Referendum costituzionale, diffidare di mercati e ambasciatori
16 settembre 2016
Dottore di ricerca in diritto dell’economia
Mi chiedo perché molti si siano accorti soltanto adesso che siamo dentro a un sistema di governance internazionale in cui le agenzie di rating, la Troika e, finanche, ambasciatori, si sentono in diritto di “dettare legge” nei Paesi europei.
Ho scritto un libro sull’argomento, scegliendo proprio come titolo Il ricatto dei mercati (qui un’intervista per questo giornale), perché, quale che sia il “portavoce”, la richiesta è sempre quella dei “mercati”, ovvero di quel sistema capitalistico-finanziario globale che, all’occorrenza, destabilizza governi e parlamenti per imporre la propria linea.
di Lidia Undiemi | 16 settembre 2016
Mi chiedo perché molti si siano accorti soltanto adesso che siamo dentro a un sistema di governance internazionale in cui le agenzie di rating, la Troika e, finanche, ambasciatori, si sentono in diritto di “dettare legge” nei Paesi europei.
Ho scritto un libro sull’argomento, scegliendo proprio come titolo Il ricatto dei mercati (qui un’intervista per questo giornale), perché, quale che sia il “portavoce”, la richiesta è sempre quella dei “mercati”, ovvero di quel sistema capitalistico-finanziario globale che, all’occorrenza, destabilizza governi e parlamenti per imporre la propria linea.
E’ così che funziona da parecchi anni ormai. La Grecia e Cipro (ricordate la vicenda del prelievo forzoso, bocciato da Parlamento e poi attuato sotto pressione delle agenzie di rating e della Bce?) sono un esempio lampante. I più avrebbero dovuto indignarsi molto prima. Io l’ho fatto sin dal 2012, quando era chiaro che il Mes (fondo “salva-Stati”) fosse uno strumento politico di pressione per l’approvazione di riforme favorevoli alle logiche pro-capitale, senza se e senza ma.
Le agenzie di rating si comportano come veri e propri soggetti politici, lanciando allarmi di declassamenti dei Paesi, nei momenti in cui questi si ritrovano a dovere prendere decisioni politiche importanti. Adesso anche gli ambasciatori “avvisano” i cittadini che se il voto non esprime la volontà dei mercati ci potrebbero essere delle conseguenze negative in termini di investimenti esteri.
Era prevedibile che prima o poi sarebbe toccato anche all’Italia, visto anche il precedente della famosa lettera che il presidente della Bce inviò a Berlusconi nel 2011 con i “consigli” (io li chiamo “ricatti”) dei mercati affinché venissero approvate delle riforme palesemente pro-mercato.
Il linguaggio utilizzato è in sostanza sempre lo stesso e fa perno sull’idea di stabilità: “Quello che serve all’Italia è la stabilità e le riforme assicurano stabilità, per questo il referendum apre una speranza”, sostiene l’ambasciatore americano John Phillips.
Stabilità di chi? Solo del capitale internazionale, ovviamente, che con una riforma costituzionale di questo tipo faciliterebbe la propria ascesa politica in Italia, e il sistema democratico sarebbe pesantemente compromesso nelle sue fondamenta, lasciando ai cittadini l’inganno della libera scelta, ovvero della “democrazia formale”, per consolidare l’attuale sistema capitalistico europeo e internazionale.
E’ il caso di ricordare che l’unico risultato concreto ottenuto da questo modo di concepire la politica è stata la destabilizzazione dei cittadini europei dei paesi in crisi: tagli alle pensioni, agli stipendi, al sistema sanitario, al sistema scolastico, e in generale tutto ciò che riguarda il benessere della collettività.
Non ci si può indignare per le dichiarazioni di un ambasciatore o per le pressioni delle agenzie di rating senza prendere coscienza del sistema nel suo complesso che ha legittimato questo “super-governo” sovranazionale, che all’occorrenza chiamiamo Ue, Europa, Troika, Mes, Fmi, agenzie di rating, banche, mercati. In Italia la posta in gioco è molto alta, e rischiamo di fare la fine della Grecia. Non scordiamoci, infatti, che la Troika potrebbe essere dietro l’angolo per completare lo scempio di diritti che in una sorta di “commissariamento informale” stiamo già attuando
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