionalità avrebbe segnato il trattamento della fattispecie rispetto all’ipotesi di una proposta corruttiva diretta al consulente tecnico del giudice civile, la quale integra anch’essa il reato di intralcio alla giustizia, a fronte dell’espressa estensione al predetto soggetto processuale delle norme del codice penale relative ai periti (art. 64, comma 1, cod. proc. civ.). Infine, vi sarebbe stata una sperequazione interna alla stessa ipotesi dell’offerta ad un consulente tecnico della parte pubblica nel processo penale, prospettata in base alla distinzione tra condotte tese ad alterare le prospettazioni di fatto del consulente (qualificabili ex art. 377 in relazione all’art. 371-bis cod. pen.) e quelle mirate ad ottenere false dichiarazioni a carattere valutativo (da punire appunto a norma dell’art. 322 cod. pen.).
Dunque era stata sollecitata una dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 322 cod. pen. nella parte in cui prevede una pena superiore a quella dell’art. 377, in relazione all’art. 373 cod. pen., quando l’istigazione alla corruzione riguardi persona designata consulente tecnico del pubblico ministero.
L’ordinanza è stata variamente commentata, anche con contributi apparsi sulla nostra Rivista (si vedano il lavoro di Giorgia Oss, Situazioni analoghe, pene differenti: le Sezioni Unite chiedono l’intervento della Corte Costituzionale. Qualche riflessione sulle discrasie dell’ordinamento penale e sul principio di ragionevolezza, e quello di Marco Scoletta, La subornazione del consulente tecnico del Pubblico ministero tra istigazione alla corruzione e intralcio alla giustizia: le Sezioni Unite rimettono la questione al vaglio della Corte costituzionale).
3. Com’è noto, la questione è stata dichiarata inammissibile, dalla Corte costituzionale, con la sentenza del 10 giugno 2014, n. 163 (per accedere al provvedimento cliccare qui).
Decisiva è risultata proprio la distinzione tra offerta destinata ad indurre false rappresentazioni di fatto e proposta mirata ad ottenere false dichiarazioni di scienza ad opera del consulente. La Corte rimettente aveva “ammesso” che nel primo caso potrebbe applicarsi l’art. 377 in luogo dell’art. 322 cod. pen., trattandosi pur sempre di un “consulente tecnico” sollecitato a commettere il delitto di cui all’art. 371-bis cod. pen. (non configurabile invece a fronte di valutazioni fondate su discipline scientifiche, non definibili vere o false, ma, al più, corrette od erronee). Ebbene, secondo la Consulta, l’offerta compiuta nel caso di specie mirava anche ad ottenere che fossero prospettate false circostanze di fatto (si trattava di stabilire se un pilota d’aereo avesse ricevuto un’adeguata formazione). Quindi avrebbe dovuto applicarsi proprio la norma evocata, invece, quale tertium comparationis.
La Corte per altro – così “rivelando” una comprensibile resistenza all’attuazione di un atteggiamento fortemente “creativo” sul tessuto sanzionatorio pertinente alla materia, di chiara spettanza al legislatore – ha aggiunto che, con l’accoglimento della questione, le incongruenze si sarebbero addirittura moltiplicate.
In primo luogo, accettata la premessa di una distinzione tra rappresentazione “storica” e rappresentazione “valutativa” del consulente, nel caso fisiologico della compresenza di entrambi i profili (un esperto accerta sempre i dati di fatto da valutare, ed un mero testimone non è designato consulente) dovrebbe concludersi per il concorso di reati (cioè l’intralcio alla giustizia per la componente “testimoniale” e l’istigazione alla corruzione per la componente “peritale”). E la maggiore severità del trattamento, rispetto alla sanzione applicabile per il perito, sarebbe addirittura moltiplicata.
D’altra parte, quand’anche si fosse accettata la tesi della irrazionalità di una punizione più severa dell’istigatore rivoltosi al consulente, rispetto a quello che tenti di corrompere un perito, ancora sarebbe rimasta da dimostrare la “necessità costituzionale” di un trattamento paritario: la 2falsa testimonianza” resa al pubblico ministero, ad esempio, è punita meno gravemente di quella compiuta innanzi al giudice, e non con identica sanzione.
La decisione della Consulta è stata variamente commentata, anche sulla nostra Rivista (si vedano il contributo di Alessandro Maria Piotto, Il consulente tecnico del pubblico ministero tra intralcio alla giustizia ed istigazione alla corruzione. La corte costituzionale ”decide di non decidere” e di Luisa Romano, Condotta allettatrice del consulente tecnico del p.m.: la Corte costituzionale dichiara inammissibile la questione sollevata dalle Sezioni Unite
4. Le Sezioni unite hanno preso atto dell’interlocuzione intervenuta, e definito il giudizio a quo nel senso indicato in apertura. La ravvisata configurabilità del resto di intralcio alla giustizia è valsa, con ogni evidenza, a superare i dubbi circa l’illegittimità del più duro trattamento sanzionatorio che si sarebbe connesso all’applicazione dell’art. 322 cod. pen.
Resta da vedere quale sia stato il percorso argomentativo della Corte di legittimità.
FONTE:https://www.diritto.it/il-reato-di-subornazione-definizione-e-disciplina-giuridica/
IMMIGRAZIONI
Coronavirus, “bomba virale” dal Bangladesh: stop ai voli verso l’Italia, già 36 i positivi al tampone
Ancora alta l’allerta Bangladesh dopo l’atterraggio del volo Dacca-Roma con 36 tamponi positivi ai test effettuati ieri, lunedì 6 luglio, sui 274 passeggeri. Mancano ancora una sessantina di referti. Alcuni passeggeri avevano anche alterazione della temperatura. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha così ordinato la sospensione dei voli in arrivo dal Bangladesh. In accordo con il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, è stata anche disposta una sospensione valida per una settimana durante la quale si lavorerà a nuove misure cautelative per gli arrivi extra Schengen ed extra Ue.
Decisi anche dei test a raffica per tutti coloro che dal 1° giugno sono rientrati dal Bangladesh o sono entrati in contatto stretto con persone di rientro dal Paese asiatico. L’invito arriva dopo l’incontro di questa mattina tra i rappresentanti della Asl Roma 2 ed alcuni rappresentanti della Comunità del Bangladesh a Roma. Un incontro – scrive il Messaggero – “che si è svolto in un clima di massima collaborazione”, I 36 positivi trovati con i tamponi a Fiumicino sono stati portati al Covid Center di Casal Palocco, tutti gli altri resteranno in isolamento in un hotel affittato dalla Regione (o a domicilio se dimostreranno di avere la possibilità di evitare contatti con altre persone).
Alessio D’Amato, assessore regionale alla Salute, ha commentato: “Abbiamo disinnescato una vera e propria ‘bomba virale’. A seguito dell’ordinanza regionale tutti i passeggeri del volo infatti sono stati sottoposti al test sierologico, al test molecolare e all’isolamento. Questo conferma che non ci sono le condizioni di sicurezza da quella provenienza e i voli vanno sospesi. Se non avessimo messo in piedi una imponente macchina dei controlli questi passeggeri molto probabilmente sarebbero stati a loro volta un vettore di trasmissione del virus presso le loro comunità”, ha concluso D’Amato.
FONTE:https://www.liberoquotidiano.it/news/italia/23648378/coronavirus-stop-voli-bangladesh-verso-italia-36-tamponi-positivi.html
LA LINGUA SALVATA
subornazióne
subornazióne s. f. [dal lat. mediev. subornatio -onis, der. del lat. subornare: v. subornare].
In genere, l’atto, l’azione, l’opera di subornare, di essere subornato; in partic., nel linguaggio giur., delitto consistente nell’offrire o promettere denaro o altra utilità a un testimone o a un perito o a un interprete per indurlo a una falsa testimonianza, perizia o interpretazione: si ha questo delitto solo se l’offerta o la promessa non sia accettata, ovvero, se accettata, la falsità non sia stata commessa, altrimenti si avrebbe concorso nel delitto di falso consumato.
FONTE:http://www.treccani.it/vocabolario/subornazione/
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Se questo è il lavoratore a distanza del futuro, ESCI di casa adesso
rt.com
Il lavoratore a distanza del futuro si è rivelato. Si chiama Susan e non è un bel vedere, un’avvertenza per non farsi sedurre dai benefici del “WFH”( lavoro da casa).
Se lavori da casa, fermati ora. Abbandona immediatamente il lavoro, esci di casa e cerca lavoro come barista o chirurgo o qualsiasi altro lavoro che non puoi svolgere dal tuo domicilio. Perché ho visto il futuro del lavoro a domicilio: è orribile e si chiama Susan.
Susan, benedica la sua miserabile esistenza futura, è come si riduce il “lavoratore a distanza in 25 anni”, secondo la “piattaforma di ricerca del lavoro” americana DirectlyApply. E lei non è un bell’esemplare dall’aspetto sano.
La povera Susan assomiglia a quell’uomo (sì, sono incerto sul genere di Susan) che ingurgita otto pinte ogni sera nel tuo pub sotto casa, mentre è seduto su uno sgabello e gioca alla macchinetta dei quiz. Non scambia una parola con nessuno, tranne “Una pinta di birra, per favore” e “Hai spiccioli per la macchinetta?” Sembra che nessuno abbia visto o sentito la madre, con cui vive da diversi mesi.
Non lasceresti soli i tuoi figli con Susan.
È un presagio preoccupante per quelli come noi – e mi includo moltissimo in quel “noi” – che abbiamo completamente abbracciato lo stile di vita del WFH durante il blocco del coronavirus. Noi che ci siamo dilettati per un viaggio di tre minuti, per il codice d’abbigliamento da salotto e la mancanza dell’obbligo sociale di fare la doccia. Noi che abbiamo stretto amicizia con i corrieri di Amazon, ci siamo occupati della visione di Netflix durante le pause pranzo e ci siamo sentiti confortati dalla presenza costante e duratura di biscotti.
I malanni che affliggono questa pietosa creatura includono occhi asciutti e iniettati di sangue con occhiaia dilatate a forza di fissare lo schermo di un computer tutto il giorno (verifica); obesità dovuta a mancanza di esercizio fisico e spuntini costanti (verifica); e poi ha visto aumentare i livelli di stress perché non ha avuto abbastanza contatti umani (quest’ultimo problema potrebbe essere simile a quello dell’uovo e della gallina). La mancanza di vitamina D poi provoca perdita di capelli e pallore della pelle.
Ci sono anche tutti i tipi di problemi ortopedici: una cattiva postura, lesioni da sforzo ripetitivo e dolori cervicali da “collo tecnico”, che comporta spalle curve e “bicipiti femorali più corti”, per l’uso di telefoni e laptop. A giudicare dall’illustrazione, WFH sembra includere anche un gusto terribile nei vestiti.
Susan sembra Emma – l’inquietante “impiegato del futuro” presentato lo scorso ottobre, come fosse Charlize Theron. E’ come paragonare Sloth dei Goonies a Charlize Theron.
DirectlyApply afferma che il mostro di Frankenstein è stato creato dalla consulenza tra “psicologi, clinici ed esperti di fitness”. Il loro team di PR potrebbe aver trascorso circa mezz’ora su Google. Chissà? io però non sono assolutamente sicuro del possibile cambiamento evolutivo umano nell’arco di 25 anni. Quelli offrono anche consigli su come non diventare Susan, come continuare a frequentare i social network, mantenere la solita routine e non ridursi ad essere troppo indolenti e pigri.
Ma penso che Susan dovrebbe rappresentare un allarme per tutti noi. L’allarme è che mentre si lavora in mutande con gradito compenso del WFH, è però tempo di tornare a fare un lavoro che coinvolga attività come muoversi, parlare, magari alla luce solare. Se non lo facciamo, le conseguenze potrebbero essere in tutti i sensi molto brutte.
Andrew Dickens è uno scrittore pluripremiato, che si occupa di cultura, società, politica, salute e viaggi per importanti testate quali Guardian, Telegraph, Independent, Daily Mail ed Empire.
03.07.2020
Link: https://www.rt.com/op-ed/493739-remote-worker-ugly-warning/
FONTE:https://comedonchisciotte.org/se-questo-e-il-lavoratore-a-distanza-del-futuro-esci-di-casa-adesso/
PANORAMA INTERNAZIONALE
Il lento sgretolamento della Repubblica francese
Da tre anni in tutta la Francia si percepisce una contestazione profonda, che si esprime in forme finora sconosciute. Ispirandosi all’ideale repubblicano, si protesta contro il modo dei politici di mettersi al servizio delle istituzioni. Il presidente della repubblica reagisce con una parodia di concertazione, che manipola a ogni piè sospinto. Secondo Thierry Meyssan, il peggior nemico del Paese non è chi vuole dividerlo in comunità, ma chi è stato eletto e ha dimenticato il senso del proprio mandato.
La prima ondata
Aottobre 2018 in Francia, dalle piccole città e dalle campagne, montava una sorda protesta. I dirigenti del Paese e i media scoprirono stupefatti l’esistenza di una classe sociale che non conoscevano, mai incontrata in precedenza: una piccola borghesia, esclusa dalle grandi città e relegata nel “deserto francese”, uno spazio con servizi pubblici razionati e trasporti pubblici inesistenti.
La protesta, che in talune località si trasformò in sollevazione, fu scatenata dall’aumento di una tassa sul carburante, finalizzata a ridurre i consumi per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima. Questi cittadini, che vivono lontano da tutto e non hanno altra scelta che il trasporto privato, erano i più colpiti dall’aumento.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’economia mondiale si è riorganizzata. Centinaia di milioni di posti di lavoro sono stati delocalizzati dall’Occidente alla Cina. La maggior parte di chi ha perso il lavoro ha dovuto accettarne altri, peggio pagati. Sono stati obbligati a lasciare le grandi città, ora per loro troppo care, e a sistemarsi nelle periferie [1].
I Gilet Gialli rammentavano al resto della società la loro esistenza e che non potevano dare una mano a combattere contro la “fine del mondo” se prima non venivano aiutati per arrivare alla “fine del mese”. Denunciavano l’incoscienza della dirigenza politica che, dai propri uffici nella capitale, non si accorgeva della loro indigenza [2].
I primi dibattiti fra politici e alcune delle figure di spicco del movimento furono ancora più sbalorditivi: i politici proponevano misure settoriali per rendere più abbordabile il prezzo della benzina, i contestatari rispondevano pacatamente, ricordando i disastri causati dalla globalizzazione finanziaria. I primi apparivano disorientati e sopraffatti, i secondi sembravano essere i soli ad avere una visione d’insieme. La competenza si era trasferita dalla classe dirigente politica agli elettori.
Per fortuna della classe dirigente, i media smisero di occuparsi di questi guastafeste e li sostituirono con altri manifestanti, che pure esprimevano con forza la loro collera, ma non con altrettanta intelligenza. L’inasprimento dello scontro, che aveva il sostegno della maggioranza della popolazione, fece temere una possibile rivoluzione. Preso dal panico, il presidente Emmanuel Macron si rifugiò per dieci giorni nel bunker sotto l’Eliseo, annullando tutti gli appuntamenti. Prese in considerazione la possibilità di dimettersi e convocò il presidente del senato, che avrebbe dovuto sostituirlo ad interim. Dopo essere stato strapazzato da quest’ultimo, Macron ritornò in sé e riapparve in televisione per annunciare l’adozione di diverse misure sociali. Nessuna delle quali però a vantaggio dei Gilet Gialli, perché lo Stato continuava a ignorare chi fossero.
Tutti i sondaggi d’opinione tendono a dimostrare che la contestazione dei Gilet Gialli non è rifiuto della politica, è al contrario una volontà politica di restaurazione dell’Interesse Generale, ossia della Repubblica (Res publica).
I cittadini sono abbastanza soddisfatti della Costituzione, ma non dell’uso che ne viene fatto. Il loro rifiuto riguarda innanzitutto il comportamento dell’insieme del personale politico, non le Istituzioni.
Per riprendere le redini della situazione, il presidente Macron decise di organizzare in ogni comune un “Grande dibattito nazionale”, un po’ sul modello degli Stati Generali del 1789. Ogni cittadino avrebbe potuto esprimersi e le proposte sarebbero state sintetizzate e tenute in conto.
Sin dai primi giorni il presidente si diede da fare per controllare il pronunciamento popolare. Non bisognava consentire alla plebaglia di esprimersi a piacimento. L’“immigrazione”, l’“aborto”, la “pena di morte” e il “matrimonio per tutti” erano temi da estromettere dai dibattiti: il presidente, che si proclamava “democratico”, diffidava del popolo.
Ovviamente qualunque aggregato può lasciarsi trasportare dalle passioni. Durante la Rivoluzione Francese, nelle assemblee, i sanculotti poterono disturbare i dibattiti lanciando dalle tribune invettive contro i deputati. Nulla però poteva far temere che i sindaci avrebbero perso il controllo degli amministrati.
L’organizzazione del “Grande dibattito nazionale” spettava alla Commissione Nazionale per il Dibattito Pubblico. Ebbene, quest’ultima voleva garantire la libera espressione dei cittadini, il presidente invece voleva limitarla a quattro temi: transizione ecologica, fiscalità, democrazia e cittadinanza, organizzazione dello Stato e dei servizi pubblici.
Dopo essere stata ringraziata, la Commissione fu sostituita con due ministri. La disoccupazione, le relazioni sociali, la dipendenza degli anziani, l’immigrazione e la sicurezza furono temi messi nel dimenticatoio.
Dopodiché entrò in scena il presidente. Traboccante competenza, partecipò a parecchi incontri televisivi, rispondendo a ogni domanda: si era passati dal progetto di ascoltare le preoccupazioni dei cittadini all’idea che bastava rispondergli che erano ben governati.
Dopo tre mesi, diecimila riunioni e due milioni di contributi fu steso un rapporto, archiviato poi in un armadio. Diversamente da quanto afferma questa sintesi, gli interventi dei partecipanti al “Grande dibattito nazionale” riguardavano i privilegi degli eletti, la fiscalità, il potere d’acquisto, il limite di velocità sulle strade, l’abbandono delle zone rurali e l’immigrazione. Non soltanto quest’esercizio di stile non aveva fatto progredire le cose, ma aveva dato ai Gilet Gialli la prova che il presidente voleva parlare, non già ascoltare.
- In Francia i Gilet Gialli hanno organizzato ovunque petizioni per l’istituzione di un Referendum d’Iniziativa Cittadina (RIC).
Giacché vi assicuriamo di essere democratici
Durante le manifestazioni, ma non durante gli incontri del “Grande dibattito nazionale”, molti Gilet Gialli fecero riferimento a Étienne Chouard [3]. Un personaggio che da dieci anni percorre la Francia per sostenere che una Costituzione è legittima soltanto se redatta dai cittadini. Auspica la formazione di un’assemblea costituente, con estrazione a sorte dei membri, il cui risultato sarà sottoposto a referendum.
La risposta del presidente Macron fu la formazione, per estrazione a sorte, di un’assemblea, la Convenzione Cittadina. In continuità con il “Grande dibattito nazionale”, distorse immediatamente l’idea che diceva di voler mettere in atto: non si trattava della redazione di una nuova Costituzione, ma di proseguire il dibattito sui quattro temi da lui già imposti.
Macron non ha tuttavia considerato il sorteggio come mezzo per superare i privilegi di alcune classi sociali o per aggirare quelli dei partiti politici. L’ha trattato come strumento per conoscere meglio la volontà popolare. Ha perciò fatto suddividere la popolazione in categorie socio-professionali e per regione. I partecipanti alla convenzione sono stati poi estratti a sorte da questi differenti gruppi, come si trattasse di formare il campione di un sondaggio. Non è noto come siano stati definiti questi gruppi. Inoltre, il presidente ha affidato l’organizzazione dei dibattiti a uno studio specializzato nell’animazione di tavole rotonde, sicché il risultato è stato quello di un sondaggio: quest’assemblea non ha formulato proposte originali, si è limitata a individuare le priorità fra le proposte presentatele.
Un processo che è molto più formale di un sondaggio, ma che non ha niente di democratico perché i partecipanti alla Convenzione non hanno potuto prendere la benché minima iniziativa. Le proposte che hanno ricevuto più consensi saranno trasmesse al parlamento o sottoposte a un referendum. L’ultimo referendum in Francia risale a 15 anni fa ed è un bruttissimo ricordo: il popolo ha censurato la politica governativa, che però ha continuato a essere perseguita per altre strade, con disprezzo dei cittadini.
Il carattere totalmente illusorio di quest’assemblea di cittadini balza agli occhi in una proposta che i suoi membri hanno dichiarato di non voler sottomettere a referendum perché verrebbe sicuramente respinta dal Popolo di cui avrebbero dovuto essere i rappresentanti. Hanno perciò ammesso di aver accolto una proposta accettando le argomentazioni di altri, benché sapessero che il popolo avrebbe ragionato in modo diverso.
Non sono io a volerlo, sono gli scienziati
Al sopraggiungere del COVID-19, il presidente Macron fu convinto della gravità del pericolo dallo statistico britannico Neil Ferguson [4]. Decise di proteggere la popolazione imponendo il confinamento obbligatorio generalizzato, raccomandato dalla vecchia équipe di Donald Rumsfeld [5]. Si premunì dalle critiche formando un Consiglio Scientifico di cui affidò la presidenza a una personalità morale ritenuta incontestabile [6].
Un’unica voce titolata si alzò contro il Consiglio: uno dei più eminenti infettivologhi a livello mondiale, il professor Didier Raoult [7]. Al termine dell’emergenza, il professore ha reso testimonianza davanti alla commissione parlamentare. Secondo Raoult, Neil Ferguson è un impostore; il Consiglio Scientifico, dal quale si dimise, è manipolato da conflitti d’interesse con Gilead Science (ex società di Donald Rumsfeld); i risultati dei medici dipendono da come concepiscono la propria professione: i malati ricoverati negli ospedali di Parigi correvano un rischio di morire tre volte quello dei ricoverati negli ospedali di Marsiglia.
I media non hanno analizzato le affermazioni di Didier Raoult, mentre si sono dedicati alla reazione indignata della nomenklatura amministrativa e sanitaria. Eppure, la questione della competenza del presidente della repubblica, del governo e delle élite della medicina era stata posta da un membro incontestato della medesima élite.
La seconda ondata
Il primo turno delle elezioni amministrative si è tenuto il 15 marzo 2020, agli inizi della crisi sanitaria. Le città periferiche e le campagne, territori dei Gilet Gialli, spesso si sono svincolate da problemi di alleanze per eleggere immediatamente il sindaco. Come sempre, le cose nelle grandi città sono state più complesse. Il secondo turno è stato organizzato per il 28 giugno, al termine della crisi. Con l’occasione è stato compiuto un ulteriore passo.
Sei elettori su dieci, scottati dal Grande Dibattito Nazionale e indifferenti alla Convenzione Cittadina, hanno scioperato dalle urne.
Ignorando la protesta silenziosa, i media hanno interpretato il voto della minoranza come un «trionfo degli ecologisti». Sarebbe stato più esatto dire che i partigiani della lotta contro la “fine del mondo” hanno definitivamente divorziato da quelli della lotta per arrivare alla “fine del mese”.
Gli studi d’opinione ci assicurano che il voto ecologista è soprattutto dei funzionari. È una costante in tutti i processi pre-rivoluzionari: persone intelligenti, quando si sentono legate al Potere, sono acciecate e non capiscono quel che accade sotto i propri occhi.
Nella Costituzione non è stata prevista una frattura del Popolo di tale portata, non è stato quindi fissato un quorum, sicché il voto in tutte le grandi città è valido, benché non democratico. Nessun sindaco, sebbene eletto da un quinto degli amministrati e persino da meno, ha chiesto l’annullamento del voto.
Nessun regime può sopravvivere senza il sostegno della popolazione. Se lo sciopero delle urne si ripeterà con l’elezione del presidente della repubblica a maggio 2022, il sistema crollerà. Nessun dirigente politico sembra preoccuparsene.
[1] “Così l’Occidente divora i propri figli”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 4 dicembre 2018.
[2] « Une colère très politique », par Alain Benajam, Réseau Voltaire, 21 novembre 2018.
[4] “COVID-19: Neil Ferguson, il Lyssenko liberale”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 19 aprile 2020.
[5] “Il COVID-19 e l’Alba Rossa”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 28 aprile 2020.
[6] “Basta con il consenso!”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 2 giugno 2020.
[7] Sito ufficiale di Didier Raoult e della sua équipe: Méditerranée infection.
POLITICA
Matteo Salvini, Pietro Senaldi: il piano della sinistra? Una legge ad hoc per disarmarlo
Pietro Senaldi 05 luglio 2020
Quelli del Pd e quelli di M5S si stanno industriando per cambiare la legge elettorale, come è consuetudine della maggioranza di governo, a ogni legislatura. Lo scopo, chiunque metta mano alla norma, è sempre lo stesso: garantirsi la vittoria alle urne. L’esito è immancabilmente l’opposto: una cocente sconfitta. A questo giro, c’è pure la scusa buona per la riforma: a settembre, con ogni probabilità, gli italiani approveranno mediante referendum il taglio di un terzo dei parlamentari, giustificazione imperdibile per cambiare le regole cercando di volgerle a proprio vantaggio. Così, grillini e piddini, che dall’Europa alla Tav, dalla riforma fiscale alla giustizia, non vanno più d’accordo su nulla, sono pronti a trovare la quadra su come spartirsi più seggi possibili.
Paralizzati sui provvedimenti economici, i giallorossi vagheggiano di votare la nuova legge elettorale entro fine mese almeno alla Camera. Zingaretti e Crimi, per quel che contano, non vedono l’ora di tornare al sistema proporzionale puro, di rito democristiano, ma con uno sbarramento molto alto, possibilmente del 5%: chi prende meno, è fuori dal Parlamento. La soluzione consentirebbe al Pd di liberarsi di Renzi, o quanto meno di tenerlo in pugno, e anche di Calenda, i cui partitini non sono in grado di superare la fatidica soglia. I grillini, che oggi potrebbero arrivare primi giusto nel collegio di Pomigliano d’Arco, avrebbero la possibilità di non sparire e di presentarsi autonomamente, senza dover fare imbarazzanti alleanze con i dem, cosa che per le Regionali di settembre non gli sta riuscendo.
I giallorossi nutrono anche la speranza, piuttosto remota, di poter, grazie al proporzionale, staccare Forza Italia dal centrodestra e trovare tra gli azzurri i voti necessari per una nuova maggioranza, casomai alla prossima legislatura non ce la facessero da soli, cosa questa invece certa. È lecito sognare, ma è difficile che Berlusconi decida, come ultimo gesto politico, di rinnegare se stesso e la sua storia dando manforte a M5S, come è improbabile che i suoi voti possano bastare in futuro per mettere insieme un governo rosso-giallo-azzurro.
GOVERNARE IN MINORANZA
Poiché l’esternazione dei calcoli politici di basso potere nuoce all’immagine, i giallorossi si stanno industriando per dare all’operazione una patina che la faccia passare come un doveroso tentativo di salvaguardare i valori della Repubblica. Così, il partito che si è autobattezzato democratico e quello che voleva abbattere la Casta per consegnare il Palazzo al popolo, dichiarano come fosse normale che lo scopo principale della riforma elettorale è impedire che il partito più votato dagli italiani governi.
«Non possiamo regalare l’Italia a Salvini» affermano i giallorossi con il medesimo candore con il quale un anno fa, ai tempi della crisi del Conte uno, dichiaravano che non si poteva andare al voto, perché la Lega avrebbe vinto e il centrodestra avrebbe deciso il successore di Mattarella al Quirinale. I sinistri sono così, trovano democratico governare anche se sono minoranza e rivendicano come naturale il diritto di impedire l’esercizio del potere a chi ha più voti di loro. Poiché chi va con lo zoppo impara a zoppicare, anche i grillini ora la pensano allo stesso modo e non ne fanno mistero. L’unico che pare stupirsi è Salvini, l’uomo accusato da tutti di aspirare a farsi dittatore per aver detto di ambire a pieni poteri dopo regolari elezioni.
«Il governo non censura la repressione a Hong Kong e il regime comunista cinese perché ha la medesima concezione della democrazia che ha Xi Jinping» ha dichiarato il leader leghista, rimproverando ai giallorossi di avere come priorità i giochini di palazzo anziché il lavoro e le famiglie. Più o meno lo stesso sostiene l’altro Matteo, Renzi, vittima sacrificale dell’accordo Pd-M5S, per il quale «l’emergenza della politica deve essere la crescita economica e non la legge elettorale». Entrambi i leader sponsorizzano il sistema maggioritario, il leghista per governare e l’italo-vivente per sopravvivere.
Non siamo esperti di sistemi elettorali, ma ci pare che in Italia non ci sia mai stato un sistema maggioritario che garantisca a chi vince di decidere e che pure l’attuale ibrido non abbia impedito ribaltoni, assicurando la prosecuzione della legislatura ma non una governabilità efficace, che è la sola che conta. Comunque, stando a uno che invece è molto esperto di leggi, Calderoli, anche questo capitolo della politica è destinato a risolversi in un bla-bla senza costrutto, perché i giallorossi, stando al leghista, non avrebbero i numeri per far passare la legge, visto che né Renzi né gli altri nani del Parlamento sarebbero mai disposti a votare la propria estinzione.
STRATEGIA E (MOLTA) TATTICA
E allora perché tanto agitarsi? Un pelo di strategia e molta tattica. Normalmente una riforma elettorale segna la fine della legislatura, perché in un certo senso delegittima il Parlamento votato con una normativa ormai bocciata. Ma stavolta essa sarebbe garanzia di durata, soprattutto se passasse in un solo ramo del Parlamento.
Con il loro esecutivo paralizzato operativamente, i giallorossi avrebbero l’approvazione definitiva della nuova norma come pretesto per non sciogliere le Camere malgrado la loro incapacità di governare. E poi il proporzionale, anche solo paventato, è un’arma di ricatto decisiva nei confronti dell’opposizione e di chiunque, dall’interno, possa minare la stabilità della maggioranza. È partito il gioco dell’estate, in anticipo sul voto per i fondi europei e sul piano di rilancio. Non resta che sperare che sia un segnale che forse il Covid-19 non è più l’emergenza numero uno.
FONTE:https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/23600580/matteo-salvini-pd-m5s-legge-elettorale-frenare-leader-lega-pietro-senaldi.html
Dopo le Sardine, le Zucchine: se il potere si tinge di verde
Dopo le Sardine verranno le Zucchine. La sinistra cerca un nuovo travestimento per le competizioni elettorali e si converte alla Verdura perché tira, dopo il Covid, Greta e l’amazzonico Bergoglio. Vede che in molte parti d’Europa, dalla Spagna alla Francia, dalla Germania al Nord Europa, il consenso perduto nelle competizioni coi populisti può essere arginato fabbricandosi un populismo eco-compatibile, manipolabile, suggestivo. E così il verde diventa l’ausiliario per le battaglie politico-elettorali, il vaccino populista per battere i populismi sovranisti. Lo hanno capito perfino i due Bismarck dell’alleanza grillo-sinistra: l’esimio Fico dei 5 Stelle, che come dice il suo cognome è un frutto della natura e sta appeso all’albero di Montecitorio; e l’odontotecnico che guida il Pd, Nicola Zingaretti, che per darsi un ruolo oltre quello di filo interdentale della coalizione, si è accorto che per curare gli ascessi politici funzionano bene gli impacchi di verdura cotta sulle gengive arrossate. Entrambi hanno così, in una corrispondenza di amorosi sensi che però apre anche una concorrenza di spietati sensi, esortato all’unisono a buttarsi sul Verde. Tra poco vedrete che anche Conte, in uno dei suoi travestimenti, si trasformerà nel Conte Verde, scriverà nel suo curriculum di avere un passato di verdura, indirà gli Stati Vegetali e farà spuntare dal taschino una foglia di lattuga per dimostrare la sua conversione verde. Intorno voleranno finocchi e cetrioli.
I Verdi furono negli anni Settanta la risposta alla crisi energetica, al modello di sviluppo industrialista e all’inquinamento. Ci furono esperienze importanti intorno ai Grünen, sorti dal ’68, superando le ideologie storiciste. Da noi un verde che merita di essere ricordato fu Alex Langer, morto prematuramente; interessanti furono i movimenti comunitari verdi, come quello toscano con Giannozzo Pucci. Nell’ambientalismo diventato giardino pubblico della sinistra radicale e nell’ecologismo che è invece la ruota di scorta e la copertura verde del capitalismo global-progressista (magari in funzione antiTrump), la parola Natura scompare: natura evoca madre natura, il diritto naturale, l’ordine naturale, la gravidanza, la vita secondo natura. Meglio usare un’espressione neutra, paradossalmente asettica, plastificata, come Ambiente, che può funzionare in tutti i campi e in tutti i sensi. Così l’ecologia diventa un ramo fiorito dell’ideologia e la parola ambiente indica tutto, persino l’ambiente di lavoro, le fabbriche e ambienti in cui di natura non c’è neanche l’ombra. La forza dei movimenti verdi è invece nella loro autonomia dalle categorie politiche del Novecento, dalla storia ideologica e dallo schema progressista.
Curioso osservare che il fenomeno dei Verdi attecchisce in modo particolare in Germania, dove il primo ministro ecologista fu durante il nazismo, si chiamava Walter Darrè (Hitler era un ecologista rispetto a Lenin, Stalin e Roosevelt…). In realtà l’ecologia è nata conservatrice, patriottica e rurale, mentre le sinistre erano per definizione industrialiste, urbane, internazionaliste e operaiste. Solo con i figli dei fiori si aprì una breccia naturalistica che germogliò poi tra i contestatori innamorati di società preindustriali (la Cina, il Vietnam, il Terzo Mondo). I primi ecologisti della modernità furono i nazionalconservatori noti come Wandervogel, Uccelli migratori. E in Italia le prime leggi a tutela dell’ambiente le fece il fascismo con Giuseppe Bottai. Alla fine degli anni Settanta sorsero movimenti ecologisti anche a destra, soprattutto in ambiente rautiano. Alcune tematiche dell’ambiente degradato incontrano naturaliter la sensibilità di un conservatore, di un patriota, di un cattolico e di un tradizionalista: il rispetto per il creato e per la natura, l’evocazione del mondo incontaminato e genuino di una volta, l’amore per le cose sane e antiche, i borghi d’origine e le tracce del passato, la predilezione per l’agricoltura, per i prodotti chilometro zero e per le attività legate alla natura, il legame con la terra e con le radici, il senso del limite e il realismo. E in negativo la critica alle metropoli invivibili, al progresso senza freni; il rifiuto di cibi manipolati o geneticamente manipolati, il rifiuto dell’inquinamento acustico, l’aria inquinata, il mare sporco, la terra desertificata.
Si sa poi che i cittadini a maggior contatto con la natura (dagli agricoltori agli allevatori e ai cacciatori) hanno tradizionalmente espresso preferenze politiche non certo progressiste. Perché regalare la sensibilità verde al grillo-sinistrismo che la usa come foglia di fico e tisana per far digerire bocconi inquinanti della società euro-global? In passato si sono già rubati le querce, gli ulivi, i cespugli e le margherite; perché regalare loro l’intera natura? In difesa della natura, del paesaggio e dell’ambiente hanno scritto diversi autori tra la nuova destra e il pensiero conservatore, da Alain de Benoist a Roger Scruton. Un giovane editore, Francesco Giubilei, ha pubblicato ora un libro, “Conservare la natura”, cercando di riscoprire il legame tra pensiero conservatore e difesa della natura. Trent’anni fa scrissi sui «verdi sentieri dell’ecologia» in “Processo all’Occidente” (1990), sostenendo la necessità di un’alleanza trasversale e comunitaria alternativa alla società global che si profilava. Insomma, il tema verde è molto più serio e profondo di un travestimento elettorale o di una battaglia anti-Trump; e non appartiene certo a una cultura progressista e mao-capitalista. Ma va praticato con realismo, con amore della natura e delle sue leggi, in armonia e non in conflitto con la civiltà e con l’umanesimo. E ricordate: l’amore per la natura è incompatibile con chi vuole modificare geneticamente la natura umana.
(Marcello Veneziani, “Per non fermarsi col rosso passano col verde”, da “La Verità” del 1° luglio 2020).
FONTE:https://www.libreidee.org/2020/07/dopo-le-sardine-le-zucchine-se-il-potere-si-tinge-di-verde/
SCIENZE TECNOLOGIE
L’App Immuni e l’obbligo che non obbliga
Sembra che Bari sia sul punto di costituire un punto di singolarità per la app Immuni
I chiarimenti del Comune, a fronte delle perplessità circa le eventuali conseguenze sanzionatorie anche nei confronti di minorenni, solo apparentemente sciolgono il nodo. L’obbligo, in realtà, sarebbe soltanto “una raccomandazione inserita per cercare di tutelare tutti”. Verrebbe da pensare dunque che la portata non sia prescrittiva ma trovi posto nella singolare e fantasiosa categoria giuridica delle norme suggestive. Praticamente: una moral suasion.
Raccomandare l’impiego di un’app per l’ingresso in un luogo pubblico non compromette l’autodeterminazione degli individui, per ovvi motivi. La non sanzionabilità di una scelta è di immediata percezione, e non serve alcun chiarimento ufficiale da parte del Comune.
Sebbene infatti emerga da tale chiarimento che la registrazione all’app Immuni per i fruitori delle aree di gioco pubbliche abbia natura di “prescrizione non sanzionabile”, il lettore del decalogo potrebbe ben ritenere che invece sussista un obbligo ed inoltre anche essere portato a temere di essere sanzionato in caso di controlli da cui risulti la mancata registrazione all’app.
Dunque, volendo ora procedere secondo una chiave interpretativa nell’ambito della protezione dei dati personali, come può dirsi tutelata la libertà di un interessato nell’esercitare una volontà libera ed acconsentire o meno al download e all’impiego dell’app? In che modo trovano tutela effettiva e comprovata i principi di trasparenza e correttezza?
Insomma: noi avevamo già a suo tempo espresso molte perplessità proprio nei confronti dell’effettiva volontarietà d’uso dell’app. La mancata predisposizione di presidi specifici a tutela della libera scelta da parte del cittadino apre infatti a rischi di discriminazione e porta ad orizzonti poco auspicabili di iniziative individuali disallineate dai dichiarati intenti di impiego volontario.
L’auspicio è che il feedback di queste ed altre singolarità possano arricchire la valutazione d’impatto svolta dal Ministero della Salute, consentendo così anche una raccolta delle opinioni degli interessati che può consentire un miglioramento continuo del sistema ed interventi correttivi. Il problema sorge invece se, contrariamente ad ogni spirito critico, si diviene emuli di un Pangloss voltairiano, ritenendo Immuni “la migliore delle app possibili”. In questo secondo scenario, le singolarità rischieranno di diventare poco piacevoli e molto diffuse user experience.
FONTE:https://www.infosec.news/2020/07/08/news/tecnologie-e-salute/lapp-immuni-e-lobbligo-che-non-obbliga/
Giulio Tarro intervistato da Becchi, tutta la verità sul coronavirus
Vaccino, lockdown, mascherina e seconda ondata, quello che non vi dicono
Giulio Tarro, nato a Messina il 9 luglio 1938, si è laureato con lode in Medicina e Chirurgia all’Università di Napoli nel 1962. Già professore di Virologia Oncologica dell’Università di Napoli, primario emerito dell’Ospedale “D. Cotugno”, è stato “figlio scientifico” di Albert B. Sabin. Per primi hanno studiato l’associazione dei virus con alcuni tumori dell’uomo presso l’Università di Cincinnati, Ohio. Tarro ha scoperto la causa del cosiddetto “male oscuro di Napoli”, isolando il virus respiratorio sinciziale nei bambini affetti da bronchiolite. In questa intervista Giulio Tarro risponde in modo molto articolato sull’emergenza Covid19.
Cos’ è il Covid19? Creato in laboratorio, come dichiarato da Luc Montagnier, oppure naturale? Epidemia o endemia? Ci spieghi le differenze.
«Nel 2002- 2003 c’è stata la Sars; poco dopo, c’è stata una malattia pressoché identica, la Mers, in Medio-oriente, proveniente dai cammelli; oggi c’è il Covid19, una forma di polmonite atipica. Tutto inizia il 31 dicembre 2019, quando viene comunicato dalle autorità cinesi all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) un focolaio epidemico di polmonite in corso di diffusione nella città di Wuhan (11 milioni di abitanti). Il 7 gennaio 2020 gli studiosi cinesi sono in grado di identificare un nuovo coronavirus (2019-nCoV) come causa dell’epidemia. Dopo tre settimane dalla prima comunicazione all’OMS viene confermata la trasmissione interumana del virus. Nel giro di poche settimane vengono rilevati nuovi casi in nazioni diverse, in tutto il mondo e in tutti i continenti. Il 16 gennaio, i ricercatori del Centro tedesco di Ricerca infettiva di Berlino sviluppano una nuova metodica di laboratorio per diagnosticare il nuovo coronavirus, e l’OMS ne pubblica le linee guida. Il 28 gennaio, i ricercatori del laboratorio di identificazione virale dell’Istituto australiano per l’infezione e l’immunità “Peter Doherty” di Melbourne dichiarano di aver cresciuto il nuovo virus in colture di tessuto dopo il suo isolamento dalla prima persona da loro diagnosticata con questa nuova infezione. Anche questa ricerca viene condivisa con l’OMS. L’epidemia a febbraio inizia a diffondersi rapidamente. L’11 marzo 2020, l’OMS dichiara la COVID-19 pandemia, in quanto l’epidemia è diffusa in vastissimi territori e continenti. Per la Sars, la Mers e il Covid19 c’è sempre stato un intermediario, ossia un’animale. Nel caso del Covid19 pare sia stato un pipistrello. È noto a tutti ormai che questa sindrome è cominciata dal mercato del pesce di Wuhan. Ma c’è anche un’altra possibilità, come rilevato da alcuni miei illustri colleghi, ossia che questo virus provenga dal laboratorio di Wuhan. Non c’è nessuna evidenza scientifica per cui possiamo affermare che il virus sia stato creato in laboratorio. Numerosi ricercatori sono andati a predire le sequenze genetiche del Covid19 evidenziando una percentuale di differenza dal virus del pipistrello ma ciò probabilmente è dovuto al fatto che ci sono stati vari passaggi con un animale intermedio come il pangolino, non perché sia stato modificato artificialmente. Quindi io escludo l’origine artificiale. Tuttavia, non è impossibile che un ricercatore o un tecnico possa portare fuori, ovviamente si presume inconsciamente, un virus dal laboratorio».
Si cura il Covid19?
«Senz’ altro il virus si può combattere, anche nei casi più gravi, con i diversi antivirali utilizzati ad oggi, c’è addirittura un antimalarico che va per la maggiore. Per i casi più clinici la risposta più efficace si trova negli anticorpi: gli anticorpi dei guariti per quelli che sono malati in fase critica, prima di passare al ventilatore».
Ci parli della sieroterapia.
«Ha senso concentrarsi su questa terapia perché abbiamo già a nostra disposizione gli anticorpi dei guariti che possiamo ricavare con la plasmaferesi, una tecnica di separazione del sangue che viene usata per diversi scopi. La cura con il plasma dei pazienti guariti da Covid19 si sta sperimentando in tutto il mondo. È una terapia, dimostrata con lavori scientifici pubblicati, che consiste in 200 ml di plasma i quali in 48 ore azzerano il virus. Non sono notizie campate in aria, ma pubblicate su giornali scientifici. Prassi utilizzate in particolare dai cinesi che hanno avuto un’esperienza recentissima e che si usavano già nelle esperienze con la Mers e in altri Paesi, come Germania, Stati Uniti, Israele. In Italia si stanno ottenendo dei risultati positivi. Voglio ricordare che non ci troviamo di fronte a una terapia sperimentale da dover studiare. È una pratica conosciuta da secoli, utilizzata anche da Pasteur nell’Ottocento: si sono sempre prelevate le gammaglobuline dai guariti per curare i malati. La trasfusione di plasma è stata utilizzata con successo nelle altre due epidemie da coronavirus, la Sars del 2002 e la Mers del 2012, – riuscendole rapidamente a circoscrivere – immettendo il plasma in uno stadio preciso della malattia; e cioè quando già si evidenzia una scarsa ossigenazione e il paziente è sottoposto a ventilazione assistita con casco C-pap, ma non è ancora intubato. È una terapia che, come molte, presenta rischi ma, francamente, non si capisce proprio perché l’Oms – che ne aveva confinato l’utilizzo “solo nel caso di malattie gravi per cui non ci sia un trattamento farmacologico efficace” – non ne abbia suggerito, almeno, la sperimentazione durante questa emergenza Covid19. Le posso dire che oltre alla sieroterapia, anche l’antimalarico sta dando ottimi risultati».
Il mondo è alla ricerca spasmodica di un vaccino. È una soluzione?
«Nell’affrontare le epidemie servono due cose: competenza e ordine, soprattutto nelle vaccinazioni. La soluzione non sarà il vaccino anche perché in questo momento non ce l’abbiamo. Per un vaccino efficace e “privo di rischi” ci vogliono “almeno diciotto mesi” e non è detto che in questo caso funzioni perché non esiste un solo Covid19. Un virus può mutare in appena cinque giorni. Sulla sostanziale differenza del virus presente qui da noi con quello di Wuhan, già a fine febbraio c’era uno studio, riportato anche nella dichiarazione del dottor D’Anna, che evidenziava come ben cinque nucleotidi del ceppo padano risultassero differenti rispetto al ceppo cinese di Wuhan. Il vaccino, per principio, è un metodo di prevenzione. Quello contro l’Aids lo aspettiamo da 30 anni e non siamo riusciti a trovarlo. Siamo in presenza di un virus estremamente mutevole. Esistono più versioni del virus ed è per questo motivo che non può esserci un vaccino in grado, come nell’influenza, di metterci al riparo completamente. Difatti, se il virus ha come sembra più varianti, sarà complicato avere un vaccino che funzioni in modo efficace, esattamente come avviene per i vaccini antinfluenzali che non coprono tutto».
Il virus sta realmente perdendo virulenza? Quando ce ne libereremo?
«Il Covid19, più che perdere virulenza, si comporta come i virus influenzali che dapprima si espandono con l’epidemia, poi dopo che la popolazione sviluppa gli anticorpi e si immunizza, il virus non può più circolare. Questo vale in linea di principio per tutti i virus naturali. Ritengo che in estate, quasi sicuramente, saremo abbastanza immunizzati. Col caldo tutto dovrebbe tornare alla normalità. Nella stagione successiva, se dovesse ripresentarsi, il virus potrebbe attaccare solo quei pochi che non hanno ancora sviluppato gli anticorpi. Secondo uno studio inglese, più del 60% degli italiani è stato contagiato ed ha sviluppato gli anticorpi. Per il prossimo autunno noi saremo, in larghissima parte, naturalmente immunizzati. A mio avviso, il Covid19 potrebbe sparire completamente come la prima SARS, oppure ricomparire come la Mers, ma in maniera localizzata o cosa più probabile diventare stagionale come l’aviaria. Per questo serve una cura più che un vaccino». Come mai un virus appartenente alla famiglia dei coronavirus ha generato così tanti problemi. Ritiene realmente che ci sia un collegamento tra le vaccinazioni antinfluenzali e la pandemia? «Per rispondere a questa domanda sono necessarie delle premesse e delle argomentazioni, partendo da alcuni numeri, tra l’altro al centro di alcune ricostruzioni giornalistiche negli scorsi mesi e motivo di discredito nei miei confronti e di alcune mie dichiarazioni, fondate e non campate in aria. Esiste un famoso lavoro dell’esercito americano che indica l’aumento del rischio di contrarre il coronavirus del 36% nei soggetti che hanno effettuato il vaccino antinfluenzale. Interessante è anche uno studio della scuola olandese, pubblicato nel 2008, su un’epidemia da pneumococco e da meningococco attivata dal virus dell’influenza e dal virus respiratorio sinciziale. A Bergamo, il vero epicentro dell’emergenza come sottolineato da più parti, dove si è verificato qualcosa di ingestibile e che francamente ha stupito anche me, che mi trovo a lavorare con epidemie da decenni, c’è stata una richiesta di ben 185mila dosi di antinfluenzale. In concomitanza c’è stata un’endemia da meningococco per cui sono state richieste 34mila dosi. Tutti questi eventi sono sicuramente importanti, specialmente se messi a confronto con quello studio sull’esercito americano e quello olandese sul virus respiratorio sinciziale».
L’inquinamento, oltre che le temperature, come da Lei già sottolineato, influiscono sul virus?
«Ci sono sicuramente delle relazioni e a ciò aggiungerei una cosa forse sottovalutata da molti. Il fatto che i focolai di coronavirus italiano siano nella Pianura Padana, principalmente in Lombardia e Veneto, potrebbe dipendere da fattori ecologici, come alcuni tipi di concime industriale. Questi potrebbero aver alterato l’ecosistema vegetale e, quindi, animale nel quale uno dei tanti coronavirus normalmente in circolazione può aver avuto una inaspettata evoluzione».
Pensa che si possa incolpare la Cina di quello che è successo?
«Il discorso è molto più complesso. È facile voler trovare un responsabile, è tipico dell’uomo. Mi sono già espresso in merito all’origine naturale del virus ed eviterei di trasformare la Cina in un capro espiatorio, per giustificare inefficienze che sistemi sanitari all’avanguardia non dovrebbero avere. È necessaria un’argomentazione. Sulla diffusione del Sars-Cov 2, conta la zoologia correlata a una certa latitudine geografica. I virus influenzali hanno origine o da alcuni animali volatili o da alcuni animali acquatici. In primis i pipistrelli: è stato calcolato che nell’intestino di un pipistrello della Cina meridionale si celino almeno 50 tipi di coronavirus diversi. E, considerando che il pipistrello ha anche una grande importanza alimentare nel Paese, non ci si può certo stupire che il 3% degli agricoltori di tutta la Cina risulti positivo ai coronavirus: nella stragrande maggioranza dei casi fortunatamente si tratta di forme benigne. Coronavirus e Sars sono due parenti stretti, in quanto fanno parte della stessa famiglia e hanno la stessa derivazione animale. La “prima” Sars però, in rapporto a quello che fu il suo livello di diffusione, probabilmente può considerarsi anche più temibile: durata sei mesi, in Cina colpì 8mila persone e ne uccise 774, giungendo così a un tasso di mortalità totale del 10%. Il Covid19 invece, pur con un’estensione epidemica maggiore (in Cina è stata colpita una popolazione di circa 81mila persone), a circa quattro mesi dall’inizio dell’epidemia ancora non supera il 3-4% di mortalità. Le vittime accertate finora infatti sono qualcosa in più di 4mila. In Italia l’indice di mortalità non è da sottovalutare, tuttavia bisogna tener conto che riguarda pur sempre i contagiati ospedalizzati, che sono meno dei contagiati asintomatici o che non hanno bisogno di cure ospedaliere. Un virus che crea qualche grattacapo: richiede una larga e pronta disponibilità di postazioni per la terapia intensiva e in un certo senso inchioda alle loro responsabilità pregresse coloro che hanno gestito la Sanità pubblica nel passato, autorizzando tagli senza criterio. Tuttavia, anche i trattamenti d’emergenza riguardano uno spicchio molto ridotto della popolazione, e cioè il 4,7%. Con l’ebola chiaramente non ci sarebbero paragoni».
L’Italia come ha gestito l’emergenza?
«Ritengo che siano state decise misure con una tempistica poco felice: varate in ritardo sull’effettiva convenienza ma al momento giusto, se vogliamo dire così, per aumentare stress e panico. Stress e panico di cui qualcuno sicuramente dovrà pagare il conto. È acclarato che in Italia il virus circolava probabilmente già da moltissimo tempo. In Lombardia è scoppiata una “bomba atomica”, tutto in un lasso di tempo troppo breve a fronte della capacità del Sistema Sanitario. L’Italia ha chiuso i voli diretti con la Cina, senza controllare gli arrivi indiretti attraverso gli scali e quindi è stato possibile aggirare il divieto. A tutto questo si aggiunge lo sfascio del nostro Sistema Sanitario Nazionale: dal 1997 al 2015 sono stati ridotti del 51% i posti letto delle terapie intensive. A gennaio quando si è saputo dell’epidemia in Cina, l’Italia non ha fatto nulla. La Francia – che non aveva nel tempo ridotto le terapie intensive – a inizio anno si è preparata e le ha raddoppiate. Noi no, siamo arrivati tardi. Sarebbe stato opportuno per esempio pensare per tempo a un raddoppio dei reparti di terapia intensiva. A ciò si deve aggiungere l’esistenza dei tuttologi, ma soprattutto le tante, troppe, divisioni nell’ambiente scientifico, a tratti perfino pretestuose».
Il “lockdown” era l’unica soluzione? L’immunità di gregge, inizialmente auspicata dal Regno Unito si è rilevata un fallimento: lo stesso Boris Johnson si è ammalato e ha cambiato rapidamente strategia.
«Su questo si è fatta molta confusione. Inizio col dire che io sarei stato favorevole alla ricetta utilizzata in Israele e quindi alla protezione degli anziani, lasciandolo però circolare tra i più giovani, che hanno maggiori difese immunitarie verso questo virus. Al riguardo possiamo fare un confronto con la madre di tutte le pandemie, la Spagnola. La Spagnola, al contrario del Covid19, era un virus influenzale che arrivava in un periodo, quello della Prima Guerra Mondiale, di per sé già drammatico – con persone denutrite e in condizioni di igiene e salute molto precarie – che nella seconda ondata, colpì soprattutto i giovani e risparmiò in gran parte gli anziani, già immunizzati perché avevano maturato gli anticorpi di virus precedenti. Il Covid19, al contrario, è un virus che è meno aggressivo sui giovani e sui bambini. I casi di polmoniti interstiziali e trombo-embolici polmonari registrati sono soprattutto su soggetti anziani e con patologie pregresse. Sarebbe stato auspicabile parlare di immunità di gregge partendo dai giovani. L’immunità di gregge è quella che normalmente si cerca di ottenere con una vaccinazione verso un determinato agente che può essere un virus o un batterio. Attraverso questa si riesce ad ottenere il 95% della risposta immunologica delle varie persone, per questo si parla di “gregge”. Il che vuol dire arrivare ad un numero che ci rende abbastanza tranquilli sul fatto che quell’agente non circolerà più, perché troverà gente vaccinata e quindi verrà bloccato. Inizialmente, il primo ministro inglese ne parlò, poi ha cambiato idea, essendo egli stesso protagonista del contagio. In merito al lockdown dico semplicemente che a mio avviso non ha senso, quantomeno non più e sarebbe insensato riproporlo nuovamente, come più volte si minaccia di fare. Il virus, così come tutti i virus, prolifera in spazi chiusi. Il sole e il mare sono gli antivirali per eccellenza. La stagione estiva e la salsedine sono ottimi alleati. Ad ogni modo consiglio a tutti di stare all’aperto. Aiuterà a curare anche le ferite dell’anima provocate dal lockdown»
Possiamo riaprire e se sì come?
«Sì che possiamo riaprire tutto, sarebbe sciocco fare diversamente. Io riaprirei i teatri, i cinema, gli stadi, insomma tutto. Il buon senso nell’affrontare la vita rappresenta già un’ottima precauzione contro il virus, o meglio contro i virus e batteri con cui quotidianamente veniamo a contatto. Hanno già riaperto tutti, non capisco perché noi in Italia non lo facciamo. Bisogna riaprire, certo con intelligenza e buon senso, ma non possiamo morire di fame o sviluppare malattie mentali per questo motivo».
Cosa pensa dei protocolli e del distanziamento?
«Trovo esagerato il tutto. Le malattie infettive si sono, da sempre, combattute con l’isolamento dei “soli” soggetti infetti. Nell’affrontare il Covid19 si sono isolate, in teoria, milioni di persone non isolando de facto i soggetti infetti. Il sistema di monitoraggio si è rilevato molto poco efficiente. Le abitazioni, gli ospedali ma soprattutto le RSA si sono rilevati ambienti assai confortevoli per il virus. A mio avviso si è fatto il contrario di quello che andava realmente fatto».
Il calcio e lo sport un rischio?
«Ritengo che pur con le debite distanze da rispettare sempre, almeno in questa fase inziale, si potrebbe tornare allo stadio già da domani. Idem per cinema, teatri, concerti e persino per le manifestazioni».
Sono veramente utili le mascherine e i guanti?
«Penso che ci siano tutte le condizioni per non indossare le mascherine all’aperto. Meno che mai sono consigliabili per un anziano che con queste temperature potrebbe subire aumenti pericolosi dell’anidride carbonica».
È concreto il rischio di una seconda ondata?
«Il Sars-CoV2 fa parte della popolazione virale dei coronavirus. E come tale si comporta, con un inizio ed una fine. Queste persone che fanno previsioni anche sull’ipotesi di una seconda ondata, sono le stesse che dicevano che in Germania, dopo appena due giorni dall’inizio della fase 2, il valore R0 era di nuovo salito a 1. Cosa non vera, perché due giorni non bastano per osservare un incremento del valore di riproducibilità virale di cui stiamo parlando. Il valore R0 in Germania è salito a 1,1? Sì, quindi un infettato può contagiare un’altra persona in caso vi siano stati contatti fra i due. Oppure se l’infettato ha avuto contatti con più persone, può averle contagiate tutte. Questo valore R0 però ha una validità sensibile nel momento in cui la fase epidemica è al massimo della sua diffusione, non ora. Quando ci si trova in un momento di decrescita, come in Italia o in Germania, le cose non vanno più considerate in modo così grave e pessimistico. Quindi non credo che una seconda ondata ci sarà. O presumibilmente, se ci dovesse essere, troverebbe molta parte della popolazione già immunizzata».
Di numeri se ne sono dati tanti: può spiegarceli? Alta mortalità?
«L’alta mortalità è dovuta non certo a un virus più cattivo, ma alla sottostima del numero dei contagiati, soprattutto nel Nord Italia. In Italia, i contagiati da Covid19 non sono quelli conteggiati dalla Protezione civile, basandosi solo sui pochi tamponi diagnostici effettuati dalle Regioni. Assolutamente no. Le stime più attendibili prospettano, al pari delle periodiche epidemie influenzali dai sei ai dieci milioni di contagiati da Covid19, solo in Italia. A questo dato sicuramente non marginale, se ne deve aggiungere un altro. Credo e lo dico convintamente, che vi sia un’eccessiva enfasi nella divulgazione dei numeri. In base ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità di cartelle cliniche relative ad esami autoptici eseguiti su presunte vittime da Covid19 abbiamo che in 909 casi solo 19 sono da attribuirsi come causa diretta e reale al Sars-CoV2. Sottolineo che col tempo, rispetto alle analisi iniziali, dove vi era un’attenta analisi delle cartelle cliniche dei pazienti, si è forse fatto confusione tra persone con coronavirus e persone morte di coronavirus».
A proposito di esami autoptici: le cremazioni che sono state effettuate per rispettare un’apposita ordinanza del Ministro della salute erano indispensabili?
«La vicenda autopsie, per altro molto ridotta nell’epidemia cinese a Wuhan, è stata inizialmente molto importante per i casi italiani. Infatti ha dimostrato che la mortalità non avveniva per la polmonite interstiziale, ma soprattutto per un meccanismo trombo embolico dei piccoli vasi di diversi organi vitali e pertanto l’importanza, ovvia per un pronto soccorso o letti in reparti di terapia intensiva, di utilizzare l’eparina ed il cortisone. Il “consiglio” del Ministero della Salute a non effettuare autopsie non poteva certo riferirsi ad un rischio di contagio per un virus che non sarebbe sopravvissuto su cellule non più viventi, ma ha permesso poi con l’eccessivo uso della cremazione di togliere quella che è sempre stata la base di una diagnosi anatomopatologica in grado di distinguere una morte da epatite virale in confronto ad una epatite da blocco di calcolo del coledoco non diagnosticato, questo vale ovviamente in particolare per le morti da tromboembolia dei piccoli vasi degli organi vitali, che non venivano salvati dalla somministrazione di ossigeno».
Sistema immunitario, controllo dello stress e vitamine. Sono alleati preziosi?
«Sicuramente e mi faccia dare un consiglio “prezioso”: noi dobbiamo staccare la spina ad una “informazione” ansiogena e ipocritamente intrisa di appelli a “non farsi prendere dal panico”. Bisogna considerare che oltre il 99% delle persone che vengono contagiate dalla malattia guariscono ed i loro anticorpi neutralizzano il virus e possono pertanto essere utilizzati per i contagiati più gravi. Come prevenzione si suggerisce quanto già conosciamo per il raffreddore e l’influenza: frequente ed approfondito lavaggio delle mani e del viso, coprirsi con il gomito da tosse e starnuti, stare a casa se ammalati, richiedendo l’immediato intervento sanitario se intervengono difficoltà respiratorie. Le vitamine sono alleate preziose, non solo per combattere il Coronavirus. La vitamina C potenzia il sistema immunitario e non deve mancare».
La sua posizione sulle vaccinazioni è controversa. Dicono sia un “No Vax”, è vero?
«Nella vita io ho studiato per cercare vaccini, quindi declino fermamente questo appellativo. Tuttavia, l’obbligo vaccinale di massa non ha alcun senso ed è a mio avviso controproducente. È chiaro che la vaccinazione, in generale, è un fatto positivo per la salute delle popolazioni ma bisognerebbe fare un’anamnesi di ogni caso, capire quale è la storia di ogni paziente. Noi siamo invece al cospetto di campagne di massa e di medici che per principio dicono che i vaccini non hanno effetti collaterali. Ma è assurdo. Il vaccino è di per sé un farmaco e può avere effetti collaterali, anche gravi».
FONTE:https://www.liberoquotidiano.it/news/scienze-tech/23619730/giulio-tarro-paolo-becchi-coronavirus-verita-vaccino-cure-contagio-seconda-ondata.html
239 scienziati rimettono in discussione la modalità di trasmissione del COVID-19
in dall’inizio dell’epidemia di COVID-19 è dato per scontato che la trasmissione avviene tramite le goccioline respiratorie, sia attraverso l’aria, sia per contatto. Da qui è nata la raccomandazione di pulire le maniglie delle porte, di portare le mascherine e di mantenere il “distanziamento sociale”.
Questa modalità di trasmissione non è mai stata dimostrata.
Anzi, se si considera il COVID-19 un virus respiratorio si deve presumere che si trasmetta esclusivamente per aerosol, come ogni altra malattia virale respiratoria. In questo caso è assurdo pulire maniglie, indossare mascherine o tute di protezione, ridicolo rispettare il “distanziamento sociale”. Il solo e unico mezzo di prevenzione è aerare il più possibile gli ambienti chiusi.
Sebbene anche questa modalità di trasmissione non sia dimostrata, è molto più logica dell’ipotesi correntemente accettata.
È una teoria sostenuta da numerosi ricercatori sin dall’inizio dell’epidemia, cui però non viene data voce. Ed è l’ipotesi che ha indotto Thierry Meyssan a ironizzare sull’obbligo di indossare mascherine, paragonandole alle maschere contro la peste del XVII secolo [1].
239 scienziati hanno pubblicato sulla rivista Clinical Infectious Diseases (CID) una lettera aperta in cui sostengono questa ipotesi.
Documenti allegati
“It is Time to Address Airborne Transmission of COVID-19”, Clinical Infectious Diseases, July 2020
(PDF – 510.3 Kb)
NOTE
[1] «Paura e assurdità di fronte alla pandemia», Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 7 aprile 2020.
FONTE:https://www.voltairenet.org/article210489.html
STORIA
1919: l’Italia a Versailles. Storia e cronaca di una vittoria mutilata
di Marcello Rinaldi
Il tema della “vittoria mutilata” è stato affrontato da vari storici italiani, ma quasi sempre nel contesto più ampio di opere dedicate alla storia della politica estera liberale e fascista o alla crisi finale dell’Italia liberale. Un’opera organica sul tema fu avviata molti anni fa dal Maria Grazia Melchionni, ma, di fatto, i principali riferimenti storiografici restano il volume di Burgwyn dei primi anni ’90, eloquentemente intitolato The Legend of the Mutilated Victory, e la più datata opera di Albrecht-Carrié sull’Italia alla conferenza di Parigi. Non sorprende, pertanto, che la vulgata storiografica ancor oggi prevalente a livello internazionale sia quella che liquida la “vittoria mutilata” come una chiara manifestazione di quel nazionalismo immaturo, tipico di un Paese incompiuto tanto a livello sociale che politico, che perseguì con l’ingresso in guerra interessi egoistici e eccessivi, con un appetito superiore alle capacità digestive del Regno, come sostennero alcuni osservatori alleati.
Questa lettura affonda le proprie radici negli ambigui rapporti intessuti dall’Italia con gli alleati e con gli Stati Uniti fino alla conferenza di pace, con relazioni che, come ha scritto Luca Riccardi, non furono mai di autentica amicizia, né dettero vita a un’ alleanza alla pari, come ha rilevato Burgwyn parlando di mésaillance, un ménage fra appartenenti a classi sociali diverse. Alle incomprensioni di guerra si aggiunsero le innumerevoli testimonianze critiche di coloro che parteciparono ai negoziati parigini, da Clemenceau a Tardieu, da Lloyd George a Nicolson, solo per citare i più noti. Tutti concordarono sul fatto che l’Italia nutrisse ambizioni superiori ai propri meriti di guerra e alle proprie possibilità. In definitiva, nessuno fu disposto a riconoscere al Regno l’acquisito status di grande potenza, né a responsabilizzarlo con compiti strategici in ambiti geopolitici specifici.
Il ragionamento storiografico si completa attribuendo gravose responsabilità a quella classe dirigente che decise di portare il Paese in guerra sulla base di aspettative irrealistiche, capaci solo di infiammare un nazionalismo esasperato che ebbe in D’Annunzio ispiratissimo cantore e comandante. La “leggenda della vittoria mutilata” trovò credito anche in Italia, in particolare fra le file di coloro che presero le distanze dalla politica estera di Sonnino e che avrebbero preferito un autoridimensionamento dell’Italia al rango di dimessa ancella degli Stati Uniti, anche per sventare l’incombente minaccia bolscevica. Con sfumature diverse questa fu la posizione di Bissolati e Nitti, che lasciarono il governo, e di Salvemini, il quale fornì ai teorici della “leggenda della vittoria mutilata” l’elemento finale e risolutivo, ovvero la presunta saldatura fra gli errori commessi a Parigi dalla delegazione italiana e l’avvento del fascismo. Come noto Salvemini si spinse a sostenere un legame strettissimo fra la “vittoria mutilata” e il fascismo, legittimato, condizionato e infine schiacciato da quella delusione nazionalistica.
Per fortuna la storiografia internazionale sulla Grande Guerra e sulla successiva pace, in costante evoluzione, ha nel tempo demolito questa lettura mattone dopo mattone cominciando dal riconoscere il contributo italiano alla vittoria alleata e i gravi limiti delle deliberazioni parigine. Le condizioni interne del Regno d’Italia erano certo diverse da quelle degli alleati, i quali nondimeno assunsero a Londra, nell’aprile 1915, impegni sulla base dei quali fu possibile costruire quel vincolo nazionale di sangue che portò all’ingresso nel conflitto di un Paese riluttante. Se indubbiamente nel corso delle ostilità le condizioni internazionali mutarono radicalmente, fu anche per un preciso calcolo di interessi da parte degli anglo-francesi, che si vincolarono in senso ostile all’Italia e decisero di privilegiare altri partner, in un primo momento la Russia, poi il Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni, e la Grecia. Le partizioni delle ex colonie tedesche, dell’Asia Minore e del Medio Oriente ne furono l’evidente dimostrazione.
Nel corso della conferenza di Parigi venne fatta gravare sulla delegazione italiana, come sostiene Soave, nell’innovativo volume, Una vittoria mutilata? L’Italia e la Conferenza di Pace di Parigi, appena edito, presso Rubbettino Editore nelle collana “dritto/rovescio”, diretta da Eugenio Di Rienzo (pp. 157, € 14,00), ogni sorta di pressione, da quella puramente diplomatica, nella forma dell’isolamento dagli altri vincitori, a quella finanziaria. Wilson, che come ricorda Soave era stato accolto in Italia dalla più entusiastica delle opinioni pubbliche, dimostrò di considerare il Regno come un interlocutore politicamente incompiuto, non realmente democratico, sul quale sarebbe stato possibile operare pressioni impensabili nei confronti di Francia e Regno Unito. Lloyd George e Clemenceau ebbero pertanto buon gioco nel dichiararsi impotenti di fronte alla leadership esercitata dal presidente statunitense, che consentì loro di eludere gli impegni assunti a Londra e di ammonire l’Italia che una rottura dei negoziati di pace avrebbe potuto condannare il Regno a un dopoguerra di fame.
Il nazionalismo più tossico che circolò nel corpo del Paese non fu pertanto quello inoculato da D’Annunzio, destinato a perdere rapidamente la propria tossicità all’esaurirsi dell’impresa fiumana, quanto quello letale di una Nazione che dopo aver sostenuto uno sforzo immane si scoprì ricaduta in una condizione sociale peggiorata e sul piano internazionale ancor più dipendente dalle potenze maggiori. Se lo sbocco simil-bolscevico tanto annunciato non si realizzò, fu perché come sostenne Lenin l’unico rivoluzionario italiano era D’Annunzio, marginalizzato dall’azione politica di Mussolini. Infine appare significativo il rapporto del tutto strumentale che il capo del nascente fascismo sviluppò nei confronti della “vittoria mutilata”, utile più a delegittimare la classe liberale che a orientare la futura politica estera italiana, al punto che Mussolini si espresse in un primo momento a favore del trattato di Rapallo.
Come il fascismo non scaturì dalla “vittoria mutilata”, ma da tensioni ben più profonde e diffuse nel corpo sociale e nazionale del Paese, analogamente la delusione italiana per le deliberazioni parigine non fu la fatale conseguenza degli errori della delegazione, condizionata dalle mosse estemporanee di Orlando e dalla rigidità di Sonnino, quanto la conseguenza dall’imporsi degli interessi geopolitici anglo-francesi e dell’astratta visione wilsoniana. Questa in particolare risultò essere un corpo estraneo innestato nella tradizione politico-diplomatica europea capace di affermarsi solo a spese dei vinti e dei vincitori minori, come l’Italia.
Il libro di Soave colma la lacuna storiografica di una visione organica della “vittoria mutilata”, rettifica le interpretazioni squilibrate dei vincitori maggiori della Grande Guerra e ricorda come quella che negli estenuanti negoziati parigini fu considerata, con fastidio, l’azione di disturbo italiana, costituì una delle tante occasioni mancate della conferenza per conferire agli assetti postbellici quella solidità che sarebbe drammaticamente mancata.
(Pubblicato il 29 giugno 2020 © «L’Occidentale» – Storia)
FONTE:http://www.nuovarivistastorica.it/?p=9948
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